Vedo i Tuoi Colori

di Nuage_Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verde Favola ***
Capitolo 2: *** Arancione Memoria ***
Capitolo 3: *** Giallo Neutro ***
Capitolo 4: *** Verde Ritorno ***



Capitolo 1
*** Verde Favola ***


Verde Favola  



Scritto per la sfida NarratoriDiStorie per il mese di Marzo, di seguito la consegna:

 7. Prato, verde, almeno uno azzeccato.

7.Verde

Caratteristiche:

speranza/happy ending

pazienza

rabbia

Consegna: Un prato, con dei fiori e alberi come in una favola.

Bonus: 9, usa solo una sfumatura del colore

#narratoridistorie

 

Quella giornata di sole era un regalo inaspettato, era pur sempre Febbraio. Aveva così deciso di prendere tela, pennelli e colori e cercare tra i campi dietro casa sua la giusta ispirazione per il quadro che desiderava fare da mesi.
Era un po’ arrabbiato con sé stesso, visto che in quel periodo il suo pennello non si decideva proprio e la tela restava bianca. E anche quando ci riusciva, sembrava sempre che ogni immagine non fosse giusta, mentre lui cercava il quadro azzeccato, adatto ad una favola. Dopotutto era il tema di quella mostra a cui avrebbe partecipato, ossia Sogno da favola. Doveva assolutamente riuscirci e non solo perché aveva dato la sua parola, ma anche perché la ragazza che curava la mostra aveva gli occhi più belli che avesse mai visto: il suo nome era Silvia.
Nonostante il sole accecante, il vento soffiava sempre più forte e portava il tipico freddo della stagione. Raffaello si coprì con una mano gli occhi azzurri, si girò verso i campi… e vi trovò una distesa verde puntellata da fiori gialli, mossa dal vento come le onde del mare.
I raggi del sole illuminavano il colore di ogni filo d’erba, che danzava col vento. I petali iniziavano a staccarsi dai fiori e a volteggiare nel cielo limpido di un azzurro intenso e sereno. Gli alberi venivano smossi e producevano un suono rilassante: era come stare in un paesaggio da sogno. Trasmetteva una grande quiete, una pace dei sensi e l’odore della primavera stendeva i suoi nervi. Doveva per forza immortalare quel momento. Eppure non dipinse.
Il suo sguardo si concentrò sulla sfumatura di verde di quel prato, non poté fare a meno di ricordare, perché quella sfumatura di verde era quella degli occhi di Silvia. Prese la tavolozza ed i colori, sforzandosi di riprodurre quella esatta, esatta sfumatura.
Doveva essere perfetta. Tanto perfetta che la confrontò con quella dell’erba e solo quando fu soddisfatto del risultato, iniziò a sporcare la tela di quel verde. Il suono del vento che scuoteva le foglie, dell’erba che danzava ancora ad ogni soffio e quella pace totale data dalla solitudine del luogo gli permettevano di essere completamente rapito dal momento.
Disegnò quello stesso prato da favola, con i suoi fiori ed i suoi alberi dalle foglie verdi. Ma aggiunse una donna vestita da principessa, con un ampio vestito a balze color verde antico. I capelli erano legati da una lunga treccia rame e lo guardava coi suoi occhi: della stessa sfumatura dell’erba fresca. La luce del sole rendeva quasi iridescente la pelle candida della principessa di quella favola che avrebbe voluto tanto realizzare insieme a lei, Silvia.
Sospirò guardando il suo dipinto ultimato dopo svariate ore, soddisfatto del suo lavoro: il sole stava già tramontando sul prato ed era arrivato il momento di tornare a casa, mentre il cielo cambiava colore e si tingeva di rosa e arancio.



