Exile di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La ragazza con il sorriso da volpe ***
Capitolo 3: *** Il bambino scomparso ***
Capitolo 4: *** Rimpianti ***
Capitolo 5: *** Mattina ***
Capitolo 6: *** Consolazione ***
Capitolo 7: *** Corvi feriti ***
Capitolo 8: *** Averne cura ***
Capitolo 9: *** Sano di mente ***
Capitolo 10: *** Lealtà ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Un
po’ di
coordinate per capire meglio questa RoleSwap!AU:
- “Role
Swap” significa: ruoli scambiati.
È quel trope dove il ruolo dei personaggi
(antagonista, protagonista, buono, cattivo…) viene scambiato
tra essi;
- In
questa
storia Iruka non è mai stato insegnante
all’Accademia. È un normale chūnin e
non ha avuto occasione di entrare in contatto con Naruto;
- Obito
ha
scoperto il vero piano di Zetsu e tutte le implicazioni dietro Lo Tsuki
no Me,
che decide di non attuare più;
- Il
massacro Uchiha non avviene, in compenso Shisui dopo che Danzo gli ruba
l’occhio invece di suicidarsi decide di abbandonare il
villaggio e diventa un
nuniken.
Altri piccoli
appunti:
-
C’è un
original character nella “nuova” squadra 7,
Sarutobi Himawari. Vi assicuro che
non è un self-insert perché ha un ruolo specifico
per la crescita di Sasuke e
Sakura;
- I
rapporti same-sex sono tranquillamente accettati nel mondo shinobi,
solo che
non esistono matrimoni e per questo le famiglie dei clan fanno molta
pressione perché
i figli si sposino e portino avanti la discendenza. Banalmente
è un po’ come
nella Grecia Classica, solo che è una pratica meno
istituzionalizzata;
- Nella
storia si comincia a considerare adulto un* bambin* nel momento in cui
diventa
un ninja (altrimenti per i civili l’età
resta sui 18 anni);
-
L’OOC
ovviamente è perché essendoci circostanze diverse
e ruoli scambiati i
personaggi non saranno naturalmente fedeli al manga. Non
sarà eccessivo, la
caratterizzazione resta quella (Sasuke sarà Sasuke, solo un
Sasuke che vuole
diventare Hokage e Naruto sarà Naruto, ma un Naruto che
disprezza Konoha);
- Le
coppie… HAHAHAHAHA non ne ho idea, per questo non ne ho
inserite. Le uniche
certe sono gli ShiIta e i KakaIta che sì, come potete ben
vedere è un po’ un triangolo.
So che a molti non piacciono, ma vi chiedo di avere fede per questa
idea che ho
in mente, giuro che non vi pentirete e vi struggerete con me e Itachi
hahahaha.
Comunque sappiate che in qualche modo riuscirò a incastrare
la sakuhina u.u ho
qualche ideuzza ma devo vedere se i personaggi me lo permettono.
Non ho
altro da dire. Spero solo che anche questa mia sciocca idea vi piaccia!
Recensioni per farmi sapere il vostro parere sono sempre benvolute^^
Vi
lascio
al prologo.
Hatta.
Prologo
L’intera
città era illuminata dai raggi della luna piena, che
scacciava le ombre e
metteva a nudo ogni vicolo. Era una pessima notte per scappare, ma non
c’era
più molto tempo prima che gli agenti ROOT lo intercettassero.
Dalla
cima
del tetto, Shisui rivolse solo un ultimo fugace sguardo nella direzione
delle
facce degli Hokage e si accorse di non provare nemmeno
un’oncia di rimpianto.
Tutto quello che provava era rabbia,
rabbia cocente che scorreva nel suo sangue.
E
tradimento.
Allungò
una
mano alla benda, le dita che premettero contro l’orbita
vuota. Pulsava ancora
sorda, dolorante per la ferita brusca che non aveva avuto il tempo di
medicare
accuratamente.
Fece una
smorfia e, senza più guardare indietro, senza badare al
dolore e alla
stanchezza che sconquassava tutto il corpo, concentrò il suo
chakra allo
scatto. Shunshin era sempre stata la tecnica in cui più
eccelleva, ma esausto
com’era lo portò velocemente in ginocchio quando
si fermò oltre le porte di
Konoha. Tossì violento, l’unico occhio rimasto che
spremeva lacrime di dolore;
le sue bobine di chakra sembravano essere ancora profondamente
danneggiate. Non
badò quando l’erba venne macchiata di sangue.
“Non
sforzarti
troppo”.
Al di
là
della condizione pietosa in cui si trovava, Shisui riuscì a
reagire velocemente
alla voce estranea. Estrasse il tantō che teneva sulle spalle, quel
solo gesto
gli fece sfocare la vista. Si rilassò solo quando riconobbe
la cappa nera, con
il motivo di nuvole
rosse, che l’uomo
apparso dal nulla indossava.
Rinfoderò
la spada corta mentre alzava la testa e si accorse che l’uomo
– Uchiha Madara o
Uchiha Obito, questo doveva essere ancora chiarito – non
indossava la tipica
maschera tigrata con cui lo aveva visto ultimamente. Era la prima volta
che
vedeva il suo viso e la sua espressione appariva molto stanca, ma anche
molto
risoluta.
“Ci
abbiniamo” commentò Shisui scherzoso, indicando
l’occhio mancante dell’altro.
Obito
non
rispose, privo di umorismo. Si spostò verso di lui e Shisui
poté notare che
sulle sue spalle stava aggrappato un bambino biondo, con vispi occhi
azzurri
che lo guardavano incerti e curiosi. Non dovette vedere le cicatrici
dei baffi
sul suo viso per riconoscerlo, il Jinchūriki del Kyūbi era molto bravo
a
distinguersi e farsi notare.
Non
chiese
perché fosse con loro. Anzi, era abbastanza ovvio che il
piano originale del
nin-mancante fosse rubare
una delle
risorse più preziose di Konoha. Shisui era capitato quasi
per sbaglio.
Un
errore.
“Andiamo”
chiamò Obito.
Con
un’ultima scintilla di esitazione, guardò la mano
guantata che l’uomo gli
offriva. Per un momento gli parve di vedere il volto mite e gentile di
Itachi,
il sorriso che si formava quando gli offriva dei dango.
Bastò
una
pulsazione all’orbita vuota a ricordargli perché
lo stava facendo.
Afferrò
la
mano con una stretta decisa.
Il
secondo
dopo una forza sconosciuta lo stava trascinando nel nulla.
**
Kakashi
era
stanco dopo cinque giorni di caccia ininterrotta. Era stato in prima
linea
nelle ricerche di Uchiha Shisui, mandando il suo branco perfino oltre
il
confine del Paese del Fuoco.
Era
ovvio
fosse stato scelto per quel compito: era un eccellente ANBU, un tracker
migliore degli Inuzuka e un possessore di un sharingan; quella era una
combinazione rarissima, che in missioni come quelle non andava sprecata.
Ma era
stato inutile.
Cinque
giorni dopo nessuno era riuscito a rintracciare Shisui. Il suo odore si
interrompeva poco oltre le porta di Konoha, come se da quel punto in
poi fosse
stato inghiottito dal nulla. Era proprio questo a preoccupare Kakashi:
le
persone semplicemente non potevano sparire, anche il più
abile degli shinobi
avrebbe lasciato dietro di sé una traccia. Soprattutto
considerando che le
ricerche erano partite all’istante, era impossibile che in
poche ore il vento
ne avesse disperso l’odore.
Ma
Kakashi
era stanco e non badò a nessuna di queste preoccupazioni
mentre faceva rapporto
all’Hokage sul suo fallimento. Era tornato da una missione in
incognito a Kumo
quando erano partite le ricerche e ovviamente non aveva potuto
sottrarsi. Ora
la stanchezza esigeva che riposasse il suo corpo.
Ma
quando
l’Hokage lo congedò, non si
teletrasportò direttamente al suo appartamento.
Si
spostò
sui tetti della città, lasciò che il proprio
chakra si espandesse pigramente in
cerca di quello oscuro e malizioso del Kyūbi. Il senso di allarme si
attivò nel
momento esatto in cui si rese conto che non riusciva a percepirlo, non
in tutto
il villaggio.
Un’oscura
premonizione cominciò a far battere forte il suo cuore, ma
non l’ascoltò e la
cacciò lontana dalla sua mente. Cambiò invece la
direzione dei suoi salti e si
diresse veloce verso il condominio dove era stato stanziato il figlio
di
sensei.
Gli
bastò
atterrare sul balcone per accorgersi che l’appartamento era
vuoto. Scivolò
quindi senza scrupoli al suo interno dalla finestra.
Era
disordinato, come sempre. Ma c’erano meno vestiti per terra,
il lavabo del
lavandino non erano pieno di tazze di ramen e la spazzatura puzzava
troppo –
come se non fosse stata buttata da parecchi giorni. Non c’era
nemmeno il
cappello da notte con cui l’aveva visto dormire, non
trovò lo zaino e non
c’erano le scarpe.
Gli
bastò
aprire il frigo per capire cosa fosse successo: era vuoto, fatta
eccezione di
un cartone di latte scaduto.
Naruto
era
sparito.
Non
seppe
come riuscì a rimanere calmo, come riuscì anche
solo a considerare freddamente
i vari indizi quando il suo cuore sembrava voler scappare dal petto. Si
tagliò
la mano con un kunai e la sbatté con forza sul tavolo. Con
una nuvoletta di
fumo un carlino comparve sul ripiano, gli occhi stanchi ed esasperati,
mentre
il resto del branco si distribuì sul pavimento, tutti erano
nella stessa
condizione malridotta.
“Capo,
capisco la situazione di emergenza, ma…”
“Pakkun”,
lo interruppe Kakashi, “ho bisogno che tu vada
dall’Hokage a dirgli che Naruto
è sparito. Il resto: con me, cercate il suo odore e
seguitelo.”
Aveva
dato
l’ordine con voce controllata, in tono freddo che non
ammetteva repliche, ma
nonostante ciò al suo branco fu fin troppo chiara
l’agitazione che turbinava
dentro il giovane uomo. Era in condizioni terribili, con il chakra
vicino
all’esaurimento. Fu per questo che Pakkun non
protestò e fece quanto ordinato.
Kakashi
non
rimase un secondo di troppo nell’appartamento. Fiducioso in
Pakkun, uscì
dall’appartamento e seguì il branco che
cominciò a cercare l’odore di Naruto,
ignorando tutte le altre fragranze. Kakashi non riusciva a percepirne
neanche
una debole traccia e questo lo spaventava: da quanto tempo era sparito
e
nessuno se n’era accorto?
Il
branco
lo portò in una zona che in quegli ultimi giorni aveva
battuto molto, poco
fuori dalle mura.
“L’odore
si
ferma qui, capo” informò Urushi. “Ci
sono altri due odori, uno sconosciuto e
l’altro è quello che ci hai già fatto
cercare”.
Non
c’era
bisogno che lo specificasse. Del resto Kakashi aveva capito tutto nel
momento
in cui il branco si era fermato ad annusare lo stesso identico punto in
cui
anche l’odore di Shisui scompariva.
Quella
consapevolezza aumentò la tachicardia. Tutta la pesantezza
del consumo di
chakra piombò su di lui e la vista cominciò a
mancargli, le gambe tremavano.
Cinque
giorni. Naruto era sparito da cinque giorni e nessuno
se n’era accorto. L’Hokage, che aveva promesso che
il
figlio del suo sensei era al sicuro, non sapeva nulla. Non sapeva che
Shisui…
“Ha
rapito
Naruto” riuscì solo a dire prima che la sua
visione si oscurasse a cadesse a
terra.
Ma anche
nell’incoscienza quell’ultimo pensiero gli
divorò la mente.
Aveva
perso
Naruto, l’ultimo legame con la sua vecchia squadra.
Aveva
fallito, ancora.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** La ragazza con il sorriso da volpe ***
Cap
i
La
ragazza con il sorriso da volpe
Quattro
anni dopo
Era
ormai
fisso sotto la meridiana da un’ora, corrucciato contro
l’ombra troppo lenta.
Non vedeva l’ora che arrivasse l’ora del ritrovo di
tornare a Konoha.
Il che
era
incongruente con quanto aveva desiderato il giorno prima,
cioè quando Sasuke
aveva pregato perché alla squadra 7 venisse assegnata una
missione fuori dal
villaggio. Il suo errore era stato credere che le missioni fuori dal
confine di
Konoha fossero tutte superiori al grado D.
Errore.
L’Hokage
era comunque riuscito a trovare qualcosa di innocuo e noioso.
Missione
grado D: aiutare un paesano a trasportare delle borse fino a un
villaggio a
meno di trenta chilometri da Konoha.
Sasuke
si
chiedeva come non fosse ancora morto di noia.
Più
entusiaste della missione erano state le sue compagne di squadra,
Haruno Sakura
e Sarutobi Himawari, che una volta scoperto del festival che si teneva
al
villaggio avevano supplicato Kakashi-sensei di poter rimanere per il
pomeriggio.
Kakashi-sensei
era, dal suo punto di vista, così insulso che aveva
scrollato le spalle in
assenso prima di sparire da qualche parte con i suoi disgustosi libri
porno.
In
qualche
modo era riuscito a scappare dalle sgrinfie troppo entusiaste delle sue
compagne e aveva battuto una ritirata strategica sul tetto di una delle
case.
Da dov’era gli arrivavano comunque rumori allegri del
festival e gli odori
invitanti delle bancherelle gastronomiche, ma non si schiodò
da lì.
Era un
ninja. Era in missione. Non in vacanza.
C’erano
di
certo modi migliori per occupare il tempo, anche senza missioni da
svolgere.
Ormai aveva dodici anni, era un adulto, e certi interessi infantili non
dovevano più interessargli.
Per
questo
fissava la meridiana infissa sulla casa di fronte, in attesa del
momento in cui
sarebbero potuti andarsene.
Era
talmente concentrato nel fissare l’avanzare
dell’ombra, che non si accorse
minimamente di nulla finché qualcuno non gli
piombò addosso. Fu così improvviso
che nemmeno i suoi riflessi da ninja riuscirono a impedirgli di essere
steso
sotto un altro corpo.
Un corpo
femminile, a giudicare dalle forme morbide che gli premevano contro.
Senza
troppo cerimonie, si scrollò di dosso la ragazza che era
inciampata su di lui.
“Ma
che diamine!”
sbottò.
“Mi
dispiace!”
Finalmente
Sasuke riuscì a girarsi per vedere la faccia del suo
aggressore. La ragazza
sembrava essere poco più grande di lui, con una forma
più slanciata e morbida
per via dei seni che cominciavano ad accentuarsi. Il viso
però era ancora molto
fanciullesco, con grandi occhi azzurri e guance rotonde. Aveva lunghi
capelli
che, nonostante il tentativo di legarli in due codini, le ricadevano
spettinati
in una frangia sul viso. Non aveva nessun coprifronte, in compenso
aveva sgargianti
abiti civili.
Chi con buon
senso indossa vestiti arancioni?!
Fece una
smorfia pronto a rispondere piccato, ma ogni suo tentativo fu soffocato
da
improvvise urla rabbiose.
“Eccola
lì!”
L’attenzione
di Sasuke si spostò dal viso della ragazza a un gruppo di
uomini corpulenti e
piuttosto arrabbiati che si arrampicavano sui vari tetti e terrazze per
raggiungerli.
A quel
richiamo l’espressione della ragazza si riempì di
paura. Sasuke si accorse solo
in quel momento che finendogli addosso aveva fatto anche cadere una
scatola di
ramen da asporto.
“Dattebayo!”
imprecò la ragazza.
Quell’espressione
che non significava nulla fece suonare una campanella nella mente di
Sasuke, ma
non potette soffermarcisi più di un secondo, visto che la
ragazza lo prese per mano.
“Che
cosa?”
“Corri!”
E prima
che
potesse protestare la completa sconosciuta che gli era piombata addosso
dal
nulla lo stava trascinando lungo la terrazza su cui si era rifugiato.
Aveva
raccolto la ciotola di ramen e la teneva stretta al petto con
l’altra mano,
quasi ne andasse della sua vita.
“Prendetela!”
“Non
lasciatela scappare!”
“Ladruncola!”
Gridavano
gli uomini dietro di loro. Ma le loro parole non preoccuparono molto
Sasuke,
ciò che lo preoccupava era la fine della terrazza che si
stava avvicinando
troppo velocemente. Il suo corpo agì d’istinto,
impastando abbastanza chakra
sui piedi prima di saltare sul tetto dell’altro edificio.
La
ragazza
atterrò elegante, riprendendo subito a correre senza
difficoltà. Sasuke invece
quasi cadde per l’atterraggio maldestro e l’essere
tirato in avanti. Arrossì
per la propria goffaggine, ma non era colpa sua! Kakashi-sensei aveva
appena
iniziato a insegnare loro i salti con il chakra, si stava ancora
esercitando.
“Ohi!
Lasciami andare!” sbottò.
“Corri!”
lo
spronò invece ancora una volta.
La presa
della ragazza era ferrea, non al punto da far male ma abbastanza
perché gli
fosse impossibile liberarsi, soprattutto mentre era impegnato a correre
e
saltare. Si consolò però che dopo essere saltato
un paio di volte da una casa
all’altra i suoi atterraggi si erano fatti più
stabili.
La loro
corsa finì quando la ragazza fece scivolare entrambi in
mezzo alla fronde fitte
di un albero, sistemando entrambi in bilico su un ramo. Sasuke aveva il
fiatone
e per questo la ragazza si affrettò a coprirgli la bocca con
una mano. La
guardò oltraggiato, gli occhi spalancati. Odiava il contatto
fisico con le
altre persone, le uniche alle quali era permesso toccarlo erano sua
madre e suo
fratello. Provò un profondo disagio al modo in cui quella
sconosciuta aveva
abbattuto il muro invisibile del suo spazio personale.
La
fissò
con le sopracciglia aggrottate dal fastidio, ma lei era troppo
impegnata a
controllare il proprio respiro e spiare i suoi inseguitori. Anche loro
erano
scesi dalle case e si erano raggruppati proprio sotto
l’albero.
“L’avete
vista?”
“Era
scesa
di qui!”
“Continuate
a cercarla”.
Sasuke
si
ritrovò a sperare che non alzassero lo sguardo, le foglie
non li nascondevano
così bene soprattutto per via dei vestiti radicolarmente
colorati della
ragazza. Poi si sentì stupido per quel pensiero, lui non
aveva bisogno di
nascondersi! Era stato costretto a farlo!
“Deve
essere ancora da questi parti”.
“Trovatela!”
“Per
di
là!”
Continuarono
intanto gli uomini sotto. Sasuke tirò internamente un
sospiro di sollievo
quando cominciarono ad allontanarsi senza sbirciare
sull’albero – un errore
davvero da principiante. La ragazza attese qualche altro minuto e,
ormai sicura
che non fossero più in zona, smise di premere la mano sulla
sua bocca.
Finalmente libero dalla costrizione, Sasuke saltò a terra.
La
ragazza
lo seguì subito, atterrando come un felino.
“Si
può
sapere che diavolo…!” iniziò arrabbiato
Sasuke, ma la sua frase si interruppe a
metà quando la ragazza gli tese la ciotola di ramen.
“Mi
dispiace per averti coinvolto” disse seriamente, un sorriso
di scuse e gli
occhi azzurri che lo fissavano assurdamente felici. “Per
rimediare se vuoi
posso dividere il ramen con te!”
Sasuke
fissò alternando il viso della ragazza e il ramen,
chiedendosi cosa ci fosse da
essere così felici e perché fare una proposta
simile.
“Non
mi
piace il ramen” rispose piccato.
L’espressione
della ragazza passò da felice, a incredula e infine furiosa.
“Cooosa?!”
sbottò con un tono troppo forte, gli puntò contro
l’indice come se lo stesse
accusando di un omicidio. “Come ti permetti? Il ramen
è la pietanza degli dei!”
“È
per
questo che l’hai rubato?”
La
ragazza
congelò e Sasuke dovette mordersi per non fare un sorrisetto
di vittoria. Aveva
ben sentito come l’avevano chiamata i mercanti dai quali
fuggiva.
Lei
abbassò
l’offerta di ramen, ritirandola verso il proprio petto, e
anche lo sguardo si
fece più amareggiato.
“No”
rispose tranquilla, con un tono più contenuto.
“L’ho rubato perché avevo
fame”.
Sasuke
si
sentì male e un po’ in colpa davanti a quella
risposta. Non era quella che si
aspettava e non seppe come ribattere.
“Potevi
comprarlo allora”.
La
ragazza
lo guardò con scherno.
“Certo,
con
l’aria” scherzò sarcastica, poi
precisò forse pensando che fosse stupido: “Non
ho soldi.”
Faticò
a
trattenere una smorfia. Una parte di lui capì la situazione
della ragazza, ma
rubare era comunque qualcosa di sbagliato, qualcosa che la sua
concezione
morale non riteneva giusta. Ma del resto non riteneva nemmeno giusto
che una
ragazzina morisse di fame.
Cercò
qualcosa da dire ma non gli venne in mente niente, si sentì
parecchio patetico
ed era una sensazione che odiava. Soprattutto perché le
uniche volte che si
sentiva così era quando suo padre lo paragonava a Itachi;
per il resto del
tempo era sempre elogiato, il migliore in ogni cosa e aveva sempre
ragione.
Lo
sguardo
della ragazza si infiacchiva più a lungo stava in silenzio,
perdendo quella
brillantezza che aveva avuto quando aveva fatto l’offerta.
Ora sembrava molto
abbattuta, ma in un modo quasi rassegnato.
La vide
aprire la bocca per dire qualcosa, quindi la precedette veloce.
“Va
bene”
disse, poi si voltò per non far vedere il rossore sulle
guance. “Dividerò il
tuo ramen”.
Sentì
uno
scalpiccio veloce mentre la ragazza lo raggiungeva, la bocca spalancata
in un
ovale perfetto.
“Davvero?”
chiese come se faticasse a crederci.
Accentuò
la
sua espressione altera, sottolineando che le stava solo facendo un
favore.
“Sì.
Cerchiamo una panchina dove sederci”.
Il viso
della ragazza si fece raggiante, gli occhi nuovamente luminosi. Poi
piegò le
labbra in un ghigno che ricordava quello delle volpi e prima che Sasuke
se ne
rendesse conto stava picchiettando l’indice sulla sua schiena.
“Sei
un
Uchiha, eh?”
Saltò
per
allontanarsi da quella pressione e la sua faccia diventò di
un rosso violento.
Non era sorpreso che avesse riconosciuto il simbolo cucito sul retro
della
maglia, del resto era un villaggio vicino a Konoha che spesso usavano
come
punto di sosta. Probabilmente aveva visto altri shinobi con quel
simbolo o ne
aveva semplicemente sentito parlare, erano pur sempre un clan
prestigioso.
Il
rossore
era causato dal tocco indesiderato. Odiava essere toccato e questa
sconosciuta
si stava prendendo troppe libertà.
Rendendosi
conto che la ragazza aveva iniziato a importunarlo senza nemmeno
presentarsi,
la guardò stizzito.
“Sì.
Sono
Uchiha Sasuke” rispose con orgoglio. “Tu?”
Per
quanto
la domanda fosse naturale e legittima, la ragazza sembrò
presa in contropiede
quando la pose. Lo guardò un attimo incerta prima di
pigolare:
“Konan”.
Inarcò
un
sopracciglio a non sentire nessun cognome. La fissò da capo
a piedi, squadrando
ancora una volta il suo abbigliamento – effettivamente sul
retro non aveva
nessun simbolo di clan – poi chiese serio:
“Sei
un
ninja?”
La
risposta
arrivò veloce quanto sicura.
“No,
certo
che no”.
“Ma
sai
usare il chakra” si accigliò. Non c’era
modo che quei salti potessero essere
fatti senza un buon controllo del chakra.
“Oh,
questo
perché mi hanno insegnato” rispose scrollando le
spalle.
“Chi?”
“La
mia
famiglia”.
“Sono
ninja?”
Questa
volta non rispose subito, anzi sembrò pensarci attentamente.
“Lo…
erano”
risolse infine.
Sasuke
immaginò che fossero in pensione, o che per qualche motivo
si fossero ritirati.
Era una cosa che succedeva spesso, del resto la vita da shinobi non
faceva per
tutti, solo i più forti resistevano. Per questo Sasuke aveva
intenzione di
essere forte.
“Be’,
io sono un ninja” disse
infine, rizzando
le spalle con orgoglio. Picchiettò anche sul suo
coprifronte, mostrando il
simbolo di Konoha.
Konan
non
gli rivolse lo sguardo ammirato che era abituato a ricevere, anzi
guardò
piuttosto cupamente il simbolo della foglia stilizzata.
“Uhm…”
ronzò.
“Che
c’è?”
borbottò infastidito dalla reazione poco entusiasta.
“I
ninja
portano morte” fu la semplice e tetra risposta.
“Non mi piacciono”.
Sasuke
fece
una smorfia a quella risposta e volle protestare, ma la ragazza lo
afferrò per
la mano, toccandolo ancora. Davvero, era più fastidiosa di
Sakura e Himawari
messe insieme! Odiava le femmine!
“Ma
tu sei
stato gentile, quindi farò un’eccezione. Dai!
Ramen, ramen, ramen!”
Il festival era splendido,
tutto colorato,
pieno di oggetti strani e dolciumi deliziosi. Era stato divertente
giocare ai
tiri assegno, con la loro mira allenata in Accademia lei e Himawari
erano
riuscite ad accaparrarsi tutti i premi più interessanti.
Certo,
sarebbe stato tutto molto più divertente se Sasuke-kun fosse
rimasto con loro…
Invece anche dopo così tanto tempo insieme continuava a
isolarsi…
Un
po’
amareggiata da quei pensieri, Sakura quasi sbatté contro la
schiena di
Himawari, rischiando di finire con la faccia immersa nello zucchero
filato che
aveva in mano.
“Hima,
ma
che…” sbottò arrabbiandosi.
La
compagna
di squadra la prese velocemente con un braccio attorno alle spalle e
fece per
allontanarla verso la direzione da cui stavano venendo.
“Ehi,
magari potremmo tornare alla bancherella delle
freccette…” propose Himawari con
un enorme sorriso tirato.
Con le
missioni sotto il sole la sua pelle era diventata molto scura ed erano
comparse
moltissime lentiggini sulla sua faccia. Perfino i capelli castani
– colore
tipico del suo clan – erano diventati più chiari
sulle punte delle trecce. Con
quell’aspetto bruciato dal sole sembrava molto più
malandrina, per nulla
aristocratica nonostante venisse da uno dei clan più
importanti di Konoha.
La
guardò
infastidita.
“Dai,
voglio andare a vedere i pesci koi!” protestò
divincolandosi dalla sua presa.
Per sua
fortuna era più magrolina di Himawari e le venne facile
sgusciare via dalla
presa. Poté così voltarsi per tornare a
camminare, ma in questo modo vide
quello che l’amica aveva tentato di nasconderle.
Oltre
l’angolo, Sasuke era seduto su una panchina vicino a una
ragazza.
E
stavano
condividendo il pranzo.
Sakura
sentì distintamente il proprio cuoricino spezzarsi mentre
congelava alla scena.
Non poteva credere a quello che vedeva, faceva troppo male. Sasuke, che
non si
lasciava avvicinare mai da nessuno, era in compagnia di
un’altra ragazza.
“Sono
sicura che non è come sembra!” offrì
Himawari con un sorriso forzato.
Perché,
come sembra?, avrebbe voluto
chiedere ma
si sentiva la gola bloccata dalle lacrime. Dovette ricordare a se
stessa che ai
ninja era vietato piangere per non scoppiare a frignare.
Fece per
andare verso la coppia, ma Himawari l’afferrò
saldamente a un braccio. La fissò
seriamente, scuotendo la testa.
“Sakura,
non puoi andare lì” le disse.
“Perché
no?”
Himawari
rispose con un’alzata di spalle. “Che
faresti?”
Si rese
conto di non avere una risposta. Probabilmente la reazione
più istintiva che
aveva era andare lì e dividerli, ma poi? Che avrebbe fatto?
Guardò
negli occhi nocciola dell’amica in cerca di consiglio. Voleva
bene a Himawari,
perché a Himawari non piaceva Sasuke e questo permetteva
loro di essere amiche,
a differenza che con Ino. Inoltre era bello avere una compagna
di squadra, la faceva sentire meno sola.
“Non
è
giusto” sbottò tirando su con il naso.
“Ci ha piantate in asso e adesso è lì a
fare il cascamorto con altre ragazze”.
Himawari
sorriso comprensiva, decidendo di non farle notare che Sasuke
più che
comportarsi da cascamorto sembrava a disagio come ogni volta che doveva
avere a
che fare con un altro essere umano. Optò invece per
un’altra via.
“Sakura,
tu
vuoi tanto bene a Sasuke, vero?”
La
ragazzina la guardò come se fosse ovvio.
“Be’,
sì!”
“E
proprio
perché gli vuoi bene vuoi che sia felice, giusto?”
Annuì,
questa volta perplessa.
“Quindi
se
Sasuke è felice va bene se sta anche con altre persone oltre
a noi?” chiese
evitando di proposito di parlare di ragazze.
Questa
volta Sakura fu meno convinta. La guardò mogia.
“Perché
non
può essere felice con noi?” domandò.
Himawari
fece spallucce, perché Sasuke era un tipo strano che davvero
faceva fatica a
capire. Era troppo silenzioso, stava sempre sulle sue e non si
sbilanciava mai
troppo. Era un bambino troppo serio, secondo lei. Andava bene avere
delle
ambizioni, anche lei sognava di diventare un ninja medico in grado di
eguagliare la leggendaria Tsunade, ma Sasuke era troppo investito nel
suo
essere un ninja. A volte sembrava dimenticare che aveva solo dodici
anni, preso
com’era dal diventare sempre più forte.
Alla
domanda di Sakura risolse con un diplomatico: “Sai
com’è fatto”.
Lei non
parve molto convinta, ma con un ultimo strattone Himawari
riuscì a trascinarla
via.
“Alloooora,
andiamo a umiliare un altro po’ di civili?” propose
nel tentativo di
risollevarle il morale.
Ma
Sakura
rispose solo con una smorfia, ancora ferita da quello che aveva visto.
**
Konan si
era strafogata sul ramen a una velocità impressionante. Ma
Sasuke non aveva
protestato, si vedeva lontano un miglio che la ragazza doveva essere
davvero
affamata e perciò aveva preso giusto due morsi di
tagliatella. Non che gli
dispiacesse, quel ramen aveva davvero un gusto pessimo.
Si
limitò a
fissare la ragazza ingozzarsi, un po’ a disagio per il
silenzio interrotto solo
dai rumori che faceva Konan con la bocca mentre tentava di infilarsi
più
tagliatella in bocca.
Non
sapeva
bene perché restasse lì. Certo,
all’inizio era stato per un senso di colpa e
dispiacere per la ragazza, ma adesso era anche curioso. C’era
qualcosa in lei
che lo colpiva, forse i suoi occhi vividi che gli ricordavano qualcosa,
anche
se non sapeva bene cosa. Era come se stuzzicassero i suoi ricordi, come
se
l’avesse già vista prima, ma era certo di non aver
mai incontrato nessun’altra
bambina con occhi così azzurri.
“Quindi,
signor ninja, cosa ci fai qui?” chiese Konan distraendolo
dalla contemplazione.
“Sono
in missione”
rispose con serietà.
“Davvero?
Per questo ti annoiavi sul tetto?”
“Io
non mi
annoiavo sul tetto!” protestò. “Comunque
in realtà la missione è già finita.
Dovevamo solo scortare un tizio” brontolò.
Konan
fece
quel suo strano sorriso da volpe, che Sasuke scoprì trovare
davvero irritante.
Era giunto alla conclusione che il suo viso era la perfetta definizione
di viso da schiaffi. Era strano che
in così
poco tempo la trovasse già così… argh.
Solo un altro bambino era riuscito a farlo infastidire a quella
velocità, ma...
ormai quel bambino non c’era più.
Si
corrucciò un po’ triste a quel pensiero,
soprattutto perché si rese conto che
probabilmente gli occhi azzurri di Konan gli stavano ricordando proprio
quelli
di Naruto. Di solito non pensava molto a quell’ex-compagno di
Accademia, erano
passati così tanti anni e avevano giocato insieme una volta
sola, ma quella
ragazza gli assomigliava così tanto che glielo aveva fatto
tornare in mente.
“Allora
che
ne dici di una nuova missione, signor ninja?”
Sasuke
sbuffò
infastidito.
“Non
puoi
chiamarmi Sasuke e basta?”
Sorrise
sorniona. “Nah, signor ninja è più
bello. O preferisci teme?”
Corrucciò
lo sguardo. “Fallo e io ti chiamerò dobe”
minacciò.
“Va
bene,
signor Sasuke il ninja,” alzò gli occhi al cielo,
“vuoi sentire la missione che
voglio offrirti?”
La
guardò
estremamente scettico. Questa ragazza non aveva soldi nemmeno per
procurarsi da
mangiare, figurarsi permettersi una missione shinobi.
“Sentiamo”
disse comunque curioso.
Allargò
il
sorriso e, prima che potesse rendersene conto, era in piedi davanti a
lui e lo
stava tirando per un braccio, ancora.
“Tenermi
compagnia durante il festival!” esultò.
Sasuke
provò a fare resistenza, contrariato e stizzito da quella
che ormai capiva
essere una presa in giro.
“Non
puoi
startene con la tua famiglia?” protestò.
Gli
occhi
cristallini si adombrarono per qualche secondo.
“La
mia
famiglia non è qui, sono venuta sola”.
Il tono
lo
incuriosì abbastanza da dimenticarsi di fare resistenza e
con uno slancio Konan
lo portò con sé.
“Che
intendi?”
“Ah,
vedi…”
iniziò a voce bassa, con fare cospiratorio. “La
missione che voglio darti
tratta proprio di questo: io sono qui in incognito”
rivelò toccandosi il naso
con un dito.
Sasuke
non
era per nulla convinto. “Cioè?”
“Tobi-sensei
non voleva venissi qui, e anche nii-san e tutti gli altri erano
d’accordo,
dicevano che era troppo rischioso” iniziò
seriamente. “Ma io volevo vedere il
festival! E i fuochi d’artificio! E tutto il cibo buono che
c’è!” strillò nelle
sue orecchie. “Quindi sono venuta qui di nascosto, senza
farlo sapere a
nessuno” concluse fieramente.
Sasuke
la
fissò, preso un po’ alla sprovvista da una storia
del genere. Troppo rischioso?
Si chiese come i presunti genitori di questa ragazza potessero
considerare pericoloso
uno stupido festival. È vero, non c’erano
pattuglie shinobi, ma c’erano le
guardie regolari del villaggio a tenere lontano i ladri e i disordini.
Senza
contare che la vicinanza a Konoha garantiva una protezione
più che sufficiente.
A meno
che
non siano nukenin… In quel caso proprio la vicinanza con
Konoha sarebbe stata
un problema.
Sasuke
si
riteneva piuttosto bravo a riconoscere le persone cattive, Konan non
sembrava
una di quelle. Non era un nukenin, era solo… fastidiosa.
“Perciò,”
riprese gesticolando nel suo monologo, “la tua missione
sarà scortarmi e
proteggermi durante il festival. Così tornerò a
casa sana e salva e Tobi-sensei
sarà tranquillo a sapere che è stato proprio un
Uchiha a proteggermi”.
Suo
malgrado, Sasuke provò una fitta di orgoglio a sentire
quelle parole. Era
orgoglioso di sapere che il suo clan aveva buona fama tra i civili
fuori
Konoha, che anche al di fuori del villaggio riconoscessero il loro
valore.
Sasuke era fiero di essere un Uchiha e non vedeva l’ora di
risvegliare lo sharingan,
come suo fratello e suo padre.
“Umpf,
visto che mi hai offerto il pranzo non ti chiederò di
pagarmi” offrì magnanimo.
Il viso
della ragazza si aprì in un altro bellissimo sorriso e prima
che potesse
scappare si trovò stretto in una presa ferrea.
Arrossì furiosamente.
“Mollami!
Mollami! Altrimenti mi rimangio tutto” minacciò.
**
Sua
madre
diceva sempre che il suo problema era che non dava
possibilità alle persone.
Infatti lo rimproverava spesso di non provare a legare di
più con le sue
compagne di team. Più di una volta aveva anche provato a
invitarle a casa loro
ed era stato terribilmente imbarazzante.
Non
è che a
Sasuke non piacessero le persone, non era misantropo come scherzava sua
madre.
Era semplicemente abituato a stare da solo, visto che durante
l’infanzia non
aveva avuto amici. Come unico bambino di quell’età
del clan Uchiha non era
riuscito a legare con i cugini più grandi, che lo
consideravano un marmocchio,
o con quelli più piccoli che lo irritavano a morte; mentre i
bambini civili lo
ignoravano per qualche motivo che non capiva, oppure i bambini degli
altri clan
lo ammiravano solo da lontano. Aveva imparato a stare da solo e aveva
scoperto
che si trovava bene così, poteva allenarsi senza essere
infastidito o
rallentato.
Però.
Però
forse sua madre aveva ragione e
doveva
cominciare a dare qualche possibilità alle persone,
perché con Konan si stava
decisamente divertendo. Non glielo avrebbe mai detto, ovviamente,
perché ci
teneva a mantenere la sua immagine di stoico shinobi. Però
lei era davvero
simpatica, al di là del carattere irritate, e perfino il
festival sembrò meno
noioso di quanto aveva profilato all’inizio.
Konan
era
entusiasta di qualsiasi cosa e il suo modo di fare energico e solare
era
inevitabilmente contagioso. Sasuke cercava di dirsi con
superiorità che era
solo divertito dal modo di fare infantile, ma la verità era
che quella
spontaneità lo stava sciogliendo. Non era come Himawari che
si divertiva a
contraddirlo per ogni cosa e prenderlo in giro per la sua
serietà, o come
Sakura che a volte si scervellava troppo per farsi piacere risultando
quasi
costruita.
In
realtà
era anche un po’ allarmato da quell’atteggiamento.
Che vita faceva se uno
stupido festival di provincia la entusiasmava così tanto?
Rispetto agli stessi
eventi di Konoha, quella fiera era molto povera e mal gestita, non era
davvero
nulla di speciale. Eppure davanti agli occhi della ragazza sembrava
essere
qualcosa di incredibile e nuovo.
