Giudizi universali

di InvisibleWoman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leggera leggera si bagna la fiamma, rimane la cera e non ci sei più ***
Capitolo 2: *** Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace ***
Capitolo 3: *** Libero com'ero stato ieri, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori ***
Capitolo 4: *** Ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già ***
Capitolo 5: *** Potrei ma non voglio fidarmi di te, in fondo non c’è in quello che dici qualcosa che pensi ***
Capitolo 6: *** Fra poco pioverà e non c'è niente che mi sposta o vento che mi sposterà ***
Capitolo 7: *** Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane ***
Capitolo 8: *** Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini per scivolare meglio sopra l'odio ***
Capitolo 9: *** Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l'aquilone ***
Capitolo 10: *** Ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi ***



Capitolo 1
*** Leggera leggera si bagna la fiamma, rimane la cera e non ci sei più ***


“Irene è stato… un allenamento in pratica, va” aveva detto Rocco a Maria pochi giorni prima. Irene e le ragazze erano appena tornate dalla cena in pizzeria e si erano soffermate sulla porta, per capire a che punto fosse la cena tra Rocco e Maria e se fosse possibile per loro rientrare in casa. Avevano trascorso una serata piacevole, tutto sommato, e trovarsi in compagnia aveva impedito a Irene di lasciarsi andare ai pensieri. L’idea di sapere Rocco e Maria a cena insieme da soli chiaramente la turbava, sebbene non lo desse a vedere e cercasse, come al solito, di fare finta di nulla.
Anna e Stefania si erano rivelate la compagnia perfetta per quella serata. Avevano riso e avevano scherzato, facendole dimenticare per qualche ora quello che stava accadendo a casa loro. Ma adesso che si accingevano a tornare, una parte di Irene avrebbe voluto fermare il tempo e impedire ai minuti di scorrere regolarmente. Tuttavia, le sue aspettative vennero ampiamente disattese. Aveva immaginato di rientrare e trovare Rocco e Maria finalmente insieme. Le si contorceva lo stomaco all’idea di vederli abbracciati o mano nella mano. Ciò che si ritrovò davanti, invece, era un Rocco deluso che cercava di riconquistare la fiducia della sua bella. A sue spese. 
Il sorriso di Irene, mentre le sue amiche si burlavano di lei per il numero di pizze che aveva mangiato quella sera, le era morto sul volto al sentire quelle parole pronunciate proprio dall’unica persona che l’avesse sempre difesa. Stefania si era voltata verso di lei, preoccupata che queste potessero in qualche modo averla ferita. Ma Irene aveva finto, come ormai aveva imparato bene a fare da tempo. Si era stretta nelle spalle e aveva rifuggito lo sguardo indagatore di Stefania. Rocco le aveva ampiamente dimostrato quanto poco fosse interessato a progredire con una frequentazione tra loro due. Le aveva fatto male sapere che aveva preferito Maria a lei, ma era riuscita a reggere bene quella messinscena. Non le importava nulla di Rocco, era contenta che le cose fossero andate così, questo era quello che raccontava a tutti. Per dimostrarlo, agli altri e soprattutto a se stessa, lo aveva aiutato a finire tra le braccia di Maria. Tutto risolto, no? Tuttavia, sentir sminuito quello che c’era stato tra di loro, e soprattutto lei come persona, le aveva raggelato il sangue nelle vene. Rocco era stato l’unico a trattarla come se meritasse l’amore e l’affetto degli altri. L’unico che non l’avesse mai giudicata, nonostante in molti la definissero una mangiauomini o una ragazza molto intraprendente, che era un modo più carino per chiamarla ‘facile’. La verità era che Irene non era affatto così, per niente, e le interazioni che aveva avuto con Rocco l’avevano ampiamente dimostrato. Irene era tutt'altro che facile, sotto ogni punto di vista. Aveva avuto una sola storia importante in tutta la sua vita, una storia che l’aveva fatta soffrire e le aveva fatto alzare quella cinta muraria insormontabile. Eccetto che per Rocco. Bell’affare aveva fatto. Quanto si era sbagliata a lasciarlo entrare, a permettergli di vederla per quello che era realmente. Aveva commesso un errore di percorso imperdonabile, ma non ci sarebbe cascata un’altra volta.

“Va tutto bene?” La voce di Stefania un sussurro in mezzo al buio della notte. Irene le dava le spalle, dormendo sul fianco opposto a quello che dava sul letto di Stefania. Le coperte fin sopra le orecchie. Avrebbe voluto fingere di dormire e ignorare la domanda della sua amica, ma non se la sentì di farlo. Non era ancora capace di cedere alle braccia di Morfeo e la voce di Stefania era al momento una consolazione. La fece sentire meno sola. La sua mente ripercorreva gli eventi degli ultimi giorni, e le parole che le erano state rivolte. Aveva fatto bene a fingere che di Rocco non le importasse nulla e mettere un punto a quella relazione. Quante altre offese avrebbe ricevuto se avessero saputo tutti che Irene aveva rubato il promesso sposo di Maria? Già, perché sebbene in realtà tra i due non ci fosse nessun accordo, come se potessero essercene ancora negli anni ‘60,  tutte le persone a loro vicine erano assolutamente convinte della precedenza che Maria avesse su Rocco, come se fosse un trofeo da accaparrarsi. Appariva forte, ma Irene non lo era. L’idea del giudizio l’aveva frenata. Aveva trovato un equilibrio in quella casa e non era disposta a lasciarselo sfuggire per ritrovarsi tutti contro. Non voleva sentirsi di nuovo sola.
“Sì, non preoccuparti, torna a dormire” rispose Irene con voce atona, priva di qualsiasi inflessione, il che fece proprio preoccupare Stefania, anziché rassicurarla.
“Sei sicura? Perché sarebbe normale se non lo fossi, dopo stasera” ribatté Stefania, mentre Irene si rigirava sul letto. La stanza era quasi totalmente buia, eccetto che per quel po’ di luce lunare che passava attraverso la tapparella dell’unica finestra che avevano in quella stanza. Non vedeva i tratti di Stefania e, per fortuna, lei non poteva nemmeno vedere Irene. In quel momento Stefania iniziò a dubitare della sua amica. Non doveva far piacere a nessuno vedersi definita in quel modo e si sentì tremendamente in colpa per non aver mosso un dito per difenderla. Anzi, nell’ultimo periodo non aveva fatto altro che giudicarla e criticarla a sua volta per la bugia che stava raccontando a Maria, spingendola a confessare o, altrimenti, lasciare andare Rocco. Iniziò a domandarsi se avesse fatto bene a non lasciarle lo spazio e il tempo che meritava, e a sottovalutare i suoi sentimenti, dando più importanza a quelli di Maria, come se contassero di più. Non era così, non per lei.
Stefania rimase qualche secondo in attesa di una risposta di Irene, ma il suo silenzio parlava chiaro e Stefania non ci pensò due volte a tirarsi fuori dal letto per infilarsi sotto le lenzuola con Irene.
“Che stai facendo?” protestò quest’ultima spingendola via, con il suo solito fare da Grinch. **
“Non mi impedirai di abbracciarti!” borbottò Stefania con una risata, mentre si avvicinava a Irene che, lentamente, iniziava ad ammansirsi. 
“Non sei il giro di prova di nessuno, Irene” le disse dopo un po’ con tono serio. “E sono sicura che presto arriverà la persona giusta anche per te” affermò con convinzione, mentre Irene si lasciava andare a un profondo sospiro sconsolato. Nessuno prendeva in considerazione che lei la persona giusta potesse averla già trovata. Nemmeno Stefania. Forse avevano ragione.
“Grazie” aggiunse semplicemente. Per lei che non era abituata a confidarsi con gli altri quello era già tanto, seppur non avesse in fondo detto nulla. Con calma, a poco a poco, Irene le stava permettendo di conoscerla, di entrare dentro il suo mondo. In quel momento Stefania rappresentava il suo unico appoggio, anche se non riusciva ad ammetterlo e dimostrarlo. Era grata di averla nella sua vita e lei non immaginava nemmeno quanta importanza desse al loro rapporto. E quanta paura avesse di perdere anche lei. 

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  “Irene, c’è qualcuno che ti sta fissando da cinque minuti.” Maria aveva fatto le scale di corsa e si era avvicinata alla postazione a cui stava lavorando Irene. Lo sguardo entusiasta di chi voleva spettegolare un po’ con lei. 
Il rapporto con Maria aveva preso una piega strana, dopo il suo avvicinamento a Rocco. Adesso che non c’era più niente che potesse mettersi tra di loro, avevano dunque seppellito l’ascia di guerra. Maria si definiva sua amica e Irene la lasciava fare. Aveva imparato a volerle bene, a modo suo, ma ogni tanto le tornava in mente quella sera. Si era concentrata unicamente sulle parole di Rocco, ma Maria? Non aveva speso nessuna parola in sua difesa. Che amica era quella che lasciava che un uomo facesse pratica con una persona a cui era affezionata? In fondo questo dimostrava che l’idea che Maria aveva sempre avuto di lei non era una delle più lusinghiere ed edificanti. 
“Chi sarebbe?” aveva risposto Irene un po’ annoiata, mentre continuava a piegare i golfini che l’ultima cliente le aveva fatto tirare fuori uno dopo l’altro. Era una di quelle giornate no in cui sembrava che tutto andasse storto. O forse era solo l’umore nero di Irene a renderle troppo stretto persino il suo lavoro. In genere le piaceva lavorare: dicevano tutti che Irene Cipriani era capace di vendere ghiaccio agli esquimesi o tappeti ai persiani. Ed era vero. Ci sapeva fare, nonostante spesso questo suo talento non le venisse riconosciuto. Ma le piaceva davvero venire al Paradiso ogni mattina, specialmente gli anni precedenti. Era una scusa per uscire ed evadere dalla pesantezza che si respirava in casa sua a causa della morte di sua madre. Nell’ultimo periodo era stata la sua unica salvezza, invece, per via della nuova compagna di suo padre. In fondo doveva essere grata a Maria per averle offerto un posto in cui stare, libera dal giudizio di suo padre e dall'oppressione di quella donna.
“Lassù, col dottor Conti” disse Maria con aria divertita. Irene sollevò lo sguardo solo per accontentare la sua coinquilina e tornare a concentrarsi sul proprio operato, o meglio sui propri pensieri: in quel momento non era dell’umore di spettegolare o di fingersi interessata alle sue chiacchiere. Eppure, quando vide di chi si trattava, Irene non riuscì più a muovere un muscolo.
“Irè? Lo conosci?” domandò Maria, sorpresa, mettendole una mano su un braccio. Irene aveva inventato la storia con un affascinante avvocato tedesco solo poco tempo prima e dunque non immaginava che la sua amica, un tempo rivale, avesse avuto tra le mani un altro interesse amoroso, oltre a Rocco. Ne fu quasi sollevata, poiché questo, agli occhi suoi, sminuiva ancora una volta quello che c’era stato tra lei e il suo fidanzato. 
“No, ma che dici” si affrettò a rispondere lei, sebbene fosse palesemente una menzogna. Era Lorenzo, l’uomo con cui era uscita qualche settimana prima e che non aveva più rivisto. Erano andati al cinema e a cena un paio di volte, ma poi si era letteralmente volatilizzato e Irene non aveva più sentito parlare di lui. Aveva chiuso quella parentesi e non ci aveva più pensato. In fin dei conti la sua vita nell’ultimo periodo era stata particolarmente movimentata e non aveva avuto il tempo di pensare al rapporto naufragato con un perfetto sconosciuto. Non che a Irene dispiacesse, dopotutto l’aveva solo tolta dall’impiccio di dover porre fine lei a quegli incontri. Non avrebbe negato di essere stata lusingata dalle sue attenzioni, soprattutto dato che erano arrivate in un momento di insoddisfazione e insicurezza personale. Ma la sua mente e il suo cuore erano occupati da qualcun altro e non aveva voluto illuderlo. Ma adesso… beh, adesso le cose erano profondamente diverse. In pochissimo tempo era cambiato tutto e Irene faticava ancora a crederlo possibile. Eppure il matrimonio di Rocco con Maria era ormai una realtà che Irene non avrebbe più potuto negare. Dopotutto era stata proprio lei a farli avvicinare. Persino l’ultima decisiva spinta era arrivata da Irene e da una delle sue idee. C’erano momenti in cui si malediceva per essersi prodigata tanto, e altri in cui era contenta di averlo fatto, poiché così aveva messo un muro tra loro due, un ostacolo insormontabile che rendeva più facile a lei quel distacco. Non potevano più tornare indietro, ormai. Era fatta.
“E allora perché ti sei ammutolita? Dai, chi è” chiese Maria strattonandola ripetutamente per un braccio per farsi dire la verità.
“Che succede? Che succede? Cosa state confabulando?” avanzò Stefania con l’aria losca di un investigatore segreto. Era stata una buona amica per Irene e si era rivelata anche capace di mantenere il segreto che le aveva affidato. Si fidava di Stefania, non l’aveva mai tradita: in quel caso semplicemente non c’era nulla da raccontare. 
“Niente, non c’è niente da sapere” rispose impassibile Irene, continuando a piegare golfini. Ma Stefania non si arrendeva mai tanto facilmente e Irene avrebbe dovuto immaginarlo. D’un tratto, infatti, gliene tirò via uno dalle mani.
“Ormai ti conosco” aggiunse con tono addolcito. Sapeva bene quando la sua amica stava mentendo, o almeno così credeva Stefania. Se solo avesse intuito davvero la portata delle sue menzogne, forse non l’avrebbe spinta con così tanta foga ad allontanarsi da Rocco per lasciare spazio a Maria.
“Quell’uomo continua a lanciarle occhiate di fuoco e Irene non vuole dirmi chi è” le spiegò Maria, appoggiandosi con i gomiti al bancone con l’aria pettegola che in genere non le apparteneva. Il rapporto ormai risolto con Rocco le aveva dato una sicurezza e una leggerezza che Irene stentava a riconoscere in lei, ma di cui era grata. Almeno non avrebbe dovuto più sentire lamentele e frecciatine rivolte al suo indirizzo e l’aria in casa si era fatta molto più tranquilla e pacifica.
“Ma quali occhiate di fuoco” rispose Irene scocciata, nella speranza di scoraggiare l’estrema curiosità di Stefania. Ma non fu lei a farla desistere o darle la possibilità di defilarsi.
“Buongionno” esordì Rocco con la rella dei vestiti tirati fuori dal magazzino. Si avvicinò a Maria per lasciarle un bacio veloce sulla guancia. “Che state facendo tutte qua?” domandò anche lui con curiosità. 
Irene si sentì soffocare, oppressa da tutte quelle domande e dalle effusioni che Rocco e Maria non lesinavano, nemmeno in pubblico, convinti che non dessero alcun fastidio a Irene che tanto si era prodigata per loro. Anime belle, pensò lei cercando di soffocare l’istinto omicida che l’avrebbe presto portata a strozzarli tutti quanti con quei golfini, se non l’avessero lasciata in pace.
“Ma qui non lavora più nessuno?” sbuffò Irene, lasciando che fosse Stefania a completare il lavoro, visto che ormai le aveva rubato la postazione, e sgattaiolò via da quell’imboscata per rifugiarsi nel reparto cosmetici di Dora. Pettegola anche lei, ma se non altro non era a conoscenza di tutto il dramma che l’aveva vista protagonista insieme a Rocco e Maria. 
“Che succede?” domandò confusa, mentre Irene si accovacciava per non farsi notare da Lorenzo che nel frattempo stava scendendo le scale. “Da chi ti stai nascondendo?” Lo sguardo di Dora vagò per la galleria. “Alzati, sta venendo qui!” la avvisò tra i denti, dandole un leggero colpetto sul sedere con la punta della sua scarpa. Irene si rimise subito in piedi, sfoggiando un sorriso smagliante, mentre Lorenzo la salutava. 
“Signorina Cipriani, è un piacere” disse lui, inclinando lievemente la testa a mo’ di saluto. 
“Signor Giuliani. Ne è passato di tempo.” E di acqua sotto i ponti, pensò Irene. Il giorno in cui aveva accettato di uscire con lui, tra lei e Rocco non era ancora accaduto nulla. L’aveva difesa, ma era poi rimasto immobile, incapace di aggiungere altro o di impedirle di allontanarsi con quell’uomo elegante e raffinato, tanto diverso da lui. Allora aveva preso l’invito di Lorenzo come un’occasione per dare una svolta alla propria vita sentimentale. Rocco non meritava il suo tempo. Lo aveva pensato già allora, peccato non essere stata abbastanza convincente con se stessa. Si sarebbe risparmiata inutili tribolazioni. Ma adesso cosa avrebbe dovuto fare? Uscire con lui e fingere un interesse che non provava? Non era pronta a lasciarsi spezzare il cuore un’altra volta. Non era pronta a permettere a un altro uomo di ferirla, nemmeno a uno elegante e benestante. Lorenzo rappresentava quello che aveva sempre detto di desiderare dalla vita. Eppure i suoi occhi chiari e limpidi erano troppo diversi da quelli di Rocco, in cui aveva imparato a specchiarsi.
“Ha ragione, troppo tempo. Se non le dispiace, mi farebbe piacere invitarla a cena e farmi perdonare per l’ingiustificabile assenza” aggiunse lui con estremo garbo. Forse fin troppo garbo. Non era abituata a quei modi affabili e gentili, quanto piuttosto agli insulti e alle prese in giro. Dio, quando avrebbe smesso di fare inutili paragoni? E con chi poi: con un magazziniere illetterato?
“Meno male che non sapeva chi era” borbottò Maria insieme a Stefania, come due vere comari. Irene poteva vederle alle spalle di Lorenzo. Persino Rocco era rimasto a godersi la scena, ancora lì immobile, proprio come settimane prima.
“Lo conosce, lo conosce” sentenziò Rocco, con una punta di gelosia nella voce che destò preoccupazione in Maria, tanto da spingerla a fulminarlo con lo sguardo. 
“E chi sarebbe?” chiese sospettosa, più che altro desiderosa di sapere perché proprio Rocco ne era a conoscenza. 
“Una volta è venuto a prenderla per uscire. Si era provata un profumo per lui” aggiunse Rocco, ignorando lo sguardo di Maria e continuando a fissare Irene che parlava con quell’uomo. Non l’aveva fermata allora, non lo avrebbe fatto adesso. Era felice, aveva fatto la scelta giusta con Maria. Ma se era davvero così, allora perché sentiva torcersi le budella al pensiero di saperli insieme un’altra volta?
“Ma come? E non ci dici niente?” chiese Stefania, come se si trattasse di un pettegolezzo letto in una delle riviste che amava di solito sfogliare. Irene si era confidata subito con lei dopo il bacio con Rocco. Certo, glielo aveva tirato fuori con la forza, ma in fondo aveva ceduto piuttosto facilmente. Allora perché non le aveva detto niente di quell’uomo?
“E che dovevo dire” disse riuscendo finalmente a staccare gli occhi da quei due per puntarli dritti su Stefania. “Ci ha portato una rosa” concluse con stizza, ma stringendosi nelle spalle e andando via come se si trattasse di un’informazione irrilevante, lasciando Stefania e Maria interdette.
“Allora?” domandarono le due, correndo verso di lei quando finalmente l’uomo uscì dal negozio e Irene si trovò di nuovo da sola. 
“Allora cosa” continuò Irene con quell’atteggiamento sostenuto, quasi scocciato. Stefania era perplessa nel vederla così distaccata. L’Irene che conosceva lei avrebbe fatto i salti di gioia a ottenere le attenzioni di un uomo tanto bello ed elegante. Perché adesso non sembrava felice?
“Come allora cosa!” borbottò Stefania, mettendo il broncio perché la sua amica le stava spegnendo ogni briciola di entusiasmo. Dopotutto, se non poteva parlare della sua vita sentimentale completamente inesistente, l'unica soddisfazione gliela davano le vicende amorose delle sue amiche. Si chiedeva spesso quando sarebbe arrivato il suo turno e se anche Federico, un giorno, avrebbe aperto gli occhi come aveva finalmente fatto Rocco.  “Chi era? Ti ha chiesto di uscire? Che faceva col dottor Conti? Quando ti ha portato la rosa? Era rossa? Oh, sembra la scena di un film romantico” Stefania la soffocò di domande. 
“Frena, respira. Aspetta…” disse Irene, fermandosi d’un tratto. Come faceva a sapere della rosa? Rocco. Si domandò perché avesse confessato loro di quel particolare, se ci fosse qualche motivazione nascosta. Poi scacciò via quei pensieri con un gesto rapido della testa: non poteva tornare a pensare a Rocco e ai suoi comportamenti criptici. Lui aveva preso la sua decisione. Irene non era la sua badante, né la maestra che gli insegnava come comportarsi con Maria.
Non era il giro di prova di nessuno. Doveva volersi bene di più. In quell’istante decise di dare una possibilità a Lorenzo. La meritava lui ma, soprattutto, la meritava lei stessa. 


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** Il Grinch, come personaggio letterario, viene pubblicato nel '57, dunque è possibile che Stefania lo conosca.

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Capitolo 2
*** Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace ***


“Allora, dove andrete?” la voce di Dora la riportò alla realtà mentre Irene spiluccava il panino che le avevano servito in caffetteria. La venere sollevò lo sguardo dal piattino, dovendo fare mente locale per qualche istante prima di capire a chi si riferisse. Non che non trovasse interessante l’uomo con cui sarebbe uscita quella sera: era solo arrivato al momento sbagliato. Ora che Rocco l’aveva cambiata, aveva smussato i suoi angoli e le aveva fatto credere di meritare l’affetto degli altri. Non era semplice aprirsi a nuove possibilità, dando la possibilità a qualcun altro di farle del male come aveva fatto Rocco. 
“A ballare, credo” rispose lei, portandosi alla bocca un pezzetto che mandò giù con un sorso di chinotto. 
“Ma quindi chi è? Cosa fa? Perché non vi eravate più visti?” la sua amica, che Irene nell’ultimo periodo aveva frequentato poco, la tempestò di domande. Guardò Dora, ancora ignara di quello che lei e le altre veneri le avevano nascosto su Nino, nella speranza che se ne dimenticasse e quella cotta andasse via prima di doverle confessare la verità. Erano lì da tre anni e nessuna delle due era ancora riuscita a trovare l’uomo giusto. Entrambe avevano avuto a che fare con delusioni e turbamenti. Se Irene stava iniziando a metabolizzare quello che era successo con Rocco, per Dora si sarebbe trattata di una vera e propria doccia gelata. Avrebbero dovuto avvisarla, stavano sbagliando a mentirle. La stavano portando a crearsi castelli su castelli di sabbia, che inevitabilmente sarebbero stati spazzati via dalla prima onda del mare. Non voleva essere lei la responsabile della sofferenza della sua amica. Non voleva essere proprio Irene a dirle tutta la verità. Eppure, se le altre non erano disposte a farlo, avrebbe ricoperto ancora lei il ruolo della cattiva. Per il suo bene.
“E’ un pilota” rispose Irene con maggiore entusiasmo di quello che aveva mostrato fino a quel momento. “E’ dovuto partire all’improvviso per lavoro e non sapeva quando sarebbe tornato” le spiegò con ritrovato ottimismo. Era in realtà piuttosto contenta di uscire di nuovo con Lorenzo. Voleva tornare a essere l’Irene di sempre, quella che mai si sarebbe lasciata scappare un partito come quello. L’Irene frivola e leggera che tutte le sue amiche avevano imparato a conoscere. Non che si facesse vedere giù di morale, a parte qualche rara giornata no. La maggior parte delle volte Irene metteva su una maschera che le permetteva di celare se stessa e le proprie emozioni al resto del mondo. Si nascondeva da tutto e da tutti, persino dalle persone a lei più vicine come Stefania e Dora.
“Un pilota?!” strabuzzò gli occhi Dora, che da sempre era stata catturata dal fascino della divisa. Irene, a dirla tutta, non era da meno. Infatti annuì con soddisfazione all’amica, che per tutta risposta ammiccò a Irene come a congratularsi con lei per la conquista.
“Ma allora che ci faceva col dottor Conti?” domandò dopo un po’, arricciando le labbra con aria confusa. 
“Era un incontro personale. A quanto pare sono amici” ribatté lei, stringendosi nelle spalle con disinteresse. Il suo rapporto col dottor Conti non aggiungeva nulla al fascino di Lorenzo. Certo, c’era stato un tempo in cui Irene aveva avuto delle mire nei suoi confronti e aveva sperato che Vittorio Conti fosse ancora celibe, ma adesso era talmente abituata a vederlo al fianco di Marta, che la bionda non ci faceva più caso.
“Comunque l’ultima volta mi ha portato in un ristorante sui Navigli niente male” sollevò le sopracciglia Irene, nascondendo un sorriso con un altro morso al panino.
“Dai, che bello! Non appena mi aiuterete a conquistare Nino, finalmente potremo fare delle uscite di coppia, ci pensi?” propose Dora elettrizzata, mentre Irene si sentiva morire dentro. Come al solito Dora, l’eterna romantica per eccellenza, stava già organizzando mentalmente il proprio matrimonio con Nino senza ancora esserci neppure uscita una volta. Era profondamente diversa da Irene, che poco si faceva prendere da romanticherie e progetti di vita. Lei era da sempre stata più pragmatica, andava dritta al punto. Non sognava l’uomo giusto, il matrimonio perfetto, una famiglia, dei figli. Irene aveva sempre desiderato l’aspetto più frivolo e superficiale di una relazione: gli agi che un uomo benestante avrebbe potuto offrirle. Erano solo pensieri di una ragazza immatura che poco sapeva dell’amore quello vero. Una ragazza che proprio per amore era rimasta scottata e aveva preferito concentrarsi sull’aspetto pratico del matrimonio, pur di non dover coinvolgere il proprio cuore. E poi non voleva fare la fine dei suoi genitori. Non voleva vivere in una casa popolare, lavorare il doppio per poter crescere un figlio. Morire dentro quel piccolo appartamento, dopo una lunga malattia, circondata solo dall’unica figlia, anziché all’interno della migliore clinica di Milano. I soldi non compravano la felicità, sua madre glielo ripeteva sempre. Ma potevano comprare una vita dignitosa. La vita era dura per tutti, ma era di certo meglio piangere su delle lenzuola di seta, anziché su un materasso di pietra. Irene era rimasta a lungo di quell’idea, prima di conoscere Rocco e mandare all’aria tutte le sue convinzioni. Una cena in caffetteria e un incontro in magazzino non le sembravano più poco invitanti come un tempo. 
“Senti, Dora, io dovrei dirti una cosa…” iniziò Irene. Come poteva dirle la verità dopo averle mentito per così tanto tempo? Era qualcosa che avevano concordato insieme a Stefania e Anna e per un attimo pensò se fosse il caso di vuotare il sacco proprio in quel momento, da sola, senza prima aver discusso con loro il metodo più indolore per farlo. 
“Possiamo sederci anche noi?” domandò d’un tratto Maria a braccetto con Rocco. Irene roteò segretamente gli occhi al cielo, mentre Dora si affrettava a togliere la borsetta da una delle sedie per permettere a Maria e Rocco di unirsi a loro. 
“Beh, pensandoci, potreste uscire voi quattro, intanto” propose Dora, guardando con aria innocente prima Irene e poi Maria. Dora, povera ingenua, che non sapeva ancora nulla di Rocco e Irene. Entrambe rimasero per un attimo in silenzio, mentre Rocco guardava Irene pietrificato.
“Uscire cu cui?” domandò poi, confuso. 
“Con Irene e il suo nuovo ammiratore, con chi se no?” rispose Dora come se fosse la cosa più ovvia e scontata del pianeta. 
“Ma figurati!” esclamò Irene di getto. “Mi porterà in uno dei locali più esclusivi di Milano, non è il posto adatto per due come Rocco e Maria” aggiunse, rendendosi conto solo dopo della punta di veleno che fuoriusciva dalle sue parole. Dopotutto questa era la scusa che aveva usato per allontanare Rocco. Non avrebbe negato di aver dato a lungo importanza a questioni tanto superficiali come il conto in banca. Tuttavia, l’uscita in caffetteria con Rocco l’avrebbe ricordata a lungo come una delle più belle e spensierate della sua vita. Non le importava che non sapesse ballare, che fosse un disastro in piena regola. Si era divertita perché lui era capace di farla ridere come nessun altro. 
Dopo quella risposta, Rocco puntò rabbioso i suoi occhi su quelli di Irene. Aveva avuto ragione sin dal principio: si vergognava di lui. Non sarebbe mai stato abbastanza elegante, abbastanza intelligente, abbastanza facoltoso, abbastanza affascinante. Non sarebbe stato abbastanza per lei, punto. In quel momento pensò di aver fatto bene a scegliere Maria, che mai gli avrebbe rinfacciato la vita modesta che avrebbero condotto. Per lei un magazziniere non era un uomo da nascondere o di cui vergognarsi. I calli alle sue dita non la disturbavano. La sua scoordinazione e il suo scarso desiderio di mondanità non le davano fastidio. Non era uno da balli sfrenati e ristoranti di lusso. Si sarebbe sempre sentito fuori posto accanto a lei e in quel momento Irene non aveva fatto altro che confermarglielo. 
“Infatti, io e Maria siamo persone semplici” ribatté lui con la sua tipica aria canzonatoria, prendendo poi la mano della sua fidanzata, come a voler dimostrare qualcosa a Irene, mentre Maria gli sorrise come se le avesse appena fatto la più bella dichiarazione del mondo.
“Ci basta poco per essere felici insieme. Non è vero?” domandò allora lei, con un tono che agli occhi di Irene sembrava più un disperato tentativo di ottenere una conferma da parte del suo amato. 
Dopo quell’uscita al vetriolo, Irene abbassò lo sguardo sul piatto ormai vuoto e deglutì a fatica l’ultimo morso che aveva appena dato al panino. Questo le dava la scusa per terminare la pausa pranzo e tornare al Paradiso, defilandosi senza problemi da quel quartetto improvvisato.
“Vabbè, persone semplici, finite pure il vostro panino. Io torno al lavoro” si alzò di scatto, sculettando e ondeggiando fino a raggiungere l’appendiabiti e il suo soprabito rosa.

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I suoi occhi continuavano a fissare l’abito viola che rimaneva appeso alla gruccia dentro l’armadio. Sulla stoffa probabilmente vi era ancora traccia da qualche parte delle mani di Rocco che l’avevano tenuta stretta a sé. Se chiudeva gli occhi, Irene sentiva ancora il sapore dei suoi baci, la sensazione delle labbra sulle sue, il profumo della sua colonia dentro le narici.  
Seduta sul pavimento con le braccia allungate dietro di sé per sorreggerla e le gambe incrociate, Irene sospirò sconsolata. Era stata così euforica all’idea di uscire con Lorenzo fino a pochi istanti prima, poi aveva aperto l’armadio e aveva sfiorato con i polpastrelli quell’abito pietra dello scandalo e il sorriso le era morto sul viso. Si chiese quando avrebbe smesso di essere tanto stupida, non poteva continuare a lungo, era imbarazzante. Irene Cipriani non si struggeva per un magazziniere che aveva preferito una ricamatrice scialba come Maria e che si rivolgeva a lei usando quel tipo di epiteti. Un po’ di amor proprio!, pensò.
“Che ci fai per terra?” domandò Stefania rimanendo sull’uscio della porta, inclinando la testa di lato come facevano i cani quando non avevano chiaro qualcosa. 
“Studio il mio armadio” ribatté Irene, facendola più semplice di quanto in realtà non fosse.
“E hai scoperto qualcosa di interessante?” Stefania la emulò, sedendosi al suo fianco, continuando a tenere la testa inclinata come per cercare nuove chiavi di lettura e capire cosa avesse ipnotizzato a tal punto la sua amica.
“Quello che ho scoperto è che non c’è niente di interessante” sentenziò Irene sconsolata. Non avrebbe certamente indossato quell’abito. Non quella sera. Per quanto potesse servire a mandare un segnale a se stessa, sarebbe stato di cattivo gusto, pensò.
“Secondo me quello viola…” provò a suggerire Stefania.
“No!” Irene la bloccò all’istante, ammutolendosi di colpo dopo quell’uscita che lasciava trapelare più di quanto avrebbe desiderato.
“Va bene, va bene, calma. Quello viola no, allora” ridacchiò Stefania, appoggiando una mano sulla spalla della sua amica. “Quello blu? Si intona ai tuoi seducenti occhi di ghiaccio” continuò con fare drammatico, sfiorandole il mento per sollevarle il viso. Irene cercò di trattenere a stento una risata, annuendo però con convinzione alle lusinghe della sua amica.
“Tanto non mi serve conquistarlo, è già mio” ribatté lei con l’egocentrismo e la presunzione che l’avevano sempre caratterizzata agli occhi delle persone che la conoscevano. Quella maschera di sicurezza che metteva davanti per nascondere le sue tante fragilità. 
“Non avevo dubbi” sorrise Stefania che si rimise in piedi per tirare fuori dall’armadio quell’abito che Irene aveva comprato qualche settimana prima e che aveva avuto l’occasione di indossare solo una volta. “Vestiti che poi ti aiuto a truccarti” propose la mora, chiudendo la porta della loro camera per tornare in cucina dalle altre due che stavano preparando da mangiare. Per loro niente serate mondane, ma solo una frugale cena dentro l’appartamento di una casa popolare.

Io suggerirei un rossetto meno forte, così in caso dovesse succedere qualcosa...” aveva proposto Anna lasciando la frase a metà con aria sorniona, mentre Stefania stava scegliendo il trucco per Irene. Le sembrava di essere Cenerentola che si preparava ad andare al ballo col suo principe. 
“Hai ragione, meglio questo rosa” aveva annuito Stefania, posando il rossetto rosso. Non era esperta di appuntamenti, lei che sognava ancora di coronare il suo sogno d’amore con un principe azzurro di nome Federico. Con Pietro non aveva corso alcun rischio, dunque Stefania non si era posta il problema di cosa indossare o come truccarsi.

“Spero di non sembrarle sfacciato se le chiedo di iniziare a darci del tu” disse d’un tratto Lorenzo, distraendo Irene dai suoi mille pensieri. Stavano tornando verso la macchina, Irene che a stento riusciva a tenersi in piedi. Aveva peccato di vanità indossando quelle scarpe col tacco a una serata danzante e adesso ne stava pagando le conseguenze.
“No, niente affatto” rispose Irene. “In effetti veniva innaturale anche a me. Dopotutto è la terza volta che ci vediamo” aggiunse, sperando di non risultare lei troppo diretta. Dopo quello che era successo con Rocco, una piccola parte di sé iniziava a dubitare delle interazioni che aveva col genere maschile e di come queste potessero essere giudicate.
“Posso chiederti una cosa?” domandò d’un tratto Lorenzo. Quella serata era stata praticamente perfetta. I suoi modi gentili, da vero e proprio gentiluomo, non lo rendevano una persona rigida e all’antica. Lorenzo era divertente, galante e intraprendente: il modo in cui si era espresso in suo favore solo perché l’aveva vista in difficoltà, il giorno in cui si erano incontrati, era solo la punta dell’iceberg. Quella sera avevano ballato, si erano divertiti e Irene non aveva pensato a Rocco nemmeno per un secondo. Fino a quel momento.
“E’ possibile che il tuo vicino di casa mi abbia preso in antipatia per qualche motivo?” chiese titubante, ma con un’aria divertita. Evidentemente Lorenzo era anche una persona diretta, tanto quanto lo era Irene. Non girava troppo intorno alle questioni, andando dritto al punto. 
“No, perché?” si irrigidì Irene. Cosa aveva combinato? Quando aveva aperto la porta a Lorenzo, aveva intravisto Rocco entrare in casa Amato. Le aveva lanciato uno strano sguardo, ma non aveva avuto modo di approfondire. Irene lo aveva ignorato ed era uscita con estrema serenità con quell’uomo. 
“Non credo di stargli molto simpatico” si strinse lui nelle spalle. “Non c’è niente che devo sapere, vero?” domandò allora, aprendole la portiera dell’auto per farla entrare.
“A quale proposito?” domandò Irene, facendo la finta tonta. “E’ fidanzato con la mia coinquilina Maria” aggiunse dopo lo sguardo poco convinto che Lorenzo le aveva lanciato. Le faceva ancora male pronunciare ad alta voce quelle parole. Rocco era fidanzato con lei, aveva scelto lei, avrebbe sposato lei. Fine della discussione. Tuttavia, tralasciò l’informazione sui baci che lei e Rocco si erano scambiati. Non aveva senso tirarla fuori in quel momento. Non voleva che la situazione diventasse strana per tutti quanti. 
Lorenzo annuì, abbastanza soddisfatto da quella risposta da non dover approfondire ulteriormente l’argomento. Non era un tipo geloso, non poteva esserlo per via di quel lavoro che lo portava a lungo fuori da Milano. Se si fosse dovuto preoccupare di quello che facevano in sua assenza le ragazze che frequentava, non avrebbe instaurato alcuna relazione. Si fidava, o comunque decideva di non preoccuparsi senza averne motivo. 
“Ripartirai a breve?” chiese Irene dopo qualche istante in silenzio a fissare fuori dal finestrino. Non aveva idea della direzione che avrebbe potuto prendere quella conoscenza. Valeva la pena impegnarsi con un uomo che viaggiava così tanto spesso per lavoro? Tuttavia, apprezzava la sua compagnia e doveva ammettere che la distoglieva dal pensiero di Rocco e Maria insieme. E dal matrimonio che presto si sarebbe celebrato. 
“Tra due settimane” rispose lui. Irene si voltò a guardare il suo profilo, in particolare si soffermò su quella piccola gobba sul naso. Le labbra sottili, ma ben delineate. I capelli biondi che teneva impomatati all’indietro e che gli davano un’aria sempre ordinata. Indossava abiti di buona fattura e i suoi modi lasciavano trapelare un’educazione di un certo livello. Lorenzo era molto più di quanto avrebbe mai potuto desiderare. E quando lui si girò, cogliendola con le mani nella marmellata, le accennò un sorriso. 
“Hai sbagliato strada” gli fece notare Irene, convinta che Lorenzo la stesse riportando a casa. 
“Se non ti dispiace, volevo fare un giro in macchina” rispose lui, che non voleva porre ancora fine a quella serata. Le auto avevano sempre avuto uno strano effetto su di lui, l’idea del movimento perenne lo tranquillizzava. La sua famiglia, benestante di nascita, possedeva un’automobile sin da quando Lorenzo era un bambino. Quando era agitato e non voleva dormire, quello era l’unico modo che conoscevano per farlo addormentare. Anche da ragazzino, rimaneva con il volto appiccicato al finestrino a osservare il mondo che velocemente gli scorreva davanti. Sarebbe rimasto per ore lì a sognare il mondo che dispiegava davanti ai suoi occhi. Il lavoro che aveva scelto, andando contro agli studi notarili che la famiglia si sarebbe aspettata che lui intraprendesse, gli permetteva, per l’appunto, di rimanere sempre in movimento. Sospeso per aria a migliaia di chilometri di altezza. E lui in assoluto controllo.
“Mi piace girare con l’auto di notte” si giustificò allora. “Vedi il cuore della città. Scavi a fondo della sua anima e la ritrovi silenziosa, addormentata. Vulnerabile.” Irene lo ascoltò incuriosita, ma a tratti divertita dal tono poetico delle sue parole. Lei non era superficiale come lasciava intendere, ma aveva anche un animo più cinico e meno incline a soffermarsi su questioni tanto astratte.  “Quando dormiamo, tutti sembriamo indifesi, no?” si strinse nelle spalle lui e accennò a un sorriso, mentre Irene annuiva.
“In effetti ha il suo perché. Anche se a me piace più di giorno, con i suoi rumori e i suoi colori. La preferisco viva” gli fece notare arricciando le labbra con fare colpevole. Il silenzio non faceva per lei. Aveva vissuto troppo a lungo in una casa silenziosa e pesante, che adesso era grata di poter condividere l’appartamento con altre tre persone e soprattutto con il buonumore e l’allegria di Stefania.
“Hai ragione” ribatté lui, accostando. “Ma il silenzio e il buio danno un’intimità tutta diversa ai rapporti” disse, allungando una mano verso il suo viso. Le spostò una ciocca di capelli, bloccandola dietro l’orecchio e rimase per qualche istante a guardarla dritto negli occhi. 
Erano entrambi seduti dentro l’automobile di Lorenzo, dopo una serata trascorsa in un locale alla moda. Avevano bevuto qualche bicchiere di champagne, e questo aveva alleggerito la mente di Irene. Lorenzo, tuttavia, non aveva mai oltrepassato il limite con lei. Nei due incontri precedenti non aveva nemmeno osato sfiorarla. Ma quella sera si erano stretti sulla pista da ballo e questo aveva creato tra di loro una certa intimità mai creatasi prima e che la notte, come diceva lui, favoriva ulteriormente. Irene lo lasciò fare. Con Rocco era stata lei a prendere l’iniziativa. Era stata lei a baciarlo per ben due volte, prima che fosse finalmente Rocco a prendere una posizione. Ma in questo caso non era necessario che lo facesse. Lorenzo sapeva esattamente cosa voleva e non indugiava. Sapeva cogliere l’attimo. E così, quando le sue labbra si posarono su quelle di Irene, il pensiero di Rocco era completamente sparito dalla mente di lei, dissolto nel nulla come polvere nel vento. 

“Domani posso passare in pausa pranzo?” domandò lui sull’uscio di casa. Qualcuno avrebbe potuto pensare che stesse correndo troppo. Ma Lorenzo viaggiava spesso e doveva sfruttare il tempo che trascorreva a Milano nel miglior modo possibile. Dopotutto sarebbe mancato via per settimane e non sapeva quando avrebbe avuto di nuovo occasione di rivederla.
“A mangiare un panino con la frittata?” rispose Irene divertita, come se trovasse inopportuno che un uomo della sua levatura pranzasse in un piccolo bar davanti a un grande magazzino.
“Non è il primo e non sarà di certo l’ultimo” ribatté lui, lasciandole un bacio su una guancia, mentre la porta di casa Amato si apriva, svelando Agnese con la tovaglia da tavola tra le mani.
Lorenzo le fece un segno con la testa in segno di saluto e poi augurò la buonanotte a Irene.
“Facciamo tardi, eh?” si impicciò la sarta del Paradiso. Contenta, però, che quella ragazza, che poco le andava a genio, impegnasse le proprie serate con qualcun altro che non fosse suo nipote. Se non altro quell’uomo l’avrebbe tenuta lontana da Rocco. 
“Non ci si accorge del tempo quando ci si diverte” rispose lei piccata, ma con il sorriso sulle labbra. “Buonanotte, signora Agnese” disse entrando dentro il proprio appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.
“Allora, allora?” Stefania balzò fuori dal letto per correrle incontro e sedersi al tavolo della cucina per tempestarla di domande. Aveva l’aria di chi aveva aspettato tutta la sera in trepidante attesa.
“Non mi dai neanche il tempo di spogliarmi?” rispose Irene con una risata, mentre Stefania tornò ad alzarsi per aiutarla a sfilarsi il soprabito che le aveva prestato. 
“Ora ti sei spogliata, dimmi tutto” disse tornando a sedersi e appoggiando i gomiti sul tavolo in attesa di tutte le informazioni che le servivano per sognare qualcosa di bello per quella notte. D’altronde quello, oltre alle riviste, era l’unico sprazzo di romanticismo nella sua vita. Poteva solo vivere attraverso le storie delle sue amiche, nella speranza che prima o poi arrivasse anche il suo turno.
“Abbiamo fatto bene a cambiare rossetto?” domandò Stefania con aria birichina. 
Irene le sorrise, cercando di fare l’indifferente. Avevano fatto più che bene. Quella serata le era servita per voltare pagina una volta per tutte. Per capire che non poteva rimanere ancorata al passato. Come aveva una volta detto a Rocco: lei credeva nel destino. E quella volta le aveva messo Lorenzo sul suo cammino. Doveva solo decidersi di seguirlo.
“Avete fatto bene” ribatté, mentre Stefania cercava di soffocare un gridolino per non svegliare le altre due coinquiline. 

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Capitolo 3
*** Libero com'ero stato ieri, adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori ***


Informazione di servizio: questo capitolo sarà eccezionalmente raccontato solo dal punto di vista di Rocco. Di Irene ci saranno sporadiche apparizioni, comunque raccontate dal pov di lui. 

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Con il broncio sul volto, Rocco intinse un biscotto al burro dentro alla tazza di caffelatte. Una mano a sorreggergli la testa assorta tra le nuvole. 
“Se non lo mangi adesso non lo ritrovi più” gli fece notare Salvatore con un sorriso, riferendosi al biscotto che di lì a poco si sarebbe sgretolato e dissolto nel latte.
“Che?” disse risvegliandosi da quello stato di trance. Notò poi il biscotto che stava per crollargli dalle mani e si affrettò a portarlo alla bocca, sbrodolandosi con il latte. Si asciugò rapidamente il mento con la mano prima di arrivare a sporcarsi la canottiera.
“Sei sempre il solito” ridacchiò Salvo, scuotendo la testa. “L’amore ti ha rincitrullito più di quanto già non fossi” scherzò lui. Trovava ancora strano il susseguirsi degli eventi che avevano portato suo cugino a fidanzarsi con Maria, quando solo poche settimane prima difendeva a spada tratta Irene. Ma Salvo aveva rinunciato a domandarsi cosa frullasse nella testa di Rocco, e in fondo adesso anche lui sembrava convinto della sua scelta, così come tutto il resto della famiglia, pertanto non batté ciglio davanti alla notizia di quella unione. Ricordava, tuttavia, che i momenti in cui si trovava nello stesso stato di suo cugino, con la sua stessa aria persa e imbronciata, non erano quelli felici con Gabriella, ma quando si era reso conto di averla persa per sempre. 
“Si tuttu cretinu” bofonchiò Rocco con scherno, bevendo in tutta fretta ciò che era rimasto del latte dentro la tazza bianca di ceramica.
“Rocco, tutto a posto?” domandò allora il cugino con aria interrogativa. C’era qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa. L’idea che Rocco potesse essere confuso sul suo futuro e che nella sua mente potesse esserci qualcun altro a parte Maria, non lo sfiorò minimamente. Era convinto si trattasse solo di paura, in vista del grande passo. Rocco non era mai stato un gran seduttore. Né particolarmente avvezzo alle relazioni. Salvo non immaginava di certo che fosse proprio lui il primo tra i due ad arrivare al matrimonio. Non riusciva a vederlo sposato. Per lui era ancora il bambinone di casa che era arrivato a Milano due anni prima. 
“Certo” ribatté Rocco, alzandosi velocemente da tavola. Si infilò la camicia e aprì la porta di casa.
“Gioia, ti sei dimenticato il pranzo.” Sua zia Agnese gli venne incontro con la pasta che gli aveva preparato lei quella mattina. Il primo pranzo della zia da giorni. Nell’ultimo periodo era stata Maria a cucinare per lui. Era brava, ma la cucina della zia Agnese restava ancora imbattibile.
“Dove hai la testa? Per dimenticarti da mangiare tu…” sogghignò Agnese avvicinando una mano alla testa piena di ricci del nipote. “Anche Maria non fa che sbagliare ricami su ricami. Dovresti vederla in atelier con la testa tra le nuvole e il sorriso sulle labbra” gli disse porgendogli il pasto con un sorriso. Finalmente suo nipote si stava accasando con la persona giusta. Era convinta di non essere intervenuta più di tanto sulla questione: per fortuna Rocco aveva preso la scelta giusta da solo. Aveva dovuto sbatterci la testa per capire che la persona per lui era proprio quella che aveva davanti agli occhi. Non la più distante da sé, come aveva ipotizzato il signor Armando in magazzino.
“Grazie, zì” rispose Rocco, sgattaiolando via dall’appartamento senza rispondere alle allusioni dei due familiari, perché non sarebbe mai riuscito ad ammettere che in quel momento nella sua testa non c’era affatto Maria.
Non stava mentendo a se stesso, né a loro. Rocco non ne era capace. Da sempre era stato ritenuto da tutti la persona più sincera e trasparente sul pianeta. Era convinto di amare Maria e di volere lei nella sua vita. Perché avrebbe dovuto pensare diversamente, in fondo? Maria era una brava ragazza, sapeva cucinare, sarebbe stata una brava moglie. Non aveva grilli per la testa e sarebbero andati d’accordo, ne era certo. Proveniva dal suo stesso paese e pertanto i suoi valori erano più simili ai suoi e questo avrebbe reso più semplice la vita di coppia, per quanto Rocco potesse saperne. Sarebbe stato un buon matrimonio ed era felice della sua scelta. 
Poi però c’era Irene.
“Mi spieghi che hai fatto?” proprio lei si scagliò su di lui con aria furente, facendogli quasi volare dalle mani il suo pranzo. 
“Che ho fatto?” si domandò lui confuso, con tono afflitto. La osservò da capo a piedi. Indossava degli abiti che non le aveva mai visto addosso: una gonna stretta e una camicetta a fantasia. Non gli era mai sembrata così bella. Aveva sempre detto di preferire la semplicità di Maria, ma la verità era che l’attrazione che provava nei confronti di Irene l’aveva spaventato. Lei era troppo per uno come lui.
“Lorenzo mi ha detto che l’hai guardato male” Irene gli puntò il dito contro con fare minaccioso. Eh, no. Non poteva avere la botte piena e la moglie ubriaca. Aveva scelto una vita noiosa con Maria, perché intendeva sabotarle una possibile relazione? Perché non poteva essere felice anche lei come lo erano i due futuri sposini? 
“Ma che dici” rispose lui, oltrepassandola con la precisa decisione di ignorare lei e i suoi vaneggiamenti. 
“Dico, dico. Ti ha visto e ti ho notato anch’io” ribatté avanzando con falcate più ampie per raggiungere la distanza che Rocco aveva messo tra di loro. 
“Ve lo siete immaginati” si strinse nelle spalle con aria innocente. “Ti sei divertita? Mia zia ha detto che sei tornata tardi, ieri sera. E ti ha baciato qua davanti a tutti” disse con un tono che lasciava trapelare l’evidente gelosia che in quel momento stava provando e non riusciva in alcun modo a giustificarsi. Rocco non ne capiva nulla di relazioni e sentimenti. Non era in grado di raggirare nessuno, nemmeno se stesso. Gli avevano detto che Maria era la persona più giusta per costruire una famiglia e lui ci aveva creduto. Aveva provato a stare con Irene. Era andato contro la sua famiglia e quello che tutti pensavano di lei e l’aveva difesa. Ma il modo in cui lei lo aveva liquidato, bocciando tutti i suoi tentativi e le sue proposte, gli aveva fatto capire che non erano fatti per stare insieme e che i suoi zii e Salvo avevano ragione. Irene lo aveva fatto sentire piccolo, come mai avrebbe pensato di sentirsi di nuovo dopo essersi lasciato alle spalle le parole crude e le botte di suo padre. Lei lo aveva fatto sentire come faceva sempre lui. Si vergognava di Rocco, non sarebbe mai stato abbastanza per lei e glielo avrebbe rinfacciato per sempre. E allora l’orgoglio aveva avuto la meglio e aveva deciso di accantonarla e dedicarsi a chi non lo avrebbe mai fatto sentire in quel modo. Maria dava valore a lui, alla sua presenza, ai suoi piccoli gesti. Apprezzava una cena in latteria, non pretendeva il locale più esclusivo di Milano. Non sarebbe mai stato in grado di dare a Irene quello che desiderava. In fondo era andata meglio così. Per tutti. 
Eppure quando l’aveva davanti, e soprattutto quando la vedeva in compagnia di quell’uomo, l’istinto primordiale di gelosia prendeva il sopravvento e non riusciva a controllare le espressioni del suo viso. Rocco era trasparente in tutto e per tutto. Era un libro aperto. Non sarebbe mai stato in grado di fingere con nessuno.
“Ma che tutti che non c'era nessuno! E poi che t'importa?” domandò lei sulla difensiva. Non avrebbe partecipato al suo gioco. Era finito il momento della rivalità tra lei e Maria, delle gelosie tra le due, dei tentativi di accaparrarsi Rocco. Quel tempo era ormai passato quando lui aveva scelto Maria. Non si sarebbe umiliata oltre, né gli avrebbe dato una tale soddisfazione.
“A me? Niente. Chiedevo” finse indifferenza, mentre uscivano entrambi dal palazzo, in direzione del Paradiso. Neanche quando arrivò a destinazione Rocco si ricordò che aveva promesso a Maria di aspettarla per fare la strada insieme. 

---

“Eh lo so, Marì, mi sono dimenticato, quante altre  volte devo scusarmi?” ripeté candido alla fidanzata per la quarta volta. Per farsi perdonare, durante la pausa pranzo l’aveva portata fuori dal magazzino, trascorrendo tutto il tempo che avevano a disposizione in caffetteria. Si erano divisi la pasta che Agnese aveva preparato per lui e si erano concessi un piccolo sfizio dolce per risollevarsi il morale e soprattutto per giustificare la loro presenza al bar. Un tavolino all’esterno, mano nella mano, mentre la gente passeggiava, godendosi quella giornata di sole primaverile. 
Quando stava con lei, Rocco non fingeva. Apprezzava la compagnia di Maria, era una brava ragazza, semplice proprio come era lui. Non desiderava essere altrove. O con qualcun altro. Era sereno e si chiedeva spesso se fosse proprio quella la chiave della felicità e di un matrimonio duraturo. Lui non sapeva niente dell’amore, o di come funzionassero i rapporti tra due persone che stavano insieme. Gli unici esempi che aveva erano quelli di Salvo e Gabriella, dei suoi zii e dei suoi genitori. Tutte le altre coppie le aveva solo viste dall’esterno: non le conosceva abbastanza da poter capire come funzionassero a porte chiuse. Nessuno gli aveva mai insegnato come fare, cosa dire, come comportarsi. Di una cosa però era certo: quello che provava per Maria, non aveva nulla a che vedere col sentimento istintivo e sconvolgente che aveva provato per Marina. Si giustificava dicendosi che quello per Maria era un amore più maturo e ragionato. Erano due ragazze diverse e si era approcciato a loro in modo differente. Ma anche lo stesso Rocco non era più la stessa persona di oltre un anno prima. E lo doveva ad Armando. E a Irene, sebbene in quel periodo della sua vita faticasse ad ammetterlo. 
“Rientriamo che si sta facendo tardi?” domandò Maria, strattonandolo.
“Certo, rientriamo. Se no chi lo sente il signor Armando” aggiunse lui, facendo al cugino un gesto dalla vetrata che significava che avrebbe pagato la volta successiva. Vide Salvo che si stava già avventurando fuori dal locale con aria minacciosa, così Rocco affrettò il passo, tirandosi dietro una Maria confusa. 
“Almeno stasera non ti dimentichi di aspettarmi all’uscita, vero?” gli chiese lei con la stessa espressione in viso che aveva Salvo pochi secondi prima: entrambi pronti a fargliela pagare. “Ormai hai solo la bici e gli allenamenti per la testa” continuò lei, trovando una giustificazione al comportamento di Rocco che la tranquillizzasse.
“No no, te lo giuro. Tutto impresso qua” si portò una mano alla fronte con gesto teatrale. Maria sorrise e gli posò un bacio sulle labbra, prima di rientrare al grande magazzino dalla porta laterale. 
Rocco allora si avvicinò ad Armando che trafficava con una delle biciclette e osservò da vicino cosa stesse facendo. Armando lo lasciò fare per qualche istante, prima di dargli un colpetto sulla nuca.
“Sei ancora qui a perdere tempo? Non ti sei rilassato abbastanza? Forza, a lavorare! Tuo zio deve fare delle consegne. Vai a preparargli gli scatoloni” gli intimò il suo capo e mentore.
“Aò! Signor Armando, avà” rispose Rocco colto alla sprovvista. Si passò una mano sulla nuca, ma poi andò verso il magazzino senza nemmeno fiatare, mentre Armando sghignazzava alle sue spalle. 

