Exile

di Voglioungufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La ragazza con il sorriso da volpe ***
Capitolo 3: *** Il bambino scomparso ***
Capitolo 4: *** Rimpianti ***
Capitolo 5: *** Mattina ***
Capitolo 6: *** Consolazione ***
Capitolo 7: *** Corvi feriti ***
Capitolo 8: *** Averne cura ***
Capitolo 9: *** Sano di mente ***
Capitolo 10: *** Lealtà ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Un po’ di coordinate per capire meglio questa RoleSwap!AU:
-  “Role Swap” significa: ruoli scambiati. È quel trope dove il ruolo dei personaggi (antagonista, protagonista, buono, cattivo…) viene scambiato tra essi;
- In questa storia Iruka non è mai stato insegnante all’Accademia. È un normale chūnin e non ha avuto occasione di entrare in contatto con Naruto;
- Obito ha scoperto il vero piano di Zetsu e tutte le implicazioni dietro Lo Tsuki no Me, che decide di non attuare più;
- Il massacro Uchiha non avviene, in compenso Shisui dopo che Danzo gli ruba l’occhio invece di suicidarsi decide di abbandonare il villaggio e diventa un nuniken.
 
Altri piccoli appunti:
- C’è un original character nella “nuova” squadra 7, Sarutobi Himawari. Vi assicuro che non è un self-insert perché ha un ruolo specifico per la crescita di Sasuke e Sakura;
- I rapporti same-sex sono tranquillamente accettati nel mondo shinobi, solo che non esistono matrimoni e per questo le famiglie dei clan fanno molta pressione perché i figli si sposino e portino avanti la discendenza. Banalmente è un po’ come nella Grecia Classica, solo che è una pratica meno istituzionalizzata;
- Nella storia si comincia a considerare adulto un* bambin* nel momento in cui diventa un ninja (altrimenti per i civili  l’età resta sui 18 anni);
- L’OOC ovviamente è perché essendoci circostanze diverse e ruoli scambiati i personaggi non saranno naturalmente fedeli al manga. Non sarà eccessivo, la caratterizzazione resta quella (Sasuke sarà Sasuke, solo un Sasuke che vuole diventare Hokage e Naruto sarà Naruto, ma un Naruto che disprezza Konoha);
- Le coppie… HAHAHAHAHA non ne ho idea, per questo non ne ho inserite. Le uniche certe sono gli ShiIta e i KakaIta che sì, come potete ben vedere è un po’ un triangolo. So che a molti non piacciono, ma vi chiedo di avere fede per questa idea che ho in mente, giuro che non vi pentirete e vi struggerete con me e Itachi hahahaha. Comunque sappiate che in qualche modo riuscirò a incastrare la sakuhina u.u ho qualche ideuzza ma devo vedere se i personaggi me lo permettono.
 
Non ho altro da dire. Spero solo che anche questa mia sciocca idea vi piaccia! Recensioni per farmi sapere il vostro parere sono sempre benvolute^^
Vi lascio al prologo.
Hatta.
 







 
 
Prologo
 
 
L’intera città era illuminata dai raggi della luna piena, che scacciava le ombre e metteva a nudo ogni vicolo. Era una pessima notte per scappare, ma non c’era più molto tempo prima che gli agenti ROOT lo intercettassero.
Dalla cima del tetto, Shisui rivolse solo un ultimo fugace sguardo nella direzione delle facce degli Hokage e si accorse di non provare nemmeno un’oncia di rimpianto. Tutto quello che provava era rabbia, rabbia cocente che scorreva nel suo sangue.
E tradimento.
Allungò una mano alla benda, le dita che premettero contro l’orbita vuota. Pulsava ancora sorda, dolorante per la ferita brusca che non aveva avuto il tempo di medicare accuratamente.
Fece una smorfia e, senza più guardare indietro, senza badare al dolore e alla stanchezza che sconquassava tutto il corpo, concentrò il suo chakra allo scatto. Shunshin era sempre stata la tecnica in cui più eccelleva, ma esausto com’era lo portò velocemente in ginocchio quando si fermò oltre le porte di Konoha. Tossì violento, l’unico occhio rimasto che spremeva lacrime di dolore; le sue bobine di chakra sembravano essere ancora profondamente danneggiate. Non badò quando l’erba venne macchiata di sangue.
“Non sforzarti troppo”.
Al di là della condizione pietosa in cui si trovava, Shisui riuscì a reagire velocemente alla voce estranea. Estrasse il tantō che teneva sulle spalle, quel solo gesto gli fece sfocare la vista. Si rilassò solo quando riconobbe la cappa nera, con il motivo di  nuvole rosse, che l’uomo apparso dal nulla indossava.
Rinfoderò la spada corta mentre alzava la testa e si accorse che l’uomo – Uchiha Madara o Uchiha Obito, questo doveva essere ancora chiarito – non indossava la tipica maschera tigrata con cui lo aveva visto ultimamente. Era la prima volta che vedeva il suo viso e la sua espressione appariva molto stanca, ma anche molto risoluta.
“Ci abbiniamo” commentò Shisui scherzoso, indicando l’occhio mancante dell’altro.
Obito non rispose, privo di umorismo. Si spostò verso di lui e Shisui poté notare che sulle sue spalle stava aggrappato un bambino biondo, con vispi occhi azzurri che lo guardavano incerti e curiosi. Non dovette vedere le cicatrici dei baffi sul suo viso per riconoscerlo, il Jinchūriki del Kyūbi era molto bravo a distinguersi e farsi notare.
Non chiese perché fosse con loro. Anzi, era abbastanza ovvio che il piano originale del nin-mancante fosse  rubare una delle risorse più preziose di Konoha. Shisui era capitato quasi per sbaglio.
Un errore.
“Andiamo” chiamò Obito.
Con un’ultima scintilla di esitazione, guardò la mano guantata che l’uomo gli offriva. Per un momento gli parve di vedere il volto mite e gentile di Itachi, il sorriso che si formava quando gli offriva dei dango.
Bastò una pulsazione all’orbita vuota a ricordargli perché lo stava facendo.
Afferrò la mano con una stretta decisa.
Il secondo dopo una forza sconosciuta lo stava trascinando nel nulla.
 
 
**
 
Kakashi era stanco dopo cinque giorni di caccia ininterrotta. Era stato in prima linea nelle ricerche di Uchiha Shisui, mandando il suo branco perfino oltre il confine del Paese del Fuoco.
Era ovvio fosse stato scelto per quel compito: era un eccellente ANBU, un tracker migliore degli Inuzuka e un possessore di un sharingan; quella era una combinazione rarissima, che in missioni come quelle non andava sprecata.
Ma era stato inutile.
Cinque giorni dopo nessuno era riuscito a rintracciare Shisui. Il suo odore si interrompeva poco oltre le porta di Konoha, come se da quel punto in poi fosse stato inghiottito dal nulla. Era proprio questo a preoccupare Kakashi: le persone semplicemente non potevano sparire, anche il più abile degli shinobi avrebbe lasciato dietro di sé una traccia. Soprattutto considerando che le ricerche erano partite all’istante, era impossibile che in poche ore il vento ne avesse disperso l’odore.
Ma Kakashi era stanco e non badò a nessuna di queste preoccupazioni mentre faceva rapporto all’Hokage sul suo fallimento. Era tornato da una missione in incognito a Kumo quando erano partite le ricerche e ovviamente non aveva potuto sottrarsi. Ora la stanchezza esigeva che riposasse il suo corpo.
Ma quando l’Hokage lo congedò, non si teletrasportò direttamente al suo appartamento.
Si spostò sui tetti della città, lasciò che il proprio chakra si espandesse pigramente in cerca di quello oscuro e malizioso del Kyūbi. Il senso di allarme si attivò nel momento esatto in cui si rese conto che non riusciva a percepirlo, non in tutto il villaggio.
Un’oscura premonizione cominciò a far battere forte il suo cuore, ma non l’ascoltò e la cacciò lontana dalla sua mente. Cambiò invece la direzione dei suoi salti e si diresse veloce verso il condominio dove era stato stanziato il figlio di sensei.
Gli bastò atterrare sul balcone per accorgersi che l’appartamento era vuoto. Scivolò quindi senza scrupoli al suo interno dalla finestra.
Era disordinato, come sempre. Ma c’erano meno vestiti per terra, il lavabo del lavandino non erano pieno di tazze di ramen e la spazzatura puzzava troppo – come se non fosse stata buttata da parecchi giorni. Non c’era nemmeno il cappello da notte con cui l’aveva visto dormire, non trovò lo zaino e non c’erano le scarpe.
Gli bastò aprire il frigo per capire cosa fosse successo: era vuoto, fatta eccezione di un cartone di latte scaduto.
Naruto era sparito.
Non seppe come riuscì a rimanere calmo, come riuscì anche solo a considerare freddamente i vari indizi quando il suo cuore sembrava voler scappare dal petto. Si tagliò la mano con un kunai e la sbatté con forza sul tavolo. Con una nuvoletta di fumo un carlino comparve sul ripiano, gli occhi stanchi ed esasperati, mentre il resto del branco si distribuì sul pavimento, tutti erano nella stessa condizione malridotta.
“Capo, capisco la situazione di emergenza, ma…”
“Pakkun”, lo interruppe Kakashi, “ho bisogno che tu vada dall’Hokage a dirgli che Naruto è sparito. Il resto: con me, cercate il suo odore e seguitelo.”
Aveva dato l’ordine con voce controllata, in tono freddo che non ammetteva repliche, ma nonostante ciò al suo branco fu fin troppo chiara l’agitazione che turbinava dentro il giovane uomo. Era in condizioni terribili, con il chakra vicino all’esaurimento. Fu per questo che Pakkun non protestò e fece quanto ordinato.
Kakashi non rimase un secondo di troppo nell’appartamento. Fiducioso in Pakkun, uscì dall’appartamento e seguì il branco che cominciò a cercare l’odore di Naruto, ignorando tutte le altre fragranze. Kakashi non riusciva a percepirne neanche una debole traccia e questo lo spaventava: da quanto tempo era sparito e nessuno se n’era accorto?
Il branco lo portò in una zona che in quegli ultimi giorni aveva battuto molto, poco fuori dalle mura.
“L’odore si ferma qui, capo” informò Urushi. “Ci sono altri due odori, uno sconosciuto e l’altro è quello che ci hai già fatto cercare”.
Non c’era bisogno che lo specificasse. Del resto Kakashi aveva capito tutto nel momento in cui il branco si era fermato ad annusare lo stesso identico punto in cui anche l’odore di Shisui scompariva.
Quella consapevolezza aumentò la tachicardia. Tutta la pesantezza del consumo di chakra piombò su di lui e la vista cominciò a mancargli, le gambe tremavano.
Cinque giorni. Naruto era sparito da cinque giorni e nessuno se n’era accorto. L’Hokage, che aveva promesso che il figlio del suo sensei era al sicuro, non sapeva nulla. Non sapeva che Shisui…
“Ha rapito Naruto” riuscì solo a dire prima che la sua visione si oscurasse a cadesse a terra.
Ma anche nell’incoscienza quell’ultimo pensiero gli divorò la mente.
Aveva perso Naruto, l’ultimo legame con la sua vecchia squadra.
Aveva fallito, ancora.

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Capitolo 2
*** La ragazza con il sorriso da volpe ***


Cap i
La ragazza con il sorriso da volpe
Quattro anni dopo
 
 
 
Era ormai fisso sotto la meridiana da un’ora, corrucciato contro l’ombra troppo lenta. Non vedeva l’ora che arrivasse l’ora del ritrovo di tornare a Konoha.
Il che era incongruente con quanto aveva desiderato il giorno prima, cioè quando Sasuke aveva pregato perché alla squadra 7 venisse assegnata una missione fuori dal villaggio. Il suo errore era stato credere che le missioni fuori dal confine di Konoha fossero tutte superiori al grado D.
Errore.
L’Hokage era comunque riuscito a trovare qualcosa di innocuo e noioso.
Missione grado D: aiutare un paesano a trasportare delle borse fino a un villaggio a meno di trenta chilometri da Konoha.
Sasuke si chiedeva come non fosse ancora morto di noia.
Più entusiaste della missione erano state le sue compagne di squadra, Haruno Sakura e Sarutobi Himawari, che una volta scoperto del festival che si teneva al villaggio avevano supplicato Kakashi-sensei di poter rimanere per il pomeriggio.
Kakashi-sensei era, dal suo punto di vista, così insulso che aveva scrollato le spalle in assenso prima di sparire da qualche parte con i suoi disgustosi libri porno. 
In qualche modo era riuscito a scappare dalle sgrinfie troppo entusiaste delle sue compagne e aveva battuto una ritirata strategica sul tetto di una delle case. Da dov’era gli arrivavano comunque rumori allegri del festival e gli odori invitanti delle bancherelle gastronomiche, ma non si schiodò da lì.
Era un ninja. Era in missione. Non in vacanza.
C’erano di certo modi migliori per occupare il tempo, anche senza missioni da svolgere. Ormai aveva dodici anni, era un adulto, e certi interessi infantili non dovevano più interessargli.
Per questo fissava la meridiana infissa sulla casa di fronte, in attesa del momento in cui sarebbero potuti andarsene.
Era talmente concentrato nel fissare l’avanzare dell’ombra, che non si accorse minimamente di nulla finché qualcuno non gli piombò addosso. Fu così improvviso che nemmeno i suoi riflessi da ninja riuscirono a impedirgli di essere steso sotto un altro corpo.
Un corpo femminile, a giudicare dalle forme morbide che gli premevano contro.
Senza troppo cerimonie, si scrollò di dosso la ragazza che era inciampata su di lui.
“Ma che diamine!” sbottò.
“Mi dispiace!”
Finalmente Sasuke riuscì a girarsi per vedere la faccia del suo aggressore. La ragazza sembrava essere poco più grande di lui, con una forma più slanciata e morbida per via dei seni che cominciavano ad accentuarsi. Il viso però era ancora molto fanciullesco, con grandi occhi azzurri e guance rotonde. Aveva lunghi capelli che, nonostante il tentativo di legarli in due codini, le ricadevano spettinati in una frangia sul viso. Non aveva nessun coprifronte, in compenso aveva sgargianti abiti civili.
Chi con buon senso indossa vestiti arancioni?!
Fece una smorfia pronto a rispondere piccato, ma ogni suo tentativo fu soffocato da improvvise urla rabbiose.
“Eccola lì!”
L’attenzione di Sasuke si spostò dal viso della ragazza a un gruppo di uomini corpulenti e piuttosto arrabbiati che si arrampicavano sui vari tetti e terrazze per raggiungerli.
A quel richiamo l’espressione della ragazza si riempì di paura. Sasuke si accorse solo in quel momento che finendogli addosso aveva fatto anche cadere una scatola di ramen da asporto.
“Dattebayo!” imprecò la ragazza.
Quell’espressione che non significava nulla fece suonare una campanella nella mente di Sasuke, ma non potette soffermarcisi più di un secondo, visto che la ragazza lo prese per mano.
“Che cosa?”
“Corri!”
E prima che potesse protestare la completa sconosciuta che gli era piombata addosso dal nulla lo stava trascinando lungo la terrazza su cui si era rifugiato. Aveva raccolto la ciotola di ramen e la teneva stretta al petto con l’altra mano, quasi ne andasse della sua vita.
“Prendetela!”
“Non lasciatela scappare!”
“Ladruncola!”
Gridavano gli uomini dietro di loro. Ma le loro parole non preoccuparono molto Sasuke, ciò che lo preoccupava era la fine della terrazza che si stava avvicinando troppo velocemente. Il suo corpo agì d’istinto, impastando abbastanza chakra sui piedi prima di saltare sul tetto dell’altro edificio.
La ragazza atterrò elegante, riprendendo subito a correre senza difficoltà. Sasuke invece quasi cadde per l’atterraggio maldestro e l’essere tirato in avanti. Arrossì per la propria goffaggine, ma non era colpa sua! Kakashi-sensei aveva appena iniziato a insegnare loro i salti con il chakra, si stava ancora esercitando.
“Ohi! Lasciami andare!” sbottò.
“Corri!” lo spronò invece ancora una volta.
La presa della ragazza era ferrea, non al punto da far male ma abbastanza perché gli fosse impossibile liberarsi, soprattutto mentre era impegnato a correre e saltare. Si consolò però che dopo essere saltato un paio di volte da una casa all’altra i suoi atterraggi si erano fatti più stabili.
La loro corsa finì quando la ragazza fece scivolare entrambi in mezzo alla fronde fitte di un albero, sistemando entrambi in bilico su un ramo. Sasuke aveva il fiatone e per questo la ragazza si affrettò a coprirgli la bocca con una mano. La guardò oltraggiato, gli occhi spalancati. Odiava il contatto fisico con le altre persone, le uniche alle quali era permesso toccarlo erano sua madre e suo fratello. Provò un profondo disagio al modo in cui quella sconosciuta aveva abbattuto il muro invisibile del suo spazio personale.
La fissò con le sopracciglia aggrottate dal fastidio, ma lei era troppo impegnata a controllare il proprio respiro e spiare i suoi inseguitori. Anche loro erano scesi dalle case e si erano raggruppati proprio sotto l’albero.
“L’avete vista?”
“Era scesa di qui!”
“Continuate a cercarla”.
Sasuke si ritrovò a sperare che non alzassero lo sguardo, le foglie non li nascondevano così bene soprattutto per via dei vestiti radicolarmente colorati della ragazza. Poi si sentì stupido per quel pensiero, lui non aveva bisogno di nascondersi! Era stato costretto a farlo!
“Deve essere ancora da questi parti”.
“Trovatela!”
“Per di là!”
Continuarono intanto gli uomini sotto. Sasuke tirò internamente un sospiro di sollievo quando cominciarono ad allontanarsi senza sbirciare sull’albero – un errore davvero da principiante. La ragazza attese qualche altro minuto e, ormai sicura che non fossero più in zona, smise di premere la mano sulla sua bocca. Finalmente libero dalla costrizione, Sasuke saltò a terra.
La ragazza lo seguì subito, atterrando come un felino.
“Si può sapere che diavolo…!” iniziò arrabbiato Sasuke, ma la sua frase si interruppe a metà quando la ragazza gli tese la ciotola di ramen.
“Mi dispiace per averti coinvolto” disse seriamente, un sorriso di scuse e gli occhi azzurri che lo fissavano assurdamente felici. “Per rimediare se vuoi posso dividere il ramen con te!”
Sasuke fissò alternando il viso della ragazza e il ramen, chiedendosi cosa ci fosse da essere così felici e perché fare una proposta simile.
“Non mi piace il ramen” rispose piccato.
L’espressione della ragazza passò da felice, a incredula e infine furiosa.
“Cooosa?!” sbottò con un tono troppo forte, gli puntò contro l’indice come se lo stesse accusando di un omicidio. “Come ti permetti? Il ramen è la pietanza degli dei!”
“È per questo che l’hai rubato?”
La ragazza congelò e Sasuke dovette mordersi per non fare un sorrisetto di vittoria. Aveva ben sentito come l’avevano chiamata i mercanti dai quali fuggiva.
Lei abbassò l’offerta di ramen, ritirandola verso il proprio petto, e anche lo sguardo si fece più amareggiato.
“No” rispose tranquilla, con un tono più contenuto. “L’ho rubato perché avevo fame”.
Sasuke si sentì male e un po’ in colpa davanti a quella risposta. Non era quella che si aspettava e non seppe come ribattere.
“Potevi comprarlo allora”.
La ragazza lo guardò con scherno.
“Certo, con l’aria” scherzò sarcastica, poi precisò forse pensando che fosse stupido: “Non ho soldi.”
Faticò a trattenere una smorfia. Una parte di lui capì la situazione della ragazza, ma rubare era comunque qualcosa di sbagliato, qualcosa che la sua concezione morale non riteneva giusta. Ma del resto non riteneva nemmeno giusto che una ragazzina morisse di fame.
Cercò qualcosa da dire ma non gli venne in mente niente, si sentì parecchio patetico ed era una sensazione che odiava. Soprattutto perché le uniche volte che si sentiva così era quando suo padre lo paragonava a Itachi; per il resto del tempo era sempre elogiato, il migliore in ogni cosa e aveva sempre ragione.
Lo sguardo della ragazza si infiacchiva più a lungo stava in silenzio, perdendo quella brillantezza che aveva avuto quando aveva fatto l’offerta. Ora sembrava molto abbattuta, ma in un modo quasi rassegnato.
La vide aprire la bocca per dire qualcosa, quindi la precedette veloce.
“Va bene” disse, poi si voltò per non far vedere il rossore sulle guance. “Dividerò il tuo ramen”.
Sentì uno scalpiccio veloce mentre la ragazza lo raggiungeva, la bocca spalancata in un ovale perfetto.
“Davvero?” chiese come se faticasse a crederci.
Accentuò la sua espressione altera, sottolineando che le stava solo facendo un favore.
“Sì. Cerchiamo una panchina dove sederci”.
Il viso della ragazza si fece raggiante, gli occhi nuovamente luminosi. Poi piegò le labbra in un ghigno che ricordava quello delle volpi e prima che Sasuke se ne rendesse conto stava picchiettando l’indice sulla sua schiena.
“Sei un Uchiha, eh?”
Saltò per allontanarsi da quella pressione e la sua faccia diventò di un rosso violento. Non era sorpreso che avesse riconosciuto il simbolo cucito sul retro della maglia, del resto era un villaggio vicino a Konoha che spesso usavano come punto di sosta. Probabilmente aveva visto altri shinobi con quel simbolo o ne aveva semplicemente sentito parlare, erano pur sempre un clan prestigioso.
Il rossore era causato dal tocco indesiderato. Odiava essere toccato e questa sconosciuta si stava prendendo troppe libertà.
Rendendosi conto che la ragazza aveva iniziato a importunarlo senza nemmeno presentarsi, la guardò stizzito.
“Sì. Sono Uchiha Sasuke” rispose con orgoglio. “Tu?”
Per quanto la domanda fosse naturale e legittima, la ragazza sembrò presa in contropiede quando la pose. Lo guardò un attimo incerta prima di pigolare:
“Konan”.
Inarcò un sopracciglio a non sentire nessun cognome. La fissò da capo a piedi, squadrando ancora una volta il suo abbigliamento – effettivamente sul retro non aveva nessun simbolo di clan – poi chiese serio:
“Sei un ninja?”
La risposta arrivò veloce quanto sicura.
“No, certo che no”.
“Ma sai usare il chakra” si accigliò. Non c’era modo che quei salti potessero essere fatti senza un buon controllo del chakra.
“Oh, questo perché mi hanno insegnato” rispose scrollando le spalle.
“Chi?”
“La mia famiglia”.
“Sono ninja?”
Questa volta non rispose subito, anzi sembrò pensarci attentamente.
“Lo… erano” risolse infine.
Sasuke immaginò che fossero in pensione, o che per qualche motivo si fossero ritirati. Era una cosa che succedeva spesso, del resto la vita da shinobi non faceva per tutti, solo i più forti resistevano. Per questo Sasuke aveva intenzione di essere forte.
“Be’, io sono un ninja” disse infine, rizzando le spalle con orgoglio. Picchiettò anche sul suo coprifronte, mostrando il simbolo di Konoha.
Konan non gli rivolse lo sguardo ammirato che era abituato a ricevere, anzi guardò piuttosto cupamente il simbolo della foglia stilizzata.
“Uhm…” ronzò.
“Che c’è?” borbottò infastidito dalla reazione poco entusiasta.
“I ninja portano morte” fu la semplice e tetra risposta. “Non mi piacciono”.
Sasuke fece una smorfia a quella risposta e volle protestare, ma la ragazza lo afferrò per la mano, toccandolo ancora. Davvero, era più fastidiosa di Sakura e Himawari messe insieme! Odiava le femmine!
“Ma tu sei stato gentile, quindi farò un’eccezione. Dai! Ramen, ramen, ramen!”
 
 
 Il festival era splendido, tutto colorato, pieno di oggetti strani e dolciumi deliziosi. Era stato divertente giocare ai tiri assegno, con la loro mira allenata in Accademia lei e Himawari erano riuscite ad accaparrarsi tutti i premi più interessanti.
Certo, sarebbe stato tutto molto più divertente se Sasuke-kun fosse rimasto con loro… Invece anche dopo così tanto tempo insieme continuava a isolarsi…
Un po’ amareggiata da quei pensieri, Sakura quasi sbatté contro la schiena di Himawari, rischiando di finire con la faccia immersa nello zucchero filato che aveva in mano.
“Hima, ma che…” sbottò arrabbiandosi.
La compagna di squadra la prese velocemente con un braccio attorno alle spalle e fece per allontanarla verso la direzione da cui stavano venendo.
“Ehi, magari potremmo tornare alla bancherella delle freccette…” propose Himawari con un enorme sorriso tirato.
Con le missioni sotto il sole la sua pelle era diventata molto scura ed erano comparse moltissime lentiggini sulla sua faccia. Perfino i capelli castani – colore tipico del suo clan – erano diventati più chiari sulle punte delle trecce. Con quell’aspetto bruciato dal sole sembrava molto più malandrina, per nulla aristocratica nonostante venisse da uno dei clan più importanti di Konoha.
La guardò infastidita.
“Dai, voglio andare a vedere i pesci koi!” protestò divincolandosi dalla sua presa.
Per sua fortuna era più magrolina di Himawari e le venne facile sgusciare via dalla presa. Poté così voltarsi per tornare a camminare, ma in questo modo vide quello che l’amica aveva tentato di nasconderle.
Oltre l’angolo, Sasuke era seduto su una panchina vicino a una ragazza.
E stavano condividendo il pranzo.
Sakura sentì distintamente il proprio cuoricino spezzarsi mentre congelava alla scena. Non poteva credere a quello che vedeva, faceva troppo male. Sasuke, che non si lasciava avvicinare mai da nessuno, era in compagnia di un’altra ragazza.
“Sono sicura che non è come sembra!” offrì Himawari con un sorriso forzato.
Perché, come sembra?, avrebbe voluto chiedere ma si sentiva la gola bloccata dalle lacrime. Dovette ricordare a se stessa che ai ninja era vietato piangere per non scoppiare a frignare.
Fece per andare verso la coppia, ma Himawari l’afferrò saldamente a un braccio. La fissò seriamente, scuotendo la testa.
“Sakura, non puoi andare lì” le disse.
“Perché no?”
Himawari rispose con un’alzata di spalle. “Che faresti?”
Si rese conto di non avere una risposta. Probabilmente la reazione più istintiva che aveva era andare lì e dividerli, ma poi? Che avrebbe fatto?
Guardò negli occhi nocciola dell’amica in cerca di consiglio. Voleva bene a Himawari, perché a Himawari non piaceva Sasuke e questo permetteva loro di essere amiche, a differenza che con Ino. Inoltre era bello avere una compagna di squadra, la faceva sentire meno sola.
“Non è giusto” sbottò tirando su con il naso. “Ci ha piantate in asso e adesso è lì a fare il cascamorto con altre ragazze”.
Himawari sorriso comprensiva, decidendo di non farle notare che Sasuke più che comportarsi da cascamorto sembrava a disagio come ogni volta che doveva avere a che fare con un altro essere umano. Optò invece per un’altra via.
“Sakura, tu vuoi tanto bene a Sasuke, vero?”
La ragazzina la guardò come se fosse ovvio.
“Be’, sì!”
“E proprio perché gli vuoi bene vuoi che sia felice, giusto?”
Annuì, questa volta perplessa.
“Quindi se Sasuke è felice va bene se sta anche con altre persone oltre a noi?” chiese evitando di proposito di parlare di ragazze.
Questa volta Sakura fu meno convinta. La guardò mogia.
“Perché non può essere felice con noi?” domandò.
Himawari fece spallucce, perché Sasuke era un tipo strano che davvero faceva fatica a capire. Era troppo silenzioso, stava sempre sulle sue e non si sbilanciava mai troppo. Era un bambino troppo serio, secondo lei. Andava bene avere delle ambizioni, anche lei sognava di diventare un ninja medico in grado di eguagliare la leggendaria Tsunade, ma Sasuke era troppo investito nel suo essere un ninja. A volte sembrava dimenticare che aveva solo dodici anni, preso com’era dal diventare sempre più forte.
Alla domanda di Sakura risolse con un diplomatico: “Sai com’è fatto”.
Lei non parve molto convinta, ma con un ultimo strattone Himawari riuscì a trascinarla via.
“Alloooora, andiamo a umiliare un altro po’ di civili?” propose nel tentativo di risollevarle il morale.
Ma Sakura rispose solo con una smorfia, ancora ferita da quello che aveva visto.
 
**

Konan si era strafogata sul ramen a una velocità impressionante. Ma Sasuke non aveva protestato, si vedeva lontano un miglio che la ragazza doveva essere davvero affamata e perciò aveva preso giusto due morsi di tagliatella. Non che gli dispiacesse, quel ramen aveva davvero un gusto pessimo.
Si limitò a fissare la ragazza ingozzarsi, un po’ a disagio per il silenzio interrotto solo dai rumori che faceva Konan con la bocca mentre tentava di infilarsi più tagliatella in bocca.
Non sapeva bene perché restasse lì. Certo, all’inizio era stato per un senso di colpa e dispiacere per la ragazza, ma adesso era anche curioso. C’era qualcosa in lei che lo colpiva, forse i suoi occhi vividi che gli ricordavano qualcosa, anche se non sapeva bene cosa. Era come se stuzzicassero i suoi ricordi, come se l’avesse già vista prima, ma era certo di non aver mai incontrato nessun’altra bambina con occhi così azzurri.
“Quindi, signor ninja, cosa ci fai qui?” chiese Konan distraendolo dalla contemplazione.
“Sono in missione” rispose con serietà.
“Davvero? Per questo ti annoiavi sul tetto?”
“Io non mi annoiavo sul tetto!” protestò. “Comunque in realtà la missione è già finita. Dovevamo solo scortare un tizio” brontolò.
Konan fece quel suo strano sorriso da volpe, che Sasuke scoprì trovare davvero irritante. Era giunto alla conclusione che il suo viso era la perfetta definizione di viso da schiaffi. Era strano che in così poco tempo la trovasse già così… argh. Solo un altro bambino era riuscito a farlo infastidire a quella velocità, ma... ormai quel bambino non c’era più.
Si corrucciò un po’ triste a quel pensiero, soprattutto perché si rese conto che probabilmente gli occhi azzurri di Konan gli stavano ricordando proprio quelli di Naruto. Di solito non pensava molto a quell’ex-compagno di Accademia, erano passati così tanti anni e avevano giocato insieme una volta sola, ma quella ragazza gli assomigliava così tanto che glielo aveva fatto tornare in mente.
“Allora che ne dici di una nuova missione, signor ninja?”
Sasuke sbuffò infastidito.
“Non puoi chiamarmi Sasuke e basta?”
Sorrise sorniona. “Nah, signor ninja è più bello. O preferisci teme?”
Corrucciò lo sguardo. “Fallo e io ti chiamerò dobe” minacciò.
“Va bene, signor Sasuke il ninja,” alzò gli occhi al cielo, “vuoi sentire la missione che voglio offrirti?”
La guardò estremamente scettico. Questa ragazza non aveva soldi nemmeno per procurarsi da mangiare, figurarsi permettersi una missione shinobi.
“Sentiamo” disse comunque curioso.
Allargò il sorriso e, prima che potesse rendersene conto, era in piedi davanti a lui e lo stava tirando per un braccio, ancora.
“Tenermi compagnia durante il festival!” esultò.
Sasuke provò a fare resistenza, contrariato e stizzito da quella che ormai capiva essere una presa in giro.
“Non puoi startene con la tua famiglia?” protestò.
Gli occhi cristallini si adombrarono per qualche secondo.
“La mia famiglia non è qui, sono venuta sola”.
Il tono lo incuriosì abbastanza da dimenticarsi di fare resistenza e con uno slancio Konan lo portò con sé.
“Che intendi?”
“Ah, vedi…” iniziò a voce bassa, con fare cospiratorio. “La missione che voglio darti tratta proprio di questo: io sono qui in incognito” rivelò toccandosi il naso con un dito.
Sasuke non era per nulla convinto. “Cioè?”
“Tobi-sensei non voleva venissi qui, e anche nii-san e tutti gli altri erano d’accordo, dicevano che era troppo rischioso” iniziò seriamente. “Ma io volevo vedere il festival! E i fuochi d’artificio! E tutto il cibo buono che c’è!” strillò nelle sue orecchie. “Quindi sono venuta qui di nascosto, senza farlo sapere a nessuno” concluse fieramente.
Sasuke la fissò, preso un po’ alla sprovvista da una storia del genere. Troppo rischioso? Si chiese come i presunti genitori di questa ragazza potessero considerare pericoloso uno stupido festival. È vero, non c’erano pattuglie shinobi, ma c’erano le guardie regolari del villaggio a tenere lontano i ladri e i disordini. Senza contare che la vicinanza a Konoha garantiva una protezione più che sufficiente.
A meno che non siano nukenin… In quel caso proprio la vicinanza con Konoha sarebbe stata un problema.
Sasuke si riteneva piuttosto bravo a riconoscere le persone cattive, Konan non sembrava una di quelle. Non era un nukenin, era solo… fastidiosa.
“Perciò,” riprese gesticolando nel suo monologo, “la tua missione sarà scortarmi e proteggermi durante il festival. Così tornerò a casa sana e salva e Tobi-sensei sarà tranquillo a sapere che è stato proprio un Uchiha a proteggermi”.
Suo malgrado, Sasuke provò una fitta di orgoglio a sentire quelle parole. Era orgoglioso di sapere che il suo clan aveva buona fama tra i civili fuori Konoha, che anche al di fuori del villaggio riconoscessero il loro valore. Sasuke era fiero di essere un Uchiha e non vedeva l’ora di risvegliare lo sharingan, come suo fratello e suo padre.
“Umpf, visto che mi hai offerto il pranzo non ti chiederò di pagarmi” offrì magnanimo.
Il viso della ragazza si aprì in un altro bellissimo sorriso e prima che potesse scappare si trovò stretto in una presa ferrea. Arrossì furiosamente.
“Mollami! Mollami! Altrimenti mi rimangio tutto” minacciò.
 