Incuriosito
da questo suo atteggiamento aveva tentato di fargli qualche domanda su
di lei e
la sua famiglia, ma in un modo o nell’altro riusciva a
trovare sempre un modo
per rispondere evasiva o addirittura svincolare la domanda. Al
contrario,
invece, fece a Sasuke moltissime domande insistenti.
“Hai
già lo
sharingan?”
Arrossì
a
quella domanda. “Lo avrò presto”
borbottò.
Konan
gli
puntò il dito contro. “Quindi non lo
hai!”
Sasuke
si
sentì come se avesse ingoiato un limone e con la faccia
più indignata del suo
repertorio si preparò a ribattere, ma ogni protesta gli
rimase sulla lingua
quando il viso della ragazza divenne incredibilmente serio.
“Be’
meglio
così” disse quasi sollevata.
Fissò
per
qualche secondo quel sorriso rasserenato, come se le avesse dato una
buona
notizia, senza capire. L’intero suo clan stava facendo
pressione perché
sviluppasse lo sharingan, suo padre era preoccupato perché
rispetto a Itachi ci
stava mettendo più tempo e perfino Kakashi-sensei gli stava
addosso
nell’allenamento. Si aspettava delusione, scherno, non
sollievo.
“Perché…
perché dici che è meglio?” chiese
così confuso che si dimenticò di essere
offeso.
Konan
gli
lanciò un’occhiata ovvia.
“Non
lo
sai? Per sviluppare lo sharingan devi provare un forte dolore
emotivo” disse
con fare pratico, come se fosse un argomento di cui era abituata a
discutere.
Sasuke
la
guardò a bocca aperta, frenandosi a stento da chiedere
maggior delucidazioni.
Il che era stupido: era lui l’Uchiha, era la sua
arte oculare innata, cosa poteva saperne la sconosciuta?
“Tu
come…
come lo sai?” tentò di chiedere più
sicuro di quanto non fosse.
L’espressione
seria fu subito sostituita con quella sbarazzina e lo
illuminò con un nuovo
sorriso volpino.
“Se-gre-to!”
La
guardò
indispettito e provò a ribattere, ma la ragazza
riuscì ancora una volta a
parlargli sopra.
“Comunque
non devi temere, sei un ninja, quindi prima o poi vedrai uno dei tuoi
amici
morire e allora… zap,
sharingan!”
Strabuzzò
gli occhi sconvolto, ancora con la bocca socchiusa per la protesta che
era
stato costretto a ingoiare.
“Che
cosa…
stai dicendo…”
Gli
occhi
azzurri lo guardavano come se gli stessero scavando l’anima.
“Perché
fai
quella faccia? Siete soldati e nelle guerre si muore, lo sai
vero?”
“Non
siamo
in guerra” replicò confuso.
Ricevette
una risata di scherno. “Non apertamente, è vero.
Ma comunque prima o poi ti
troverai davanti una missione in cui dovrai sacrificare un compagno per
compierla”.
Più
parlava
più Sasuke inorridiva, soprattutto per via del tono
ragionevole che stava
usando. Sapeva che le missioni ninja erano pericolose, che
più salivi di grado
più avevi in mano questioni di vitale importanza, e andava
bene, era quello che
voleva.
Ma non
aveva mai pensato che vincere significasse sacrificare un compagno.
Ripensò
con
un brivido alla prima lezione di Kakashi, la sfida delle campanelle.
Con un
colpo
alla spalla, la ragazza lo riportò in sé.
“È
per
questo che non ho voluto diventare un ninja” sorrise
spensierata. “Tu, invece?”
“Cosa?”
Odiava
seriamente questa ragazza, lo faceva sentire stupido e Sasuke non era
stupido,
era il migliore delle matricole genin!
“Perché
sei
diventato un ninja?” ripeté.
Si
accorse
di non saper rispondere, a meno che perché
sì non fosse sufficiente. Ma si rendeva conto da
solo di quanto stupido e
infantile sarebbe stato. Onestamente non si era mai posto il problema
di diventarlo
o meno, era qualcosa già deciso dalla nascita. Era il figlio
del capo clan
degli Uchiha, che altro doveva diventare? Di certo non un semplice
civile,
perfino sua madre era una kunoichi. Tutti quelli che conosceva lo
erano, tranne
i vecchi e i bambini.
Era
sicuro
che questa spiegazione non sarebbe piaciuta a Konan, probabilmente
l’avrebbe
schernito, quindi scrollò le spalle e alzò il
mento, cercando di darsi più
sicurezza possibile.
“Perché
voglio diventare Hokage”.
Il cuore
gli batteva fortissimo. Erano poche le persone che conoscevano il suo
sogno, si
contavano giusto sulle dita di una mano. Forse perché quando
a nove anni lo
aveva detto a suo padre non era stato preso seriamente, ma con un
brontolio.
Certo, è vero che allora lo disse solo per esasperazione,
perché nessuno badava
mai a lui.
C’era
stato
quel periodo nei suoi otto anni dove Itachi, Fugaku e perfino sua madre
erano
sempre in udienza dall’Hokage. Stanco di essere lasciato
solo, Sasuke si era
chiesto se dovesse diventare anche lui Hokage per avere un
po’ di
considerazione dalla sua famiglia.
Crescendo quel sogno era maturato con lui, ma non
l’aveva mai
abbandonato.
Konan
spalancò gli occhi, facendo per la prima volta
un’espressione sorpresa.
“Tu?”
domandò stupita.
Sasuke
si
chiese se tra le tante cose che sapeva, c’era anche la
tensione esistente tra
il Clan Uchiha e il Consiglio di Konoha. Non era cieco o stupido,
sapeva bene
che nemmeno i civili non si fidavano della sua famiglia – per
un motivo che
davvero non sapeva – e del resto se voleva diventare Hokage
era anche per
dimostrare che agli Uchiha importava di Konoha. Nessuno si aspettava un
Uchiha
Hokage, ma lui lo sarebbe diventato, alla faccia di tutti.
Perciò
rizzò ancor più la schiena e disse:
“Sì, io” pieno di sfida.
Konan
continuò a guardarlo come in attesa di uno scherzo, poi
scrollò le spalle e
distolse lo sguardo, improvvisamente abbattuta.
“Che
c’è?”
sbottò piccato.
“È
che… mi
dispiace. Mi sei simpatico, ma tutti gli Hokage muoiono
presto”.
“Non
è
vero!” protestò. “Il nostro onorevole
Sandaime…”
“Oh,
ma
perché lui è uno stupido” lo interruppe
tranquillamente Konan. “È un codardo
incapace di qualsiasi cosa, che ha trascinato il suo popolo in due
guerre, non
ha nessun interesse per…”
Sasuke
non
era disposto ad ascoltare altro. Konan aveva passato il segno:
insultare
l’Hokage significava insultare Konoha ed era una cosa che non
poteva tollerare.
Prima
che
se ne rendesse conto, aveva già sguainato un kunai.
Himawari
non era mai stata così felice come in tutta la sua vita di
aver ceduto al
broncio di Sakura e aver iniziato a seguire come due psicopatiche
Sasuke e la
sua nuova amica. Doveva anche ringraziare i riflessi pronti di Sakura,
che era
intervenuta strillando “Sasuke-kun!”
prima che quell’idiota del loro compagno di squadra
accoltellasse una civile
indifesa.
L’urlo
distintivo di Sakura lo aveva riscosso dal suo istinto omicida e aveva
dato la
possibilità alla povera civile di fare un passo indietro.
Himawari
corse dietro a Sakura, raggiungendo il contrariato amico. Entrambe si
fissarono
sul volto un sorriso amichevole.
“Oh,
che
sorpresa” disse, fingendo che fossero davvero capitate
lì per caso e non li
avessero inseguiti per tutto il festival. “Sasuke! Ti sei
trovato la ragazza?”
Se da un
lato la sua domanda ebbe l’effetto nefasto di far tornare il
broncio triste a
Sakura, dall’altro fecero scattare Sasuke come se lo avessero
punto e si
allontanò anche lui dalla ragazza bionda.
“No!
No!”
protestò come se avesse insultato il suo clan.
“Non questa pazzoide! Che
schifo!”
“Ehi!”
si
offese la suddetta pazzoide.
Sakura
le
rivolse un sorriso, rasserenata dal fatto che Sasuke la considerasse
nello
stesso modo in cui considerava tutti gli altri. Meglio predisposta
verso la
sconosciuta, fece un passo avanti e accennò un piccolo
inchino.
“Siamo
Haruno Sakura e Sarutobi Himawari, le compagne di squadra di
Sasuke-kun. Tu?”
Contraddicendo
l’impressione che avevano avuto della ragazza fino a quel
momento, lei fece un
altro passetto indietro fissando Sakura con diffidenza e qualcosa che
non
riusciva a decifrare.
“Konan”
borbottò a bassa voce, improvvisamente timida.
A quel
suo
comportamento vide Sasuke inarcare un sopracciglio, anche lui doveva
aver
notato l’improvviso cambio di personalità. Ora non
sembrava più espansiva e
socievole, al contrario era in una posa rigida, gli occhi che si
muovevano
nervosi come se si aspettasse un pericolo imminente.
Sasuke
pensò che fosse per via dell’arma, del resto
l’aveva quasi aggredita, e si
vergognò della sua reazione esagerata. Anche se aveva
insultato il suo Hokage
era comunque una civile innocua e disarmata, il suo dovere era
proteggerla, non
ferirla, indipendentemente da quanto fosse fastidiosa e maleducata.
Intascò
l’arma senza scusarsi, non era comunque qualcosa che poteva
fare.
Sakura
provò a ignorare la reazione diffidente dell’altra
ragazza e chiese:
“Sei
di
questo villaggio? Il vostro festival è davvero
carino!”
Konan si
ritrasse con la testa dentro il colletto della giacca, come una
tartaruga.
“No,
non
sono di qui” disse secca.
Himawari
si
accorse che gli occhi azzurri fissavano con diffidenza soprattutto i
loro
hitai-ate, guardando con rancore il simbolo della foglia. Si
scambiò uno
sguardo con Sasuke per capire se anche lui se n’era accorto.
Quel comportamento
era molto strano.
“Oh
e di
dove sei?” chiese Sakura.
Anche
lei
doveva essersi accorta del comportamento sospetto, perché la
sua voce aveva preso
quell’intonazione che aveva solo quando si sforzava di
mantenersi vivace.
Konan
non
rispose. A dir la verità, sembrava pronta a scappare via in
un baleno. Ma non
riuscì a fare più un passo, perché
sbatté di spalle contro qualcuno e cadde a
terra.
“Oh,
che
carini. State facendo amicizia”.
I tre
genin
alzarono lo sguardo, sorpresi dell’improvvisa comparsa di
Kakashi. Il sensei
era stato così silenzioso da passare totalmente inosservato,
come un vero
ninja. Aveva il viso come al solito infilato nelle pagine di quel
romanzo porno
che aveva sempre con sé, non aveva nemmeno lanciato
un’occhiata alla ragazza
contro la quale si era scontrato.
Finché
dalla stessa non uscì un gemito strozzato di puro terrore.
Kakashi
smise di badare il proprio libro, spostò pigramente lo
sguardo sulla figura
bionda caduta a terra.
Successe
tutto molto velocemente.
L’occhio
grigio e poco interessato si sgranò non appena si
posò sul viso di Konan.
“Ma
questo…” soffiò Kakashi senza
rendersene conto, il libro finì velocissimo dentro
una delle tasche del giubbotto.
Scattò
contro Konan, ma la ragazza riuscì a riprendersi dalla
paralisi in cui era
caduta quando il ninja adulto si era presentato. Facendo leva sui piedi
si alzò
per scattare, Sasuke riuscì a sentire l’aria
riempirsi esageratamente di
chakra, come se la ragazza lo stesse per usare.
Shinshun?,
indovinò mettendosi in posizione
di attacco.
Ma lui
aveva appena fatto in tempo a posizionarsi, che il suo sensei aveva
già
raggiunto la ragazza. Konan perse la concentrazione per scattare, si
spostò di
lato con un balzo per evitare l’adulto. Non
funzionò: Kakashi riuscì a toccare
la sua fronte con un dito nudo.
“Kai!” gridò
l’insegnante.
Il
secondo
successivo Konan, ancora nel mezzo del balzo fallito, rotolò
via avvolta in una
nuvola di fumo bianco.
Quando
tornò visibile era di nuovo accucciata a terra, ma era
diversa.
Non era
più
una ragazza.
Era un
bambino, un bambino con spettinati capelli biondi, occhi azzurri pieni
di
aggressività e cicatrici simili a baffi sulle guance.
Sasuke
sentì il suo cuore schizzare in gola.
“Naruto…”
sussurrò.
Buongiorno!
Come
state?
Avete passato un buon ferragosto? O come me siete già
bloccati nella sessione
di settembre? *lacrime*
Spero
che
questo primo capitolo vi sia piaciuto, anche se scommetto che la
sorpresa
finale non è stata una vera sorpresa xD eh già,
fin dall’inizio era il nostro
Naruto sotto la sua classica trasformazione da ragazza :D Solo Kakashi
si è
accorto che era in coso una henge no jutsu.
Vi
ringrazio per le recensioni lasciate, sono felice che la storia abbia
avuto
questo bel benvenuto. Hanno chiesto ogni quanto sarà
aggiornata: in alternanza
con la time travel, quindi direi ogni due settimane, forse a volte
anche ogni
dieci giorni. Vedremo come prosegue la vita vera!
Non
mancate
di farmi sapere che ne pensate :D
Hatta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Il bambino scomparso ***
Cap
II
Il
bambino scomparso
Naruto
parò le mani avanti per rallentare la caduta di
faccia, rotolò sull’erba ma non riuscì
a rialzarsi, troppo stanco per muovere
anche solo un muscolo.
“Hai
già mollato?” lo derise una fastidiosa voce sopra
la sua testa.
Con un ringhio
riaprì gli occhi e scattò di nuovo in
piedi, ma il gesto brusco gli provocò un giramento di testa
e la sua vista si
sfocò qualche secondo. Digrignò la mascella,
deciso a non cadere.
“No,
mai!” garantì con un bagliore nelle iridi blu.
Shisui
allargò solo il sorriso al suo sguardo
risoluto.
“Oh,
ecco, volevo dire”.
Naruto era tutto
malconcio, con i capelli più
spettinati del solito, il sudore a insudiciargli il corpo insieme al
terriccio.
I suoi vestiti sembravano aver attraversato l’inferno, quando
più banalmente si
stava solo allenando con Shisui.
Deciso a
fargliela pagare per tutte le volte che lo
aveva messo con il culo a terra, iniziò a richiamare il
proprio chakra per
concentrarlo sui muscoli delle gambe.
Non fece nemmeno
in tempo a provare lo shunshin che vide un paio di shuriken venire
lanciati alla sua testa. Con un verso stridulo si spostò,
perdendo l’equilibrio
e la concentrazione sul suo chakra. Si ritrovò a terra, di
nuovo.
“Lo
stai facendo ancora” lo rimproverò Shisui
lamentoso, come se fosse lui quello frustrato dai fallimenti.
“Non devi
prendere così tanto chakra! Oltre a metterci
un’infinità di tempo, e vedi come
un nemico ne approfitta, lo sprechi e rischi di finire seccato per
esaurimento.
No Naruto, non devi fare affidamento sulla tua quantità
mostruosa di chakra!”
Naruto si
imbronciò, chiudendo la bocca e mordendo la
protesta.
“Senza
contare che così rischi di svegliare il tuo
inquilino”.
A quella
prospettiva rabbrividì. Al momento erano solo
lui e Shisui nel rifugio e lo sharingan dell’altro non
riusciva a tenerlo a
bada, se fosse scoppiato la vicina Konoha si sarebbe resa conto della
loro
intrusione nel Paese del Fuoco.
“Quindi,”
riprese Shisui con un sorriso malizioso,
“che devo fare? Dico a Kisame di portarti ancora
sull’oceano?”
Lo
guardò inorridito a quella minaccia. Ricordava
ancora troppo bene il terrore che aveva provato quando l’uomo
pesce, dopo
averlo portato al largo della costa su una barchetta minuscola, lo
aveva
gettato in acqua con solo una spiegazione basa su come dovesse fare per
camminarci sopra.
“Concentra il
chakra sulla pianta dei piedi. Impara se
non vuoi affogare” aveva detto lo
stronzo.
“Riproviamo?”
lo spronò Shisui porgendogli una mano.
Indossava dei
guanti con le nocche rinforzate che
lasciava scoperte le dita. Non aveva la cappa nera con le nuvole rosse,
era una
giornata davvero calda nel Paese del Fuoco e per questo entrambi
avevano optato
per una maglia a rete a mezzemaniche e pantaloni standard.
L’aspetto di Shisui
era perfettamente rinfrescato a differenza di Naruto. I suoi capelli
ricci non
erano arruffati o crespi dal sudore, ricadevano sulla fronte in morbide
ciocche
lucenti, che facevano risaltare l’incarnato pallido e liscio,
per nulla
arrossato dalla fatica. A Naruto dava fastidio notare quanto fosse
grande il
divario di forza tra di loro. Anche se si allenava da quando era stato
salvato
da Konoha, non riusciva a raggiungere nessuno dei suoi compagni.
Era frustrante.
Accettò
la mano con uno sguardo contrariato e lasciò
che lo aiutasse a tirarsi in piedi. La brezza primaverile gli
accarezzò il
voltò, asciugando in parte il sudore. Si prese un attimo di
pausa, gli occhi
puntati verso un lato della radura. Da oltre il bosco venivano gli echi
di
sensazioni e chakra caldi di civili felici. Non erano poi
così lontani da un
villaggio, ma il fatto che non avesse nemmeno ninja di guardia rendeva
comunque
il rifugio sicuro.
“Domani
c’è il festivale” mormorò.
“Possiamo andare?”
“Hai
sentito il sensei, ha detto no”.
“Per
favore… non succederà niente!”
provò a
convincerlo.
“Non
è questo”. Incrociò le braccia al
petto. “Ma se
ti perdo di vista, prima Tobi
comincerà a colpirmi e piangermi addosso, poi Madara mi farà a pezzi e infine
Obito permetterà a Hidan di sacrificarmi a Jashin. No,
grazie”.
“Se
non lo verrà a sapere…”
“Lo
verrà a sapere”.
Naruto si
imbronciò, le braccia incrociate al petto e
la testa incassata fra le spalle. Era adorabile, ma ormai Shisui aveva
fatto il
callo a resistere ai suoi occhioni supplicanti.
“Non
possiamo uscire dal perimetro sicuro del rifugio”
gli ricordò un po’ amareggiato. “Se lo
lasciamo, si accorgeranno della nostra
presenza e verranno a catturarci. Non vuoi tornare a Konoha,
vero?”
Il broncio
sparì a favore di un’espressione
agghiacciata.
“No,
mai, dattebayo!” garantì.
Annuì.
“Per questo dobbiamo restare buoni qui. E poi
domani sera dobbiamo levare le tende, non abbiamo tempo”.
Nonostante
avesse parlato con tono risoluto, Shisui si
sentì comunque un po’ in colpa davanti
all’espressione sconsolata del bambino.
Aveva solo dodici anni ed era costretto alla vita di un nukenin.
Nonostante il
netto miglioramento rispetto a Konoha, i suoi unici amici erano tutti
shinobi
pericolosi di classe S, non aveva nessuno della sua età con
cui fare semplici
cose da bambini. I più giovani erano lui, Shisui, e Deidara,
ma Deidara si
divertiva facendo esplodere le persone, non era un passatempo sano per
un
bambino in crescita. Già per colpa di Kakuzo stava diventano
un po’ troppo
attaccato ai soldi, era meglio che non finisse influenzato anche da
persone
come Hidan o Deidara.
Gli diede un
colpetto sulla nuca.
“Dai,
riprendiamo. Vedrai che entro il tramonto saprai
padroneggiare lo shunshin”.
“Ovviamente,
dattebayo!”
**
“Dattebayo!”
Sasuke
non
riusciva a staccare gli occhi dal bambino straccione caduto a terra, il
suo
sguardo era sgranato nel cogliere ogni particolare di quel viso che si
era
rassegnato a non vedere mai più.
Ma
eccolo
lì, davanti a lui, cresciuto, vivo.
E
usava ancora quella stupida e fastidiosa esclamazione, come aveva fatto
a non
riconoscerlo subito?
Sentì
al
suo fianco Sakura tirare un sospiro di pura sorpresa, incredula quanto
lui.
Anche lei aveva avuto a che fare con Naruto prima che sparisse, anche
lei
doveva averlo riconosciuto. Solo Himawari non sembrava particolarmente
colpita,
ma non erano stati in classe insieme all’Accademia quindi non
era poi così
strano. Era solo sorpresa dalla scoperta dell’henge.
Nessuno
dei
tre genin sapeva cosa fare, perciò rimasero in posizione in
attesa delle
istruzioni del sensei. Del resto per loro era come trovarsi davanti un
morto,
non erano preparati a questo e nemmeno Kakashi lo era, onestamente.
Tutto aveva
potuto aspettarsi da quella bazzecola di missione, tranne la comparsa
del
figlio del suo sensei che credeva morto da ormai quattro anni.
“Naruto…”
disse piano, un tono conciliante.
Fece un
passo circospetto in avanti, lento come se si stesse approcciando a un
animale
selvatico e fu proprio questo il modo in cui reagì il
bambino perduto.
Dalle
sue
labbra uscì un soffio rauco, simile
all’avvertimento minaccioso di un gatto, e
arretrò strisciando sul pavimento. Kakashi si era accorto
che aveva
ricominciato a chiamare il chakra attorno a sé, ma si era
anche reso conto che
era lento nel farlo. Aveva del tempo per provare ad addomesticarlo.
“Naruto”
riprovò ignorando l’avvertimento. Alzò
una mano verso i suoi genin,
intimandogli di restare fermi. “Sai chi siamo?”
Non
aveva
molte illusioni. Era più probabile che avesse riconosciuto
Sakura e Sasuke,
visto che erano nella stessa classe all’Accademia; lui era
sempre stato solo
un’ombra nella sua vita, una guardia ANBU con
l’ordine di non avvicinarsi mai a
lui.
Ma
poteva
ancora riconoscere il simbolo di Konoha.
Fu
proprio
quello che Naruto guardò, alzando gli occhi sul coprifronte.
Ma non lo guardò
con riconoscimento, ci fu un’improvvisa rabbia che
incendiò tutta la sua
espressione e la sua postura, da semplice spaventata e in difensiva, si
fece
anche aggressiva.
“Spazzatura” rispose con
disprezzo.
Poi
sparì
in uno scatto, il suo shunshin ultimato. Ma Kakashi riuscì a
stargli addosso e
nello stesso istante sparì anche lui, inseguendolo.
Sasuke
guardò lo spiazzo vuoto con la sensazione che il tempo
riprendesse a scorrere
solo in quel momento.
“Che
cosa
facciamo?” Sakura spezzò il silenzio per prima,
piena di nervosismo.
“A-aspettiamo
qui?” propose Himawari in un tono interrogativo, era ancora
molto confusa da
quello che era successo. “Sensei può gestirlo da
solo senza noi fra i piedi”.
Sasuke
non
era affatto d’accordo con quella scelta.
“Io
li
seguo” dichiarò.
Non era
un
sensore, non poteva percepire la direzione verso cui si erano diretti,
ma poteva
provare a indovinarla. In fondo non veniva chiamato genio per caso.
Se
Naruto
voleva nascondersi doveva uscire dal villaggio prima che la sua
presenza
venisse segnalata; l’intero villaggio era circondato da campi
di riso, fatta
eccezione per il lato ovest dove la grande foresta del Paese del Fuoco
quasi
arrivava alle porte del villaggio, lì sarebbe stato
più facile per lui mimetizzarsi
che in campo aperto.
“Sasuke
hai
visto sensei, ci ha fatto segno di non introme…”
Non
lasciò
nemmeno che Himawari finisse, saltò sul primo tetto a
portata e da lì si
diresse in direzione degli alberi verdi che vedeva. Percepì
dietro di sé Sakura
raggiungerlo e sorrise, ovviamente Sakura lo avrebbe sempre seguito,
era
l’unica cosa buona di quella cotta che aveva nei suoi
confronti; poco dopo
sentì anche i salti di Himawari.
Raggiunsero
la foresta, rallentando il ritmo dei salti per via dei rami che davano
un
percorso irregolare.
“Eccoli!”
chiamò Sakura.
Sasuke
seguì in basso la direzione che indicava e li vide anche
lui. Erano entrambi
nel sottobosco, Kakashi aveva bloccato Naruto e ora stava tentando di
tenerlo
buono, ma quello scalciava e si dimenava come un ossesso per scappare.
“Lasciami!
Lasciami!”
“Calmati,
Naruto, non ti farò del male…”
“No,
lasciami. Ti odio, lasciami andare”.
“Devo
riportarti a Konoha, a casa…”
“Non
è la
mia casa!” ruggì con foga. “Lasciami, ammazza-amici!”
Naruto
diede un colpo allo stomaco di Kakashi con il piede, ma Sasuke poteva
giurare
che non fosse così forte, probabilmente era il modo in cui
lo aveva chiamato a
destabilizzare abbastanza Kakashi perché il bambino
sgusciasse via dalla sua
presa. Ma non fece molta strada, perché i tre genin
atterrarono dai rami
sbarrandogli la via di fuga.
Per un
momento Sasuke si sentì in colpa davanti allo sguardo pieno
di tradimento che
Naruto gli rivolse, ma si ricordò che era lui
quello a essere stato ingannato con una henge. Era lui quello che
doveva
sentirsi tradito, non il contrario.
Naruto
provò ad aggirarli, ma ormai Kakashi si era rialzato ed era
di nuovo su di lui.
Lo bloccò prendendogli le braccia dietro la schiena,
resistendo allo scalciare
e gridare del bambino.
“Non
siamo
i tuoi nemici, Naruto” disse affaticato dal tentativo di
trattenerlo senza
ferirlo. “Non so cosa ti abbia detto Shisui,
ma…”
“Se
non mi
lasci andare faccio uscire la volpe!” lo interruppe Naruto
con tutto il fiato
che aveva nei polmoni, gli occhi piccoli dal terrore.
Sasuke
non
capì che cosa intendesse con quella minaccia, ma doveva
essere qualcosa di
pericoloso perché Kakashi si irrigidì e si fece
più guardingo.
“Non
lo
farai” disse risoluto.
“Sfidami,
dattebayo!”
Ma se
anche
Kakashi volesse farlo, non ne ebbe tempo. Sasuke vide troppo tardi il
gruppo di
affilati shuriken che furono lanciati alla testa del suo sensei, che
fortunatamente ebbe più velocità di riflessi e
riuscì a evitare. Per farlo però
lasciò andare Naruto, che ne approfittò per
rotolare via.
Alzarono
subito la testa verso la direzione da cui erano venuti gli shuriken, un
giovane
uomo era accucciata in equilibrio su un ramo. Per la seconda volta in
una
manciata di minuti, Sasuke si ritrovò con la bocca socchiusa
e lo sguardo
sgranato dalla sorpresa.
“Che
bel
ritrovo” commentò Shisui, un sorriso ironico.
“Ciao, senpai. Ciao cuginetto”.
**
La pergamena era
decisamente ingombrante, le
dimensioni erano davvero notevoli anche per essere rotolo. Ma del resto
lì
dentro erano contenute molte tecniche proibite di Konoha, non poteva di
certo
aspettarsi un rotolo di pochi centimetri. La scansione dello sharingan
confermò
a Shisui che si trattava di quello autentico e non di una copia.
“Perfetto”
considerò e tirò fuori un rotolo molto
più
piccolo, una semplice pergamena di tenuta, dove sigillò al
suo interno il
Rotolo Proibito per trasportarlo più facilmente.
Rialzò quindi lo sguardo su
Mizuki.
Se non ricordava
male, erano stati insieme
all’Accademia, anche se in classe diverse. Nei suoi ricordi
era un ragazzino
rancoroso nei confronti di Konoha e del Sandaime, perciò
quando aveva dovuto
pensare a qualcuno che si infiltrasse era il primo che gli era venuto
in mente.
Fortunatamente, da adulto Mizuki si era dimostrato molto volenteroso di
tradire
Konoha per un mucchio di soldi.
Prese quindi la
borsa con suddetto mucchio di soldi,
la stessa che Kakazu gli aveva consegnato quasi piangendo
all’idea di tutti
quei risparmi che sparivano dalle casse dell’Akatsuki.
“È
tutto qui, quanto pattuito” disse.
Mizuki
l’aprì per assicurarsene e sorrise viscido alla
vista delle banconote.
“Sei
sicuro che nessuno ti abbia beccato?” insistette
Shisui nervoso.
Erano riusciti a
restare invisibili ai radar di Konoha
per quattro anni, non aveva nessuna intenzione di interrompere questa
striscia
felice.
“Sicurissimo”
garantì Mizuki. “Quando se ne
accorgeranno sarà troppo tardi”.
Shisui sperava
fosse così, ma in ogni caso anche se
Mizuki fosse stato catturato gli aveva imposto un genjutsu al loro
primo
incontro. Nemmeno il ninja di Konoha sapeva chi avesse davvero dato la
commissione, il genjutsu gli faceva credere che Shisui fosse uno
shinobi di
Iwa.
Con un cenno
veloce del capo lo salutò quindi, deciso
a non restare il più del necessario nei confini del Paese
del Fuoco. Si
teletrasportò il più velocemente nel loro covo e
sperò che Naruto fosse già
pronto per partire.
“Naruto?
Sono tornato, sei pronto?” chiamò non
vedendolo nella stanza principale, la stessa che avevano usato anche
per dormire.
Non ottenne
risposta e questo cominciò a preoccuparlo,
ma decise che era troppo presto per trarre conclusioni affrettate,
Naruto
poteva essersi appisolato da qualsiasi altra parte. Fece quindi un
rapido giro
dell’intero covo, che lo riportò alla stanza
iniziale senza aver trovato nulla.
Cazzo.
Naruto non
c’era. Obito lo avrebbe ucciso.
**
In una
scala da uno e dieci, la situazione era molto
pericolosa.
Shisui
lanciò per prima cosa un’occhiata al marmocchio,
lo stesso che aveva avuto
l’ardore di scappare da sotto il suo naso per andare al
festival che gli era
stato chiaramente proibito. Almeno sembrava stare bene, non vedeva
ferite, era
solo sporco di terriccio e foglie. Tornò quindi a guardare
Kakashi e maledì la
sua terribile fortuna. Non era preoccupato per i tre genin, anche se
tra loro
c’era Sasuke erano comunque bambini, ma Kakashi era
pericoloso. Non sapeva se
era in grado di tenergli testa, forse in uno scontro di logoramento
visto che
aveva sicuramente più chakra dell’Hatake, ma non
sapeva se poteva resistere
così a lungo. Era già faticato dall’uso
prolungato del suo Mangekyo in quei
ultimi giorni, non sapeva quanto avesse potuto fare affidamento sullo
sharingan. Sicuramente Kakashi conosceva le sue tecniche e sapeva di
Amatsukami, infatti non lo aveva più guardato negli occhi
appena lo aveva
riconosciuto.
Non devo per
forza combatterlo, si disse,
devo solo prendere Naruto e
squagliarmela, questo posso ancora farlo.
Nessuno
lo
uguagliava nella velocità, sicuramente nessuno dei presenti.
Con un continuo
uso dello shunshin si sarebbero allontanati abbastanza
da far perdere le loro tracce, per poter poi
raggiungere il rifugio nel Paese dell’Erba.
Era
comunque una seccatura. Erano riusciti a restare fuori dal radar di
Konoha per
quattro anni, ricomparire avrebbe solo ricordato loro che
c’era un nukenin
Uchiha da catturare il prima possibile. Per non parlare che ora
sapevano che il
loro prezioso Junchūriki era ancora vivo e avrebbero fatto di tutto per
riaverlo.
“Shisui,
che piacere rivederti” disse Kakashi, rispondendo al suo
iniziale saluto.
Anche
lui
sta osservando il cambio di situazione e meditava sui suoi possibili
svantaggi
e vantaggi. Sicuramente non si aspettava l’intervento di un
criminale del
calibro di Shisui. Stava osservando specialmente la sua cappa nera con
le
nuvole rosse.
“Il
piacere
è solo tuo” garantì il nukenin con un
sorriso odioso.
Si
teletrasportò veloce davanti a Naruto, una spada corta
sguainata. Anche se lì
era in una posizione più facilmente attaccabile, almeno
poteva difendere il
bambino e impedire lo prendesse in ostaggio.
“Ora,
se
non ti dispiace, noi dobbiamo andare” disse mantenendo il
finto tono cordiale.
“In
realtà,
mi dispiace” disse Kakashi mettendosi in posizione di
attacco, tirò a sua volta
fuori dei kunai.
Sasuke
cercò di ricomporsi dallo stupore per prepararsi anche lui
all’azione, deciso a
rendersi utile. Ma non appena tirò fuori le sue armi,
Kakashi abbaiò:
“Voi
tre
statene fuori”.
“Sì,
esatto, lasciate fare agli adulti” lo seguì
Shisui, che non moriva di certo
dalla voglia di ferire il cuginetto. “Andate a giocare da
qualche parte”.
Sasuke
arrossì
di colpo per quell’offesa, odiava essere sminuito e non era
più un bambino! Era
un ninja, era addestrato a combattere ed era lì per quello,
come si
permettevano?
Kakashi
fu
il primo a scattare, lanciò uno dei kunai alla faccia di
Shisui, il quale riuscì
a deviarne facilmente la traiettoria con la lama del suo tantō.
L’azione lo distrasse abbastanza da non permettergli di
reagire in tempo all’attacco diretto di Kakashi, si
trovò l’uomo venirgli
incontro con un altro kunai. Nonostante dovesse pensare anche a
difendere
Naruto, riuscì a deviare anche il lancio del secondo Kunai e
parò il pugno di
Kakashi. Prima che potesse contrattaccare, Shisui danzò
velocemente in una
figura di scherma e tagliò con la lama il petto di Kakashi.
Sasuke
sgranò gli occhi e Sakura lanciò un grido di
paura, mentre Himawari sussultò.
Ma dalla
ferita non uscì sangue. Il corpo stesso di Kakashi
sparì in una nuvola di fumo
e al suo posto si presentò un ceppo d’albero.
Shisui
sorrise esasperato. “Kawarimi”
indovinò.
Si
guardò
attorno, lo sharingan attivo per scorgere il minimo movimento e
anticiparlo. Da
destra, sinistra, avanti e indietro non veniva nulla. Lanciò
uno sguardo sopra
tra gli alberi, ma anche lì non si vedeva nessuna traccia di
Kakashi. Fu con un
secondo di ritardo che si ricordò di guardare in basso, ma
appena lo fece la
terra si crepò ed emerse una mano che lo bloccò,
impedendogli di saltare.
“Merda”
imprecò e non trovando una soluzione migliore
pensò di dirigere a tuta forza il
suo tantō verso la terra.
Era una
mossa
poco precisa, Kakashi riuscì a stabilizzarlo prima che
emergesse totalmente
dalla terra e la lama non arrivò mai alla sua testa. Il
Jōnin di Konoha lo
lanciò lontano, facendogli perdere l’equilibrio.
Ora era
davanti a Naruto, a incombere su di lui con lo sharingan visibile.
“Naruto,
vieni con me” disse affrettato, ignorando il modo in cui il
ragazzino tremava
di paura.
Provò
ad
afferrarlo, ma con la visione periferica Kakashi vide Shisui
scagliargli una
serie di piccole palle infuocate. Per evitarle dovette saltare lontano,
liberando la strada verso Naruto e Shisui fu in un baleno, veloce come
si
raccontava, a proteggerlo con il suo corpo.
“Prova
a
toccarlo ancora” iniziò lento, “e io ti
strapperò quell’occhio che hai rubato”.
Sorrise. “Chissà, magari potrebbe starmi
meglio”.
Sasuke
doveva intervenire. Non gli importava cosa aveva detto il sensei e le
rimostranze delle sua compagne di squadra, Kakashi aveva bisogno del
loro
aiuto. Era ovvio che non potesse combattere Shisui e prendere Naruto,
doveva concentrarsi
su una cosa sola mentre gli altri facevano il resto.
Guardò
Sakura e Himawari. Loro due sembravano troppo bloccate e spaventate per
agire,
avrebbe dovuto pensarci lui.
Attese
paziente il momento, i muscoli tesi e nervosi per la tensione del
momento.
Doveva solo aspettare il momento giusto, uno in cui Kakashi avrebbe
catturato
tutta l’attenzione di Shisui, magari riuscendolo a portare
abbastanza lontano.
Gli bastava che lasciasse incustodito Naruto solo per tre secondi.
Nel
frattempo
iniziò ad avvicinarsi lentamente, scivolando alle loro
spalle. Appena avrebbe
preso Naruto sarebbe dovuto scappare e visto come si era comportato con
Kakashi, il loro obiettivo non sembrava disposto a collaborare, doveva
bloccarlo in qualche modo. Tirò fuori il suo filo ninja per
legargli almeno le
mani.
Finalmente
il suo momento arrivò. Per evitare un jutsu di terra Shisui
era dovuto scattare
in alto su un ramo, ma allo stesso tempo Kakashi aveva dovuto imitarlo
per via
di una palla di fuoco dell’Uchiha. Ora Naruto era il solo a
terra, aveva la via
libera.
Kakashi
non
aveva ancora insegnato loro il shunshin, ma Sasuke era veloce.
Arrivò su Naruto
prima che sia Shisui che Kakashi potessero rendersene conto. Il
ragazzino
biondo non riuscì a reagire in tempo, Sasuke lo
atterrò grazie al suo taijutsu
e tentò subito di legarlo.
“Lasciami,
cosa stai facendo?!” strillò Naruto.
Aveva
inevitabilmente attirato l’attenzione di Shisui, Kakashi lo
stava tenendo
occupato ma doveva muoversi. Il suo record di nodi era il migliore
della
classe, ma la questione diventava un pelo più difficile se
chi dovevi legare si
dimenava tutto il tempo.
Lo
sguardo
tradito negli occhi blu faceva male.
“Dobbiamo
riportarti a casa, a Konoha…”
“Konoha
non
è la mia casa!” ripeté con una ferocia
che fece sussultare Sasuke. “Nessuno mi
ha mai voluto, nessuno di voi…”
“Ci
sono i
tuoi amici”.
L’urlo
con
cui rispose fu addirittura più furioso. “Non ho
mai avuto amici!”
Voleva
ribattere, ma Naruto aveva ragione; nessun bambino della loro classe si
era mai
avvicinato a lui, mai. Lo indicavano solo per deriderlo, rubargli i
quaderni e
incolparlo di qualsiasi cosa.