“Come hai detto che si chiama il tuo dipinto?”
Silvia comparve accanto a lui, reggeva in mano un flûte con dello champagne e fissava il quadro dai colori verdi appeso al muro color panna davanti a lei.
Indossava un tubino nero ed i suoi capelli erano raccolti in un professionale chignon: Raffaello poté così notare meglio la spruzzata di lentiggini sul viso candido della ragazza, che la rendeva ancora più giovanile ed affascinante. Il pittore sorrise e rispose: “Come in una favola.
Le labbra carnose e scarlatte della curatrice della mostra si incresparono in un dolce e timido sorriso. Il pittore si chiese se Silvia avesse riconosciuto in lei la fonte della sua ispirazione. Ma la risposta alla sua domanda non tardò ad arrivare.
La mano di Silvia aveva sfiorato la sua, ancora sporca di quella esatta sfumatura di verde da favola.

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Capitolo 2
*** Arancione Memoria ***


Arancione Memoria

14: Se sei arrivato qua, sei un osso duro.

14.Arancione

Caratteristiche:

amicizia/famiglia

gioia

saggezza

Consegna: I legami non si spezzano, non così facilmente.


#narratoridistorie

“Ripensa a me
Non dimenticarlo mai
Ricordami
Dovunque tu sarai
Lo sai che devi fare se non sono insieme a te
Ascolta la canzone e tu sarai vicino a me

Ricordami
Ora devo andare via
Ripensa a me
Sentendo questa melodia
Uniremo con le note il cuore e le anime
Il tuo amore rimarrà
Sempre per me”

Ricordami, dal film Coco

 

Quel giorno era arrivato. Imelda si era posizionata davanti alla finestra di casa, aspettando con trepidazione. Saltellava sulla sedia, fremendo per l’emozione e facendo danzare così le trecce ebano ed il vestito arancione che portava. Sua madre le disse che era ancora presto, mancavano tante ore alla sera. Ma la bambina rispose: “E se papà torna prima? No, devo aspettarlo, voglio abbracciarlo appena torna.”
Annuì a sé stessa, riportando gli occhioni neri alla finestra. Il sole iniziò a tramontare, tingendo di arancione le verdi colline. Imelda era rimasta ad aspettare il calare del sole e, quando la luce aranciata cedette il posto a quella pallida della luna, seppe che ormai doveva essere questione di minuti.
Qualcuno bussò alla porta, poco dopo la cena e la bambina corse ad aprire, anticipando la madre. Ma non fu suo padre quello che si trovò davanti. Era un uomo alto, che portava una uniforme molto simile a quella con cui il padre era partito.
Lo guardò confusa, sporgendosi per vedere dietro a quel militare massiccio dai baffi neri a manubrio. La madre di Imelda arrivò poco dopo. Si fermò davanti alla porta, confusa. Il militare le porse una lettera dalla carta marroncina. La donna non ebbe bisogno di leggerla per intuire cosa fosse successo. Il signore si tolse il cappello, abbassando lo sguardo.
La madre di Imelda iniziò a piangere, silenziosamente, mentre la bambina le tirava la gonna viola: “Mamá…dov’è papà?”

