I racconti del Dino-Mondo 1- L’eredità del Raptor

di AlsoSprachVelociraptor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Tranquilla notte a Djadochta ***
Capitolo 2: *** 2 - La nostalgia di Earl ***



Capitolo 1
*** 1 - Tranquilla notte a Djadochta ***


Il sole stava calando, lentamente, oltre le colline di Djadochta. Rosso, sempre più spento mentre il cielo passava dal bianco azzurrastro del pomeriggio al blu sporco del tramonto, macchiato dal rosso intenso del sole e dalle ventate di sabbia rossa che si sollevavano dal terreno arido.

Era il crepuscolo, l'ora in cui la città di Djadochta si riempiva di vita.

Il giorno era eccessivamente caldo e arido e il sole batteva così forte sulla sabbia rossiccia da renderla bollente. Anche le strade e i marciapiedi diventavano ustionanti, e camminarvici sopra era un incubo che solo pochi dinosauri, principalmente quelli estremamente grossi, potevano permettersi di fare senza subire ustioni alla pianta dei piedi.

Ma la sera e la notte erano perfette, soprattutto per i teropodi più piccoli, dalle piume sgargianti e isolanti a proteggerli dalla brezza fredda della notte nel deserto del Gobi.

I due fratelli therizinosauridi stavano bisticciando davanti al bar del più giovane dei due, dalle piume di un rosa brillante sulla testa e color mattone sulle ali, che nascondevano sotto le soffici piume giganteschi artigli.

Un enorme Deinocheirus dalle piume variopinte stava amabilmente conversando col minuscolo Parvicursor al suo fianco (o meglio, ai suoi piedi), la cui voce acuta e un po' stridula arrivava benissimo metri sopra di lui, alle orecchie del grosso dinosauro che lo ascoltava con apprensione.

"Buonasera, prof Arthur!" lo salutarono i due ragazzi che camminavano nel senso opposto al loro. Il Velociraptor che l'aveva salutato aveva le piume color pesca e il muso nero e un sorriso che non nascondeva il suo tremendo caratteraccio. Al suo fianco, ben più grosso ma altrettanto snello e pieno di piume nere e arancioni, un Citipati tutto stretto nella sua giacca in pelle borchiata. Anche con un look così rock, tuttavia, l'oviraptoride sembrava comunque una preda spaventata da qualsiasi cosa.

"Lloyd, Earl." Rispose il Parvicursor, che era stato loro professore alle scuole superiori. 

"Ciao Fitz." pigolò Earl il Citipati, con la voce un po' incrinata dall'imbarazzo. Fitz, dall'alto dei suoi cinque metri d'altezza, rispose con un sorriso.

"Siete venuti a cazzeggiare un po' per la città?" gracchiò Lloyd, ridacchiando all'espressione offesa del piccolo professore, che gonfiò le piume rosse sul suo petto. "No! Non stiamo cazzeggiando!"

Fitz però rise. "In effetti, cazzeggiare a Djadochta è meglio che cazzeggiare a Nemegt, dove abitiamo noi."

Nemegt era una cittadina non lontana da Djadochta, che era invece il centro nevralgico di tutta la provincia. 

In realtà, nessuna delle tre città del posto- Djadochta, Nemegt e Barun Goyot erano particolarmente grosse o affollate. C'era un aeroporto di medie dimensioni a Barun Goyot, ma non era mai affollato. La zona attorno a Djadochta non era particolarmente turistica, e d'altronde, chi avrebbe voluto passare volontariamente del tempo in quel buco in mezzo al deserto? 

Non molti, tanto che l'aeroporto di Barun Goyot era usato, per la maggior parte, da giovani dinosauri che fuggivano da quella provincia desertica senza speranze per recarsi in località che avrebbero offerto un futuro migliore, come Hell Creek o Cloverly in Laramidia, o Ischigualasto e Rio Limay nella Gondwana Occidentale, o la più vicina città asiatica di Yixian e tutta la sua ricchissima provincia di cui era capoluogo. 