“Io
sono
tuo amico” bisbigliò mentre riusciva finalmente a
bloccare le mani dietro la
schiena.
Per un
momento, Naruto smise di combatterlo e si limitò a
guardarlo. Ma non con
riconoscimento, ma come un animale diffidente e ferito.
“Bugiardo”
ringhiò.
Sasuke
non
riuscì a ribattere, sentendo che aveva terribilmente
ragione. Era stato il suo
più grande rimpianto, scoprire che quel bambino che lo aveva
tanto incuriosito
era scomparso, soprattutto poco dopo quello che gli aveva
fatto… si sforzò di
non pensarci, caricandoselo sulle spalle. Aveva ovviamente ricominciato
a
dimenarsi perciò provò a scambiare uno sguardo
con Sakura e Himawari perché lo
aiutassero. Dovevano allontanarsi da lì prima che Shisui
riuscisse a superare
Kakashi.
Raggiunse
le sue compagne e con loro iniziò a correre nel sottobosco,
confidando che loro
due gli avrebbero guardato le spalle visto che era bloccato a
trattenere
Naruto.
Riuscirono
a fare solo pochi passi. Sasuke nemmeno lo vide arrivare, Sakura
tentò di
intromettersi, ma nessuno di loro tre aveva la preparazione necessaria
per
affrontare Uchiha Shisui.
Sasuke
non
capì nemmeno quello che successe.
Seppe
solo
che Himawari e Sakura erano sotto le braccia di Kakashi, lanciatosi a
salvarle
da un’altra palla di fuoco che aveva incendiato un albero.
Lui invece si trovò
stordito a terra, senza più Naruto intrappolato, con una
fitta di dolore
incredibile alla testa e aveva del sangue a coprirgli un occhio, stava
sanguinando copiosamente.
Shisui
si
appollaiò su un ramo in alto, liberando Naruto dal filo in
cui lo aveva
intrappolato. Tornò subito vigile sulla situazione, ma
Kakashi non sembrava più
pronto a intervenire, in quel momento sembrava più
interessato a proteggere
Sakura e Himawari e guardava Sasuke come se volesse raggiungere anche
lui.
Si
alzò
traballante in piedi, sentendo una brutta sensazione di nausea alla
bocca dello
stomaco. Si pulì il viso dal sangue e incrociò lo
sguardo con Shisui, per un
secondo gli parve lo stesso guardando con rimorso.
“Direi
che
possiamo anche salutarci” disse.
Kakashi
non
sembrava d’accordo, ma rimase a terra a fissarlo con
frustrazione.
“Perché?”
sbottò. “Tu eri uno dei più fedeli,
perché stai tradendo Konoha?”
Un’ombra
strana passò nell’occhio rubino del cugino, la sua
espressione si fece
meditabonda e piena di risentimento. Sembrò pronto a
partire, ma poi cambiò
idea.
“Sasuke”
chiamò e lui sussultò suo malgrado.
“Dovresti chiedere a tuo padre se ha ancora
quell’ambizione”. Si voltò verso
Kakashi. “E tu… domanda a quel
vecchio Hokage se userà quell’ultima
soluzione”.
C’era
disprezzo e rabbia nel suo tono, come se stesse sfogando un rancore
millenario,
ma Sasuke non capì che cosa intendesse, quelle parole lo
lasciarono solamente
confuso. Non riuscì a dire niente e anche Kakashi rimase in
silenzio, le
sopracciglia aggrottate davanti a quelle parole che sembravano
nascondere
segreti pericolosi. Lo guardarono mentre faceva arrampicare Naruto
sulla
propria schiena, ma proprio quando era pronto a partire si
bloccò. Dandogli la
schiena, disse un’ultima cosa.
“Già
che ci
sei, Sasuke, chiedi a Itachi se conosce il posto dove la tartaruga
superò la
lepre a mezzogiorno”.
Provò
a
protestare che quella frase non aveva nessun senso, ma Shisui era
già sparito.
Naruto
con
lui.
Per un
secondo ci fu un silenzio sospeso e si sconvolse quando a interromperlo
fu
proprio Kakashi. Da quando erano una squadra non aveva mostrato una
sola
emozione, era rimasto un bastardo pigro e ironico per tutto il tempo.
Ma in
quel momento un grido di frustrazione lasciò la sua bocca,
così forte che
sembrò echeggiare per tutta la foresta. Sasuke
sussultò quando lo vide lanciare
un kunai contro il ramo da cui era sparito Shisui.
“Ancora!”
gridò. “Me l’hai portato via ancora”.
Quelle
parole risuonarono nella sua testa dolorose e presto si aggiunse quel bugiardo che Naruto aveva soffiato con
tanta veemenza. Aveva ragione, all’epoca Naruto sarebbe
potuto essere suo amico
se solo non avesse… se solo quella volta non fosse stato
così stupido. Forse
non se ne sarebbe andato.
Un
grugnito
gli uscì dalle labbra prima che se ne rendesse conto e
d’istinto si portò una
mano all’occhio. Il dolore alla testa era aumentato, era un
pulsare terribile
proprio dietro gli occhi.
“Sasuke-kun!”
sentì Sakura chiamarlo.
Poi le
ginocchia cedettero e si trovò svenuto a terra.
Ehi!
Ecco
il nuovo capitolo di questa nuova long :D
Iniziamo
subito con il botto e spero che la scena di azione non sia stata troppo
confusa
>.<’’ È sempre difficile
gestire così tanti personaggi che fanno tante
cose diverse, ma sono anche una cosa che adoro T_T Infatti, proprio
sulla scia
del manga canonico, ci sarà parecchia azione :D Anche molti
temi continueranno
a essere riproposti, anche se in chiavi diverse.
Ma non
divaghiamo! Vi è piaciuto? Ovviamente so che molte cose sono
senza risposta, ma
con i prossimi capitoli si verranno a sapere. Tipo come mai gli Uchiha
sono
riusciti a evitare il massacro o all’episodio che fa
riferimento Sasuke…
Faccio
anche un piccolo annuncio che esula dalla storia: purtroppo sono messa
malissimo con la sessione di esami, fino all’11 Settembre non
riuscì a
pubblicare nulla, quindi per quella data tutte le long sono ferme. Mi
dispiace,
ma ho due esami davvero grossi da dare! Rimedierò quando
avrò finito la
sessione u.u
Grazie
mille per aver accolto la storia con così tanto entusiasmo!
Sono felice che
l’idea vi piaccia!
Hatta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Rimpianti ***
Cap
III
Rimpianti
Naruto si
sistemò meglio sul ramo in precario
equilibrio mentre si sporse a osservare verso il basso. Nello spiazzo
d’allenamento c’era un bambino dai capelli
scurissimi e si stava allenando con
gli shuriken. Centrava sempre il bersaglio e Naruto si sentiva
tremendamente
geloso a quella dimostrazione di bravura.
Il bambino con i
capelli così neri da sembrare che si
fosse rovesciato addosso dell’inchiostro era un suo compagno
di classe, era il
migliore di tutti e sembrava sapere già tutto quello che i
maestri insegnavano.
Tutti lo lodavano e ammiravano, vinceva sempre le sfide di taijutsu e
prendeva
il massimo a ogni test. Non si era mai presentato ma sapeva che si
chiamava
Uchiha Sasuke, in realtà tutti ogni volta sembravano sapere
chi fosse senza
dovergli chiedere il nome.
Toccò
con le dita la propria sacca di shuriken, erano
tutti vecchi, opachi e con le punte smussate che spesso nemmeno si
conficcavano
ai bersagli. Quelli di Sasuke invece splendevano da quanto erano nuovi
e
tagliavano ogni cosa con i bordi affilati.
Sospirò
fra sé. Sapeva di non poter paragonare il suo
equipaggiamento di fortuna con quello degli altri, ma ora si vergognava
a
scendere per allenarsi. Chissà cosa avrebbe
detto… Sasuke era davvero figo,
mentre lui era l’ultimo morto della classe.
Ma
sarò il
futuro Hokage!
Con questa
consapevolezza si fece forza e scese
dall’albero, raggiungendo il campo di allenamento. Sasuke si
fermò non appena
si accorse di non essere più solo e si girò a
guardare chi fosse il nuovo
venuto con espressione sorpresa.
Del resto quel
campo di allenamento non lo usava quasi
mai nessuno. Era per questo che Naruto andava lì, in quel
modo non c’era mai
nessuno a testimoniare i suoi fallimenti.
A testa alta
tentò di fare del suo meglio per ignorare
gli occhi neri che si erano puntati su di lui. Tirò fuori i
suoi malandati
shuriken, ne prese una manciata e cominciò a tirarli contro
il bersaglio
davanti a lui. Ovviamente molti mancarono del tutto il bersaglio,
mentre quelli
che lo colpivano non si conficcarono e si limitarono a rimbalzare a
terra.
Sentì
una fitta di delusione, non che si aspettasse
davvero che le cose andassero diversamente, ma gli sarebbe piaciuto
fare una
buona figura davanti a Sasuke. Si costrinse a tenere lo sguardo fisso
davanti a
sé per non sbirciare la faccia derisoria che doveva aver
fatto l’altro bambino
alla sua dimostrazione di incapacità. C’erano
già i maestri e tutti gli altri a
ricordargli che era un fallito, non voleva vedere lo stesso sguardo.
“Tieni
male il polso”.
Sussultò
quando lo sentì parlare. Senza volerlo fece
un passo indietro e lo guardò diffidente, nonostante Sasuke
sembrasse
tranquillo.
“Cosa
vuoi?” sbottò in difensiva.
Le persone non
gli parlavano e quando lo facevano era
sempre per trattarlo male.
Sasuke strinse
gli occhi infastidito al tono brusco.
“Per
lanciare, metti il polso in questo angolo così”,
glielo mostrò, “è per questo che sbagli
mira. Se invece lo tieni così hai più
controllo. Così, vedi?” ripeté il gesto.
Naruto lo vedeva
bene, ma non abbandonava lo sguardo
sospettoso. Credeva fosse stupido come lo credevano tutti, per questo
lo stava
aiutando.
Soffiò
forte, fissandolo con rabbia.
“Non
mi serve il tuo aiuto, dattebayo!” gridò.
Gli diede
violentemente le spalle, tornando alla linea
di tiro. Suo malgrado però questa volta fece attenzione
all’angolazione del suo
polso, forzandosi per tenerlo come gli aveva appena mostrato il bambino
Uchiha.
Nonostante il lieve miglioramento, il risultato fu pressoché
lo stesso.
Sì
sentì deluso, ma rizzò le spalle e
guardò Sasuke
con sufficienza.
“Vedi?
I tuoi consigli sono inutili, puoi tenerteli
per te”.
Sasuke non
sembrò nemmeno accorgersi del suo tono,
aveva un’espressione pensierosa mentre fissava da vicino i
suoi shuriken.
“Usa i
miei”.
Quasi
saltò nel vederlo avvicinarsi con i suoi
shuriken nuovissimi in mano.
“Cosa?”
“Prova
a lanciare i miei” ripeté alzando gli occhi al
cielo, scocciato di doversi ripetere.
Lo
fissò cercando di capire che razza di scherzo
fosse, oppure stava aspettando che li prendesse in mano per iniziare a
urlare
che glieli aveva rubati? Non sapeva se fidarsi.
Sasuke
però doveva avere poca pazienza, perché davanti
alla titubanza nel bambino biondo glieli mise in mano senza tante
cerimonie.
“Adesso
prova” ordinò.
A Naruto non
piacque quel tono dispotico, ma visto che
non si era messo a gridare né era successo altro decise di
accontentarlo, era
anche curioso di provare la sensazione di impugnare armi nuove e non
rovinate.
Sgranò gli occhi con meraviglia quando gli shuriken andarono
a segno. Certo,
erano ancora molto lontani dal centro del bersaglio, ma non erano
caduti a
terra!
Un grido di
vittoria si liberò dalle sue labbra aperte
in un enorme sorriso, strinse il pugno con soddisfazione e si
voltò a guardare
Sasuke.
“Ci
sono riuscito, dattebayo!”
Sasuke
incrociò le braccia al petto, sul viso
l’espressione seria di un adulto che appariva ridicola con il
suo aspetto
infantile.
“Come
immaginavo, sono i tuoi shuriken. Sono troppo
vecchi e consumati, non riescono a penetrare il legno e hanno il
baricentro
spostato. Devi comprarne di nuovi, questi sono inutili”.
Davanti a quella
costatazione gli occhi di Naruto
bruciarono. Sapeva già da solo che non aveva buone armi,
come non aveva buoni
vestiti e buone scarpe, non aveva bisogno che qualcun altro glielo
ricordasse!
Quel set di shuriken gli era stato dato dal Sandaime quando aveva
iniziato
l’Accademia, insieme a qualche kunai e della attrezzatura
base – tutta di
seconda o terza mano. Gli aveva detto che erano le uniche cose che
poteva
dargli e quindi di non perderle o romperle. Erano tutto ciò
che poteva avere e
lo umiliava che quel bambino con i vestiti nuovi, sempre puliti e mai
strappati,
gli facesse notare quanto erano inutili.
“Non
ne compro altri” disse forzandosi di non mostrare
nessuna emozione.
Sasuke lo
fissò come se fosse stupido.
“Non
hai sentito? Ho detto che…”
“Sì,
ho sentito” lo interruppe arrabbiato. “Ma non
posso comprarne altri perché costano troppo!”
alzò la voce alla fine.
Ci fu un piccolo
silenzio e arrossì violentemente. Ora
Sasuke lo fissava più attentamente, gli occhi che si
soffermavano sui suoi
abiti usurati e di molte taglie più piccoli. Naruto si morse
la lingua per non
gridargli contro e si maledì interiormente per aver
confermato il suo status di
poveraccio davanti all’altro.
Fece per
andarsene e correre via, ma Sasuke lo fermò.
“Va
bene, allora ti lascio i miei”.
Sgranò
gli occhi sorpreso da quel gesto. L’Uchiha non
aveva nessuna espressione sul volto, era difficile capire cosa gli
stesse
passando per la mente.
“Ma
così tu resti senza!”
Fece spallucce.
“Dirò a mamma che li ho persi e me ne
comprerà un altro set, non preoccuparti”.
Naruto si
sentì spaesato a quel tono incurante e
guardò gli shuriken che gli stava offrendo, anche se non se
ne intendeva poteva
dire che avevano una fattura ottima e lui li stava cedendo senza un
secondo
pensiero. Ma del resto ne avrebbe comprati altri, non doveva
preoccuparsi di
contare i soldi mensilmente. Entrando all’Accademia Naruto
aveva scoperto che non
sono i bambini a preoccuparsi ai soldi, è un dovere che
aspetta ai genitori. Ma
lui non aveva i genitori, era un compito di cui doveva occuparsi da
solo. Lui
non aveva nessuna mamma che gli avrebbe comprato qualcosa solo
perché lo aveva
chiesto.
Strinse i pugni.
Non voleva mostrarsi debole, così
bisognoso e soprattutto non voleva sentirsi sminuito rispetto a lui.
Non prese gli
shuriken, mise le mani in tasca in una
posa indifferente. Ignorò la strana espressione delusa sugli
occhi neri e gli
diede la schiena per andarsene.
“Non
serve che me li regali, possiamo usarli insieme
mentre ci alleniamo. Ci vediamo domani”.
Il cuore gli
batteva così forte che sembrava volesse
uscire dalle costole, rimbombava nelle orecchie come un frastuono. Non
aveva
mai avuto un amico con il quale darsi appuntamento e non sapeva se
Sasuke lo
avrebbe rispettato.
Ma il giorno
dopo Sasuke venne, e quello dopo e quello
dopo ancora. Si allenarono insieme, inizialmente scambiandosi solo
alcune
parole fino a chiacchierare a ogni pausa, scambiandosi conversazioni
che
esulavano dall’allenamento.
Poi un giorno
Sasuke smise di venire e Naruto non
seppe mai perché.
**
Shisui
toccò Naruto delicatamente, ma si fermò nel
vedere gli occhi azzurri aperti.
“Credevo
stessi dormendo, sei stato molto silenzioso” disse.
Scrollò
le
spalle senza rispondere, cercò solo di allontanare i
ricordi. Aveva sempre
fatto del suo meglio per non pensare a Konoha, ma rivedere quelle facce
familiari aveva riportato a galla tutto quello che aveva tenuto chiuso
dentro
di sé.
“Siamo
quasi arrivati” lo avvertì Shisui.
Aveva un
tono di voce stanco, il viso imperlato di sudore e l’occhio
arrossato. Naruto
poteva sentire quanto fosse esausto e vicino alla privazione del
chakra. Del
resto erano ore che stava correndo usando lo shunshin per spostarsi,
tenendolo
sulla schiena. Non si erano riposati un solo secondo e ormai era notte,
la luna
era salita sul cielo da molte ore.
Vide la
parete rocciosa che si stava avvicinando sempre più
velocemente verso di loro,
ma non batté ciglio. Attraversarono l’illusione
senza rallentare e atterrarono
su uno spiazzo roccioso davanti a una caverna. Si trovavano nel paese
dell’Erba, al confine con il Paese della Terra, motivo per
cui la zona era così
montuosa.
Naruto
scivolò dalla schiena di Shisui sentendosi tutto irrigidito,
le giunture
doloranti dopo essere stato bloccato nella stessa posizione rigida per
tutto il
viaggio. Shisui invece crollò proprio sulle ginocchia,
esausto e ansimante.
“Casa”
riuscì solo a boccheggiare prima che dal cunicolo uscisse
una figura.
Quel
caschetto di capelli blu sarebbe stato riconoscibile ovunque, anche
nella
notte. Konan li guardò soppesando attentamente le loro
condizione, gli occhi
dorati che brillavano di sollievo e preoccupazione. La cappa
dell’Akatsuki
nascondeva completamente il suo corpo.
“Siete
in
ritardo” disse. “Cos’è
successo?”
Shisui
prese un lungo respiro, la mano premuta sulla milza per attenuare la
dolorosa
sensazione dei crampi. Non sapeva bene come rispondere, spiegare il
motivo per
cui erano arrivati così tardi rispetto all’orario
concordato implicava troppo.
“Shinobi
di
Konoha ci hanno trattenuto” ammise.
Konan si
irrigidì, l’espressione che si fece più
tesa.
“Li
abbiamo
seminati ancora nel Paese del Fuoco” la rassicurò.
Ma
bastò
appena, la donna continuava a fissarli con apprensione in palese attesa
di
maggiori informazioni. Shisui si sentiva riluttante a lasciarle, non
voleva
ammettere che Naruto era fuggito al suo controllo e che uno dei ninja
che li
aveva beccati era proprio Hatake fottuto
Kakashi.
Obito
sarebbe uscito di matto.
“È
colpa
mia”.
Shisui
sussultò e alzo lo sguardo su Naruto. Il ragazzino aveva
stretto i pugni e
teneva il viso rivolto a terra, da lì poteva vedere
l’espressione amareggiata.
“Nel
paese
vicino al rifugio stavano facendo un festival, volevo andare a vederlo
anche se
sapevo che non potevo. Ho usato una henge per non essere
riconosciuto” spiegò.
Sbirciò l’espressione di Konan prima di
riprendere. “Ho incontrato… un bambino
che era in classe con me… non mi ha riconosciuto, ma sono
rimasto con lui e ho
perso la cognizione del tempo. Lui era…”, la sua
voce tremò un po’, “Sasuke,
Uchiha Sasuke, e adesso è un genin. Il suo sensei di
riferimento è Hatake
Kakashi”.
Appena
disse quel nome Konan si irrigidì, indovinando dove stesse
andando a parare.
“Lui
ha
visto oltre l’henge e mi ha smascherato. Ho provato a
scappare ma lui mi stava
per prendere ma poi è arrivato Shisui e mi ha portato
via” concluse in un solo
fiato. “Mi dispiace” pigolò.
Konan
tornò
a guardare Shisui in cerca di una conferma. Lui annuì.
“È
andata
così”.
“Siete
feriti?”
“Solo
qualche graffio. Naruto sta bene, non ho permesso lo toccassero.
Io… sono
sull’orlo di un esaurimento di chakra”.
Sospirò.
“Spero tu riesca ancora a camminare”.
Fece
cenno a
entrambi di seguirla dentro la caverna. Shisui si rialzò a
fatica e si
inoltrarono dentro il cunicolo buio, solo dopo qualche passo una serie
di torce
alle pareti si accesero automaticamente illuminando
l’ambiente. Più si
inoltravano più si aprivano strade secondarie e il corridoio
in pietra si
snodava nella terra, ma Konan proseguì con sicurezza davanti
a loro. I rumore
dei loro passi sulla pietra riecheggiava nel silenzio.
Davanti
all’ennesimo incrocio, Konan si fermò.
“Vai
pure a
riposarti, Shisui. Riferisco io a Madara cos’è
successo”.
Shisui
fece
una smorfia a sentire Obito chiamato in quel modo e anche Naruto si
morse il
labbro, non era mai un buon segno quando era la personalità
di Madara a essere
quella più prominente.
“Va
bene”
disse l’Uchiha con un sospiro.
Lasciò
una
carezza sui capelli arruffati del ragazzino prima di trascinarsi verso
la sua
stanza e buttarsi sul letto per fingersi morto.
Naruto
seguì ancora Konan finché non lo portò
alla fine del tunnel, che si aprì in
un’enorme stanza scavata nella pietra, dal soffitto
altissimo. Il corridoio
proseguiva in una piattaforma rialzata di molti metri rispetto al
pavimento, al
termine di cui un uomo dagli abiti scuri era seduto. Accanto a lui
c’era una
maschera arancione, segno che non la stava indossando.
“Sono
tornati” disse Konan, anche se era inutile dal momento che il
loro chakra era
stato percepito non appena avevano messo piede nel rifugio.
Naruto
camminò fino ad arrivare il fianco di Obito.
Guardò il su profilo cercando di
indovinare il suo umore. Era dal lato sfregiato, l’occhio
rosso era rivolto
verso lo spazio vuoto di quella sala gigantesca.
“Perché
questo ritardo?” chiese secco, il fastidio percepibile nel
tono.
Naruto
esitò, un conto era dire quello che era successo a Konan,
che era sempre così
tranquilla e rassicurante, un conto a Obito, aveva paura di come
potesse
reagire e di deluderlo.
“Hanno
incontrato Hatake Kakashi” rispose altrettanto secca e
brutale la donna, senza
preoccuparsi di addolcire la pillola con qualche rassicurazione
preliminare.
La
reazione
di Obito fu immediata. Trattenne di colpo il fiato e il suo occhio si
spalancò,
afferrò subito Naruto portandoselo in grembo. Le sue mani
corsero per tutto il
corpo, così lo sguardo scrupoloso, in cerca di una qualsiasi
ferita.
“Che
cosa
ti ha fatto?!” ringhiò piano.
Si
lamentò
per i gesti bruschi, il senso di colpa fece arrossire le sue orecchie
nell’accorgersi di quanto quella sola frase lo avesse fatto
preoccupare.
Ma era
bello che si preoccupasse.
“Niente”
soffiò piano.
Obito
dovette credergli davanti alla costatazione che non aveva ferite. Anche
i
piccoli tagli che si era fatto sui palmi delle mani cadendo si erano
già
rimarginati. Non abbandonò comunque la presa su di lui,
tenendolo fermo.
“Cos’è
successo?” chiese con la rabbia che vibrava nel tono.
Fu Konan
a
rispondere, replicando quello che poco prima gli aveva detto Naruto.
Obito
ascoltò in silenzio senza fare domande, la mascella si
indurì quando capì che
Naruto era scappato volontariamente
alla
sorveglianza di Shisui, disubbidendo ai suoi ordini.
Naruto
capì
di essere nei guai quando la stretta su di lui aumentò fino
a essere dolorosa.
“Lo
sai che
non puoi farti vedere in giro”.
Le
parole
di Obito erano piatte, il tono gelido come il ghiaccio più
appuntito. Lo fece
formicolare nel senso di colpa.
“Credevo
non mi riconoscessero…”
“In
ogni
caso saresti dovuto scappare non appena avevi visto che
c’erano shinobi di
Konoha” lo riprese.
Naruto
abbassò gli occhi. Non poteva dirgli che se non
l’aveva fatto era perché c’era
Sasuke, l’unico bambino che avesse provato a essere suo
amico. Anche se non era
propriamente corretto, alla fine Sasuke si era dimostrato orribile con
lui come
tutti gli altri. Ma in quel momento… non era riuscito a
trattenersi, era troppo
curioso di sapere come sarebbe stato se effettivamente fossero
diventati amici.
“Mi
dispiace” mormorò.
Si
aspettava una carezza sui capelli, il tono ammorbidito di Obito che gli
assicurava che avrebbero risolto la cosa. Ma non avvenne nulla di tutto
questo.
Al contrario l’Uchiha lo lasciò andare e si
alzò.
“Quello
che
hai fatto è grave, Naruto” sottolineò.
“Hai messo in pericolo te stesso, Shisui
e tutti noi. Sai cosa sarebbe successo se ti avessero
catturato”.
Il viso
gli
bruciò dalla vergogna. “Lo so”.
“So
che
soffri questo, Naruto. Ma almeno quando sei nel Paese del Fuoco non
allontanarti da noi. Non sei ancora abbastanza forte”.
Strinse
le
spalle a quell’ultima argomentazione e si
raggomitolò in se stesso. Perché alla
fine era lì che si andava sempre a parare, che racchiudeva
tutto: non era
forte. Era solo ancora un bambino debole da proteggere. Anche dopo
tutto
l’allenamento a cui lo sottoponevano non era abbastanza. Non
aveva potuto fare
nulla quando Shisui si era scontrato con Kakashi, non era riuscito
nemmeno a
resistere a Sasuke finendo per essere quasi catturato.
“Mi
dispiace”
ripeté, questa volta con il tono roco e gli occhi che
bruciavano.
Percepì
un
ammorbidimento da parte di Obito, il suo chakra si quietò in
parte lasciando
una sensazione diversa: non più rimprovero e delusione, ma
un bisogno istintivo
di confortare. Eppure, nonostante questo cambio, Obito non
allungò nessun gesto
verso di lui, restò distante.
“Lo
so”
disse. “Ma voglio che tu lo capisca. Resterai qui da solo
questa notte come
punizione”.
Naruto
alzò
lo sguardo sorpreso e ferito. Obito evitava di guardarlo.
“Partiamo
domani all’alba per Ame. Fatti trovare sveglio”.
Strinse
le
labbra, deciso che non avrebbe supplicato come un bambino, non questa
volta. Si
sentì comunque un po’ morire dentro quando vide
sia Obito che Konan uscire
dalla stanza, la porta chiusa dentro di loro. Naruto non aveva bisogno
di
alzarsi e tirare per sapere che era sigillato.
Era
rimasto
solo.
Si
lanciò
all’indietro con la schiena, stendendosi sulla dura terra
della piattaforma.
Chiuse gli occhi e si lasciò precipitare nella propria
coscienza. In realtà non
era solo, non lo era mai per davvero.
Quando
riaprì gli occhi la caverna era cambiato e
dell’acqua lambiva tutta la sua
figura. Sbirciò oltre le sbarre che erano improvvisamente
comparse e sorrise.
Un
brontolio arrivò dall’oscurità.
“Dannato moccioso…”
**
Sasuke
cercò di superare velocemente il gruppo di
ragazzini. La campanella era già iniziata e
l’intervallo terminato, non gli
piaceva fare tardi in classe. Ma la strada era sbarrata da un gruppo di
ragazzi
che a giudicare dalla stazza ingombrante dovevano essere di qualche
classe
successiva. Almeno non sembravano avercela con lui, si rivolgevano
malevoli a
un bambino magrolino e biondo, si rese conto di conoscerlo e si
bloccò.
Ma era tutto
così strano, vedeva tutto distorto come
se stesse guardando attraverso un vetro sfocato; alcuni movimenti erano
lenti
come se fossero immersi nell’acqua, altri così
veloci da fargli girare la
testa. Non sentiva i rumori, Naruto stava parlando ma la bocca si
apriva e
chiudeva senza far uscire nessun suono. Sentiva solo il trillo acuto
della
campanella, così forte che avrebbe potuto rompergli un
timpano.
Gli veniva la
nausea, aveva la sensazione di non
essere lì davvero. Cercò di capire cosa stesse
dicendo Naruto, provò a seguire
il movimento della bocca. Amico.
Era suo amico?
Si ricordò che si erano allenati
insieme di nascosto, bastava quello per considerarlo come tale? Poi
ricordò
improvvisamente che sua madre gli aveva chiesto di non vederlo
più, suo padre
invece glielo aveva ordinato; non voleva deludere i suoi genitori, non
poteva
essere suo amico.
Fece un passo
indietro, le parole gli uscirono
estranee come se fosse un altro a parlare al posto suo.
“Cosa
vuoi? Lasciami in pace… sfigato” aggiunse.
Naruto lo
fissò ferito, un’espressione così acuta
che
sembrò trapassarlo come una scheggia di vetro. Sasuke
distolse lo sguardo e
scappò via, dentro la classe e non rivolse più
attenzione a quello che stava
succedendo.
Ma appena
varcò la porta, la stanza non c’era più
ed
era finito dentro un sottobosco. Accanto alle sequoie giganti della
Terra del
Fuoco, con l’erba che arrivava alle sue ginocchia,
c’era un Naruto più alto,
sporco e selvaggio, i capelli più lunghi e lo sguardo
più ferino.
“Bugiardo”
sibilò.
E Sasuke
sentì delle mani sul collo soffocarlo.
Si
svegliò
di colpo, ansimando. Il terreno sotto di lui continuava a sussultare in
un
continuo dondolio, si rese subito conto di essere steso su un carro.
“La
Bella
Addormentata si è svegliata”.
Il tono
pigro e familiare del suo sensei gli provocò una fitta alla
tempia, si sentiva
la testa pulsare e anche gli occhi continuavano a fargli male.
Registrò quello
che aveva detto e a fatica si tirò a sedere. Si accorse
così di essere su un
calesse, un contadino stava guidando i cavalli dando loro le spalle.
Kakashi
aveva la solita espressione poco presente, mentre quella di Sakura era
piena di
preoccupazione.
“Sasuke!
Come stai?”
I tono
della compagna di squadra era troppo acuto, strinse gli occhi e
cercò di
rimettere in ordine i pensieri.
“Per
quanto
sono stato svenuto?”
“Non
molto”
lo rassicurò Kakashi, per una volta non aveva il viso
affondato tra le pagine
di un porno. “Il tempo di trovare un passaggio. Fra poco
saremo a Konoha”.
Si
guardò
attorno, cercando di scacciare i rimasugli di quel sogno. Anche se non
era
proprio un sogno, era un ricordo che la sua mente aveva rielaborato
dopo gli
ultimi avvenimenti. Naruto aveva appena scatenato il senso di colpa che
aveva
tenuto a bada per tutto quel tempo, una parte di lui si era sempre
sentito
colpevole di non aver difeso Naruto quel giorno.
Quando i
suoi genitori avevano scoperto che aveva iniziato a passare del tempo
con quel
bambino che tutti evitavano, gli avevano ordinato di smetterla e non
parlargli
più, di non lasciarsi coinvolgere in alcun modo da lui.
Sasuke all’epoca era
così disperato di avere anche un solo grammo di approvazione
da parte di suo
padre che aveva accettato senza porre domande. Non era più
andato al loro campo
di allenamento, all’Accademia aveva fatto finta che non
esistesse e quell’unica
volta che aveva parlato di un loro possibile legame davanti agli altri
aveva
negato crudelmente. Qualche giorno dopo Naruto era sparito e una parte
di lui
aveva sempre avuto la sensazione che fosse colpa sua.
È
stata davvero colpa mia?
Si
stropicciò gli occhi, più si inoltrava in quei
pensieri più bruciavano. Ma era
una sensazione diversa dal bisogno di piangere, era come se li avesse
sforzati
troppo.
Se avessi
disubbidito a papà sarebbe rimasto? Saremmo
stati amici?
“Sasuke,
attento. Ti stai per riaprire la ferita” lo avvisò
Himawari.
Si
accorse
solo in quel momento che non stava più sanguinando. Passando
le dita sentì un
cerotto.
“Ti
ho
curato io” gongolò fiera la compagna di squadra.
Grugnì
affermativo e tornò a strofinarsi gli occhi. Doveva aver
preso una botta
davvero forte, gli sembrava che la testa si stesse spaccando in due.
Sentì
che
Kakashi lo chiamava, ma non rispose troppo concentrato a lottare contro
quella
sensazione. Sembrava essere collegata direttamente al dolore nel petto,
quello
che i rimpianti avevano causato.
Sussultò
quando Kakashi lo afferrò con decisione al mento,
costringendolo a guardarlo,
mentre con l’altra mano allontanava il suo pugno dagli occhi.
Il volto del
sensei gli apparve chiaro come non mai, riusciva a vedere le sfumature
di
grigio nel suo occhio pigro, distinguere le ciglia chiarissime e vedere
i pori
della pelle.
“Complimenti,
Sasuke” disse lento. “Hai risvegliato il tuo
sharingan”.
Non
reagì,
troppo sorpreso dalla rivelazione. Aveva sempre immaginato che i suoi
occhi si
rivelassero durante una battaglia, sul momento non ci credette nemmeno.
Sbatté
le palpebre, guardando le sue compagne di squadra. Entrambe avevano
espressioni
sbigottite, ma la prima a riprendersi fu Sakura che gli tese il suo
coprifronte
per specchiarsi. Mentre lo prendeva gli tornarono alla mente le parole
che
aveva detto Naruto quel pomeriggio.
Per lo
sviluppare lo sharingan devi provare un forte
dolore emotivo.
Fissando
il
riflesso di due iridi rosse, Sasuke capì che gli aveva detto
la verità.
Lungo
ritardo, ma alla fine il terzo capitolo è arrivato :D
Ora
è più
chiaro il rapporto tra Naruto e Sasuke. Prima che Naruto lasciasse il
villaggio
avevano tentato una sorta di amicizia impacciata, che è
crollata non appena i
genitori di Sasuke gli hanno proibito di stare con lui. Naruto non sa
che è per
questo, motivo per cui ci è rimasto così male.
Invece posso tranquillamente
anticiparvi perché sia Fugaku che Mikoto non volevano che
Sasuke si avvicinasse
a Naruto, o meglio al Jinchūriki del Kyūbi: siamo nel post
attacco-Kyūbi, l’intero
villaggio è convinto che siano stati gli Uchiha a
organizzarlo e sicuramente
non avrebbero preso bene un avvicinamento del clan (grazie a Sasuke) al
Jinchūriki; per tenere le acqua più calme Fugaku ha
preferito tenere lontano i
due. Ecco qui.
In ogni
caso Sasuke ha i suoi motivi per sentirsi in colpa, abbastanza da
giustificare
lo sharingan spero :D Esatto, in questa versione è
così che Sasuke lo sviluppa,
dopo aver ritrovato e perso ancora il suo primo (quasi) amico <3
spero vi
sia piaciuta come idea!
Fa anche
la
sua comparsa Konan, che in questa storia sarà un
po’ la sorella maggiore di
tutti xD Deve anche dire che in futuro avrà un piccolo ruolo
collegato a
Sakura, ma non faccio spoiler <.< e Obito! Obito che ha
un leggero
attaccamento morboso per Naruto xD Qui è stato abbastanza
duro, ma vi prometto
che ci sarà abbastanza fluff da loro due *^* Ovviamente
niente di romantico,
come detto non so ancora come finiranno le coppie, quindi per ora
godiamoci il
fluff gratuito :D
Grazie
per
le recensione e grazie per aver sopportato l’attesa. Sto
ancora arrancando per
via dell’università, ma continuerò ad
aggiornare le mie storie. Grazie, grazie
e ancora grazie per seguire questa!
Hatta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Mattina ***
Cap
V
Mattina
Shisui
atterrò davanti al tempio Naka circospetto.
Nella sua ronda al distretto aveva percepito qualcuno lì
dentro. Poteva
trattarsi di un qualsiasi Uchiha, ma da un po’ era stato
imposto che dopo la
mezzanotte nessuno entrasse nel tempio. Chiunque si fosse introdotto
doveva
essere allontanato.
Il suo istinto
gli suggeriva di muoversi circospetto e
Shisui, senza ben sapere perché, si ritrovò ad
assecondarlo. Entrò silenzioso
come un gatto, sopprimendo la propria presenza e respirando senza far
rumore.
Dentro erano state accese delle fiaccole, che lanciavano coni di luce
sul
pavimento. Nella penombra vide una figura avvolta in un pesante
mantello nero,
la maschera che indossava lo mise subito in allarme. Sguainò
la sua spada corta
e si mise in posa difensiva.
“Chi
sei?”
Il suo ringhio
echeggiò tra le pareti del tempio, ma
la figura sconosciuta non sussultò. Lentamente si
voltò a fronteggiarlo, c’era
solo un foro sulla maschera e l’occhio che rivelava aveva un
iride che Shisui
conosceva molto bene.
“Sei
un Uchiha” considerò. “Chi sei? Che ci
fai qui?”
Era pronto a non
ricevere risposta, ma lo sconosciuto
parlò.
“Chi
sono non ha importanza. Per quanto concerne la
mia presenza… Sono qui per prendere atto di una grande
menzogna”.
La voce
dell’uomo era pesante, Shisui era certo di non
averla mai sentita. Ma conosceva tutti gli Uchiha che avevano
sviluppato lo
sharingan, era impossibile che non riuscisse a identificarlo.
Ignorò
le sue enigmatiche parole, il sudore freddo gli
colò sul retro del collo mentre realizzava di avere
probabilmente un nuniken
davanti a sé.
“Non
sei del Villaggio, vero?”
“No”
ammise lo sconosciuto come se non fosse un
problema rivelarlo. “L’ho lasciato molto tempo
fa”.
Cazzo, questo lo
rendeva davvero un traditore. Ma era
impossibile: da generazioni non esistevano nukenin Uchiha. Il clan era
così
geloso della propria linea di sangue da assicurarsi che non ci fossero
Uchiha
outsider a Konoha.
In tutta la
storia, ne era esistito solo uno.
Deglutì.
“Sei Uchiha Madara?”
Ci fu un lungo
silenzio da parte dell’uomo, forse era
riuscito a sorprenderlo. Poi lo sentì emettere un suono
strano, come un rantolo
soffocato. Si rese conto che stava ridendo amaramente.
“Ciò
che resta della sua volontà” ammise.