**
 
Sua madre diceva sempre che il suo problema era che non dava possibilità alle persone. Infatti lo rimproverava spesso di non provare a legare di più con le sue compagne di team. Più di una volta aveva anche provato a invitarle a casa loro ed era stato terribilmente imbarazzante.
Non è che a Sasuke non piacessero le persone, non era misantropo come scherzava sua madre. Era semplicemente abituato a stare da solo, visto che durante l’infanzia non aveva avuto amici. Come unico bambino di quell’età del clan Uchiha non era riuscito a legare con i cugini più grandi, che lo consideravano un marmocchio, o con quelli più piccoli che lo irritavano a morte; mentre i bambini civili lo ignoravano per qualche motivo che non capiva, oppure i bambini degli altri clan lo ammiravano solo da lontano. Aveva imparato a stare da solo e aveva scoperto che si trovava bene così, poteva allenarsi senza essere infastidito o rallentato.
Però.
Però forse sua madre aveva ragione e doveva cominciare a dare qualche possibilità alle persone, perché con Konan si stava decisamente divertendo. Non glielo avrebbe mai detto, ovviamente, perché ci teneva a mantenere la sua immagine di stoico shinobi. Però lei era davvero simpatica, al di là del carattere irritate, e perfino il festival sembrò meno noioso di quanto aveva profilato all’inizio.
Konan era entusiasta di qualsiasi cosa e il suo modo di fare energico e solare era inevitabilmente contagioso. Sasuke cercava di dirsi con superiorità che era solo divertito dal modo di fare infantile, ma la verità era che quella spontaneità lo stava sciogliendo. Non era come Himawari che si divertiva a contraddirlo per ogni cosa e prenderlo in giro per la sua serietà, o come Sakura che a volte si scervellava troppo per farsi piacere risultando quasi costruita.
In realtà era anche un po’ allarmato da quell’atteggiamento. Che vita faceva se uno stupido festival di provincia la entusiasmava così tanto? Rispetto agli stessi eventi di Konoha, quella fiera era molto povera e mal gestita, non era davvero nulla di speciale. Eppure davanti agli occhi della ragazza sembrava essere qualcosa di incredibile e nuovo.
Incuriosito da questo suo atteggiamento aveva tentato di fargli qualche domanda su di lei e la sua famiglia, ma in un modo o nell’altro riusciva a trovare sempre un modo per rispondere evasiva o addirittura svincolare la domanda. Al contrario, invece, fece a Sasuke moltissime domande insistenti.
“Hai già lo sharingan?”
Arrossì a quella domanda. “Lo avrò presto” borbottò.
Konan gli puntò il dito contro. “Quindi non lo hai!”
Sasuke si sentì come se avesse ingoiato un limone e con la faccia più indignata del suo repertorio si preparò a ribattere, ma ogni protesta gli rimase sulla lingua quando il viso della ragazza divenne incredibilmente serio.
“Be’ meglio così” disse quasi sollevata.
Fissò per qualche secondo quel sorriso rasserenato, come se le avesse dato una buona notizia, senza capire. L’intero suo clan stava facendo pressione perché sviluppasse lo sharingan, suo padre era preoccupato perché rispetto a Itachi ci stava mettendo più tempo e perfino Kakashi-sensei gli stava addosso nell’allenamento. Si aspettava delusione, scherno, non sollievo.
“Perché… perché dici che è meglio?” chiese così confuso che si dimenticò di essere offeso.
Konan gli lanciò un’occhiata ovvia.
“Non lo sai? Per sviluppare lo sharingan devi provare un forte dolore emotivo” disse con fare pratico, come se fosse un argomento di cui era abituata a discutere.
Sasuke la guardò a bocca aperta, frenandosi a stento da chiedere maggior delucidazioni. Il che era stupido: era lui l’Uchiha, era la sua arte oculare innata, cosa poteva saperne la sconosciuta?
“Tu come… come lo sai?” tentò di chiedere più sicuro di quanto non fosse.
L’espressione seria fu subito sostituita con quella sbarazzina e lo illuminò con un nuovo sorriso volpino.
“Se-gre-to!”
La guardò indispettito e provò a ribattere, ma la ragazza riuscì ancora una volta a parlargli sopra.
“Comunque non devi temere, sei un ninja, quindi prima o poi vedrai uno dei tuoi amici morire e allora… zap, sharingan!”
Strabuzzò gli occhi sconvolto, ancora con la bocca socchiusa per la protesta che era stato costretto a ingoiare.
“Che cosa… stai dicendo…”
Gli occhi azzurri lo guardavano come se gli stessero scavando l’anima.
“Perché fai quella faccia? Siete soldati e nelle guerre si muore, lo sai vero?”
“Non siamo in guerra” replicò confuso.
Ricevette una risata di scherno. “Non apertamente, è vero. Ma comunque prima o poi ti troverai davanti una missione in cui dovrai sacrificare un compagno per compierla”.
Più parlava più Sasuke inorridiva, soprattutto per via del tono ragionevole che stava usando. Sapeva che le missioni ninja erano pericolose, che più salivi di grado più avevi in mano questioni di vitale importanza, e andava bene, era quello che voleva.
Ma non aveva mai pensato che vincere significasse sacrificare un compagno.
Ripensò con un brivido alla prima lezione di Kakashi, la sfida delle campanelle.
Con un colpo alla spalla, la ragazza lo riportò in sé.
“È per questo che non ho voluto diventare un ninja” sorrise spensierata. “Tu, invece?”
“Cosa?”
Odiava seriamente questa ragazza, lo faceva sentire stupido e Sasuke non era stupido, era il migliore delle matricole genin!
“Perché sei diventato un ninja?” ripeté.
Si accorse di non saper rispondere, a meno che perché sì non fosse sufficiente. Ma si rendeva conto da solo di quanto stupido e infantile sarebbe stato. Onestamente non si era mai posto il problema di diventarlo o meno, era qualcosa già deciso dalla nascita. Era il figlio del capo clan degli Uchiha, che altro doveva diventare? Di certo non un semplice civile, perfino sua madre era una kunoichi. Tutti quelli che conosceva lo erano, tranne i vecchi e i bambini.
Era sicuro che questa spiegazione non sarebbe piaciuta a Konan, probabilmente l’avrebbe schernito, quindi scrollò le spalle e alzò il mento, cercando di darsi più sicurezza possibile.
“Perché voglio diventare Hokage”.
Il cuore gli batteva fortissimo. Erano poche le persone che conoscevano il suo sogno, si contavano giusto sulle dita di una mano. Forse perché quando a nove anni lo aveva detto a suo padre non era stato preso seriamente, ma con un brontolio. Certo, è vero che allora lo disse solo per esasperazione, perché nessuno badava mai a lui.
C’era stato quel periodo nei suoi otto anni dove Itachi, Fugaku e perfino sua madre erano sempre in udienza dall’Hokage. Stanco di essere lasciato solo, Sasuke si era chiesto se dovesse diventare anche lui Hokage per avere un po’ di considerazione dalla sua famiglia.  Crescendo quel sogno era maturato con lui, ma non l’aveva mai abbandonato.
Konan spalancò gli occhi, facendo per la prima volta un’espressione sorpresa.
“Tu?” domandò stupita.
Sasuke si chiese se tra le tante cose che sapeva, c’era anche la tensione esistente tra il Clan Uchiha e il Consiglio di Konoha. Non era cieco o stupido, sapeva bene che nemmeno i civili non si fidavano della sua famiglia – per un motivo che davvero non sapeva – e del resto se voleva diventare Hokage era anche per dimostrare che agli Uchiha importava di Konoha. Nessuno si aspettava un Uchiha Hokage, ma lui lo sarebbe diventato, alla faccia di tutti.
Perciò rizzò ancor più la schiena e disse: “Sì, io” pieno di sfida.
Konan continuò a guardarlo come in attesa di uno scherzo, poi scrollò le spalle e distolse lo sguardo, improvvisamente abbattuta.
“Che c’è?” sbottò piccato.
“È che… mi dispiace. Mi sei simpatico, ma tutti gli Hokage muoiono presto”.
“Non è vero!” protestò. “Il nostro onorevole Sandaime…”
“Oh, ma perché lui è uno stupido” lo interruppe tranquillamente Konan. “È un codardo incapace di qualsiasi cosa, che ha trascinato il suo popolo in due guerre, non ha nessun interesse per…”
Sasuke non era disposto ad ascoltare altro. Konan aveva passato il segno: insultare l’Hokage significava insultare Konoha ed era una cosa che non poteva tollerare.
Prima che se ne rendesse conto, aveva già sguainato un kunai.
 
Himawari non era mai stata così felice come in tutta la sua vita di aver ceduto al broncio di Sakura e aver iniziato a seguire come due psicopatiche Sasuke e la sua nuova amica. Doveva anche ringraziare i riflessi pronti di Sakura, che era intervenuta strillando “Sasuke-kun!” prima che quell’idiota del loro compagno di squadra accoltellasse una civile indifesa.
L’urlo distintivo di Sakura lo aveva riscosso dal suo istinto omicida e aveva dato la possibilità alla povera civile di fare un passo indietro.
Himawari corse dietro a Sakura, raggiungendo il contrariato amico. Entrambe si fissarono sul volto un sorriso amichevole.
“Oh, che sorpresa” disse, fingendo che fossero davvero capitate lì per caso e non li avessero inseguiti per tutto il festival. “Sasuke! Ti sei trovato la ragazza?”
Se da un lato la sua domanda ebbe l’effetto nefasto di far tornare il broncio triste a Sakura, dall’altro fecero scattare Sasuke come se lo avessero punto e si allontanò anche lui dalla ragazza bionda.
“No! No!” protestò come se avesse insultato il suo clan. “Non questa pazzoide! Che schifo!”
“Ehi!” si offese la suddetta pazzoide.
Sakura le rivolse un sorriso, rasserenata dal fatto che Sasuke la considerasse nello stesso modo in cui considerava tutti gli altri. Meglio predisposta verso la sconosciuta, fece un passo avanti e accennò un piccolo inchino.
“Siamo Haruno Sakura e Sarutobi Himawari, le compagne di squadra di Sasuke-kun. Tu?”
Contraddicendo l’impressione che avevano avuto della ragazza fino a quel momento, lei fece un altro passetto indietro fissando Sakura con diffidenza e qualcosa che non riusciva a decifrare.
“Konan” borbottò a bassa voce, improvvisamente timida.
A quel suo comportamento vide Sasuke inarcare un sopracciglio, anche lui doveva aver notato l’improvviso cambio di personalità. Ora non sembrava più espansiva e socievole, al contrario era in una posa rigida, gli occhi che si muovevano nervosi come se si aspettasse un pericolo imminente.
Sasuke pensò che fosse per via dell’arma, del resto l’aveva quasi aggredita, e si vergognò della sua reazione esagerata. Anche se aveva insultato il suo Hokage era comunque una civile innocua e disarmata, il suo dovere era proteggerla, non ferirla, indipendentemente da quanto fosse fastidiosa e maleducata.
Intascò l’arma senza scusarsi, non era comunque qualcosa che poteva fare.
Sakura provò a ignorare la reazione diffidente dell’altra ragazza e chiese:
“Sei di questo villaggio? Il vostro festival è davvero carino!”
Konan si ritrasse con la testa dentro il colletto della giacca, come una tartaruga.
“No, non sono di qui” disse secca.
Himawari si accorse che gli occhi azzurri fissavano con diffidenza soprattutto i loro hitai-ate, guardando con rancore il simbolo della foglia. Si scambiò uno sguardo con Sasuke per capire se anche lui se n’era accorto. Quel comportamento era molto strano.
“Oh e di dove sei?” chiese Sakura.
Anche lei doveva essersi accorta del comportamento sospetto, perché la sua voce aveva preso quell’intonazione che aveva solo quando si sforzava di mantenersi vivace.
Konan non rispose. A dir la verità, sembrava pronta a scappare via in un baleno. Ma non riuscì a fare più un passo, perché sbatté di spalle contro qualcuno e cadde a terra.
“Oh, che carini. State facendo amicizia”.
I tre genin alzarono lo sguardo, sorpresi dell’improvvisa comparsa di Kakashi. Il sensei era stato così silenzioso da passare totalmente inosservato, come un vero ninja. Aveva il viso come al solito infilato nelle pagine di quel romanzo porno che aveva sempre con sé, non aveva nemmeno lanciato un’occhiata alla ragazza contro la quale si era scontrato. 
Finché dalla stessa non uscì un gemito strozzato di puro terrore.
Kakashi smise di badare il proprio libro, spostò pigramente lo sguardo sulla figura bionda caduta a terra.
Successe tutto molto velocemente.
L’occhio grigio e poco interessato si sgranò non appena si posò sul viso di Konan.
“Ma questo…” soffiò Kakashi senza rendersene conto, il libro finì velocissimo dentro una delle tasche del giubbotto.
Scattò contro Konan, ma la ragazza riuscì a riprendersi dalla paralisi in cui era caduta quando il ninja adulto si era presentato. Facendo leva sui piedi si alzò per scattare, Sasuke riuscì a sentire l’aria riempirsi esageratamente di chakra, come se la ragazza lo stesse per usare.
Shinshun?, indovinò mettendosi in posizione di attacco.
Ma lui aveva appena fatto in tempo a posizionarsi, che il suo sensei aveva già raggiunto la ragazza. Konan perse la concentrazione per scattare, si spostò di lato con un balzo per evitare l’adulto. Non funzionò: Kakashi riuscì a toccare la sua fronte con un dito nudo.
Kai!” gridò l’insegnante.
Il secondo successivo Konan, ancora nel mezzo del balzo fallito, rotolò via avvolta in una nuvola di fumo bianco.
Quando tornò visibile era di nuovo accucciata a terra, ma era diversa.
Non era più una ragazza.
Era un bambino, un bambino con spettinati capelli biondi, occhi azzurri pieni di aggressività e cicatrici simili a baffi sulle guance.
Sasuke sentì il suo cuore schizzare in gola.
 “Naruto…” sussurrò.
 
 
 
Buongiorno!
Come state? Avete passato un buon ferragosto? O come me siete già bloccati nella sessione di settembre? *lacrime*
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, anche se scommetto che la sorpresa finale non è stata una vera sorpresa xD eh già, fin dall’inizio era il nostro Naruto sotto la sua classica trasformazione da ragazza :D Solo Kakashi si è accorto che era in coso una henge no jutsu.
Vi ringrazio per le recensioni lasciate, sono felice che la storia abbia avuto questo bel benvenuto. Hanno chiesto ogni quanto sarà aggiornata: in alternanza con la time travel, quindi direi ogni due settimane, forse a volte anche ogni dieci giorni. Vedremo come prosegue la vita vera!
Non mancate di farmi sapere che ne pensate :D
Hatta.
 

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Capitolo 3
*** Il bambino scomparso ***


Cap II
Il bambino scomparso
 
 
Naruto parò le mani avanti per rallentare la caduta di faccia, rotolò sull’erba ma non riuscì a rialzarsi, troppo stanco per muovere anche solo un muscolo.
“Hai già mollato?” lo derise una fastidiosa voce sopra la sua testa.
Con un ringhio riaprì gli occhi e scattò di nuovo in piedi, ma il gesto brusco gli provocò un giramento di testa e la sua vista si sfocò qualche secondo. Digrignò la mascella, deciso a non cadere.
“No, mai!” garantì con un bagliore nelle iridi blu.
Shisui allargò solo il sorriso al suo sguardo risoluto.
“Oh, ecco, volevo dire”.
Naruto era tutto malconcio, con i capelli più spettinati del solito, il sudore a insudiciargli il corpo insieme al terriccio. I suoi vestiti sembravano aver attraversato l’inferno, quando più banalmente si stava solo allenando con Shisui.
Deciso a fargliela pagare per tutte le volte che lo aveva messo con il culo a terra, iniziò a richiamare il proprio chakra per concentrarlo sui muscoli delle gambe.
Non fece nemmeno in tempo a provare lo shunshin che vide un paio di shuriken venire lanciati alla sua testa. Con un verso stridulo si spostò, perdendo l’equilibrio e la concentrazione sul suo chakra. Si ritrovò a terra, di nuovo.
“Lo stai facendo ancora” lo rimproverò Shisui lamentoso, come se fosse lui quello frustrato dai fallimenti. “Non devi prendere così tanto chakra! Oltre a metterci un’infinità di tempo, e vedi come un nemico ne approfitta, lo sprechi e rischi di finire seccato per esaurimento. No Naruto, non devi fare affidamento sulla tua quantità mostruosa di chakra!”
Naruto si imbronciò, chiudendo la bocca e mordendo la protesta.
“Senza contare che così rischi di svegliare il tuo inquilino”.
A quella prospettiva rabbrividì. Al momento erano solo lui e Shisui nel rifugio e lo sharingan dell’altro non riusciva a tenerlo a bada, se fosse scoppiato la vicina Konoha si sarebbe resa conto della loro intrusione nel Paese del Fuoco.
“Quindi,” riprese Shisui con un sorriso malizioso, “che devo fare? Dico a Kisame di portarti ancora sull’oceano?”
Lo guardò inorridito a quella minaccia. Ricordava ancora troppo bene il terrore che aveva provato quando l’uomo pesce, dopo averlo portato al largo della costa su una barchetta minuscola, lo aveva gettato in acqua con solo una spiegazione basa su come dovesse fare per camminarci sopra.
Concentra il chakra sulla pianta dei piedi. Impara se non vuoi affogare” aveva detto lo stronzo.
“Riproviamo?” lo spronò Shisui porgendogli una mano.
Indossava dei guanti con le nocche rinforzate che lasciava scoperte le dita. Non aveva la cappa nera con le nuvole rosse, era una giornata davvero calda nel Paese del Fuoco e per questo entrambi avevano optato per una maglia a rete a mezzemaniche e pantaloni standard. L’aspetto di Shisui era perfettamente rinfrescato a differenza di Naruto. I suoi capelli ricci non erano arruffati o crespi dal sudore, ricadevano sulla fronte in morbide ciocche lucenti, che facevano risaltare l’incarnato pallido e liscio, per nulla arrossato dalla fatica. A Naruto dava fastidio notare quanto fosse grande il divario di forza tra di loro. Anche se si allenava da quando era stato salvato da Konoha, non riusciva a raggiungere nessuno dei suoi compagni.
Era frustrante.
Accettò la mano con uno sguardo contrariato e lasciò che lo aiutasse a tirarsi in piedi. La brezza primaverile gli accarezzò il voltò, asciugando in parte il sudore. Si prese un attimo di pausa, gli occhi puntati verso un lato della radura. Da oltre il bosco venivano gli echi di sensazioni e chakra caldi di civili felici. Non erano poi così lontani da un villaggio, ma il fatto che non avesse nemmeno ninja di guardia rendeva comunque il rifugio sicuro.
“Domani c’è il festivale” mormorò. “Possiamo andare?”
“Hai sentito il sensei, ha detto no”.
“Per favore… non succederà niente!” provò a convincerlo.
“Non è questo”. Incrociò le braccia al petto. “Ma se ti perdo di vista, prima Tobi comincerà a colpirmi e piangermi addosso, poi Madara mi farà a pezzi e infine Obito permetterà a Hidan di sacrificarmi a Jashin. No, grazie”.
“Se non lo verrà a sapere…”
“Lo verrà a sapere”.
Naruto si imbronciò, le braccia incrociate al petto e la testa incassata fra le spalle. Era adorabile, ma ormai Shisui aveva fatto il callo a resistere ai suoi occhioni supplicanti.
“Non possiamo uscire dal perimetro sicuro del rifugio” gli ricordò un po’ amareggiato. “Se lo lasciamo, si accorgeranno della nostra presenza e verranno a catturarci. Non vuoi tornare a Konoha, vero?”
Il broncio sparì a favore di un’espressione agghiacciata.
“No, mai, dattebayo!” garantì.
Annuì. “Per questo dobbiamo restare buoni qui. E poi domani sera dobbiamo levare le tende, non abbiamo tempo”.
Nonostante avesse parlato con tono risoluto, Shisui si sentì comunque un po’ in colpa davanti all’espressione sconsolata del bambino. Aveva solo dodici anni ed era costretto alla vita di un nukenin. Nonostante il netto miglioramento rispetto a Konoha, i suoi unici amici erano tutti shinobi pericolosi di classe S, non aveva nessuno della sua età con cui fare semplici cose da bambini. I più giovani erano lui, Shisui, e Deidara, ma Deidara si divertiva facendo esplodere le persone, non era un passatempo sano per un bambino in crescita. Già per colpa di Kakuzo stava diventano un po’ troppo attaccato ai soldi, era meglio che non finisse influenzato anche da persone come Hidan o Deidara.
Gli diede un colpetto sulla nuca.
“Dai, riprendiamo. Vedrai che entro il tramonto saprai padroneggiare lo shunshin”.
“Ovviamente, dattebayo!”
 
**
 
“Dattebayo!”
Sasuke non riusciva a staccare gli occhi dal bambino straccione caduto a terra, il suo sguardo era sgranato nel cogliere ogni particolare di quel viso che si era rassegnato a non vedere mai più.
Ma eccolo lì, davanti a lui, cresciuto, vivo. E usava ancora quella stupida e fastidiosa esclamazione, come aveva fatto a non riconoscerlo subito?
Sentì al suo fianco Sakura tirare un sospiro di pura sorpresa, incredula quanto lui. Anche lei aveva avuto a che fare con Naruto prima che sparisse, anche lei doveva averlo riconosciuto. Solo Himawari non sembrava particolarmente colpita, ma non erano stati in classe insieme all’Accademia quindi non era poi così strano. Era solo sorpresa dalla scoperta dell’henge.
Nessuno dei tre genin sapeva cosa fare, perciò rimasero in posizione in attesa delle istruzioni del sensei. Del resto per loro era come trovarsi davanti un morto, non erano preparati a questo e nemmeno Kakashi lo era, onestamente. Tutto aveva potuto aspettarsi da quella bazzecola di missione, tranne la comparsa del figlio del suo sensei che credeva morto da ormai quattro anni.
“Naruto…” disse piano, un tono conciliante.
Fece un passo circospetto in avanti, lento come se si stesse approcciando a un animale selvatico e fu proprio questo il modo in cui reagì il bambino perduto.
Dalle sue labbra uscì un soffio rauco, simile all’avvertimento minaccioso di un gatto, e arretrò strisciando sul pavimento. Kakashi si era accorto che aveva ricominciato a chiamare il chakra attorno a sé, ma si era anche reso conto che era lento nel farlo. Aveva del tempo per provare ad addomesticarlo.
“Naruto” riprovò ignorando l’avvertimento. Alzò una mano verso i suoi genin, intimandogli di restare fermi. “Sai chi siamo?”
Non aveva molte illusioni. Era più probabile che avesse riconosciuto Sakura e Sasuke, visto che erano nella stessa classe all’Accademia; lui era sempre stato solo un’ombra nella sua vita, una guardia ANBU con l’ordine di non avvicinarsi mai a lui.
Ma poteva ancora riconoscere il simbolo di Konoha.
Fu proprio quello che Naruto guardò, alzando gli occhi sul coprifronte. Ma non lo guardò con riconoscimento, ci fu un’improvvisa rabbia che incendiò tutta la sua espressione e la sua postura, da semplice spaventata e in difensiva, si fece anche aggressiva.
Spazzatura” rispose con disprezzo.
Poi sparì in uno scatto, il suo shunshin ultimato. Ma Kakashi riuscì a stargli addosso e nello stesso istante sparì anche lui, inseguendolo.
Sasuke guardò lo spiazzo vuoto con la sensazione che il tempo riprendesse a scorrere solo in quel momento.
“Che cosa facciamo?” Sakura spezzò il silenzio per prima, piena di nervosismo.
“A-aspettiamo qui?” propose Himawari in un tono interrogativo, era ancora molto confusa da quello che era successo. “Sensei può gestirlo da solo senza noi fra i piedi”.
Sasuke non era affatto d’accordo con quella scelta.
“Io li seguo” dichiarò.
Non era un sensore, non poteva percepire la direzione verso cui si erano diretti, ma poteva provare a indovinarla. In fondo non veniva chiamato genio per caso.
Se Naruto voleva nascondersi doveva uscire dal villaggio prima che la sua presenza venisse segnalata; l’intero villaggio era circondato da campi di riso, fatta eccezione per il lato ovest dove la grande foresta del Paese del Fuoco quasi arrivava alle porte del villaggio, lì sarebbe stato più facile per lui mimetizzarsi che in campo aperto.
“Sasuke hai visto sensei, ci ha fatto segno di non introme…”
Non lasciò nemmeno che Himawari finisse, saltò sul primo tetto a portata e da lì si diresse in direzione degli alberi verdi che vedeva. Percepì dietro di sé Sakura raggiungerlo e sorrise, ovviamente Sakura lo avrebbe sempre seguito, era l’unica cosa buona di quella cotta che aveva nei suoi confronti; poco dopo sentì anche i salti di Himawari.
Raggiunsero la foresta, rallentando il ritmo dei salti per via dei rami che davano un percorso irregolare.
“Eccoli!” chiamò Sakura.
Sasuke seguì in basso la direzione che indicava e li vide anche lui. Erano entrambi nel sottobosco, Kakashi aveva bloccato Naruto e ora stava tentando di tenerlo buono, ma quello scalciava e si dimenava come un ossesso per scappare.
“Lasciami! Lasciami!”
“Calmati, Naruto, non ti farò del male…”
“No, lasciami. Ti odio, lasciami andare”.
“Devo riportarti a Konoha, a casa…”
“Non è la mia casa!” ruggì con foga. “Lasciami, ammazza-amici!”
Naruto diede un colpo allo stomaco di Kakashi con il piede, ma Sasuke poteva giurare che non fosse così forte, probabilmente era il modo in cui lo aveva chiamato a destabilizzare abbastanza Kakashi perché il bambino sgusciasse via dalla sua presa. Ma non fece molta strada, perché i tre genin atterrarono dai rami sbarrandogli la via di fuga.
Per un momento Sasuke si sentì in colpa davanti allo sguardo pieno di tradimento che Naruto gli rivolse, ma si ricordò che era lui quello a essere stato ingannato con una henge. Era lui quello che doveva sentirsi tradito, non il contrario.
Naruto provò ad aggirarli, ma ormai Kakashi si era rialzato ed era di nuovo su di lui. Lo bloccò prendendogli le braccia dietro la schiena, resistendo allo scalciare e gridare del bambino.
“Non siamo i tuoi nemici, Naruto” disse affaticato dal tentativo di trattenerlo senza ferirlo. “Non so cosa ti abbia detto Shisui, ma…”
“Se non mi lasci andare faccio uscire la volpe!” lo interruppe Naruto con tutto il fiato che aveva nei polmoni, gli occhi piccoli dal terrore.
Sasuke non capì che cosa intendesse con quella minaccia, ma doveva essere qualcosa di pericoloso perché Kakashi si irrigidì e si fece più guardingo.
“Non lo farai” disse risoluto.
“Sfidami, dattebayo!”
Ma se anche Kakashi volesse farlo, non ne ebbe tempo. Sasuke vide troppo tardi il gruppo di affilati shuriken che furono lanciati alla testa del suo sensei, che fortunatamente ebbe più velocità di riflessi e riuscì a evitare. Per farlo però lasciò andare Naruto, che ne approfittò per rotolare via.
Alzarono subito la testa verso la direzione da cui erano venuti gli shuriken, un giovane uomo era accucciata in equilibrio su un ramo. Per la seconda volta in una manciata di minuti, Sasuke si ritrovò con la bocca socchiusa e lo sguardo sgranato dalla sorpresa.
“Che bel ritrovo” commentò Shisui, un sorriso ironico. “Ciao, senpai. Ciao cuginetto”.
 
 
**
 
La pergamena era decisamente ingombrante, le dimensioni erano davvero notevoli anche per essere rotolo. Ma del resto lì dentro erano contenute molte tecniche proibite di Konoha, non poteva di certo aspettarsi un rotolo di pochi centimetri. La scansione dello sharingan confermò a Shisui che si trattava di quello autentico e non di una copia.
“Perfetto” considerò e tirò fuori un rotolo molto più piccolo, una semplice pergamena di tenuta, dove sigillò al suo interno il Rotolo Proibito per trasportarlo più facilmente. Rialzò quindi lo sguardo su Mizuki.
Se non ricordava male, erano stati insieme all’Accademia, anche se in classe diverse. Nei suoi ricordi era un ragazzino rancoroso nei confronti di Konoha e del Sandaime, perciò quando aveva dovuto pensare a qualcuno che si infiltrasse era il primo che gli era venuto in mente. Fortunatamente, da adulto Mizuki si era dimostrato molto volenteroso di tradire Konoha per un mucchio di soldi.
Prese quindi la borsa con suddetto mucchio di soldi, la stessa che Kakazu gli aveva consegnato quasi piangendo all’idea di tutti quei risparmi che sparivano dalle casse dell’Akatsuki.
“È tutto qui, quanto pattuito” disse.
Mizuki l’aprì per assicurarsene e sorrise viscido alla vista delle banconote.
“Sei sicuro che nessuno ti abbia beccato?” insistette Shisui nervoso.
Erano riusciti a restare invisibili ai radar di Konoha per quattro anni, non aveva nessuna intenzione di interrompere questa striscia felice.
“Sicurissimo” garantì Mizuki. “Quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi”.
Shisui sperava fosse così, ma in ogni caso anche se Mizuki fosse stato catturato gli aveva imposto un genjutsu al loro primo incontro. Nemmeno il ninja di Konoha sapeva chi avesse davvero dato la commissione, il genjutsu gli faceva credere che Shisui fosse uno shinobi di Iwa.
Con un cenno veloce del capo lo salutò quindi, deciso a non restare il più del necessario nei confini del Paese del Fuoco. Si teletrasportò il più velocemente nel loro covo e sperò che Naruto fosse già pronto per partire.
“Naruto? Sono tornato, sei pronto?” chiamò non vedendolo nella stanza principale, la stessa che avevano usato anche per dormire.
Non ottenne risposta e questo cominciò a preoccuparlo, ma decise che era troppo presto per trarre conclusioni affrettate, Naruto poteva essersi appisolato da qualsiasi altra parte. Fece quindi un rapido giro dell’intero covo, che lo riportò alla stanza iniziale senza aver trovato nulla.
Cazzo.
Naruto non c’era. Obito lo avrebbe ucciso.
 
**
 
In una scala da uno e dieci, la situazione era molto pericolosa.
Shisui lanciò per prima cosa un’occhiata al marmocchio, lo stesso che aveva avuto l’ardore di scappare da sotto il suo naso per andare al festival che gli era stato chiaramente proibito. Almeno sembrava stare bene, non vedeva ferite, era solo sporco di terriccio e foglie. Tornò quindi a guardare Kakashi e maledì la sua terribile fortuna. Non era preoccupato per i tre genin, anche se tra loro c’era Sasuke erano comunque bambini, ma Kakashi era pericoloso. Non sapeva se era in grado di tenergli testa, forse in uno scontro di logoramento visto che aveva sicuramente più chakra dell’Hatake, ma non sapeva se poteva resistere così a lungo. Era già faticato dall’uso prolungato del suo Mangekyo in quei ultimi giorni, non sapeva quanto avesse potuto fare affidamento sullo sharingan. Sicuramente Kakashi conosceva le sue tecniche e sapeva di Amatsukami, infatti non lo aveva più guardato negli occhi appena lo aveva riconosciuto.
Non devo per forza combatterlo, si disse, devo solo prendere Naruto e squagliarmela, questo posso ancora farlo.
Nessuno lo uguagliava nella velocità, sicuramente nessuno dei presenti. Con un continuo uso dello shunshin si sarebbero allontanati abbastanza  da far perdere le loro tracce, per poter poi raggiungere il rifugio nel Paese dell’Erba.
Era comunque una seccatura. Erano riusciti a restare fuori dal radar di Konoha per quattro anni, ricomparire avrebbe solo ricordato loro che c’era un nukenin Uchiha da catturare il prima possibile. Per non parlare che ora sapevano che il loro prezioso Junchūriki era ancora vivo e avrebbero fatto di tutto per riaverlo.
“Shisui, che piacere rivederti” disse Kakashi, rispondendo al suo iniziale saluto.
Anche lui sta osservando il cambio di situazione e meditava sui suoi possibili svantaggi e vantaggi. Sicuramente non si aspettava l’intervento di un criminale del calibro di Shisui. Stava osservando specialmente la sua cappa nera con le nuvole rosse.
“Il piacere è solo tuo” garantì il nukenin con un sorriso odioso.
Si teletrasportò veloce davanti a Naruto, una spada corta sguainata. Anche se lì era in una posizione più facilmente attaccabile, almeno poteva difendere il bambino e impedire lo prendesse in ostaggio.
“Ora, se non ti dispiace, noi dobbiamo andare” disse mantenendo il finto tono cordiale.
“In realtà, mi dispiace” disse Kakashi mettendosi in posizione di attacco, tirò a sua volta fuori dei kunai.
Sasuke cercò di ricomporsi dallo stupore per prepararsi anche lui all’azione, deciso a rendersi utile. Ma non appena tirò fuori le sue armi, Kakashi abbaiò:
“Voi tre statene fuori”.
“Sì, esatto, lasciate fare agli adulti” lo seguì Shisui, che non moriva di certo dalla voglia di ferire il cuginetto. “Andate a giocare da qualche parte”.
Sasuke arrossì di colpo per quell’offesa, odiava essere sminuito e non era più un bambino! Era un ninja, era addestrato a combattere ed era lì per quello, come si permettevano?
Kakashi fu il primo a scattare, lanciò uno dei kunai alla faccia di Shisui, il quale riuscì a deviarne facilmente la traiettoria con la lama del suo tantō. L’azione lo distrasse abbastanza da non permettergli di reagire in tempo all’attacco diretto di Kakashi, si trovò l’uomo venirgli incontro con un altro kunai. Nonostante dovesse pensare anche a difendere Naruto, riuscì a deviare anche il lancio del secondo Kunai e parò il pugno di Kakashi. Prima che potesse contrattaccare, Shisui danzò velocemente in una figura di scherma e tagliò con la lama il petto di Kakashi.
Sasuke sgranò gli occhi e Sakura lanciò un grido di paura, mentre Himawari sussultò.
Ma dalla ferita non uscì sangue. Il corpo stesso di Kakashi sparì in una nuvola di fumo e al suo posto si presentò un ceppo d’albero.
Shisui sorrise esasperato. “Kawarimi” indovinò.
Si guardò attorno, lo sharingan attivo per scorgere il minimo movimento e anticiparlo. Da destra, sinistra, avanti e indietro non veniva nulla. Lanciò uno sguardo sopra tra gli alberi, ma anche lì non si vedeva nessuna traccia di Kakashi. Fu con un secondo di ritardo che si ricordò di guardare in basso, ma appena lo fece la terra si crepò ed emerse una mano che lo bloccò, impedendogli di saltare.
“Merda” imprecò e non trovando una soluzione migliore pensò di dirigere a tuta forza il suo tantō verso la terra.
Era una mossa poco precisa, Kakashi riuscì a stabilizzarlo prima che emergesse totalmente dalla terra e la lama non arrivò mai alla sua testa. Il Jōnin di Konoha lo lanciò lontano, facendogli perdere l’equilibrio.
Ora era davanti a Naruto, a incombere su di lui con lo sharingan visibile.
“Naruto, vieni con me” disse affrettato, ignorando il modo in cui il ragazzino tremava di paura.
Provò ad afferrarlo, ma con la visione periferica Kakashi vide Shisui scagliargli una serie di piccole palle infuocate. Per evitarle dovette saltare lontano, liberando la strada verso Naruto e Shisui fu in un baleno, veloce come si raccontava, a proteggerlo con il suo corpo.
“Prova a toccarlo ancora” iniziò lento, “e io ti strapperò quell’occhio che hai rubato”. Sorrise. “Chissà, magari potrebbe starmi meglio”.
 