*

Le trecce di Imelda, con gli anni, si erano sciolte ed i suoi capelli d’ebano erano diventati più lunghi: la bambina era cresciuta. Eppure, nei pomeriggi in cui il sole tingeva il paesaggio d’arancio, si ritrovava spesso di nuovo davanti a quella finestra, ad aspettare il ritorno del padre.
Ma il suo viso era sempre più rassegnato. Quell’anno era il primo in cui avevano aggiunto anche la foto del padre di Imelda, Ernesto, nella ofrenda. Avevano scelto una in cui Ernesto portava la divisa militare e teneva la piccola Imelda di cinque anni in braccio. Accanto, c’era la foto della loro bisnonna e le foto a seguire perdevano sempre più colore, da quelle seppia a quelle in bianco e nero.
Ma il colore che dominava l’altare era quello dei fiori color tramonto, i Cempasuchi, che riempivano la stanza con il loro odore caratteristico. Ogni anno, durante il Dia de Muertos, la sua famiglia ricordava i propri cari. Ma quell’anno era più difficile per Imelda. Vedere la foto di suo padre era la prova che non c’era più.
O meglio, che non era più in questo mondo, ma era passato in quello dei morti. La nonna le aveva spesso raccontato che quei fiori arancioni riportavano, in quel giorno speciale, i morti sulla terra e che i vivi potevano comunicare con loro. Si chiese cosa avrebbe potuto dire a suo padre. Sentiva varie emozioni ripensando a lui.
Era arrabbiata perché aveva deciso di partire in guerra ed era morto, invece di restare con lei e sua mamma. Era triste perché le mancava e non avrebbe mai potuto rivedere il suo viso o ascoltare la sua voce.
Con questi pensieri, gli occhi scuri di Imelda si riempirono di lacrime, rendendosi conto che stava per dimenticare la voce di suo padre e che ricordava vagamente l’uomo che vedeva nella foto: il suo ricordo diventava sempre più vago e sfocato. Il senso di colpa la travolse, insieme al panico e alla paura: con il tempo avrebbe completamente dimenticato il suo amato papà? No, non poteva permetterlo, non era possibile.
In quel momento qualcuno bussò alla porta, ma questa volta andò ad aprire la madre di Imelda. Invece di un militare, era arrivata la nonna paterna di Imelda, con un cesto carico di cibo per la ofrenda del figlio. Le due donne si abbracciarono, scambiandosi convenevoli. Imelda non riusciva nemmeno a concentrarsi sulle loro voci, finché non sentì una frase della nonna: “Ho portato una cosa speciale per te, Imelda.”
La ragazza si voltò, scacciando in fretta le lacrime con un gesto della mano. La nonna reggeva tra le mani raggrinzite dagli anni una cassetta, di quelle che si usavano negli anni. Ricordava che, ogni volta che andavano al mare tutti insieme, dentro l’auto usavano quelle cassette per ascoltare la musica e cantavano tutti insieme.
La nonna appoggiò la radio su un tavolino vicino all’altare ed inserì la cassetta. Imelda sentì prima le corde di una chitarra, che suonavano qualcosa che aveva già sentito, di familiare. Poi una voce maschile iniziò a cantare: era la voce di suo padre. Maria dovette sedersi per la emozione. Le tre donne ascoltavano la voce dell’uomo che, in modo diverso, avevano amato quando era in vita. Imelda sentì il cuore scoppiarle di gioia: non aveva dimenticato, perché quella voce le sarebbe rimasta impressa nel cuore. Ed il cuore non può dimenticare.
La giovane iniziò a piangere e solo dopo qualche minuto notò che anche la madre e la nonna stavano piangendo, ma i loro volti non erano tristi: avevano in viso un sorriso strano, di qualcuno che era grato di un dono che aveva ricevuto. “Lui non ci lascerà mai, finché lo ricorderemo… questa è la saggezza dei nostri antenati ed il significato di questo giorno” disse la nonna, asciugandosi una lacrima.
Imelda sentiva il cuore scoppiarle e, mentre teneva gli occhi chiusi, seppe con certezza che suo padre era vicino. Si avvicinò alla finestra, guardando il tramonto e tenendo in mano uno di quei fiori arancioni e profumati, sperando che quell’odore riconducesse finalmente il padre a casa.
Chiuse nuovamente gli occhi, stringendo sempre di più il fiore tra le dita. Torna a casa, ti aspetto da così tanto. Sentì un forte rumore, che le fece aprire gli occhi: la porta accanto a lei era spalancata. Un petalo arancione giaceva sulla soglia della porta, quasi con timidezza.

Bentornato, papá.

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Capitolo 3
*** Giallo Neutro ***


