INFERNO 2

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inferno ***
Capitolo 2: *** La nuova regina ***
Capitolo 3: *** Acqua e sangue ***
Capitolo 4: *** Accordo segreto ***
Capitolo 5: *** Un valzer di baci ***
Capitolo 6: *** La maga Circe ***
Capitolo 7: *** Gioventù perduta ***
Capitolo 8: *** I fuggitivi ***
Capitolo 9: *** Tutto è tenebra ***
Capitolo 10: *** Tutto è tenebra ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Inferno ***


1. INFERNO

“Così addio speranza, e con la speranza, paura addio.
 Addio rimorso: ogni bene a me è perduto.
 Male, sii tu il mio bene.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
Ariadne fu condotta all’interno di una grande villa con vista sul mare. Jonah la precedeva a passo svelto e lei lo seguiva in silenzio. Si trovavano a Margate, una città marinara nella contea di Kent, dopo che il tragitto era durato diverse ore. Jonah le aveva detto che Alfie Solomons era rimasto colpito da lei e che voleva incontrarla per parlare di affari. Ariadne non aveva la minima idea del perché un ex capo gang di Londra volesse incontrare proprio lei.
“Da questa parte.” Disse Jonah.
Imboccarono un corridoio costeggiato da numerose porte, ciascuna era contrassegnata da un numero e da un nome. Era un resort di lusso, ecco perché il secondo e il terzo piano ospitavano tutte quelle stanze.
“Il signor Solomons soggiorna qui?” chiese a bassa voce.
“Ve ne parlerà direttamente lui. Non vi preoccupate, signorina Evans.”
Proseguirono fino alla terrazza in cima al resort. Era uno spazio ampio, arredato da tavolini muniti di ombrello contro il sole e di sedie in vimini. C’era un uomo che sorseggiava tè con il mignolo alzato. Sul suo volto spiccava una tremenda cicatrice.
“La ragazza è qui.” Annunciò Jonah.
Ariadne si morse il labbro in preda all’agitazione. Si mise le mani nelle tasche del trench e strinse forte la stoffa.
“Buongiorno.”
L’uomo sollevò gli occhi su di lei e sorrise, la cicatrice si arricciò ancora di più. Indicò la sedia vuota dinnanzi a sé con un cenno della testa.
“Jonah, lasciaci soli.”
Jonah chinò la testa e lasciò la terrazza sotto lo sguardo incerto di Ariadne. Fu costretta a prendere posto per non offendere Alfie.
“Volete del tè? Qui lo fanno davvero buono. Oppure mi sembra buono per via dei medicinali.”
“Che cosa vi è successo?” domandò Ariadne.
Alfie ridacchiò e la cicatrice fece una strana piega, sembrava nera sotto la luce del sole.
“Siete una ragazza diretta. E’ successo che lo zingaro mi ha sparato in faccia.”
“Tipico di Tommy. Lui fa arrabbiare anche le anime più miti.”
Ariadne si toccò d’istinto il collo nel punto in cui Tommy l’aveva baciata poche ore prima. Il solo ricordo la faceva ancora rabbrividire.
“Conoscete molto bene lo zingaro.” Disse Alfie, divertito.
“Ho avuto la mia buona dose di Peaky Blinders nei messi precedenti. Perché sono qui?”
“Perché siete una ragazza interessante. Siete sicura di non volere il tè? E’ buono.”
Ariadne sospirò, era esausta e quella bizzarra gita fuori porta non era d’aiuto.
“No, grazie. Ditemi la ragione della mia presenza qui.”
“Io vi verso un po’ di tè.”
Alfie preparò la bevanda calda con una lentezza disarmante, sciogliendo con accuratezza due zollette di zucchero. Servì la tazzina accompagnata da un biscotto secco. Ariadne bevve nella speranza di ammansire l’uomo, anche se doveva ammettere che quella nota di menta era gradevole.
“E’ buono, avevate ragione.”
“Io ho sempre ragione. Vi piace Margate? A me molto. Questo odore di mare è piacevole.”
Ariadne aggrottò la fronte. Davvero era stata portata fin lì per chiacchiere di tè e mare?
“Sono contenta che vi piaccia. Voi sapete chi sono?”
Alfie le scoccò un’occhiata di rimprovero per avere rovinato la conversazione su Margate.
“Certo che lo so. Voi siete Rachele.”
“Il mio nome è Ariadne Evans.”
Ariadne era confusa, era una situazione talmente surreale che stentava a credere fosse vera.
“Non siete molto ferrata in religione ebraica. Rachele era la seconda moglie di Giacobbe.”
“Che cosa c’entra adesso questa storia?”
Alfie bevve un altro sorso di tè mentre scrutava la ragazza davanti a sé con fare misterioso.
“Voi non guardate il quadro completo, eppure siete un’artista.”
Ariadne trasalì sulla sedia. Era assurdo che Alfie Solomons conoscesse la sua vita a Londra e la sua falsa identità.
“Non so di cosa stiate parlando.”
“Il nome Judith significa ‘lodevole’, e credo sia perfetto per voi. Però io preferisco Ariadne.”
Ariadne si alzò, indispettita da quelle chiacchiere senza senso di un uomo sotto effetto di droghe.
“Ora me ne vado. Questi giochetti non mi piacciono.”
Alfie la vide andare verso la portafinestra della terrazza, il vestito azzurro oscillava seguendo le folate di vento.
“Voi avete bisogno di me per sconfiggere vostra madre.”
Ariadne si bloccò un secondo prima di varcare la porta. La sola menzione di sua madre bastò per farla voltare verso di lui.
“Vi ascolto.”
Alfie si alzò e zoppicò fino a lei con l’aiuto del bastone, sembrava più vecchio di quanto non fosse. Quando si fu avvicinato, prese la mano sinistra della ragazza e vi baciò il dorso.
“Ariadne Evans, volete sposare i miei affari?”
 
Tommy decise di non rientrare a casa. Non voleva incrociare Lizzie e litigare perché lui aveva passato la notte fuori. Preferì andare al Garrison e fare colazione con l’alcol.
“Buongiorno.” Lo salutò Margaret.
Tommy ricambiò con un gesto della mano, non era in vena di socializzare. Era ancora troppo irritato per essere stato piantato da Ariadne.
“Portami una bottiglia di whiskey e un bicchiere nel privé.”
Si chiuse la porta alle spalle e sprofondò sul divano della saletta. Aveva sonno e fame, ma più di tutto era arrabbiato. Ariadne in quel momento stava tornando a casa da Michael dopo aver trascorso la notte con lui. Si era rivestita in fretta e lo aveva trattato con freddezza, come se fosse un passatempo di poco conto.
“Non potete entrare!” stava gridando Margaret.
Pochi secondi dopo un forte odore di fiori di iris invase il privé. C’era una donna sulla soglia della porta, grandi occhi verdi e lunghi capelli castani perfettamente intrecciati sulla nuca. Indossava un abito bianco che faceva risaltare la sua pelle color caramello.
“Non avete una bella cera, signor Shelby. Volete il vostro elisir?”
Tommy si accorse che la donna reggeva fra le mani una bottiglia e due bicchieri. Si mise seduto composto e si sbottonò la giacca.
“E voi sareste?”
“Io sono Charlotte Foster e vostra futura assistente.”
Tommy rise e scosse la testa, ma Charlotte rimase seria e questo lo fece smettere. Si accese una sigaretta e se la passò sulle labbra prima di fare il primo tiro.
“E’ uno scherzo? Arthur e Finn ti hanno pagata?”
Charlotte stappò il whiskey e bevve direttamente dalla bottiglia, poi si sedette a braccia incrociate.
“Non è uno scherzo dei vostri fratelli. Sono soltanto una donna molto determinata.”
“E anche ingenua. Non ho bisogno di una assistente.”
Tommy si riempì il bicchiere fino all’orlo e scrollò la cenere della sigaretta sul tavolo, incurante del legno che si rovinava.
“Voi avete bisogno di qualcuno che si occupi della vostra campagna elettorale. Fra due settimane si terranno le elezioni e voi non siete favorito. Avete bisogno di me.”
“Ho già qualcuno che si occupa della mia campagna elettorale.” Replicò Tommy.
“Intendete Ariadne Evans? Oh, non credo proprio che lei sarà disponibile.”
Charlotte ghignò per il modo in cui gli occhi di Tommy si spalancarono al nome di Ariadne. Era chiaro come il sole che lui era interessato alla ragazza.
“Cosa ne sai tu di Ariadne?”
“So che qualche ora fa ha lasciato la città insieme ad un uomo. Dalla barba lunga e l’abbigliamento austero deduco che si trattasse di un uomo ebreo. Ariadne è andata via prima che vostro cugino Michael tornasse a casa.”
Tommy irrigidì la mascella. Ariadne era diventata una rogna che gli creava solo disagi. Prima faceva l’amore con lui e poi spariva in compagnia di un altro uomo.
“Come fai a saperlo?”
“Mi piace conoscere la mia rivale. Fidatevi di me, signor Shelby. Ariadne non fa per voi, lei non si preoccupa della vostra campagna elettorale. Lasciate che me ne occupi io.”
“E cosa vorresti in cambio?”
Charlotte sorrise trionfante, entrare nelle grazie di Tommy Shelby era stato più facile di quanto si era aspettata.
“Mi basta lavorare per voi, signor Shelby. Sono una gran lavoratrice, un’ottima spia e me la cavo bene con la pistola.”
Tommy si sfregò le mani e gli venne in mente che solo poche ore prima Ariadne aveva fatto incastrare le loro dita. Il solo ricordo lo fece tremare di collera e gelosia.
“Cinque sterline all’ora sono sufficienti?”
Charlotte annuì con un sorriso felino a incurvarle le labbra coperte ad uno sfavillante rossetto rosso.
“Affare fatto, signor Shelby.”
 
Due settimane dopo
“Sei impazzita? Dimmi che hai preso una botta in testa, ti supplico.” Disse Julian.
Ariadne lo aveva telefonato due giorni prima per invitarlo a Margate e parlare dei recenti avvenimenti. Aveva bisogno del sostegno di suo fratello. Aveva bisogno di sapere che non era sola in quella follia.
“Jules, è l’unica soluzione che ho per liberarmi di nostra madre.”
“Diventare il capo di una gang non è una soluzione!” obiettò Julian.
“E cosa dovrei fare? Sposare Michael ed essere la mogliettina perfetta?”
Ariadne aveva incrociato le braccia al petto, lo faceva ogni volta che voleva imporre la propria opinione.
“Sposare Michael non è poi una cattiva idea.”
“Dici così solo perché sei un uomo. Se tu fossi una donna obbligata a sposare un tizio a caso, ti lamenteresti anche tu.”
Julian sospirò, consapevole che sua sorella aveva ragione. Essere nato maschio rappresentava un vantaggio in ogni aspetto della vita.
“Aria, la proposta di Alfie non è la soluzione. Andiamo via, nascondiamoci per un po’ e aspettiamo il momento giusto.”
Ariadne si alzò dal divano con uno slancio, la schiena dritta e il mento alto di chi sventola la bandiera della fierezza.
“Non voglio nascondermi. Non voglio più fuggire dalla nostra famiglia. Voglio difendermi.”
“Rischi di morire. Lo sai che nostra madre non perdona.” Disse Julian.
“Sono stufa di avere paura. Ho vissuto per anni a Londra nella speranza di sfuggire al controllo di nostra madre, eppure eccomi di nuovo qui invischiata nel mondo criminale. Io devo combattere ad armi pari.”
Julian guardò il mare attraverso la finestra, quella distesa azzurra non riusciva a tranquillizzarlo. Sapere che sua madre e sua sorella erano sul piede di guerra era un duro colpo da accettare.
“Sei sicura?”
Ariadne non era sicura per niente, sapeva che quella era una strada pericolosa da intraprendere. Fece un respiro profondo e sorrise, in fondo era brava a mentire.
“Sono sicura.”
 
Tommy era esausto. Sentiva gli occhi bruciare, e di certo il lume peggiorava la situazione. Erano le undici e mezzo di sera, fuori era buio ma il venticello primaverile era piacevole. Stava ancora lavorando. Quella mattina era giunta la notizia che una parte del Parlamento era crollata, dunque le elezioni erano state rinviate fino alla ricostruzione dell’edificio. Aveva tempo per meditare sul programma politico, però doveva anche cercare maggiori consensi.
“Sei ancora qui.” Bisbigliò Lizzie.
Entrò nello studio e si sedette, davanti ai suoi occhi c’era quello strano dipinto che il marito aveva acquistato mesi prima; si trattava di due ombre accucciate, sembrava che una incombesse sull’altra.
“Sto lavorando. Che c’è?”
“Ultimamente la sera torni sempre a casa. Mi fa piacere.” Disse Lizzie.
Tommy lasciò andare la penna e sollevò gli occhi su di lei con le sopracciglia corrugate.
“Perché io abito qui.”
“Ma prima passavi la notte fuori … con chissà chi.”
“Chissà chi non c’è più, quindi non hai motivo di preoccuparti.” Replicò Tommy, risoluto.
Lizzie guardò il dipinto e si sentì un po’ come la figura accucciata che veniva minacciata. Era questa la sensazione causata dal matrimonio con Tommy: ogni donna che entrava nella sua vita era una potenziale minaccia.
“Che cosa è successo fra te e Ariadne Evans?”
“Lizzie, non rompermi le palle con questa storia.”
Tommy era tornato a scrivere, ma la sua mente cercava in tutti i modi di non pensare ad Ariadne. Più allontanava il pensiero di lei e più questo tornava con prepotenza.
“Voglio saperlo. Sono tua moglie, merito sincerità.” Disse Lizzie.
Lui strinse la penna con entrambe le mani, dalla punta l’inchiostro gocciolava sulla pagina ormai rovinata. Nero, il colore perfetto a descrivere il suo umore.
“Tra me e Ariadne Evans non c’è stato niente. Lei non conta nulla per me.”
“Davvero? Andiamo, Tommy, ho notato come la guardavi!” protestò Lizzie.
Tommy non voleva ricordare perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere a se stesso che era stato tutto vero. Ogni singola emozione che aveva provato con Ariadne era stata vera.
“Non rompermi il cazzo con questa inutile gelosia. Ariadne è solo una ragazzina che gioca a fare la criminale.”
Lizzie non credeva ad una sola parola. Non era ingenua, in passato aveva imparato a non fidarsi di nessuno, soprattutto degli uomini.
“E perché due settimane fa Michael è venuto qui a chiedermi dove fosse Ariadne?”
Tommy serrò la mascella, ogni muscolo del corpo si era irrigidito. La sua mente gli inviò flash di quella notte, quasi poteva ancora sentire i gemiti di Ariadne nelle orecchie.
“E io che cazzo ne so di cosa fa Ariadne di notte? Non è un mio problema se Michael si è fatto scappare la fidanzata.”
Lizzie si alzò e strinse lo schienale imbottito della sedia, anche se avrebbe preferito strizzare il collo di Tommy fra le mani.
“Sei un maledetto bugiardo. Ti conosco da una vita, Tommy Shelby.”
“Se mi conosci allora sai che cosa è successo.” Ribatté Tommy con voce glaciale.
“E’ stata solo una scopata o sei innamorato di lei?” domandò Lizzie.
“Io non sono innamorato di nessuno.”
“Questo lo so benissimo.” Disse Lizzie con rammarico.
 
 
Un mese dopo
Alfie sorrise non appena Ariadne lo raggiunse in terrazza per il tè pomeridiano. Da quando lei si era trasferita al resort era molto il tempo che passavano insieme.
“Buon pomeriggio, mia splendida colombella.”
Ariadne si lasciò cadere sulla sedia con un sorriso divertito, incominciava ad apprezzare la compagnia di quell’uomo sopra le righe.
“Hai già ordinato il tè?”
“Certamente. Lo sai che qui il tè lo fanno davvero squisito.”
“Lo so, me lo ripeti ogni giorno.”
Ariadne si mise a fissare il mare, era intrigante il modo in cui le onde si allungavano sulla sabbia e poi si ritraevano. Avrebbe voluto immortalare quella scena in un disegno, ma ormai erano settimane che non riusciva a disegnare.
“Tu sei il mare impetuoso o la sabbia ferma?” chiese Alfie.
“Non saprei, non ci ho mai pensato. Tu che ne pensi?”
Alfie si accarezzò la barba, la cicatrice che gli pizzicava la guancia al tatto.
“Io penso che tu sia sabbia che nasconde il mare. Spero che tu non sia un inganno.”
Ariadne gli rivolse un’occhiata torva. Erano irritanti le metafore attraverso cui quell’uomo si esprimeva.
“Un inganno in che senso?”
“Ariadne, io mi aspetto molto da te. Mi auguro che tu sia il mare impetuoso. Sarebbe un vero peccato se alla fine tu ti rivelassi un deserto.”
La ragazza annuì piano, non era sicura se quello fosse un auspicio o fosse una sorta di minaccia velata.
“Quali progetti hai in mente per me? Scommetto che avete già pensato a tutto.”
Alfie sorseggiò il tè con un inquietante sorriso che faceva raggrinzire la cicatrice sul volto. L’occhio buono rivolse un lampo divertito alla sua ospite.
“Ho grandi progetti, mia colomba. Tutti credono che io sia morto, dunque ho bisogno che tu mandi avanti gli affari di Camden Town.”
“Io devo tornare a Birmingham per affrontare mia madre. Questo era il patto iniziale.”
Ariadne aveva accetto di soggiornare al resort con l’unico obiettivo di attuare una strategia per eliminare la madre. Birmingham era il perno attorno a cui ruotavano i suoi pensieri.
“Per tornare a Birmingham col potere devi prima ottenerlo. La gang di Camden Town è formata da soli uomini, devi guadagnarti il loro rispetto.”
“Voi uomini e il vostro stupido ego! Cosa dovrei fare per guadagnare il rispetto di un branco di muli?”
Alfie rise e il tè gli andò di traverso, tant’è che fu costretto a lasciare la tazzina e a darsi dei colpetti sul petto.
“Noi di Camden Town abbiamo un rito di iniziazione: uccidiamo una capra e poi la mangiamo.”
Ariadne emise un verso di disgusto. Lei aveva già ucciso una volta, ma era stata legittima difesa e perlopiù suo padre se lo meritava. Ma una povera capretta non meritava certo di inciampare sul suo coltello affilato.
“Non ucciderò un animale! No, assolutamente no!”
“Eppure so che te la cavi bene con l’attizzatoio.” Disse Alfie.
Il mondo parve fermarsi per un momento. Ariadne solo allora capì che lui sapeva tutto. Conosceva il suo oscuro segreto e lo stava usando contro di lei.
“Come fai a saperlo?”
“Io so molte cose di te, mia colomba. Ho indagato a fondo prima di convocarti.”
Ariadne si lisciò le pieghe dei pantaloni in preda al nervosismo. Se un uomo ferito e isolato a Margate aveva saputo dell’omicidio, significava che il suo segreto poteva essere scoperto da molti altri con facilità. A condividere quel fardello erano solo lei e sua madre, e di recente anche Tommy.
“Chi te lo ha detto?”
“I segreti non restano mai a lungo tali, soprattutto in una città merdosa come Birmingham.”
Alfie si versò altro tè e si mise a bere con tranquillità, sembrava che discutesse del bel tempo anziché di un assassinio.
“Tommy…”
“Oh, Tommy lo sa? Avrei dovuto scommetterci, quello zingaro è dappertutto.”
“Ora sono confusa. Come fai a sapere quello che è successo?”
Ariadne sentiva la pelle formicolare. Era perplessa, ma più di tutto era furiosa con quell’uomo che si divertiva a giocare con lei.
“Tu vivevi nel quartiere di Camden Town quando io ero ancora il capo della mia comunità. Quando i miei uomini mi hanno detto che una nuova ragazza era giunta nel quartiere, mi sono subito messo a indagare. Sai, nessuno vorrebbe una spia nel proprio territorio. Da Birmingham era scomparsa una ragazzina anni prima e la descrizione corrispondeva alla tua, capelli rossi come il sangue. Ti facevi chiamare Judith, però io sapevo che il tuo vero nome è Ariadne.”
Alfie depositò la tazzina e si mise in bocca una zolletta di zucchero, il tutto con una nonchalance che infastidiva Ariadne.
“Perché io? Perché vuoi che sia una donna a prelevare i tuoi affari?”
“Perché una donna in una posizione di potere non piace a nessuno.”
“Vuoi vedermi minacciata da tutti?” domandò Ariadne.
“No, mia colomba. Io voglio vederti splendere con una stella. Io punto sempre sul cavallo vincente.”
“Cosa ti fa credere che io sia un cavallo vincente? Magari alla fine sono soltanto una delusione.”
Alfie si mise in piedi e appoggiò entrambe le mani sul pomo del bastone, era ancora in via di guarigione e le sue gambe non erano forti come un tempo.
“Io e te abbiamo un nemico in comune: Marianne Evans. Tua madre ha ordinato l’uccisione di mio nipote.”
Ariadne barcollò all’indietro, per fortuna c’era il tavolino a cui aggrapparsi per non cadere.
“Chi era tuo nipote? Perché mia madre lo voleva morto?”
“Mio nipote era Zekharia. Ti dice qualcosa questo nome?”
Era un nome troppo particolare e Ariadne lo ricordava bene. Zekharia era il figlio del giardiniere, era il primo ragazzo che Julian aveva baciato a tredici anni.
“So chi era tuo nipote. Lavorava come giardiniere per mio padre otto anni fa.”
Alfie annuì e le diede un buffetto sul naso.
“Ora capisci perché ho scelto te?”
“Tu vuoi vendicarti di mia madre e vuoi usare me per tale scopo.”
“Vendicarsi vuol dire mordere il cane perché lui ti ha morso, mia colomba.”
 
Un mese dopo
Tommy era impressionato dalla velocità con cui Charlotte batteva a macchina. La ragazza lavorava sodo, era sempre puntuale e gli faceva trovare ogni giorno una bottiglia di whiskey piena.
“Abbiamo finito, signor Shelby?”
Tommy rilesse con attenzione il foglio, ogni parola era vagliata con estrema cura. Aveva stilato il suo programma politico di filone laburista e lo avrebbe presentato entro due giorni ai membri del Parlamento. Era la sua occasione di emergere e tutto doveva essere curato nei minimi dettagli.
“Tu che ne pensi? C’è qualcosa che non va.”
“E’ un bel programma.” disse Charlotte poco convinta.
“Ma?”
“Ma io punterei di più sulla questione della sanità. A tutti piace un uomo ricco che vuole aiutare la povera gente.”
Tommy inarcò il sopracciglio a quella malcelata frecciatina contro il popolo.
“Tu sei nata ricca, vero? Si vede lontano un miglio.”
Charlotte sospirò, non voleva fare una brutta figura davanti al suo nuovo capo che la pagava fin troppo bene per essere una banale assistente.
“Signor Shelby, le mie origini non vi interessano. Mi dispiace avervi offeso.”
Tommy si sedette alla scrivania e tirò fuori una sigaretta, se la passò sulle labbra e l’accese. Uno sbuffo di fumo si librò nell’aria a forma di spirale.
“Vieni da Londra, lo capisco dall’accento. Hai buon gusto nel vestire, vai sempre dalla parrucchiera, porti un orologio costoso al polso. O provieni da una famiglia ricca oppure hai un fidanzato che ti mantiene.”
“Non ho bisogno di un fidanzato che mi mantenga. Sono capace di cavarmela da sola.”
“Quindi alle spalle hai una famiglia ricca.” Sentenziò Tommy.
Charlotte si alzò e si aggiustò la gonna, era un gesto meccanico che compiva quando era nervosa.
“Sarebbe un problema per voi? Volete licenziarmi perché la mia famiglia è ricca?”
“Diventa un problema soltanto se me lo nascondi.”
“Mio padre è un commerciante di stoffe molto conosciuto a Londra. L’orologio che indosso è il regalo che mi ha fatto quando ho raggiunto la maggiore età.”
Tommy si rigirò la sigaretta fra le mani con fare pensieroso. Era da sempre un tipo sospettoso, soprattutto quando una persona benestante decideva di lavorare per lui.
“Sei fottutamente ricca e vuoi fare l’assistente per una manciata di sterline al giorno? Non me la bevo.”
“Sono qui per avere una vita lontano dalla mia famiglia.” ammise Charlotte.
Il volto di Ariadne balenò nella mente di Tommy per un secondo. Anche lei era fuggita dalla sua famiglia, anche lei cercava una vita distante dai drammi della criminalità. Pensare a lei faceva male, era come aprire una vecchia cicatrice e scavare nella carne. Non la vedeva da un mese e mezzo, non aveva sue notizie da allora. Non sapevo dove fosse e con chi, se stesse bene o stesse male.
“Birmingham non è la città giusta per ricominciare.”
“A me sta bene così, signor Shelby.” Si affrettò a dire Charlotte.
Tommy lo sentiva che Charlotte gli nascondeva dell’altro. Una ragazza perbene non si trasferiva in una città penosa come quella senza un reale motivo. Solo il tempo gli avrebbe permesso di svelare il mistero, dunque si limitò ad annuire.
“Come vuoi. Adesso siediti e scrivi, voglio riformulare la questione sanitaria.”
Charlotte si sedette con un sorriso luminoso e incominciò a battere a macchina il dettato.
 
Un mese dopo
Ariadne si guardò allo specchio, i ricci rossi in ordine erano così insoliti per lei. Tutto era diverso ora, anche lei era diversa. In quei due mesi Alfie l’aveva istruita sugli affari, sulle offerte da fare e rifiutare, sugli alleati papabili e quelli da tenere lontani, sulle gang di Londra e dintorni. Ogni giorno aveva trascorso ore e ore a studiare, a imparare, a crescere. Non era più la ragazza ingenua che quasi un anno prima era tornata a casa. Adesso era più matura e disillusa, conosceva il suo nemico e si impegnava per abbatterlo.
“Siete pronta?”
Jonah comparve alle sue spalle come un fantasma. Era silenzioso e veloce, non sapevi mai da dove sbucasse.
“Quale sorpresa ha in serbo per me Alfie?”
Ariadne si sistemò i polsini della camicia e si infilò le scarpe, dopodiché controllò per l’ultima volta che l’acconciatura contenesse i ricci ribelli.
“Alfie Solomons ha deciso che oggi voi dimostrerete le vostre capacità.” Disse Jonah.
“In che senso?”
L’uomo aprì la porta e la lasciò passare per prima, quindi la superò per indicarle la strada.
“Nel senso che oggi avverrà il rito di iniziazione.”
Ariadne ricordava che l’ingresso nella gang di Camden Town richieda il sacrificio di un animale. Con orrore si accorse di non essere pronta.
“Devo uccidere una povera capra? Jonah, io…”
Jonah si voltò con un ghigno sulle labbra cerchiate di barba. Sembrava più vecchio di quanto non fosse.
“Signorina Evans, il sacrificio della capra è solo una metafora.”
“Una metafora?”
“E’ quello che ho detto. Siete lenta di comprendonio alle volte.” Notò Jonah.
Ariadne non stava capendo più nulla. Alfie le aveva ripetuto fino allo sfinimento quanto fosse importante guadagnarsi il rispetto della gang, quanto sarebbe stato difficile per una donna farsi accettare da un gruppo di maschi, e adesso saltava fuori la storia della metafora.
“Se si tratta di una metafora, allora cosa dovrei sacrificare?”
“Dovete sacrificare voi stessa, signorina.”
 