Sasuke doveva intervenire. Non gli importava cosa aveva detto il sensei e le rimostranze delle sua compagne di squadra, Kakashi aveva bisogno del loro aiuto. Era ovvio che non potesse combattere Shisui e prendere Naruto, doveva concentrarsi su una cosa sola mentre gli altri facevano il resto.
Guardò Sakura e Himawari. Loro due sembravano troppo bloccate e spaventate per agire, avrebbe dovuto pensarci lui.
Attese paziente il momento, i muscoli tesi e nervosi per la tensione del momento. Doveva solo aspettare il momento giusto, uno in cui Kakashi avrebbe catturato tutta l’attenzione di Shisui, magari riuscendolo a portare abbastanza lontano. Gli bastava che lasciasse incustodito Naruto solo per tre secondi.
Nel frattempo iniziò ad avvicinarsi lentamente, scivolando alle loro spalle. Appena avrebbe preso Naruto sarebbe dovuto scappare e visto come si era comportato con Kakashi, il loro obiettivo non sembrava disposto a collaborare, doveva bloccarlo in qualche modo. Tirò fuori il suo filo ninja per legargli almeno le mani.
Finalmente il suo momento arrivò. Per evitare un jutsu di terra Shisui era dovuto scattare in alto su un ramo, ma allo stesso tempo Kakashi aveva dovuto imitarlo per via di una palla di fuoco dell’Uchiha. Ora Naruto era il solo a terra, aveva la via libera.
Kakashi non aveva ancora insegnato loro il shunshin, ma Sasuke era veloce. Arrivò su Naruto prima che sia Shisui che Kakashi potessero rendersene conto. Il ragazzino biondo non riuscì a reagire in tempo, Sasuke lo atterrò grazie al suo taijutsu e tentò subito di legarlo.
“Lasciami, cosa stai facendo?!” strillò Naruto.
Aveva inevitabilmente attirato l’attenzione di Shisui, Kakashi lo stava tenendo occupato ma doveva muoversi. Il suo record di nodi era il migliore della classe, ma la questione diventava un pelo più difficile se chi dovevi legare si dimenava tutto il tempo.
Lo sguardo tradito negli occhi blu faceva male.
“Dobbiamo riportarti a casa, a Konoha…”
“Konoha non è la mia casa!” ripeté con una ferocia che fece sussultare Sasuke. “Nessuno mi ha mai voluto, nessuno di voi…”
“Ci sono i tuoi amici”.
L’urlo con cui rispose fu addirittura più furioso. “Non ho mai avuto amici!”
Voleva ribattere, ma Naruto aveva ragione; nessun bambino della loro classe si era mai avvicinato a lui, mai. Lo indicavano solo per deriderlo, rubargli i quaderni e incolparlo di qualsiasi cosa.
“Io sono tuo amico” bisbigliò mentre riusciva finalmente a bloccare le mani dietro la schiena.
Per un momento, Naruto smise di combatterlo e si limitò a guardarlo. Ma non con riconoscimento, ma come un animale diffidente e ferito.
“Bugiardo” ringhiò.
Sasuke non riuscì a ribattere, sentendo che aveva terribilmente ragione. Era stato il suo più grande rimpianto, scoprire che quel bambino che lo aveva tanto incuriosito era scomparso, soprattutto poco dopo quello che gli aveva fatto… si sforzò di non pensarci, caricandoselo sulle spalle. Aveva ovviamente ricominciato a dimenarsi perciò provò a scambiare uno sguardo con Sakura e Himawari perché lo aiutassero. Dovevano allontanarsi da lì prima che Shisui riuscisse a superare Kakashi.
Raggiunse le sue compagne e con loro iniziò a correre nel sottobosco, confidando che loro due gli avrebbero guardato le spalle visto che era bloccato a trattenere Naruto.
Riuscirono a fare solo pochi passi. Sasuke nemmeno lo vide arrivare, Sakura tentò di intromettersi, ma nessuno di loro tre aveva la preparazione necessaria per affrontare Uchiha Shisui.
Sasuke non capì nemmeno quello che successe.
Seppe solo che Himawari e Sakura erano sotto le braccia di Kakashi, lanciatosi a salvarle da un’altra palla di fuoco che aveva incendiato un albero. Lui invece si trovò stordito a terra, senza più Naruto intrappolato, con una fitta di dolore incredibile alla testa e aveva del sangue a coprirgli un occhio, stava sanguinando copiosamente.
Shisui si appollaiò su un ramo in alto, liberando Naruto dal filo in cui lo aveva intrappolato. Tornò subito vigile sulla situazione, ma Kakashi non sembrava più pronto a intervenire, in quel momento sembrava più interessato a proteggere Sakura e Himawari e guardava Sasuke come se volesse raggiungere anche lui.
Si alzò traballante in piedi, sentendo una brutta sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Si pulì il viso dal sangue e incrociò lo sguardo con Shisui, per un secondo gli parve lo stesso guardando con rimorso.
“Direi che possiamo anche salutarci” disse.
Kakashi non sembrava d’accordo, ma rimase a terra a fissarlo con frustrazione.
“Perché?” sbottò. “Tu eri uno dei più fedeli, perché stai tradendo Konoha?”
Un’ombra strana passò nell’occhio rubino del cugino, la sua espressione si fece meditabonda e piena di risentimento. Sembrò pronto a partire, ma poi cambiò idea.
“Sasuke” chiamò e lui sussultò suo malgrado. “Dovresti chiedere a tuo padre se ha ancora quell’ambizione”.  Si voltò verso Kakashi. “E tu… domanda a quel vecchio Hokage se userà quell’ultima soluzione”.
C’era disprezzo e rabbia nel suo tono, come se stesse sfogando un rancore millenario, ma Sasuke non capì che cosa intendesse, quelle parole lo lasciarono solamente confuso. Non riuscì a dire niente e anche Kakashi rimase in silenzio, le sopracciglia aggrottate davanti a quelle parole che sembravano nascondere segreti pericolosi. Lo guardarono mentre faceva arrampicare Naruto sulla propria schiena, ma proprio quando era pronto a partire si bloccò. Dandogli la schiena, disse un’ultima cosa.
“Già che ci sei, Sasuke, chiedi a Itachi se conosce il posto dove la tartaruga superò la lepre a mezzogiorno”.
Provò a protestare che quella frase non aveva nessun senso, ma Shisui era già sparito.
Naruto con lui.
 
Per un secondo ci fu un silenzio sospeso e si sconvolse quando a interromperlo fu proprio Kakashi. Da quando erano una squadra non aveva mostrato una sola emozione, era rimasto un bastardo pigro e ironico per tutto il tempo. Ma in quel momento un grido di frustrazione lasciò la sua bocca, così forte che sembrò echeggiare per tutta la foresta. Sasuke sussultò quando lo vide lanciare un kunai contro il ramo da cui era sparito Shisui.
“Ancora!” gridò. “Me l’hai portato via ancora”.
Quelle parole risuonarono nella sua testa dolorose e presto si aggiunse quel bugiardo che Naruto aveva soffiato con tanta veemenza. Aveva ragione, all’epoca Naruto sarebbe potuto essere suo amico se solo non avesse… se solo quella volta non fosse stato così stupido. Forse non se ne sarebbe andato.
Un grugnito gli uscì dalle labbra prima che se ne rendesse conto e d’istinto si portò una mano all’occhio. Il dolore alla testa era aumentato, era un pulsare terribile proprio dietro gli occhi.
“Sasuke-kun!” sentì Sakura chiamarlo.
Poi le ginocchia cedettero e si trovò svenuto a terra.
 
 
 
 
 
Ehi! Ecco il nuovo capitolo di questa nuova long :D
Iniziamo subito con il botto e spero che la scena di azione non sia stata troppo confusa >.<’’ È sempre difficile gestire così tanti personaggi che fanno tante cose diverse, ma sono anche una cosa che adoro T_T Infatti, proprio sulla scia del manga canonico, ci sarà parecchia azione :D Anche molti temi continueranno a essere riproposti, anche se in chiavi diverse.
Ma non divaghiamo! Vi è piaciuto? Ovviamente so che molte cose sono senza risposta, ma con i prossimi capitoli si verranno a sapere. Tipo come mai gli Uchiha sono riusciti a evitare il massacro o all’episodio che fa riferimento Sasuke…
 
Faccio anche un piccolo annuncio che esula dalla storia: purtroppo sono messa malissimo con la sessione di esami, fino all’11 Settembre non riuscì a pubblicare nulla, quindi per quella data tutte le long sono ferme. Mi dispiace, ma ho due esami davvero grossi da dare! Rimedierò quando avrò finito la sessione u.u
Grazie mille per aver accolto la storia con così tanto entusiasmo! Sono felice che l’idea vi piaccia!
Hatta.

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Capitolo 4
*** Rimpianti ***


Cap III
Rimpianti
 
 
Naruto si sistemò meglio sul ramo in precario equilibrio mentre si sporse a osservare verso il basso. Nello spiazzo d’allenamento c’era un bambino dai capelli scurissimi e si stava allenando con gli shuriken. Centrava sempre il bersaglio e Naruto si sentiva tremendamente geloso a quella dimostrazione di bravura.
Il bambino con i capelli così neri da sembrare che si fosse rovesciato addosso dell’inchiostro era un suo compagno di classe, era il migliore di tutti e sembrava sapere già tutto quello che i maestri insegnavano. Tutti lo lodavano e ammiravano, vinceva sempre le sfide di taijutsu e prendeva il massimo a ogni test. Non si era mai presentato ma sapeva che si chiamava Uchiha Sasuke, in realtà tutti ogni volta sembravano sapere chi fosse senza dovergli chiedere il nome.
Toccò con le dita la propria sacca di shuriken, erano tutti vecchi, opachi e con le punte smussate che spesso nemmeno si conficcavano ai bersagli. Quelli di Sasuke invece splendevano da quanto erano nuovi e tagliavano ogni cosa con i bordi affilati.
Sospirò fra sé. Sapeva di non poter paragonare il suo equipaggiamento di fortuna con quello degli altri, ma ora si vergognava a scendere per allenarsi. Chissà cosa avrebbe detto… Sasuke era davvero figo, mentre lui era l’ultimo morto della classe.
Ma sarò il futuro Hokage!
Con questa consapevolezza si fece forza e scese dall’albero, raggiungendo il campo di allenamento. Sasuke si fermò non appena si accorse di non essere più solo e si girò a guardare chi fosse il nuovo venuto con espressione sorpresa.
Del resto quel campo di allenamento non lo usava quasi mai nessuno. Era per questo che Naruto andava lì, in quel modo non c’era mai nessuno a testimoniare i suoi fallimenti.
A testa alta tentò di fare del suo meglio per ignorare gli occhi neri che si erano puntati su di lui. Tirò fuori i suoi malandati shuriken, ne prese una manciata e cominciò a tirarli contro il bersaglio davanti a lui. Ovviamente molti mancarono del tutto il bersaglio, mentre quelli che lo colpivano non si conficcarono e si limitarono a rimbalzare a terra.
Sentì una fitta di delusione, non che si aspettasse davvero che le cose andassero diversamente, ma gli sarebbe piaciuto fare una buona figura davanti a Sasuke. Si costrinse a tenere lo sguardo fisso davanti a sé per non sbirciare la faccia derisoria che doveva aver fatto l’altro bambino alla sua dimostrazione di incapacità. C’erano già i maestri e tutti gli altri a ricordargli che era un fallito, non voleva vedere lo stesso sguardo.
“Tieni male il polso”.
Sussultò quando lo sentì parlare. Senza volerlo fece un passo indietro e lo guardò diffidente, nonostante Sasuke sembrasse tranquillo.
“Cosa vuoi?” sbottò in difensiva.
Le persone non gli parlavano e quando lo facevano era sempre per trattarlo male.
Sasuke strinse gli occhi infastidito al tono brusco.
“Per lanciare, metti il polso in questo angolo così”, glielo mostrò, “è per questo che sbagli mira. Se invece lo tieni così hai più controllo. Così, vedi?” ripeté il gesto.
Naruto lo vedeva bene, ma non abbandonava lo sguardo sospettoso. Credeva fosse stupido come lo credevano tutti, per questo lo stava aiutando.
Soffiò forte, fissandolo con rabbia.
“Non mi serve il tuo aiuto, dattebayo!” gridò.
Gli diede violentemente le spalle, tornando alla linea di tiro. Suo malgrado però questa volta fece attenzione all’angolazione del suo polso, forzandosi per tenerlo come gli aveva appena mostrato il bambino Uchiha. Nonostante il lieve miglioramento, il risultato fu pressoché lo stesso.
Sì sentì deluso, ma rizzò le spalle e guardò Sasuke con sufficienza.
“Vedi? I tuoi consigli sono inutili, puoi tenerteli per te”.
Sasuke non sembrò nemmeno accorgersi del suo tono, aveva un’espressione pensierosa mentre fissava da vicino i suoi shuriken.
“Usa i miei”.
Quasi saltò nel vederlo avvicinarsi con i suoi shuriken nuovissimi in mano.
“Cosa?”
“Prova a lanciare i miei” ripeté alzando gli occhi al cielo, scocciato di doversi ripetere.
Lo fissò cercando di capire che razza di scherzo fosse, oppure stava aspettando che li prendesse in mano per iniziare a urlare che glieli aveva rubati? Non sapeva se fidarsi.
Sasuke però doveva avere poca pazienza, perché davanti alla titubanza nel bambino biondo glieli mise in mano senza tante cerimonie.
“Adesso prova” ordinò.
A Naruto non piacque quel tono dispotico, ma visto che non si era messo a gridare né era successo altro decise di accontentarlo, era anche curioso di provare la sensazione di impugnare armi nuove e non rovinate. Sgranò gli occhi con meraviglia quando gli shuriken andarono a segno. Certo, erano ancora molto lontani dal centro del bersaglio, ma non erano caduti a terra!
Un grido di vittoria si liberò dalle sue labbra aperte in un enorme sorriso, strinse il pugno con soddisfazione e si voltò a guardare Sasuke.
“Ci sono riuscito, dattebayo!”
Sasuke incrociò le braccia al petto, sul viso l’espressione seria di un adulto che appariva ridicola con il suo aspetto infantile.
“Come immaginavo, sono i tuoi shuriken. Sono troppo vecchi e consumati, non riescono a penetrare il legno e hanno il baricentro spostato. Devi comprarne di nuovi, questi sono inutili”.
Davanti a quella costatazione gli occhi di Naruto bruciarono. Sapeva già da solo che non aveva buone armi, come non aveva buoni vestiti e buone scarpe, non aveva bisogno che qualcun altro glielo ricordasse! Quel set di shuriken gli era stato dato dal Sandaime quando aveva iniziato l’Accademia, insieme a qualche kunai e della attrezzatura base – tutta di seconda o terza mano. Gli aveva detto che erano le uniche cose che poteva dargli e quindi di non perderle o romperle. Erano tutto ciò che poteva avere e lo umiliava che quel bambino con i vestiti nuovi, sempre puliti e mai strappati, gli facesse notare quanto erano inutili.
“Non ne compro altri” disse forzandosi di non mostrare nessuna emozione.
Sasuke lo fissò come se fosse stupido.
“Non hai sentito? Ho detto che…”
“Sì, ho sentito” lo interruppe arrabbiato. “Ma non posso comprarne altri perché costano troppo!” alzò la voce alla fine.
Ci fu un piccolo silenzio e arrossì violentemente. Ora Sasuke lo fissava più attentamente, gli occhi che si soffermavano sui suoi abiti usurati e di molte taglie più piccoli. Naruto si morse la lingua per non gridargli contro e si maledì interiormente per aver confermato il suo status di poveraccio davanti all’altro.
Fece per andarsene e correre via, ma Sasuke lo fermò.
“Va bene, allora ti lascio i miei”.
Sgranò gli occhi sorpreso da quel gesto. L’Uchiha non aveva nessuna espressione sul volto, era difficile capire cosa gli stesse passando per la mente.
“Ma così tu resti senza!”
Fece spallucce. “Dirò a mamma che li ho persi e me ne comprerà un altro set, non preoccuparti”.
Naruto si sentì spaesato a quel tono incurante e guardò gli shuriken che gli stava offrendo, anche se non se ne intendeva poteva dire che avevano una fattura ottima e lui li stava cedendo senza un secondo pensiero. Ma del resto ne avrebbe comprati altri, non doveva preoccuparsi di contare i soldi mensilmente. Entrando all’Accademia Naruto aveva scoperto che non sono i bambini a preoccuparsi ai soldi, è un dovere che aspetta ai genitori. Ma lui non aveva i genitori, era un compito di cui doveva occuparsi da solo. Lui non aveva nessuna mamma che gli avrebbe comprato qualcosa solo perché lo aveva chiesto.
Strinse i pugni. Non voleva mostrarsi debole, così bisognoso e soprattutto non voleva sentirsi sminuito rispetto a lui.
Non prese gli shuriken, mise le mani in tasca in una posa indifferente. Ignorò la strana espressione delusa sugli occhi neri e gli diede la schiena per andarsene.
“Non serve che me li regali, possiamo usarli insieme mentre ci alleniamo. Ci vediamo domani”.
Il cuore gli batteva così forte che sembrava volesse uscire dalle costole, rimbombava nelle orecchie come un frastuono. Non aveva mai avuto un amico con il quale darsi appuntamento e non sapeva se Sasuke lo avrebbe rispettato.
Ma il giorno dopo Sasuke venne, e quello dopo e quello dopo ancora. Si allenarono insieme, inizialmente scambiandosi solo alcune parole fino a chiacchierare a ogni pausa, scambiandosi conversazioni che esulavano dall’allenamento.
Poi un giorno Sasuke smise di venire e Naruto non seppe mai perché.
 
**
 
Shisui toccò Naruto delicatamente, ma si fermò nel vedere gli occhi azzurri aperti.
“Credevo stessi dormendo, sei stato molto silenzioso” disse.
Scrollò le spalle senza rispondere, cercò solo di allontanare i ricordi. Aveva sempre fatto del suo meglio per non pensare a Konoha, ma rivedere quelle facce familiari aveva riportato a galla tutto quello che aveva tenuto chiuso dentro di sé.
“Siamo quasi arrivati” lo avvertì Shisui.
Aveva un tono di voce stanco, il viso imperlato di sudore e l’occhio arrossato. Naruto poteva sentire quanto fosse esausto e vicino alla privazione del chakra. Del resto erano ore che stava correndo usando lo shunshin per spostarsi, tenendolo sulla schiena. Non si erano riposati un solo secondo e ormai era notte, la luna era salita sul cielo da molte ore.
Vide la parete rocciosa che si stava avvicinando sempre più velocemente verso di loro, ma non batté ciglio. Attraversarono l’illusione senza rallentare e atterrarono su uno spiazzo roccioso davanti a una caverna. Si trovavano nel paese dell’Erba, al confine con il Paese della Terra, motivo per cui la zona era così montuosa.
Naruto scivolò dalla schiena di Shisui sentendosi tutto irrigidito, le giunture doloranti dopo essere stato bloccato nella stessa posizione rigida per tutto il viaggio. Shisui invece crollò proprio sulle ginocchia, esausto e ansimante.
“Casa” riuscì solo a boccheggiare prima che dal cunicolo uscisse una figura.
Quel caschetto di capelli blu sarebbe stato riconoscibile ovunque, anche nella notte. Konan li guardò soppesando attentamente le loro condizione, gli occhi dorati che brillavano di sollievo e preoccupazione. La cappa dell’Akatsuki nascondeva completamente il suo corpo.
“Siete in ritardo” disse. “Cos’è successo?”
Shisui prese un lungo respiro, la mano premuta sulla milza per attenuare la dolorosa sensazione dei crampi. Non sapeva bene come rispondere, spiegare il motivo per cui erano arrivati così tardi rispetto all’orario concordato implicava troppo.
“Shinobi di Konoha ci hanno trattenuto” ammise.
Konan si irrigidì, l’espressione che si fece più tesa.
“Li abbiamo seminati ancora nel Paese del Fuoco” la rassicurò.
Ma bastò appena, la donna continuava a fissarli con apprensione in palese attesa di maggiori informazioni. Shisui si sentiva riluttante a lasciarle, non voleva ammettere che Naruto era fuggito al suo controllo e che uno dei ninja che li aveva beccati era proprio Hatake fottuto Kakashi.
Obito sarebbe uscito di matto.
“È colpa mia”.
Shisui sussultò e alzo lo sguardo su Naruto. Il ragazzino aveva stretto i pugni e teneva il viso rivolto a terra, da lì poteva vedere l’espressione amareggiata.
“Nel paese vicino al rifugio stavano facendo un festival, volevo andare a vederlo anche se sapevo che non potevo. Ho usato una henge per non essere riconosciuto” spiegò. Sbirciò l’espressione di Konan prima di riprendere. “Ho incontrato… un bambino che era in classe con me… non mi ha riconosciuto, ma sono rimasto con lui e ho perso la cognizione del tempo. Lui era…”, la sua voce tremò un po’, “Sasuke, Uchiha Sasuke, e adesso è un genin. Il suo sensei di riferimento è Hatake Kakashi”.
Appena disse quel nome Konan si irrigidì, indovinando dove stesse andando a parare.
“Lui ha visto oltre l’henge e mi ha smascherato. Ho provato a scappare ma lui mi stava per prendere ma poi è arrivato Shisui e mi ha portato via” concluse in un solo fiato. “Mi dispiace” pigolò.
Konan tornò a guardare Shisui in cerca di una conferma. Lui annuì.
“È andata così”.
“Siete feriti?”
“Solo qualche graffio. Naruto sta bene, non ho permesso lo toccassero. Io… sono sull’orlo di un esaurimento di chakra”.
Sospirò. “Spero tu riesca ancora a camminare”.
Fece cenno a entrambi di seguirla dentro la caverna. Shisui si rialzò a fatica e si inoltrarono dentro il cunicolo buio, solo dopo qualche passo una serie di torce alle pareti si accesero automaticamente illuminando l’ambiente. Più si inoltravano più si aprivano strade secondarie e il corridoio in pietra si snodava nella terra, ma Konan proseguì con sicurezza davanti a loro. I rumore dei loro passi sulla pietra riecheggiava nel silenzio.
Davanti all’ennesimo incrocio, Konan si fermò.
“Vai pure a riposarti, Shisui. Riferisco io a Madara cos’è successo”.
Shisui fece una smorfia a sentire Obito chiamato in quel modo e anche Naruto si morse il labbro, non era mai un buon segno quando era la personalità di Madara a essere quella più prominente.
“Va bene” disse l’Uchiha con un sospiro.
Lasciò una carezza sui capelli arruffati del ragazzino prima di trascinarsi verso la sua stanza e buttarsi sul letto per fingersi morto.
Naruto seguì ancora Konan finché non lo portò alla fine del tunnel, che si aprì in un’enorme stanza scavata nella pietra, dal soffitto altissimo. Il corridoio proseguiva in una piattaforma rialzata di molti metri rispetto al pavimento, al termine di cui un uomo dagli abiti scuri era seduto. Accanto a lui c’era una maschera arancione, segno che non la stava indossando.
“Sono tornati” disse Konan, anche se era inutile dal momento che il loro chakra era stato percepito non appena avevano messo piede nel rifugio.
Naruto camminò fino ad arrivare il fianco di Obito. Guardò il su profilo cercando di indovinare il suo umore. Era dal lato sfregiato, l’occhio rosso era rivolto verso lo spazio vuoto di quella sala gigantesca.
“Perché questo ritardo?” chiese secco, il fastidio percepibile nel tono.
Naruto esitò, un conto era dire quello che era successo a Konan, che era sempre così tranquilla e rassicurante, un conto a Obito, aveva paura di come potesse reagire e di deluderlo.
“Hanno incontrato Hatake Kakashi” rispose altrettanto secca e brutale la donna, senza preoccuparsi di addolcire la pillola con qualche rassicurazione preliminare.
La reazione di Obito fu immediata. Trattenne di colpo il fiato e il suo occhio si spalancò, afferrò subito Naruto portandoselo in grembo. Le sue mani corsero per tutto il corpo, così lo sguardo scrupoloso, in cerca di una qualsiasi ferita.
“Che cosa ti ha fatto?!” ringhiò piano.
Si lamentò per i gesti bruschi, il senso di colpa fece arrossire le sue orecchie nell’accorgersi di quanto quella sola frase lo avesse fatto preoccupare.
Ma era bello che si preoccupasse.
“Niente” soffiò piano.
Obito dovette credergli davanti alla costatazione che non aveva ferite. Anche i piccoli tagli che si era fatto sui palmi delle mani cadendo si erano già rimarginati. Non abbandonò comunque la presa su di lui, tenendolo fermo.
“Cos’è successo?” chiese con la rabbia che vibrava nel tono.
Fu Konan a rispondere, replicando quello che poco prima gli aveva detto Naruto. Obito ascoltò in silenzio senza fare domande, la mascella si indurì quando capì che Naruto era scappato volontariamente alla sorveglianza di Shisui, disubbidendo ai suoi ordini.
Naruto capì di essere nei guai quando la stretta su di lui aumentò fino a essere dolorosa.
“Lo sai che non puoi farti vedere in giro”.
Le parole di Obito erano piatte, il tono gelido come il ghiaccio più appuntito. Lo fece formicolare nel senso di colpa.
“Credevo non mi riconoscessero…”
“In ogni caso saresti dovuto scappare non appena avevi visto che c’erano shinobi di Konoha” lo riprese.
Naruto abbassò gli occhi. Non poteva dirgli che se non l’aveva fatto era perché c’era Sasuke, l’unico bambino che avesse provato a essere suo amico. Anche se non era propriamente corretto, alla fine Sasuke si era dimostrato orribile con lui come tutti gli altri. Ma in quel momento… non era riuscito a trattenersi, era troppo curioso di sapere come sarebbe stato se effettivamente fossero diventati amici.
“Mi dispiace” mormorò.
Si aspettava una carezza sui capelli, il tono ammorbidito di Obito che gli assicurava che avrebbero risolto la cosa. Ma non avvenne nulla di tutto questo. Al contrario l’Uchiha lo lasciò andare e si alzò.
“Quello che hai fatto è grave, Naruto” sottolineò. “Hai messo in pericolo te stesso, Shisui e tutti noi. Sai cosa sarebbe successo se ti avessero catturato”.
Il viso gli bruciò dalla vergogna. “Lo so”.
“So che soffri questo, Naruto. Ma almeno quando sei nel Paese del Fuoco non allontanarti da noi. Non sei ancora abbastanza forte”.
Strinse le spalle a quell’ultima argomentazione e si raggomitolò in se stesso. Perché alla fine era lì che si andava sempre a parare, che racchiudeva tutto: non era forte. Era solo ancora un bambino debole da proteggere. Anche dopo tutto l’allenamento a cui lo sottoponevano non era abbastanza. Non aveva potuto fare nulla quando Shisui si era scontrato con Kakashi, non era riuscito nemmeno a resistere a Sasuke finendo per essere quasi catturato.
“Mi dispiace” ripeté, questa volta con il tono roco e gli occhi che bruciavano.
Percepì un ammorbidimento da parte di Obito, il suo chakra si quietò in parte lasciando una sensazione diversa: non più rimprovero e delusione, ma un bisogno istintivo di confortare. Eppure, nonostante questo cambio, Obito non allungò nessun gesto verso di lui, restò distante.
“Lo so” disse. “Ma voglio che tu lo capisca. Resterai qui da solo questa notte come punizione”.
Naruto alzò lo sguardo sorpreso e ferito. Obito evitava di guardarlo.
“Partiamo domani all’alba per Ame. Fatti trovare sveglio”.
Strinse le labbra, deciso che non avrebbe supplicato come un bambino, non questa volta. Si sentì comunque un po’ morire dentro quando vide sia Obito che Konan uscire dalla stanza, la porta chiusa dentro di loro. Naruto non aveva bisogno di alzarsi e tirare per sapere che era sigillato.
Era rimasto solo.
Si lanciò all’indietro con la schiena, stendendosi sulla dura terra della piattaforma. Chiuse gli occhi e si lasciò precipitare nella propria coscienza. In realtà non era solo, non lo era mai per davvero.
Quando riaprì gli occhi la caverna era cambiato e dell’acqua lambiva tutta la sua figura. Sbirciò oltre le sbarre che erano improvvisamente comparse e sorrise.
Un brontolio arrivò dall’oscurità.
Dannato moccioso…
 
**
 
Sasuke cercò di superare velocemente il gruppo di ragazzini. La campanella era già iniziata e l’intervallo terminato, non gli piaceva fare tardi in classe. Ma la strada era sbarrata da un gruppo di ragazzi che a giudicare dalla stazza ingombrante dovevano essere di qualche classe successiva. Almeno non sembravano avercela con lui, si rivolgevano malevoli a un bambino magrolino e biondo, si rese conto di conoscerlo e si bloccò.
Ma era tutto così strano, vedeva tutto distorto come se stesse guardando attraverso un vetro sfocato; alcuni movimenti erano lenti come se fossero immersi nell’acqua, altri così veloci da fargli girare la testa. Non sentiva i rumori, Naruto stava parlando ma la bocca si apriva e chiudeva senza far uscire nessun suono. Sentiva solo il trillo acuto della campanella, così forte che avrebbe potuto rompergli un timpano.
Gli veniva la nausea, aveva la sensazione di non essere lì davvero. Cercò di capire cosa stesse dicendo Naruto, provò a seguire il movimento della bocca. Amico.
Era suo amico? Si ricordò che si erano allenati insieme di nascosto, bastava quello per considerarlo come tale? Poi ricordò improvvisamente che sua madre gli aveva chiesto di non vederlo più, suo padre invece glielo aveva ordinato; non voleva deludere i suoi genitori, non poteva essere suo amico.
Fece un passo indietro, le parole gli uscirono estranee come se fosse un altro a parlare al posto suo.
“Cosa vuoi? Lasciami in pace… sfigato” aggiunse.
Naruto lo fissò ferito, un’espressione così acuta che sembrò trapassarlo come una scheggia di vetro. Sasuke distolse lo sguardo e scappò via, dentro la classe e non rivolse più attenzione a quello che stava succedendo.
Ma appena varcò la porta, la stanza non c’era più ed era finito dentro un sottobosco. Accanto alle sequoie giganti della Terra del Fuoco, con l’erba che arrivava alle sue ginocchia, c’era un Naruto più alto, sporco e selvaggio, i capelli più lunghi e lo sguardo più ferino.
“Bugiardo” sibilò.
E Sasuke sentì delle mani sul collo soffocarlo.
 
Si svegliò di colpo, ansimando. Il terreno sotto di lui continuava a sussultare in un continuo dondolio, si rese subito conto di essere steso su un carro.
“La Bella Addormentata si è svegliata”.
Il tono pigro e familiare del suo sensei gli provocò una fitta alla tempia, si sentiva la testa pulsare e anche gli occhi continuavano a fargli male. Registrò quello che aveva detto e a fatica si tirò a sedere. Si accorse così di essere su un calesse, un contadino stava guidando i cavalli dando loro le spalle. Kakashi aveva la solita espressione poco presente, mentre quella di Sakura era piena di preoccupazione.
“Sasuke! Come stai?”
I tono della compagna di squadra era troppo acuto, strinse gli occhi e cercò di rimettere in ordine i pensieri.
“Per quanto sono stato svenuto?”
“Non molto” lo rassicurò Kakashi, per una volta non aveva il viso affondato tra le pagine di un porno. “Il tempo di trovare un passaggio. Fra poco saremo a Konoha”.
Si guardò attorno, cercando di scacciare i rimasugli di quel sogno. Anche se non era proprio un sogno, era un ricordo che la sua mente aveva rielaborato dopo gli ultimi avvenimenti. Naruto aveva appena scatenato il senso di colpa che aveva tenuto a bada per tutto quel tempo, una parte di lui si era sempre sentito colpevole di non aver difeso Naruto quel giorno.
Quando i suoi genitori avevano scoperto che aveva iniziato a passare del tempo con quel bambino che tutti evitavano, gli avevano ordinato di smetterla e non parlargli più, di non lasciarsi coinvolgere in alcun modo da lui. Sasuke all’epoca era così disperato di avere anche un solo grammo di approvazione da parte di suo padre che aveva accettato senza porre domande. Non era più andato al loro campo di allenamento, all’Accademia aveva fatto finta che non esistesse e quell’unica volta che aveva parlato di un loro possibile legame davanti agli altri aveva negato crudelmente. Qualche giorno dopo Naruto era sparito e una parte di lui aveva sempre avuto la sensazione che fosse colpa sua.
È stata davvero colpa mia?
Si stropicciò gli occhi, più si inoltrava in quei pensieri più bruciavano. Ma era una sensazione diversa dal bisogno di piangere, era come se li avesse sforzati troppo.
Se avessi disubbidito a papà sarebbe rimasto? Saremmo stati amici?
“Sasuke, attento. Ti stai per riaprire la ferita” lo avvisò Himawari.
Si accorse solo in quel momento che non stava più sanguinando. Passando le dita sentì un cerotto.
“Ti ho curato io” gongolò fiera la compagna di squadra.
Grugnì affermativo e tornò a strofinarsi gli occhi. Doveva aver preso una botta davvero forte, gli sembrava che la testa si stesse spaccando in due.
Sentì che Kakashi lo chiamava, ma non rispose troppo concentrato a lottare contro quella sensazione. Sembrava essere collegata direttamente al dolore nel petto, quello che i rimpianti avevano causato.
Sussultò quando Kakashi lo afferrò con decisione al mento, costringendolo a guardarlo, mentre con l’altra mano allontanava il suo pugno dagli occhi. Il volto del sensei gli apparve chiaro come non mai, riusciva a vedere le sfumature di grigio nel suo occhio pigro, distinguere le ciglia chiarissime e vedere i pori della pelle.
“Complimenti, Sasuke” disse lento. “Hai risvegliato il tuo sharingan”.
Non reagì, troppo sorpreso dalla rivelazione. Aveva sempre immaginato che i suoi occhi si rivelassero durante una battaglia, sul momento non ci credette nemmeno. Sbatté le palpebre, guardando le sue compagne di squadra. Entrambe avevano espressioni sbigottite, ma la prima a riprendersi fu Sakura che gli tese il suo coprifronte per specchiarsi. Mentre lo prendeva gli tornarono alla mente le parole che aveva detto Naruto quel pomeriggio.
Per lo sviluppare lo sharingan devi provare un forte dolore emotivo.
Fissando il riflesso di due iridi rosse, Sasuke capì che gli aveva detto la verità.
 
 
 
 
 
Lungo ritardo, ma alla fine il terzo capitolo è arrivato :D
Ora è più chiaro il rapporto tra Naruto e Sasuke. Prima che Naruto lasciasse il villaggio avevano tentato una sorta di amicizia impacciata, che è crollata non appena i genitori di Sasuke gli hanno proibito di stare con lui. Naruto non sa che è per questo, motivo per cui ci è rimasto così male. Invece posso tranquillamente anticiparvi perché sia Fugaku che Mikoto non volevano che Sasuke si avvicinasse a Naruto, o meglio al Jinchūriki del Kyūbi: siamo nel post attacco-Kyūbi, l’intero villaggio è convinto che siano stati gli Uchiha a organizzarlo e sicuramente non avrebbero preso bene un avvicinamento del clan (grazie a Sasuke) al Jinchūriki; per tenere le acqua più calme Fugaku ha preferito tenere lontano i due. Ecco qui.
In ogni caso Sasuke ha i suoi motivi per sentirsi in colpa, abbastanza da giustificare lo sharingan spero :D Esatto, in questa versione è così che Sasuke lo sviluppa, dopo aver ritrovato e perso ancora il suo primo (quasi) amico <3 spero vi sia piaciuta come idea!
Fa anche la sua comparsa Konan, che in questa storia sarà un po’ la sorella maggiore di tutti xD Deve anche dire che in futuro avrà un piccolo ruolo collegato a Sakura, ma non faccio spoiler <.< e Obito! Obito che ha un leggero attaccamento morboso per Naruto xD Qui è stato abbastanza duro, ma vi prometto che ci sarà abbastanza fluff da loro due *^* Ovviamente niente di romantico, come detto non so ancora come finiranno le coppie, quindi per ora godiamoci il fluff gratuito :D
Grazie per le recensione e grazie per aver sopportato l’attesa. Sto ancora arrancando per via dell’università, ma continuerò ad aggiornare le mie storie. Grazie, grazie e ancora grazie per seguire questa!
Hatta.
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Mattina ***


Cap V
Mattina
 
 
Shisui atterrò davanti al tempio Naka circospetto. Nella sua ronda al distretto aveva percepito qualcuno lì dentro. Poteva trattarsi di un qualsiasi Uchiha, ma da un po’ era stato imposto che dopo la mezzanotte nessuno entrasse nel tempio. Chiunque si fosse introdotto doveva essere allontanato.
Il suo istinto gli suggeriva di muoversi circospetto e Shisui, senza ben sapere perché, si ritrovò ad assecondarlo. Entrò silenzioso come un gatto, sopprimendo la propria presenza e respirando senza far rumore. Dentro erano state accese delle fiaccole, che lanciavano coni di luce sul pavimento. Nella penombra vide una figura avvolta in un pesante mantello nero, la maschera che indossava lo mise subito in allarme. Sguainò la sua spada corta e si mise in posa difensiva.
“Chi sei?”
Il suo ringhio echeggiò tra le pareti del tempio, ma la figura sconosciuta non sussultò. Lentamente si voltò a fronteggiarlo, c’era solo un foro sulla maschera e l’occhio che rivelava aveva un iride che Shisui conosceva molto bene.
“Sei un Uchiha” considerò. “Chi sei? Che ci fai qui?”
Era pronto a non ricevere risposta, ma lo sconosciuto parlò.
“Chi sono non ha importanza. Per quanto concerne la mia presenza… Sono qui per prendere atto di una grande menzogna”.
La voce dell’uomo era pesante, Shisui era certo di non averla mai sentita. Ma conosceva tutti gli Uchiha che avevano sviluppato lo sharingan, era impossibile che non riuscisse a identificarlo.
Ignorò le sue enigmatiche parole, il sudore freddo gli colò sul retro del collo mentre realizzava di avere probabilmente un nuniken davanti a sé.
“Non sei del Villaggio, vero?”
“No” ammise lo sconosciuto come se non fosse un problema rivelarlo. “L’ho lasciato molto tempo fa”.
Cazzo, questo lo rendeva davvero un traditore. Ma era impossibile: da generazioni non esistevano nukenin Uchiha. Il clan era così geloso della propria linea di sangue da assicurarsi che non ci fossero Uchiha outsider a Konoha.
In tutta la storia, ne era esistito solo uno.
Deglutì. “Sei Uchiha Madara?”
Ci fu un lungo silenzio da parte dell’uomo, forse era riuscito a sorprenderlo. Poi lo sentì emettere un suono strano, come un rantolo soffocato. Si rese conto che stava ridendo amaramente.
“Ciò che resta della sua volontà” ammise.
Shisui cercò di non permettere alla sorpresa di paralizzarlo. Anche se Madara avrebbe dovuto morire anni fa, era comunque uno dei più grandi shinobi della storia, insuperabile da chiunque. Non era assurdo che le sue capacità gli avessero impedito di invecchiare.
Ma, cazzo, Uchiha Madara al villaggio. Non era una buona notizia. Il panico iniziò a circolargli nelle vene.
“Sei il nipote di Uchiha Kagami, vero? Ho sentito parlare di te. Ti considerano l’Uchiha più dotato di questa generazione”.
Shisui fu riportato alla realtà dalle parole di Madara, aumentò la presa sull’elsa e si sforzò di muoversi per attaccare. Madara dovette intuire le sue intenzioni.
“In circostanze diverse mi sarei misurato con te volentieri. Ma non sono qui per combattere, rilassati”.
Shisui non si rilassò affatto.
“Allora che cosa ci fai qui?” domandò aspro.
“Sono qui per la conoscenza” disse e voltò la testa.
Shisui seguì la direzione del suo sguardo e vide le tavolette degli Uchiha, quelle che contenevano la conoscenza secolare del suo clan, ogni segreto dello sharingan. Le aveva lette quando aveva sbloccato la propria arte oculare.
“Che cosa c’è che Uchiha Madara non conosce dello sharingan?” chiese genuinamente confuso.
Madara rise ancora. “Non mi interessa la superficie, ma quello che ci sta sotto. Quello che solo certi occhi possono vedere”.
Nel dirlo, lo sharingan visibile dal foro della maschera roteò su se stesso fino a  cambiare in una nuova figura geometrica. Shisui fissò il Mangekyo di Madara e, prima che se ne rendesse conto, anche i suoi occhi si erano illuminati nel mostrare il suo Mangekyo Sharingan.
“Oh” commentò lievemente impressionato Madara. “Le voci sul tuo conto sono esatte. Sei davvero dotato”.
Shisui disattivò lo sharingan e si maledì per aver permesso che succedesse, non aveva intenzione di mostrare la sua arma segreta. Semplicemente qualcosa in lui aveva reagito d’istinto.
“Quindi hai letto cosa nascondono le tavole” continuò Madara.
“No” rispose. “Gli anziani lo hanno vietato”.
Madara rise con sprezzo. “Vedo che continuano a essere vecchi sciocchi. Non importa, troveresti scritto soltanto il più intricato e antico inganno del mondo shinobi: l’illusione della pace”.
Un campanello di allarme suonò nella testa di Shisui e la sola prospettiva lo fece sbiancare.
“Sei qui per il colpo di stato?” soffiò.
Era impossibile decifrare Madara con quella stupida maschera.
“No. Non ho più interesse nel clan o in questo stupido villaggio”.
“E allora cosa vuoi?” sbottò.
Madara si fermò, come se fosse stato davvero colpito da quella domanda. Il silenzio durò solo qualche secondo, ma fu così pesante da opprimere Shisui.
“Non lo so” disse infine. “Ormai non c’è più nulla, tutto è solo una bugia. Non c’è più modo di redimere questo mondo”.
Quelle parole sembravano il preludio a una distruzione e una realizzazione folgorò Shisui.
“Sei stato tu, otto anni fa. Tu hai… liberato il Kyūbi” balbettò.
Nonostante la maschera ebbe quasi il sospetto che Madara stesse sorridendo beffardo sotto di essa.
“Non dire a nessuno che mi hai incontrato, Uchiha Shisui” disse. “Se lo farai, ucciderò personalmente tutti quelli che ami” minacciò.
Il secondo dopo sparì, come inghiottito nell’aria, come un fantasma che non era mai stato lì. Solo quando fu solo, Shisui si ricordò di nuovo di respirare.
Mantenne il segreto. Tanto nessuno gli avrebbe creduto comunque.
 