Loro quattro, tuttavia, erano rimasti a Djadochta.

Il professor Arthur e il suo compagno Fitz lavoravano alla scuola superiore di Djadochta, Earl era troppo povero per lasciare la città e Lloyd… Lloyd era solo pigro.

I due ragazzi avevano finito le scuole superiori già da diversi anni, e non le avevamo nemmeno frequentate assieme- Earl aveva ventotto anni e Lloyd ventitré. Però il Parvicursor si ricordava di entrambi, e non bene di nessuno dei due.

"E voi per quale motivo siete qui?" borbottò il professore, guardandoli entrambi in modo sospettoso e altezzoso- incredibile come riuscisse a guardarli dall'alto verso il basso pur essendo lungo a malapena quaranta centimetri.

Earl alzò le spalle, senza nessuna spiegazione da dare: non era così strano per lui uscire con Lloyd qualche sera, passando per i pub e parlottando un po' sul lungolago, godendosi la brezza fresca del lago di Djadochta.

Lloyd invece rispose. "Ho news da dare a Earl." 

Il Citipati strabuzzò gli occhi- news?! In che senso?!

Arthur annuì, comprensivo ma anche frettoloso. "Bene. Buone news, allora."

"Buon giretto romantico ad entrambi!" pigolò Lloyd, facendo gonfiare le piume al prof per l'imbarazzo.

Fitz prese Arthur tra le sue gigantesche mani artigliate e, con delicatezza, lo sollevò e se lo mise sulla spalla, comodamente per entrambi, e ripresero il loro giretto romantico per la città.

"Che novità devi darmi?" chiese Lloyd all'amico, che però si limitava a sorridergli e camminare, ed Earl non poté fare altro che seguirlo.

I lampioni si erano accesi ai lati della strada e del marciapiede, pallidi sull'asfalto colorato di rosso dalla sabbia portata dal vento. I lampioni non avevano bisogno di fare troppa luce, dato che la maggior parte degli abitanti della città aveva uno stile di vita notturno, o crepuscolare, e i loro occhi erano adatti alla poca luce.

I due si sedettero su una panchina, a pochi metri dalle sponde del lago. Le temperature erano ancora fredde per quel periodo dell'anno, così Earl nascose per bene il collo scoperto nelle folte piume sul petto e il viso protetto tra il colletto alto della sua giacca in pelle.

Lloyd non aveva mai freddo, o almeno così sembrava. Portava solo la sua solita maglietta del Planet Hollywood e il cappello della stessa marca, le folte piume del suo petto che sbucavano forzatamente dal colletto della maglia troppo larga per lui, decisamente costruita per un teropode di stazza più grossa che un piccolo Velociraptor.

"Sai che mio nonno è morto, no?"

"Sì." pigolò Earl. Se lo ricordava, il vecchio e ricchissimo nonno di Lloyd: un Saurornithoides spelacchiato e ricurvo, con lo sguardo cattivo e i denti mancanti, ma l'artiglio sui suoi piedi sempre gigantesco e affilato. Ricordava di aver avuto paura di lui fin dal primo giorno che l'aveva visto, quando era a malapena un pulcino ricoperto di piumino grigiastro e si era nascosto sotto la coda a ventaglio di suo papà assieme a suo fratello maggiore Brendan.

"Mi spiace." mentí al dromeosauride al suo fianco. Lloyd alzò le spalle. "Sai cosa me ne frega, di quel vecchio del cazzo. Era un tirchio maledetto, interessato a nient’altro che i suoi soldi di merda, quello stronzo. Picchiava sempre me e mia cugina. Sono contento sia crepato."

"E allora perché..?"

Lloyd scoprì ancora i denti, bianchi e appuntiti. "L'eredità spetterà ai nipoti. Sembra strano, no? E invece no. Il vecchio bastardo aveva due figli, no? Mio padre e suo fratello, ma hanno litigato per qualche motivo, che ne so, non ero ancora nato, e mio zio si è trasferito in Laramidia. E poi è crepato, ed è rimasto solo mio padre. Però c'è ancora l'erede di mio zio- mia cugina. Beh, e poi ci sono io."