Tommy si guardava attorno con circospezione. La vista della terrazza planava direttamente sul mare e sul cielo, un ammasso di azzurro splendente. Pochi giorni prima aveva ricevuto una lettera firmata da Alfie Solomons in cui si richiedeva la sua presenza in un resort di lusso a Margate. Credeva fosse uno scherzo – uno davvero pessimo – ma qualcosa lo aveva spinto a recarsi nel Kent per verificare.
“Tommy Shelby.”
Alfie Solomons era lì. Zoppicava verso di lui con il volto sfigurato. Era vivo.
“A te non piace morire, eh.” Disse Tommy.
L’ultima volta che lo aveva visto gli aveva sparato in faccia e lo aveva lasciato stecchito sulla spiaggia. Evidentemente le cose non erano andate come previste.
“Ero disteso sulla sabbia e un’onda mi è venuta addosso, così mi sono risvegliato. Mi sono guardato in giro e ho pensato ‘cazzo, questo è il fottuto inferno!’. Sono stato portato in ospedale, ho passato settimane sotto effetto di droghe e poi mi sono rifugiato in questo resort. Che cazzo di avventura, vero?”
Tommy lo guardava con disinteresse, quella storiella non gli interessava affatto. Che Alfie fosse vivo o morto per lui non c’era differenza, l’importante era che rimanesse fuori dagli affari.
“Mmh, già.”
Alfie prese posto su una sedia della terrazza, assicurandosi che la cicatrice fosse coperta all’ombra. Il calore del sole sulla ferita aumentava il dolore.
“Come fai a sapere che sono vivo?”
Tommy sospirò. Si tirò su il cappello per osservare meglio l’uomo che un tempo era stato suo socio. Era il solito Alfie, la barba e i brutti gilet erano i suoi, ma il suo sguardo sembrava più spento.
“Mi hai scritto una lettera, Alfie.”
“L’ho fatto davvero?”
“Sì, volevi sapere come sta il tuo cane.” Rispose Tommy.
Un sorriso illuminò il volto deturpato di Alfie, menzionare il suo cane lo aveva fatto rinsavire.
“Oh, il mio Cyril! Come sta? Gli dai il cibo buono?”
Tommy si accese una sigaretta nel tentativo di non addormentarsi. La sera precedente aveva finito di lavorare con Arthur intorno a mezzanotte, poi erano rimasti a bere al Garrison fino alle cinque del mattino e alle sei aveva preso il treno per Margate.
“Il cane sta bene. Alfie, mi spieghi perché cazzo sono qui?”
“Per bere il tè. Qui lo fanno buono, lo pensa anche la mia colomba.” Disse Alfie.
Solo in quel momento Tommy vide che sul tavolino c’erano tre tazze fumanti. Ciò significava che a loro si sarebbe unita un’altra persona.
“Perché tre tazze?”
“Una è per la mia colomba. Te l’ho già detto che le piace il tè?”
 
Quando Ariadne arrivò in terrazza, il rumore delle onde la accolse come tutti i giorni. Era come se il mare la salutasse ogni mattina e ogni sera. Intravide Alfie in compagnia di un altro uomo con addosso un cappotto nero.
“Chi c’è con Alfie?”
“La vostra prova del nove.” Disse Jonah.
Ariadne si bloccò subito. Se non doveva uccidere una capra, allora doveva uccidere un essere umano? Il solo pensiero di togliere un’altra vita le fece venire la nausea.
“Io non ucciderò nessuno. Assolutamente no!”
Jonah le cinse le spalle con un braccio, era alto e magro ma la sua presa era di ferro.
“Signorina Evans, ascoltate il mio consiglio: mantenete la calma. Sarà la calma a farvi entrare nelle grazie del signor Solomons e di Camden Town.”
Ariadne aggrottò le sopracciglia, le parole di Jonah erano un tale enigma da decifrare. Mentre riprendevano a camminare in direzione del solito tavolino, il suo naso fu pizzicato da una particolare fragranza di colonia che lei conosceva. Un misto di profumo e tabacco tracciava un percorso immaginario fino allo sconosciuto.
“Tommy.”
Il suo cuore ebbe un guizzo quando Tommy le rivolse un’occhiata di ghiaccio. Sarebbe congelata, se avesse potuto.
“Che cazzo ci fai qui? Era Alfie l’uomo con cui te ne sei andata?”
Ariadne abbassò lo sguardo, tremava come una foglia per la vergogna. Era quella la prova del nove. Se l’avesse superata con coraggio, Alfie le avrebbe ceduto la sua posizione. Aveva finto per anni, si era spacciata per Judith con molta gente, pertanto un’ulteriore bugia non era nulla di che. Si mise dritta e puntò gli occhi in quelli di Tommy senza alcuna paura.
“Sono qui per affari.”
“Quali affari?” ringhiò Tommy.
Ariadne guardò oltre le sue spalle e Alfie annuì, dandole il permesso di continuare.
“Ora sono io il capo della gang di Camden Town.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Sono tornata, purtroppo per voi. Perdonate la lunga attesa ma l’università mi tiene un sacco impegnata.
Questo capitolo riprendere da dove ci siamo lasciati e spiega la nuova posizione di Ariadne.
Le cose si sono complicate e il rapporto fra Ariadne e Tommy è peggiorato.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Il dialogo fra Tommy e Alfie è ripreso dalla 5x06.

 

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Capitolo 2
*** La nuova regina ***


2. LA NUOVA REGINA

“Sulla via per l'inferno c'è sempre un sacco di gente, ma è comunque una via che si percorre in solitudine."
(Charles Bukowski)
 
Una settimana dopo, Londra, quartiere di Camden Town
Jonah aprì la portiera per far scendere Ariadne, i suoi occhi guardinghi perlustravano il perimetro con la perizia di un falco. Era un sabato mattina come tanti altri, c’erano donne che andavano a fare la spesa, bambini che giocavano con bastoni di legno fingendo fossero spade, e uomini che si radunavano nei pub per un bicchierino e una partita a dadi. Ariadne, invece, era lì per affari. A momenti avrebbe incontrato la banda di Alfie per presentarsi a loro come nuovo capo.
“Siete pronta, signorina Evans?” domandò Jonah.
Ariadne non aveva chiuso occhio a causa dell’agitazione. Si giocava il tutto per tutto. Se avesse vinto, avrebbe ottenuto uno strumento contro sua madre. Se avesse perso, sarebbe affondata per mano di sua madre. Poteva farcela. Anzi, doveva farcela.
“Sono pronta.”
“Ricordate i suggerimenti del signor Solomons: testa alta, voce ferma e una buona dose di sarcasmo.”
Jonah la condusse nell’area industriale del quartiere, un ampio spazio destinato a piccoli filatoi meccanici e lavanderie all’avanguardia. Fra i vari edifici spiccava un alto palazzo grigio e austero, con le finestre protette da sbarre metalliche. L’insegna all’ingresso era caduta, però era ancora leggibile il riferimento alla famiglia Solomons.
“E’ qui che abitava Alfie?”
“Sì, ed è qui che controllava le sue attività.” Rispose Jonah.
Ariadne sapeva che le ‘attività’ in questione erano i trasporti illeciti di alcol. Alfie per anni aveva gestito una distilleria illegale in quell’edificio poiché le leggi del proibizionismo impedivano la vendita legale di alcol.
“Ci sono tutti?”
“Certo, come richiesto da voi.”
Risalirono una scalinata ripida di ferro, il corrimano era arrugginito in alcuni punti. Superarono molti stanzoni che ospitavano numerose pile di casse di legno che sul coperchio non riportavano nessun logo. L’odore di etanolo era così forte che Ariadne dovette coprirsi il naso con la mano. Il fastidio diventata più tollerabile man mano che si avvicinavano all’ufficio di Alfie.
“Ci siamo.” Disse Jonah.
Dopo aver attraversato un lungo corridoio e un paio di magazzini, si apriva il settore dedicato al carico e allo scarico della merce. Lì si era radunati almeno una cinquantina di uomini, molti di loro avevano lunghe barbe, altri indossavano abiti neri, e altri ancora fumavano la pipa.
“Johan, resta al mio fianco.” Bisbigliò Ariadne.
“Come desiderate, signorina Evans.”
Il vocio confuso si interruppe quando Ariadne si posizionò davanti alla folla. Sentiva gli occhi indagatori dei presenti che la studiavano come fosse un cervo da cacciare. Alcuni si misero a ridere sotto i baffi.
“Buongiorno a tutti. Grazie di essere venuti.” Disse Ariadne, cordiale.
Jonah stava alle spalle con le mani dietro la schiena, sembrava un angelo nero pronto a difenderla da qualsiasi cosa o persona.
“La signorina Evans è qui per affari. Vi prego di fare silenzio. Continuate pure, signorina.”
Ariadne lo ringraziò con un cenno del capo e fece un passo avanti per mostrarsi a tutti. Per l’occasione aveva scelto pantaloni grigi e camicetta nera, un abbigliamento sobrio ma deciso al tempo stesso. Il suo insegnante di arte diceva sempre che i colori sono una manifestazione del potere.
“Lo so che per voi è difficile accettare questo cambio di direzione. Eravate abituati ad Alfie, invece ora avete a che fare con una donna che reputate una ragazzina inesperta. Sapete chi sono. Sapete che la famiglia Evans guida i Blue Lions. Quello che non sapete è che io non mi considero più parte di quella famiglia. Da oggi in poi io sarò a capo di Camden Town, e spero che voi possiate marciare al mio fianco come leali compagni.”
Una risata serpeggiò fra gli uomini come una biscia che sibila prima di mordere. Un giovane dai capelli chiari si fece avanti con un ghigno.
“Voi sarete il nostro capo? Non siete nemmeno ebrea!”
“Non sono neanche cristiana. Qui non si tratta di religione, bensì di affari.” Replicò Ariadne.
“Cosa ne sa una bambina di affari?” domandò un uomo anziano in prima fila.
Ariadne si mise le mani in tasca e strinse i pugni per placare la rabbia. Doveva mantenere la calma come quando aveva affrontato Tommy la settima prima. Se aveva fronteggiato quegli occhi azzurri senza remore, poteva di certo tenere testa a quel branco di maschilisti.
“Non sono una bambina, sono soltanto giovane. Il fatto che io sia giovane non significa che sia inesperta. Mio padre era Philip Evans, è da lui che ho imparato il mestiere. Ho imparato anche da mio fratello Eric. Alfie mi ha indicato la via da lui stesso intrapresa. Ma soprattutto ho imparato da me stessa. Sono intelligente e furba, so come farmi amare e odiare, so con chi allacciare alleanze e chi tenere lontano. Io sono capace.”
“Ha i capelli rossi, è pazza!” urlò un ragazzo dal fondo.
Ariadne irrigidì la mascella a quell’insulto. Erano le stesse parole che sua madre le aveva rivolto da adolescente. I capelli rossi erano considerati peccaminosi, una condanna ad essere associata a un demone.
“Io non sono pazza. Il colore dei miei capelli non influenza la mia personalità. Io sono una donna che sa quello che vuole e per ottenerlo ha deciso di mettersi a capo di un branco di asini. Ora la domanda reale è: questi asini vogliono ragliare oppure vogliono fare soldi?”
Jonah si lasciò scappare un sorriso, era divertente notare come gli uomini si fossero zittiti.
“Perché Alfie ha scelto proprio te?” domandò un vecchio.
Quello era il prozio di Alfie, uomo assai religioso e di stampo conservatore. Era lui l’osso duro da convincere.
“Perché in me ha visto una degna erede del suo lavoro.” Disse Ariadne.
“Le donne sono troppo emotive per stare al potere.” Ribatté il vecchio.
Ariadne sorrise, aspettava con ansia una frase sessista del genere. Aveva letto libri e libri in cui le donne avevano fatto le loro scelte e le avevano portate avanti con coraggio, dunque ora toccava a lei unirsi alla coda di eroine.
“Le donne sono come bustine del tè: anche nell’acqua bollente sanno resistere.”
“Non ci posso credere.” Mormorò un uomo dalla faccia barbuta.
Ariadne andò da lui, gli si parò di fronte e gli mise una mano sulla spalla. Con il pollice e l’indice fece pressione su un nervo del collo che fece piegare in due dal dolore l’uomo.
“Solo perché hai le palle non vuol dire che sei più forte e intelligente di me. Se ti sparo in faccia, tu uomo muori e io donna sopravvivo. Sono stata chiara?”
L’uomo era rosso per il dolore, pertanto annuì e Ariadne lo lasciò andare. Jonah, per timore che qualcuno ferisse la ragazza, si mise al suo fianco come un falco sul guanto.
“La signorina Evans ha il benestare di Alfie Solomons. Non serve altro a legittimare la sua posizione.”
“E se io non volessi questa pagliaccia come capo?” domandò un giovane.
“Allora puoi andartene. Nessuno di voi è obbligato a restare.” Disse Jonah.
“Avete un minuto per lasciare l’edificio, se è ciò che volete.” Aggiunse Ariadne.
Una decina di uomini andarono via, le loro facce erano deluse e schifate da quel cambiamento di reggenza. Pochi secondi dopo altri tre uomini lasciarono la stanza. Il vecchio di prima allungò una mano verso Ariadne e chinò la testa in segno di rispetto.
“Se Alfie ha visto in voi il mare, allora lo vedo anche io. Benvenuta a Camden Town.”
Ariadne ricambiò la stretta con un sorriso vittorioso. Jonah al suo fianco le rivolse uno sguardo ricco di fierezza. Insieme loro due avrebbero rivoluzionato le cose.
 
Il viaggio in treno fu tranquillo. Avevano lasciato Londra alla volta di Birmingham, era a casa che si teneva il teatro di guerra. Jonah leggeva il giornale e ogni tanto sbirciava fuori dalla cabina per assicurarsi che fossero al sicuro. Ariadne, al contrario, stava studiando gli appunti che Alfie le aveva affidato. Nel taccuino erano annotati nomi, date, numeri di conti bancari, nascondigli di Camden Town. Insomma, era una sorta di manuale del gangster.
“Qual è la prossima mossa, signorina Evans?” chiese Jonah.
“Dobbiamo informarci sulle ultime novità. Voglio sapere qualsiasi cosa sugli affari loschi di Birmingham e sulle bande, soprattutto voglio sapere che cosa combinano i Peaky Blinders.”
Jonah non staccò gli occhi dal giornale ma involontariamente arricciò il naso.
“Ancora con i Peaky Blinders? Credevo che il rito di iniziazione fosse concluso.”
“Che ci piaccia o no, Tommy Shelby ci serve se vogliamo battere i Blue Lions.”
“Certo, signorina. Ah, comunque ho trovato un delizioso appartamento nel quartiere di Sparkhill. E’ piccolo ma molto accogliente, ed è luminoso per la vostra arte.”
“Non mi dedico più all’arte.” Disse Ariadne.
“E’ un peccato, signorina. Siete davvero talentuosa.”
“Jonah, secondo te posso conciliare la vita criminale con l’arte? Non credo.”
Jonah richiuse il giornale e se lo mise sotto il braccio, ogni suo gesto era calcolato.
“Voi potete fare quello che volete. Avete il talento e il potere, sappiate sfruttarli entrambi.”
“Grazie, Jonah. E smettila di chiamarmi ‘signorina’, chiamami solo Ariadne.”
“Non mi è concesso un tale lusso. Se io vi chiamo per nome, allora gli altri si sentiranno liberi di farlo anche senza il vostro permesso. Voi siete al comando e dovete essere trattata con riverenza.”
Ariadne si accigliò, odiava tutte quelle cerimonie. Gli anni passati nei panni di Judith le avevano fatto dimenticare quelle stupide regole sociali.
“Non sono mica sua altezza reale.”
“Voi siete una nuova regina, signorina Evans. Imparate a prendervi ciò che vi spetta.”
 
Julian fissava il soffitto mentre Rose dormiva sul suo petto. Ormai convivevano da tre mesi, da quando lui aveva ufficialmente lasciato casa della madre per vivere con la ragazza. Rose era bella e divertente, il genere di persona per cui Julian perdeva sempre la testa. Ecco perché aveva deciso che quella mattina si sarebbe dichiarato alla luce del sole.
“Sei già sveglio? Miracolo!” biascicò Rose ancora assopita.
Julian ridacchiò e le stampò un bacio sulla fronte, al che lei si fece più vicina.
“Stavo pensando.”
“Altro miracolo!”
“Sei in vena di battute oggi, eh.”
Rose si puntellò sul gomito e fece scorrere le dita fra i ricci castani del ragazzo. Julian era senza dubbio l’uomo più bello che avesse mai visto. Era irriverente, sopra le righe, e sapeva baciare benissimo.
“Sono felice. Mi piace svegliarmi e trovarti qui. Prima sgattaiolavi via molto presto.”
“Perché prima ero tanto idiota da tornare a casa dalla mia famiglia. Adesso sono libero come una rondine!”
“Non sei libero affatto! Tu, Julian Evans, sei mio prigioniero.” Scherzò Rose.
Julian assunse l’espressione di finto terrore, occhi sgranati e bocca aperta.
“Oh, terribile padrona, risparmiate la mia vita!”
“Solo se mi dai un bacio.” Sussurrò Rose.
Julian si chinò su di lei per un bacio passionale. Baciare Rose era come prendere una boccata d’aria, ogni volta era più bello. Sentì le mani di lei sull’orlo dei pantaloni e a malincuore dovette staccarsi.
“Aspetta un attimo.”
“Non ti va?  Credevo che ti piacesse il sesso a tutte le ore.”
“Mi piace il sesso a tutte le ore. E mi piace farlo con te.” disse Julian.
“Qualcosa non va? D’improvviso sei strano.”
Il ragazzo si mise in piedi e si scrollò i ricci dalla fronte, pettinandoli con le dita per rendersi presentabile. Scavò nella tasca della giacca in cerca di quel maledetto astuccio.
“Lo so che può sembrare strano…”
“Julian, così mi spaventi. Sei troppo serio.” Disse Rose, intimorita.
Lui si inginocchiò sul materasso con un sorriso e le prese la mano sinistra, tremava come una foglia.
“Va tutto bene. Anzi, va tutto alla grande. Tu sei fantastica e io sto bene con te.”
“Ma?”
Rose era davvero preoccupata. Julian rideva sempre, non era uno che ti faceva la dichiarazione d’amore con parole dolci e sguardo deciso. Lui ti diceva le cose mentre con la mano ti toccava la coscia o il seno. Quella serietà era allarmante.
“Rose Maxwell, vuoi sposarmi?”
“Sì! Sì! Sì!” strillò Rose.
Julian le infilò al dito un semplice anello ornato da un minuscolo diamante, ma ciò che contava non era il gioiello bensì il sentimento. Rose si aggrappò al suo collo e lo baciò più e più volte. continuarono a baciarsi fino a quando non suonò il campanello.
“Aspettiamo qualcuno?” volle sapere Julian.
“Non che io sappia.” Rispose Rose, coprendosi il corpo nudo.
Julian andò alla porta e scrutò attraverso lo spioncino, dopodiché un sorriso gli illuminò il volto. Dall’altra parte c’era sua sorella Ariadne.
“Aria, sei qui finalmente!”
La sorella gli gettò le braccia al collo per stringerlo in un caloroso abbraccio. Julian le lasciò un bacio fra i ricci rossi. Nel frattempo Rose aveva recuperato la camicia da notte e la giacca da camera. Raggiunse la porta e si schiarì la voce.
“Buongiorno. Io sono Rose Maxwell.”
“E’ la mia fidanzata.” Specifico Julian.
Ariadne notò l’anello alla mano di Rose e sorrise soddisfatta. Diede un bacio sulla guancia di Rose.
“Benvenuta in famiglia, Rose. Io sono Ariadne, la sorella di questo farabutto.”
“Lo so chi sei. Julian parla sempre di te, dice che sei la sua anima gemella.”
“Solo perché sopporto i suoi bagordi.” Disse Ariadne ridendo.
Julian guardò le due donne con immenso affetto, erano le persone più importanti della sua vita.
“Che ne dite di fare colazione insieme? Così potrete sparlare di me davanti a un buon tè.”
“Non posso trattenermi. Devo tornare a casa.” Disse Ariadne.
“Quale casa?” domandò Julian, curioso.
“Domenica siete invitati a cena. Manderò qualcuno a prendervi per le sette, così vedrete casa mia. Ora scappo. Rose, è stato un piacere conoscerti.”
“Anche per me.”
Julian osservò la sorella andare via in compagnia di un uomo alto con la barba lunga. Qualcosa gli disse che Ariadne era scesa a patti con gli inferi.
 
Due giorni dopo
Erano le nove quando Tommy entrò al Garrison dopo essere tornato da un incontro col partito. Come sempre il locale era stracolmo, l’odore di tabacco e alcol impregnava l’aria. Finn stava dietro il bancone insieme a Margaret, si sbaciucchiavano anziché servire le ordinazioni.
“La gente qui ha sete.” Disse Tommy.
La giovane coppia si separò e Margaret gli rivolse un sorriso imbarazzato. Si mise subito a prendere le ordinazioni in giro per la sala.
“Hai sentito la novità?” esordì Finn.
Tommy si sedette e si riempì un bicchiere di whiskey, il primo di una lunga serie.
“Quale?”
“Ariadne è tornata a Birmingham.”
“Mmh.”
Finn allungò un bicchiere di gin ad un cliente e gettò la bottiglia vuota nel cestino sotto il bancone.
“Pare che sia tornata in compagnia di un uomo. Secondo Arthur si tratta di uno scagnozzo di Alfie.”
Tommy sentiva l’alcol che gli bruciava la gola. Era la sensazione irritante che gli dava l’idea del ritorno di Ariadne. Lei era passata dalla parte di Camden Town e andava considerata come una rivale.
“Clive beve come una spugna, accidenti!” si lamentò Margaret.
Finn le stampò un bacio sulla guancia e le cinse le spalle con il braccio, al che Margaret si strinse di più a lui.
“Margaret, per caso hai incontrato la tua amica?” domandò Tommy, serio.
“La mia amica chi?”
“La signorina Evans.”
Margaret trasalì, non si aspettava che Tommy chiamasse Ariadne per cognome. Se uno come Tommy Shelby ti appellava in quel modo, allora voleva dire che la situazione è grave.
“Non la vedo da tre mesi. Perché?”
“Perché non puoi vederla. Nessuno può farlo.”
“Di che diamine parli?” chiese Finn, perplesso.
Tommy tracannò il whiskey in un solo sorso. I suoi occhi erano oscurati da un’ombra di rabbia.
“I Peaky Blinders hanno il divieto di parlare con Ariadne Evans. Se scopro che qualcuno ha disobbedito al mio ordine, verrà preso a calci in culo e sbattuto fuori.”
“Ma Tommy…” cercò di dire Margaret.
“Sono stato chiaro?”
“Cristallino.” Disse una voce.
Un uomo era appena entrato nel pub, il cappello tra le mani e l’espressione ferma. Tommy lo guardò di traverso mentre si accendeva una sigaretta.
“Ci conosciamo?”
“Sono Jonah Solomons. Lavoro per la signorina Evans.”
Finn e Margaret trattennero il fiato, sembrava di assistere ad un incontro di boxe. La ragazza strinse la mano del fidanzato fino a far sbiancare le nocche.
“La signorina Evans e i suoi tirapiedi non sono i benvenuti a Small Heath.” Disse Tommy.
Jonah rimase indifferente a quell’ammonimento, la sua faccia non accennò il minimo cambiamento.
“Ritengo che dobbiate rivedere le vostre priorità, signor Shelby.”
Tommy scrollò la cenere della sigaretta nel bicchiere vuoto, dal fondo fu esalato un miscuglio di whiskey e bruciato.
“Non me ne frega un cazzo degli affari di Ariadne. Può anche mettersi a spacciare, non è un mio problema.”
“Dunque non lo sapete.” Soffiò Jonah.
“Sapere cosa?”
“Che Mick King ha avuto un incontro con Enea Changretta.”
Margaret vide la mascella di Tommy contrarsi, segno che non aveva la minima idea di quell’incontro. Rabbrividì quando Tommy guardò Finn dritto negli occhi.
“Finn, tu ne sai qualcosa? Toccava a te controllare gli Scuttlers.”
Finn impallidì, si morse il labbro distogliendo lo sguardo dal fratello maggiore.
“Nessuno me lo ha detto. Ho fatto anche un giro nel quartiere di Mick, però non ho avuto informazioni.”
Tommy si accorse che Margaret era arrossita e si torturava il laccio del grembiule. Non ci voleva un genio per capire che fosse lei la distrazione del ragazzo.
“Nessuno te lo ha detto perché tu non hai chiesto. Quante volte devo dirti che non devi scopare quando ti do un ordine?”
“E che cazzo, Tommy! Dai sempre la colpa a me!” sbraitò Finn.
“Perché sei un coglione. Adesso sparisci, imbecille.”
Margaret tirò via Finn prima che si scagliasse contro Tommy e si beccasse un occhio nero.
“Vieni, Finn, aiutami a spostare quelle sedie.”
Nel frattempo Jonah si era goduto il siparietto con un sorriso appena abbozzato.
“Cosa intendete fare al riguardo? Gli Scuttlers e i Blue Lions sono contro di voi, e ora si sono alleati con Changretta.”
Tommy incrociò le braccia al petto e inarcò il sopracciglio, sentiva puzza di fregatura come un segugio.
“Non ho nessuna intenzione. Puoi dire alla signorina che qui non troverà più amici.”
“Amici? Un modo divertente per descrivere il rapporto tra voi e la signorina Evans.”
“Anche tu e la signorina siete amici speciali?”
Jonah strinse la falda del cappello così forte che avrebbe potuto strappare la stoffa.
“Io lavoro per la signorina Evans. Lei è una donna di spirito, io la ammiro per questo. Voi, invece, la sottovalutate troppo.”
Tommy si alzò con un ghigno stampato sulle labbra, aveva voglia di una sana dose di sfida.
“Vieni nel mio pub, fai insinuazioni, parli della tua padroncina come fossi un fottuto cane. Che cosa vuoi da me?”
“Alfie vuole la vostra parola che aiuterete la signorina Evans.”
“Io non voglio aiutare né Alfie né la signorina. Possono andarsene a fanculo a braccetto!”
Jonah sospirò, si sistemò il cappello e si mise le mani in tasca. Quella serata era un fiasco, tanto meglio tornare a casa e assicurarsi che Ariadne stesse bene.
“Il vostro orgoglio sarà la vostra condanna, signor Shelby. Una guerra sta per scatenarsi a Birmingham e voi avete bisogno di alleati. Ariadne, come la chiamate voi, ha grandi progetti e voi fareste bene ad ascoltarla.”
Tommy era così infuriato che avrebbe scaraventato a terra tutte le bottiglie per il gusto di sentire il vetro che gli scheggiava la pelle. Era furioso con Ariadne per averlo lasciato, per avergli voltato le spalle unendosi ai Solomons, per avergli mandato quel damerino a dargli una lezione. Era furioso con Ariadne per averlo tradito.
“La signorina Evans può andare all’inferno e non fare ritorno.”
Jonah percepì la rabbia in quelle parole, era un sentimento nero e spaventoso come la notte.
“Molto bene. Riferirò il messaggio. Buona serata, signor Shelby.”
 