Rocco stava rientrando in magazzino sovrappensiero. La radio che il signor Armando teneva accesa mentre lavorava in ciclofficina copriva qualsiasi altro rumore. Iniziò a canticchiare a bassa voce la canzone che proveniva dalla radio, mentre entrava dentro il magazzino con la testa piena di altri pensieri. Ripensava alla discussione avuta poco prima in caffetteria con Maria. Non poteva dirle che si era dimenticato di aspettarla perché aveva visto Irene e non era riuscito a controllare la gelosia che lo aveva spinto a confrontarla. Non voleva alimentare ulteriori faide, specialmente dopo quello che era accaduto tra di loro. E poi, in fondo, non c’era nulla da raccontare. Non si spiegava nemmeno lui il perché di quella reazione. Era fidanzato con Maria, era sereno. Tutto stava andando per il verso giusto. Non aveva motivo di rovinare ogni cosa. La sua vita finalmente aveva preso la piega che tutti si sarebbero aspettati e che lui stesso aveva desiderato per tanto tempo. Aveva un buon lavoro, una persona che vedeva come figura paterna, una fidanzata, e persino come ciclista continuava ad accumulare successi su successi. Quella con Irene era stata una parentesi e, come tale, sarebbe dovuta rimanere nel passato. Un ricordo lontano.
Entrando in magazzino, però, inciampò su uno degli scatoloni per terra e allora smise di fischiettare. 
“Ah, Pietro” si lamentò, scuotendo la testa, colpevolizzando il suo amico e collega per la disattenzione. Poi d’un tratto sentì qualcosa. La musica aveva coperto la voce di Irene, ma adesso che Rocco era entrato in magazzino ed era solo a pochi passi da lei, riusciva persino a intravederla tra gli scaffali. Suo zio Giuseppe era davanti a lei. Vicino. Troppo vicino. Perché?
“Tu non ti devi azzardare a dire una parola di quello che hai sentito, hai capito?” le disse lui con aria minacciosa, puntandole il dito contro. Il suo viso a pochi centimetri da quello della venere.
“Altrimenti cosa fa? Mi fa licenziare? Ci ha già provato, a quanto pare, e non ha funzionato” ribatté lei, tenendogli testa. Irene non sapeva tenere a freno la lingua, nemmeno quando ne andava della propria incolumità. Quando vedeva un’ingiustizia, poi, diventava incontrollabile.
Rocco, che fino a pochi istanti prima era sul punto di salutare entrambi, istintivamente rimase per un attimo nascosto dietro agli scaffali, chiedendosi cosa stesse succedendo e di cosa stessero parlando. Suo zio aveva provato a farla licenziare? Cosa gli stavano nascondendo?
“E’ meglio che te non te lo chiedi cosa posso fare” rispose Giuseppe accennando una piccola risata. Irene non rispose. Lo guardò dritta negli occhi con aria di sfida e provò a oltrepassare l’uomo, che allora l’afferrò per il polso.
“Chi sta fannu?” le domandò sarcastico. “Prima di andartene devi promettere che non dirai nulla” continuò lui, cambiando immediatamente tono di voce. Non ammetteva repliche. Aveva troppo da perdere per permettere a una sciacquetta come quella di rovinargli la vita. Sarebbe andato in galera, avrebbe perso il lavoro, la sua famiglia, Agnese. Non poteva permetterlo.
“Mi lasci, mi sta facendo male” protestò Irene, cercando di liberarsi dalla stretta dell’uomo. 
“Forse non hai capito” ribatté lui facendo pressione sul braccio. No, non aveva capito che farle male era esattamente ciò che desiderava. La morale di Giuseppe Amato era alquanto discutibile, ma non si riteneva una persona cattiva. La ragazza avrebbe certamente parlato col dottor Conti, se non l’avesse convinta a non farlo, con le buone o con le cattive. Se avesse ritenuto pericoloso vuotare il sacco, forse lei avrebbe tenuto la bocca chiusa. Non lo conosceva abbastanza da non sapere che non avrebbe oltrepassato il limite, pertanto doveva mostrarsi il più convincente possibile, altrimenti non sapeva come avrebbe potuto risolvere la questione e cosa ne sarebbe stato di lui. Lasciare il suo destino in mano a una donnetta era francamente intollerabile.
Finché ciò che accadeva a pochi metri da lui erano solo chiacchiere, Rocco era disposto a rimanere in disparte. Ma quando lo vide afferrarle il braccio in quel modo, non riuscì più a trattenersi. Fece allora qualche passo per rivelare la propria presenza, interrompendo così l’azione dello zio. Sarebbe voluto intervenire attivamente, ma Giuseppe lo batté sul tempo, allontanandosi da Irene e mollando di colpo la presa sul suo polso.
“La signorina qui cercava dei vestiti da riassortire. Stavo provando a cercarli io, ma qui tu sei più pratico” provò a giustificarsi lui con un sorriso imbarazzato. Ma Rocco aveva visto ogni cosa e anche Giuseppe ne era consapevole. Quella volta non avrebbe creduto alla messinscena. 
Rocco continuò a fissare suo zio senza proferire parola. Una parte di sé era rimasta pietrificata e incredula. Suo zio, l’uomo che aveva sempre ammirato e difeso contro tutto e tutti, aveva minacciato Irene e stava nascondendo qualcosa al resto della famiglia. Com’era possibile? Di quante cose non si era mai accorto? Avevano ragione a definirlo ingenuo, perché Rocco lo era veramente. Ma non era ingiusto: sapeva discernere giusto e sbagliato e non esitava a intervenire, quando lo riteneva necessario. In un’altra situazione non sarebbe rimasto fermo prima di difendere una persona a cui teneva. Lo sguardo tradito e ferito di Irene, però, parlava chiaro. Si circondò il polso dolorante con l’altra mano e Rocco vide i suoi occhi riempirsi di lacrime. 
“Tu lo sapevi” disse semplicemente lei, scuotendo la testa e scappando via dal magazzino. Era stata la sua non-reazione a indurla a credere che Rocco fosse a conoscenza di tutto.
“No, Irè, io…” rispose lui, ma non fece in tempo a completare la frase che lei era già fuori di lì. 
“Cosa hai fatto?” domandò allora allo zio con aria truce. L’espressione colma di rabbia che normalmente non gli apparteneva. Non sopportava l’idea di non essere a conoscenza dell’argomento, specialmente dato che lo riguardava tanto da vicino e aveva portato Irene a dubitare di lui.
“Ma niente. Lo sai com’è fatta quella, la conosci. Sempre a fare intrighi e pensare male di tutti” rispose Giuseppe con il solito atteggiamento noncurante. Ma stavolta non gliela dava a bere.
“Chi facisti” continuò Rocco imperterrito, affrontando di petto lo zio come solo una volta aveva già fatto. Ancora una volta in difesa di lei. “Ti ho visto prima con Irene. Ho visto che hai fatto. Chi ci stavi ricennu?” domandò un’ultima volta, talmente arrabbiato da far tuonare la propria voce al di fuori del magazzino, fino alla ciclofficina. 
“Senti, Rocco, datti una calmata” gli rispose lo zio, avvicinandosi a lui per cercare di placarlo abbastanza da non fare altre domande. 
“Ah io devo darmi una calmata? Perché non mi dici la verità, invece?” ribatté lui, che non aveva più alcuna intenzione di farsi trattare come uno stupido.
“Oh, che succede qui?” arrivò Armando trafelato, pulendosi le mani sporche di olio con un panno.
“Ma niente, signor Ferraris. Rocco ha capito male, ora ci chiariamo. Andiamo a prendere un po’ d’aria, vieni” disse lui, poggiando una mano sulla spalla del nipote con aria intimidatoria, nel tentativo di controllarlo. Rocco si irrigidì all’istante, avvertendo un brivido lungo la schiena. Quelle parole, quel gesto, ciò che aveva visto con Irene, tutto lo riportò a tanti anni prima. Non aveva mai creduto che suo zio fosse uguale al padre che Rocco aveva da tempo rinnegato, ma in quel momento non riuscì a distinguerli. Si scostò da lui e si avvicinò al signor Armando, pronto a spiegargli la situazione. Non lo avrebbe più protetto come aveva fatto finora. Visto che nessuno voleva dirgli le cose come stavano, e tutti lo trattavano ancora come se fosse un bambino, decise di dire tutta la verità. Giuseppe non meritava la sua lealtà. Poteva sopportare le sue minacce, i suoi tentativi di controllo. Ma non poteva accettare la violenza. Aveva oltrepassato il limite.
“Signor Amato, è vero?” domandò lui, sapendo già perfettamente che Rocco non avrebbe mai mentito. Se stava andando contro suo zio, doveva essere la verità. Ed era persino peggio di quanto il capo-magazziniere immaginasse.
Giuseppe chinò la testa, pronto a ricevere l’ennesima ramanzina. “Se ne vada di qui” invece gli disse Armando, cogliendolo alla sprovvista. “Ma come, signor Ferraris” rispose lui. 
“Ho detto: se ne vada, prima che la denunci. E sa bene che di cose da raccontare ne ho parecchie” lo minacciò Armando.
In quell’istante Rocco comprese che anche lui era a conoscenza del segreto di suo zio. Lo sapevano tutti, tranne lui. E Irene adesso lo credeva persino loro complice. 
“Signor Armà, mi vuole dire che succede?” domandò Rocco per l’ultima volta, esausto ed esasperato da quei silenzi che accompagnavano costantemente la sua vita.
“Rocco, c’è tuo zio dietro la falsificazione di quei vestiti” gli confessò sconsolato, abbandonandosi alla sua solita sedia.
“Quali vestiti?” rispose Rocco confuso. “Quella cosa per cui avete accusato Irene? E lei, signor Armando, lo sapeva?” lo guardò con aria afflitta, ferito e tradito proprio come Irene doveva essersi sentita quella volta e soprattutto quel pomeriggio. 
“Ma no, Rocco, ti pare? Non avrei mai accusato la signorina Cirpiani per coprire tuo zio. L’ho scoperto dopo. Però non ho detto niente” chinò il capo anche lui, colto da un forte senso di colpa per come erano andate le cose all’epoca, e le conseguenze a cui le sue menzogne avevano portato adesso. Avrebbe dovuto dire subito le cose come stavano. Non aveva avuto motivo di nasconderlo né al dottor Conti, né a Rocco. Dovevano sapere, non era compito suo proteggerli.
“E picchì?” domandò Rocco.
“Per voi. Per la signora Agnese, per te. Se avessi detto tutto, sarebbe finito in carcere. O se non altro lo avrebbero licenziato. E dato che non c’era stato nessun effettivo danno per il Paradiso, ho pensato che sarebbe stato meglio fare finta di niente, per questa volta. Ho sbagliato, lo so” provò a giustificarsi con Rocco, ma sapeva che anche lui, come il signor Amato, non aveva dalla sua parte nessuna attenuante. 
Rocco scosse la testa con delusione. Armando era stato l’unico, insieme a Irene, a trattarlo sempre con sincerità, senza nascondergli niente. Permettendogli, così, di fare delle scelte proprie e consapevoli. E adesso? Non poteva fidarsi nemmeno di lui. Solo Irene non gli aveva mai mentito. Non sulle cose importanti.
Oh Dio, Irene. In quel momento gli tornò alla mente il modo in cui Giuseppe l’aveva trattata. Il suo sguardo deluso, il braccio dolorante. Non rispose, né assolse Armando. Rocco si sentiva colpevole tanto quanto tutti loro. Uscì velocemente dal magazzino per andare alla ricerca di Irene. Non sapeva nemmeno lui cosa avrebbe mai potuto dire per migliorare la situazione. Voleva solo assicurarsi che stesse bene.
“Hai visto Irene?” domandò ad Anna, la prima Venere che gli capitò sotto tiro.
“E’ lì ai camerini” rispose lei indicandogliela, prima di allontanarsi verso la cassa di tutta fretta con una cliente.
Rocco allora si avvicinò con cautela. Non sapeva come approcciarla, soprattutto dato che si trovavano in pubblico. Cosa avrebbe dovuto dire? Aveva sbagliato e si sentiva colpevole per non aver agito, ma anche per quello che le aveva fatto suo zio, come se appartenere alla stessa famiglia significasse dover condividere parte della colpa.
“Irè” disse piano, ma lei trasalì, ancora scossa. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, per tranquillizzarla. Ma da tempo non era più il suo supporto quello che lei cercava.
“Che ci fai qui?” rispose secca, senza degnarlo di uno sguardo. “Sono impegnata.” 
“Mi… mi dispiace. Ma ti giuro che io…” iniziò mestamente, proprio come aveva fatto settimane prima, quando aveva scoperto le accuse che erano state mosse nei suoi confronti da Giuseppe e da Armando. Adesso ogni cosa assumeva un significato diverso. Suo zio lo aveva fatto apposta. Aveva usato Irene per distogliere l’attenzione da sé. Era comprensibile che Irene lo credesse capace di coprirlo e il suo mancato intervento di poco prima non aveva fatto altro che confermarglielo.
“Non mi interessa” tagliò corto lei, allontanandosi senza permettergli di spiegarsi. 
Rocco rimase lì in piedi, come una statua di sale, mentre seguiva la sua figura allontanarsi da lui.

Era determinato a cercare un nuovo confronto con Irene. Non sopportava l’idea che lei lo ritenesse complice di suo zio. Non gli avrebbe mai permesso di usarla per alleggerire la propria posizione. Come poteva credere il contrario?
Rocco iniziò a torturarsi le mani dall’agitazione mentre aspettava davanti alla porta alla fine del turno, sperando di trovarla da sola. 
“Irè” esordì nuovamente appena la vide uscire a braccetto con Stefania. Quest’ultima stava sorridendo, forse del tutto ignara di quello che era accaduto nel pomeriggio alla sua amica.
“Rocco” disse infatti con tono allegro. “Stai aspettando Maria? Mi ha detto di dirti che scende tra un attimo” aggiunse, trascinandosi via Irene.
Si sentì doppiamente in colpa, perché si era persino dimenticato di nuovo di dover tornare a casa con Maria. Stava deludendo tutte le persone a cui voleva bene, e molte di loro, tuttavia, avevano deluso lui. In quell’istante si sentì solo. Tutti decidevano al posto suo cosa fosse meglio per lui, cosa dovesse sapere e cosa ritenevano fosse preferibile nascondergli. Tutti lo trattavano come un bambino a cui non rendere note verità scomode, come se non fosse in grado di affrontarle. Nessuno che lo trattasse alla pari. Eccetto Irene.
“Irene, ti posso parlare?” riprovò lui, lasciando Stefania interdetta. Li fissò entrambi con sguardo indagatore, cercando di capire cosa stesse succedendo e perché, all’improvviso, Rocco avesse tutta questa smania di parlare con Irene. Non li aveva rivisti in quel modo da quando lui si era fidanzato con Maria. In quel momento decise che, una volta tornate a casa, avrebbe fatto il terzo grado alla sua amica, perché non voleva tornare a nascondere qualcosa a Maria. Questa volta non l'avrebbe permesso.
“Non posso, Lorenzo mi aspetta” rispose lei. L’uomo che stava frequentando non era riuscito a passare in pausa pranzo, pertanto aveva ripiegato per un altro invito fuori a cena. Irene non aveva più lo stesso umore di quando aveva accettato, ma non aveva avuto modo di contattarlo. Si disse che forse passare una serata con lui le avrebbe fatto bene, impedendole di continuare a pensare agli eventi di quella giornata.
“Solo un minuto” la pregò lui, mentre Stefania lasciò il braccio di Irene per allontanarsi.
“Torno a casa?” la mora domandò all’amica.
“No!” si affrettò a rispondere Irene, che non voleva essere lasciata con Rocco, né con Giuseppe Amato che probabilmente di lì a poco sarebbe riemerso dal magazzino. Lorenzo non era ancora arrivato e non voleva restare da sola. Stefania allora annuì e si spostò di qualche passo, lasciando che Irene e Rocco parlassero in solitaria.
“Irene, ti giuro che io non lo sapevo” provò a spiegarsi. Gli dispiaceva doversi giustificare con lei. Tuttavia, iniziò a domandarsi se non avesse ragione. Cosa avrebbe fatto se avesse saputo subito di suo zio? Glielo avrebbe detto? Avrebbe avuto il coraggio di denunciarlo o lo avrebbe coperto come avevano fatto tutti gli altri? In cuor suo credeva che lo avrebbe fatto, che avrebbe scelto la sua famiglia. Nonostante tutto.
“Perché dovrei crederti? Mi ricordo che dicevi di sentirti in colpa quel giorno. In colpa per cosa, se non sapevi niente?”  gli rispose lei, incrociando le braccia al petto. 
“Perché non avevo detto del vestito…” rispose abbassando la testa, come se fosse la cosa più ovvia del mondo e fosse ferito dal fatto che lei non gli credesse.
“Come non hai detto niente a tuo zio. Come non sei intervenuto oggi.” Aveva ragione, non aveva fatto nulla per fermarlo e aveva fatto finta di bersi le sue spiegazioni. Irene non sapeva ancora che aveva detto tutto ad Armando e che suo zio era stato licenziato. Eppure non aveva il coraggio di dire la verità al dottor Conti e far sì che pagasse per quel tentativo di furto. E per come aveva trattato Irene. Era pur sempre suo zio.
“Hai ragione, mi dispiace. E’ che non…” provò ad aggiungere, ma Irene lo fermò.
“Rocco, non mi interessano le tue scuse. Noi non siamo niente, ricordi? Non siamo più neanche amici. Non mi dovevi nulla. Ci siamo divertiti, abbiamo scherzato. Tanto sono stata solo un allenamento per te, no? Non c’è altro da aggiungere” disse lei, incrociando le braccia al petto, pronta a girare i tacchi.
“Allenamento? Ma che dici, Irè” ribatté lui, confuso e dispiaciuto.
“Ti ho sentito mentre lo dicevi a Maria. Almeno abbi la decenza di non prendermi in giro” disse, concludendo quella conversazione prima che Rocco potesse controbattere. La guardò interdetto mentre si allontanava per raggiungere Stefania. 
Ripensò per qualche istante alle parole di Irene e perché gli risultassero così familiari, fino a che non capì a cosa facesse riferimento. Lo aveva detto davvero mentre cercava di convincere Maria, e se stesso, che tra lui e Irene non ci fosse stato nulla di importante. L’aveva trattata come se non valesse niente. In realtà non aveva idea di quanto lei contasse per lui e di quanta importanza Rocco desse al suo giudizio. Non era mai stato bravo con le parole, ma non aveva mai avuto l’intenzione di ferirla o screditarla. Non volontariamente. Dio, quanto si vergognava di se stesso. 
“Irè, aspetta” riuscì a dire prima che Maria uscisse dal portone. 
“Che succede?” la siciliana guardò prima lui e poi Irene davanti a loro insieme a Stefania.
“Niente” Rocco le offrì il braccio per tornare a casa insieme, come in fondo le aveva promesso.

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“Ah, eccolo Giuda che torna a casa.” Venne accolto così dallo zio seduto al tavolo. Un bicchiere di vino tra le mani e l’aria di chi era pronto ad attaccare briga.
Rocco poggiò le chiavi sul mobile e si sfilò il giubbino e il cappello.
“Io sarò Giuda, ma tu non si Gesù” ribatté Rocco, senza lasciarsi intimorire da lui. Non erano abituati al nipote che rispondeva a tono, all’assenza di quella solita reverenza nei loro confronti. La verità era che Rocco era stanco di essere trattato come un bambino, di essere sempre l’ultimo a sapere le cose.
“U sapevate tutti qui, vero?” domandò a sua zia Agnese e a Salvatore, che evidentemente erano stati messi al corrente del licenziamento e di come questo fosse avvenuto. Si chiese se suo zio avesse anche raccontato loro di Irene e se fossero d’accordo con lui persino su quello, ma dubitava fosse stato sincero fino a quel punto. Entrambi risposero con un’espressione eloquente e Rocco iniziò a scuotere la testa. Aveva avuto ragione Irene tanto tempo prima quando diceva che in famiglia lo trattavano come se non fosse capace di prendere alcuna decisione senza un aiuto esterno. Ma lui aveva negato, aveva fatto finta di niente, perché in fondo non ci trovava niente di male, perché chi dava un’opinione sulla sua vita era la sua famiglia e il loro parere per lui contava. Ma adesso…
“Sì, lo sapevano e mi hanno aiutato lo stesso. Perché danno ancora importanza al valore della famiglia” disse Giuseppe alzandosi da tavola per andargli incontro. “Iu sbagghiai, ma mi hanno dato una seconda possibilità, non mi hanno fatto licenziare, a differenza tua. La tua lealtà deve essere nei miei confronti, non verso quella malafimmina” disse Giuseppe con disprezzo. “Io sono tuo zio, sono il fratello di tuo padre. E quando lui non c’è, sono io che decido per te ed è a me che devi portare rispetto, hai capito?” continuò con aria minacciosa, toccandogli una spalla e in viso la stessa espressione che aveva rivolto a Irene nel tentativo di schiacciarla e sopraffarla.
Rocco indietreggiò. Quella mano sulla spalla simboleggiava il controllo. Anche suo padre lo guardava con aria seria, una mano stretta sulla nuca, l’espressione di chi gliel’avrebbe fatta pagare se non si fosse comportato come avrebbe voluto lui. Per l’ennesima volta in quella giornata, Rocco tornò a pensare a suo padre e a come lo faceva sentire da piccolo. Ricordava le botte, gli insulti che gli rivolgeva. Ricordava il modo in cui riuscisse sempre a farlo sentire una perfetta nullità. Un asino, troppo stupido per poter essere utile a qualcosa. Aveva creduto che suo zio fosse diverso, ma invece erano fatti della stessa identica pasta e lui era stato talmente cieco da non accorgersene.
“Leva sta manu. E non la chiamare più così” ribatté secco Rocco. Aveva sbagliato a non difenderla quel pomeriggio, ma non avrebbe commesso nuovamente lo stesso errore. 
“Chi? Dda sciacquetta? Certo, e come la vuoi chiamare na fimmina come a chidda?” disse Giuseppe sarcastico, alludendo che Irene fosse buona solo a una cosa. Tutti la giudicavano, ma nessuno la conosceva davvero come lui. Eppure aveva commesso il loro stesso errore imperdonabile. Era arrabbiato con suo zio, ma lo era ancora più con se stesso. 
“Na fimmina come a chidda che almeno è onesta, al contrario tuo” ribatté Rocco, senza lasciarsi intimorire dalla presenza ingombrante dello zio. Venendogli così vicino voleva intimidirlo, voleva metterlo a disagio così che il nipote rinsavisse e tornasse a portargli il rispetto che credeva gli fosse dovuto. Ma Rocco era stanco di dover sempre obbedire ciecamente. 
“Ci ricisti tutti i cosi? Ah? O solo quello che ti faceva comodo?” continuò lui, ormai un fiume in piena. La maschera era caduta e non avrebbe più visto Giuseppe allo stesso modo, adesso che la sua immagine si era sovrapposta a quella di suo padre, diventando una figura unica.
“Gioia, calmati. Sedetevi e parliamone con calma” Agnese provò a limitare i danni. 
“Anche perché vi sta sentendo tutto il vicinato” aggiunse Salvo, avvicinandosi a Rocco. Non aveva mai visto suo cugino comportarsi in quel modo. Di solito era lui quello che litigava più frequentemente col padre e Rocco quello che mediava. Per aver reagito in quel modo, doveva esserci dietro ben più di qualche vestito rubato. 
“Giusto, perché è meglio che non lo sentono che alza le mani ai fimmini” rispose Rocco piccato. Agnese e Salvo si voltarono di scatto verso di lui, dandogli la conferma che lo zio non avesse detto esattamente tutta la verità sul perché fosse stato licenziato proprio adesso. 
“Ma quali mani e mani” disse Giuseppe sorridendo, cercando di alleggerire la propria posizione e sminuire le accuse che suo nipote aveva mosso contro di lui.
“Ah no? Lo sai che ti ho visto” Rocco lo guardò con aria di sfida. Tra lui e Giuseppe, era lui quello che non sapeva mentire e la sua famiglia, suo zio compreso, lo sapevano.
“Certo che chidda ti ha raggirato proprio per bene. Ti sta mettendo contro di noi e manco te ne accorgi” continuò a ridacchiare, sminuendo pure la sua capacità di giudizio, alludendo al fatto che Irene lo avesse circuito per spingerlo a difenderla, andando contro alla sua stessa famiglia. “Ti fai manovrare come si fossi un picciriddu, lo scemo del villaggio. Talia che babbu” aggiunse dandogli un colpetto sulla guancia e afferrandolo per la nuca per prenderlo in giro, nel tentativo di ridicolizzare lui e le sue accuse per sviare l’attenzione da sé. 
“Non mi toccare” gli intimò Rocco con palpabile agitazione. Stava per arrivare al limite di sopportazione.
“Casomai? Vedi di darti una calmata e di portare rispetto che qui, fino a prova contraria, il capo-famiglia sono ancora io” continuò Giuseppe, stavolta prendendogli il viso con una mano per costringerlo a guardarlo negli occhi.
In quel momento Rocco non ci vide più. Aveva accumulato e accumulato, ed era arrivato al punto di esplodere. Non era mai stato violento, non aveva mai alzato le mani a nessuno. Non avrebbe fatto del male nemmeno a una mosca. Ma in quel momento non era lucido. Era arrabbiato con suo zio per ciò che aveva detto e fatto a Irene e per come aveva trattato lui. Era arrabbiato con se stesso, con suo padre. Gli passarono davanti tutte le volte in cui aveva subito in silenzio, troppo piccolo per difendersi o troppo succube per ribellarsi. Tutte le volte in cui sua madre aveva visto e non aveva mai battuto ciglio, proprio come lui aveva fatto quel pomeriggio con Irene. Tutte le volte in cui gli altri avevano deciso per lui, giudicandolo troppo stupido per fare da solo. Non sopportava il tocco di suo zio, quella risata che tanto gli ricordava quella paterna. Senza pensarci troppo, istintivamente, la sua mano si sollevò in un pugno che gli sferrò in pieno volto. Lo stesso che avrebbe dovuto dargli quel pomeriggio quando lo aveva visto alzare le mani su di lei.
“Rocco!” esclamò sua zia, andando incontro al marito per assicurarsi che stesse bene. Rocco si guardò le nocche arrossate e poi lo zigomo di suo zio, sorpreso da se stesso per quel gesto. 
Per tanto tempo aveva creduto che fosse normale, che tutti i padri si comportassero come il suo e lui dovesse sopportare e portare rispetto. Quell’assurda reverenza che provava nei confronti della sua famiglia e delle persone più grandi di lui gli aveva impedito fino a quel momento di giudicarli come esseri umani capaci di sbagliare, tanto quanto lui. Ma adesso vedeva suo zio per quello che era. E vedeva se stesso. L’immagine di suo padre non era più accostata solo a quella di Giuseppe. Adesso lo vedeva anche dentro di sé. Era come lui. Era come tutti loro.
Afferrò il giubbino e, senza dire nulla, uscì di casa sbattendo la porta. Non sapeva dove sarebbe andato. L’unica cosa che sapeva è che aveva bisogno di stare lontano da tutti loro. L’unica persona da cui non poteva scappare, però, era se stesso.

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Capitolo 4
*** Ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già ***


Irene aprì gli occhi ancora assonnata, stropicciandoseli con una mano mentre si riabituavano alla luce. Aveva fatto tardi la sera prima insieme a Lorenzo e, dato che quella mattina era sabato e non avrebbe dovuto lavorare, aveva deciso di prendersela comoda. Dall’altro lato della stanza, infatti, il letto di Stefania era già rifatto a dovere. La sua amica era una mattiniera, preferiva alzarsi presto per poter sfruttare al meglio la giornata. Il suo carattere allegro e frenetico la portava a darsi da fare anche quando avrebbe potuto riposarsi. A quell’ora di un sabato come un altro, Stefania probabilmente era già uscita e tornata per fare la spesa con Maria e, se si fosse alzata, Irene l’avrebbe trovata indaffarata nel riassettare casa o aiutare Maria a preparare il pranzo. Irene, d’altro canto, avrebbe volentieri dormito l’intera mattinata. Sfruttava più che poteva il fine settimana, dato che erano gli unici due giorni utili per dormire fino a tardi e dedicarsi a se stessa. Purtroppo, invece, fu svegliata dal rumore di un pugno che batteva sulla porta che la invitava ad aprire. Irene tese l’orecchio fuori dalla stanza, ma sentì silenzio, troppo silenzio in casa. Per un attimo si domandò che fine avessero fatto le sue amiche e se fosse rimasta l’unica all’interno dell’appartamento. Poi avvertì il rumore di passi e allora si tranquillizzò, rintanandosi ancora un po’ sotto le lenzuola. Ci avrebbero pensato loro ad aprire, d’altronde Irene non aspettava nessuno.

La sera precedente l’aveva trascorsa con Lorenzo come previsto. Tuttavia, non se l’era sentita di andare fuori a cena o in qualche locale a divertirsi. Con l’umore sotto ai piedi, soprattutto dopo il confronto con Rocco, era entrata dentro la sua auto con la precisa intenzione di scusarsi per dover annullare quell’uscita. Ma Lorenzo non aveva voluto saperne. L’aveva quindi riaccompagnata fino al palazzo in cui abitava, e le aveva proposto una semplice cena in latteria. Irene non aveva molta fame, ma dato che Lorenzo insisteva, aveva deciso di accettare.

“E’ tutto a posto? Non ti conosco ancora bene, ma è evidente che sia successo qualcosa” le disse lui con disinvoltura, portandosi alla bocca un pezzo di arrosto. Lorenzo era nato in una famiglia benestante, e avrebbe potuto avere una vita facile, un lavoro assicurato nello studio notarile del padre, invece aveva scelto la libertà. Non solo di viaggiare, ma soprattutto di decidere per se stesso. Una vita frenetica, orari difficili e confusione, tanta confusione. Viveva in un appartamento tutto suo, lasciando la villetta di famiglia ai due genitori e al fratello minore, che viveva unicamente per compiacere i suoi. Era abituato a cucinare da sé, quando ne aveva tempo, e fare tutto quello che ci si sarebbe aspettati da una donna, sebbene con qualche aiuto, non di certo da uno scapolo. Più tempo Irene trascorreva con lui, più Lorenzo le sembrava l’uomo ideale. Immaginava già la fregatura dietro l’angolo, perché nessuno poteva essere tanto perfetto.
“Ma niente, una giornata un po’ particolare al lavoro. Le solite clienti indecise” minimizzò lei, accennando un sorriso per evitare di doversi addentrare in un discorso che non aveva voglia di affrontare. Eppure Irene, per quanto riuscisse a mascherare spesso i propri sentimenti, mostrandosi più forte di quanto in realtà non fosse, raramente era in grado di fingersi allegra e gioviale se qualcosa non andava. 
“Va bene, va bene. Se non ti va di dirmelo lo capisco” ribatté lui. In fondo si conoscevano da poco tempo, era comprensibile che lei non se la sentisse di aprirsi con lui. Lorenzo era tristemente fatto alla stessa maniera. Non amava mostrarsi debole e vulnerabile, poiché sentiva sempre il bisogno di essere in controllo della situazione. Preferiva concentrarsi sui problemi e sui sentimenti degli altri, piuttosto che sui propri. Solo a sua sorella Caterina, la maggiore tra i tre fratelli, mostrava il vero sé. Le due nipoti, Iole e Adele, erano tutta la sua vita. Tutto l’amore che non aveva il tempo di dare agli altri, lo donava a loro due. Le amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Lorenzo sorrise dolcemente a Irene e allungò una mano verso il suo viso, facendole una carezza bonaria, mentre finiva il suo pasto. Se a livello emotivo poteva risultare distaccato, più dalle proprie emozioni che da quelle altrui, di contro era il tipo di persona che cercava sempre il contatto fisico, di cui aveva un disperato bisogno per sentirsi vicino alle persone che gli stavano accanto. Irene non ci era abituata. Per tanto tempo aveva avuto a che fare con l’atteggiamento scostante di Rocco, con i suoi rifiuti, e con l’assenza del padre. Non era la figlia che Tommaso Cipriani avrebbe voluto. Desiderava, come tutti gli uomini dei suoi tempi, un figlio maschio, e invece si era ritrovato con una ragazzina ribelle che non riusciva a stare al proprio posto e a tenere a freno la lingua. La morte della madre aveva peggiorato le cose. Tommaso non era in grado di gestirla, né aveva la pazienza per farlo. E Irene si era sentita sola. Non aveva perso solo una madre, ma anche l’unica alleata che avesse mai avuto. Aveva iniziato a sentirsi un’estranea in casa propria e chiudersi a riccio. Temeva di non essere compresa, di non essere capita e di essere giudicata come aveva sempre fatto suo padre con lei. Aveva paura di non riuscire a farsi amare e viveva con il terrore di perdere le persone che le stavano accanto, proprio come aveva perso la madre Antonia. La maschera che aveva messo su dopo la sua morte, era caduta quando aveva conosciuto Rocco. Non sapeva dire nemmeno perché si fosse aperta tanto a uno come lui, così diverso da Irene sotto ogni punto di vista. Erano quanto di più lontano potesse esserci, eppure si erano trovati e avevano raggiunto una sintonia e una complicità che Irene non aveva mai avvertito con nessuno. Alla fine, però, il tempo le aveva dato torto, e adesso non era semplice abbandonarsi di nuovo alla possibilità di essere ferita e di perdere ancora una volta una persona che amava.
Tuttavia, quando uscirono dalla latteria e si ritrovarono da soli in piazzetta, Irene decise di buttarsi. Tanto tempo prima aveva detto a Rocco di credere nell’amore e nel destino, eppure lei era la prima a non farlo. Non voleva più soffrire, però non voleva smettere di vivere. E allontanare tutte le persone da cui temeva un rifiuto non era vivere. 
Guardo Lorenzo negli occhi, determinata ad aprirsi a un uomo che, per una volta, sembrava sinceramente interessato a conoscere lei e i suoi problemi. 
“Non volevo sembrarti fredda, prima. E’ che non sono abituata a confidarmi” iniziò Irene. 
“Non c’è problema. D’altronde ci conosciamo da poco, è comprensibile” rispose lui prendendola per mano e accompagnandola verso le panchine della piazzetta. 
“E’ una storia lunga, non vorrei annoiarti.”
“Beh, abbiamo tutta la serata” ribatté lui con un sorriso.
“E anche il silenzio che ti piace tanto” rispose lei divertita. Lorenzo aveva già avuto ragione una volta. Il silenzio favoriva un’intimità e una complicità che raramente si riusciva a instaurare di giorno. E anche quella sera si sarebbe concessa a lui grazie al favore della notte.
“Esatto. E guarda che bella luna. E’ la serata ideale per le confessioni. Non si scappa” cercò di alleggerire la tensione che stava mangiando viva Irene.
“Qualche settimana fa sono stata accusata di aver rubato dei vestiti al Paradiso” gli spiegò dopo qualche istante di silenzio, provocando una reazione sorpresa in Lorenzo.
“Suppongo non avessero prove contro di te, giusto?” Non  conosceva da molto quella ragazza, ma non gli sembrava proprio il tipo da rubare nel luogo in cui lavorava. Gli dava l’aria di essere una persona piuttosto onesta, come d’altronde era lui. 
“No, infatti, e proprio questo mi aveva ferita. Sai, non sono esattamente la persona più affabile che si possa conoscere. Ma credevo di avere quantomeno la fiducia delle persone con cui lavoro. Dicono sempre che il Paradiso è una grande famiglia, ma evidentemente, seppur ci lavori da tre anni, io non ne faccio parte” disse lei con un’espressione sconsolata. Non voleva fare la vittima, non le era mai piaciuto. Eppure le volte che si era confidata con Rocco, si era sentita più leggera e più compresa e aveva scoperto quanto fosse liberatorio parlare e confidarsi con gli altri. Condividere con qualcuno il peso dei propri problemi.
“Mi dispiace. Conosco Vittorio da una vita e non mi sembra il tipo da accusare qualcuno senza avere delle prove” disse lui, che ancora teneva la mano di Irene tra le sue e giocherellava sovrappensiero con le sue dita.
“No, infatti proprio oggi ho scoperto che il dottor Conti non sa nulla. E che è stato uno dei magazzinieri a rubare quei vestiti e accusare me di proposito.”
“Beh, che dire, una bella faccia tosta.”
“Non è solo questo” fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste. “Quando l’ho confrontato mi ha minacciata e mi ha stretto il braccio per non farmi parlare” abbassò gli occhi. “Comunque non è nulla. Mi dispiace solo di non essere stata di buona compagnia questa sera.”
“Non è nulla? Lo sai che puoi denunciarlo? Dobbiamo dire tutto a Vittorio” rispose lui con tono preoccupato, iniziando a sfiorarle il polso con le dita.
“Se non ti dispiace vorrei prima parlarne con il capo magazziniere e la capo commessa” disse. L’Irene di una volta non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a confessare tutto ai piani alti. Se adesso preferiva ragionare sul da farsi, era solo per rispetto a Rocco. Un rispetto che forse, dopotutto, nemmeno gli era dovuto. 
“Va bene, come preferisci” ribatté lui, poco convinto. Non lo faceva sentire al sicuro sapere che avrebbe continuato a lavorare nello stesso luogo in cui si trovava quell’uomo. “E comunque a me è piaciuto sin da subito il tuo carattere deciso e schietto” aggiunse dopo un po’, cercando di risollevarle il morale. Ricordava il giorno in cui si erano conosciuti. La sua intraprendenza lo aveva talmente colpito che non aveva potuto fare a meno di accorrere in suo aiuto. Lorenzo non era il classico uomo di quei tempi. Non desiderava avere al suo fianco una donna soprammobile che si occupasse solo della casa e dei figli. Voleva una donna che fosse anche una compagna di vita e di avventure, una con cui non potesse mai annoiarsi. La noia, difatti, era la cosa che temeva di più al mondo. 
“Lo dici perché non mi conosci ancora bene. Vedremo come la penserai tra qualche mese” sorrise con leggerezza. 
“Qualche mese? Quindi ho ufficialmente ricevuto la tua approvazione?” scherzò lui.
“Vedremo.” Dopo aver raccontato a Lorenzo tutto quello che era accaduto quel pomeriggio, Irene si sentì libera. Non gli aveva accordato fiducia perché lo riteneva particolarmente meritevole: quella confessione era semplicemente un regalo che aveva fatto a se stessa. Forse anche lui l’avrebbe tradita, anche Lorenzo avrebbe preferito un’altra a lei, ma almeno Irene non avrebbe avuto nulla da recriminarsi. 

 

“Irene?” domandò a bassa voce Stefania entrando in camera. La sua amica e coinquilina era solita dormire fino a tardi, ma Stefania credeva impossibile non si fosse svegliata dopo tutto il trambusto che si era creato nell’altra stanza. L’arrivo di una persona inaspettata e una certa assenza avevano scosso la mattinata della famiglia Amato. Da Maria aveva saputo che Rocco non era rientrato a casa quella notte, e lei e Agnese sembravano piuttosto preoccupate. Stefania iniziò a domandarsi se la lite che aveva avuto luogo durante la cena in casa Amato, avesse in qualche modo a che fare con la strana chiacchierata che aveva visto protagonisti Rocco e Irene la sera prima alla fine del turno. Non sapeva se fosse il caso di domandarglielo o quantomeno informarla dell’accaduto. Irene sembrava serena. La presenza di quell’uomo nella sua vita le faceva bene. Stefania aveva più volte avuto il dubbio che la sua amica potesse provare dei sentimenti reali nei confronti di Rocco, nonostante continuasse a negarlo. Ma poi l’aveva vista andare avanti e aveva assistito al fidanzamento tra Rocco e Maria, e allora aveva smesso di farsi troppe domande. Eppure solitamente si riteneva piuttosto perspicace e aveva imparato a conoscere Irene, tanto da capire quando qualcosa non andava.
“Non dirmi che stai ancora dormendo, ché non ci credo” aggiunse Stefania sedendosi ai piedi del letto. Con una mano le toccò le gambe ancora coperte dalle lenzuola. 
Irene, seppur controvoglia, aprì gli occhi, volgendoli alla sua amica. “Non si può dormire in santa pace neanche di sabato?” sbuffò.
“C’è una visita inaspettata” la sua amica stuzzicò la sua curiosità con malcelato entusiasmo. Irene non aspettava nessuno e Lorenzo non si sarebbe mai presentato a quell’ora di sabato mattina senza alcun preavviso. 
“E chi, sentiamo? Il postino?” bofonchiò Irene con la voce ancora impastata di sonno.
“Ma come il postino! No! Potrei essere mai contenta per l’arrivo del postino?” la guardò con espressione scocciata.
“Che ne so, tu trovi entusiasmante ogni cosa.”
“Ma no. C’è Tina. La sorella di Salvo. La cugina di Rocco. Tina Amato, la cantante” aggiunse Stefania in preda quasi all’isteria. “Chissà quanti gossip avrà da raccontare” disse con aria sognante.
“Stefania, conosco Tina. E che ci fa qui?” domandò allora sorpresa, mettendosi di colpo seduta sul letto.
“Per un certo matrimonio, no?” Stefania la guardò con attenzione, cercando di carpire qualche informazione utile dallo sguardo della sua amica. 
“Ah, giusto” ribatté Irene, facendosi scura in viso. “Così presto?” domandò e Stefania si strinse nelle spalle. Irene non avrebbe mai immaginato che Rocco e Maria convolassero a nozze nel giro di poche settimane. Doveva ammettere, però, che non credeva possibile nemmeno che si fidanzassero in così poco tempo. Evidentemente le cose in Sicilia funzionavano diversamente. Lei non sarebbe mai stata la persona adatta per Rocco, non si sarebbe mai sposata senza prima esserne totalmente sicura. Se era una ragazza antica e semplice quella che cercava Rocco, Irene non era la donna per lui e forse era stato meglio scoprirlo prima di rovinarsi a vicenda.
“Irene. E’ un problema che si sposino così in fretta?” chiese Stefania, osservandola di sottecchi.
“Ma figurati, auguri e figli maschi” dichiarò Irene, aprendo la porta per avventurarsi in cucina con indosso ancora la camicia da notte e una vestaglia, con Stefania che la seguiva con un broncio interrogativo e poco convinto.
“Oh, no. Meno male che non abito più qui: non potrei sopportare di vederti ogni giorno anche a casa. E pure struccata” la salutò Tina Amato, vedendola riemergere dalla sua stanza. 
Irene le sorrise, contenta di rivederla dopo così tanto tempo, consapevole che le frecciatine di Tina erano solo un modo per prenderla in giro. C’era voluto un po’ prima che le due riuscissero a trovare la quadra giusta, ma alla fine avevano trovato un loro equilibrio, prima che Tina partisse per Londra con suo marito. 
“C’è anche Sandro?” domandò Irene dopo averla salutata. 
“No” rispose vaga, cercando di cambiare subito argomento. “Forse verrà il giorno del matrimonio. Io sono partita prima, così ne approfitto anche per rivedere dopo tanto tempo la fidanzata di mio cugino. Vieni qua, fammi rivedere il brillocco” disse a Maria, afferrandole la mano per osservare meglio l’anello che Rocco le aveva regalato per il fidanzamento. Tina e Rocco non erano fratelli, ma erano cresciuti insieme ed erano i più vicini di età tra i cugini, questo da piccoli li aveva resi praticamente inseparabili, un rapporto profondo fatto di amore e odio. Visto il modo in cui Rocco veniva trattato da suo zio, il cugino aveva trascorso molto tempo in casa loro e persino i suoi genitori lo reputavano il terzo figlio maschio.
Davanti a quel commento Irene si irrigidì, cercando di sorridere, mentre in realtà avrebbe solo voluto urlare. Cercava in ogni modo di non pensare al futuro prossimo, a quel matrimonio che presto si sarebbe celebrato. Una parte di sé, tuttavia, desiderava che quel giorno arrivasse il prima possibile. Almeno avrebbe messo un punto definitivo alla questione. Via il dente, via il dolore.
“Sempre se riusciamo a trovare il futuro sposo” disse Anna con noncuranza, coprendosi il viso con la tazzina di caffè che stava bevendo.
“Anna, ti prego, non dire così” ribatté subito Maria, in evidente stato di agitazione.
Irene le guardò entrambe, cercando di capire di cosa stessero parlando. L’uscita con Lorenzo si era protratta fino a tardi. Non avevano passeggiato, né si erano allontanati dalla latteria sotto casa. Avevano però passato delle ore seduti sulle panchine della piazzetta a parlare di cose importanti, così come di sciocchezze. Quella serata era stata un punto di svolta per entrambi. Non sapeva come sarebbe andata a finire tra loro due, ma non aveva importanza. 
“Che mi sono persa?” domandò allora, sedendosi per fare colazione, nonostante fossero ormai le undici del mattino.
“Vero, ieri sera Irene non c’era e non ha sentito niente” commentò Anna, ricordandosi solo in quel momento della sua presenza.
“E dove vai fino a notte fonda tu? Hai finalmente trovato la tua vera vocazione?” la stuzzicò Tina, sedendosi al tavolo di fronte a lei.
“Esce con un affascinante pilota” rispose Stefania con entusiasmo, come se fosse lei stessa a frequentare Lorenzo. “L’hai già visto con indosso la divisa?” si rivolse a Irene con aria sognante.
“No, ma la prossima volta gli dirò di venirmi a prendere direttamente in aereo e con la divisa. Io terrò quella da venere, che dici?” la prese in giro Irene.
“Addirittura, un pilota. Dev’essere proprio disperato. Almeno potrà volare via quando si sarà reso conto con chi ha a che fare” continuò Tina.
Stefania ridacchiò, ma prese inaspettatamente le sue difese. “Ma dai. Irene non è così male quando la conosci un po’ meglio.”
“Grazie, eh” Irene la guardò fintamente offesa, aggrottando le sopracciglia. “Sempre gentili voi due. Avete finito adesso? Possiamo tornare all’argomento di prima? Che succede a Rocco, sta bene?” domandò, tradendosi con un tono più preoccupato che distaccatamente curioso, cosa che non sfuggì a Tina.
“Irene Cipriani ha un cuore? A quale innocente fanciulla l’hai strappato? Il tuo pilota fa anche il cacciatore?” rispose Tina, paragonandola evidentemente alla strega di Biancaneve, allusione a cui Irene ribatté con una smorfia.
“Ieri, poco prima di cena, abbiamo sentito Rocco e suo zio litigare” le spiegò finalmente Stefania dopo aver riso complice con la giovane Amato. “Poi lui è uscito di casa e a quanto pare non è più rientrato. Non ha dormito dal signor Ferraris e nemmeno in caffetteria. Non sappiamo dove possa essere andato” concluse la sua amica, mentre Irene immaginava già dove avrebbero potuto trovare Rocco.
“Anche perché stamattina, quando sono arrivata, ho visto mio padre con uno zigomo gonfio così. Non è da Rocco e questo mi preoccupa” commentò Tina. Il suo tono improvvisamente serio aveva perso tutta la verve canzonatoria che aveva usato fino a quel momento per prendere in giro la sua vecchia collega.
“Soprattutto per via di suo padre” rispose Irene, sovrappensiero, senza badare troppo al peso delle proprie parole. Sentì all’improvviso lo sguardo di tutte le coinquiline e di Tina puntato su di lei. “Che ho detto?” domandò confusa, lasciando a mezz’aria la tazza di caffelatte che teneva tra le mani. 
“Appunto. E tu come fai a saperlo?” chiese Tina con sguardo indagatorio. Se c’era una cosa che la giovane Amato possedeva rispetto alla sua famiglia erano l’astuzia e la perspicacia. Era da sempre stata la più moderna degli Amato, la più intraprendente. La pecora nera della famiglia. E riusciva a fiutare intrighi e menzogne a chilometri di distanza.
“Che c’entra suo padre?” domandò Maria, evidentemente all’oscuro del passato di Rocco. Non avrebbe dovuto gioire, eppure era contenta di sapere che Rocco si era confidato solo e unicamente con lei, e non con la sua futura sposa.
“Ma niente. Siamo amici” Irene scrollò le spalle ignorando Maria, cercando di far finta di nulla nella speranza che Tina non continuasse a indagare.
“Tu amica di Rocco? Ma se te lo mangi a colazione uno come lui!” ridacchiò lei. “Sento che dovrete aggiornarmi su tante cose.”
“Anche a me” rispose Maria, fissando Irene come se volesse polverizzarla.

 

Rocco si svegliò presto, come ogni mattina. Il buio del magazzino, però, lo metteva in agitazione. Ci era già stato fuori dall’orario di lavoro, eppure trovava ancora strano trovarsi lì, esattamente come tanti mesi prima. Si mise seduto sul letto improvvisato che aveva creato su alcune casse e si stiracchiò le spalle, massaggiandosi il collo con una mano. Non era più abituato a dormire su un letto duro e scomodo, come invece faceva a Partanna. 
Senza indugiare, si alzò per riaccendere le luci, dato che di lì a poco il signor Armando sarebbe arrivato insieme a Pietro e Nino. Pensò che forse, se avesse fatto abbastanza velocemente, non avrebbero scoperto nulla, almeno per quella mattina. A meno che sua zia non fosse andata a casa di Armando e Marcello per informarlo della sua sparizione. 
Nell’accendere le luci, lo sguardo di Rocco cadde sulle sue nocche ancora arrossate. Non aveva mai dato un pugno a nessuno, prima di ieri. La mano gli doleva un po’ e non se lo aspettava. Quella notte aveva rimuginato a lungo sull’accaduto, e non aveva idea di che ora fosse quando era riuscito finalmente a chiudere occhio per la troppa stanchezza. Se il giorno precedente si vergognava per non avere difeso Irene, adesso si vergognava per il modo in cui aveva reagito. Non voleva tornare a casa, e non solo per la rabbia che ancora provava nei confronti di suo zio, ma anche perché temeva il loro giudizio. Rocco non era stato per nulla clemente con se stesso. Continuava a vedere l’immagine di suo padre davanti agli occhi. Non poteva essere diventato come l’uomo che più disprezzava. Era la cosa che più lo spaventava. Non si era mai visto accostare a suo padre. Chiunque li conoscesse entrambi, poteva affermare con assoluta certezza quanto fossero diversi in ogni singolo aspetto. Ma forse tutti, lui compreso, si erano sbagliati. Forse suo padre era dentro di sé più di quanto volesse ammettere.
Rimase per qualche istante imbambolato al centro del magazzino, gli occhi puntati sulle sue mani, e indosso i vestiti della sera prima. Per fortuna tenevano la divisa in ciclofficina e se si fosse cambiato abbastanza in fretta, per qualche ora nessuno si sarebbe accorto di niente. Così si diede una mossa, sistemò il magazzino più che poteva per non destare sospetti e poi andò a cambiarsi, avendo persino il tempo di oliare la propria bici in attesa che arrivasse il signor Armando.
“Rocco, già qui?” Pietro si accorse per primo della sua presenza. Nino lo osservò con attenzione, ma senza proferire parola, silenzioso e discreto come al suo solito. 
“Già, Rocco, che ci fai qui?” gli fece eco il signor Armando con tono accusatorio. “Lo sai che hai fatto morire di paura tua zia?” gli venne incontro puntandogli il dito.
“E dove dovrei essere, scusi? Abbiamo gli allenamenti, no? E poi paura di cosa?” ribatté d’istinto. Dove sarebbe mai potuto andare? Cosa poteva mai essergli successo? Aveva bisogno di stare da solo, era tanto difficile da capire?
“Nino, Pietro, andatevi a cambiare e preparare le bici. Noi arriviamo tra un attimo” suggerì ai due ragazzi, mentre prendeva da parte Rocco con un profondo sospiro. “Mi spieghi cos’è successo?” gli domandò infine, con fare comprensivo.
Rocco rimase in silenzio per qualche istante. Non sapeva da dove cominciare. Temeva il suo giudizio. Il signor Armando aveva fatto tanto per lui, lo aveva aiutato a crescere, lo aveva fatto diventare una persona migliore, lo aveva spinto a imparare a leggere e scrivere. Non voleva deluderlo. Ma allo stesso tempo non riuscì a tenersi dentro tutto quello che provava. Non con lui. A qualcuno doveva pur dirlo.
“Ho dato un pugno a mio zio” disse d’un tratto, chinando la testa e fissando le proprie scarpe. Non riusciva a reggere lo sguardo del suo mentore, dell’uomo che Rocco reputava più di un padre. 
“Lo so. Beh, se lo meritava” rispose secco, con sincerità. 
“Ma come, signor Armà” Rocco alzò il capo per guardarlo negli occhi con aria sorpresa.
“Ascoltami bene, non è il miglior modo per gestire i conflitti, non ti consiglierei mai di farlo. Ma posso capire perché tu l’abbia fatto” si avvicinò a Rocco, mettendogli una mano dietro la nuca con fare paterno. Nulla al confronto con il medesimo gesto compiuto da suo zio e da suo padre in passato.
“Signor Armà, io…” tornò ad abbassare la testa, sollevando di poco la mano in modo che entrambi l’avessero davanti agli occhi. “E se sono come mio padre?” chiese spaventato.  Si era già pentito di quel gesto che non credeva nemmeno gli appartenesse. Aveva però il terrore di essersi sbagliato su se stesso. E se fosse stato quello il suo modo istintivo di reagire durante una discussione? Non lo sapeva perché finora aveva rifuggito ogni conflitto, le uniche divergenze che aveva erano con Irene e non avrebbe mai osato alzare le mani su di lei. 
“Rocco, non dire sciocchezze” disse bonariamente. “Tu sei quanto di più lontano possa esserci da tuo padre. Non contano solo i gesti, contano anche le intenzioni” gli fece notare. “Tu hai reagito - sbagliando, sia chiaro -, contro una persona che ha fatto del male a te e a una persona a cui tieni. Tuo padre non ti picchiava per il tuo bene, no?” aggiunse dandogli una leggera pacca affettuosa. 
Forse il signor Armando aveva ragione. Confrontò quel gesto sulla nuca che lo riportava indietro a Partanna, a suo padre, a suo zio, a quello del signor Armando. Il significato che si celava dietro era profondamente diverso dalle intenzioni affettuose e paterne del suo mentore.
“Promettimi solo che la prossima volta conterai fino a dieci prima di reagire di nuovo in questo modo” gli intimò Armando, col tono di chi lo stava riprendendo, ma con l’affetto di un padre.
“Certo, signor Armà. Non ci sarà nemmeno una prossima volta” si portò due dita alla bocca in segno di promessa.
“Dai, andiamo a sgambettare un po’ per sfogarci” gli disse, invitandolo a cambiarsi. 

 

Irene aveva tentennato tutto il pomeriggio. Dopo l’uscita di Tina, era rimasta con l’orecchio teso alla porta, in attesa del ritorno di Rocco. Lo conosceva, non avrebbe resistito a lungo. Probabilmente si era già pentito di quello che aveva fatto e sarebbe presto tornato a casa con la coda tra le gambe. Non era da lui, e lo riconoscevano tutti. Tuttavia, più le ore passavano e più la convinzione di Irene si faceva più labile. 
Ad un certo punto, mentre metteva lo smalto sul tavolo in cucina, sentì la voce del signor Armando. Si appostò alla porta, appoggiandovi sopra l’orecchio per sentire meglio senza farsi scoprire.
“Ma dov’è? Sta bene? Dove sta dormendo?” aveva domandato Agnese preoccupata.
“Sta bene, stai tranquilla. Non mi ha voluto dire dove ha passato la notte, ma non se la sente ancora di tornare a casa” la informò lui. “A volte sa essere cocciuto, e quando si mette in testa qualcosa… ma vedrai che domani sarà già di ritorno. Lo conosciamo bene: non rinuncerà al pranzo domenicale” accennò una breve risata nel tentativo di rassicurarla.
“Hai provato a chiedere a Don Saverio?” disse Agnese.
Irene soffiò ripetutamente sulle unghie in modo da farle asciugare più rapidamente. Eppure non sapeva ancora cosa avrebbe fatto. Una parte di sé voleva andare da lui e scusarsi per averlo creduto complice di suo zio. Dall’altra, però, Rocco non aveva fatto comunque nulla per fermarlo. E poi niente era cambiato tra di loro: lui era ancora fidanzato e loro due non erano più nient’altro che conoscenti. Che senso aveva andare in magazzino? Gli avrebbe parlato l’indomani, se il signor Armando aveva ragione di credere che sarebbe tornato a casa. Oppure direttamente lunedì in galleria.
“Irene” Stefania le venne accanto con la faccia di chi doveva dire qualcosa di scomodo e non sapeva come affrontare l’argomento.
“Sì?” rispose lei con noncuranza, scostandosi di colpo dalla porta e continuando a soffiare sullo smalto ormai quasi del tutto asciutto.
“Ma… per caso c’entri qualcosa con la lite di Rocco e il signor Amato?” le domandò lei, andando per una volta dritta al punto. Stefania non era sicura di  voler conoscere la risposta, se questo voleva dire tornare a nascondere qualcosa a Maria. Tuttavia, non riuscì a non preoccuparsi per la sua amica e per l’eventuale guaio in cui si era potenzialmente cacciata un’altra volta.
“Io? Perché dovrei?” Irene si irrigidì di colpo, svelando più di quanto volesse. Stefania, infatti, la guardò con l’aria di chi l’aveva ormai scoperta e non avrebbe più creduto a nessuna delle sue scuse. “Irene” disse con tono fermo.
“Non è quello che pensi” rispose lei e Stefania roteò subito gli occhi al cielo, mettendo il broncio. Ecco, avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi, perché adesso era di nuovo invischiata in una situazione che non la riguardava e che la metteva in una posizione scomoda con Maria, Anna e adesso persino Tina. Non l’aveva mai conosciuta, per ovvi motivi, ma la trovava già molto simpatica ed essendo momentaneamente loro vicina di casa, Stefania avrebbe dovuto fingere anche con lei e questo non le andava proprio.
“Uffa, Irene” sbuffò, incrociando le braccia al petto e abbandonandosi allo schienale della sedia.
“Dico davvero, non è come credi” rispose Irene. Rimase qualche secondo in silenzio, in attesa di trovare la forza di raccontarle tutto. “Ricordi la storia del vestito per la fiera campionaria? Qualcuno in quel periodo stava rubando dei vestiti al Paradiso e hanno pensato fossi io” le spiegò, mordendosi l’interno della guancia.
“Ma come rubare? E chi è stato? La signorina Moreau lo sa?” rispose subito Stefania, tempestandola di domande, non dubitando nemmeno per un secondo che Irene potesse effettivamente esserne coinvolta.
“Non lo sapevo, prima di ieri. Ho sentito il signor Amato parlare al telefono con il suo complice che, nel frattempo, se l’è data a gambe ed è tornato in Germania, a quanto pare” continuò il racconto. “Non sono riuscita a stare zitta e l’ho confrontato. In fondo per colpa sua avrebbero potuto licenziarmi. Poi però il signor Amato mi ha minacciata e…” portò istintivamente una mano al polso sinistro, quello su cui Giuseppe Amato aveva stretto la sua mano. “Mi ha preso per il braccio e Rocco l’ha visto. Era l’unico a sapere delle accuse del signor Ferraris. E ieri avevo creduto che sapesse anche di suo zio e l’avesse coperto. Ma vista la reazione che ha avuto, suppongo fosse all’oscuro pure lui.”
“Mio Dio, Irene. E tu stai bene?” avvicinò la mano alla sua. “Perché non mi hai detto niente?” 
“Sto bene. Mi dispiace di non averti detto niente. Non sono abituata a… condividere, lo sai” arricciò le labbra in un’espressione dispiaciuta. Rimpiangeva di non averle detto subito ogni cosa. Doveva imparare ad aprirsi agli altri, specialmente alle persone che realmente lo meritavano. E finora Stefania non l’aveva mai tradita. 
In quell’occasione neanche Rocco. Non aveva coperto suo zio e probabilmente aveva avuto quella reazione spropositata nei suoi confronti anche a causa del modo in cui il signor Amato l’aveva trattata. L’aveva difesa. Irene non avrebbe dimenticato con tanta facilità le parole che Rocco le aveva rivolto durante la conversazione con Maria, ma a modo suo stava cercando di fare ammenda.
“Devo… andare” disse alzandosi d’un tratto dalla sedia. “Lorenzo mi…” fu tentata di mentire, com’era solita fare. Ma voleva essere una persona migliore, un’amica migliore, non per Rocco o per Lorenzo, e nemmeno per Stefania, ma per se stessa. “Non è vero, vorrei andare a parlare con Rocco.”
“Ma come fai se non sappiamo dove si trova?” domandò Stefania. 
“Stefania, ragiona, se non è dal signor Ferraris, dove potrebbe mai essere?” le spiegò Irene, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea che potesse davvero aver chiesto aiuto a Don Saverio. “In magazzino, Stefania” pronunciò ad alta voce ciò che la sua amica non riusciva a comprendere. 
“Ma come fa a dormire in magazzino? Sulle casse?” chiese confusa.
“Si può, si può. Io ci ho dormito due settimane.” E adesso la situazione si era capovolta.
“Cosa?” Stefania la guardò sbigottita. "Ma quando? E perché?" cominciò a farle il terzo grado.
“Ti spiego quando torno. Ma non dire niente a Maria. Lo farò io più tardi. Se dovesse chiedere, dille che sono con Lorenzo.” Era una bugia, ma stavolta era un male necessario. Se doveva parlare con Rocco, doveva farlo da sola. Maria li avrebbe raggiunti e quella non era una conversazione da tenere in tre. Al suo ritorno le avrebbe detto quello che c’era da sapere. 