La famiglia di Lloyd era la più ricca di deinonychosauridi di Djadochta, facoltosi mecenati che avevano fatto costruire le scuole della città e l'aeroporto a Barun Goyot e la diga a Nemegt. Erano tremendamente ricchi, potenti e spaventosi, ed Earl, povero oviraptoride di umili origini, aveva sempre avuto un po' paura di Lloyd, pur sapendo che il ragazzo lo considerava un amico

Earl rimase a becco aperto mentre processava tutte le informazioni che il Velociraptor gli aveva scaricato addosso in uno dei suoi soliti, lunghissimi monologhi, mentre Lloyd mordeva nervosamente la gomma da masticare rosa pesca come le piume sul suo corpo. 

I suoi occhi azzurri schizzarono su Earl. Non sembrava soddisfatto, ma più su di giri. "Mia cugina abita a Hell Creek, e tu mi avevi detto che anche tuo fratello lavora lì, no?"

Earl si rizzó sulla panchina, come risvegliato. "Brendan! Sí! Te lo ricordi!"

Hell Creek era la più grande città di tutta la Laramidia, ricchissima e piena di grattacieli che arrivavano fino al cielo- così l'aveva vista Earl nei film, così gliel’aveva descritta Brendan, che non vedeva da così tanti anni. 

Vide un caro sorriso sul musaccio di Lloyd. "Me lo hai detto così tante volte che è difficile da dimenticare. E poi me lo ricordo quando abitava qui, sai? Quel gallinaccio gigante blu e marrone."

No, pensò Earl tutto felice. Te lo ricordi perché sei mio amico e ci tieni a me, anche se non lo ammetterai mai.

Lloyd allungò un pacchetto di sigarette ad Earl, che accettò volentieri. Earl aveva le proprie di sigarette, ma erano una marca scadente e il tabacco sapeva di marcio. Quelle di Lloyd erano di una marca decisamente costosa e avevano un sapore quasi dolce, che Earl adorava. La strinse nel becco e se la accese, mentre il Velociraptor al suo fianco faceva lo stesso. 

"Devo andare a Hell Creek per accertarmi che mia cugina Cynthia sia meritevole dell'eredità. Così c’era scritto nel cazzo di testamento. Non è mai piaciuta a quello stronzo di mio nonno. Volevo chiederti se… insomma, che palle andare in Laramidia da solo. In due sarebbe più divertente. E poi mi serve tuo fratello, che la metropoli la conosce bene di sicuro, potrebbe farci da guida."

Il silenzio calò tra i due teropodi. Earl era completamente sbiancato sotto le piume, e tutte le parole erano scappate dal suo lungo collo. La sua corta coda iniziò a scodinzolare da sola, mentre Earl pian piano si rendeva conto di cosa stava succedendo.

"Vuoi che io ti accompagni a Hell Creek?!?

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Capitolo 2
*** 2 - La nostalgia di Earl ***


Alle quattro del mattino in punto, come Earl si aspettava, suonò la sveglia. Era un vecchio modello, una radiosveglia in plastica grigia e coi bottoni grossi, fatta per dinosauri di taglia medio-piccola come lui. Earl non se ne prendeva una nuova perché le misure erano cambiate negli anni, e i tasti troppo piccoli per le sue lunghissime mani da maniraptoride- ovvero i mani da presa, come diceva lo stesso nome. Quelle di Earl erano grosse, le tre dita lunghissime, in un modo quasi ridicolo, e coperte da corte penne nere e arancio scure. 

Con una manata precisa e coordinata negli anni, pigiò il tasto giusto per spegnere quell'abominio di canzone che era partito dalla radiosveglia appena accesa. 