**
 
Il sole era già sorto, ma per via delle alte montagne che circondavano il rifugio non si vedeva da nessuna parte. Il cielo era ancora nero quando Deidara atterrò con il suo gigante uccello d’argilla.
“Bene, credo sia giusto dirvi che non sono dell’umore” iniziò subito il bombarolo incrociando le braccia al petto. “Kakuzo non vuole darmi i soldi per comprare altra argilla, quindi sono piuttosto arrabbiato. Tobi, per favore, ho bisogno di essere lasciato in pace, non iniziare a fare il coglion…”
Obito lo superò senza dire nemmeno una parola. Indossava la maschera arancione, quindi era per lo più impossibile capire quale fosse la sua espressione, ma il linguaggio del suo corpo teso, secco e curvo era abbastanza comprensibile. Obito era incazzato e non aveva voglia di scherzare nelle sembianze di Tobi.
Deidara lo guardò incredulo – e anche un po’ offeso – che l’Uchiha non si fosse messo a chiamarlo senpai, a gridare, supplicare per avere più dettagli sul suo cattivo umore per poi insultare insieme Kakuzo. Invece andò a sedersi in un punto in disparte dello spazio da viaggio che aveva creato per il volo.
Guardò Konan, in cerca di spiegazioni. “Che ha?”
La donna scrollò le spalle. “Ci sono state complicazioni”.
“Almeno abbiamo quella pergamena?”
“È stata recuperata” garantì.
Il terzo e ultimo a salire fu Naruto, l’espressione molto assonnata. Non andò, come sarebbe stato prevedibile, a sedersi al fianco di Tobi, per appoggiare la testolina su di lui e riprendere a dormire. Si mise invece dalla parte opposta, dando le spalle all’adulto.
“Le complicazioni… cioè hanno litigato?” domandò Deidara curioso.
Da quando era nella squadra – be’, da appena un anno in realtà – aveva visto i due andare solo d’amore e d’accordo, erano quasi disgustosi da quanto si volevano bene. Finalmente sembrava essere successo qualcosa di interessante.
Nessuno gli rispose, ma il silenzio teso era una chiara risposta affermativa. Peccato che nessuno sembrava voler aggiungere qualcosa in più, cosa che lo infastidì. Il silenzio prolungato era scomodo, non vedeva l’ora di ripartire; inoltre era abbastanza freddino la mattina così presto, specialmente tra le montagne.
“Shisui dove sarebbe?” sbraitò Deidara vedendo che dopo Konan nessun altro stava salendo sull’uccello di creta.
Finalmente Tobi prese la parola. Ma il suo tono non era quello di un adolescente spensierato e goffo, ma molto oscuro e serio. Deidara lo aveva sentito raramente parlare in quel modo e mai rivolgendosi a lui.
“Il ragazzo ha un appuntamento galante” disse sprezzante. “Partiamo senza di lui, ci raggiungerà.”
Deidara non si mise a discutere e non domandò cosa intendesse. Il tono definitivo era abbastanza perché facesse prendere il volo alla sua creatura di creta e chakra.
 
**

A dispetto delle sue previsioni, la mattina non piovve. Quando un raggio del sole appena nato lo colpì al viso, Itachi aprì gli occhi osservando fuori dalla finestra un cielo limpido e privo di nuvole. Kakashi era al suo fianco, gli occhi chiusi e il fiato regolare. Ma Itachi sapeva che il compagno si era svegliato nel suo stesso momento. Kakashi aveva uno dei sonni più leggeri che conoscesse, sembrava essere vigile dell’ambiente circostante anche mentre dormiva.
Pur sapendo ciò, si rivestì il più silenziosamente possibile. Erano comunque le cinque di mattina, non era il caso di creare troppo chiasso.
Stava per andarsene quando avvertì delle dita aggrapparsi alla sua maglietta. Si voltò, vedendo Kakashi con gli occhi socchiusi e un sorriso appena percettibile.
“Torna vivo” disse l’Hatake con tono assonnato.
Itachi sorrise. “Ovviamente”.
Il cuore gli batteva impazzito per quello che stava per fare.
 
**
 
Naruto emise un sospiro di sollievo quando vide la statua dell’uomo-che-faceva-la-linguaccia-a-bocca-aperta avvicinarsi. Ame era ormai la sua casa da quattro anni, ma la perenne pioggia era qualcosa a cui non si sarebbe abituato mai.
Poco dopo entrarono all’interno della statua, atterrando nel grande spazio coperto. Fu un sollievo non essere più colpito dalla pioggia, Naruto si sentiva bagnato fin dentro le ossa.
Pain li stava aspettando, gli inquietanti occhi concentrici del rinnegan si soffermarono su ogni membro che scese dal mezzo volante.
“Dov’è Shisui?”
“A un appuntamento galante” replicò con stizza Obito. Gli passò al fianco senza guardarlo o togliersi la maschera. “Abbiamo recuperato il Rotolo”.
Pain non batté ciglio, la sua faccia rimase impassibile. La sua inespressività inquietava sempre Naruto, era così diverso da… Nagato. Nagato gli sorrideva gentile, mentre sospettava che Pain non potesse nemmeno farlo.
Attesero che Konan li raggiungesse, poi i tre sparirono per analizzare il nuovo bottino ottenuto.
Deidara lì guardò allontanarsi e tirò su con il naso.
“Grazie per l’amorevole benvenuto” disse al nulla, ma poi scosse la testa rassegnato e guardò il bambino al suo fianco. Naruto era fradicio come un pulcino. “Bagno caldo, suona bene?” propose, anche lui scomodo nei vestiti gelidi.
“Sì, per favore” pigolò Naruto.
“Così magari mi racconti anche che cosa ha fatto da far incazzare così tanto Tobi”.
Nonostante il tono allegro di Deidara, Naruto non era molto entusiasta della proposta.
 
**
 
Sasuke era concentrato mentre studiava uno dopo l’altro i vari rotoli. Aveva passato tutta la notte sveglio a pensare e ripensare quello che Naruto gli aveva detto sullo sharingan.  Alla fine era giunto alla conclusione che l’unico modo che aveva per risolvere quel dubbio era vedere cosa era stato tramandato dal clan.
Appena sveglio era sgattaiolato nello studio personale di suo padre e aveva cercato all’interno dell’archivio, sapeva che lì dentro era tenuti tutti i segreti del clan, compreso lo sharingan. Sapeva anche che potevano essere letti solo da chi possedeva l’arte oculare, ma ormai quello non era più un problema.
A quel pensiero si passò le dita all’angolo di un occhio, pensieroso. Faticava ancora a relazionarsi con il pensiero che finalmente aveva risvegliato lo sharingan, ma era stato così veloce, inaspettato…
“Sasuke, cosa ci fai qui?”
Il bambino sussultò quasi facendo cadere la pergamena che aveva in mano. Era inginocchiato sull’ultimo cassetto di un grande armadio, i rotoli sparsi attorno a lui come testimonianza della sua malafatta.
Si voltò vedendo suo padre sulla soglia, era stato così concentrato nella sua ricerca da dimenticare quello che lo stava circondando. Che stupido errore da principiante!
Abbassò gli occhi colpevole. Non sapeva se aveva o meno disubbidito a una regola, ma il semplice fatto che fosse lì senza permesso gli sembrava un motivo sufficiente per sentirsi in colpa.
“Io… cercavo informazioni sullo sharingan” ammise.
Si aspettava che suo padre lo rimproverasse, invece lo vide scuotere soltanto la testa con un misto di esasperazione. Gli andò al fianco e raccolse le pergamene che aveva lasciato in giro, rimettendo ognuna al suo posto.
“Ogni buon shinobi sa cercare da solo le informazioni che cerca,” disse seccato, “ma in questo caso avresti potuto rivolgerti a me. Cosa vuoi sapere di specifico?”
Sasuke non aveva nessuna intenzione di sprecare quell’occasione.
“Come si sviluppa lo sharingan? Deve accadere qualcosa in particolare, o avviene… casualmente?”
Suo padre non lo guardò, continuò a rimettere ogni cosa a suo posto mentre rispondeva.
“Raramente qualcosa succede per caso nel mondo shinobi. Un Uchiha è in grado di risvegliare lo sharingan solo dopo aver raggiunto una forza sufficiente a padroneggiarlo. Soprattutto deve possedere abbastanza controllo sul chakra da bilanciare il suo utilizzo senza prosciugarsi all’istante. Per questo motivo non c’è un’età precisa in cui si può svilupparlo e non tutti gli Uchiha lo possiedono, dipende dalla forza del singolo”.
Sasuke annuì fra sé. Questo era esattamente quello che gli era stato insegnato per tutta la vita, quello che aveva sempre saputo. Ma le parole di Naruto e quello che era successo il giorno prima davano un’altra spiegazione. Sasuke sapeva di non avere ancora un controllo sul suo chakra perfetto, doveva ancora imparare ad arrampicarsi correttamente sugli alberi senza usare le mani. Eppure aveva risvegliato lo sharingan.
“Molti dicono di aver risvegliato il proprio in un momento in cui hanno dovuto forzare i propri limiti. Probabilmente è questo il fattore causante, lo sforzo che porta al risveglio” concluse suo padre.
Si morse le labbra, pensandoci su. Effettivamente aveva fatto uno sforzo a cui non era abituato per controllare il chakra incontrando Naruto, che lo aveva costretto a saltare sui tetti delle case. Aveva imparato a farlo in modo stabile solo in quel momento. E anche il piccolo scontro con Shisui, forse l’adrenalina in circolo aveva spinto il suo corpo oltre il limiti a cui era abituato.
“Mi sembri confuso”.
La domanda implicita di suo padre lo riscosse. Si morse le labbra, non sapendo come spiegarsi senza sbilanciarsi troppo, soprattutto senza rivelare troppo.
“Mi è stato detto che lo sharingan si sviluppa solo dopo un forte dolore… emotivo”.
Quando lo disse non si aspettava di ricevere una reazione così violenta. Fugaku chiuse di colpo le ante dei cassetti, sbattendoli così forte che il suono si sovrappose con le sue parole.
“Dove l’hai sentito?” domandò gelido.
Sasuke capì immediatamente che non poteva dire la verità.
“Ehm… credo lo avesse detto qualche insegnante dell’Accademia…”
L’espressione di Fugaku si inasprì ancor di più, la fronte aggrottata e le sopracciglia strette fino a toccarsi.
“Dovrò parlarne con il Sandaime. È inammissibile che permetti che certe false speculazioni girino ancora.”
“Non è vero?”
“No, assolutamente. Questa era solo la teoria del Nindaime, era convinto che il nostro potere nascesse da eventi traumatici e per questo fossimo… pazzi”.
Sasuke sgranò gli occhi, incredulo. “Nindaime-sama pensava questo di noi?”
Si sentì tagliare in due dallo sguardo che suo padre gli rivolse.
“Tobirama-sama ci temeva e detestava. Aveva pregiudizi su di noi per via delle guerre che precedono la costruzione di Konoha”.
A quella scoperta Sasuke si sentì annichilirsi, il proprio cuore soffrirne. Il Secondo Hokage, uno dei suoi eroi, una delle persona che cercava di imitare, aveva disprezzato il suo clan…
Fugaku addolcì lo sguardo all’espressione dolorante di Sasuke.
“Lo sharingan non è una maledizione, gli Uchiha non sono maledetti. Non permettere a nessuno di fartelo credere”.
Il ragazzino annuì, non sapendo come altro reagire. Si chiese se fosse questo il motivo per cui il suo clan sembrava incutere così paura nei civili, paura che spesso si era trasformata in disprezzo. Era perché un Hokage li aveva disprezzati?
Strinse le mani a pugno. Promise a se stesso che una volta diventato Hokage avrebbe dimostrato a tutti il loro errore.
“Oh, papà” chiamò corrucciando l’espressione.
“C’è altro?”
Strinse le mani a pugno, cercando la sua determinazioni. Si sentiva in ansia a porre quella domanda, l’avvertimento dell’Hokage lo aveva spaventato.
“Tu… hai un’ambizione?” chiese deglutendo.
Fugaku non batté ciglio. “Ogni bravo shinobi ha un obiettivo”.
“Qual è il tuo?”
Si aspettava che suo padre non rispondesse, invece la sua espressione si fece più solenne.
“Il bene del Clan Uchiha. Come capoclan mi è stato affidato il destino di ogni Uchiha, è mio dovere proteggerli e guidarli verso un futuro prospero. Non ho altra ambizione che questa”.
Era sensato, perciò Sasuke annuì. Dalle parole di Shisui aveva temuto che suo padre avesse obiettivi pericolosi, ma era ovvio che Shisui si sbagliasse. Suo padre era una persona d’onore che si prendeva cura del proprio clan, non c’era niente di sbagliato in questo.
“Capisco, padre” rispose con altrettanta solennità e lo guardò con ammirazione. Suo padre era incredibile.
Fece un inchino pronto ad andarsene, non aveva altro da chiedergli. Ma quando fu alla porta sentì Fugaku richiamarlo.
“E tu hai già trovato la tua strada?”
Sasuke pensò subito al proprio volto scolpito sulla montagna degli Hokage, ma poi l’immagine venne sostituita da un’altra. Pensò a un bambino biondo che un tempo portava i vestiti stracciati indossare ora l’uniforme di Konoha.
Strinse i pugni.
“Sì, ho un obiettivo” garantì determinato.
Il suo tono deciso fece sorridere compiaciuto Fugaku, che annuì in segno di rispetto.
“Tienilo sempre a mente e non tentennare mai. Finché il tuo cuore sarà saldo nella tua scelta, la strada sarà quella giusta”.
Sasuke si ritrovò a sorridere, il suo stomaco caldo davanti all’approvazione del genitore che ammirava tanto. Ora più che mai si sentiva determinato a raggiungere il suo obiettivo.
Avrebbe riportato a casa Naruto e solo una volta riuscitoci sarebbe diventato Hokage.
 
 
 
 
Scusate il ritardo ;__;
Prometto che a breve aggiornerò le altre fan fiction ma la vita mi sta davvero asciugando tutto il mio tempo T_T
Vi ringrazio per aver aspettato e per essere ancora qui <3
Hatta.

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Capitolo 6
*** Consolazione ***


Cap V
Consolazione
 
 
 
“Capisco” fu l’unica cosa che disse il Sandaime quando la squadra sette fece rapporto.
Seduto sulla scrivania, con il grande cappello che ombreggiava il suo visto e le vesti che nascondevano il suo corpo, con solo le mani rugose congiunte sotto il mento… dimostrò tutti i suoi lunghi anni.
Sasuke aveva voglia di urlare. Capisco. Cosa doveva significare? Che cosa capiva? Erano appena tornati da una dannata missione di scorta di grado D con la notizia che un pericoloso nukenin di Konoha si era fatto vivo insieme a Uzumaki Naruto, e questo era tutto quello che aveva da dire?
Kakashi intercettò il suo sguardo furioso e appoggiò una mano sulla sua spalla, a intimargli di mantenere la calma.
“Mi dispiace di non essere riuscito a fermarli” disse.
Il Sandaime scosse la testa.
“Non crucciarti. La sicurezza della tua squadra veniva prima di tutto” lo rassicurò. “Ma ora abbiamo un punto di riferimento per ritrovare Shisui, questa è la sua prima comparsa dopo anni. E Uzumaki Naruto è con lui, vivo”.
“Manderemo una squadra ANBU sulle loro tracce” garantì Danzō, al fianco del’Hokage.
A Sasuke quel vecchio non piaceva molto, gli lasciava una sensazione sgradevole, come se in sua presenza dovesse guardarsi sempre alle spalle. Inoltre non gli piaceva l’ossessione che aveva per suo fratello, ogni volta che ci pensava si sentiva a disagio.
“Potete andare” disse quindi il Sandaime guardando con dolcezza i tre bambini. “Kakashi, vorrei che tu ti trattenessi per i dettagli”.
Sasuke era riluttante a lasciare la stanza, voleva sapere tutto e voleva partecipare alla missione di salvataggio. Forse era perché si trattava di Naruto, ma sentiva che lo riguardava in prima persona. Nonostante ciò si inchinò rispettosamente come fecero Himawari e Sakura, pronto a lasciare la stanza.
Quando fu alla porta, però, si ricordò di un particolare.
“Hokage-sama” disse, catturando l’attenzione degli adulti. Alzò il mento, mostrando sicurezza. “Prima di andarsene, Shisui ha detto alcune cose”.
Fece una pausa, curioso di vedere la reazione dell’Hokage e del suo consigliere, ma entrambi rimasero stoici.
“Che cosa, Sasuke-kun?” lo spronò il Sandaime con dolcezza.
“Voleva che chiedessi a mio padre se ha ancora quell’ambizione” rispose con sicurezza, fece un’altra pausa di pochi secondi e poi continuò: “E se lei attuerà ancora quell’ultima soluzione”.
Questa volta gli parve di scorgere un lampo di preoccupazione negli occhi miti dell’Hokage, ma fu troppo veloce per capire se ci fosse stato davvero o se lo avesse immaginato. Del resto Danzō al suo fianco non aveva mosso un solo muscolo facciale e lui era il braccio destro dell’Hokage, sapeva tutto.
“Qualcos’altro?” si informò con lo stesso tono dolce.
Sasuke scosse la testa e il Sandaime lo guardò pensieroso.
“Sono domande molto specifiche quelle di Shisui, Sasuke-kun” considerò. “Ma temo di non avere una risposta per nessuna delle due. Non so a cosa si riferisca”.
Sasuke strinse le labbra deluso alla non-risposta. Insieme al senso di colpa, quelle parole di Shisui lo avevano pungolato per tutto il viaggio. C’era stato così tanto astio mentre le diceva, ma anche una sorta di dolore.
Pensando che fosse un congedo definitivo, fece un cenno del mento e si preparò a uscire dalla stanza. Ma quando stava ormai per richiudere la porta, il Sandaime lo richiamò.
“Ah, Sasuke-kun” disse. “È meglio non dire quest’ultima cosa a tuo padre. Lo turberebbe inutilmente sapere che è stato menzionato da un criminale”.
Sentire il proprio cugino chiamato in quel modo gli fece sobbalzare il cuore, ma del resto era proprio quello che era diventato Shisui abbandonando il villaggio, un traditore.
Lasciò l’ufficio pieno di amarezza e ignorò sia Sakura che Himawari. Doveva parlare con suo fratello.
 
 
“Davvero non sapete di cosa stava parlando Shisui?” domandò Kakashi non appena i suoi piccoli genin se ne furono andati e i sigilli di sicurezza riattivati.
Rispetto alla dolcezza che c’era prima sul Sandaime mentre parlava con Sasuke, ora il suo volto era una maschera di pietra.
“Questo è classificato” rispose impassibile.
Kakashi annuì, perché suo malgrado era sempre stato un ninja leale e non avrebbe mai disobbedito al suo Hokage. Se era un segreto che non voleva condividere aveva le sue ragioni, non spettava a lui questionare sulle sua scelte, sarebbe stato tradimento.
“Tutto questo è molto sospetto” riprese Hiruzen. “Durante la tua assenza, è stato trafugato il Rotolo Proibito”.
Kakashi spalancò leggermente l’unico occhio visibile.
“Il colpevole?”
“Apparentemente, Mizuki. Lo abbiamo catturato poco prima che tu tornassi con la tua squadra. Si trovava al confine del Paese, pronto a lasciarlo, ma la pergamena non era con lui”.
“L’ha rubata per qualcun altro”.
“La domanda è chi” sospirò Hiruzen. “Le prime indagini di Ibiki-san hanno fatto pensare che fosse una commissione di Iwa”.
“Ma?” intuì Kakashi e sapeva che non era una buona risposta se lo stesso Hokage era titubante.
“Itachi-kun ha confermato che Mizuki si trovava sotto genjutsu, un genjutsu così potente che sembrava essere stato operato da uno sharingan” rispose Danzo.
Kakashi si concentrò per mantenere la propria espressione neutra, per non lasciare che il suo occhio si ristringesse di fastidio. C’era sempre qualcosa che lo inquietava quando Danzo nominava Itachi, il modo in cui strascicava il suo nome… c’era così tanto compiaciuto possesso che gli metteva i brividi. Ma riuscì a trattenere il fastidio, concentrandosi unicamente sul Sandaime.
“Credete che sia stata opera di Shisui?”
“Spiegherebbe molte cose… Non esistono altri nukenin Uchiha, è l’unico sharingan che si trova fuori dal villaggio. Inoltre chiarirebbe la sua presenza nel Paese del Fuoco lo stesso giorno in cui è stato trafugato il Rotolo Proibito. Non può essere una semplice coincidenza”.
Kakashi si ritrovò a dargli ragione, raramente le coincidenze nel mondo shinobi si dimostravano tali. Purtroppo non aveva la conferma che il suo Hokage voleva.
“Nel nostro incontro Shisui non ha dato segno di possedere la pergamena. Se non me lo aveste detto voi ora, non lo avrei mai sospettato”.
“C’è altro che non hai potuto dirci davanti ai tuoi sottoposti?” insistette Danzo.
Kakashi non lo guardò, tenne la sua attenzione solo sull’Hokage.
“Naruto sa del Kyūbi” disse.
Un’espressione sbigottita baluginò solo per qualche secondo nei piccoli occhi del Sandaime, dopodiché tornò controllato e impassibile. Emise un sospiro di stanchezza.
“Ovviamente è stato Shisui a parlargliene” ragionò.
Del resto il fatto che Naruto fosse il Jinchūriki del Kyūbi era sempre stato il segreto di pulcinella al Villaggio, nonostante il tentativo di nasconderlo lo sapevano tutti.
“Pensi stiano lavorando per qualcuno?” domandò Danzo intromettendosi nel silenzio lasciato da Hiruzen.
Kakashi scosse la testa sconsolato.
“Mi dispiace, non saprei dirlo. Nel nostro breve scontro non c’è stato nulla che lo lasciasse pensare. Ma…” esitò brevemente.
“Continua”.
“Secondo Sasuke, Naruto gli ha parlato di una presunta famiglia di ex-shinobi che l’ha allenato al chakra. Forse sono affiliati a un gruppo di altri nukenin” suppose.
“È la cosa più probabile” concordò il Sandaime. “Shisui non è solo ricercato da Konoha, ma anche dalla Nuvola e dalla Nebbia. Deve aver qualcuno che lo protegge dai cacciatori di taglie e lo tiene nascosto”.
“I miei ANBU lo scopriranno” garantì Danzo.
“Avviserò anche Jiraiya. Hai detto che Shisui indossava un mantello con nuvole rosse… Forse può dirci se ci sono state attività da parte di shinobi vestiti in questo modo”.
Kakashi si schiarì la voce. “Vorrei partecipare alle ricerche”.
Calò un breve silenzio alla sua richiesta. Danzo lo guardò con interesse, valutando davvero l’opzione. Kakashi, insieme agli Inuzuka, era sempre stato un buon ninja inseguitore; senza contare che era stato recentemente a contatto con l’odore di Naruto, ora poteva riconoscerlo meglio rispetto ai ricordi sbiaditi di quattro anni prima.
Ma Hiruzen scosse con decisione la testa.
“Hai la tua squadra a cui badare” disse gentile. “Hanno bisogno di te”.
Kakashi voleva dissentire, come da quando lo aveva ritirato da ANBU per farlo diventare un jonin-sensei; non era quello il suo ruolo. Come aveva ricordato Naruto, lui era Friends-Killers Kakashi, era il Segugio migliore di ANBU, l’ombra più letale che uccideva a sangue freddo. Era folle che Hiruzen pensasse fosse in grado di crescere dei bambini, era troppo rotto per farlo.
Tutto quello che voleva in quel momento era salvare il figlio di Minato, rimediare ad almeno una delle sue colpe.
Invece l’Hokage disse soltanto:
“Sei licenziato”.
E Kakashi lasciò la stanza.
 
 
**
 
Trovò Itachi al tempio Naka, proprio come suo padre gli aveva indicato.
Sasuke tentennò qualche secondo più del dovuto sulla soglia, provando un strano senso di inadeguatezza e titubanza davanti a quel luogo sacro, permettendo a Itachi di accorgersi da solo della sua presenza. Lo vide terminare la preghiera silenziosa e lasciare un’offerta, poi uscì verso di lui con un sorriso gentile.
“Sei tornato dalla missione” commentò stringendo gli occhi per la luce troppo forte in confronto alla penombra del tempio.
Con  grande fastidio di Sasuke, riuscì comunque a individuare il cerotto alla sua fronte e le bende alle braccia. Allarmato lo afferrò delicatamente per il viso iniziando a studiare la gravità del danno.
“Ti sei ferito?” chiese apprensivo e confuso.  Anche se erano usciti fuori dal Villaggio era ancora una semplice missione di grado D, del resto Sasuke era ancora un genin.
Il tredicenne sfuggì alla sua presa con un gesto stizzito e ribelle.
“Sto bene” si lamentò con superiorità. “Siamo stati attaccati, ma l’ho gestito”.
“Sei stato in ospedale?”
Lo incenerì con lo sguardo. “Ci ha pensato Himawari” rispose staccandosi con uno scatto nervoso. “Non è niente” sottolineò.
Itachi lo fissò intensamente e Sasuke odiò quello sguardo, perché suo fratello riusciva sempre a capire tutto quello che nascondeva.
“Cos’è successo?” chiese infatti.
Provò a resistere al suo sguardo serio e penetrante, ma alla fine si trovò a soffiare fuori la verità, anche se tutti – persino suo madre – lo avevano scongiurato di non farlo.
“Abbiamo incontrato… Shisui”.
Le sue parole ebbero un effetto immediato e riuscirono a strappare una reazione a Itachi, anche se fu solo un minimo irrigidimento, che solitamente riusciva sempre a essere illeggibile e imperturbabile.
Sasuke non sapeva perché Shisui avesse tradito il villaggio. Shisui non era un argomento che si parlava volentieri nel clan e ancor di più era tabù nella loro casa, visto il forte legame che c’era stato tra lui e suo fratello. Erano sempre stati inseparabili e Sasuke davvero non capiva perché Shisui avesse abbandonato Konoha, Itachi, diventando un nukenin.
A essere onesti, non ci aveva pensato poi molto da quando era diventato genin. Ormai era un adulto, un ninja, e aveva altro di cui pensare. Ma rivederlo dopo tutto quel tempo lo aveva destabilizzato.
“È stato lui ad attaccarti?” chiese Itachi dopo un lunghissimi silenzio. La sua voce era distaccata come al solito, anzi lo era più del solito.
“Sì… cioè, non proprio” esitò. “Ha reagito quando Kakashi-sensei ha provato a colpirlo. È stato un incidente”.
Sasuke non sapeva perché stesse giustificando il cugino scomparso, forse c’entrava in qualche modo l’affetto infantile ancora radicato in lui.
Itachi annuì. “Torniamo a casa” disse soltanto.
Era ovvio che non ne voleva parlare, che si trattava di una ferita ancora aperta, e sicuramente se si fosse morso la bocca e avesse ingoiato il rospo Itachi non avrebbe indagato oltre.
Ma Sasuke era troppo curioso.
“Mi ha detto una cosa” eruppe.
Itachi si voltò a guardarlo ancora, incoraggiandolo in silenzio a continuare. Sasuke corrucciò lo sguardo, come se stesse cercando di ricordare le esatte parole.
“Mi ha detto di chiedere a papà se ha ancora quell’ambizione” riportò, “mentre ha detto a Kakashi di chiedere se il Sandaime userà mai quell’ultima soluzione”.
Appena lo disse, Itachi si irrigidì visibilmente. Quello non era un buon segno e si rese conto che quelle parole criptiche avevano un significato pericoloso, talmente tanto da far preoccupare perfino suo fratello.
“Che cosa significa?” chiese quindi con determinazione.
“Non ne ho idea”.
Stava mentendo e realizzarlo gli mandò il sangue alla testa. Sasuke aveva quasi tredici anni, si era laureato all’accademia ed era un ninja con una sua squadra. Ormai era formalmente un adulto, Itachi non poteva continuare a trattarlo come un bambino ignaro.
“Sì che lo sai” lo sfidò. “Che cosa intendeva?”
“Te l’ho detto, non lo so”.
Fissò con odio la sua schiena che si allontanava e sbottò:
“Aveva un messaggio anche per te!” Attese che si fermasse prima di sibilare: “Ha chiesto se conosci il posto dove la tartaruga superò la lepre a mezzogiorno”.
Itachi si fermò, ma con le spalle voltate gli era impossibile riconoscere la sua espressione. Era solo ovvio che stesse guardando in basso, rigido con i pugni chiusi.
“Che cosa insensata da dire” commentò solo, pacato, come se quelle parole gli fossero scivolate addosso come acqua.
Sasuke non chiese altro e lo raggiunse al fianco. Quando arrivarono a casa nessuno sollevò più l’argomento Shisui.
 
**
 
Itachi incrociò le braccia al petto e si morse le labbra per non emettere un sospiro di pura esasperazione, sarebbe stato poco professionale visto che era rivolto al suo superiore. Guardò quindi con disapprovazione Kakashi intento ad allungare i muscoli delle gambe sul prato.
“Itachi, qual buon vento” salutò leggero, per nulla impressionato dagli occhi carbone che emettevano scintille.
“Senpai” disse l’undicenne Uchiha. “Dovevamo partire un’ora fa”.
I ritardi di Hatake Kakashi erano leggendari a Konoha, tutti sapevano come facesse perfino aspettare l’Hokage. Ma durante le missioni ANBU era sempre stato puntuale,  partendo dal cancello al secondo spaccato, soprattutto se tali missioni erano fondamentali per il villaggio. Era la prima volta che Itachi subiva un suo ritardo e si era anche sentito abbastanza preoccupato da cercarlo.
Invece era lì, con nessun vero motivo per mancare l’appuntamento.
“Senpai, cosa stai facendo?” insistette.
“Scusami, ma mentre venivo ho incontrato Gai” iniziò Kakashi e quando fu nominato l’altro jōnin di Konoha non poco distante alzò il pollice nella sua direzione, “e mi ha chiesto una sfida di velocità. Non potevo rifiutare, quindi eccomi qui. Partiremo non appena avrò finito”.
Itachi si sentì un po’ confuso, ma mantenne la sua espressione immobile e indecifrabile. Non conosceva bene l’Hatake, non all’infuori della squadra Rō almeno, e tutto quello che aveva erano le voci di corridoio degli shinobi che amavano spettegolare. Conosceva la sua tragica storia, del padre e della squadra, e aveva sempre visto la figura fredda e autoritaria che era nelle vesti da capitano.
Era la prima volta che lo vedeva senza ombre oscure negli occhi.
“Correrai davvero?” chiese senza pensarci troppo.
Kakashi gli lanciò un lungo sguardo laterale e Itachi notò il sorrisetto soddisfatto nascosto dalla maschera.
“Ovviamente. Resterai a fare il tifo per me?”
Non reagì alla domanda per domare l’improvvisa sorpresa, era da poco nella squadra Ro – era vero – ma quella era in assoluto la prima volta che Kakashi si mostrava così amichevole. Risolse di inclinare la testa all’indietro, lasciando che le ciocche di capelli neri cadessero oltre le sue spalle sulla schiena.
“Resterò e mi assicurerò che partiremo quando avrai vinto”.
Si accorse troppo tardi del suo errore, lo vide riflesso nello sguardo ironico e malizioso che Kakashi gli rivolse.
“Pensi che vincerò? Che carino, Itachi-kun!”
Si morse l’interno della guancia e si sforzò per non arrossire, per qualche motivo gli sembrava di essersi lasciato sfuggire qualcosa di troppo grande e lui doveva restare sempre controllato e calmo.
“In realtà Gai è molto veloce, forse più di me” riprese Kakashi con voce lamentosa. “Non so se posso farcela senza un portafortuna”.
“Un portafortuna?”
“Sì, da indossare nella gara, in battaglia. Nei libri tutti gli eroi hanno un portafortuna, un segno di affetto della loro persona amata”.
Itachi non riuscì a trattenere la curiosità.
“Hai una persona amata?”
Ma Kakashi non soddisfò la sua curiosità, si limitò a sospirare accentuando quella finta aria affranta.
“Dovrò correre senza… Perderò sicuramente senza un portafortuna, senza un supporto morale…”
Fissò Itachi a lungo e il ragazzino si ritrovò a sospirare rassegnato. Allungò una mano ai suoi capelli e sfilò l’elastico che li racchiudeva in una coda. I ciuffi lisci e scuri si allargarono sulle sue spalle e schiena, incorniciandogli delicatamente il viso magro.
“Questo può andare bene?”
Nonostante lo scherzo fosse stato imbastito da lui stesso, Kakashi rimase sorpreso ed esitò a prendere il semplice elastico, forse non si aspettava che sarebbe stato al gioco. Ma poi lentamente alzò la mano e prese il nastro, lo fece in modo circospetto come se si aspettasse che ritrattasse l’offerta. Alla fine se lo infilò al polso come un bracciale.
“È perfetto” garantì, glielo mostrò fieramente. “Con questo vincerò subito!”
“Spero” disse solo, cercando di essere il più freddo possibile.
Si voltò per andare a cercare un punto dove sedersi e poter allo stesso tempo guardare i due idioti sfidarsi, ma Kakashi lo richiamò gridando il suo nome.
“Cosa?” chiese rassegnato girandosi.
Il sorriso di Kakashi era perfettamente visibile anche se l’unica porzione di pelle scoperta era il suo occhio destro. Lo socchiuse mentre diceva:
“Sei molto carino con i capelli sciolti”.
Itachi voltò la testa, sperò abbastanza velocemente per nascondere il rossore. Sicuramente, se la risatina di Kakashi significava qualcosa, non era stato abbastanza veloce.
 