Shisui
cercò di non permettere alla sorpresa di
paralizzarlo. Anche se Madara avrebbe dovuto morire anni fa, era
comunque uno
dei più grandi shinobi della storia, insuperabile da
chiunque. Non era assurdo
che le sue capacità gli avessero impedito di invecchiare.
Ma, cazzo,
Uchiha Madara al villaggio. Non era una
buona notizia. Il panico iniziò a circolargli nelle vene.
“Sei
il nipote di Uchiha Kagami, vero? Ho sentito
parlare di te. Ti considerano l’Uchiha più dotato
di questa generazione”.
Shisui fu
riportato alla realtà dalle parole di
Madara, aumentò la presa sull’elsa e si
sforzò di muoversi per attaccare.
Madara dovette intuire le sue intenzioni.
“In
circostanze diverse mi sarei misurato con te
volentieri. Ma non sono qui per combattere, rilassati”.
Shisui non si
rilassò affatto.
“Allora
che cosa ci fai qui?” domandò aspro.
“Sono
qui per la conoscenza” disse e voltò la testa.
Shisui
seguì la direzione del suo sguardo e vide le
tavolette degli Uchiha, quelle che contenevano la conoscenza secolare
del suo
clan, ogni segreto dello sharingan. Le aveva lette quando aveva
sbloccato la
propria arte oculare.
“Che
cosa c’è che Uchiha Madara non conosce dello
sharingan?” chiese genuinamente confuso.
Madara rise
ancora. “Non mi interessa la superficie,
ma quello che ci sta sotto. Quello che solo certi occhi possono
vedere”.
Nel dirlo, lo
sharingan visibile dal foro della
maschera roteò su se stesso fino a
cambiare in una nuova figura geometrica. Shisui
fissò il Mangekyo di
Madara e, prima che se ne rendesse conto, anche i suoi occhi si erano
illuminati nel mostrare il suo Mangekyo Sharingan.
“Oh”
commentò lievemente impressionato Madara. “Le
voci sul tuo conto sono esatte. Sei davvero dotato”.
Shisui
disattivò lo sharingan e si maledì per aver
permesso che succedesse, non aveva intenzione di mostrare la sua arma
segreta.
Semplicemente qualcosa in lui aveva reagito d’istinto.
“Quindi
hai letto cosa nascondono le tavole” continuò
Madara.
“No”
rispose. “Gli anziani lo hanno vietato”.
Madara rise con
sprezzo. “Vedo che continuano a essere
vecchi sciocchi. Non importa, troveresti scritto soltanto il
più intricato e
antico inganno del mondo shinobi: l’illusione della
pace”.
Un campanello di
allarme suonò nella testa di Shisui e
la sola prospettiva lo fece sbiancare.
“Sei
qui per il colpo di stato?” soffiò.
Era impossibile
decifrare Madara con quella stupida
maschera.
“No.
Non ho più interesse nel clan o in questo stupido
villaggio”.
“E
allora cosa vuoi?” sbottò.
Madara si
fermò, come se fosse stato davvero colpito
da quella domanda. Il silenzio durò solo qualche secondo, ma
fu così pesante da
opprimere Shisui.
“Non
lo so” disse infine. “Ormai non
c’è più nulla,
tutto è solo una bugia. Non c’è
più modo di redimere questo mondo”.
Quelle parole
sembravano il preludio a una distruzione
e una realizzazione folgorò Shisui.
“Sei
stato tu, otto anni fa. Tu hai… liberato il
Kyūbi” balbettò.
Nonostante la
maschera ebbe quasi il sospetto che
Madara stesse sorridendo beffardo sotto di essa.
“Non
dire a nessuno che mi hai incontrato, Uchiha
Shisui” disse. “Se lo farai, ucciderò
personalmente tutti quelli che ami”
minacciò.
Il secondo dopo
sparì, come inghiottito nell’aria,
come un fantasma che non era mai stato lì. Solo quando fu
solo, Shisui si ricordò
di nuovo di respirare.
Mantenne il
segreto. Tanto nessuno gli avrebbe creduto
comunque.
**
Il sole
era
già sorto, ma per via delle alte montagne che circondavano
il rifugio non si
vedeva da nessuna parte. Il cielo era ancora nero quando Deidara
atterrò con il
suo gigante uccello d’argilla.
“Bene,
credo sia giusto dirvi che non sono dell’umore”
iniziò subito il bombarolo
incrociando le braccia al petto. “Kakuzo non vuole darmi i
soldi per comprare
altra argilla, quindi sono piuttosto arrabbiato. Tobi, per favore, ho
bisogno
di essere lasciato in pace, non iniziare a fare il
coglion…”
Obito lo
superò senza dire nemmeno una parola. Indossava la maschera
arancione, quindi
era per lo più impossibile capire quale fosse la sua
espressione, ma il
linguaggio del suo corpo teso, secco e curvo era abbastanza
comprensibile.
Obito era incazzato e non aveva voglia di scherzare nelle sembianze di
Tobi.
Deidara
lo
guardò incredulo – e anche un po’ offeso
– che l’Uchiha non si fosse messo a
chiamarlo senpai, a gridare,
supplicare per avere più dettagli sul suo cattivo umore per
poi insultare
insieme Kakuzo. Invece andò a sedersi in un punto in
disparte dello spazio da
viaggio che aveva creato per il volo.
Guardò
Konan, in cerca di spiegazioni. “Che ha?”
La donna
scrollò le spalle. “Ci sono state
complicazioni”.
“Almeno
abbiamo quella pergamena?”
“È
stata
recuperata” garantì.
Il terzo
e
ultimo a salire fu Naruto, l’espressione molto assonnata. Non
andò, come
sarebbe stato prevedibile, a sedersi al fianco di Tobi, per appoggiare
la
testolina su di lui e riprendere a dormire. Si mise invece dalla parte
opposta,
dando le spalle all’adulto.
“Le
complicazioni… cioè hanno litigato?”
domandò Deidara curioso.
Da
quando
era nella squadra – be’, da appena un anno in
realtà – aveva visto i due andare
solo d’amore e d’accordo, erano quasi disgustosi da
quanto si volevano bene.
Finalmente sembrava essere successo qualcosa di interessante.
Nessuno
gli
rispose, ma il silenzio teso era una chiara risposta affermativa.
Peccato che
nessuno sembrava voler aggiungere qualcosa in più, cosa che
lo infastidì. Il
silenzio prolungato era scomodo, non vedeva l’ora di
ripartire; inoltre era
abbastanza freddino la mattina così presto, specialmente tra
le montagne.
“Shisui
dove sarebbe?” sbraitò Deidara vedendo che dopo
Konan nessun altro stava
salendo sull’uccello di creta.
Finalmente
Tobi prese la parola. Ma il suo tono non era quello di un adolescente
spensierato e goffo, ma molto oscuro e serio. Deidara lo aveva sentito
raramente parlare in quel modo e mai rivolgendosi a lui.
“Il
ragazzo
ha un appuntamento galante” disse sprezzante.
“Partiamo senza di lui, ci
raggiungerà.”
Deidara
non
si mise a discutere e non domandò cosa intendesse. Il tono
definitivo era
abbastanza perché facesse prendere il volo alla sua creatura
di creta e chakra.
**
A
dispetto
delle sue previsioni, la mattina non piovve. Quando un raggio del sole
appena
nato lo colpì al viso, Itachi aprì gli occhi
osservando fuori dalla finestra un
cielo limpido e privo di nuvole. Kakashi era al suo fianco, gli occhi
chiusi e
il fiato regolare. Ma Itachi sapeva che il compagno si era svegliato
nel suo
stesso momento. Kakashi aveva uno dei sonni più leggeri che
conoscesse,
sembrava essere vigile dell’ambiente circostante anche mentre
dormiva.
Pur
sapendo
ciò, si rivestì il più silenziosamente
possibile. Erano comunque le cinque di
mattina, non era il caso di creare troppo chiasso.
Stava
per
andarsene quando avvertì delle dita aggrapparsi alla sua
maglietta. Si voltò,
vedendo Kakashi con gli occhi socchiusi e un sorriso appena
percettibile.
“Torna
vivo” disse l’Hatake con tono assonnato.
Itachi
sorrise. “Ovviamente”.
Il cuore
gli batteva impazzito per quello che stava per fare.
**
Naruto
emise un sospiro di sollievo quando vide la statua dell’uomo-che-faceva-la-linguaccia-a-bocca-aperta
avvicinarsi. Ame
era ormai la sua casa da quattro anni, ma la perenne pioggia era
qualcosa a cui
non si sarebbe abituato mai.
Poco
dopo
entrarono all’interno della statua, atterrando nel grande
spazio coperto. Fu un
sollievo non essere più colpito dalla pioggia, Naruto si
sentiva bagnato fin
dentro le ossa.
Pain li
stava aspettando, gli inquietanti occhi concentrici del rinnegan si
soffermarono su ogni membro che scese dal mezzo volante.
“Dov’è
Shisui?”
“A
un
appuntamento galante” replicò con stizza Obito.
Gli passò al fianco senza
guardarlo o togliersi la maschera. “Abbiamo recuperato il
Rotolo”.
Pain non
batté ciglio, la sua faccia rimase impassibile. La sua
inespressività
inquietava sempre Naruto, era così diverso da…
Nagato. Nagato gli sorrideva
gentile, mentre sospettava che Pain non potesse nemmeno farlo.
Attesero
che Konan li raggiungesse, poi i tre sparirono per analizzare il nuovo
bottino
ottenuto.
Deidara
lì
guardò allontanarsi e tirò su con il naso.
“Grazie
per
l’amorevole benvenuto” disse al nulla, ma poi
scosse la testa rassegnato e
guardò il bambino al suo fianco. Naruto era fradicio come un
pulcino. “Bagno
caldo, suona bene?” propose, anche lui scomodo nei vestiti
gelidi.
“Sì,
per
favore” pigolò Naruto.
“Così
magari mi racconti anche che cosa ha fatto da far incazzare
così tanto Tobi”.
Nonostante
il tono allegro di Deidara, Naruto non era molto entusiasta della
proposta.
**
Sasuke
era
concentrato mentre studiava uno dopo l’altro i vari rotoli.
Aveva passato tutta
la notte sveglio a pensare e ripensare quello che Naruto gli aveva
detto sullo
sharingan. Alla
fine era giunto alla
conclusione che l’unico modo che aveva per risolvere quel
dubbio era vedere
cosa era stato tramandato dal clan.
Appena
sveglio era sgattaiolato nello studio personale di suo padre e aveva
cercato
all’interno dell’archivio, sapeva che lì
dentro era tenuti tutti i segreti del
clan, compreso lo sharingan. Sapeva anche che potevano essere letti
solo da chi
possedeva l’arte oculare, ma ormai quello non era
più un problema.
A quel
pensiero si passò le dita all’angolo di un occhio,
pensieroso. Faticava ancora
a relazionarsi con il pensiero che finalmente aveva risvegliato lo
sharingan,
ma era stato così veloce, inaspettato…
“Sasuke,
cosa ci fai qui?”
Il
bambino
sussultò quasi facendo cadere la pergamena che aveva in
mano. Era inginocchiato
sull’ultimo cassetto di un grande armadio, i rotoli sparsi
attorno a lui come
testimonianza della sua malafatta.
Si
voltò
vedendo suo padre sulla soglia, era stato così concentrato
nella sua ricerca da
dimenticare quello che lo stava circondando. Che stupido errore da
principiante!
Abbassò
gli
occhi colpevole. Non sapeva se aveva o meno disubbidito a una regola,
ma il
semplice fatto che fosse lì senza permesso gli sembrava un
motivo sufficiente
per sentirsi in colpa.
“Io…
cercavo informazioni sullo sharingan” ammise.
Si
aspettava che suo padre lo rimproverasse, invece lo vide scuotere
soltanto la
testa con un misto di esasperazione. Gli andò al fianco e
raccolse le pergamene
che aveva lasciato in giro, rimettendo ognuna al suo posto.
“Ogni
buon
shinobi sa cercare da solo le informazioni che cerca,” disse
seccato, “ma in
questo caso avresti potuto rivolgerti a me. Cosa vuoi sapere di
specifico?”
Sasuke
non
aveva nessuna intenzione di sprecare quell’occasione.
“Come
si
sviluppa lo sharingan? Deve accadere qualcosa in particolare, o
avviene…
casualmente?”
Suo
padre
non lo guardò, continuò a rimettere ogni cosa a
suo posto mentre rispondeva.
“Raramente
qualcosa succede per caso nel mondo shinobi. Un Uchiha è in
grado di
risvegliare lo sharingan solo dopo aver raggiunto una forza sufficiente
a
padroneggiarlo. Soprattutto deve possedere abbastanza controllo sul
chakra da
bilanciare il suo utilizzo senza prosciugarsi all’istante.
Per questo motivo
non c’è un’età precisa in cui
si può svilupparlo e non tutti gli Uchiha lo
possiedono, dipende dalla forza del singolo”.
Sasuke
annuì fra sé. Questo era esattamente quello che
gli era stato insegnato per
tutta la vita, quello che aveva sempre saputo. Ma le parole di Naruto e
quello
che era successo il giorno prima davano un’altra spiegazione.
Sasuke sapeva di
non avere ancora un controllo sul suo chakra perfetto, doveva ancora
imparare
ad arrampicarsi correttamente sugli alberi senza usare le mani. Eppure
aveva
risvegliato lo sharingan.
“Molti
dicono di aver risvegliato il proprio in un momento in cui hanno dovuto
forzare
i propri limiti. Probabilmente è questo il fattore causante,
lo sforzo che
porta al risveglio” concluse suo padre.
Si morse
le
labbra, pensandoci su. Effettivamente aveva fatto uno sforzo a cui non
era abituato
per controllare il chakra incontrando Naruto, che lo aveva costretto a
saltare
sui tetti delle case. Aveva imparato a farlo in modo stabile solo in
quel
momento. E anche il piccolo scontro con Shisui, forse
l’adrenalina in circolo
aveva spinto il suo corpo oltre il limiti a cui era abituato.
“Mi
sembri
confuso”.
La
domanda
implicita di suo padre lo riscosse. Si morse le labbra, non sapendo
come spiegarsi
senza sbilanciarsi troppo, soprattutto senza rivelare troppo.
“Mi
è stato
detto che lo sharingan si sviluppa solo dopo un forte
dolore… emotivo”.
Quando
lo
disse non si aspettava di ricevere una reazione così
violenta. Fugaku chiuse di
colpo le ante dei cassetti, sbattendoli così forte che il
suono si sovrappose
con le sue parole.
“Dove
l’hai
sentito?” domandò gelido.
Sasuke
capì
immediatamente che non poteva dire la verità.
“Ehm…
credo
lo avesse detto qualche insegnante
dell’Accademia…”
L’espressione
di Fugaku si inasprì ancor di più, la fronte
aggrottata e le sopracciglia
strette fino a toccarsi.
“Dovrò
parlarne con il Sandaime. È inammissibile che permetti che
certe false
speculazioni girino ancora.”
“Non
è
vero?”
“No,
assolutamente. Questa era solo la teoria del Nindaime, era convinto che
il
nostro potere nascesse da eventi traumatici e per questo
fossimo… pazzi”.
Sasuke
sgranò gli occhi, incredulo. “Nindaime-sama
pensava questo di noi?”
Si
sentì
tagliare in due dallo sguardo che suo padre gli rivolse.
“Tobirama-sama
ci temeva e detestava. Aveva pregiudizi su di noi per via delle guerre
che
precedono la costruzione di Konoha”.
A quella
scoperta Sasuke si sentì annichilirsi, il proprio cuore
soffrirne. Il Secondo
Hokage, uno dei suoi eroi, una delle persona che cercava di imitare,
aveva
disprezzato il suo clan…
Fugaku
addolcì lo sguardo all’espressione dolorante di
Sasuke.
“Lo
sharingan non è una maledizione, gli Uchiha non sono
maledetti. Non permettere
a nessuno di fartelo credere”.
Il
ragazzino annuì, non sapendo come altro reagire. Si chiese
se fosse questo il
motivo per cui il suo clan sembrava incutere così paura nei
civili, paura che
spesso si era trasformata in disprezzo. Era perché un Hokage
li aveva
disprezzati?
Strinse
le
mani a pugno. Promise a se stesso che una volta diventato Hokage
avrebbe
dimostrato a tutti il loro errore.
“Oh,
papà”
chiamò corrucciando l’espressione.
“C’è
altro?”
Strinse
le
mani a pugno, cercando la sua determinazioni. Si sentiva in ansia a
porre
quella domanda, l’avvertimento dell’Hokage lo aveva
spaventato.
“Tu…
hai
un’ambizione?” chiese deglutendo.
Fugaku
non
batté ciglio. “Ogni bravo shinobi ha un
obiettivo”.
“Qual
è il
tuo?”
Si
aspettava che suo padre non rispondesse, invece la sua espressione si
fece più
solenne.
“Il
bene
del Clan Uchiha. Come capoclan mi è stato affidato il
destino di ogni Uchiha, è
mio dovere proteggerli e guidarli verso un futuro prospero. Non ho
altra
ambizione che questa”.
Era
sensato, perciò Sasuke annuì. Dalle parole di
Shisui aveva temuto che suo padre
avesse obiettivi pericolosi, ma era ovvio che Shisui si sbagliasse. Suo
padre
era una persona d’onore che si prendeva cura del proprio
clan, non c’era niente
di sbagliato in questo.
“Capisco,
padre” rispose con altrettanta solennità e lo
guardò con ammirazione. Suo padre
era incredibile.
Fece un
inchino pronto ad andarsene, non aveva altro da chiedergli. Ma quando
fu alla
porta sentì Fugaku richiamarlo.
“E
tu hai
già trovato la tua strada?”
Sasuke
pensò subito al proprio volto scolpito sulla montagna degli
Hokage, ma poi
l’immagine venne sostituita da un’altra.
Pensò a un bambino biondo che un tempo
portava i vestiti stracciati indossare ora l’uniforme di
Konoha.
Strinse
i
pugni.
“Sì,
ho un
obiettivo” garantì determinato.
Il suo
tono
deciso fece sorridere compiaciuto Fugaku, che annuì in segno
di rispetto.
“Tienilo
sempre a mente e non tentennare mai. Finché il tuo cuore
sarà saldo nella tua
scelta, la strada sarà quella giusta”.
Sasuke
si
ritrovò a sorridere, il suo stomaco caldo davanti
all’approvazione del genitore
che ammirava tanto. Ora più che mai si sentiva determinato a
raggiungere il suo
obiettivo.
Avrebbe
riportato a casa Naruto e solo una volta riuscitoci sarebbe diventato
Hokage.
Scusate
il
ritardo ;__;
Prometto
che a breve aggiornerò le altre fan fiction ma la vita mi
sta davvero asciugando
tutto il mio tempo T_T
Vi
ringrazio per aver aspettato e per essere ancora qui <3
Hatta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Consolazione ***
Cap
V
Consolazione
“Capisco”
fu l’unica cosa che disse il Sandaime quando la squadra sette
fece rapporto.
Seduto
sulla scrivania, con il grande cappello che ombreggiava il suo visto e
le vesti
che nascondevano il suo corpo, con solo le mani rugose congiunte sotto
il
mento… dimostrò tutti i suoi lunghi anni.
Sasuke
aveva voglia di urlare. Capisco.
Cosa
doveva significare? Che cosa capiva? Erano appena tornati da una
dannata
missione di scorta di grado D con la notizia che un pericoloso nukenin
di
Konoha si era fatto vivo insieme a Uzumaki Naruto, e questo era tutto
quello
che aveva da dire?
Kakashi
intercettò il suo sguardo furioso e appoggiò una
mano sulla sua spalla, a
intimargli di mantenere la calma.
“Mi
dispiace di non essere riuscito a fermarli” disse.
Il
Sandaime
scosse la testa.
“Non
crucciarti. La sicurezza della tua squadra veniva prima di
tutto” lo rassicurò.
“Ma ora abbiamo un punto di riferimento per ritrovare Shisui,
questa è la sua
prima comparsa dopo anni. E Uzumaki Naruto è con lui,
vivo”.
“Manderemo
una squadra ANBU sulle loro tracce” garantì Danzō,
al fianco del’Hokage.
A Sasuke
quel vecchio non piaceva molto, gli lasciava una sensazione sgradevole,
come se
in sua presenza dovesse guardarsi sempre alle spalle. Inoltre non gli
piaceva
l’ossessione che aveva per suo fratello, ogni volta che ci
pensava si sentiva a
disagio.
“Potete
andare” disse quindi il Sandaime guardando con dolcezza i tre
bambini.
“Kakashi, vorrei che tu ti trattenessi per i
dettagli”.
Sasuke
era
riluttante a lasciare la stanza, voleva sapere tutto e voleva
partecipare alla
missione di salvataggio. Forse era perché si trattava di
Naruto, ma sentiva che
lo riguardava in prima persona. Nonostante ciò si
inchinò rispettosamente come
fecero Himawari e Sakura, pronto a lasciare la stanza.
Quando
fu
alla porta, però, si ricordò di un particolare.
“Hokage-sama”
disse, catturando l’attenzione degli adulti. Alzò
il mento, mostrando
sicurezza. “Prima di andarsene, Shisui ha detto alcune
cose”.
Fece una
pausa, curioso di vedere la reazione dell’Hokage e del suo
consigliere, ma
entrambi rimasero stoici.
“Che
cosa,
Sasuke-kun?” lo spronò il Sandaime con dolcezza.
“Voleva
che
chiedessi a mio padre se ha ancora quell’ambizione”
rispose con sicurezza, fece
un’altra pausa di pochi secondi e poi continuò:
“E se lei attuerà ancora
quell’ultima soluzione”.
Questa
volta gli parve di scorgere un lampo di preoccupazione negli occhi miti
dell’Hokage, ma fu troppo veloce per capire se ci fosse stato
davvero o se lo
avesse immaginato. Del resto Danzō al suo fianco non aveva mosso un
solo
muscolo facciale e lui era il braccio destro dell’Hokage,
sapeva tutto.
“Qualcos’altro?”
si informò con lo stesso tono dolce.
Sasuke
scosse la testa e il Sandaime lo guardò pensieroso.
“Sono
domande molto specifiche quelle di Shisui, Sasuke-kun”
considerò. “Ma temo di
non avere una risposta per nessuna delle due. Non so a cosa si
riferisca”.
Sasuke
strinse le labbra deluso alla non-risposta. Insieme al senso di colpa,
quelle
parole di Shisui lo avevano pungolato per tutto il viaggio.
C’era stato così
tanto astio mentre le diceva, ma anche una sorta di dolore.
Pensando
che fosse un congedo definitivo, fece un cenno del mento e si
preparò a uscire
dalla stanza. Ma quando stava ormai per richiudere la porta, il
Sandaime lo
richiamò.
“Ah,
Sasuke-kun” disse. “È meglio non dire
quest’ultima cosa a tuo padre. Lo
turberebbe inutilmente sapere che è stato menzionato da un
criminale”.
Sentire
il
proprio cugino chiamato in quel modo gli fece sobbalzare il cuore, ma
del resto
era proprio quello che era diventato Shisui abbandonando il villaggio,
un
traditore.
Lasciò
l’ufficio pieno di amarezza e ignorò sia Sakura
che Himawari. Doveva parlare
con suo fratello.
“Davvero
non sapete di cosa stava parlando Shisui?” domandò
Kakashi non appena i suoi
piccoli genin se ne furono andati e i sigilli di sicurezza riattivati.
Rispetto
alla dolcezza che c’era prima sul Sandaime mentre parlava con
Sasuke, ora il
suo volto era una maschera di pietra.
“Questo
è
classificato” rispose impassibile.
Kakashi
annuì, perché suo malgrado era sempre stato un
ninja leale e non avrebbe mai
disobbedito al suo Hokage. Se era un segreto che non voleva condividere
aveva
le sue ragioni, non spettava a lui questionare sulle sua scelte,
sarebbe stato
tradimento.
“Tutto
questo è molto sospetto” riprese Hiruzen.
“Durante la tua assenza, è stato
trafugato il Rotolo Proibito”.
Kakashi
spalancò leggermente l’unico occhio visibile.
“Il
colpevole?”
“Apparentemente,
Mizuki. Lo abbiamo catturato poco prima che tu tornassi con la tua
squadra. Si
trovava al confine del Paese, pronto a lasciarlo, ma la pergamena non
era con lui”.
“L’ha
rubata per qualcun altro”.
“La
domanda
è chi” sospirò Hiruzen. “Le
prime indagini di Ibiki-san hanno fatto pensare che
fosse una commissione di Iwa”.
“Ma?”
intuì
Kakashi e sapeva che non era una buona risposta se lo stesso Hokage era
titubante.
“Itachi-kun
ha confermato che Mizuki si trovava sotto genjutsu, un genjutsu
così potente
che sembrava essere stato operato da uno sharingan” rispose
Danzo.
Kakashi
si
concentrò per mantenere la propria espressione neutra, per
non lasciare che il
suo occhio si ristringesse di fastidio. C’era sempre qualcosa
che lo inquietava
quando Danzo nominava Itachi, il modo in cui strascicava il suo
nome… c’era
così tanto compiaciuto possesso che gli metteva i brividi.
Ma riuscì a
trattenere il fastidio, concentrandosi unicamente sul Sandaime.
“Credete
che sia stata opera di Shisui?”
“Spiegherebbe
molte cose… Non esistono altri nukenin Uchiha, è
l’unico sharingan che si trova
fuori dal villaggio. Inoltre chiarirebbe la sua presenza nel Paese del
Fuoco lo
stesso giorno in cui è stato trafugato il Rotolo Proibito.
Non può essere una
semplice coincidenza”.
Kakashi
si
ritrovò a dargli ragione, raramente le coincidenze nel mondo
shinobi si
dimostravano tali. Purtroppo non aveva la conferma che il suo Hokage
voleva.
“Nel
nostro
incontro Shisui non ha dato segno di possedere la pergamena. Se non me
lo
aveste detto voi ora, non lo avrei mai sospettato”.
“C’è
altro
che non hai potuto dirci davanti ai tuoi sottoposti?”
insistette Danzo.
Kakashi
non
lo guardò, tenne la sua attenzione solo
sull’Hokage.
“Naruto
sa
del Kyūbi” disse.
Un’espressione
sbigottita baluginò solo per qualche secondo nei piccoli
occhi del Sandaime,
dopodiché tornò controllato e impassibile. Emise
un sospiro di stanchezza.
“Ovviamente
è stato Shisui a parlargliene” ragionò.
Del
resto
il fatto che Naruto fosse il Jinchūriki del Kyūbi era sempre stato il
segreto
di pulcinella al Villaggio, nonostante il tentativo di nasconderlo lo
sapevano
tutti.
“Pensi
stiano lavorando per qualcuno?” domandò Danzo
intromettendosi nel silenzio
lasciato da Hiruzen.
Kakashi
scosse la testa sconsolato.
“Mi
dispiace, non saprei dirlo. Nel nostro breve scontro non
c’è stato nulla che lo
lasciasse pensare. Ma…” esitò
brevemente.
“Continua”.
“Secondo
Sasuke, Naruto gli ha parlato di una presunta famiglia di ex-shinobi
che l’ha
allenato al chakra. Forse sono affiliati a un gruppo di altri
nukenin” suppose.
“È
la cosa
più probabile” concordò il Sandaime.
“Shisui non è solo ricercato da Konoha, ma
anche dalla Nuvola e dalla Nebbia. Deve aver qualcuno che lo protegge
dai
cacciatori di taglie e lo tiene nascosto”.
“I
miei
ANBU lo scopriranno” garantì Danzo.
“Avviserò
anche Jiraiya. Hai detto che Shisui indossava un mantello con nuvole
rosse…
Forse può dirci se ci sono state attività da
parte di shinobi vestiti in questo
modo”.
Kakashi
si
schiarì la voce. “Vorrei partecipare alle
ricerche”.
Calò
un
breve silenzio alla sua richiesta. Danzo lo guardò con
interesse, valutando
davvero l’opzione. Kakashi, insieme agli Inuzuka, era sempre
stato un buon ninja
inseguitore; senza contare che era stato recentemente a contatto con
l’odore di
Naruto, ora poteva riconoscerlo meglio rispetto ai ricordi sbiaditi di
quattro
anni prima.
Ma
Hiruzen
scosse con decisione la testa.
“Hai
la tua
squadra a cui badare” disse gentile. “Hanno bisogno
di te”.
Kakashi
voleva dissentire, come da quando lo aveva ritirato da ANBU per farlo
diventare
un jonin-sensei; non era quello il suo ruolo. Come aveva ricordato
Naruto, lui
era Friends-Killers Kakashi, era il Segugio migliore di ANBU,
l’ombra più
letale che uccideva a sangue freddo. Era folle che Hiruzen pensasse
fosse in
grado di crescere dei bambini, era troppo rotto per farlo.
Tutto
quello che voleva in quel momento era salvare il figlio di Minato,
rimediare ad
almeno una delle sue colpe.
Invece
l’Hokage disse soltanto:
“Sei
licenziato”.
E
Kakashi
lasciò la stanza.
**
Trovò
Itachi al tempio Naka, proprio come suo padre gli aveva indicato.
Sasuke
tentennò qualche secondo più del dovuto sulla
soglia, provando un strano senso
di inadeguatezza e titubanza davanti a quel luogo sacro, permettendo a
Itachi
di accorgersi da solo della sua presenza. Lo vide terminare la
preghiera
silenziosa e lasciare un’offerta, poi uscì verso
di lui con un sorriso gentile.
“Sei
tornato dalla missione” commentò stringendo gli
occhi per la luce troppo forte
in confronto alla penombra del tempio.
Con grande fastidio di Sasuke,
riuscì comunque a
individuare il cerotto alla sua fronte e le bende alle braccia.
Allarmato lo
afferrò delicatamente per il viso iniziando a studiare la
gravità del danno.
“Ti
sei
ferito?” chiese apprensivo e confuso. Anche
se erano usciti fuori dal Villaggio era ancora una semplice missione di
grado
D, del resto Sasuke era ancora un genin.
Il
tredicenne sfuggì alla sua presa con un gesto stizzito e
ribelle.
“Sto
bene”
si lamentò con superiorità. “Siamo
stati attaccati, ma l’ho gestito”.
“Sei
stato
in ospedale?”
Lo
incenerì
con lo sguardo. “Ci ha pensato Himawari” rispose
staccandosi con uno scatto
nervoso. “Non è niente”
sottolineò.
Itachi
lo
fissò intensamente e Sasuke odiò quello sguardo,
perché suo fratello riusciva
sempre a capire tutto quello che nascondeva.
“Cos’è
successo?” chiese infatti.
Provò
a
resistere al suo sguardo serio e penetrante, ma alla fine si
trovò a soffiare
fuori la verità, anche se tutti – persino suo
madre – lo avevano scongiurato di
non farlo.
“Abbiamo
incontrato… Shisui”.
Le sue
parole ebbero un effetto immediato e riuscirono a strappare una
reazione a
Itachi, anche se fu solo un minimo irrigidimento, che solitamente
riusciva
sempre a essere illeggibile e imperturbabile.
Sasuke
non
sapeva perché Shisui avesse tradito il villaggio. Shisui non
era un argomento
che si parlava volentieri nel clan e ancor di più era
tabù nella loro casa,
visto il forte legame che c’era stato tra lui e suo fratello.
Erano sempre
stati inseparabili e Sasuke davvero non capiva perché Shisui
avesse abbandonato
Konoha, Itachi, diventando un nukenin.
A essere
onesti, non ci aveva pensato poi molto da quando era diventato genin.
Ormai era
un adulto, un ninja, e aveva altro di cui pensare. Ma rivederlo dopo
tutto quel
tempo lo aveva destabilizzato.
“È
stato
lui ad attaccarti?” chiese Itachi dopo un lunghissimi
silenzio. La sua voce era
distaccata come al solito, anzi lo era più del solito.
“Sì…
cioè,
non proprio” esitò. “Ha reagito quando
Kakashi-sensei ha provato a colpirlo. È
stato un incidente”.
Sasuke
non
sapeva perché stesse giustificando il cugino scomparso,
forse c’entrava in
qualche modo l’affetto infantile ancora radicato in lui.
Itachi
annuì. “Torniamo a casa” disse soltanto.
Era
ovvio
che non ne voleva parlare, che si trattava di una ferita ancora aperta,
e
sicuramente se si fosse morso la bocca e avesse ingoiato il rospo
Itachi non avrebbe
indagato oltre.
Ma
Sasuke
era troppo curioso.
“Mi
ha
detto una cosa” eruppe.
Itachi
si
voltò a guardarlo ancora, incoraggiandolo in silenzio a
continuare. Sasuke
corrucciò lo sguardo, come se stesse cercando di ricordare
le esatte parole.
“Mi
ha detto
di chiedere a papà se ha ancora quell’ambizione”
riportò, “mentre ha detto a Kakashi di chiedere se
il Sandaime userà mai quell’ultima
soluzione”.
Appena
lo
disse, Itachi si irrigidì visibilmente. Quello non era un
buon segno e si rese
conto che quelle parole criptiche avevano un significato pericoloso,
talmente
tanto da far preoccupare perfino suo fratello.
“Che
cosa
significa?” chiese quindi con determinazione.
“Non
ne ho
idea”.
Stava
mentendo e realizzarlo gli mandò il sangue alla testa.
Sasuke aveva quasi
tredici anni, si era laureato all’accademia ed era un ninja
con una sua
squadra. Ormai era formalmente un adulto, Itachi non poteva continuare
a
trattarlo come un bambino ignaro.
“Sì
che lo
sai” lo sfidò. “Che cosa
intendeva?”
“Te
l’ho
detto, non lo so”.
Fissò
con
odio la sua schiena che si allontanava e sbottò:
“Aveva
un
messaggio anche per te!” Attese che si fermasse prima di
sibilare: “Ha chiesto
se conosci il posto dove la tartaruga superò la lepre a
mezzogiorno”.
Itachi
si
fermò, ma con le spalle voltate gli era impossibile
riconoscere la sua
espressione. Era solo ovvio che stesse guardando in basso, rigido con i
pugni
chiusi.
“Che
cosa
insensata da dire” commentò solo, pacato, come se
quelle parole gli fossero
scivolate addosso come acqua.
Sasuke
non
chiese altro e lo raggiunse al fianco. Quando arrivarono a casa nessuno
sollevò
più l’argomento Shisui.
**
Itachi
incrociò le braccia al petto e si morse le
labbra per non emettere un sospiro di pura esasperazione, sarebbe stato
poco
professionale visto che era rivolto al suo superiore. Guardò
quindi con
disapprovazione Kakashi intento ad allungare i muscoli delle gambe sul
prato.
“Itachi,
qual buon vento” salutò leggero, per nulla
impressionato dagli occhi carbone che emettevano scintille.
“Senpai”
disse l’undicenne Uchiha. “Dovevamo partire
un’ora fa”.
I ritardi di
Hatake Kakashi erano leggendari a Konoha,
tutti sapevano come facesse perfino aspettare l’Hokage. Ma
durante le missioni
ANBU era sempre stato puntuale, partendo
dal cancello al secondo spaccato, soprattutto se tali missioni erano
fondamentali per il villaggio. Era la prima volta che Itachi subiva un
suo
ritardo e si era anche sentito abbastanza preoccupato da cercarlo.
Invece era
lì, con nessun vero motivo per mancare
l’appuntamento.
“Senpai,
cosa stai facendo?” insistette.
“Scusami,
ma mentre venivo ho incontrato Gai” iniziò
Kakashi e quando fu nominato l’altro jōnin di Konoha non poco
distante alzò il
pollice nella sua direzione, “e mi ha chiesto una sfida di
velocità. Non potevo
rifiutare, quindi eccomi qui. Partiremo non appena avrò
finito”.
Itachi si
sentì un po’ confuso, ma mantenne la sua
espressione immobile e indecifrabile. Non conosceva bene
l’Hatake, non
all’infuori della squadra Rō almeno, e tutto quello che aveva
erano le voci di
corridoio degli shinobi che amavano spettegolare. Conosceva la sua
tragica
storia, del padre e della squadra, e aveva sempre visto la figura
fredda e
autoritaria che era nelle vesti da capitano.
Era la prima
volta che lo vedeva senza ombre oscure
negli occhi.
“Correrai
davvero?” chiese senza pensarci troppo.
Kakashi gli
lanciò un lungo sguardo laterale e Itachi
notò il sorrisetto soddisfatto nascosto dalla maschera.
“Ovviamente.
Resterai a fare il tifo per me?”
Non
reagì alla domanda per domare l’improvvisa
sorpresa, era da poco nella squadra Ro – era vero –
ma quella era in assoluto
la prima volta che Kakashi si mostrava così amichevole.
Risolse di inclinare la
testa all’indietro, lasciando che le ciocche di capelli neri
cadessero oltre le
sue spalle sulla schiena.
“Resterò
e mi assicurerò che partiremo quando avrai
vinto”.
Si accorse
troppo tardi del suo errore, lo vide
riflesso nello sguardo ironico e malizioso che Kakashi gli rivolse.
“Pensi
che vincerò? Che carino, Itachi-kun!”
Si morse
l’interno della guancia e si sforzò per non
arrossire, per qualche motivo gli sembrava di essersi lasciato sfuggire
qualcosa di troppo grande e lui doveva restare sempre controllato e
calmo.
“In
realtà Gai è molto veloce, forse più
di me”
riprese Kakashi con voce lamentosa. “Non so se posso farcela
senza un
portafortuna”.
“Un
portafortuna?”
“Sì,
da indossare nella gara, in battaglia. Nei libri
tutti gli eroi hanno un portafortuna, un segno di affetto della loro
persona
amata”.
Itachi non
riuscì a trattenere la curiosità.
“Hai
una persona amata?”
Ma Kakashi non
soddisfò la sua curiosità, si limitò a
sospirare accentuando quella finta aria affranta.
“Dovrò
correre senza… Perderò sicuramente senza un
portafortuna, senza un supporto morale…”
Fissò
Itachi a lungo e il ragazzino si ritrovò a
sospirare rassegnato. Allungò una mano ai suoi capelli e
sfilò l’elastico che
li racchiudeva in una coda. I ciuffi lisci e scuri si allargarono sulle
sue
spalle e schiena, incorniciandogli delicatamente il viso magro.
“Questo
può andare bene?”
Nonostante lo
scherzo fosse stato imbastito da lui
stesso, Kakashi rimase sorpreso ed esitò a prendere il
semplice elastico, forse
non si aspettava che sarebbe stato al gioco. Ma poi lentamente
alzò la mano e
prese il nastro, lo fece in modo circospetto come se si aspettasse che
ritrattasse l’offerta. Alla fine se lo infilò al
polso come un bracciale.