Earl si alzò a fatica dal suo nido, circolare e dai bordi rialzati ma forse un po' piccolo per lui, stiracchiandosi la coda su cui aveva dormito sopra per sbaglio ed ora era tutta anchilosata e formicolante. Aveva dormito malissimo, e a malapena, ad essere sincero. 

Sì, era anche un essere crepuscolare e preferiva di gran lunga vivere la notte fresca e ventosa che il giorno caldo e asfissiante, ma era già capitato che avesse, al contrario, dormito con la luna e lavorato col sole.

Ma adesso non si trattava di lavorare per permettersi qualche sfizio pericoloso in un vicolo buio di Djadochta. Earl si era ripulito. Non faceva più quella vita. Non si iniettava più schifezze tra le piume ormai mancanti del suo interno braccio ormai spelacchiato.

No, Earl era un dinosauro nuovo, faceva un lavoro dignitoso- controllava le prenotazioni e gli appuntamenti alla clinica di Steven, suo amico d’infanzia e datore di lavoro e psicologo. Era un asso al computer, le sue lunghe dita erano utili nel digitare velocemente alla tastiera, non solo per spegnere vecchie radiosveglie, e aveva una buona memoria.

Earl sbadigliò, ancora stanco perchè aveva dormito un sonno agitato quella notte. Quel mese che era passato da quando Lloyd gli aveva proposto (ma più imposto) di accompagnarlo a Hell Creek l’aveva trascorso facendo continui straordinari sul lavoro, lavorando tutta notte e anche tutto il giorno al computer di Steven, e Steven, che era un Halszkaraptor gentile e sempre pronto ad aiutarlo, aveva anche accettato di alzargli lo stipendio quel mese.

Earl appena scostò le tende scure, rivelando un cielo rosso fuoco, e un timido puntino bianco appena sopra le palazzine all’orizzonte, contornato da una pallida aureola lilla. Pensò che il sole, -quando non era una palla bollente di fuoco nel cielo- fosse bellissimo, e che la natura gli stesse cercando di regalare un’impressione positiva del giorno, rispetto alla notte. Non c’erano bellezze del genere nel cielo buio e tetro della notte!

Questo portò un sorriso sul becco di Earl, che decise di lavarsi, poi fare una veloce colazione e di chiedere a Steven o a Morgan, fratello gemello di Steven e al momento disoccupato- e, a quanto sembra, non intenzionato a trovare un lavoro- di portarlo all'aeroporto con la loro auto nuova. Earl non aveva né auto né patente, entrambi lo spaventavano troppo. Odiava gli esami e odiava guidare, la sensazione di essere alla guida di un ammasso di latta potenzialmente mortale a ogni suo minimo errore gli faceva rizzare le piume sulla nuca.

Scrollandosi questi brutti pensieri di dosso che l’ansia di dover fare un volo intercontinentale di diverse ore a bordo di una scatola ancora più grossa di metallo, di sorvolare un intero oceano senza avere nessuna possibilità di cambiare il suo destino in caso che qualcosa fosse successo qualcosa di imprevisto, si tolse di dosso la vestaglia da notte, sfilandosela a fatica dal lunghissimo collo sottile, e facendo attenzione a non impigliare il colletto né nella sua cresta né nel suo becco, entrambi arancioni, come mani e piedi e la pelle sotto le piume nere.

Entrò nel box quadrato che era la sua doccia, forse un po’ piccola per un teropode di due metri e mezzo come lui, chiuse il vetro attorno a quel cubicolo e accese la doccia sopra la sua testa, che emise il solito getto caldo d’acqua intermittente per colpa delle tubature un po’ vecchie. Earl gonfiò tutte le piume e iniziò a scrollarsi l’acqua di dosso, spruzzandosi le piume gonfie e separate le une dalle altre con il bagnoschiuma in spray che usavano tutti i dinosauri dotati di piume, perchè era virtualmente impossibile pulirsi per bene con i saponi solidi o liquidi in bottiglia come facevano i fortunati pieni di scaglie. 