**
 
Lo stomaco vuoto era doloroso da sopportare, ma Kakashi ignorò i crampi della fame e continuò per la sua strada. Sapeva che il frigo nel suo appartamento era vuoto quanto il suo stomaco, che non avrebbe trovato niente da mangiare, perciò non lo sfiorava nemmeno l’idea di tornare a riposarsi nel suo appartamento. Così come non lo aveva sfiorato l’idea di fermarsi in uno qualsiasi dei tanti locali gastronomici che tappezzavano Konoha.
Aveva fame, ma non avrebbe mangiato.
Invece camminò finché la mezzanotte non passò e arrivò fino ai confini del villaggio, ai campi di allenamento speciali per ANBU. Nonostante fosse stato ritirato contro la sua volontà, conosceva ancora i sigilli per accedervi ad allenarsi. La cosa interessante di quei campi di allenamento era che, a differenza di quelli standard utilizzati anche dai genin, erano già presenti set di armi e non era necessario portare le proprie.
Kakashi studiò con attenzione l’offerta di spade corte presenti e scelse la più congeniale e bilanciata con i suoi movimenti. Era da quando aveva lasciato ANBU che non si allenava nel kenjutsu, gli avrebbe fatto bene sgranchirsi.
L’ora successiva fu riempita dai fendenti di Kakashi, dal rumore secco dell’aria che veniva tagliata da una lama velocissima e letale. I muscoli delle sue braccia cominciarono a tremare dopo poco, il sudore appiccicato sulla sua fronte e lo stomaco dolorante per l’assenza di cibo.
Continuò finché non percepì che qualcuno stava superando le barriere di protezione per entrare nel campo di allenamento. Istintivamente si irrigidì, ma poi si sforzò di non tendersi troppo e continuare con il suo katà. Poteva trattarsi di un qualsiasi ANBU insonne, venuto lì per allenarsi.
Si fermò del tutto però quando riconobbe la calda e rassicurante impressione di chakra. Abbassò la posa rigida e offensiva, i muscoli che gridavano bisognosi di uno stiramento dopo lo sforzo, e si voltò a guardare Itachi.
C’erano delle luci bianche al campo di allenamento, rischiaravano la notte abbastanza da rendere distinguibile l’Uchiha nell’oscurità. La sua pelle brillava pallida come la luna, ma i suoi abiti neri si abbinavano bene al buio circostanze.
“Sapevo di trovarti qui”.
Anche la sua voce bassa e roca era in perfetta sintonia con la notte tarda. Kakashi socchiuse gli occhi, vergognandosi un po’ di come bastasse il suono di quella voce a calmare parte del dolore.
“Sono così prevedibile?” domandò sforzandosi di scherzare.
Itachi teneva in mano un sacchetto di carta chiuso, prima di rispondere glielo lanciò contro e Kakashi riuscì a prenderlo al volo.
“Temo di sì” disse.
Aprì il sacchetto a sorrise fra sé vedendone il contenuto: dango, ovviamente.
“Se ti dicessi che non ho fame?”
Lo sguardo di Itachi era serio, per nulla scalfito dai tentativi di Kakashi.
“So che non hai cenato” rispose imperturbabile.
Certo che lo sapeva, pensò rassegnato. Itachi conosceva tutti i suoi meccanismi di coping: allenamento ossessivo, privazione di cibo e privazione di sonno erano solo alcuni punti della lunga lista di cattive abitudini che aveva sviluppato per rendere il senso di colpa più sopportabile. E come Itachi sapeva queste cose, Kakashi sapeva anche che niente che avrebbe detto avrebbe distolto Itachi dalla missione auto-imposta di prendersi cura di lui.
Con un sospiro quindi si arrese, rimise la spada al proprio posto e si stiracchiò un po’ per sciogliere i muscoli. Itachi ne frattempo era andato a sedersi sul prato che costeggiava il campo, in attesa che Kakashi facesse lo stesso.
“So che avresti preferito altro, ma il negozio dei dango è l’unico che resta aperto così tardi” si scusò Itachi.
“In realtà preferivo non mangiare” borbottò cupo, ma strappò un morso prima che Itachi gli ordinasse di farlo comunque. A dispetto delle sue parole, appena la lingua toccò la morbidezza di quei gnocchi dolci, i morsi della fame tornarono a pungolarlo. Dovette sforzarsi per non ingoiare ogni gnocco in un solo boccone.
Itachi non lo stava guardando, ovviamente, aveva distolto lo sguardo non appena si era abbassato la maschera rivelando il resto del suo volto. Itachi era sempre stato l’unica persona a non spingere o ideare piani strampalati per strappargli la maschera. Anche ora che era l’unico ad avere il permesso di vederlo completamente nudo, all’infuori dell’intimità gli lasciava il suo spazio.
Fu quindi lui ad approfittarne per spiare Itachi di nascosto, lo sguardo puntato sul suo profilo elegante, affilato, simile alla lama di un kunai. Altrettanto bello, altrettanto letale. I capelli ricadevano ai lati un po’ scarmigliati, arruffati dalla lunga giornata e dall’essere stati costretti per tutto il tempo nella solita coda bassa. I segni sul viso erano più marcati del solito, le occhiaie macchiavano le palpebre di colori violetti e, insieme alla piega abbassata delle labbra, davano un aspetto malinconico e stanco a Itachi. .
“Lunga giornata?” chiese, anche se la risposta era ovvia.
Le giornate di Itachi erano sempre lunghe e faticose. Anche se non era in ROOT, per qualche motivo era l’ANBU preferito di Danzo e il vecchio consigliere richiedeva sempre la sua presenza nelle missioni più delicate; inoltre l’Hokage gli aveva detto che era stato Itachi a scoprire che Mizuki era stato messo sotto genjutsu, quindi doveva aver partecipato alle ricerche e all’interrogatorio.
“La solita” rispose infatti con disinteresse.
Si arrischiò a voltarsi, per assicurarsi che Kakashi stesse effettivamente mangiando. Beccò l’uomo a fissarlo a sua volta, gli occhi fissi sui suoi. Aveva già finito tutti i dango, ma non dava cenno di volersi rimettere la maschera. Era sempre così raro riuscire a vedere l’intero volto di Kakashi e quando poteva farlo in un modo così semplice e spontaneo, semplicemente voltandosi, sentiva un calore allo stomaco che gli serrava la gola. Soprattutto quando abbassava gli occhi sulle sue labbra: ogni volta era come rivederle per la prima volta.
“Sasuke mi ha detto che avete incontrato Shisui” mormorò. “Mi dispiace”.
Kakashi ruppe il contatto visivo ed emise un lungo sospiro.
“Perché ti stai scusando? Non è successo per colpa tua. Dovrei essere io a scusarmi, non sono riuscito a fermarlo” puntualizzò amaramente.
“Dovevi proteggere la tua squadra” ricalcò senza rendersene conto le stesse parole del Sandaime.
“Sasuke è stato ferito”.
Seppe di aver colpito un nervo scoperto, lo sapeva ancor prima del piccolo silenzio che accompagnò le sue parole. Kakashi sapeva di essere importante per Itachi, ma sapeva con maggiore certezza che per lui niente era più importante di Sasuke. Sasuke sarebbe stato al primo posto in qualsiasi situazione, anche all’inferno, anche davanti alla sua stessa vita e dignità.
“È solo un graffio, almeno è quello che dice lui” rispose infine Itachi, imperturbato. “E si è offeso con chiunque si sia preoccupato. Sta bene, poteva finire peggio”.
Shisui del resto era lo stesso ragazzo che a quindici anni era riuscito a ferire Danzo e una sua squadra ROOT, anche se nel farlo aveva perso un occhio. Itachi si morse le labbra a quel pensiero, il ricordo di Shisui con il viso grondante sangue e le sue parole folli si mescolò a quello di Danzo davanti all’Hokage, mentre dichiarava che Uchiha Shisui lo aveva attaccato poco dopo che aveva mostrato delle rimostranze sul suo piano.
Sentì una fitta al petto, mai nella vita prima avrebbe pensato di valutare Shisui come un nemico. Ma ormai era quello che era diventato: un nemico della Foglia.
“C’era Naruto con lui”.
Le parole di Kakashi lo strapparono dai suoi tristi pensieri. Strabuzzò gli occhi e lo guardò incredulo.
“Davvero? È ancora vivo?”
Kakashi si accigliò. “Sasuke non te l’ha detto?”
“Sasuke è stato silenzioso tutta la sera. Tutto quello che ha detto sono stati scontrosi monosillabi alle domande di nostra madre” replicò amaro.
“Quindi non vi ha nemmeno detto che ha sviluppato lo sharingan?”
Se prima Itachi era rimasto sorpreso, ora rimase sconvolto. Guardò Kakashi come se stesse scherzando, ma l’espressione seria sul suo volto non dava modo di sbagliarsi.
“No, non ce l’ha detto…” mormorò triste, il cuore pesante.
Aveva sempre creduto che quando sarebbe arrivato il momento sarebbe stato il primo a cui lo avrebbe detto, che se ne sarebbe vantato con tutta la famiglia. Invece lo aveva tenuto segreto.
“Pensavo non vedesse l’ora di svilupparlo” considerò Kakashi, probabilmente arrivato alla stessa conclusione davanti a quella stranezza. “Invece è stato strano da quando è successo…”
“Pensi che Shisui possa avergli detto qualcosa a riguardo?”
Scosse la testa. “Shisui è arrivato quando c’ero anch’io, non hanno parlato dello sharingan. Ma ha passato  molte ore con Naruto, non vorrei che…” sospirò. “Non lo so”.
Itachi non rispose e rimasero in silenzio. Con il passare della notte si era alzato un vento leggero, ma in alta quota doveva soffiare con molta più forza. Le nuvole chiare si muovevano velocissime sul cielo inchiostro, passando sulle stelle e la luna come tende di vapore. Veloci e inafferrabili, proprio come…
“Non sono riuscito a farlo tornare”.
Itachi non si stupì che Kakashi avesse ripreso a parlare, né del tono incrinato. Gli provocò semplicemente un dolore al petto, perché era sempre doloroso vedere un uomo forte e potente come Kakashi soffrire e piegarsi al dolore. La scomparsa di Naruto era da sempre il suo punto debole, da quando era successo il fatto, proprio come il tradimento di Shisui era il suo.
“Era lì, davanti a me, sono riuscito ad afferrarlo… ma non è bastato. Se n’è andato, ancora”. Il respiro di Kakashi era raspante, come se stesse correndo quando stava solo cercando di arginare le emozioni negative che lo scombussolavano. “E sai la cosa peggiore? Non voleva venire, era terrorizzato alla sola idea. Terrorizzato da me”.
“Kakashi…”
“Sapeva di Rin. E della volpe. Ovviamente glielo ha detto Shisui, ma chissà cos’altro sa! Ora sa perché tutti lo odiavano, che cosa gli è stato fatto fin dal suo primo giorno di vita. Chissà… magari sa anche di suo padre”.
Itachi questa volta non tentò di interromperlo, perché la sola prospettiva sarebbe stata terribile. Naruto aveva molti motivi per odiare Konoha e quel che era peggio era che dentro di sé aveva un potere enorme, un potere che avrebbe potuto indirizzare contro Konoha. E a quel punto Kakashi che avrebbe fatto? Sarebbe stato disposto a combattere il figlio del suo amato sensei?
Se Shisui attacca ancora Konoha, cosa farò?
“Non è stata colpa tua” disse Itachi.
Il vento continuava ad alzarsi, probabilmente quella mattina sul presto avrebbe piovuto.
Kakashi emise un lungo e rumoroso sospiro, un sospiro che chiariva esplicitamente che pensava esattamente il contrario. In fondo Kakashi tendeva a colpevolizzarsi per ogni cosa, anche per ciò che non era sotto il suo controllo. Ma non disse niente, il momento di vulnerabilità era già passato e stava già domando la turbolenza negativa che lo aveva spinto a parlare. Era uno shinobi, gli shinobi fanno questo: sopportano il dolore e vanno avanti, proteggono.
“Maa, si sta facendo davvero tardi” considerò sforzando un tono leggero.
Itachi annuì. “Torniamo. È probabile che faccia più freddo questa notte”.
Abbassò gli occhi scuri, sentendo che Kakashi aveva allungato una mano per intrecciare le loro dita. Per tutta la conversazione erano stati seduti vicini, ma non si erano mai sfiorati; Itachi preferiva sempre aspettare che fosse Kakashi a prendere l’iniziativa. Una volta in missione aveva avuto la brutta idea di toccargli la spalla senza lasciarsi percepire e il capitano era scattato pronto all’omicidio. Erano in pace, ma una parte di Kakashi era ancora ancorata nella guerra.
Ricambiò il gesto, stringendo abbastanza forte da fargli capire che era davvero lì e che era tangibile, non un fantasma.
“Ti va… di restare da me?”
Itachi sorrise fra sé, consapevole fin dall’inizio che quella notte non sarebbe tornato al complesso Uchiha e andava bene così. Kakashi viveva un appartamento essenziale, con un solo e minuscolo letto, ma riuscivano sempre a incastrarsi su esso.
“Certo” disse dolce. “Ma domani mattina dovrò andarmene abbastanza presto”.
“Hai una missione?” chiese Kakashi.
Itachi non rispose subito, esitante.
“Una sorta…” ronzò infine.
Itachi, conosci il luogo dove la tartaruga superò la lepre a mezzogiorno?
 
 
 
 
Buon Halloween!
Mi sarebbe piaciuto pubblicare una storia a tema spooky, ma temo ci dovremo accontentare di questo nuovo aggiornamento. Finalmente Itachi! E la mia primissima scena KakaIta! Spero vi sia piaciuta <3
Grazie mille per le recensioni, ci vediamo al prossimo capitolo!
Hatta.

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Capitolo 7
*** Corvi feriti ***


 
Cap VI
Corvi feriti
 
 
 
Itachi sentì qualcuno sfilare il suo elastico con un gesto veloce e dispettoso. Istantaneamente, i capelli che era riuscito a tenere composti lontano dal viso scivolarono in avanti sulle sue guance e spalle, alcuni ciuffi coprirono anche gli occhi.
Sospirò esasperato.
“Shisui…” richiamò all’ordine, ma il cugino aveva già cominciato a passare le dita fra i capelli.
“Sciolti sono così belli” si giustificò, sentì la forma del suo sorriso mentre gli baciava la nuca.
“Per tenerli sciolti dovrei accorciarli” lo stuzzicò e la reazione fu immediata.
Si adattò come meglio poteva alle braccia forti che lo strinsero contro un petto solido.
“Non osare” ringhiò Shisui. “I tuoi capelli sono splendidi”.
Itachi trattenne a fatica una risata pensando al broncio che doveva aver messo su l’altro.
“Per favore, riordinali”.
Non dovette insistere più di tanto, con un borbottio contrariato Shisui fece come gli diceva. Riprese l’elastico e iniziò a pettinarli, racchiudendoli ancora nella coda bassa.
“Devo andare” disse quindi. “Kakashi-taichu mi aspetta”.
“Lo so” sospirò Shisui.
Itachi si alzò, nella penombra gli alberi filtravano malapena la luce della luna sulla radura e i contorni di Itachi si confondevano nella notte come una figura quasi eterea. La luna però illuminava la sua pelle, i capelli d’inchiostro e le placche dell’armatura ANBU. Era bellissimo, una visione. Shisui desiderò che restasse lì per baciarlo tutta la notte, parlare e accarezzargli la pelle scoperta delle spalle con la punta della dita, non osando desiderare altro, ma non potevano… Erano shinobi, avevano missioni più importanti e Itachi doveva partire.
Gli prese la mano, baciandogli le dita. Shisui aveva quasi quindici anni, Itachi dodici, era per entrambi il loro primo amore. Si sentivano come se fossero invincibili se insieme, inseparabili anche attraverso la distanza.
“Lo sai, siamo destinati” mormorò Shisui.
“Ancora con questa storia…”
“È vero” protestò con un sorriso. “I nostri indici sono legati insieme dal filo rosso del destino! È per questo che non ti lascerò mai”.
“È solo una favola, non essere stupido”. Ma al di là dei tentativi di Itachi di essere più serio, non riusciva a sciogliersi in un sorriso alle dichiarazioni esagerate del cugino.
“Non è vero, posso vedere il filo rosso. È una delle capacità segrete del Mangekyo” assicurò sorridendo brillante.
Itachi non resistette oltre e si piegò a dargli un piccolo bacio casto sulle labbra. riusciva a sentire la forma del sorriso dell’altro.
“Allora non mi resta che fidarmi di te” considerò. “Ora devo andare davvero…”
“Torna presto e salvo”.
Il ragazzo sorrise dolce. “Ovviamente”.
 
**
 
Il cartello con scritto La lepre e la tartaruga era inchiodato sbilenco sulla facciata della vecchia locanda al crocevia della Terra del Fuoco con la Terra dell’Erba. Quando durante la fine della Seconda Guerra Ninja il proprietario aveva fondato quella locanda, aveva assicurato con ardore che quello fosse l’esatto punto in cui la lepre della famosa leggenda si era addormentata, il punto in cui la tartaruga era riuscita a superarla.
Ormai era solo una baracca che si teneva insieme per miracolo, con il tetto spiovente ricostruito più volte e il legno consumato dalle tarme. Era così lugubre e sudicia che veniva usata molto raramente dai ninja di passaggio, era un ostello dimenticabile. Itachi probabilmente era l’unico di Konoha a esserci mai stato, insieme a Shisui, e anche allora erano stati spinti dalla disperazione. Pioveva a dirotto quella notte e Shisui era stato ferito molto gravemente, non potevano continuare e quella era stata semplicemente la locanda più vicina.
Era anche il posto dove un undicenne Itachi aveva avuto il coraggio di baciare per la prima volta Shisui. Era stato un contatto brevissimo di labbra socchiuse, da bambini innamorati, di cui conservava solo il sapore ferroso del sangue.
Itachi alzò gli occhi al cielo, guardando la linea del sole. Mancavano meno di tre minuti a mezzogiorno, era puntuale. Nel suo punto nascosto tra gli alberi, si tolse la maschera e nascose la propria divisa ANBU con anonimi abiti civili, trasformando anche il proprio volto per non essere riconosciuto. Rese comunque la sua henge molto debole, in modo che uno sharingan riuscisse a vedere attraverso essa.
Senza più esitazione, entrò nella bettola. Dentro c’era poca luce e così tanta polvere che gli fece arricciare il naso. L’odore nauseante di sudore, birra e cibo andato a male gli serrò la gola. Rispetto a molte altre locande in cui era stato sotto copertura, questa era poco frequentata. Gruppetti si erano girati sospettosi alla sua entrata, ma la sua henge li aveva tranquillizzati abbastanza da far tornare ognuno ai propri affari. C’era un gruppo che giocava a carte, la birra rovesciata sul tavolo. In un angolo un altro discuteva furtivo, talvolta lasciandosi sguardi sospettosi attorno. Per lo più erano solitari andati lì per ubriacarsi. Il barista puliva il bancone incrostato con uno straccio lercio, il petto villoso era esposto dalla camicia aperta. Erano tutte ombre poco chiare nella scarsa illuminazione.
Non molto igienico, pensò guardando gli insetti che ronzavano da un tavolo all’altro, posandosi sui piatti con resti di cibo.
All’improvviso sentì una presenza alle sue spalle, comparsa dal nulla, ma non riuscì a reagire in tempo. Una mano lo afferrò saldamente al fianco scoperto e un respiro si scontrò con il suo orecchio destro.
“Primo piano. Ultima stanza in fondo a sinistra” alitò Shisui prima di sparire com’era comparso.
Itachi emise il respiro che non si era accorto di trattenere. Senza muoversi si guardò attorno, nessuno sembrava essersi accorto di quel brevissimo scambio. E nessuno lo fermò, nemmeno il barista, quando si mosse verso le scale e iniziò a salirle. Nessuno gli diede attenzione, come se fosse perfettamente dimenticabile, e salì la rampa fino al primo piano. Arrivò fino alla porta indicata da Shisui, trovandola socchiusa.
Prese un lungo respiro, domando il nervosismo. Questa volta sarebbe andato fino in fondo, anche al costo di combattere. Shisui era pericoloso, aveva attaccato Sasuke, Kakashi e sicuramente era il vero committente del furto del Rotolo. Aveva superato il limite, dimostrando di essere una minaccia per Konoha. Non poteva tentennare.
Allungò quindi il braccio e aprì la porta con una spinta decisa, i muscoli tesi nel caso dovesse combattere.
La stanza rispecchiava coerentemente il resto della bettola: un pavimento sporco, mobili rovinati dalle tarme, puzza di muffa, un letto a baldacchino che cadeva a pezzi e il vetro delle finestre rotto. E al centro della stanza c’era lui.
Shisui.
 
“Shisui” mormorò senza fiato.
Era passato più di un anno dall’ultima volta che si erano incontrati di nascosto e i suoi riccioli si erano fatti più selvaggi. L’intera espressione di Shisui era più selvaggia, come di un animale scappato dalla cattività.
Itachi non cambiò espressione quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle da sola, tenne gli occhi fissi davanti a sé per studiare ogni mossa dell’uomo che aveva davanti.
Appena la porta fu sigillata, l’unico occhio rimasto si socchiuse, addolcendo l’intera espressione di Shisui.
“Itachi” ricambiò in tono basso, felice.
Bastava quel tono a farlo tremare, a scuotere la sua determinazione almeno in parte. Itachi dovette chiudere gli occhi e regolare il battito del suo cuore, odiandosi per l’improvvisa emozione che gli attorcigliava le viscere.
Questa volta non poteva andare come tutte le altre, si ricordò. Non lo avrebbe lasciato andare dopo aver approfittato di quel tempo rubato: doveva catturarlo.
Ma Shisui questo non doveva capirlo, non doveva sospettare nulla, perciò era meglio che almeno all’inizio si comportasse come al solito.
“Non è troppo rischioso questo posto?” domandò.
Shisui sorrise, incurante.
“Se non hai fatto la spia, nessuno arriverà. E i miei corvi stanno ispezionando il perimetro” garantì.
Annuì, mostrandosi rassicurato. Del resto se qualcuno a Konoha avesse scoperto che si incontrava clandestinamente con un nukenin lo avrebbero etichettato a sua volta come traditore. L’unico che conosceva quegli incontri era Danzo, visto che era stato proprio il vecchio consigliere a spingerlo a cercare Shisui e… lasciarsi andare. Itachi non aveva ben chiaro che cosa sperasse di ottenere Danzo da tutto ciò, visto che Shisui era sempre ben attento a non rivelare mai nulla sulla sua nuova vita. Ma sapeva anche che Danzo non faceva mai nulla a caso, c’era sempre un motivo e Itachi si fidava di questo.
Lasciò cadere la trasformazione, mostrando così le sue vere sembianze. Appena lo fece l’occhio di Shisui brillò e il cugino cominciò a camminare verso di lui.
“I tuoi capelli sono diventati ancora più lunghi” considerò con un sorriso.
“Anche i tuoi sono più ricci” replicò.
Itachi non si mosse quando Shisui gli fu praticamente di fronte, una mano allungata dietro la sua nuca, stringendo la coda di capelli lisci. Prima che se ne rendesse conto, aveva sfilato l’elastico e liberato i fili lucenti, che si allargarono attorno alla sua figura. Le dita di Shisui accarezzarono le lunghe ciocche libere, c’era una riverenza nei gesti che fece immobilizzare Itachi. Il secondo successivo lo stava baciando, le labbra premute contro le sue con una disperazione disarmante. La mano che tanto teneramente gli aveva accarezzato i capelli scese a cingerlo alla vita, aggrappandosi ai suoi fianchi con una forza tale che fece socchiudere la bocca a Itachi. Shisui ne approfittò subito di quella apertura, rese il bacio più intenso e bagnato, infilando la lingua in cerca della gemella. Itachi rabbrividì alla sensazione del muscolo umido che gli riempiva la bocca, che leccava le sue labbra e i denti. La sensazione accompagnata all’odore di Shisui, che non sentiva da così tanto – troppo – tempo, lo fece indurire all’istante.
Riaprì gli occhi, cercando di ricomporre la propria fermezza. Doveva farlo ora, prima che l’eccitazione prendesse possesso della sua mente e sbriciolasse la risoluzione che lo aveva portato fin lì. Inoltre Shisui in quel momento sembrava totalmente disarmato, in balia del bacio. Era vulnerabile, non poteva sperare in un momento migliore.
Attese solo qualche minuto, ricambiando il bacio e i gesti per non insospettirlo. In realtà si crogiolò nella sensazione, prendendone ogni momento come l’ultimo respiro. Ma capì che il momento era terminato quando Shisui spostò le mani dai suoi fianchi sul suo petto, partendo dalle clavicole per staccare i bottoni della blusa che indossava. Quello era il momento giusto.
Gli morse il labbro con forza e poi si allontanò lentamente dal viso dell’altro, lo sguardo vitreo. Shisui non lo rincorse, rimase paralizzato e abbassò lo sguardo sui proprio polsi improvvisamente ammanettati. Sulla catena erano impressi simboli di sigilli, posti per bloccare il chakra. Sembrava confuso di vederli.
Itachi si appoggiò al muro con stanchezza.
“Finiamola qui, Shisui” chiese.
Nel sentire il proprio nome, il nukenin alzò lo sguardo dalle manette che lo bloccavano e lo guardò in volto. Sorrise, ma quello stiramento di labbra era solo una pallida imitazione del vecchio e vero sorriso di Shisui. Non c’era nulla di giocoso in lui e i suoi occhi brillavano di una luce maniaca, che poteva aver acquisito solo dopo anni in mezzo alla feccia shinobi. Mise i brividi a Itachi.
“Oh, vuoi farlo così?” domandò con un tono di voce che era sporco quanto il suo sguardo, il suo sorriso.
Ma che fece tremare Itachi.
Cercò il proprio fiato per replicare, per fermarlo, mentre Shisui tornava vicino, le sue labbra questa volta sul suo collo. Itachi si vergognava ad offrirgli così spontaneamente quel punto vitale, fragile, sarebbe bastato così poco per ucciderlo. Appoggiò le mani sulle sue spalle e spinse con forza.
“Shisui, non fare resistenza. Ti sto riportando alla Foglia” disse con il tono saldo, nonostante il cuore che tremava.
Il cugino lo derise beffardo e, a dimostrazione di quanto lo stesse prendendo seriamente, lo afferrò per i fianchi e lo fece cadere sul letto vicino. Il materasso attutì la caduta di schiena, ma Itachi digrignò i denti al peso di Shisui su di lui.
“Certo” lo blandì, le mani che vagarono a infilarsi sotto i suoi abiti civili. “Esattamente come tutte le altre volte”.
Itachi contrasse lo sguardo. “No, questa volta per davvero”.
Sbuffò. “E cosa cambierebbe dalle altre volte?”
“Hai ferito Sasuke”.
Shisui si bloccò. Le sue mani si fermarono e alzò gli occhi a incontrare quelli dell’altro, le stesse iridi nere che si riflettevano le une sulle altre.
“Si era intromesso” disse, il tono molto più serio di un secondo prima.
“Feriresti anche me se mi intromettessi?”
Il silenzio durò a lungo mentre si fissavano, i visi ancora così vicini che i loro fiati si mescolavano. L’unico occhio di Shisui diventava più freddo man mano che il tempo passava. Poi la sua figura si sfaldò: divenne una macchia nera che si divise in tanti piccoli corvi dalle lucenti penne nere. Itachi riconobbe la tecnica che avevano inventato insieme e, libero dal peso che lo tratteneva sulla schiena, si mise seduto sul letto. Si guardò attorno, in attesa che Shisui comparisse ancora.
Sussultò quando la voce lo raggiunse proprio alle sue spalle.
“Dipende” disse. “Hai intenzione di catturare Naruto?”
Si voltò, trovando Shisui steso sull’altro lato del letto, le braccia sollevate mollemente dietro la testa. Non aveva le catene di sigilli, quello di prima doveva essere un clone e Itachi si maledì per esserci cascato così facilmente. L’unico occhio di Shisui era rivolto al soffitto sporco.
Quella domanda lo mise sull’attenti.
“È il jinchūriki del Kyūbi, è mio dovere come shinobi della Foglia riportarlo a casa”.
Fece una smorfia, l’occhio che si spostò a guardarlo con disprezzo. Quello sguardo lo ferì.
“Chiami casa una prigione dove tutti ti odiano e ti tengono a distanza, che aspettano solo il momento giusto per usarti come arma?”
Itachi arricciò il naso contrariato, quelle parole che suo malgrado affondarono nella mente. Ma accusò il colpo e replicò:
“Non sapevo che la sua condizione ti fosse così a cuore”.
Shisui contrasse le labbra, l’espressione che si fece molto più amara.
“No, l’ho ignorato come tutti gli altri” ammise. “L’ho capito dopo”.
Strisciò lentamente sul materasso, avvicinandosi alla figura distesa, lasciò lo stesso un po’ di spazio tra loro.
“Quando lo hai rapito” disse.
Io non l’ho rapito”.
Roteò gli occhi. “Va bene, allora quando ti ha seguito per abbandonare Konoha”.
Rise, apertamente. “No, non è me che ha seguito”.
Quella sottolineatura gli mise i brividi sulle braccia, ma la sua mente lavorò velocissima. Conosceva a memoria i rapporti sulla scomparsa di Shisui, sul suo tradimento. Itachi stesso c’era quando, per scappare da lui e gli altri ANBU, Shisui si era gettato nel fiume Naka ed era sparito a metà del salto, come se l’aria lo avesse inghiottito nel nulla. Tutti pensavano si fosse trattato di uno shunshin particolarmente riuscito, ma in quel momento a Itachi venne in mente quello che avevano descritto le pattuglie degli Inuzuka. Quella sera non c’era solo l’odore di Shisui e Naruto alle porte di Konoha, ce n’era un terzo: uno sconosciuto, che sapeva di conifere, cenere… ma che sembrava quasi sintetico.
Un terzo uomo, un complice.
Gli occhi di Itachi si acuirono, consapevole che si trattava della persona che aveva salvato Shisui dal suo salto suicida, la persona che aveva interesse nel rapire il jinchūriki.
“Chi?” chiese duro, inflessibile.
Shisui allargò il sorriso, uno stregatto inquietante con il suo unico occhio brillante. Si mise a sedere mentre una risata roca strisciava fuori dalla sua gola, con il suo gesto cancellò tutta la poca distanza che Itachi aveva tentato di mettere tra loro. Lo fronteggiò viso a viso, i loro nasi che si sfiorarono.
L’espressione folle lo spaventò, si preparò a combattere.
“Itachi…” mormorò, “lo ricordi ancora il nostro sogno? Il tuo sogno? Diventare lo shinobi più forte e in grado di decidere la guerra e la pace?”
Itachi annuì con un cenno meditabondo. Quello era ancora il suo sogno, il suo obiettivo e – sebbene Shisui fosse l’unico a conoscerlo fino in fondo – finalmente si stava davvero avvicinando nel compierlo. Ma il tono folle, affrettato e un po’ esaltato con cui aveva parlato lo mise in allarme. I suoi muscoli si irrigidirono in automatico, come se si trovasse prossimo a uno scontro.
“Lo ricordo” rispose, mantenendo la sua voce quieta.
Il sorriso di Shisui si fece ancora più folle.
“E se ti dicessi che esistono già delle persone così? Shinobi con così tanto potere da essere dei, in grado di poter avere la gestione completa della guerra”.
Itachi si turbò ancor di più, era sicuro non stesse facendo riferimento ai Kage delle Cinque Nazioni Ninja.
“Dubiterei della loro esistenza, altrimenti lo starebbero già facendo” commentò placido.
“Il progetto è ancora in fase di sviluppo”.
“E questo progetto consiste nel rubare i Jinchūriki ai villaggi?”
Shisui alzò gli occhi al cielo, visibilmente esasperato.
“Non rubare, non sono oggetti che si possono rubare” ringhiò. “Naruto è venuto con noi perché lo voleva”.
“Avete manipolato un bambino” insistette.
“No, gli abbiamo detto la verità e lui ha scelto”.
Questo confermava il rapporto di Kakashi, dove presentava il bambino consapevole della sua situazione… Ed era stato qualcuno a rivelarglielo e solo qualcuno interno a Konoha poteva averlo fatto. Ma non Shisui, visto che aveva ammesso di essersi interessato al Jinchūriki dopo la fuga. Chi altro aveva tradito in quel modo il villaggio? Oscurò lo sguardo, sempre più turbato da quello che scopriva.
“Voi chi?”
Shisui tornò a sorridere inquietante. “Una nuova alba per il mondo”.
“Chi sono questi dei che hai nominato?” insistette.
“I mostri che i villaggi hanno creato”.
Le risposte sibilline gli diedero i nervi, strinse le mani sulla stoffa del letto per resistere all’impulso di attaccarlo e trascinarlo con la forza a casa. Combattere con Shisui non era facile, più di una volta era stato sconfitto dal cugino, doveva giocare in astuzia e pensare, restare lucido. Doveva avere più informazioni possibili.
“È per controllare quei mostri che hai rubato il Rotolo Proibito?”
La faccia del più grande si fece indifferente. “Non so di che parli. Non ho rubato nulla”.
“No, tu no. Ma Mizuki per tuo conto sì”.
Shisui mantenne l’espressione per molti secondi, guardandolo quasi senza sbattere le palpebre, ma Itachi non demorse e non distolse lo sguardo. Sapeva che era opera sua e sapeva anche perché lo aveva fatto, gli serviva solo una conferma.
E quella arrivò, quando alla fine Shisui voltò il viso e ghignò. “Beccato”.
Forse in cuor suo aveva sperato continuasse a negare, perché quell’ammissione gli appesantì il cuore e ostruì la gola. Shisui aveva abbandonato Konoha, ma in quei quattro anni non aveva mai fatto nulla contro il villaggio… quella presa di posizione lo segnava come insalvabile, nessuno del Consiglio lo avrebbe più perdonato.
“Volete liberare il Kyūbi…” mormorò incredulo.
“No!” contraddisse con forza. “Vogliamo solo dare a Naruto il potere necessario per difendersi”.
“Quel rotolo contiene il sigillo che gli impose lo Yondaime. Volete capire come toglierglielo”.
“Migliorarlo” corresse digrignando i denti.
A Itachi stava venendo la nausea. I Bijū garantivano l’equilibrio tra nazioni, erano un monito che scoraggiava i villaggi ad attaccarsi direttamente fra loro. Fino a quel momento Konoha aveva fatto un buon lavoro a nascondere di aver perso il proprio, ma se volevano davvero che Naruto iniziasse a usare il potere del Kyūbi presto le voci sarebbero corse… Konoha sarebbe stata attaccata, privata com’era della sua più grande arma difensiva.
“Perché?” domandò a fatica.
“Perché voglio la pace, ‘Tachi. È quello che vuoi anche tu, era il tuo sogno”.
“L’unica pace possibile è con Konoha”.
Shisui derise la sua convinzione. Un suono stridulo e sgraziato che gli fece accapponare la pelle. Era già successo che nei loro incontri clandestini si parlassero, ovviamente, ma solitamente Shisui aveva evaso ogni sua domanda, rispondendo con prese in giro e cambiando argomento. Era la prima volta che si parlavano davvero ed era terribile quello che stava venendo a scoprire.
“Konoha è corrotta, come tutti i villaggi. Non potrà mai esistere la vera pace con questo sistema shinobi”.
“Fai gli stessi discorsi che Madara fece a suo tempo” protestò, volendogli ricordare che cosa era poi successo al vecchio capo clan, ma si interruppe vedendo lo sguardo di Shisui illuminarsi.
“Forse è stato lui ad aprirmi gli occhi”.
Itachi rimase con la bocca socchiusa, come colto da una realizzazione che non era sicuro di aver compreso pienamente. La sua portata sarebbe stata troppo vasta e Madara era stato ucciso dallo Shodaime. No, le parole di Shisui dovevano essere state apposta ingannevole per confonderlo. Tentò di riprendersi, la mente analitica che veloce cercava di tratte conclusioni e risultati.
Un ammiratore di Madara, forse? Un altro Uchiha? Non c’erano Uchiha traditori oltre Shisui, non esistevano e basta.
Prese un lungo sospiro dal naso. “E come te li ha aperti?”
“Mi ha mostrato il marcio di Konoha. Quello che sapevo già esistere, ma che ho ignorato. Lo stesso che stai ignorando tu ora”.
“E questo quando sarebbe successo? Da quando progettavi di tradirmi?” domandò, provando a spostare l’attenzione su un piano più personale per farlo parlare.
Itachi voleva ottenere di più, cominciava a essere esasperato da queste mezze risposte. Anche se stava ottenendo informazioni, Shisui era comunque abile nel nascondere chi ci fosse dietro al gruppo a cui si era unito. Non poteva andare avanti solo per supposizioni, doveva fargli fare un passo falso.
“Ho deciso di andarmene il giorno in cui me ne sono andato” rispose addolcendo il tono. “Prima di allora il pensiero non mi aveva mai sfiorato. Sai che ti amo, che odia starti lontano”.
Itachi si morse la guancia, restando ferito da quella confessione nonostante la sua dolcezza.
“Ma te ne sei andato. Chi ti ha convinto a farlo?”
“Lo sai chi: Danzo!” sbottò.
Sorvolò su quell’accusa, conoscendo fin troppo bene il rancore che provava verso il vecchio consigliere visto che era stato lui a sventare il suo piano ai danni del villaggio.
“Ma sapevi con chi andare quando sei fuggito” insistette. Indurì lo sguardo. “Qualcun altro doveva averti messo la pulce nell’orecchio, lo stesso che ora tiene te e Naruto”.
Shisui sorrise. “Solo un bravo ragazzo, un vecchio amico. Vediamo le cose dalla stessa prospettiva” rise picchiandosi la benda che nascondeva l’occhio mancante, come a fare una battuta.
“E chi sarebbe?”
“Nessuno”. Allargò il sorriso. “È così che ti risponderebbe”.
“E tu come mi risponderesti?”
“Che è meglio per te non ficcarci il naso, non sono affari tuoi”.
Qualcosa dentro di lui ruggì a quella frase brusca. Chiuse gli occhi per dominarsi e faticò a mantenere la voce salda.
“Sono affari miei, visto che ti ha portato via da me”.
Shisui gli prese la mano. Sussultò e tornò a guardarlo, l’occhio del cugino era dolce e pieno di desiderio.
“Vieni con me, allora” mormorò e per un momento gli sembrò lo stesse supplicando.
Itachi provò l’impulso di strappare la mano, ma rimase nella sua presa gentile. Shisui intrecciò le loro dita, accarezzando nel frattempo il dorso, i tendini in rilievo e i calli.
“Vieni con me” ripeté. “Lasciamo tutto questo, insieme noi due non dovremmo temere nulla”.
Itachi corrucciò lo sguardo. “Non posso”.
Si aspettava quella reazione, ma l’infiammarsi dell’occhio di rosso fu comunque violento e la sua risposta risultò aspra alle orecchie.
“Perché no?!”
“Sasuke” mormorò senza aggiungere altro.
La risposta sembrò acquietare Shisui. Sapeva da sempre quanto il fratellino fosse importante per lui, che sarebbe venuto sempre prima di qualsiasi cosa. Forse sapere che era più per quello che per la fedeltà a Konoha era quasi rassicurante. Certe cose non cambiavano mai.
“Potrebbe venire anche lui” propose e c’era davvero una nota speranzosa nella sua voce. “Farebbe compagnia a Naruto”.
Scosse la testa. “No, Shisui. No. Non verrò mai con te”.
Lasciò andare la sua mano e Itachi sentì uno strano sentimento di vuoto, lo stesso vuoto che vedeva ora nello sguardo di Shisui. Ma dovevano essere realistici, Itachi era uno shinobi di Konoha e non l’avrebbe mai tradita.
E aveva una missione.
“Chi sono i tuoi alleati, Shisui?” domandò senza giri di parole.
La domanda risuonò fin troppo tranquilla nel silenzio creato, ma Shisui reagì brusco. Si alzò da letto e iniziò a camminare per la stanza, gesticolando con un braccio.
“All’inferno. Te l’ho già detto: mostri che avete creato, proprio come me”.
“Nukenin, quindi”.
Non era una vera sorpresa, ma la sua costatazione sembrò far infuriare il più grande. Ebbe quasi la sensazione che nella rabbia i ricci si gonfiassero ancor di più.
“Comodo chiamarci così. Ma siamo solo armi che avete gettato via una volta rotte!”
Itachi sentì a sua volta la rabbia risalire per la gola, la frustrazione e l’indignazione scorrere per le vene e i percorsi di chakra. Per quell’accusa faticò a trattenersi dal no mostrare lo sharingan.
“No, non ti abbiamo gettato via” disse e si accorse del rancore nella sua voce troppo tardi, ma non si fermò. “Sei tu che ci hai abbandonati!”.
“Non avevo scelta, mi stavate dando la caccia! Danzo mi ha strappato l’occhio!” sbraitò indicandosi l’orbita vuota nascosta dalla benda.
“Perché tu l’hai attaccato”.
“Io non l’ho fatto” gridò, la mano che si aggrappò al viso come a nascondere il lato sfregiato. “Stavo cercando di risolvere le cose, ma Danzo voleva che facessi a modo suo”.
“Volevi metterlo sotto genjutsu con Amatsukami” gli ricordò furioso che continuasse a negare la sua colpevolezza.
“No, sarebbe stato tuo padre quello a finire sotto genjutsu!”
Lo guardò incredulo. “E questo come dovrebbe farmi sentire meglio?!”
“Preferivi la soluzione di Danzo? Voleva sterminare il clan!”
“No” lo contraddisse con la voce spezzata. “Lui ha evitato che avvenisse la strage, ha salvato il clan e il villaggio”.
Shisui si bloccò e lo guardò. Il suo sharingan brillava ancora, con i tomoe che roteavano così veloci da sembrare impazzati. Alla fine stirò le labbra in un sorriso beffardo.
“Stai scherzando. Quel vecchio ci odia”.
Scosse la testa. “No, era solo preoccupato per il villaggio. Ma ha trovato la soluzione…”
L’espressione scettica e sprezzante del ragazzo più grande dimostrava quanto poco ci credesse, quindi Itachi prese fiato e gliela disse prima che potesse interromperlo. Ma man mano che parlava, la reazione di Shisui alla soluzione trovata fu di evidente disgusto. Impallidì e sgranò l’occhio, guardandolo incredulo, il gelo impresso sulla sua bocca socchiusa; lo sconvolgimento era tale che lo guardò in silenzio anche quando finì.
“Tu… stai scherzando” disse alla fine, il tono raggelato. “Non hai accettato, non…”
“L’ho fatto” disse, suo malgrado ferito da quell’atteggiamento.
Non si aspettò di vedere Shisui consumare lo spazio che aveva messo tra loro e tornare sul letto, così velocemente che credette avesse usato uno shunshin. Lo prese per le mani, quasi strattonandolo.
“No!” disse ed era disperato. “Itachi, che cos’hai fatto? Perché hai accettato?”
“Perché era l’unica soluzione. Abbiamo fermato il colpo di stato senza una goccia di sangue” gli fece presente, poi aggiunse con un sorriso triste. “Alla fine anche in passato i problemi si risolvevano così, no?”
“Perché, ‘Tachi?” ripeté Shisui come se non lo avesse sentito. “Perché tu?”
“Sono il figlio del capoclan” replicò placido. “O io, o Sasuke. Meglio io”.
Scosse la testa, come se stesse cercando di cacciare via quel pensiero.
“No, zia Mikoto non può aver accettato… sei suo figlio!”
“Va bene”. Il tono calmo era un contrasto stridente contro le proteste disperate. “Il sacrificio di qualcuno nell’ombra per salvare molti. È questo che significa essere shinobi, non è quello in cui credevi?”
La ferocia tornò nel viso di Shisui, strinse con forza le mani fino a fargli male.
“Il mondo shinobi è malato” ringhiò. “Credo in questo adesso, che l’unico modo per aggiustarlo sia distruggerlo. Così feccia come Danzo smetterà di esistere. Non ti rendi conto che vuole solo usarti?!”
“E va bene” proclamò. “Farò quel che devo per salvare il villaggio e il clan”.
“Anche combattermi?” lo sfidò.
Si fissarono in un silenzio teso e pesante. Itachi aveva la risposta sulla punta della lingua, del resto era venuto fin lì con un obiettivo preciso ed era da prima che cercava di fargli capire la sua intenzione. Shisui non lo aveva preso sul serio, ma ora lo stava facendo e dirlo avrebbe avuto molta più importanza. Avrebbe segnato una linea e la sentiva già come distruggeva il suo cuore.
“Sì”.
Shisui lasciò andare le sue mani e distolse lo sguardo. Si aspettava dicesse altro, invece rimase in silenzio a mostrargli il profilo. A guardarlo Itachi si sentì male, i suoi occhi bevevano ogni lineamento con avidità consapevole che non ci sarebbero stati altri incontri. Aveva appena segnato una linea.
Una linea che avrebbe dovuto marcare molto tempo prima. Forse avrebbe fatto meno male, si sentiva sanguinare fin dentro il profondo.
Eppure, nonostante il suo dolore si sorprese nel vedere Shisui arricciare le labbra e poi scoppiare a ridere. Freddo, folle e spaventoso, rizzò i peli sulla nuca di Itachi. Percepiva il chakra ribollire nell’altro, la sua forza che vibrava sottopelle spaventosa e potente. Stava per attaccare, ma la risata ormai disperata lo destabilizzò abbastanza da non riuscire a reagire in tempo. Le successive parole di Shisui non fecero che congelarlo ancor di più.
“Va bene, sì… l’ho sempre saputo, in fondo”. Alzò il viso e Itachi trattenne il fiato nel vedere la scia di lacrime sulla guancia dell’occhio sano. “Non eri qui per me. Hai sempre solo voluto incontrarmi per avere informazioni, usarmi. Forse uccidermi?”
Lo guardò sconvolto. “Shisui…”
“Mi hai mentito quando hai detto che mi amavi?”
Itachi sgranò gli occhi. “No!” protestò. “Io ti amo!”
Non sapeva cosa si aspettava nel dirlo, forse avrebbe dovuto mentire e basta… Shisui non cambiò la sua espressione, lo guardò sempre più disperato e rassegnato.
“Capisco, quindi è questo che ti ferma. Per questo non sei mai riuscito a uccidermi”.
La disperazione stava cominciando a macchiare anche Itachi. Voleva gridargli che stava fraintendendo, mai una sola volta Danzo gli aveva ordinato di assassinare Shisui, il suo compito era solo tenere traccia dei suoi movimenti e obiettivi.
“Non ti ucciderei mai” gli sfuggì.
Sussultò nel sentire una mano sfiorargli la guancia. Era rimasto così fisso sul volto di Shisui da perdere i movimenti delle sue mani.
“Questo è un problema per il migliore shinobi di Konoha…” considerò Shisui, la voce dolce. “Rimediamo”.
Itachi sgranò gli occhi, accorgendosi perché finalmente stesse richiamando così tanto chakra. I tomoe continuarono a ruotare nell’iride vermiglia fino a mostrare una figura geometrica.
“Shisui, no…!” supplicò.
Amatsukami”.
 