“È
perfetto” garantì, glielo mostrò
fieramente. “Con
questo vincerò subito!”
“Spero”
disse solo, cercando di essere il più freddo
possibile.
Si
voltò per andare a cercare un punto dove sedersi e
poter allo stesso tempo guardare i due idioti sfidarsi, ma Kakashi lo
richiamò
gridando il suo nome.
“Cosa?”
chiese rassegnato girandosi.
Il sorriso di
Kakashi era perfettamente visibile anche
se l’unica porzione di pelle scoperta era il suo occhio
destro. Lo socchiuse
mentre diceva:
“Sei
molto carino con i capelli sciolti”.
Itachi
voltò la testa, sperò abbastanza velocemente
per nascondere il rossore. Sicuramente, se la risatina di Kakashi
significava
qualcosa, non era stato abbastanza veloce.
**
Lo
stomaco
vuoto era doloroso da sopportare, ma Kakashi ignorò i crampi
della fame e
continuò per la sua strada. Sapeva che il frigo nel suo
appartamento era vuoto
quanto il suo stomaco, che non avrebbe trovato niente da mangiare,
perciò non
lo sfiorava nemmeno l’idea di tornare a riposarsi nel suo
appartamento. Così
come non lo aveva sfiorato l’idea di fermarsi in uno
qualsiasi dei tanti locali
gastronomici che tappezzavano Konoha.
Aveva
fame,
ma non avrebbe mangiato.
Invece
camminò finché la mezzanotte non passò
e arrivò fino ai confini del villaggio,
ai campi di allenamento speciali per ANBU. Nonostante fosse stato
ritirato
contro la sua volontà, conosceva ancora i sigilli per
accedervi ad allenarsi.
La cosa interessante di quei campi di allenamento era che, a differenza
di
quelli standard utilizzati anche dai genin, erano già
presenti set di armi e
non era necessario portare le proprie.
Kakashi
studiò con attenzione l’offerta di spade corte
presenti e scelse la più
congeniale e bilanciata con i suoi movimenti. Era da quando aveva
lasciato ANBU
che non si allenava nel kenjutsu, gli avrebbe fatto bene sgranchirsi.
L’ora
successiva fu riempita dai fendenti di Kakashi, dal rumore secco
dell’aria che
veniva tagliata da una lama velocissima e letale. I muscoli delle sue
braccia
cominciarono a tremare dopo poco, il sudore appiccicato sulla sua
fronte e lo
stomaco dolorante per l’assenza di cibo.
Continuò
finché non percepì che qualcuno stava superando
le barriere di protezione per
entrare nel campo di allenamento. Istintivamente si
irrigidì, ma poi si sforzò
di non tendersi troppo e continuare con il suo katà. Poteva
trattarsi di un
qualsiasi ANBU insonne, venuto lì per allenarsi.
Si
fermò
del tutto però quando riconobbe la calda e rassicurante
impressione di chakra.
Abbassò la posa rigida e offensiva, i muscoli che gridavano
bisognosi di uno
stiramento dopo lo sforzo, e si voltò a guardare Itachi.
C’erano
delle luci bianche al campo di allenamento, rischiaravano la notte
abbastanza
da rendere distinguibile l’Uchiha
nell’oscurità. La sua pelle brillava pallida
come la luna, ma i suoi abiti neri si abbinavano bene al buio
circostanze.
“Sapevo
di
trovarti qui”.
Anche la
sua voce bassa e roca era in perfetta sintonia con la notte tarda.
Kakashi
socchiuse gli occhi, vergognandosi un po’ di come bastasse il
suono di quella
voce a calmare parte del dolore.
“Sono
così
prevedibile?” domandò sforzandosi di scherzare.
Itachi
teneva in mano un sacchetto di carta chiuso, prima di rispondere glielo
lanciò
contro e Kakashi riuscì a prenderlo al volo.
“Temo
di
sì” disse.
Aprì
il
sacchetto a sorrise fra sé vedendone il contenuto: dango,
ovviamente.
“Se
ti
dicessi che non ho fame?”
Lo
sguardo
di Itachi era serio, per nulla scalfito dai tentativi di Kakashi.
“So
che non
hai cenato” rispose imperturbabile.
Certo
che
lo sapeva, pensò rassegnato. Itachi conosceva tutti i suoi
meccanismi di coping:
allenamento ossessivo, privazione di cibo e privazione di sonno erano
solo
alcuni punti della lunga lista di cattive abitudini che aveva
sviluppato per
rendere il senso di colpa più sopportabile. E come Itachi
sapeva queste cose,
Kakashi sapeva anche che niente che avrebbe detto avrebbe distolto
Itachi dalla
missione auto-imposta di prendersi cura di lui.
Con un
sospiro quindi si arrese, rimise la spada al proprio posto e si
stiracchiò un
po’ per sciogliere i muscoli. Itachi ne frattempo era andato
a sedersi sul
prato che costeggiava il campo, in attesa che Kakashi facesse lo stesso.
“So
che
avresti preferito altro, ma il negozio dei dango è
l’unico che resta aperto
così tardi” si scusò Itachi.
“In
realtà
preferivo non mangiare” borbottò cupo, ma
strappò un morso prima che Itachi gli
ordinasse di farlo comunque. A dispetto delle sue parole, appena la
lingua
toccò la morbidezza di quei gnocchi dolci, i morsi della
fame tornarono a
pungolarlo. Dovette sforzarsi per non ingoiare ogni gnocco in un solo
boccone.
Itachi
non
lo stava guardando, ovviamente, aveva distolto lo sguardo non appena si
era
abbassato la maschera rivelando il resto del suo volto. Itachi era
sempre stato
l’unica persona a non spingere o ideare piani strampalati per
strappargli la
maschera. Anche ora che era l’unico ad avere il permesso di
vederlo
completamente nudo, all’infuori
dell’intimità gli lasciava il suo spazio.
Fu
quindi lui
ad approfittarne per spiare Itachi di nascosto, lo sguardo puntato sul
suo
profilo elegante, affilato, simile alla lama di un kunai. Altrettanto
bello,
altrettanto letale. I capelli ricadevano ai lati un po’
scarmigliati, arruffati
dalla lunga giornata e dall’essere stati costretti per tutto
il tempo nella
solita coda bassa. I segni sul viso erano più marcati del
solito, le occhiaie
macchiavano le palpebre di colori violetti e, insieme alla piega
abbassata
delle labbra, davano un aspetto malinconico e stanco a Itachi. .
“Lunga
giornata?” chiese, anche se la risposta era ovvia.
Le
giornate
di Itachi erano sempre lunghe e faticose. Anche se non era in ROOT, per
qualche
motivo era l’ANBU preferito di Danzo e il vecchio consigliere
richiedeva sempre
la sua presenza nelle missioni più delicate; inoltre
l’Hokage gli aveva detto
che era stato Itachi a scoprire che Mizuki era stato messo sotto
genjutsu,
quindi doveva aver partecipato alle ricerche e
all’interrogatorio.
“La
solita”
rispose infatti con disinteresse.
Si
arrischiò a voltarsi, per assicurarsi che Kakashi stesse
effettivamente
mangiando. Beccò l’uomo a fissarlo a sua volta,
gli occhi fissi sui suoi. Aveva
già finito tutti i dango, ma non dava cenno di volersi
rimettere la maschera.
Era sempre così raro riuscire a vedere l’intero
volto di Kakashi e quando
poteva farlo in un modo così semplice e spontaneo,
semplicemente voltandosi,
sentiva un calore allo stomaco che gli serrava la gola. Soprattutto
quando
abbassava gli occhi sulle sue labbra: ogni volta era come rivederle per
la
prima volta.
“Sasuke
mi
ha detto che avete incontrato Shisui” mormorò.
“Mi dispiace”.
Kakashi
ruppe il contatto visivo ed emise un lungo sospiro.
“Perché
ti
stai scusando? Non è successo per colpa tua. Dovrei essere
io a scusarmi, non
sono riuscito a fermarlo” puntualizzò amaramente.
“Dovevi
proteggere la tua squadra” ricalcò senza
rendersene conto le stesse parole del
Sandaime.
“Sasuke
è
stato ferito”.
Seppe di
aver colpito un nervo scoperto, lo sapeva ancor prima del piccolo
silenzio che
accompagnò le sue parole. Kakashi sapeva di essere
importante per Itachi, ma
sapeva con maggiore certezza che per lui niente era più
importante di Sasuke.
Sasuke sarebbe stato al primo posto in qualsiasi situazione, anche
all’inferno,
anche davanti alla sua stessa vita e dignità.
“È
solo un
graffio, almeno è quello che dice lui” rispose
infine Itachi, imperturbato. “E
si è offeso con chiunque si sia preoccupato. Sta bene,
poteva finire peggio”.
Shisui
del
resto era lo stesso ragazzo che a quindici anni era riuscito a ferire
Danzo e
una sua squadra ROOT, anche se nel farlo aveva perso un occhio. Itachi
si morse
le labbra a quel pensiero, il ricordo di Shisui con il viso grondante
sangue e
le sue parole folli si mescolò a quello di Danzo davanti
all’Hokage, mentre
dichiarava che Uchiha Shisui lo aveva attaccato poco dopo che aveva
mostrato
delle rimostranze sul suo piano.
Sentì
una
fitta al petto, mai nella vita prima avrebbe pensato di valutare Shisui
come un
nemico. Ma ormai era quello che era diventato: un nemico della Foglia.
“C’era
Naruto con lui”.
Le
parole
di Kakashi lo strapparono dai suoi tristi pensieri.
Strabuzzò gli occhi e lo
guardò incredulo.
“Davvero?
È
ancora vivo?”
Kakashi
si
accigliò. “Sasuke non te l’ha
detto?”
“Sasuke
è
stato silenzioso tutta la sera. Tutto quello che ha detto sono stati
scontrosi
monosillabi alle domande di nostra madre” replicò
amaro.
“Quindi
non
vi ha nemmeno detto che ha sviluppato lo sharingan?”
Se prima
Itachi era rimasto sorpreso, ora rimase sconvolto. Guardò
Kakashi come se
stesse scherzando, ma l’espressione seria sul suo volto non
dava modo di
sbagliarsi.
“No,
non ce
l’ha detto…” mormorò triste,
il cuore pesante.
Aveva
sempre creduto che quando sarebbe arrivato il momento sarebbe stato il
primo a
cui lo avrebbe detto, che se ne sarebbe vantato con tutta la famiglia.
Invece
lo aveva tenuto segreto.
“Pensavo
non vedesse l’ora di svilupparlo”
considerò Kakashi, probabilmente arrivato
alla stessa conclusione davanti a quella stranezza. “Invece
è stato strano da
quando è successo…”
“Pensi
che
Shisui possa avergli detto qualcosa a riguardo?”
Scosse
la
testa. “Shisui è arrivato quando c’ero
anch’io, non hanno parlato dello
sharingan. Ma ha passato molte
ore con
Naruto, non vorrei che…” sospirò.
“Non lo so”.
Itachi
non
rispose e rimasero in silenzio. Con il passare della notte si era
alzato un
vento leggero, ma in alta quota doveva soffiare con molta
più forza. Le nuvole
chiare si muovevano velocissime sul cielo inchiostro, passando sulle
stelle e
la luna come tende di vapore. Veloci e inafferrabili, proprio
come…
“Non
sono
riuscito a farlo tornare”.
Itachi
non
si stupì che Kakashi avesse ripreso a parlare, né
del tono incrinato. Gli
provocò semplicemente un dolore al petto, perché
era sempre doloroso vedere un
uomo forte e potente come Kakashi soffrire e piegarsi al dolore. La
scomparsa
di Naruto era da sempre il suo punto debole, da quando era successo il
fatto,
proprio come il tradimento di Shisui era il suo.
“Era
lì,
davanti a me, sono riuscito ad afferrarlo… ma non
è bastato. Se n’è andato,
ancora”. Il respiro di Kakashi era raspante, come se stesse
correndo quando
stava solo cercando di arginare le emozioni negative che lo
scombussolavano. “E
sai la cosa peggiore? Non voleva venire, era terrorizzato alla sola
idea.
Terrorizzato da me”.
“Kakashi…”
“Sapeva
di
Rin. E della volpe. Ovviamente glielo ha detto Shisui, ma
chissà cos’altro sa!
Ora sa perché tutti lo odiavano, che cosa gli è
stato fatto fin dal suo primo
giorno di vita. Chissà… magari sa anche di suo
padre”.
Itachi
questa volta non tentò di interromperlo, perché
la sola prospettiva sarebbe
stata terribile. Naruto aveva molti motivi per odiare Konoha e quel che
era
peggio era che dentro di sé aveva un potere enorme, un
potere che avrebbe
potuto indirizzare contro Konoha. E a quel punto Kakashi che avrebbe
fatto?
Sarebbe stato disposto a combattere il figlio del suo amato sensei?
Se Shisui
attacca ancora Konoha, cosa farò?
“Non
è
stata colpa tua” disse Itachi.
Il vento
continuava ad alzarsi, probabilmente quella mattina sul presto avrebbe
piovuto.
Kakashi
emise un lungo e rumoroso sospiro, un sospiro che chiariva
esplicitamente che
pensava esattamente il contrario. In fondo Kakashi tendeva a
colpevolizzarsi
per ogni cosa, anche per ciò che non era sotto il suo
controllo. Ma non disse
niente, il momento di vulnerabilità era già
passato e stava già domando la
turbolenza negativa che lo aveva spinto a parlare. Era uno shinobi, gli
shinobi
fanno questo: sopportano il dolore e vanno avanti, proteggono.
“Maa,
si
sta facendo davvero tardi” considerò sforzando un
tono leggero.
Itachi
annuì. “Torniamo. È probabile che
faccia più freddo questa notte”.
Abbassò
gli
occhi scuri, sentendo che Kakashi aveva allungato una mano per
intrecciare le
loro dita. Per tutta la conversazione erano stati seduti vicini, ma non
si
erano mai sfiorati; Itachi preferiva sempre aspettare che fosse Kakashi
a
prendere l’iniziativa. Una volta in missione aveva avuto la
brutta idea di
toccargli la spalla senza lasciarsi percepire e il capitano era
scattato pronto
all’omicidio. Erano in pace, ma una parte di Kakashi era
ancora ancorata nella
guerra.
Ricambiò
il
gesto, stringendo abbastanza forte da fargli capire che era davvero
lì e che
era tangibile, non un fantasma.
“Ti
va… di
restare da me?”
Itachi
sorrise fra sé, consapevole fin dall’inizio che
quella notte non sarebbe
tornato al complesso Uchiha e andava bene così. Kakashi
viveva un appartamento
essenziale, con un solo e minuscolo letto, ma riuscivano sempre a
incastrarsi
su esso.
“Certo”
disse dolce. “Ma domani mattina dovrò andarmene
abbastanza presto”.
“Hai
una
missione?” chiese Kakashi.
Itachi
non
rispose subito, esitante.
“Una
sorta…” ronzò infine.
Itachi,
conosci il luogo dove la tartaruga superò la lepre a
mezzogiorno?
Buon Halloween!
Mi
sarebbe
piaciuto pubblicare una storia a tema spooky, ma temo ci dovremo
accontentare
di questo nuovo aggiornamento. Finalmente Itachi! E la mia primissima
scena
KakaIta! Spero vi sia piaciuta <3
Grazie
mille per le recensioni, ci vediamo al prossimo capitolo!
Hatta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Corvi feriti ***
Cap
VI
Corvi
feriti
Itachi
sentì qualcuno sfilare il suo elastico con un
gesto veloce e dispettoso. Istantaneamente, i capelli che era riuscito
a tenere
composti lontano dal viso scivolarono in avanti sulle sue guance e
spalle,
alcuni ciuffi coprirono anche gli occhi.
Sospirò
esasperato.
“Shisui…”
richiamò all’ordine, ma il cugino aveva
già
cominciato a passare le dita fra i capelli.
“Sciolti
sono così belli” si giustificò,
sentì la
forma del suo sorriso mentre gli baciava la nuca.
“Per
tenerli sciolti dovrei accorciarli” lo stuzzicò e
la reazione fu immediata.
Si
adattò come meglio poteva alle braccia forti che lo
strinsero contro un petto solido.
“Non
osare” ringhiò Shisui. “I tuoi capelli
sono
splendidi”.
Itachi trattenne
a fatica una risata pensando al
broncio che doveva aver messo su l’altro.
“Per
favore, riordinali”.
Non dovette
insistere più di tanto, con un borbottio
contrariato Shisui fece come gli diceva. Riprese l’elastico e
iniziò a
pettinarli, racchiudendoli ancora nella coda bassa.
“Devo
andare” disse quindi. “Kakashi-taichu mi
aspetta”.
“Lo
so” sospirò Shisui.
Itachi si
alzò, nella penombra gli alberi filtravano malapena
la luce della luna sulla radura e i contorni di Itachi si confondevano
nella
notte come una figura quasi eterea. La luna però illuminava
la sua pelle, i
capelli d’inchiostro e le placche dell’armatura
ANBU. Era bellissimo, una
visione. Shisui desiderò che restasse lì per
baciarlo tutta la notte, parlare e
accarezzargli la pelle scoperta delle spalle con la punta della dita,
non
osando desiderare altro, ma non potevano… Erano shinobi,
avevano missioni più
importanti e Itachi doveva partire.
Gli prese la
mano, baciandogli le dita. Shisui aveva
quasi quindici anni, Itachi dodici, era per entrambi il loro primo
amore. Si
sentivano come se fossero invincibili se insieme, inseparabili anche
attraverso
la distanza.
“Lo
sai, siamo destinati” mormorò Shisui.
“Ancora
con questa storia…”
“È
vero” protestò con un sorriso. “I nostri
indici
sono legati insieme dal filo rosso del destino! È per questo
che non ti lascerò
mai”.
“È
solo una favola, non essere stupido”. Ma al di là
dei tentativi di Itachi di essere più serio, non riusciva a
sciogliersi in un
sorriso alle dichiarazioni esagerate del cugino.
“Non
è vero, posso vedere il filo rosso. È una delle
capacità segrete del Mangekyo” assicurò
sorridendo brillante.
Itachi non
resistette oltre e si piegò a dargli un
piccolo bacio casto sulle labbra. riusciva a sentire la forma del
sorriso
dell’altro.
“Allora
non mi resta che fidarmi di te” considerò.
“Ora devo andare davvero…”
“Torna
presto e salvo”.
Il ragazzo
sorrise dolce. “Ovviamente”.
**
Il
cartello
con scritto La lepre e la tartaruga
era inchiodato sbilenco sulla facciata della vecchia locanda al
crocevia della
Terra del Fuoco con la Terra dell’Erba. Quando durante la
fine della Seconda
Guerra Ninja il proprietario aveva fondato quella locanda, aveva
assicurato con
ardore che quello fosse l’esatto punto in cui la lepre della
famosa leggenda si
era addormentata, il punto in cui la tartaruga era riuscita a
superarla.
Ormai
era
solo una baracca che si teneva insieme per miracolo, con il tetto
spiovente
ricostruito più volte e il legno consumato dalle tarme. Era
così lugubre e
sudicia che veniva usata molto raramente dai ninja di passaggio, era un
ostello
dimenticabile. Itachi probabilmente era l’unico di Konoha a
esserci mai stato,
insieme a Shisui, e anche allora erano stati spinti dalla disperazione.
Pioveva
a dirotto quella notte e Shisui era stato ferito molto gravemente, non
potevano
continuare e quella era stata semplicemente la locanda più
vicina.
Era
anche
il posto dove un undicenne Itachi aveva avuto il coraggio di baciare
per la
prima volta Shisui. Era stato un contatto brevissimo di labbra
socchiuse, da
bambini innamorati, di cui conservava solo il sapore ferroso del sangue.
Itachi
alzò
gli occhi al cielo, guardando la linea del sole. Mancavano meno di tre
minuti a
mezzogiorno, era puntuale. Nel suo punto nascosto tra gli alberi, si
tolse la
maschera e nascose la propria divisa ANBU con anonimi abiti civili,
trasformando anche il proprio volto per non essere riconosciuto. Rese
comunque
la sua henge molto debole, in modo che uno sharingan riuscisse a vedere
attraverso essa.
Senza
più
esitazione, entrò nella bettola. Dentro c’era poca
luce e così tanta polvere
che gli fece arricciare il naso. L’odore nauseante di sudore,
birra e cibo
andato a male gli serrò la gola. Rispetto a molte altre
locande in cui era
stato sotto copertura, questa era poco frequentata. Gruppetti si erano
girati
sospettosi alla sua entrata, ma la sua henge li aveva tranquillizzati
abbastanza da far tornare ognuno ai propri affari. C’era un
gruppo che giocava
a carte, la birra rovesciata sul tavolo. In un angolo un altro
discuteva
furtivo, talvolta lasciandosi sguardi sospettosi attorno. Per lo
più erano
solitari andati lì per ubriacarsi. Il barista puliva il
bancone incrostato con
uno straccio lercio, il petto villoso era esposto dalla camicia aperta.
Erano
tutte ombre poco chiare nella scarsa illuminazione.
Non molto
igienico,
pensò guardando gli
insetti che ronzavano da un tavolo all’altro, posandosi sui
piatti con resti di
cibo.
All’improvviso
sentì una presenza alle sue spalle, comparsa dal nulla, ma
non riuscì a reagire
in tempo. Una mano lo afferrò saldamente al fianco scoperto
e un respiro si
scontrò con il suo orecchio destro.
“Primo
piano. Ultima stanza in fondo a sinistra” alitò
Shisui prima di sparire com’era
comparso.
Itachi
emise il respiro che non si era accorto di trattenere. Senza muoversi
si guardò
attorno, nessuno sembrava essersi accorto di quel brevissimo scambio. E
nessuno
lo fermò, nemmeno il barista, quando si mosse verso le scale
e iniziò a
salirle. Nessuno gli diede attenzione, come se fosse perfettamente
dimenticabile, e salì la rampa fino al primo piano.
Arrivò fino alla porta
indicata da Shisui, trovandola socchiusa.
Prese un
lungo respiro, domando il nervosismo. Questa volta sarebbe andato fino
in
fondo, anche al costo di combattere. Shisui era pericoloso, aveva
attaccato
Sasuke, Kakashi e sicuramente era il vero committente del furto del
Rotolo.
Aveva superato il limite, dimostrando di essere una minaccia per
Konoha. Non
poteva tentennare.
Allungò
quindi il braccio e aprì la porta con una spinta decisa, i
muscoli tesi nel
caso dovesse combattere.
La
stanza
rispecchiava coerentemente il resto della bettola: un pavimento sporco,
mobili
rovinati dalle tarme, puzza di muffa, un letto a baldacchino che cadeva
a pezzi
e il vetro delle finestre rotto. E al centro della stanza
c’era lui.
Shisui.
“Shisui”
mormorò senza fiato.
Era
passato
più di un anno dall’ultima volta che si erano
incontrati di nascosto e i suoi
riccioli si erano fatti più selvaggi. L’intera
espressione di Shisui era più
selvaggia, come di un animale scappato dalla cattività.
Itachi
non
cambiò espressione quando
sentì la porta
chiudersi alle sue spalle da sola, tenne gli occhi fissi davanti a
sé per
studiare ogni mossa dell’uomo che aveva davanti.
Appena
la
porta fu sigillata, l’unico occhio rimasto si socchiuse,
addolcendo l’intera
espressione di Shisui.
“Itachi”
ricambiò in tono basso, felice.
Bastava
quel tono a farlo tremare, a scuotere la sua determinazione almeno in
parte. Itachi
dovette chiudere gli occhi e regolare il battito del suo cuore,
odiandosi per
l’improvvisa emozione che gli attorcigliava le viscere.
Questa
volta non poteva andare come tutte le altre, si ricordò. Non
lo avrebbe
lasciato andare dopo aver approfittato di quel tempo rubato: doveva
catturarlo.
Ma
Shisui
questo non doveva capirlo, non doveva sospettare nulla,
perciò era meglio che
almeno all’inizio si comportasse come al solito.
“Non
è
troppo rischioso questo posto?” domandò.
Shisui
sorrise, incurante.
“Se
non hai
fatto la spia, nessuno arriverà. E i miei corvi stanno
ispezionando il
perimetro” garantì.
Annuì,
mostrandosi rassicurato. Del resto se qualcuno a Konoha avesse scoperto
che si
incontrava clandestinamente con un nukenin lo avrebbero etichettato a
sua volta
come traditore. L’unico che conosceva quegli incontri era
Danzo, visto che era
stato proprio il vecchio consigliere a spingerlo a cercare Shisui
e… lasciarsi andare.
Itachi non aveva ben
chiaro che cosa sperasse di ottenere Danzo da tutto ciò,
visto che Shisui era
sempre ben attento a non rivelare mai nulla sulla sua nuova vita. Ma
sapeva
anche che Danzo non faceva mai nulla a caso, c’era sempre un
motivo e Itachi si
fidava di questo.
Lasciò
cadere la trasformazione, mostrando così le sue vere
sembianze. Appena lo fece
l’occhio di Shisui brillò e il cugino
cominciò a camminare verso di lui.
“I
tuoi
capelli sono diventati ancora più lunghi”
considerò con un sorriso.
“Anche
i
tuoi sono più ricci” replicò.
Itachi
non
si mosse quando Shisui gli fu praticamente di fronte, una mano
allungata dietro
la sua nuca, stringendo la coda di capelli lisci. Prima che se ne
rendesse
conto, aveva sfilato l’elastico e liberato i fili lucenti,
che si allargarono
attorno alla sua figura. Le dita di Shisui accarezzarono le lunghe
ciocche
libere, c’era una riverenza nei gesti che fece immobilizzare
Itachi. Il secondo
successivo lo stava baciando, le labbra premute contro le sue con una
disperazione disarmante. La mano che tanto teneramente gli aveva
accarezzato i
capelli scese a cingerlo alla vita, aggrappandosi ai suoi fianchi con
una forza
tale che fece socchiudere la bocca a Itachi. Shisui ne
approfittò subito di
quella apertura, rese il bacio più intenso e bagnato,
infilando la lingua in
cerca della gemella. Itachi rabbrividì alla sensazione del
muscolo umido che
gli riempiva la bocca, che leccava le sue labbra e i denti. La
sensazione
accompagnata all’odore di Shisui, che non sentiva da
così tanto – troppo –
tempo, lo fece indurire all’istante.
Riaprì
gli
occhi, cercando di ricomporre la propria fermezza. Doveva farlo ora,
prima che
l’eccitazione prendesse possesso della sua mente e
sbriciolasse la risoluzione
che lo aveva portato fin lì. Inoltre Shisui in quel momento
sembrava totalmente
disarmato, in balia del bacio. Era vulnerabile, non poteva sperare in
un
momento migliore.
Attese
solo
qualche minuto, ricambiando il bacio e i gesti per non insospettirlo.
In realtà
si crogiolò nella sensazione, prendendone ogni momento come
l’ultimo respiro. Ma
capì che il momento era terminato quando Shisui
spostò le mani dai suoi fianchi
sul suo petto, partendo dalle clavicole per staccare i bottoni della
blusa che
indossava. Quello era il momento giusto.
Gli
morse
il labbro con forza e poi si allontanò lentamente dal viso
dell’altro, lo
sguardo vitreo. Shisui non lo rincorse, rimase paralizzato e
abbassò lo sguardo
sui proprio polsi improvvisamente ammanettati. Sulla catena erano
impressi
simboli di sigilli, posti per bloccare il chakra. Sembrava confuso di
vederli.
Itachi
si
appoggiò al muro con stanchezza.
“Finiamola
qui, Shisui” chiese.
Nel
sentire
il proprio nome, il nukenin alzò lo sguardo dalle manette
che lo bloccavano e
lo guardò in volto. Sorrise, ma quello stiramento di labbra
era solo una
pallida imitazione del vecchio e vero sorriso di Shisui. Non
c’era nulla di
giocoso in lui e i suoi occhi brillavano di una luce maniaca, che
poteva aver
acquisito solo dopo anni in mezzo alla feccia shinobi. Mise i brividi a
Itachi.
“Oh,
vuoi
farlo così?” domandò con un tono di
voce che era sporco quanto il suo sguardo,
il suo sorriso.
Ma che
fece
tremare Itachi.
Cercò
il
proprio fiato per replicare, per fermarlo, mentre Shisui tornava
vicino, le sue
labbra questa volta sul suo collo. Itachi si vergognava ad offrirgli
così
spontaneamente quel punto vitale, fragile, sarebbe bastato
così poco per
ucciderlo. Appoggiò le mani sulle sue spalle e spinse con
forza.
“Shisui,
non fare resistenza. Ti sto riportando alla Foglia” disse con
il tono saldo,
nonostante il cuore che tremava.
Il
cugino
lo derise beffardo e, a dimostrazione di quanto lo stesse prendendo
seriamente,
lo afferrò per i fianchi e lo fece cadere sul letto vicino.
Il materasso attutì
la caduta di schiena, ma Itachi digrignò i denti al peso di
Shisui su di lui.
“Certo”
lo
blandì, le mani che vagarono a infilarsi sotto i suoi abiti
civili.
“Esattamente come tutte le altre volte”.
Itachi
contrasse lo sguardo. “No, questa volta per
davvero”.
Sbuffò.
“E
cosa cambierebbe dalle altre volte?”
“Hai
ferito
Sasuke”.
Shisui
si
bloccò. Le sue mani si fermarono e alzò gli occhi
a incontrare quelli
dell’altro, le stesse iridi nere che si riflettevano le une
sulle altre.
“Si
era
intromesso” disse, il tono molto più serio di un
secondo prima.
“Feriresti
anche me se mi intromettessi?”
Il
silenzio
durò a lungo mentre si fissavano, i visi ancora
così vicini che i loro fiati si
mescolavano. L’unico occhio di Shisui diventava
più freddo man mano che il
tempo passava. Poi la sua figura si sfaldò: divenne una
macchia nera che si
divise in tanti piccoli corvi dalle lucenti penne nere. Itachi
riconobbe la
tecnica che avevano inventato insieme e, libero dal peso che lo
tratteneva
sulla schiena, si mise seduto sul letto. Si guardò attorno,
in attesa che
Shisui comparisse ancora.
Sussultò
quando la voce lo raggiunse proprio alle sue spalle.
“Dipende”
disse. “Hai intenzione di catturare Naruto?”
Si
voltò,
trovando Shisui steso sull’altro lato del letto, le braccia
sollevate
mollemente dietro la testa. Non aveva le catene di sigilli, quello di
prima
doveva essere un clone e Itachi si maledì per esserci
cascato così facilmente.
L’unico occhio di Shisui era rivolto al soffitto sporco.
Quella
domanda lo mise sull’attenti.
“È
il
jinchūriki del Kyūbi, è mio dovere come shinobi della Foglia
riportarlo a
casa”.
Fece una
smorfia, l’occhio che si spostò a guardarlo con
disprezzo. Quello sguardo lo
ferì.
“Chiami
casa una prigione dove tutti ti odiano e ti tengono a distanza, che
aspettano
solo il momento giusto per usarti come arma?”
Itachi
arricciò il naso contrariato, quelle parole che suo malgrado
affondarono nella
mente. Ma accusò il colpo e replicò:
“Non
sapevo
che la sua condizione ti fosse così a cuore”.
Shisui
contrasse le labbra, l’espressione che si fece molto
più amara.
“No,
l’ho
ignorato come tutti gli altri” ammise.
“L’ho capito dopo”.
Strisciò
lentamente sul materasso, avvicinandosi alla figura distesa,
lasciò lo stesso
un po’ di spazio tra loro.
“Quando
lo
hai rapito” disse.
“Io non l’ho rapito”.
Roteò
gli
occhi. “Va bene, allora quando ti ha seguito per abbandonare
Konoha”.
Rise,
apertamente. “No, non è me
che ha
seguito”.
Quella
sottolineatura gli mise i brividi sulle braccia, ma la sua mente
lavorò velocissima.
Conosceva a memoria i rapporti sulla scomparsa di Shisui, sul suo
tradimento.
Itachi stesso c’era quando, per scappare da lui e gli altri
ANBU, Shisui si era
gettato nel fiume Naka ed era sparito a metà del salto, come
se l’aria lo
avesse inghiottito nel nulla. Tutti pensavano si fosse trattato di uno
shunshin
particolarmente riuscito, ma in quel momento a Itachi venne in mente
quello che
avevano descritto le pattuglie degli Inuzuka. Quella sera non
c’era solo
l’odore di Shisui e Naruto alle porte di Konoha, ce
n’era un terzo: uno
sconosciuto, che sapeva di conifere, cenere… ma che sembrava
quasi sintetico.
Un terzo
uomo, un complice.
Gli
occhi
di Itachi si acuirono, consapevole che si trattava della persona che
aveva
salvato Shisui dal suo salto suicida, la persona che aveva interesse
nel rapire
il jinchūriki.
“Chi?”
chiese duro, inflessibile.
Shisui
allargò il sorriso, uno stregatto inquietante con il suo
unico occhio
brillante. Si mise a sedere mentre una risata roca strisciava fuori
dalla sua
gola, con il suo gesto cancellò tutta la poca distanza che
Itachi aveva tentato
di mettere tra loro. Lo fronteggiò viso a viso, i loro nasi
che si sfiorarono.
L’espressione
folle lo spaventò, si preparò a combattere.
“Itachi…”
mormorò, “lo ricordi ancora il nostro sogno? Il
tuo sogno? Diventare lo shinobi
più forte e in grado di decidere la guerra e la
pace?”
Itachi
annuì con un cenno meditabondo. Quello era ancora il suo
sogno, il suo
obiettivo e – sebbene Shisui fosse l’unico a
conoscerlo fino in fondo –
finalmente si stava davvero avvicinando nel compierlo. Ma il tono
folle,
affrettato e un po’ esaltato con cui aveva parlato lo mise in
allarme. I suoi
muscoli si irrigidirono in automatico, come se si trovasse prossimo a
uno
scontro.
“Lo
ricordo” rispose, mantenendo la sua voce quieta.
Il
sorriso
di Shisui si fece ancora più folle.
“E
se ti
dicessi che esistono già delle persone così?
Shinobi con così tanto potere da
essere dei, in grado di poter avere la gestione completa della
guerra”.
Itachi
si
turbò ancor di più, era sicuro non stesse facendo
riferimento ai Kage delle Cinque
Nazioni Ninja.
“Dubiterei
della
loro esistenza, altrimenti lo starebbero già
facendo” commentò placido.
“Il
progetto è ancora in fase di sviluppo”.
“E
questo
progetto consiste nel rubare i Jinchūriki ai villaggi?”
Shisui
alzò
gli occhi al cielo, visibilmente esasperato.
“Non
rubare, non sono oggetti che si
possono rubare” ringhiò. “Naruto
è venuto con noi perché lo
voleva”.
“Avete
manipolato un bambino” insistette.
“No,
gli
abbiamo detto la verità e lui ha scelto”.
Questo
confermava il rapporto di Kakashi, dove presentava il bambino
consapevole della
sua situazione… Ed era stato qualcuno a rivelarglielo e solo
qualcuno interno a
Konoha poteva averlo fatto. Ma non Shisui, visto che aveva ammesso di
essersi
interessato al Jinchūriki dopo la fuga. Chi altro aveva tradito in quel
modo il
villaggio? Oscurò lo sguardo, sempre più turbato
da quello che scopriva.
“Voi
chi?”
Shisui
tornò a sorridere inquietante. “Una nuova alba per
il mondo”.
“Chi
sono
questi dei che hai nominato?” insistette.
“I
mostri
che i villaggi hanno creato”.
Le
risposte
sibilline gli diedero i nervi, strinse le mani sulla stoffa del letto
per
resistere all’impulso di attaccarlo e trascinarlo con la
forza a casa.
Combattere con Shisui non era facile, più di una volta era
stato sconfitto dal
cugino, doveva giocare in astuzia e pensare, restare lucido. Doveva
avere più
informazioni possibili.
“È
per
controllare quei mostri che hai rubato il Rotolo Proibito?”
La
faccia
del più grande si fece indifferente. “Non so di
che parli. Non ho rubato
nulla”.
“No,
tu no.
Ma Mizuki per tuo conto sì”.
Shisui
mantenne l’espressione per molti secondi, guardandolo quasi
senza sbattere le
palpebre, ma Itachi non demorse e non distolse lo sguardo. Sapeva che
era opera
sua e sapeva anche perché lo aveva fatto, gli serviva solo
una conferma.
E quella
arrivò, quando alla fine Shisui voltò il viso e
ghignò. “Beccato”.
Forse in
cuor suo aveva sperato continuasse a negare, perché
quell’ammissione gli
appesantì il cuore e ostruì la gola. Shisui aveva
abbandonato Konoha, ma in
quei quattro anni non aveva mai fatto nulla contro il
villaggio… quella presa
di posizione lo segnava come insalvabile, nessuno del Consiglio lo
avrebbe più
perdonato.
“Volete
liberare il Kyūbi…” mormorò incredulo.
“No!”
contraddisse con forza. “Vogliamo solo dare a Naruto il
potere necessario per
difendersi”.
“Quel
rotolo contiene il sigillo che gli impose lo Yondaime. Volete capire
come toglierglielo”.
“Migliorarlo”
corresse digrignando i denti.
A Itachi
stava venendo la nausea. I Bijū garantivano l’equilibrio tra
nazioni, erano un
monito che scoraggiava i villaggi ad attaccarsi direttamente fra loro.
Fino a
quel momento Konoha aveva fatto un buon lavoro a nascondere di aver
perso il
proprio, ma se volevano davvero che Naruto iniziasse a usare il potere
del
Kyūbi presto le voci sarebbero corse… Konoha sarebbe stata
attaccata, privata
com’era della sua più grande arma difensiva.
“Perché?”
domandò a fatica.
“Perché
voglio la pace, ‘Tachi. È quello che vuoi anche
tu, era il tuo sogno”.
“L’unica
pace possibile è con Konoha”.
Shisui
derise la sua convinzione. Un suono stridulo e sgraziato che gli fece
accapponare la pelle. Era già successo che nei loro incontri
clandestini si
parlassero, ovviamente, ma solitamente Shisui aveva evaso ogni sua
domanda,
rispondendo con prese in giro e cambiando argomento. Era la prima volta
che si
parlavano davvero ed era terribile quello che stava venendo a scoprire.
“Konoha
è
corrotta, come tutti i villaggi. Non potrà mai esistere la
vera pace con questo
sistema shinobi”.