Dopo un’ultima scrollata di piume, Earl uscì dalla doccia, dirigendosi in cucina con ancora le zampe zuppe d’acqua. Il pavimento era freddo e scivoloso sotto le sue zampe, ma era pulitissimo- Earl odiava la sporcizia. Gli ricordava un passato che voleva totalmente dimenticare, fatto di svenire in vicoli bui e sporchi. 

Earl si sentiva lo stomaco sotto sopra- il pensiero del cambiamento, del viaggio in aereo, di rivedere suo fratello dopo così tanti anni, di doversi allontanare da Djadoctha- ma decise comunque di mangiare. Non aveva voglia di vomitare su un aereo, e rendere quel viaggio che sicuramente sarebbe stato un inferno persino peggiore. Si appollaiò sullo sgabello al tavolo da pranzo e si spalmò della marmellata di cotogna su una fetta biscottata di miglio, azzanandola col suo forte, grosso becco, abbastanza affilato da non frantumare la fetta biscottata in mille pezzi con un morso. Non aveva voglia di pulire, ora che doveva partire.

Controllò il cellulare che aveva lasciato a caricare sul bancone in cucina quella notte, un po' piccolo per un dinosauro della sua stazza e decisamente vetusto ma funzionale, e lesse i messaggi in sospeso che, quella notte, suo fratello Brendan gli aveva lasciato.

"Va bene, alle tre del pomeriggio sarò all'areoporto." diceva un messaggio.

"Mi sei mancato, non vedo l'ora di vederti. Che la Dea di Basalto ti protegga." Invece recitava l'altro, che Earl lesse più lentamente, e rilesse un paio di volte.

Anche ad Earl era mancato suo fratello, in tutti quegli anni. Brendan non sapeva dei problemi di abuso di sostanze che Earl aveva avuto in quegli anni, o forse aveva intuito qualcosa, chissà. Brendan era sempre stato un tipo ricettivo e sveglio, che capiva troppe cose per il suo bene- e la sua tranquillità ne rimetteva sempre.

Chissà se avrebbe fatto stare in pensiero suo fratello. Chissà se Brendan sarebbe stato ancora felice di incontrare Earl, se sapesse cosa il Citipati aveva combinato in quegli anni.

Earl sospirò, rimettendo giù il cellulare dopo aver controllato l'ora. Quattro e mezza, tempo di prepararsi, perché il suo aereo sarebbe partito alle cinque e un quarto.

Dopo essersi infilato la sua solita stretta giacca in pelle piena di borchie, pantaloni sempre in pelle talmente stretti che la coda a malapena riusciva a uscire dall'apposito buco sul retro, un foulard (sempre nero) a proteggere il collo troppo lungo dalle intemperie che aveva paura di trovare ad Hell Creek e un cappello (nero) dietro la cresta sul suo becco, Earl rimirò tra le lunghe dita artigliate i nuovi stivali che aveva comprato giusto il giorno prima. Sia suo fratello che Lloyd che Steven gli avevano consigliato di comprarsi un paio di scarpe per Hell Creek, le cui strade erano spesso umide, ricoperte di asfalto più o meno sconnesso, e non c'era nessuna soffice sabbia soffiata dal vento del deserto a coprire il duro manto stradale. 

Se li infilò velocemente, le dita tremanti nel farlo. Era così spaventato… Strizzò gli occhi, pregò la Dea di Basalto perchè quel viaggio andasse bene. Non era un tipo particolarmente religioso- nessuna divinità l’aveva aiutato nei momenti peggiori della sua vita-, ma ora si sarebbe aggrappato a tutto pur di sentirsi meno da schifo.

Prese da vicino la porta, dove l’aveva lasciato, il borsone da palestra in cui aveva messo tutta la roba che gli serviva per quel quasi mese di viaggio- al pensiero che tutto ciò che valeva per lui stesse in una borsa divenne un po’ più triste per la sua situazione, la sua patetica vita. 