 
 
 
Oddio guardate chi è tornata!
In realtà nemmeno io ci speravo più, ma per questo capitolo mi aveva preso un blocco dello scrittore assurdo che non riuscivo a superare. Ogni volta che aprivo il documento finivo per non scrivere neanche una parole, restava fermo a metà. Alla fine oggi mi sono imposta di farlo e ho deciso di fare diversamente da come programmato. Per dirvi avevo in mente una scena nsfw qui, ma nada, non riuscivo proprio a scriverla RIP
Anche il finale non mi convince, molto melodrammatica. Ma in fondo gli Uchiha sono melodrammatici, devono fare le reginette del dramma appena possono quindi in fondo ci sta (e non voglio rischiare di entrare in un altro blocco per cambiarlo, già).
Buone notizie? Il prossimo capitolo è un po’ scritto (anche se è immenso) ed è incentrato su Obito e Naruto, che come sapete non ho problemi a scrivere di quei due. Forse riuscirò a farcela ;___; ma non voglio darvi false speranze.
Spero che qualcuno sia rimasto fino a qui. E nel caso vi/ti ringrazio di cuore T_T
Un bacio!

 

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Capitolo 8
*** Averne cura ***


Cap VII
Averne cura
 
 
 
 
Tra tutti i posti in cui poteva nascondersi, Madara… Tobi… Obito (chi era? Perché non lo sapeva più?) non capiva perché avesse proprio scelto la scultura di pietra del Quarto Hokage che sovrastava Konoha. Una celebrazione in lutto attraversava la via principale del villaggio, verso il cimitero. Era il 10 Ottobre, il giorno dell’attacco, della morte del Quarto Hokage. Da lì il Villaggio sembrava così piccolo e debole, ignaro della minaccia che si trovava ancora una volta su di lui.
Ma Obito era davvero una minaccia arrivati a questo punto? Cosa serviva attaccare questo mondo, prendere vite e versare sangue? Non c’era nessun riscatto, nessun paradiso che poteva realizzare.
Zetsu gli aveva mentito.
Le tavole erano manomesse, qualcuno aveva riscritto sopra gli antichi insegnamenti inventando una favola per gli sciocchi. Sciocchi come Madara, che avevano creduto all’impossibile: la pace non esiste, non può nemmeno essere creata con un’illusione. Ancora non capiva come il vecchio e potente Uchiha non si fosse accorto del tranello, a Obito era bastato osservarle con il Mangekyo per vedere che sotto il sottostante c’era un altro significato. Era un bene che Minato gli avesse insegnato quella lezione, forse era per quello che – tra tutti i posti – era andato a nascondersi in ciò che restava dell’ex-sensei.
Un movimento alle sue spalle gli fece capire che non era stato l’unico a scegliere di nascondersi lì.
Fulmineo afferrò uno shuriken e lo lanciò alle proprie spalle. L’arma si conficcò sul terreno, ai piedi di un bambino, che dallo spavento cadde all’indietro e singhiozzò.
“Non ho fatto niente, non è colpa mia!” gridò con le lacrime agli occhi. “Quindi lasciami in pace, dattebayo!”
Obito sbatté le palpebre, insicuro su come agire per la prima volta da quella che pareva un’eternità. Conosceva quel bambino, lo aveva tenuto in braccio nel momento esatto in cui era nato, perfino prima dei suoi genitori. Mentre il silenzio si allungava notò i lividi sul volto minuto, le ferite stavano già iniziando a guarire ma erano ancora arrossate sulla pelle, segno che era stato picchiato di recente.
“Chi è stato?”
Si bloccò nel sentire il suono della sua stessa voce, si stupì di come uscisse ruvida e roca, come se la sua gola fosse consumata.
Il bambino, Naruto se ricordava lo stupido nome che sensei aveva dato a suo figlio, lo studiava come se fosse una potenziale minaccia.
“E a te che ti frega”.
“Chi?” insistette e non capì nemmeno perché fosse così importante. Si accorse solo che la sua rabbia stava crescendo, ribollendo nelle vene, e non si preoccupò nemmeno di sopprimerla. Sentì il desiderio di incendiare ancora una volta Konoha.
“Nessuno, va bene!” scattò Naruto sulla difensiva.
“Dimmi chi è stato”.
“I senpai all’Accademia!” gridò all’improvviso, ma la rabbia durò solo un secondo. Le sue spalle si piegarono sconfitte e abbassò lo sguardo, lacrime caddero dai suoi occhi. “Sei contento, dattebayo?!”
Non rispose, scosso dalla risposta che conosceva già. Si sedette sulla testa di pietra, la calma apparente che nascondeva una tempesta che infuriava piena di odio dentro di lui.
Non capiva questo mondo, non l’avrebbe mai capito.
Come potevano celebrare il giorno della morte dello Yondaime picchiando la sua eredità? Naruto era solo un bambino eppure avevano alzato le mani contro di lui.
Questo era l’errore del mondo, ciò che avrebbe dovuto correggere con il piano dello Tsuki no Me.
Se solo Zetsu non gli avesse mentito per tutto quel tempo.
Si accorse che Naruto si era asciugato le lacrime e ora lo guardava curioso. Quello era il giorno del suo ottavo compleanno, eppure sembrava così minuto e scheletrico, molto più piccolo della sua reale età.
“Perché indossi una maschera?” chiese facendo un passo avanti.
Obito non rispose.
“Sei comparso all’improvviso, come hai fatto? Sei uno shinobi?”
Scrollò le spalle.
Allargò un sorriso sdentato. “Anch’io diventerò un ninja. Diventerò perfino Hokage, credici!”
Sussultò nel sentire il suo stesso vecchio sogno e gli fu così facile capire perché lo stesse dicendo. Se lo fosse diventato tutti lo avrebbero notato, lo avrebbero ammirato e non picchiato.
“Sarò l’Hokage più migliore” continuò illuminandosi sempre di più, come un piccolo sole. “Sarò così migliore che tutti mi ammireranno! E i bambini al parco giochi vorranno stare con me! E nessuno dirà che sono un mostro! E la vecchia dell’alimentari non mi urlerà contro e comprerò dai negozi e…”
“Non puoi compare dai negozi?” lo interruppe. La sua voce risultò calma, distaccata.
Naruto fece un passo indietro e distolse lo sguardo, dimenandosi un po’ per il disagio.
“No, mi cacciano” spiegò.
“Nemmeno da mangiare?”
Annuì. “Però Ichiraku-san mi dà sempre il ramen, adoro il ramen, il suo ramen è il migliore del mondo, è il più buonissimo, ogni volta…”
Non lo stava più ascoltando, la rabbia era tornata prepotente come uno tsunami, si sentì bruciare fino alla cenere da essa. L’odio per questo villaggio insulso, per quell’intero sistema… sembrava destinato a non finire mai. Tutto quello che voleva fare era distruggere.
“Ehi, non mi hai detto come ti chiami!”
Tornò con lo sguardo sul bambino. “Non ho un nome” rispose.
“È impossibile, dattebayo, chiunque ha un nome!” si indignò.
“No, io non ho nessun nome, perché non sono più nessuno”.
Non era nemmeno più Madara, non dopo quello che aveva scoperto, non dopo essersi reso conto che quel sogno era solo il delirio di un vecchio pazzo manipolato. Aveva perso ogni scopo ormai.
Naruto lo toccò, si aggrappò al suo braccio e strinse così forte da farlo sussultare. Improvvisamente  in panico se lo scrollò di dosso e si alzò, mise spazio tra loro.
“Che cosa stai facendo?!”
“Ti ho toccato” rispose serio come solo un bambino può esserlo. “Se ti ho toccato vuol dire che sei qui, sei qualcuno, non puoi essere nessuno. Quindi devi avere un nome!”
Non riuscì a gestire o decifrare l’improvvisa ondata di emozioni, era talmente disabituato a qualcosa del genere che si agitò. Fece un passo indietro mentre Naruto continuava cocciuto:
“Inoltre solo i fantasmi sono nessuno e tu non puoi essere un fantasma perché i fantasmi mi fanno paura e invece tu non mi fai paura!”
Dovresti averne.
“E…E…” questa  volta parve esitare, in imbarazzo, ma strinse i pugni. “E sei stato gentile con me, mi hai ascoltato e quindi non sei nessuno ma sei qualcuno perché sei mio amico!”
Una contrazione al petto lo fece ansimare. Sgranò l’occhio nel rendersi conto che era il cuore.
Amico.
L’ultima persona che gli aveva rivolto quella parola era stata Rin.
Provò l’istinto di allungare una mano e toccarlo a sua volta, ma non ci riuscì, si sentiva senza fiato nei polmoni. Fece un passo indietro, scosso da tutto quello.
“Io… sono…” Si sentiva la gola stretta, il cuore che batteva doloroso dopo tutto quel tempo di vuoto. “Obito”.
Il nome sembrava estraneo alla sua bocca dopo così tanto tempo a non pronunciarlo, dimenticarlo. Ma Naruto sorrise.
“Io sono Uzumaki Naruto!” gridò. “Futuro Hokage, dattebayo!”
Non riuscì a rispondere nulla, nemmeno a sorridere, la stretta al suo petto era sempre più soffocante.
“Io… devo andare. Non dirlo a nessuno. Non dire a nessuno che mi hai visto. Tonerò. Tu… non dirlo a nessuno”.
Naruto lo guardò incuriosito. “È un segreto?”
“Sì, un segreto” assicurò. “Io…”
“Tornerai” completò per lui il bambino, sempre più felice. “Va bene, manterrò il segreto dattebayo!”
Sparì in kamui con impressione di quell’ultimo accecante sorriso.
 
 
**

Naruto sbirciò attentamente l’interno della stanza. Non si vedeva nessuno, era completamente vuota. Al contrario vide una grossa pergamena su un tavolo. Doveva essere quella che lui e Shisui dovevano recuperare, quella che conteneva la informazioni sul suo sigillo.
Sicuro di essere solo scivolò dentro la stanza e richiuse la porta alle spalle.
Moccioso, ti caccerai in grossi guai, borbottò una voce cavernosa nella sua testa.
Non sussultò, riconoscendo il Kyūbi che, come al solito, stava dando consigli non richiesti.
“Non mi beccheranno, dattebayo” lo rassicurò. “Sono stato attento”.
Afferrò la pergamene, iniziando a srotolarla dall’inizio. Aveva un piano e tutta l’intenzione di metterlo in pratica. Il motivo per cui Obito e gli altri erano così riluttanti a lasciarlo andare in giro era la sua debolezza, non conosceva tecniche shinobi incredibili come loro e anche nell’ultimo scontro… era stato sopraffatto così facilmente! Ma le cose non sarebbero rimaste così. Avrebbe imparato delle tecniche pazzesche, così incredibili che Obito avrebbe dovuto riconoscere che ormai era uno shinobi fatto e finito e non aveva più bisogno della loro protezione. Anzi, poteva essere lui a proteggere loro, avrebbero combattuto insieme.
Tutti i buoni propositi però svaporarono quando vide la prima tecnica segnata sulla pergamena.
“Bushin?!” sbottò mettendosi le mani nei capelli. “Perché proprio la tecnica in cui sono più negato?!”
Sei negato perché non hai un briciolo di controllo sul tuo chakra, moccioso, borbottò la volpe, sempre di grande supporto.
“Non ho controllo del chakra per colpa tua!” replicò stizzito.
Umpf, tutti i miei altri Jinchūriki prima di te non hanno avuto questo problema.
“Perché loro avevano degli insegnati che sapevano come addestrare un Jinchūriki!”
Adorava i ragazzi dell’Akatsuki, ma era ovvio che nessuno sapesse da che parte girarsi con lui e il chakra del kyūbi (in fondo era per quello che avevano rubato il Rotolo Proibito) ed era molto sicuro che la strategia di Hidan di inseguirlo con la sua falce spronandolo a sopravvivere non fosse vero allenamento.
Da parte del Kyūbi ci fu un lungo silenzio, in cui Naruto guardò sconfortato la pergamena. Forse poteva passare alla tecnica successiva?
Aspetta, questo è Kage Bushin, obiettò la volpe.
“E quindi?”
E quindi, moccioso, forse riusciamo a tirarci fuori qualcosa di buono…
 
 
**
 
Itachi aprì gli occhi di scatto. Prima che potesse realizzare pienamente il luogo in cui si trovava aveva sfoderato un kunai e il suo sharingan brillava a scrutare la stanza.
Era ancora nella locanda ed era solo.
Sospirò, sconfortato. Doveva essersi addormentato mentre aspettava Shisui – che errore da principiante – ma a giudicare dalla luce del sole che entrava dalla finestra dovevano essere passate ore dall’orario dell’incontro. Non era in ritardo, come aveva pensato all’inizio, non era proprio venuto. Forse aveva saputo che qualcuno aveva fatto la spia, che Itachi aveva ricevuto una soffiata che prevedeva il suo passaggio in quella locanda. O forse la soffiata era falsa, la spia che gliela aveva rivelata del resto non era molto affidabile. Perché mai Shisui avrebbe dovuto andare in quella catapecchia dimenticata dal mondo? Fino a quel momento perfino Itachi non aveva mai saputo della sua esistenza, non ricordava di esserci mai passato davanti o di averne sentito parlare.
Era stato un buco nell’acqua, Danzo ne sarebbe rimasto deluso.
Non capiva perché il vecchio consigliere gli avesse dato specificatamente l’ordine di cercare Shisui. È vero, Itachi era il miglior shinobi di Konoha al momento, ma il Villaggio possedeva tracker migliori – gli Inuzuka, tanto per cominciare – che potevano seguire meglio le tracce lasciate dal nukenin. In fondo non era mai stato davvero legato al cugino, lo conosceva di vista, ma non aveva un legame tale che gli permettesse di capire come ragionava e quindi anticipare le sue mosse. Non erano mai stati amici, solo lontani parenti.
Ma si fidava di Danzo. Il vecchio consigliere aveva sempre le sue ragioni e raramente sbagliava nel suo giudizio. Era cinico e a volte crudele, ma bisognava esserlo per far sopravvivere una nazione. Certi sacrifici erano inevitabili, Itachi aveva dovuto impararlo da bambino.
Attese qualche altro minuto, giusto per prudenza, ma poi dovette ammettere a se stesso che quella soffiata era inutile, stava solo perdendo tempo. Rimise a posto le proprio cose quindi, recuperò le armi che aveva disseminato in giro per intrappolarlo e scese al piano di sotto. Per scrupolo controllò anche le facce degli avventori, pur sapendo che difficilmente lo avrebbe trovato lì… senza contare che ricordava a malapena il suo volto, in mente aveva solo il ritratto presente nel bingo book. Comunque, come si aspettava non c’era nessuno che avesse anche solo vagamente dei tratti Uchiha, perciò uscì dalla locanda senza che nessuno lo fermasse.
Attraversò la strada con apparenza tranquilla e rilassata, quando in realtà tutti i suoi sensi erano in allerta per rintracciare il minimo segno di pericolo. In realtà Shisui poteva essersi presentato, accorto della sua presenza e aver deciso di ribaltare l’imboscata. Sapeva che non era così, altrimenti ne avrebbe approfittato nel momento in cui si era addormentato, ma la prudenza non andava mai abbandonata.
Arrivato al ciglio della strada, saltò verso i rami degli alberi e si spostò fino ad arrivare alla tana del picchio dove aveva nascosto la sua uniforme ANBU. Era tutto in ordine, non mancava nulla, dalle armi alla fascia di Konoha. Sospirò per l’occasione sprecata e rimise i vari pezzi dell’armature, pronto a tornare a casa.
Proprio in quel momento un frusciare di piume mosse l’aria vicino al suo orecchio. Con il tantō sguainato, Itachi si voltò in allarme. Era solo un corvo… o meglio, era una delle sue convocazione che aveva messo a guardia del perimetro. Ma c’era qualcosa di sbagliato… i suoi occhi riflettevano la forma rossa e nera del suo Mangekyo sharingan, non ricordava di averne incantato uno con lo tsukiyomi…
Attivò il proprio sharingan e, nel momento esatto in cui lo fece, il genjutsu che lo circondava cominciò a spezzarsi. Itachi ricordò tutto. Come erano andate davvero le cose.
Socchiuse le labbra, gli occhi umidi alla realizzazione.
“Bastardo…” bisbigliò.
 
 
**
 
L’estate si stava facendo sempre più calda anche per lui, che aveva un corpo sintetico che solitamente lo proteggeva dalle variazioni di temperatura. L’eterna umidità di Ame rendeva qualsiasi posto del rifugio invivibile, non importa quanto si nascondesse al suo interno. Con le mani spazzolò il prato basso e osservò gli alberi attorno a lui. La radura riprodotto con il suo mokuton almeno rendeva l’ambienta un po’ più confortevole, quello era il posto adatto in cui pensare. E lui stava pensando molto cupamente.
Obito stava pensando a Shisui e più ci pensava più trovava una buona idea colpirlo con delle pigne appena lo avrebbe rivisto. Era passato un giorno e mezzo da quando si erano divisi e non era mai stato via così a lungo solo per incontrare il suo dolce innamorato, cominciava a essere preoccupato che fosse finito in una trappola. Se non fosse tornato entro un’ora al tramonto, sarebbe andato a cercarlo lui stesso. Nel caso non lo avesse trovato, doveva dar per scontato che Konoha lo aveva catturato e quindi ideare un modo per recuperarlo senza esporre troppo l’Akatsuki.
Spero che tu stia bene solo per lanciarti quelle pigne in testa, moccioso, pensò.
 Nonostante i suoi pensieri profondi – non era cosa da niente progettare un modo per infiltrarsi a Konoha e recuperare un prigioniero tenuto sotto la massima sorveglianza – si accorse dell’ombra che lo stava attaccando. Sotto la maschera il suo sharingan brillò e il calcio attraversò la sua testa come se fosse intangibile. Il colpo non andato a segno sbilanciò il suo aggressore e Obito approfittò di quel momento per scattare lontano dal suo posto ed entrare in posizione di difesa. Rotolò sull’erba, ma prima che potesse rialzarsi del tutto si trovò costretto a ricorrere ancora a kamui per via un altro aggressore.
Quanti sono?, si domandò teletrasportandosi al borde della caverna alberata, dove non avrebbe dovuto guardarsi alle spalle.
Nello spazio chiuso, alcuni di essi nascosti tra gli alberi che aveva creato, c’erano numerosi Naruto. Accigliò lo sguardo rendendosi conto che ogni copia aveva chakra sufficiente da poter essere l’originale, che erano indistinguibili gli uni dagli altri anche per lo sharingan. Cos’era quella novità?
“Obito!” gridò uno dei tanti Naruto.
Era il primo che lo aveva attaccato, si trovava dove un attimo prima era seduto a gambe incrociate. I suoi abiti erano rovinati, strappati e sporchi di terra; i capelli molto più spettinati del normale, il viso arrossato e sudaticcio. Nonostante il suo aspetto sorrideva feroce, emozionato, gli occhi che brillavano per la voglia di dimostrare qualcosa. Portò l’indice e il medio di entrambe le mani davanti al viso, incrociati verticalmente e orizzontalmente, e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“Combattiamo! Kage bushin no jutsu!”
Con sbuffi di fumo e chakra attorno a lui si formarono altre decine di cloni solidi, riempiendo in breve tempo la finta radura.
Obito sorrise sotto la maschera: kage bushin, quello chiariva tutto. In qualche modo era riuscito a sbirciare il Rotolo Proibito e imparare la prima tecnica trascritta dal Nindaime.
Era impressionato. Soprattutto considerando la quantità di cloni che aveva richiamato in breve tempo, molto più di quanti ne avrebbe evocati un jonin d’elite, e tutti avevano una dignitosa quantità di chakra per essere utili in combattimento.
Ovviamente, kage bushin! Era quella la soluzione al problema di Naruto sul controllo del chakra, quella era la tecnica perfetta per lui. Si maledì per non esserci arrivato lui stesso, avrebbe potuto insegnargliela molto tempo prima…
Non importava, Naruto era lì, carico e sicuro di sé. Era il caso di metterlo alla prova.
“Vieni a prendermi” lo sfidò.
 
**
 
Fu lo stesso gioco del gatto e del topo. Naruto era ancora un dodicenne goffo, con così tante apertura nella sua difesa che Obito avrebbe potuto metterlo a terra fin dal primo momento, non importava quanti cloni continuasse a evocare. La sua energia sembrava infinita.
Proprio per questo, continuò a spingerlo per vedere fino a quando poteva resistere, quanto poteva mostrare prima di crollare sfinito. Nel mentre prese nota anche dei vari punti da migliorare, per esempio era assolutamente necessario che acquisisse una maggior coordinazione con e tra i cloni. L’attacco era molto confuso, senza una vera strategia; poteva funzionare con certi avversari di basso rango – i cloni erano davvero tantissimi – ma uno shinobi esperto poteva facilmente trovare un modo per controbattere e vincere nonostante i numeri.
Alla fine fece esplodere anche l’ultimo clone e atterrò Naruto, ormai troppo stanco per resistere al suo taijutsu. Obito si accucciò con calma, come per osservare la sua prossima mossa. Anche se era steso a terra e vulnerabile, il ragazzino non sembrava ancora intenzionato ad arrendersi. Infatti si alzò di scatto cercando di prenderlo di sorpresa con una poderosa testata, ma ancora una volta kamui si attivò e gli passò attraverso, finendo a bocconi sull’erba.
Obito sorrise soddisfatto. “Ottimo lavoro”.
Naruto lo guardò sconvolto, frustrato. “Ma non ti ho battuto” si lagnò cadendo a sedere in modo sfatto.
Sbuffò. “Sei ancora lontano da potermi battere, raggio di sole” lo blandì. “Prima di poter battere me, devi avere ragione degli altri membri di Akatsuki”.
Il ragazzino non commentò, non era un mistero che Obito fosse il più potente nel gruppo, perfino più potente di Pain che controllava tutto Ame. Rimase zitto, scoraggiato, perciò l’Uchiha riprese la parola.
“Sei stato bravo”.
Alzò gli occhi speranzoso. “Davvero?”
“Kage Bushin non è una tecnica che tutti possono performare” spiegò. “È tra le più difficili, soprattutto quella che hai imparato tu e coinvolge la creazione di mille cloni. La inventò Senjū Tobirama e c’è un motivo se si trova nel Rotolo Proibito: non tutti gli shinobi possono sostenerla”.
“Sì, perché bisogna dividere il chakra in parti uguali in ogni clone e non tutti ne hanno abbastanza per farlo. Se ci provano possono morire per esaurimento di chakra senza rendersene conto.”
Obito lo guardò in sorpreso silenzio per quella risposta così puntuale e corretta. Naruto si agitò un po’ allo sguardo impassibile della maschera.
“Me lo ha detto Kurama…” spiegò.
“Il Kyūbi” corresse gelido, l’intera sua posa si indurì. “Continui a parlarci? Ti avevo detto di smetterla, è pericoloso”.
“Non è pericoloso” s’impuntò lanciandogli un’occhiataccia. “Siamo amici, ‘tebayo”.
“Non può essere tuo amico. È un mostro”.
“E io sono il suo carceriere!”
Ci fu un piccolo silenzio, Obito era stupito da quella presa di posizione.
“Naruto, tu sei una vittima” gli ricordò dolcemente. “Non è colpa tua”.
“E non è neanche colpa del Kyūbi se è sigillato dentro di me”. Lo guardò con le iridi blu che brillavano di decisione, la stanchezza ormai evaporata davanti a questa nuova battaglia. “Siamo entrambi vittime dello Yondaime” concluse.
Obito sentì morire sulle labbra tutte le sue obiezioni. Guardò l’ombra di tristezza nello sguardo, visibile nonostante il fuoco che lo faceva sempre risplendere. L’ombra veniva ogni volta che pensava a suo padre, Konoha, quello che gli avevano fatto… Ricordava quando aveva detto la verità a Naruto, tutta la verità, e come essa lo avesse distrutto. Quello era il momento in cui aveva temuto di averlo spezzato, di aver rovinato quello splendido sole.
Dal primo incontro, era andato a trovarlo spesso a Konoha di nascosto, scivolando nel suo appartamento la notte o andando nei solitari posti dove si nascondeva dagli altri. Era stato quel piccolo Naruto sempre allegro nonostante il dolore a fargli prendere la decisione di affrontare Zetsu e poi Nagato, rivelandogli tutto. E poi aveva offerto al bambino di lasciare Konoha con lui, gli aveva rivelato tutto ciò che il Sandaime gli nascondeva e aveva lasciato prendesse la sua scelta. Naruto aveva sofferto dalla verità, ma aveva decisamente imparato qualcosa, così come la sua solitudine e il suo dolore gli avevano dato un’empatia incredibile. Aveva solo dodici anni, ma a volte riusciva a vedere più lontano di molti ninja esperti con una semplicità disarmante. Come questa volta.
Sbuffò addolcito. “A volte dimentico quanto sei saggio”.
Il ragazzino lo guardò dubbioso, ma quando lo vide alzare una mano per alzarsi la maschera sorrise felice. Odiava quando Obito indossava la maschera, era il segnale che stava mettendo una certa distanza tra sé e il resto del mondo, che non era davvero se stesso e poteva essere Madara (il temibile e crudele nemico di Konoha) o Tobi (un fastidio confezionato su misura). Invece, quando la toglieva…
Allargò il sorriso quando Obito aprì le braccia in un chiaro invito. Senza pensarci due volte si scagliò contro il suo petto, sedendosi comodamente tra le sue gambe incrociate e lasciandomi intrappolare nell’abbraccio. Era un peso leggero e caldo, ormai erano così tanto abituati a quel gesto che trovò velocemente il suo spazietto. Obito sospirò soddisfatto mentre faceva crescere, a ritmo innaturalmente veloce, un albero proprio dietro la sua schiena per potersi appoggiare e stare più comodo.  Nel mentre Naruto si aggrappò con le mani alle sue spalle, la dita arricciate ad artigliare la stoffa – lo stringeva sempre così forte, come se avesse paura di essere strappato via – e la testolina appoggiata al collo, i capelli biondo che solleticavano il mento.
Accettare Naruto nella propria vita aveva significato come prima cosa riabituarsi al contatto fisico. Si era accorto subito che il bambino era affamato di tocco1, lo cercava sempre e disperatamente; ogni più piccolo contatto gli avrebbe fatto brillare gli occhi, anche quello capitato per errore. In otto anni di vita, nessuno aveva mai mostrato un gesto d’affetto nei suoi confronti, nessun abbraccio, nessuna carezza, nessuna stretta. Era orribile. Per questo Obito aveva lottato contro l’istinto che lo imponeva di coprirsi di vestiti e maschere, mettere più spazio possibile e barriere tra sé e un altro essere umano. Aveva riscoperto la propria realtà, il proprio essere un corpo solido, per poter dare al bambino l’affetto che gli serviva per crescere.
E aveva anche derubato alcuni manuali pedagogici sulla crescita di bambini traumatizzati dalle librerie di tutte e cinque le nazioni ninja. Madara gli aveva insegnato a essere scrupoloso nella sua pianificazione.
Per questo, quando il bambino si fu ben sistemato si tolse un guanto e, con la mano libera, gli accarezzò una guancia. Questa era una cosa che aveva imparato proprio dai libri: il contatto della pelle con altra pelle libera nel corpo l’ossitocina, l’ormone della felicità; se un bambino ne viene privato con troppa costanza rischia di avere gravissime ripercussioni nella vita adulta, come depressione e ansia. Considerando che Naruto aveva otto anni di arretrati, non si tirava mai indietro. Aveva anche minacciato con la morte i membri dell’Akatsuki di non rifiutare mai qualsiasi contatto Naruto cercasse, con Sasori e Kakuzo aveva dovuto usare effettivamente un po’di forza bruta, ma alla fine ne aveva avuto ragione.
Naruto inclinò il viso assecondando la carezza e socchiuse gli occhi. La stretta si fece più disperata e tremò appena.
“Non sei… arrabbiato?” domandò incerto.
Sospirò, rendendosi conto del suo errore, non avrebbe dovuto lasciarlo solo quella notte.
“Non sono mai arrabbiato con te” lo rassicurò. “Ero preoccupato, sono preoccupato. Non voglio che ti succeda qualcosa”.
Il ragazzino tirò su con il naso, strofinando la guancia contro la mano.
“Lo so… mi dispiace” mormorò. “Ho anche messo in pericolo Shisui-nii…”
“Dispiace a me” precisò. “Non dovevo reagire in quel modo, non dovevo lasciarti solo… è solo che…” si interruppe, affranto.
Ma Naruto capì senza che dovesse dire altro.
“Madara” completò per lui.
“Madara” confermò con un sospiro. “Mi hai spaventato davvero tanto e non sapevo come reagire, quindi… ha preso il soppravvento”.
Non è che avesse davvero una doppia personalità – o tripla, se si contava anche Tobi – ma certi ragionamenti, modi di fare e reazione erano così radicati in lui che spesso scivolava nei suoi ruoli prefabbricati, nelle sue maschere, a seconda di quello che richiedeva la situazione. Così quando doveva dare un comando all’Akatsuki assumeva la personalità di Madara, o quando voleva destabilizzare un nemico diventava Tobi… Certe volte capitava senza che se ne accorgesse, le maschere prendevano il sopravvento e lui dimenticava di essere Obito. Odiava quando succedeva con Naruto.
Naruto che in quel momento lo guardava sorridendo come se l’essere stato abbandonato al buio per un’intera notte fosse la cosa più semplice da accettare.
“Va bene, sono solo felice che tu non sia più arrabbiato”.
“Non lo sono ma stato” ripeté. Gli accarezzò i capelli, cercando di avere ragione di qualche nodo che imbrigliava le ciocche dorate. “Mi dispiace davvero di averlo fatto. Non dovevo arrabbiarmi perché sei andato al festival. Sei un bambino, dovresti giocare con gli altri bambini, andare ai festival senza temere che degli shinobi ti diano la caccia…” sospirò, disgustato dal loro mondo.
“Succederà” promise. “Cambierete le cose. Tu, Nagato-nii, Shisui-nii e tutti gli altri”. Il suo sguardo si illuminò. “E io vi aiuterò, naturalmente. Hai visto che bravo sono diventato, no? Posso aiutarvi dattebayo!” insistette.
Sbuffò divertito dallo slancio. Strofinò ancora il palmo sulla sua fronte, ricevendo un suono compiaciuto.
“Vedremo” rispose senza sbilanciarsi.
 