Ariadne si massaggiò gli occhi stanchi. Alfie le aveva spedito numerose lettere in cui le dava consigli, la ragguagliava sugli affari e su quanto fosse buono il tè al resort. Fuori era buio pesto, il pendolo in cucina segnava le tre e mezzo del mattino. Si era preparata una camomilla ma non l’aveva bevuta, anzi la tazza si era raffreddata da almeno un’ora.
“Signorina, vi sentite bene?”
Ariadne sobbalzò sulla sedia per lo spavento. Jonah era sbucato dal nulla strappandola dai suoi pensieri.
“Sto bene. E’ solo che non riesco a dormire su un materasso nuovo.”
“Non dormite per il materasso o per un certo signor Shelby?”
Jonah mise l’acqua a bollire in un pentolino e versò nel lavandino la camomilla fredda. Prese due tazze pulite e vi mise all’interno due filtri nuovi.
“Tommy è più scomodo di un materasso nuovo. Quell’uomo è un osso duro.”
“E’ un uomo che ha perso il controllo. Succede quando c’è di mezzo l’amore.” Disse Jonah.
“Tommy Shelby ama solo se stesso e il denaro.” Commentò Ariadne, avvilita.
“Ma non ama perdere, perciò ha bisogno di noi.”
Jonah le diede la tazza e prese posto all’altro capo del tavolo, con il cucchiaino girava la fetta di limone nella camomilla.
“Non abbiamo più molto tempo. Mick ha coinvolto i Changretta, e sono sicura che anche mio fratello Eric farà trascinare per ordine di mia madre. Dobbiamo batterli sul tempo.”
Ariadne sorseggiò la bevanda scottandosi la lingua e con una smorfia rimise la tazza sul tavolo.
“L’occasione è perduta, signorina Evans. Mick ha già stretto un accordo con Enea Changretta. Non dovete preoccuparvi di questo al momento.”
“E cosa dovrei fare? Da sola non posso farcela. Ho bisogno di alleati.” Disse Ariadne.
“Per questo domenica mattina ci recheremo a Barmouth per la fiera di fine estate.”
“Andiamo a farci una passeggiata al mare?”
Jonah fece un sorriso contenuto, era come se si sforzasse di rimanere sempre autorevole e morigerato.
“La famiglia Changretta ogni anno vanno a Barmouth per la fiera di fine estate per vendere droga ai partecipanti. Fanno ottimi affari soprattutto con i turisti.”
“Perché dovremmo andare in territorio ostile? Cercherebbero di ucciderci.” Obiettò lei.
“Perché un uccellino mi ha detto che ci sarà anche Enea Changretta. Studiare il nemico è il primo passo per sconfiggerlo.”
“Come fai a sapere queste cose, Jonah?”
“E’ il mio mestiere scovare i segreti.” Rispose lui.
Ariadne rimase un attimo interdetta. Se Jonah era bravo a svelare i misteri e lavorava per Alfie da anni, era lui che aveva scoperto la sua falsa identità.
“Sei stato a smascherare la mia copertura, vero? Tu hai scoperto che Judith Leyster non era il mio vero nome.”
Jonah abbassò il mento per nascondere il velo di rosse che gli affluito sulle guance.
“E’ vero. Alfie voleva convocarvi subito, però io lo convinsi a lasciarvi stare. Avevate solo diciotto anni, eravate all’inizio della vostra vita e non era giusto rivangare il passato.”
“Tu sai che io…?”
Le parole morirono sulla bocca di Ariadne. Ripensare al motivo per cui era scappata di casa la faceva ancora stare male. Per quanto suo padre fosse stato un mostro, lei uccidendolo era diventata come lui.
“Io so tutto. Sappiate che io non vi giudico, non potrei mai farlo dato che sono al servizio di Camden Town sin dalla giovane età.”
“Hai una famiglia?” domandò Ariadne, curiosa.
Jonah agganciò l’indice al manico della tazza, un modo per impedire alla ragazza di leggere la sua espressione affrante.
“I miei genitori sono morti di pertosse e mio fratello è morto in guerra. Alfie Solomons mi ha preso sotto la sua ala e mi ha cresciuto come fossi un figlio.”
“Sei sposato? Hai figli?” insistette Ariadne.
“Sono sposato col mio lavoro. E’ tardi, dovremmo andare a dormire.”
Jonah si alzò e raccolse in fretta le tazze, le lavò e le rimise nella credenza. Il suo atteggiamento era diverso ora, le spalle erano ingobbite e sviava ogni sguardo.
“Non volevo offenderti, Jonah. Scusami.”
“Non dovete mai chiedermi scusa, signorina. Io sono al vostro servizio.”
Ariadne ebbe la sensazione di trovarsi di nuovo a casa sua, con la servitù che obbediva a testa china e senza fiatare. Da bambina aveva provato a chiacchierare con le cameriere ma sua madre la sgridava sempre.
“Vorrei che fossimo amici.”
“Io sono vostro amico, signorina. Ora vi prego di tornare a letto. Ci attende una giornata impegnativa domani.”
Jonah la accompagnò in camera e attese che Ariadne si infilasse sotto le coperte, dopodiché spense la luce e chiuse la porta.
 
Tommy aprì gli occhi a fatica, sentiva le palpebre pesanti come piombo. Ricordava vagamente di essersi ubriacato insieme a Johnny Dogs, poi la memoria diventata un grosso buco nero. Si guardò attorno e riconobbe il privé del Garrison, doveva essersi addormentato a causa del troppo alcol. La testa gli faceva male e le tempie pulsavano, del resto sentiva anche lo stomaco in subbuglio.
“Un cadavere sta meglio di voi.”
Charlotte sedeva sul bordo del tavolino con le gambe accavallate. Era raggiante come suo solito, i capelli in perfetto ordine così come il rossetto senza sbavature.
“Che ore sono? E perché sei qui?”
“Sono le sette e un quarto. Sono venuta a cercarvi dopo che vostra moglie mi ha chiamato per chiedermi se noi fossimo insieme.”
Tommy chiuse gli occhi e si sfregò le tempie doloranti, era come avere un martello nel cervello.
“Questo fottuto mal di testa mi sta uccidendo.”
“Ecco, bevete acqua e fate colazione. Vi farà stare meglio.” Disse Charlotte.
Aveva portato una caraffa di acqua e un bicchiere e un cestino di frutta fresca sbucciata, rimedi per il post sbronza che sua nonna le aveva insegnato da adolescente.
“Tu hai una soluzione a tutto, eh.” Disse Tommy.
Si accese una sigaretta e la consumò in pochi tiri, peccato che peggiorò soltanto il mal di testa e la stretta allo stomaco. Si scolò il bicchiere di acqua in due sorsate.
“Faccio del mio meglio. Vi riaccompagno a casa per cambiarvi i vestiti? Puzzate di whiskey e sudore.”
“D’accordo.”
Tommy si alzò a fatica e si trascinò fino all’auto, ogni passo era difficile come se alla sua caviglia fosse attaccato un pezzo di marmo. Charlotte gli aprì lo sportello e gli mise una mano sulla testa per non fargli dare una botta.
“Ho delle novità. Siete ancora troppo confuso per ragionare, signore?”
Tommy appoggiò la fronte al finestrino ed emise un gemito sofferente, non beveva così da mesi e ora si sentiva peggio di uno straccio usato.
“Che è successo?”
Charlotte ingranò la marcia e si diresse fuori città, là in periferia dove si ubicava l’immensa villa del suo capo.
“Ho saputo che domani mattina Enea Changretta sarà a Barmouth per la fiera di fine estate.”
“Come fai a saperlo?”
“Sono andata in stazione e ho pagato l’addetto per farmi leggere i registri degli arrivi e delle partenze. Enea Changretta ha acquistato un biglietto per recarsi a Barmouth domattina. Ho cercato la località e ho scoperto che ogni anno si tiene una fiera di fine estate a cui i Changretta partecipano da anni.”
Tommy le scoccò un’occhiata sorpresa, erano davvero strabilianti le doti investigative della ragazza.
“Ho fatto bene ad assumerti.”
“Signor Shelby, voi avete bisogno di una come me.” Disse Charlotte con un sorriso.
“Capiti nel momento giusto. Le cose si stanno mettendo male.”
“Vi riferite al ritorno di Ariadne Evans? L’ho intravista ieri sera in una pasticceria.”
Tommy conosceva bene la passione di Ariadne per i dolci, se ne abbuffava soprattutto quando era sotto pressione. Una parte di lui fu dispiaciuta all’idea che Ariadne dovesse ingozzarsi di pasticcini per mitigare l’ansia, ma l’altra parte era lieta che lei soffrisse. Perché per quanto fingesse di aver dimenticato, Tommy si era impresso nella mente quella fatidica notta passata con lei. Era come un dolce incubo che gli conficcava le unghie nella carne e lo faceva gridare di dolore.
“Lei probabilmente già sa che Enea domani sarà a Barmouth. Dobbiamo anticiparla.”
“Dobbiamo?” gli fece eco Charlotte.
“Tu verrai con me. E non accetto un rifiuto.”
“Non era mia intenzione rifiutare.”
Per il resto del viaggio Charlotte non smise di sorridere perché in soli tre mesi aveva conquistato la fiducia di Tommy Shelby. Il suo piano adesso poteva decollare.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne e Tommy sono agli opposti questa volta. Chissà come andrà avanti questa faida!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 3
*** Acqua e sangue ***


3. ACQUA E SANGUE

“Il sentiero per il paradiso inizia all’inferno.”
(Dante Alighieri)
 
Quella mattina Ariadne si era svegliata di cattivo umore. Era stanca e svogliata, ma più di tutto era triste. Tornare a Birmingham, gestire gli affari di Camden Town, stare attenta agli Scuttlers e ai Blue Lions, questa era ormai la sua vita. Avrebbe voluto dipingere, gettare su tela la sua frustrazione, ma non toccava un pennello da mesi. Non si sentiva ispirata, non aveva l’impulso per disegnare. Si sentiva vuota. Si guardò allo specchio e non si riconobbe. Non era Ariadne e non era Judith. Allora chi era quella ragazza che la guardava attraverso lo specchio? Una sconosciuta, ecco chi era.
“La colazione è pronta, signorina Evans.” Esordì Jonah oltre la porta.
Ariadne si infilò un cardigan azzurro e uscì in corridoio con un sorriso fasullo.
“Che si mangia di buono?”
“Mi sono permesso di preparavi una colazione leggera considerato il lungo viaggio che ci attende. Croissant e tè verde vanno bene?”
Lo stomaco di Ariadne brontolò quando avvertì l’odore dei croissant appena sfornati.
“Vanno benissimo. Hai cucinato tutto tu?”
Jonah spostò la sedia per farla accomodare come un vero gentiluomo, dopodiché le versò il tè e le tese un piattino con un croissant che ancora fumava.
“Certo, signorina. Il signor Solomons mi ha espressamente ordinato di prendermi cura della casa e dei pasti. A proposito, ho portato il vostro cappotto rosso in lavanderia.”
“Jonah, tu mi sorprendi! Sei il mio angelo custode.” Disse Ariadne.
L’uomo chinò la testa per mascherare il rossore, non era abituato ai complimenti.
“Voi siete troppo gentile, signorina Evans. Posso fare altro per voi? Magari preparare qualche spuntino per il viaggio?”
Ariadne sorrise mentre addentava il croissant, il sentore di miele era delicato ma comunque forte da deliziarle il palato.
“Nessuno spuntino. Ultimamente sto accumulando molto peso.”
In effetti, da circa tre mesi la sua fame era aumentata. Il cibo era uno sfogo, un modo per tenere a bada l’agitazione e rubare un minuto di felicità. A Margate aveva mangiato dolci a volontà, soprattutto perché Alfie le regalava cestini interi di cioccolatini e pasticcini. Proprio quella mattina aveva dovuto cambiarsi perché la gonna non si abbottonava più.
“Siete sempre bellissima, signorina Evans.” Mormorò Jonah.
“Grazie, Jonah.”
“E’ un piacere, signorina.”
Ariadne continuò a fare colazione in silenzio, fissando un punto imprecisato del muro. Bevve il tè meccanicamente, neanche ci stava facendo caso. Era troppo immersa nei pensieri.
“Jonah, secondo te come dovrei comportarmi con Enea?”
“Dipende tutto da cosa gli hanno promesso Mick King e vostra madre.”
Jonah stava passando un panno umido sul tavolo per eliminare le briciole, era meticoloso anche in quel frangente.
“Soldi, protezione, potere. Tutto ciò che Enea desidera è a sua portata con Mick e mia madre.”
“Troveremo qualcosa che Enea vuole e che solo noi possiamo dargli.”
Ariadne annuì con incertezza, ogni offerta valeva zero quando c’era di mezzo un osso duro come sua madre. Se Enea voleva regnare, Marianne Evans gli avrebbe regalato un impero intero.
 
Tommy aveva preferito guidare anziché prendere il treno. Arthur gli aveva riferito che i Blue Lions pattugliavano la stazione, dunque era meglio spostarsi in maniera alternativa. Erano partiti alle sette del mattino per evitare il traffico che ore più tardi avrebbe intasato le strade.
“Enea Changretta sarà da solo?” domandò Charlotte.
La ragazza guardava fuori dal finestrino con fare spensierato, sembrava stesse partecipando ad un amichevole picnic.
“Non so. Forse Mick King ed Eric Evans gli avranno assegnato una scorta.” Rispose Tommy.
“Non è stupido presenziare ad un evento pubblico? In questo modo Enea si espone troppo.”
“E’ una dimostrazione di potere.” Spiegò Tommy.
Charlotte arricciò il naso e incrociò le braccia al petto, aveva messo quel broncio che lui trovava divertente.
“E’ ridicolo! Esporsi così tanto non ne vale la pena. Voi conoscete questo Enea?”
Tommy aprì il finestrino per buttare fuori un tiro di sigaretta, il fumo sfrecciò via insieme al vento.
“No. Quando mi sono scontrato con suo padre Luca, lui si trovava a Vienna per studio.”
“Indagherò meglio su di lui.” disse Charlotte.
“Come? Insomma, tu sai un sacco di cose per essere una semplice assistente.”
Charlotte sfoggiò un sorriso malizioso e gli fece l’occhiolino, dopodiché fece una breve risata.
“Signor Shelby, ciò che non sapete non vi può fare male. Pensate a guidare, al resto penso io.”
 
Ariadne detestava viaggiare in auto per più di un’ora, le veniva sempre la nausea. La preoccupazione, inoltre, accresceva quel senso di forte disagio. Rischiava molto ad esporsi in quel modo, a presentarsi da Enea Changretta, ma non aveva altre opzioni. Doveva agire prima che sua madre vincesse quella partita a scacchi che per loro durava ormai da otto anni.
“Siamo arrivati.” Annunciò Jonah.
Parcheggiò l’auto nei pressi di una chiesetta per non dare troppo nell’occhio. Aprì la portiera e prese la mano della ragazza per aiutarla a scendere. L’odore di mare pizzicò le narici di Ariadne, che sorrise d’istinto. Le piaceva la spiaggia, anche se la preferiva di inverno quando poteva sedersi a riva e disegnare ogni sfumatura di grigio e blu.
“Pensi che Tommy verrà?”
Jonah si sistemò il cappello e si diede una scrollata alle maniche della giacca, persino il suo abbigliamento appariva impeccabile.
“Se il signor Shelby ha fatto buon uso delle mie informazioni, allora sarà così furbo da venire.”
Un gruppo di bambini sfrecciò davanti a loro con gli aquiloni che svolazzavano in cielo. Le loro madri ridevano e chiacchieravano animatamente. Ariadne sorrise, quanto avrebbe voluto trascorrere una giornata senza pensieri. Le sarebbe piaciuto sdraiarsi al parco con Lisa e Carl a disquisire di pittura, a giudicare quale fosse l’opera più stravagante di Dalì, a decretare il miglior salotto letterario di Londra. Le mancava di Judith, o meglio le mancava la vita spensierata e onesta di Judith. Quella parte di lei era morta nel momento in cui aveva rimesso piede a Birmingham, dubitava che sarebbe mai risorta dalle ceneri.
“Dove si tiene la fiera?”
“Lungo il mare. E’ già iniziata, dovremmo avviarci.” Disse Jonah.
Ariadne lo prese a braccetto e insieme si incamminarono verso la spiaggia. Dopo pochi metri era già visibile la calca che affollava le strade. Tutto era un tripudio di voci, risate e musica. Una serie di bancarelle vendevano oggetti fatti a mano, collane di conchiglie, ventagli variopinti e vasetti di sabbia colorata. Lo sguardo di Ariadne si posò su un fermaglio ornato da piccole conchiglie bianche e perle argentate.
“Signorina, temo di aver dimenticato una cosa in auto. Voi proseguite.” Disse Jonah.
“Va bene. Non metterci troppo.”
Quando Ariadne si fu allontanata, Jonah si avvicinò alla bancarella e indicò il fermaglio.
“Quanto costa?”
“Venti sterline. I colori si abbinano ai capelli rossi della vostra signora.” Disse il venditore.
Jonah avrebbe voluto specificare che quella non era sua moglie, ma preferì tacere e non dare troppe informazioni. Dal portafogli estrasse le venti sterline e le allungò all’uomo.
“Potete incartarlo?”
Il venditore arraffò i soldi e poi si mise a ricoprire con cura il fermaglio con una carta blu notte a cui legò anche un fiocco azzurro.
“Ecco a voi. Vostra moglie sarà davvero felice!”
Jonah si infilò il regalo in tasca e abbassò la tesa del cappello come saluto, poi si immischiò nella folla per raggiungere la ragazza. Ariadne stava osservando il carretto dei gelati con gli occhi lucidi.
“Signorina, gradite un gelato?”
“Magari più tardi. Ora pensiamo alle cose importanti. Hai preso ciò che ti serviva?”
Jonah estrasse dalla tasca interna della giacca un pacchettino blu, le sue guance erano appena arrossite.
“Questo è per voi, signorina Evans. Un piccolo regalo per allietare la vostra giornata.”
Ariadne scartò subito la carta e sorrise quando riconobbe il fermaglio di conchiglie e perline.
“E’ splendido. Grazie mille, Jonah.”
L’uomo le sfiorò appena la spalla con la mano, non era consono abbracciare una donna che non era sua parente né sua moglie.
“Sono lieto che vi piaccia. Volete indossarlo?”
“Assolutamente sì.”
 
Tommy odiava il mare. Detestava la sabbia che si infilava nelle scarpe e nei vestiti, detestava l’odore di salsedine, e detestava tutta quella gente che rideva a voce alta mentre si rincorreva a riva.
“Ho scordato la crema solare. Che peccato per la mia pelle!” esclamò Charlotte.
Aveva inforcato gli occhi da sole e si era avvolta un foulard beige attorno al collo. Somigliava alla protagonista di un film estivo.
“Sai dove si trova Enea? Non abbiamo tutto il giorno per cazzeggiare.” Disse Tommy.
“Non possiedo una palla magica, signor Shelby.” Replicò lei, stizzita.
Tommy inarcò il sopracciglio e sbuffò, non era dell’umore adatto per una risata.
“Credevo che tu avessi le risposte a tutte le domande.”
“Sono la vostra assistente, non la vostra veggente. Suppongo che Enea sia alla festa come tutte le persone normali.”
“Era forse una frecciatina?” domandò Tommy.
Charlotte gli rivolse un sorriso divertito e fece spallucce.
“Il mondo non ruota attorno a voi, signor Shelby. Esiste prima il sole, poi forse esistete voi.”
Tommy non disse niente, si limitò ad accendersi l’ennesima sigaretta con espressione annoiata. Poi la vide. Avrebbe riconosciuto quei ricci rossi fra mille. Stava camminando al fianco di Jonah Solomons, parlottavano a bassa voce fra loro. Un moto di gelosia gli vibrò nelle ossa quando vide che stavano a braccetto. Ariadne era più bella di quanto ricordasse.
“Siamo qui per Changretta o per la vostra signorina?” lo incalzò Charlotte.
“Non è la mia signorina.”
La verità era ancora più amara perché Tommy nel profondo desiderava davvero che Ariadne fosse la sua signorina, che fosse soltanto sua. Invece la vita reale era bel lungi dalla fantasia, era la dimensione infernale in cui lui era sposato e Ariadne lo aveva abbandonato.
“Enea Changretta è in spiaggia. Eccolo!” disse Charlotte.
Tommy fece scivolare lo sguardo da Ariadne alla spiaggia lentamente. Enea stava facendo ridere i suoi amici con chissà quale storia. Alle sue spalle c’era una donna che gli teneva la mano.
“Enea è sposato?”
“Non che io sappia. Vado a informarmi.” Disse Charlotte.
Tommy non ebbe modo di chiederle come avrebbe fatto perché la sua assistente era già svanita fra la gente. Doveva ammettere che Charlotte era un valido aiuto, una spia perfetta travestita da incanto. Era bella e spigliata, uomini e donne cedevano al suo fascino senza remore.
 
Ariadne se ne stava seduta in un angolino ad osservare. Alfie le aveva chiesto se lei fosse il mare o il deserto, e ora si poneva lo stesso quesito mentre le onde baciavano la sabbia sotto il calore del sole. Non si sentiva né forte come il mare né selvaggia come il deserto. Si sentiva vuota come una conchiglia a cui viene strappata la perla e resta sola. Dalla sua posizione vedeva Enea Changretta che gesticolava per raccontare ai suoi amici una barzelletta. Era un giovane uomo, al massimo aveva venticinque anni, sbarbato e con la testa calva. Il naso aquilino era simile a quello del padre, stando alle informazioni di Jonah.
“Signorina, volete un pezzo di cocco?” domandò un ragazzino scalzo.
Ariadne notò che trainava un piccolo carretto in cui conservava al fresco fettine di cocco appena tagliato.
“Sì, grazie. Dammi tre fettine.”
Il ragazzino preparò la porzione in una vaschetta bianca e la consegnò ad Ariadne, che nel frattempo si era alzata e si era spazzolata la sabbia dai pantaloni.
“Quanto ti devo?”
“Ha già pagato un signore. Buona giornata, bellezza!”
Ariadne rimase sgomenta mente guardava il carretto allontanarsi. Ebbe il timore di essere stata scoperta da Enea o da Mick. Oppure suo fratello Eric l’aveva seguita fin lì. Lasciò la spiaggia per tornare in strada, confondersi nella calca era l’unica soluzione. Jonah l’aveva lasciata da sola per indagare sulla donna che accompagnava Enea, perciò doveva difendersi con le sue forze. Mentre si guardava attorno, distrattamente andò a sbattere contro qualcuno e il cocco cadde a terra.
“Mi dispiace. Sono mortif- … Tommy!”
Ed eccolo Tommy Shelby con quei suoi occhi di ghiaccio che la fissavano con altezzosità. Era bello e distante, come una perfetta statua di marmo che non può essere toccata da mani umane.
“Scappi sempre, eh. E’ l’unica cosa che sai fare.”
Ariadne abbassò lo sguardo per la vergogna. Si sentiva sempre una sciocca in presenza di Tommy, era come se il coraggio lasciasse il posto all’insicurezza.
“Un uomo mi ha pagato il cocco. Stavo solo cercando una scappatoia.”
Tommy sospirò e si massaggiò il ponte del naso, il segno degli occhiali da vista era appena visibile.
“Sei davvero così spaventata?”
“Mick e mia madre mi stanno cercando, essere spaventata è lecito.” Rispose lei.
“Spostiamoci.”
Tommy le mise una mano sulla schiena e la spinse verso la fine della strada, dove le bancarelle si diradavano e la gente diminuiva. Si sedettero su una panchina al riparo sotto un albero.
“Sei qui per Enea?” domandò Ariadne.
“No, sono qui perché avevo voglia di vedere il mare! Che domanda del cazzo.”
La ragazza si alzò con uno scatto, le mani sui fianchi e la bocca contratta in una linea dura.
“Se vuoi parlare di affari per me va bene. Se vuoi insultarmi, allora me ne vado.”
“E’ questo che ti ha insegnato Alfie? Sei scarsa nelle minacce.”
“Sei proprio uno stronzo.” Mormorò Ariadne.
“Tu mi segui a ruota, signorina Evans.”
Era palese che entrambi avevano costruito un muro fra loro, era spesso e di cemento indistruttibile. Ognuno stava dalla propria parte facendo attenzione a non invadere il campo opposto.
“Non essere stupido, Tommy. Non lasciare che i sentimenti offuschino il tuo giudizio.”
Tommy proruppe in una risata crudele, era come sentire frammenti di vetro nella carne. Faceva male.
“Quali sentimenti? Io per te non provo niente. Abbiamo scopato, ci siamo divertiti un po’ e poi tutto è tornato alla normalità.”
Ariadne, che aveva imparato a controllare le proprie emozioni, rimase indifferente. Mentre nel suo cuore sentiva spilli che pungevano, sul suo volto non c’era traccia di emozione.
“Va bene. Adesso parliamo di affari o vuoi continuare questo teatrino?”
Tommy la guardò per qualche secondo, gli occhi ridotti a fessure, la mascella rigida.
“Non mi interessa. Io non voglio fare nessun affare con te.”
“Stai commettendo un errore.” Disse Ariadne.
“Ho commesso un errore quando mi sono fidato di te.”
Ariadne si morse la guancia ma non cambiò espressione, doveva mantenere la maschera di freddezza che le aveva insegnato Alfie.
“Possiamo dimenticare quanto è successo fra di noi e andare avanti?”
“Io non dimentico chi mi ha tradito.” Replicò Tommy.
“Mi dispiace. E’ questo che vuoi sentirti dire? Beh, scusami se me ne sono andata. Scusa se ti ho fatto credere di averti abbandonato. Ma non ti chiederò scusa per aver scelto me stessa.”
Tommy la fulminò con gli occhi, era come se una voragine gli avesse scavato un buco nel petto.
“Sai cosa, Ariadne? Tu sei una fottuta bugiarda e una manipolatrice. E io non voglio avere niente a che fare con te.”
Ariadne strinse i pugni per sopportare il peso di quelle parole. Sì, era una bugiarda che per anni aveva vissuto sotto falsa identità, ma non aveva mai manipolato nessuno.
“Mick e mia madre ti verranno a prendere e per te sarà la fine, Tommy. Io cerco solo di aiutarti.”
Tommy si avvicinò a lei, a quella distanza i suoi occhi sembravano una tempesta di azzurro e grigio. Ariadne trattenne il respiro quando lui si chinò per parlare all’orecchio.
“Io non ho bisogno di te, signorina Evans.”
Mentre Tommy tornava alla fiera, Ariadne rimase immobile per una manciata di secondi con la mente che assorbiva la durezza nella voce di lui. Era rimasta più sola che mai.
 