Controllò diverse volte che tutto nel suo minuscolo, patetico appartamento fosse spento e non in pericolo e uscì da esso, una sensazione di morsa alla bocca dell’esofago e la voglia di appallottolarsi in un angolo e lasciar perdere quest’idea strampalata dell’avventura nella lontana Laramidia, separata dall’Asia da un vasto oceano su cui avrebbe dovuto volare.

Sul pianerottolo, però, due piccole figure lo stavano aspettando.

“Allora, sei pronto?” chiese uno dei due quasi identici Halszkaraptor. Erano Steven, il suo datore di lavoro, e Morgan, suo fratello gemello. Erano entrambi sì e no grossi la metà di Lloyd- ma pur sempre più del doppio del professor Arthur. Piccoli dromeosauridi semi-acquatici, Steven- dalle piume nere e più corte e soffici rispetto al fratello e i grandi occhi blu era più gentile, amorevole e sempre pronto ad aiutare, e infatti faceva lo psicologo. Il gemello più grande- almeno così si reputava, Morgan, aveva le piume lunghe e bionde e gli occhi blu ben più affilati e sguardo spietato come il suo carattere. Erano entrambi stati compagni di classe di Brendan, fratello maggiore di Earl, e ora erano suoi vicini di casa. I due gemelli raramente si separavano- dove c’era uno, c’era quasi certamente anche l’altro. Morgan era forse quello più indipendente, ma sempre opprimente sulle spalle del povero Steven- e, in un certo senso, anche di Earl.

Steven li salutò entrambi, sorridendo ad Earl dolcemente con i suoi tantissimi piccoli, tremendi dentini. “Buona fortuna! E prendi dei souvenir, così poi li mettiamo nello studio! Oh, e salutami Bren, mi raccomando!” cinguettò Steven, quasi più felice ed emozionato del viaggio di Earl che Earl stesso.

Morgan si rigirò la piccola sigaretta tra le dita palmate, fissando Earl con quel suo solito sguardo simile a stalattiti, fredde e pendenti proprio sul collo del Citipati, pronte a cadere e perforarlo. “Steven lavora, ti accompagno io all'aeroporto. Hell Creek è un posto lontano e pericoloso, sei sicuro di volerci andare da solo?”
“Non sono da solo, c’è Lloyd…” pigolò Earl, stringendo con forza la tracolla del borsone. Un suo artiglio si incastrò nella stoffa della tracolla, sfilacciandola un po’. 

“Ah, Lloyd, certo, c’è da fidarsi.” ringhiò Morgan , con una smorfia di rabbia che si era formato sul bel muso, le lucidissime penne dorate che si erano rizzate al suo collo. “Potessi, verrei anch’io. A salutare Brendan e a proteggere te. E anche Brendan. È sempre stato così dolce e ingenuo, sempre pronto ad aiutare gli altri…”

Morgan alzò lo sguardo su Earl, almeno un metro più alto di lui. “..beh, vi somigliate, da questo punto di vista. Tranne che Brendan è coraggioso, tu un po’ meno.”

Purtroppo, Morgan non aveva piume sulla lingua, ed Earl ci aveva fatto il callo con il suo modo rude, ma suppose che parlare con dei dromeosauridi fosse così. E i maschi di dromeosauro erano rinomati per essere più calmi e gentili delle femmine, le matriarche delle famiglie e quelle che sì, facevano le uova, ma le lasciavano a covare ai maschi. Questo lo facevano tutti i maniraptoridi, dato che anche Earl e suo fratello Brendan erano stati cresciuti dal loro gentile padre dalle piume scure e gli occhi dolci. 

Morgan allungò un suo corto braccio verso la maniglia dello sportello della sua automobile, non di lusso ma abbastanza grossa per un dinosauro di piccole dimensioni come lui- che d’altezza arrivava a malapena al metro. Un auto abbastanza grossa per Earl da riuscire a infilarsi sul sedile del passeggero, schiacciando il collo contro il petto e i gomiti ben serrati al corpo. 