 

Irene temporeggiò per qualche istante con la mano sulla maniglia della porta. Oramai che aveva fatto tutta quella strada, sarebbe stato assurdo tornare indietro. Eppure non riusciva a decidersi ad aprire. Dal magazzino arrivava la luce di qualche candela, perché era il fine settimana e Rocco non doveva nascondersi com’era accaduto quando Irene aveva trascorso le sue fredde notti lì dentro col maglione preferito di Rocco a tenerla al caldo. 
Si torturò il labbro inferiore per un po’, prima di decidersi ad aprire la porta, dato che aveva ancora le chiavi che aveva copiato durante la sua permanenza in magazzino. Quando entrò, notò che tutto era perfettamente in ordine, contrariamente a come lo lasciava solitamente lei mesi prima. Al contrario Rocco sul luogo di lavoro era sempre stato preciso, come il signor Armando gli aveva insegnato. 
Lo trovò sdraiato su delle casse, una mano dietro la testa e gli occhi fissi al soffitto. Solo quando si accorse di qualche rumore si voltò di scatto verso di lei. 
“Oh, Irè” disse mettendosi seduto. Era sorpreso di trovare lì proprio lei.  “Che ci fai qua? Come mi hai trovato?” chiese Rocco. Mentre scappava da casa sua dopo quel pugno, l’aveva intravista seduta sulla panchina insieme a quell’uomo. Parlavano con aria complice e lui le sfiorava con le dita il polso bianco ed esile che quasi scompariva nella mano grande e grossa di lui. Non era più Rocco quello da cui lei accorreva in cerca di supporto. Adesso lui era quello da cui scappava.
“Non ci voleva molto per capire dove fossi, eh” rispose lei con un cenno della testa, mettendogli poi tra le mani un fazzoletto contenente una fetta di torta. “L’ha fatta Maria. Per l’agitazione non la smette più di cucinare. Ti prego di tornare a casa perché ne va della mia linea” disse con fare melodrammatico. “Posso?” chiese Irene indicando il letto con lo sguardo.
Rocco spostò le sue cose per permetterle di sedersi come avevano fatto tanti mesi prima, a situazione capovolta. 
“Lo sai che è arrivata tua cugina Tina?” Irene cercò di fare conversazione, di rompere il ghiaccio prima di arrivare dritta al punto. 
“Me l’ha detto il signor Armando” rispose Rocco chinando la testa sulla fetta che teneva tra le mani, ma che non aveva ancora portato alla bocca. Con un sospiro la adagiò di fianco a sé, facendo attenzione a non far cadere delle briciole sul letto. Si sentiva a disagio, in difetto. Come poteva tornare a casa e fare finta di niente? Le parole del signor Armando avevano aiutato, sul momento, ma non erano servite a convincerlo pienamente. Si vergognava di ciò che aveva fatto e non sopportava l’idea di rientrare in casa, fare come se niente fosse, salutare Tina e Maria e continuare con la propria vita come se quella parentesi non ci fosse stata, come se quel gesto non lo avesse cambiato almeno un minimo. 
“Rocco, grazie” disse d’un tratto Irene, osservando la mano di Rocco. Le nocche arrossate per quel pugno, che tanto cozzavano con il suo aspetto innocente e ingenuo. “E mi dispiace di averti creduto suo complice” aggiunse guardandolo in viso. Lui fissava ancora dritto davanti a sé, immerso in chissà quali pensieri, gli angoli della bocca ricurvi in un’espressione rassegnata. Quel gesto non lo redimeva da ciò che aveva detto in passato sul suo conto. Ma se non altro avrebbe permesso a Irene di seppellire l’ascia di guerra. Tuttavia, non sarebbero mai tornati amici come un tempo. In fondo la loro amicizia era sempre stata influenzata dai sentimenti che Irene provava nei suoi confronti. Era dunque inaspettato che continuasse adesso che lui aveva scelto di stare con un’altra persona. Non era affatto semplice stargli lontana, fingersi disinteressata, quando per tanto tempo lui era stato l’unico suo confidente. Ma doveva farsene una ragione. In fondo dopo il matrimonio sarebbe stato persino peggio. 
“Stai bene?” gli domandò allora, dopo qualche minuto di silenzio. Entrambi con la testa da un’altra parte. “Ti fa male?”
“Un po’, se la muovo” rispose iniziando a chiudere lentamente le dita. “Sai, non lo sapevo che faceva così male dare un pugno a qualcuno” ammise candidamente. Irene annuì, dispiaciuta.  “E a te?” chiese Rocco, voltandosi verso di lei per la prima volta da quando si era seduta accanto a lui. Provò ad avvicinare lentamente la mano indolenzita a quella di Irene, ma lei la tirò via di colpo. 
“No, sto bene” rispose, accennando un lieve sorriso. E in fondo era anche merito di Rocco. Se non fosse intervenuto, mostrandosi a suo zio, le cose sarebbero potute andare per il verso sbagliato.
“A me mi dispiace per come ti ho trattata, Irè” disse Rocco dopo qualche istante, ferito dal gesto di ritrosia di lei. Avrebbe voluto toccarla, sfiorarle le pelle, proprio come quel Lorenzo aveva fatto la sera prima, consolandola al posto suo. Rocco non era mai stato uno da gesti eclatanti, o manifestazioni di affetto. Nessuno gli aveva mai insegnato il potere di un bacio, di un abbraccio o di una carezza. Ma da quando aveva conosciuto Irene, in parte era cambiato anche lui. Il modo in cui lei lo ringraziava sempre con un bacio sulla guancia, ancora lo lasciava sgomento, di tanto in tanto, incapace di reagire alla giusta maniera. Eppure quella sera ci aveva provato. Aveva provato a sfiorarla, consolarla imitando quel Lorenzo e il modo in cui si era preso cura di lei la sera precedente, predendosi delle libertà che Rocco non aveva mai avuto con Irene. Era in genere lui quello che si ritraeva, a disagio e imbarazzato dalla spontaneità di lei. Adesso che lo ripagava con la stessa moneta, che non era più lei a ricercare il contatto fisico con lui, realizzò che gli mancava. E che Irene era andata avanti. Senza di lui.
“Non ha più importanza” rispose Irene, fingendo un sorriso. “Tu hai Maria, io ho trovato Lorenzo. Alla fine tutto si è risolto per il meglio, no?” disse lei, e in quel momento Rocco strinse le labbra e annuì, rassegnato. 
“Allora torna a casa da lei” continuò Irene. Una parte di sé avrebbe voluto sentirgli dire che no, non voleva tornare a casa dalla sua fidanzata, che avrebbe preferito trascorrere la serata insieme a lei in magazzino, proprio come avevano fatto dopo Natale. 
“Non posso” ribatté lui, tornando a chinare la testa sulle proprie mani. A Irene sembrava essere vittima di un deja-vù. Lui che non poteva tornare a casa e dormiva in magazzino, lei che gli portava da mangiare e lo rassicurava, come aveva fatto Rocco mesi prima. 
“E perché?” lo guardò confusa.
“Picchì mi vergogno” rispose lui di getto, senza pensarci troppo. Irene e Armando erano stati gli unici con cui Rocco si fosse mai aperto. Gli veniva ormai naturale confidarsi con lei.
“E di cosa?” domandò.
“Irè, ho dato un pugno a mio zio. Avà, come faccio a tornare a casa?” scosse la testa con fare sconsolato.
“Sono tutti preoccupati per te, Rocco. Ti accoglierebbero come hanno sempre fatto” gli rispose lei. Sua zia e Maria gli avrebbero gettato le braccia al collo, preoccupate per quella reazione inaspettata. Lo stesso avrebbe fatto Tina, che non vedeva l’ora di rivederlo.
“Gli altri, forse. Non me ziu” la contraddì.
“E davvero ti importa del suo giudizio?” chiese Irene sorpresa.
“No” rispose, guardandola negli occhi. No, le importava il suo giudizio, quello delle persone a cui voleva bene, quello di Armando, di Maria. Ma soprattutto quello di se stesso. “Irè, e se sono come mio padre?” si lasciò andare infine, raccontandole finalmente tutta la verità. Solo a lei e al signor Armando aveva confidato del rapporto con suo padre. Di come lui lo avesse sempre trattato, delle botte, della violenza psicologica. Lo aveva sempre fatto sentire stupido e sbagliato. E in quelle ore aveva iniziato a domandarsi se in realtà non avesse avuto sempre ragione lui. Forse in fondo c’era un motivo se gli diceva quelle cose. 
“Ti ricordi che una volta mi hai detto che l’arancia non cade mai lontana dall’albero? Dicevi che avevo la testa dura come quella di mio padre.” Ripensava spesso alle chiacchierate che aveva avuto con Rocco. Erano tempi profondamente diversi, allora. Eppure quanto le mancavano. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro a gennaio, quando Maria non c’era e per un attimo le era sembrato possibile un futuro con Rocco Amato.
“Non era la mela?” domandò Rocco, proprio come aveva fatto Irene in quel precedente scambio di battute, strappandole una risata.
“Era quello che ti avevo detto anch’io. Ma è la stessa cosa. Il punto è che tu non sei quell’arancia” disse lei come se avesse fatto il discorso più chiaro del mondo e quell’analogia dovesse finalmente aprirgli gli occhi. 
“Irè, anche se sono una mela, sempre sotto l’albero cado” ribatté lui talmente serio che lei non poté fare a meno di sorridere. 
“No, Rocco. Intendo che tu e tuo padre siete profondamente diversi. Lui si sarebbe prodigato ad aiutare una persona in difficoltà come hai fatto tu con me? Mi avrebbe mai difesa come hai fatto con il signor Armando qualche settimana fa? Come hai fatto ora con tuo zio?” Rocco scosse la testa. “Hai un cuore buono e il fatto che tu sia pentito e ti stia colpevolizzando come stai facendo adesso, dimostra che non sei affatto come lui. Sei una brava persona” gli sorrise, guardandolo dritto negli occhi. Le sue ciglia lunghe, lo sguardo smarrito. Per un attimo le sembrò che il tempo si fosse arrestato, che esistessero solo loro due. In quel silenzio, fatto di parole non dette, confessioni non fatte e fraintendimenti, entrambi si avvicinarono l’uno all’altra per un periodo che le sembrò interminabile.
Avrebbe tanto voluto portare indietro le lancette del tempo e cambiare il corso degli eventi. Ma la decisione era ormai stata presa e loro due avevano scelto di percorrere strade differenti. Due rette parallele che non si sarebbero mai più ricongiunte. Era finita. Ed era ora di andare avanti.
“Devo andare” lei si tirò indietro all’improvviso. Era stata un’altra volta Irene a prendere le distanze da lui, proprio come aveva fatto settimane prima. “Torna a casa, la tua famiglia ti aspetta” disse lei, rimettendosi in piedi, lasciando un Rocco sgomento. 
Senza aggiungere altro, prese la borsetta e uscì dal magazzino, trovandosi di fronte l’aria fresca della sera. Irene respirò a pieni polmoni, cercando di ritrovare la compostezza necessaria per tornare a casa. Peccato che solo lì, insieme a Rocco, Irene si sentiva a casa come in nessun altro luogo. Non aveva importanza dove si trovassero, che fosse il magazzino, la caffetteria, o il ristorante di lusso. Se gli aveva fatto credere il contrario, era perché aveva avuto paura di quei sentimenti, talmente grandi e importanti, che l’avevano destabilizzata. Aveva scelto le sue amiche, aveva scelto quella nuova famiglia che si era creata a fatica e che non era disposta a perdere, così come Rocco aveva scelto la sua. Nessuno dei due si era reso conto di aver sacrificato, in questo modo, quella parte che li rendeva migliori. 

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Capitolo 5
*** Potrei ma non voglio fidarmi di te, in fondo non c’è in quello che dici qualcosa che pensi ***


Il sabato sera Rocco era tornato a casa e Irene, non appena aveva sentito del trambusto, si era nuovamente accostata alla porta per sentire quello che stava accadendo. Aveva sentito Agnese ringraziare il signor Ferraris. “Te l’avevo detto che sarebbe stato di rientro per il pranzo” ridacchiò lui. Nessuno immaginava da dove provenisse l’intervento provvidenziale che aveva permesso al figliol prodigo di fare il suo ritorno in famiglia. A Irene non importava, non più oramai, ma le faceva piacere l’idea che il suo giudizio e i suoi consigli potessero ancora contare qualcosa per lui. 
La domenica l’aveva trascorsa quasi tutta sul divano a spettegolare con Stefania, mentre Maria andava a pranzo dagli Amato e Anna da sua cugina Gabriella. Le piaceva trascorrere del tempo sola con la sua protetta, le dava modo di essere se stessa senza remore, adesso che lei era al corrente di tutti i suoi segreti. Quasi tutti. Avevano parlato di Lorenzo, erano entrate nel dettaglio sugli eventi che erano accaduti in magazzino. Ma Irene non aveva voluto parlare di Rocco, nonostante le allusioni della sua migliore amica. Stefania ci aveva provato più di una volta, ma Irene aveva continuato a negare qualsiasi coinvolgimento emotivo nei suoi riguardi. La mora non era convinta, ma cos’altro avrebbe potuto fare? Alla fine aveva ceduto e nel pomeriggio erano andate a guardare un film al cinema, Anna le aveva raggiunte lì, tornando poi in casa giusto in tempo per assistere al dramma di Maria che era rimasta da sola a mettere a soqquadro l’intero appartamento. 
“Com’è andata?” aveva chiesto Anna con curiosità quando aveva visto Maria spostare pentole e padelle. Rassettare e cucinare era il suo modo per sfogare la tensione.
“Male, Anna” rispose lei scuotendo la testa. “Il signor Amato non gli ha rivolto nemmeno una volta la parola. Se Rocco non c’era era uguale” continuò sedendosi al tavolo insieme alla sua coinquilina. “Non puoi capire quanto mi sentivo a disagio.”
Irene se ne stava in disparte sul divanetto a sfogliare una rivista con Stefania, fingendo totale disinteresse alla questione. Rocco aveva avuto ragione, ma Irene non ne aveva dubitato. Dal poco che aveva intuito di quell’uomo, sembrava il tipo in grado di portare rancore a vita.
“Meno male che c’era Tina a cercare di alleggerire la tensione. O almeno ci ha provato.”
“Ma ti ha detto cos’è successo? Perché ha reagito in quel modo con suo zio?” Anna le domandò, incapace di frenare la parte pettegola che era sempre in agguato dentro di lei. 
“Non lo so, Anna. Mi ha detto qualcosa. Era molto vago. Non lo so, credo mi stia nascondendo qualcosa” disse guardando prima Anna e poi spostando lo sguardo su Irene. Lei poté sentire i suoi occhi puntati addosso, ma non cedette alla provocazione e rimase a parlottare con Stefania come se niente fosse. Se Rocco non aveva voluto dirle nulla, non spettava a lei farlo. Soprattutto visto che la questione la riguardava fin troppo da vicino.
Avevano poi cenato cercando di far finta di nulla. La missione di Stefania era di risollevare il morale a Maria e aveva cominciato a parlare del film drammatico, e un po’ sconveniente, che avevano visto al cinema e di quanto trovasse affascinante Mastroianni. 
“Povera Brigitte Bardot, che brutta fine” aveva dichiarato lei, riferendosi al finale di “Vita privata.”

Poi aveva preso una delle sue riviste, facendole vedere tutti gli abiti che avrebbe tanto voluto poter indossare, se solo avesse avuto un giorno abbastanza soldi per permetterseli, magari vincendo alla lotteria. Maria l’aveva ascoltata per educazione, finché a un certo punto non si era alzata da tavola per rintanarsi nella sua camera.
“Sparecchio io” propose Irene quella sera. Non le piaceva l’idea di mentire ancora alle sue amiche, ma quella era una questione delicata che metteva in difficoltà non solo lei stessa, ma anche il signor Amato. Non si trattava solo di un lavoro perso, ma ne andava anche della sua libertà. Se il dottor Conti avesse scoperto tutto, avrebbe potuto denunciarlo e, anche se non c’era stato alcun danno per il Paradiso, probabilmente qualche mese di prigione non glieli avrebbe tolti nessuno. Se Irene manteneva il riserbo, era solo per rispetto a Rocco. Preferiva che fosse lui a raccontare tutto a Maria, se lo riteneva necessario. Tuttavia, Irene non poté fare a meno di sentirsi in difetto. Per quel motivo si offrì di occuparsi della cucina, mentre le sue coinquiline andavano a dormire. Mise i piatti dentro il lavello e ripiegò la tovaglia da tavola, portandola sul ballatoio per sventolarla fuori dalla finestra. Quando aprì la porta Rocco era lì, affacciato e pensieroso.
“E’ stato così drammatico come immaginavi?” gli disse subito, senza nemmeno salutarlo.
“Peggio, Irè” si  voltò per un attimo a guardarla, prima di tornare a fissare la città davanti a sé.
“Vedrai che prima o poi gli passerà.”
“Forse. Ma a me non mi piace questa situazione. Io non lo so che devo fare” sbottò subito lui. Il respiro pesante di chi non sopportava incomprensioni, soprattutto in famiglia. “Anche perché ora ha paura che ci dici tutto al dottor Conti” disse Rocco con la sua solita ingenuità, senza pensare nemmeno per un secondo di mettere in difficoltà Irene. Lei aveva ogni diritto di denunciarlo e suo zio lo meritava. Lui sperava solo che non si arrivasse a tanto. 
“Non lo so che farò, Rocco. E non è giusto chiedermi di non dire nulla” rispose lei con onestà. Stava temporeggiando, voleva prima il consiglio della signorina Moreau, dato che era l’unica con cui avrebbe potuto parlarne, al di fuori di Rocco e Stefania. “Ma per ora non ho intenzione di farlo, quindi può stare tranquillo” si strinse nelle spalle prima di iniziare a ripiegare la tovaglia ormai ripulita da ogni traccia di briciola. Non era in genere così attenta ai sentimenti degli altri. La consideravano tutti una persona frivola, superficiale, ed egoista. E se ogni tanto quella descrizione la caratterizzava, la verità era che la maggior parte delle volte si mostrava peggio di quello che era in verità. Per le persone a cui teneva avrebbe fatto qualsiasi cosa. E, volente o nolente, Rocco rientrava ancora in quella ristretta cerchia. Non bastavano le sue parole o l’imminente matrimonio con un’altra persona, a cancellare tutto quello che il suo cuore aveva provato e sentiva tutt’ora.
Rocco sospirò, annuendo con riconoscenza, mentre mangiucchiava le pellicine sul labbro inferiore. Non poteva ringraziarla, né pregarla di mantenere il riserbo: aveva ragione lei. Si trovava tra l’incudine e il martello. Nonostante suo zio lo meritasse, però, non avrebbe mai voluto essere l’artefice della sua rovina. Era grato che Irene volesse tenere quel segreto per sé, almeno per il momento. 
“Non hai detto niente a Maria?” gli chiese lei, appoggiandosi al davanzale con la schiena con le braccia conserte, preferendo osservare lui, piuttosto che la città addormentata che tanto piaceva a Lorenzo.
Lui scosse la testa. “Non so che ci devo dire. Poi se glielo dico è un’altra persona che lo sa” arricciò le labbra. Un’altra persona che avrebbe dovuto mantenere il segreto di suo zio e mentire al dottor Conti. Eppure non lo faceva solo per altruismo. La verità era che non aveva mai sentito l’esigenza di confidarsi con lei e chiedere il suo aiuto e supporto. Per così tanto tempo era stata Irene la sua migliore confidente, che istintivamente era il suo parere quello che cercava e di cui aveva bisogno per sentirsi meglio. 
Irene annuì e si scostò dal davanzale. “Buonanotte, allora.”
“Irè” la chiamò prima che tornasse dentro. “Grazie” disse in riferimento alle parole che aveva usato per convincerlo a tornare a casa, ma anche per aver deciso di non denunciare suo zio.
“Ora siamo pari” fece spallucce, rientrando dentro l’appartamento. Lui l’aveva aiutata in passato a riappacificarsi col padre, e adesso lei aveva, nel suo piccolo, fatto in modo che Rocco tornasse a casa dalla sua famiglia. 
 

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“Arrivo” Irene urlò alla porta mentre alzava la zip della gonna a sigaretta color senape che stava finendo di indossare. La nuova settimana era iniziata e le sue amiche erano già uscite per andare al lavoro mentre Irene, come al suo solito, si faceva attendere. 
“Che ci fai qui?” disse quando si ritrovò davanti Lorenzo. 
“Il fine settimana non ci siamo potuti vedere e volevo fare colazione con te” rispose lui, dandole un bacio sulle labbra. “E poi volevo vedere come stavi.” La serata del venerdì sera che avevano trascorso insieme aveva aiutato entrambi a entrare in una maggiore sintonia e li aveva portati a conoscersi meglio. In più, dato che la situazione con quel magazziniere destava qualche preoccupazione in Lorenzo, voleva accertarsi che fosse tutto a posto. Non era bravo a delegare e lasciare che fossero gli altri a prendere delle decisioni autonomamente. Il bisogno di avere tutto sotto controllo a ogni momento gli dava sicurezza e stabilità, in una vita che di stabile aveva ben poco. 
“Sei gentile” rispose lei, entrando un attimo in casa per prendere il soprabito, la borsa e le chiavi di casa. 
“Ah, ma allora esiste davvero!” persino da dentro l’appartamento Irene sentì sul ballatoio la voce riconoscibile di Tina. 
“Non starla ad ascoltare” gli urlò, mentre rovistava in ogni angolo in cerca delle chiavi. 
“Piacere, Lorenzo” lui avvicinò una mano a lei, così che Tina potesse allungare la propria. “Tina Amato” si presentò, lasciando che Lorenzo facesse il gesto di baciarla come un vero e proprio galantuomo. “Lui è mio cugino Rocco. In genere parla, anche se adesso sembra che abbia perso la lingua” disse poi con una risata, presentando Rocco con cui era uscita a braccetto. 
Non appena Irene sentì il suo nome, sgattaiolò subito fuori dall’appartamento. Il soprabito inserito solo da una manica e la borsetta tra i denti. 
“Aspetta, ti aiuto” Lorenzo si affrettò a darle una mano. “Comunque ci siamo già visti, anche se non ci siamo ancora mai presentati” disse porgendo la mano anche a Rocco. 
Tina lo osservò per qualche istante: era immobile come una statua di sale e fissava, con un’espressione indecifrabile, l’uomo che Irene stava frequentando. Gli diede un paio di gomitate, prima di arrivare persino a spingergli il braccio per convincerlo a comportarsi da persona educata. Non capiva cosa stesse succedendo a suo cugino e perché si fosse imbambolato in quel modo. Sarebbe stato più credibile se fosse stata lei quella rapita dal suo interlocutore. Quel Lorenzo non era il classico bello dei fotoromanzi, ma aveva un fascino che Tina immaginò facesse cadere uno stuolo di donne ai suoi piedi.
Irene accennò un sorriso tirato, mentre il braccio di Lorenzo le circondò la vita. Si susseguirono un paio di secondi di silenzio imbarazzante, con Tina che osservava con attenzione sia Irene che Rocco, cercando di capire quale fosse il problema.
“Beh, noi stavamo andando a fare colazione” disse poi Irene, trovando il modo per concludere quell’incontro indesiderato.
“Ah, anche noi” ribatté Tina. “Magari ci rivediamo in caffetteria” ridacchiò, con la precisa intenzione di mettere tutti in difficoltà. Irene sorrise, pregando che il passaggio in auto di Lorenzo servisse a evitare che si incrociassero un’altra volta. Eppure Tina non stava affatto scherzando: mentre Irene era seduta al tavolo insieme a Lorenzo, vide entrare i due ancora a braccetto. La siciliana li notò subito e sorrise, accorrendo al loro tavolo. 
“Possiamo, vero?” domandò con la sua solita intraprendenza. Tina non sapeva tenere a freno la lingua e non era mai stata in grado di riconoscere i limiti da non oltrepassare. Irene immaginava fosse stata anche lei l’incubo di suo padre. Si erano odiate così tanto in passato forse proprio perché erano così simili.
“Certo” rispose Lorenzo con gentilezza, scostando la sedia con una mano. 
Le due coppie rimasero per qualche secondo in silenzio, incapaci di trovare un argomento che li accomunasse tutti e quattro. Tina percepiva una strana sensazione nell’aria, ma non riusciva a capacitarsi di cosa fosse. Rocco, che il giorno prima era finalmente tornato a casa, le aveva raccontato quello che era accaduto. Tina voleva bene a suo padre, ma lo conosceva. Non era cattivo, né una persona propriamente violenta. Ma ricordava come, da bambina, cercasse sempre a tutti i costi di far valere la propria autorità. Tina si era arrabbiata, aveva urlato, ma infine aveva preferito concentrarsi su altro. Non aveva bisogno di altri drammi, in quel momento della sua vita. Per il momento le sarebbe bastato tenergli il muso, esattamente come facevano Rocco e Salvo. Le sembrava invece assurdo che sua madre, al contrario, trovasse sempre il modo per giustificarlo. Aveva, però, ascoltato con particolare interesse la parte che riguardava Irene. Rocco era un bravo ragazzo, avrebbe difeso chiunque si fosse trovato in quella situazione. Eppure… qualcosa le diceva ci fosse dell’altro. Qualcosa che le stavano nascondendo. 
Rocco, di nuovo in silenzio e a disagio, fissava chiunque proferisse parola, come un pesciolino rosso dentro una boccia di vetro. Irene accennò un sorriso divertito. Le sembrava il ragazzino impacciato e spaesato che aveva conosciuto al suo arrivo a Milano. Solo che la causa di quel turbamento adesso non era Marina, ma lei stessa. 
“Mi sembra di essere tornata a quando eravamo picciriddi” Tina prese in giro Rocco, cercando di stuzzicarlo e provocarlo in cerca di una reazione che le chiarisse ogni cosa. “Te l’ha mai raccontata la volta che gli ho abbassato le braghe?” chiese a Irene, mentre Rocco si voltò verso di lei con aria supplicante. 
“No, avà” la pregò lui.
“No” Irene sorrise a entrambi. “E perché l’hai fatto?”
“Perché mi prendeva sempre in giro, mi diceva che non potevo fare le cose che faceva lui perché ero una femmina. E quindi io, femmina, ho deciso di vendicarmi. Un giorno in oratorio, mentre fissava una bambina con la stessa faccia da babbo che ha adesso, gli sono corsa dietro e gli ho abbassato i pantaloni. Tutti i bambini sono scoppiati a ridere e Rocco non me l’ha mai perdonato. Mi ha tenuto il muso per un mese intero, senza rivolgermi la parola” scoppiò a ridere Tina.
“Ma come!” esclamò Irene con una risata. “Beh, ci credo. Quando vuole sa essere piuttosto cocciuto.”
“Quindi che hai fatto, gli hai abbassato le braghe pure tu?” aggiunse dopo qualche istante di pausa, stuzzicando anche Irene: facendole notare che aveva capito che se Rocco in quel momento non parlava era a causa sua.
Irene, in imbarazzo per il doppio senso di quella frase, tossì nel cappuccino e Tina la guardò divertita.
“Ma figurati” rispose come suo solito, tagliando corto. Nessuno riusciva a spiazzarla e ammutolirla come faceva Tina. Di solito Irene aveva sempre la risposta pronta.
“Ma alla fine chi era quella ragazzina che ti piaceva? Era Maria?” continuò la siciliana, che stava dando del filo da torcere a entrambi. 
“No, Rosa, la figlia del…” Tina interruppe Rocco che finalmente aveva trovato il coraggio di pronunciare qualche parola.
“Ah, sì, la figlia del lattaio. Chissà che fine ha fatto. Dai, è meglio Maria. Mio padre insisteva per questo matrimonio da quando eravate picciriddi. Non sono una bella coppia?” domandò a Irene, ormai stremata da quell’interrogatorio. La menzione al signor Amato non aveva certamente aiutato il suo umore.
“Bellissima” rispose lei con il sorriso più finto della storia, mentre Rocco dava una pedata sotto al tavolo a sua cugina.
Una volta deciso di averne avuto abbastanza, Tina chiamò suo fratello per ordinare la colazione. Quello scambio di battute non le aveva chiarito interamente la situazione, ma le aveva certamente dato qualche spunto per continuare a indagare ulteriormente.
“Quindi lei fa il pilota, giusto?” cambiò finalmente argomento, concentrando le proprie attenzioni sull’uomo della sua quasi-amica. Un po’ di tregua, pensò Irene.
“Vedo che le hanno già detto tutto quello che c’è da sapere sul mio conto” scherzò Lorenzo. “Lei cosa fa?” le domandò più per cortesia, che per reale interesse. D’altronde avrebbe preferito trascorrere da solo con Irene i pochi minuti che avevano a disposizione. Alla fine di quella settimana sarebbe dovuto ripartire e non sapeva con esattezza quando si sarebbero potuti rivedere.
“La cantante” rispose Tina scostandosi i capelli con fare da diva. “E’ vero, lì dentro c’è una sua canzone” rispose Irene indicando con lo sguardo il jukebox alle spalle di Lorenzo e coprendosi la bocca piena con la mano. 
“Ah, quindi c’è una stella tra noi” commentò Lorenzo. “E cosa la porta in una piccola caffetteria del centro, allora? Non dovrebbe trovarsi al Grand Hotel?” ironizzò, dando un sorso al cappuccino.
“Sono rimasta umile” scherzò lei. “Ma in effetti mi manca un po’ la vita mondana di Londra.” Le mancava la sua casa, il gatto che lei e Sandro avevano adottato, la vita che si era costruita. Non di tutto, però, aveva nostalgia. 
“Vive a Londra? E’ una città molto moderna” rispose lui stupito. Viaggiava tanto per lavoro, anche se non aveva mai abbastanza tempo per visitare tutti i luoghi in cui atterrava. 
“Se è la vita mondana che le manca, stasera c’è l’inaugurazione di un locale. Il proprietario è un mio amico. Potremmo andare tutti insieme, che dici?” propose dopo qualche istante, voltandosi verso Irene che in quel momento avrebbe solo voluto sprofondare. 
“Già, Irene, che dici?” ribatté Tina, mettendo i gomiti sul tavolo con aria sprezzante.
“Perché no” rispose sapendo di essere messa alla prova, fingendo un entusiasmo che normalmente avrebbe caratterizzato più Stefania che lei. 
“Ovviamente venite anche tu e Maria” disse Tina toccando la spalla del cugino, che sembrò cadere dalle nuvole. Irene, che non si aspettava che Tina coinvolgesse anche la coppia del secolo, strabuzzò gli occhi, strozzandosi con il cappuccino. Di nuovo.
“Tutto bene?” chiese Lorenzo, carezzandole la schiena.
Tina e Rocco rimasero in silenzio a fissarla, mentre lei bofonchiò un “Sì, mi è solo andato di traverso.”
“Abbiamo notato” ridacchiò Tina. “Su, ora passo in atelier e lo dico io stessa a Maria” si rivolse di nuovo a Rocco.
“No, avà, che c’entriamo noi” scosse la testa con decisione, mettendo il broncio. 
“E portala fuori ogni tanto, spilorcio!” rispose Tina piegando il braccio come a dimostrare che il cugino fosse un po’ tirato di manica. “Dai, ci divertiremo.”
“Eh sì, immagino!” tossicchiò Irene con un sorriso, tradendo più ironia di quanta intendesse mostrarne. Se proprio doveva subire quella tortura, si sarebbe trascinata dietro anche Stefania, senza ombra di dubbio. Aveva bisogno di un’alleata in quella che sembrava essere un’imboscata in piena regola. 
 

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“Signorina Cipriani, posso parlarle un attimo?” Vittorio Conti la raggiunse proprio mentre Irene stava per andare in pausa pranzo. 
“Certo” rispose lei, un po’ a disagio nel dover mantenere quel segreto con lui. In genere era semplice: lo vedevano solo ad apertura e a chiusura del grande magazzino e non era costretta a interagirci. Tuttavia, non le piaceva l’idea di dovergli mentire, soprattutto su una cosa tanto importante. Ma non aveva ancora avuto modo di parlarne con la signorina Moreau, intendeva farlo proprio in pausa pranzo.
“E’ vero quello che mi ha detto Lorenzo? So che vi frequentate” disse, guardandola dritta negli occhi. 
Irene assunse un’aria confusa. Perché si stava interessando al suo rapporto con Lorenzo? Sapeva fossero amici di vecchia data, ma i due si frequentavano da talmente poco tempo, che dubitava la cosa potesse suscitare un qualsiasi interesse nel dottor Conti.
“Sì, da poco” sottolineò lei, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Quindi? E’ vero?” ribadì lui e solo in quel momento Irene capì che la domanda non riguardava la loro frequentazione, ma qualcosa che Lorenzo gli aveva raccontato. Irene si irrigidì, capendo subito cosa intendesse. Deglutì a fatica.
“Cosa le ha detto, esattamente?”
“Signorina, non giriamoci intorno. Tutta la storia del signor Amato, è vera?” 
“Sì” lo guardò con aria colpevole. “Le avrei detto tutto, volevo prima parlarne con la signorina Moreau per capire cosa fare. Non volevo scavalcare lei e il signor Ferraris” si giustificò, e anche se le sue parole avevano tutta l’aria di essere delle scuse, in realtà per una volta stava dicendo la verità. 
“Se uno dei miei dipendenti si comporta in modo sconveniente con una cliente o una delle mie collaboratrici, credo di avere il diritto di saperlo, non  crede?” Vittorio, che mal sopportava le bugie, reagì d’istinto, aggredendola senza volerlo. “Mi dispiace, signorina Cipriani. Capisco perché non si sia fatta subito avanti” cercò di riparare. “Ma avrei preferito mi avesse subito detto tutta la verità. Il signor Ferraris l’ha licenziato?” 
“Non ne so nulla” rispose Irene sorpresa. 
“Venga con me” la invitò a raggiungere il magazzino, nella speranza di trovarci ancora Armando e Rocco.
Entrambi, quando li videro arrivare insieme, capirono esattamente di cosa si trattasse. Rocco fissò i suoi grandi occhi scuri su quelli di Irene. Si sentiva tradito e preso in giro. Il giorno prima gli aveva promesso che non avrebbe detto nulla. Non poteva credere che gli avesse mentito così spudoratamente.
“Sono venuto a conoscenza del comportamento inappropriato del signor Amato” esordì Vittorio senza troppi giri di parole. 
“Dottor Conti, mi dispiace, avrei voluto dirle subito degli abiti rubati, ma…”
“Abiti rubati?” rispose Vittorio, colto alla sprovvista. 
Irene aggrottò le sopracciglia. Dunque Lorenzo aveva fatto la spia solo sull’aggressione del signor Amato e non sul tentativo di furto? Dato che aveva deciso di tradire la sua fiducia, mancandole di rispetto, perché non dire oramai ogni cosa? 
Il signor Ferraris raccontò al gestore del grande magazzino l’intera faccenda, cospargendosi il capo di cenere. Rocco alle sue spalle aveva incrociato le braccia al petto e, di tanto in tanto, continuava a lanciare degli sguardi di fuoco a Irene. 
“Cosa dovrei fare adesso se non posso nemmeno fidarmi dei miei collaboratori?” Vittorio sbottò, in preda alla collera. 
“Le assicuro che abbiamo agito in buona fede. Abbiamo indagato a lungo sulla questione, non avremmo mai permesso che recassero dei danni al Paradiso” si giustificò il signor Ferraris.
“E’ colpa mia” si mise in mezzo Rocco.
“Non è vero. Rocco non sapeva nulla” Armando scosse la testa sconsolato.
“Ma è colpa mia se ce l’ha nascosto, dottor Conti. Perché sa quanto voglio bene a mio zio” cercò di migliorare la situazione in cui il suo mentore si era cacciato. In fondo non stava mentendo. Se Armando aveva taciuto, lo aveva fatto per lui e per sua zia Agnese, non di certo per riguardi nei confronti di Giuseppe Amato, che Rocco sapeva non essergli mai andato a genio.
“E la signorina Cipriani che ruolo ha in questa storia?” domandò Vittorio, guardandola negli occhi con una rabbia che non gli aveva mai visto.
“Neanche lei sapeva niente” si affrettò a dire il signor Ferraris. “Anzi, qualche settimana fa è stata vittima delle mie accuse. Ovviamente mi ero sbagliato e mi sono scusato” spostò gli occhi su di lei, guardandola con sincero rammarico.
“Se volesse licenziarmi, la capirei” continuò Armando, avvicinandosi al dottor Conti. 
“Non so ancora cosa farò. Certamente il signor Amato non è più il benvenuto qui dentro. E voglio porgere le scuse alla signorina Cipriani a nome del Paradiso” ribatté Vittorio Conti, ammorbidendo il tono della propria voce. “Se intanto volesse denunciare il signor Amato, ne avrebbe ogni diritto” la supportò.
“Non è necessario. Sono sicura che saprà prendere lei i giusti provvedimenti” si congedò Irene, uscendo dal magazzino per raggiungere le proprie amiche in caffetteria. 

 

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“Non mi hai ancora detto cos’è successo in pausa pranzo” disse Stefania mentre osservava con occhio critico tutti gli abiti dentro il proprio armadio. Di lì a poco l’uomo che Irene frequentava sarebbe passato a prendere almeno loro due. Tina, Rocco e Maria li avrebbero seguiti in taxi.
Irene inspirò profondamente. Non aveva alcuna voglia di uscire con Lorenzo quella sera, ma non aveva modo di contattarlo, eccetto il numero del suo appartamento, al quale però non aveva risposto. Poteva dargli buca, se lo sarebbe meritato, ma era una serata che coinvolgeva anche altre persone e non se la sentì di privare Tina e Stefania di quel divertimento, soprattutto quest’ultima che, in preda all’euforia, da quella mattina non aveva smesso di pensare a cosa avrebbe indossato. Se la zia Ernesta avesse saputo dove stava andando, l’avrebbe rispedita a Lecco per direttissima.
“Lorenzo ha detto tutto al dottor Conti” sbuffò Irene, mentre l’amica le tirava su la zip del famoso vestito viola che fino a quel momento Irene non aveva più voluto indossare.
“Cosa? Tutto tutto? E perché? Non gli avevi detto che l’avresti fatto tu?” Stefania si appoggiò da dietro alla sua spalla. 
“Appunto” rispose telegrafica lei, chiudendo in quel modo l’argomento. Non sopportava l’idea di essersi fidata ancora una volta della persona sbagliata. Gli aveva concesso una confidenza, e lui l’aveva tradita in modo tanto subdolo. Irene avrebbe voluto non avere nulla da recriminarsi, perché in fondo l’aveva fatto per se stessa e non per lui. Eppure non riusciva a non soffrire per quell’ennesimo tradimento. C’era qualcosa che non andava in lei? Perché continuava ad attirare nella propria vita solo uomini sbagliati?
“Ma io e Rocco dobbiamo venire per forza?” Maria entrò in camera loro con i capelli leonini sciolti e con indosso la vestaglia.
“No, se non volete” Irene si strinse nelle spalle, cogliendo l’occasione per scoraggiare i futuri sposini. “Anzi, forse sarebbe meglio. Non vorrei vi sentiste a disagio” aggiunse con una punta di acidità.
Stefania la guardò male. “Dai, sarà una cosa nuova.”
“Stefà, ma mi ci vedi a me in un locale? Io sono…”
“Una ragazza semplice, lo sappiamo” Irene roteò gli occhi al cielo. 
“Appunto” Maria la guardò seria.
“E anche un po’ noiosa, se mi permetti” sollevò le sopracciglia. Già la serata sarebbe stata difficile, Irene non aveva certo bisogno che Rocco e Maria la complicassero ulteriormente.
“Non ti permetto” ribatté acida.
“E io però credo che neanche Tina ti permetterà di rimanere a casa” Stefania si strinse nelle spalle. “Dai, ti aiuto a pettinarti, vieni.”
“Ma magari posso restare a fare compagnia ad Anna che non sta bene” Maria cercò una scusa qualunque per evitarsi quella tortura. 
“No, ti ha già detto che puoi andare, quindi andiamo” Stefania la prese per una mano e la trascinò via dalla stanza, anche solo per evitare che lei e Irene si prendessero per i capelli.

Quando Irene aprì la porta di casa, trovò Lorenzo con in mano un mazzo di rose rosse e l’espressione colpevole di chi cercava disperatamente di farsi perdonare.
Irene le prese dalle mani e le porse ad Anna alle sue spalle. “Che belle, le metto dentro un vaso” disse inconsapevole di quello che era accaduto, ma a disagio perché era evidente anche a lei che qualcosa non andasse. 
“Mi dispiace, posso spiegare” provò a dire lui, ma Irene afferrò il soprabito e la mano di Stefania e si richiuse la porta alle spalle. Il tragitto in auto fu imbarazzante e silenzioso, con Stefania imbronciata dietro che fissava prima l’uno e poi l’altra, come una bambina che si trovava ad assistere impotente al litigio dei due genitori. 
Accolse l’arrivo al locale come una manna dal cielo. Se non altro lì avrebbe almeno potuto parlare con qualcuno. Stefania non era abituata a stare in silenzio così tanto a lungo, specialmente quando si trovava a disagio e mettere di seguito una parola dietro l’altra era l’unico modo che conosceva per allentare la tensione.
Irene la prese a braccetto e si piazzò poco distante da Lorenzo, mentre lui parlava con qualcuno all’ingresso che avrebbe dovuto farli entrare. Poi vide un uomo, che doveva essere l’amico di Lorenzo e il proprietario del locale, avvicinarsi e presentarsi a Irene, che non era mai stata in grado di nascondere la propria rabbia e il suo muso lungo avrebbero potuto notarlo persino dalla Luna.
“Non fargli fare brutta figura” Stefania aveva detto piano alla sua amica, prima che l’uomo si avvicinasse.
“E a quella che lui ha fatto fare a me non ci pensi?” bofonchiò Irene sottovoce, guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure.
Una volta dentro, si sedettero tutti a un unico grande tavolo circolare. Il locale era alla moda ed elegante, ma senza troppe pretese. Non era il tipo di posto in cui ci si sarebbe potuti aspettare di trovare persone di un certo rango. La contessa di Sant’Erasmo, per esempio, non avrebbe mai varcato quella porta. Tina notò un piccolo palcoscenico sul fondo dove si esibiva una cantante che non aveva mai sentito e le venne in mente quando, anni prima, lei stessa aveva costretto Salvatore a portare lei e le sue amiche in un locale come quello. Quanto aveva desiderato all’epoca potersi esibire in pubblico come faceva quella donna. E adesso che ci era riuscita, e non era più la ragazzina ingenua di una volta, tutto aveva un sapore diverso. Rimpiangeva quei tempi, quando ogni cosa le sembrava complicata e invece la vita era molto più semplice di adesso.
“Balliamo?” propose Lorenzo a Irene, dopo circa mezz’ora in cui a stento gli aveva rivolto la parola. 
“Mi fanno male i piedi” aveva inventato una scusa per evitare di dover stare da sola con lui quella sera. Sapeva che avrebbero dovuto parlare, ma Irene aveva prima bisogno di sbollire la rabbia per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe pentita. Quella sera sentiva gli occhi di tutti puntati addosso come dei fari, pronti a cogliere ogni suo passo falso. Rocco ce l’aveva con lei perché credeva fosse stata Irene a dire la verità al dottor Conti. Maria era arrabbiata con entrambi, ma soprattutto con lei, perché era convinta che c’entrasse qualcosa con il cambiamento repentino del suo fidanzato. Stefania la osservava, lanciandole di tanto in tanto delle occhiate per convincerla a comportarsi in modo appropriato. E poi c’era Tina che continuava a metterla alla prova, convinta di immaginarsi chissà quale trama intricata. 
Lorenzo si alzò, incapace di accettare un no come risposta, e le afferrò la mano, cercando così di convincerla ad alzarsi dalla sedia. Per evitare di fare una scenata in pubblico, Irene lo assecondò.
“Era anche una scusa per parlarti, lontani da orecchie indiscrete” dichiarò lui.
“Tranquillo, loro non riferirebbero mica le nostre confessioni” rispose Irene piccata. Non le andava proprio giù che Lorenzo potesse averla tradita in quel modo tanto meschino e inaspettato. Le era sembrato un uomo diverso, sincero e onesto tanto quanto lo era lei. Non uno capace di tali sotterfugi. Eppure continuava a sbagliarsi. Per essere una persona sveglia e scaltra, si lasciava abbindolare dagli uomini con troppa facilità. 
“Hai ragione. Mi dispiace” provò a spiegarsi. “Ho incontrato Vittorio quando siete usciti dalla caffetteria. Abbiamo parlato un po’, anche di te. Mi ha fatto delle domande, mi sono sentito in difficoltà. Poi lo sai che non mi sentivo sicuro a sapere che lavoravi ancora con quell’uomo e…” la guardò con l’aria afflitta da cane bastonato che Irene immaginò usasse per uscire da qualsiasi inconveniente e iniziò a scuotere la testa. Non l’avrebbe comprata così facilmente. Era stata stupida una volta, non lo sarebbe stata una seconda. 
“Mi dispiace, Irene, dico davvero.”
“Non mi interessano le tue scuse. Ti avevo raccontato una confidenza e tu mi hai tradita, facendomi passare come una bugiarda davanti al mio capo” gli rispose furibonda. Visto che aveva già alle spalle situazioni che l’avevano messa in cattiva luce, l’intervento di Lorenzo non aveva fatto altro che peggiorare la sua posizione agli occhi del dottor Conti. “Per un attimo ha pure creduto che io c’entrassi qualcosa col furto di quegli abiti!” Irene sorrise amareggiata. 
“Ma io non gli ho…”
“Lo so. Ma l’ha scoperto lo stesso. Una volta aperto il vaso di Pandora…” ribatté sarcastica.
“Non so che altro dire se non che mi dispiace” rispose lui, sinceramente rammaricato, soprattutto perché si rendeva conto di quanto, una cosa del genere, avrebbe allontanato una persona tanto restia come lo era lei, ed era l’ultima cosa che desiderava. Come al solito aveva reagito per istinto, lasciando che ad avere la meglio fosse la sua voglia di avere tutto sotto controllo. L’idea che qualcosa potesse sfuggirgli di mano era per lui insopportabile. E per quello aveva commesso un errore di cui era sinceramente pentito. 
Seduta al tavolo, Tina continuava a fissare quello scambio che aveva tutta l’aria di essere un litigio tra innamorati. Si alzò per spostarsi e sedersi sulla sedia lasciata vuota da Irene accanto a Stefania, che quando la vide avvicinarsi si irrigidì. Quella situazione l’aveva messa in un tale stress da non riuscire nemmeno a godersi la serata a cui era tanto contenta di essere stata invitata. Teneva tra le mani una ciotolina colma di noccioline che stava trangugiando in preda alla fame nervosa. 
“Ma quindi, che succede a quei due?” domandò Tina, parlottando a bassa voce. Non che Maria e Rocco potessero sentirla, tanto erano presi dal fissare il vuoto davanti a loro, da vere e proprie anime della festa.
“Cosa? No, niente” rispose Stefania con un tono di voce più acuto del solito. 
“Dai, si vede che stanno litigando. E’ successo qualcosa? Riguarda Rocco?” domandò con curiosità.
“Qualcosa? Perché dovrebbe essere successo qualcosa? Rocco? Perché dovrebbe riguardare Rocco?” ridacchiò lei in preda all’isteria. Non era mai stata brava a raccontare le bugie, si sentiva sempre in difetto. L’educazione rigida della zia Ernesta l’aveva resa una ragazza coscienziosa e ligia alle regole. Sapeva che se fosse stata beccata a dire qualche falsità, la zia l’avrebbe messa in punizione e Stefania da bambina proprio non sopportava le punizioni di zia Ernesta. In generale l’idea di deludere qualcuno le faceva venire il mal di stomaco. Bastava che vedesse sua zia scuotere la testa delusa quando la coglieva a fare qualcosa di sbagliato, che Stefania si sentiva immediatamente in colpa. Non servivano nemmeno le punizioni che le infliggeva, che spesso consistevano semplicemente in qualche ora di silenzio - che per lei era una vera e propria tortura -, o nel toglierle i suoi adorati libri. E sebbene adesso non ci fosse più la zia Ernesta, Stefania si sentiva comunque in difficoltà quando faceva qualcosa che sapeva la zia non avrebbe approvato. 
“Quei due stanno litigando. Rocco si ammutolisce ogni volta che vede arrivare Irene. Non ci vuole molto a fare due più due. Tanto o me lo dici tu, o lo scopro da sola” rispose Tina sollevando le sopracciglia. “C’è stato qualcosa tra loro?” domandò andando dritta al punto, senza troppi giri di parole. Le sembrava assurdo che Irene potesse provare dei sentimenti per quel baccalà di suo cugino, ma quella era stata l’unica spiegazione che era riuscita a darsi. L’unica che desse un senso allo strano comportamento di Rocco, attribuibile solo alla sua incapacità con il genere femminile. Il modo in cui guardava Irene, con la stessa faccia da pesce lesso che aveva avuto con la piccola Rosa tanti anni prima, era profondamente diverso dal modo in cui guardava la sua futura sposa. Un tempo non ci avrebbe fatto caso, ma adesso che sapeva cos’era l’amore, non poteva non rendersi conto di quanto poco ce ne fosse negli occhi di Rocco quando si trovava con Maria. Lo aveva fissato quella sera, li aveva controllati per fare attenzione alle loro interazioni e non aveva avuto dubbi. Suo cugino non aveva fatto altro che guardare Irene e quel Lorenzo. Ma allora perché stava sposando la povera Maria? Se Rocco era una persona semplice da decifrare, Irene era ancora tutta da esplorare. Era possibile che fosse stata lei a rifiutarlo e lui ne fosse ancora innamorato? 
Stefania la fissò negli occhi, bloccandosi con un’arachide tra le dita. Stava per dire tutta la verità, poi tornò a concentrarsi sulle noccioline. Se avesse riversato tutta la sua concentrazione su quelle, forse sarebbe stata in grado di mantenere il riserbo. Non poteva tradire Irene anche lei. 
“A me puoi dirlo, non lo dirò a nessuno” continuò a tentarla Tina, guardandola dritta negli occhi come se volesse rubarle l’anima.
“Un bacio, una volta, ma tempo fa” rispose di getto Stefania, sentendosi libera da quel peso per due secondi netti, per poi avvertire subito la fitta allo stomaco che le confermava di aver fatto una sciocchezza. “Anzi due. Ma ormai è acqua passata” si alzò di scatto, andandosi a sedere nel posto che Tina aveva lasciato vuoto, pentendosi immediatamente del suo comportamento. Di solito era più brava a mantenere i segreti di Irene, ma Tina era talmente persuasiva, con quegli occhi da cerbiatta che sembravano leggerle dentro, che non era riuscita a trattenersi. Se Irene l’avesse scoperto non glielo avrebbe mai perdonato. Quanto si sentiva in colpa.
“Tutto a posto?” chiese Tina quando vide arrivare Irene. Quest’ultima si guardò intorno spaesata, trovando Stefania all’altro lato del tavolo. 
“Certo, perché non dovrebbe?” finse un sorriso. Era ormai evidente che Tina avesse intuito qualcosa. Se Irene aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse mai successo, Rocco d’altro canto si trovava sempre a disagio quando la vedeva in compagnia di Lorenzo. Non era in grado di comportarsi in modo naturale come quando erano da soli. Tra occhiate passivo-aggressive e mutismo selettivo, lui rendeva piuttosto evidente quale fosse il problema. Specialmente a una persona sveglia come lo era sua cugina.
“Vado un attimo in bagno” disse poi, alzandosi per evitare l’ennesimo interrogatorio della giornata. Quella serata si era trasformata in una lotta continua e Irene non ne poteva già più.
“Pure io” la imitò Rocco, seguendola a passo spedito, lasciando l’intera tavolata interdetta. Persino Lorenzo osservò le due figure allontanarsi con uno strano sguardo interrogativo sul volto.
“Meno male che non ci dovevi dire niente” le urlò contro Rocco prima che potessero raggiungere la toilette, che per fortuna era lontana dal tavolo e nessuno poteva vederli interagire, come se poi non fosse scontato si trattasse di una scusa. 
“Non ti ci mettere anche tu questa sera, eh” roteò gli occhi al cielo lei. Era stanca e voleva solo andare a casa a dormire. La giornata l’aveva già fin troppo provata: tra gli interrogatori della mattina, lo scontro col dottor Conti, la discussione con Lorenzo e infine quella serata che presto si sarebbe trasformata in una cena con delitto, Irene ne aveva fin sopra i capelli. 
“Picchì? Sei stanca di litigare co quello là?” domandò, incapace di celare la propria gelosia.
“Sì, e anche di discutere con te e con Maria. E stanca delle allusioni di Tina. Le hai detto qualcosa?”
“Che ci dovevo dire, scusa?”
“No, ma infatti, che le dovevi dire” ironizzò lei facendogli il verso. In fondo tra di loro non c’era stato niente che per Rocco fosse degno di menzione. 
“Appuntu. E pure tu hai detto che non ci avresti detto niente al dottor Conti” la guardò con aria di sfida. 
“Oh, qualcuno ti ha detto una cosa e poi ne ha fatta un’altra. Benvenuto nel mondo degli adulti” lo prese in giro lei. Poi da che pulpito veniva la predica. Lui che aveva rinnegato tutto quello che c’era stato tra di loro, abbassandolo a un mero allenamento? Quanto si era sbagliata. Irene cominciò a dubitare del proprio giudizio, viste le pessime decisioni prese di recente.
“Ah, quindi per te funziona così? Dici una cosa e ne fai un’altra ed è normale?” domandò deluso.
“Anche per te, mi pare” gli rispose diretta, lanciandogli una frecciatina. Era passato dal volere solo lei, al matrimonio con Maria, e solo perché Irene lo aveva rifiutato. Questo era l’interesse che aveva provato nei suoi confronti. Una passata di spugna e tutto era stato cancellato, come se non fosse mai esistito.  “E poi bella opinione che hai di me, davvero. Ma d’altronde cosa potevo aspettarmi da un...” disse arrabbiata, stufa di doversi giustificare con tutti. 
“Ciclista amatoriale?” ribatté lui, ricordando una delle discussioni che avevano avuto in passato. “O volevi dire un magazziniere?” aggiunse Rocco imbronciato, punto sul vivo. 
“Che cosa c’entra, adesso?” domandò lei esasperata.
“No, niente. Tu l’hai detto. Cu chiddu vai nei locali, iu ti potevo portare sulu all’oratorio.”
“Pensi davvero questo di me? Mi credi così superficiale?” lo guardò delusa. Credeva davvero che avrebbe rinunciato a lui solo perché non era abbiente come poteva esserlo Lorenzo? Che l’unica cosa che contasse per lei fosse il conto in banca?
“Picchì, non è così?” la guardò ferito e arrabbiato.
Irene sorrise amareggiata. Quanto si era sbagliata su di lui. L’aveva difesa, in passato, portandola a credere che riuscisse a capirla per davvero, che fosse in grado di leggerle dentro come nessun altro. Invece la reputava una poco di buono esattamente come tutti gli altri. Una ragazza facile, desiderosa solo di divertirsi e trovare lo scapolo d’oro con cui fare la bella vita. Che potesse avere dei sentimenti anche lei, nessuno lo prendeva mai in considerazione. 
“No che non è così, si vede che non mi conosci affatto” disse lei, sostenendo il suo sguardo per qualche istante. “Così come non sono stata io a dire tutto al dottor Conti. E’ stato Lorenzo. Secondo te perché stavamo litigando questa sera?” ribatté furibonda, con la precisa intenzione di fargli comprendere quanto si fosse sbagliato su tutto. “Tu non hai alcun diritto di venirmi a dire cosa posso o non posso fare. Con chi posso o non posso litigare. Non hai diritto di essere geloso e di guardare male Lorenzo. Lo hai perso quando hai deciso di sposare Maria. Piuttosto ora sei libero, vai da lei e dille la verità, no? E’ lei che stai sposando, non me. E’ a lei che devi raccontare i tuoi drammi” lo provocò lei.
“I miei drammi? Se non era per te io manco ci andavo contro a mio zio” sbottò lui.
“E allora potevi anche pensarci prima, anziché rimanertene lì fermo imbambolato!” esclamò ferita, ormai come un fiume in piena. “E poi io non ti ho chiesto di fare niente, quindi non dare la colpa a me per le tue reazioni!” aggiunse delusa, prima di iniziare a incamminarsi di nuovo verso il resto del gruppo. 
“Aspetta, amunì. Scusa, Irè” provò lui, afferrandole il braccio per fermarla, pentendosi per le parole e il tono che aveva usato. Era spiazzato, confuso. Sentiva la terra sbriciolarsi sotto ai piedi e non sapeva più cosa fare e in cosa credere. Se non si era allontanata perché si vergognava di lui, allora perché? 
Maria, curiosa di capire cosa stesse accadendo, nel frattempo si era alzata e li aveva appena raggiunti.
“Scusa per che cosa?” chiese a entrambi. “Ora voi due mi dite cosa sta succedendo.”
“Chiedilo a Rocco” Irene lo guardò un’ultima volta piena di rabbia, mentre raggiungeva gli altri al tavolo, desiderosa di andarsene via di lì quanto prima. Se era una guerra quella che Tina intendeva provocare, ci era riuscita alla grande. 

 

---

 

Non era stata la serata che avevano previsto. Erano tutti rientrati nei propri appartamenti con dei musi lunghi, più adatti a un funerale che a una serata danzante in un locale appena inaugurato. Maria si era chiusa nella propria stanza, andando dritta lì dentro senza nemmeno soffermarsi un attimo in cucina. Lo stesso avevano fatto Irene e Stefania. Aleggiava il solito silenzio che disturbava la mora, che proprio quella sera aveva tanto di cui parlare, ma aveva paura non fosse il momento giusto per farlo. Si avvicinò a Irene, abbassandole la zip del vestito e adagiò di nuovo la testa sulla sua spalla, abbracciandola da dietro con affetto. Irene, per una volta, non si ribellò alle effusioni dell’amica, che a lei invece poco appartenevano. 
“Me la dici la verità adesso?” le sussurrò Stefania. Quando aveva visto Irene tornare al tavolo con l’aria stravolta e poi Rocco e Maria pronti a prendere i soprabiti per andarsene immediatamente, Stefania aveva capito tutto. Tina li aveva seguiti dispiaciuta, consapevole di essere stata lei a causare quel terremoto.
“Che verità?” Irene cercò di fare finta di nulla, ma sapeva fin troppo bene dove la sua amica volesse andare a parare. 
“Irene? Sei innamorata di Rocco?” domandò, cercando di emulare la sfrontatezza che contraddistingueva Tina e che sentiva avrebbe fatto comodo anche a lei nella vita. 
“Ma che ti passa per la testa” ribatté d’istinto, defilandosi da quell’abbraccio per spogliarsi e mettere su la camicia da notte. 
“Irene” disse Stefania col solito tono che assumeva quando voleva che la sua amica confessasse qualcosa che lei aveva già capito. 
“Non lo so. Forse” finalmente le confessò, sedendosi sul letto.
“Ma come non lo sai” Stefania le venne accanto. “Ma allora perché ti sei fatta da parte? Tu mi avevi promesso di farlo solo se ti fossi accorta di non provare niente per lui” le ricordò.
“Stefania, ma la vedi Maria?” sbuffò lei, sconsolata. “Lo sai cosa avrebbero pensato tutti. Sarei stata la megera che ha strappato Rocco alla brava ragazza” le fece notare con una risata sarcastica. Aveva ceduto alle pressioni, allontanandosi da Rocco nella convinzione di fare la scelta più giusta per tutti. Solo che adesso non ne era più sicura. 
“E quindi ti sei privata di qualcosa di bello per paura di qualche giudizio?” 
“Ma non avrebbe funzionato. Con Lorenzo è tutto più facile. Non interessa a nessuno se stiamo insieme o no, se siamo giusti l’uno per l’altra, se avremo un futuro insieme. Usciamo, ci frequentiamo, vediamo come va. Con Rocco, lo sai, non sarebbe stato possibile” sospirò. Una parte di sé, tuttavia, non credeva completamente a quelle parole. Il giudizio esterno aveva certamente giocato un ruolo importante nella sua decisione di farsi da parte. Ma iniziava a chiedersi se l’avesse fatto unicamente per quello, o se invece l’avesse usato come scusa per giustificare a se stessa quell’allontanamento. Tuttavia, in cuor suo una risposta l’aveva già: se non avesse permesso alla paura di avere la meglio, non lo avrebbe mai lasciato andare. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti, sfidando i giudizi di tutti pur di averlo accanto. Irene non era una persona che fuggiva davanti alle sfide. Eccetto in quella più importante della sua vita. E adesso era troppo tardi.
“Mi dispiace di averti fatto delle pressioni” disse Stefania dopo un po’, mettendo il broncio. Si era resa conto di aver giocato un ruolo fondamentale in tutta quella storia. Aveva insistito con Irene, spingendola a decidere in fretta, prima che Maria potesse scoprire la verità, senza pensare che la sua amica potesse aver bisogno di tempo e di consigli, non di pressioni.
Irene le sorrise comprensiva. “Non saresti stata l’unica. Se l’avessero scoperto, avremmo avuto gli occhi di tutti puntati addosso, pronti a vederci fallire per poter dire ‘ecco, vedi, sarebbe dovuto stare con Maria sin dall’inizio’” disse Irene. “E comunque non ha più importanza. Lui sta per sposare Maria, no?” aggiunse amareggiata.
“Sì, ma sei sicura che voglia stare con lei?” 
“Stefania, le ha chiesto di sposarlo dopo tre settimane. Non decidi di passare il resto della tua vita con qualcuno che non vuoi.”
“Puoi farlo, se sei Rocco” le fece notare. “Lo sai come hanno spinto tutti affinché sposasse Maria.”
“Ormai è troppo tardi” scacciò rapidamente quell’ipotesi dalla sua testa. “Non potrebbe mai lasciarla. E per me sarebbe anche peggio. Ne parlerebbero fino a Partanna e io passerei ancora per la poco di buono che gliel’ha portato via a un passo dalle nozze” Irene si alzò per scostare le lenzuola e mettersi sul letto, decretando così conclusa quella sessione di confessioni in libertà. 
“E quindi vi condannate a una vita di infelicità?” continuò Stefania, imperterrita. 
“La vita non è un romanzo d’amore, piccola Stefy. Non tutti hanno il loro lieto fine” rispose con amarezza, spegnendo poi l’abat-jour sul suo comodino. 
Stefania arricciò le labbra in un’espressione sconsolata, mettendosi anche lei sotto le coperte. Il forte mal di stomaco che avvertiva la riportò alla sua infanzia con la zia Ernesta. Quanto avrebbe voluto averla accanto per consolarla e consigliarla. Non sopportava l’idea di aver contribuito all’infelicità della sua amica. Delle sue due amiche. Perché in qualsiasi modo quella storia fosse finita, né Irene e né Maria ne sarebbero uscite indenni. E la colpa era in parte anche la sua.