“Fai
gli
stessi discorsi che Madara fece a suo tempo”
protestò, volendogli ricordare che
cosa era poi successo al vecchio capo clan, ma si interruppe vedendo lo
sguardo
di Shisui illuminarsi.
“Forse
è
stato lui ad aprirmi gli occhi”.
Itachi
rimase con la bocca socchiusa, come colto da una realizzazione che non
era
sicuro di aver compreso pienamente. La sua portata sarebbe stata troppo
vasta e
Madara era stato ucciso dallo Shodaime. No, le parole di Shisui
dovevano essere
state apposta ingannevole per confonderlo. Tentò di
riprendersi, la mente
analitica che veloce cercava di tratte conclusioni e risultati.
Un
ammiratore di Madara, forse? Un altro Uchiha? Non c’erano
Uchiha traditori
oltre Shisui, non esistevano e basta.
Prese un
lungo sospiro dal naso. “E come te li ha aperti?”
“Mi
ha
mostrato il marcio di Konoha. Quello che sapevo già
esistere, ma che ho
ignorato. Lo stesso che stai ignorando tu ora”.
“E
questo
quando sarebbe successo? Da quando progettavi di tradirmi?”
domandò, provando a
spostare l’attenzione su un piano più personale
per farlo parlare.
Itachi
voleva ottenere di più, cominciava a essere esasperato da
queste mezze
risposte. Anche se stava ottenendo informazioni, Shisui era comunque
abile nel
nascondere chi ci fosse dietro al gruppo a cui si era unito. Non poteva
andare
avanti solo per supposizioni, doveva fargli fare un passo falso.
“Ho
deciso
di andarmene il giorno in cui me ne sono andato” rispose
addolcendo il tono. “Prima
di allora il pensiero non mi aveva mai sfiorato. Sai che ti amo, che
odia
starti lontano”.
Itachi
si
morse la guancia, restando ferito da quella confessione nonostante la
sua dolcezza.
“Ma
te ne
sei andato. Chi ti ha convinto a farlo?”
“Lo
sai
chi: Danzo!” sbottò.
Sorvolò
su
quell’accusa, conoscendo fin troppo bene il rancore che
provava verso il
vecchio consigliere visto che era stato lui a sventare il suo piano ai
danni del
villaggio.
“Ma
sapevi
con chi andare quando sei fuggito” insistette.
Indurì lo sguardo. “Qualcun
altro doveva averti messo la pulce nell’orecchio, lo stesso
che ora tiene te e
Naruto”.
Shisui
sorrise. “Solo un bravo ragazzo, un vecchio amico. Vediamo le
cose dalla stessa
prospettiva” rise picchiandosi la benda che nascondeva
l’occhio mancante, come
a fare una battuta.
“E
chi
sarebbe?”
“Nessuno”.
Allargò il sorriso. “È così
che ti risponderebbe”.
“E
tu come
mi risponderesti?”
“Che
è
meglio per te non ficcarci il naso, non sono affari tuoi”.
Qualcosa
dentro di lui ruggì a quella frase brusca. Chiuse gli occhi
per dominarsi e
faticò a mantenere la voce salda.
“Sono
affari miei, visto che ti ha portato via
da me”.
Shisui
gli
prese la mano. Sussultò e tornò a guardarlo,
l’occhio del cugino era dolce e
pieno di desiderio.
“Vieni
con
me, allora” mormorò e per un momento gli
sembrò lo stesse supplicando.
Itachi
provò l’impulso di strappare la mano, ma rimase
nella sua presa gentile. Shisui
intrecciò le loro dita, accarezzando nel frattempo il dorso,
i tendini in
rilievo e i calli.
“Vieni
con
me” ripeté. “Lasciamo tutto questo,
insieme noi due non dovremmo temere nulla”.
Itachi
corrucciò lo sguardo. “Non posso”.
Si
aspettava quella reazione, ma l’infiammarsi
dell’occhio di rosso fu comunque
violento e la sua risposta risultò aspra alle orecchie.
“Perché
no?!”
“Sasuke”
mormorò senza aggiungere altro.
La
risposta
sembrò acquietare Shisui. Sapeva da sempre quanto il
fratellino fosse
importante per lui, che sarebbe venuto sempre prima di qualsiasi cosa.
Forse
sapere che era più per quello che per la fedeltà
a Konoha era quasi
rassicurante. Certe cose non cambiavano mai.
“Potrebbe
venire anche lui” propose e c’era davvero una nota
speranzosa nella sua voce.
“Farebbe compagnia a Naruto”.
Scosse
la
testa. “No, Shisui. No. Non verrò mai con
te”.
Lasciò
andare la sua mano e Itachi sentì uno strano sentimento di
vuoto, lo stesso
vuoto che vedeva ora nello sguardo di Shisui. Ma dovevano essere
realistici,
Itachi era uno shinobi di Konoha e non l’avrebbe mai tradita.
E aveva
una
missione.
“Chi
sono i
tuoi alleati, Shisui?” domandò senza giri di
parole.
La
domanda
risuonò fin troppo tranquilla nel silenzio creato, ma Shisui
reagì brusco. Si
alzò da letto e iniziò a camminare per la stanza,
gesticolando con un braccio.
“All’inferno.
Te l’ho già detto: mostri che avete creato,
proprio come me”.
“Nukenin,
quindi”.
Non era
una
vera sorpresa, ma la sua costatazione sembrò far infuriare
il più grande. Ebbe
quasi la sensazione che nella rabbia i ricci si gonfiassero ancor di
più.
“Comodo
chiamarci così. Ma siamo solo armi che avete gettato via una
volta rotte!”
Itachi
sentì a sua volta la rabbia risalire per la gola, la
frustrazione e l’indignazione
scorrere per le vene e i percorsi di chakra. Per quell’accusa
faticò a
trattenersi dal no mostrare lo sharingan.
“No,
non ti
abbiamo gettato via” disse e si accorse del rancore nella sua
voce troppo
tardi, ma non si fermò. “Sei tu che ci hai
abbandonati!”.
“Non
avevo
scelta, mi stavate dando la caccia! Danzo mi ha strappato
l’occhio!” sbraitò
indicandosi l’orbita vuota nascosta dalla benda.
“Perché
tu
l’hai attaccato”.
“Io
non
l’ho fatto” gridò, la mano che si
aggrappò al viso come a nascondere il lato
sfregiato. “Stavo cercando di risolvere le cose, ma Danzo
voleva che facessi a
modo suo”.
“Volevi
metterlo sotto genjutsu con Amatsukami” gli
ricordò furioso che continuasse a
negare la sua colpevolezza.
“No,
sarebbe stato tuo padre quello a finire sotto genjutsu!”
Lo
guardò incredulo.
“E questo come dovrebbe farmi sentire meglio?!”
“Preferivi
la soluzione di Danzo? Voleva sterminare il clan!”
“No”
lo
contraddisse con la voce spezzata. “Lui ha evitato che
avvenisse la strage, ha
salvato il clan e il villaggio”.
Shisui
si
bloccò e lo guardò. Il suo sharingan brillava
ancora, con i tomoe che roteavano
così veloci da sembrare impazzati. Alla fine
stirò le labbra in un sorriso
beffardo.
“Stai
scherzando. Quel vecchio ci odia”.
Scosse
la
testa. “No, era solo preoccupato per il villaggio. Ma ha
trovato la soluzione…”
L’espressione
scettica e sprezzante del ragazzo più grande dimostrava
quanto poco ci
credesse, quindi Itachi prese fiato e gliela disse prima che potesse
interromperlo. Ma man mano che parlava, la reazione di Shisui alla
soluzione
trovata fu di evidente disgusto. Impallidì e
sgranò l’occhio, guardandolo
incredulo, il gelo impresso sulla sua bocca socchiusa; lo
sconvolgimento era
tale che lo guardò in silenzio anche quando finì.
“Tu…
stai
scherzando” disse alla fine, il tono raggelato.
“Non hai accettato, non…”
“L’ho
fatto” disse, suo malgrado ferito da
quell’atteggiamento.
Non si
aspettò di vedere Shisui consumare lo spazio che aveva messo
tra loro e tornare
sul letto, così velocemente che credette avesse usato uno
shunshin. Lo prese
per le mani, quasi strattonandolo.
“No!”
disse
ed era disperato. “Itachi, che cos’hai fatto?
Perché hai accettato?”
“Perché
era
l’unica soluzione. Abbiamo fermato il colpo di stato senza
una goccia di
sangue” gli fece presente, poi aggiunse con un sorriso
triste. “Alla fine anche
in passato i problemi si risolvevano così, no?”
“Perché,
‘Tachi?” ripeté Shisui come se non lo
avesse sentito. “Perché tu?”
“Sono
il
figlio del capoclan” replicò placido. “O
io, o Sasuke. Meglio io”.
Scosse
la
testa, come se stesse cercando di cacciare via quel pensiero.
“No,
zia
Mikoto non può aver accettato… sei suo
figlio!”
“Va
bene”.
Il tono calmo era un contrasto stridente contro le proteste disperate.
“Il
sacrificio di qualcuno nell’ombra per salvare molti.
È questo che significa
essere shinobi, non è quello in cui credevi?”
La
ferocia
tornò nel viso di Shisui, strinse con forza le mani fino a
fargli male.
“Il
mondo
shinobi è malato” ringhiò.
“Credo in questo adesso, che l’unico modo per
aggiustarlo sia distruggerlo. Così feccia come Danzo
smetterà di esistere. Non
ti rendi conto che vuole solo usarti?!”
“E
va bene”
proclamò. “Farò quel che devo per
salvare il villaggio e il clan”.
“Anche
combattermi?” lo sfidò.
Si
fissarono in un silenzio teso e pesante. Itachi aveva la risposta sulla
punta
della lingua, del resto era venuto fin lì con un obiettivo
preciso ed era da
prima che cercava di fargli capire la sua intenzione. Shisui non lo
aveva preso
sul serio, ma ora lo stava facendo e dirlo avrebbe avuto molta
più importanza.
Avrebbe segnato una linea e la sentiva già come distruggeva
il suo cuore.
“Sì”.
Shisui
lasciò andare le sue mani e distolse lo sguardo. Si
aspettava dicesse altro,
invece rimase in silenzio a mostrargli il profilo. A guardarlo Itachi
si sentì
male, i suoi occhi bevevano ogni lineamento con avidità
consapevole che non ci
sarebbero stati altri incontri. Aveva appena segnato una linea.
Una
linea
che avrebbe dovuto marcare molto tempo prima. Forse avrebbe fatto meno
male, si
sentiva sanguinare fin dentro il profondo.
Eppure,
nonostante il suo dolore si sorprese nel vedere Shisui arricciare le
labbra e
poi scoppiare a ridere. Freddo, folle e spaventoso, rizzò i
peli sulla nuca di
Itachi. Percepiva il chakra ribollire nell’altro, la sua
forza che vibrava sottopelle
spaventosa e potente. Stava per attaccare, ma la risata ormai disperata
lo
destabilizzò abbastanza da non riuscire a reagire in tempo.
Le successive
parole di Shisui non fecero che congelarlo ancor di più.
“Va
bene,
sì… l’ho sempre saputo, in
fondo”. Alzò il viso e Itachi trattenne il fiato
nel
vedere la scia di lacrime sulla guancia dell’occhio sano.
“Non eri qui per me.
Hai sempre solo voluto incontrarmi per avere informazioni, usarmi.
Forse
uccidermi?”
Lo
guardò
sconvolto. “Shisui…”
“Mi
hai
mentito quando hai detto che mi amavi?”
Itachi
sgranò gli occhi. “No!”
protestò. “Io ti amo!”
Non
sapeva
cosa si aspettava nel dirlo, forse avrebbe dovuto mentire e
basta… Shisui non
cambiò la sua espressione, lo guardò sempre
più disperato e rassegnato.
“Capisco,
quindi è questo che ti ferma. Per questo non sei mai
riuscito a uccidermi”.
La
disperazione stava cominciando a macchiare anche Itachi. Voleva
gridargli che
stava fraintendendo, mai una sola volta Danzo gli aveva ordinato di
assassinare
Shisui, il suo compito era solo tenere traccia dei suoi movimenti e
obiettivi.
“Non
ti
ucciderei mai” gli sfuggì.
Sussultò
nel sentire una mano sfiorargli la guancia. Era rimasto così
fisso sul volto di
Shisui da perdere i movimenti delle sue mani.
“Questo
è
un problema per il migliore shinobi di Konoha…”
considerò Shisui, la voce
dolce. “Rimediamo”.
Itachi
sgranò gli occhi, accorgendosi perché finalmente
stesse richiamando così tanto
chakra. I tomoe continuarono a ruotare nell’iride vermiglia
fino a mostrare una
figura geometrica.
“Shisui,
no…!” supplicò.
“Amatsukami”.
Oddio
guardate chi è tornata!
In
realtà
nemmeno io ci speravo più, ma per questo capitolo mi aveva
preso un blocco
dello scrittore assurdo che non riuscivo a superare. Ogni volta che
aprivo il
documento finivo per non scrivere neanche una parole, restava fermo a
metà. Alla
fine oggi mi sono imposta di farlo e ho deciso di fare diversamente da
come
programmato. Per dirvi avevo in mente una scena nsfw qui, ma nada, non
riuscivo
proprio a scriverla RIP
Anche il
finale non mi convince, molto melodrammatica. Ma in fondo gli Uchiha
sono melodrammatici,
devono fare le reginette del dramma appena possono quindi in fondo ci
sta (e
non voglio rischiare di entrare in un altro blocco per cambiarlo,
già).
Buone
notizie? Il prossimo capitolo è un po’ scritto
(anche se è immenso) ed è incentrato
su Obito e Naruto, che come sapete non ho problemi a scrivere di quei
due.
Forse riuscirò a farcela ;___; ma non voglio darvi false
speranze.
Spero
che
qualcuno sia rimasto fino a qui. E nel caso vi/ti ringrazio di cuore T_T
Un bacio!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Averne cura ***
Cap
VII
Averne
cura
Tra tutti i
posti in cui poteva nascondersi, Madara…
Tobi… Obito (chi era? Perché non lo sapeva
più?) non capiva perché avesse
proprio scelto la scultura di pietra del Quarto Hokage che sovrastava
Konoha.
Una celebrazione in lutto attraversava la via principale del villaggio,
verso
il cimitero. Era il 10 Ottobre, il giorno dell’attacco, della
morte del Quarto
Hokage. Da lì il Villaggio sembrava così piccolo
e debole, ignaro della
minaccia che si trovava ancora una volta su di lui.
Ma Obito era
davvero una minaccia arrivati a questo
punto? Cosa serviva attaccare questo mondo, prendere vite e versare
sangue? Non
c’era nessun riscatto, nessun paradiso che poteva realizzare.
Zetsu gli aveva
mentito.
Le tavole erano
manomesse, qualcuno aveva riscritto
sopra gli antichi insegnamenti inventando una favola per gli sciocchi.
Sciocchi
come Madara, che avevano creduto all’impossibile: la pace non
esiste, non può
nemmeno essere creata con un’illusione. Ancora non capiva
come il vecchio e
potente Uchiha non si fosse accorto del tranello, a Obito era bastato
osservarle con il Mangekyo per vedere che sotto il sottostante
c’era un altro
significato. Era un bene che Minato gli avesse insegnato quella
lezione, forse
era per quello che – tra tutti i posti – era andato
a nascondersi in ciò che
restava dell’ex-sensei.
Un movimento
alle sue spalle gli fece capire che non era
stato l’unico a scegliere di nascondersi lì.
Fulmineo
afferrò uno shuriken e lo lanciò alle proprie
spalle. L’arma si conficcò sul terreno, ai piedi
di un bambino, che dallo
spavento cadde all’indietro e singhiozzò.
“Non
ho fatto niente, non è colpa mia!”
gridò con le
lacrime agli occhi. “Quindi lasciami in pace,
dattebayo!”
Obito
sbatté le palpebre, insicuro su come agire per
la prima volta da quella che pareva un’eternità.
Conosceva quel bambino, lo
aveva tenuto in braccio nel momento esatto in cui era nato, perfino
prima dei
suoi genitori. Mentre il silenzio si allungava notò i lividi
sul volto minuto,
le ferite stavano già iniziando a guarire ma erano ancora
arrossate sulla
pelle, segno che era stato picchiato di recente.
“Chi
è stato?”
Si
bloccò nel sentire il suono della sua stessa voce,
si stupì di come uscisse ruvida e roca, come se la sua gola
fosse consumata.
Il bambino,
Naruto se ricordava lo stupido nome che
sensei aveva dato a suo figlio, lo studiava come se fosse una
potenziale
minaccia.
“E a
te che ti frega”.
“Chi?”
insistette e non capì nemmeno perché fosse
così
importante. Si accorse solo che la sua rabbia stava crescendo,
ribollendo nelle
vene, e non si preoccupò nemmeno di sopprimerla.
Sentì il desiderio di
incendiare ancora una volta Konoha.
“Nessuno,
va bene!” scattò Naruto sulla difensiva.
“Dimmi
chi è stato”.
“I
senpai all’Accademia!” gridò
all’improvviso, ma la
rabbia durò solo un secondo. Le sue spalle si piegarono
sconfitte e abbassò lo
sguardo, lacrime caddero dai suoi occhi. “Sei contento,
dattebayo?!”
Non rispose,
scosso dalla risposta che conosceva già.
Si sedette sulla testa di pietra, la calma apparente che nascondeva una
tempesta che infuriava piena di odio dentro di lui.
Non capiva
questo mondo, non l’avrebbe mai capito.
Come potevano
celebrare il giorno della morte dello
Yondaime picchiando la sua eredità? Naruto era solo un
bambino eppure avevano
alzato le mani contro di lui.
Questo era
l’errore del mondo, ciò che avrebbe dovuto
correggere con il piano dello Tsuki no Me.
Se solo Zetsu
non gli avesse mentito per tutto quel
tempo.
Si accorse che
Naruto si era asciugato le lacrime e
ora lo guardava curioso. Quello era il giorno del suo ottavo
compleanno, eppure
sembrava così minuto e scheletrico, molto più
piccolo della sua reale età.
“Perché
indossi una maschera?” chiese facendo un passo
avanti.
Obito non
rispose.
“Sei
comparso all’improvviso, come hai fatto? Sei uno
shinobi?”
Scrollò
le spalle.
Allargò
un sorriso sdentato. “Anch’io diventerò
un
ninja. Diventerò perfino Hokage, credici!”
Sussultò
nel sentire il suo stesso vecchio sogno e gli
fu così facile capire perché lo stesse dicendo.
Se lo fosse diventato tutti lo
avrebbero notato, lo avrebbero ammirato e non picchiato.
“Sarò
l’Hokage più migliore”
continuò illuminandosi
sempre di più, come un piccolo sole.
“Sarò così migliore che tutti mi
ammireranno! E i bambini al parco giochi vorranno stare con me! E
nessuno dirà
che sono un mostro! E la vecchia dell’alimentari non mi
urlerà contro e
comprerò dai negozi e…”
“Non
puoi compare dai negozi?” lo interruppe. La sua
voce risultò calma, distaccata.
Naruto fece un
passo indietro e distolse lo sguardo,
dimenandosi un po’ per il disagio.
“No,
mi cacciano” spiegò.
“Nemmeno
da mangiare?”
Annuì.
“Però Ichiraku-san mi dà sempre il
ramen, adoro
il ramen, il suo ramen è il migliore del mondo, è
il più buonissimo, ogni
volta…”
Non lo stava
più ascoltando, la rabbia era tornata
prepotente come uno tsunami, si sentì bruciare fino alla
cenere da essa. L’odio
per questo villaggio insulso, per quell’intero
sistema… sembrava destinato a
non finire mai. Tutto quello che voleva fare era distruggere.
“Ehi,
non mi hai detto come ti chiami!”
Tornò
con lo sguardo sul bambino. “Non ho un nome”
rispose.
“È
impossibile, dattebayo, chiunque ha un nome!” si
indignò.
“No,
io non ho nessun nome, perché non sono più
nessuno”.
Non era nemmeno
più Madara, non dopo quello che aveva
scoperto, non dopo essersi reso conto che quel sogno era solo il
delirio di un
vecchio pazzo manipolato. Aveva perso ogni scopo ormai.
Naruto lo
toccò, si aggrappò al suo braccio e strinse
così forte da farlo sussultare. Improvvisamente
in panico se lo scrollò di dosso e si
alzò, mise spazio tra loro.
“Che
cosa stai facendo?!”
“Ti ho
toccato” rispose serio come solo un bambino può
esserlo. “Se ti ho toccato vuol dire che sei qui, sei
qualcuno, non puoi essere
nessuno. Quindi devi avere un nome!”
Non
riuscì a gestire o decifrare l’improvvisa ondata
di emozioni, era talmente disabituato a qualcosa del genere che si
agitò. Fece
un passo indietro mentre Naruto continuava cocciuto:
“Inoltre
solo i fantasmi sono nessuno e tu non puoi
essere un fantasma perché i fantasmi mi fanno paura e invece
tu non mi fai
paura!”
Dovresti
averne.
“E…E…”
questa
volta parve esitare, in imbarazzo, ma strinse i pugni.
“E sei stato
gentile con me, mi hai ascoltato e quindi non sei nessuno ma sei
qualcuno
perché sei mio amico!”
Una contrazione
al petto lo fece ansimare. Sgranò
l’occhio nel rendersi conto che era il cuore.
Amico.
L’ultima
persona che gli aveva rivolto quella parola
era stata Rin.
Provò
l’istinto di allungare una mano e toccarlo a sua
volta, ma non ci riuscì, si sentiva senza fiato nei polmoni.
Fece un passo
indietro, scosso da tutto quello.
“Io…
sono…” Si sentiva la gola stretta, il cuore che
batteva doloroso dopo tutto quel tempo di vuoto.
“Obito”.
Il nome sembrava
estraneo alla sua bocca dopo così
tanto tempo a non pronunciarlo, dimenticarlo. Ma Naruto sorrise.
“Io
sono Uzumaki Naruto!” gridò. “Futuro
Hokage,
dattebayo!”
Non
riuscì a rispondere nulla, nemmeno a sorridere, la
stretta al suo petto era sempre più soffocante.
“Io…
devo andare. Non dirlo a nessuno. Non dire a
nessuno che mi hai visto. Tonerò. Tu… non dirlo a
nessuno”.
Naruto lo
guardò incuriosito. “È un
segreto?”
“Sì,
un segreto” assicurò.
“Io…”
“Tornerai”
completò per lui il bambino, sempre più
felice. “Va bene, manterrò il segreto
dattebayo!”
Sparì
in kamui con impressione di quell’ultimo
accecante sorriso.
**
Naruto
sbirciò attentamente l’interno della stanza. Non
si vedeva nessuno, era completamente
vuota. Al contrario vide una grossa pergamena su un tavolo. Doveva
essere
quella che lui e Shisui dovevano recuperare, quella che conteneva la
informazioni sul suo sigillo.
Sicuro
di
essere solo scivolò dentro la stanza e richiuse la porta
alle spalle.
Moccioso,
ti caccerai in grossi guai,
borbottò una voce cavernosa nella
sua testa.
Non
sussultò, riconoscendo il Kyūbi che, come al solito, stava
dando consigli non
richiesti.
“Non
mi
beccheranno, dattebayo” lo rassicurò.
“Sono stato attento”.
Afferrò
la
pergamene, iniziando a srotolarla dall’inizio. Aveva un piano
e tutta
l’intenzione di metterlo in pratica. Il motivo per cui Obito
e gli altri erano
così riluttanti a lasciarlo andare in giro era la sua
debolezza, non conosceva
tecniche shinobi incredibili come loro e anche nell’ultimo
scontro… era stato
sopraffatto così facilmente! Ma le cose non sarebbero
rimaste così. Avrebbe
imparato delle tecniche pazzesche, così incredibili che
Obito avrebbe dovuto
riconoscere che ormai era uno shinobi fatto e finito e non aveva
più bisogno
della loro protezione. Anzi, poteva essere lui a proteggere loro,
avrebbero
combattuto insieme.
Tutti i
buoni propositi però svaporarono quando vide la prima
tecnica segnata sulla
pergamena.
“Bushin?!”
sbottò mettendosi le mani nei capelli.
“Perché proprio la tecnica in cui sono
più negato?!”
Sei negato
perché non hai un briciolo di controllo sul tuo chakra,
moccioso,
borbottò
la volpe, sempre di grande supporto.
“Non
ho
controllo del chakra per colpa tua!” replicò
stizzito.
Umpf, tutti
i miei altri Jinchūriki prima di te non hanno avuto questo problema.
“Perché
loro avevano degli insegnati che
sapevano come addestrare un Jinchūriki!”
Adorava
i
ragazzi dell’Akatsuki, ma era ovvio che nessuno sapesse da
che parte girarsi
con lui e il chakra del kyūbi (in fondo era per quello che avevano
rubato il
Rotolo Proibito) ed era molto sicuro che la strategia di Hidan di
inseguirlo
con la sua falce spronandolo a sopravvivere non fosse vero allenamento.
Da parte
del Kyūbi ci fu un lungo silenzio, in cui Naruto guardò
sconfortato la
pergamena. Forse poteva passare alla tecnica successiva?
Aspetta,
questo è Kage
Bushin,
obiettò la volpe.
“E
quindi?”
E quindi,
moccioso, forse riusciamo a tirarci fuori qualcosa di buono…
**
Itachi
aprì
gli occhi di scatto. Prima che potesse realizzare pienamente il luogo
in cui si
trovava aveva sfoderato un kunai e il suo sharingan brillava a scrutare
la
stanza.
Era
ancora
nella locanda ed era solo.
Sospirò,
sconfortato. Doveva essersi addormentato mentre aspettava Shisui
– che errore
da principiante – ma a giudicare dalla luce del sole che
entrava dalla finestra
dovevano essere passate ore dall’orario
dell’incontro. Non era in ritardo, come
aveva pensato all’inizio, non era proprio venuto. Forse aveva
saputo che
qualcuno aveva fatto la spia, che Itachi aveva ricevuto una soffiata
che
prevedeva il suo passaggio in quella locanda. O forse la soffiata era
falsa, la
spia che gliela aveva rivelata del resto non era molto affidabile.
Perché mai
Shisui avrebbe dovuto andare in quella catapecchia dimenticata dal
mondo? Fino
a quel momento perfino Itachi non aveva mai saputo della sua esistenza,
non
ricordava di esserci mai passato davanti o di averne sentito parlare.
Era
stato
un buco nell’acqua, Danzo ne sarebbe rimasto deluso.
Non
capiva
perché il vecchio consigliere gli avesse dato
specificatamente l’ordine di
cercare Shisui. È vero, Itachi era il miglior shinobi di
Konoha al momento, ma
il Villaggio possedeva tracker migliori – gli Inuzuka, tanto
per cominciare –
che potevano seguire meglio le tracce lasciate dal nukenin. In fondo
non era
mai stato davvero legato al cugino, lo conosceva di vista, ma non aveva
un
legame tale che gli permettesse di capire come ragionava e quindi
anticipare le
sue mosse. Non erano mai stati amici, solo lontani parenti.
Ma si
fidava di Danzo. Il vecchio consigliere aveva sempre le sue ragioni e
raramente
sbagliava nel suo giudizio. Era cinico e a volte crudele, ma bisognava
esserlo
per far sopravvivere una nazione. Certi sacrifici erano inevitabili,
Itachi
aveva dovuto impararlo da bambino.
Attese
qualche altro minuto, giusto per prudenza, ma poi dovette ammettere a
se stesso
che quella soffiata era inutile, stava solo perdendo tempo. Rimise a
posto le
proprio cose quindi, recuperò le armi che aveva disseminato
in giro per intrappolarlo
e scese al piano di sotto. Per scrupolo controllò anche le
facce degli
avventori, pur sapendo che difficilmente lo avrebbe trovato
lì… senza contare
che ricordava a malapena il suo volto, in mente aveva solo il ritratto
presente
nel bingo book. Comunque, come si aspettava non c’era nessuno
che avesse anche
solo vagamente dei tratti Uchiha, perciò uscì
dalla locanda senza che nessuno
lo fermasse.
Attraversò
la strada con apparenza tranquilla e rilassata, quando in
realtà tutti i suoi
sensi erano in allerta per rintracciare il minimo segno di pericolo. In
realtà
Shisui poteva essersi presentato, accorto della sua presenza e aver
deciso di
ribaltare l’imboscata. Sapeva che non era così,
altrimenti ne avrebbe
approfittato nel momento in cui si era addormentato, ma la prudenza non
andava
mai abbandonata.
Arrivato
al
ciglio della strada, saltò verso i rami degli alberi e si
spostò fino ad
arrivare alla tana del picchio dove aveva nascosto la sua uniforme
ANBU. Era
tutto in ordine, non mancava nulla, dalle armi alla fascia di Konoha.
Sospirò
per l’occasione sprecata e rimise i vari pezzi
dell’armature, pronto a tornare
a casa.
Proprio
in
quel momento un frusciare di piume mosse l’aria vicino al suo
orecchio. Con il
tantō sguainato, Itachi si voltò in allarme. Era solo un
corvo… o meglio, era
una delle sue convocazione che aveva messo a guardia del perimetro. Ma
c’era
qualcosa di sbagliato… i suoi occhi riflettevano la forma
rossa e nera del suo
Mangekyo sharingan, non ricordava di averne incantato uno con lo
tsukiyomi…
Attivò
il
proprio sharingan e, nel momento esatto in cui lo fece, il genjutsu che
lo
circondava cominciò a spezzarsi. Itachi ricordò
tutto. Come erano andate
davvero le cose.
Socchiuse
le labbra, gli occhi umidi alla realizzazione.
“Bastardo…”
bisbigliò.
**
L’estate
si
stava facendo sempre più calda anche per lui, che aveva un
corpo sintetico che
solitamente lo proteggeva dalle variazioni di temperatura.
L’eterna umidità di
Ame rendeva qualsiasi posto del rifugio invivibile, non importa quanto
si
nascondesse al suo interno. Con le mani spazzolò il prato
basso e osservò gli
alberi attorno a lui. La radura riprodotto con il suo mokuton almeno
rendeva
l’ambienta un po’ più confortevole,
quello era il posto adatto in cui pensare.
E lui stava pensando molto cupamente.
Obito
stava
pensando a Shisui e più ci pensava più trovava
una buona idea colpirlo con
delle pigne appena lo avrebbe rivisto. Era passato un giorno e mezzo da
quando
si erano divisi e non era mai stato via così a lungo solo
per incontrare il suo dolce innamorato,
cominciava a
essere preoccupato che fosse finito in una trappola. Se non fosse
tornato entro
un’ora al tramonto, sarebbe andato a cercarlo lui stesso. Nel
caso non lo
avesse trovato, doveva dar per scontato che Konoha lo aveva catturato e
quindi
ideare un modo per recuperarlo senza esporre troppo
l’Akatsuki.
Spero che tu
stia bene solo per lanciarti quelle pigne
in testa, moccioso,
pensò.
Nonostante i suoi pensieri
profondi – non era
cosa da niente progettare un modo per infiltrarsi a Konoha e recuperare
un prigioniero
tenuto sotto la massima sorveglianza – si accorse
dell’ombra che lo stava
attaccando. Sotto la maschera il suo sharingan brillò e il
calcio attraversò la
sua testa come se fosse intangibile. Il colpo non andato a segno
sbilanciò il
suo aggressore e Obito approfittò di quel momento per
scattare lontano dal suo
posto ed entrare in posizione di difesa. Rotolò
sull’erba, ma prima che potesse
rialzarsi del tutto si trovò costretto a ricorrere ancora a
kamui per via un
altro aggressore.
Quanti sono?, si
domandò teletrasportandosi al
borde della caverna alberata, dove non avrebbe dovuto guardarsi alle
spalle.
Nello
spazio chiuso, alcuni di essi nascosti tra gli alberi che aveva creato,
c’erano
numerosi Naruto. Accigliò
lo sguardo
rendendosi conto che ogni copia aveva chakra sufficiente da poter
essere
l’originale, che erano indistinguibili gli uni dagli altri
anche per lo
sharingan. Cos’era quella novità?
“Obito!”
gridò uno dei tanti Naruto.
Era il
primo che lo aveva attaccato, si trovava dove un attimo prima era
seduto a
gambe incrociate. I suoi abiti erano rovinati, strappati e sporchi di
terra; i
capelli molto più spettinati del normale, il viso arrossato
e sudaticcio.
Nonostante il suo aspetto sorrideva feroce, emozionato, gli occhi che
brillavano per la voglia di dimostrare qualcosa. Portò
l’indice e il medio di
entrambe le mani davanti al viso, incrociati verticalmente e
orizzontalmente, e
urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“Combattiamo!
Kage bushin no jutsu!”
Con
sbuffi
di fumo e chakra attorno a lui si formarono altre decine di cloni
solidi,
riempiendo in breve tempo la finta radura.
Obito
sorrise sotto la maschera: kage bushin, quello chiariva tutto. In
qualche modo
era riuscito a sbirciare il Rotolo Proibito e imparare la prima tecnica
trascritta dal Nindaime.
Era
impressionato. Soprattutto considerando la quantità di cloni
che aveva
richiamato in breve tempo, molto più di quanti ne avrebbe
evocati un jonin d’elite,
e tutti avevano una dignitosa quantità di chakra per essere
utili in
combattimento.
Ovviamente,
kage bushin! Era quella la soluzione
al problema di Naruto sul controllo del chakra, quella era la tecnica
perfetta
per lui. Si maledì per non esserci arrivato lui stesso,
avrebbe potuto
insegnargliela molto tempo prima…
Non
importava, Naruto era lì, carico e sicuro di sé.
Era il caso di metterlo alla
prova.
“Vieni
a
prendermi” lo sfidò.
**
Fu lo
stesso gioco del gatto e del topo. Naruto era ancora un dodicenne
goffo, con
così tante apertura nella sua difesa che Obito avrebbe
potuto metterlo a terra
fin dal primo momento, non importava quanti cloni continuasse a
evocare. La sua
energia sembrava infinita.
Proprio
per
questo, continuò a spingerlo per vedere fino a quando poteva
resistere, quanto
poteva mostrare prima di crollare sfinito. Nel mentre prese nota anche
dei vari
punti da migliorare, per esempio era assolutamente necessario che
acquisisse
una maggior coordinazione con e tra i cloni. L’attacco era
molto confuso, senza
una vera strategia; poteva funzionare con certi avversari di basso
rango – i
cloni erano davvero tantissimi – ma uno shinobi esperto
poteva facilmente
trovare un modo per controbattere e vincere nonostante i numeri.
Alla
fine
fece esplodere anche l’ultimo clone e atterrò
Naruto, ormai troppo stanco per
resistere al suo taijutsu. Obito si accucciò con calma, come
per osservare la
sua prossima mossa. Anche se era steso a terra e vulnerabile, il
ragazzino non
sembrava ancora intenzionato ad arrendersi. Infatti si alzò
di scatto cercando
di prenderlo di sorpresa con una poderosa testata, ma ancora una volta
kamui si
attivò e gli passò attraverso, finendo a bocconi
sull’erba.
Obito
sorrise soddisfatto. “Ottimo lavoro”.
Naruto
lo
guardò sconvolto, frustrato. “Ma non ti ho
battuto” si lagnò cadendo a sedere
in modo sfatto.
Sbuffò.
“Sei ancora lontano da potermi battere, raggio di
sole” lo blandì. “Prima di
poter battere me, devi avere ragione degli altri membri di
Akatsuki”.
Il
ragazzino non commentò, non era un mistero che Obito fosse
il più potente nel
gruppo, perfino più potente di Pain che controllava tutto
Ame. Rimase zitto,
scoraggiato, perciò l’Uchiha riprese la parola.
“Sei
stato
bravo”.
Alzò
gli
occhi speranzoso. “Davvero?”
“Kage
Bushin non è una tecnica che tutti possono
performare” spiegò. “È tra le
più
difficili, soprattutto quella che hai imparato tu e coinvolge la
creazione di
mille cloni. La inventò Senjū Tobirama e
c’è un motivo se si trova nel Rotolo
Proibito: non tutti gli shinobi possono sostenerla”.
“Sì,
perché
bisogna dividere il chakra in parti uguali in ogni clone e non tutti ne
hanno
abbastanza per farlo. Se ci provano possono morire per esaurimento di
chakra
senza rendersene conto.”
Obito lo
guardò in sorpreso silenzio per quella risposta
così puntuale e corretta.
Naruto si agitò un po’ allo sguardo impassibile
della maschera.
“Me
lo ha
detto Kurama…” spiegò.
“Il
Kyūbi”
corresse gelido, l’intera sua posa si indurì.
“Continui a parlarci? Ti avevo
detto di smetterla, è pericoloso”.
“Non
è pericoloso”
s’impuntò lanciandogli un’occhiataccia.
“Siamo amici, ‘tebayo”.
“Non
può
essere tuo amico. È un mostro”.
“E
io sono
il suo carceriere!”
Ci fu un
piccolo silenzio, Obito era stupito da quella presa di posizione.
“Naruto,
tu
sei una vittima” gli ricordò dolcemente.
“Non è colpa tua”.
“E
non è
neanche colpa del Kyūbi se è sigillato dentro di
me”. Lo guardò con le iridi
blu che brillavano di decisione, la stanchezza ormai evaporata davanti
a questa
nuova battaglia. “Siamo entrambi vittime dello
Yondaime” concluse.
Obito
sentì
morire sulle labbra tutte le sue obiezioni. Guardò
l’ombra di tristezza nello
sguardo, visibile nonostante il fuoco che lo faceva sempre risplendere.
L’ombra
veniva ogni volta che pensava a suo padre, Konoha, quello che gli
avevano
fatto… Ricordava quando aveva detto la verità a
Naruto, tutta la verità, e come
essa lo avesse distrutto. Quello era il momento in cui aveva temuto di
averlo
spezzato, di aver rovinato quello splendido sole.
Dal
primo
incontro, era andato a trovarlo spesso a Konoha di nascosto, scivolando
nel suo
appartamento la notte o andando nei solitari posti dove si nascondeva
dagli
altri. Era stato quel piccolo Naruto sempre allegro nonostante il
dolore a
fargli prendere la decisione di affrontare Zetsu e poi Nagato,
rivelandogli
tutto. E poi aveva offerto al bambino di lasciare Konoha con lui, gli
aveva
rivelato tutto ciò che il Sandaime gli nascondeva e aveva
lasciato prendesse la
sua scelta. Naruto aveva sofferto dalla verità, ma aveva
decisamente imparato
qualcosa, così come la sua solitudine e il suo dolore gli
avevano dato
un’empatia incredibile. Aveva solo dodici anni, ma a volte
riusciva a vedere
più lontano di molti ninja esperti con una
semplicità disarmante. Come questa
volta.