Giallo Neutro    

 
17
Giallo
Caratteristiche:
risate/ironia
luce
ottimismo
Consegna: E alla fine andrà tutto bene, no?
Bonus: arcobaleno

#narratoridistorie
 
Il pancione ormai si faceva notare, rendendo il vestito a tema floreale molto simile ad una mongolfiera. Ma a Katie non importava più di tanto e nemmeno a suo marito, David.
I due erano appena tornati dalla ultima visita dalla ginecologa ed erano tornati a casa con una busta molto speciale, di colore giallo: dentro, c’era scritto il sesso del loro bambino in arrivo. La coppia aveva però deciso di non aprirla, avrebbero scoperto il sesso del piccolo una volta nato e sarebbe stata in ogni caso una grande sorpresa. Ma i preparativi per il suo arrivo dovevano continuare. David aveva comprato la vernice per tinteggiare le mura della stanza del bebè, ma avevano dovuto optare per un colore neutro.
Così ora stavano immergendo rulli e pennelli in una vernice gialla e dipingevano la stanza, chiacchierando. “Lì potremmo mettere la culla!” -esclamò Katie, indicando il punto in cui avrebbe dormito il piccino-Potremmo poi dipingere un arcobaleno sul muro, renderebbe l’ambiente più allegro.”
Annuì a sé stessa, reggendo in una mano il pennello intinto di giallo e accarezzandosi il pancione con l’altra, cercando di ignorare il forte odore di vernice che stava impregnando la stanza. David rispose allora: “Non saprei, cara… e se al bambino non piacesse l’arcobaleno? Non è una cosa troppo… femminile?” La moglie sbuffò, spostando così una ciocca bionda dal suo viso: “Tu e questi stereotipi di genere! Che sciocchezze, a tutti piacciono gli arcobaleni, maschi e femmine.”
David fece spallucce, per poi riprendere a dipingere il muro: “Ma non sarebbe più semplice se sapessimo il sesso? Voglio dire, potremmo dipingere la stanza di rosa o di azzurro… Non è un po’ troppo acceso questo colore?”
Si allontanò di qualche passo per vedere il muro metà giallo e metà bianco: quel colore era decisamente un pugno nell’occhio. La moglie lo imitò, mettendosi accanto a lui. Doveva ammettere che quel colore non era stata una delle sue migliori idee, ma non voleva darla vinta a David. Stava davvero iniziando a sentire il richiamo di quella busta, nascosta nel suo comodino: lì dentro c’era la risposta alla domanda che, da quando era rimasta incinta, si era posta. Maschio o femmina? Steve o Mary? Sicuramente non avrebbe dato qualche stupido nome di quelli che aveva proposto suo marito: Noodles non è un nome, solo un cibo.
“Potremmo mettere dei fiori alla base magari… forse il colore risulterebbe meno acceso così” propose allora David, mentre ancora guardavano il muro mezzo verniciato. “Non è una cosa troppo femminile…?” si lasciò sfuggire Katie, per poi tapparsi la bocca con le mani. Ma ormai sul volto del marito si era dipinta l’espressione del trionfo: “Ah, allora non sono il solo a volerlo sapere…”
Lei arrossì, colta con le mani nella marmellata. Dopo un istante di silenzio, i due si voltarono prima a guardare la porta e poi si fissarono a vicenda, come due corridori ai blocchi di partenza. Scattarono all’unisono, diretti verso la camera da letto. David, con un balzo atletico, scavalcò il letto e arrivò al comodino, prendendo la lettera nascosta nel cassetto.
La moglie cercò di strappargliela, allungandosi mentre era bloccata sul letto con il suo pancione. Alla fine, cadde addosso a David, continuando la loro lotta per la busta gialla. “Eravamo d’accordo di aspettare!” protestò lei, cercando di bloccare la mano del marito dall’aprire la lettera.
“Ma la camera fa schifo con quel colore giallo, ammettilo!” replicò David, atterrando la moglie e bloccandole i polsi con la mano libera. Erano così ad un punto di stallo, bloccati sul parquet della camera. Si guardarono e fu allora che David sentì il primo calcio del suo bambino dal pancione della moglie.
Si bloccò di colpo, alzandosi e sedendosi sulla trapunta ocra del letto matrimoniale. Katie rimase sorpresa da quella reazione, si mise vicino a lui e lo prese per mano: “Tesoro, che succede?” La busta era rimasta a terra, davanti a loro, e sembrava avere perso importanza ormai. David scosse la testa, poi si voltò a guardare la moglie: i suoi occhi blu erano increspati dalla preoccupazione. “Se è una ragazza, dovrò proteggerla da tutti quei mascalzoni che cercheranno di farle del male. Se è un maschio, sarà importante che gli insegni ad essere un uomo… E se non fossi capace di fare il genitore?”
Le labbra carnose di lei si addolcirono in un sorriso, mentre accarezzava il volto del marito, che riprese a parlare: “Forse sono io che mi sto preoccupando per nulla. Avremo un bambino, sano ed in salute. E alla fine andrà tutto bene, no?”
Gli occhi di David cercavano disperati una risposta dentro quelli verdi della sua amata, che gli prese il volto tra le mani e lo appoggiò al suo cuore, con fare dolce e tenero: “Andrà tutto bene.” Il marito prese un respiro profondo, calmandosi e ridacchiò nervoso: “Sai sempre cosa dire. Sarai una mamma fantastica… scusa per prima, mi sono fatto prendere la mano.”
Katie rispose, quasi indispettita: “Ti sei approfittato del fatto che in questo momento sono praticamente una balena! Adesso, per punizione... – si chinò, prendendo la busta- scopriremo ora se dobbiamo prendere della vernice rosa o blu. E andrai tu, signorino, a prenderla!”
Annuì decisa, facendo danzare i boccoli di color del grano. Aprì di colpo la busta. Estrasse lentamente la lettera contenuta al suo interno, mentre il marito imitava il rumore di un rullo di tamburi.
Katie sorrise mentre leggeva, poi disse in tono solenne: “Prendi la giacca, futuro papà: la camera gialla mi sta facendo venire da vomitare. Penso sia meglio darle un colore decente e non un giallo neutro.”