 

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Capitolo 6
*** Fra poco pioverà e non c'è niente che mi sposta o vento che mi sposterà ***


Rocco non aveva chiuso occhio quella notte. Faceva roteare il cucchiaio dentro la tazza di latte, fissando i cerchi concentrici creati dai suoi movimenti, come ipnotizzato. In realtà la sua mente era altrove, ferma alla sera precedente. Le parole di Irene gli risuonavano nella testa come un disco rotto, un giradischi inceppato che continuava a stridere nelle sue orecchie imperterrito, incessante. “No che non è così” gli aveva detto lei e tutte le certezze di Rocco si erano sgretolate in quel momento. Aveva visto la sua espressione ferita e amareggiata e non aveva potuto fare a meno di crederle. Era sinceramente dispiaciuta e offesa che Rocco potesse averla dipinta in quel modo. Eppure quella era stata l’unica spiegazione che lui era stato in grado di darsi. L’unico motivo che potesse spingere Irene ad allontanarlo e voler nascondere il loro rapporto era la differenza tra i due. Lei aveva sempre sognato un certo tipo di uomo, un altro tenore di vita che Rocco non avrebbe mai potuto offrirle. Era un semplice magazziniere con pochi grilli per la testa. Sognava una vita semplice, un matrimonio, dei picciriddi. Qualcosa che Maria avrebbe potuto offrirgli. Lui e Irene non avevano nulla in comune. Un tempo aveva descritto lei e Maria come il diavolo e l’acqua santa e lui in mezzo, tra due fuochi. E sebbene non avesse senso, il suo cuore l’aveva sempre e solo portato verso l’unica direzione che tutta la sua famiglia non avrebbe mai approvato. Irene gli aveva insegnato a decidere per se stesso. A scegliere con la propria testa, senza lasciarsi influenzare. Ma Rocco non era bravo a farlo. Non sopportava i conflitti, non accettava l’idea di mettersi contro tutte le persone che gli volevano bene. Non voleva scontentarli. I suoi zii si erano presi cura di lui, lo avevano accolto, dandogli una casa lì a Milano, aiutandolo a trovare lavoro e allontanarsi da quella famiglia disfunzionale che si era lasciato alle spalle a Partanna. Non sarebbe mai più voluto tornare indietro. La Sicilia apparteneva al suo passato, a un Rocco profondamente diverso. Milano lo aveva aiutato a crescere e maturare e lì era il suo futuro. 
Eppure era stato disposto a lottare contro tutti loro per lei. Non voleva nascondersi, voleva che tutti sapessero che lui aveva scelto e aveva scelto Irene. Lei non capiva quanto quel gesto contasse per lui. Sapeva che la sua famiglia non avrebbe mai approvato la sua scelta, eppure l’aveva fatta lo stesso. Non aveva voluto nasconderla ai suoi zii, né a Maria. Aveva deciso di comportarsi da uomo, come lei gli aveva sempre insegnato. Aveva insistito, l’aveva pregata, voleva farlo sapere al mondo intero, non badando alle conseguenze. Ma davanti ai suoi continui rifiuti aveva alla fine desistito. Si era sentito piccolo, non all’altezza, rifiutato come aveva fatto suo padre con lui, privandolo sempre di qualsiasi gesto di affetto. 
Quando aveva capito di non essere abbastanza per Irene, che non lo sarebbe stato mai, allora anche quella parte di lui che credeva nel potere delle proprie scelte, era stata accantonata proprio come aveva fatto con lei. Aveva rinchiuso in una scatola tutti i suoi insegnamenti, tutto il suo percorso di crescita e l’aveva nascosto in un angolo remoto della propria mente. Aveva lasciato che fossero gli altri a decidere per lui, come avevano sempre fatto. Aveva creduto di non essere in grado di farlo da solo, se le sue scelte lo portavano a soffrire e sbagliare come aveva fatto prima con Marina, e adesso con Irene. Sua zia Agnese lo conosceva e sapeva meglio di lui di cosa avesse bisogno. E ciò che serviva nella sua vita era una ragazza come Maria, perché un ragazzo di umili origini come lui non poteva ambire all’attrice di successo come Marina o a una milanese intraprendente e moderna come Irene. Doveva restare nel suo. Tra i suoi simili. Mogli e buoi dei paesi tuoi, come gli dicevano sempre tutti.
Peccato che adesso ogni sua certezza aveva iniziato a vacillare dopo la serata del giorno precedente. Se Irene non si vergognava di lui, allora perché aveva deciso di mettere fine a qualsiasi cosa ci fosse tra di loro? Perché non aveva voluto dargli nemmeno una possibilità?
“Mamma mia, e che hai fatto a pugni col cuscino?” dichiarò Tina entrando in cucina, sistemandosi la camicetta dentro la gonna a ruota a pois nera che indossava. 
“Lassa stari, va” la guardò male lui. Ieri aveva tartassato lui e Irene per l’intera giornata, portandoli allo stremo. Non avrebbe sopportato di essere nuovamente riempito di domande, specialmente dopo una nottata come quella.
“Te l’avevo detto che non erano cosa di andare in giro come voialtri” disse Agnese avvicinandosi al nipote per fargli una carezza sul viso. “Gioia mia, ti senti bene?” gli aveva domandato sua zia.
“Non ho dormito stanotte” bofonchiò lui senza neanche alzare lo sguardo. 
Tina sollevò le sopracciglia e si mordicchiò una guancia con l’aria colpevole di chi sapeva aver contribuito a quella notte insonne. Ma fece spallucce davanti alle occhiate della madre, fingendo totale estraneità.
“Si vede, gioia, sei pallido” avvicinò una mano alla sua fronte per vedere se aveva preso qualche malanno. 
“Zia, sto bene, avà” si scostò lui, più irritabile del solito.
“Magari ci dico al signor Ferraris che vieni dopo pranzo? Così provi a dormire un po’ questa mattina, che dici?” rispose lei, guardando prima lui con aria interrogativa e poi sua figlia Tina con sguardo minaccioso. Se c’era il suo zampino in tutta quella storia, l’avrebbe sentita. 
“No, non c’è bisogno, zì. Ora mi alzo e…”
“Sì, mamma, è meglio. Digli così” lo interruppe lei, facendo alla madre il gesto di andare via, mentre con l’altra mano strinse il polso di suo cugino per non farlo spostare da quel tavolo.
“Va bene, allora ci vediamo più tardi. Riposati, gioia” si avvicinò per sfiorargli bonariamente i ricci, prima di afferrare le chiavi e uscire di casa. 
“Si può sapere che ti prende?” Tina gli domandò non appena la porta si chiuse, dandogli dei colpetti sulla spalla.
“Oh, piano, au. Chi bo?” ribatté lui con sguardo imbronciato. Ci risiamo, pensò.
“Lo sai cosa voglio. Forza, parla” disse afferrando il coltello da burro per puntarlo contro di lui con aria minacciosa.
“Lo sai ca cu chiddu non mi fai nenti?” le rivolse un’occhiataccia, prima di bere gli ultimi sorsi di latte e alzarsi per cercare di defilarsi da quell’ennesimo interrogatorio. 
“Questo lo credi tu” Tina lo seguì, afferrandolo per la collottola. “Vuol dire che non mi conosci abbastanza bene. Non ti ricordi che male ti facevo con dei semplici noccioli di pesche?”
“Avà, Tina” sbottò, esausto. Non era in vena di giocare.
“Il mio cuginetto smutandato è conteso tra due donne” lo canzonò lei, cercando di buttarla sul ridere.
“Ma quale smutandato e quali donne. Non c’è nessuna contesa” provò a liquidarla. 
“Rocco, non hai dormito e la crostata è ancora tutta lì” gli disse indicandogli il piatto con lo sguardo, come se fosse la prova inconfutabile del fatto che lei avesse ragione, qualsiasi fosse la sua idea. Sin dai tempi dell’infanzia, la caratteristica che aveva maggiormente contraddistinto Rocco era l’amore per il cibo. Quando non mangiava, lì significava che qualcosa non andava e chi lo conosceva ormai lo sapeva fin troppo bene.
“E allora? E’ colpa tua e di quella cosa che mi hai fatto bere ieri” si giustificò con una smorfia. 
“Certo, certo. E’ anche colpa mia la sceneggiata che avete fatto tu e Irene? Se prima ero solo io ad avere qualche dubbio, adesso li avete tolti a tutti quanti” Tina continuò a sventolargli il coltello davanti alla faccia.
“A finisci cu stu coltello” rispose lui afferrandole la mano per sfilarglielo dalle dita e poggiarlo sul tavolo. Ignorò il resto delle sue neanche tanto velate allusioni. 
“La finisco quando mi dirai tutta la verità” gli disse lei con aria minacciosa. Non aveva bisogno di un coltello per incutergli timore, il suo sguardo faceva tutto il lavoro al posto suo. 
“Irene non vuole” si strinse nelle spalle lui, giustificando così il proprio silenzio. La verità era che non aveva voglia di parlarne, ma usare Irene come scusa era molto più semplice, dato che non era lì per difendersi. 
“E perché non vuole, sentiamo. Allora è vero che avete qualcosa da nascondere” lo punzecchiò lei, toccandogli i fianchi con le dita.
“Avà. Ma che nascondere e nascondere. Che c’entra che abbiamo qualcosa da nascondere, no” ribatté Rocco con un gesto della testa, allontanandosi dalle grinfie di sua cugina. Il principale difetto di Tina era che non riusciva ad accettare un no come risposta. Era invadente e, soprattutto insistente, e non capiva mai quando era il momento di fermarsi per evitare di oltrepassare il limite. E sebbene ai suoi occhi quello doveva essere solo un gioco per lei, non lo era per Rocco. Né per Maria o Irene. Ne andava delle loro vite e lui non aveva affatto voglia di scherzare.
“E allora parla, mamma mia! Ti devono tirare fuori le cose con le pinze?” domandò Tina esasperata. “Tanto lo sai che prima o poi scopro tutto, quindi tanto vale togliersi il pensiero, no?”
“Ma tu perché ti devi mettere in mezzo, me lo spieghi? Che ci fai qua? Dov’è to maritu?” le domandò spazientito. Perché doveva immischiarsi nella sua vita, non aveva di meglio a cui pensare?
Tina trasalì, irrigidendosi di colpo. “Che c’entra, non si stava parlando di me.”
“Eh, certo. Siete tutti bravi qua a dare consigli quando le cose non vi riguardano. Pure to frati tanto bravo a dirmi cosa fare e cosa non fare però, quando si trattava di Gabriella, mutu. E col muso lungo per mesi” sbottò Rocco, gesticolando più del solito in preda alla collera. 
“Perché è più facile dare consigli agli altri che applicarli noi stessi. E poi dall’esterno vediamo le cose con più lucidità” il tono di voce di Tina si addolcì, portando Rocco ad abbassare per un attimo le difese. 
“E che vedi, sentiamo?” domandò curioso, cercando di nascondere l’imbarazzo.
“Vedo che stai facendo una sciocchezza. Vedo che non sei felice. E vedo soprattutto come guardi lei” gli disse avvicinandosi per prendergli il mento con una mano e spingerlo a fissarla negli occhi. 
“Lei chi?” chiese Rocco, sebbene sapesse perfettamente a chi sua cugina si riferisse.
“Ma come lei chi! Tu fai il finto tonto per non pagare dazio, ammettilo” rispose sua cugina con irritazione.
Rocco inspirò profondamente, cedendo sotto al peso di quelle parole e di una verità che in fondo aveva sempre saputo anche da solo.
“Tina, io non lo so che devo fare” si accasciò su una sedia, finalmente sincero sui propri sentimenti.
“E non te lo posso dire io cosa devi fare. Ti sei infilato in un gran casino, però, questo posso dirtelo” iniziò a scuotere la testa sconsolata. “Devi solo farti una domanda: tu chi è che vuoi? Con chi immagini il tuo futuro? Non farti influenzare dagli altri. E non fare la scelta sbagliata, perché lo sai che una volta presa non potrai più tornare indietro” gli consigliò. Lei e Sandro stavano vivendo uno dei momenti peggiori da quando avevano iniziato a frequentarsi. Non era sicura di come sarebbero andate le cose, era arrabbiata e ferita. Ma lei aveva una scelta. A Londra esisteva il modo per troncare quella storia e ricominciare. Rocco non avrebbe potuto farlo, specialmente se avesse deciso di sposare una ragazza tanto religiosa come lo era Maria. 
“Credevo ca chidda si vergognava di mia” rivelò a Tina, con aria imbronciata. 
“Lei chi? Irene? Beh, in effetti…” rispose lei. “Una come lei insieme a uno come te?” fece una pernacchia con le labbra.
“Avà” Rocco la guardò male. Se il suo obiettivo era aiutarlo, non ci stava riuscendo affatto. “Io volevo stare con lei e lei mi diceva che dovevamo prima conoscerci. Allora l’avevo invitata a uscire e mi diceva sempre di no. Ma io dico: come facevamo a conoscerci se non me lo faceva fare?” le spiegò, cercando approvazione nello sguardo di Tina. 
“E c’hai ragione pure tu” disse infatti sua cugina. “E quindi? Era per questo?”
“No” confessò, arricciando le labbra. “Ieri sera è venuto fuori che non era pi chistu. Anzi, pensa, si è pure offesa perché l’ho pensato” aggiunse Rocco con incredulità. 
“E allora cos’era? Mamma mia, Rocco, ce la fai a raccontare tutto in una volta?” Tina roteò gli occhi al cielo, spazientita. Lei voleva andare dritta al punto, conoscere ogni aspetto di quella storia, magari mentre si gustava una bella busta di caramelle come davanti a uno spettacolo del cinema, e invece Rocco non faceva altro che lesinare informazioni, facendosele tirare fuori dalla bocca con la forza.
“E non lo so picchì!” rispose lui di getto, arrabbiato. “Non me l’ha detto. Poi è arrivata Maria…” Già, Maria. Al pensiero di dover parlare con lei, a Rocco si chiudeva ulteriormente lo stomaco.  
“A proposito di Maria. Non puoi sposarla, Rocco” disse Tina con leggerezza, come se gli avesse appena intimato di non accoppiare una certa camicia con un paio di pantaloni. Tina non era una persona leggera e superficiale, pensava anche lei alla reazione della povera Maria e, soprattutto, di tutta la sua famiglia. Rocco aveva certamente peccato di ingenuità, ma questo non voleva dire che dovesse pagare quell’errore per tutta la vita. Era meglio farla soffrire adesso, che per gli anni a venire.
“Ma va finiscila” tornò ad alzarsi dalla sedia. Si avvicinò all’attaccapanni e afferrò il soprabito. Aveva bisogno di un poco di aria e di tempo per capire cosa fare. Voleva parlare con Irene, voleva finalmente capire tutto, ma sapeva che in quel momento l’avrebbe trovata al lavoro e non sarebbe stato il luogo adatto in cui avere quel tipo di conversazione. 
“Rocco, non la ami. Non è giusto” gli urlo prima che lui si richiudesse la porta alle spalle, lasciandola da sola con una voglia matta di caramelle.

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Rocco era rientrato in casa dopo un’oretta in cui aveva vagato senza meta per la città. Si era tenuto a debita distanza dal magazzino, dato che il signor Armando lo sapeva a casa a riposare. Quella camminata, tuttavia, non gli aveva aperto gli occhi e non aveva portato consiglio. Non sapeva ancora cosa avrebbe dovuto fare. Se il suo cuore lo portava verso una direzione, la sua mente lo trascinava da tutt’altra parte. Come avrebbe potuto mettere fine al fidanzamento con Maria dopo tutto quello che era successo? E se l’avesse fatto, nulla gli avrebbe assicurato che dall’altra parte avrebbe trovato Irene ad aspettarlo. Anzi, era più probabile che lei non ne volesse sapere più niente di lui, specialmente adesso che aveva quel Lorenzo nella sua vita. Come poteva competere con un uomo interessante, elegante, con una professione tanto entusiasmante? Rocco era un banale magazziniere illetterato che si divertiva a pedalare su due ruote, niente di più e niente di meno. Non aveva niente da offrirle, eccetto se stesso. E quel poco che aveva non era abbastanza per lei. L’idea di un suo rifiuto lo aveva frenato e impaurito tanto da portarlo a compiere una scelta che in cuor suo sapeva già fosse sbagliata sin dal principio. Ma se non poteva avere ciò che voleva, se continuava a commettere errori di valutazione che lo portavano a scegliere le donne sbagliate, non poteva fare altro che scegliere quella che tutti gli dicevano fosse quella giusta per lui, solo così non avrebbe fatto scontento nessuno. Nessuno, eccetto se stesso, e solo adesso iniziava a rendersene conto. 
Sul ballatoio fissò pensieroso la porta accanto alla loro. L’appartamento che Irene e Maria condividevano. Ripensò alla cena di Maria dalla quale si era defilato settimane prima quando aveva capito che Irene non ci sarebbe stata. Ripensò ai suoi tentativi di convincere Irene a uscire con lui. Rivide davanti a sé il momento in cui aveva chiesto a Maria di sposarlo e quello in cui si era accorto di Irene affacciata alla porta che osservava l’evento. Aveva creduto davvero di non interessarle, che lei non provasse assolutamente nulla per lui, perché si era prodigata tanto per farglielo credere. Eppure la discussione della sera prima gli aveva fatto credere il contrario. Rocco non era una persona perspicace, lo ritenevano tutti un tontolone capace di farsi rivoltare come un calzino da chiunque. Ma quella sera aveva avvertito qualcosa di diverso, qualcosa che lo aveva portato a rivalutare ogni aspetto della sua vita. 
Infilò le chiavi nella toppa e si richiuse la porta alle spalle, poggiandovisi sopra sconsolato, come un’anima in pena. L’appartamento era vuoto, Tina era andata chissà dove, lasciandogli la possibilità di riposarsi senza ulteriori provocazioni. Rocco si sfilò le scarpe e si buttò a peso morto sul materasso e, nonostante fosse stanco, si rigirò sulle lenzuola per qualche tempo, prima di riuscire finalmente a prendere sonno. Non aveva idea di che ora fosse e quanto avesse dormito, sapeva solo che una voce proveniente dalla stanza principale lo aveva appena svegliato. 
Rocco sbadigliò assonnato, tendendo l’orecchio fuori dalla porta e riconoscendo la voce di suo zio. Si stiracchiò, ma non si alzò dal letto. Il rapporto con suo zio era ancora troppo teso e Rocco non aveva intenzione di affrontarlo, preferiva fingere di essere ancora addormentato così da non dovergli parlare. 
“Stia tranquillo, Puglisi, Rocco farà come gli dico io” sentì suo zio urlare al telefono. Rocco immediatamente si mise a sedere, accostando l’orecchio alla porta della camera da letto.
“Ca cettu, figuratevi. Un accordo è un accordo. Ci penserà Rocco alle terre. Tanto suo padre l’ha già addestrato come si deve” ridacchiò lui, riferendosi al nipote come se si trattasse di un cane da pastore e non di un essere umano con dei sogni e delle idee tutte sue. 
A Rocco si raggelò il sangue nelle vene. Rimase lì fermo e incredulo per qualche istante. Accordo? C’era un accordo tra suo zio e il padre di Maria? Improvvisamente tutto diventò più chiaro e capì perché suo zio avesse spinto tanto per fargli sposare Maria. Iniziò a chiedersi se anche sua zia Agnese ne fosse a conoscenza e ci fosse pure il suo zampino in quella unione. Da due anni tutti non facevano che spingerlo tra le sue braccia, tessendo le lodi di Maria, facendogli il lavaggio del cervello. Quanto c’era di suo nella decisione di sposarla? E quanto invece era stato un pensiero indotto da tutti loro? Si sentì un burattino, manovrato da un lato e dall’altro a proprio piacimento, e lui troppo ingenuo per accorgersene. Era uno stupido. Non era padrone del proprio destino, tutti volevano decidere per lui, tutti credevano di sapere meglio di lui cosa fosse più giusto. Rocco deglutì a fatica, con la mano appoggiata alla maniglia. Non poteva nascondersi lì dentro, aveva bisogno di sapere, di sentire la verità. La abbassò e aprì la porta di scatto, facendo trasalire suo zio. 
“Rocco! Chi ci fai ca? Mi facisti scantari” Giuseppe la prese sul ridere, mentre lo sguardo di Rocco era inequivocabile. “Devo richiamarvi” si affrettò a dire al telefono, riagganciando rapidamente la cornetta. 
“Era il padre di Maria? Chi vuleva?” Rocco domandò serio.
“Ma niente, sai, i preparativi per il matrimonio. Cose così” cercò di liquidare l’argomento, nella speranza che suo nipote lasciasse perdere.
“Ormai non mi ci pigghi più in giru” disse Rocco puntandogli il dito contro. Lo aveva anche preso nella giornata sbagliata. Era preoccupato e nervoso per tutte le domande che gli frullavano per la mente e per quella nottata insonne. Non era più disposto a farsi trattare da stupido e incapace da tutti loro. “Cos’è ‘sta storia delle terre, ah? Iu a Partanna non ci torno” gli intimò lui.
“E invece è quello che farai perché è quello che vuole il padre di Maria. O così, o non te la sposi proprio” gli urlò Giuseppe, inconsapevole di avergli offerto su un piatto d’argento la via di uscita al suo dilemma interiore.
“Ah sì? Allora ci dici che non si ni fa nenti” Rocco si strinse nelle spalle. 
“Stai babbiando? Tu pigghisti un impegno con Maria e con suo padre e ora lo rispetti!” gli urlò contro, tornandogli a un palmo dal naso come l’ultima volta. Ma Rocco non avrebbe reagito allo stesso modo. Iniziò a respirare profondamente, cercando di contare fino a dieci come gli aveva detto il signor Armando. 
“La vita è a mia e decido io che voglio fare, chi sposare” gli rispose, fissandolo negli occhi con sfida. “Chi amare.”
“Ma quale amore e amore. Ma chi ni sai tu dell’amore” scoppiò a ridere con la sua aria da uomo vissuto che derideva l’ingenuità tipica dei giovani.  “Per caso c’entra quella…”
“Attento a chiddu ca rici” Rocco lo mise in guardia. L’ultima volta non aveva reagito bene alle accuse rivolte a Irene.
“Ah, mi vo fari scantari?” Giuseppe lo guardò serio, ma a tratti ancora divertito per quella ennesima presa di posizione. “Chiddi su fissarii, Rocco, la vita vera è un’altra cosa. Tu hai preso un impegno e lo rispetti. Altrimenti qui dentro non ci torni” gli intimò minaccioso. 
“E allora non ci torno” Rocco si strinse nelle spalle.
“Avaia, Rocco, vedi di finirla cu ‘sta storia” gli intimò Giuseppe, che adesso iniziava a preoccuparsi sul serio che il nipote potesse cambiare davvero idea. Se avesse rotto il fidanzamento, ne avrebbero parlato per tutta Partanna negli anni a venire e avrebbe rovinato la povera Maria, oltre che il suo progetto di arricchimento. Aveva un accordo con il signor Puglisi e non poteva permettere che Rocco glielo mandasse a monte per una insulsa ragazzetta. 
“Non ci pensi a Maria, ah? A chiddu ca dirannu o paisi? Ai suoi genitori? Ci facisti na promessa” gli ricordò lui. “Ti sei fidanzato cu Maria e ora te la sposi, fine della discussione.” Si allontanò con calma, decretando chiuso l’argomento. Tirò fuori dalla tasca uno dei suoi sigari e lo accese, come se niente fosse. Rocco rimase fermo a fissarlo, incapace di proferire parola, spiazzato da quell’ennesimo voltafaccia. Suo zio però su una cosa aveva ragione. L’aveva messa in una posizione difficile, ed era l’ultima cosa che desiderava. Nonostante tutto ci teneva a lei. Però il suo posto non era a Partanna, il suo posto era lì. Questa era l’unica cosa di cui Rocco era assolutamente certo e non aveva mai dubitato.
Inspirò profondamente, continuando a fissare suo zio che non lo degnava più di uno sguardo. Per tutta la sua vita Rocco aveva seguito gli insegnamenti e le direttive di chi aveva più autorità di lui. Da piccolo obbediva al padre che, con o senza l’uso della forza, lo obbligava a seguire le sue regole. Lavorava nei campi, andava dietro alle pecore e non poteva studiare, perché era troppo stupido per farlo. Adesso sapeva che non era così. Non era troppo stupido, era una forza lavoro troppo utile, nonché gratuita, perché suo padre potesse privarsene. Arrivato a Milano aveva seguito i consigli di sua zia Agnese, che da suo padre l’aveva strappato per concedergli una vita migliore. Doveva essere grato a lei e a quell’opportunità che gli aveva offerto. Senza sua zia sarebbe rimasto un ignorante contadino di Partanna. 
Tuttavia, prima di arrivare a Milano, Rocco non aveva mai preso una decisione che fosse sua e soltanto sua. Scegliere con chi correre era stato il suo primo e vero atto di ribellione, una sorta di emancipazione tardiva. Le parole di Irene ogni tanto gli risuonavano nella mente: ‘l’importante è che quello scontento non sia tu’. Non aveva mai visto la vita da quella prospettiva. Per lui l’importante non era la sua felicità, ma che le persone nella sua vita fossero contente. Voleva evitare conflitti e la paura di deludere chi gli voleva bene lo portava ad assecondarli sempre, mettendo da parte se stesso e i propri desideri in favore dei loro.
Per tutta la sua vita Rocco aveva cercato di compiacere gli altri, anziché se stesso, ma adesso non più. Si sentiva come un uccellino che finalmente era riuscito ad aprire la porta di quella gabbia in cui era nato e cresciuto e volare via, nel vento, libero. Sarebbe caduto, si sarebbe fatto male, ma sarebbe stata una sua scelta e non avrebbe avuto nessuno da recriminare se non se stesso. Doveva prendersi quelle responsabilità da cui fino a quel momento era rifuggito e accettare la possibilità di commettere errori talvolta imperdonabili. Era questo che significava essere un adulto, glielo aveva insegnato Irene. Non sapeva se l’avrebbe trovata dall’altro lato di quella porta, e avrebbe mentito se avesse detto che non gli importava. Ma doveva prendere quella decisione a prescindere da lei. Lo doveva a se stesso. Perché non poteva vivere una vita di rimpianti, chiedendosi sempre come sarebbe potuta andare se solo avesse trovato il coraggio di essere se stesso. Avrebbe avuto una bella vita accanto a Maria, di questo ne era certo. Solo che quella non era la vita che voleva vivere. Adesso lo sapeva.
Rocco diede un’ultima occhiata allo zio, poi drizzò la schiena e si incamminò verso l’uscita, senza dire una parola. 
“Dove stai andando? Oh, Rocco!” lo richiamò suo zio, ma lui non lo ascoltò. Sapeva già dove stava andando. Forse non era il luogo adatto, ma non poteva più aspettare. Aveva paura che più tempo passasse, più la forza e il coraggio di fare quello che avrebbe dovuto fare già da tempo sarebbero venuti meno. 

Si era incamminato di tutta fretta verso il Paradiso, senza guardarsi mai indietro. Era quello che avrebbe voluto fare d’ora in poi. Guardare solo avanti, al futuro. 
“Rocco, ti senti meglio?” aveva domandato il suo mentore vedendolo entrare in magazzino a passo spedito.
“Benissimo, signor Armà” rispose lui deciso, oltrepassandolo per raggiungere l’atelier. I suoi occhi incrociarono quelli di Irene mentre avanzava verso le scale. Lei, tuttavia, distolse lo sguardo, preferendo dedicarsi alla cliente di turno piuttosto che a lui. Era ancora arrabbiata. Rocco per il momento la ignorò. Avrebbe voluto correre da lei e dirle tutto quello che sentiva, ma sapeva che non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno. Doveva chiudere col passato, tagliare quel cordone ombelicale che fino a quel momento lo aveva nutrito e camminare con le proprie gambe. Da solo. O con lei.
“Maria, ti posso parlare un attimo?” le aveva chiesto affacciandosi timidamente alla porta.
“Adesso?” rispose lei scocciata. La serata precedente aveva aperto gli occhi anche a lei. Una parte di sé, tuttavia, aveva sperato di non veder arrivare mai quel momento. Avrebbe voluto fare finta di niente, ignorare quella vocina nella testa che le diceva quello che di lì a poco avrebbe sentito con le proprie orecchie. Voleva fingere che non fosse vero: se l’era immaginato, era paranoica. Perché la verità era troppo grande e dolorosa da accettare.
“Adesso” ribatté deciso. Ora che aveva trovato il coraggio di farlo, non poteva tirarsi indietro.
“Vai, Marì, qui finisco io” disse Agnese con sguardo comprensivo, ignara del motivo di quella visita, o altrimenti non l’avrebbe lasciata andare via con tanta facilità. 
Maria, riluttante, si alzò dalla sedia, appese il camice e uscì con un macigno sul cuore.
Rocco la invitò ad allontanarsi, non poteva affrontare quella conversazione lì dentro, con sua zia a pochi passi da lui. Attraversarono nuovamente la galleria e gli occhi indagatori di Irene. Ma Maria non la degnò di uno sguardo, andando dritta verso la porta insieme a Rocco.
“Maria, io…” iniziò lui dopo averla portata sulla panchina della piazzetta lì vicino. “Non è facile quello che devo dirti” aggiunse abbassando lo sguardo per vergogna.
“Senti, Rocco, facciamola breve. Tanto lo so già quello che devi dire” esordì Maria. Non era una stupida. Sebbene si fosse illusa per due anni, non era talmente cieca da non accorgersi di quello che c’era tra lui e Irene. Per tutto quel tempo aveva fatto finta di niente, catalogando il tutto come un semplice gioco. Per lei e per lui. Ma la scenata a cui aveva assistito la sera prima, il motivo per cui Rocco aveva dormito in magazzino, gli sguardi che gli aveva visto lanciare a lei e a quel Lorenzo. Tutti i pezzi del puzzle si erano incastrati per mostrare il quadro completo. E adesso le era tutto improvvisamente più chiaro. Rocco non amava lei, non lo aveva mai fatto. Nemmeno quando glielo aveva fatto credere. Abbassò lo sguardo su quell’anello che portava al dito e lo sfiorò con il pollice della stessa mano, facendolo ruotare attorno alla pelle per l’ultima volta. Era una ragazza del sud profondamente legata alla religione e alle tradizioni, ma non tanto da sacrificare se stessa con un uomo che non la amava. Non avrebbe fatto storie, non si sarebbe messa a piangere, urlare e strepitare. Non perché non fosse arrabbiata e delusa, ma perché lui non meritava di vedere quella parte più profonda di sé. L’aveva calpestata, l’aveva presa in giro e l’aveva messa nella posizione peggiore che potesse esserci. Non aveva idea di come avrebbe dovuto spiegare a suo padre che quel matrimonio non ci sarebbe stato. Sentiva già le comari del paese parlare di lei e di quello che era successo, gettando fango sull’intera famiglia. Suo padre non lo avrebbe perdonato né a lei e né agli Amato e l’avrebbe richiamata a Partanna senza possibilità di replica. Eppure, nonostante avrebbe potuto provarci, Maria non lo avrebbe legato a sé con la forza. Non si sarebbe umiliata fino a quel punto. Aveva abbastanza orgoglio e amor proprio da capire che era arrivato il momento di farsi da parte. 
Rocco chinò la testa e fissò anche lui quell’anello che le aveva regalato solo un paio di settimane prima. Si vergognava di se stesso per essersi spinto tanto in là, commettendo il più grosso sbaglio della sua vita. Ma non poteva non tirarsi indietro e commetterne uno addirittura peggiore.
“Maria, però io non ti ho mai presa in giro, te lo giuro” provò lui, poggiando una mano sulla sua. Lei la tirò via, sfilandosi rapidamente l’anello come se improvvisamente scottasse. 
“Ah no?” si voltò rabbiosa verso di lui. I baci con Irene erano avvenuti prima del loro fidanzamento. E lei era stata abbastanza stupida da credergli quando diceva che non erano contati niente. “Mi hai chiesto di sposarti, hai pure chiamato mio padre a Partanna. Ora mi dici che ci hai ripensato e non mi hai presa in giro? Anzi, non hai avuto nemmeno il coraggio di dirmelo, te l’ho anticipato io! Avanti, dimmelo” disse Maria tenendo l’anello tra le dita e piazzandoglielo davanti al viso. 
“Io ho sbagliato. Ma ci tengo a te, davvero. E pensavo che potevamo stare insieme, che era te che volevo perché eri quella più giusta per me” le spiegò con gli occhi lucidi. “Ma non basta venire dallo stesso paese, Marì. Io non voglio tornare a Partanna, io voglio andare avanti. Il mio posto è qua” le spiegò.
“Ma chi te l’ha mai chiesto di tornare a Partanna? Anche il mio posto è qua. O almeno lo era” gli fece notare lei con rammarico. 
“Tuo padre e mio zio hanno fatto un accordo, Marì. Ci hanno fatti mettere insieme per sistemare le terre” le raccontò, sperando che questo aprisse gli occhi anche a lei. 
Maria lo guardò confusa, poi sorrise amareggiata, scuotendo la testa. “Loro ci avranno fatto mettere insieme, Rocco. Ma io non mi sono innamorata di te perché me lo ha detto qualcun altro” gli rispose. “Tu invece perché l’hai fatto? Perché io ti volevo e lei no e allora sei venuto da me? Ma non ti vergogni? E ora che fai? Mi stai lasciando perché lei ti ha promesso qualcosa?” 
“Sì, mi vergogno assai, Marì” rispose lui d’istinto. “Ma Irene non mi ha promesso niente. Io non lo so nemmeno se mi vuole. Però non era giusto prendere in giro te” le fece notare. In quel preciso istante lo sguardo di Maria si addolcì per qualche frazione di secondo. Se non altro apprezzava la sincerità. Avrebbe potuto tenersela buona in attesa di una risposta affermativa di Irene, invece aveva avuto il coraggio di prendersi le proprie responsabilità. Ma non bastava. Quel momento di magnanimità durò solo qualche istante, perché dopo sul suo volto tornò a fare capolino il comprensibile risentimento. 
“Potevi pensarci prima, Rocco. Tieni” gli disse schifata, prendendogli la mano per lasciargli dentro l’anello di fidanzamento. Poi, senza nemmeno guardarlo in faccia, si alzò e si incamminò di nuovo verso il Paradiso. Con la testa piena di pensieri e il cuore pesante. Non aveva idea di cosa avrebbe detto ad Agnese, né come avrebbe affrontato l’argomento con suo padre. La sua vita era diventata improvvisamente un’enorme incognita. Nonostante la cocente delusione, non voleva tornare a Partanna. Non voleva affrontare le malelingue, le ramanzine di suo padre, i suoi fratelli scalmanati e la prospettiva di un matrimonio arrangiato in fretta e furia per cercare di seppellire i pettegolezzi. A questo Rocco non aveva pensato quando aveva deciso di giocare con la sua vita. E sebbene una grossa parte di sé lo odiasse per quello che le aveva fatto, un’altra non poteva non apprezzare il suo coraggio. Era lo stesso che avrebbe voluto avere lei nel ribellarsi alla sua famiglia e decidere di rimanere a Milano, contro tutto e tutti. Se ce l’aveva fatta Rocco, forse poteva farlo anche lei. 

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Se il frullare dei pensieri avesse avuto un rumore, Irene avrebbe trovato assordante quello della sua compagna di stanza. La immaginava sul letto a rimuginare sulla confessione che le aveva fatto, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare di diverso per cambiare il corso degli eventi. Irene si era già pentita di aver scaricato su di lei parte di quella colpa, quando in realtà era consapevole fosse solo ed esclusivamente sua. Stefania aveva influito, ma non era stata il motivo per cui Irene aveva deciso di allontanarsi da Rocco. In cuor suo sapeva che l’avrebbe fatto in ogni caso, pur avendo il suo supporto. Ciò che l’aveva mossa era stata la paura, più che i possibili giudizi. Era stata solo lei l’artefice del proprio destino. L’unica su cui riversare ogni colpa.
Quella mattina non aveva visto né Rocco e né Lorenzo e, fortunatamente, nemmeno Maria, che aveva deciso di uscire di casa prima di tutte e rintanarsi in atelier. Irene le era grata per averle risparmiato l’ennesimo confronto che nessuna delle due aveva voglia di avere. Tuttavia, non era stata altrettanto fortunata con Tina, che l’aveva braccata all’uscita dallo spogliatoio dopo la pausa pranzo. 
“Puoi restare un attimo?” le aveva chiesto, mentre le sue colleghe si allontanavano parlottando tra di loro, ipotizzando di cosa dovessero parlare le due. Avevano notato un clima strano nell’aria, ma non erano ancora in grado di determinare quale fosse la causa, essendo all’oscuro dei retroscena che vedevano protagonisti Rocco e Irene. Solo Dora era venuta successivamente a conoscenza di quel flirt, ma non ne aveva fatto menzione con le altre, sotto specifica richiesta di Irene, che non voleva che si sapesse per non mettere ulteriormente in difficoltà Maria. 
“No, tu resta” chiese poi a Stefania, che si voltò sorpresa e preoccupata.
“Mi volevo scusare con voi per aver insistito ieri” esordì con aria afflitta. Si sentiva in colpa  perché aveva visto tutto come un gioco divertente, una distrazione dai propri pensieri e problemi, senza pensare che dall’altra parte c’erano delle persone con dei sentimenti che avrebbero sofferto se quella storia fosse venuta a galla. Una su tutte Maria. “Non era una questione che mi riguardava e ho messo in difficoltà Stefania” disse poi, portando la mora a irrigidirsi sulla sedia e strabuzzare gli occhi, in attesa della reazione di Irene. 
“Scusa, scusa, non volevo dirle tutto, è che…” la pregò Stefania.
Irene la guardò come se volesse strozzarla, ma poi si addolcì. “Tanto scommetto che l’aveva capito comunque, non è vero?” domandò a Tina.
“Appunto, non è che siete stati proprio discreti. Soprattutto quel babbo di mio cugino” ridacchiò lei. “A proposito, stamattina ho parlato con lui” aggiunse dopo, spiazzando entrambe. “Oggi non è venuto al lavoro perché sembrava lo avesse investito la corriera” ridacchiò, prendendolo in giro. 
Irene arricciò le labbra in un’espressione dispiaciuta. Evidentemente quella nottata era stata difficile per entrambi. Si domandò se lei avesse a che fare col suo malumore, o se invece era solo preoccupato di aver potenzialmente compromesso il rapporto con Maria.
“Ma sta bene?” chiese Stefania preoccupata.
“Fisicamente sì. Qui un po’ meno” rispose toccandosi il petto per indicarle il cuore. “Io non lo so cosa c’è stato effettivamente tra di voi, né quali sono stati i motivi che ti hanno spinto ad allontanarti e non me li devi dire per forza. Ma se provi qualcosa per lui, sappi che Rocco prova lo stesso” disse Tina. Si stava intromettendo ancora una volta, ma se conosceva abbastanza bene suo cugino, immaginava che non avrebbe trovato il coraggio di prendere una decisione al più presto. Si sarebbe fatto condizionare dai suoi, o da Maria stessa. Ma se avesse saputo che Irene era ancora una valida possibilità per lui, forse sarebbe bastato a smuovere le cose nella giusta direzione. A dirla tutta, Tina non aveva preferenze. Conosceva poco Maria, ma si erano frequentate sin da bambine. Non voleva che soffrisse per quella storia, non lo meritava. Sarebbe certamente stata una moglie più adatta a uno come Rocco e avrebbe reso felici tutti i suoi familiari. Ma Tina aveva imparato che non sempre era così semplice. Il cuore andava spesso per conto proprio, senza dare retta alla ragione. 
“Te l’ha detto lui?” chiese Irene, perplessa dall’improvvisa onestà di Rocco. 
“Non a parole, ma lo conosco. E’ mio cugino. In famiglia sono l’unica che lo conosce come le proprie tasche. Se sto intervenendo non è per farmi i fatti vostri, ma perché so che non è bravo con le parole e volevo che tu lo sapessi” le spiegò, stringendosi nelle spalle, prima di avviarsi verso l’uscita. “Ma ti metto in guardia: se stai giocando con lui, lascialo perdere. Non è la persona con cui fare certi giochetti. O te la vedrai con me” aggiunse Tina, puntandole due dita contro prima di richiudersi la porta alle spalle. 
“Irene!” esclamò Stefania entusiasta dopo essere stata lasciata sola con la sua amica. “Non è una bella notizia?”
Irene deglutì a fatica, cercando di reprimere quel nodo che avvertiva in gola. Perché Tina le aveva detto quelle cose? Cosa pretendevano che facesse? Che corresse da lui a implorarlo di darle un’altra possibilità? Non sarebbe stata lei l’artefice della rovina di quel matrimonio.
“Stefania, questo non cambia niente” inspirò profondamente, rimettendosi la sua solita maschera di indifferenza. Si avvicinò allo specchio per sistemarsi la divisa e uscì dallo spogliatoio, lasciando Stefania interdetta. 

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L’orgoglio era uno dei più grandi difetti di Irene. Non avrebbe mai ammesso qualcosa senza avere la certezza di trovare approvazione dall’altro lato. L’idea di correre da Rocco e confessargli tutta la verità, le sembrava intollerabile. Cosa avrebbe fatto se lui le avesse detto che avrebbe comunque sposato Maria? Cosa se ne sarebbe fatto delle sue parole? 
Non riusciva a smettere di pensare al discorso di Tina mentre si avviava verso l’uscita con le sue colleghe, a braccetto con Dora e Stefania. 
“Irene” la chiamò Lorenzo, appoggiato alla sua auto con una sigaretta tra le dita. 
“Ciao” rispose lei avvicinandosi, lasciando le sue due amiche qualche passo più indietro. Lorenzo buttò per terra la sigaretta, la spense con la suola della scarpa e poi le cinse la vita con una mano, baciandole una guancia. 
“Torno a casa con le altre” la informò Stefania con un sorriso imbarazzato, mentre faceva un cenno con la testa a Lorenzo a mo’ di saluto.
“Buonasera, Stefania” ricambiò lui, mentre lei si accodava al resto del gruppo. Maria sopraggiunse in quel momento, accorrendo per raggiungere le altre. Rivolse solo un rapido sguardo a Irene, che lei non riuscì a decifrare. 
“Devo ancora chiederti scusa o…” disse Lorenzo imbarazzato, mentre Irene si lasciò scappare un sorriso, abbandonando il broncio che gli aveva tenuto dal giorno precedente.
“Non ti sei ancora messo in ginocchio, in effetti” rispose lei scherzando. 
“Lo farei, ma non vorrei rovinarmi i pantaloni. Non immagini quanto mi siano costati” ironizzò a sua volta. Irene sorrise nuovamente, appoggiandosi anche lei all’auto, uno accanto all’altra a fissare un punto imprecisato davanti a loro. 
“In primavera fa buio troppo tardi” le fece notare dopo qualche istante. “Dobbiamo aspettare un’oretta per la nostra conversazione a cuore aperto o possiamo iniziare lo stesso?” cercò di allentare la tensione, ricordando il dialogo che avevano avuto il giorno in cui si erano scambiati il primo bacio, approfittando dell’intimità della notte. 
“Dipende cosa hai da dire” Irene si mordicchiò il labbro inferiore.
Irene sentì lo sguardo di Lorenzo su di sé per qualche secondo, poi sospirò e tornò a guardare distrattamente la gente che camminava sui marciapiedi. Il passo spedito di chi sperava di rientrare a casa in tempo per la cena, dalle proprie famiglie o forse da soli, proprio come lo era lui. 
“Credo che sia meglio chiuderla qui” disse diretto, senza giri di parole. 
Irene si voltò di scatto verso di lui, sorpresa dalla piega di quegli eventi. Sentiva una strana sensazione al livello del petto. Un senso di nostalgia, misto a tristezza, che portò i suoi occhi a inumidirsi di lacrime contro il suo controllo. Tirò su col naso e annuì.
“E’ per la scenata di ieri?” gli chiese dubbiosa. 
“Non è per la scenata di ieri, Irene. E’ perché non sono io la persona che vuoi” disse come se fosse una cosa assodata. Non avrebbe voluto prendere quella decisione ed era certo che le cose sarebbero andate diversamente tra di loro se non ci fosse stato quel ragazzo nella sua vita. Lorenzo non era talmente romantico da affermare di avere davanti la persona giusta. Dopotutto, trovava una sciocchezza l’idea che ci fosse una sola persona per ogni essere umano. Un'anima gemella. Piuttosto era convinto che ognuno fosse padrone della propria vita, e che fosse tutto l’insieme delle proprie scelte e delle rispettive conseguenze a portare verso una direzione o un’altra. Sapeva solo che, in un altro momento, gli sarebbe piaciuto cercare di far funzionare le cose. Quantomeno sarebbe valsa la pena provarci. 
Irene lo guardò per un attimo, poi distolse lo sguardo e fissò davanti a sé. Lorenzo aveva ragione, ma quanto odiava che l’avesse. Avrebbe tanto voluto ricominciare con lui, lasciarsi alle spalle Rocco e tutto quello che comportava e andare avanti, senza mai guardarsi indietro. Sarebbe stato tutto più facile.
“Non è vero” gli rispose. “Sei la persona che ho sempre voluto. Sai, da ragazzina sognavo di sposare un uomo esattamente come te. Non ero come tutte le ragazzine che sognavano le storie d’amore che si leggevano nei romanzi, non volevo essere la principessa ingenua che veniva portata in salvo dal principe di turno, io sognavo solo di andare via da quella casa che mi stava troppo stretta” gli spiegò continuando a fissare l’asfalto. “Volevo qualcuno che accettasse me e la mia infinita lista di difetti, qualcuno che forse un po’ mi somigliasse, così da non dover cambiare per compiacerlo, come invece voleva mio padre. E vivevo coi piedi ben piantati per terra, convinta che la vita non fosse fatta per due cuori e una capanna” continuò sfiorandogli la mano con le dita, ma senza mai voltarsi verso di lui. 
“Lorenzo, la verità è che tu sei esattamente la persona che ho sempre voluto. Ma non sei la persona di cui ho bisogno” disse infine, dandogli ragione. Aveva bisogno di essere messa alla prova, aveva bisogno di una persona che non si limitasse a comprenderla con accondiscendenza, ma che cercasse costantemente di migliorarla, facendole notare dove sbagliava. Aveva bisogno di qualcuno che le tenesse testa, ma che all’occorrenza fosse capace, con dolcezza e con fermezza, di smussare quegli angoli spigolosi del suo carattere che spesso la portavano a farsi terra bruciata. Aveva bisogno dell’unica persona che non aveva mai creduto potesse starle accanto. Aveva bisogno di Rocco.

Solo in quel momento si voltò verso di lui e lo vide annuire comprensivo. Insieme a Lorenzo, Irene si stava lasciando alle spalle tutto quello in cui per anni aveva sempre creduto. Si stava rimettendo in gioco e questo la spaventava. Lorenzo non era l’uomo sbagliato. Era la persona giusta, per la persona che era stata, non per quella che era diventata. Le piaceva immaginare che in un’altra realtà potessero essere felici insieme. Ma non ora. Non adesso che c’era un’altra persona a occupare il suo cuore e la sua mente.
“Buona fortuna, Irene” disse lui dopo qualche minuto di silenzio in cui le loro mani si erano unite, prima di allontanarsi definitivamente. 
“Anche a te” rispose lei, mettendosi in punta di piedi per lasciargli un bacio su una guancia. “Mi dispiace.”
“Non devi” le sorrise lui, stringendola a sé, facendole infine una veloce carezza sulla guancia. Poi entrò dentro la sua auto, mise in moto e partì, senza mai guardarsi indietro. Lorenzo non era il tipo da rimuginare sul passato. La sua mente lo portava sempre avanti a nuove passioni, nuove idee, nuove opportunità. Lui e Irene non erano destinati a percorrere la stessa strada insieme, ma solo un piccolo, brevissimo tratto. E, in fondo, andava bene così. 
 

Mentre vagava pensieroso per il quartiere, in attesa che Irene finisse il proprio turno e avesse modo di parlarle, Rocco aveva comprato una rosa su una bancarella. Non sapeva ancora cosa dirle esattamente, né quale sarebbe stata la reazione di lei. Ma intendeva provarci. 
Osservò pensieroso i soffici petali di quella rosa gialla che teneva tra le dita, con lo stomaco sottosopra nonostante non avesse praticamente mangiato nulla da quella mattina. Si sentiva tremare le gambe mentre avanzava piano verso l’uscita laterale del Paradiso, con il cuore che gli martellava in petto e il respiro che gli si mozzava in gola in preda a un attacco di nervi. 
Non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco, ed era proprio la paura di un possibile rifiuto a fargli tremare la terra sotto ai piedi. Cosa avrebbe fatto se lei gli avesse detto di no? Se lui le avesse aperto il proprio cuore e lei avesse deciso di non accettarlo? Non poteva fargliene una colpa. Si era spinto troppo in là. Eppure non sopportava l’idea di un ennesimo rifiuto. 
Poi d’un tratto i suoi piedi smisero di proseguire e la salivazione si arrestò di colpo. Irene era lì insieme a quel Lorenzo. Appoggiati alla macchina di lui, si tenevano per mano e parlavano. Rocco era troppo distante per sentire cosa si stessero dicendo. Fissò la macchina e poi quella singola e misera rosa che non era nemmeno rossa, come in genere si regalava, e si sentì a disagio. Rimase qualche istante a osservarli, e si irrigidì vedendo lei che gli stampava un bacio sulla guancia e lui che la abbracciava. Che cosa gli era passato per la testa? Irene era andata avanti. Forse non si vergognava, ma questo non voleva dire che provasse qualcosa per lui. Dopotutto non gli aveva mai spiegato il motivo per cui avesse deciso di farsi da parte. Rocco istintivamente indietreggiò di qualche passo, lo sguardo imbronciato e gli occhi persi nel vuoto. 
“Rocco, aspetta” sentì la voce di Irene giungergli alle orecchie proprio mentre si era voltato per andare via e l’auto di Lorenzo gli passava accanto. Lui tornò a guardarla, senza muoversi. Una distanza che sembrava invalicabile. Era andato lì con l’intenzione di dirle che voleva stare con lei, e invece l’aveva trovata tra le braccia di un altro. Lo sapeva. In cuor suo lo sapeva di non poter pretendere nulla, ma ci aveva creduto. Per un attimo aveva creduto che fosse ancora possibile, che esistesse una possibilità per loro due.
“Picchì? Per farmi dire che è lui che vuoi? Per farmi dire che non ho capito niente e ho sbagliato tutto? Per farmi dire che siamo troppo diversi? Questo me l’hai già detto” sbottò immediatamente, esasperato e fuori controllo. Aveva covato, nascosto e seppellito tutti quei sentimenti così tanto a lungo, che ormai non riusciva più a controllarli.
Dopo la conversazione con Lorenzo, Irene aveva deciso di essere sincera. Voleva fargli sapere che, nonostante lui avesse fatto un’altra scelta, lei provava ancora qualcosa per lui. Forse non sarebbe cambiato nulla, proprio come aveva detto a Tina, ma sapeva di doverlo fare per se stessa. Eppure, vedendolo inveire contro di lei, tutti i buoni propositi di Irene vennero meno. Come poteva prendersela con lei, quando era lui quello che stava per sposare un’altra? 
“Per dirti che sei uno stupido” esclamò, aggrottando la fronte e andandogli contro con rabbia. “Uno stupido che non ha mai capito niente, che mi ha giudicata e insultata” esplose lei colmando qualsiasi distanza. “E non importa se stai per sposare Maria, se alla fine hai scelto lei. Hai sminuito quello che c’è stato tra di noi, hai sminuito me e…” si fermò. Avrebbe voluto fargli sapere quanto le avevano fatto male le sue parole, quanto l’avessero ferita i suoi dubbi. Non la conosceva quanto aveva sempre creduto, o non avrebbe mai pensato che stesse rinunciando a lui perché non poteva darle quello che lui credeva desiderasse. Rocco non poteva sapere i reali motivi che si celavano dietro la sua scelta, ma Irene era stata abbastanza ingenua da sperare che le desse il beneficio del dubbio o quantomeno non la giudicasse così aspramente, come invece aveva fatto. Tuttavia, in quel momento non aveva il coraggio di ammetterlo e di mostrarsi tanto vulnerabile davanti a lui, o gli avrebbe dato gli strumenti per continuare a ferirla.
“La verità sai qual è, Irè? Che c’hai ragione” disse lui, spiazzandola. “C’hai ragione perché è vero, sugnu stupido” aggiunse. “Sugnu stupido perché ho fatto quello che volevano gli altri e non quello che volevo io” ammise con aria mesta. Il suo volto si addolcì. La rabbia e la delusione lentamente si trasformarono in imbarazzo e senso di colpa. “Irè, a me mi dispiace davvero per quello che ti ho detto. Non sei mai stata un allenamento” continuò Rocco con sguardo supplicante, trovando finalmente il coraggio di dirle tutto quello che sentiva, nonostante la paura di non essere ricambiato. Non gli importava di rendersi ridicolo, si sarebbe persino messo in ginocchio, se fosse servito. “Pensavo che ti vergognavi di me e mi sono sentito sbagliato. E poi ho sbagliato per davvero, ferendo a una persona che non c’entrava” si giustificò, provando una profonda vergogna per il proprio comportamento. 
“Ma non è vero che ho scelto a Maria, io ho scelto a te” le rivelò, guardandola in silenzio per qualche istante, come per trovare il coraggio di continuare. “Perché anche se tu sei esigente, orgogliosa, prepotente, c’hai la lingua lunga e siamo diversi, a volte sono le persone più lontane da noi quelle che ci rubano il cuore” concluse tutto d’un fiato, usando la frase che aveva sentito dire ad Armando e che tanto bene si applicava anche a loro due. Irene era quanto di più lontano potesse esistere dall’ideale di donna che gli avevano inculcato sin da ragazzino. Era disordinata, non gli dava mai retta ed era una pessima cuoca. Prima di arrivare a Milano, Rocco non avrebbe mai creduto possibile innamorarsi di una donna come lei. Lui che un tempo credeva che le donne dovessero esclusivamente rimanere in casa con i figli e obbedire ai mariti, adesso aveva perso la testa per la ragazza più intraprendente e sfacciata che avesse mai conosciuto. Irene era diversa da tutte le altre. E tuttavia era la sola che volesse al proprio fianco. 
Dopo quella dichiarazione, Rocco abbassò gli occhi, incapace di reggere il suo sguardo. Le aveva aperto il suo cuore, aveva scelto lei, nonostante tutto, nonostante gli errori. Non era pronto a sentirsi dire di no, ma i lineamenti del suo viso si contrassero, come in attesa di un colpo da dover attutire. 
Irene rimase di sasso, sgranando gli occhi per la sorpresa. Non aveva mai creduto che Rocco avesse il coraggio di andare contro alla sua famiglia e lasciare Maria. Una volta presa quella decisione, Irene si era messa il cuore in pace. Era tutto finito, per sempre. Doveva farsene una ragione. Quanto si era sbagliata. Era lei quella che aveva avuto paura sin dal principio, non lui. Rocco aveva dimostrato di essere il più forte e temerario tra i due. Lui l’aveva fatto davvero, aveva fatto il più grande salto nel vuoto, senza rete di sicurezza, mentre lei aveva continuato a nascondersi dietro alla paura, dandole il potere di controllarla. L’unica cosa che poteva fare adesso era lasciarsi andare, prendergli la mano e saltare insieme a lui.
“Anch’io voglio stare con te” rispose lei di getto, sospirando per lasciare andare via quell’enorme peso che portava sul petto. Per la prima volta dopo settimane si sentì leggera, viva, come se si fosse resa conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e potesse finalmente respirare a pieni polmoni.
Rocco alzò immediatamente lo sguardo per fissarla incredulo. “E allora con…”
“E’ finita. Anzi, non è mai veramente iniziata” gli rispose lei. “Perché anche se sei la persona più distante da me, e mi fai arrabbiare, mi contraddici e non perdi mai occasione di fare l’elenco di tutti i miei difetti, anch’io voglio te” gli disse decidendo di spogliarsi di ogni maschera, mostrandosi per quella che era realmente. 
“Anche se non ha senso, anche se questa cosa va contro ogni logica perché, diciamocelo, chi è che avrebbe mai scommesso su di noi?” aggiunse sorridendo. Nessuno aveva mai creduto che Irene potesse fare sul serio con un tontolone come Rocco. Per tutti quello era stato sempre e solo un gioco. Peccato che quel gioco per Irene fosse diventato fin troppo reale. “La verità è che è di te che ho bisogno” ammise con una facilità e una dolcezza che in genere non le appartenevano, mordicchiandosi il labbro per quella confessione che la rendeva vulnerabile. Irene Cipriani non aveva mai avuto bisogno di nessuno in tutta la sua vita. Aveva sempre avanzato a testa alta, senza lasciare che niente la scalfisse, non dando mai a nessuno la possibilità di ferirla. E ci aveva provato a reprimere quei sentimenti, ci aveva provato davvero a usare la logica che avrebbe portato chiunque a scoraggiare quell’unione tanto azzardata e imprudente. Ma la verità era che si era solo presa in giro. Perché adesso sapeva che per essere felice aveva bisogno di avere lui al suo fianco. 
“Quindi non ti vergogni di me?” domandò lui col tono di un bambino in cerca di conferme. Irene gli sorrise dolcemente. 
“No” ammise comprensiva. “Rocco, sei cresciuto così tanto in questi due anni. Hai sempre avuto voglia di migliorarti. Perché avrei dovuto vergognarmi di te?” Ricordava bene il ragazzo che aveva conosciuto quando aveva messo piede a Milano. Così sperduto, confuso da quel mondo tanto diverso da quello a cui era stato abituato fino a quel momento. Chiuso nel bigottismo di ideali a cui era stato forzato a credere. Da quel giorno aveva sempre messo in discussione le proprie convinzioni, modificandole e adattandole alle nuove nozioni che imparava da solo tramite esperienza diretta o dagli insegnamenti del signor Ferraris e forse, in parte, anche dai suoi. Si era sempre messo in gioco, crescendo giorno dopo giorno. Al contrario, non poteva che essere fiera del suo percorso.
“Perché non potevo darti quello che volevi, perché sono solo un magazziniere” rispose lui mesto. 
“Sì, ma il magazziniere più carino di Milano” ribatté con affetto. “Quella è per me?” chiese poi, indicandogli con lo sguardo la rosa che le aveva portato. Era la terza volta che le regalava dei fiori con la precisa intenzione di strapparle un sorriso, proprio come aveva fatto diverse settimane prima. Irene non aveva bisogno di locali alla moda, cene di lusso e regali importanti. In quegli ultimi due anni si era resa conto che a darle gioia non erano le cose materiali. Era vederlo ballare il twist fuori tempo, saperlo concentrato in magazzino a tagliare dei pezzi di carta per crearle dei fiori unici per farla felice, prodigarsi a cucinarle della pasta scotta pur di non farla restare a stomaco vuoto, prestarle il suo maglione preferito affinché non avesse freddo, parlare con suo padre al posto suo perché non sopportava di saperla triste e in difficoltà. Erano quell’insieme di piccoli, ma importanti gesti, a farla sentire amata. Erano quelli che contavano veramente. 
Rocco abbassò lo sguardo sulle sue mani e avvicinò il fiore a lei, ricordandosi solo in quel momento della rosa. Annuì e per qualche istante rimasero semplicemente a guardarsi titubanti, come se faticassero entrambi a credere a quello che stava accadendo. Rocco sentiva di aver bisogno di un pizzicotto per assicurarsi di non stare sognando. Si sentiva cedere le gambe, ma allo stesso tempo provava il desiderio irrefrenabile di porre fine a quella distanza che per troppo tempo li aveva tenuti separati. 
Così, senza indugiare qualche altro secondo di troppo, l’afferrò dalla nuca e l’attirò a sé per baciarla. Quanto gli era mancato stringerla, il sapore dei suoi baci, l’odore del suo profumo. La baciò come se ne andasse della sua vita, come se lei fosse l’unico ossigeno che avesse bisogno di respirare. Avevano commesso tanti errori, che li avevano portati ad allontanarsi. Avevano permesso alla paura e ai pregiudizi di avere la meglio, rischiando di perdere qualcosa di veramente importante. Ma adesso, mentre la stringeva tra le braccia, Rocco sentiva di aver ritrovato la parte di sé che gli mancava e gli permetteva di essere una persona completa. Voleva smetterla di rimanere ancorato al passato, ai giudizi della gente, alle opinioni non richieste delle persone che gli volevano bene. Voleva finalmente imparare a decidere per se stesso, come lei gli aveva insegnato. Mentre gli altri lo volevano fermo, docile e immobile, lei era l’unica che aveva sempre voluto solo la sua felicità. Perché non era solo Irene ad avere bisogno di lui, anche Rocco aveva bisogno di lei per essere la versione migliore di se stesso.
In quel preciso istante, mentre le loro labbra si univano e le loro lingue danzavano all’unisono, componendo una coreografia tutta loro, Rocco iniziò a domandarsi come avesse mai potuto dubitare che lei fosse quella giusta per lui. Irene non era solo quella giusta, era anche l’unica possibile. 