Sbuffò
addolcito. “A volte dimentico quanto sei saggio”.
Il
ragazzino lo guardò dubbioso, ma quando lo vide alzare una
mano per alzarsi la
maschera sorrise felice. Odiava quando Obito indossava la maschera, era
il
segnale che stava mettendo una certa distanza tra sé e il
resto del mondo, che
non era davvero se stesso e poteva essere Madara (il temibile e crudele
nemico
di Konoha) o Tobi (un fastidio confezionato su misura). Invece, quando
la
toglieva…
Allargò
il
sorriso quando Obito aprì le braccia in un chiaro invito.
Senza pensarci due
volte si scagliò contro il suo petto, sedendosi comodamente
tra le sue gambe
incrociate e lasciandomi intrappolare nell’abbraccio. Era un
peso leggero e
caldo, ormai erano così tanto abituati a quel gesto che
trovò velocemente il
suo spazietto. Obito sospirò soddisfatto mentre faceva
crescere, a ritmo innaturalmente
veloce, un albero proprio dietro la sua schiena per potersi appoggiare
e stare
più comodo. Nel
mentre Naruto si
aggrappò con le mani alle sue spalle, la dita arricciate ad
artigliare la
stoffa – lo stringeva sempre così forte, come se
avesse paura di essere
strappato via – e la testolina appoggiata al collo, i capelli
biondo che
solleticavano il mento.
Accettare
Naruto nella propria vita aveva significato come prima cosa riabituarsi
al
contatto fisico. Si era accorto subito che il bambino era affamato di
tocco1,
lo cercava sempre e disperatamente; ogni più piccolo
contatto gli avrebbe fatto
brillare gli occhi, anche quello capitato per errore. In otto anni di
vita,
nessuno aveva mai mostrato un gesto d’affetto nei suoi
confronti, nessun
abbraccio, nessuna carezza, nessuna stretta. Era orribile. Per questo
Obito
aveva lottato contro l’istinto che lo imponeva di coprirsi di
vestiti e maschere,
mettere più spazio possibile e barriere tra sé e
un altro essere umano. Aveva
riscoperto la propria realtà, il proprio essere un corpo
solido, per poter dare
al bambino l’affetto che gli serviva per crescere.
E aveva
anche derubato alcuni manuali pedagogici sulla crescita di bambini
traumatizzati dalle librerie di tutte e cinque le nazioni ninja. Madara
gli
aveva insegnato a essere scrupoloso nella sua pianificazione.
Per
questo,
quando il bambino si fu ben sistemato si tolse un guanto e, con la mano
libera,
gli accarezzò una guancia. Questa era una cosa che aveva
imparato proprio dai
libri: il contatto della pelle con altra pelle libera nel corpo
l’ossitocina,
l’ormone della felicità; se un bambino ne viene
privato con troppa costanza
rischia di avere gravissime ripercussioni nella vita adulta, come
depressione e
ansia. Considerando che Naruto aveva otto anni di arretrati, non si
tirava mai
indietro. Aveva anche minacciato con la morte i membri
dell’Akatsuki di non
rifiutare mai qualsiasi contatto Naruto cercasse, con Sasori e Kakuzo
aveva
dovuto usare effettivamente un po’di forza bruta, ma alla
fine ne aveva avuto
ragione.
Naruto
inclinò il viso assecondando la carezza e socchiuse gli
occhi. La stretta si
fece più disperata e tremò appena.
“Non
sei…
arrabbiato?” domandò incerto.
Sospirò,
rendendosi conto del suo errore, non avrebbe dovuto lasciarlo solo
quella notte.
“Non
sono
mai arrabbiato con te” lo rassicurò.
“Ero preoccupato, sono
preoccupato. Non voglio che ti succeda qualcosa”.
Il
ragazzino tirò su con il naso, strofinando la guancia contro
la mano.
“Lo
so… mi
dispiace” mormorò. “Ho anche messo in
pericolo Shisui-nii…”
“Dispiace
a
me” precisò. “Non dovevo reagire in quel
modo, non dovevo lasciarti solo… è
solo che…” si interruppe, affranto.
Ma
Naruto
capì senza che dovesse dire altro.
“Madara”
completò per lui.
“Madara”
confermò con un sospiro. “Mi hai spaventato
davvero tanto e non sapevo come
reagire, quindi… ha preso il soppravvento”.
Non
è che
avesse davvero una doppia personalità – o tripla,
se si contava anche Tobi – ma
certi ragionamenti, modi di fare e reazione erano così
radicati in lui che
spesso scivolava nei suoi ruoli prefabbricati, nelle sue maschere, a
seconda di
quello che richiedeva la situazione. Così quando doveva dare
un comando
all’Akatsuki assumeva la personalità di Madara, o
quando voleva destabilizzare
un nemico diventava Tobi… Certe volte capitava senza che se
ne accorgesse, le
maschere prendevano il sopravvento e lui dimenticava di essere Obito.
Odiava
quando succedeva con Naruto.
Naruto
che
in quel momento lo guardava sorridendo come se l’essere stato
abbandonato al
buio per un’intera notte fosse la cosa più
semplice da accettare.
“Va
bene,
sono solo felice che tu non sia più arrabbiato”.
“Non
lo
sono ma stato” ripeté. Gli accarezzò i
capelli, cercando di avere ragione di
qualche nodo che imbrigliava le ciocche dorate. “Mi dispiace
davvero di averlo
fatto. Non dovevo arrabbiarmi perché sei andato al festival.
Sei un bambino,
dovresti giocare con gli altri bambini, andare ai festival senza temere
che
degli shinobi ti diano la caccia…”
sospirò, disgustato dal loro mondo.
“Succederà”
promise. “Cambierete le cose. Tu, Nagato-nii, Shisui-nii e
tutti gli altri”. Il
suo sguardo si illuminò. “E io vi
aiuterò, naturalmente. Hai visto che bravo
sono diventato, no? Posso aiutarvi dattebayo!” insistette.
Sbuffò
divertito dallo slancio. Strofinò ancora il palmo sulla sua
fronte, ricevendo
un suono compiaciuto.
“Vedremo”
rispose senza sbilanciarsi.
**
Non
erano
soliti stare tutto quel tempo nello stesso rifugio senza parlarsi,
quindi nel
breve momento dopo lo scontro Naruto aveva usato tutto il suo fiato per
recuperare i giorni di silenzio. Obito lo ascoltò
pazientemente, non fece
commenti nemmeno quando gli parlò di come il Kyūbi lo avesse
aiutato con il
kage bushin. Quello che aveva detto prima lo aveva colpito davvero,
come al
solito Naruto riusciva a fargli vedere le cose da una nuova
prospettiva… Forse
doveva provare a essere più gentile con la bestie di chakra
e non trattarla
come una semplice arma da controllare, esattamente con faceva Konoha.
Lui non
voleva più accettare la logica di nessun villaggio, quindi
immaginava che in
ciò rientrasse anche il suo approccio ai Bijū.
Alla
fine
Naruto crollò addormentato a metà di una frase,
tipico di lui. Aveva energie
infinite, un’iperattività che metteva a dura prova
tutti i membri Akatsuki
(tranne Deidara e Hidan, ma sospettava che anche quei due avessero
problemi di
iperattività). Poi di colpo crollava, come se la sua carica
si fosse esaurita.
In certi momenti era quasi comico.
Non era
stupito che fosse crollato in quel modo, aveva imparato il kage bushin
e lo
aveva sfidato, anche per un Uzumaki era molto da sostenere.
Delicatamente lo
sollevò, deciso a portarlo nella sua stanza, sul suo letto
dove avrebbe dormito
meglio.
Ma fece
appena in tempo a uscire dalla stanza alberata che si
incrociò con Kisame. Si
accigliò nel vederlo, non avrebbe dovuto essere ad Ame, era
stato mandato in
avanscoperta a sud per la raccolta di informazioni. Se era tornato, era
solo
perché aveva delle notizie grosse.
“Che
cosa
succede?” chiese, conscio di averlo incrociato proprio
perché lo stava
raggiungendo.
L’uomo
squalo lo fissò con i suoi freddi occhi chiari,
soffermandosi proprio sul
ragazzino che teneva in braccio. Sorrise e Obito odiò il
modo in cui mostrava i
denti appuntiti.
“Madara…
Obito” corresse nel vedere il volto scoperto.
“Speravo di parlarti”.
Obito si
pentì di non aver rimesso la maschere nell’uscire
dalla stanza, si sentiva
troppo scoperto e in svantaggio. Si fidava di Kisame con la sua stessa
vita,
già all’inizio si era mostrato a lui,
ma… il desiderio di nascondersi era
troppo forte. Quando era con Naruto i suoi istinti di difesa diventano
così
forti che la paranoia confondeva chi fosse nemico o amico.
Prese un
lungo respiro, costringendosi a restare impassibile.
“Dopo”
disse. “Ne parleremo con Pain e gli altri, quando Shisui
sarà tornato”.
Kisama
scoccò la lingua. “Non
c’è?”
“No”
confermò superandolo. “Ma sta per
tornare”.
Il tempo
di
fare l’innamorato era finito, Tobi stava andando tirargli
qualche pigna in
testa
1. Touch
starving: non riesco a trovare nessuna traduzione di questo termine,
quindi
sono andata molto alla lettera anche se suona molto meh.
Vi avevo
detto di avere fiducia! È arrivato un nuovo capitolo e non
è nemmeno lungo come
mi aspettavo, alla fine avevo fatto malissimo i conti xD
Spero
che
vi sia piaciuto il primo incontro tra Obito e Naruto, così
l’interazione che
hanno avuto nel resto del capitolo. Sottolineo una cosa, solo
perché voi mi
conoscete e potreste aspettarvi una certa dinamica… ebbene,
in questo momento
il rapporto ObiNaru non ha nulla di romantico. Potete vederlo come
quello di un
fratello maggiore con il più piccolo, di un sensei con il
proprio protetto…
ancora sulle ship non ho le idee chiare, ho capito come realizzare la
SakuHina
e ho una bella idea per i GaaLee. Ma un ipotetico risvolto romantico
anche per
Sasuke e Naruto è tutto da vedere, sono solo abbastanza
certa che non sarà
SasuNaru perché ho una mezza idea di intendere Sasuke ace,
quindi nada per lui.
Comunque
detto questo, breve parentesi su Itachi. Nel prossimo capitolo si
vedrà meglio
che cosa è successo con Shisui, ma credo sia chiaro: ha
usato Amatsukami non
solo per fargli dimenticare l’incontro, ma anche il profondo
legame che li
unisce, il loro affetto. Peccato che Itachi è furbo e
conosce i suoi polli: per
paura di finire sotto un genjutsu (come è successo) prima di
arrivare aveva
incantato uno dei suoi corvi per fare in modo che spezzasse qualsiasi
possibile
genjutsu. Quindi si è accorto del trucco.
Bene,
nel
prossimo capitolo abbiamo: Shisui e Obito, Itachi che fa rapporto e la
piccola
riunione Akatsuki. Spero di non metterci troppo.
Abbiate
anche fiducia per la single parent au, che uscirà questa
domenica. Per la Time
travel temo dovrete aspettare Settembre invece… rip.
Grazie
per
seguire questa storia nonostante le pubblicazioni a singhiozzo.
Un
bacio,
Hatta
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Sano di mente ***
Cap
VIII
Sano
di mente
Obito si sentiva
un po’ svuotato, ma in un modo
piacevole. La sua testa era leggera, il suo petto caldo e le labbra
sotto la
sua maschera restavano piegate in un sorriso accennato. Si chiedeva
come un
bambino potesse, con la sua spontaneità e innocenza, farlo
sentire così bene.
Era così che si sarebbe sentito sempre, se fosse tornato a
Konoha, se fosse
cresciuto al fianco di Naruto come suo fratello maggiore?
Si chiese ,
soprattutto, come un bambino potesse
generare un calore tale nel suo cuore arido quando di giorno sopportava
così
tanto dolore, quando gli altri gli facevano soffrire
l’abbandono e l’odio. Dal
tetto della casa guardò Konoha e la rabbia montò
ancora. Nessuno di loro meritava Naruto,
non sapevano nemmeno che razza di tesoro avevano tra le mani. Era il
loro
Jinchūriki, il motivo per cui nessun altro Villaggio osava attaccarli
direttamente; era il motivo per cui quella notte la volpe non aveva
continuato
nella sua distruzione. Naruto li proteggeva con la sua sola esistenza e
loro gli
sputavano in faccia.
Imperdonabili.
Non lo meritavano.
Obito…
invece lo meritava. Dopo aver perso la sua
unica luce, dopo aver scoperto l’inganno di Zetsu,
l’illusione dello Tsuki no
Me… dopo aver perso tutto meritava almeno un sollievo.
Avrebbe fatto in modo di
meritarselo. Lo avrebbe portato via con sé, lontano da
Konoha e quella gente
disgustosa. Naruto sarebbe stato sicuramente d’accordo.
Davvero?, domandò con scherno una voce nella
sua
testa, così stridula da ricordargli quella di Zetsu.
Il suo occhio
calamitò sulla montagna dell’Hokage.
Quello era il sogno di Naruto, il bambino amava Konaha contro ogni
logica, la
considerava la sua casa e non l’avrebbe mai abbandonata con
piacere. Ma se gli
raccontasse la verità che tutti gli tengano nascosto? Il
motivo per cui tutti
lo odiavano e disprezzvaano, il segreto che l’Hokage gli
celava, ciò che suo
padre gli aveva fatto fin dalle prime ore della sua nascita…
No, non avrebbe
scelto ancora Konoha.
Sceglierebbe
allora l’assassino dei suoi genitori?,
continuò la voce.
Deglutì,
perché il rischio di venire a propria volta
odiato era reale. Ma ormai aveva deciso: gli avrebbe detto la
verità, tutta la
verità e… la sua scommessa era sperare che
scegliesse lui, la felicità che
poteva offrirgli.
Sì,
avrebbe lasciato che fosse il bambino a decidere.
Ma prima, allora, avrebbe dovuto parlarne con Nagato; anche lui
meritava di
sapere la verità, come per tutto quel tempo fosse stato solo
la marionetta di
Madara e, di conseguenza, di Zetsu.
Che cosa sarebbe
successo dopo era un mistero.
Era pronto per
andarsene, quando una ormai familiare
firma di chakra colpì la sua attenzione. Da quando lo aveva
incontrato di
persona, una parte di lui si era come sintonizzato alla sua presenza,
restando
consapevole in quale punto di Konoha si trovasse. Shisui in quel
momento si
trovava al tempio di Naka. Non era la prima volta che, lasciando la
casa di
Naruto a notte fonda, si accorgeva della sua presenza dentro il luogo
sacro.
Era un po’ curioso della sua continua presenza lì
dentro, forse… sperava di
rincontrarlo? Era certo non fosse una trappola, si sarebbe accorto
delle altre
presenza o dell’agitazione, certamente anche scivolare per
Konoha di notte
sarebbe stato più complicato.
Attivò
Kamui, deciso per quella deviazione, e si
teletrasportò direttamente al tempio, comparendo dal
pavimento come un
fantasma.
Come sospettava,
Shisui era solo, e sussultò non
appena la sua presenza fu evidente. Era accucciato sulle tavolette
degli
Uchiha, una fiaccola accesa illuminava le parole incise nella roccia.
Era
riuscito a tirare fuori un kunai, ma appena lo identificò si
rilassò.
Si
accigliò, il ragazzo non aveva paura di lui.
“Sei
tornato” disse sorpreso. “Ciao,
Ciò-che-resta-della-volontà-di-Uchiha-Madara”.
Sotto la
maschera il suo cipiglio si intensificò, lo
stava prendendo in giro? Non disse niente, guardandolo mentre si
raddrizzava e
gli rivolgeva un sorriso sereno. Decisamente non aveva paura di lui.
“Non
hai più paura di me?” domandò ad alta
voce.
Scosse la testa.
“Se avessi voluto ferirmi, lo avresti
fatto l’altra volta. Avresti già ridotto molto
prima Konoha in cenere”. Fece
una pausa, accennando un sorriso impertinente. “Lo hai detto
tu, non sei qui
per combattere. Peccato, sarebbe interessante misurarmi con
te…”
Sbuffò,
il ragazzo era un idiota… quel genere di
idiota che gli piaceva suo malgrado, quello con la grinta e la risposta
sempre
pronta. La sua attenzione si spostò sulle tavolette.
Mutò lo sharingan nel
Mangekyo e i kanj incisi mutarono a loro volta, delineandosi nella
descrizione
dello Tsuki no Me. Provò rabbia nel vederlo e bruscamente si
avvicinò
all’antica tavola. Ignorò il sussultare di Shisui,
con la mano toccò la pietra
fredda e lasciò che il chakra si scontrasse con la magia che
conteneva. Ci fu
un iniziale vuoto, come se non ci fosse niente da trovare, ma
più insisteva più
si creava una resistenza, come se la tavola stessa cercasse di
dissuaderlo.
Alla fine la ebbe vinta e il suo chakra riverberò per tutta
la roccia. Quando
ritrasse la mano, sotto i kanji dello Tsuki no Me era possibile vedere
un’altra
trascrizione più antica, ciò che originariamente
c’era scritto prima che Zetsu
manomettesse la pietra.
Shisui al suo
fianco sussultò, anche lui aveva
attivato i Mangekyo e poteva leggere tutto.
“Cos’hai
fatto?” domandò, temendo che avesse rovinato
la tavola.
“Ho
svelato l’inganno” disse placido.
Non lesse
ciò che c’era scritto, lo conosceva a
memoria. Disattivò lo sharingan, senza gli occhi magici la
tavola era tornata
uguale a prima, non lasciava intendere nessuna manomissione. Si vedeva
ancora
la stessa storia ancestrale, che lo sharingan normale avrebbe rivelato
nascondere le tecniche Uchiha, che a loro volta nascondevano qualcosa.
Osservò
Shisui, il suo viso giovane corrucciato nel
tentativo di leggere la verità nascosta. Alla fine il
ragazzo alzò gli occhi e
lo guardò sorpreso.
“Quindi
lo Tsuki no Me in realtà è la tecnica per
risvegliare questa Kaguya?”
Ottimo
riassunto, si limitò ad annuire. Ma il commento
successivo lo sorprese.
“Così
ha più senso. Quale folle crederebbe di
risolvere i problemi del mondo con un’illusione?”
Quasi rise.
Uchiha Madara, ecco chi. Uchiha Obito.
Qualcuno che aveva perso la speranza e avrebbe accettato qualsiasi cosa
per
dare un nuovo significato alla propria vita. Qualcuno che non accettava
che
fosse tutto inutile, che avrebbe potuto ancora rivedere chi amava ed
era morto.
Ecco che tipo di folle.
Non rispose,
Shisui non si aspettava lo facesse.
Sembrava un chiacchierone, perché riprese velocemente la
parola:
“Però
mi ha dato un’idea… So cosa posso fare per
fermare il colpo di Stato”. Si voltò a guardarlo,
l’espressione di chi cerca un
consiglio. “Userò un genjutsu su Fugaku-sama, gli
farò credere di non sostenere
il colpo di Stato e la sua contrarietà
destabilizzerà il consiglio degli
Uchiha”.
Sbuffò.
“Hai appena detto che è folle usare
un’illusione per risolvere i problemi”.
“Lo
so, infatti non la risolverebbe. Ma ci darebbe
tempo per trovare una nuova soluzione. Invece di giorni, potremo avere
altri
mesi… Avremmo più tempo”.
“Fugaku
romperà il genjutsu” disse fatalistico.
L’attuale
capoclan non aveva guadagnato il suo ruolo
solo per eredità, ma anche per capacità in
battaglia. C’era un motivo se i
nemici lo avevano soprannominato Occhio Feroce, la sua
abilità con lo sharingan
era evidente. Avrebbe spezzato facilmente un genjutsu.
“Non
si possono rompere i genjutsu del mio Mangekyo”
rivelò Shisui. “Non ho nemmeno bisogno di guardare
qualcuno negli occhi per
incantarlo. Forse solo un altro Mangekyo altrettanto forte potrebbe
contrastarlo… ma sono l’unico Uchiha ad averlo
sviluppato, non c’è pericolo che
succeda. Nessuno se ne accorgerà”.
Obito tacque,
grazie agli insegnamenti di Madara
riconobbe subito quella descrizione.
“Kotoamatsukami”
disse.
Shisui parve
sorpreso nel sentirglielo dire. “Come fai
a saperlo?”
“Lo
hai ereditato da tuo nonno Kagami” spiegò pacato.
“Anche
lui sviluppò il Mangekyo”.
Lo sguardo del
ragazzo si illuminò, anche se le iridi
erano ancora rosso sangue risplendevano di affetto.
“Sì,
l’ho letto nei suoi diari. Successe dopo… dopo la
morte di Nidaime” ricordò smorzando il suo
entusiasmo. Abbassò il mento,
fissando i suoi piedi sul pavimento di legno.
“C’era scritto che dopo, per il
dolore, sterminò un’intera squadra
avversaria… che continuò ad accanirsi sui
corpi senza vita, fino a renderli irriconoscibili”. Fece una
pausa, fissando
assente il nulla. “È vero quindi? Il dolore e il
Mangekyo ci rendono folli?”
Davanti ai suoi
occhi aveva il chiaro dei fulmini che
tagliava senza esitazione il cuore di Rin, l’odore di carne
bruciata che gli
faceva arricciare il naso, le orecchie ferite dal cinguettio stridulo e
continuo. E poi l’urlo agonizzante di tutti quegli ANBU di
Kiri che aveva
massacrato fino a creare una pioggia di sangue.
“Sì”
rispose senza aggiungere nulla.
“Perché
io non sono impazzito? O…” non osò
continuare.
Obito lo
fissò a lungo, chiedendosi perché gli stesse
parlando, perché quel ragazzino gli stesse raccontando i
suoi piani e aprendo
il suo cuore. Nella sua ingenua fiducia dell’altro, gli
ricordava un po’
Naruto.
Forse fu per
questo che gli rispose: “Hai trovato
qualcosa per cui restare sano di mente”.
Aveva creduto
che lo Tsuki no Me fosse quello lo
manteneva sano, invece era stato un perfetto folle. Anche lui aveva
massacrato
una squadra – la squadra di Kiri – e si era
vendicato delle bugie di Konoha,
del suo sensei per essere arrivato tardi. Aveva voluto fargli provare
la sua stessa
impotenza.
Alle sue parole
un sorriso timido strisciò sulle
labbra di Shisui, allargandosi sempre di più mentre coglieva
un’illuminazione.
“Sì,
ho trovato… qualcuno”.
Lo
perderai, avrebbe voluto dirgli,
perché in questo
mondo le cose andavano sempre così. Lo avrebbe perso, come
lui aveva perso Rin.
Guardò
il ragazzino con il suo stupido sorriso
sdolcinato e lo sguardo perso, provò una strana simpatia.
“Se il
tuo piano dovesse fallire, verrai cacciato dal
tuo clan. Sarai un traditore”.
Shisui si
riprese. “Correrò il rischio”.
La sua voce era
decisa e inevitabile, come quella di
un vero shinobi pronto ad affrontare ogni pericolo. Silenziosamente se
ne fece
beffa.
“Se
succederà, cercami. Ci penserò io a te”.
Shisui
spalancò gli occhi, ma non ebbe modo di dire
nulla. Obito aveva attivato il Mangekyo e stavo scivolando nel
pavimento, inghiottito
da kamui.
**
Si
fermò,
quasi perdendo la presa sul ramo su cui era saltato. Aveva il fiatone,
la sua
vista gli stava giocando brutti scherzi e questa era già la
terza volta che
rischiava di cadere nel mezzo di un balzo. Shisui si guardò
alle spalle,
mugugnando che ormai aveva messo abbastanza spazio tra lui e la
locanda, tra
lui e… Itachi.
Il suo
unico occhio pulsò, ricordandogli che cosa gli aveva appena
fatto. Ma era
meglio così, sapeva da tempo che il suo legame con Itachi
non poteva
continuare a
durare, che sarebbe
arrivato il momento in cui i loro ideali si sarebbero scontrati. Erano
nemici
da quattro anni, non potevano continuare quel gioco.
Shisui
avrebbe voluto che Kotoamatsukami avesse cancellato la memoria anche a
lui.
Scosse
la
testa, sarebbe stato troppo complicato farlo e lui aveva agito
d’istinto, nel
giro di un minuto. Avrebbe mantenuto i ricordi, la loro storia, ma
quando si
sarebbero nuovamente incontrati non sarebbe servito a niente. Itachi
non
ricordava. Erano solo nemici adesso.
Nonostante
la sua risolutezza, il cuore faceva male. Tra tutto il corpo, sembrava
essere
quello il muscolo più affaticato. Forse poteva rallentare,
ormai era
vicinissimo ad Ame e sicuramente non aveva nessuno ai calcagni.
Scese
dal
ramo con un salto elegante, assorbendo l’impatto con una
smorfia. L’odore
terroso del sottobosco gli stuzzicò il naso,
l’umidità filtrava pesante, segno
che non mancava molto alla terra della pioggia eterna. Avrebbe fatto il
pezzo
fino al confine camminando.
Si
stiracchiò i muscoli indolenziti, grato di essere solido sul
terreno e di non
dover usare il chakra per mantenersi eretto. Iniziò a
camminare tra le erbacce
alte e le radici nodose, poco impressionato dall’assenza di
un sentiero.
Nonostante la faccia tranquilla, tenne tutti i suoi sensi
all’erta. Vicino ad
Ame o meno, era ancora nel Paese del Fuoco.
Fu per
questo che si accorse immediatamente della presenza che torreggiava su
di lui
dagli alberi. Si immobilizzò, la mano corse al marsupio
delle armi prima di
rendersi conto che quel chakra era familiare.
Incazzato, ma familiare.
Invece
di
rallegrasi di non essere stato beccato da un nemico, si
oscurò in volto. In
quel momento non era propriamente di buonumore, voleva del tempo per
sé e per
il suo lutto, per assaporare il dolore nelle vene al pensiero di cosa
aveva
appena perso. Sicuramente non aveva le energie per sopportare Obito e i
suoi
rimproveri, sapeva già che il parente mal tollerava i suoi
incontri con Itachi.
Be’,
adesso sarà contento, non ce ne saranno più,
brontolò
fra sé. Poi si fece coraggio e alzò il viso verso
la provenienza del chakra
turbinante e denso. Lo individuò subito, era appollaiato su
un ramo basso e
scoperto, per non parlare della maschera dal colore brillante che
attirava
tutta l’attenzione.
Se
c’era
una cosa che Shisui odiava con tutto se stesso era proprio quella
fottuta
maschera arancione. Solitamente riusciva a indovinare abbastanza bene
in che mood fosse Obito e quale
personaggio
stesse interpretando dalla sua espressione, ma quella maschera era un
muro
indecifrabile. Era inquietato dal modo assolutamente vuoto in cui quel
buco lo
fissava dall’alto, accovacciato su quel ramo.
Chi era?
Madara o Tobi? Entrambe le risposte avrebbero fatto schifo, ma forse in
quel
momento preferiva dover parlare con Madara, che almeno era logico e
razionale.
Sospirò
e
incrociò le braccia. “Qualcosa da
ridire?” sbottò.
Gli fu
lanciata addosso una pigna.
“Cattivo
Shisui! Sei cattivo!” si lagnò l’Uchiha
più anziano. “Scappare in questo modo e
abbandonarci, puh! Bro before hoe,
è
questo il nostro motto! Invece sei cattivo e cattivo!”
Fece una
smorfia. Ottimo, Tobi, proprio la sua giornata fortunata.
“Non sono in vena,
Obito” disse cinereo in
volto.
Riprese
a
camminare, ma non mancò molto che Tobi lo colpisse con
un’altra pigna
lamentandosi del suo carattere freddo e del suo tradimento.
“Te
ne sei
scappato di nascosto solo per vedere il fidanzatino” lo
accusò lacrimoso. “Abbandoni
i tuoi amici solo per farti…”
Shisui
non
gli permise di finire. Catturò al volo un’altra
pigna e gliela rilanciò contro
con rabbia. Un suono stridulo di pura sorpresa uscì da Tobi
mentre vedeva il
proiettile venirgli addosso, agitò le braccia e per evitarlo
cadde buffonesco
dal ramo.
“Cattivo!
Mi hai fatto male!” piagnucolò massaggiandosi il
sedere.
“Sono
serio
Obito, non è il momento”.
Mantenne
la
propria espressione seria e funesta mentre l’atteggiamento
nell’altro cambiava.
Tobi smise di agitarsi in movimenti goffi e lanciare versetti acuti di
dolore,
si immobilizzò di colpo e perfino l’aurea attorno
a lui parve cambiare,
diventare più oscura. Con un gesto fluido si
alzò, si tolse la polvere dalla
cappa di akatsuki con gesti misurati.
“Il
moccioso si comporta da viziato” commentò, la voce
di una tonalità molto più
bassa e roca rispetto ad alcuni secondi prima. “Crede che
tutto gli sia dovuto…”
Shisui
sentì subito la bocca secca nel percepire il potere che
avvolgeva Madara, le
sue orecchie arrossirono.
“Non
capisci” borbottò.
“No?”
lo
derise misurato. “Forse hai ragione. Non capisco cosa ti
spinge a rischiare
così tanto. Capisco solo che per il tuo dramma
adolescenziale stai mettendo a
rischio tutta l’organizzazione”.
Da che pulpito,
tu per il tuo dramma
adolescenziale hai messo in pericolo il
mondo, si morse la lingua per non borbottarglielo. Sapeva del
vecchio piano
dello Tsuki no Me, soprattutto sapeva che non bisognava mai sollevarlo
davanti
a Obito per non rischiare di essere mutilati ferocemente. A Hidan era
successo…
l’unico motivo per cui era ancora vivo era la sua
immortalità, Kakuzo aveva
avuto molta pazienza nel rimettere insieme i pezzi.
Invece
disse: “Non la metto a rischio, non gli dico nulla di
importante”.
Madara
lo
derise ancora in quel piccolo sbuffo pregno di sarcasmo.
“Il
moccioso di Fugaku è abbastanza intelligente da ricavare
qualche informazione
anche dal numero di volte in cui caghi” gli fece notare.
“Lo sai meglio di me”.
Sì,
decisamente Shisui sapeva in prima persona che razza di genio fosse
Itachi… e
forse nella loro ultima conversazione si era lasciato andare un
po’ troppo, ma
che importava? Kotoamatsukami era infallibile, non avrebbe ricordato
niente di
quella conversazione. Niente di… niente.
Il
pensiero
gli fece contrarre ancora una volta il cuore.
“Be’,
non
hai più nulla da preoccuparti. Questa è stata
l’ultima volta” aggiunse
rischiando di soffocare mentre realizzava che non avrebbe
più toccato quella
pelle liscia, stretto quei capelli, ascoltato quella voce.
Anche
con
la maschera addosso, lo scetticismo di Madara era palpabile.
“Certo,
lo
dici ogni volta. Ogni volta torni come un cagnolino da lui”
concluse con aperto
disprezzo.
“No,
questa
volta è vero”.
“Certo”
ripeté.
Shisui
prese
un lungo respiro, le parole si erano conficcate in bocca come spine,
facevano
male. I suoi pugni chiusi tremarono e abbassò gli occhi.
Respirare faceva male.
“È
vero”
ripeté. “Io… gli ho fatto dimenticare
tutto”.
Tutto:
il
loro primo incontro, l’allenamento insieme fin da bambini,
nascosti nel loro
angola di foresta, il loro stupido e impacciato e senza senso primo
bacio,
tutti i baci più coraggiosi che c’erano stati
dopo, i momenti in cui avevano
condiviso i loro sogni, in cui si erano aperti all’altro,
tutte le volte che
aveva pettinato i suoi capelli, la prima volta che si era toccati
curiosi e
incerti, la prima volta che avevano fatto l’amore da nemici,
ma ancora amanti.
Aveva dimenticato tutto.
Prima
che
potesse trattenersi, scoppiò a piangere. Crollò a
terra sul terreno sporco,
l’erba alta e le radici nodose. Il suo occhio pulsava
doloroso, bruciava nel
tentativo di spremere da solo tutte le lacrime che aveva fallito nel
trattenere.
Si
raggomitolò in se stesso, chiudendosi come un riccio e
affondando il volto
contro le ginocchia. Voleva escludere il resto del mondo, restare solo
nel
proprio dolore, essere lasciato solo a sopportarlo.
Ma Obito
non poteva sparire semplicemente ignorandolo.
Mentre
era
ancora scosso dai violenti singhiozzi non sentì il passo
leggero sul
sottobosco, ma non riuscì a ignorare la presa gentile sui
suoi capelli. Gentile
ma decisa, che lo costrinse ad alzare il volto e mostrare tutte le sue
lacrime.
Non
c’era
più la maschera, c’era il volto di Obito che lo
fissava accigliato e
scrupolose, le numerose cicatrici in rilievo per via
dell’espressione
accentuata.
“Stai
sanguinando” notò. “Hai usato
Kotoamatsukami”.
Non
rispose, era abbastanza ovvio, soprattutto se stava sanguinando. Del
resto
aveva usato il suo Mangekyo per due volte di fila senza avere il giusto
riposo
nella breve pausa… succedeva che sanguinasse quando chiedeva
una sforzo
superiore alla sua forzata.
Obito lo
lasciò andare e cercò di tornare velocemente a
nascondere il volto, ma la mano
si spostò ad afferrarlo saldamente al mento. Con
l’altra spazzò via il sangue e
le lacrime dai suoi zigomi. Anche la palpebre mancante stava piangendo,
non
sapeva nemmeno fosse possibile… era umiliante. Era
straziante.
Singhiozzò
più forte. “L’ho perso…
perderò il senno… impazzirò”.
Aveva
appena tagliato l’unico filo che lo teneva sano di mente,
poteva già sentirne
gli effetti. Il suo occhi bruciava, il suo animo era in tumulto e
dilaniato tra
il desiderio di rannicchiarsi da qualche parte e bruciare tutta la
foresta. Le
Foreste del Fuoco… avrebbe dato loro un motivo reale per
chiamarsi così.
“Calmati,
ti stai suggestionando” lo rimproverò Obito
finendo di pulirgli il viso, ma
nuove lacrime continuavano ad aggiungersi.
Shisui
non
riusciva a calmare il suo respiro, continuava a essere singhiozzante
come se
stesse soffocando, i capillari del suo occhio avevano arrossato tutta
la
cornea. Aveva l’aspetto di un folle in quel momento, con i
capelli
scompigliati, il volto pallidissimo e l’espressione
sconvolta.
Obito
spostò entrambe le mani sulle tempi, massaggiando la pelle
sudata con i
polpastrelli. Del chakra verde brillò dai suoi punti di
fuga, collegandosi a
quelli di Shisui; cercò di ridurre lo stress, di guarire il
danno nel reticolo
di chakra oculare causato dall’uso eccessivo del Mangekyo.
Quella
piccola accortezza sembrò funzionare, la sua testa smise di
essere pesante e
anche la sensazione di dolore dietro gli occhi svanì fino a
permettergli di
prendere un vero e profondo respiro.
“Ecco,
non
stai impazzendo” ripeté Obito. “Se non
sei impazzito a sei anni quando lo hai
sviluppato, non succederà ora. Ricomponiti”.
Alle sue
parole brusche il labbro inferiore di Shisui tremò, poi
– prima che potesse
rendersene conto – crollò contro di lui in cerca
di un abbraccio, la testa
appoggiata sulla sua spalla mentre infradiciava il suo colletto di
lacrime.
Adolescenti,
pensò esasperato, anche se ormai
Shisui aveva vent’anni…
Rassegnato,
passò una mano sulla schiena del moccioso troppo cresciuto
sperando di
rassicurarlo abbastanza da mettere insieme una frase sensata.
“Gli
ho
fatto dimenticare tutto… ha dimenticato
me…”
Dai suoi
farfugli riuscì comunque a mettere insieme la situazione,
doveva aver messo
Itachi sotto un genjutsu abbastanza potente che aveva riscritto i suoi
ricordi.
“Perché?”
chiese, non vedendo il senso di farlo.
La
domanda
sembrò spronare Shisui a riprendere il controllo su se
stesso, inspirò
profondamente e provò a fermare il tremito del suo corpo.
Continuò a restargli aggrappato,
però.
“Perché
finché continuerà a cercarmi in quel modo, io
continuerò a farmi trovare”
ammise. “E non può andare avanti… hai
ragione, vi metto in pericolo.
Soprattutto adesso che sono tornato nel radar di Konoha, ricominceranno
a
cercarmi seriamente e sarà tutto più
difficile”.
In altre
circostanze Obito sarebbe stato più che felice nel
sentirglielo dire, ma
considerando che era una pozzanghera di lacrime e dolore non riusciva a
esserlo
davvero. Amore Uchiha, dannazione, perché doveva essere
sempre così profondo?
“Fin’ora
ve
la siete cavata” provò a borbottare.
“Voleva
catturami, questa volta per davvero” ammise. “Mi ha
messo delle manette e mi ha
fatto un sacco di domande”.
“E
quindi
lo hai messo sotto genjutsu e sei scappato?”
Il
secondo
di silenzio esitante lo fece preoccupare.
“…No.
Ho
risposto…”
La
rabbia
salì di colpo, lo afferrò per le spalle e lo
allontanò malamente da lui per
vederlo in volto.
“Cazzo,
moccioso!” sbottò. Ora capiva la
necessità del genjutsi di memoria
Il volto
di
Shisui era sciolto nelle lacrime. “Non gli ho risposto
direttamente, ho cercato
di essere evasivo, ma… Ma sapeva che siamo stati noi a
prendere il Rotolo. E
che lo vogliamo usare per Naruto. E continuava a chiedermi per chi
lavorassi… E
io… ho cercato di evitare di rispondere”. Il suo
tono era tornato affrettato,
facendo allarmare Obito. “Ma hai ragione, Itachi è
intelligente. Rischiavo che
capisse tutto… Probabilmente ha capito tutto… ma
io volevo mi capisse! E io
gliel’ho chiesto… gliel’ho
proposto…”
“Che
cosa?”
domandò paziente visto che sembrava essersi bloccato
nuovamente nei singhiozzi.
Shisui
lo
guardò con l’occhio torbido per le lacrime.
“Di
abbandonare Konoha e scappare con me” rispose fievole,
sospirò affranto. “Non
voleva”.