**
 
Non erano soliti stare tutto quel tempo nello stesso rifugio senza parlarsi, quindi nel breve momento dopo lo scontro Naruto aveva usato tutto il suo fiato per recuperare i giorni di silenzio. Obito lo ascoltò pazientemente, non fece commenti nemmeno quando gli parlò di come il Kyūbi lo avesse aiutato con il kage bushin. Quello che aveva detto prima lo aveva colpito davvero, come al solito Naruto riusciva a fargli vedere le cose da una nuova prospettiva… Forse doveva provare a essere più gentile con la bestie di chakra e non trattarla come una semplice arma da controllare, esattamente con faceva Konoha. Lui non voleva più accettare la logica di nessun villaggio, quindi immaginava che in ciò rientrasse anche il suo approccio ai Bijū.
Alla fine Naruto crollò addormentato a metà di una frase, tipico di lui. Aveva energie infinite, un’iperattività che metteva a dura prova tutti i membri Akatsuki (tranne Deidara e Hidan, ma sospettava che anche quei due avessero problemi di iperattività). Poi di colpo crollava, come se la sua carica si fosse esaurita. In certi momenti era quasi comico.
Non era stupito che fosse crollato in quel modo, aveva imparato il kage bushin e lo aveva sfidato, anche per un Uzumaki era molto da sostenere. Delicatamente lo sollevò, deciso a portarlo nella sua stanza, sul suo letto dove avrebbe dormito meglio.
Ma fece appena in tempo a uscire dalla stanza alberata che si incrociò con Kisame. Si accigliò nel vederlo, non avrebbe dovuto essere ad Ame, era stato mandato in avanscoperta a sud per la raccolta di informazioni. Se era tornato, era solo perché aveva delle notizie grosse.
“Che cosa succede?” chiese, conscio di averlo incrociato proprio perché lo stava raggiungendo.
L’uomo squalo lo fissò con i suoi freddi occhi chiari, soffermandosi proprio sul ragazzino che teneva in braccio. Sorrise e Obito odiò il modo in cui mostrava i denti appuntiti.
“Madara… Obito” corresse nel vedere il volto scoperto. “Speravo di parlarti”.
Obito si pentì di non aver rimesso la maschere nell’uscire dalla stanza, si sentiva troppo scoperto e in svantaggio. Si fidava di Kisame con la sua stessa vita, già all’inizio si era mostrato a lui, ma… il desiderio di nascondersi era troppo forte. Quando era con Naruto i suoi istinti di difesa diventano così forti che la paranoia confondeva chi fosse nemico o amico.
Prese un lungo respiro, costringendosi a restare impassibile.
“Dopo” disse. “Ne parleremo con Pain e gli altri, quando Shisui sarà tornato”.
Kisama scoccò la lingua. “Non c’è?”
“No” confermò superandolo. “Ma sta per tornare”.
Il tempo di fare l’innamorato era finito, Tobi stava andando tirargli qualche pigna in testa
 
 
 
 
 
 
 
1. Touch starving: non riesco a trovare nessuna traduzione di questo termine, quindi sono andata molto alla lettera anche se suona molto meh.
 
Vi avevo detto di avere fiducia! È arrivato un nuovo capitolo e non è nemmeno lungo come mi aspettavo, alla fine avevo fatto malissimo i conti xD
Spero che vi sia piaciuto il primo incontro tra Obito e Naruto, così l’interazione che hanno avuto nel resto del capitolo. Sottolineo una cosa, solo perché voi mi conoscete e potreste aspettarvi una certa dinamica… ebbene, in questo momento il rapporto ObiNaru non ha nulla di romantico. Potete vederlo come quello di un fratello maggiore con il più piccolo, di un sensei con il proprio protetto… ancora sulle ship non ho le idee chiare, ho capito come realizzare la SakuHina e ho una bella idea per i GaaLee. Ma un ipotetico risvolto romantico anche per Sasuke e Naruto è tutto da vedere, sono solo abbastanza certa che non sarà SasuNaru perché ho una mezza idea di intendere Sasuke ace, quindi nada per lui.
Comunque detto questo, breve parentesi su Itachi. Nel prossimo capitolo si vedrà meglio che cosa è successo con Shisui, ma credo sia chiaro: ha usato Amatsukami non solo per fargli dimenticare l’incontro, ma anche il profondo legame che li unisce, il loro affetto. Peccato che Itachi è furbo e conosce i suoi polli: per paura di finire sotto un genjutsu (come è successo) prima di arrivare aveva incantato uno dei suoi corvi per fare in modo che spezzasse qualsiasi possibile genjutsu. Quindi si è accorto del trucco.
 
Bene, nel prossimo capitolo abbiamo: Shisui e Obito, Itachi che fa rapporto e la piccola riunione Akatsuki. Spero di non metterci troppo.
Abbiate anche fiducia per la single parent au, che uscirà questa domenica. Per la Time travel temo dovrete aspettare Settembre invece… rip.
Grazie per seguire questa storia nonostante le pubblicazioni a singhiozzo.
Un bacio,
Hatta

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Capitolo 9
*** Sano di mente ***


Cap VIII
Sano di mente
 
 
Obito si sentiva un po’ svuotato, ma in un modo piacevole. La sua testa era leggera, il suo petto caldo e le labbra sotto la sua maschera restavano piegate in un sorriso accennato. Si chiedeva come un bambino potesse, con la sua spontaneità e innocenza, farlo sentire così bene. Era così che si sarebbe sentito sempre, se fosse tornato a Konoha, se fosse cresciuto al fianco di Naruto come suo fratello maggiore?
Si chiese , soprattutto, come un bambino potesse generare un calore tale nel suo cuore arido quando di giorno sopportava così tanto dolore, quando gli altri gli facevano soffrire l’abbandono e l’odio. Dal tetto della casa guardò Konoha e la rabbia  montò ancora. Nessuno di loro meritava Naruto, non sapevano nemmeno che razza di tesoro avevano tra le mani. Era il loro Jinchūriki, il motivo per cui nessun altro Villaggio osava attaccarli direttamente; era il motivo per cui quella notte la volpe non aveva continuato nella sua distruzione. Naruto li proteggeva con la sua sola esistenza e loro gli sputavano in faccia.
Imperdonabili. Non lo meritavano.
Obito… invece lo meritava. Dopo aver perso la sua unica luce, dopo aver scoperto l’inganno di Zetsu, l’illusione dello Tsuki no Me… dopo aver perso tutto meritava almeno un sollievo. Avrebbe fatto in modo di meritarselo. Lo avrebbe portato via con sé, lontano da Konoha e quella gente disgustosa. Naruto sarebbe stato sicuramente d’accordo.
Davvero?, domandò con scherno una voce nella sua testa, così stridula da ricordargli quella di Zetsu.
Il suo occhio calamitò sulla montagna dell’Hokage. Quello era il sogno di Naruto, il bambino amava Konaha contro ogni logica, la considerava la sua casa e non l’avrebbe mai abbandonata con piacere. Ma se gli raccontasse la verità che tutti gli tengano nascosto? Il motivo per cui tutti lo odiavano e disprezzvaano, il segreto che l’Hokage gli celava, ciò che suo padre gli aveva fatto fin dalle prime ore della sua nascita… No, non avrebbe scelto ancora Konoha.
Sceglierebbe allora l’assassino dei suoi genitori?, continuò la voce.
Deglutì, perché il rischio di venire a propria volta odiato era reale. Ma ormai aveva deciso: gli avrebbe detto la verità, tutta la verità e… la sua scommessa era sperare che scegliesse lui, la felicità che poteva offrirgli.
Sì, avrebbe lasciato che fosse il bambino a decidere. Ma prima, allora, avrebbe dovuto parlarne con Nagato; anche lui meritava di sapere la verità, come per tutto quel tempo fosse stato solo la marionetta di Madara e, di conseguenza, di Zetsu.
Che cosa sarebbe successo dopo era un mistero.
Era pronto per andarsene, quando una ormai familiare firma di chakra colpì la sua attenzione. Da quando lo aveva incontrato di persona, una parte di lui si era come sintonizzato alla sua presenza, restando consapevole in quale punto di Konoha si trovasse. Shisui in quel momento si trovava al tempio di Naka. Non era la prima volta che, lasciando la casa di Naruto a notte fonda, si accorgeva della sua presenza dentro il luogo sacro. Era un po’ curioso della sua continua presenza lì dentro, forse… sperava di rincontrarlo? Era certo non fosse una trappola, si sarebbe accorto delle altre presenza o dell’agitazione, certamente anche scivolare per Konoha di notte sarebbe stato più complicato.
Attivò Kamui, deciso per quella deviazione, e si teletrasportò direttamente al tempio, comparendo dal pavimento come un fantasma.
Come sospettava, Shisui era solo, e sussultò non appena la sua presenza fu evidente. Era accucciato sulle tavolette degli Uchiha, una fiaccola accesa illuminava le parole incise nella roccia. Era riuscito a tirare fuori un kunai, ma appena lo identificò si rilassò.
Si accigliò, il ragazzo non aveva paura di lui.
“Sei tornato” disse sorpreso. “Ciao, Ciò-che-resta-della-volontà-di-Uchiha-Madara”.
Sotto la maschera il suo cipiglio si intensificò, lo stava prendendo in giro? Non disse niente, guardandolo mentre si raddrizzava e gli rivolgeva un sorriso sereno. Decisamente non aveva paura di lui.
“Non hai più paura di me?” domandò ad alta voce.
Scosse la testa. “Se avessi voluto ferirmi, lo avresti fatto l’altra volta. Avresti già ridotto molto prima Konoha in cenere”. Fece una pausa, accennando un sorriso impertinente. “Lo hai detto tu, non sei qui per combattere. Peccato, sarebbe interessante misurarmi con te…”
Sbuffò, il ragazzo era un idiota… quel genere di idiota che gli piaceva suo malgrado, quello con la grinta e la risposta sempre pronta. La sua attenzione si spostò sulle tavolette. Mutò lo sharingan nel Mangekyo e i kanj incisi mutarono a loro volta, delineandosi nella descrizione dello Tsuki no Me. Provò rabbia nel vederlo e bruscamente si avvicinò all’antica tavola. Ignorò il sussultare di Shisui, con la mano toccò la pietra fredda e lasciò che il chakra si scontrasse con la magia che conteneva. Ci fu un iniziale vuoto, come se non ci fosse niente da trovare, ma più insisteva più si creava una resistenza, come se la tavola stessa cercasse di dissuaderlo. Alla fine la ebbe vinta e il suo chakra riverberò per tutta la roccia. Quando ritrasse la mano, sotto i kanji dello Tsuki no Me era possibile vedere un’altra trascrizione più antica, ciò che originariamente c’era scritto prima che Zetsu manomettesse la pietra.
Shisui al suo fianco sussultò, anche lui aveva attivato i Mangekyo e poteva leggere tutto.
“Cos’hai fatto?” domandò, temendo che avesse rovinato la tavola.
“Ho svelato l’inganno” disse placido.
Non lesse ciò che c’era scritto, lo conosceva a memoria. Disattivò lo sharingan, senza gli occhi magici la tavola era tornata uguale a prima, non lasciava intendere nessuna manomissione. Si vedeva ancora la stessa storia ancestrale, che lo sharingan normale avrebbe rivelato nascondere le tecniche Uchiha, che a loro volta nascondevano qualcosa.
Osservò Shisui, il suo viso giovane corrucciato nel tentativo di leggere la verità nascosta. Alla fine il ragazzo alzò gli occhi e lo guardò sorpreso.
“Quindi lo Tsuki no Me in realtà è la tecnica per risvegliare questa Kaguya?”
Ottimo riassunto, si limitò ad annuire. Ma il commento successivo lo sorprese.
“Così ha più senso. Quale folle crederebbe di risolvere i problemi del mondo con un’illusione?”
Quasi rise. Uchiha Madara, ecco chi. Uchiha Obito. Qualcuno che aveva perso la speranza e avrebbe accettato qualsiasi cosa per dare un nuovo significato alla propria vita. Qualcuno che non accettava che fosse tutto inutile, che avrebbe potuto ancora rivedere chi amava ed era morto. Ecco che tipo di folle.
Non rispose, Shisui non si aspettava lo facesse. Sembrava un chiacchierone, perché riprese velocemente la parola:
“Però mi ha dato un’idea… So cosa posso fare per fermare il colpo di Stato”. Si voltò a guardarlo, l’espressione di chi cerca un consiglio. “Userò un genjutsu su Fugaku-sama, gli farò credere di non sostenere il colpo di Stato e la sua contrarietà destabilizzerà il consiglio degli Uchiha”.
Sbuffò. “Hai appena detto che è folle usare un’illusione per risolvere i problemi”.
“Lo so, infatti non la risolverebbe. Ma ci darebbe tempo per trovare una nuova soluzione. Invece di giorni, potremo avere altri mesi… Avremmo più tempo”.
“Fugaku romperà il genjutsu” disse fatalistico.
L’attuale capoclan non aveva guadagnato il suo ruolo solo per eredità, ma anche per capacità in battaglia. C’era un motivo se i nemici lo avevano soprannominato Occhio Feroce, la sua abilità con lo sharingan era evidente. Avrebbe spezzato facilmente un genjutsu.
“Non si possono rompere i genjutsu del mio Mangekyo” rivelò Shisui. “Non ho nemmeno bisogno di guardare qualcuno negli occhi per incantarlo. Forse solo un altro Mangekyo altrettanto forte potrebbe contrastarlo… ma sono l’unico Uchiha ad averlo sviluppato, non c’è pericolo che succeda. Nessuno se ne accorgerà”.
Obito tacque, grazie agli insegnamenti di Madara riconobbe subito quella descrizione.
“Kotoamatsukami” disse.
Shisui parve sorpreso nel sentirglielo dire. “Come fai a saperlo?”
“Lo hai ereditato da tuo nonno Kagami” spiegò pacato. “Anche lui sviluppò il Mangekyo”.
Lo sguardo del ragazzo si illuminò, anche se le iridi erano ancora rosso sangue risplendevano di affetto.
“Sì, l’ho letto nei suoi diari. Successe dopo… dopo la morte di Nidaime” ricordò smorzando il suo entusiasmo. Abbassò il mento, fissando i suoi piedi sul pavimento di legno. “C’era scritto che dopo, per il dolore, sterminò un’intera squadra avversaria… che continuò ad accanirsi sui corpi senza vita, fino a renderli irriconoscibili”. Fece una pausa, fissando assente il nulla. “È vero quindi? Il dolore e il Mangekyo ci rendono folli?”
Davanti ai suoi occhi aveva il chiaro dei fulmini che tagliava senza esitazione il cuore di Rin, l’odore di carne bruciata che gli faceva arricciare il naso, le orecchie ferite dal cinguettio stridulo e continuo. E poi l’urlo agonizzante di tutti quegli ANBU di Kiri che aveva massacrato fino a creare una pioggia di sangue.
“Sì” rispose senza aggiungere nulla.
“Perché io non sono impazzito? O…” non osò continuare.
Obito lo fissò a lungo, chiedendosi perché gli stesse parlando, perché quel ragazzino gli stesse raccontando i suoi piani e aprendo il suo cuore. Nella sua ingenua fiducia dell’altro, gli ricordava un po’ Naruto.
Forse fu per questo che gli rispose: “Hai trovato qualcosa per cui restare sano di mente”.
Aveva creduto che lo Tsuki no Me fosse quello lo manteneva sano, invece era stato un perfetto folle. Anche lui aveva massacrato una squadra – la squadra di Kiri – e si era vendicato delle bugie di Konoha, del suo sensei per essere arrivato tardi. Aveva voluto fargli provare la sua stessa impotenza.
Alle sue parole un sorriso timido strisciò sulle labbra di Shisui, allargandosi sempre di più mentre coglieva un’illuminazione.
“Sì, ho trovato… qualcuno”.
Lo perderai, avrebbe voluto dirgli, perché in questo mondo le cose andavano sempre così. Lo avrebbe perso, come lui aveva perso Rin.
Guardò il ragazzino con il suo stupido sorriso sdolcinato e lo sguardo perso, provò una strana simpatia.
“Se il tuo piano dovesse fallire, verrai cacciato dal tuo clan. Sarai un traditore”.
Shisui si riprese. “Correrò il rischio”.
La sua voce era decisa e inevitabile, come quella di un vero shinobi pronto ad affrontare ogni pericolo. Silenziosamente se ne fece beffa.
“Se succederà, cercami. Ci penserò io a te”.
Shisui spalancò gli occhi, ma non ebbe modo di dire nulla. Obito aveva attivato il Mangekyo e stavo scivolando nel pavimento, inghiottito da kamui.
 
 
**
 
Si fermò, quasi perdendo la presa sul ramo su cui era saltato. Aveva il fiatone, la sua vista gli stava giocando brutti scherzi e questa era già la terza volta che rischiava di cadere nel mezzo di un balzo. Shisui si guardò alle spalle, mugugnando che ormai aveva messo abbastanza spazio tra lui e la locanda, tra lui e… Itachi.
Il suo unico occhio pulsò, ricordandogli che cosa gli aveva appena fatto. Ma era meglio così, sapeva da tempo che il suo legame con Itachi non poteva continuare  a durare, che sarebbe arrivato il momento in cui i loro ideali si sarebbero scontrati. Erano nemici da quattro anni, non potevano continuare quel gioco.
Shisui avrebbe voluto che Kotoamatsukami avesse cancellato la memoria anche a lui.
Scosse la testa, sarebbe stato troppo complicato farlo e lui aveva agito d’istinto, nel giro di un minuto. Avrebbe mantenuto i ricordi, la loro storia, ma quando si sarebbero nuovamente incontrati non sarebbe servito a niente. Itachi non ricordava. Erano solo nemici adesso.
Nonostante la sua risolutezza, il cuore faceva male. Tra tutto il corpo, sembrava essere quello il muscolo più affaticato. Forse poteva rallentare, ormai era vicinissimo ad Ame e sicuramente non aveva nessuno ai calcagni.
Scese dal ramo con un salto elegante, assorbendo l’impatto con una smorfia. L’odore terroso del sottobosco gli stuzzicò il naso, l’umidità filtrava pesante, segno che non mancava molto alla terra della pioggia eterna. Avrebbe fatto il pezzo fino al confine camminando.
Si stiracchiò i muscoli indolenziti, grato di essere solido sul terreno e di non dover usare il chakra per mantenersi eretto. Iniziò a camminare tra le erbacce alte e le radici nodose, poco impressionato dall’assenza di un sentiero. Nonostante la faccia tranquilla, tenne tutti i suoi sensi all’erta. Vicino ad Ame o meno, era ancora nel Paese del Fuoco.
Fu per questo che si accorse immediatamente della presenza che torreggiava su di lui dagli alberi. Si immobilizzò, la mano corse al marsupio delle armi prima di rendersi conto che quel chakra era familiare.
Incazzato, ma familiare.
Invece di rallegrasi di non essere stato beccato da un nemico, si oscurò in volto. In quel momento non era propriamente di buonumore, voleva del tempo per sé e per il suo lutto, per assaporare il dolore nelle vene al pensiero di cosa aveva appena perso. Sicuramente non aveva le energie per sopportare Obito e i suoi rimproveri, sapeva già che il parente mal tollerava i suoi incontri con Itachi.
Be’, adesso sarà contento, non ce ne saranno più, brontolò fra sé. Poi si fece coraggio e alzò il viso verso la provenienza del chakra turbinante e denso. Lo individuò subito, era appollaiato su un ramo basso e scoperto, per non parlare della maschera dal colore brillante che attirava tutta l’attenzione. 
Se c’era una cosa che Shisui odiava con tutto se stesso era proprio quella fottuta maschera arancione. Solitamente riusciva a indovinare abbastanza bene in che mood fosse Obito e quale personaggio stesse interpretando dalla sua espressione, ma quella maschera era un muro indecifrabile. Era inquietato dal modo assolutamente vuoto in cui quel buco lo fissava dall’alto, accovacciato su quel ramo.
Chi era? Madara o Tobi? Entrambe le risposte avrebbero fatto schifo, ma forse in quel momento preferiva dover parlare con Madara, che almeno era logico e razionale.
Sospirò e incrociò le braccia. “Qualcosa da ridire?” sbottò.
Gli fu lanciata addosso una pigna.
“Cattivo Shisui! Sei cattivo!” si lagnò l’Uchiha più anziano. “Scappare in questo modo e abbandonarci, puh! Bro before hoe, è questo il nostro motto! Invece sei cattivo e cattivo!”
Fece una smorfia. Ottimo, Tobi, proprio la sua giornata fortunata.
 “Non sono in vena, Obito” disse cinereo in volto.
Riprese a camminare, ma non mancò molto che Tobi lo colpisse con un’altra pigna lamentandosi del suo carattere freddo e del suo tradimento.  
“Te ne sei scappato di nascosto solo per vedere il fidanzatino” lo accusò lacrimoso. “Abbandoni i tuoi amici solo per farti…”
Shisui non gli permise di finire. Catturò al volo un’altra pigna e gliela rilanciò contro con rabbia. Un suono stridulo di pura sorpresa uscì da Tobi mentre vedeva il proiettile venirgli addosso, agitò le braccia e per evitarlo cadde buffonesco dal ramo.
“Cattivo! Mi hai fatto male!” piagnucolò massaggiandosi il sedere.
“Sono serio Obito, non è il momento”.
Mantenne la propria espressione seria e funesta mentre l’atteggiamento nell’altro cambiava. Tobi smise di agitarsi in movimenti goffi e lanciare versetti acuti di dolore, si immobilizzò di colpo e perfino l’aurea attorno a lui parve cambiare, diventare più oscura. Con un gesto fluido si alzò, si tolse la polvere dalla cappa di akatsuki con gesti misurati.
“Il moccioso si comporta da viziato” commentò, la voce di una tonalità molto più bassa e roca rispetto ad alcuni secondi prima. “Crede che tutto gli sia dovuto…”
Shisui sentì subito la bocca secca nel percepire il potere che avvolgeva Madara, le sue orecchie arrossirono.
“Non capisci” borbottò.
“No?” lo derise misurato. “Forse hai ragione. Non capisco cosa ti spinge a rischiare così tanto. Capisco solo che per il tuo dramma adolescenziale stai mettendo a rischio tutta l’organizzazione”.
Da che pulpito, tu per il tuo dramma adolescenziale hai messo in pericolo il mondo, si morse la lingua per non borbottarglielo. Sapeva del vecchio piano dello Tsuki no Me, soprattutto sapeva che non bisognava mai sollevarlo davanti a Obito per non rischiare di essere mutilati ferocemente. A Hidan era successo… l’unico motivo per cui era ancora vivo era la sua immortalità, Kakuzo aveva avuto molta pazienza nel rimettere insieme i pezzi.
Invece disse: “Non la metto a rischio, non gli dico nulla di importante”.
Madara lo derise ancora in quel piccolo sbuffo pregno di sarcasmo.
“Il moccioso di Fugaku è abbastanza intelligente da ricavare qualche informazione anche dal numero di volte in cui caghi” gli fece notare. “Lo sai meglio di me”.
Sì, decisamente Shisui sapeva in prima persona che razza di genio fosse Itachi… e forse nella loro ultima conversazione si era lasciato andare un po’ troppo, ma che importava? Kotoamatsukami era infallibile, non avrebbe ricordato niente di quella conversazione. Niente di… niente.
Il pensiero gli fece contrarre ancora una volta il cuore.
“Be’, non hai più nulla da preoccuparti. Questa è stata l’ultima volta” aggiunse rischiando di soffocare mentre realizzava che non avrebbe più toccato quella pelle liscia, stretto quei capelli, ascoltato quella voce.
Anche con la maschera addosso, lo scetticismo di Madara era palpabile.
“Certo, lo dici ogni volta. Ogni volta torni come un cagnolino da lui” concluse con aperto disprezzo.
“No, questa volta è vero”.
“Certo” ripeté.
Shisui prese un lungo respiro, le parole si erano conficcate in bocca come spine, facevano male. I suoi pugni chiusi tremarono e abbassò gli occhi. Respirare faceva male.
“È vero” ripeté. “Io… gli ho fatto dimenticare tutto”.
Tutto: il loro primo incontro, l’allenamento insieme fin da bambini, nascosti nel loro angola di foresta, il loro stupido e impacciato e senza senso primo bacio, tutti i baci più coraggiosi che c’erano stati dopo, i momenti in cui avevano condiviso i loro sogni, in cui si erano aperti all’altro, tutte le volte che aveva pettinato i suoi capelli, la prima volta che si era toccati curiosi e incerti, la prima volta che avevano fatto l’amore da nemici, ma ancora amanti. Aveva dimenticato tutto.
Prima che potesse trattenersi, scoppiò a piangere. Crollò a terra sul terreno sporco, l’erba alta e le radici nodose. Il suo occhio pulsava doloroso, bruciava nel tentativo di spremere da solo tutte le lacrime che aveva fallito nel trattenere.
Si raggomitolò in se stesso, chiudendosi come un riccio e affondando il volto contro le ginocchia. Voleva escludere il resto del mondo, restare solo nel proprio dolore, essere lasciato solo a sopportarlo.
Ma Obito non poteva sparire semplicemente ignorandolo.
Mentre era ancora scosso dai violenti singhiozzi non sentì il passo leggero sul sottobosco, ma non riuscì a ignorare la presa gentile sui suoi capelli. Gentile ma decisa, che lo costrinse ad alzare il volto e mostrare tutte le sue lacrime.
Non c’era più la maschera, c’era il volto di Obito che lo fissava accigliato e scrupolose, le numerose cicatrici in rilievo per via dell’espressione accentuata.
“Stai sanguinando” notò. “Hai usato Kotoamatsukami”.
Non rispose, era abbastanza ovvio, soprattutto se stava sanguinando. Del resto aveva usato il suo Mangekyo per due volte di fila senza avere il giusto riposo nella breve pausa… succedeva che sanguinasse quando chiedeva una sforzo superiore alla sua forzata.  
Obito lo lasciò andare e cercò di tornare velocemente a nascondere il volto, ma la mano si spostò ad afferrarlo saldamente al mento. Con l’altra spazzò via il sangue e le lacrime dai suoi zigomi. Anche la palpebre mancante stava piangendo, non sapeva nemmeno fosse possibile… era umiliante. Era straziante.
Singhiozzò più forte. “L’ho perso… perderò il senno… impazzirò”.
Aveva appena tagliato l’unico filo che lo teneva sano di mente, poteva già sentirne gli effetti. Il suo occhi bruciava, il suo animo era in tumulto e dilaniato tra il desiderio di rannicchiarsi da qualche parte e bruciare tutta la foresta. Le Foreste del Fuoco… avrebbe dato loro un motivo reale per chiamarsi così.
“Calmati, ti stai suggestionando” lo rimproverò Obito finendo di pulirgli il viso, ma nuove lacrime continuavano ad aggiungersi.
Shisui non riusciva a calmare il suo respiro, continuava a essere singhiozzante come se stesse soffocando, i capillari del suo occhio avevano arrossato tutta la cornea. Aveva l’aspetto di un folle in quel momento, con i capelli scompigliati, il volto pallidissimo e l’espressione sconvolta.
Obito spostò entrambe le mani sulle tempi, massaggiando la pelle sudata con i polpastrelli. Del chakra verde brillò dai suoi punti di fuga, collegandosi a quelli di Shisui; cercò di ridurre lo stress, di guarire il danno nel reticolo di chakra oculare causato dall’uso eccessivo del Mangekyo.
Quella piccola accortezza sembrò funzionare, la sua testa smise di essere pesante e anche la sensazione di dolore dietro gli occhi svanì fino a permettergli di prendere un vero e profondo respiro.
“Ecco, non stai impazzendo” ripeté Obito. “Se non sei impazzito a sei anni quando lo hai sviluppato, non succederà ora. Ricomponiti”.
Alle sue parole brusche il labbro inferiore di Shisui tremò, poi – prima che potesse rendersene conto – crollò contro di lui in cerca di un abbraccio, la testa appoggiata sulla sua spalla mentre infradiciava il suo colletto di lacrime.
Adolescenti, pensò esasperato, anche se ormai Shisui aveva vent’anni…
Rassegnato, passò una mano sulla schiena del moccioso troppo cresciuto sperando di rassicurarlo abbastanza da mettere insieme una frase sensata.
“Gli ho fatto dimenticare tutto… ha dimenticato me…”
Dai suoi farfugli riuscì comunque a mettere insieme la situazione, doveva aver messo Itachi sotto un genjutsu abbastanza potente che aveva riscritto i suoi ricordi.
“Perché?” chiese, non vedendo il senso di farlo.
La domanda sembrò spronare Shisui a riprendere il controllo su se stesso, inspirò profondamente e provò a fermare il tremito del suo corpo. Continuò a restargli aggrappato, però.
“Perché finché continuerà a cercarmi in quel modo, io continuerò a farmi trovare” ammise. “E non può andare avanti… hai ragione, vi metto in pericolo. Soprattutto adesso che sono tornato nel radar di Konoha, ricominceranno a cercarmi seriamente e sarà tutto più difficile”.
In altre circostanze Obito sarebbe stato più che felice nel sentirglielo dire, ma considerando che era una pozzanghera di lacrime e dolore non riusciva a esserlo davvero. Amore Uchiha, dannazione, perché doveva essere sempre così profondo?
“Fin’ora ve la siete cavata” provò a borbottare.
“Voleva catturami, questa volta per davvero” ammise. “Mi ha messo delle manette e mi ha fatto un sacco di domande”.
“E quindi lo hai messo sotto genjutsu e sei scappato?”
Il secondo di silenzio esitante lo fece preoccupare.
“…No. Ho risposto…”
La rabbia salì di colpo, lo afferrò per le spalle e lo allontanò malamente da lui per vederlo in volto.
“Cazzo, moccioso!” sbottò. Ora capiva la necessità del genjutsi di memoria
Il volto di Shisui era sciolto nelle lacrime. “Non gli ho risposto direttamente, ho cercato di essere evasivo, ma… Ma sapeva che siamo stati noi a prendere il Rotolo. E che lo vogliamo usare per Naruto. E continuava a chiedermi per chi lavorassi… E io… ho cercato di evitare di rispondere”. Il suo tono era tornato affrettato, facendo allarmare Obito. “Ma hai ragione, Itachi è intelligente. Rischiavo che capisse tutto… Probabilmente ha capito tutto… ma io volevo mi capisse! E io gliel’ho chiesto… gliel’ho proposto…”
“Che cosa?” domandò paziente visto che sembrava essersi bloccato nuovamente nei singhiozzi.
Shisui lo guardò con l’occhio torbido per le lacrime.
“Di abbandonare Konoha e scappare con me” rispose fievole, sospirò affranto. “Non voleva”.
Ovvio che no, Itachi su questo era fastidiosamente simile a Kakashi: non importava quanta merda il villaggio gli tirasse contro, sarebbe rimasto fedele fino al suo ultimo respiro a Konoha. Si ritrovò a fissare Shisui con pietà, il suo amore lo aveva reso cieco fino al punto di  non rendersi conto che Itachi avrebbe sempre scelto il villaggio, anche contro il suo stesso bene?
L’ideologia dei villaggi shinobi rovinava le persone, ne era sempre più convinto.
Sospirò. “Sapevi già la sua posizione”.
“Credevo… Speravo che se ne fosse pentito in questi anni” ammise.
Scosse la testa a quell’ingenuità, ma non voleva interferire. Anche se era davvero convinto che Shisui non sarebbe impazzito, non era sano spingerlo.
“Calmati” lo spronò quindi. “Quando ti sarai calmato mi darai quello che è successo”.
Passò la mano sulla sua schiena, chiedendosi se i consigli letti sui manuali pedagogici potessero funzionare anche su un vent’enne. Del resto aveva letto da qualche parte che chi aveva subito dei traumi tendeva in certi momenti a retrocedere a bambino, considerando che Shisui era un ninja fin da piccolo che aveva sviluppato il Mangekyo a sei anni aveva fin troppi traumi irrisolti.
Alla fine rimase in silenzio, lasciando che Shisui si accordasse al suo respiro per regolarizzare il proprio e smettere di singhiozzare. Vedendolo più tranquillo, spazzolò via le ultime lacrime.
“Ecco, vedi. È tutto apposto”.
Shisui scosse la testa. “Non lo è. Stanno cercando Naruto, rivogliono il Kyūbi”.
“Lo sapevamo che avrebbero tentato di riaverlo, non è una novità”.
“Ma secondo le nostre informazioni credevano fosse morto. Sanno che è vivo e… ricominceranno a cercarlo davvero”.
“E sapremo rispondere. Naruto non ha più otto anni, sta imparando a difendersi. E ha un gruppo di mercenari a parargli il culo. Oltre che me” aggiunse.
Shisui tentò un sorriso, ma funzionò solo per pochi secondi. Alzò una mano ad asciugarsi l’occhio, ammaccandolo ancor di più con il pugno.
“Itachi era già consapevole che non lavorassi da solo, ma gliel’ho… confermato. Credeva avessi rapito io Naruto, volevo spiegargli che non era andata così. Che è stato lui a scegliere di andarsene, perché tu gli hai detto tutto”.
Obito sospirò, non era molto ma così adesso sapevano che c’era un’organizzazione criminale da cercare. Quanto tempo ci avrebbero messo a scovare Akatsuki? Pain non era preoccupato dalla prospettiva, voleva che il mondo shinobi sapesse della loro esistenza… Iwa e alcuni villaggi minori ne erano già a conoscenza, chiedendo perfino il loro intervento quando necessario. Ma avere Konoha sulle proprie tracce non era qualcosa da prendere con leggerezza.
“Quindi gli hai parlato di me?” chiese paziente.
Fortunatamente scosse la testa. “No, ma a un certo punto ha detto che stavo palando come avrebbe fatto Madara… e io potrei aver risposto che magari è stato Madara ad aprirmi gli occhi…”
Obito si oscurò un po’. “Qual è stata la sua reazione?”
“Mi è sembrato… confuso ed esasperato”.
Ci meditò un po’ su. C’erano molti modi per interpretare una cosa del genere, sia nel senso letterale – Madara era ancora in vita – che in un senso metaforico – Shisui aveva letto le trascrizioni sull’ex-capo clan assimilando i suoi ideali. Queste due risposte erano innocue… Ma poteva pensare che stesse parlando di un ammiratore di Madara, probabilmente un altro Uchiha, e c’era il rischio così che si accorgessero dell’esistenza di Obito, che non era morto quel giorno.
“Altro?” chiese.
“…Potrei aver detto che il mio gruppo è una nuova alba per il mondo”.
A questo imprecò sonoramente. Se Itachi fosse tornato a Konoha con un’informazione simile avrebbero scoperto di Akatsuki in pochissimo tempo. Meno male che alla fine di tutto gli aveva cancellato la memoria.
“Sei sicuro che non ricorderà nulla?” chiese per scrupolo.
Shisui annuì. “Ha dimenticato tutto quello che ci riguarda. Tutto” ripeté tremante.
“E sei certo che il genjutsu non può essere spezzato”.
“Kotoamatsukami è infallibile” gli ricordò. “Forse solo un altro Mangekyo può risolverlo… ma dovrebbe aver sviluppato lo Tsukiyomi, o comunque un’altra capacità di genjutsu abbastanza potente… E comunque noi due siamo gli unici Uchiha ad avere un Mangekyo” concluse.
Obito non commentò. Era vero, non avevano informazioni che un altro Uchiha avesse sviluppato il Mangekyo sharingan in quei quattro anni, ma le loro informazioni potevano essere incomplete. Senza contare…
“Kakashi ha il mio occhio. E Danzo il tuo”. Shisui richiuse la bocca di scatto e Obito continuò: “Se si accorgono che è sotto genjutsu potrebbero provare a romperlo”.
Shisui corricciò la fronte. “Ma… il Kamui non riguardo il genjutsu e Kakashi non lo sa ancora usare. E Danzo… abbiamo scoperto che se non sono io a usarlo il tempo di ricarica del chakra necessario per kotoamatsukami è molto più lungo, se Danzo l’ha usato recentemente non potrà rompere il genjutsu su Itachi”.
Se l’ha usato di recente” ripeté Obito. “Non possiamo rischiare così tanto. È meglio agire sulla base del peggior scenario possibile, cioè che Itachi ricorda la vostra ultima conversazione”.
A quella prospettiva Shisui sembrò offendersi. “Kotoamatsukami è infallibile” ripeté.
“E Itachi è un genio” gli ricordò mordace. “Non mi fido di lui e non voglio sottovalutarlo”.
Abbassò gli occhi, prendendo un lungo respiro. “Se ricorda sa che cosa gli ho fatto, quindi mi odierà. Comunque non c’è più il rischio che ci incontreremo di nascosto” concluse.
Giusto, era quello il dramma che il ragazzo stava cercando di superare, non il fatto che informazioni sensibili erano state compromesse e Konoha avrebbe presto dato la caccia all’intera organizzazione. Sospirò e mise una mano tra i suoi capelli, cercando in qualche modo di confortarlo.
“Sapevi già che sarebbe finita così, ti abbiamo avvertito che era un destino già scritto. Entrambi avete fatto le vostre scelte, tu hai scelto un nuovo mondo e Itachi quello vecchio. Questo ha cambiato tutto” completò.
L’occhio di Shisui tornò lucido. “Scelto… mi hanno dato la caccia. Io volevo aiutare e loro mi hanno tradito” ringhiò con frustrazione. “Sono stato costretto a scegliere”.
“E ti penti di essere scappato, unito all’Akatsuki?”
Lo guardò come se fosse folle. “Certo che no!”
“Allora, moccioso, smetti di frignare e ricomponiti. Abbiamo una riunione questa sera”.
Shisui sospirò, non si poteva proprio avere un momento di pace.
“Riunione su cosa?”
“Kisame ha informazioni da condividere. Inoltre bisogna discutere con Pain degli ultimi risvolti con Konoha”.
Scrollò la testa sconsolato. “Vorrei riuscire a odiare Itachi come tu odi Kakashi”.
“Dovresti farlo, visto il suo tentativo di pugnalarti alle spalle” gli ricordò.
“Lo stanno solo manipolando” tentò di giustificarlo.
“È vero” concordò Obito. “Ma il problema è che Itachi è abbastanza intelligente da accorgersene e potersene liberare. Credo ci sia un motivo se si lascia manipolare così”.
Serrò le labbra e non ribatté, consapevole che Obito aveva ragione. Se Itachi lasciava che lo usassero come arma era perché era d’accordo e lo vedeva come l’unico modo possibile per garantire la pace, anche se era fittizzia…
Obito interruppe i suoi pensieri porgendogli la mano guantata.
“Andiamo” spronò.
Shisui esitò brevemente, ma poi la strinse. Mentre il kamui lo risucchiava dal via del sottobosco provò un crampo di senso di colpa.
Perché sperava che i peggiori timori di Obito fossero veri e che Itachi non lo avesse dimenticato.
 