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Capitolo 7
*** Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane ***


Dopo quel bacio, avevano faticato entrambi a ritrovare la lucidità necessaria. Irene si sentiva vorticare, come se tutti i suoi organi interni avessero cambiato posizione. Si erano allontanati controvoglia l’uno dalle labbra dell’altra, maledicendo quel bisogno fisiologico di prendere respiro e dare riposo a quelle lingue stanche che fino a poco tempo prima avevano usato solo per aggredirsi a vicenda. 
Rocco aveva preso la mano di Irene e la stringeva col timore che se l’avesse lasciata andare, si sarebbe risvegliato, rendendosi conto che tutto quello che era accaduto era solo frutto della sua immaginazione. 
“E ora?” aveva poi domandato Irene titubante, passandosi la lingua sulle labbra come per imprimere più a lungo il sapore dei suoi baci. 
“E ora? Non lo so” aveva ribattuto lui stringendosi nelle spalle. Non aveva cambiato idea, sapeva perfettamente quello che voleva. Il problema era affrontare tutti quelli che la pensavano diversamente e avrebbero messo loro i bastoni tra le ruote. Rocco non aveva voglia di tornare a casa. Tecnicamente non poteva, suo zio glielo aveva proibito quando aveva deciso di prendere la decisione di lasciare Maria e seguire il proprio cuore. Tuttavia, sapeva che se fosse tornato, non lo avrebbero sbattuto fuori. Lì dentro non ci abitava solo suo zio. I suoi cugini lo avrebbero supportato, Tina su tutti. Eppure Rocco non se la sentiva di tornare e sentirsi dire quanto stesse sbagliando. Non aveva voglia di avere i suoi zii come un giradischi inceppato nelle orecchie. E, soprattutto, non voleva vedere Maria. Sapeva di averla ferita e di aver sbagliato, talmente tanto da sentirsi in colpa per tutte le giustificazioni che avrebbe dovuto dare. Si sentiva in difetto e non era giusto. Non era giusto che per la decisione di seguire il proprio cuore, dovesse lottare contro tutto e tutti. Quella era la sua vita, a nessun altro sarebbe dovuto interessare con chi intendesse viverla. Qualsiasi scelta sarebbe dovuta essere solo e soltanto sua, pagando da solo le conseguenze dei propri errori. Fino a quel momento lo avevano cullato e protetto, proprio come un bambino, impedendogli di farsi male. Ma talvolta il male era necessario e lui lo aveva capito soltanto adesso. Lui e Irene, così come qualsiasi altro essere umano, erano la somma dei loro pregi e dei loro difetti, e di tutti gli errori commessi che avevano plasmato i loro caratteri. Non sarebbe mai potuto crescere e maturare nell’uomo che era diventato, se avessero continuato tutti a proteggerlo dalle scelte difficili. Non era stato affatto semplice prendere la decisione di rimettere in gioco tutto il proprio futuro, ma in quello consisteva essere adulti. 
“Io a casa non ci posso tornare, Irè” le disse mentre camminavano per strada, mano nella mano, al chiaro di luna.
“E perché?” domandò lei confusa. Immaginava sarebbe stato difficile doversi confrontare con le opinioni degli altri, ma in un modo o nell’altro prima o poi avrebbero dovuto farlo. Sarebbe stato molto più semplice viversi quella storia al di fuori dei giudizi altrui. Se non l’avessero toccata sin dal principio, lei e Rocco si sarebbero avvicinati molto prima. Avevano perso del tempo prezioso che nessuno avrebbe loro restituito. Per fortuna non avevano commesso l’errore di una vita intera, ma erano riusciti a ritrovarsi prima che accadesse l’irreparabile. E sebbene nessuno dei due sentisse il bisogno di tornare a casa, non potevano continuare a girovagare per la città per tutta la notte. Irene era piuttosto stanca per la giornata emotivamente faticosa. E le occhiaie di Rocco confermavano il racconto della nottata insonne che Tina diceva avesse avuto prima di avere quell’epifania.
“Eh picchì, Irè” rispose Rocco, come se stesse sottolineando un’ovvietà. “Perché mio zio mi ha detto di non tornare se…” lasciò a mezz’aria il resto della frase. Il prosieguo questa volta era effettivamente piuttosto scontato. 
Irene aggrottò le sopracciglia. Se già detestava quell’uomo per come si era comportato con lei, adesso l’astio nei suoi confronti era aumentato esponenzialmente. Come poteva buttarlo fuori di casa solo perché aveva deciso di scegliere con la sua testa? A dirla tutta, Irene capiva fin troppo bene quella situazione, perché lei stessa l’aveva vissuta con suo padre. Non l’aveva mai accompagnata alla porta, ma i suoi continui giudizi, le critiche sul suo comportamento che poco si allineavano all’idea che lui aveva di lei e di una donna nella società in generale, avevano spinto Irene a cercare un’altra sistemazione. Una che in fondo aveva trovato grazie a Maria. Si mordicchiò la guancia al pensiero di Maria e di come sarebbe stato tornare dentro quella casa. Rocco non sapeva ancora che il motivo principale che l’aveva spinta ad allontanarlo era proprio lei, e tutte le conseguenze alle quali quella scelta avrebbe portato. Si sentiva una sciocca ad aver dato peso a quelle cose, quando Rocco invece aveva mandato in fumo tutto, nella speranza di essere ricambiato. Sarebbe dovuta essere più forte, avrebbe dovuto fare lo stesso anche lei, anziché preoccuparsi più del clima pesante che si sarebbe respirato nell’appartamento con le ragazze.
“Non possiamo camminare tutta la notte” gli fece notare aggrappandosi al suo braccio. Non era solo stanca mentalmente, lo era anche fisicamente. I piedi le dolevano dopo tutta una giornata in piedi sui tacchi. 
“Torniamo in magazzino?” suggerì lui, poco convinto. Non potevano andare a casa di lui per ovvi motivi. Non potevano andare a casa di lei per gli stessi. Il magazzino era l’unico luogo neutro, e ormai era diventato il loro posto. Tuttavia, dopo quella nottata quasi insonne, non gli andava tanto a genio l’idea di trascorrerne un’altra su delle casse di legno. Ma non vedeva altra soluzione.
Camminando mano nella mano, erano praticamente arrivati davanti alla pensione dove Irene aveva pernottato le notti in cui non aveva potuto dormire in magazzino. La pensione che Rocco le aveva pagato per ben quattro giorni, dilapidando il proprio portafogli. Irene non gli aveva mai restituito quei soldi, e non perché non si fosse offerta di farlo, ma perché Rocco non aveva voluto accettare. L’aveva fatto col cuore, non aveva bisogno di essere ripagato. Quello, però, era il modo in cui Irene avrebbe potuto ricambiare il favore. 
“Siamo ormai arrivati alla pensione” gli fece notare con uno sguardo.
“None” rispose Rocco. “Ho speso tutti i soldi che avevo pi du anellu” disse, pentendosi immediatamente di aver nominato l’anello di fidanzamento per Maria. La prima cosa che avrebbe fatto il giorno successivo sarebbe stata portarlo a un banco dei pegni per rivenderlo. Non ci avrebbe ricavato tutta la cifra, ma in fondo non importava. Tutti avevano perso qualcosa da quella storia, chi più e chi meno. E in fondo lui era caduto in piedi e non aveva il diritto di lamentarsi. 
“Offro io” si propose lei. Non aveva molti soldi con sé, aveva dei risparmi nel suo appartamento, ma chiaramente non li portava in borsetta ogni giorno. Ma ciò che aveva sarebbe bastato almeno per quella notte. A cosa fare nei giorni seguenti ci avrebbero pensato successivamente. 
“Non se ne parla, Irè” scosse categoricamente la testa. 
“Ma perché no? Perché sei tu l’uomo e devi pagare tu?” rispose lei offesa. “Pensavo avessimo superato queste banalità da mentalità arcaica” aggiunse piccata. “E poi devo ancora restituirti i soldi che hai speso tu per farmi dormire in pensione. Così saremmo pari” puntualizzò con un sorriso ammaliante, a cui lui non era mai stato in grado di dire di no.
Rocco la guardò confuso, ubriacato dal tono solenne delle sue parole. Lei era sempre stata più colta e più istruita di lui e una parte di sé temeva che questo a lungo andare avrebbe finito per allontanarli. Non voleva che accadesse.
“E va bene” si arrese. “Ma solo per questa notte, ah” precisò con un dito.
“C’è solo un piccolo problema” aggiunse lei con aria innocente.
“U sapeva” ribatté Rocco roteando gli occhi al cielo. Con Irene era sempre così. Dietro le sue frasi e le sue moine si nascondeva sempre dell’altro e lui doveva ogni volta essere pronto al peggio. “Avanti, sentiamo.”
“Non ho abbastanza soldi per due camere” sollevò le sopracciglia, cercando di soffocare un sorriso.
“E picchì servono due camere? Tu una casa ce l’hai” la guardò confuso. 
“Ah quindi mi rimandi nella fossa dei leoni da sola? Non se ne parla, io a casa da Maria non ci torno. Sicuro me la ritrovo lì davanti coi forconi insieme ai tuoi zii, pronti a fare una lampada con la mia pelle” drammatizzò lei, come al suo solito.
“Avà, esagerata” rispose lui. “Allora niente, amunì, andiamo in magazzino” la trascinò lui, facendo dietrofront.
“No, Rocco, in magazzino non ci torno” si piantò, categorica.
“Non avevi detto che ti mancava la puzza di muffa?” la prese in giro lui.
“Mi mancava mesi fa. Ora non ne ho più bisogno” ribatté con un sorriso. Non aveva mai rimpianto le notti trascorse su quelle casse scomode, sola e al buio. Se tanti mesi prima avrebbe continuato a soggiornarci senza problemi, era perché quel luogo le permetteva di restare vicina a Rocco. A mancarle non era la puzza di muffa e veleno per topi, erano le serate al chiaro di candela insieme a lui. Ma adesso non ne aveva più bisogno. Rocco era già lì accanto a sé.
Lui la guardò perplesso, senza capire fino in fondo il significato di quelle parole. “Vabbè, comunque qua non ci possiamo restare” aggiunse lui talmente serio da sembrare irremovibile.
“Ma perché? Tanto da domani daremo comunque scandalo. Uno più, uno meno” lo pregò lei.
“Irè, mi vuoi fare scomunicare?” protestò lui, sebbene ormai l’avesse segretamente convinto a dargliela vinta. 
“Sarebbe una gran tragedia?” arricciò le labbra. “Almeno la smetteresti di dare retta a Don Saverio” si strinse lei nelle spalle, mentre Rocco iniziava a incamminarsi verso la pensione facendosi il segno della croce. 

Irene aveva pianificato tutto. Avrebbe dato i soldi a Rocco, lui avrebbe prenotato da solo la stanza e lei sarebbe sgattaiolata dentro qualche minuto dopo con la scusa di ricongiungersi con un'amica. Se qualcuno l'avesse chiesto, avrebbe usato uno dei vari cognomi più diffusi lì a Milano, nella speranza di trovarlo tra i residenti. Un piano infallibile, a detta sua. Peccato che c'erano mille cose che potevano andare storte, a partire dalla prima: l'incapacità di Rocco nel dire bugie. Irene lo osservava da fuori mentre ogni tanto si tirava il colletto della camicia in preda al sudore per l’agitazione. Irene ridacchiò mentre lo osservava allontanarsi dalla reception con circospezione, guardandosi alle spalle mentre aspettava che lei entrasse e facesse la sua parte di quel piano che mandava Rocco fuori di testa. Camminava aggirandosi come se stesse per compiere un delitto di qualche tipo che prevedeva la morte come pena da scontare. A Irene se sembrava assurdo non potersi registrare insieme, anche se non erano sposati. Non erano fatti loro? Non stavano facendo niente di male, in fondo. A chi sarebbe importato? Erano gli anni sessanta! 
Quando lo vide scomparire dietro l'angolo, Irene fece capolino nella pensione e intortò l'addetto con tante di quelle chiacchiere che non sapeva più nemmeno lui a cosa stesse acconsentendo. In parte assonnato e in parte scocciato, la lasciò proseguire, mentre Rocco la aspettava alla fine del corridoio.

“Rilassati” gli aveva sussurrato piano. Solo dopo essere entrati dentro alla stanza, Rocco sembrò tranquillizzarsi, riprendendo a respirare in modo regolare. 
“Tu si foddi” era stata la prima cosa che le aveva detto. Aveva iniziato a incamminarsi per un paio di volte dentro la stanza di quella pensione modesta, come in preda a un attacco di nervi. Poi avanzò a rapide falcate verso il letto e buttò il cuscino per terra. 
“Che stai facendo?” gli domandò lei perplessa. 
“Che vuol dire che sto facendo, Irè. Mi sto sistemando sul pavimento” rispose sottolineando ancora una volta quella che per lui era un’ovvietà.
“Ma smettila, non ci vede nessuno” gli fece notare lei sfilandosi finalmente le scarpe. Ah, la pace dei sensi. 
“Ci vede il Signore” ribatté lui, causando un moto di ilarità in Irene. Non avrebbe mai assecondato quella sua forte religiosità, ma non poteva non trovare teneri i suoi modi di fare e i suoi timori. 
“E allora il Signore vedrà due persone caste e pure sdraiate ai lati opposti del letto. Vedrai che non ti tocco nemmeno, promesso” ridacchiò lei, sapendo che non avrebbe affatto mantenuto quella promessa. 
Lui sembrò soppesare per un attimo le sue parole, prima di trovarle abbastanza convincenti da riposizionare stancamente il cuscino sopra il letto. Era troppo stremato per discutere con lei o per dormire davvero per terra, pertanto la assecondò facilmente, senza fare troppe storie. Irene gli sorrise e andò a sedersi dal lato opposto al suo, scostando prima le coperte. Rocco si tolse le scarpe e fece altrettanto, tenendo le braccia strette al petto come una salma dentro una bara.
Irene lo osservò ridacchiando per quella posa imbalsamata: era rigido e a disagio come la volta in cui l’aveva visto ballare il twist davanti a lei. 
“Questa è la tomba dell’amore” lo prese in giro, solleticandogli il braccio con la punta delle unghie.
“Ah!” le disse lui, voltandosi per fissarla con l’aria di chi voleva mettere in chiaro le regole.
Irene sorrise, sdraiandosi su di un fianco. “Non posso nemmeno toccarti il braccio? Che succede se allora ti tocco la gamba?” lo provocò lei, iniziando a sfiorargli la caviglia con il piede ancora ricoperto dal collant.
“Avà, Irè” protestò Rocco. La verità era che moriva dalla voglia di stringerla tra le braccia, ma non era la cosa più giusta e cristiana da fare e pertanto doveva controllarsi. Ma come poteva farlo se lei continuava a prenderlo in giro e stuzzicarlo?
“Dai, sto scherzando. Lo so che sei un bravo ragazzo e non faresti mai niente di sconveniente” disse addolcendo il tono della sua voce.
I tratti del viso di Rocco allora si distesero mentre accennò un debole sorriso, prima di tornare a concentrarsi su qualcosa. Irene osservò il suo profilo, analizzando ogni singolo centimetro del suo viso come a volerlo mappare nella propria mente. Osservò la forma del suo naso, quel piccolo neo sul collo. Notò la fronte aggrottata e le labbra arricciate in un’espressione che non lasciava spazio a molti dubbi. Nonostante il sonno e la stanchezza, la sua mente era ancora in fermento, tanto che se fosse stata la pellicola animata di un carosello, Irene l’avrebbe persino vista fumare. 
“Irè, ti posso fare una domanda?” le disse infatti dopo qualche istante, continuando a guardare davanti a sé, mentre lei su di un fianco fissava lui. 
“Dimmi” rispose Irene, soffocando uno sbadiglio. 
“Ma se non ti vergognavi di me, allora perché mi hai spinto da Maria?” le domandò, voltandosi solo in quel momento per vedere la sua reazione. Irene si perse nei suoi profondi occhi nocciola per qualche secondo, cercando di trovare le parole giuste per aprire quell’argomento che un tempo avrebbe preferito tenere chiuso dentro la propria mente. Ma quel giorno si era talmente aperta a Rocco, che una confessione in più ormai non avrebbe fatto alcuna differenza.
“Perché ho avuto paura” disse lei e in quel momento Rocco si girò sul fianco, così da poterla guardare negli occhi anche lui. Il che non fece altro che peggiorare le cose per Irene, rendendole più complicato esprimere ad alta voce quella confidenza. 
“E picchì?” chiese lui con sincera curiosità.
“Perché stare con te non significava solo stare con te, Rocco” disse dapprima, portandolo ad aggrottare le sopracciglia confuso. “Significava anche stare con la tua famiglia. Accettare i loro giudizi, quelli di tutti quelli che ti vedevano da anni già sposato con Maria” gli spiegò sospirando. Solo perché provenivano dallo stesso paese, per tutti Rocco e Maria erano destinati a stare insieme. Lei sarebbe stata solo l’usurpatrice, colei che aveva ostacolato il vero amore di due giovani puri e candidi. “Significava anche perdere il sottile equilibrio che avevo trovato in casa con le altre. Nessuna mi supportava. La stessa Stefania continuava a ripetermi che dovevo decidere e dovevo farlo in fretta per non ferire Maria e allora così ho fatto. Ti ho lasciato a lei” fece spallucce.
“Ma io non sono un pacco, Irè” le fece notare lui. “Dovevo decidere io con chi volevo stare” si mostrò offeso. Anche lei aveva preso una decisione al posto suo, pensando che fosse Maria quella più giusta per lui, quella più adatta a stargli accanto. 
“Lo so, mi dispiace” ammise con rammarico. “Ma mettiti nei miei panni. Se non avevo dalla mia parte nemmeno Stefania, mi sono convinta che forse avevano ragione loro. Forse era Maria che doveva stare con te. E io non volevo ferirla” provò a giustificarsi. La verità era che Rocco aveva ragione: non aveva avuto il diritto di decidere per lui. Avrebbe dovuto esporgli i propri dubbi, e lasciare che fosse lui a fare la sua scelta. D’altra parte, però, nessuno lo aveva obbligato ad avvicinarsi a Maria. Lei poteva averlo spinto, così come la sua famiglia, ma la decisione l’aveva in fondo presa lui. Nessuno avrebbe mai potuto obbligare Irene a stare con una persona che non voleva al proprio fianco. 
Rocco allora la guardò per la prima volta con occhi diversi. Aveva davanti una Irene nuova, una versione che in fondo lui aveva sempre saputo esistere dentro di lei, ma a cui nessuno avrebbe creduto se lo avesse raccontato. Una Irene insicura e attenta ai sentimenti degli altri, altruista nella sua decisione di farsi da parte per il bene suo e di Maria. Rocco l’aveva già descritta come un’anima fragile, perché solo a lui lei quell’anima l’aveva realmente mostrata, a piccoli pezzi e con estremo pudore, durante l’arco di quei due anni. Ma lui l’aveva intravista. Tutti conoscevano Irene come la ragazza spavalda, sicura di sé, prepotente e un po’ egocentrica, ma in pochi erano a conoscenza delle sue fragilità. Pochi, tra cui lui, a cui Irene aveva permesso di vedere quelle parti di sé che agli altri non mostrava per paura di essere ferita. E Rocco alla fine l’aveva ferita sul serio, giudicandola in modo tanto mortificante. 
“Ti ricordi quando hai detto che le persone che abbiamo attorno sono la nostra vera famiglia?” gli domandò e lo vide annuire, ricordando quel loro primo momento di intimità in magazzino. “Ecco. Sai che faccio fatica a dimostrare quanto tengo alle persone che mi stanno accanto, ma in casa con le ragazze avevo trovato un equilibrio. Erano diventate la mia seconda famiglia. Ho avuto paura di perdere anche loro, Rocco” gli spiegò, mortificata. Dispiaciuta perché gli stava dimostrando di aver scelto le sue amiche, anziché lui. La verità era che non avrebbe dovuto mai scegliere. Non avrebbero dovuto metterla nella posizione di farlo, perché non era compito loro decidere chi fosse meglio per Rocco. Non avrebbero dovuto prendere le parti di Maria, come se avesse una qualche precedenza su di lui solo perché lo conosceva sin da quando erano bambini. 
Irene lo fissò per qualche istante, in attesa di una sua reazione. Rocco rimase immobile e in silenzio, come se stesse cercando di trovare le parole giuste, ma non ne fosse in grado. Allungò allora una mano verso di lei per spostarle i capelli dietro l’orecchio. Con la sua mano calda e grande indugiò sulla sua guancia, nella quale Irene cercò conforto.
“Mi dispiace, Irè” disse comprensivo, senza una punta di recriminazione nella sua voce. Non sapeva cos’altro dire. Gli dispiaceva di aver contribuito a quella sensazione di inadeguatezza. Eppure la capiva perfettamente, perché anche lui aveva commesso il medesimo errore. Aveva avuto paura di non essere ricambiato, aveva paura di contraddire il volere di persone che avevano fatto tanto per lui, e avevano sempre voluto il suo bene. Avevano scelto per gli altri, non per se stessi. Fino a quel momento. 
“E da domani u sai che avremo tutti contro, vero?” le ricordò per prepararla a quella che non era un’eventualità ma una certezza, continuando a giocare con il suo orecchio. Ma lui non aveva paura, non adesso che era finalmente in pace con se stesso. 
“Lo so” ribatté lei, circondando il suo polso con la mano. “Ti sei pentito?” domandò titubante, un po’ preoccupata per la sua risposta. Anche scegliere Irene non significava scegliere lei e basta, ma significava anche mettersi contro la sua famiglia, far fronte alle opinioni di chi avrebbe giudicato malamente il suo gesto nei confronti di Maria. Nessuno dei due si trovava in una posizione semplice. E il punto era che non sarebbe dovuto mai essere così complicato. Erano due persone che si volevano bene, qual era il problema? Perché si comportavano tutti come se fossero i protagonisti di un dramma shakespeariano? 
“Eh, di tante cose, Irè” rispose sconsolato. “Ma non di questa” aggiunse poi, avvicinandosi per darle un bacio sulle labbra. Al diavolo il buon senso, la religione e tutto quello che ne conseguiva. Non avrebbe oltrepassato alcun limite, ma in quel momento sentiva il bisogno di toccarla, di baciarla, di assicurarsi che fosse ancora lì e che non gli sarebbe scivolata via dalle dita se solo avesse distolto un attimo lo sguardo. 
Irene gli circondò la schiena con un braccio, avvicinandolo a sé, annullando qualsiasi distanza si fossero nuovamente autoimposti per soddisfare le richieste della società. Ma non stavano facendo niente di male. Non c’era niente di sbagliato nell’amare una persona ed essere ricambiati. Non c’era niente di sbagliato nel voler sentire il proprio corpo premere contro il suo. Nelle loro mani che si cercavano, nei loro occhi che si desideravano. Nelle labbra di Rocco che lasciavano una scia di baci lungo il suo collo, fino alla clavicola che la sua camicetta lasciava scoperta. Irene sentì sotto le sue dita i muscoli della schiena di Rocco che si tendevano, vibranti della stessa voglia che aveva lei di non lasciarlo più andare. No, non c’era niente di sbagliato in tutto questo. Sbagliati erano coloro che glielo avevano lasciato credere.
“Pensi che Don Saverio approverebbe?” lo provocò in un attimo di pausa tra un bacio e l’altro.
“Ma chi mi cunti di Don Saverio” esclamò lui spazientito, baciandola mentre Irene ancora sorrideva felice.

Si erano addormentati l’uno accanto all’altra, in barba ai timori di Rocco sulla buona creanza. Ancora vestita, Irene si stropicciò gli occhi, sentendo i ricci di lui solleticarle il viso ancora assonnato. Rocco dormiva ancora, a pancia in giù e con il mento appoggiato alla sua spalla, stremato dalla giornata precedente che aveva messo a dura prova i nervi di entrambi. Avevano dormito come due sassi, finalmente in pace con se stessi e con i sentimenti che provavano l’uno per l’altra. Irene sorrise, con in testa solo la serata che avevano trascorso insieme, chiusi in quella bolla che rendeva tutto così dannatamente chiaro e semplice. In quei momenti non avevano dubbi, non avevano timori. Non si illudeva che sarebbe stato sempre così facile. Erano due persone molto diverse che avrebbero faticato a trovare del terreno comune, ma questo non voleva dire che non valesse la pena provarci. Ci erano riusciti in quei due anni da amici, non sarebbero venuti meno adesso che avevano raggiunto una complicità tutta loro. 
Si mordicchiò il labbro superiore per soffocare qualsiasi respiro, mentre scostava piano il braccio che Rocco aveva messo su di lei a cingerle la vita. Fece qualche passo sulla punta dei piedi per andare in bagno a sistemarsi e sciacquarsi il viso, indugiando qualche istante di troppo davanti allo specchio per osservare quel volto stanco, stropicciato, ma felice. Prese il fazzoletto di stoffa che teneva dentro la borsa e ne bagnò la punta per correggere il trucco colato via durante quella notte. Per un attimo temette di non essere abbastanza presentabile e si pizzicò le guance con le dita in cerca di un po’ di colore, poi ricordò che per Rocco le donne stavano meglio ‘se non si pittavano la faccia’ e allora sorrise, ripensando a quanto la semplicità di lui ogni tanto le tornasse comoda. Dopotutto non poteva fare altrimenti, non aveva con sé altri trucchi eccetto un rossetto che teneva sempre dentro la borsetta. Se lo passò rapidamente sulle labbra e poi, mentre Rocco ancora dormiva, Irene si allontanò dalla pensione per comprare in una caffetteria lì vicino due brioche, una per lei e una per lui. 
Quando mise piede fuori, il mondo le sembrò diverso. Vedeva tutto con una luce nuova. Camminò per la strada noncurante di chi potesse riconoscerla, dato che in fondo non erano troppo lontani dal Paradiso e le possibilità che qualcuno la vedesse non erano poi così scarse. Non le importava. Pensò a Stefania e a come avrebbe detto alle ragazze quello che era successo, a meno che Maria non l’avesse già fatto. Poi si ricordò di non essere rientrata a casa quella notte e che forse, quantomeno la sua migliore amica, si sarebbe persino preoccupata per lei. Sebbene non avesse alcuna voglia, Irene sapeva di dover rientrare per cambiarsi. Affrontare Maria era l’ultima cosa di cui aveva bisogno quella mattina, ma non poteva fare altrimenti. Non potevano continuare a nascondersi per sempre.
Quando rientrò in pensione, dopo aver comprato la colazione, trovò Rocco seduto sul letto, intento a rimettere la camicia che si era sfilato la sera prima, restando solo in canottiera. 
“Ah, ca si” esclamò lui vedendola rientrare, il volto improvvisamente sollevato.
“Hai avuto paura che ci avessi ripensato?” sorrise lei, cercando di affidargli la busta di carta contenente le brioche. 
“Un pocu” rispose rimettendosi in piedi, circondandola da dietro in un abbraccio. Lei appoggiò la busta sul tavolo e coprì le mani di lui con le sue, abbandonandosi contro il suo corpo, mentre Rocco la distraeva lasciandole dei baci lungo la guancia. “Ho deciso di chiederci al signor Armando se posso dormire sul suo divano” la informò, senza ancora lasciarla andare. 
“Ma guarda che qualche altra notte qui posso ancora pagartela” gli rispose, lieta di usare il suo intero stipendio in quella causa che in fondo faceva comodo anche a lei. Lì dentro potevano stare insieme, da soli, lontani da occhi indiscreti. Era la loro piccola bolla, e non era ancora pronta a rinunciarci.
“No avà, Irè. Vedi che costa assai” le ricordò, mentre lei si sfilava dall’abbraccio per andarsi a sedere sul letto.
“Lo so, ma almeno qui siamo soli” gli rispose, tirando fuori dalla busta la brioche che allungò a Rocco con un tovagliolino di carta.
Rocco spostò spaventato il suo sguardo su di lei senza proferire parola. Avevano fatto tanto per arrivare a quel punto, non voleva camminare all’indietro come i gamberi.
“Ti vuoi nascondere di nuovo?” domandò preoccupato di finire nuovamente dentro quel limbo. 
Irene lo guardò con aria colpevole e mortificata. “Solo un pochino” disse dando un morso al croissant con noncuranza, con la precisa intenzione di distrarlo e minimizzare l’argomento.
“E picchì, sentiamo. Che scusa hai stavolta?” domandò con tono accusatorio.
“Rocco, è sempre la stessa. Anzi, adesso vale ancora di più” rispose. “Maria. Dai, mi sembra inopportuno farci vedere insieme davanti a lei, no?” gli spiegò aggrottando le sopracciglia.
“C’hai ragione” ammise lui con una smorfia. Ma quanto sarebbe stato difficile starle lontano. “Ma non lo dobbiamo dire proprio a nessuno?” chiese allarmato. Lui sentiva già il bisogno di parlare col signor Armando e soprattutto con i suoi cugini e sua zia. Pensò che in fondo già era probabile che sapessero, che Maria avesse detto ogni cosa. Certo, sapevano del fidanzamento annullato, ma non potevano avere la certezza che lui e Irene... 
“No, basta nasconderci” tagliò corto lei. “A Stefania, Dora e alle altre ragazze lo dirò” aggiunse. “Ma magari evitiamo di… farci vedere troppo insieme, ecco” gli spiegò e Rocco, suo malgrado, trovò della logica inattaccabile nelle sue parole. Non sarebbe stato giusto sbattere in faccia a Maria la loro felicità, sebbene lui volesse urlarla al mondo intero.
“Ah ecco” ribatté sollevato. “Picchì se dovevamo nasconderci di nuovo, me ne trovavo un’altra” disse con un’aria così spavalda che divertì Irene. Le piaceva sempre vederlo comportarsi in modo tanto sicuro di sé, prendendo le redini del loro rapporto, dato che in genere era lei quella che lo stuzzicava in cerca di una reazione.
“Ma smettila, dove la troveresti mai un’altra come me?” sollevò le sopracciglia facendogli una smorfia.
“Ma per fortuna, guarda. Per fortuna. Valla a sopportare un’altra come a te” replicò lui ironico, provocando Irene che gli sfilò la brioche dalle mani per premergliela contro il viso, facendolo sporcare con la marmellata. 
“Avà, certo che tra te e Tina, ah” sbuffò lui, preso costantemente di mira dalle donne della sua vita. Un attentato dietro l’altro. 
“E questo non è niente” si strinse nelle spalle soddisfatta, portando alla bocca l’ultimo pezzo della colazione e alzandosi per avvicinarsi alla porta della stanza.
“Te ne vai così?” si rabbuiò Rocco. 
“Così come? Ti ho pure portato la colazione. Dobbiamo andare al lavoro. Meno male che tu eri quello che ti alzavi all’alba” rispose lei provocatoria.
“Prima dammi un bacio” pretese Rocco alzandosi per raggiungerla.
“No, sei tutto sporco” si rifiutò lei.
“Ah sì? E di chi è la colpa, ah?” ribatté lui strofinando il mento sporco di marmellata sulle sue labbra.
Irene ridacchiò, protestando. Poi alla fine cedette, dandogli un bacio dapprima sul mento, portandogli via la marmellata di albicocche rimasta, e poi sulle labbra. 
“Ci vediamo in magazzino in pausa pranzo” concluse infine, facendogli l’occhiolino prima di chiudersi la porta alle spalle.

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Tutta la leggerezza che aveva avvertito quella mattina, iniziava a scemare via via che Irene si avvicinava a casa propria. Sentiva il cuore farsi pesante, come se stesse andando al patibolo e non dentro il proprio appartamento per farsi una doccia e cambiarsi d’abito. La cosa divertente era che per tutti loro due non erano adatti a stare insieme, erano come il sole e la luna, talmente distanti da non incontrarsi mai. Ma la verità era che quando erano da soli, Rocco e Irene funzionavano eccome. Discutevano, si prendevano in giro, non sempre andavano d’accordo. Ma in qualche modo riuscivano sempre a incastrarsi, tirando fuori il meglio l’uno dell’altra. Il problema sorgeva quando prendevano le distanze e permettevano agli altri di entrare all’interno della loro piccola bolla, alterando i loro spazi. Quella mattina a Irene era bastato allontanarsi da Rocco per sentirsi destabilizzata, come se le mancasse un arto in grado di donarle l’equilibrio che cercava mentre avanzava.
Quando arrivò al piano, sentì la voce di Stefania davanti all’uscio, in allarme perché la sua amica non era rientrata in casa quella notte. Irene rimase accostata alla porta per qualche istante, desiderosa di sapere cosa accadesse alle sue spalle mentre lei non c’era. 
“Che succede?” sentì dire a Maria.
“Irene non è tornata, questa notte” la voce di Stefania tradiva una evidente preoccupazione.
“Sarà con Lorenzo” provò a dire Anna.
“O con Rocco” buttò lì Maria con noncuranza.
“Come con Rocco? Maria, che succede?” chiese la rossa confusa e allarmata.
“Eh, con Rocco, Anna. Mi pare di essere stata abbastanza chiara” esclamò frustrata, portandosi verso il fornello per recuperare una tazza di caffè. Era comprensibilmente nervosa e agitata. Aveva detto subito la verità alla signora Agnese perché, essendo scoppiata in lacrime dopo essere rientrata in atelier, non avrebbe mai potuto tenerglielo nascosto. Alle sue amiche non aveva fatto sapere nulla. Aveva finto un forte mal di testa e si era rintanata nella propria stanza al ritorno dal lavoro, andando a dormire senza nemmeno cenare. Adesso però avvertiva un buco allo stomaco, come un veleno che le stava bruciando l’intestino col passare delle ore.
Stefania guardò Maria muoversi in cucina come un fantasma e iniziò a rosicchiarsi le pellicine delle dita con l’aria colpevole di chi conosceva già i retroscena di quella storia, senza però averne alcuna conferma. Era rimasta indietro, le mancavano alcuni pezzi. La sera prima aveva visto Irene e Lorenzo riappacificarsi, com’era possibile che adesso fosse finita tra le braccia di Rocco? 
“Maria, l’anello” esclamò poi Anna, portandosi una mano alla bocca con sguardo sorpreso. 
“Quale anello? Che anello?” chiese Stefania allarmata.
“L’anello, Stefania!” Anna le indicò con gli occhi la mano spoglia di Maria. Stefania allora imitò la sua coinquilina, coprendosi la bocca spalancata con le mani.
“Cos’è successo?” domandarono all’unisono, mentre la porta di casa si apriva, rivelando la figura di Irene.
“Chiedetelo a lei: lo sa sicuramente” rispose acida, sedendosi al tavolo con la sua tazza di caffè e con l’aria di un giudice pronto a emettere la sua pena. 
Irene deglutì a fatica, sentendosi osservata da tutte e tre. La situazione era particolare, se ne rendeva conto, ma le sue amiche avrebbero dovuto gioire per la sua felicità, non guardarla come se avesse effettivamente commesso un crimine che Maria doveva condannare. Non aveva nessuna colpa da espiare. Non era stata lei a illudere Maria. Non era colpa sua se si era innamorata di Rocco, senza essere ricambiata. Eppure, trovandosi tutte e tre lì davanti, Irene non poté fare a meno di sentirsi minuscola e in difetto. 
“Mi dispiace, Maria” disse abbassando lo sguardo.
“Ah ti dispiace? Anche a te dispiace? Tutti che chiedete scusa dopo aver fatto danno” disse alzandosi furiosa, afferrando un bicchiere e scaraventandolo sul pavimento, facendo trasalire tutte e tre le ragazze. “Oh, mi dispiace” disse Maria chinando la testa sui cocci di vetro per terra. “Questo rimette a posto le cose? Il bicchiere ritorna intero?” sbottò. “Non me ne faccio niente delle vostre scuse. Potevate pensarci prima di prendermi in giro” concluse con rabbia, tornando a sedersi per bere la sua tazza di caffè come se niente fosse accaduto.
Irene osservò pietrificata e mortificata prima lei e poi le altre due ragazze. Solo negli occhi di Stefania trovò della comprensione, mentre Anna la fissava come se avesse davanti la peggiore delle donne. Irene sospirò, avanzando in silenzio per andarsene nella propria stanza a cambiarsi, quando sentirono qualcuno bussare alla porta. 
Anna andò di corsa ad aprire, più che altro per fare qualcosa, qualsiasi cosa che la togliesse dall’imbarazzo. Non appena scostò la porta, Agnese si precipitò dentro l’appartamento senza tante cerimonie. 
“Tu” puntò il dito contro Irene, che non aveva fatto in tempo a nascondersi nella sua stanza. “L’hai avvelenato con le tue parole. Che cosa gli hai detto per convincerlo a lasciare a Maria, ah? Che cosa gli hai promesso? Ti ci volevi divertire un poco, ah?” esclamò furiosa.
“Mamma, smettila” Tina le era corsa dietro, afferrandole il braccio per farla tornare a casa. 
“Signora Agnese, io…” iniziò Irene, prontamente interrotta dalla zia di Rocco.
“Tu cosa?! Ora chi ce lo dice al padre di Maria, eh? Dimmelo: dov’è Rocco? Ci dobbiamo parlare, se ci parliamo io e Giuseppe sicuro lo convinciamo a fare la cosa giusta, Marì” disse poi rivolgendosi alla siciliana. 
“No, signora Agnese. Io mi sono già umiliata abbastanza” rispose lei categorica. “Da Rocco non ci torno nemmeno se dovesse venire qui strisciando in ginocchio” aggiunse con distacco. 
“Maria, non puoi lasciargliela vinta a questa svergognata. Lo sai che sei tu la ragazza giusta per Rocco. Se lo lasci fare, vedrai che prima o poi se ne pentirà” provò a convincerla, come se Irene non fosse lì presente e non potesse ascoltare le parole offensive che le stava rivolgendo.
“Signora Agnese, adesso sta esagerando, però” intervenne Stefania in sua difesa. Irene si voltò di scatto verso di lei, non abituata a vedere qualcuno che la sosteneva. 
“Ah io sto esagerando?” scoppiò a ridere ironica.
“Sì, mamma, stai esagerando” l’assecondò Tina. “Basta” la guardò con l’aria di chi non ammetteva repliche, come se i ruoli si fossero capovolti.
“Irene è una brava ragazza e se Rocco ha scelto di stare con lei, evidentemente è di lei che è innamorato. Vuole che sposi Maria pur amando un’altra persona? Vuole che siano infelici entrambi?” Stefania cercò di farla ragionare. 
“Ma che ne sapete voi giovani dell’amore, Stefania. Questo è un fuoco di paglia, si esaurirà presto e si renderà conto di cosa si è perso” si placò Agnese. “Ma allora sarà troppo tardi. Voglio impedirgli di commettere un grosso errore” le spiegò.
“Come quello che ha fatto lei con suo marito?” intervenne Irene, ritrovando la forza e il coraggio di controbattere nonostante le offese.
“Che cosa vorresti dire tu?” Agnese la guardò velenosa. 
“Deve proprio farmi parlare?” rispose Irene con aria di sfida, alludendo alla simpatia che era nata tra la signora Amato e il signor Ferraris e che a lei, furba come una lince, non era di certo sfuggita. “Anche il vostro è un fuoco di paglia? Quello tra lei e il signor...” continuò, lasciando in sospeso il resto della frase, mentre Agnese la guardava con disprezzo e Tina osservava sua madre perplessa. 
“Senti, tu non sai niente” esclamò Agnese. “E fai meglio a non immischiarti in questioni che non ti riguardano.”
“Vale lo stesso per lei. Quello che c’è tra me e Rocco riguarda solo noi” rispose piccata. “Ora se non le dispiace dovrei prepararmi per andare al lavoro” tirò su il viso e le spalle con aria fiera, perché non aveva più intenzione di permettere a quella donna di umiliarla e insultarla senza battere ciglio. 
Irene entrò nella sua stanza, seguita immediatamente da Stefania, chiuse gli occhi e sospirò appoggiandosi alla porta chiusa. La sua amica la guardò dispiaciuta e le venne incontro, stringendola forte. In quel momento Irene si lasciò andare, aveva trattenuto fin troppo quelle lacrime che finalmente trovarono spazio per uscire in uno sfogo di cui aveva tremendamente bisogno. Non erano rivolte alle parole di Agnese, e non si era affatto pentita di aver scelto di stare con Rocco. Quelle erano lacrime di rabbia e nervosismo, lacrime di chi aveva seppellito le proprie emozioni troppo a lungo e adesso non ne poteva più. Dopo, ne era certa, si sarebbe sentita meglio.  

  --- 

Rocco si era presentato al lavoro come se niente fosse. Aveva preferito non passare da casa per evitare di avere a che fare con la sua famiglia e, dopo aver visto andare via Irene, si era sistemato ed era andato dritto al lavoro passando direttamente dal magazzino, evitando così di incrociare Maria o sua zia. Da quando era arrivato, tuttavia, aveva detto solo qualche parola al signor Armando, perso tra i propri pensieri e in fervida attesa che arrivasse la pausa pranzo per rivedere Irene. Il suo mentore lo guardava, aspettando che trovasse il coraggio di confessare qualsiasi cosa fosse successa. Perché anche se non lo sapeva esattamente, Armando intuiva che c’era qualcosa di diverso dal modo in cui Rocco si muoveva, e soprattutto dal fatto che non proferisse parola e si spostasse all’interno del magazzino con aria frenetica.
“Mi vuoi dire che ti prende?” gli chiese alla fine, spazientito.
“Niente, signor Armà” provò lui a fare finta di nulla, cercando di trattenersi dal confessargli tutta la verità, provando a mantenere il riserbo che Irene avrebbe preferito tenere almeno per un po’. 
“Rocco, ti conosco e lo capisco ormai quando qualcosa non va” incrociò le braccia al petto.
“E va bene” rispose, andandosi a sedere sopra la sua scrivania. “Tanto lo verrebbe a sapere comunque tra poco” fece spallucce. Quella volta era impossibile che mantenessero il segreto. Il fidanzamento rotto con Maria li avrebbe preceduti e avrebbero iniziato tutti a farsi delle domande. 
“Avanti, sentiamo. Cosa hai combinato questa volta?” 
Rocco lo guardò offeso, risentito dall’idea che il suo mentore credesse subito che la colpa fosse solo ed esclusivamente sua. Dato che in quel caso aveva effettivamente ragione, decise di lasciar correre e non puntualizzare.
“Ho lasciato a Maria” gli disse di getto, senza preamboli o spiegazioni che facessero capire ad Armando il perché di quella sua scelta.
Il capo-magazziniere strabuzzò gli occhi. “Cosa hai fatto tu?” Rocco non gli aveva dato l’idea di essere infelice insieme a Maria. Lo frequentava esclusivamente sul luogo di lavoro e durante gli allenamenti, ma a parte l’episodio che aveva visto la signorina Cipriani protagonista, non aveva avuto altri sentori che potessero indicargli quella scelta imminente.
“Lo so, signor Armà, ho sbagliato. Ma ho capito che non era lei che volevo” si lamentò ondeggiando sul posto, come i bambini quando si ribellavano a qualche ordine che gli veniva imposto.
“La signorina Cipriani?” gli chiese, sebbene si trattasse in realtà di una domanda retorica. Sin da quando era venuto a conoscenza della loro breve parentesi, Armando era stato da subito convinto dei sentimenti di Rocco nei suoi confronti. Ai suoi occhi era evidente che Rocco provasse qualcosa per la signorina Cipriani, e che fosse per giunta anche ricambiato. Quando l’aveva visto virare rotta verso Maria, aveva storto il naso, si era fatto qualche domanda, ma poi aveva lasciato correre. Rocco gli sembrava talmente convinto che non aveva voluto insinuargli ulteriori dubbi. Tuttavia gli era sembrato strano questo passaggio talmente repentino, e adesso capiva il perché. Si chiese che ruolo avrebbe potuto avere in quella storia se gli avesse parlato sin dal principio. Magari gli avrebbe impedito di ferire quella povera ragazza innocente. 
Rocco annuì. “Ma almeno sei sicuro sicuro, questa volta?” gli domandò Armando.
“Ma certo, signor Armà. Io ero sicuro pure prima, sono stati gli altri a mettermi i dubbi” si lamentò lui, spazientito.
“Pure io?” Armando si mostrò risentito da quell’attacco. Aveva sempre cercato di fare il meglio per Rocco, dandogli i giusti consigli, ma lasciando che fosse poi lui a decidere per sé.
“Eh, pure lei. E Irene, e i miei zii, mio cugino. Tutti, insomma” rispose lui, scaricando parte della responsabilità sugli altri, ricadendo nei soliti schemi sbagliati.
“Se hai permesso agli altri di confonderti le idee, significa che il primo a non essere convinto eri tu” gli fece notare. “Ma l’importante è che tu adesso sia sicuro, perché non potrai tornare indietro un’altra volta.”
“Ma va, ma che tornare indietro, signor Armà, no. Sono sicurissimo” rispose lui alzandosi dalla scrivania per tornare a occuparsi delle sue scatole. 
“E Maria?” gli chiese, preoccupandosi per la ragazza e, soprattutto, per la reazione che avrebbe avuto Agnese. Aveva spinto tanto per quella coppia. Ricordava bene come si fosse risentita quando aveva scoperto del bacio tra Rocco e Irene, non osava immaginare in che stato dovesse trovarsi adesso. Avrebbe trovato una scusa per andare da lei il prima possibile. Adesso che Giuseppe Amato non lavorava più lì, non c’era più nessuno a tenerli sotto controllo.
“E Maria cosa, signor Armà. Chidda ovviamente ce l’ha cu mia” si strinse nelle spalle.
“E ci credo” rispose Armando con un cenno della testa. 
In quel momento Irene entrò mogia in magazzino. Dal modo in cui il signor Ferraris la guardò, intuì dovesse già aver saputo ogni cosa. Lui la salutò rapidamente e sgattaiolò via dal magazzino per lasciarli soli e, Irene non aveva dubbi, per andare a cercare la signora Agnese. 
Si avvicinò in silenzio a Rocco che continuava a spostare gli scatoloni sul carrello per portarli fuori e caricarli sul furgone. 
“Che c’è?” le chiese lui dandole un bacio sulla guancia. In realtà immaginava già che l’inevitabile incontro con Maria potesse averla turbata. Non sapeva ancora dello scontro avvenuto in casa con sua zia.
“Niente” minimizzò lei cercando conforto tra le sue braccia. Lui lasciò andare immediatamente il carrello e la avvolse, facendola scomparire nel suo abbraccio. 
“E’ per Maria?” le domandò muovendo dolcemente una mano lungo la sua schiena. 
“No” rispose Irene chiudendo gli occhi contro il suo petto. 
“Oh, me lo dici che c’hai?” chiese Rocco dopo qualche istante, scostandosi dall’abbraccio per guardarla negli occhi. Si avvicinò alla sedia del signor Armando e la invitò a sedersi sulle sue gambe. Irene lo assecondò, circondandogli le spalle con un braccio. 
“E’ successo quello che ci aspettavamo” gli rivelò sbuffando. E anche se l’avevano previsto, questo non lo rendeva meno doloroso. 
“T’hanno detto qualcosa i miei zii?” le chiese preoccupato. Non si fidava affatto di suo zio, specialmente dopo l’episodio in magazzino. Aveva il dente avvelenato nei confronti di Irene e quella faccenda non avrebbe fatto altro che accentuarlo, considerando che gli aveva anche fatto saltare l’accordo con il signor Puglisi. 
“Ah, sì, giusto qualcosa” ironizzò lei con un sorriso amaro. “Tua zia è entrata in casa per darmi della poco di buono e convincere Maria a ripensarci per impedirti di commettere il più grande errore della tua vita” disse enfatizzando con la voce l’ultima parte del suo discorso. 
“Lo sbaglio più grande è stato ascoltare loro, va. Ora ci parlo io, amunì” disse Rocco con la precisa intenzione di alzarsi.
“No, no, fermo. Lascia stare. Per ora resta qui” rispose prendendogli il viso con una mano per spingerlo a guardarla e dargli un bacio sulle labbra. Passò una mano sui suoi ricci impomatati, ripensando all’aspetto ribelle e meno ammansito di quella mattina. Doveva ammettere che lo preferiva in quel modo. In uno scenario in cui non lo aveva mai visto, fuori dalle solite dinamiche che avevano avuto in quegli anni, in un’intimità che mai avevano condiviso prima del giorno prima. Rocco le era sembrato più se stesso, in qualche modo. 
“Non avevi detto niente baci al Paradiso?” si allontanò lui sorpreso da quel repentino cambio di rotta.
“Ma non c’è nessuno” lei si guardò in giro, carezzandogli la mandibola con la punta delle dita. 
“E c’hai ragione. Ma se arriva qualcuno?” chiese allora provocandola, studiando la sua reazione per cercare di capire come muoversi nei giorni a venire. Lui non aveva alcuna remora: era stanco di nascondersi e, per quanto lo riguardava, avrebbe detto a tutti della sua relazione con Irene. Ma si rendeva conto che lei aveva ragione e che sarebbe stato irrispettoso nei confronti di Maria, specialmente dato che era stato proprio lui a ferirla e metterla in quella situazione spiacevole.
“Tanto mi giudicano in ogni caso, quindi per quel che vale…” alzò le spalle prima di lanciarsi nuovamente sulle labbra piene di Rocco. Il suo mento le solleticava un po’ il viso, dato che non aveva avuto modo di radersi, ma a Irene non dava fastidio. Sentì le mani di lui afferrarle la nuca, come per avere il controllo della situazione, mentre l’altra affondò sul suo fianco, premendo le dita contro la sua pelle. Il modo in cui lui la baciava e la teneva stretta a sé la faceva sentire desiderata, come mai nessuno aveva fatto prima. Si sentiva bella, si sentiva amata, ma non aveva la sensazione che la sua passione ledesse in qualche modo la sua morale. Ogni tanto le parole che Rocco aveva detto a Maria le rimbombavano in testa: quella vocina interiore che le diceva di tenere i sensi in all’erta, pronta a prepararsi all’inevitabile batosta. Poi però sentiva la decisione, ma al contempo delicatezza del suo tocco, il modo in cui i suoi occhi la guardavano, pieni di desiderio ma non di lascivia, e allora non si sentiva violata. Non si sentiva come la poco di buono con cui gli altri la definivano. Maria gli avrebbe mai permesso di baciarla in quel modo? Forse no, ma questo non rendeva lei sbagliata, soltanto diversa. 
D’un tratto qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce, cercando di attirare la loro attenzione. Rocco si allontanò controvoglia dalle sue labbra, mentre Irene scattò all’istante, voltandosi per vedere di chi si trattasse. 
“Dottor Conti” esclamò rimettendosi in piedi per sistemare meglio la divisa e asciugarsi le labbra con una mano. Vittorio li guardò a tratti divertito e a tratti confuso dalla piega che avevano preso gli eventi. 
Rocco rimase per qualche istante imbambolato sulla sedia, ancora immerso nel mondo in cui i baci con Irene lo trasportavano. Lei gli diede un colpo con la scarpa, portandolo ad alzarsi e salutare il suo capo.
“Mi sono perso qualcosa?” domandò avvicinandosi con fare curioso.
“Eh, dottor Conti, qualcosina” ribatté Rocco con un sorriso imbarazzato. 
“Rocco, l’anello che mi hai chiesto di aiutarti a comprare era per la signorina Cipriani?” chiese appoggiandosi a uno dei banconi, incrociando una gamba davanti all’altra.
“No, no, dottor Conti, era per Maria” gli spiegò Rocco. Irene in silenzio, profondamente a disagio, incapace di trovare qualcosa di sensato da dire per intervenire nella discussione.
“Quindi questo è un segreto?” continuò Vittorio indicando loro due.
“No, ma quando mai. Non sto più con Maria. Mi sono reso conto che non era lei che amavo” ammise Rocco in difficoltà. Irene, sentendo quelle parole, si voltò di scatto verso di lui. Aveva appena detto di amarla davanti al loro capo? Avvertì subito l’istinto di scappare via di lì, rimettere la sua solita maschera di indifferenza e fuggire. Non era mai stata brava a esternare i propri sentimenti. Irene sapeva amare, e lo faceva anche profondamente, ma aveva i suoi modi per dimostrarlo. Non era una di quelle persone che aveva costantemente bisogno del contatto fisico, come Lorenzo. O una che sapeva parlare a cuore aperto, come Rocco. Irene era più distaccata dalla propria parte introspettiva. Era una statua di sale imperturbabile all’esterno, mentre dentro di sé un turbine di emozioni si mescolavano tra di loro, soffocandola da dentro poiché incapace di tirarle fuori. Amava anche lei Rocco? Non aveva dubbi. Era stata proprio la portata di quei sentimenti a spaventarla e spingerla a fuggire sin dal principio. Eppure, anche se ormai era venuta a patti con ciò che provava, faticava ancora a trovare il modo di esternarlo apertamente. 
“Ah, beh, congratulazioni, allora?” rispose Vittorio con un risolino imbarazzato. Non sapeva effettivamente come reagire alla notizia, dato che quella relazione lo avrebbe messo in difficoltà con la signorina Puglisi. 
“Grazie, grazie” rispose Rocco con un atteggiamento talmente fiero che il cuore di Irene sarebbe scoppiato di gioia se in quel momento non si fosse trovata in preda al panico. “Aveva bisogno di qualcosa, dottor Conti?” gli chiese poi.
“Ah, sì. Cercavo il signor Ferraris” si ricordò infine del motivo che lo aveva spinto a raggiungere il magazzino.
“Credo sia in atelier” rispose Irene. “Io allora… vado” aggiunse poi, incamminandosi verso l’uscita.
“Non pranziamo insieme?” chiese Rocco confuso. 
“No, ho… da fare. A dopo” scappò via lei, lasciando Rocco interdetto.  

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Irene sembrava titubante all’idea di seguirlo quella sera. Rocco l’aveva aspettata all’uscita dal magazzino e le aveva semplicemente offerto il braccio, senza dire nient’altro e senza particolari effusioni, dato che sentivano gli occhi delle ragazze puntati su di loro. Quando Maria arrivò, prima che loro due si avviassero, Irene si allontanò di colpo, annullando qualsiasi contatto con lui. Avevano fatto praticamente in silenzio il resto del tragitto con Rocco che cercava di fare conversazione e Irene che rispondeva a monosillabi.
“Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?” Rocco d’un tratto le domandò, seduto sulla panchina con le briciole del panino che gli ricadevano sui pantaloni. Prima di andare in pensione, avevano deciso di cenare in piazzetta e così si erano fermati da Salvo, che non appena li aveva visti entrare insieme, si era subito irrigidito. Era comprensibile che non sapesse esattamente come comportarsi. Doveva essere felice per loro? Dispiaciuto per Maria? Solidale alla sua famiglia? Preoccupato per suo cugino? Era tutto un miscuglio di sentimenti ed emozioni che non sapeva come gestire. Irene era rimasta in disparte mentre Rocco comprava due panini e parlava con suo cugino. Non le andava di sentire di nuovo qualcuno che non concordava con la loro decisione o che metteva in mezzo la “povera Maria”. E Irene era d’accordo con tutti loro: la loro indecisione aveva ferito Maria, ma vederla compatire da tutti la faceva sentire sempre più in torto, come se il sentimento che la legava a Rocco fosse sbagliato. Alla fine aveva visto i due cugini battibeccare per un po’, prima che Rocco si avviasse verso l’uscita mettendole una mano dietro la schiena per spingerla a fare altrettanto. 
“No, perché?” rispose Irene appoggiata contro la sua spalla. Aveva preferito mangiare in piazzetta, poiché aveva deciso già che non sarebbe rimasta in pensione con lui quella notte.
“Picchì sei strana” aggiunse lui pulendosi le labbra con un tovagliolino di carta. “Non parli, non dici nenti, non manci.”
“Sono solo stanca” ribatté stiracchiandosi e sbadigliando insieme. “Il mio panino mangialo tu ché sarai affamato” sorrise mesta lei, pensando al fatto che quella relazione lo avesse allontanato non solo dalla sua famiglia, ma persino dal cibo. Se non avesse scelto lei, adesso sarebbe stato a tavola con i suoi zii e i suoi cugini a rimpinzarsi di chissà quali manicaretti che lei non sarebbe mai stata in grado di preparare. 
“Irè?” domandò lui dopo qualche istante passato in silenzio a rimuginare. Era evidente che quella fosse una Irene completamente diversa rispetto a quella aperta e affettuosa di quella mattina. Si era chiusa a riccio, mostrandosi distaccata e fredda. Doveva parlare con la sua famiglia, lo doveva fare anche per lei. Non poteva continuare a nascondersi, evitandoli tutti. Che lo volessero o meno, lui aveva preso la sua decisione e loro non potevano fare altro che accettarla, se davvero gli volevano bene. E avrebbero dovuto portare rispetto a Irene, perché un’offesa contro di lei, era anche un’offesa nei suoi confronti. 
“Sì?” rispose lei allungando lo sguardo verso di lui. Con la testa appoggiata alla sua spalla non poteva vedere bene l’espressione pensierosa che immaginava avesse Rocco.
“Me lo dicevi se c’era qualcosa, vero?” chiese lui allora, confermando i sospetti di Irene. 
“Rocco, non ti preoccupare, va tutto bene” rispose lei spazientita. A dirla tutta, oltre al ridicolo disagio che avvertiva e che non aveva motivo di esistere, dato che in quelle sole ventiquattro ore avevano parlato e condiviso più di quanto avessero fatto in due anni, non faceva i salti di gioia all’idea di tornare a casa. Dopo il confronto di quella mattina, aveva accuratamente evitato sia la signora Agnese che, soprattutto, Maria ed Anna. Se con quest’ultima aveva dovuto necessariamente lavorare fianco a fianco in galleria, le altre due non le aveva nemmeno intraviste per tutta la giornata. Tremava al pensiero di dover riaffrontare ancora una volta Maria e quel clima infernale che si respirava in casa. Sentirsi la pecora nera, colei che aveva rovinato tutto. Dato che l’avevano costretta a compiere una scelta, aveva scelto Rocco e non se ne pentiva. Ma quanto le mancavano di già le domeniche in casa con le ragazze, i continui battibecchi su chi dovesse fare i piatti, con Stefania che cercava di mettere d’accordo tutte offrendosi al posto suo, mentre Irene si passava lo smalto sulle unghie. Anche se l’avessero un giorno perdonata, tutto quello non sarebbe mai più tornato. Qualcosa si era inevitabilmente spezzato per sempre e, come le aveva dimostrato Maria, non c’era alcun modo per rimettere insieme i pezzi di quel bicchiere finito in frantumi. 
“Alla fine ho deciso che domani vado a casa a prendere le mie cose e poi ci chiedo ospitalità al signor Armando” disse lui spazzandosi le briciole di dosso con una mano. 
Irene annuì in silenzio. Quella mattina era stata di tutt’altro avviso, ma in quel momento si ritrovò a pensare che forse sarebbe stata la cosa migliore. Non solo perché non poteva permettersi di pagargli altre notti in pensione, ma anche perché in quel modo avrebbero potuto continuare a vedersi sul ballatoio davanti casa di Armando, senza doversi per forza intrattenere fuori tutta la notte. E poi anche lui doveva affrontare i suoi zii, a prescindere da lei. Non avrebbe sopportato l’idea di allontanarlo da tutti loro. Conosceva bene il valore che Rocco dava alla sua famiglia.
Rocco allora si scostò un poco e le pizzicò una guancia con due dita per stuzzicarla e smuoverla da quel mutismo nel quale si era rifugiata. Lei si allontanò per guardarlo negli occhi e accennò un sorriso.
“Oh, ora va meglio” disse lui teneramente. Quella capacità di farla sorridere anche nei momenti più bui, era una delle caratteristiche che più amava di lui. Rocco non sopportava di vederla triste e giù di morale. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farle tornare il sorriso.
“Lo sapevamo che gli altri ci avrebbero giudicato, no?” le ricordò giocando distrattamente con le dita della sua mano.
“Sì, ma saperlo non lo rende meno difficile” rispose Irene. “Anche perché poi è me che giudicano, non te” ammise con rabbia. Il solito maschilismo che valutava i comportamenti dell’uomo in un modo e quelli della donna in un altro. Lei avrebbe potuto fare sempre tutto in modo corretto, e poi sarebbe bastato un singolo errore a ribaltare completamente l’opinione che gli altri avevano di lei. Per Rocco la questione era diversa. Per lui trovavano sempre delle scusanti, lusinghiere o meno che fossero. 
“Tu non ti devi preoccupare, ci penso io” le disse con fare comprensivo. “Anche picchì solo io posso criticarti” aggiunse Rocco con una smorfia.
“Lascia perdere, lo fai già abbastanza” si imbronciò Irene. “Non hai mai niente di positivo da dirmi.” 
“Avà, ma che ti dico? Che sei orgogliosa e prepotente?” disse portando Irene a distogliere lo sguardo. “Ti ho detto pure che quando vuoi sai essere pure dolce, va.”
“Quando voglio, certo” incrociò offesa le braccia al petto.
“E mi fai credere che io sono migliore di quello che penso” le rivelò, facendosi improvvisamente serio.
Irene tornò a guardarlo divertita. “Che io sia” lo corresse.
“Ecco, appuntu” rispose Rocco arricciando le labbra deluso da se stesso, ma non offeso.
“E comunque sei davvero migliore di quello che credi” ribadì lei guardandolo negli occhi. Finora era riuscito in tutto quello che si era prefissato di fare. Suo padre l’aveva creduto una nullità, ma la verità era che Rocco era determinato e intelligente, molto più di quanto si desse credito. “Se la smettessi di sottovalutarti, potresti fare grandi cose.”
“Anche prendere la terza media?” propose lui. Ci stava pensando da qualche tempo. Si vergognava ad ammetterlo, ma studiare un poco gli piaceva per davvero. Solo che non aveva mai creduto di essere abbastanza bravo per riuscirci. 
“Certo, e anche il diploma, perché no” rispose Irene con un sorriso. “Poi se ti aiuto io, la promozione è assicurata” gli fece l’occhiolino. 
Rocco la guardò soddisfatto e colmo di gioia. Con Irene si sentiva in grado di fare qualsiasi cosa, perché lei aveva sempre creduto in lui. Non gli aveva mai detto di non essere capace, di essere troppo stupido o un asino come gli ripeteva ogni giorno suo padre. La verità era che non lo avrebbe fatto solo per se stesso. Anche se non glielo faceva pesare, lui voleva essere alla sua altezza. Voleva conoscere le cose che piacevano a lei. Voleva che fosse fiera di lui.
“Devo andare” all’improvviso disse Irene con un sospiro.
“Ma come?” chiese lui sorpreso e dispiaciuto. “Non vieni in pensione?”
“No, credo sia meglio di no” rispose guardandolo negli occhi. 
Rocco iniziò a chiedersi se le parole di sua zia l’avessero condizionata o se ci fosse qualcos’altro che non gli stava dicendo. 
“Picchì?” chiese candido.
“Ci hai preso gusto?” lo prese in giro. “Io una casa ce l’ho e, anche se non ho voglia, devo tornarci. Non posso continuare a passare la notte fuori. Sono pur sempre una signorina” gli fece notare con ironia. “Poi devo andare a dare supporto emotivo a Stefania: ti assicuro che ne ha bisogno” aggiunse lasciandogli intuire quale fosse il clima da tragedia greca che si respirava dentro il loro appartamento, ma evitando di menzionare la reazione a scoppio ritardato di Maria. Non era giusto che loro due continuassero a fuggire dalle responsabilità, lasciando che fosse Stefania da sola a raccogliere i frutti del loro comportamento. E poi, nonostante Irene non badasse alle apparenze, passare due notti di fila fuori, specialmente adesso che tutti sapevano con chi le avrebbe trascorse, forse sarebbe stato eccessivo persino per lei.
“Tanto ci vediamo domani al lavoro” disse Irene stringendosi nelle spalle. 
Rocco annuì. Lei si avvicinò a lui per salutarlo con un bacio sulle labbra.
“Irè” la trattenne per un braccio. “Domani ci parlo davvero coi miei zii, non ti preoccupare. Ci penso io” disse lui stampandole un bacio sulla mano prima di lasciargliela andare.
Lei sorrise e annuì, incamminandosi verso casa. Irene non aveva alcuna intenzione di arrendersi, e aveva totale fiducia in Rocco. Ma doveva ancora trovare il giusto equilibrio tra ciò che provava per lui, e quello che pensavano le persone che li conoscevano bene. Avrebbe imparato a farsi scivolare addosso le loro opinioni, e forse anche loro avrebbero finalmente accettato quella relazione, lasciandoli liberi di viverla come volevano. Ma per il momento doveva solo tenere duro. Anche perché adesso che la bolla era ufficialmente scoppiata, stare insieme non sarebbe stato altrettanto facile come la sera prima.