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Capitolo 4
*** Verde Ritorno ***


Verde Ritorno
Sequel del primo capitolo, "Verde Favola" 

19. Verde
Caratteristiche:
speranza/happy ending
pazienza
rabbia
Consegna:
Ciò che non può danzare sul bordo delle labbra – va a urlare in fondo all’anima.
(Christian Bobin)
Bonus: 28, il mare
 
Il suo ultimo dipinto non aveva avuto il successo sperato e, nella galleria, era l’ultimo rimasto dopo l’asta di quella sera. Raffaello guardava quel mare in burrasca, dalle pennellate spazientite e irruente, piene di rabbia e frustrazione: si sentiva così e non capiva come quei così detti “esperti d’arte” non riuscissero a capire cosa rappresentava il suo dipinto Mare impaziente.
Sospirò per cercare di restare calmo, il completo scomodo blu notte che aveva addosso non aiutava di certo. E nemmeno il rumore di tacchi in avvicinamento, ormai l’unica altra persona rimasta nella galleria era Silvia, la donna dagli occhi verdi che lo aveva incantato. Quella che popolava i suoi incubi e che era ciò che lo aveva spinto, mesi prima, a prendere tela e pennelli, gettarli nel bagagliaio dell’auto e, incurante del mal tempo, correre verso il mare in tempesta per dipingere.
Perché era così arrabbiato con sé stesso, con lei non riusciva a dire nemmeno una parola. Era come se le parole fossero sulla punta della sua lingua ogni volta che era con lei ma, prontamente, quando il suo sguardo incontrava il verde smeraldino degli occhi di lei, quelle stesse parole si nascondevano nell’angolo più remoto della sua anima per paura che quegli occhi verdi potessero scovarle.
Raffaello bevve un altro sorso del drink che reggeva tra le mani, talmente forte che a momenti avrebbe potuto spaccare il bicchiere. Sentiva ormai il profumo di Silvia, che era a pochi passi da lui. La donna dai capelli di rame si mise al suo fianco, ammirando ancora una volta quel quadro. Ma non vedeva il solito Raffaello in quel dipinto.
Vedeva un uomo furioso con qualcosa o qualcuno, preso dall’impeto del momento: una cosa decisamente poco usuale per il metodico e tranquillo pittore. Ricordava bene il quadro che l’aveva più colpita, dove vi era raffigurata una donna fin troppo simile a lei. Un lieve rossore comparve sulle guance della giovane, che lo coprì con il bicchiere di champagne.
“Devi avere pazienza, Raffaello. Non tutti gli artisti sono subito compresi…” disse Silvia, cercando di tranquillizzare il suo miglior pittore. Raffaello non parlava molto con lei, si limitava solo alle questioni professionali. Così non la sorprese il fatto che le rispose con una semplice alzata di spalle ed una smorfia di fastidio, i suoi occhi azzurri erano ancora fissi sulla tela. Eppure Raffaello si disse che doveva assolutamente riuscire a parlare con lei, doveva prendere quelle parole che continuavano a sfuggirgli e tirarle fuori a forza dal loro nascondiglio, di getto anche.