“Tutto bene?” chiese Morgan, un cuscino sotto al sedere per riuscire a vedere fuori dal parabrezza, anche se le auto dei teropodi avevano a malapena quello che si poteva definire sedile. A lui non piaceva essere piccolo. La sua personalità era più grossa di qualsiasi sauropode. Earl pigolò in affermazione, grato all’Halszkaraptor per scarrozzarlo fino all'aeroporto di Barun Goyot, dato che Earl non aveva né patente né auto.

“Non solo per la macchina. Intendo… con tutto, no.” continuò Morgan, mettendo in moto l’auto. Le sue lunghe, sottili zampe artigliate pigiavano con forza sui pedali, il piccolo artiglio sul primo dito che produceva un nervoso ticchettio ogni volta che frenava e accelerava. “Con l’aereo, con il rivedere Brendan dopo… dopo tutto quello che è successo, con l’allontanarsi da Djadochta…”

Earl gli sorrise, quando l’Halszkaraptor si voltò per un istante a guardarlo negli occhi. “Lo psicologo, dei due, non è Steven?”

Morgan rise a voce alta, la sua voce melodiosa e limpida. Morgan era considerato particolarmente attraente per un maniraptoride- dove i tratti femminili come piume chiare e colorate e artigli affilati erano considerati tratti fisici estremamente ricercati. Ed, ovviamente, Earl non ne aveva nemmeno uno.

Earl non aveva ancora dato nessuna risposta a Morgan, e sapeva che lui ne pretendeva una. Sospirò. “Io… ho paura. Sì che ce l’ho. Però voglio farlo.”

“E fai bene.” cinguettò Morgan, un sorriso sincero- e stranamente poco aggressivo- sul suo muso.

Le strade di Djadochta erano ampie, a senso unico e più corsie da per grandezza della vettura, e come al solito la corsia per auto piccole e medio-piccole era la più trafficata. La tentazione di passare nella carreggiata per auto di megateropodi o sauropodi era tanta, ma la paura di venir schiacciato dalle mastodontiche ruote delle loro auto era di più ancora. Meglio imbottigliati nel traffico che schiacciati sotto decine e decine di tonnellate di ferraglia e dinosauri giganti.

Morgan fermò l’auto nel parcheggio dietro l'aeroporto, dove il rombo dei motori degli aerei in partenza quasi copriva le loro voci. Earl allungò il collo fuori dal finestrino, ad osservare con infantile curiosità un grosso aeroplano passare proprio sopra l’auto di Morgan, a molti metri d’altezza.

Earl rientrò con il collo dentro il veicolo, guardando Morgan, che sembrava tutto ad un tratto minuscolo, fragile, un pulcino dalle piume d’oro e gli occhi blu pieni di apprensione.

“Non credo in dio, ma.. Delle volte, è un conforto. Un legame.” disse lui, allungando tra i grossi artigli di Earl un ciondolo di pietra scura, nero e pesante. Era un oggetto votivo della divinità principale dell’Asia, la Dea nera di Basalto, che si diceva avesse distrutto il mondo in un oceano di lava per ricostruirlo più puro. A Hell Creek, come in tutta la Laramidia e anche l’Appalachia (i due continenti più occidentali), da quello che aveva detto Brendan ogni tanto, non credevano nella Dea di Basalto ma in un Dio luminoso che discendeva dal cielo. Un luogo lontano con un dio straniero e sconosciuto.

“Ricordati che, qui, ci mancherai.” gli disse Morgan , allungandosi per schioccargli un bacio tra le piume nere e gonfie sul viso di Earl, che non seppe cosa dire- le parole si incastrarono e persero nelle sinuose curve del suo lungo collo prima di arrivare al suo confuso, impaurito e imbarazzato cervello.

Il tono rassicurante di Morgan fece germogliare un seme di speranza nel cuore di Earl, sotto tutti quegli strati di magliette di band metal e catenelle d’acciaio e la giacca di pelle borchiata. Strinse il ciondolo di fredda pietra nera tra le dita. 

Non era ancora andato via, e già gli mancava casa.

 

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