 

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Capitolo 8
*** Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini per scivolare meglio sopra l'odio ***


Il risveglio quella mattina per Rocco non fu dolce come quello del giorno precedente. Aveva aperto gli occhi tastando il cuscino in cerca di Irene, nonostante la sua mente fosse consapevole di non poterla trovare lì. Lei era a casa sua, a non troppa distanza da lui, ma era lì da sola a far fronte ai giudizi negativi di chi non comprendeva la loro decisione. Aveva ragione, non potevano nascondersi per sempre, lui per primo. Lei aveva trovato il coraggio di andare a casa e affrontare la situazione di petto, e adesso era arrivato il suo turno. 
Sbadigliò stiracchiandosi sul letto vuoto e, senza indugiare troppo, si rimise subito in piedi. Erano le sei del mattino, ma aveva parecchie cose da fare e in fondo aveva già riposato abbastanza. Doveva andare a prendere le sue cose, parlare con i suoi zii e infine con Armando. Aveva anche bisogno di fare una doccia e cambiarsi, prima di andare al lavoro. Se fosse anche riuscito a passare del tempo con Irene, sarebbe stato tutto di guadagnato. 
Non era entusiasta neanche lui di dover affrontare la sua famiglia. Chi lo sarebbe stato al posto suo? A Rocco non piacevano i conflitti, non gli andava a genio dover discutere per quella che in fondo era una sua decisione. Lui non metteva bocca su quello che faceva Salvo, perché al contrario invece tutti si sentivano sempre in dovere di dirgli cosa dovesse fare?
Incamminandosi sul ballatoio, per un attimo fu tentato di bussare alla porta di Irene per salutarla. Ma sapeva che correva il rischio di incontrare Maria e non sarebbe stata la cosa migliore per nessuno dei due. Dovevano essere discreti, Irene aveva ragione. A malincuore infilò le chiavi nella toppa di casa, trovando la sua famiglia intenta in una conversazione accesa davanti a una fetta di torta e una tazza di caffelatte. Gli sembrò talmente surreale che per un attimo fu tentato di tornare indietro. Erano tutti lì a decidere per il suo futuro, a discutere su cosa fosse meglio per lui, mentre lui non era nemmeno presente per poter dire la propria, come se non avesse alcuna voce in capitolo.
“Rocco!” Tina si alzò da tavola per accorrere in suo saluto. Lo circondò tra le braccia, tenendolo stretto a sé. C’era almeno una persona che era contenta di vederlo. 
Suo zio lo fissava in silenzio con aria truce, mentre sua zia si alzò, ma non con lo stesso entusiasmo della cugina.
“Che ti sei impazzito? Ce lo dici che ti è preso?” domandò Agnese con rabbia. 
“E che è successo, zì, ho fatto la mia scelta” si strinse nelle spalle, incamminandosi con noncuranza verso la camera per prepararsi un borsone. Non gli aveva ancora chiesto nulla, ma Armando non gli avrebbe negato un posto in cui dormire, ne era certo. Anche per terra sarebbe stato meglio che passare le sue giornate lì dentro. Aveva il forte desiderio che tutto tornasse a posto. Gli mancava tremendamente la sua famiglia, e non sopportava i contrasti, ma in quel momento era talmente arrabbiato per le parole che erano state rivolte a Irene, che non sentiva neanche l’esigenza di riappacificarsi con loro. 
“Una scelta l’avevi già fatta. Quella giusta” sottolineò Agnese.
“Dove stai andando?” disse Tina seguendolo insieme a sua madre e a Salvo, che tardivamente si era unito a loro.
“U ziu ha detto che non ci potevo stare più qua se lasciavo a Maria e quindi me ne vado” rispose lui con tranquillità, esponendo semplicemente un dato di fatto. Senza tensioni o proteste.
“Tuo zio voleva solo farti ragionare, con le buone o con le cattive. Non ti voleva buttare per strada.  Ti rendi conto di quello che ci hai fatto a Maria, ah?” gli domandò seria Agnese.
“Cettu che me ne rendo conto, zì. Non sugnu babbu come pensate voi. Io a Maria ci voglio bene, ma non è con lei che voglio stare” ammise diretto, senza giri di parole. 
“E tu ora ce lo dici? Perché ci hai chiesto di sposarla se non volevi stare con lei?” chiese adirata sua zia.
“Ma comu picchì! Su du anni che mi dite Maria di qua, Maria di là. Guarda che brava Maria, guarda che bella Maria” sbottò lui, esasperato. Si era lasciato condizionare dalle loro parole, convinto che avessero un fondo di verità, perché glielo diceva sempre anche suo padre che non era capace di fare nulla da solo. La verità era che tutti lo trattavano come uno stupido, ma Rocco non lo era affatto. 
“E tu fai quello che ti dicono gli altri?” Agnese lo riprese scuotendo la testa.
“E’ chiddu che ho fatto finora. Non più” ammise Rocco con una scrollata di spalle. Agnese fissò il nipote interdetta. Quella presa di posizione la turbava, perché non aveva mai visto Rocco usare quei toni con la sua famiglia. Fino a quel momento, ogni suo appunto contrario era sempre stato mosso con il massimo rispetto verso i suoi cari. 
“Perché non sei capace di pensare con la tua testa. Voi giovani fate e disfate, vi fate prendere dal momento, non ci pensate alle conseguenze. Questo è un fuoco di paglia, Rocco. Stai attento che te ne penti” gli intimò usando un tono che suonava più come una minaccia.
“Ah io non so pensare con la mia testa?” sputò con rabbia. “Forse è la prima volta che penso proprio con la mia testa!” la fissò duramente. Era stanco di farsi manipolare da tutti loro.
“Dove sei stato stanotte? Co quella svergognata?” gli fece notare sua zia, dopo qualche istante di silenzio. 
“Mamma, la smetti? Non è denigrando Irene che lo farai tornare da Maria” si intromise Tina.
“Intanto quella c’ha un nome e si chiama Irene. E poi no, lei m’ha dato i soldi per la camera in pensione, per non farmi dormire in magazzino. Quella” sottolineò lui. 
“Quella non è la ragazza giusta per te, Rocco, lo vuoi capire?” cercò di addolcire il tono della propria voce nella speranza di placare il nipote e prenderlo con le buone. Quella sciacquetta poteva pure provare qualcosa per suo nipote adesso, ma era certa che si sarebbe presto stancata di un ragazzo buono e semplice come Rocco. Non voleva che se ne pentisse, perché quando quella ragazza si sarebbe accorta che suo nipote non avrebbe mai potuto darle quello che lei desiderava, Maria sarebbe andata persa sempre e lui cosa avrebbe fatto allora? Poteva sembrargli dura adesso, ma era convinta di fare solo il meglio per lui. Un giorno l’avrebbe persino ringraziata. 

“E lo decidi tu, zì? Voi non la conoscete proprio a Irene. Voi la giudicate e basta, senza sapere niente” aggiunse iniziando a mettere le sue camicie dentro una busta di stoffa, dato che non aveva borse o valigie da usare. “Viri ca chidda è una brava ragazza e mi vuole bene veramente.”
“Quella è una ragazza volubile, gioia. Ora credi che ti vuole bene, ma domani? Cosa farai quando si sarà stancata di te, ah?” gli chiese. 
“Ma picchì si deve stancare, dico io? Non possiamo essere felici e basta?” si voltò verso di lei.
“Felici. Voi giovani solo a questo pensate. L’amore non è l’unica cosa che conta. L’amore prima o poi finisce. C’è bisogno anche di altro in un rapporto” gli fece notare con amarezza. Anche lei era stata innamorata di suo marito Giuseppe, ma quando l’amore finisce, è in quel momento che si valutano le cose con la giusta lucidità. L’amore mette i paraocchi, fa credere che tutto sia superabile, che ogni ostacolo sia sormontabile e ogni difetto trascurabile, ma la vita non era così semplice e suo nipote non aveva ancora sbattuto la testa con la realtà. Pensava solo ai sogni. Ma la vita purtroppo non era solo fatta di sogni. 
“Mamma, ma dobbiamo scegliere un compagno di vita o un’auto? Valutiamo modello, carrozzeria e vediamo se il prezzo è quello più vantaggioso per noi?” ribatté ironica Tina. Sua madre aveva in parte ragione, era fondamentale la sintonia tra due persone, ma non poteva ridurre tutto a una scelta pratica. L’amore contava eccome.
“O una bicicletta” aggiunse Salvo con una risata. 
“Ecco, appunto, bravo. Maria è la bicicletta cu le rotelle. E’ la scelta sicura, chidda che non ti lassa mai a piedi e non ti puoi fari mali. Irene è l’ultimo modello con le ruote che ti fanno correre veloce. E’ più rischiosa, ma è cu chidda che vinci la gara” disse Rocco soddisfatto per quell’analogia che ai suoi occhi spiegava perfettamente la sua scelta. 
“Ma in un rapporto, in un matrimonio, non ci sono gare da vincere” rispose sconsolata Agnese. “Tu sei un ragazzo semplice e lei è una… non è adatta a uno come te, gioia mia” si avvicinò per fargli una carezza, da cui lui prontamente si ritrasse. Se stava cercando di prenderlo con le buone, non ci stava affatto riuscendo.
“Lei è una cosa? Avanti, sentiamo, zì. Guarda che lo so cosa ci hai detto ieri e non ti devi più permettere di dire queste cose della mia fidanzata, va bene?” la riprese puntandole il dito contro. Agnese non aveva mai visto suo nipote reagire in quel modo. Quell’arpia lo stava avvelenando, portandolo contro alla sua stessa famiglia, come faceva a non accorgersene?
“Ah, ora è pure la tua fidanzata? Ieri la tua fidanzata era un’altra, te ne rendi conto?” gli fece notare con una risata. “E poi vorresti pure essere preso sul serio.”
“Lo so e mi dispiace per Maria. Ma io amo a Irene” rispose Rocco con una sincerità disarmante.
L’espressione di Tina si addolcì davanti alle parole tenere del cugino. Lo aveva stuzzicato tanto, e aveva fatto lo stesso con Irene, perché sapeva che in fondo c’era qualcosa di importante tra di loro. Lo aveva capito da come si guardavano e, soprattutto, dal disagio con cui si evitavano quando erano costretti a entrare in contatto. A tutti dispiaceva per Maria, a lei per prima, a cui avrebbe fatto maggiormente comodo una cognata tranquilla come Maria, ma era anche contenta per Rocco, perché finalmente stava prendendo una decisione tutta sua, spinto solo dalla potenza dei suoi sentimenti, non dalle parole degli altri. Proprio come aveva fatto lei con Sandro, andando contro tutto e tutti. 
“E alla tua famiglia non ci pensi?” Agnese tornò alla carica. “Alla figura che ci hai fatto fare a Partanna? Nessuno vorrà più avere a che fare con noi, adesso. Le voci le sento fino a qua” puntò tutto sul senso di colpa.
“Iiih, manco fosse chissà quale dramma” si intromise Tina. “A stento scendete a Natale. E’ più importante l’opinione degli altri rispetto alla felicità di vostro nipote?” li rimbeccò lei.
“E’ proprio alla sua felicità che stiamo pensando, Tina. Tu da che parte stai, ah?” domandò rabbiosa Agnese.
“Dalla parte di Rocco” si strinse nelle spalle, con aria di sfida.
Rocco si voltò verso la cugina e le rivolse un’occhiata riconoscente. 
“Anche io, mamma” intervenne Salvo. “Me lo ricordo quando Rocco mi ha raccontato del bacio con Irene. Si vedeva che provava qualcosa per lei. Io credo che sia meglio evitare di intrometterci nella vita degli altri. Anche perché l’hai già fatto in passato, mamma, e vedi com’è finita” le fece notare, ricordando fin troppo bene le sue interferenze che avevano portato al matrimonio tra Gabriella e Cosimo.
Agnese, trovandosi i suoi due figli contro, iniziò a scuotere la testa, senza parole.
“Ma quanto si ingenuo” fece il suo ingresso Giuseppe. “E irriconoscente. Dopo quello che abbiamo fatto per te. Dovevamo lasciarti a pescolari i pecuri cu to matri” intervenne lo zio. “Non viri quantu stai facendo soffrire a tua zia?” fece leva anche lui sul senso di colpa. 
“Ma picchì” esclamò Rocco sconcertato. “Picchì non sposo quella che volevate voi?” Gli sembrava assurdo che gli stessero facendo la guerra solo perché aveva scelto di stare con una persona che loro due non approvavano. Che gli importava? La vita era la sua. Se avesse commesso un errore, sarebbe stato lui a pagarlo. Non erano loro a dover stare con Irene.
“Picchì quella ti sta avvelenando, gioia. Ti sta allontanando dalla tua famiglia e dal Signore” Agnese rincarò la dose mettendo in mezzo la fede. Suo nipote e quella ragazza avevano passato la notte insieme, Dio solo sapeva cosa avevano combinato.
“Ci mancava pure lui adesso” si intromise Tina roteando gli occhi al cielo.
“Ma quali velenu e velenu” rispose, continuando a mettere le proprie cose dentro la borsa. “Voi non sapete niente di Irene.”
“Quella è una vipera che ti manipola, Rocco. Prima fa la vittima, poi ti convince a lasciare a Maria, ora ti sta mettendo contro a noi” aggiunse Giuseppe con disprezzo. “Me niputi non avrebbe mai alzato le mani contro a suo zio. Me niputi una volta conosceva il rispetto” continuò serio.
“E’ proprio picchì conosco il rispetto che l’ho fatto” sentenziò Rocco. “Irene non fa la vittima, Irene era la vittima. Tu l’hai minacciata e ci hai fatto male per primo. E non mi ha convinto a lasciare a Maria, l’ho fatto io da solo, mentre lei stava ancora cu chiddu” decise di rendere chiara la situazione alla sua famiglia. Aveva lasciato Maria senza avere la certezza di essere ricambiato da Irene. Perché non riuscivano a capire che era stata una decisione sua e soltanto sua? “E’ stata chidda a convincermi a tornare a casa dopo… u nostru litigiu. E ora voleva lei per prima che tornavo a casa a parlare con voi. Non è idda che mi sta allontanando dalla mia famiglia. Siete voi che lo state facendo” concluse afferrando la borsa, percorrendo ad ampie falcate la distanza fino alla porta di casa.
“Dove stai andando, gioia?” lo inseguì Agnese. “Resta.”
“No, u carusu deve imparare il rispetto. Finché non lo avrà fatto, qua dentro non ci torna” sentenziò Giuseppe alzando la voce categorico, portando i suoi figli a guardarlo di sbieco. 
“E finché non avrete accettato e imparato a rispettare a Irene, qua dentro sono proprio io che non ci voglio tornare” concluse Rocco aprendo la porta e sbattendola dietro di sé. 

 

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Irene era sdraiata sul letto con entrambe le mani sull’addome e il lenzuolo che la ricopriva fino in vita. Si era già svegliata da un pezzo e fissava il soffitto da almeno mezz’ora, intenta a ripensare alla situazione che stava vivendo con Rocco e con le sue amiche. Ricordava la sera in cui era andata all’appuntamento con Lorenzo e a come si era sentita coccolata da loro, come se stessero preparando Cenerentola per andare al ballo. Nessuna adesso avrebbe fatto lo stesso con Rocco. Forse nemmeno Stefania. Aveva preso le sue difese, e Irene le era grata per questo, ma avrebbe mentito se le avesse detto di essere entusiasta per quella relazione. Non perché non fosse felice per lei, ma perché neanche alla sua amica, come Rocco, piacevano i conflitti. Stefania non sopportava quel clima agitato e nervoso che si respirava in casa delle ragazze. Sembrava si fossero formate due fazioni, lei e Irene contro Anna e Maria. A tavola l’aria era irrespirabile, e le due coppie si muovevano con la precisa intenzione di evitare l’altra. Quando sarebbero tornate a cenare tutte insieme? Quando sarebbe tornato tutto a posto? Le mancavano persino le discussioni su chi dovesse andare a fare la spesa. 
Stefania, che si era svegliata presto quella mattina come al suo solito, aveva lasciato dormire Irene. Ma adesso che era ora di alzarsi, entrò in camera in punta di piedi, trovando la sua amica già sveglia. Certe volte le sembrava di comportarsi come una mamma con lei. E altre invece era l’esatto opposto. 
“Ah, sei sveglia” disse appoggiandosi alla testiera del letto. 
“Più o meno” rispose Irene con una smorfia. Aveva dormito, ma era stato un sonno agitato. Si era svegliata almeno tre volte.
“Hai dormito stanotte?” le chiese Stefania, che aveva notato la sua amica girarsi e rigirarsi nel letto.
Irene annuì e Stefania si avvicinò. “Fammi spazio” le disse, sdraiandosi sul materasso accanto a lei.
“Facciamo tardi al lavoro” protestò Irene.
“Non è vero, abbiamo ancora un sacco di tempo” le fece notare lei. “Allora?” domandò dopo qualche istante.
“Allora cosa?” Irene rispose continuando a fissare il soffitto. 
“Com’è stato passare la notte con Rocco?” chiese con curiosità, senza l’intenzione di giudicarla. Lei non avrebbe mai fatto niente di simile, le sembrava ancora assurda l’idea di vivere da sola con le sue amiche o di uscire la sera con loro, senza supervisione. Era andata al cinema quando c’era la zia Ernesta, ma non era lo stesso adesso che sapeva che non ci sarebbe stato nessuno a controllarla e darle noia per l’orario in cui era rientrata a casa o qualcuno che la tempestasse di domande per chiederle con chi sarebbe uscita e dove sarebbe andata. Certe volte si sentiva ancora a disagio, perché in mente aveva sempre gli insegnamenti della zia Ernesta che le indicavano la strada. Ma Irene era diversa e Stefania apprezzava l’intraprendenza della sua amica, che tanto aveva da insegnarle. 
“Guarda che non abbiamo fatto niente, eh. Abbiamo solo dormito” rispose Irene con un sorriso. 
“Lo so, lo so. Ma io non ho mai nemmeno dormito con un uomo. Quindi, com’è?” continuò Stefania con ingenuità.
“Stefania, Rocco è un uomo ma è anche un essere umano. Dorme come dormiamo noi. Forse solo un po’ più rumoroso” ridacchiò pensando alle volte in cui aveva sentito il respiro pesante di Rocco che dormiva a pancia in giù contro la sua spalla. Checché ne dicessero di lei, nemmeno Irene aveva mai passato la notte con un uomo. Parlava e si dava delle arie, ma in verità non aveva avuto poi così tante esperienze.
“Non sei triste ora, vero?” le domandò Stefania con apprensione. L’aveva spinta anche lei ad avvicinarsi a Rocco e ammettere i suoi sentimenti. Ma, per ovvi motivi, Irene non sembrava al settimo cielo. Le sembrava turbata e piuttosto pensierosa.
“No, ma che triste. Avevi ragione tu, dovevo dirgli quello che provavo, anche se non è stato semplice” rispose. “Mi dispiace solo per Maria e per tutti quelli che ci giudicheranno male. E mi dispiace che debba pagare anche tu per questo” aggiunse mortificata. La povera Stefania si ritrovava in mezzo a una questione che in fondo non la riguardava nemmeno e che si ritrovava a subire suo malgrado a causa sua. Se Anna e Maria avevano intenzione di far terra bruciata a lei, Irene lo avrebbe accettato, ma Stefania che colpa aveva? Quella di volerle bene?
“Ma che dispiacerti. Io sono felice per te. Anche a me dispiace per Maria, non ti credere. Ma mi sento un pochino in colpa pure io. Se non ti avessi spinta a lasciarlo andare, forse non lo avresti fatto e Rocco non sarebbe arrivato così tanto in là con lei” le rivelò Stefania con una punta rammarico nella voce.
Irene appoggiò la testa contro quella della sua amica. “Ho capito che non ha senso colpevolizzarsi. Tutti abbiamo commesso degli errori, quello che conta è come reagiamo di fronte agli sbagli commessi. Continuare a recriminarsi a cosa porta? Maria l’ha dimostrato bene con quel bicchiere” sorrise Irene ripensando a quella che era tutt’altro che una scena comica, ma che in quel momento, ripensandoci, la faceva divertire.
Stefania iniziò a ridacchiare anche lei, coprendosi la bocca con una mano per soffocare le risate. “Aiuto, ci pensi? Mi ha fatto prendere un colpo” rispose lei. 
Irene imitò Maria prendendo un immaginario bicchiere tra le mani e scaraventandolo sul letto. “Bam. Ritorna intero?” le fece il verso con fare melodrammatico.
“Forse non dovremmo prenderla in giro” disse Stefania, nonostante continuasse a sogghignare ripensando a quella scena.
“No, infatti. In fondo ha ragione” ammise Irene. 
“Comunque io sono contenta se tu sei contenta” disse Stefania dopo qualche secondo, stampandole un bacio sulla guancia prima di alzarsi dal letto.

Per sua fortuna, sia Anna che Maria erano uscite di casa prima che Irene si svegliasse. Aveva quindi potuto prepararsi in tranquillità e serenità, sentendo la sua amica Stefania che canticchiava con la radio accesa mentre finiva di fare colazione. Irene sorrise, consapevole che Stefania lo stesse facendo per cercare di alleggerire l’atmosfera che si respirava lì dentro e le fu grata. Soprattutto quando, dall’altra parte, iniziò a sentirsi un gran vociare che portò entrambe a ipotizzare che Rocco fosse effettivamente tornato a casa. Per quanto Irene cercasse di sentire quello che stavano dicendo, non riusciva a capire nemmeno una parola. Dovevano essere lontani dalla cucina, perché captava solo un brusio, ma nulla di definito. 
Iniziò a mordicchiarsi le pellicine delle labbra e infine decise di aprire la porta così da farsi vedere da Rocco non appena lui fosse uscito. Irene, vestita con una gonna viola a fiori e una camicetta lilla, sostava appoggiata al muro in attesa di vederlo arrivare.
“E finché non avrete accettato e imparato a rispettare a Irene, qua dentro sono proprio io che non ci voglio tornare” lo sentì dire pochi istanti prima di vederlo comparire sul ballatoio.
Le sembrò che le avessero preso il cuore con una mano e lo avessero stritolato tra le dita. Cercò di soffocare un sorriso, perché il momento non lo richiedeva, ma era felice di vederlo prendere le sue difese in quel modo. Nessuno lo aveva mai fatto prima. Non con tanta veemenza e amore. La faceva camminare a tre palmi dal pavimento sapere che teneva a lei abbastanza da andare contro alla sua stessa famiglia. Non ci godeva a separarlo da loro, quella però era l’ennesima attestazione della potenza del suo sentimento. 
“Ah, Irè” il suo viso contratto per la rabbia si addolcì immediatamente non appena la vide. “Quantu si bedda” aggiunse avvicinandosi per darle un bacio. Non l’aveva mai vista con quegli abiti e gli sembrò di una bellezza disarmante. Irene gli passò una mano sul viso, mentre lui si ritraeva all’istante preoccupato.
“Maria non c’è, stai tranquillo” gli disse lei divertita, intuendo subito il motivo della sua reticenza. 
“Buongiorno, piccioncini” esclamò Stefania con il soprabito e la borsetta tra le mani. 
“Ah ciao, Stefà” rispose Rocco con un sorriso. 
“Andiamo al lavoro insieme?” chiese lei, indecisa sul da farsi. Non le andava di fare il terzo incomodo, ma una volta che erano lì, forse sarebbe sembrato strano se si fosse avviata da sola, come se volesse evitarli. 
“No, devo andare a parlare col signor Armando, ma voi andate” disse Rocco, circondando la vita di Irene con un braccio, mentre l’altro era impegnato a sorreggere la busta piena di indumenti che stava portando al piano di sopra. 
“Io salgo con lui. Ci vediamo in galleria” Irene disse a Stefania, che con un cenno della testa si avviò. Non voleva rinunciare ai pochi momenti di libertà che aveva con lui, anche perché difficilmente al lavoro sarebbero riusciti a stare insieme. 
Il braccio di Rocco si spostò sulla spalla di lei, mentre Irene lei gli passò il suo dietro la schiena. Non sapeva se fosse il caso di chiedergli com’era andata con la sua famiglia, anche perché dal tono delle loro voci e da quella specie di valigia, l’esito doveva essere piuttosto evidente. Tuttavia, le sembrò strano evitare l’argomento e fare come se nulla fosse, così decise di informarsi.
“Non era necessario che andassi via di casa per me” provò a dirgli. “Ma grazie per avermi difesa” aggiunse alzando lo sguardo su di lui.
“Ma di che, Irè. Sono stanco che mi giudicano ogni volta che non faccio quello che vogliono” le disse mentre iniziavano a salire i gradini che portavano al piano superiore, dove si trovava l’appartamento del signor Armando e di Marcello. “Devono lasciarmi libero di decidere da solo” si strinse nelle spalle mentre scioglieva quell’abbraccio per bussare alla porta del suo mentore. Il signor Armando avrebbe sicuramente capito e gli avrebbe dato tutto il supporto di cui aveva bisogno in quel momento. 
“Rocco. Signorina Cipriani. Che ci fate qui?” chiese Armando scostandosi dallo stipite per invitarli a entrare. 
“Signor Armà, io ci volevo chiedere un favore”  esordì Rocco con tono supplichevole. L’occhio di Armando cadde sul fagotto di Rocco e aggrottò le sopracciglia. 
“Ti serve un posto in cui dormire?” lo anticipò. “Non c’è problema, Rocco. Certo, il divano è un po’ piccolo per uno spilungone come te, ma possiamo organizzarci in qualche modo, dai” aggiunse dandogli una pacca sulla spalla. Il giorno prima aveva parlato con Agnese e dai toni che aveva usato, Armando intuiva già come sarebbe andata a finire tra Rocco e la sua famiglia. Li conosceva bene, ormai. Sapeva che bisognava dargli tempo per abituarsi ai cambiamenti, ma era certo che prima o poi se ne sarebbero fatti una ragione, specialmente dopo averli visti felici e raggianti come li vedeva adesso Armando. 
“Rocco” esclamò Marcello facendo capolino dalla sua stanza. “Irene” salutò anche lei, guardandoli confuso. Sicuramente Salvo doveva averlo aggiornato sulle ultime novità, la sua perplessità nasceva dalla loro presenza quella mattina all’interno del suo appartamento. 
“Rocco ha bisogno di un posto in cui stare per qualche giorno” lo informò Armando. Rocco fece una smorfia, immaginando potesse volerci ben più di qualche giorno, ma evitò di sottolinearlo prima che i due cambiassero idea. 
“E che problema c’è. Puoi prendere la mia stanza, se vuoi” disse con un sorriso. In fondo trascorreva già gran parte delle sue notti in villa con Ludovica. Se poteva aiutare un amico, lo avrebbe fatto volentieri. “Anche perché non ti ci vedo a dormire su quel divano striminzito” gli fece notare sollevando le sopracciglia. 
“Ma va, Marcè, non posso accettare” provò a dire Rocco.
“Insisto” rispose Marcello.
“Tanto neanche la usa quella camera” lo punzecchiò Armando, pentendosi subito dopo di aver accennato a quel segreto che avrebbe dovuto mantenere su lui e la signorina Brancia. 
“Ah, nuova fiamma?” domandò Irene ridestandosi improvvisamente per la curiosità. “Se dormi tu da lei, significa che è una donna più grande, oppure…” il cervello di Irene era già in funzione per cercare di creare mille collegamenti e ipotesi per arrivare alla conclusione corretta. Era sveglia, in genere si accorgeva di queste cose prima di tutti gli altri. Così come aveva intuito dei problemi tra il dottor Conti e Marta. Ma in quel periodo era stata talmente presa dai suoi drammi, da non aver prestato abbastanza attenzione agli intrighi che avvenivano intorno a lei.  
“Piano, Sherlock” la prese in giro Marcello. “Senza che stai qui a scervellarti. E’ Ludovica” le disse. Tanto ormai Armando aveva fatto saltare la sua copertura, e in fondo, soprattutto dopo la sfuriata fatta al Circolo, non ne voleva sapere più nemmeno lui di nascondersi. Doveva essere liberatorio poter stare insieme alla luce del sole, come avevano finalmente fatto Rocco e Irene. 
“Ludovica… Brancia?” rispose Irene esterrefatta, delusa da se stessa per non essere stata in grado di anticipare quel colpo di scena. Il collegamento non sarebbe stato immediato, avrebbe avuto bisogno di qualche giorno di indagine, ma si consolava dicendosi che alla fine ci sarebbe arrivata comunque. 
“Proprio lei” ammise Marcello. “Ma non ditelo a nessuno” intimò a entrambi, portando Rocco a scuotere la testa e Irene a cucirsi le labbra con un gesto della mano. 
“E comunque, per quel che vale, io ho sempre puntato su di voi” disse Marcello facendo loro un occhiolino prima di uscire dall’appartamento. 
Irene sorrise guardando Rocco e Armando li osservò con dolcezza, contento di vedere il suo amato Rocco finalmente così felice e, per la prima volta, sicuro. “Anch’io, ma non ditelo alla signora Agnese” si portò un dito davanti al naso. “A proposito, come va in casa con Maria?” domandò subito dopo.
“Lasciamo perdere. Ieri sera non mi ha nemmeno rivolto la parola. Parlava solo con Anna, ignorando pure Stefania che ha la colpa di essermi amica” gli rispose sollevando le sopracciglia. “C’è un clima da seconda guerra mondiale. Asse contro alleati” disse un gesto plateale delle mani. Irene faticava a comprendere perché riversasse unicamente su di lei tutte le sue frustrazioni e non colpevolizzasse chi effettivamente lo meritava. Non che volesse vederla discutere con Rocco, per quanto la riguardava più gli stava lontana e meglio era. Però in fondo era stato lui a illuderla, lei non c’entrava nulla. 
“E chi vince alla fine?” domandò Rocco che poco sapeva di quella guerra o di storia in generale. Quello era uno dei motivi per cui voleva continuare a studiare. Non voleva più fare la figura dell’ignorante. 
“Ma come chi vince, Rocco! Questa è storia recente” lo riprese lui avvicinandosi per dargli un colpetto sulla nuca.
“Avà, signor Armà” si difese lui. “Che ci posso fare se non lo so” si scostò per evitare lo schiaffo.
“Ma dov’eri tu quando sganciavano le bombe?” lo prese in giro Armando.
“A pascolare i pecuri” ammise Rocco con una scrollata di spalle.
Irene lo guardò divertita. “Vincono gli alleati.”
“E tu e Stefania chi siete?” chiese confuso dopo qualche istante, cercando di capire l’analogia.
“Te lo dirò a fine scontro” ridacchiò, mentre il signor Ferraris li guardava interessato. 
“Ah, signor Armà, gliel’ho detto che pensavo di prendere anche la terza media?” si illuminò lui, fiero della proposta che aveva lanciato la sera prima a Irene.
“No, davvero? Mi sembra un’ottima idea. E viste le tue risposte adesso, ne hai anche tanto bisogno” rispose Armando esaltato. Aveva fatto tanto per rendere più istruito quel ragazzo, che sapere che anche grazie a lui adesso avrebbe voluto proseguire con gli studi lo riempiva di orgoglio. 
“Dice davvero? Lo pensa pure Irene. M’ha detto che m'aiuta a studiare” aggiunse contento, circondando con un braccio le spalle della sua fidanzata. 
“Anche se la tua nuova insegnante è molto più carina, lo sai che puoi sempre contare anche su di me” rispose lui con un sorriso. 
“Lo so, signor Armà, lo so bene” disse Rocco con gratitudine.
Nonostante si fosse ampiamente scusato, Irene si era sentita ancora a disagio in compagnia del signor Ferraris per via delle accuse che le aveva rivolto tempo prima. Ma in quel momento si sentì sollevata. Forse la famiglia di Rocco avrebbe continuato a fare loro la guerra, ma tanti altri erano dalla loro parte. Si era sbagliata a credere che sarebbero stati giudicati aspramente da tutte le persone che conoscevano. Magari qualcuno avrebbe continuato a guardarli di sottecchi e parlottare alle loro spalle, ma alla fine non erano soli come avevano inizialmente creduto e per il momento questo bastava. 

 

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Irene aveva trascorso la pausa pranzo insieme alle sue amiche in caffetteria. Rocco aveva gli allenamenti, in vista della gara di domenica, e pertanto non avevano potuto stare insieme. Lui le aveva promesso che si sarebbero rifatti quella sera, dato che Armando andava a cena col dottor Conti, che non aveva preso bene la rottura con la moglie, e avrebbero potuto avere casa tutta per loro. Irene non vedeva l’ora. Dopotutto avevano saltato tutte le fasi di frequentazione che in genere si affrontavano all’inizio della relazione. Tutte le uscite la sera mano nella mano, le cene a lume di candela. Sarebbero rimasti in casa, ma a Irene non importava, le bastava stare con lui. Certo, non si sarebbe mai trasformata in una persona noiosa come Maria, ma per il momento era giusto così. Avevano solo voglia di stare l’uno accanto all’altra e recuperare il tempo perduto. Per le serate mondane ci sarebbe sempre stato tempo.
A tal proposito, prima della pausa pranzo il dottor Conti le aveva avvisate di un evento che si sarebbe tenuto al Circolo il giorno successivo e che vedeva Tina protagonista. Il suo ritorno aveva attirato l’attenzione del loro capo che aveva immediatamente voluto sfruttare la cosa a proprio vantaggio. Negli ultimi giorni Irene si era infatti domandata come mai Vittorio Conti non se ne fosse ancora uscito con un’idea delle sue. Aveva immaginato che la rottura con la moglie l’avesse turbato tanto da rendergli difficile lo sviluppo di nuove iniziative, ma era stata prontamente smentita. Quello era un evento prestigioso che sanciva l’inizio di una nuova collaborazione tra l’ex venere, il circolo e il Paradiso e per quella prima serata erano stati praticamente invitati tutti quanti.  
“Io non so cosa mettere” si era lamentata Dora sbuffando.
“Ma se hai l’armadio pieno di vestiti” l’aveva incalzata Irene.
“Ma di vestiti brutti! Nessuno adatto all’occasione” protestò lei strattonando il braccio della sua amica.
“Io ho il vestito che mi avete regalato per il compleanno. Pensate che potrei metterlo?” chiese Stefania mettendosi la mano davanti mentre parlava col cibo in bocca.
“E sarebbe anche ora, visto che da quando te l’abbiamo regalato non l’hai mai messo una volta” si lamentò Irene. 
“Ma non ho mai avuto modo di metterlo! Per andare dove? Al cinema?” le mise il broncio.
“E tu? Sai cosa mettere?” chiese Dora a Irene. “C’è quel vestito blu della nuova collezione che secondo me ti starebbe benissimo” propose lei.
“No, al momento sono un po’ a corto di soldi” arricciò le labbra contrariata. Aveva praticamente dato via gran parte dei suoi risparmi per pagare la stanza a Rocco, e adesso non aveva modo di acquistare un abito nuovo. Avrebbe riciclato uno di quelli che aveva dentro l’armadio. In fondo anche lei, come Dora, ne aveva talmente tanti che non avrebbe avuto senso comprarne di nuovi. Ma sapeva già che se ne avesse avuto la possibilità, si sarebbe immediatamente fiondata sulle relle in ogni caso.
“Te li presto io se vuoi” intervenne Stefania. “Tanto io il vestito già ce l’ho, grazie a voi” sorrise dolcemente a entrambe. 
“No, preferisco di no” si strinse nelle spalle. Non le piaceva chiedere favori agli altri, preferiva andare avanti per la propria strada da sola. Anche se quelle ultime settimane le avevano fatto capire che aveva bisogno delle altre persone nella sua vita, non voleva approfittare di Stefania, che si era già prodigata abbastanza per lei.
“Come vuoi, ma l’offerta resta valida” disse finendo il proprio panino. 

Avevano deciso di tornare prima in galleria per iniziare a provare alcuni abiti prima della fine della pausa pranzo. 
“Dai, provalo lo stesso” l’aveva pregata Stefania e Irene, anche solo per divertirsi un po’ con le sue amiche, aveva accettato di buon grado. Sapeva già che alla fine si sarebbe innamorata di quel vestito e avrebbe pianto lacrime amare perché non avrebbe potuto comprarlo, eppure non era riuscita a resistere a una prova costume delle loro. 
“L’avevo detto che ti sarebbe stato benissimo, ormai ho l’occhio” aveva esordito Dora seduta sul divanetto con le gambe accavallate e un vestito rosso che la faceva sembrare una diva delle pellicole.
“Grazie, è il minimo. Lavori qui da tre anni” puntualizzò Irene.
“Smettila” le lanciò un guanto. “Non meriti i miei consigli accurati, la prossima volta ti farò uscire con questo” disse indicando un abito beige coi merletti. 
“Neanche al mio funerale.” La faccia eloquente di Irene parlava chiaro, tanto che Stefania decise di intervenire in favore di Gabriella. “Non è così brutto, dai. L’ha fatto per accontentare anche un altro tipo di clienti. Non sono mica tutte come te” asserì Stefania.
“Come me come? Belle? Affascinanti? Sensuali?” Irene adottò una posa cinematografica. D’altronde era abituata a fare da modella per il Paradiso. Tra la campagna americana in cui si era vestita da Jacqueline Kennedy, quella con il costume da bagno e infine le foto scandalo con indosso l’abito British, Irene si sentiva la modella di punta del grande magazzino. Dopotutto doveva esserci un motivo se continuavano a scegliere lei. 
“Modeste” intervenne Dora con una risata, seguita a ruota da Stefania. 
“Ridete, ridete, tanto siete state voi a propormi questo vestito, quindi lo sapete che è la verità” si strinse nelle spalle con noncuranza, sollevando il vestito e una gamba con fare da diva proprio mentre Rocco entrava in galleria dalla porta del magazzino con la bocca spalancata. 
“Attento che entrano le mosche” lo prese in giro Dora.
“Dai” la rimbeccò Stefania, alzandosi e trascinandola via dal divanetto per concedere qualche minuto da soli a Rocco e Irene. 
“Come mi sta?” gli chiese lei, facendo una giravolta. 
“Eh? Ah, ti sta… benissimo” disse deglutendo a fatica. 
Irene lusingata dal complimento gli fece un inchino. Poi, sentendo le voci di quelle due pettegole alle sue spalle, si girò e le beccò a parlottare tra di loro con aria divertita, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alla loro direzione. Le fulminò con lo sguardo e poi prese Rocco per mano e lo trascinò dentro il camerino, chiudendo la tenda.
“Ma che fai, Irè” esclamò Rocco a disagio. 
“Così non ci fissano” disse con un sorriso, invitandolo con un dito ad avvicinarsi a lei e baciarla. Rocco non se lo fece dire due volte e si chinò subito su di lei stringendole le labbra tra le sue. L’ultima volta che si erano ritrovati chiusi in quel camerino, le cose tra di loro erano profondamente diverse. Un’Irene spaventata dai suoi sentimenti e timorosa di ferire Maria e un Rocco che continuava a cercare di appianare le loro differenze per il timore di perderla. Ricordava la tenerezza delle sue parole quando Irene gli aveva detto che preferiva dormire fino a mattinata inoltrata. “E vabbè, fai bene, così non ti addormenti al cinema come faccio io.” Era stato in quel momento che Irene aveva capito con assoluta certezza di amarlo. Il suo sorriso parlava chiaro, anche se lui allora non poteva ancora capirlo. Come poteva non amare quel ragazzo che cercava in tutti i modi di farle capire che sarebbero riusciti a incontrarsi a metà strada, perché si piacevano e si erano baciati e allora dovevano stare insieme? Le era sembrato un discorso talmente semplice e tenero che avrebbe voluto stringergli le braccia al collo già allora. Si maledisse un attimo per non averlo fatto davvero. Ma per fortuna adesso avevano modo di recuperare tutto il tempo perduto. 
“Ma picchì state provando ‘sti vestiti?” le aveva detto quando finalmente si erano separati.
“Il dottor Conti ha organizzato un evento al Circolo. Farà cantare tua cugina Tina” lo informò.
“Ah, non lo sapevo. E ci dobbiamo andare pure noi?” chiese Rocco titubante. Non moriva dalla voglia di andare in quel luogo pieno di gente con la puzza sotto al naso. Soprattutto immaginando che ci sarebbe stata anche la sua famiglia che li avrebbe guardati dall’alto in basso. 
“Ovvio!” ribatté lei convinta. “Vuoi perderti un evento al circolo? Quando ci ricapita” gli fece notare Irene. “Guarda che con me non ti chiuderai in casa a fare la calza come con Maria, eh” gli puntò il dito contro con fare minaccioso. 
“No, no, sia mai” la prese in giro Rocco. “Ma tra fare la calza e andare al Circolo ci sono anche le vie di mezzo, ah.”
“Sì, come le serate danzanti all’oratorio” sbuffò Irene, ricordando quell’appuntamento andato male. In realtà era stata lei che aveva fatto in modo che tutto andasse storto, fingendo indifferenza, disgusto e persino un malore pur di tornare a casa e farlo desistere su loro due come coppia. Che stupida era stata.
“E ti metti questo vestito?” domandò ritrovando magicamente l’interesse.
“No, non posso permettermelo” si lasciò scappare, portando Rocco a rabbuiarsi. “Ma non importa” si affrettò a dire. “Ho un sacco di abiti nell’armadio. L’importante è andare e divertirci.”
“E se viene pure Maria?” chiese preoccupato.
“Chi? La monaca di Monza addolorata? Non penso proprio” rispose istintivamente Irene.
Rocco la riprese con lo sguardo. “Dai, lo sai che sono la prima a cui dispiace. Ma se non posso neanche cercare di sdrammatizzare…” mise il broncio. 
“E va bene, ci andiamo” si arrese Rocco. 
“Grazie! Tanto mi avevi già promesso che prima o poi una cravatta l’avresti messa” gli sorrise, saltandogli al collo felice. Era seria quando diceva che avrebbe smesso di nascondersi e di farsi umiliare dai suoi zii. Del loro parere non le importava assolutamente nulla. Anzi sarebbe stata persino contenta di sbattergli in faccia la loro felicità. L’unica verso cui provava delle remore era, ovviamente, Maria. Ma Irene era certa che non si sarebbe lasciata convincere ad andare. Non adesso che Rocco l’aveva lasciata e non aveva più niente che la legasse alla famiglia Amato. 
“Mi aiuti ad abbassare la zip?” gli domandò poi mostrandogli la schiena.
“Irè!” si irrigidì lui. 
“Devi solo abbassarla un po’, non ti ho chiesto di spogliarmi davanti a te” roteò gli occhi al cielo per l’estrema pudicizia del suo fidanzato
Lui avvicinò titubante una mano alla sua schiena, mentre iniziava a sudare freddo. Toccò con sole due dita la zip, evitando qualsiasi altro contatto fisico mentre la abbassava, rivelando la sua sottoveste. Per un attimo la sua mano sfiorò il collo nudo di Irene e questo lo portò già su di giri.
“Io… eh. Ciao” esclamò uscendo di corsa dal camerino come se questo fosse improvvisamente finito in fiamme. Irene scoppiò a ridere sfilandosi quel vestito blu che le stava divinamente, ma non aveva abbastanza soldi per comprare. 

 

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Rocco in magazzino aveva chiesto aiuto al signor Armando per preparare una cena a Irene. Voleva viziarla un po’, visto quello che aveva fatto per lui negli ultimi giorni e ciò che aveva dovuto subire soprattutto da sua zia. Si sentiva anche in colpa per il fatto che Irene non potesse acquistare quel vestito a causa sua e di quelle due notti che gli aveva pagato in pensione. Le stava talmente bene che avrebbe voluto vederla felice di indossarlo, sarebbe stato fiero di far vedere a tutti che lei, proprio la più bella e irriverente del Paradiso, era la sua fidanzata. Avrebbe voluto aiutarla in qualche modo, ma non era ancora riuscito a vendere l’anello di Maria. Forse avrebbe potuto chiedere segretamente un favore al signor Armando, magari lui avrebbe potuto intercedere con la signorina Moreau. Si sentì soddisfatto adesso che aveva un piano. Voleva farle una sorpresa. Dopotutto era un evento del Paradiso e mostrare gli abiti della collezione era tutta pubblicità gratuita, magari glielo avrebbero concesso almeno per quell’evento. 
Quella sera, intanto, alla fine del turno aveva chiesto a Dora di far sapere a Irene di raggiungerlo direttamente in casa di Armando, dato che doveva uscire prima per cucinare. Avrebbe fatto qualcosa di semplice, una pasta con qualche sugo o qualcosa del genere, almeno il rischio di incappare in un errore sarebbe stato inferiore. Il signor Armando lo aveva aiutato per gran parte della preparazione, spiegandogli come fare, poi era dovuto andare via e Rocco aveva ultimato da solo la cottura della pasta. 
Non aveva messo giacca e cravatta, ma si era messo una camicia più elegante e aveva acceso una candela al centro della tavola. Gli ricordava la serata che avevano trascorso in magazzino da soli e voleva ricrearla, almeno in parte. Sperava di riuscire almeno nell’intento di non scuocere la pasta, al contrario dell’ultima volta. 
Quando sentì Irene bussare alla porta, Rocco aveva già riempito i piatti. Spense allora le luci, creando un’atmosfera romantica, e andò ad accoglierla.
“Buonasera, signorina” disse invitandola a entrare. Irene sorrise sorpresa. 
“Ecco perché sei tornato a casa prima” rispose con entusiasmo.  “E il signor Ferraris?”
“E’ uscito col dottor Conti” disse aiutandola a sfilarsi il soprabito per appoggiarlo all’attaccapanni. “Picchì è bagnato?” domandò curioso.
“Perché ha iniziato a piovere. Non lo senti?” chiese lei tamponandosi con le mani i capelli inumiditi. Aveva messo il foulard sulla testa per evitare di inzupparsi, dato che non aveva con sé un ombrello.
“No, c’avevo la radio accesa” rispose prendendole la mano per portarla in cucina. 
“Hai cucinato tu?” Irene adocchiò il piatto con un misto tra curiosità e diffidenza. L’ultima volta non era stata un gran successo, eppure, nonostante tutto, aveva apprezzato quel piatto di pasta scotta più di quanto avesse dato a vedere. 
“C’ho provato, ah. Però ti volevo fare una sorpresa” disse timidamente Rocco. Lei lo portava a mettersi costantemente alla prova, a uscire dalla propria zona di comfort e fare cose che non avrebbe mai pensato di poter fare. Quando era arrivato a Milano era convinto che cucinare, lavare, stendere i panni, fossero tutte cose di fimmina, ma quella città, e anche Irene stessa, gli avevano insegnato che non era giusto inscatolare le persone dentro dei ruoli prestabiliti. Era un uomo profondamente diverso adesso e il merito era anche il suo, oltre che del signor Armando.
“E come mai?” chiese lei stupita, trovando quel gesto piuttosto inaspettato. Si guardò in giro e notò come avesse fatto di tutto per rendere l’atmosfera più intima e piacevole. Osservò la candela al centro della tavola, l’audio della radio attenuato ma dalla quale fuoriuscivano delle note romantiche, la sua camicia buona - la stessa che aveva quando l’aveva sorpresa in caffetteria settimane prima - e lo guardò con aria intenerita.
“Eh, come mai” ripeté Rocco. “Per quello che è successo ieri con Maria e con mia zia. Per ringraziarti per la pensione” disse prendendole la mano, fermandosi a guardarla per qualche istante, come per trovare il coraggio di continuare. “E perché Irè io ti…” iniziò a dire, ma prontamente interrotto da lei.
“Non dovevi” disse mandando giù il grosso nodo in gola che avvertiva. Aveva intuito dove stesse andando a parare il discorso di Rocco, e sebbene anche lei provasse gli stessi sentimenti, non era pronta. Non era capace di esternarli ad alta voce e sapeva che se lui avesse pronunciato quelle due paroline magiche, poi si sarebbe aspettato che lei facesse lo stesso. Non voleva deluderlo, e soprattutto non voleva rovinare quella serata. 
“Che c’è, c’hai freddo?” domandò Rocco sentendo la mano di Irene tremare leggermente. “E’ per la pioggia?” chiese iniziando a guardarsi in giro per cercare una coperta o qualcosa da darle per scaldarsi.
“No, Rocco. No, non ho freddo” lo bloccò lei stringendogli la mano. “Dai, fammi assaggiare questo delizioso manicaretto” disse sedendosi al tavolo e affondando la forchetta negli spaghetti al burro e salsiccia che Rocco le aveva preparato quella sera. Inaspettatamente mangiabili. Mancava un po’ di sale e la pasta, al contrario dell’ultima volta, era leggermente al dente, ma erano più buoni di quanto si aspettasse. E di quanto probabilmente avrebbe saputo fare lei. 
Lui la osservò in trepidante attesa fino a che non la vide sorridergli. “Sono buoni” lo rassicurò e solo in quel momento il viso di Rocco si illuminò come se avesse vinto il primo premio alla lotteria. In quell’istante si ritrovò a pensare che in fondo quel premio lo aveva vinto sul serio.

“Lassa peddiri i piatti” disse Rocco circondandole la vita mentre Irene sciacquava i piatti nel lavello. Non perché ne avesse particolarmente voglia, ma dato che Rocco aveva fatto lo sforzo di cucinare per lei e il signor Ferraris lo stava ospitando, non le sembrò carino lasciare tutto in disordine come faceva nel suo appartamento. 
“Mi sembra il minimo, non è nemmeno casa nostra” gli fece notare. Rocco appoggiò il mento sulla spalla di lei, osservando i suoi movimenti mentre finiva di lavare l’ultima stoviglia.
La prese poi per mano e la portò sul divano. Avevano ancora del tempo prima che arrivasse il signor Armando e voleva trascorrerlo insieme a lei. Dopo un po’ le sollevò le gambe e se le mise sulle proprie, sfilandole i tacchi. Irene lo guardò confusa e sorpresa da quel gesto tanto intimo. Lei e Rocco si erano stuzzicati per due interi anni, ma in quel lasso di tempo i gesti d’affetto erano partiti perlopiù da Irene, lasciando lui perennemente a disagio. In quella nuova fase del loro rapporto, Irene stava vedendo un Rocco diverso. Aveva sempre saputo fosse un ragazzo sensibile e attento, solo che non lo era mai stato nei suoi riguardi. A lei aveva sempre avuto solo da ridire, mai una parola buona. Lo guardò sorpresa, ma contenta. Se avesse continuato con tutte quelle premure, Irene si sarebbe presto abituata e per Rocco sarebbe stata la fine. 
“Ti lamenti sempre che la sera ti fanno male le gambe” si giustificò Rocco e Irene sorrise per quelle attenzioni. Dopo una giornata intera in piedi sui tacchi, la sera si ritrovava le gambe pesanti come mattoni. Quando dormiva in magazzino le aveva tenute sollevate coi registri, mandando Rocco fuori di testa per la confusione che aveva creato. Adesso non aveva più bisogno di grossi tomi: aveva lui. 
“Com’è andata oggi?” chiese allora Irene, passando una mano tra i suoi ricci impomatati. 
“Il signor Armando mi ha fatto girare come una trottola. E a te?” rispose lui.
“Oggi Anna mi ha addirittura chiesto di prenderle una camicetta rosa per una cliente. Incredibile” Irene la prese a ridere. Da un lato capiva la sua coinquilina, probabilmente voleva solo mostrarsi solidale nei confronti di Maria, farla sentire meno sola. Se anche lei le avesse dato il suo supporto, Maria non avrebbe avuto nessuno dalla sua parte. Ma, dal suo punto di vista, avrebbe dovuto cercare di appianare la situazione, anziché alimentarla. Continuare quel gioco del silenzio non faceva bene a nessuna delle quattro. 
“Ma almeno oggi non l’ho vista lanciarmi occhiatacce mentre parlava con Sofia. Facciamo progressi” ammise con un sorriso. “Maria lasciamo perdere, ormai non so più nemmeno che faccia abbia” continuò con ironia. La sua coinquilina continuava a evitarla e tenersi a debita distanza da lei. Andava al lavoro prima che lei si alzasse e si rintanava in camera sua subito dopo cena. Irene era convinta che non le avesse più detto nemmeno una sola parola da quando aveva frantumato quel bicchiere di vetro. Le dispiaceva per la situazione che stava vivendo e avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla, ma dubitava che fosse il suo aiuto quello di cui Maria aveva bisogno. 
“Sai, Irè” disse Rocco dopo un po’. “Anche io sono abituato a sentire le voci” formulò in modo poco chiaro, tanto che portò Irene a sorridere per la strana scelta di parole.
“Devo preoccuparmi?” lo prese in giro, facendo riferimento a una possibile infermità mentale.
“Picchì? No, è che a Partanna tutti parlavano di me alle mie spalle” le spiegò Rocco, non capendo lo scherzo di Irene.
“E come mai?” gli domandò curiosa. Era talmente un bravo ragazzo che stentava a credere che qualcuno avesse qualcosa di negativo da dire nei suoi confronti.
“Non ce l’ho mai detto a nessuno questo” iniziò arricciando le labbra in un’espressione di disappunto. Non era semplice trovare le parole, o anche solo rivelare a qualcun altro quello che aveva sempre temuto sin da ragazzino. “Al paese dicevano tutti che mio padre non era mio padre” disse guardandola negli occhi. Erano seduti entrambi sul divano, l’uno rivolto davanti all’altra. Il braccio di Rocco appoggiato allo schienale, l’altro sulle gambe di lei. 
“Ed era vero?” chiese Irene stringendogli la mano che Rocco aveva tenuto su di lei fino a quel momento. 
Rocco la fissò per qualche istante, confuso sulla risposta da darle. Non ne era sicuro, nessuno glielo aveva mai confermato. Ma il comportamento di suo padre per Rocco parlava chiaro. Quel dubbio lo aveva logorato da dentro, lo aveva fatto sentire sbagliato per tanto tempo. Ma arrivati a quel punto sapere la verità avrebbe fatto qualche differenza? Suo padre non c’era più e lui non aveva più bisogno di lui. Aveva accanto persone che gli volevano bene veramente e che tenevano a lui più di quanto avesse mai fatto lui.
“Non lo so. Ma non mi voleva portare mai in giro con lui. Per ogni cosa sbagliata che facevo mi riempiva di tumpuluni. Non mi trattava come uno di famiglia, va” si strinse nelle spalle.
“E tua madre non diceva niente?” chiese Irene aggrottando le sopracciglia. Sua madre interveniva spesso in sua difesa durante i contrasti con suo padre, ed era anche per questo che si era sentita così sola quando lei era morta. L’aveva lasciata con quel padre che non aveva mai trovato il modo di interagire correttamente con lei.
“Mia madre mi vuole bene assai, ah. Però a lui non ci diceva niente, no” la informò Rocco.
“Forse tuo padre non voleva farsi vedere con te perché non voleva esporti al giudizio delle comari del paese?” provò a giustificarlo lei, non perché lo meritasse, ma per non buttare ulteriormente giù Rocco. 
“No, io credo che non si voleva fare vedere con me perché lo sapeva che non ero figlio suo e si vergognava” ammise lui con una scrollata di spalle. 
Irene lo guardò addolcita per qualche istante, cercando di trovare le parole giuste per consolarlo e rassicurarlo come meritava. “Beh, non c’era niente di cui vergognarsi. Suo o non suo, sei un bravo ragazzo e un bravo figlio. Avrebbe dovuto essere fiero di te in ogni caso” rispose lei allungando una mano per posarla sulla sua guancia. Rocco le sorrise. “Ti manca tua mamma?” gli chiese poi.
“Un poco. Ci devo pure chiamare per dirle di Maria. Era così contenta” sospirò Rocco sconsolato. Anche se probabilmente le voci dovevano già essere arrivate anche a lei. 
Irene si rabbuiò. Non era esattamente la ragazza che le madri speravano di trovarsi come nuora. Non che stesse pensando tanto in là nel futuro, ma certamente non era come Maria, la ragazza perfetta che tutti i genitori avrebbero approvato subito posando lo sguardo su di lei. 
“La tua com’era?” chiese Rocco cambiando argomento, non notando il turbamento interiore che stava affrontando Irene.
“La persona migliore che abbia mai conosciuto” rispose lei con un sorriso. “Era intelligente, intraprendente, ma anche affettuosa e comprensiva. Era un vulcano. Ed era l’unica che mi capisse, anche perché mio padre lo conosci bene” gli rivelò con una punta di tristezza. Quanto le mancava sua madre. Avrebbe tanto voluto chiedere consiglio a lei su quel rapporto che tanto l’aveva spaventata. Era sicura che le avrebbe dato i consigli giusti. E se ci fosse stata lei, forse non si sarebbe mai tirata indietro. 
“Guarda che tuo padre ti vuole bene, Irè” aggiunse lui con fare comprensivo.
“Forse. Ma non ha mai accettato me e la mia lingua lunga. Avrebbe voluto un figlio maschio, come tutti gli uomini della sua epoca” sorrise amaramente. “E pensa che stava per averne un’altra” gli rivelò. Anche lei questo non l’aveva detto a nessuno. I suoi genitori si erano sposati da grandi, sua madre aveva trentaquattro anni e ne aveva due in più quando aveva messo al mondo lei. Inusuale per quei tempi. 
“In che senso?” domandò Rocco confuso.
“Qualche anno dopo di me, mia madre è rimasta incinta e dopo qualche mese ha perso il bambino. Sarebbe stata un’altra femmina, per la gioia di mio padre” gli spiegò con rammarico. Si domandava spesso come sarebbe stato crescere con una sorella. Sarebbe stata sua alleata o si sarebbero fatte la guerra? Poi vedeva Tina con suo fratello Salvatore, o lo stesso Rocco coi suoi cugini, e allora si diceva che forse avrebbe avuto anche lei una spalla su cui contare, nonostante tutto, nonostante le possibili incomprensioni. Ma purtroppo le cose erano andate diversamente.
“Mi dispiace, Irè” rispose lui, ma lei si strinse nelle spalle. Era troppo piccola per ricordarlo, quella sorella mai nata era solo un racconto, una storia che sua madre Antonia le aveva raccontato una volta tanti anni prima. 

“Ah, pensavo aveste già finito” esordì il signor Armando dopo qualche tempo, rientrato in quel momento dalla cena col dottor Conti. 
“Oh Dio, che ore sono?” Irene scostò le gambe da Rocco per mettere nuovamente le scarpe. 
“Eh, signorina, è quasi mezzanotte” rispose lui sfilandosi il soprabito. 
“Cavoli, è tardissimo” schioccò un bacio sulle labbra di Rocco. “Ci vediamo domani” gli disse avvicinandosi all’attaccapanni.
Il signor Ferraris le porse il suo soprabito e la borsa, che Irene appoggiò al braccio. Doveva solo scendere qualche gradino, non aveva senso rimetterselo addosso. 
“Avete passato una bella serata?” domandò Armando quando Irene uscì dall’appartamento.
“Sì, signor Armà” rispose lui pensieroso, ma contento. “Ci dovrei chiedere però un altro favore” disse dopo qualche istante, ripensando a quel vestito blu con cui intendeva sorprendere ancora una volta Irene. 
Rocco si alzò dal divano con il sorriso sulle labbra e una strana leggerezza nel cuore. Quella serata era stata diversa da tutte quelle passate con Maria. Lei era una brava ragazza e Rocco le voleva bene, ma non avevano mai avuto nulla da dirsi. Non aveva mai sentito il bisogno di raccontarsi a lei, forse perché in parte era già a conoscenza del suo passato o delle voci che giravano sul suo conto tramite i loro compaesani. Ma non era solo quello. Lui e Maria erano troppo simili, ma al contempo anche profondamente diversi. Tra di loro non era mai scattata quella sintonia, quella fiducia incosciente e inconsapevole che lo avrebbe portato ad affidarle il suo cuore, come invece aveva fatto con Irene. Con lei non aveva il timore di essere giudicato o venire incompreso. Sapeva che, nonostante tutto, lei ci sarebbe stata. Che lo avrebbe aiutato, o ripreso se fosse stato necessario. Sapeva che sarebbe sempre stata onesta con lui, ma non lo avrebbe mai giudicato. Con Irene era tutto diverso, perché lei era diversa. Con lei poteva essere se stesso al cento per cento, pregi e difetti compresi: non doveva cambiare per compiacerla. 
Quella sera erano rimasti lì seduti sul divano a parlare per ore senza mai annoiarsi, e senza nemmeno accorgersi del tempo che scorreva. Avevano parlato della loro infanzia, dei loro gusti, di qualsiasi cosa passasse loro per la testa e li portasse a conoscersi meglio. Ma in fondo Rocco sapeva che non aveva bisogno di sapere che numero di scarpe portasse o quale fosse il nome di sua nonna. Sentiva già di conoscere profondamente Irene per quella che era realmente. Tutte quelle informazioni erano solo scritte ai margini di un libro di cui lui conosceva già a memoria ogni parola. 