Ovvio
che no,
Itachi su questo era fastidiosamente simile a Kakashi: non importava
quanta
merda il villaggio gli tirasse contro, sarebbe rimasto fedele fino al
suo
ultimo respiro a Konoha. Si ritrovò a fissare Shisui con
pietà, il suo amore lo
aveva reso cieco fino al punto di
non
rendersi conto che Itachi avrebbe sempre scelto il villaggio, anche
contro il
suo stesso bene?
L’ideologia
dei villaggi shinobi rovinava le persone, ne era sempre più
convinto.
Sospirò.
“Sapevi già la sua posizione”.
“Credevo…
Speravo che se ne fosse pentito in questi anni” ammise.
Scosse
la
testa a quell’ingenuità, ma non voleva
interferire. Anche se era davvero
convinto che Shisui non sarebbe impazzito, non era sano spingerlo.
“Calmati”
lo spronò quindi. “Quando ti sarai calmato mi
darai quello che è successo”.
Passò
la
mano sulla sua schiena, chiedendosi se i consigli letti sui manuali
pedagogici
potessero funzionare anche su un vent’enne. Del resto aveva
letto da qualche
parte che chi aveva subito dei traumi tendeva in certi momenti a
retrocedere a
bambino, considerando che Shisui era un ninja fin da piccolo che aveva
sviluppato il Mangekyo a sei anni aveva fin troppi traumi irrisolti.
Alla
fine
rimase in silenzio, lasciando che Shisui si accordasse al suo respiro
per
regolarizzare il proprio e smettere di singhiozzare. Vedendolo
più tranquillo,
spazzolò via le ultime lacrime.
“Ecco,
vedi. È tutto apposto”.
Shisui
scosse la testa. “Non lo è. Stanno cercando
Naruto, rivogliono il Kyūbi”.
“Lo
sapevamo che avrebbero tentato di riaverlo, non è una
novità”.
“Ma
secondo
le nostre informazioni credevano fosse morto. Sanno che è
vivo e…
ricominceranno a cercarlo davvero”.
“E
sapremo
rispondere. Naruto non ha più otto anni, sta imparando a
difendersi. E ha un
gruppo di mercenari a parargli il culo. Oltre che me”
aggiunse.
Shisui
tentò un sorriso, ma funzionò solo per pochi
secondi. Alzò una mano ad
asciugarsi l’occhio, ammaccandolo ancor di più con
il pugno.
“Itachi
era
già consapevole che non lavorassi da solo, ma
gliel’ho… confermato. Credeva
avessi rapito io Naruto, volevo spiegargli che non era andata
così. Che è stato
lui a scegliere di andarsene, perché tu gli hai detto
tutto”.
Obito
sospirò, non era molto ma così adesso sapevano
che c’era un’organizzazione
criminale da cercare. Quanto tempo ci avrebbero messo a scovare
Akatsuki? Pain
non era preoccupato dalla prospettiva, voleva che il mondo shinobi
sapesse
della loro esistenza… Iwa e alcuni villaggi minori ne erano
già a conoscenza,
chiedendo perfino il loro intervento quando necessario. Ma avere Konoha
sulle
proprie tracce non era qualcosa da prendere con leggerezza.
“Quindi
gli
hai parlato di me?” chiese paziente.
Fortunatamente
scosse la testa. “No, ma a un certo punto ha detto che stavo
palando come
avrebbe fatto Madara… e io potrei aver risposto che magari
è stato Madara ad
aprirmi gli occhi…”
Obito si
oscurò un po’. “Qual è stata
la sua reazione?”
“Mi
è
sembrato… confuso ed esasperato”.
Ci
meditò
un po’ su. C’erano molti modi per interpretare una
cosa del genere, sia nel
senso letterale – Madara era ancora in vita – che
in un senso metaforico –
Shisui aveva letto le trascrizioni sull’ex-capo clan
assimilando i suoi ideali.
Queste due risposte erano innocue… Ma poteva pensare che
stesse parlando di un
ammiratore di Madara, probabilmente un altro Uchiha, e c’era
il rischio così
che si accorgessero dell’esistenza di Obito, che non era
morto quel giorno.
“Altro?”
chiese.
“…Potrei
aver detto che il mio gruppo è una nuova alba per il
mondo”.
A questo
imprecò sonoramente. Se Itachi fosse tornato a Konoha con
un’informazione simile
avrebbero scoperto di Akatsuki in pochissimo tempo. Meno male che alla
fine di
tutto gli aveva cancellato la memoria.
“Sei
sicuro
che non ricorderà nulla?” chiese per scrupolo.
Shisui
annuì. “Ha dimenticato tutto quello che ci
riguarda. Tutto” ripeté tremante.
“E
sei
certo che il genjutsu non può essere spezzato”.
“Kotoamatsukami
è infallibile” gli ricordò.
“Forse solo un altro Mangekyo può
risolverlo… ma
dovrebbe aver sviluppato lo Tsukiyomi, o comunque un’altra
capacità di genjutsu
abbastanza potente… E comunque noi due siamo gli unici
Uchiha ad avere un
Mangekyo” concluse.
Obito
non
commentò. Era vero, non avevano informazioni che un altro
Uchiha avesse
sviluppato il Mangekyo sharingan in quei quattro anni, ma le loro
informazioni
potevano essere incomplete. Senza contare…
“Kakashi
ha
il mio occhio. E Danzo il tuo”. Shisui richiuse la bocca di
scatto e Obito
continuò: “Se si accorgono che è sotto
genjutsu potrebbero provare a romperlo”.
Shisui
corricciò la fronte. “Ma… il Kamui non
riguardo il genjutsu e Kakashi non lo sa
ancora usare. E Danzo… abbiamo scoperto che se non sono io a
usarlo il tempo di
ricarica del chakra necessario per kotoamatsukami è molto
più lungo, se Danzo l’ha
usato recentemente non potrà rompere il genjutsu su
Itachi”.
“Se l’ha usato di
recente” ripeté Obito. “Non
possiamo rischiare così tanto. È meglio agire
sulla base del peggior scenario
possibile, cioè che Itachi ricorda la vostra ultima
conversazione”.
A quella
prospettiva Shisui sembrò offendersi.
“Kotoamatsukami è infallibile”
ripeté.
“E
Itachi è
un genio” gli ricordò mordace. “Non mi
fido di lui e non voglio sottovalutarlo”.
Abbassò
gli
occhi, prendendo un lungo respiro. “Se ricorda sa che cosa
gli ho fatto, quindi
mi odierà. Comunque non c’è
più il rischio che ci incontreremo di nascosto”
concluse.
Giusto,
era
quello il dramma che il ragazzo stava cercando di superare, non il
fatto che
informazioni sensibili erano state compromesse e Konoha avrebbe presto
dato la
caccia all’intera organizzazione. Sospirò e mise
una mano tra i suoi capelli,
cercando in qualche modo di confortarlo.
“Sapevi
già
che sarebbe finita così, ti abbiamo avvertito che era un
destino già scritto.
Entrambi avete fatto le vostre scelte, tu hai scelto un nuovo mondo e
Itachi
quello vecchio. Questo ha cambiato tutto” completò.
L’occhio
di
Shisui tornò lucido. “Scelto… mi hanno
dato la caccia. Io volevo aiutare e loro
mi hanno tradito” ringhiò con frustrazione.
“Sono stato costretto a scegliere”.
“E
ti penti
di essere scappato, unito all’Akatsuki?”
Lo
guardò
come se fosse folle. “Certo che no!”
“Allora,
moccioso, smetti di frignare e ricomponiti. Abbiamo una riunione questa
sera”.
Shisui
sospirò, non si poteva proprio avere un momento di pace.
“Riunione
su cosa?”
“Kisame
ha
informazioni da condividere. Inoltre bisogna discutere con Pain degli
ultimi
risvolti con Konoha”.
Scrollò
la
testa sconsolato. “Vorrei riuscire a odiare Itachi come tu
odi Kakashi”.
“Dovresti
farlo, visto il suo tentativo di pugnalarti alle spalle” gli
ricordò.
“Lo
stanno
solo manipolando” tentò di giustificarlo.
“È
vero”
concordò Obito. “Ma il problema è che
Itachi è abbastanza intelligente da accorgersene
e potersene liberare. Credo ci sia un motivo se si lascia manipolare
così”.
Serrò
le
labbra e non ribatté, consapevole che Obito aveva ragione.
Se Itachi lasciava che
lo usassero come arma era perché era d’accordo e
lo vedeva come l’unico modo
possibile per garantire la pace, anche se era fittizzia…
Obito
interruppe i suoi pensieri porgendogli la mano guantata.
“Andiamo”
spronò.
Shisui
esitò brevemente, ma poi la strinse. Mentre il kamui lo
risucchiava dal via del
sottobosco provò un crampo di senso di colpa.
Perché
sperava che i peggiori timori di Obito fossero veri e che Itachi non lo
avesse
dimenticato.
Ehilà,
nuovo capitolo! Ve lo aveva detto che non ci avrei messo troppo, anche
se in realtà
i contenuti sono dimezzati rispetto a quelli promessi. Ma
già con solo l’incontro
da Shisui e Obito abbiamo raggiunto quasi le 5.000 parole, non volevo
aggiungere troppa carne al fuoco quindi nel prossimo capitolo abbiamo
Itachi
che torna a Konoha (e questo mi permette di inserire un altro
flashback, yeah).
Che dire
se
non meno male che Obito è paranoico?
Visto che ha assolutamente ragione, Itachi è riuscito a
liberarsi dal genjutsu,
mai sottovalutarlo u.u
Piccoli
appunti di base: so che nella novel e nel filler di Itachi viene
mostrato che Fugaku
ha il Mangekyo, ma io l’ho sempre trovata una grande
pagliacciata. Nel canon
viene lasciato intendere che lo sviluppo di Itachi del Mangekyo sia una
cosa
eccezionale, quindi preferisco seguire questa linea dove prima di lui
solo
Shisui lo aveva sviluppato in quel periodo, anche perché in
realtà
canonicamente le cose stanno così. Ho voluto aggiungere
quella parte su Kagami
per sfizio personale, lasciamo un po’ di briciole sul bel
rapporto tra Tobirama
e il suo studente preferito (che no, non era Sarutobi u.u almeno non in
quel senso lol)
Comunque
se
Shisui vi è sembrato troppo emotivo ricordate che gli Uchiha
sono drama queen
per genetica xD
Bando
alle
ciance, spero che vi sia piaciuto e di vedere qualche commento in
più, sapete
che mi rende felice leggere le vostre opinioni <3
Un
bacetto,
Hatta
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Lealtà ***
Cap IX
Lealtà
Hiruzen inspirò meditabondo dalla propria pipa, poco felice della scena che aveva davanti. Aveva già sentore di brutte notizie quando Danzo gli aveva detto di dovergli parlare urgentemente. Entrando nel suo ufficio aveva trovato Itachi già lì, inginocchiato davanti alla scrivania e la divisa ANBU addosso. A giudicare da piccoli dettagli di usura e dal fango sulle sue scarpe, non era lì pronto per una missione. Era tornato da una missione. Hiruzen non gli aveva inviato nessuna pergamena recentemente, quella missione non era opera sua.
Spostò lo sguardo su Danzo mentre andava a prendere posto sulla sedia dall’alto schienale. Si sentì troppo stanco e vecchio mentre le giunture protestavano al suo sedersi. Incrociò le dita sulla scrivania.
“Rapporto” concesse.
Itachi non alzò lo sguardo dal pavimento e a parlare fu Danzo.
“Dal tradimento di Shisui mi sono permesso di affidare a Itachi una missione segreta della massima importanza: spiarlo”.
Quel preambolo non gli piaceva. Inarcò un sopracciglio mentre studiava quanto tabacco fosse rimasto nella pipa, quella conversazione necessitava della nicotina.
“Shisui è stato intracciabile per anni, l’avvistamento dell’altro giorno è stato il primo dalla sua scomparsa” fece notare. “Se un nostro shinobi lo avesse incontrato prima, sarebbe stato gradito informarmi” aggiunse con una nota di rimprovero.
Danzo non batté ciglio, né Itachi si mosse dalla sua posizione inginocchiata.
“Ho ordinato a Itachi di cercare Shisui e, nel caso lo avesse trovato, di non iniziare nessun combattimento con lui e di cercare di non passare per una minaccia. La sua missione sarebbe stata quella di convincerlo a parlare”.
Esattamente quello che temeva. Era troppo vecchio per tutto quello.
“Perché?” chiese.
“Sappiamo entrambi dell’interesse… speciale che Shisui prova per Itachi”.
Lo sapevano bene, sì. Era ovvio agli occhi di chiunque li conoscesse e per questo il tradimento del ragazzo era sembrato ancora più assurdo. Se c’era qualcuno che più contava di Konoha per Shisui, era proprio Itachi, non aveva senso che lo avesse abbandonato in quel modo. Ma del resto, dopo aver attaccato un membro del consiglio… volente o nolente, non aveva avuto altra scelta che la via del nukenin.
“L’avermi tenuto questo segreto è tradimento” avvertì.
“Accetterò ogni conseguenza” replicò Danzo con la tranquillità di chi sapeva che in realtà era intoccabile. Su questo aveva ragione, Hiruzen era furioso ma non ci sarebbero stati provvedimenti. Per quanto poco ortodosse fossero le vie dell’amico di infanzia, era un collaboratore troppo prezioso, in grado di prendere le decisioni che i suoi scrupoli gli impedivano di prendere.
“Per venire a dirmelo ora, dovreste avere delle informazioni” considerò, perciò ripeté duro: “Rapporto”.
Danzo spostò gli occhi sul giovane e finalmente Itachi aprì la bocca. Il suo sguardo rimase fisso sul pavimento.
“Dopo che Danzo-same mi ha affidato questa missione, sono riuscito a ritrovare Shisui solo due anni e tre mesi dopo il suo tradimento. Seguendo le istruzioni di Danzo, non mi sono presentato come una minaccia. Dopo l’iniziale diffidenza lui ha accettato di restare con me. Abbiamo continuato a vederci in questi ultimi due anni, irregolarmente e senza che io riuscissi a ottenere una qualche informazione. Danzo-sama mi ha detto di persistere”. Prese fiato, per tutto il racconto il suo tono di voce era stato neutro e distaccato, come se a parlare fosse una macchina. “Nel suo scontro con il team 7, ha lasciato a mio fratello un messaggio in codice per me: il luogo del nostro prossimo incontro. Sono partito il giorno dopo averlo ricevuto. Ieri”.
“Che luogo?” chiese infastidito nello scoprire che uno dei suoi migliori ANBU era riuscito a lasciare il villaggio senza che nessuno se ne accorgesse.
“Una locanda al confine. Ho già indicato a Danzo-sama le coordinate sulla carte”. Alzò brevemente gli occhi e al cenno dell’Hokage riprese a parlare. “Questa volta ho tentato di renderlo inoffensivo e affrontarlo. Shisui è stato capace di eludere ogni mio tentativo”.
Hiruzen aggrottò la fronte. “Perché? Danzo ti aveva autorizzato?”
Scosse la testa. “È stata una mia iniziativa, causata dall’attacco compiuto contro il team 7. Finora Shisui non aveva attaccato un compagno di Konoha, ho pensato che ora che si era ufficialmente dimostrato una minaccia era mia dovere fermarlo”.
“Ma non ci sei riuscito”.
Danzo intervenne: “Questa volta però è riuscito a farlo a parlare. Digli cos’hai scoperto” ordinò.
“Il vero mandante del furto del Rotolo Proibito è Shisui” disse. “O meglio, l’organizzazione per cui lavora”.
“Hai scoperto quale?”
Sospirò. “Ha solo detto che si trattava di una nuova alba per il mondo. È composta da nukenin di varie nazione. Li ha chiamati mostri che i villaggi hanno creato, immagino si tratti di controversi shinobi con kekkei genkai particolari, per cui sono stati stigmatizzati dalla popolazione civile e perciò hanno tradito il proprio villaggio”.
Come un Jinchuriki, meditò Hiruzen sentendosi male. Ma non aveva notizie di furti di Biju da altri villaggi… certo, a livello ufficiale e diplomatico gli altri villaggi non sapevano che loro avevano perso il loro Jinchuriki. Che la stessa situazione esistesse nelle altre nazioni? Che come loro erano stati derubati del proprio Biju, facendo però in modo che la notizia non trapelasse? Doveva mandare le sue spie a indagare.
Una nuova alba per il mondo… quelle parole gli erano familiari. Era sicuro di averle lette in uno degli ultimi messaggi di Jiraiya sui movimenti di Orochimaru prima che smettesse di mandare aggiornamenti.
“Altro?”
“Shisui è stato molto attento a non farsi sfuggire nulla, ha parlato principalmente per enigmi. Ma…” esitò. “È stato qualcuno a convincerlo a tradire, qualcuno che è anche il vero responsabilmente del rapimento di Uzumaki Naruto. Quel qualcuno potrebbe essere Uchiha Madara. O un sedicente tale”.
Hiruzen sentì la pipa scivolare dalle sue labbra socchiuse, ma non vi badò. Lo shock era stato troppo forte. Sperava di non dover sentire quel nome mai più. Soprattutto non si aspettava che quel fantasma venisse riesumato in un tale discorso. Era una follia da sentire, ma sapeva che Itachi era intelligente e doveva avere il suo motivo per dirlo.
“Cosa te lo fa credere?” chiese quindi cercando di non mostrare quanto la prospettiva lo scombussolasse. Era pur sempre l’Hokage.
Percepì dell’esitazione da parte del ragazzo. “Si è messo a fare discorsi pericolosi, accusava Konoha di non essere in grado di creare la pace… Gli ho detto che stava facendo gli stessi discorsi di Uchiha Madara”. Alzò lo sguardo, i suoi occhi erano spenti e opachi. “Ha detto che forse è stato lui a ispirarlo”.
Sapeva per certo che gli Uchiha avevano cancellato all’interno del clan ogni traccia dell’esistenza di Madara. Il suo ricordo persisteva tenace, era il fantasma di cui i bambini avevano paura e immaginava che nello stretto nucleo del capoclan qualche frammento su di lui fosse rimasto. Ma Shisui non aveva modo di venire a conoscenza degli ideali di Madara al punto da dire di esserne stato ispirato. Del resto la stessa linea di sangue del vecchio nemico di Konoha si era estinta con la morte di Obito, quando Shisui era solo un bambino.
Itachi sapeva queste cose quanto lui, per questo doveva aver escluso che fosse stata la memoria di Madara a ispirarlo, optandone per una versione in carne e ossa. Non voleva credere a Madara ancora vivo, ma forse qualche imitatore…
“Cos’altro?”
“Vogliono usare il Rotolo per via del sigillo del Kyubi, per migliorarlo stando alle sue parole.” Non fece nessuna smorfia. “Ha insistito sull’essere stato tradito per primo…” I suoi occhi scivolarono su Danzo. “E poi mi ha chiesto di scappare con lui, di unirmi al suo gruppo”. Itachi contrasse la mascella. “Mi sono rifiutato”.
Ovviamente. Anche se sarebbe stato utile avere un infiltrato, era un rischio che andava calcolato al millimetro e non andava improvvisato. Era un bene che Itachi non avesse preso altre iniziative personali.
Il ragazzo parlò senza che lo spingesse a farlo.
“Gli ho detto dell’accordo tra il consiglio e il Clan Uchiha”.
Per la seconda volta, Hiruzen rischiò di perdere la pipa. “Oh…”
Non era esattamente felice che lo avesse fatto e Itachi percepì il rimprovero implicito.
“Ho pensato che vedendo il problema risolto cambiasse idea” ammise.
Era un pensiero ingenuo, il primo pensiero ingenuo che Hiruzen vedeva essere formulato da Itachi. Non glielo rimproverò troppo comunque. Per quanto fosse intelligente era solo un ragazzo di diciassette anni tormentato dalla perdita. Ricordava come fosse Kagami a diciassette anni, con i suoi sentimenti impossibili da sopprimere, l’unica cosa che lo rendevano irrazionale da far paura. Era incredibile che Itachi resistesse così bene.
“C’è altro che vuoi aggiungere?”
Annuì. “Quando è stato chiaro che non avremmo trovato nessun accordo, Shisui mi ha messo sotto genjutsu. Mi ha fatto dimenticare il nostro passato insieme, la nostra amicizia”. Fece una piccola pausa. “Mi sono svegliato solo, convinto che quell’incontro non ci fosse stato e Shisui fosse uno sconosciuto”.
“Ma ora ricordi”.
“Avevo preparato una contromossa nel caso succedesse qualcosa di simile” spiegò.
Com’era da aspettarsi da lui. Non si sarebbe mai infilato nella bocca del nemico senza reti di sicurezza, anche se quel nemico era Shisui.
“Quindi lui crede che tu abbia dimenticato tutto, ma non è così” riassunse. “Abbiamo un vantaggio. Sappiamo che è il vero responsabile del furto del Rotolo, che lui e i suoi soci stanno cercando di fare qualcosa con i Jinchuriki e che Uchiha Madara potrebbe essere coinvolto in tutto questo”.
Era così tanta merda che sospirò. Avrebbe voluto sapere prima di quegli incontri tra Itachi e Shisui, ma non poteva lamentarsi visto che avevano nuove informazioni su cui lavorare. Per prima cosa doveva confermare lo stato degli altri Biju e concentrarsi sulla formazione di nuove organizzazioni shinobi clandestine.
Per un lavoro del genere aveva bisogno di una persona in particolare. Una persona che stava facendo del suo meglio per rendersi introvabile, che non voleva avere più nulla a che fare con Konoha.
Guardò attentamente Itachi ancora nella sua uniforme ANBU.
“Ho una nuova missione per te” dichiarò e il ragazzo rizzò le spalle, in attesa di istruzioni. Hiruzen prese un foglio e iniziò a scriverci veloce. “Ho bisogno che tu trova Jiraiya il Sannin. Questi sono i luoghi dove è stato avvistato l’ultima volta”, e risalivano tutte a troppi anni prima, purtroppo. Arrotolò la pergamena a la consegnò a Itachi. “La tua missione sarà trovarlo e convincerlo a tornare. Sei autorizzato a spiegargli quanto è stato detto in questa stanza se necessario. Ma ti avverto: non sa del rapimento del nostro Jinchuriki, potrebbe non prenderla bene. Puoi dirglielo, ma la vostra discussione dovrà essere discreta. Non voglio una fuga di informazioni”.
Itachi annuì, prendendo il rotolo senza leggerne il contenuto. Hiruzen allora si voltò verso Danzo.
“Gli agenti ROOT dovranno sostenere gli ANBU regolari nella ricerca di Shisui… e voglio delle spie negli altri villaggi, i nostri migliori uomini”.
“La nostra migliore spia è Hatake Kakashi” fece notare calmo Danzo.
Con la coda dell’occhio vide Itachi tendersi, ma non ci fece caso. Spazzò via il suggerimento del suo consigliere con un gesto della mano.
“Kakashi ha la sua squadra genin a cui pensare. Troveremo qualcun altro”.
La decisione non piacque a Danzo, ma oltre a una smorfia di disaccordo non fece o disse nulla.
“Itachi-kun” chiamò allora, ammorbidendo la voce, “trovare Jiraiya è della massima priorità. Partirai questa notte, è meglio che tu vada a riposarti qualche ora. Puoi andare”.
Al suo licenziamento, il ragazzo abbassò il capo in un inchino. Poi con uno sfarfallio la sua presenza svanì, velocemente teletrasportato da uno Shunshin. Rimasti soli, Hiruzen si concentrò solo su Danzo. Gli lanciò un’occhiata furiosa, le narici dilatate. Il vecchio amico rimase imperturbabile.
“Andava fatto” si giustificò.
Il Sandaime camminò a passi veloci per la stanza. “Non farlo mai più. Itachi non è uno dei tuoi uomini, devi ricordartelo” sibilò.
“Non ancora” replicò con lo stesso tono pacifico.
Gli lanciò uno sguardo di sbieco. “Fino ad allora, ricorda il tuo posto. Se vorrai affidare a Itachi altre missioni, prima dovrai discuterne con me”.
“Non avresti accettato”.
Certo che no. Sapeva che dal punto di vista strategico, la scelta di usare Itachi per adescare Shisui era vincente visto il profondo legame che univa quei ragazzi… ma proprio per quel legame sapeva che tutto quello aveva ferito Itachi. Non era mai saggio giocare con i sentimenti di una persona, soprattutto se quella persona era un Uchiha.
“No” confermò quindi senza sbattere la palpebre. Rizzò la schiena, cercando di mostrare con il proprio portamento tutta la sua autorità. “Ma sono io l’Hokage, sono io colui che decide e ordina. Non dimenticarlo mai”.
Danzo fece una smorfia infastidita ma fece un cenno d’assenso con il capo, tanto gli bastò. Si voltò verso una delle ampie finestre, guardò il suo bellissimo e amato villaggio e sospirò. Sentiva la brezza che sapeva di foglie primaverili, le risate dei bambini e i richiami degli adulti. Erano tutti sereni, pacifici.
Hiruzen era troppo vecchio per credere che la pace sarebbe durata per sempre; sapeva fin da quando aveva firmato i trattati di non belligeranza nella Terza Guerra che un nuovo cataclisma sarebbe avvenuto. L’attacco del Kyubi era stato solo anticipo, quella serenità tanto cara nel suo villaggio stava per finire.
I suoi occhi caddero sulla montagna degli Hokage. Accanto al suo volto ancora giovane stava Tobirama, impassibile e ormai eterno.
Sensei, spero di aver fatto le scelte giuste… sospirò.
**
Itachi era scivolato all’interno della sua stanza senza farsi notare da nessuno nella casa. La sua famiglia non sapeva nemmeno che era partito, quindi non voleva allarmarla proprio ora. Fortunatamente aveva passato abbastanza notti fuori con Kakashi perché non si facessero mai domande sulla sua assenza. I suoi genitori tolleravano quella relazione con l’indifferenza di chi sapeva non sarebbe durata.
Il pensiero di Kakashi gli stritolò il cuore. Lo amava, ma solo poche ora prima aveva detto a Shisui di amarlo e lo intendeva davvero. Era sincero quando lo dichiarava a entrambi… Kakashi non sapeva nulla di quella missione segreta, del suo tradimento continuo. Fosse stata solo una missione sarebbe stato più facile gestire i sensi di colpa, ma Shisui non era mai solo una missione. Era sempre molto, troppo, di più.
Kakashi non meritava qualcosa del genere.
Proprio com’era entrato, uscì dalla finestra della camere senza farsi vedere. Nei suoi abiti civili saltò da un ramo all’altro fino a essere fuori dal complesso degli Uchiha. Atterrò in mezzo a una stradina vuota, immettendosi poi in una principale. I suoi sensi erano in allerta mentre cercava di percepire il chakra familiare.
Lo trovò in una strada alberata secondaria, completamente vuota. Itachi si mise sotto uno degli alberi e alzò la testa, in cerca dell’uomo, ma il fogliame era così fitto che non poteva distinguere nulla. Scuotendo la testa divertito, fece un balzo e atterrò sul primo ramo disponibile. Si arrampicò fino a trovare Kakashi nascosto tra le foglie, seduto su un ramo tozzo e la schiena appoggiata al tronco; ovviamente stava leggendo Icha Icha.
“Già qui?” chiese inarcando appena la sopracciglia sul suo unico occhio visibile.
Itachi si sistemò sullo stesso ramo di fronte a lui. “Era una missione veloce. Non dovresti essere con i tuoi studenti?”
“Dovrei” confermò pigramente, “se non fossi stato ammutinato”. Itachi inarcò un sopracciglio invitandolo in silenzio a spiegarsi meglio. “Sasuke ha deciso di non presentarsi, Himawari ha deciso che se Sasuke non si presentava lei non sarebbe rimasta e Sakura…” scrollò le spalle. “Non aveva senso allenare solo lei” concluse.
Strinse le labbra. “Sai, mio fratello si comporta così perché non approva il tuo metodo di insegnamento”.
“Ho un metodo di insegnamento? Interessante, non lo sapevo”.
Itachi alzò gli occhi al cielo e lo colpì con il piede. “Sasuke vuole essere allenato sul serio, da quello che mi racconta non state facendo nulla”.
“Non esageriamo. Siamo la squadra genin con il più alto numero di missioni riuscite”.
“Missioni di grado D” fece notare impietoso. “. Cercare animali smarriti, pulire giardini, riverniciare… Sasuke è intelligente, si annoia. Ha bisogno di imparare qualcosa ed è tuo dovere da sensei insegnargli”.
Nonostante la maschera, vide comunque le labbra piegarsi in un broncio infantile al suo rimprovero.
“Non volevo fare l’insegnante. Non so come si fa” si lamentò.
“Non è vero. Sei stato un ottimo capitano con me”.
“Eravamo in ANBU, è diverso” insistette. “Cosa dovrei insegnargli? A uccidere e come nascondere il cadavere? Sono dei bambini”.
“Io avevo undici anni” gli ricordò mite.
L’iride grigia si scurì di amarezza. “Non è la stessa cosa”.
No, non lo era, anche Itachi lo sapeva. Era sempre stato diverso, non solo dai propri coetanei ma anche da tutti gli altri shinobi. Tranne Kakashi, diventato Jonin a dodici anni, con come prima missione un intervento diretto e fondamentale nella guerra in corso. Solo un altro bambino-genio avrebbe capito la responsabilità di un altro bambino-genio. Il loro mondo seguiva regole completamente diverse rispetto al resto delle persone.
Kakashi lo aveva sempre capito, anche quando era un suo sottoposto nell’ANBU era sempre stata una figura di riferimento da ammirare. Forse non doveva sorprendersi se poi erano sbocciati quei sentimenti, se non lui chi?
Shisui, suggerì una voce nella sua testa.
Ma Shisui lo aveva tradito, aveva rinnegato tutto quello in cui credevano. Aveva tentato di cancellare la sua memoria, i loro momenti insieme… Gli aveva detto addio. Ma in realtà lo aveva abbandonato già da quattro anni, quella missione aveva creato un limbo che non poteva esistere. Perché Shisui lo aveva abbandonato e Itachi ora amava Kakashi.
Guardò l’uomo più grande, nonostante fosse visibile solo poco del viso poteva comunque distinguere quanto i suoi lineamenti fossero attraenti. Kakashi inclinò la testa curioso e Itachi accennò un sorriso. Agile e silenzioso si mosse sul ramo fino ad a sedersi a cavalcioni sul suo grembo, Kakashi si spinse con la schiena contro il tronco e appoggiò una mano sulle sue cosce, in cerca di un nuovo equilibrio. La sua curiosità si trasformò in sorpresa.
“Oh?” sospirò interrogativo.
Nessuno dei due era una persona molto tattile, non intraprendevano mai gesti simili fuori dalla camera da letto e non cercavano mai un contatto fisico. Erano riservati e il loro amarsi era espresso soprattutto attraverso gli sguardi. Poteva quindi capire la sorpresa di Kakashi nel vederlo fare qualcosa di tanto audace in un luogo pubblico.
Senza rispondere alzò una mano e gli accarezzò lo zigomo, le dita si incastrarlo sull’orlo della maschera attillata e spinse per tirarla giù, a scoprire la pelle. Kakashi glielo lasciò fare, immobile e curioso. Quando però premette insieme le loro labbra, ricambiò il bacio languido, aumentando la presa sulla coscia di Itachi. Chiuse gli occhi, assaggiando il sapore di quella bocca, ricambiando i movimenti bagnati della lingua, premendo con più forza le labbra al punto da far scontrare i denti. L’altra mano di Kakashi era andata ai suoi capelli, aggrappandosi alle sue ciocche lunghe in un modo che minacciava di sciogliere l’elastico.
Itachi interruppe il contatto nel rendersi conto che si stava eccitando troppo, quando indietreggiò Kakashi aveva un po’ di fiatone.
“Oh” ripeté. “Come mai?”
Scrollò le spalle. La mano dell’uomo era ancora tra i suoi capelli, passò le dita ad accarezzarlo e pettinarlo, un gesto confortante sulla schiena. Lo sguardo nell’occhio grigio si era addolcito.
“Va tutto bene?” chiese mentre anche l’altra mano diminuiva la stretta e iniziava ad accarezzarlo rassicurante.
Quell’accortezza fece venire a Itachi un groppo in gola, desiderò di baciarlo ancora.
Attento, protettivo e leale Kakashi.
Pensò che in tutta Konoha non ci potesse essere una persona migliore di lui. La vita lo aveva costretto a sopportare così tanto, eppure lui proseguiva per la sua strada senza abbandonare la fede nei propri compagni. Gli shinobi di Konoha avevano spinto suo padre al suicidio, i suoi preziosi compagni erano morti per il bene di Konoha e gli era stato impedito di avvicinarsi al figlio dell’unico uomo che era riuscito a dargli una famiglia; lo avevano invece gettato nel fango, nell’oscurità di ANBU, solo come un’arma tagliente. Quello era il destino di tutti gli shinobi, ma era sicuro che il destino avesse chiesto troppo da Kakashi. Avrebbe avuto tutti i motivi per disprezzare il loro mondo, per abbandonare Konoha. Ma non lo faceva. Restava, perché la migliore qualità di Kakashi era la lealtà.
Kakashi non lo avrebbe mai tradito.
Prese il suo volto tra le mani, i polpastrelli sfiorarono la pelle nuda delle guance. Era così raro vedere il suo volto intero che Itachi attivò lo sharingan senza pensarci.
“Ti prenderai cura di Sasuke?” chiese dolcemente.
Kakashi scoccò la lingua sul palato. “Ah. Vedo quello che stai cercando di fare: mi seduci per convincermi ad allenare tuo fratello”.
“Te ne accorgi solo ora, taicho?” stuzzicò decidendo di stare al gioco. “Questo piano sta durando da dieci mesi ormai”.
“Ricordo, sì. Avevi scoperto che stavo per diventare il sensei di Sasuke e tu sei venuto a cercarmi con il tuo carino atteggiamento passivo-aggressivo per assicurarti fossi un bravo sensei”.
Itachi inarcò un sopracciglio a carino. “Volevo solo sapere quale sarebbe stato il tuo programma, se ne avevi uno”.
“E io ti ho detto che non ne avevo uno. Quindi mi hai sedotto”.
Gli tirò una ciocca argento di capelli. “No. È arrivato Asuma-san per festeggiare le assegnazioni e andare a bere, mi sono ritrovato in mezzo all’invito anch’io. Poi Gai-san ti ha sfidato a una gara di bevute e vi siete ubriacati entrambi, mi è stata data la missione di riportarti a casa sano e salvo”.
“Però mi hai spogliato mentre ero a letto”.
“Indossavi ancora i tuoi vestiti shinobi e non riuscivi neanche a slacciarti le scarpe. Ho fatto il mio dovere”.
Le labbra di Kakashi si piegarono in piccolo broncio. “E allora com’è successo?”
Itachi accarezzò quelle labbra imbronciate. “È solo… successo”.
Un soffio di vento si alzò, infilandosi tra i rami dell’albero e facendo vibrare le foglie in una musica dolce e frusciante. Kakashi lo guardava senza dire niente, il suo occhio penetrante calmo, rassicurante e dolce; quell’uomo era la sua certezza iniziata per caso.
Il jounin appoggiò la propria mano ruvida sulla sua e spostò il viso baciandogli il palmo.
“Terrò Sasuke al sicuro in qualsiasi situazione” gli promise quieto, ma con un tono vibrante per la sicurezza delle sue intenzioni. “Non permetterò che ai miei genin accada qualcosa”.
Itachi emise un piccolo sospiro.
Gentile, protettivo e leale Kakashi.
“Grazie”.
**
Il tavolo delle riunioni era quasi del tutto completo con l’arrivo di Kisame e il ritorno di Tobi e Shisui. Mancava solo Sasori, ancora in giro a raccogliere informazioni dalle sue spie. Deidara aveva ben pensato di occupare la serie vuota con il materiale di lavoro della sua argilla esplosiva.
Pain osservò attento ogni membro presente. Tutto sembrava come al solito: Hidan strepitava su qualcosa, Deidara rispondeva per le rime e Kakuzo minacciava quieto di mozzare la lingua a entrambi, facendo presente quanto costava quell’organo al mercato nero; Tobi interveniva di tanto in tanto per fomentare gli animi con frasi del tutto fuori luogo, facendo scoppiare a ridere Naruto seduto in braccio a lui, nel mentre Kisame osservava ridacchiando a proprio agio. Solo Shisui era fuori dal suo solito personaggio: era troppo silenzioso e curvo su stesso, l’espressione depressa e gli occhi così pesti che dubitava fosse solo a causa dell’uso prolungato del Mangekyo.
Non che gli interessasse lo stato d’animo di un adolescente troppo cresciuto, quella era una riunione.
Lanciò uno sguardo a Konan al suo fianco, la donna intese subito. Al solo battito di ciglia un areo di carta dalla punta affilata e letale volò in mezzo al tavolo con un ronzio, facendo sussultare tutti quanti. Avuta la loro attenzione, Pein parlò.
“Che notizie porti, Kisame?” saltò ogni convenevole.
L’uomo squalo sorrise compiaciuto. “Vengo dal Paese delle Onde” disse, “e porto notizie interessanti su un mio ex-collega”.
Angolo dei gufi.
Della serie: non mi sono dimenticata di questa fic! (E neanche di “Ti piacerebbe restare per sempre?” che giuro di aggiornare prossimamente u.u)
Parlando di questa fic, mi spiace avervi fatto aspettare così a lungo per un capitolo di passaggio (più un capitolo di simpaggio su Kakashi ma okay), ma come potete intuire dal prossimo inizia la saga nel paese delle Onde! E le cose ovviamente non andranno come nell’originale :P d’altra parte avremo anche Itachi in cerca di Jiraiya, piccola side story che spero vi possa piacere.
Piccolo appunto: il "grazie" finale di Itachi va letto come se fosse un "ti amo". I giapponesi sono molto stitici con i sentimenti, come ben sappiamo, e spesso piuttosto di dire apertamente "ti amo" preferiscono dire "grazie" alla persona che amano. Grazie di essere nella mia vita, grazie di essere qui con me, di prenderti cura di me, di avermi permesso di amarti. È molto dolce (e poi penso alla mia shippetina del cuore e piango ;___;)
Vi ringrazio tantissimo per la vostra pazienza e costanze di seguire questa storia nonostante i tempi di aggiornamento geologici ç__ç anche questa volta non so dirvi quando sarà il prossimo capitolo ma posso assicurarvi al 100% che ci sarà un prossimo capitolo. Questa storia continua!
Un bacio!
Hatta
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3926325
|