Ariadne alla fine aveva ceduto e ora sedeva su uno scoglio a mangiare zucchero filato. I dolci erano da sempre una grande consolazione, erano lì quando lei aveva bisogno di conforto.
“Siete voi la donna del mistero.”
Alle sue spalle c’era una giovane donna dai perfetti boccoli castani ornati da una fascia di fiori bianchi. Indossava un abito verde oliva che si abbinava ai suoi splendidi occhi.
“Ci conosciamo?”
“Sono Charlotte Foster, l’assistente di Tommy. Mi occupo della sua campagna politica.”
Ariadne avvertì una dolorosa fitta tra le costole. Era una pungente gelosia che la tormentava. Soltanto quattro mesi prima era lei ad occuparsi delle elezioni.
“Capisco. Buon per voi.”
Charlotte sorrise e si mise le mani sui fianchi, era sicura di sé e non aveva paura a dimostrarlo.
“Tommy è un uomo straordinario, non trovate? Bello da fare invidia a qualsiasi altro uomo.”
“E’ una bellezza discreta.” Disse Ariadne.
Che grossa bugia. Tommy era davvero bello da togliere il fiato con quei contrasti di chiaro-scuro, quegli zigomi alti e taglienti, quella pelle simile al candore di una tela. Era un’opera d’arte che Ariadne avrebbe voluto ammirare per ore.
“Quindi siete scappata da lui perché era brutto?” domandò Charlotte.
Ariadne mordicchiò l’ultimo pezzo di zucchero filato e si rigirò lo stecchino vuoto fra le mani.
“Cosa volete da me? Non credo che abbiamo una confidenza tale da parlare così.”
“Voglio sapere la verità. Per entrare nelle grazie di Tommy Shelby bisogna toccare i punti caldi. So che voi siete addirittura entrata nel suo letto!”
Charlotte era determinata, era possibile leggerlo nel suo sguardo furbo. Era bella, molto bella, e questo era il tallone d’Achille di tutti gli uomini.
“Io e Tommy non abbiamo legami, quindi siete libera di infilarvi nel suo letto.” Disse Ariadne.
Charlotte rise, sembrava che trovasse divertente tutto ciò che la circondava.
“Magari Tommy mi ha già invitata fra le sue lenzuola.”
Ariadne era sull’orlo del baratro. Stava per esplodere. Era così piena di risentimento che quella ragazza stava solo alimentando.
“Scusate il disturbo.” Disse una voce.
Un ragazzo avanzò verso di loro con le spalle strette nella giacca usurata, aveva i piedi scalzi e i polpacci sporchi di sabbia umida.
“Non compriamo niente.” Disse Charlotte.
“Sono qui perché c’è un signore che vuole parlare con la ragazza dai capelli rossi.”
Charlotte guardò Ariadne, che fece spallucce perché non aveva idea di cosa stesse succedendo.
“Quale signore?”
“Enea Changretta.”
 
Ariadne e Charlotte furono scortate dal ragazzo in una tavola calda lungo il mare. Era una struttura di legno bianco che si reggeva su quattro pali, al di sotto scorreva un ruscello che deviava dalla spiaggia. Il locale all’interno ospitava famiglie e coppiette, i bambini giocavano per terra oppure fissavano il grande acquario in mezzo alla sala.
“Signorina Evans!”
Jonah era appostato all’ingresso della tavola calda, le dita serrate intorno alla falda del cappello. Era preoccupato e teso, la sua postura era innaturale.
“Jonah, che succede?”
“Changretta vuole parlare con voi e con il signor Shelby. Io sono costretto a rimanere fuori.”
“Anche lei.” disse il ragazzo indicando Charlotte.
Charlotte allora si accomodò ad uno dei tavolini all’aperto e si accese una sigaretta.
“Io resterò qui in compagnia del monaco.”
Jonah sollevò le sopracciglia ma non disse nulla, anzi si mise seduto a indossò il cappello.
“Vi aspetto qui fuori, signorina Evans.”
Ariadne annuì ed entrò nel locale, ritrovandosi ad essere accolta dall’odore di caffè e crema. Vide Tommy di schiena, stava fumando e stava in silenzio. Davanti a lui c’era Enea che sorseggiava un cappuccino. Si alzò in piedi quando la vide avvicinarsi.
“Ariadne, prego, unisciti a noi. Spero che il cocco sia stato di tuo gradimento.”
Tommy le riservò un’occhiata svogliata, pareva infastidito anche solo dalla sua presenza. Ariadne badò bene a sedersi lontana da lui in modo che neanche le loro ginocchia si sfiorassero.
“Sono onorato di fare la vostra conoscenza. In giro si parla tanto di voi.” Esordì Enea.
“Vai dritto al sodo.” disse Tommy.
“Non siamo qui per una conversazione amichevole.” aggiunse Ariadne.
Enea bevve l’ultimo sorso di cappuccino con un angolo della bocca piegato all’insù.
“Siete qui perché ho un messaggio da parte di Mick King e Marianne Evans.”
Ariadne si agitò sulla sedia, il solo nome di sua madre bastava a farle venire i brividi. I peli sulle braccia le si erano rizzati come quando si avverte la sensazione di pericolo.
“Sarebbe?”
“Mick e Marianne chiedono la vostra resa. Vogliono che Ariadne torni a casa per sposare Mick.”
“No. Assolutamente no.” Protestò Ariadne.
“E io cosa ci guadagno?” chiese Tommy.
Ariadne non si aspettava che Tommy fosse interessato a una qualche proposta da parte degli Scuttlers e dei Blue Lions. Si morse le labbra per non spalancare la bocca per la sorpresa. Enea, dal canto suo, fece scorrere l’indice sul bordo del tavolo mentre un ghigno si faceva spazio sul suo viso.
“Dipende. Tu cosa vuoi?”
“Voglio che Mick tenga fede al nostro accordo iniziale: voglio che convinca i membri del Parlamento a votare per me.”
“Sul serio, Tommy? Non mi aspettavo che ti abbassassi a tanto!” sbottò Ariadne.
“Sono affari, ragazzina. Vedi di imparare qualcosa.” ribatté Tommy senza guardarla.
“Non farlo. Per favore, Tom, non farlo.” Mormorò lei.
Tommy sentì un fremito lungo la schiena quando lei lo chiamò Tom, era il modo in cui lo pronunciava che ancora gli creava scombussolamento.
“Mick lo diceva che sei brava a supplicare.” Disse Enea ridendo.
Tommy fece una piccola risata e Ariadne sentì un doloroso nodo in gola che la soffocava.
“Tom…”
“Quindi? Mick è disposto o no?” ripeté Tommy.
“E’ disposto.” Confermò Enea.
Ariadne capì che Tommy la stava tagliando fuori completamente. Se prima aveva smosso mari e monti per lei, adesso la stava lasciando in balìa dei leoni che volevano azzannarla.
“Se ti unisci a Mick e a mia madre, per me sarai come morto.”
Tommy portò gli occhi su di lei, ora erano blu poiché intrisi di rabbia.
“Non me ne frega un cazzo. Io penso soltanto a me stesso. La cosa migliore per i Peaky Blinders è allearsi con il più forte, e in questo caso Mick e tua madre sono la forza maggiore. Sei soltanto una ragazzina, Ariadne, e non puoi cambiare il gioco a tuo piacimento.”
Ariadne in sottofondo udì le onde del mare, era un suono fragoroso e intenso. Ripensò al quesito di Alfie: lei era mare o era deserto? Si diede una risposta quando fece scivolare gli occhi fra Enea e Tommy.
“Signori, dite pure a Mick e mia madre che mi ci pulisco il culo con la loro pietà. Io sono Ariadne Evans, e adesso si gioca a modo mio.”
Quando percorse la sala per uscire, lo fece con un sorriso trionfante e passo fiero. Lei non era arida come sabbia. Lei era tempestosa come il mare e tutti sarebbero stati sommersi dalla sua marea.
 
Sulla strada del ritorno era il silenzio a regnare in auto. Jonah guidava e Ariadne scribacchiava sul suo diario. Dopo l’incontro con Enea non aveva più parlato, si era infilata in macchina e aveva sbattuto lo sportello in faccia a Charlotte.
“Jonah, hai qualcosa da dire? Continui a fissarmi attraverso lo specchietto.”
“Perdonatemi, signorina. Volevo sapere se state bene, vi vedo turbata.”
Ariadne richiuse il diario con un sospiro stanco, era stata una giornata faticosa e due ore di viaggio erano ancora più pesanti.
“Tommy intende unirsi a Mick e a mia madre.”
“Questo non farà piacere al signor Solomons.” L’avvisò Jonah.
“Ed è per questo che ho in mente qualcosa che neanche Tommy Shelby può fermare.”
Ariadne aveva ufficialmente abbandonato i panni della ragazza ingenua ed inesperta, ora indossava gli abiti di una donna pronta a difendersi con le unghie e con i denti.
“Mi fa piacere. Posso esservi d’aiuto in qualche modo?”
“Sì. Hai scoperto chi era la donna in compagnia di Enea?”
Jonah superò un cartello stradale e prese una scorciatoia, a suo parere guidare lungo le strade principali poteva costituire un pericolo.
“E’ Solange Durand, una cantante lirica francese che si esibisce a teatro. Il mese scorso lei ed Enea si sono fidanzati pubblicamente a Parigi.”
“Scopri se Solange è qui per esibirsi. Voglio tenerla sotto controllo.” Disse Ariadne.
“Come volete, signorina. Cosa facciamo con Tommy?”
“Con lui non facciamo proprio niente. E’ arrivato il momento di dimostrare a Tommy Shelby che non è il centro del mondo come crede.”
Jonah le sorrise tramite lo specchietto e lei ricambiò con un cenno del mento.
 
“Raccontami un altro aneddoto!” lo incitò Rose ridendo.
Lei e Julian avevano deciso di cenare in un ristornate elegante e di tornare a casa a piedi. Era una serata romanica, come l’aveva definita lui. Usciti dal ristorante, Julian l’aveva presa a braccetto e aveva iniziato a raccontarle aneddoti e curiosità su Re Sole.
“Fu Re Sole ha introdurre la moda dei tacchi in epoca Barocca alla reggia di Versailles. Luigi XIV non aveva una statura eccelsa e cercava di rimediava usando scarpe alte.”
“O magari gli piacevano i tacchi e basta.” Ipotizzò Rose.
Lei aveva frequentato la scuola fino alla quinta elementare, dopodiché sua madre l’aveva fatta assumere prima in un forno e poi in un filatoio. Era una ragazza intelligente, sebbene non avesse grandi titoli di studio, e questa era una delle tante ragioni per cui Julian l’amava. Rose proveniva da una famiglia povera che non le aveva mai offerto grandi prospettive di vita, però lei si era rimboccata le maniche e aveva faticato per ottenere un briciolo di indipendenza e felicità. Rose non si sentiva inferiore a nessuno, la sua personalità colmava qualsiasi lacuna.
“Molti uomini vanno in crisi per la loro bassa statura.” Disse Julian.
“Tu sei alto un metro e ottantatré, non hai voce in capitolo!” lo ammonì Rose con un sorriso.
Julian Evans, il sogno di qualunque ragazza. Con quei perfetti ricci castani e gli occhi verde foglia, quella mascella definita, quei suoi gesti ricchi di raffinatezza e malizia. Era così bello che la sua passione per l’alcol gli veniva perdonata ogni volta.
“Piccioncini!”
Il lampione illuminò il volto di Lucius. Nei suoi occhi baluginava una gioia meschina.
“Che vuoi?” tuonò la voce di Julian.
Rose si aggrappò al suo braccio premendo la guancia contro il suo bicipite. Lucius le faceva paura, soprattutto ora che Marianne lo usava come cane da caccia.
“Passavo di qui e ho visto voi fidanzatini. Volevo farvi le mie congratulazioni.” Disse Lucius.
Julian era rigido come granito, ogni singolo nervo era teso come la corda di un violino. Strinse la mano di Rose per tenerla incollata a sé.
“Ti manda mia madre? Vuoi uccidermi?”
Sfortunatamente si trovavano in una strada isolata, le finestre delle abitazioni erano buie a indicare che gli inquilini erano andati a dormire. Julian e Rose erano soli, alla mercé di Lucius.
“Sono qui per dare un messaggio a tua sorella. Marianne ordina ad Ariadne di tornare a casa e di sposare Mick, altrimenti ci saranno gravi conseguenze. Ariadne ha due giorni per decidere.”
“Ariadne non cederà mai.” Disse Julian.
Lucius tirò fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni, lanciò in aria l’oggetto e lo riprese al volo. Rose adesso tremava, una spiacevole sensazione le stava pizzicando lo stomaco.
“Julian, andiamocene.”
“Sì, Julian, vattene. Scappa come il topo di fogna che sei!” lo derise Lucius.
Julian, anziché seguire la ragione e andare via, fece un passo avanti con l’espressione dura.
“Hai consegnato il messaggio, adesso sparisci. Non mettermi alla prova, Lucius.”
“Ooh, che paura! La femminuccia ha sfoderato gli artigli! La tua fidanzata lo sa che ti piace supplicare fra le lacrime? Lo sa che hai preso più cazzi tu di un intero bordello?”
Rose sapeva la verità. Sapeva che a Julian piacevano sia le donne sia gli uomini, e questo per lei non aveva mai rappresentato un problema. Julian per anni si era odiato, aveva tentato di soffocare quella parte di sé, ma alla fine aveva capito che accettarsi era l’unica soluzione.
“Rose sa tutto di me. Tra di noi non ci sono segreti.”
Un lampo di rabbia scosse Lucius, che ora aveva smesso di ridere e si era accigliato.
“Quindi Rose sa anche che ti sei fatto scopare da me a Natale mentre eravamo ubriachi?”
Rose sussultò, quella era una storia che non conosceva. Lei e Julian a Natale già si frequentavano da un mese, addirittura lui per l’occasione le aveva regalato una sciarpa di lana con rose blu ricamate. Allentò la presa sul braccio di Julian fino a portare le mani intorno alla borsetta.
“Lascia stare Rose. E’ con me che devi prendertela.” Disse Julian.
Lucius a quel punto rise, le dita che giocavano con l’oggetto che prima aveva lanciato. L’attimo dopo una lama si conficcò nel fianco di Julian.
“Jules!” gridò Rose.
Julian cadde a terra sulle ginocchia, il coltello piantato nella carne faceva sgorgare una copiosa quantità di sangue. Lucius si chinò su di lui e gli accarezzò i ricci con la mano insanguinata.
“Dì a quella stronza di tua sorella che il tempo scorre.”
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne ormai ha intrapreso la sua strada ed è disposta a tutto pur di vendicarsi.
Povero Julian, questa volta gli è andata male!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 4
*** Accordo segreto ***


4. ACCORDO SEGRETO
“Non dimenticare mai: camminiamo sull’inferno guardando i fiori.”
(Kobayashi Issa)
 
Il giorno dopo
Ariadne ad un certo punto si era addormentata mentre vegliava su Julian. Era corsa in ospedale due ore dopo l’aggressione. Aveva trovato Rose in corridoio che attendeva la fine dell’operazione. La ferita era profonda e vi era un principio di emorragia, ma per fortuna l’intervento era stato tempestivo. Jonah era rimasto tutto il tempo fuori dall’edificio per assicurarsi che non ci fosse nessuno appostato per tendere un altro agguato.
“Ariadne.” Sussurrò una voce.
Ariadne mugugnò aprendo piano gli occhi. Si era addormentata con la guancia premuta sulla mano di Julian, e ora la pelle in quel punto era leggermente arrossata. Le dita di Rose e stingevano delicatamente la spalla nel tentativo di svegliarla.
“Che c’è? E’ successo qualcosa?”
“Volevo avvisarti che sono tornata a casa a prendere un cambio di abiti per Julian. Va a riposarti, qui resto io.”
Ariadne guardò il fratello e gli scostò un ricciolo ribelle dalla fronte. Ai suoi occhi era ancora il tenero bambino che l’abbracciava quando aveva paura dei mostri nell’armadio. Ma doveva rendersi conto che Julian era cresciuto, adesso era un uomo e doveva imparare a camminare da solo.
“Rose, purtroppo casa tua non è più sicura per voi. Dovreste venire a stare da me.”
“Quindi è questo ciò che mi aspetta? Scappare e guardarsi sempre le spalle.” Disse Rose.
Ariadne conosceva bene quel dubbio, era stata la sua condanna da quando aveva quindici anni. Era sempre scappata, sempre pronta a nascondersi da sua madre e dal suo passato. E ora che aveva scelto di combattere si trovava in pericolo su qualsiasi fronte.
“Non ti chiedo di restare con Julian. Non deve essere un obbligo. Io voglio che tu sia libera di fare la tua scelta. Se decidi di restare con Julian, allora ti prego di venire a casa mia per stare al sicuro. Se decidi di andartene, potrai scegliere dove stare.”
“Ci sono delle incomprensioni fra me e Julian, ma io lo amo e vorrei restare con lui.”
Ariadne prese la mano di Rose e le regalò un sorriso incoraggiante. Era bello sapere che in casa ci sarebbe stata un’altra donna a tenerle compagnia.
“Ti affido casa mia, Rose. Sarai la padrona indiscussa. Siamo una famiglia adesso.”
“Grazie.” Mormorò Rose.
La porta si spalancò e Jonah comparve sulla soglia col suo consueto aspetto severo.
“Signorina Evans, posso parlarvi in privato?”
Ariadne annuì e uscì in corridoio, felice di avvicinarsi alla finestra e prendere una boccata d’aria fresca.
“Hai una brutta faccia, Jonah. Ci sono cattive notizie?”
“Mi rincresce darvi questa notizia mentre vostro fratello è in ospedale, ma è importante. I nostri uomini che tengono d’occhio il Garrison mi hanno riferito di un colloquio fra Lucius Russell e Tommy Shelby.”
Ariadne non batté ciglio. Si era aspettata una mossa del genere da Tommy. Del resto il giorno prima era stato chiaro riguardo alla sua presa di posizione, perciò lei non ne fu stupita. Delusa, ecco come si sentiva.
“Jonah, organizza un incontro con Polly Gray, Michael Gray, Ada e Arthur Shelby a casa mia. E’ ora di fare la nostra mossa.”
 
Margaret puliva il bancone da svariati minuti. Lo faceva più che altro per distrarsi, per non fissare con sguardo torvo la porta del privé. Tommy aveva preso una bottiglia di whiskey e aveva invitato Lucius a entrare. Erano fin troppo amichevoli quando solo pochi mesi prima si facevano la guerra. Margaret pensò alla sua amica Ariadne all’oscuro di quanto stava accadendo. Era ingiusto il modo in cui Tommy stava tramando alle sue spalle.
Sobbalzò quando due braccia la circondarono da dietro e una bocca le baciò il collo.
“Chi è la ragazza più bella del mondo? E perché proprio tu?” esordì Finn.
“Finn, non adesso. Sto lavorando.”
“A dire il vero stai fissando la porta del privé come se volessi buttarla giù.”
Finn stappò una bottiglia di gin e ne versò un po’ nel proprio bicchiere per poi aggiungere una fettina di limone.
“Tommy sta parlando con Lucius. Capisci? Sta facendo affari con i nemici!” replicò Margaret.
“Che ti importa? Di solito resti fuori da queste stronzate.” Disse Finn.
“Mi importa di Ariadne. Non sono stupida, so che Tommy si sta alleando con gli Scuttlers e i Blue Lions.”
Finn aggrottò le sopracciglia, colto alla sprovvista da Margaret. Non gli era venuto in mente che Tommy proponesse una alleanza, anzi era convinto che avesse chiamato Lucius per minacciarlo.
“Davvero credi che Tommy possa fare una cosa del genere? Non scende mai a compromessi con chi ha tentato di ammazzarlo.”
La ragazza fece spallucce, però la sua espressione cupa a diceva lunga.
“Finn, sta succedendo qualcosa di brutto. Molto brutto.”
La loro conversazione fu troncata dal sonaglio che tintinnava segnalando l’ingresso di qualcuno nel pub. Era una donna vestita di verde pastello, con un faldone di carte fra le mani e il cappello in bilico sui capelli neri come la pece.
“Buongiorno. Posso esservi utile?” domandò Margaret.
“Sto cercando Ariadne. Mio fratello l’ha vista qui l’ultima volta. Il mio nome è Betty Preston.”
“E perché cercate Ariadne?” chiese Finn.
“Perché questioni di politica. Sapete dove abita o come posso contattarla?”
Margaret guardava Betty con sguardo trasognato, quel portamento fiero e quella voce decisa erano doti che lei non possedeva. Era fin troppo timida e riservata per mostrarsi tanto audace al mondo.
“Ci penso io ad avvisarla. Cosa devo dirle?”
Betty lasciò sul bancone un volantino e vi picchiettò l’indice sopra un indirizzo stampato sulla carta.
“La settimana prossima ci sarà un incontro delle Suffragette. Se volete, potete venire. E’ triste che voi passiate il vostro tempo in questo club di maschi.”
Margaret ridacchiò per la faccia sbigottita di Finn. Betty, dal canto suo, si guardava intorno inorridita.
“Sì, ci sarò. Grazie per l’invito. Ah, io sono Margaret!”
“Vi aspettiamo. Buona giornata, mia cara Margaret.”
Betty uscì dal Garrison a passo svelto, i tacchi picchiavano sul pavimento logoro accompagnando la sua uscita con fare teatrale.
“Tu non andrai a quell’incontro!” esclamò Finn.
“Da quando decidi tu cosa devo fare?”
Margaret si portò le mani ai fianchi come ogni volta che avevano una discussione.
“Donne che si incontrano di nascosto per parlare di politica? Non mi piace. E’ pericoloso.”
“Finn, quella donna aveva in mano dei volantini con le informazioni sull’incontro. Secondo te consegnerebbe volantini se la cosa fosse segreta?”
Finn arrossì fino alla punta delle orecchie. Alle volte sapeva essere davvero sciocco, come gli ripeteva sempre Ada.
“Comunque non mi piace che tu veda quella gente.”
“E a me non piace questo tuo atteggiamento.” Disse Margaret.
Anziché continuare quel dialogo inutile con Finn, si rintanò nello sgabuzzino e riordinò gli scaffali mentre ripensava all’invito di Betty.
 