 

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Capitolo 9
*** Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l'aquilone ***


Quella mattina Irene era stata svegliata presto da Stefania che la informava che sarebbe andata al lavoro con Anna. Irene aveva bofonchiato qualcosa, ancora mezza addormentata, rigirandosi nel letto per tornare a riposare ancora qualche minuto. Irene tendeva sempre a rimandare l’orario per alzarsi e in quella fase di dormiveglia non era in grado di processare tutte informazioni che le venivano consegnate. Le ascoltava, le recepiva, ma le passavano oltre, incapaci di mettere radici all’interno della sua testa. Il suo cervello era infatti già spento quando Stefania l’aveva messa in guardia sul fatto che Maria era in casa e sarebbe andata al lavoro dopo pranzo. Informazione completamente dimenticata. 
Si era quindi alzata con comodo dal letto dopo un po’, preparandosi con calma e tranquillità. Aveva acceso la radio come ultimamente aveva fatto Stefania per risollevarle il morale e si era seduta al tavolo a intingere nel caffelatte dei biscotti al burro che probabilmente era stata proprio Maria a cucinare. Era allegra, pensava all’evento al circolo di quella sera, a trascorrere del tempo con Rocco. Era certamente preoccupata del loro ingresso ufficiale come coppia, specialmente davanti alla famiglia di Rocco. Ma in fondo a motivarla quel giorno era più la felicità che la preoccupazione. Aveva deciso di lasciarsi alle spalle i pregiudizi, che fino a quel momento l’avevano fin troppo condizionata, e godersi quel periodo piacevole della sua vita, senza lasciarselo avvelenare da chi giudicava senza sapere quello che c’era dentro i loro cuori.
Tuttavia, mentre posava la tazzina dentro il lavello e spegneva la radio per avviarsi al lavoro, sentì dei singhiozzi provenire dalla stanza di Maria e Anna. Solo in quel momento si ricordò di quello che le aveva detto Stefania a proposito della loro coinquilina. Si morse il labbro inferiore per l’imbarazzo di aver ballato e canticchiato fino a quel momento come se niente fosse, e si avvicinò alla sua porta. Era certa che Irene fosse l’ultima persona da cui Maria desiderava essere consolata, ma non se la sentì di ignorarla e andare via facendo finta di niente. Anche se spesso non sembrava, Irene un cuore lo aveva eccome. E a Maria in fondo era seriamente affezionata. Nonostante tutto. 
Bussò piano alla porta e, senza aspettare che Maria le desse il permesso di entrare, la oltrepassò. La trovò seduta sul letto con le gambe rannicchiate contro il petto e un fazzoletto di stoffa tra le dita. I folti ricci capelli erano sciolti e le ricadevano davanti, impedendo a Irene di poterla vedere bene in volto. 
“Che vuoi” aveva esordito Maria stizzita, tirando su col naso. 
“Mi dispiace, non sapevo fossi ancora in casa” aveva detto Irene sedendosi con cautela sul suo letto, mantenendo quel minimo di distanza per evitare di invadere il suo spazio vitale e portare Maria a saltarle al collo. 
Maria non rispose, non alzò nemmeno lo sguardo dalla parete accanto al suo letto che fissava con particolare interesse. Tutto pur di non guardare lei. 
“Lo so che hai detto che scusarsi non serve a niente, ed è vero, non si può rimediare al male fatto. Ma ciò non toglie che io sia comunque dispiaciuta per come siano andate le cose. Non era mia intenzione ferirti. Se ho agito in quel modo era proprio perché volevo evitare di farlo” ammise Irene con inaspettato candore. 
Solo in quel momento Maria alzò la testa e la guardò con un’espressione indecifrabile. Irene non capiva se fosse confusa o irritata. Forse entrambe le cose. 
“Ah certo, non volevi ferirmi e ti sei presa il mio fidanzato. Chissà cosa avresti fatto se avessi voluto ferirmi” rispose con amara ironia. 
Rocco non era un pacco, glielo aveva ricordato proprio lui stesso. Non era qualcosa che né Irene e né Maria potevano prendersi. Soprattutto non adesso che aveva finalmente imparato a farsi valere e decidere con la propria testa. Nessuno poteva costringerlo a fare ciò che non desiderava. E poi davvero Maria avrebbe preferito trascorrere tutta la sua vita accanto a un uomo che non la amava? Davvero per lei le convenzioni sociali, sistemarsi più per mettere a tacere le voci degli altri che per rendere felice se stessa, erano più importanti?
“La verità è che mi sono allontanata da Rocco perché…” iniziò con titubanza. Non era da lei mostrarsi sincera, aperta e vulnerabile, specialmente davanti a chi al momento si mostrava sua nemica. Eppure sapeva che Maria meritava la verità, nonostante tutto. “Perché ho avuto paura, Maria. Paura di quello che provavo, paura di perdere la vostra amicizia e paura di ferire te, che sapevo quello che provavi per lui” finalmente pronunciò, guardandola coraggiosamente negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Era fieramente se stessa, al cento per cento. Le aveva aperto il proprio cuore nella speranza che potesse perdonarla, sebbene la sua unica colpa fosse stata quella di averle nascosto di quei primi baci. Che poteva farci se si era innamorata anche lei della stessa persona? Non era colpa sua. Se fosse stata in grado di spingere il proprio cuore verso una direzione specifica, Lorenzo sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Irene avrebbe vissuto la vita agiata che aveva sempre creduto di volere e Maria avrebbe avuto il suo Rocco. Ma non potevano fingere che quei sentimenti non esistessero. In fondo in fondo anche Maria doveva pensarlo, Irene sperava. 
Per un attimo le sembrò che Maria stesse cedendo, che si fosse lasciata addolcire dalle sue parole, poi vide il suo sguardo indurirsi nuovamente e allora sospirò. 
“E pensavi che scoprirlo dopo sarebbe stato meglio? O pensavi di continuare a fingere e lasciarmelo sposare?” le domandò con rabbia.
“Non lo so cosa volevo, Maria. Io ci ho provato davvero, volevo farmi da parte. Tutti dicevano che eri tu la persona giusta per Rocco e alla fine ho pensato che forse in fondo avevano ragione. Lorenzo era così perfetto, solo che... non era perfetto per me” si strinse nelle spalle con aria contrita. 
“Ho quasi ventisei anni, Irè” Maria sbottò d’un tratto, scuotendo la testa con rassegnazione. “Per la mia famiglia sono una zitella, sono un peso. E adesso mio padre vuole costringermi a tornare a Partanna a farmi sposare il primo che capita solo per mettere a tacere le voci che girano in paese dopo la rottura del fidanzamento. Ecco in che posizione mi avete messo. E voi pensate che dire ‘scusa’ sia abbastanza?” le sputò addosso tutta la rabbia che provava non solo per lei e per Rocco, ma anche per suo padre, per la sua famiglia, per il paese, per essere costretta a seguire delle regole che forse iniziavano a stare strette anche a lei, ma a cui non aveva il coraggio di ribellarsi. 
“E tu non tornare a Partanna” le suggerì semplicisticamente Irene.
“La fai facile tu. Mio padre è capace che sale fino a qua per trascinarmi dai capelli” disse prima di asciugarsi il naso con il fazzoletto. 
“Non so come sia tuo padre, e non so cosa significhi vivere in un piccolo paese dove la gente mormora. Ma solo tenendo testa al mio sono riuscita a ottenere la mia indipendenza. Lo sai come mi ha trattata, cosa mi ha detto” le ricordò Irene. Suo padre le aveva dato della poco di buono solo per aver indossato quel vestito corto della collezione di Gabriella. Tommaso Cipriani non era mai stato accomodante nei suoi confronti, quella figlia ribelle non gli era mai andata a genio e aveva sempre cercato di placarla, di mettere un freno a quelli che riteneva dei grilli per la testa. Allontanandosi da lui e da quella casa, Irene era riuscita a trovare lo spazio che per tanto tempo aveva cercato. E lo aveva trovato lì, anche grazie a Maria.
“Mio padre non è tuo padre, Irè. Mio padre viene da Partanna” ribatté lei scuotendo la testa.
“Anche il padre di Elena veniva da Partanna, eppure alla fine ha accettato il matrimonio tra lei e Antonio, no?” cercò disperatamente qualche appiglio.
“Ma qui non c’è nessun matrimonio. Mio padre dovrebbe accettare che cosa, Irè? Che resterò zitella qui a Milano?” esclamò sardonica. 
“Non resterai zitella, ma sì: alla fine accetterà che tu voglia rimanere qui a Milano. Sono sicura che la signora Agnese, ma anche il signor Amato ormai, intercederanno per te. Metti in mezzo Don Saverio, magari se lo rassicura un prete è più tranquillo, no?” con un sorriso provò a suggerire, lei che di religione non ci capiva niente. Ma per gente come loro bastava sempre un’Ave Maria per assolvere ogni peccato, no?
“La signora Agnese e il signor Giuseppe dovevano già tenermi d’occhio prima. Mio padre aveva acconsentito a lasciarmi vivere da sola a Milano solo per loro. Dopo quello che ha fatto Rocco, non vuole proprio sentire parlare degli Amato, figurati” le fece sapere Maria. 
Aveva ragione, pensò Irene. Erano stati proprio gli Amato gli artefici di quella che il padre di Maria probabilmente riteneva una vergogna, una sciagura. A questo Irene non ci aveva pensato. Viveva nella Milano del ‘62, si era sempre sentita libera di frequentare chiunque desiderasse, come aveva fatto con Lorenzo e come aveva fatto con Claudio, l’uomo che le aveva spezzato il cuore diverso tempo prima. Non c’erano contratti, impegni a lungo termine, famiglie di mezzo che decidevano per lei. L’unica regola era quella di non compromettersi e lei, quella regola imposta con forza dalla società solo alle donne, nonostante le sue apparenze da mangiauomini, non l’aveva mai infranta. Ci era andata molto vicina con Claudio, ma era ancora giovane, sua madre era ancora al suo fianco, e una signorina per bene certe cose non le faceva. Ogni tanto si insinuava dentro di sé il pensiero di come sarebbe stato con Rocco, ma poi lo scacciava prontamente via. Lui non avrebbe mai acconsentito a fare niente del genere al di fuori dal matrimonio e Irene di sposarsi adesso non ne aveva proprio intenzione.
“Tu vuoi rimanere?” le domandò allora d’un tratto.
“Ma che domande sono, Irè. Ovvio che voglio rimanere, ma non posso. Sono a casa perché mio padre deve chiamare dagli Amato per farmi sapere quando scendere” rispose Maria stizzita.
“Non farlo. Resta. Lo so che non sempre siamo andate d’accordo, che spesso ci siamo fatte i dispetti e che la situazione con Rocco ha peggiorato le cose” aggiunse Irene. “Ma se ho trovato il mio posto, è anche grazie a te che mi hai accolta in questa casa. Voglio fare il possibile per aiutarti, perché anche se non riesco a dirlo e spesso nemmeno a dimostrarlo, ti voglio bene” ammise allungando una mano verso quella che Maria teneva ancora ancorata alle sue ginocchia ricoperte da quell’orrenda gonna grigia che Irene avrebbe da sempre voluto bruciarle. 
“Non conta ciò che voglio io” rispose Maria, senza tuttavia ritrarre la mano dalla stretta della sua coinquilina.
“Invece sei proprio tu che conti, Maria. E’ la tua vita. E l’hai detto anche tu: hai venticinque anni, non sei una bambina. Non lasciare che tuo padre decida per te. Cosa potrà mai fare? Toglierti il saluto? Vale la pena vivere una vita che non hai scelto solo per tenerti buone delle persone che dovrebbero volere solo il meglio per te? Se davvero ti vogliono bene, prima o poi cambieranno idea e accetteranno qualsiasi cosa tu deciderai di fare” strinse ancora più forte la mano di Maria per infonderle il coraggio di cui certamente avrebbe avuto bisogno quella mattina. Irene non avrebbe mai scelto di vivere secondo delle regole imposte da qualcun altro. Avrebbe preferito sacrificare il rapporto già precario con suo padre, se questo voleva dire essere libera. Non era una scelta semplice, ne era consapevole, ma i genitori di Maria non sarebbero rimasti in vita per sempre. Avrebbe dovuto convivere lei con quelle decisioni sbagliate che non era stata lei a prendere per altri cinquanta? Sessant’anni? Ne valeva davvero la pena? 
“Quell’Alfredo scommetto che tornerebbe a ronzarti intorno, se glielo permettessi. Altro che zitella” aggiunse poi facendole l’occhiolino.
“Troppo presto, Irè. Troppo presto” rispose lei, facendo riferimento ai suoi tentativi di fare pettegolezzo come se nulla fosse mai accaduto. Aveva seppellito l’ascia di guerra e forse, in fondo, dentro di sé, l’aveva già perdonata da tempo. Aveva sfogato su Irene tutte le sue frustrazioni, quando la verità era che era arrabbiata con tante persone, soprattutto se stessa, ma non con lei, che era solo il soggetto più facile a cui addossare ogni colpa. Accennò un lieve sorriso che Irene accolse come una tregua e allora lo ricambiò, prima di alzarsi per lasciarla da sola e andare al lavoro. D’altronde era già in ritardo, come sempre, ma almeno stavolta era per una buona causa.

 

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Quel giorno gran parte delle sue colleghe avevano deciso di pranzare in spogliatoio. La serata al circolo richiedeva molto sforzo fisico e mentale, e in realtà erano tutte talmente elettrizzate all’idea di indossare i loro abiti migliori per sfoggiarli davanti all’élite di Milano, che volevano spendere meno tempo possibile in attività futili come il pranzo.
“Devo mangiare leggero, altrimenti il vestito non mi entra” si era lamentata Dora osservandosi allo specchio prima di prendere dall’armadietto il suo pasto: che consisteva in un’insalata e una mela.
“Mi sembri Marina” ribatté Irene con una punta di disgusto, mentre teneva tra le mani il suo solito panino con la frittata. Non aveva mai il tempo, né la voglia e le capacità, di cucinarsi qualcosa la mattina. Di norma era sempre in ritardo già così, figurarsi se avesse dovuto persino mettersi a cucinare. Imbranata com’era lei tra i fornelli, avrebbe finito col creare un enorme caos, macchiarsi tutti i vestiti e arrivare al Paradiso direttamente per la pausa pranzo. E poi un panino non le avrebbe certamente rovinato la silhouette, dato che si muoveva tutto il giorno come una trottola per il grande magazzino, e dunque bruciava già tutte le calorie assunte con quel pranzo. 
“Marina mangiava solo la mela. Lei almeno si è portata un’insalata” ribatté Paola con un sorriso, mentre tirava fuori il suo stufato di verdure.
“E tu che scusa hai?” le fece notare Irene. Paola era magra come uno spaghetto, non aveva di certo bisogno di fare alcun tipo di dieta. Come d’altronde valeva all’epoca anche per Marina.
“Magari stasera mangeremo più del solito, meglio tenersi leggeri, ha ragione Dora” si strinse nelle spalle. 
“Al circolo? Al massimo serviranno qualche tartina minuscola che spacceranno per cena” rispose Irene con fare da snob. 
“Ma tu una volta non adoravi queste cose? Non vivevi per tartine e caviale?” la prese in giro Stefania appoggiando il mento alla sua spalla. “Stare con Rocco ti ha fatto scendere al nostro livello?” scherzò facendole una linguaccia. 
“Ma quando mai” ribatté lei smorfiosa. “Proprio perché conosco quel mondo vi dicevo di non farvi chissà quali aspettative” disse atteggiandosi mentre accartocciava la carta unta del panino e si alzava per portarla al cestino. Un paradosso. 
“Ah, ora conosci quel mondo?” la canzonò Dora. “Perché hai frequentato un pilota per un paio di settimane?” ridacchiò toccandole il braccio. 
“Guarda che mi portava in locali molto esclusivi. Sei solo invidiosa” le fece una smorfia, prima di avventurarsi fuori dallo spogliatoio. 
“Non so Dora, ma io in effetti sono invidiosa” le venne dietro Stefania, l’unica che l’aveva assecondata nella scelta di mangiare un panino dalla caffetteria. Neanche lei era un’appassionata di cucina, sebbene se la cavasse già molto meglio di lei. Ma non c’era mai abbastanza tempo la mattina per cucinare. Solo per chi, come Maria, faceva della cura della casa la propria aspirazione di vita, poteva alzarsi alle cinque o alle sei per mettere qualcosa in pentola. Le donne moderne come Irene preferivano sfruttare quel tempo in modo più costruttivo: ad esempio dormendo.
“Potevi provarci tu con Lorenzo, magari gli piacevi” scherzò Irene avvicinandosi alla propria postazione per piegare un paio di maglioncini rimasti fuori posto. 
“Ma ti pare?” ridacchiò Stefania. “Però sono invidiosa perché adesso anche tu sei fidanzata, stasera andrai al ballo come Cenerentola col tuo principe, mentre io Federico posso solo sognarlo la notte” sbuffò lei con aria stralunata, mettendo il broncio.
“Ora lo sogni pure? Siamo messe male qui” rispose Irene con una smorfia. “E poi Rocco più che un principe è ancora un rospetto” precisò ironica, prendendolo in giro. A dirla tutta stava estremizzando: Rocco le era piaciuto sin da subito, non era il suo aspetto quello che l’aveva disturbata all’inizio, quanto più i suoi modi da uomo della giungla, che tuttavia col tempo si erano per fortuna raffinati. Un grazie lo doveva anche a lei e ai suoi preziosi insegnamenti.
“Ma dai! Hai tra le mani un attore di fotoromanzi, non dimenticarlo. Non farà sfigurare miss eleganza, stai tranquilla” rispose Stefania facendo un pomposo inchino davanti a sua maestà Irene. 
Lei scoppiò a ridere guardandola con aria regale. Proprio in quel momento, però, qualcosa attirò la sua attenzione. Salvatore era appena entrato al Paradiso con aria trafelata. Aveva uno sguardo preoccupato e sembrava diretto verso il magazzino con qualcosa tra le mani. 
“Torno subito” disse a Stefania, allontanandosi per seguire Salvo. La sua mente acuta la portò subito a intuire che qualcosa non andava. Salvatore non entrava mai al Paradiso senza salutare, e quel suo fare frettoloso era sintomo di qualcosa di strano. 
“Salvo?” gli si avvicinò, toccandolo per un braccio. “Che succede?”
“Ah non lo sai? A quanto pare Rocco è caduto dalla bici. Quell’imbranato non sa dove ha la testa, è un miracolo che sia sopravvissuto due anni interi a Milano” sentenziò Salvo scuotendo la testa. 
“Ma come è caduto, si è fatto male?” chiese Irene, iniziando a seguirlo con preoccupazione fin dentro il magazzino.
“Ma che ne so, ha chiamato il signor Armando chiedendo di portare del ghiaccio, quindi qualcosina si sarà fatto” la informò lui con costernazione.
Quando entrò in magazzino, Irene vide Rocco seduto sulla sedia che in genere spettava al signor Ferraris. La stessa in cui pochi giorni prima si erano seduti anche loro per baciarsi di nascosto. Il mento leggermente scorticato, così come il ginocchio e il gomito destro. Armando gli massaggiava la caviglia dolorante, mentre Rocco teneva l’altra mano sulla spalla dello stesso lato con aria sofferente. 
“Rocco!” esclamò lei andandogli incontro.
“Irè, che ci fai qua? Non è orario di apertura?” le fece notare con una smorfia di fastidio mentre si girava a guardarla.
“Non ancora, ma che hai combinato tu?” gli sfiorò la mascella con due dita. 
“Ma niente di grave, signorina, non si preoccupi” la rassicurò Armando. “Per la pioggia di stanotte il pavimento probabilmente era ancora umido e le ruote sono slittate in curva” disse poggiando la busta di ghiaccio che aveva portato Salvo sulla caviglia di Rocco per non farla gonfiare. “Un paio di giorni e passerà tutto, stia tranquilla” aggiunse notando lo sguardo sorprendentemente apprensivo di Irene. 
“E’ colpa mia, non avrei dovuto farli allenare oggi” ammise il signor Ferraris aggrottando le sopracciglia, mentre Pietro andava a cambiarsi. “E’ che…” fece per dire, ma Rocco lo fulminò con lo sguardo, facendogli cenno di stare in silenzio. 
“Mi dispiace” disse quest’ultimo con un’espressione mortificata, cambiando discorso.
“E per cosa?” gli chiese lei, aprendo la scatola con l’attrezzatura di pronto intervento che il signor Armando aveva già preso e appoggiato alla scrivania. Afferrò una garza e la intinse nel disinfettante, avvicinandola al mento di Rocco. 
“Au, brucia” ribatté lui con una smorfia.
“Ma va?” rispose Irene, mettendogli una mano dietro la testa per tenerlo fermo. 
“Mi dispiace per stasera. Al circolo” puntualizzò infine Rocco, ricordandole solo in quel momento che se lui aveva una caviglia fuorigioco, era impossibile che riuscisse a partecipare a quell’evento che, doveva ammettere, Irene aspettava con particolare impazienza. Non solo perché si teneva in uno dei posti più esclusivi di Milano, ed era un sogno poterci entrare per la seconda volta. Ma anche perché si era già abituata all’idea di andare insieme a lui. Di farsi vedere finalmente insieme davanti a tutti, insieme alle sue amiche e alle persone che facevano parte della loro vita.
Irene abbassò lo sguardo con aria delusa, iniziando a mordicchiarsi la guancia dall’interno.
“Va bene, io intanto torno al lavoro, allora. Per tornare a casa…” Salvo lasciò in sospeso la frase, nella speranza che fosse Armando a riaccompagnare il cugino. Lui in quel momento non poteva proprio lasciare la caffetteria, dato che Marcello era fuori per una consegna.
“Ci penso io, Salvo, non ti preoccupare” rispose Armando che in quel momento si alzò, lasciando la gamba di Rocco appoggiata su una cassa con il ghiaccio sulla caviglia. 
“Qui ci pensa lei?” Armando chiese a Irene. “Io vado a parlare con la signorina Moreau e avviso tua zia” aggiunse prima di uscire dal magazzino con una fretta tale da non dare a Rocco nemmeno il tempo di protestare. Non aveva proprio voglia di vedere sua zia, soprattutto in quel momento. Ma a quanto pare non aveva voce in capitolo. Come sempre.
Irene era appoggiata alla scrivania, mentre continuava a disinfettare anche il gomito di Rocco graffiato dallo scontro con l’asfalto. La sola idea che potesse farsi male sul serio, l’aveva per un attimo mandata nel panico. E mentre lo medicava in silenzio, suo malgrado la sua mente la riportò a un paio di anni prima, quando sua madre era malata e Irene aveva provato a prendersi cura di lei finché aveva potuto. Le si formò un nodo in gola, che prontamente scacciò via con un profondo respiro. A causa sua non sopportava di stare a contatto con la sofferenza. Cercava sempre di scacciare via pensieri negativi di qualsiasi tipo, col risultato spesso di sembrare distaccata o insensibile, talvolta persino venale e superficiale. La verità era che erano talmente tante le emozioni che provava, che preferiva fingere che non ci fossero. Lo aveva detto anche a Roberta qualche tempo prima. Non era in grado di sacrificarsi come aveva fatto lei per Federico: Irene non ne era capace, non era abbastanza altruista. L’aveva già fatto per tanto tempo con sua madre e quella malattia che se l’era portata via lentamente, trasformando nella sua mente il ricordo della donna piena di vita che l’aveva cresciuta. La malattia aveva distrutto ogni cosa e Irene odiava averle dato il permesso di prendersi anche i bei ricordi condivisi con lei. Trovava triste accostarla sempre agli ultimi anni della sua vita, come se tutti i momenti trascorsi con lei prima non fossero mai contati. Sua madre era stata molto, molto di più. Non era giusto.
“Au, non dici nenti?” Rocco chiese a Irene, ora che erano stati lasciati da soli. Sollevò una mano e la poggiò sul suo fianco, sfregandoglielo con dolcezza. “Chi c’hai?” aggiunse comprensivo, notando il suo sguardo serio e pensieroso. 
“E che devo dire?” rispose lei stringendosi nelle spalle. Il pensiero di sua madre l’aveva turbata. In più era delusa e dispiaciuta, non poteva negarlo. Non ne faceva una colpa a lui, ma non poteva nemmeno fingersi contenta. Le si leggeva sempre tutto in faccia. Tante volte avrebbe preferito avere in ogni frangente la stessa faccia tosta che tutti le invidiavano. Irene dissimulava, ma chi la conosceva bene capiva perfettamente quando qualcosa non andava, e non le piaceva affatto essere tanto trasparente: la faceva sentire vulnerabile.
“Guarda che mi dispiace pure a me, ah. Ci avevo pure già detto al signor Armando se ti poteva prestare quel vestito blu che hai provato ieri” ammise serrando le labbra.
Irene alzò di scatto gli occhi su di lui, guardandolo con riconoscenza e tenerezza. Lui si stava prodigando per lei, per farla contenta, e lei era lì a tenergli il broncio senza motivo. Si sentì estremamente infantile. Ogni tanto le capitava di avere reazioni spropositate per questioni futili e superficiali. In fondo quella serata al circolo lo era. Ogni tanto i piani cambiavano e lei doveva imparare ad accettarlo. Con un sorriso si chinò su di lui e gli schioccò un bacio sulle labbra, tenendo per qualche istante la fronte appoggiata sulla sua. 
“Lo so, è che ci tenevo ad andare. Non solo per il circolo, eh, ma perché era un modo per metterci alle spalle il passato e ricominciare, in un certo senso. Alla luce del sole, questa volta” si strinse nelle spalle con rammarico. 
“Guarda che il signor Armando ha già parlato con la signorina Moreau: il vestito lo puoi usare lo stesso stasera” la informò prendendole una mano.
Lei scosse la testa con convinzione. “Non sarebbe la stessa cosa” ribatté.
“E va bene, ho capito, ma ci sono le tue amiche e vedi che a Tina ci fa piacere se ci vai, ah. L’ho incontrata stamattina e mi ha detto proprio che voleva che ci andavamo” disse Rocco.
“Ci andassimo” lo corresse lei con un sorriso. Certo, c’era sempre l’eventualità di andare senza di lui. Aveva senso, in fondo. Stefania sarebbe stata contenta di avere la sua amica tutta per sé, senza nessun principe azzurro o rospetto tra i piedi a farla sentire in difetto perché in assenza di un accompagnatore. 
“E vabbè, quello che è” ribatté lui frettolosamente. Durante l’estate, quando in genere c’era meno movimento in città e al Paradiso, dato che i milanesi e i tanti emigrati si spostavano per le vacanze, Rocco intendeva mettersi sotto con lo studio, ma in quel momento la questione che più gli interessava era che lei andasse al circolo anche senza di lui. Alla grammatica avrebbe pensato in seguito. Si sentiva già abbastanza in colpa così, gli faceva piacere sapere che almeno lei avrebbe potuto godere di quella serata, a cui lui in fondo avrebbe partecipato sin dall’inizio solo per fare contente lei e sua cugina. 
“Avanti, tu ci vai, così Tina è felice. E poi mi dici tutto quando torni, va bene?” le propose Rocco intrecciando le dita con le sue. 
Irene soppesò per qualche istante quell’idea, ma poi fece spallucce. Non se la sentiva di andare da sola, ma d’altro canto aveva anche tanta voglia di andare e di passare una serata spensierata con le sue amiche. Se lo meritava anche lei, in fondo.  
“Ci penserò” gli concesse.
Lui le sorrise e poi allungò lo sguardo verso le casse alle spalle di lei. “Là dentro c’è il vestito della tua taglia. Così se vuoi andare, lo sai dov’è” disse alzando il braccio destro per indicarle la cassa giusta, ma il suo sguardo venne attraversato da una smorfia di dolore.
“Ti fa male anche la spalla?” gli domandò Irene preoccupata. “Povero rospetto” aggiunse con un pizzico di ironia, posandogli un bacio sulla fronte. 
“Au, rospetto a chi?” la guardò aggrottando le sopracciglia. 
“Niente, lascia stare” ridacchiò lei, passando dalla fronte sulle sue labbra. Gli prese il viso tra le mani, lasciando scorrere le dita lungo la linea della sua mandibola. L’odore pungente del disinfettante le penetrò nelle narici ma, nonostante quello e la posizione scomoda, rimase qualche istante a godersi il contatto con i suoi baci, mentre la mano di Rocco continuava a indugiare sul suo fianco. 
“Niente, non ce la faccio più” disse staccandosi di colpo, passandosi le dita sulle labbra. “Odori di ospedale” si giustificò con una smorfia. 
“Avà, e mica è colpa mia” protestò lui, cercando di trattenerla. Non ne aveva mai abbastanza di lei. 
“Stai fermo che ti fai male” sorrise Irene, spostando la garza imbevuta sul ginocchio che non era ancora stato medicato. 
Proprio in quel momento, tuttavia, sentì dei passi concitati alle sue spalle e una voce inconfondibile. 
“Rocco, gioia, stai bene?” Agnese domandò allarmata, fermandosi di colpo alla vista di Irene china su di lui. Le sembrò surreale trovarla lì a prendersi cura di suo nipote. Non l’aveva mai ritenuta il tipo tale da sporcarsi le mani senza svenire alla vista del sangue. Tuttavia, nonostante lo stupore, non le riconobbe il merito e invece avanzò, oltrepassandola, come se nemmeno esistesse. Si avvicinò a Rocco e iniziò a toccargli il viso. 
“Ma che ti sei fatto, fatti guardare” esclamò continuando a osservarlo per assicurarsi che fosse ancora tutto intero. 
“Avà zì, sto bene, non ti preoccupare” rispose lui, trattenendo Irene per la mano mentre lei cercava di allontanarsi. “Irene e il signor Armando mi hanno già sistemato, va” le fece notare. Irene posò sulla scrivania la garza che teneva ancora in una mano e riuscì infine a defilarsi dalla presa di Rocco. Aver deciso di lasciarsi alle spalle la signora Agnese e tutta la sua famiglia, non voleva dire che non si sentisse comunque ancora a disagio in sua presenza. Si sentiva osservata e giudicata per ogni singolo movimento che compiva. D’altronde niente di quello che faceva sarebbe mai stato abbastanza, mai all’altezza di Maria Puglisi. 
“Torno al lavoro. La signorina Moreau mi starà aspettando” si giustificò infatti, facendo una veloce carezza a Rocco prima di allontanarsi per sgattaiolare fuori da lì il prima possibile.
“Divertiti stasera. Quando torni passa dal signor Armando e mi dici tutto. Io ti aspetto sveglio, ah” le intimò lui con un tono che sembrava quasi una minaccia.
“Certo, come no” lo prese in giro lei, sapendo che in genere non riusciva a stare sveglio oltre le dieci, come i bambini piccoli. Adesso che era infortunato era certa che sarebbe stato intrattabile e piagnucoloso proprio come loro.
Senza guardarsi indietro e sentendo la voce di Agnese tornare a concentrarsi su Rocco, Irene uscì dal magazzino. Per la prima volta nella sua vita stava pensando davvero di mettere davanti qualcun altro rispetto a se stessa e ai propri bisogni. L’idea di andare al circolo anche senza di lui la allettava particolarmente, poi però ripensava ai suoi tentativi di farla felice, ai suoi continui sforzi perché si sentisse a suo agio e accettata e alle tante belle parole che aveva speso per lei, e allora si sentiva in colpa. Immaginandolo dolorante in casa da solo, dato che anche Armando e Marcello avrebbero preso parte alla serata, si chiedeva come avrebbe mai potuto divertirsi davvero senza di lui. Forse il signor Ferraris avrebbe rinunciato ad andare per fare compagnia a Rocco, e allora ci sarebbe stato qualcuno a occuparsi di lui. Irene non sapeva proprio cosa fare, ma per fortuna aveva ancora tutto il pomeriggio per pensarci.

 

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Irene aveva rimuginato a lungo prima di prendere una decisione. Aveva tentennato fino all’ultimo, ma poi non era riuscita a resistere. Se da un lato le andava di godersi una serata leggera in compagnia e moriva dalla voglia di vedere Tina esibirsi in quell’evento per il Paradiso, dall’altra ripensava a Rocco in casa da solo, mentre lei e tutta la sua famiglia andavano al circolo, e non le sembrava giusto. Non aveva paura del loro giudizio, di doverli affrontare da sola senza lui al suo fianco. Irene era abituata a farsi valere, a difendersi con le unghie e con i denti da tutto e tutti. Non sarebbe stata una novità per lei. Ma indubbiamente avrebbe avuto tutto un peso differente se Rocco fosse stato presente. Sarebbe stato un supporto non solo fisico, ma soprattutto psicologico. L’Irene di un tempo non si sarebbe fatta troppe domande. Avrebbe pensato a cosa desiderasse di più e l’avrebbe afferrata, senza pensare alle conseguenze o a chi feriva con le sue parole o con i suoi gesti. Ma adesso era cresciuta e aveva imparato a dare importanza anche gli altri, soprattutto se questi altri contavano davvero per lei. 
Mentre si incamminava sul ballatoio con Stefania sottobraccio, immaginava come sarebbe stata quella serata: cosa avrebbe detto il dottor Conti, col sottofondo di quali canzoni cantate da Tina avrebbero ballato lei e le sue amiche? Non si sentiva nessun rumore provenire dall’appartamento di fianco al loro e immaginò che la cugina di Rocco dovesse già essere andata al circolo prima degli altri per definire i dettagli del suo spettacolo. 
“Sei proprio sicura di non voler venire lo stesso?” le domandò Stefania per l’ultima volta. 
“Sì, sicura, divertitevi” accennò un sorriso. “Ma fai attenzione a ogni dettaglio, ogni dialogo, appuntati tutto e poi stasera mi racconti” la guardò riducendo gli occhi a due fessure, come a volerla minacciare. 
“Va bene, va bene, agente segreto. Tanto lo sai che l’avrei fatto in ogni caso” ammise Stefania con aria colpevole. Irene la salutò con un cenno della testa e iniziò a incamminarsi per il piano superiore.
Prima di uscire dal Paradiso aveva già avvisato il signor Armando di prepararsi per l’evento, dato che sarebbe stata lei a rimanere in casa con Rocco. Lui l’aveva guardata dapprima perplesso, ma poi non aveva proferito parola e aveva semplicemente accettato la sua decisione con sorpresa. Se le persone cambiavano davvero, Irene ne era la dimostrazione più lampante, si ritrovò a pensare Armando accennando un sorriso. 
“Rocco sta riposando, ma sveglialo pure quel cialtrone, che è tutto il pomeriggio che dorme” esordì subito il signor Ferraris quando Irene andò a bussare alla loro porta. 
“E voleva pure aspettare sveglio che tornassi dalla festa” scherzò lei scuotendo la testa. “Buona serata” gli disse poi, dopo che lui la salutò ridacchiando, chiudendosi la porta alle spalle. 
Irene si tolse il soprabito e appoggiò la borsetta sul mobiletto all’ingresso. C’era una pentola sul tegame e si avvicinò, togliendo il coperchio per scoprire del risotto che certamente era stato Armando a cucinare. Tutto sommato aveva fatto bene a mangiare quel panino a pranzo: non aveva alcun motivo di tenersi leggera, dato che sarebbe rimasta a casa a oziare sul divano. In fondo non poteva lamentarsi: il dolce far niente era una delle sue due attività preferite.
Riposizionò il coperchio, in modo che la pietanza restasse al caldo ancora un po’ e si avvicinò alla provvisoria stanza di Rocco che Marcello gli aveva dato in prestito. Lui era sdraiato sul letto addormentato e coperto solo in parte dal lenzuolo di cotone. Si sedette accanto a lui, nello spazio tra il suo fianco e il materasso. Avvicinò una mano ai suoi capelli, convinta bastasse una carezza a svegliarlo. Ma evidentemente Rocco era esattamente come lei: servivano i coperchi che Stefania ogni tanto sbatteva tra di loro per convincerla ad alzarsi finalmente dal letto.
“Rocco” lo chiamò allora, toccandogli brevemente la spalla, dimenticandosi che era quella dolorante.
“Irè” si svegliò di scatto lui, fissandola con l’aria colpevole di chi si era fatto trovare con le mani dentro il vasetto della marmellata. “Che ci fai qua tu?”
“Oggi è già la seconda volta che mi saluti così. Fa’ che non ce ne sia una terza” gli intimò lei guardandolo male.
“Avà, picchì non ci sei andata?” le domandò Rocco deluso. Gli dispiaceva che a causa sua lei rinunciasse a un evento al quale voleva disperatamente andare. L’aveva vista felice e sorridente dentro il camerino o mentre provava i vestiti con le sue amiche, lo mortificava l’idea che avesse deciso di rimanere a casa per lui. 
“Quindi vuoi proprio che me ne vada, ho capito” rispose Irene con aria offesa, spostandosi per alzarsi.
“Avà, no, non farti tirare che non posso” disse lui cercando di allungare il braccio destro per afferrare quello di lei. “U sai ca non è questo” ammise lui aggrottando le sopracciglia.
“Rocco, e tu sai perché non sono andata. Perché non sarebbe stata la stessa cosa, perché mi sarei sentita in colpa nei tuoi confronti, e perché…” mi saresti mancato, avrebbe voluto aggiungere, ma si strinse invece soltanto nelle spalle.
“Picchì preferivi restare qua a darmi un bacio?” chiese lui con un sorriso, protendendo le labbra per tentarla, risultando in questo modo tutt’altro che affascinante.  
“Non ti spingere troppo in là” lo redarguì lei cercando di soffocare un sorriso per non dargliela vinta, bloccando sin da subito quella sua aria spavalda che tanto le piaceva, ma che non voleva dimostrargli, facendo la sostenuta. 
“Irene Cipriani che si perde una serata al circolo: vedi che ‘sta cosa va segnata, va” la prese in giro Rocco, mettendosi seduto.
“Stai zitto che tu dovevi aspettarmi sveglio” lo rimbeccò lei con una smorfia.
“Vedi che io ho fatto un riposino proprio picchì sapevo che dovevo aspettare a te, ah” aggiunse con superiorità. “Dammi la mano, forza” allungò il braccio sano per farsi aiutare da Irene a rimettersi in piedi.
“Senti, vedi di volare basso” lo riprese nuovamente. “Ché te la faccio pagare anche se sei invalido” disse mentre lui le circondava le spalle con il braccio con la scusa di sorreggersi. A dirla tutta la caviglia iniziava a fargli già meno male e riusciva a stare in piedi tranquillamente, se non ci metteva su troppo peso. Ma farsi coccolare da lei, che di norma si faceva sempre pregare, era un incentivo che lo portava a prolungare quella farsa un po’ più a lungo. 
“E non ti credere: sappi che mi devi ancora un ballo” aggiunse lei mentre lo accompagnava al tavolo. Irene sistemò il risotto sui piatti e gli allungò un bicchiere di vino. Se dovevano rimanere da soli a casa, tanto valeva divertirsi almeno un po’.
“Tanto domani tu non lavori, no?” lo tentò con un sorriso. 
“A parte che non lo so” iniziò Rocco. “E poi tu sì” provò a metterla in guardia.
“Ma sei tu quello che non lo regge, non io” Irene si strinse nelle spalle con aria innocente.
“Ma non è vero” protestò Rocco, consapevole di quanto in realtà lei avesse ragione. Un paio di bicchieri di vino a dirla tutta li beveva senza problemi, era quando andava a inserire lo spumante che perdeva ogni contatto con la realtà. Lei era sempre stata più brava di lui anche sotto quel punto di vista.
 

“Avà, vieni qua” disse Rocco dopo aver finito di mangiare. Durante la cena le aveva fatto accendere nuovamente la radio per creare un po’ di atmosfera e proprio in quel momento stavano passando una canzone di sua cugina Tina: gli sembrò l’occasione perfetta per alzarsi e invitarla a ballare. Fingere, almeno per quei pochi minuti, di essere andati davvero al circolo come lei avrebbe tanto voluto.
“Ma dove vuoi andare con quella gamba” rifiutò lei dandogli un colpetto sulla mano che lui aveva allungato per invitarla ad alzarsi. 
“Ma tanto è un lento, avà” la guardò con insistenza.
“E’ solo una scusa per tenermi tra le braccia, allora?” ribatté lei, mentre si lasciava convincere dal suo sguardo supplichevole. 
“Cettu” disse lui con aria fiera, mentre lei gli circondava il collo con le braccia e lui passava le sue sulla schiena. Non era la prima volta che ballavano un lento. La primissima volta, in caffetteria, si erano mossi con una tale distanza che chiamarlo ballo sarebbe stato un eufemismo. Adesso invece il corpo di Irene aderiva senza distacco al suo e la sua mano gli solleticava la nuca, mentre le mani grandi e calde di Rocco le ricoprivano la schiena. A Irene in genere non piaceva il contatto fisico. Raramente era lei a cercarlo e si mostrava sempre reticente davanti a effusioni di quel tipo. Eppure ogni sua convinzione perdeva di sostanza quando si trovava in compagnia di Rocco. Il suo contatto, i suoi abbracci, i suoi baci, erano le uniche cose che desiderava, sebbene fingesse il contrario. 
“Stavolta sembra che il gesso alla gamba ce l’hai sul serio” lo prese in giro mentre lo vedeva ondeggiare sul posto con il piede steso, sfiorando il pavimento solo col tallone. Un tempo avrebbe reputato assurdo trovare la felicità in momenti come quello. Se le avessero detto che le sarebbe bastato stare in un appartamento popolare a ballare un lento con la persona più rigida che conosceva, quando dall’altra parte della città aveva luogo un evento esclusivo al quale era stata peraltro invitata, li avrebbe presi per squilibrati. Eppure in quel momento non desiderava davvero stare da nessun’altra parte. 
“Non ti piaci?” rispose lui senza cedere al suo sfottò. 
“Eccome: mi sembra di ballare con Pietro Gambadilegno” continuò Irene soffocando una risata. “Ma tanto caviglia o meno il risultato non cambia più di tanto” lo provocò sollevando le sopracciglia.
“Avà, vedi che mi sono sciolto dalla prima volta che mi hai invitato a ballare” infine rispose lui risentito, dandogliela vinta.
“Se così credi di essere sciolto, è meglio che non ti ricordi com’eri due anni fa” aggiunse arricciando il naso. 
Lui la guardò imbronciato per qualche istante, prima di afferrarle il naso con la punta dei denti, provocandole una risata. Quanto aveva imparato ad amare il modo in cui le sue labbra si aprivano quando sorrideva, quel gesto del naso e il suono della sua voce. Ne aveva fatta di strada Rocco da due anni prima, quando non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi mentre ballavano. Gli era sempre sembrata così inarrivabile, così fuori portata per uno come lui. ‘La signorina Cipriani cu mia? Avà’, aveva detto una volta ad Armando, quando ancora non era in grado nemmeno di chiamarla per nome. Gli sembrava impossibile che una come lei potesse provare dell’interesse nei suoi confronti. Irene era così diversa da lui, così lontana da qualsiasi ideale avesse mai avuto in mente. Chi l’avrebbe mai detto che proprio lui che non voleva neppure spostare un piatto dalla tavola al lavello, sarebbe finito con una fimmina tanto indisciplinata e sopra le righe come Irene? Rocco aveva subito una trasformazione evidente. Non era più il ragazzo serio, rigido e imbronciato arrivato dalla Sicilia, con lei era diventato una persona più leggera, in grado anche di non prendersi sempre sul serio. Irene gli aveva complicato la vita, gliel’aveva scombussolata come un terremoto, ma l’aveva anche resa infinitamente più divertente. 
Mentre la guardava sorridere e cercare di defilarsi dalla sua stretta, sentì un nodo alla gola e una stretta al cuore. Le parole gli uscirono di bocca senza che nemmeno se ne rendesse conto. Non aveva bisogno di ragionarci su, di capire cosa fosse effettivamente quella strana sensazione alla bocca dello stomaco ogni volta che la vedeva, quella voglia inarrestabile di stringerla a sé e non lasciarla andare. Rocco, pur non avendolo mai sperimentato prima, sapeva perfettamente che quello era amore. Non l’infatuazione infantile e superficiale per Marina che Rocco aveva erroneamente scambiato per innamoramento due anni prima. Era quello. Era svegliarsi la mattina e pensare al momento in cui l’avrebbe rivista. Era mettersi alla prova e fare qualcosa che sapeva l’avrebbe resa fiera di lui. Era mettere talvolta da parte se stesso e i suoi desideri in favore della sua felicità, perché vederla sorridere valeva più di qualsiasi altra cosa. Non aveva dubbi sulla definizione da usare per descrivere ciò che avvertiva per la prima volta. Rocco era innamorato di Irene, e su questo non aveva alcun dubbio. Amava di lei persino le cose che odiava. 
“Ti amo” le disse infatti di getto, mentre ancora ondeggiava e Irene sorridente si toccava il naso sfiorato dalle labbra di lui.
Tuttavia, il sorriso sembrò morirle sul viso. “Cosa?” replicò lei d’istinto. Eppure aveva capito perfettamente quello che le aveva detto. 
“Ho detto che ti amo, Irè” aggiunse con sguardo improvvisamente serio nel vedere il volto sbiancato di lei. Sembrava avesse visto un fantasma. Era prevedibile che Rocco immaginasse una replica. Nella sua testa entrambi si sarebbero dichiarati amore eterno e si sarebbero baciati mentre nelle loro orecchie risuonava ancora la voce melodiosa di Tina a fare da sottofondo. Ma la realtà si stava scontrando col sogno. Irene gli aveva dimostrato con gesti evidenti che il sentimento che provava per lui era importante. Se in un primo momento si era sentito in difetto, a disagio e dubbioso, più la guardava e più iniziava a domandarsi il motivo di quella sua reticenza. Per la prima volta, Rocco non dubitava di ciò che lei provava per lui. Poteva essere ingenuo, e fino a poco tempo prima aveva travisato i suoi comportamenti, ma adesso Rocco lo sapeva. Lo sentiva. Allora perché non riusciva a dirglielo?
“Ah” aggiunse lei palesemente a disagio, dopo qualche istante in cui non aveva fatto altro che guardarlo negli occhi in silenzio. “Forse dovremmo sparecchiare, prima che torni il signor Ferraris” disse staccandosi dalla sua presa come se le braccia di Rocco la stessero stringendo in una morsa letale. Perché aveva così paura di ammettere ad alta voce i suoi sentimenti? Sapeva bene cosa provava per lui. Ma dirlo, ammetterlo, significava renderlo realtà. Era stata una stupida in passato. Aveva donato il proprio cuore a chi non lo meritava, a chi lo aveva calpestato come se non contasse nulla. In quegli anni aveva cercato di preservarlo, nascondendolo dietro una maschera di indifferenza, ma più tempo trascorreva con Rocco e più si rendeva conto che in realtà non aveva fatto altro che limitarsi, impedendosi da sola di essere veramente felice. Il suo unico ostacolo era se stessa.
Non poteva sopportare lo sguardo deluso di Rocco mentre lei si allontanava per mettere via i piatti. Per quel motivo fino a quel momento gli aveva sempre impedito di continuare a pronunciare quelle due semplici parole che per lei invece avevano quasi il peso di un’ammissione di colpa. Ma l’aveva talmente colta alla sprovvista, che non era stata in grado di prevederlo, né di reagire in modo appropriato e adesso non sopportava di vederlo così. Forse avrebbe fatto davvero meglio ad andare al circolo. Quanto si sentiva ridicola a trovare più sopportabile finire nella fossa dei leoni a subire il giudizio dell’intera famiglia Amato, piuttosto che ammettere anche a lui quello che provava?
“Forse è meglio che vada” disse Irene voltandosi verso Rocco che si era riseduto sulla sua sedia. 
“Picchì? Ho fatto qualcosa che non dovevo?” chiese lui confuso, facendole stringere il cuore.
“No, no” rispose lei rigida. “E’ solo che si è fatto tardi e domani si torna al lavoro” disse stringendosi nelle spalle. “E voglio prepararmi per aspettare Stefania e farmi raccontare tutto” accennò un sorriso, mentre si avvicinava per schioccargli un bacio sulle labbra. Dio, se lo amava anche lei. Perché non aveva avuto il coraggio di dirglielo? Erano tre semplici parole: ti amo anch’io. Eppure la sua lingua sembrava essersi annodata su se stessa, la salivazione azzerata e ormai il momento era passato, portandosi dietro ogni traccia del suo coraggio. 
“Va bene” ribatté lui mogio, afferrandole la mano prima che potesse allontanarsi. “Ma non mi rimangio ciò che ho detto, Irè” aggiunse con aria seria e stranamente sicura, mentre lei annuiva e si allontanava con il cuore pesante.

 

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“Maria, che ci fai ancora sveglia?” aveva detto Agnese alla ragazza, al rientro dalla serata al circolo. Si era sentita a disagio per tutta la serata in quel luogo a cui non apparteneva e sarebbe sempre stato distante da lei anni luce, ma l’orgoglio di vedere sua figlia su quel palco, acclamata da tutti i partecipanti ed elogiata dal loro capo, che aveva voluto persino metterla sulla copertina del Paradiso Market, l’aveva ripagata di ogni sforzo. Aveva pensato per un attimo di andare al piano di sopra insieme ad Armando per vedere come stava il nipote, ma Giuseppe le camminava dietro come un avvoltoio e non se l’era sentita di deviare dal percorso predefinito. Anche perché dubitava che Rocco avesse piacere di vederla. Lui non capiva che tutto ciò che faceva, lo faceva per lui e per i suoi figli. Ogni sua parola, ogni suo gesto, era solo in funzione della loro felicità. Forse sbagliava, ma era convinta di fare il loro bene, lei che di esperienza ne aveva tanta e sapeva come funzionava il mondo, a differenza loro. 
Arrivati davanti alla porta, Giuseppe aveva fatto un cenno con la testa alla ragazza e poi si era rintanato dentro l’appartamento, seguito a ruota da Salvo. Tina si era attardata insieme alla madre sul pianerottolo per fare conversazione. Anche lei era dispiaciuta per la situazione che si era creata e soprattutto per quello che stava passando la povera Maria a causa di suo cugino. Nonostante i loro trascorsi e le apparenze che potevano portare fuori strada, Tina teneva a Irene ed era contenta che Rocco avesse fatto la sua scelta seguendo solo il suo cuore. Ma d’altro canto provava pena per Maria e, anche se la conosceva solo in modo superficiale, era una brava ragazza ed era legata a lei per spirito di fratellanza: in fondo provenivano dallo stesso paese, avevano dovuto affrontare le stesse problematiche, e avevano parenti che vedevano il mondo dalla stessa cieca prospettiva. 
“Eh, non riuscivo a dormire, signora Agnese” rispose lei che fino a quel momento era stata affacciata fuori dal ballatoio a rimuginare sul proprio futuro. Aveva in parte seguito il consiglio di Irene e quella mattina non si era fatta trovare all’altro capo del telefono quando il padre aveva chiamato. Voleva prendere tempo e capire come comportarsi. C’era una sola cosa di cui era assolutamente certa: lei a Partanna non ci voleva proprio tornare.
“Pensieri, eh?” chiese Tina posando una mano sulla schiena della ragazza che annuì concorde.
“Vedrai che una soluzione la si trova, Maria” intervenne Agnese con sguardo comprensivo. 
“Speriamo” ribatté lei stringendosi nelle spalle. “Ah, ma com’è andata stasera?” 
“Benissimo, mi hanno fatto un sacco di complimenti e il dottor Conti ha scelto una mia foto per la copertina del Paradiso Market. Ci pensi? Finirò nelle case di tutta Italia” rispose Tina con entusiasmo.
“Ma ci sei già da anni con la radio” la riprese Maria con un sorriso.
“Vabbè, che c’entra, così è diverso. Adesso vedono la mia bella faccia, no?” disse mettendosi una mano sotto il viso. 
“E la tua amica lì come mai non è venuta?” chiese stizzosa Agnese alla figlia Tina.
“Quale amica? Irene? Ma se siamo come cane e gatto” rispose lei. “E poi che ne so io perché non è venuta, sarà per Rocco. A proposito, sai come sta?” domandò Tina a sua madre.
“No, non l’ho visto dopo il magazzino. Il signor Ferraris dice che stava dormendo quando è uscito di casa” replicò Agnese. “Ma poi figurati se quella rinunciava a farsi vedere al circolo per fare compagnia a Rocco” aggiunse poi con una leggera risata, ripensando a quello che Rocco aveva detto a Irene in magazzino. Le era sembrato avessero concordato la sua partecipazione anche senza la presenza di lui. Allora come mai aveva cambiato idea?
“Guardi signora Agnese che Irene è sicuramente con lui. L’ho sentita mentre parlava con Stefania” intervenne Maria. 
La mora, che era rientrata in casa solo pochi minuti prima della famiglia Amato, sentendo il proprio nome si affacciò dalla porta socchiusa da Maria e tirò fuori la testa.
“E’ vero, signora Agnese. Irene questa sera ha preferito rimanere con Rocco” confermò annuendo, con un biscotto tra le labbra. Aveva ragione Irene: non avevano mangiato granché quella sera, ma si era divertita molto e in fondo era questo ciò che contava. Avrebbe riempito quel buco nello stomaco con latte caldo e biscotti. Per quanto le sembrasse entusiasmante ed elitaria, la vita mondana non faceva per lei, che in fondo era una ragazza semplice e per farla felice bastavano poche e piccole cose. 
Agnese, spiazzata, guardò per qualche istante le tre giovani, cercando una risposta che giustificasse l’assenza di quella sfacciata. Se era davvero rimasta a casa per Rocco, doveva esserci qualche altro motivo dietro. Magari lo stava facendo per farsi bella agli occhi suoi e di suo marito e di chiunque la giudicasse aspramente. Doveva essere una tattica, perché in quei tre anni non aveva mai visto quella ragazza agire per puro e semplice altruismo. Dietro le sue azioni c’erano sempre dei secondi fini nascosti. 
“Mah, chi lo sa cosa sta progettando quella” si strinse nelle spalle con scetticismo. 
“Ma che deve progettare? Non è un architetto” intervenne Tina ironica, scocciata dal modo in cui sua madre riuscisse a vedere il marcio in qualsiasi cosa o persona non le andasse a genio. Se voleva bene a qualcuno, stravedeva per loro, tanto da mettersi dei veri e propri paraocchi per non giudicare negativamente nessun loro passo falso. Per sua madre suo fratello Antonio era sempre perfetto, sempre giustificabile. Mentre con Tina era l’esatto opposto. 
“Signora Agnese” aggiunse Stefania, sfilandosi il mezzo biscotto per assumere un’espressione improvvisamente più seria. “Scusi se le parlo così, ma lei non conosce Irene. Non ha idea dei problemi che si è fatta per via di Rocco e di Maria. Lei lo sapeva che si è fatta da parte proprio perché aveva a cuore i sentimenti di Maria e non voleva ferirla?” la guardò dritta negli occhi, riuscendo a mettere addirittura a disagio Agnese, che colta in fallo non sapeva cosa rispondere. “No, non lo sapeva, perché voi conoscete solo una piccola parte di ciò che è realmente Irene. Lei vuole bene a suo nipote, no? Sa che persona buona sia. Signora Agnese, pensa si sarebbe mai innamorato di Irene se fosse davvero la strega che voi tanto dipingete? Gli dia un po’ di fiducia” fece spallucce, trovandosi stranamente supportata sia da Tina che da Maria.
“E’ vero, signora Agnese” ammise Maria a fatica. Le costava tanto perdonare Irene e accettare quello che era successo. Ma in fondo sapeva anche lei che non era colpa sua. Non era stata lei a portare avanti quella messinscena, a parlare con suo padre, a regalarle quell’anello e metterla in quella posizione difficile. Le sue azioni avevano contribuito, ma nessuno aveva obbligato Rocco a comportarsi in quel modo. Era su di lui che avrebbe dovuto riversare la propria rabbia, non su di lei. 
“L’ha detto anche a me. Con Irene ci ho parlato proprio oggi” aggiunse, mentre Agnese non riusciva proprio a contemplare l’idea che potesse aver sbagliato. Aveva sempre agito avendo in mente il benessere e il futuro di Rocco, che niente aveva in comune con quella ragazza. Provenivano da mondi completamente diversi, volevano cose differenti, avevano caratteri distanti. Ma, pensandoci, non aveva trovato anche lei l’amore nella persona per la quale non avrebbe mai pensato di provare dei sentimenti? In passato aveva sbagliato altre volte, e non era mai stata in grado di ammetterlo. Salvatore le rinfacciava la sua intromissione nella storia tra lui e Gabriella, e se poteva comprendere il risentimento di suo figlio riguardo al gesto di nascondere quella lettera, d’altra parte non aveva però avuto ragione lei? Gabriella aveva sposato Cosimo, era felice con lui. Farle ricevere quella missiva avrebbe cambiato le cose? Era tutt’ora convinta di aver agito nel giusto. Non riusciva ad accettare diversamente, perché in genere il suo istinto non si sbagliava. E il suo istinto quella volta le diceva che quella ragazza si sarebbe presto annoiata di un ragazzo buono e semplice come suo nipote. Eppure, anche se non lo avrebbe mai ammesso, una piccola parte di sé stava iniziando ad aprirsi alla possibilità di aver preso una cantonata sulla veridicità dei sentimenti che li legavano. Aveva creduto che Rocco fosse innamorato, mentre lei agisse spinta da altre intenzioni. Adesso, tuttavia, iniziava a mettersi in dubbio. Forse teneva davvero a suo nipote. Ma era abbastanza? Agnese era tutt’ora convinta di no. Nonostante iniziasse a intravedere dei sentimenti anche nei gesti e nelle intenzioni di quella ragazza, la verità era che nella sua testa nulla era cambiato: non era lei la persona più giusta per Rocco, non lo sarebbe stata mai. Come facevano a non capirlo?
“Cosa c’è qui? Una riunione di condominio?” esordì Irene con una smorfia mentre stava tornando a casa, trovandosi davanti persone che avrebbe preferito evitare, almeno per quella sera. Era ancora scossa per ciò che era accaduto con Rocco. Avrebbe voluto tanto sbattere la testa contro la porta per riportare un po’ di sale in quella zucca vuota che teneva. Perché le costava così tanto? Perché non riusciva ad esternare i propri sentimenti con la stessa facilità di Rocco e Stefania?
“Oh no, ci hai scoperte. Stavamo parlando male di te” rispose Tina arricciando le labbra.
“Ah, guarda, su quello non avevo dubbi” ribatté Irene mentre rubava la metà del biscotto che Stefania teneva ancora tra le mani. 
“Ehi” protestò lei imbronciata. 
“Ti posso parlare un secondo?” Agnese le chiese d’un tratto, fissandola con aria seria. 
“A me?” rispose Irene sorpresa che le stesse innanzitutto rivolgendo la parola, e poi volesse persino parlarle in privato.
“A te, certo, e chi se no?” aggiunse Agnese spostandosi più in là per allontanarla dal resto delle ragazze. 
“Dobbiamo controllarle o possiamo rientrare?” chiese Stefania alle altre sottovoce.
“Fossi in voi mi apposterei almeno alla finestra, io invece me ne torno a casa che queste scarpe non le sopporto più. Buonanotte, ragazze” disse Tina, stringendo la spalla di Maria in un gesto di solidarietà.
Le due ragazze guardarono preoccupate per qualche istante Irene e Agnese da sole, e poi rientrarono titubanti dentro il loro appartamento. Stefania avrebbe tenuto sotto controllo la situazione sbirciando ogni tanto dalla finestra della cucina per assicurarsi che la signora Agnese non prendesse Irene per i capelli.
“Ho saputo che sei stata con Rocco questa sera” esordì la siciliana priva di qualsiasi intonazione. Le costava parecchio quella conversazione. Non era da lei fare il primo passo e provare ad avere un confronto. Non stava ammettendo di avere sbagliato, perché in cuor suo lei sapeva di avere ancora ragione. Ma stava concedendo un pizzico di apertura nei suoi confronti, le stava concedendo il beneficio del dubbio, almeno per il momento.
“Sì, e quindi?” rispose Irene subito sulla difensiva. Era abituata alle battute e alle offese della signora Agnese ed era certa ci fosse un secondo fine dietro quel suo tentativo di parlarle da parte.
“E quindi ti volevo…” disse Agnese, cercando di trovare il modo di ringraziarla per esserci stata per lui. Ma non riuscì a mettere da parte l’orgoglio. “Ti volevo chiedere come stava” le spiegò infine.
“Ah, beh… sta meglio” rispose Irene, incrociando le braccia al petto nella tipica posizione di chiusura. “Zoppica ancora un po’, ma dice che gli fa già meno male. Tra qualche giorno tornerà come nuovo, come diceva il signor Ferraris” aggiunse, facendo per andarsene. Era stanca, aveva voglia di buttarsi sul letto e dormire due giorni interi. E forse, se si fosse trovata di umore ben disposto, avrebbe persino parlato a Stefania di quella serata. I suoi consigli le avrebbero fatto bene.
“Signorina Cipriani” Agnese la richiamò dopo qualche passo. “Irene” si corresse poco dopo. “Ti ringrazio di aver badato a lui. Sono sicura che ci ha fatto molto piacere non restare da solo” le concedette infine con un gesto della testa che sanciva la tregua avvenuta. Non sapeva ancora come sarebbero andate le cose tra tutti loro, o se Rocco sarebbe tornato a casa così presto, ma per amor suo Agnese aveva deciso di darle una possibilità. Avevano ancora parecchia strada da fare: forse lei e Irene erano due rette destinate a non incontrarsi mai, o forse un giorno avrebbero trovato il modo di ricongiungersi, trovando in Rocco l’elemento che metteva d’accordo entrambe. Quello era tuttavia il primo mattoncino che gettava le fondamenta del loro rapporto. Non avrebbe mai rivelato a nessuno che in realtà era stato proprio Armando a convincerla. Le parole di Stefania e Maria le avevano dato l’ulteriore spinta di cui aveva bisogno, ma era stata lui la miccia, era stata la sua convinzione a darle fiducia. Armando voleva il meglio per Rocco e se lui credeva davvero che quella ragazza potesse esserlo, se si fidava talmente tanto di lei, forse avrebbe potuto fare questo sforzo anche Agnese. Intanto avrebbe continuato a guardarla a vista. In fondo era molto più di quanto avesse concesso a Elena o chiunque altro. 