 
 
 
 
Ehilà, nuovo capitolo! Ve lo aveva detto che non ci avrei messo troppo, anche se in realtà i contenuti sono dimezzati rispetto a quelli promessi. Ma già con solo l’incontro da Shisui e Obito abbiamo raggiunto quasi le 5.000 parole, non volevo aggiungere troppa carne al fuoco quindi nel prossimo capitolo abbiamo Itachi che torna a Konoha (e questo mi permette di inserire un altro flashback, yeah).
Che dire se non meno male che Obito è paranoico? Visto che ha assolutamente ragione, Itachi è riuscito a liberarsi dal genjutsu, mai sottovalutarlo u.u
Piccoli appunti di base: so che nella novel e nel filler di Itachi viene mostrato che Fugaku ha il Mangekyo, ma io l’ho sempre trovata una grande pagliacciata. Nel canon viene lasciato intendere che lo sviluppo di Itachi del Mangekyo sia una cosa eccezionale, quindi preferisco seguire questa linea dove prima di lui solo Shisui lo aveva sviluppato in quel periodo, anche perché in realtà canonicamente le cose stanno così. Ho voluto aggiungere quella parte su Kagami per sfizio personale, lasciamo un po’ di briciole sul bel rapporto tra Tobirama e il suo studente preferito (che no, non era Sarutobi u.u almeno non in quel senso lol)
Comunque se Shisui vi è sembrato troppo emotivo ricordate che gli Uchiha sono drama queen per genetica xD
Bando alle ciance, spero che vi sia piaciuto e di vedere qualche commento in più, sapete che mi rende felice leggere le vostre opinioni <3
Un bacetto,
Hatta
 
 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Lealtà ***


Cap IX

Lealtà



Hiruzen inspirò meditabondo dalla propria pipa, poco felice della scena che aveva davanti. Aveva già sentore di brutte notizie quando Danzo gli aveva detto di dovergli parlare urgentemente. Entrando nel suo ufficio aveva trovato Itachi già lì, inginocchiato davanti alla scrivania e la divisa ANBU addosso. A giudicare da piccoli dettagli di usura e dal fango sulle sue scarpe, non era lì pronto per una missione. Era tornato da una missione. Hiruzen non gli aveva inviato nessuna pergamena recentemente, quella missione non era opera sua. 
Spostò lo sguardo su Danzo mentre andava a prendere posto sulla sedia dall’alto schienale. Si sentì troppo stanco e vecchio mentre le giunture protestavano al suo sedersi. Incrociò le dita sulla scrivania.
“Rapporto” concesse.
Itachi non alzò lo sguardo dal pavimento e a parlare fu Danzo.
“Dal tradimento di Shisui mi sono permesso di affidare a Itachi una missione segreta della massima importanza: spiarlo”.
Quel preambolo non gli piaceva. Inarcò un sopracciglio mentre studiava quanto tabacco fosse rimasto nella pipa, quella conversazione necessitava della nicotina.
“Shisui è stato intracciabile per anni, l’avvistamento dell’altro giorno è stato il primo dalla sua scomparsa” fece notare. “Se un nostro shinobi lo avesse incontrato prima, sarebbe stato gradito informarmi” aggiunse con una nota di rimprovero.
Danzo non batté ciglio, né Itachi si mosse dalla sua posizione inginocchiata.
“Ho ordinato a Itachi di cercare Shisui e, nel caso lo avesse trovato, di non iniziare nessun combattimento con lui e di cercare di non passare per una minaccia. La sua missione sarebbe stata quella di convincerlo a parlare”.
Esattamente quello che temeva. Era troppo vecchio per tutto quello.
“Perché?” chiese.
“Sappiamo entrambi dell’interesse… speciale che Shisui prova per Itachi”.
Lo sapevano bene, sì. Era ovvio agli occhi di chiunque li conoscesse e per questo il tradimento del ragazzo era sembrato ancora più assurdo. Se c’era qualcuno che più contava di Konoha per Shisui, era proprio Itachi, non aveva senso che lo avesse abbandonato in quel modo. Ma del resto, dopo aver attaccato un membro del consiglio… volente o nolente, non aveva avuto altra scelta che la via del nukenin.
“L’avermi tenuto questo segreto è tradimento” avvertì.
“Accetterò ogni conseguenza” replicò Danzo con la tranquillità di chi sapeva che in realtà era intoccabile. Su questo aveva ragione, Hiruzen era furioso ma non ci sarebbero stati provvedimenti. Per quanto poco ortodosse fossero le vie dell’amico di infanzia, era un collaboratore troppo prezioso, in grado di prendere le decisioni che i suoi scrupoli gli impedivano di prendere.
“Per venire a dirmelo ora, dovreste avere delle informazioni” considerò, perciò ripeté duro: “Rapporto”.
Danzo spostò gli occhi sul giovane e finalmente Itachi aprì la bocca. Il suo sguardo rimase fisso sul pavimento. 
“Dopo che Danzo-same mi ha affidato questa missione, sono riuscito a ritrovare Shisui solo due anni e tre mesi dopo il suo tradimento. Seguendo le istruzioni di Danzo, non mi sono presentato come una minaccia. Dopo l’iniziale diffidenza lui ha accettato di restare con me. Abbiamo continuato a vederci in questi ultimi due anni, irregolarmente e senza che io riuscissi a ottenere una qualche informazione. Danzo-sama mi ha detto di persistere”. Prese fiato, per tutto il racconto il suo tono di voce era stato neutro e distaccato, come se a parlare fosse una macchina. “Nel suo scontro con il team 7, ha lasciato a mio fratello un messaggio in codice per me: il luogo del nostro prossimo incontro. Sono partito il giorno dopo averlo ricevuto. Ieri”.
“Che luogo?” chiese infastidito nello scoprire che uno dei suoi migliori ANBU era riuscito a lasciare il villaggio senza che nessuno se ne accorgesse.
“Una locanda al confine. Ho già indicato a Danzo-sama le coordinate sulla carte”. Alzò brevemente gli occhi e al cenno dell’Hokage riprese a parlare. “Questa volta ho tentato di renderlo inoffensivo e affrontarlo. Shisui è stato capace di eludere ogni mio tentativo”.
Hiruzen aggrottò la fronte. “Perché? Danzo ti aveva autorizzato?”
Scosse la testa. “È stata una mia iniziativa, causata dall’attacco compiuto contro il team 7. Finora Shisui non aveva attaccato un compagno di Konoha, ho pensato che ora che si era ufficialmente dimostrato una minaccia era mia dovere fermarlo”.
“Ma non ci sei riuscito”.
Danzo intervenne: “Questa volta però è riuscito a farlo a parlare. Digli cos’hai scoperto” ordinò.
“Il vero mandante del furto del Rotolo Proibito è Shisui” disse. “O meglio, l’organizzazione per cui lavora”.
“Hai scoperto quale?”
Sospirò. “Ha solo detto che si trattava di una nuova alba per il mondo. È composta da nukenin di varie nazione. Li ha chiamati mostri che i villaggi hanno creato, immagino si tratti di controversi shinobi con kekkei genkai particolari, per cui sono stati stigmatizzati dalla popolazione civile e perciò hanno tradito il proprio villaggio”.
Come un Jinchuriki, meditò Hiruzen sentendosi male. Ma non aveva notizie di furti di Biju da altri villaggi… certo, a livello ufficiale e diplomatico gli altri villaggi non sapevano che loro avevano perso il loro Jinchuriki. Che la stessa situazione esistesse nelle altre nazioni? Che come loro erano stati derubati del proprio Biju, facendo però in modo che la notizia non trapelasse? Doveva mandare le sue spie a indagare.
Una nuova alba per il mondo… quelle parole gli erano familiari. Era sicuro di averle lette in uno degli ultimi messaggi di Jiraiya sui movimenti di Orochimaru prima che smettesse di mandare aggiornamenti. 
“Altro?”
“Shisui è stato molto attento a non farsi sfuggire nulla, ha parlato principalmente per enigmi. Ma…” esitò. “È stato qualcuno a convincerlo a tradire, qualcuno che è anche il vero responsabilmente del rapimento di Uzumaki Naruto. Quel qualcuno potrebbe essere Uchiha Madara. O un sedicente tale”.
Hiruzen sentì la pipa scivolare dalle sue labbra socchiuse, ma non vi badò. Lo shock era stato troppo forte. Sperava di non dover sentire quel nome mai più. Soprattutto non si aspettava che quel fantasma venisse riesumato in un tale discorso. Era una follia da sentire, ma sapeva che Itachi era intelligente e doveva avere il suo motivo per dirlo.
“Cosa te lo fa credere?” chiese quindi cercando di non mostrare quanto la prospettiva lo scombussolasse. Era pur sempre l’Hokage.  
Percepì dell’esitazione da parte del ragazzo. “Si è messo a fare discorsi pericolosi, accusava Konoha di non essere in grado di creare la pace… Gli ho detto che stava facendo gli stessi discorsi di Uchiha Madara”. Alzò lo sguardo, i suoi occhi erano spenti e opachi. “Ha detto che forse è stato lui a ispirarlo”.
Sapeva per certo che gli Uchiha avevano cancellato all’interno del clan ogni traccia dell’esistenza di Madara. Il suo ricordo persisteva tenace, era il fantasma di cui i bambini avevano paura e immaginava che nello stretto nucleo del capoclan qualche frammento su di lui fosse rimasto. Ma Shisui non aveva modo di venire a conoscenza degli ideali di Madara al punto da dire di esserne stato ispirato. Del resto la stessa linea di sangue del vecchio nemico di Konoha si era estinta con la morte di Obito, quando Shisui era solo un bambino.
Itachi sapeva queste cose quanto lui, per questo doveva aver escluso che fosse stata la memoria di Madara a ispirarlo, optandone per una versione in carne e ossa. Non voleva credere a Madara ancora vivo, ma forse qualche imitatore…
“Cos’altro?”
“Vogliono usare il Rotolo per via del sigillo del Kyubi, per migliorarlo stando alle sue parole.” Non fece nessuna smorfia. “Ha insistito sull’essere stato tradito per primo…” I suoi occhi scivolarono su Danzo. “E poi mi ha chiesto di scappare con lui, di unirmi al suo gruppo”. Itachi contrasse la mascella. “Mi sono rifiutato”.
Ovviamente. Anche se sarebbe stato utile avere un infiltrato, era un rischio che andava calcolato al millimetro e non andava improvvisato. Era un bene che Itachi non avesse preso altre iniziative personali.
Il ragazzo parlò senza che lo spingesse a farlo.
“Gli ho detto dell’accordo tra il consiglio e il Clan Uchiha”.
Per la seconda volta, Hiruzen rischiò di perdere la pipa. “Oh…” 
Non era esattamente felice che lo avesse fatto e Itachi percepì il rimprovero implicito.
“Ho pensato che vedendo il problema risolto cambiasse idea” ammise.
Era un pensiero ingenuo, il primo pensiero ingenuo che Hiruzen vedeva essere formulato da Itachi. Non glielo rimproverò troppo comunque. Per quanto fosse intelligente era solo un ragazzo di diciassette anni tormentato dalla perdita. Ricordava come fosse Kagami a diciassette anni, con i suoi sentimenti impossibili da sopprimere, l’unica cosa che lo rendevano irrazionale da far paura. Era incredibile che Itachi resistesse così bene.
“C’è altro che vuoi aggiungere?”
Annuì. “Quando è stato chiaro che non avremmo trovato nessun accordo, Shisui mi ha messo sotto genjutsu. Mi ha fatto dimenticare il nostro passato insieme, la nostra amicizia”. Fece una piccola pausa. “Mi sono svegliato solo, convinto che quell’incontro non ci fosse stato e Shisui fosse uno sconosciuto”.
“Ma ora ricordi”.
 “Avevo preparato una contromossa nel caso succedesse qualcosa di simile” spiegò.
Com’era da aspettarsi da lui. Non si sarebbe mai infilato nella bocca del nemico senza reti di sicurezza, anche se quel nemico era Shisui.
“Quindi lui crede che tu abbia dimenticato tutto, ma non è così” riassunse. “Abbiamo un vantaggio. Sappiamo che è il vero responsabile del furto del Rotolo, che lui e i suoi soci stanno cercando di fare qualcosa con i Jinchuriki e che Uchiha Madara potrebbe essere coinvolto in tutto questo”.
Era così tanta merda che sospirò. Avrebbe voluto sapere prima di quegli incontri tra Itachi e Shisui, ma non poteva lamentarsi visto che avevano nuove informazioni su cui lavorare. Per prima cosa doveva confermare lo stato degli altri Biju e concentrarsi sulla formazione di nuove organizzazioni shinobi clandestine.
Per un lavoro del genere aveva bisogno di una persona in particolare. Una persona che stava facendo del suo meglio per rendersi introvabile, che non voleva avere più nulla a che fare con Konoha. 
Guardò attentamente Itachi ancora nella sua uniforme ANBU.
“Ho una nuova missione per te” dichiarò e il ragazzo rizzò le spalle, in attesa di istruzioni. Hiruzen prese un foglio e iniziò a scriverci veloce. “Ho bisogno che tu trova Jiraiya il Sannin. Questi sono i luoghi dove è stato avvistato l’ultima volta”, e risalivano tutte a troppi anni prima, purtroppo. Arrotolò la pergamena a la consegnò a Itachi. “La tua missione sarà trovarlo e convincerlo a tornare. Sei autorizzato a spiegargli quanto è stato detto in questa stanza se necessario. Ma ti avverto: non sa del rapimento del nostro Jinchuriki, potrebbe non prenderla bene. Puoi dirglielo, ma la vostra discussione dovrà essere discreta. Non voglio una fuga di informazioni”.
Itachi annuì, prendendo il rotolo senza leggerne il contenuto. Hiruzen allora si voltò verso Danzo.
“Gli agenti ROOT dovranno sostenere gli ANBU regolari nella ricerca di Shisui… e voglio delle spie negli altri villaggi, i nostri migliori uomini”.
“La nostra migliore spia è Hatake Kakashi” fece notare calmo Danzo.
Con la coda dell’occhio vide Itachi tendersi, ma non ci fece caso. Spazzò via il suggerimento del suo consigliere con un gesto della mano.
“Kakashi ha la sua squadra genin a cui pensare. Troveremo qualcun altro”.
La decisione non piacque a Danzo, ma oltre a una smorfia di disaccordo non fece o disse nulla. 
“Itachi-kun” chiamò allora, ammorbidendo la voce, “trovare Jiraiya è della massima priorità. Partirai questa notte, è meglio che tu vada a riposarti qualche ora. Puoi andare”.
Al suo licenziamento, il ragazzo abbassò il capo in un inchino. Poi con uno sfarfallio la sua presenza svanì, velocemente teletrasportato da uno Shunshin. Rimasti soli, Hiruzen si concentrò solo su Danzo. Gli lanciò un’occhiata furiosa, le narici dilatate. Il vecchio amico rimase imperturbabile.
“Andava fatto” si giustificò.
Il Sandaime camminò a passi veloci per la stanza. “Non farlo mai più. Itachi non è uno dei tuoi uomini, devi ricordartelo” sibilò.
“Non ancora” replicò con lo stesso tono pacifico.
Gli lanciò uno sguardo di sbieco. “Fino ad allora, ricorda il tuo posto. Se vorrai affidare a Itachi altre missioni, prima dovrai discuterne con me”.
“Non avresti accettato”.
Certo che no. Sapeva che dal punto di vista strategico, la scelta di usare Itachi per adescare Shisui era vincente visto il profondo legame che univa quei ragazzi… ma proprio per quel legame sapeva che tutto quello aveva ferito Itachi. Non era mai saggio giocare con i sentimenti di una persona, soprattutto se quella persona era un Uchiha.
“No” confermò quindi senza sbattere la palpebre. Rizzò la schiena, cercando di mostrare con il proprio portamento tutta la sua autorità. “Ma sono io l’Hokage, sono io colui che decide e ordina. Non dimenticarlo mai”.
Danzo fece una smorfia infastidita ma fece un cenno d’assenso con il capo, tanto gli bastò. Si voltò verso una delle ampie finestre, guardò il suo bellissimo e amato villaggio e sospirò. Sentiva la brezza che sapeva di foglie primaverili, le risate dei bambini e i richiami degli adulti. Erano tutti sereni, pacifici.
Hiruzen era troppo vecchio per credere che la pace sarebbe durata per sempre; sapeva fin da quando aveva firmato i trattati di non belligeranza nella Terza Guerra che un nuovo cataclisma sarebbe avvenuto. L’attacco del Kyubi era stato solo anticipo, quella serenità tanto cara nel suo villaggio stava per finire.
I suoi occhi caddero sulla montagna degli Hokage. Accanto al suo volto ancora giovane stava Tobirama, impassibile e ormai eterno.
Sensei, spero di aver fatto le scelte giuste… sospirò.

 
**

Itachi era scivolato all’interno della sua stanza senza farsi notare da nessuno nella casa. La sua famiglia non sapeva nemmeno che era partito, quindi non voleva allarmarla proprio ora. Fortunatamente aveva passato abbastanza notti fuori con Kakashi perché non si facessero mai domande sulla sua assenza. I suoi genitori tolleravano quella relazione con l’indifferenza di chi sapeva non sarebbe durata.
Il pensiero di Kakashi gli stritolò il cuore. Lo amava, ma solo poche ora prima aveva detto a Shisui di amarlo e lo intendeva davvero. Era sincero quando lo dichiarava a entrambi… Kakashi non sapeva nulla di quella missione segreta, del suo tradimento continuo. Fosse stata solo una missione sarebbe stato più facile gestire i sensi di colpa, ma Shisui non era mai solo una missione. Era sempre molto, troppo, di più.
Kakashi non meritava qualcosa del genere.
Proprio com’era entrato, uscì dalla finestra della camere senza farsi vedere. Nei suoi abiti civili saltò da un ramo all’altro fino a essere fuori dal complesso degli Uchiha. Atterrò in mezzo a una stradina vuota, immettendosi poi in una principale. I suoi sensi erano in allerta mentre cercava di percepire il chakra familiare.
Lo trovò in una strada alberata secondaria, completamente vuota. Itachi si mise sotto uno degli alberi e alzò la testa, in cerca dell’uomo, ma il fogliame era così fitto che non poteva distinguere nulla. Scuotendo la testa divertito, fece un balzo e atterrò sul primo ramo disponibile. Si arrampicò fino a trovare Kakashi nascosto tra le foglie, seduto su un ramo tozzo e la schiena appoggiata al tronco; ovviamente stava leggendo Icha Icha.
“Già qui?” chiese inarcando appena la sopracciglia sul suo unico occhio visibile.
Itachi si sistemò sullo stesso ramo di fronte a lui. “Era una missione veloce. Non dovresti essere con i tuoi studenti?”
“Dovrei” confermò pigramente, “se non fossi stato ammutinato”. Itachi inarcò un sopracciglio invitandolo in silenzio a spiegarsi meglio. “Sasuke ha deciso di non presentarsi, Himawari ha deciso che se Sasuke non si presentava lei non sarebbe rimasta e Sakura…” scrollò le spalle. “Non aveva senso allenare solo lei” concluse.
Strinse le labbra. “Sai, mio fratello si comporta così perché non approva il tuo metodo di insegnamento”.
“Ho un metodo di insegnamento? Interessante, non lo sapevo”.
Itachi alzò gli occhi al cielo e lo colpì con il piede. “Sasuke vuole essere allenato sul serio, da quello che mi racconta non state facendo nulla”.
“Non esageriamo. Siamo la squadra genin con il più alto numero di missioni riuscite”.
“Missioni di grado D” fece notare impietoso. “. Cercare animali smarriti, pulire giardini, riverniciare… Sasuke è intelligente, si annoia. Ha bisogno di imparare qualcosa ed è tuo dovere da sensei insegnargli”.
Nonostante la maschera, vide comunque le labbra piegarsi in un broncio infantile al suo rimprovero. 
“Non volevo fare l’insegnante. Non so come si fa” si lamentò.
“Non è vero. Sei stato un ottimo capitano con me”.
“Eravamo in ANBU, è diverso” insistette. “Cosa dovrei insegnargli? A uccidere e come nascondere il cadavere? Sono dei bambini”.
“Io avevo undici anni” gli ricordò mite.
L’iride grigia si scurì di amarezza. “Non è la stessa cosa”.
No, non lo era, anche Itachi lo sapeva. Era sempre stato diverso, non solo dai propri coetanei ma anche da tutti gli altri shinobi. Tranne Kakashi, diventato Jonin a dodici anni, con come prima missione un intervento diretto e fondamentale nella guerra in corso. Solo un altro bambino-genio avrebbe capito la responsabilità di un altro bambino-genio. Il loro mondo seguiva regole completamente diverse rispetto al resto delle persone.
Kakashi lo aveva sempre capito, anche quando era un suo sottoposto nell’ANBU era sempre stata una figura di riferimento da ammirare. Forse non doveva sorprendersi se poi erano sbocciati quei sentimenti, se non lui chi?
Shisui, suggerì una voce nella sua testa.
Ma Shisui lo aveva tradito, aveva rinnegato tutto quello in cui credevano. Aveva tentato di cancellare la sua memoria, i loro momenti insieme… Gli aveva detto addio. Ma in realtà lo aveva abbandonato già da quattro anni, quella missione aveva creato un limbo che non poteva esistere. Perché Shisui lo aveva abbandonato e Itachi ora amava Kakashi.
Guardò l’uomo più grande, nonostante fosse visibile solo poco del viso poteva comunque distinguere quanto i suoi lineamenti fossero attraenti. Kakashi inclinò la testa curioso e Itachi accennò un sorriso. Agile e silenzioso si mosse sul ramo fino ad a sedersi a cavalcioni sul suo grembo, Kakashi si spinse con la schiena contro il tronco e appoggiò una mano sulle sue cosce, in cerca di un nuovo equilibrio. La sua curiosità si trasformò in sorpresa.
“Oh?” sospirò interrogativo.
Nessuno dei due era una persona molto tattile, non intraprendevano mai gesti simili fuori dalla camera da letto e non cercavano mai un contatto fisico. Erano riservati e il loro amarsi era espresso soprattutto attraverso gli sguardi. Poteva quindi capire la sorpresa di Kakashi nel vederlo fare qualcosa di tanto audace in un luogo pubblico.
Senza rispondere alzò una mano e gli accarezzò lo zigomo, le dita si incastrarlo sull’orlo della maschera attillata e spinse per tirarla giù, a scoprire la pelle. Kakashi glielo lasciò fare, immobile e curioso. Quando però premette insieme le loro labbra, ricambiò il bacio languido, aumentando la presa sulla coscia di Itachi. Chiuse gli occhi, assaggiando il sapore di quella bocca, ricambiando i movimenti bagnati della lingua, premendo con più forza le labbra al punto da far scontrare i denti. L’altra mano di Kakashi era andata ai suoi capelli, aggrappandosi alle sue ciocche lunghe in un modo che minacciava di sciogliere l’elastico.
Itachi interruppe il contatto nel rendersi conto che si stava eccitando troppo, quando indietreggiò Kakashi aveva un po’ di fiatone.
“Oh” ripeté. “Come mai?”
Scrollò le spalle. La mano dell’uomo era ancora tra i suoi capelli, passò le dita ad accarezzarlo e pettinarlo, un gesto confortante sulla schiena. Lo sguardo nell’occhio grigio si era addolcito.
“Va tutto bene?” chiese mentre anche l’altra mano diminuiva la stretta e iniziava ad accarezzarlo rassicurante.
Quell’accortezza fece venire a Itachi un groppo in gola, desiderò di baciarlo ancora. 
Attento, protettivo e leale Kakashi. 
Pensò che in tutta Konoha non ci potesse essere una persona migliore di lui. La vita lo aveva costretto a sopportare così tanto, eppure lui proseguiva per la sua strada senza abbandonare la fede nei propri compagni. Gli shinobi di Konoha avevano spinto suo padre al suicidio, i suoi preziosi compagni erano morti per il bene di Konoha e gli era stato impedito di avvicinarsi al figlio dell’unico uomo che era riuscito a dargli una famiglia; lo avevano invece gettato nel fango, nell’oscurità di ANBU, solo come un’arma tagliente. Quello era il destino di tutti gli shinobi, ma era sicuro che il destino avesse chiesto troppo da Kakashi. Avrebbe avuto tutti i motivi per disprezzare il loro mondo, per abbandonare Konoha. Ma non lo faceva. Restava, perché la migliore qualità di Kakashi era la lealtà.
Kakashi non lo avrebbe mai tradito.
Prese il suo volto tra le mani, i polpastrelli sfiorarono la pelle nuda delle guance. Era così raro vedere il suo volto intero che Itachi attivò lo sharingan senza pensarci.
“Ti prenderai cura di Sasuke?” chiese dolcemente.
Kakashi scoccò la lingua sul palato. “Ah. Vedo quello che stai cercando di fare: mi seduci per convincermi ad allenare tuo fratello”.
“Te ne accorgi solo ora, taicho?” stuzzicò decidendo di stare al gioco. “Questo piano sta durando da dieci mesi ormai”.
“Ricordo, sì. Avevi scoperto che stavo per diventare il sensei di Sasuke e tu sei venuto a cercarmi con il tuo carino atteggiamento passivo-aggressivo per assicurarti fossi un bravo sensei”.
Itachi inarcò un sopracciglio a carino. “Volevo solo sapere quale sarebbe stato il tuo programma, se ne avevi uno”.
“E io ti ho detto che non ne avevo uno. Quindi mi hai sedotto”.
Gli tirò una ciocca argento di capelli. “No. È arrivato Asuma-san per festeggiare le assegnazioni e andare a bere, mi sono ritrovato in mezzo all’invito anch’io. Poi Gai-san ti ha sfidato a una gara di bevute e vi siete ubriacati entrambi, mi è stata data la missione di riportarti a casa sano e salvo”.
“Però mi hai spogliato mentre ero a letto”.
“Indossavi ancora i tuoi vestiti shinobi e non riuscivi neanche a slacciarti le scarpe. Ho fatto il mio dovere”.
Le labbra di Kakashi si piegarono in piccolo broncio. “E allora com’è successo?”
Itachi accarezzò quelle labbra imbronciate. “È solo… successo”.
Un soffio di vento si alzò, infilandosi tra i rami dell’albero e facendo vibrare le foglie in una musica dolce e frusciante. Kakashi lo guardava senza dire niente, il suo occhio penetrante calmo, rassicurante e dolce; quell’uomo era la sua certezza iniziata per caso.
Il jounin appoggiò la propria mano ruvida sulla sua e spostò il viso baciandogli il palmo.
“Terrò Sasuke al sicuro in qualsiasi situazione” gli promise quieto, ma con un tono vibrante per la sicurezza delle sue intenzioni. “Non permetterò che ai miei genin accada qualcosa”.
Itachi emise un piccolo sospiro.
Gentile, protettivo e leale Kakashi.
“Grazie”.
**

Il tavolo delle riunioni era quasi del tutto completo con l’arrivo di Kisame e il ritorno di Tobi e Shisui. Mancava solo Sasori, ancora in giro a raccogliere informazioni dalle sue spie. Deidara aveva ben pensato di occupare la serie vuota con il materiale di lavoro della sua argilla esplosiva. 
Pain osservò attento ogni membro presente. Tutto sembrava come al solito: Hidan strepitava su qualcosa, Deidara rispondeva per le rime e Kakuzo minacciava quieto di mozzare la lingua a entrambi, facendo presente quanto costava quell’organo al mercato nero; Tobi interveniva di tanto in tanto per fomentare gli animi con frasi del tutto fuori luogo, facendo scoppiare a ridere Naruto seduto in braccio a lui, nel mentre Kisame osservava ridacchiando a proprio agio. Solo Shisui era fuori dal suo solito personaggio: era troppo silenzioso e curvo su stesso, l’espressione depressa e gli occhi così pesti che dubitava fosse solo a causa dell’uso prolungato del Mangekyo.
Non che gli interessasse lo stato d’animo di un adolescente troppo cresciuto, quella era una riunione.
Lanciò uno sguardo a Konan al suo fianco, la donna intese subito. Al solo battito di ciglia un areo di carta dalla punta affilata e letale volò in mezzo al tavolo con un ronzio, facendo sussultare tutti quanti. Avuta la loro attenzione, Pein parlò.
“Che notizie porti, Kisame?” saltò ogni convenevole.
L’uomo squalo sorrise compiaciuto. “Vengo dal Paese delle Onde” disse, “e porto notizie interessanti su un mio ex-collega”.





Angolo dei gufi.
Della serie: non mi sono dimenticata di questa fic! (E neanche di “Ti piacerebbe restare per sempre?” che giuro di aggiornare prossimamente u.u)
Parlando di questa fic, mi spiace avervi fatto aspettare così a lungo per un capitolo di passaggio (più un capitolo di simpaggio su Kakashi ma okay), ma come potete intuire dal prossimo inizia la saga nel paese delle Onde! E le cose ovviamente non andranno come nell’originale :P d’altra parte avremo anche Itachi in cerca di Jiraiya, piccola side story che spero vi possa piacere.
Piccolo appunto: il "grazie" finale di Itachi va letto come se fosse un "ti amo". I giapponesi sono molto stitici con i sentimenti, come ben sappiamo, e spesso piuttosto di dire apertamente "ti amo" preferiscono dire "grazie" alla persona che amano. Grazie di essere nella mia vita, grazie di essere qui con me, di prenderti cura di me, di avermi permesso di amarti. È molto dolce (e poi penso alla mia shippetina del cuore e piango ;___;)
Vi ringrazio tantissimo per la vostra pazienza e costanze di seguire questa storia nonostante i tempi di aggiornamento geologici ç__ç anche questa volta non so dirvi quando sarà il prossimo capitolo ma posso assicurarvi al 100% che ci sarà un prossimo capitolo. Questa storia continua!
Un bacio!
Hatta

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