Ariadne era tornata a casa per lavarsi e per cambiare abbigliamento in vista dell’incontro con gli Shelby. Aveva optato per un tailleur blu e si era acconciata i ricci ribelli in uno chignon. Aveva comprato i pasticcini, aveva preparato il tè e aveva tirato fuori un pregiato servizio di porcellane. Se quel teatrino serviva a convincere gli Shelby, lei sarebbe stata l’attrice migliore.
“Signorina, è tutto pronto.” Comunicò Jonah.
“Molto bene. Hai altre informazioni utili da darmi?”
Ariadne si accomodò in salotto su una delle poltrone rosse che Alfie le aveva regalato. Tutto l’arredamento era un suo regalo, dai mobili alle tende, dai canovacci in cucina alle nature morte appese alle pareti.
“Posso darvi un consiglio, se mi è concesso.”
“Dimmi pure.” Lo invitò Artemis.
“A quanto pare, Tommy ha avuto qualche screzio con i reali Russi. C’era di mezzo la Principessa Tatiana Petrovna, la quale ha lasciato la Russia dopo la rivoluzione.”
“E questo come può essermi d’aiuto?”
Jonah la guardò dritto negli occhi facendola quasi sussultare. La sua serietà alle volte spaventava Ariadne.
“E’ uno degli errori di Tommy Shelby. Il suo ritorno potrebbe farlo vacillare.”
“Noi siamo in contatto con questa Principessa?” domandò Ariadne.
“Noi siamo in contatto con chiunque, basta un ordine da parte vostra.” Rispose Jonah.
Ariadne avrebbe voluto ridere perché era assurdo che Tommy fosse riuscito a immischiarsi addirittura con la nobiltà russa. Eppure, lei lo sapeva bene, Tatiana doveva essere rimasta affascinata dai suoi occhi azzurri e da quel suo atteggiamento carismatico. La gelosia la punse come uno spillo, ma la ricacciò indietro per restare lucida.
“E’ interessante. Terrò a mente il consiglio.”
In quel momento suonò il campanello. Jonah si diresse alla porta per accogliere gli ospiti. Polly fu la prima ad entrare disseminando il suo profumo lungo tutto il corridoio.
“Buon pomeriggio. La signorina Evans vi attende in salotto.” Disse Jonah.
Ariadne si lisciò le pieghe della giacca e si stampò in faccio un sorriso fasullo.   
“Benvenuti.” Salutò cortesemente.
Ada si avvicinò a lei e la scrutò per qualche secondo, poi allungò la mano con un sorriso.
“Ariadne, che piacere rivederti.”
“Il piacere è tutto mio.”
“C’è qualcosa da bere?” volle sapere Arthur.
“Ci penso io. Venite con me.” Disse Jonah.
Arthur e Jonah sparirono in cantina per arraffare chissà quale pregiata bottiglia, un ulteriore dono di Alfie. Polly si sedette sul divano e con le dita accarezzò la seta che rivestiva i cuscini.
“Signora Gray, sono lieta di rivedervi.” Disse Ariadne.
“E io sono lieta che tu non abbia sposato mio figlio.”
Michael lanciò un’occhiata di rimprovero alla madre, che si limitò a scrollare le spalle con noncuranza.
“Ariadne, perdona mia madre. A volte sa essere sgarbata.”
“Tua madre ha ragione. E’ un bene per tutti che io non ti abbia sposato.”
“La ragazza è perspicace.” Mormorò Polly.
Intanto Ada aveva fatto un breve giro del salotto per ammirare le statue di angeli che decoravano il camino. C’era anche un vaso di rose che stavano perdendo i petali.
“Questa casa sembra un camposanto.”
Ariadne raccolse i petali marci e li gettò nel camino sporco di cenere. Non c’era la servitù e Jonah era troppo impegnato per occuparsi anche delle faccende di casa.
“L’arredamento di interni non è un mio hobby.”
“Il tuo hobby è dare la caccia a tua madre.” Disse Polly.
“Siamo qui per questo?” si intromise Michael.
Ariadne sapeva che quella era la sua occasione. Doveva dimostrare a se stessa, ad Alfie e a Tommy che era impetuosa come il mare. Prese un bel respiro e si schiarì la voce.
“Siete qui per fare un accordo. Dal momento che Tommy ha scelto di escludermi, io ho pensato di contrattare direttamente con voi.”
“A Tommy non piacerà.” Disse Arthur.
Lui e Jonah erano tornati con una bottiglia di grappa prodotta dagli stabilimenti di Alfie a Camden Town.
“Ma piace molto a me.” Disse Polly.
Ariadne tornò a sedersi sulla poltrona con le gambe accavallate e le unghie che accarezzavano i braccioli imbottiti. Una scintilla ardeva nei suoi occhi color ambra.
“La faccenda è semplice: Tommy sta facendo un patto con gli Scuttlers e i Blue Lions dopo che Lucius ha pugnalato mio fratello ieri sera. Vogliono me. Vogliono che io mi consegni e che sposi Mick.”
“Ovviamente tu non sei disposta a consegnarti.” Osservò Ada.
“Neanche morta. Anche il mio cadavere si rifiuterebbe.”
“Tommy ti aveva dato un’opportunità, sei stata tu a rifiutarla.” Disse Michael.
Ariadne non lo degnò di uno sguardo, non pensava che lui si fosse offeso per il mancato matrimonio.
“Volevi sposarmi davvero, Michael? Io non credo proprio.”
“Ariadne ti ha fatto un favore a non sposarti. Dovresti ringraziarla.” Disse Polly.
Michael guardò sua madre con la fronte corrugata, odiava essere sgridato come un gatto domestico che rovescia un vaso.
“Mi interessa sapere altro. Se Ariadne non ha sposato me, allora come fa ad essere tornata?”
Ora tutta l’attenzione era piombata su Ariadne. Jonah sbatté piano le palpebre per darle il permesso di svelare le sue carte.
“Ho prelevato gli affari di Alfie Solomons. Sono a capo della gang di Camden Town.”
“Cazzo.” Commentò Arthur.
“Le voci che circolano a Londra sono vere.” Disse Ada.
Ariadne scambiò uno sguardo perplesso con Jonah, che sollevò le mani facendo spallucce.
“Quali voci?”
“Dicono che una donna abbia riacceso la torre di Camden Town.”
“E’ vero. Tre giorni fa a Camden Town sono ripartiti i lavori della distilleria. Domani mattina partirà il primo carico verso Manchester.”
“E’ un brutto momento per distillare l’alcol.” Fece notare Michael.
Ariadne arricciò le labbra in una sorta di sorriso. Sapeva che quanto stava per dire avrebbe sconvolto i suoi ospiti. Da qualche anno le leggi del Proibizionismo erano diventate più ferree, veniva punito chiunque avesse in casa anche mezzo bicchiere di alcol. Ecco perché erano spuntate distillerie illegali in tutto il Regno Unito, formando così una fitta rete di traffici illeciti. Gli affari di Alfie si erano interrotti con la sua presunta morte ma con Ariadne stavano tornando alla ribalta.
“Non quando nascondi l’alcol dentro delle statuette di cera.”
“Le statuette non pesano più del normale alla dogana?” domandò Arthur, confuso.
“Non quando corrompi le guardie della dogana! Il martedì e il giovedì due agenti sono sempre di turno, è bastato dare loro una tariffa mensile per convincerli a lavorare per me.”
“Ci hai voluto qui pavoneggiarti?” fece Michael, stizzito.
“Ci vuole qui per corrompere anche noi.” Spiegò Polly.
Ariadne si alzò per versare il tè a tutti, sentiva i loro occhi puntati addosso come punte di un arco.
“Polly ha ragione. Siete qui perché Tommy mi ha tagliata fuori e io ho bisogno del vostro sostegno. Grazie a voi potrei eliminare Mick King e mia madre. Ormai gli Scuttlers e i Blue Lions sono diventati un problema per tutti.”
“Quale sarebbe la tua offerta?” indagò Ada, incuriosita.
“La gang di Camden Town ha perso molti uomini, non siamo in grado di sfidare Mick e mia madre. Ho bisogno che voi mi cediate alcuni uomini dei Peaky Blinders rigorosamente armati e pronti a tutto.”
“Quanti uomini vi servono?” chiese Michael.
“Almeno una ventina.” Rispose Jonah.
Arthur fischiò per enfatizzare la mole di quella richiesta. Buttò giù la grappa che riempiva il bicchiere in un sorso unico.
“Tommy se ne accorgerà se mancheranno venti uomini. E’ impossibile nascondergli una roba del genere. Quel bastardo capisce sempre tutto.”
“Non deve essere un segreto. Voi avete creato i Peaky Blinders, è anche la vostra banda, quindi potete scegliere anche voi come gestire gli uomini. Del resto, e ci tengo a sottolinearlo, vi darò qualcosa in cambio.”
“E cosa potresti mai darci?” la canzonò Polly.
“Il tre per cento delle nostre entrate. Gli affari stanno andando bene, entro la prossima settimana sarò già in grado di pagarvi.”
Michael sbuffò, la sua espressione era di puro sconcerto. Era bravo a fare i conti e quella proposta non sfuggiva al suo controllo matematico.
“Ci sono centinaia di distillerie in tutta l’Inghilterra che smerciano alcol illegale. Hai troppi rivali e questo a lungo andare farà diminuire i tuoi affari. Entro un anno la tua distilleria fallirà.”
Ariadne non si scompose affatto. Lei e Alfie erano giunti alla stessa conclusione durante le nottate trascorse a fare bilanci e a discutere di percentuali.
“Non ho detto che vi darò il tre per cento a vita. Il nostro accordo terminerà dopo che avrò distrutto Mick e mia madre. Non mi serve un anno, ma solo un paio di mesi.”
“E se non riuscissi? E se fra due mesi fossi tu quella morta?” insistette Michael.
“Allora potreste prendervi questa casa e la distilleria di Camden Town.”
“Sei disposta a tutto pur di liberarti.” Disse Polly.
Ariadne nello sguardo di Polly trovò comprensione, del resto erano due donne che lottavano da anni per la sopravvivenza.
“Io non tornerò da mia madre e non sposerò Mick. Io voglio essere libera. E se il prezzo della libertà è la morte, sono ben disposta ad accettarla.”
Un tetro silenzio si abbatté su di loro. Le parole di Ariadne erano forti, e anche il suo spirito sembrava altrettanto forte. Fu questo il motivo per cui Polly sorrise e batté le mani.
“Io ci sto!”
“Sarà una bella lezione per Tommy. Anche io ci sto!” convenne Ada.
“Signor Shelby, voi cosa dite?” chiese Jonah.
Arthur arrossì un poco, non era abituato a prendere quel tipo di decisioni. Era Tommy la mente della famiglia, era lui che tirava i fili come un abile burattinaio. Però era bello per una volta avere la possibilità di dare un parere.
“Facciamolo, cazzo! Ci sto! Fanculo Tommy!”
Michael era l’unico a restare titubante. Di sottecchi guardava Polly come ad avere il suo permesso. La madre fece un leggero cenno del capo e lui emise un sospiro.
“Va bene. Sono dalla vostra parte.”
Ariadne quasi saltellò dalla gioia. Strinse la mano di tutti con un enorme sorriso sulle labbra.
“Grazie mille!”
“Venti uomini dei nostri non ti basteranno.” Disse Michael.
“Lo so. Ed è per questo che ho intenzione di fare la stessa proposta a Byron Davis.”
Byron Davis era uno degli uomini più ricchi di Birmingham. Possedeva quindici locali notturni, un ristorante e un caffè in centro. Sebbene il suo nome non comparisse mai nei verbali della polizia, molte delle azioni illegali in città erano ricollegabili a lui.
“Come pensi di fare? Quello stronzo non si fa avvicinare da nessuno.” Disse Arthur.
“I suoi locali notturni hanno bisogno di alcolici. Io produco alcol. Byron ha bisogno dei miei alcolici.”
“Byron compra l’alcol da una distilleria irlandese.” Disse Polly.
“La cosiddetta distilleria è esplosa ieri notte.” Annunciò Jonah.
Ariadne sorrise e spalancò le braccia come un direttore di pista che apre uno spettacolo.
“Vedete? Io ho tutto sotto controllo.”
 
Ariadne richiuse la porta dopo aver salutato gli Shelby e si sbirciò attraverso la tendina della finestra per essere sicura che fosse lontani.
“Davvero abbiamo fatto esplodere una distilleria? Non ho dato io l’ordine!”
La sua voce era così stridula che fece sorridere Jonah. Le toccò delicatamente il gomito per confortarla.
“Signorina Evans, non abbiamo fatto nulla. Ho mentito per dare ai nostri nuovi soci l’impressione giusta. Ma resta che dobbiamo occuparci della distilleria irlandese. Se la distruggiamo, è certo che Byron Davis avrà bisogno dei nostri servizi.”
Ariadne si portò una mano sul cuore che batteva all’impazzata e trasse un sospiro di sollievo. Non voleva una fabbrica intera sulla coscienza. Anche se ormai la sua morale aveva intrapreso una ripida discesa verso l’inferno.
“Come possiamo agire senza uccidere delle persone?”
“Possiamo far saltare in aria la distilleria dopo che tutti gli addetti saranno andati via.”
Ariadne adesso sentiva un peso opprimente sulle spalle. Si accasciò sul divano e si versò nella tazza del tè un goccio di grappa. Fece una smorfia per il sapore troppo acre.
“No. Un’esplosione causerebbe clamore e qualche ficcanaso potrebbe risalire a noi.”
“Siete portata per gli affari.” Disse Jonah.
“Questo non mi consola, Jonah. Ci sarà pure un modo tranquillo di sistemare quella dannata distilleria irlandese!”
Jonah si affacciò alla finestra e vide una moto che si parcheggiava davanti agli scalini.
“Ci penseremo più tardi. Adesso avete visite, signorina.”
Come per evocazione, il campanello suonò un paio di volte. Ariadne si trascinò fino alla porta con la stanchezza che le era caduta addosso come un masso.
“Buonasera. Disturbo?”
Bonnie Gold era lì, sorridente, con una giacca di pelle da motociclista e un casco sotto il braccio. Ariadne lo squadrò da capo a piedi, era come se si aspettasse una trappola.
“Che ci fai qui? E come fai a sapere dove abito?”
“Ti ho cercata al Garrison e Margaret mi ha dato questo indirizzo. Sono qui per salutarti. Non sapevo che fossi tornata. Anzi, non pensavo che lo avresti fatto.”
“Mi hai salutata, ora puoi andartene. Ciao!”
Ariadne tentò di chiudere la porta ma Bonnie si infilò bloccandola col piede.
“Ariadne, lasciami parlare. Sono tuo amico.”
“Che sta succedendo?”
Jonah era apparso come un angelo protettore. I muscoli del volto erano rigidi e serrava le mani a pugno. Guardava Bonnie come se volesse incenerirlo.
“Va tutto bene, Jonah. Bonnie è un amico ed è passato per un saluto.” Disse Ariadne.
“Un amico non irrompe in casa.” Ribatté Jonah.
Bonnie fece un passo indietro mollando la presa sulla porta. Drizzò la schiena e deglutì a fatica.
“Perdona il mio gesto brusco. Non volevo spaventarti, Ariadne.”
“Jonah, va tutto bene. Dammi cinque minuti, tra poco ti raggiungo.”
Jonah annuì e marciò dritto in cucina come un soldato a cui viene dato un comando. Ariadne uscì fuori e socchiuse la porta in modo da parlare con Bonnie da sola.
“Quel tipo è il tuo maggiordomo?”
“E’ la mia guardia del corpo. Bonnie, che vuoi? Ho molta fretta.”
Il ragazzo la superava in altezza nonostante lei fosse in cima agli scalini. I suoi capelli castani erano impomatati e pettinati alla perfezione. Lo zigomo sinistro era gonfio, il risultato di un incontro di pugilato.
“Volevo soltanto rivederti. Siamo stati bene quando eri ospite a casa mia, ricordi?”
“Tu e tuo padre siete stati gentili. Sono stata bene con voi.”
Bonnie si grattò la nuca in evidente imbarazzo. Ariadne sentiva le gambe tremare dalla voglia di riunirsi a Jonah per elaborare una strategia.
“Pensavo che magari… se ti fa piacere, potremmo… uscire insieme.” Balbettò lui.
“E’ una specie di appuntamento?”
Bonnie arrossì così tanto da sembrare un carbone ardente sul fuoco vivo.
“Sì! No! No! Io… insomma… sì, sì. Un appuntamento.”
Ariadne voleva ridere per la timidezza del ragazzo che sul ring diventava furia nera. Si lasciò sfuggire un sorriso sornione.
“Dove pensi di portarmi?”
La speranza si accese negli occhi scuri di Bonnie, che ora sorrideva da ebete.
“Domenica sera Tommy darà un ballo per la sua campagna elettorale. Io sono stato invitato. Potremmo andarci insieme.”
Ariadne inarcò il sopracciglio vagliando quella succulenta notizia: un ballo, Tommy Shelby e la campagna elettorale. Un mix perfetto per lei che aveva grandi progetti.
“Accetto l’invito.”
 
Julian si mise seduto con un rantolo. Sperava che i punti non si fossero sganciati e lo avessero fatto sanguinare. Per sua fortuna la benda era ancora pulita. Gli avevano appena consegnato la cena, e l’odore della carne bollita era disgustoso quasi quanto il pane stantio serviti sul vassoio.
“Che schifo.” Mormorò fra sé.
Affondò la forchetta in una poltiglia fredda che doveva essere purè di patate ma che sembrava colla cucinata. La porta della camera si spalancò e Rose entrò con una pirofila fumante.
“Non toccare quella robaccia! Ti ho portato lo stufato che ti piace tanto.”
Julian mise da parte il vassoio e sistemò la pirofila sul tavolino del letto, dopodiché annusò l’odore di carne rosolata e gemette di gioia.
“Il tuo stufato mi piace quasi quanto il sesso.”
“Impossibile.” Obiettò Rose.
Si era tolta il cappotto e ora sedeva sul materasso, era visibilmente stanca ma era comunque raggiante.
“Infatti, tu mi piaci più di tutto.” disse Julian.
“Già.”
Un’ombra oscurò il viso di Rose, era come se il gelo le avesse dato uno scossone. Si andò a sedere sulla poltroncina accanto al letto per mettere le distanze fra loro.
“Rose…”
“Mangia, su. Non vorrai che si raffreddi.”
Julian d’improvviso non aveva più fame, lo stomaco gli si era chiuso. Abbandonò la forchetta e si girò sul fianco buono per guardare la sua fidanzata.
“Rose, dobbiamo parlare di Lucius. Io voglio che il nostro rapporto sia sincero.”
“Sei andato a letto con lui mentre noi ci stavamo conoscendo. Non c’è altro da dire.”
Rose aveva iniziato a torturare fra le dita l’orlo della gonna, lo faceva sempre quando era nervosa.
“Quella sera ero ubriaco e quando sono tornato a casa avevo voglia di fare sesso. Lucius era là, anche lui ubriaco marcio, e siamo finiti a letto. E’ durato tutto venti minuti.”
“La durata diminuisce la pena?” lo rimbeccò Rose.
“Voglio dire che sono stato uno stronzo, che ho sbagliato e che dopo mi sono sentito malissimo. Rose, io sono un disastro ambulante.”
“Con ciò vuoi dire che farai sempre errori del genere?”
Julian a quel punto si mise in piedi con uno scatto, poco importava la fitta di dolore che gli pungolava l’addome. Prese le mani di Rose e accarezzò le nocche con i pollici.
“Sono innamorato di te. Sono innamorato per la prima volta in vita mia. Io voglio essere tuo marito. Devi credermi.”
Gli occhi piccoli di Rose erano velati di lacrime, il labbro inferiore stava tremolando.
“Giurami che non mi tradirai mai. Giurami che ti avrò tutto per me.”
Julian le asciugò una lacrima con il dorso della mano e le diede un bacio a stampo.
“Te lo giuro, mia adorata Rosamund.”
Rose scoppiò a ridere e gli tirò un leggero pugno sul petto.
“Non chiamarmi così mai più, scemo.”
Julian si morse il labbro ma sorrise lo stesso, era impossibile resistere quando Rose arrossiva.
“Rosamund. La mia Rosamund.”
 
Erano le dieci di sera quando Michael si ritrovò davanti casa di Tommy. Era lì per una questione urgente, dunque bussò senza troppi indugi. Ad accoglierlo fu Lizzie in camicia da notte e vestaglia color malva.
“E’ morto qualcuno?”
“No. Sono qui per vedere Tommy. E’ in casa?”
“Sì, è nello studio come sempre. Entra.”
Michael fu assalito dall’odore di verdure all’aceto e pane caldo. Non si sedeva per una cena decente da settimane. Tra gli affari a Birmingham e quelli in America erano rari i momenti di relax.
“E’ morto qualcuno?”
Tommy era uscito dallo studio non appena aveva udito Lizzie aprire la porta. Difatti, nella mano destra aveva la pistola e il pollice sfiorava la sicura. Ripose l’arma nel retro dei pantaloni quando riconobbe il cugino.
“Lizzie me lo ha già chiesto e la risposta è no. Sono venuto a parlarti di una questione delicata.”
“Delicata in che senso?”
“Si tratta di Ariadne.” Disse Michael a bassa voce.
Lizzie, però, aveva sentito e aveva incrociato le braccia al petto. Le sue sopracciglia scure e sottili si incurvarono in una smorfia di fastidio.
“Sta piagnucolando perché Tommy non la degna di attenzioni?”
“Peggio. Si è messa a proporre affari.” Rispose Michael.
Tommy digrignò i denti come un animale che si preparava all’attacco. Una sensazione viscida gli sgusciò fra le ossa, la lingua di un serpente che si avviluppa intorno alla preda.
“Che cazzo significa?”
Michael vide Lizzie sbuffare, irritata dal solo nome di Ariadne. Tommy, invece, sembrava che potesse andare in autocombustione per la rabbia.
“Oggi Ariadne ha convocato a casa sua Arthur, Ada, me e mia madre. Ci ha chiesto venti uomini dei Peaky Blinders in cambio di soldi.”
“Quanti soldi?”
“Il tre per cento dei guadagni che ricava dalla distilleria di Camden Town. E non è tutto.”
Gli occhi di Tommy erano blu scuro, la sua faccia era una maschera di odio.
“Che altro?”
“Ariadne punta a Byron Davis, lo vuole come alleato. Ha fatto esplodere la distilleria irlandese con cui Byron lavora da anni. Arthur, Ada e Polly hanno accettato. Anche io ho accettato per finta, ecco perché sono qui a dirtelo.”
“Perché hai finto?” volle sapere Lizzie.
“Perché Ariadne è pericolosa. Se continua a guadagnare terreno, entro fine anno potrebbe conquistare mezza città.”
“E chi controllerà l’altra metà di Birmingham?”
Tommy si era rabbuiato, la sua mente che si dimenava fra i pensieri. Aveva lui la risposta a quella domanda.
“Mick King. Questi bastardi stanno tagliando fuori i Peaky Blinders.”
“Tu hai accettato l’offerta di Lucius?” domandò Michael.
“No. Non potevo accettare quell’offerta del cazzo. Ma se adesso Ariadne si prende i nostri uomini, se addirittura la mia famiglia si schiera con lei, allora sono fottuto. Sono debole, Mick e Marianne potrebbe approfittarsene.”
Lizzie studiò il volto di Tommy, la mascella serrata, lo sguardo perso, e quasi non riconobbe l’uomo che da molti era considerato il re della città.
“Povero Tommy, ti sei fatto fregare da quella ragazzina. Ti ha fottuto il cervello e tu glielo hai lasciato fare senza opporti. Mi fai pena.”
“Ariadne si è presa gioco di tutti, anche di me.” Disse Michael.
Tommy, al contrario loro, sapeva la verità. Sapeva che Ariadne gli aveva annebbiato la ragione, lo aveva stregato, e lui non aveva opposto alcuna resistenza. Perché se lei era stata la sirena che con una melodia l’aveva attirato, a finire affogato in mare era stato lui.
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne è la nuova regina in città. Tommy dovrebbe guardarsi bene le spalle!
Tutti tradiscono tutti ormai.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 5
*** Un valzer di baci ***


5. UN VALZER DI BACI

“Si vedono più diavoli di quanti ne possa contenere l’inferno.”
(William Shakespeare)
 
Due giorni dopo
Margaret tornò a casa con due buste di spesa ricolme di pasta, pane e verdure. Entrando – o meglio, evitando uno spigolo – udì delle risate provenire dalla camera che condivideva con sua sorella Cindy. Per un istante temette che ci fosse un ragazzo in casa.
“Chi c’è?”
“Ciao, amica mia!” esclamò Ariadne sorridendo.
Margaret lasciò le buste sul letto e si tolse la giacca. Notò che c’erano pezzi di stoffa ovunque, mille sfumature colorate che penzolavano dai mobili. Cindy teneva fra le labbra un ago e con le dita scioglieva una matassa di lana blu.
“Ciao, Ariadne. Come mai sei qui?”
“Sono venuta per vedere Cindy. Le ho chiesto di cucirmi un abito elegante.”
“Come quello di una principessa.” Aggiunse Cindy.
“Come quello di una regina.” La corresse Ariadne con un ghigno.
Margaret scostò del tulle azzurro e si accomodò sulla poltrona, attenta a non sgualcire il cuscino ricamato a cui aveva lavorato per settimane.
“Perché ti serve un vestito? Vai ad una festa?”
Ariadne fece una giravolta davanti allo specchio per valutare l’abito che indossava. Scosse la testa e abbassò la cerniera, restando in intimo.
“Bonnie Gold mi ha invitata al ballo indetto da Tommy per le elezioni.”
Cindy raccolse l’abito scartato e lo ripose nell’armadio, poi raccattò dal comò una sottile stoffa color prugna.
“Questo ti piace? Potrebbe intonarsi con i tuoi capelli.”
“Non mi piace molto. Vorrei qualcosa di… esplosivo!” disse Ariadne.
Margaret inarcò le sopracciglia, colta alla sprovvista dall’entusiasmo dell’amica. Era strano che Ariadne si esaltasse tanto per un vestito.
“Perché hai accettato l’invito di Bonnie?”
“Perché mi andava.”
Cindy osservò a lungo Ariadne per capirne i dettagli, i fianchi larghi e soffici, il seno rotondo, le cosce tornite. Nella sua mente si fece spazio il disegno di un vestito.
“Faccio una bozza e poi ne parliamo!”
Mentre la ragazza si metteva in un angolo a disegnare, Ariadne si coprì con una vestaglia e si affacciò alla finestra.
“Ariadne, ho la sensazione che tu voglia sfidare Tommy.” Disse Margaret.
“Non voglio sfidarlo. Voglio tediarlo fino ad ottenere il suo appoggio.”
Margaret si lisciò la treccia con fare pensieroso, una domanda le ronzava nella testa da qualche tempo.
“Tu e Tommy, fra di voi c’è qualcosa?”
Ariadne si morse le labbra e distolse lo sguardo, d’improvviso il manichino era diventato il centro della sua attenzione.
“Credevo ci fosse qualcosa. Mi sbagliavo di grosso. Lui adora le donne, ma non è il tipo che ne ama soltanto una.”
“La tua partenza è stato un brutto colpo per lui. E anche il tuo ritorno lo ha messo in crisi.”
Margaret aveva capito che la lontananza di Ariadne aveva avuto effetti negativi su Tommy. Aveva bevuto il doppio dell’alcol, aveva fumato più sigarette del solito, ed era più nervoso rispetto ai suoi standard.
“Tommy è solo preoccupato per gli affari. Lui non prova niente per me.” Disse Ariadne.
“E tu provi qualcosa per lui?” azzardò Margaret.
“Tutti provano qualcosa per Tommy Shelby, amore o odio che sia.”
Cindy richiuse il suo quaderno degli schizzi con un sospiro sonoro, era soddisfatta del suo lavoro. Allungò il foglio ad Ariadne per mostrarle la sua creazione.
“Il nero è il tuo colore. Hai i capelli rossi e la pelle chiara, un abito nero farebbe risaltare i toni del suo corpo.”
Ariadne sorrise, capiva bene la tavolozza dei colori grazie agli anni presso l’Accademia di Arte a Londra. Quel ricordo, il ricordo di Judith e della sua vita, era ancora una ferita aperta che doleva.
“E’ stupendo. Cindy, sei davvero eccezionale!”
Cindy arrossì, aveva i capelli biondi come la sorella e un viso tondo e dolce.
“Posso confezionarti l’abito in due giorni come richiesto.”
Ariadne l’abbracciò e le cinse le spalle con il braccio, rivolgendo uno sguardo divertito a Margaret.
“Ora pensiamo all’abito di Margaret. Finn dovrà sbavare quando la vedrà!”
 
Tre giorni dopo
Ariadne si sistemò gli orecchini ai lobi e fece un passo indietro per guardare la propria figura intera allo specchio. L’abito che Cindy le aveva cucito era a dir poco strabiliante: uno stretto tubino nero lucido senza spalline, scollo dritto e spacco esagerato che scopriva la gamba quando camminava.
“Signorina Evans, siete pronta?” domandò Jonah da fuori.
Ariadne aprì la porta e si mise in posa per farsi ammirare dal suo fedele assistente. Jonah tossì e abbassò lo sguardo, non era consono fissare una donna per troppo tempo.
“Che te ne pare? Voglio un giudizio sincero, Jonah. Ne va dei nostri affari.”
“Siete splendida, signorina. Sono sicuro che i nostri affari sono salvi.”
Ariadne si avvolse una stola nera attorno alle spalle e l’appuntò con una spilla a forma di mezzaluna che Cindy aveva trovato in città.
“Ti sei occupato della distilleria irlandese?”
“Sì. La distilleria non è più in uso. Ovviamente, come da voi richiesto, non ci sono state vittime.”
“C’è altro che devo sapere? Dovrò essere convincente con Tommy.”
Jonah per un breve istante guardò la figura intera della ragazza, era incantevole il modo in cui il nero le calzava a pennello.
“Siete una visione, signorina, e Tommy Shelby ne resterà folgorato. Avete già la vittoria in tasca.”
“Jonah, non lusingarmi troppo. Alla fine potrei crederti davvero.”
“Dovreste credermi perché dico solo la verità.”
Ariadne gli mise una mano sulla spalla e gli regalò un sorriso per ringraziarlo. Alfie le aveva fatto un immenso dono affiancandole Jonah, con lui non si sentiva poi così sola.
“Ariadne, c’è qualcuno per te!” gridò Rose dal piano di sotto.
“Che lo show abbia inizio.”
 