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Capitolo 10
*** Ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi ***


L’orologio segnava con drammaticità le cinque e quarantatré del mattino. Irene lo fissava imperterrita, nella speranza che questo le concedesse un’ora in più di sonno. Ma ogni volta che chiudeva gli occhi per cercare di riaddormentarsi, ripensava alla sera prima e a quel momento imbarazzante con Rocco. Non sapeva nemmeno lei perché non fosse stata in grado di ricambiarlo. A dirla tutta, Irene ricambiava eccome. Ma era la prima volta, dopo tanto tempo, che avrebbe dovuto dirlo ad alta voce a un’altra persona. La paura di essere ferita e di aprirsi tanto a qualcuno l’aveva frenata. Ma in fondo non era solo pura formalità? Erano due semplici parole che non contavano nulla. Non quando dimostrava ogni giorno ciò che provava per lui. O almeno era convinta di farlo. Che importanza aveva ripeterlo? Non lo sapeva già? Poi però le tornava in mente lo sguardo deluso di lui, le parole di chi credeva di far fatto qualcosa di sbagliato, e nella sua mente tornava quel senso di inadeguatezza che spesso l’aveva accompagnata durante tutta la sua vita. Perché Irene si mostrava sempre spavalda e sicura, ma dentro di sé erano tanti i dubbi che l’attanagliavano. Non era abbastanza affabile, abbastanza amichevole, abbastanza buona. “Se ti comporti così, non troverai mai un marito che ti sopporti” le aveva sempre ricordato suo padre come un disco rotto, riprendendola per la sua lingua lunga. E alla fine lei in qualche modo ci aveva anche creduto. Sarebbe mai stata amata per quella che era realmente? O avrebbero sempre avuto da ridire sul suo comportamento, cercando di cambiarla? Mi piaci, ma… 
Per quel motivo aveva ceduto troppo facilmente al corteggiamento di Claudio. Era stata la prima persona che si era interessata a lei per davvero. Gli aveva dato il permesso di ferirla, perché non aveva voluto vederlo per quello che era, ma per quello che lei desiderava che fosse: una via di fuga. Gli aveva dato il suo cuore e lo aveva calpestato. Aveva pianto tanto, certo, ma poi aveva deciso di andare avanti, perché quell’uomo non meritava le sue lacrime. Non ne era degno. Si era ripromessa di non lasciarsi mai più ingannare in quel modo, ma adesso che aveva perso la testa per Rocco, si era chiesta se non avesse permesso un’altra volta all’ennesima persona sbagliata di vedere dentro il suo cuore. Ogni tanto si faceva largo nella sua mente il ricordo delle parole che Rocco aveva pronunciato a Maria. Si domandava se una piccola parte di lui non le pensasse per davvero. Poi si diceva che si stava auto-sabotando come al suo solito, e allora le scacciava via. Ma forse erano proprio quelle a frenarla. Si fidava di Rocco, ma si fidava per davvero?
Dopo aver riaperto gli occhi per l’ennesima volta e aver constatato che la lancetta si era spostata di soli cinque minuti, Irene esasperata decise di alzarsi. Era ancora molto presto e non poteva vestirsi e prepararsi per andare al lavoro. Poi sarebbe rimasta seduta sul divano per un paio d’ore vestita di tutto punto? Osservò per un attimo la cucina in disordine e i piatti nel lavello dalla sera prima e allora optò per la pulizia. D’altronde sembrava rilassare Maria, magari poteva provarci pure lei. Aprì il rubinetto e afferrò il primo piatto incrostato di pomodoro. Lo tenne sotto l’acqua per qualche istante per ammorbidire i residui, e poi gli passò sopra la spugna. Gesti ripetitivi e meccanici che non la rilassarono affatto, ma la innervosirono ulteriormente. Aveva bisogno di qualcosa di più impegnativo, qualcosa che le occupasse la mente e la allontanasse dai pensieri autodistruttivi che ogni tanto facevano capolino. Iniziò allora a pulire il resto della cucina, a sfogliare le riviste di Stefania, aprì il frigo persino invogliata dall’idea di cucinare qualcosa. Ma chi voleva prendere in giro? Lei non era Maria, e non lo sarebbe mai stata. 
Come se l’avesse chiamata, in quel momento la siciliana entrò in cucina avvolta nella sua vestaglia leggera e la fissò con uno sguardo confuso in volto. 
“Irè, ma non sono manco le sei di mattina, che stai facendo?” domandò a bassa voce, mentre Irene si girò di soprassalto, colta alla sprovvista.
“Maria!” esclamò spaventata.
“Piano!” la redarguì lei, avvicinandosi di qualche passo. “Che ci fai sveglia? Mi pari Cenerentola” continuò imperterrita. “Sei tutta spettinata” ridacchiò poi, non avendo mai visto la coinquilina in quelle condizioni.
A Irene non sembrò il caso di parlarle dei suoi problemi con Rocco. Beh, dei problemi che lei stessa si era creata, in realtà. Non era certa che Maria volesse realmente ascoltarli, giustamente.
“Pensieri” si strinse nelle spalle, mollando il manico della scopa e soffiandosi aria sul viso per spostare una ciocca di capelli dagli occhi. 
“Anche tu?” Maria la guardò stranamente comprensiva. Dopo la chiacchierata della mattina prima, tra di loro si era instaurata una strana complicità che non avevano mai vissuto prima, a prescindere dalla rivalità per Rocco. Forse perché, per la prima volta, si erano parlate a cuore aperto, mettendosi a nudo, senza più bugie.
“Eh” rispose Irene accennando un sorriso.
“Vabbè, dato che mi hai svegliata ora mi preparo il pranzo, va” disse Maria, avvicinandosi al frigo. “Oggi dobbiamo fare la spesa” la informò richiudendolo dopo aver preso delle uova. 
“E andiamo!” ribatté Irene con entusiasmo, dimenticandosi dell’orario. Spesso sapeva essere un controsenso vivente. Quando non era costretta a muovere un dito in casa era più che felice. Avrebbe passato ore seduta sul divano a leggere riviste e passarsi lo smalto sulle unghie. In altri momenti, invece, non sopportava l’idea di starsene ferma a osservare da sola e silenziosa lo scorrere del tempo. 
“Ma che sei matta, Irè? Non sono manco le sei” Maria continuò a muoversi da un lato all’altro della cucina per prendere tutti gli ingredienti di cui aveva bisogno per preparare della pasta fresca. Da preparare alle sei di mattina. Irene la osservò con uno sguardo che racchiudeva un insieme di sentimenti diversi. Era perplessa, divertita e ammirata allo stesso tempo. Tutte emozioni che non combaciavano tra loro. Tuttavia, si andò a lavare le mani e si sedette al tavolo piena di buoni propositi, mentre Maria buttava giù la farina.
“Ti aiuto, allora” propose, causando un moto di ilarità in Maria. “Ehi, guarda che sono seria” aggiunse allora. 
Maria la guardò esattamente come l’aveva osservata quando era entrata in cucina: come se avesse davanti un fantasma o un essere non identificato che stentava a riconoscere. Non capiva cosa le stesse prendendo, ma avvertì che Irene ne aveva bisogno, così la assecondò senza fare storie né domande. Non ci teneva a sapere. Non era ancora pronta a sentir parlare dell’oggetto dei mille pensieri di Irene. Un conto era aver perdonato lei, un altro era diventare sua confidente. Aveva bisogno di tempo per superare quella storia. Ma tutto sommato era grata di aver trovato Irene sveglia fuori dalla sua porta. Anche lei non riusciva più a prendere sonno, e trascorrere l’albeggiare insieme a qualcun altro, faceva scorrere più veloce il tempo che separava lei e le altre dall’inizio del lavoro. 
Stefania era entrata un’ora dopo per fare colazione e aveva trovato le due ancora intente a preparare le busiate fatte in casa. Anche lei lo stesso sguardo perplesso, ma nel suo caso anche un po’ preoccupato, che aveva avuto Maria nel vedere Irene pulire la casa all’alba. Le aveva chiesto se qualcosa non andava, ma Irene aveva preferito tergiversare ed era corsa in bagno per prepararsi: sarebbe uscita presto con Maria per andare a fare la spesa.
“Sei seria?” le aveva domandato Stefania mentre si truccava. 
“Perché?” Irene aveva risposto con fare innocente, come se effettivamente fosse normale che andasse a fare la spesa alle sette di mattina con quella che fino a poco tempo fa era stata la sua nemica numero uno. 
“Ma come perché?! Irene, c’è qualcosa che non va?” le aveva domandato in serio allarme, alzandosi per metterle una mano sulla fronte e controllarle la temperatura. Non era da lei, almeno questo doveva riconoscerlo. Ormai sapeva com’era fatta Irene, ma quel comportamento era talmente inusuale che avrebbe destato preoccupazione persino in chi la conosceva soltanto in modo superficiale. 
“Vi lamentate sempre che non faccio niente e quando lo faccio pensate che sia pazza o malata. Decidetevi” aveva protestato lei. Non che Irene non si fidasse di Stefania, perché aveva imparato a prestare attenzione al suo giudizio e ai suoi preziosi consigli. Ma aveva bisogno di processare le cose da sola, prima di poterle esporre agli altri. E poi in parte si vergognava di aver creato da sola un problema che non esisteva. Se lo avesse raccontato a Stefania cosa le avrebbe detto lei? L’avrebbe guardata stranita, chiedendosi quale fosse il motivo di tanta reticenza. Aveva indugiato a lungo prima di avvicinarsi a Rocco, aveva messo da parte quei sentimenti per diverse settimane e ora che finalmente potevano stare insieme e vivere la loro storia alla luce del sole, stava scappando un’altra volta? Non voleva nemmeno che dubitassero di ciò che provava per lui. Perché Irene era certa: era innamorata di Rocco, e lo era già da tempo. Non voleva che Stefania, e soprattutto Maria, potessero metterlo in dubbio. Sapeva già come avrebbe reagito quest’ultima: l’avrebbe preso come un affronto, come un modo di metterle i bastoni tra le ruote senza motivo. Ma per Irene non era un gioco e non lo era mai stato. La verità era che la sua mente era talmente complicata e aggrovigliata, da non riuscire talvolta a districarla nemmeno lei. 
Aveva quindi scrollato le spalle ed era uscita di casa con Maria. C’era voluto parecchio trucco per coprire i profondi cerchi scuri che le incorniciavano gli occhi. Non le piaceva non dormire le solite 7-8 ore a notte: non solo diventava irritabile, ma la sua pelle si inaspriva come una prugna secca e Irene non voleva di certo invecchiare prima del tempo. Ma alla fine si era rassegnata all’immagine che lo specchio rifletteva, ed era uscita di casa per fare davvero compere con Maria, che l’aveva ripresa almeno la metà delle volte perché non sapeva cosa prendere e quali fossero le offerte migliori. 
“Ti faresti derubare di tutto lo stipendio” le aveva detto mentre uscivano dal mercato con diverse buste tra le mani. Irene si era stretta nelle spalle, ignorando l’accusa di Maria. Era un’ottima venditrice, la migliore del Paradiso. Ma effettivamente non era avvezza a quel tipo di scambi. Non era abituata a dover trattare sul prezzo com’era perfettamente in grado di fare Maria. Ma era certa che se si fosse impegnata, sarebbe riuscita a ottenere persino offerte migliori.
Tuttavia, proprio mentre si incamminavano verso casa, Irene adocchiò una figura che avrebbe riconosciuto in mezzo a migliaia. Rocco era in compagnia del signor Armando e di un altro uomo che lei non aveva mai visto. Cosa ci faceva fuori a quell’ora? Irene immaginava che sarebbe rimasto a casa, dato che con quella caviglia e quella spalla fuori uso, non avrebbe potuto caricare e scaricare casse in magazzino. Lo guardò perplessa per qualche istante, arrestandosi di colpo.
“Irè ma che fai? Andiamo” si voltò Maria.
Irene le fece cenno di guardare verso la direzione di Rocco, chiedendole se l’uomo in loro compagnia fosse un qualche parente o amico di famiglia a lei sconosciuto. Nessuna delle due, però, aveva l’aria di sapere chi fosse. Era un bell’uomo dall’aria distinta, vestito con degli abiti che denotavano la palese differenza di rango rispetto ai due magazzinieri. Irene cercò di avvicinarsi con circospezione, senza farsi notare, ma riuscì a captare solo pochi frammenti del discorso, prima che Rocco la vedesse. 
“Irè!” esclamò sorpreso, guardando prima lei e poi il signor Ferraris con l’aria colpevole di chi non sapeva come giustificarsi, il che mando Irene su tutte le furie. Se la guardava in quel modo, voleva dire che le stava davvero nascondendo qualcosa. La faccia di Rocco parlava chiaro: era come un libro aperto per lei. 
Irene allora uscì allo scoperto. Si avvicinò ai due, seguita da Maria che non sapeva cosa fare. Non le interessava particolarmente rimanere lì a osservare le scaramucce tra quei due, ma non sapeva come liberarsi da quell’impiccio.
“Chi era? Di che contratto parlava?” Irene gli puntò il dito contro. Aveva capito poco, ma una cosa le era chiarissima: quell’uomo voleva far firmare a Rocco un contratto, ma per quale lavoro o prestazione la bionda non era proprio riuscita a sentirlo.
“Io… volevo dirtelo, Irè, è che…” aggiunse lui, mettendosi in una posizione complicata. Avrebbe potuto fingere che quella fosse la prima volta che veniva approcciato e tutto sarebbe andato per il verso giusto, invece Rocco era un’anima pura che non era capace di improvvisare e dire delle bugie. Era onesto, nel bene e nel male. E quella volta la sua onestà lo avrebbe cacciato in un bel guaio.
“Ah! Quindi, qualunque cosa sia, ammetti che me la stavi nascondendo? E perché si può sapere?” gli chiese, stavolta in preda alla rabbia. Quella piccola vocina che fino a quel momento aveva deciso di zittire, allontanandola dalla propria mente, tornò alla riscossa. Forse aveva fatto bene a non fidarsi di lui. Se le mentiva adesso che avevano appena iniziato a frequentarsi, cosa avrebbe fatto tra un anno o due? Sapeva di essere irragionevole, che a parlare era quella parte di lei che aveva paura e innalzava dei muri possenti per proteggersi, tuttavia non poté fare a meno di sentirsi ferita e quasi sollevata di non aver ricambiato la sua confessione il giorno prima.
“E’ che non voglio accettare, quindi che senso aveva dirtelo?” si giustificò Rocco, continuando a tenere su quella faccia da cane bastonato che gli riusciva tanto bene e che in quel momento mandava Irene fuori di testa. 
“Giusto, che senso aveva dirmelo? Mica stiamo insieme, no?” lo canzonò furente, guardandolo con l’aria di chi avrebbe tanto voluto prenderlo a sberle. Se c’era una cosa che proprio non sopportava era di essere l’ultima a sapere le cose. Essere tenuta all’oscuro, mentre gli altri confabulavano e agivano alle sue spalle, la faceva sentire esclusa. La faceva sentire messa da parte. Anche per quel motivo aveva reagito in modo spropositato a quello che aveva reputato un tradimento in piena regola da parte di Lorenzo. Non aveva importanza che Rocco volesse accettare o meno quella proposta: che senso aveva essere una coppia se ognuno doveva comunque prendere le decisioni in solitaria?
“E’ che…”
“‘E’ che’ un corno, Rocco! Di che contratto parlava?” lo esortò con poca diplomazia.
Alle loro spalle Maria e Armando si  guardarono a disagio, indecisi se fosse meglio lasciar battibeccare i due da soli o se rimanere per eventualmente provare a farli ragionare.
Alla fine Armando decise di intervenire, visto che Rocco sembrava aver perso la lingua. “Quel signore ha offerto a Rocco un lavoro come ciclista professionista nella sua squadra. Ma questo zuccone ha deciso di rifiutare” le spiegò. Rocco gli aveva chiesto di rimanerne fuori, ma lui non poteva accettare l’idea che sprecasse un’opportunità tanto importante per la signorina Cipriani, senza nemmeno parlarne alla diretta interessata. Capiva che quella proposta fosse arrivata in un momento delicato del loro rapporto ancora nuovo e poco rodato, ma non poteva rinunciarci con così tanta facilità. Lei doveva sapere, affinché lui prendesse quella decisione in totale autonomia e con assoluta chiarezza. 
Rocco però si voltò per guardarlo come in genere fissava i suoi zii: stanco delle loro continue intromissioni. Tuttavia, in cuor suo sapeva che il signor Armando aveva ragione. Non era giusto che prendesse quella decisione per Irene, senza nemmeno interpellarla. Eppure lui era sicuro. Gli sarebbe piaciuto lavorare come ciclista, era il suo sogno. Ma non poteva farlo se avesse rischiato di perdere Irene, non dopo aver fatto tanto per averla accanto a sé. Lei era più importante. In fondo a lui bastava poter lavorare in modo onesto e stare con lei e le persone a cui voleva bene. Non era fatto per certe cose. Non gli piaceva la popolarità che gli avevano provvisoriamente donato i fotoromanzi. Era un ragazzo semplice e forse la vita del ciclista non faceva per lui. Sarebbe rimasto a Milano a lavorare come magazziniere, avrebbe preso la licenza media come volevano Irene e il signor Armando, e sarebbe stato felice. Gli sarebbe bastato. Fino a quando, però?
La verità era che aveva avuto paura. Paura che Irene lo spingesse ad accettare, paura di perderla perché una parte di sé voleva realmente partire. E allora tenerlo nascosto e prendere quella decisione al posto suo, dicendosi che lo faceva per lei, rendeva tutto più facile. 
“E perché ha rifiutato?” Irene chiese direttamente al signor Ferraris, senza nemmeno guardare più il suo fidanzato. 
“Perché è a Roma” intervenne finalmente Rocco, ritrovando la capacità di parlare. 
“Ah” rispose lei, fissando il vuoto, colta di sorpresa. Non sapeva cosa dire. Era difficile che qualcuno riuscisse a zittire Irene Cipriani: in genere trovava sempre il modo di ribattere. Ma non quella volta.
“Mi dispiace” provò ad avvicinarsi, sfiorandole un braccio. Lei si tirò indietro.
“E fai bene!” esclamò allora, sollevando una delle buste piene di frutta e verdura per tirargliela contro.
“Au, avà Irè, ferma” Rocco sorpreso cercò di proteggersi dal suo attacco.
“Irene, i pomodori! Piano che così facciamo direttamente la salsa” Maria si avvicinò per tirarle indietro il braccio. “Avanti, ora dammi le buste che le porto io a casa e voi due ve ne state qua a parlare” disse, strappandole dalle mani di Irene. Erano pesanti, ma magari il signor Ferraris si sarebbe offerto di accompagnarla e aiutarla. Lo sperava, dato che non voleva rimanere lì un secondo di più. Aveva già fatto più di quello che doveva e di dare consigli a quei due non ne aveva proprio voglia. Se la sarebbero sbrigata da soli.
“No, no, vengo a casa anch’io” Irene si voltò per seguirla. 
“Avà, Irè, aspetta. Fammi spiegare” provò Rocco, ma Irene non sembrava voler sentire ragioni, lasciandolo lì da solo con il signor Armando.
“Io te l’avevo detto” gli disse lui offrendogli il braccio per aiutarlo a tornare a casa.
“Sì però pure lei poteva non dirci niente” protestò Rocco con tono lamentoso.
“Doveva saperlo che stavi facendo una stupidaggine in nome suo.”
“Ma che stupidaggine e stupidaggine, signor Armà. Che è una stupidaggine questo lo dice lei. Irene è troppo importante” si giustificò Rocco, che invece non aveva alcuna intenzione di tornare a casa. Sarebbe andato al lavoro normalmente, anche con una gamba dolorante. Lì almeno avrebbe potuto trovare l’occasione di parlare a Irene e spiegarsi. Non poteva aspettare che tornasse a casa quella sera, mancavano ancora troppe ore. E poi a casa non aveva niente da fare e lui con le mani in mano non ci sapeva proprio stare.

 

“Io lo sapevo, lo sapevo!” Irene piegava maglioncini in preda all’isteria. Stefania la guardava ancora con aria preoccupata, rivolgendole di tanto in tanto delle occhiate comprensive. 
“Sì, ma stai calma. In fondo l’ha fatto per te. E’ un gesto romantico” provò a dire sognante, causando l’ira della sua amica.
“E lo giustifichi pure?!” esclamò furiosa, adesso anche con lei. “Io lo sapevo che non mi dovevo fidare, il mio istinto mi diceva che c’era qualcosa che non andava. Ecco perché ieri sera non sono riuscita a dirglielo…” si lasciò scappare, allontanandosi per appendere un vestito su una gruccia. 
“Dirgli cosa?” domandò Stefania perplessa, ma estremamente curiosa. Se avesse potuto comprare delle noccioline, in quel momento l’avrebbero trovata seduta su una poltrona a sgranocchiarle mentre si gustava l’ennesimo capitolo del dramma Cipriani-Amato. Dato che la sua vita era estremamente noiosa e priva di eventi degni di nota, e quella amorosa era addirittura peggio, Stefania trovava interesse solo in quella delle sue amiche e nelle riviste di pettegolezzi. Peccato che poi si sentisse in colpa, dato che si parlava di persone reali che lei conosceva fin troppo bene. 
“Niente” Irene cercò di liquidare l’argomento, ma ormai che era stato menzionato, sapeva che Stefania non si sarebbe arresa tanto facilmente. “Mi ha detto che mi ama e io sono scappata via” le rivelò infine, lasciandosi cadere su una delle poltroncine. Se la signorina Moreau le avesse trovate lì sedute a parlottare come se fosse la pausa pranzo, le avrebbe certamente riprese. Ma in quel momento Irene non ci badò.
“Cosa?” chiese la mora, accovacciandosi accanto alla sua amica. “E perché?” aggiunse con aria confusa. 
Già, perché? “Non lo so, Stefania. Perché sono una stupida” ammise, scuotendo la testa sconsolata. Si sentiva davvero una stupida, perché nonostante fosse furiosa per quella menzogna, perché Rocco aveva dato poca fiducia a lei e al loro rapporto, c’era una piccola, minuscola parte, che si sentiva onorata dal suo gesto. Se avesse dovuto scegliere tra lei e la sua passione, lui avrebbe scelto lei. 
“Sì, sei una stupida. Finalmente lo hai capito. Dai, vai da lui, ti copro io” propose Stefania. Ma Irene scosse categoricamente la testa.
“No, neanche morta. Deve venire lui da me.” 
“E come? Zoppicando?” domandò lei.
“Anche strisciando, se serve” si strinse nelle spalle con aria altezzosa, alzandosi per tornare alla propria postazione. L’orgoglio era proprio una brutta bestia. 
“Come sei magnanima” ribatté Stefania con una smorfia. 

Irene rimase il resto della mattinata in silenzio, in preda ai mille pensieri che le danzavano nella mente. Era una situazione complicata, doveva ammetterlo. Capiva la rinuncia di Rocco, e lei stessa aveva delle remore rispetto a quel possibile trasferimento. Egoisticamente era felice che lui avesse rinunciato, ma allo stesso tempo si sentiva ferita. E confusa, tanto confusa. Avrebbe dovuto spingerlo ad accettare? Aveva paura. Era vero che lo amava, ma era vero anche che stavano insieme da pochissimo tempo. Il loro rapporto avrebbe resistito a una tale distanza? Quando si sarebbero visti? Due volte all’anno come faceva coi suoi parenti in Sicilia? Irene però sapeva che se fosse rimasto, un giorno glielo avrebbe recriminato. Specialmente se il loro rapporto non avesse funzionato. Avrebbe sempre ripensato a quell’occasione persa per una persona che non valeva quel sacrificio. E allora l’avrebbe odiata, avvelenando anche tutti i bei ricordi che potevano aver condiviso. Se invece fossero rimasti insieme, magari quella decisione, allo stesso modo, avrebbe rovinato il loro rapporto, condendolo di odio e senso di colpa. Lo aveva visto succedere troppe volte. Persino sua madre, sebbene non colpevolizzasse il padre e fosse tutto sommato felice della sua famiglia, avrebbe desiderato una vita diversa, se avesse potuto scegliere. Per questo premeva tanto affinché Irene scegliesse con assoluta consapevolezza il proprio percorso, ricordandole di non fare caso alle pressioni esterne. Se era la persona ambiziosa e spavalda che tutti conoscevano, lo doveva anche a lei. Per quel motivo Irene non poteva essere colei che gli tarpava le ali. Allo stesso tempo, però, non sapeva nemmeno se potesse essere la docile e paziente fidanzata che lo aspettava da lontano. Quella era Maria, non lei.
“Stefania” la chiamò in spogliatoio in pausa pranzo. 
“Sì?” la sua amica prese il soprabito dall’armadietto e poi si sedette accanto a lei. Notò il suo volto scuro e si preoccupò. 
“Che devo fare?” le chiese allora Irene. Non era da lei chiedere aiuto, ma quelle ultime settimane le avevano fatto capire che aveva accanto delle persone che le volevano bene, e che ogni tanto poteva concedersi anche lei il lusso di cercare conforto nel confronto con gli altri.
“Lo sai che non posso dirtelo io” le spiegò Stefania, circondandole le spalle con un braccio in segno di comprensione e affetto. “Ma quindi tu lo ami Rocco?” le domandò seria.
“Che domande, Stefania, certo” rispose di getto, senza nemmeno doverci pensare. Cosa che scaldò il cuore della mora. 
“Non ti ho mai sentito ammettere i tuoi sentimenti con così tanta facilità” le ricordò con un sorriso. Irene era sempre stata quella che disdegnava il contatto fisico che Stefania, al contrario, tanto cercava. Dire ‘ti voglio bene’ a lei e alle altre veneri, era costato a Irene un enorme sacrificio. Adesso, invece, aveva ammesso di amare Rocco così su due piedi, come se fosse - e lo era -, la cosa più normale e naturale del mondo. Doveva pur contare qualcosa. 
“Quello che avete merita di essere preservato, Irene. E sono sicura che sai da sola cosa devi fare” si strinse nelle spalle, alzandosi per andare in caffetteria. “Vieni?”
“Tra un attimo” rispose Irene, che doveva ancora finire di cambiarsi.
Proprio mentre Stefania apriva la porta, Irene vide entrare un Rocco zoppicante e cercò di trattenere un piccolo sorriso di tenerezza. Si voltò e tornò a concentrarsi sulla camicetta che aveva ormai quasi chiuso del tutto. Lui osservò la stanza vuota, i trucchi sparsi sulle postazioni, la gruccia di Irene appesa sull’armadietto e la divisa riversa sul divanetto, ancora da sistemare. Guardò poi lei in silenzio che finiva di chiudere l’ultimo bottone della camicetta e si sedette sul divanetto in silenzio accanto a lei, osservandola per qualche istante, cercando di capire quale fosse il suo stato d’animo. Non aveva mai voluto mentirle o ferirla. La verità era che aveva pensato a lungo a quella proposta, prendendo del tempo con il preparatore atletico. Era quasi sicuro di volerla rifiutare, eppure allo stesso tempo desiderava davvero andare, e questa cosa lo faceva sentire sbagliato. Non poteva mettere quel lavoro davanti a lei, specialmente dopo quello che avevano dovuto passare per stare insieme. Non voleva che pensasse che non l’amasse abbastanza, o addirittura che le parole della sera prima potessero essere in realtà una menzogna. Lei era più importante di quel lavoro. Lei era più importante di tutto il resto. Aveva persino messo da parte la propria famiglia per lei, pur sapendo quanto contasse per lui, non vi avrebbe rinunciato di certo adesso. E se accettare quella proposta significava perdere lei, allora non ne valeva la pena. Ma aveva anche avuto paura che lei lo spingesse ad accettare, perché partire destabilizzava anche lui. Così aveva scelto per entrambi.
“Mi dispiace” ribadì ancora una volta, senza però correre il rischio di toccarla come aveva fatto quella mattina. Certo, adesso non aveva più nulla per le mani, ma era sicuro che se l’avesse voluto Irene avrebbe tranquillamente trovato il modo di colpirlo in qualche maniera. Magari con il tacco di una scarpa. 
“Lo so” rispose lei, girandosi a guardarlo. “Ma questa cosa mi ha fatto pensare a noi due” gli rivelò. Lo sguardo di lui si coprì di terrore. Di solito quel tono e quelle parole non preannunciavano niente di positivo. 
“Mi vuoi lasciare, Irè?” le domandò d’istinto, mentre un nodo gli si formava in gola. Perché lo aveva detto? Doveva stare zitto, magari le aveva appena dato l’idea, pensò Rocco.
“E’ quello che vuoi?” chiese lei, lasciandolo sbigottito per qualche istante. Come poteva pensare che volesse essere lasciato? Era proprio per evitare di perderla che non gliel’aveva detto. E adesso che lo sapeva non poteva più rimangiarselo o tornare indietro.
“Ma che dici, Irè” esclamò confuso, cercando immediatamente il contatto fisico con lei. “Vedi che non ho mai detto a nessuna quello che ho detto a te ieri, ah. E lo pensavo veramente” le ricordò stringendo le sue dita esili e bianche nella sua grande mano. Cercava di non darlo a vedere, ma era in preda al panico. Avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avesse chiesto pur di non perderla. Avrebbe rinunciato alla sua famiglia, al Paradiso, persino alla bicicletta, se fosse servito a convincerla della sua onestà.
“Non voglio essere un ostacolo alla tua felicità” lo informò, ruotando il busto per poterlo guardare meglio negli occhi senza dover voltare la testa.
“Ma è con te che sono felice io, amunì” ribatté Rocco con sicurezza, liquidando la questione.
“Lo dici adesso, ma tra vent’anni? Non mi rinfaccerai che se non sei diventato un grande ciclista è solo per colpa mia?” gli domandò con amarezza. “Avresti potuto essere come Fausto Coppi, se la tua fidanzata egoista non te lo avesse impedito” immaginò un’ipotetica frase che Rocco avrebbe potuto pronunciare un giorno. 
Nonostante le parole dure, per una frazione di secondo Rocco sorrise. Poteva sembrare strano, ma lui era contento di sapere che lei stesse pensando tanto in là nel futuro. E che in quel preciso futuro li immaginasse ancora insieme. 
“No, picchì l’amore e la famiglia sono più impottanti” le ribadì lui. Lei lo sapeva bene che valore Rocco desse alla famiglia. Per lui era davvero la cosa più importante di tutte. E lei a poco a poco iniziava a farne parte. Non erano sposati, e non lo sarebbero stati per un bel po’ di tempo perché, nonostante l’amasse, Rocco non si sentiva ancora pronto a compiere quel passo, come invece aveva fatto con Maria. E non perché l’aveva voluto veramente, ma perché era convinto che fosse la cosa giusta da fare. Con Irene, tuttavia, non sentiva tali pressioni. Eppure considerava lei una parte fondamentale della sua vita. Era come l’ossigeno di cui aveva bisogno per respirare. O, meglio ancora, il cibo al quale non avrebbe mai potuto rinunciare. 
“Tu sei più importante. E io con la bici ci posso andare anche qua a Milano, amunì. A Roma invece non c’è la mia Irè” le disse con un sorriso, facendole una carezza. 
“E’ questo che mi ha fatto pensare, però” lo fermò lei, scostandogli la mano dal viso. “Che tu non credi abbastanza in noi due. In me” sottolineò con amarezza. Si sarebbe comportato allo stesso modo se lei fosse stata Maria? O avrebbe dato per scontato che lei l’avrebbe seguito? Irene era troppo indipendente, troppo egoista, troppo poco accomodante per permettergli di avere la vita che realmente desiderava. Era questo che pensava? Di doversi sacrificare per lei? “Non mi hai neanche chiesto se volessi venire a Roma con te.”
“Picchì, lo faresti?” la guardò sorpreso, illuminandosi di colpo davanti alla possibilità di poter avere la botte piena e la moglie ubriaca. Rocco aveva sentito di dover rinunciare per forza a qualcosa, e tra le due aveva scelto la carriera, anziché lei. Poteva essere un gesto romantico, come lo dipingeva ingenuamente Stefania. A Irene, invece, quella decisione dava sensazioni molto diverse.
“Vedi? Tu vuoi accettare, se non lo fai è solo perché credi che io non ti supporterei” scosse la testa. Quello che provava non era realmente rabbia. Però quella situazione l’aveva portata a pensare a quello che Rocco pensava di lei e del loro rapporto. Credeva che non sarebbe sopravvissuto alla distanza? Che lei non fosse in grado? Aveva paura che avendolo lontano avrebbe cambiato idea? Non si fidava abbastanza di lei e di loro due, tanto da pensare che l’unica scelta fosse quella di mettere da parte i propri sogni e i propri desideri in favore suo. 
“E no, non verrei a Roma” aggiunse poco dopo, cercando di spegnere il suo entusiasmo prima che prendesse il sopravvento.
“Eh, vedi, io lo sapevo picchì ti conosco, ormai” si giustificò lui. Se fosse rimasto con Maria, Rocco non avrebbe mai messo in dubbio che lei lo avrebbe seguito. Le avrebbe detto subito di quella proposta, sapendo che lei non avrebbe battuto ciglio davanti a quel trasferimento. Perché Maria era diversa. Maria aveva certamente delle passioni e degli obiettivi, ma li riteneva secondari. Per lei al primo posto c’era il marito, l’essere una brava moglie e donna di casa. E un tempo era tutto ciò che Rocco avrebbe desiderato da una donna. Ma adesso apprezzava il piglio deciso di Irene, le sue ambizioni, la sua voglia di indipendenza. Gli piaceva e la amava anche per questo, e sebbene all’inizio avesse tribolato parecchio, adesso non l’avrebbe cambiata con nessun’altra al mondo, anche se questo avesse voluto dire rinunciare lui stesso a un suo sogno per lei. 
“Ma non importa, in una relazione le cose si decidono insieme” gli fece notare con rammarico. “Che senso ha stare insieme se ognuno decide per sé?” chiese amareggiata, mentre Rocco tornò a sbiancare davanti alla possibilità che quell’errore potesse portarla a ritrarsi. 
“Io lo so che ho sbagliato, Irè, mi dispiace. Però...” tornò ad avvicinarsi a lei per convincerla a non farsi da parte. L’amava troppo per rischiare di perderla per uno stupido lavoro che nemmeno sapeva di volere. 
“E poi possiamo sempre stare insieme a distanza. In questo modo entrambi possiamo fare ciò che vogliamo, no?” propose, nonostante ne fosse letteralmente terrorizzata. I coniugi Conti ci avevano provato. Erano rimasti lontani per mesi, prima di vedere il loro matrimonio soccombere. E se non ci erano riusciti loro che si amavano da tempo, come potevano farcela Rocco e Irene? Era tuttavia l’unica soluzione che a lei sembrava possibile. Dovevano correre il rischio, perché trovava insopportabile l’idea di costringerlo a rimanere, o lei di lasciare Milano.
“In che senso?” si accigliò lui. 
“Nel senso che tu puoi seguire il tuo sogno, e io tenermi il mio lavoro e le mie amiche” si strinse nelle spalle, facendo passare quella proposta come la più semplice e scontata possibile.
“Ma io non ci voglio stare senza di tia” mise il broncio. “E poi ci siamo appena fidanzati, Irè. Che ci vado a fare io là a Roma da solo. Manco il tempo di metterci insieme, che me ne vado via? Non ha senso, avà” scosse la testa deciso.
“Lo so” ammise lei distogliendo lo sguardo da lui. “Ma non vedo alternative.”
“L’alternativa è che io resto qua con te e basta, amunì” si alzò, tirandola affinché anche lei si rimettesse in piedi e lo seguisse in caffetteria. In realtà gli faceva anche comodo l’appoggio, dato che preferiva non sforzare troppo la caviglia dolorante. 
Irene non aggiunse niente, lasciò che Rocco le circondasse le spalle con un braccio e lo seguì fuori dal Paradiso fino ad arrivare da suo cugino Salvo. 
“Ah, pace fatta? Meno male” esclamò Stefania quando li vide arrivare abbracciati. I due si sedettero insieme alle altre ragazze e pranzarono come se il fantasma di quel contratto non aleggiasse affatto tra di loro. 
 

Per Irene la questione era tutt’altro che risolta. L’alternativa che sembrava aver convinto Rocco, a lei non convinceva per nulla. Aveva visto i suoi occhi quando si era aperta la possibilità di una sua partenza per Roma. Rocco voleva andare, d’altronde era una fantastica opportunità e non ci voleva molto a intuire quanto lui ci tenesse. Un suo rifiuto sarebbe risultato strano a tutti. Se pensava che la famiglia di Rocco avrebbe poi attribuito a lei ogni colpa, la situazione peggiorava. Non voleva essere lei quella che lo costringeva a rinunciare ai propri sogni. Non se lo sarebbe mai perdonata. Ma non poteva nemmeno rinnegare se stessa e mollare tutto per partire con lui. La sua vita era lì a Milano. Cosa avrebbe fatto a Roma? E poi sarebbero andati a vivere in due appartamenti separati o si sarebbero dovuti sposare? Lei non era Maria, non sposava un uomo dopo un paio di settimane di frequentazione. E sebbene lo amasse e lo conoscesse ormai da tre anni, il loro rapporto era ancora nuovo. Non avrebbe lasciato tutto per lui. Non era giusto chiederglielo o pretenderlo, come d’altronde Rocco, che la conosceva bene, non aveva mai fatto. Ma d’altro canto non le sembrava giusto nemmeno che fosse lui a rinunciare a causa sua. L’unica alternativa, benché spiacevole per entrambi, era che lui partisse da solo, senza di lei.
Quel pomeriggio si era informata sulla distanza che separava Milano da Roma. Geograficamente la conosceva, ma non sapeva con assoluta certezza quanto tempo e soldi ci volessero per raggiungerla. Aveva scoperto che non era affatto semplice, tuttavia non era impossibile. Non era come il viaggio della speranza che si intraprendeva per raggiungere Partanna. Roma era fattibile, nonostante tutto. Non si sarebbero visti con la stessa frequenza di adesso, ma forse sarebbero riusciti a farla funzionare. Dovevano. Avrebbe messo da parte dei soldi mese dopo mese per usare il telefono in caffetteria, perché quello degli Amato non era di certo una possiblità per lei, e si sarebbero quantomeno sentiti ogni giorno o quasi. 
Irene tremava all’idea di saperlo così lontano. Da quando l’aveva conosciuto, non aveva trascorso nemmeno un giorno senza vederlo. Tra arrivi e partenze, veneri che se ne andavano, matrimoni e viaggi di lavoro, erano tante le persone che avevano fatto parte della vita di Irene soltanto per poco tempo. Lui, insieme a Dora e Paola, rappresentava la sua unica costante. Sapeva che in caso di bisogno, se avesse necessitato di un consiglio o di un incoraggiamento, l’avrebbe trovato in magazzino. Ma non sarebbe più stato così e questa cosa la destabilizzava non poco. Ma era un sacrificio che avrebbe dovuto compiere, come lui era disposto a fare per lei. Irene non era in genere capace di mettere gli altri davanti a se stessa, solo con Rocco aveva capito quanto fosse semplice e naturale farlo quando si amava davvero qualcuno. Saperlo felice e soddisfatto era importante anche per lei. 
A questo pensava mentre si incamminava verso l’appartamento del signor Ferraris. Rocco era tornato a casa con lui, che l’aveva riaccompagnato in bicicletta. Era ora di cena e probabilmente li avrebbe già trovati seduti a tavola, ma non voleva aspettare, temeva che il coraggio sarebbe venuto meno e l’angoscia per quella separazione avrebbe fatto vincere quella vena egoistica che avrebbe voluto tenerlo lì a Milano per sempre. 
Bussò alla porta e rimase in attesa, torturandosi le dita con le unghie. Fu proprio il capo-magazziniere ad aprire, invitandola a entrare.
“No, signor Ferraris, non voglio disturbare, vorrei solo parlare con Rocco” gli disse e allora lui tornò dentro per chiamarlo e invitarlo a raggiungerla. 
“Gioia mia” la chiamò così per la prima volta, il che la fece sorridere. Lui e i suoi modi tanto teneri che le sarebbero mancati da morire. Si chinò per prenderle il viso tra le mani e darle un bacio sulle labbra. “Picchì non vuoi entrare? Al signor Armando ci fa piacere se resti a cena” aggiunse Rocco, tenendole una mano dietro la nuca.
“No, vieni fuori, dobbiamo parlare” lo prese per mano per tirarlo fuori dallo stipite della porta, richiudendola alle sue spalle senza dargli nemmeno il tempo di protestare. Lì accanto c’erano un paio di casse e lo portò lì per farlo sedere, in modo che potessero parlare senza restare in piedi troppo a lungo.
Rocco trasalì, sbiancando all’improvviso. Ancora una volta quel tipo di frase che lo metteva in agitazione. Era preoccupato, perché il tono e lo sguardo di lei non sembravano promettenti nemmeno quella sera, esattamente come in pausa pranzo.
“Che c’è? Però se dici così mi fai paura, ah” le chiese allora, invitandola a sedersi sulle sue gambe per averla più vicina. Lei protestò scuotendo la testa. Doveva mantenere un minimo di distanza se voleva riuscire a dire quello che si era prefissata.
“Ho deciso che devi andare a Roma” disse subito di getto. 
“Ah, tu hai deciso?” la guardò lui stranito. Se non accettava più che gli altri mettessero bocca sulla sua vita, a quell’atteggiamento autoritario di Irene ci era invece abituato e in genere la lasciava fare. 
“Sì, ci andrai e basta, senza fare storie” lo rimbeccò con quel suo fare da tiranna che a Rocco tanto divertiva. Non in quel momento.
“Ti ho già detto che non sono un burattino, Irè. Non faccio più quello che mi dicono gli altri” le ricordò con fare serio. “Compresa tu.”
“Beh, o così o ci lasciamo” si strinse nelle spalle, mettendolo davanti a un ultimatum. Lasciarlo era l’ultima cosa che voleva, ma se non avesse messo il pugno duro, lui non si sarebbe mai convinto ad andare e lei non se lo sarebbe mai perdonata. Avrebbero stretto i denti, per tutto il tempo necessario. E se poi la distanza avesse fatto capire a entrambi che non erano fatti per stare insieme, in fondo era meglio saperlo prima che dopo un eventuale matrimonio. Dovevano prenderla come un’opportunità, non un ostacolo. 
“Stai babbiannu?” lui si fece scuro in volto. Se fino a poco prima aveva sopportato le sue pretese con ironia, adesso non riusciva più a prenderle con leggerezza.
“No, sono serissima. Non ti permetterò di rinunciare a questa opportunità. Ho già cercato la durata e i costi dei treni. Ci vedremo per due fine settimana al mese. A ogni stipendio metterò da parte dei soldi per usare il telefono in caffetteria da tuo cugino e così potremo sentirci una volta al giorno, o forse ogni due, se siamo troppo impegnati. Magari riesco pure a convincere la signorina Moreau a lasciarmi rimanere in spogliatoio oltre l’orario di chiusura, così userò il telefono del Paradiso e sarà ancora più semplice” disse tutta d’un fiato, senza permettergli di intervenire, come se non avesse alcuna voce in capitolo. Lei aveva già organizzato tutto, lui non poteva avere nulla da obiettare. Il suo piano era già stato perfezionato, non poteva essere meglio di così.
“Hai finito?” le domandò, cercando di soffocare un sorriso che lo riempiva di gioia e di orgoglio. Quella era l’Irene che solo poche persone avevano l’onore di conoscere e amare. Quella fiera e caparbia, ma che avrebbe fatto qualsiasi cosa per le persone a cui voleva bene. Era stato uno stupido a metterla in discussione. 
“Perché? Hai qualcosa da aggiungere?” e per lo sguardo che gli lanciò, nessuno avrebbe avuto mai il coraggio di contraddirla e contrariarla. 
“Almeno te lo posso dire ca ti amu o mi spari?” disse lui, tirandola per un braccio per farla sedere forzatamente sulle sue gambe e baciarla. Se fino a quel momento aveva deciso tutto lei, adesso non aveva più intenzione di ascoltare le sue proteste. La voleva tra le braccia e non le avrebbe permesso di allontanarsi.
Irene lo lasciò fare, passandogli un braccio dietro le spalle. Lui le afferrò il viso e cercò con ostinazione le sue labbra. Se solo qualche mese prima qualcuno avesse detto che Irene Cipriani si sarebbe innamorata di un magazziniere e avrebbe scoperto cosa volesse dire il termine ‘altruismo’, nessuno ci avrebbe creduto. Eppure era esattamente quello che era successo. Irene non voleva più scappare. Rocco ormai l’aveva vista esattamente per quella che era e, nonostante i suoi difetti, era rimasto. L’aveva accettata in tutte le sue sfaccettature. E lo stesso aveva fatto lei, amandolo per la persona ingenua e di buon cuore che era, non per ciò che avrebbe voluto che fosse. 
“Ti amo anch’io” rispose d’istinto. Se ci avesse pensato troppo, non avrebbe trovato il coraggio di uscire finalmente allo scoperto. Ma si era lasciata trasportare dal momento e adesso che quelle tre paroline erano state pronunciate si sentiva molto più leggera. Perché aveva atteso tanto a dirglielo? Lo amava, lo sapeva già. Non era in grado di ricondurre al momento esatto in cui quei sentimenti si erano messi in moto. Sapeva bene quando se n’era resa conto: durante il loro dialogo in camerino diverso tempo prima, quando ancora si ostinava a rifiutarlo per via di Maria. Ma era certa che quel sentimento si fosse insinuato dentro di lei giorno dopo giorno nel corso di quei tre lunghi anni. Ogni suo gesto, ogni sua parola formavano un tassello in più da inserire in quel puzzle complicato che era il suo cuore. Lui l’aveva cambiata e non con il potere del suo amore, come avrebbero scritto in qualche romanzo rosa sdolcinato, ma con quello della verità. Rocco, con la sua semplicità e purezza, era l’unica persona che fosse in grado di leggerle dentro e vederla esattamente per quella che era. L’unico che la mettesse di fronte ai propri errori, portandola a ragionare, non a giustificarli per paura di una sua reazione. Irene si era spesso sentita nuda, davanti a lui. Incapace di nascondersi. Priva di un riparo. E sebbene questo lo avesse cercato per tutta la sua vita, adesso non sentiva più il bisogno di farlo.  
Quella che avrebbero affrontato era una situazione nuova, territorio inesplorato. Sapeva bene che sarebbe stato difficile. Forse non sarebbe sembrato da lei affrontare un impegno di quel tipo e molti avrebbero storto il naso davanti a quella novità. Effettivamente neanche Irene sapeva se avrebbe funzionato, sapeva solo che ne valeva la pena e non voleva rinunciarci tanto facilmente, senza nemmeno lottare.
“Appiddaveru?” chiese Rocco raggiante. Non le sembrava di averlo mai visto così felice. Tranne forse davanti a un piatto di pasta e patate, pensò Irene divertita. 
“Appiddaveru” ribatté lei con una pronuncia siciliana raffazzonata che riempì d’orgoglio il cuore di Rocco. Le passò una mano dietro la nuca e la avvicinò a sé, baciandola con ancora il sorriso sulle labbra. Era felice, perché anche se lei non era Maria e non sarebbe venuta a Roma con lui, gli aveva appena dato una delle più grandi prove d’amore e questo era infinitamente più importante. Rocco non dubitava affatto che la loro relazione avrebbe resistito a qualunque ostacolo. La distanza era solo l’ultimo che era capitato lungo il loro cammino. Gli sarebbe mancata terribilmente, ma avrebbe vissuto contando i giorni che lo separavano dal momento in cui l’avrebbe riavuta tra le braccia proprio come stava facendo in quel momento.
“Non ti azzardare mai più a nascondermi qualcosa” gli intimò Irene dopo essersi allontanata dalle sue labbra. Lo sguardo talmente minaccioso che Rocco non avrebbe corso il rischio nemmeno se si fosse presentata davanti l’occasione.
“No, mai, tu giuru” rispose lui portandosi due dita alla bocca. 
“Ma quindi com’è successo? Com’è arrivata questa proposta?” domandò Irene carezzandogli i capelli.
“In pratica chistu era all’ultima gara che ho fatto domenica scorsa. O forse era venuto pure prima, questo non l’ho capito però” iniziò a raccontarle con entusiasmo, notando i suoi occhi illuminarsi nuovamente mentre parlava della bicicletta e del suo futuro come ciclista a Roma. Vederlo così felice le dava la conferma di aver preso la decisione giusta. E nonostante sarebbe stato difficile per entrambi, non c’era altra soluzione diversa da quella, Irene lo sapeva.
“I tuoi zii lo sanno?” gli chiese alla fine del suo racconto. 
“Ma va, ce l’ho detto solo al signor Armando, per forza di cose” le spiegò con un gesto della mano.
“Beh, dovrebbero saperlo, no?” Non che Irene tenesse particolarmente ad avere a che fare con la famiglia Amato, ma non intendeva allontanarlo da loro. Erano una pessima influenza e non lo avevano trattato con il rispetto che meritava, ma d’altronde anche suo padre non lo aveva fatto con lei e Rocco l’aveva comunque spinta a riappacificarsi con lui. Era contenta di averlo fatto, anche grazie a Rocco stava lavorando al rapporto con suo padre, e adesso che non abitavano più insieme, per assurdo le cose andavano meglio. Dopotutto era pur sempre suo padre e gli voleva bene, come Rocco ne voleva ai suoi zii. Lo avrebbe tenuto sott’occhio, impedendo loro di continuare a manovrarlo come preferivano, ma non voleva portarglielo via. Magari loro lo meritavano, ma lui no. 
Rocco si strinse nelle spalle. Era evidente che anche se non lo diceva e si ostinava a mantenere il punto per lei, la sua famiglia in fondo gli mancava anche parecchio. Ma se avesse mollato adesso, non gli avrebbero più dato credito. Avrebbero creduto che le sue parole non contassero nulla. Avrebbe perso di credibilità.
“Dai, andiamo a dirglielo” Irene fece per alzarsi, ma Rocco la trattenne.
“None, ci ho detto che tornavo solo quando ti accettavano” mise il broncio, come un bambino di sei anni che si rifiutava di andare a scuola. 
“Rocco, potrebbe non accadere mai. Non parlerai mai più con la tua famiglia? Non fare lo stupido” si rimise in piedi contro il volere del suo fidanzato e gli afferrò la mano per tirarlo e farlo alzare. Ma data la sua statura, e l’assenza di forza di Irene, era praticamente impossibile riuscire a spostarlo anche solo di qualche centimetro se lui non avesse collaborato.
“A me basta che pensi con la tua testa e non ti fai influenzare da loro. Nonostante tutto ti vogliono bene, e tu ne vuoi a loro” provò a convincerlo con un cenno della testa. 
“Rocco, non mi importa che mi accettino loro, l’importante è che mi accetti tu” aggiunse poi e fu proprio quella frase a convincerlo, portandolo ad alzarsi, spinto dalla voglia irrefrenabile di avvolgerla tra le braccia. Lui non solo l’accettava, ma quei difetti in fondo ormai li amava pure. Cosa sarebbe stata Irene senza la sua alterigia, senza la sua lingua lunga e quella finta vena di cattiveria per cui tutti la conoscevano? Non sarebbe più stata la sua Irè, e lui non intendeva in alcun modo cambiarla. La amava così com’era, perché vedeva attraverso i suoi difetti e ciò che mostrava agli altri. La maggior parte delle persone non aveva idea della profondità dei pensieri e dei gesti che si celavano dietro quella dura scorza che usava per proteggersi. Irene era un regalo avvolto in della carta un po’ sgualcita: non attirava l’interesse di chi vi posava sopra lo sguardo, ma chi aveva il coraggio di andare oltre quel pacchetto mal confezionato, riceveva in cambio una sorpresa inaspettata. Sapere di essere uno dei pochi a conoscerla veramente lo faceva sentire speciale. Irene, come un animale selvatico, diffidente per natura e per istinto, gli aveva fatto il dono della fiducia. Si era affidata a lui. Lo aveva scelto. E lui avrebbe scelto lei giorno dopo giorno.
“Ah, cettu, io ti accettu tutta quanta” disse riempiendole il collo di baci, facendola ridacchiare per il solletico. E lui si beava del suono della sua risata.
 

Rocco circondò le spalle di Irene con un braccio, come ormai di recente aveva preso l’abitudine di fare. Irene gli aveva proposto di lasciarlo davanti casa dei suoi zii e lei si sarebbe rintanata nel proprio appartamento, ma Rocco non aveva voluto sentire ragioni. Così, quando la porta si aprì, Agnese si ritrovò davanti l’allegra coppietta.
“Gioia” esordì lei, facendo una carezza al nipote. “Ti senti meglio?” gli chiese apprensiva. Quel giorno non aveva avuto modo di vederlo, perché nessuno l’aveva informata che Rocco aveva deciso di andare al lavoro nonostante l’infortunio. Si sentiva totalmente tagliata fuori dalla vita di suo nipote e la cosa non le piaceva affatto. Non sopportava l’idea di essere diventata un’estranea per lui e di dover sapere le cose dagli altri. Per quel motivo trovarselo lì davanti, nonostante fosse accompagnato da quella ragazza, le diede una gioia inaspettata.
“Sì, zì, sto meglio, grazie” rispose accennando un sorriso. “Vi dobbiamo dire una cosa. Possiamo entrare?” chiese allora.
“Certo, gioia, scusa. E che lo chiedi pure?” disse Agnese prendendo il braccio del nipote affinché si sedesse su una delle sedie.
Irene sentì diversi occhi che la scrutavano. Erano tutti seduti a tavola per cenare, proprio come prima aveva trovato anche Rocco e il signor Ferraris. Probabilmente anche le sue coinquiline a quel punto avevano già iniziato senza di lei. Gli unici sguardi comprensivi arrivarono da Tina e da Salvo, mentre il signor Amato continuava a fissarla con l’aria di chi avrebbe preferito saperla in fondo ai Navigli, magari.
“Non ti preoccupare, zì, devo solo dirvi una cosa” rimase in piedi accanto a Irene, stringendole talmente forte la mano da stritolargliela. 
“Io, volevo dirvi che… me ne vado a Roma, va” sganciò subito la bomba. In genere era Irene quella che andava dritta al punto, senza indugiare troppo. Rocco cercava sempre il modo giusto per dire qualcosa, senza offendere o ferire nessuno, specialmente se si trattava di notizie difficili da rivelare. Standole accanto, stava iniziando ad acquisire un po’ del suo polso fermo. E Irene stava imparando a rapportarsi agli altri con maggiore tatto. Si miglioravano a vicenda.
“Ma come a Roma?” chiese Tina con sorpresa, mentre il volto di Agnese sembrò sbiancare di colpo. 
“E che devi andare a fare a Roma tu?” si unì Salvatore con un sorriso, credendo li stesse prendendo in giro. 
“Ehh, per la bicicletta. Un preparatore atletico mi ha fatto un’offerta di lavoro, va” spiegò lui. “All’inizio ci avevo detto di no, però poi Irene mi ha convinto ad accettare e perciò… vado a Roma” concluse facendo spallucce, come se si trattasse di un’informazione di poco conto. Irene accennò un sorriso, perché era evidente come Rocco cercasse costantemente di esaltare la sua immagine agli occhi dei suoi familiari, tessendo continuamente le sue lodi. In quel caso il merito era effettivamente suo, ma lui avrebbe potuto evitare di menzionarlo e invece aveva preferito sottolinearlo e lei gliene fu grata.
“Ma quindi vi sposate?” chiese Agnese preoccupata. Suo nipote non poteva passare da un fidanzamento all’altro nel giro di una settimana. A tutto c’era un limite. E poi non poteva sopportare l’idea che quella ragazza diventasse già definitiva. Nella sua testa i due si sarebbero frequentati per un po’, finché quella non si fosse stancata o Rocco non si fosse accorto che non erano fatti per stare insieme. Ma se si fossero sposati…
“No, no” si affrettò a rispondere Rocco. “Ci vado io da solo e Irene resta qua e poi vengo a trovarla una volta al mese, non lo so. Non sacciu ancora come funziona, zì. Domani lo rivedo a quello e ce lo chiedo.”
Davanti a quell’informazione Agnese tirò un sospiro di sollievo. Tutto sarebbe andato secondo i suoi piani: la distanza avrebbe persino facilitato quella inevitabile separazione.  C’era ancora speranza per suo nipote, pensò con un sorriso.
Tuttavia, non poté fare a meno di sentirsi strana nei confronti di quella ragazza. Quella era stata l’ennesima dimostrazione di quanto ci tenesse a Rocco. Lo aveva convinto ad accettare una proposta di lavoro che lo portava a chilometri di distanza da lei, nonostante stessero insieme da così poco tempo. Agnese ancora non se ne rendeva conto, ma iniziava già a guardarla con occhi differenti. 
“Vieni, siediti che ho fatto la parmigiana con le mulinciane che ti piace tanto” lo spinse per le spalle, invitandolo a sedersi.
“Allora io vi lascio” disse Irene congedandosi. 
“Ma dove vai tu. Vieni, siediti qui vicino a me” la voce di Tina la fermò, indicandole la sedia libera che la cantante stava accostando al tavolo. 
Irene osservò confusa quel gruppo che un tempo le era stato fortemente ostile, ma che con calma iniziava ad abituarsi alla sua presenza. Il signor Amato continuava a fissarla in silenzio e la signora Agnese si mostrava vagamente più tollerante nei suoi confronti, ma sapere di avere l’appoggio di Tina e Salvo certamente rendeva le cose più facili. 
“Certo, resta pure tu” le concesse Agnese con uno sguardo più morbido. 
Dopo il lasciapassare della signora Agnese, Irene assecondò la richiesta di Tina e si andò a sedere accanto a lei. Rocco dall’altro lato del tavolo, di fronte, la guardava con un sorriso talmente pieno da scaldarle il cuore. Era tutto quello che lui aveva sempre desiderato. Aveva di nuovo la sua famiglia, aveva un futuro radioso davanti a sé, e soprattutto aveva accanto la persona più incredibile che avesse mai conosciuto. Aveva fatto tanta strada da quando era arrivato a Milano. Quel giorno quel treno lo aveva erroneamente portato fino a Torino e lui non si era accorto della differenza. Ma adesso non avrebbe più sbagliato: sapeva esattamente qual era la direzione giusta da seguire. E soprattutto sapeva accanto a chi avrebbe voluto percorrerla. La sua famiglia avrebbe fatto bene ad abituarsi, perché Irene non sarebbe andata da nessuna parte. 


Ringraziamenti:

Grazie a chiunque abbia avuto la voglia e la forza di seguire questa storia nel corso di questa calda e infernale estate. Grazie anche a chi ha letto solo qualche capitolo e si è interessato alla mia storia. Grazie a chi ha sentito di voler esprimere un giudizio o un commento, mi avete fatto sentire molto apprezzata e mi avete dato la spinta per andare avanti e concludere.
Ma i ringraziamenti più importanti sono rivolti alle mie girls (Ambra, Virginia ed Elena) che mi hanno supportata e sopportata durante le mie mille riletture e indecisioni, che mi hanno spinta a pubblicare anche quando non ero convinta di ciò che avevo scritto, che mi hanno dato consigli, suggerimenti, e soprattutto confidence. Questa storia non esisterebbe senza di voi, ed è quindi dedicata a voi tre. Anche se non è andata come volevamo, da questa vicenda ne è venuto fuori qualcosa di positivo e siete voi. Sono contenta di avervi conosciute. Anche se come Irene non so esprimere il mio affetto a parole, I Iove you, a modo mio! ❤️

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