L’importante era riuscirci, forse dopo sarebbe stato più semplice parlare con Silvia e non si sarebbe più sentito un perfetto cretino innamorato. E allora perché, perché faticava così tanto? Certo, lei avrebbe potuto deriderlo e rifiutarlo. Silvia era così bella, sofisticata ed elegante. Lui un pittore impacciato, dalle dita sempre sporche di colori e dal carattere timido. Guardò quel mare tempestoso, ricordandosi che lui non era soltanto il solito Raffaello calmo e introverso.
Dentro di lui, era nascosto quel mare. “Non avevo mai visto un tuo quadro così, Raffaello… mostra un lato di te che non avevi mai dipinto” esclamò Silvia, increspando le labbra scarlatte.
Il pittore annuì e, continuando a guardare quelle pennellate feroci, riuscì a dire: “Sono arrabbiato con me stesso ultimamente. Ho smesso di avere pazienza. Non ne posso più, non sapere mi sta lacerando.”
Sospirò, sentendo il petto alleggerirsi dopo quelle parole e si passò una mano tra i boccoli bruni. Silvia rimase sorpresa, finalmente Raffaello le aveva parlato di sé stesso. Sorrise, ne era felice: “Che cosa non sai?”
Finalmente il pittore trovò il coraggio di voltarsi e incontrare lo sguardo verde della ragazza che popolava i suoi sogni. Si perse in quel colore, come faceva sempre, ma questa volta fu solo per un momento. Sentì il forte impulso di baciare quelle labbra carnose, dovevano sapere di ciliegie o di qualche altra cosa dolce.
Gli occhi azzurri di Raffaello ardevano e si increspavano come le onde del mare, indugiando su quella bocca perfetta. Si trattenne e, concentrandosi, riuscì a dirle: “Vorresti uscire con me? Per un appuntamento, non per lavoro.”
Si stupì di sé stesso. Era stato così semplice farlo, aveva avuto tutti quei dubbi e quelle remore per niente. Eppure le parole gli erano uscite di bocca, danzando finalmente sulle sue labbra, piene di gioia e speranza per quell’amore che stava fiorendo in lui. Poi però quella vocina dentro di lui che gli diceva che non era alla sua altezza tornò a farsi sentire. Un nodo gli prese la gola, mentre attendeva la risposta. Silvia sobbalzò e sgranò gli occhi, per poi sorridere: “Era questo che ti tormentava? Eppure non penso di essere la prima ragazza a cui chiedi di uscire…”
Raffaello si sentì in imbarazzo e sciocco, pensava che ormai Silvia gli avrebbe detto che no, non voleva uscire con lui. Questa volta, fu lei a sorprendere lui: “Portami qui, davanti a questo mare. Voglio conoscere il vero Raffaello, quello che tieni nascosto mentre mostri prati verdi e scene bucoliche, quando dentro di te c’è questo mare di emozioni in tempesta. Voglio… conoscerti.”
Si avvicinò e, con mano tremante, appoggiò il palmo libero sul petto di lui, protetto solo da una camicia candida. Sentì il cuore del pittore battere all’impazzata.
I loro sguardi si incrociarono nuovamente e Raffaello ebbe l’impressione che lei lo volesse, che volesse essere baciata.
Si chinò lentamente, piano e senza mai staccare lo sguardo dal verde degli occhi di Silvia.
E quando fu ad un soffio dai cancelli del Paradiso, chiuse gli occhi e la baciò, sentendosi morire e rinascere in quel secondo, in quel contatto che aveva tanto desiderato e sospirato.

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