Bonnie stava sudando freddo. La cravatta sembrava un cappio alla gola. La giacca era come una gabbia che non lo faceva respirare. Odiava mettersi in ghingheri per eventi mondani, ma suo padre aveva insistito perché indossasse un completo elegante per partecipare ad un gala.
La cravatta sembrò ancora più stretta quando la porta si aprì e Ariadne uscì di casa. La bocca di Bonnie si spalancò immediatamente.
“Vorrei che tu non mi sbavassi sulle scarpe. Grazie.” Esordì lei ridendo.
“Ehm… scusa. Scusami. Sei davvero molto bella. Bellissima… io… tu… stai bene.”
“Anche tu stai bene, malgrado la cravatta storta.”
Ariadne si avvicinò per aggiustargli il verso della cravatta, i suoi ricci rossi sfiorarono il mento di Bonnie. Avrebbe voluto abbracciarla ma era troppo timido per fare una mossa tanto audace.
“Grazie. Sei pronta?”
“Prontissima.”
La portiera dal lato del passeggero era già aperta, dunque Ariadne scivolò sul sedile e si tolse le scarpe per evitare di giungere alla festa già con i talloni doloranti.
“Come sta tuo fratello? So che Lucius lo ha accoltellato.” Disse Bonnie.
“Julian sta bene. Uscirà domani dall’ospedale. Per fortuna Lucius non ha colpito nessun organo vitale. Ci siamo presi tutti un brutto spavento.”
“Mi dispiace. Se vuoi, posso passare del tempo con Julian per proteggerlo.”
Ariadne non voleva un altro bersaglio sulla coscienza. Più persone gravitavano intorno a lei, maggiori erano i rischi.
“Non ti preoccupare. Ho tutto sotto controllo. Tuo padre come se la passa?”
“Lui è impegnato a organizzare i miei incontri di boxe. Ti va di venire ad un incontro qualche volta? Per tutto il mese sarò a Birmingham.”
“Sì, mi piacerebbe.”
Bonnie arrossì e si morse la guancia. Era incredibile il modo in cui si sentiva a disagio con le donne. Era sempre stato un ragazzo chiuso e timido, ma con Ariadne non riusciva mai a controllare il battito del proprio cuore. Lei gli faceva venire il latte alle ginocchia.
“Tu e Tommy in che rapporti siete? Al Garrison si dice che lui faccia comunella con gli Scuttlers e i Blue Lions.”
Ariadne sbuffò, la frustrazione ribolliva dentro di lei ogni volta che ripensava a quella situazione ingarbugliata. Detestava non conoscere le intenzioni dei suoi rivali.
“L’ultima volta che ho visto Tommy stava facendo affari con Changretta. So che ha parlato anche con Lucius. Però non ho idea di cosa abbia fatto, non so se abbia davvero stretto un’alleanza con loro oppure no. Tommy mi ha tagliata fuori.”
“Tommy è un idiota se perde l’occasione di allearsi con te.” disse Bonnie.
“Tommy è un idiota se pensa di cavarsela senza di me.” replicò Ariadne.
 
Tommy si stava scolando il terzo calice di champagne al riparo da occhi indiscreti. Charlotte aveva scelto il Castello di Maxstoke come sede della festa. Risaliva al Medioevo ed era un edificio imponente, con la sua torre massiccia che si affacciava sull’ampio giardino. La grande sala da ballo era lunga e larga, le ampie finestre erano ornate da pesanti tendaggi blu che ora erano fissati ai lati per far penetrare la luce esterna dei lampioni. Le pareti erano decorate da rilievi di pietra grigia, festoni, teste di draghi e arabeschi. Un pianoforte dell’Ottocento giaceva in un angolo della stanza per allietare gli ospiti.
“Avete intenzione di uscire dal vostro nascondiglio?”
Charlotte se ne stava con le mani sui fianchi e la faccia increspata da un cipiglio di fastidio.
“Sono già arrivati tutti?”
“Il parcheggio è pieno di auto. Tocca a voi e vostra moglie fare gli onori.”
Tommy lasciò il calice su un tavolino e si tirò il bavero della giacca per eliminare eventuali pieghe. Era il momento di dimostrare alla politica che uno come Tommy Shelby era necessario.
“Andiamo.”
Charlotte lo accompagnò fino all’ingresso, dove Lizzie lo stava aspettando in uno splendente abito verde smeraldo. Sembrava raggiante mentre accoglieva gli ospiti, eppure Tommy riusciva a cogliere un velo di tristezza nei suoi occhi limpidi.
“Signora Shelby, siete incantevole!” disse Lord Walker, un parlamentare.
“Siete troppo gentile, Lord Walker. Anche voi siete incantevole.” Rispose Lizzie.
Tommy era grato di come Lizzie fosse capace di avere a che fare con quei vecchi ricconi con le mani viscide. Lui non era in grado di fingere entusiasmo come sua moglie.
Il prossimo ad arrivare fu Anthony Barnon, uno dei maggiori sostenitori di Tommy all’interno del partito laburista.
“Ah, eccolo il mio uomo! Tommy, è sempre un piacere rivederti.”
I due uomini si strinsero la mano e si diedero una pacca sulla spalla.
“Anche per me, Barnon. In sala c’è lo champagne che ti aspetta.”
“Mi conosci davvero bene. Alla salute!”
“Alla salute!” replicò Lizzie con un sorriso gentile.
A quel punto gli invitati si susseguirono come una mandria di pecore. Lizzie e Tommy salutavano tutti, sorridevano, ridevano alle pessime battute, stringevano mani.
“Che palle.” Mormorò Tommy dopo l’ennesimo sorriso.
Poi il mondo parve fermarsi per un secondo. Il cuore di Tommy rallentò i battiti. Ariadne era lì. Camminava a braccetto con Bonnie Gold. Ridacchiava mentre saliva la scalinata di accesso. Indossava un abito nero che non lasciava spazio all’immaginazione. Era un tubino molto aderente, lo scollo dritto metteva in risalto il decolté, uno spacco vertiginoso sulla sinistra le scopriva il ginocchio mentre camminava.
“Buonasera.” salutò Bonnie.
Lizzie si era irrigidita alla vista di Ariadne. Quella ragazza non le piaceva, era come una serpe che sbucava da un cespuglio per addentare i passanti.
“Salve, Lizzie. E’ bello rivederti.” Disse Ariadne.
“Godetevi la festa.” Fu tutto ciò che Lizzie disse.
Ariadne si aspettava quella reazione, pertanto spinse leggermente Bonnie verso l’interno del castello. Quando passò accanto a Tommy, lo guardò con la coda dell’occhio.
“Buonasera, signor Shelby.”
“Signorina Evans.”
Bonnie trascinò Ariadne verso la sala da ballo, erano una giovane coppia che spiccava per bellezza. Tommy sentiva ogni fibra del suo corpo tesa come un cavo elettrico.
“Ho bisogno di bere. Pensaci tu qui, Lizzie.”
 
A metà serata lo stomaco di Ariadne iniziò a brontolare. Per sua fortuna i camerieri portavano in sala vassoi interi di stuzzichini ogni venti minuti. Al volo arraffò due tortine al formaggio da un cameriere che le sfrecciò accanto.
“Qualcuno ha una fame da lupi.” Scherzò Bonnie.
“A queste feste così galanti non c’è mai tanto cibo, oppure quello che c’è è piccolo quanto un granello di polvere. Mi servirebbero un centinaio di tortine per placare la fame.”
Ariadne bevve un sorso di champagne e arricciò il naso per le bollicine che le pizzicavano le narici. Non era una grande bevitrici, ma il suo drink preferito era di sicuro lo cherry.
“Ti va di ballare? Magari ti distrai dalla fame.” Disse Bonnie sorridendo.
“Certamente.”
Ariadne accettò la sua mano e si fece guidare sulla pista, la musica che già intonava le prime note. Fece un mezzo giro per ritrovarsi di fronte a Bonnie quando una mano le strinse il polso in una presa d’acciaio.
“Tu adesso balli con me.” le ordinò Tommy.
Ariadne non ebbe modo di scusarsi con Bonnie che sentì la mano di Tommy sulla schiena. Le loro mani – la destra di lei e la sinistra di lui – si incastrarono prima di incominciare a eseguire i passi di un Valzer.
“Non sapevo fossi un ballerino.” Disse Ariadne.
“Che cazzo ci fai qui? Non sei stata invitata.”
Tommy le fece compiere due giravolte e poi la rinchiuse di nuovo fra le proprie braccia. Erano così vicini che Ariadne avvertiva l’orologio da taschino di Tommy che le premeva contro le costole.
“Sono qui perché Bonnie mi ha chiesto di accompagnarlo.”
“Ora te la fai con Bonnie? Alfie deve essere incazzato.”
Ariadne stava per ribattere quando Tommy le fece fare un giro per poi attirarla di nuovo a sé.
La pettinatura fu messa a repentaglio e alcuni ricci si sciolsero ricadendo sulle tempie.
“Io e Alfie non stiamo insieme. Siamo soltanto soci. E Bonnie è un amico.”
“Bonnie non vuole essere tuo amico. Ti mangia con gli occhi.” disse Tommy.
Ariadne ne approfittò per accostare la bocca al suo orecchio e sussurrargli:
“Anche tu mi stai mangiando con gli occhi, dico bene?”
Tommy emise un sospiro, doveva ammettere che la bellezza di Ariadne lo aveva folgorato. C’era qualcosa in quella ragazza che lo attraeva come una calamita. Più lui respingeva quell’attrazione, più si sentiva risucchiato da lei.
“Sei molto bella, ma tu questo già lo sai.”
Ariadne sorrise, il suo intento di ottenere l’attenzione di Tommy era riuscito. Ora era necessario agire per i suoi interessi.
“Ma non so perché mi eviti. Che cosa ti ho fatto?”
La musica intanto era cambiata, dal Valzer si era passati ad un Foxtrot. Tommy avanzò con il piede sinistro e Ariadne indietreggiò con il piede destro, così presero il ritmo a suon di musica.
“Sparisci, non scrivi e non chiami, e poi riappari con Alfie Solomons. Io avevo trovato un modo per aiutarti ma tu hai deciso di fare di testa tua.”
Ariadne seguì Tommy con un passo laterale del piede destro. La mano di Tommy era posata a metà schiena e lei poteva sentire il suo pollice sfiorarle la pelle nuda.
“Tu non hai trovato la soluzione. Tu avevi trovato solo un altro matrimonio per imprigionarmi. Io non voglio sposarmi, Tom. Io voglio essere libera da sola. Ecco perché ho scelto Alfie.”
Ripeterono i passi ancora una volta – lui in avanti e lei indietro – e si mossero lateralmente fino a fronteggiarsi con i piedi uniti. La musica era finita e gli ospiti battevano le mani all’orchestra.
“Incontriamoci in giardino fra dieci minuti. Alla fontana.”
Ariadne rimase impalata sulla pista mentre Tommy si allontanava per andare a salutare un politico. Dall’altra parte della sala Bonnie la guardava con la consapevolezza che lei non sarebbe mai stata sua.
 
Ariadne sgattaiolò via dalla sala con la scusa di doversi incipriare il naso. Bonnie non ne era sembrato convinto, ma non disse nulla e si limitò ad annuire. Fuori faceva freddo, quindi Ariadne si strinse nelle spalle e si maledisse per non aver sgraffignato qualche giacca. Il giardino era illuminato da una fila di lampioni che le permisero di scorgere la fontana in lontananza. Dopo essersi accertata che nessuno la pedinasse, si immerse nel verde dell’immenso giardino. Era un labirinto, come molti giardini inglesi, e ogni dieci metri c’era un cespuglio di Passiflora che fiorivano nel mese di settembre. Man mano che si spingeva nel cuore del giardino, la luce si affievoliva e le tenebre aumentavano. A farle da guida fu lo scroscio dell’acqua che gorgogliava nella vasca della fontana. Dopo circa due metri si aprì davanti a lei un gazebo bianco sotto cui vi era un tavolino e due sedie. Era un arredamento moderno che i proprietari del castello avevano voluto per godersi i pomeriggi soleggiati.
“Sei lenta.” Disse una voce profonda.
Ariadne sussultò per lo spavento. Tommy se ne stava seduto su una delle sedie con una sigaretta fra le dita e un bicchiere di whiskey in mano.
“Colpa tua che hai scelto questo anfratto oscuro come luogo di incontro.”
“Azioni oscure richiedono il favore dell’oscurità.” Ribatté Tommy.
Ariadne staccò una Passiflora dal cespuglio e la gettò nell’acqua per guardarla galleggiare in superficie. La fontana in questione era composta da una vasca circolare in pietra e da una statua di Poseidone al centro che sfoggiava il tridente.
“Stiamo per commettere azioni oscure? Potevi avvisarmi, non avrei mai indossato questo abito.”
“Neanche tu mi avvisi quando trami alle mie spalle con la mia famiglia.” disse Tommy.
Ariadne si andò a sedere sul bordo del tavolino e incrociò le braccia al petto, ora doveva cacciare fuori gli artigli.
“Ho tramato alle tue spalle perché tu hai scelto di unirti a Changretta e a Lucius. Sì, so che tu e Lucius vi siete visti al Garrison.”
Tommy tracannò il whiskey in un colpo solo e consumò la sigaretta in pochi tiri. I suoi occhi erano lucidi per via dell’alcol.
“Lucius è venuto al Garrison per farmi una proposta: Mick e tua madre mi hanno chiesto la pace.”
“In cambio di cosa?” chiese Ariadne.
“Volevano che io ti consegnassi nelle loro mani.”
Un brivido scosse Ariadne, la paura sguazzava dentro di lei come una pozza nera e profonda.
“Vuoi consegnarmi a loro? E’ questo il piano?”
Tommy si tastò la giacca ed estrasse dal taschino interno un proiettile rovinato. Quando lo diede in mano a lei, la luce mise in rilievo un nome inciso nel metallo.
“I Changretta hanno ucciso mio fratello John. E questo proiettile era destinato a me. Secondo te io faccio affari con chi mi vuole morto?”
Ariadne si rigirò il proiettile fra le dita, l’indice percosse il nome di Tommy inciso.
“E perché ti sei fermato a parlare con Enea? Perché hai incontrato Lucius al Garrison?”
“Bisogna sempre conoscere i propri nemici per vincere la guerra.” Disse Tommy.
“Deduco che tu abbia carpito informazioni utili.”
Ariadne si sedette sul tavolino con le gambe accavallate. Lo spacco si era allargato e scopriva la coscia sinistra per intero. Tommy si schiarì la voce prima di parlare.
“Mick, tua madre ed Enea hanno soldi, armi e uomini a sufficienza. Credo che vogliano dominare su tutta Birmingham.”
“Noi siamo a corto di soldi, armi e uomini. I Peaky Blinders e Camden Town non possono farcela contro di loro. Per questo ho pensato a Byron Davis.”
“Byron Davis è solo un ricco contrabbandiere, niente di più.” Obiettò Tommy.
“Ricco, appunto. Ha uomini al suo servizio. Uomini armati che proteggono i suoi locali. Io posso avvicinarlo e fargli un’offerta.”
“Dopo che hai fatto saltare in aria la sua cazzo di distilleria irlandese? Se dovesse scoprirlo, non credo sarebbe dalla tua parte.”
Ariadne fece spallucce, in verità lei e Jonah avevano pensato all’ipotesi che Byron la volesse morta per aver interferito nei suoi affari.
“Byron ha bisogno di alcolici per i suoi locali e ora ha perso la sua distilleria. E’ disperato. Ha bisogno del mio alcol più di quanto voglia ammettere. Riuscirei a convincerlo, Tommy. Sai che posso farcela.”
“Vuoi convincerlo come stai facendo con me? Insomma, ti presenti alla mia festa senza invito, con addosso un abito del genere e scopri le gambe. Non sei furba come pensi, ragazzina.”
Ariadne ridacchiò, la sua risata si mescolava con le cicale che cantavano nella notte buia.
“Se hai notato tutto questo significa che ti sto convincendo.”
Tommy si avvicinò a lei fino a che non sentì le sue ginocchia premere contro i fianchi; era una sensazione davvero piacevole.
“Vuoi convincermi a stare dalla tua parte?”
Ariadne gli tirò la cravatta per gioco, i suoi occhi vagavano sugli angoli spigolosi del viso di Tommy.
“Noi due insieme possiamo fare grandi cose. Io voglio liberarmi di mia madre e tu vuoi riprendere il controllo su Birmingham. Lo capisci, Tom? Noi ci completiamo.”
“Sei una stronza che sa il fatto suo.” Sussurrò Tommy.
“Potrei diventare la migliore delle stronze. Dovresti guardarti le spalle, signor Shelby.”
Adesso le loro bocche si sfioravano, una linea sottile quanto un capello li separava. Gli occhi azzurri di Tommy guardavano con attenzione gli occhi ambrati di Ariadne.
“Dammi la mano.” Mormorò Tommy.
Ariadne si tirò indietro quando vide un coltellino luccicare nella mano di Tommy. Conosceva fin troppo bene quel rituale, suo padre lo aveva compiuto molte volte. Il sangue avrebbe suggellato la loro alleanza, avrebbe impresso un marchio a vita.
“I patti di sangue sono così obsoleti. Ho un’idea migliore.”
“Quale?”
Un attimo dopo Ariadne fece scontrare le loro labbra in un bacio a stampo. Si staccò da lui mettendogli le mani sulle spalle.
“Meglio di un taglio sanguinante, vero?”
Tommy si leccò le labbra come a voler assaporare di nuovo quella scintilla. Come se una molla fosse scattata dentro di lui, mise le mani a coppa intorno al viso di Ariadne e la baciò. Per un istante erano tornati indietro nel tempo, a quando un anno prima si erano incontrati per caso a Londra e avevano dormito insieme. Se all’epoca lui era un politico e lei una cameriera, adesso erano entrambi a capo di due gang. Il destino si stava facendo beffe di loro.
“Sei con me, Tom?” sussurrò Ariadne sulla bocca di lui.
“Conosci la risposta.”
Ariadne gli allacciò le gambe intorno ai fianchi e gli circondò con le mani il collo. Tommy fece scorrere lo sguardo dai suoi occhi alla sua bocca.
“Non posso sposare Mick. Non posso lasciare che mi metta le mani addosso.”
“Lo so.” Disse Tommy con sincerità.
La ragazza gli accarezzò il mento con il pollice, poteva sentire sotto il polpastrello una lieve cicatrice.
“Tu volevi farmi sposare con Michael perché pensavi fosse l’unica soluzione, però ti sbagliavi e ho scelto di fare a modo mio. So che sei arrabbiato con me, che pensi che io ti abbia tradito, ma sappi che tutto quello che ho fatto è stato per proteggere me stessa.”
Tommy rivide Judith nella sua determinazione. Judith aveva la lingua lunga, diceva quello che pensava e affrontava la vita a muso duro. Ariadne, invece, dosava le parole e andava avanti a testa bassa. A volte era assurdo pensare che fossero la stessa persona. Eppure era così: Ariadne e Judith erano due facce della stessa medaglia. E la medaglia in questione era una ragazza dai ribelli ricci rossi con un pessimo caratterino e un segreto pesante quanto un macigno.
“Avresti potuto dirmelo, Ariadne. Io avrei capito.”
“Non è vero. Tu non avresti capito. Sei un uomo, non ti serve il matrimonio per campare. Mia madre mi ha venduta, Tom, e io non ho scampo se non difendermi come voglio.”
“Ariadne…”
“No. Sta zitto. Chiudi la bocca per altri cinque minuti.”
Malgrado i lori trascorsi, malgrado la delusione e la rabbia, c’era un filo che li legava. Ariadne si sentiva attratta da lui, era impossibile impedire al suo cuore di capitolare quando lo guardava. Tommy era bello, intrigante, e faticosamente oscuro. Era come se la luna avesse un lato che non si illuminava mai. E lei, come un lupo solitario, ululava per quella mezzaluna nascosta.
“Ancora cinque minuti.” Disse Tommy.
Ripresero a baciarsi con foga, quasi dipendesse la loro vita da quel contatto. Tommy portò la mano sulla gamba scoperta di Ariadne, accarezzandole la pelle dal ginocchio in su. Le sue dita si infilarono sotto il vestito per sfiorarle l’inguine. Ariadne gemette nel bacio e lo strinse di più a sé. Tommy scese a baciarle il collo, lasciandosi inebriare da quel solito profumo di bergamotto. Ariadne intrufolò le mani dentro la sua giacca per toccarlo dappertutto – spalle, petto, addome. In risposta, Tommy le tolse il fermaglio e affondò le dita nei suoi ricci. Il bacio era fuori controllo, annaspavano l’uno nella bocca dell’altra mentre continuavano a toccarsi con mani voraci.
“Ariadne! Ariadne, sei qui?” riecheggiò la voce di Bonnie.
Tommy si scostò con il fiatone, aveva le labbra rosse e gonfie. Ariadne scese dal tavolo e si sistemò il vestito che si era arrotolato sui fianchi. Recuperò il fermaglio e tentò invano di aggiustarsi i capelli.
“Domani mattina vediamoci al Garrison alle nove.” Disse Tommy.
Ariadne lo guardò ancora una volta, imprimendo nella memoria il luccichio dei suoi occhi azzurri. Fece un respiro e si incamminò nella direzione da cui proveniva la voce di Bonnie.
“Buona serata, signor Shelby.”
“Arrivederci, signorina Evans.”
 
Ariadne fu sollevata quando salì in macchina. Dopo l’incontro con Tommy era tornata in sala con Bonnie e aveva chiacchierato con Ada tranquillamente. Aveva anche scorto Lizzie tra la folla ma non aveva avuto il coraggio di salutarla, non dopo che aveva baciato appassionatamente suo marito. Verso mezzanotte aveva dichiarato di essere stanca e Bonnie era corso a prendere l’auto.
“Stai bene? Sei strana.” Osservò il ragazzo.
Ariadne poteva sentire la bocca ancora infiammata dai baci di Tommy. Abbozzò un sorriso per non dare sospetti.
“Ho solo mal di testa. Forse ho bevuto troppo champagne.”
Bonnie varcò i cancelli del castello e fece gas per allontanarsi in fretta dalla buia strada di campagna.
“Hai bevuto solo qualche sorso. E’ colpa mia? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“No, no, tu sei stato perfetto. E’ semplice stanchezza.” Si giustificò Ariadne.
“Allora è colpa di Tommy. Lo so che eri in giardino con lui, non devi mentirmi.”
Bonnie non era arrabbiato, piuttosto sembrava sinceramente preoccupato. Il che fece sentire Ariadne in colpa per averlo mollato per una sessione segreta di baci con Tommy.
“Abbiamo parlato di affari. Finalmente ha deciso di allearsi con me. Mi dispiace averti lasciato da solo.”
“Non fa niente. Lo so che questi affari sono importanti per te, quindi sono contento che abbiate risolto tutto.”
“Grazie per la comprensione, Bonnie.”
Il ragazzo le scoccò un’occhiata confusa, poi scosse la testa e sorrise.
“Non ti ho mica perdonata, eh.”
Ariadne si fece sfuggire una risatina, si sentiva meglio ora che la tensione si era dissolta.
“E cosa posso fare per avere il tuo perdono?”
“Vieni a cena con me domenica sera. Questa volta senza Tommy Shelby di mezzo.”
La ragazza fece un sorriso tirato, quella insinuazione l’aveva punta nel vivo. Era così evidente la sua infatuazione per Tommy?
“D’accordo.”
 
 
Jonah si svegliò di soprassalto a causa di un rumore simile al legno che si stacca. Accese il lume e sul pendolo lesse che erano le due del mattino. Indossò le pantofole e uscì in corridoio per andare a ispezionare la stanza di Ariadne. Era suo compito accertarsi che stesse bene. Dopo aver voltato l’angolo, andò a sbattere proprio contro Ariadne. Si era messa la vestaglia da camera ma era scalza.
“Signorina, avete sentito anche voi?”
“Credevo che fossi tu!” bisbigliò Ariadne.
Jonah aggrottò la fronte facendo due considerazioni a mente. Qualcosa non tornava.
“Ma se non siamo stati noi, allora chi ha fatto rumore?”
Ariadne si sporse oltre il parapetto delle scale per guadare giù. Dapprima vide solo buio, ma poi individuò una flebile luce in cucina.
“C’è qualcuno in cucina.”
“Vado a prendere la pistola. Aspettatemi qui, signorina.”
Jonah tornò in camera per raccattare l’arma lasciandola da sola ad ascoltare i mobili della cucina che venivano aperti e richiusi. Ariadne non riusciva a starsene ferma, quindi corse in camera e prese uno dei suoi pennelli con l’estremità appuntita. Senza aspettare Jonah, a passo felpato scese al piano di sotto sguainando il pennello come fosse un pugnale. Vide una figura acquattata davanti al forno che frugava nel cassetto delle posate. Ariadne sollevò le mani per colpire quando la luce esplose nella stanza. Era stato Jonah a premere il pulsante.
“Ariadne, no!” gridò la figura misteriosa.
Soltanto allora Ariadne riconobbe Barbara, la moglie di Eric, sua cognata. L’abbigliamento nero non nascondeva la gravidanza di sei mesi.
“Barbara, ma che diamine! Stavo per ucciderti!”
“Con un pennello?” domandò Jonah, stupito.
Ariadne abbassò l’arma improvvisata con imbarazzo, forse non era stata una grande trovata.
“I pennelli sanno essere… beh, pericolosi.”
Jonah inclinò la testa come i gatti quando guardano i padroni fare qualcosa di imbarazzante. Mise la sicura alla pistola e aiutò Barbara a rimettersi in piedi.
“Perché vi siete introdotta in casa di nascosto? Potevate bussare alla porta.”
“Credevo che mi avreste ignorata. Io e Ariadne non siamo molto legate di questi tempi.”
Jonah annuì, sebbene il suo sguardo vigile da falco rimase fisso sulla donna.
Barbara guardò Ariadne con sguardo supplichevole, poi le prese le mani con una forza straordinaria.
“Eric sta morendo. Dobbiamo salvarlo.”
Ariadne sospirò. L’ennesima tragedia richiedeva la sua presenza sul palco.
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne ha imparato che l’arte della seduzione funziona sempre con un pollo come Tommy.
Ma Bonnie? E’ tenero, vero?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Il Fokstrot era già famoso in Inghilterra a partire dal 1915

 

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Capitolo 6
*** La maga Circe ***


6. LA MAGA CIRCE

“Come osasti scendere nell'Ade, dove fantasmi
privi di mente han dimora, parvenze d'uomini morte?”
(Omero)
 
Il giorno dopo
Julian non credeva alle sue orecchie. Era talmente sbalordito che apriva e chiudeva la bocca come un pesce fuori dall’acqua. Era da poco tornato a casa per intraprendere la degenza dopo la coltellata. Ariadne gli aveva preparato la colazione, gli aveva comprato coperte morbide e cuscini soffici. Dopo aver mangiato e dopo aver criticato il pessimo cibo da ospedale, Ariadne aveva comunicato la notizia eclatante.
“Ieri sera Barbara si è introdotta in casa e mi ha detto che Eric sta morendo.”
Rose sputacchiò un po’ di tè e si pulì subito con un tovagliolo. Depose la tazzina sul tavolo per evitare che le scivolasse dalle mani.
“Come, prego?”
Ariadne si passò una mano fra i capelli, era esasperante dover spiegare tutta la storia che Barbara le aveva riferito.
“L’infezione di Eric alla gamba è peggiorata. Barbara dice che non gli resta molto tempo. La settimana scorsa il medico ha detto loro che non arriverà a natale.”
Julian abbassò lo sguardo sul pasticcino che reggeva fra le dita; la fame era passata in un baleno. Si mosse sulla sedia e i punti della ferita gli diedero una scossa di dolore.
“Barbara ti ha detto altro? Come sta Agnes?”
“Agnes sta bene, è con i nonni materni perché Eric non vuole farsi vedere mentre soffre. Comunque, Barbara vuole che la aiutiamo a salvare Eric.”
“Con una cura miracolosa? Non sono così religioso.” Disse Julian, scettico.
Rose gli accarezzò la mano e lui appoggiò la testa sulla sua spalla per farsi consolare. Anche Ariadne avrebbe voluto concedersi il lusso di essere afflitta, ma aveva troppo lavoro da fare per perdere tempo con la consolazione.
“Barbara vuole portare via Eric. Vuole che lui trascorra questi ultimi mesi in un posto pacifico. Purtroppo nostra madre è contraria e ha messo due uomini a piantonare Eric.”
Julian strabuzzò gli occhi verdi e si massaggiò le tempie elaborando quella richiesta.
“Dovremmo far evadere Eric dal carcere di nostra madre. La morte sembra una passeggiata in confronto!”
“Resta serio, Julian. Eric merita un po’ di pace. Nostra madre sta davvero perdendo il lume della ragione. Non può tenere suo figlio in ostaggio come un nemico di stato.”
Rose notò due ombre scure sotto gli occhi di Ariadne, era evidente che non avesse dormito dopo gli eventi della notte precedente. La sua voce era ferma, eppure c’era una vena di sofferenza in essa.
“Come possiamo aiutare Eric?” domandò Rose.
“Non ci ho ancora pensato. Al momento ho anche altro in ballo.” Disse Ariadne.
Julian lanciò alla sorella uno sguardo truce, il verde del suo sguardo era diventato grigio.
“La vita di nostro fratello vale meno dei tuoi stupidi affari?”
“I miei affari ci servono per liberarci dal dispotismo di nostra madre!” ribatté Ariadne.
“Tommy Shelby riappare nella tua vita e tu diventi una sciocca ragazzina innamorata.”
Ariadne rimase ferita dalle parole di Julian. Credeva che lui fosse la sua roccia, che fosse il suo braccio destro nella vita. Si alzò come una furia e si piegò per parlare dritto in faccia con lui.
“Io ho sacrificato tutto per te. Ci sono cose che non sai, quindi ti conviene badare a come mi parli. Adesso vado ad occuparmi dei miei stupidi affari. Buona giornata.”
Rose sobbalzò quando Ariadne se ne andò sbattendo forte la porta. Un quadro della cucina tremolò e poi si schiantò sul pavimento.
 
Tommy si accorse che qualcosa non andava quando Ariadne entrò nel privé del Garrison con un bicchierino di cherry. Si era fermata al bancone per ordinarne uno.
“Brutta giornata?” domandò Arthur indicando il drink.
“Pessima.”
Ariadne si sedette senza troppe cerimonie, era troppo sfinita per indossare la maschera e fingere di trovarsi in una commedia.
“C’è qualcosa che dovremmo sapere?” chiese Tommy.
“No. Ho litigato con Julian, niente di cui preoccuparsi. Dov’è Finn? Credevo ci fosse anche lui.”
“Finn sta sorvegliando il locale di Byron Davis.” Disse Arthur.
Tommy si accese una sigaretta e si rilassò sulla sedia mentre faceva svolazzare in aria nuvole bianche che si dissolvevano in pochi secondi.
“Ora che la sua distilleria di fiducia è andata, la gente fa carte false pur di accaparrarsi un lavoro con Byron.”
“Noi siamo la gente giusta per lui.” Affermò Ariadne.
Arthur sogghignò, era divertente la determinazione della ragazza. A volte aveva alla stessa caparbietà di Tommy.
“E come fai a dirlo? Gli daremo l’alcol con dei cazzo di asini volanti?”
Ariadne sorrise contro il bordo del bicchiere, il dolce sapore dello cherry le aveva dato un poco di conforto.
“Sarebbe un’idea meravigliosa, se gli asini volassero. Ci risparmieremmo la rogna dei controlli della polizia.”
“Alice nel Paese delle Meraviglie, hai un’idea o no?” la rimbeccò Tommy.
“Mi verrà qualcosa in mente da offrire a Byron Davis.”
Arthur sollevò le braccia in aria con fare esasperato.
“Mai fidarsi di una ragazzina che gioca a fare la gangster. Cazzo!”
Ariadne parve offesa e lo guardò come se l’avesse appena presa a schiaffi.
“Uno, non sono una ragazzina. Due, non sto giocando proprio per niente. Tre, senza di me non sareste mai arrivati a pensare a Byron Davis. Io sto facendo il lavoro duro al posto vostro!”
Tommy guardò prima Arthur e poi Ariadne, era come assistere ad un bisticcio fra bambini capricciosi. Era noioso e irritante.
“Fatela finita. Sembrate due bambini del cazzo che litigano per un cazzo di giro sull’altalena. Abbiamo un problema ancora più grande: come entriamo nel locale di Byron? Al Kirke non possono entrare le donne.”
Ariadne rimase bloccata con il bicchiere ad una spanna dalle labbra. Aveva sentito dire che Byron Davis impediva alle donne di frequentare i suoi locali ma aveva creduto che fossero solo voci di popolo.
“Perché mai le donne non posso entrare?”
“Perché rovinano il divertimento con le loro lagne.” Disse Arthur ridendo.
“Perché sua moglie lo ha mollato dieci anni fa per scappare con un altro.” Spiegò Tommy.
Ariadne finì il suo drink con un sospiro. Ferire il fragile ego maschile era facile quanto bere un bicchiere d’acqua.
“L’ennesimo imbecille. Non mi sorprendo più.”
Tommy si morse le labbra per non sorridere, non voleva che Arthur capisse quanto fosse attratto dalla ragazza. C’era un singolo raggio luminoso che dalla finestra si posava sui ricci rossi creando una luce rosata intorno a lei. Era come guardare una rosa colpita dalla sole.
“Chiaramente non possiamo entrare in tua compagnia. Come pensiamo di fare?”
La porticina del privé si spalancò e fece capolino il viso rotondo di Margaret. Aveva una macchia di cera d’api sulla guancia.
“C’è Finn al telefono. Dice che ha importanti informazioni.”
“Vado io a parlare con quel cazzone.” Borbottò Arthur.
Quando la porta si chiuse, Ariadne si mise a tamburellare le dita sul bicchiere producendo un sottile rumore vetroso.
“Ho una cosuccia per te.” Esordì lei dal nulla.
Tommy inarcò il sopracciglio, i suoi occhi alla luce diurna erano di un azzurro cristallino simile al cielo limpido d’estate.
“Un’altra rogna?”
“Sei così simpatico che mi sto rompendo le mascelle dal ridere.” Disse Ariadne in tono piatto.
Tommy d’istinto piegò un angolo della bocca all’insù in un piccolo sorrisetto. Si concentrò sulla sigaretta per non fissare la ragazza come un ebete.
“Di che si tratta?”
“E’ un regalo per tua figlia Ruby.”
Ariadne tirò fuori dalla tasca del cardigan un pacchettino rosso ornato da un fiocco argentato. Quando Tommy lo scartò, al suo interno vide un ciondolo a forma di tartaruga.
“Come mai una tartaruga?”
“E’ un animale fortunato. E’ simbolo di lunga vita e di forza. Pensavo fosse perfetto per la tua bambina.”
Tommy toccò delicatamente la corazza della tartaruga, era lavorata alla perfezione ed era molto realistica.
“Grazie. E’ bello.”
Ariadne si aspettava qualche parola in più, o quantomeno un sorriso raggiante. Invece Tommy guardava il gioiello con apatia.
“Bene.”
“Ascolta, Ariadne, le cos-“
Arthur irruppe nella stanza con una bottiglia di whiskey e tre bicchieri, un sorriso soddisfatto spuntata da sotto i baffi.
“Quel cazzone di Finn sa fare bene lo spione. Byron Davis ha un corpo di ballerine che si esibisce ogni sera al Kirke, e una delle ballerine è la vicina di casa di Margaret.”
“E quindi? Ora ci mettiamo a ballare il charleston?” fece Tommy.
Ariadne poteva sentire il suo cervello mettersi in moto per elaborare quella informazione.
“Arthur, tu sei un genio! Faremo come Sherlock Holmes!”
Tommy fece roteare gli occhi e si portò le dita sulla fronte in un atto di disperazione.
“Non di nuovo con i tuoi travestimenti. Per favore, risparmiaci questo fottuto teatrino.”
Ariadne, però, si era alzata e stava sorridendo furba come un gatto che sta per saltare da un balcone all’altro.
“Signori miei, preparatevi per una notte folle!”
Ariadne trascinò Arthur fuori dal privé, civettavano come due amiche che spettegolano e bevono il tè. Tommy si versò il whiskey e sperò con tutto se stesso che quella ragazza non lo conducesse nell’abisso.
 
Alla fine Catherine – la vicina di casa di Margaret – si era recata al Garrison con Finn alle calcagna e aveva consegnato ad Ariadne un completo da ballerina. Una delle ragazze aveva la febbre e Byron aveva chiesto che fosse sostituita. Ariadne avrebbe preso il suo posto.
“Alle dieci in punto Byron si ritira al secondo piano del Kirke per offrire ai suoi clienti più affezionati una partita di poker particolare.”
“Particolare come?” indagò Finn.
Catherine lo guardò come se fosse un moscerino fastidioso che le svolazzava intorno.
“Non si scommettono soldi. Si scommettono auto, ville, cavalli, gioielli e addirittura mobili antichi dal valore inestimabile.”
“Tommy può accedere a questa partita particolare?” domandò Ariadne.
“No. Tommy può restare a giocare e a bere al primo piano. Lui non è un membro della cerchia ristretta.”
Tommy e Ariadne si scambiarono un’occhiata: se lui non poteva accedere al secondo piano, la strategia andava modificata.
“Quanti uomini piantonano il secondo piano?” chiese Tommy.
“Quattro. Due alla prima porta e altri due alla seconda porta.” Disse Catherine.
“Io e Tommy possiamo fare fuori quegli stronzi.” Asserì Arthur.
“Non credo. I clienti devono lasciare le armi all’ingresso.”
“Ci inventeremo qualcosa.” Disse Ariadne.
Tommy annuì e Arthur le diede una pacca sulla spalla. Catherine fece un respiro profondo prima di continuare.
“Il buttafuori sa che la nuova ballerina si chiama Carol Young. Ariadne entrerà con me sotto falso nome, poi andremo nello spogliatoio e cambiarci.”
“E poi? Io non conosco la coreografia.” Obiettò Ariadne.
“Pagando un extra si può avere una ballerina al tavolo che versa da bere.” Disse Catherine.
“Un mucchio di soldi per una che ti versa da bere?” domandò Finn.
Tommy lo fulminò con gli occhi, era assurda l’ingenuità del fratello minore.
“Pagherò un extra per richiedere Ariadne al tavolo. Lo abbiamo già fatto.”
“Avete già fatto cosa?” lo punzecchiò Arthur.
“Abbiamo già finto una scena simile nel locale degli Scuttlers.” Chiarì Ariadne.
Arthur e Finn risero sotto lo sguardo torvo di Tommy, che non era affatto contento di quel divertimento a sue spese.
“Catherine, va avanti. E voi due coglioni smettetela di ridere.”
“Ariadne andrà al bar e Tommy alzerà la mano per fare la sua richiesta, a quel punto lei potrà evitare di esibirsi sul palco. Avrete solo mezz’ora per trovare il modo di raggiungere la partita privata.”
“Arthur troverà una via per raggiungerci.” Disse Ariadne.
“Siamo pronti.” Confermò Tommy.
 
Ariadne si rilassò solo dopo aver superato il buttafuori, che aveva letto e riletto i suoi documenti falsi per accertare la sua identità. Catherine l’aveva trascinata nello spogliatoio gremito di ballerine e l’aveva spinta in un angolo abbastanza nascosto.
“Ora indossa il costume di scena e poi vai in sala con la scusa di volere un po’ d’acqua. Resta al bar fino a quando non ti viene dato il permesso di andare al tavolo degli Shelby.”
“Va bene. Ah, Catherine, questi sono per te.”
Catherine accettò subito la busta che conteneva i soldi, aveva due figli da mantenere e l’affitto da pagare. Benché lavorasse per Byron Davis da anni, la sua lealtà era solo volta al guadagno.
“Grazie. Il tuo armadietto è il numero dodici.”
Infilarsi il costume fu più complicato del previsto. Era il tipico abbigliamento da ballerina di Can-Can, con il corpetto nero stretto e l’ampia gonna a balze rosse e nere. La parte più difficile fu indossare gli stivaletti col tacco perché erano troppo piccole per Ariadne. Dopo svariati tentativi – e molte imprecazioni – riuscì a vestirsi. Indosso un pennacchio nero e rosso fra i capelli e dei guanti di finto raso nero.
“Dove stai andando? Lo spettacolo inizia fra dieci minuiti.” Disse una ballerina.
“Vado a bere. Sai, l’ansia da palcoscenico mi fa venire sete.”
“Vai pure al bar. Noi ti aspettiamo.” Si intromise Catherine.
Ariadne sorrise alla ballerina che l’aveva bloccata e si diresse al bar. Dovette fermarsi in cima alle scale per ammirare il vero spettacolo del Kirke. In giro si mormorava che fosse un locale esclusivo, all’ultima moda, ma la realtà superava le aspettative. La sala da gioco era enorme e c’erano più di cento persone. Le pareti erano rivestite da carta da parati blu con fiori di loto color argento. I tavoli da poker erano in legno scuro e lucido, le sedie erano poltroncine di velluto rosso imbottite. I lampadari erano gocce di cristallo che quasi sfioravano le teste dei clienti. Fra un lampadario e l’altro c’erano dei trapezi su cui le ballerine facevano acrobazie.
“Ehi, donna! Ti serve qualcosa?” la richiamò il barman.
Ariadne sbatté le palpebre e tornò alla realtà, quindi si andò a sedere al bancone.
“Un bicchiere d’acqua. Anzi, due bicchieri d’acqua.”
Si voltò per guardare ancora le trapeziste quando si accorse che Tommy e Arthur erano seduti ad un tavolo e che stavano iniziando a giocare. I loro sguardi si incrociarono e Tommy fece un lievissimo cenno del capo. Ariadne capì che era l’ora di entrare in scena.
“Quel signore ben vestito ti vuole al tavolo.” Disse il barman.
“Vado adesso? Ma lo spettacolo…”
Il barman la liquidò con un gesto della mano e Ariadne rise in cuor suo.
“Vai a quel tavolo. Muoviti. Avrai una bella mancia a fine serata.”
 
Tommy osservò il mazziere mescolare le carte con abilità. Sapeva che quelle partite di poker erano truccate, lo capiva dal doppio movimento del pollice del mazziere. Da ragazzini lui e John avevano messo in pratica quel trucchetto per derubare i vecchi ubriaconi del Garrison.
“Buonasera, signori.” Salutò Ariadne.
Tutti gli uomini del tavolo la guardarono come se fosse una bottiglia gratis di champagne pregiato. Tommy non osò guardarla, continuò a fumare e a tenere d’occhio le carte.
“Come ti chiami, bellezza?” domandò un uomo con i baffi lerci.
“Il mio nome è Carol. Volete da bere?”
“Un whiskey per tutti. Grazie, Carol.” Disse Arthur, divertito.
Ariadne recuperò una bottiglia dal bar e distribuì i bicchieri ai giocatori. Ebbe un fremito quando le sue dita toccarono quelle di Tommy mentre gli consegnava il bicchiere.
“Gentili signori, vogliamo iniziare?” disse il mazziere.
Tommy vide due giocatori farsi una specie di occhiolino, era un segnale evidente del loro bluff. Quella era una partita persa in partenza, non valeva neanche la pena fare un tentativo e sprecare soldi.
“Io mi ritiro. Ho delle pessime carte.” Annunciò Tommy.
“Se non volete giocare, cosa ci fate qui?” domandò il mazziere.
Tommy si alzò e mise un braccio attorno alle spalle di Ariadne. Lei si accorse del sorriso malizioso dei giocatori.
“Ho detto che non voglio giocare con le carte. Andrò a giocare da qualche parte con la signorina Carol.”
Ariadne guardò Arthur ed entrambi intesero che era l’occasione giusta per raggiungere Byron.
“Buon divertimento, Shelby.” Rise l’uomo con i baffi.
Ariadne e Tommy si allontanarono in direzione della ‘stanza buia’, ovvero la stanza dove i clienti spesso si intrattenevano con le ballerine dopo gli spettacoli. Una volta dentro, lei chiuse la porta a si appoggiò contro di essa. Aspettarono venti minuti prima di uscire e sgattaiolare verso la scalinata che conduceva al piano superiore.
“Come superiamo le guardie, Tom?”
“Alla vecchia maniera, Sherlock. Vieni con me.”
Tommy la prese per mano e insieme salirono le scale di corsa. Si fermarono a pochi metri dalla prima coppia di guardie.
“Watson, hai voglia di condividere il piano?”
Ariadne andò nel panico quando Tommy si spinse nel corridoio. Non era preparata all’idea di mettersi tanto in mostra.
“Sai cosa? Ho sbagliato a sposare una ballerina che si esibisce sempre mezza nuda!”
Tommy sollevò le sopracciglia verso l’alto come a dirle di proseguire quel falso litigio.
“Beh, scusami se il mio lavoro ti infastidisce. Mia madre aveva ragione a dire che avrei fatto meglio a sposare un pastore!”
“Così ti saresti presa cura delle capre? Ridicola! Io ti faccio vivere da regina!”
Nel frattempo Ariadne con la coda dell’occhio intravide le due guardie a protezione della prima porta.
“Vaffanculo tu e le capre! Chiederò il divorzio domani!”
“Vaffanculo tu e il divorzio!”
Le loro urla avevano attirato l’attenzione delle guardie, che ora avanzavano verso di loro con la mano sulla fondina.
“Qui non potete stare. Ve ne dovete andare.”
Ariadne si finse offesa, la mano sul petto e gli occhi sbarrati.
“Scusatemi, qui stiamo litigando. Vi pregherei di non disturbare.”
“Vedete? Dà sempre ordini. Anche a casa vuole dettare legge!” sbraitò Tommy.
“Volete sapere una cosa? Quest’uomo non mi aiuta mai in casa. Abbiamo dieci figli e li cresco tutti da sola!”
D’improvviso si udirono due tonfi: le guardie erano crollate a terra. Dietro di loro Arthur reggeva fra le mani due pesanti candelabri laccati d’oro.
“Possiamo andare o volete continuare a insultarvi?”
“Andiamo.” Accordò Ariadne.
La seconda coppia di guardie distanza a circa dieci metri da loro. Varcarono la porta e attraversarono il lungo corridoio.
“Dieci figli? Sul serio, Ariadne?” fece Tommy.
“Mi sono fatta prendere la mano.” Rispose lei con una risata.
Tommy represse un sorriso, sforzandosi di rimanere impassibile. Ogni volta che Ariadne gli stava vicino avvertiva una bizzarra sensazione di calore. Come quando nel buio della stanza accendi una candela e lasci che la fiamma ti scaldi il viso. Ariadne era come una fiamma che ardeva perennemente.
“Tommy, ci siamo. Che cazzo facciamo?” disse Arthur a bassa voce.
Tommy si prese un momento di silenzio. Dopo un paio di minuti puntò gli occhi su Ariadne come se volesse leggerle la mente.
“Adesso rischiamo grosso. Quanto è buona la tua offerta?”
“E’ ottima. Fidati di me.” Disse Ariadne.
Tommy avrebbe voluto ricordarle che l’ultima volta che si era fidato di lei si era ritrovato da solo a domandarsi per settimane dove fosse finita.
“Mi fiderò solo se usciremo vivi da questo fottuto casino.”
“Melodrammatico.” Commentò Ariadne.
“Possiamo smetterla di dire cazzate e andare avanti? Grazie!” disse Arthur.
Tommy si tirò il bavero della giacca e si sistemò i capelli. Doveva essere se stesso per oltrepassare quella porta. Si immise nel corridoio e i due uomini armati gli puntarono la pistola addosso.
“E’ zona riservata. Chi cazzo siete?”
“Dite a Byron che Tommy Shelby e Ariadne Evans sono qui per parlare con lui.”
 
Ariadne camminava a testa alta mentre veniva scortata all’interno della sala privata. Era una sala circolare, un lungo tavolo da poker si ergeva al centro ed era illuminato da un lampadario a forma di occhio con tanto di pupilla dilatata. La parete di fondo ospitava un dipinto che lei conosceva bene: opera di John William Waterhouse che raffigurava la maga Circe seduta in trono che tendeva le mani in avanti. Era chiaro che il nome del locale – Kirke – fosse la versione greca del nome di Circe.
“Ti piace quel quadro?”
Byron Davis era seduto al capo del tavolo, lunghi capelli castani striati di grigio e occhi neri brillanti. Indossava una finanziera color ceruleo che non andava di moda ameno dal Settecento.
“E’ la Circe di Waterhouse. Una bella opera per un personaggio degno di nota.” Disse Ariadne.
Byron sorrise compiaciuto, era un buon modo per avviare una conversazione.
E arrivammo all'isola Ea: vi abitava Circe dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana. Così scriveva Omero nell’Odissea. Anche tu come Circe hai riccioli belli. Proprio come lei sei tremenda?”
“Dipende.” Disse cautamente Ariadne.
Byron fece scivolare lo sguardo incuriosito da lei a Tommy. Conosceva il capo dei Peaky Blinders ma non aveva ancora avuto il dispiacere di incontrarlo di persona.
“Tommy Shelby, tu sei come Ulisse che si fa incantare dalla bella Circe?”
“Preferisco la magia dei soldi.” Disse Tommy.
“Perché siete qui? Non ho mia avuto problemi con i Blue Lions e i Peaky Blinders.”
“Non rappresento i Blue Lions. Sono qui come capo di Camden Town.” Precisò Ariadne.
Gli ospiti d’onore di Byron scoppiarono a ridere. Erano tutti uomini che in lei vedevano solo una donna sciocca e senza speranze.
“Camden Town è caduta in basso se hanno scelto te come capo. Dimmi, coltivi fiori e ricami centrini?”
Un’altra ondata di risate si piantò nel cuore di Ariadne come un coltello. Era stanca di essere derisa solo perché donna.
“Fra un centrino e l’altro ho fatto esplodere la tua distilleria irlandese di fiducia.”
Byron smise subito di ridere. Ora le sue labbra erano contratte e le sue narici cacciavano aria come un toro inferocito.
“Perché mai lo avresti fatto?”
“Perché voglio venderti l’alcol della mia distilleria. Con il proibizionismo diventa sempre più difficile trafficare alcolici, ma il servizio di Camden Town non fallisce mai. Hai bisogno di me più che mai.”
“E tu cosa c’entri?” chiese Byron a Tommy.
“Io e Ariadne abbiamo bisogno dei tuoi uomini e delle tue armi per battere Mick King, Marianne Evans ed Enea Changretta.”
“Tu ci dai gli uomini armati e io ti procuro gli alcolici.” Aggiunse Ariadne.
“Posso sempre rivolgermi alla distilleria scozzese.” Disse Byron.
Ariadne sospirò, non poteva deludere Alfie. Tu sei il mare, ricordò a se stessa.
“Allora farò esplodere anche quella distilleria. Darò fuoco ad ogni singola distilleria del paese finché non verrai da me strisciando.”
Tommy rimase sbalordito dal modo in cui la ragazza si stava difendendo. Se un anno prima l’aveva considerata una dolce studentessa di arte, adesso mostrava la donna d’affari che era nel profondo. Del resto era pur sempre figlia di suo padre.
“Con le minacce non andiamo da nessuna parte, bambina.”
“Non sono una bambina. Sono quella che ha i tuoi affari nel palmo della mano. Senza alcolici i tuoi locali falliranno e tu finirai sotto un ponte a chiedere l’elemosina. Io posso distruggerti.”
“Mi distruggerai con ago e filo? Torna a casa a fare la femmina perbene.” Disse Byron.
Tommy vide Ariadne serrare i pugni lungo i fianchi. Si stava mordendo la lingua per non rovinare i loro progetti.
“Byron, ascoltami bene. Se tu non ci aiuti, io scatenerò i Peaky Blinders contro la tua famiglia. So che tua figlia Madeline vive in Galles col marito e i figli. Vuoi le loro teste sul portico di casa?”
Byron sputò a terra per manifestare il suo disgusto. Minacciare la famiglia era meschino, solo gli uomini peggiori arrivavano a tanto.
“Voi due mi fate schifo, bisce velenose.”
“Sono soltanto affari. Ci stai o no?” insistette Ariadne.
“Potrei sempre allearmi con Mick King. Lui sarebbe più amichevole di voi.”
“Mick King ti fotterebbe il locale, e questo tu lo sai bene.” Lo avvertì Tommy.
“Entro sabato mattina voglio quaranta casse di alcolici. Ce la fai?”
Ariadne non era sicura di poter produrre tanto alcol, ma Jonah avrebbe trovato una soluzione in tempi brevi.
“Ce la faccio. Significa che ci stai?”
“Vi darò quindici uomini e venti fucili. Ovviamente voglio un compenso quando questa guerra sarà finita.”
“Avrai quello che vuoi.” Promise Tommy.
 
Ariadne si era seduta accanto alla finestra mentre sorseggiava il tè che Margaret le aveva preparato. Erano tornati al Garrison da circa mezz’ora, lei si era diretta da Margaret e i fratelli Shelby si erano riuniti nel privé per deliberare.
“Ehilà, straniera!” esclamò Margaret.
Ariadne sorrise e con la mano la invitò a sedersi. Era esausta e non voleva stare da sola.
“Ti va di vederci qualche volta? Ho davvero bisogno di una giornata normale tra ragazze.”
“Mi piacerebbe. Domenica sei libera? Io, te e Cindy potremmo andare al cinema.”
“Sarebbe bello. Ho proprio voglia di un bel film.” Disse Ariadne.
Margaret capiva bene quanto l’amica fosse spossata, però c’era una domanda che premeva di schizzarle fuori dalla gola.
“Venerdì sono andata ad un incontro delle Suffragette. Mi ha invitata Beth.”
“Come ti sei trovata?”
“Stranamente bene. Hanno delle opinioni su tutto. Io non credevo fosse possibile.”
Ariadne ricordava che a Londra, quando ancora proclama di essere Judith, Lisa le aveva raccontato di queste donne che si battevano per il voto e per altri diritti.
“E’ strano che le donne abbiano opinioni? Margaret, tu passi troppo qui dentro con i maschi.”
“Tu hai avuto l’opportunità di studiare e vivere da sola. Io, invece, sono finita a lavorare in un pub perché non avevo altra scelta. Non mi hanno mai detto che le donne potessero avere delle idee. Mi hanno cresciuta con l’ordine di stare zitta e di tenermi tutto dentro.”
“Hai ragione, Margaret. Scusami. Sono stata cattiva.”
Margaret le accarezzò il dorso della mano e le sorrise con la sua solita gentilezza.
“Anche tu sei prigioniera in un mondo di maschi. Tua madre ti ha venduta a un uomo che vuole possederti. Non ti devi scusare.”
Ariadne fece incastrare le loro dita in una presa salda, era bello avere un’amica sincera con cui condividere ansie e paure.
“Che cosa desideri, amica mia? Dimmi.”
“Desidero la libertà per me e per mia sorella.”
Ariadne non ebbe tempo di parlare che il campanello del Garrison squillò mentre la porta veniva aperta. Charlotte Foster entrò con un diavolo per capello. Sfrecciò verso il privé degli Shelby senza degnare nessuno di uno sguardo.
 
“Cerchiamo di fare squadra con gli uomini di Byron.” Stava dicendo Tommy.
“Tu, brutto stronzo che non sei altro!” strillò Charlotte sulla soglia.
Arthur saltò sulla sedia e si rovesciò il whiskey sui pantaloni.
“Che cazzo di problemi hai?”
“Non fare scenate inutili.” Disse Tommy.
Charlotte, però, sbatté la borsetta sul tavolo facendo tentennare i bicchieri.
“Mick King ha saputo del tuo incontro con Byron. Ha saputo anche che ci sei andato con Ariadne.”
“Quindi? Prima o poi lo avrebbe scoperto.”
“Quindi ha mandato i suoi scagnozzi a casa mia. Sono viva per miracolo!”
Solo allora Tommy si prese la briga di guardarla. Charlotte aveva un occhio nero e i capelli arruffati, un sopracciglio era coperto di sangue secco.
“Ti hanno picchiata?”
“Hanno sbattuto la mia testa contro i tasti del pianoforte più e più volte. Dire che mi hanno picchiata è riduttivo!”
“Ci stanno attaccando.” Disse Finn.
Intanto anche Ariadne e Margaret erano sopraggiunte dopo aver udito le urla. Ariadne sgranò gli occhi alla vista dei lividi sulla fronte di Charlotte.
“Oh, cielo! Che ti hanno fatto?”
Charlotte aveva gli occhi lucidi, voleva scoppiare a piangere, ma si obbligò a restare salda.
“Tua madre ha un messaggio per te: se non torni a casa, ucciderò tutti quelli che conosci.”
 
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne è diventata spietata, accidenti!
Una nuova avventura per questi Holmes e Watson del mondo criminale.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 

 

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Capitolo 7
*** Gioventù perduta ***


7. GIOVENTÙ PERDUTA

“Si parla sempre del fuoco dell'inferno, ma nessuno l'ha visto. L'inferno è freddo.”
(Georges Bernanos)
 
Tre giorni dopo
Julian non era riuscito a riposare. A dire il vero, non dormiva bene da quando Lucius lo aveva accoltellato. Di notte la ferita pareva fare più male, era come avere un uncino conficcato nel fianco che strattonava la pelle. Quella mattina si era alzato più intorpidito del solito, con le braccia rigide e il taglio che bruciava. In cucina incontrò il sorriso di Rose.
“Buongiorno. Come stai?”
“Buongiorno, amore mio. Sto come uno pugnalato.”
Julian le diede un bacio sui capelli e lasciò che l’odore di ciambelle fritte lo rinvigorisse.
“Stai comunque meglio di uno morto.” Disse Rose ridendo.
Si misero a tavola per la colazione, le ciambelle zuccherate si sposavano bene con il tè amaro.
“Hai visto Ariadne?” domandò Julian.
“Si trova ancora a Londra. Ieri sera ha chiamato dicendo che forse tornerà nel pomeriggio.”
Ariane tre giorni prima era partita alla volta di Londra con Jonah per lavoro, sebbene Julian sapesse che si trattava di qualche malaffare. Ormai stentava a riconoscere la sorella. Un tempo era la paladina della giustizia, sempre a criticare la vita criminale della famiglia, mentre adesso lei stessa guidava una gang. Era davvero così disperata da tramutare la propria morale?
“Dovresti andare a stare a Bristol da tua cugina. Quello che voglio fare potrebbe metterti in pericolo.”
Rose lo guardò con gli occhi spaventati di un animale abbagliato dai fari.
“Julian, che cosa vuoi fare?”
“Voglio liberare Eric. Non deve finire i suoi giorni sotto il dominio di mia madre. Lui merita di morire in pace.”
“Come pensi di liberarlo? La villa è sorvegliata dentro e fuori, e anche la stanza di Eric sarà sorvegliata.”
Julian si passò una mano fra i ricci castani, i suoi magnetici occhi verdi bruciavano di determinazione.
“Troverò un modo. Conosco delle persone che posso aiutarmi.”
Rose gli afferrò le mani e gli sollevò il mento per guardarlo in faccia. Julian era sempre sorridente e malizioso, ma ora il suo viso era una fredda maschera.
“Non metterti nei guai. Ti supplico, Julian. Resta con me.”
“Fidati di me. Andrà tutto bene, amore mio.”
 
Ariadne non ne poteva più di quella riunione perché, in fondo, sembrava piuttosto un tribunale pronto a condannarla. La distilleria di Camden Town era in fermento da tre giorni. I turni di lavoro non finivano mai, le macchine non smettevano mai di funzionare. Quella mattina un gruppo di lavoratori – uomini fidati di Alfie Solomons – si erano presentati nel suo ufficio con una serie di domande.
“Come facciamo a trasportare l’alcol senza esseri beccati dalla polizia?” chiese uno di loro.
“Le leggi del proibizionismo sono più ferree.” Disse un altro.
Ariadne sospirò, si sentiva come una maestra a cui gli scolari chiedono sempre il perché.
“Ora che leggi del proibizionismo si sono fatte più rigide è il momento di cambiare il metodo di trasporto. E’ ovvio che io abbia una soluzione. La polizia pattuglia tutte le strade, le stazioni e i porti, dunque noi dobbiamo aggirarli.”
“E come? Alfie prima…”
“Alfie non c’è. Adesso è la signorina Evans a decidere.” Disse Jonah.
Ariadne si alzò dalla poltrona e aprì uno stipetto da cui estrasse una ampolla piena di liquido giallo. La diede ad un ragazzo con la faccia sporca di grasso e tolse il tappo.
“Annusa. Che cos’è secondo te?”
“E’ profumo.”
“Esatto. Useremo il profumo per nascondere l’alcol. Quando la polizia ispezionerà le nostre casse, sentirà solo il profumo di agrumi. Ieri mattina ho acquistato centinaia di queste ampolle per superare le pattuglie.”
Ariadne era soddisfatta di come gli uomini si erano zittiti. Lei aveva pensato a tutto, ogni minimo dettaglio era stato preso in considerazione. Era troppo vicina a sconfiggere sua madre per lasciare qualcosa al caso.
“Ora potete tornare a lavorare oppure avete altre inutili lamentele?” chiese Jonah.
Il gruppetto lasciò l’ufficio con la coda fra le gambe, avevano sottovalutato Ariadne ed erano rimasti delusi. Non c’era altro da fare che tornare alle macchine.
“Jonah, ti occuperai tu della consegna delle casse a Byron Davis.” Disse Ariadne.
“Come mai, signorina?”
“Perché hai la giusta diplomazia per affrontare Byron. Io e Tommy non gli piacciamo molto.”
Jonah annuì e posò per un breve istante gli occhi da falco sulla ragazza.
“Perdonate la franchezza, signorina Evans, ma ritengo che la vostra amicizia con Tommy Shelby sia inappropriata.”
“Temi per i nostri affari?”
“Temo per voi. I sentimenti non sono mai una buona cosa quando c’è di mezzo un uomo come Tommy. State attenta al vostro cuore, signorina.”
Ariadne non disse nulla, la sua mente era annebbiata da quella sorta di sentenza sospesa nell’aria. Lo sapeva che a scherzare col fuoco si finisce col bruciare, ma ogni volta che vedeva Tommy quel fuoco sembrava crescere sempre di più.
A salvarla da quella pesante conversazione fu Rudy, il nipote più piccolo di Alfie che ricopriva il ruolo di segretario.
“Signorina Evans, in cortile c’è una donna che vuole parlare con voi. Si chiama Polly Gray.”
Ariadne era talmente curiosa di scoprire il motivo per cui Polly era a Londra che quasi si mise a correre per raggiungere il cortile. L’aria settembrina la colpì come una secchiata d’acqua gelida, in contrasto con il calore interno prodotto dai macchinari.
“Polly!”
La donna se ne stava appoggiata al fianco della macchina a fumare. Indossava un raffinato cappotto color malva che si intonava perfettamente al suo incarnato. Era una dea in terra.
“Salve, tesoro. Che piacere vederti.”
“Il piacere è mio. Come mai da queste parti? E’ successo qualcosa?”
Polly gettò la sigaretta a terra e la calpestò con il tacco, ogni suo gesto esprimeva una grande forza.
“Voglio portarti in un posto. Sei libera?”
“Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Domani sera dobbiamo consegnare l’alcol a Birmingham.”
“Molla tutto. Devo svelarti un segreto di tua madre.”
Quelle parole bastarono a innescare una scintilla in Ariadne. Sua madre aveva un segreto e Polly ne era a conoscenza, era meglio indagare anziché bisticciare con gli uomini di Alfie.
“Suppongo di essere libera.”
 
Quando l’auto ebbe superato di gran lunga il confine della città, Ariadne si voltò a guardare la torre di Londra che diventava sempre più piccola. Accanto a lei Polly intonava un motivetto che somigliava tanto ad un canto di chiesa.
“Dove stiamo andando?”
“Al St Mary Bethlehem, un manicomio fuori città. Lo conosci?”
Ariadne aveva già sentito quel nome. Quando era bambina aveva sentito sua madre menzionare svariate volte quel posto ma senza dare ulteriori indicazioni.
“Mia madre ne parlava spesso. E’ un nascondiglio dei Blue Lions?”
Polly ridacchiò e scosse la testa, i boccoli le sfiorarono le tempie. Rivolse alla ragazza uno sguardo di compassione.
“Tu sai di avere una zia di nome Doris? L’hai mai incontrata?”
“Non ho nessuna zia Doris, che io sappia. Spiegati meglio.”
“Tua madre ha una sorella di nome Doris, è più grande di due anni. Quando eravamo ragazzine, io, Marianne e Doris eravamo amiche. Eravamo inseparabili. La nostra amicizia era l’unica salvezza in una città terribile come Birmingham. Per quanto le nostre vite fossero difficili, eravamo felici di essere insieme. Le cose sono cambiate quando tua madre ha conosciuto tuo padre.”
“Tu conoscevi mio padre da giovane?” domandò Ariadne, allibita.
“Purtroppo sì. Philip Evans era il ragazzo più bello della città, con quegli occhi colo ambra come i tuoi e i riccioli di tuo fratello Julian. Era anche divertente e astuto, tutte le ragazzine erano innamorate di lui. Philip scese Marianne. Si fidanzarono e si sposarono nel giro di soli quattro mesi.”
Ariadne non conosceva la storia di come si erano conosciuti i suoi genitori. Sua madre sembrava una persona troppo fredda per mettersi a raccontare il suo passato romantico.
“E poi? Perché avete smesso di essere amiche?”
Un lampo di malinconia baluginò nello sguardo di Polly. Perdersi fra i ricordi era come scoprire che una ferita non si era richiusa del tutto.
“Tuo padre era uno stronzo. Aveva da poco ereditato la guida del Blue Lions quando conobbe tua madre. Per lui tutto doveva essere perfetto, soprattutto Marianne. Peccato che tua zia Doris non rientrasse nei suoi canoni. Doris soffriva di schizofrenia, la sua mente non sempre era lucida e aveva degli attacchi improvvisi. Philip si vergognava, non voleva che gli altri lo considerassero un matto per via di sua cognata.”
“Mio padre ha ucciso Doris? E’ una cosa di cui sarebbe stato capace.” Disse Ariadne.
Ricordava ancora le urla del padre dopo aver scoperto il segreto di Julian. Sentiva ancora il rumore delle sue botte che la notte le facevano venire gli incubi.
“Se l’avesse uccisa avrebbe mostrato pietà, invece lui non sapeva neanche lontanamente cosa fosse l’empatia. Ha costretto tua madre a rinchiudere Doris in un manicomio. L’ha costretta a dimenticarsi di lei. E Marianne ha accettato tutto questo per lui. Ha abbandonato sua sorella perché lo amava troppo. L’amore è stata la condanna di tua madre.”
“Lei non è mai stata capace di scorgere la natura violenta di mio padre.” Mormorò Ariadne.
Polly annuì e abbandonò la testa contro il finestrino, raccontare quelle cose la stava sfinendo.
“Doris è ancora viva. Quando ho saputo dove era stata confinata, ho deciso che non l’avrei lasciata da sola. Vengo a farle visita tre volte al mese. Lei è davvero una persona speciale. Lo capirai non appena la vedrai.”
 
Carl e Lisa una volta le avevano raccontato di un prozio deceduto in un manicomio che si era trasformato in fantasma per vendicarsi di chi lo aveva fatto internare. Ariadne all’epoca era scoppiata a ridere, ma adesso che percorreva i lugubri corridoi del St Mary Bethlehem iniziava a credere il prozio vagasse ancora sulla terra.
“Buongiorno. Posso aiutarvi?” le accolse una infermiera.
“Cerchiamo Doris Milton. Sono sua sorella Marianne.” Rispose Polly.
Ariadne represse un sorriso. Polly per anni aveva fatto visita alla sua amica sotto mentite spoglie, un po’ come lei a Londra che fingeva di essere Judith.
“Prego, da questa parte.”
Polly e Ariadne seguirono l’infermiera nel cuore dell’edificio, più andavano avanti e più diventavano forti le grida dei pazienti. Una ragazza, forse dell’età di Ariadne, si strappava i capelli mentre correva in cerchio. Un signore dava testate alle sbarre che proteggevano le finestre.
Ariadne sussultò quando un uomo dalla faccia pallida e le dita scorticare l’agguantò per il braccio.
“Il mistero della vita penetra nel mistero della morte, il giorno chiassoso tace dinanzi al silenzio delle stelle!”
L’infermiera picchiò la mano dell’uomo con una bacchetta e chiuse la finestrella della sua cella. Gli occhi folli dell’uomo continuavano a fissare Ariadne in maniera inquietante.
“Bart adora le poesie di Rabindranath Tagore. Nulla da temere.” Assicurò l’infermiera.
Polly mise un braccio intorno alle spalle di Ariadne e delicatamente la spinse oltre quelle celle da cui provenivano urla disumane.
“Siamo arrivate.” Bisbigliò Polly.
L’infermiera aprì la porta blindata della cella e andò a parlare con la donna seduta accanto alla finestra. In quel momento Ariadne ebbe un tuffo al cuore: Doris aveva i capelli rossi e ricci proprio come i suoi. Per anni si era chiesta da chi avesse preso considerati i capelli castani dei fratelli, e adesso sentiva che un pezzo del puzzle era al suo posto.
“Avete venti minuti. Non fate agitare la signora.” Disse l’infermiera, poi sparì.
Polly accarezzò le guance ruvide di Doris e le baciò la fronte. Doris sorrise stancamente.
“Doris, ti presento Ariadne. E’ tua nipote.”
Ariadne si avvicinò con cautela, si inginocchiò e toccò la mano della zia con cura.
“Ciao, zia. Sono davvero felice di conoscerti.”
“Marianne? Marianne, sei tu?” domandò Doris sorridendo.
“Sono Ariadne, la figlia di tua sorella.”
Doris sbarrò gli occhi in preda al panico, ritrasse la mano e nascose il viso nel gomito.
“Vattene! Marianne, sei cattiva! Via! Via, Philip! No! No!”
L’infermiera irruppe nella cella insieme ad un inserviente. Lui tenne ferma Doris e lei le fece un’iniezione di calmante.
“Avevo pregato di non farla agitare. Uscite, subito.” Ordinò l’infermiera, brusca.
Ariadne guardò ancora per qualche istante Doris. Anche lei era vittima di Marianne. Tutti erano vittime di sua madre, inclusi Eric, Julian, Barbara e Agnes.
“Philip è morto. Non può farti più del male.”
Mentre Polly la strascinava via, Ariadne vide Doris sorridere e poi rovesciare la testa all’indietro per via del calmante. Le sovvennero in mente le parole scritte da Arthur Conan Doyle: il mio cervello si ribella di fronte a ogni forma di stasi.
Era il momento che Ariadne si ribellasse ai soprusi della sua famiglia. La stasi aveva i giorni contati.
 
A mezzanotte Tommy si aggirava nel porto alla ricerca della barca di zio Charlie. Poche ore prima Ariadne lo aveva chiamato da Londra per dargli appuntamento. La voce di lei era parsa tesa al telefono, come se qualcosa la turbasse. Quando individuò la barca, vide una figura nera seduta sul ceppo di attracco.
“Sei lento a camminare. E’ colpa dell’età?”
Era Ariadne, avvolta in un soprabito grigio con il colletto alzato. Nonostante la battutina, i suoi occhi ambrati tendevano al bronzo scuro.
“Parliamo dentro.”
Salirono a bordo e si infilarono nella piccola cabina, la luce traballante di una vecchia lampada ad olio rischiarava l’ambiente. Charlie Strong avrebbe dovuto modernizzare un po’ la sua imbarcazione, pensò Ariadne mentre apriva uno sportellino e tirava fuori una bottiglia mezza vuota di whiskey.
“Giornata di merda?” chiese Tommy.
Ariadne stappò la bottiglia e bevve senza troppe cerimonie. Non le piaceva il whiskey, le bruciava la gola, ma la sensazione di calore data dall’alcol fu rigenerante.
“Non puoi neanche immaginare.”
Tommy a quel punto era preoccupato. Se lei era arrivata alla bottiglia, qualcosa stava andando decisamente male.
“Che cosa è successo?”
“Ho saputo che mia madre ha rinchiuso mia zia in un manicomio per colpa di mio padre.”
“Polly, tua madre e tua zia erano amiche da giovani.”
Ariadne bevve un altro sorso di whiskey e digrignò i denti per il sapore forte. Si pulì la bocca con il dorso della mano. Voleva ubriacarsi fino a dimenticare anche il proprio nome
“Mio padre è sempre stato uno stronzo. E mia madre lo ha pure assecondato!”
“E cosa vuoi fare adesso?” chiese Tommy.
“Voglio sfruttare questo vantaggio. Mia madre non sa che io ho visto Doris, perciò possiamo usarla a nostro favore.”
Tommy si accese una sigaretta, si tolse la giacca e si appoggiò alla parete. Dall’oblò penetrava la luce bianca della luna.
“Sfruttare una vecchia signora malata è una pessima idea. Tua madre l’ha rinchiusa in un cazzo di manicomio trent’anni fa, non credo che oggi le importi di Doris.”
Ariadne si attaccò di nuovo alla bottiglia ma l’alcol era finito, dunque emise un verso di protesta. Non poteva neanche prendersi una sbronza, dannazione.
“Non conosci la parte migliore della storia.”
Tommy notò un luccichio diabolico negli occhi di Ariadne. I ricci sciolti sulle spalle ora sembravano rossi come il sangue.
“Quale sarebbe?”
“Eric è il figlio di Doris. Lui è mio cugino.”
Tommy dovette sedersi per lo shock. Finalmente era una valida informazione che poteva essere sfruttata. Ariadne aveva ragione: era la loro carta vincente.
“Se Eric scopre che Doris è sua madre deciderà di stare dalla nostra parte.”
“Perdere Eric sarebbe un brutto colpo per mia madre.”
“La sua alleanza con Mick potrebbe vacillare.” Aggiunse Tommy.
Ariadne in un’altra occasione avrebbe fatto i salti di gioia, però c’era ancora una questione da affrontare.
“C’è un problema: Eric sta morendo e sua moglie mi ha chiesto di portarlo fuori città. I Blue Lions sorvegliano la villa di famiglia, entrare è impossibile.”
“Difficile ma non impossibile.” Disse Tommy, risoluto.
“C’è un modo sicuro per far evadere Eric e sua moglie Barbara?”
“Io prelevo tuo fratello e tu trovi un posto sicuro dove nasconderlo. Affare fatto?”
Tommy allungò la mano e Ariadne la fissò come se fosse un coltello affilato. Era come stringere un patto con un demone, e la destinazione finale era l’inferno. Gli strinse la mano con vigore.
“Affare fatto.”
Tommy la tirò verso di sé, i loro petti si scontrarono facendo trasalire la ragazza.
“Vuoi sigillare il patto con il sangue o con un bacio?”
“Domanda retorica.”
Ariadne gli posò la mano libera dietro la nuca e premette la bocca sulla sua. Tommy sentì un ronzio nelle orecchie, una scarica di adrenalina che dal sangue pompava in tutto il corpo. Affondò le dira nei ricci della ragazza spingendole la testa all’indietro per approfondire il bacio. Ariadne gemette e strinse la sua camicia nei pugni.
“Puoi restare?” le sussurrò Tommy all’orecchio.
“Sì.” Esalò Ariadne con voce roca.
Si spostarono sulla brandina che cigolò sotto di loro. Non era la prima volta che condividevano quel letto, eppure l’emozione cambiava ogni volta. Erano così vicini che Ariadne si accorse con stupore che c’erano pagliuzze grigie negli occhi di Tommy. Per qualche bizzarra ragione ebbe la voglia di disegnare quegli occhi, di trovare la perfetta combinazione di azzurro e argento che rendeva quello sguardo magico. Tornò alla realtà quando le mani di Tommy le sbottonarono la camicetta per baciarle il collo e le clavicole.
“Sdraiati.” disse Tommy.
Ariadne lo fece, sentendo subito la molla rotta della brandina che le pizzicava la schiena. Tommy iniziò a baciarla lungo la gola, il collo, la spalla. In un istante strattonò la camicetta di cotone azzurra e gliela tolse, poi le abbassò le spalline del reggiseno per baciarla ancora. Ariadne gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi per stringerlo a sé, le mani che scivolavano fra le sue ciocche scure per approfondire l’ennesimo bacio.
“T-tom, noi… non dovremmo…” biascicò lei fra i baci.
Tommy si staccò per guardarla in faccia, restando come sempre rapito dai suoi occhi color ambra. I ricci si erano sparsi a raggera intorno a lei come fili di seta rossa che si diramano. Era così bella che solo a guardarla sentiva il cuore contorcersi. Non era più un ragazzo, sapeva che quelle sensazioni erano vere. Sapeva di provare qualcosa per Ariadne: affetto, infatuazione, attrazione, ancora non sapeva dare un nome al sentimento che lo affliggeva.
“Non conta il dovere, ma solo il volere.”
Ariadne deglutì, sembrava che avesse ingoiato pezzi di vetro che le graffiavano la trachea.
“Voi cosa volete, signor Shelby?”
“Lo sai che cosa voglio.”
“Che cosa volete, signor Shelby?” ripeté Ariadne con tono imperativo.
Voleva sentirselo dire. Voleva che lui ammettesse che una parte del suo cuore di pietra teneva a lei.
“Voglio te.”
“Oh, adesso ci siamo, signor Shelby.”
Ariadne sfoggiò un sorriso compiaciuto. Non era chissà quale confessione d’amore, ma era un punto di partenza. Gli mise la mano sulla nuca e lo spinse verso la propria bocca per baciarlo. I minuti successivi furono un caotico lancio di vestiti e di baci roventi e di respiri affannati. Ariadne morse e leccò il labbro inferiore di Tommy e sentì le mani di lui che si aggrovigliavano tra i suoi capelli ricci.
Blestem!” sussurrò Tommy con voce roca.
Maledizione, in rumeno, ovvero la lingua che spesso sua madre aveva parlato e di cui lui aveva assorbito alcune parole. Era una lingua che lui e la sua famiglia usavano quando durante le trattative non volevano farsi comprendere dagli altri.
Ariadne emise un gemito mentre le dita di Tommy si facevano strada nel centro del suo corpo. La sensazione era simile alle vertigini che ti assalgono quando sei ad alta quota. Tommy era abile, le sue dita erano esperte e provocavano in lei una serie di mugolii di apprezzamento. Ariadne chiuse gli occhi in balìa di quelle carezze sublimi e dannatamente travolgenti.
“Sì. Sì.”
Tommy intanto le lasciava baci umidi sul collo mentre con la mano toccava territori inesplorati che gli facevano venire i brividi lungo la schiena. Ariadne si inarcò contro di lui, la bocca aperta in un gemito e gli occhi di un oro liquido.
“Così, signorina Evans. Così.” Cantilenò al suo orecchio.
Pochi minuti dopo Ariadne si sentì precipitare in un baratro di piacere violento. Si sforzò di guardare Tommy, che sorrideva contro la sua spalla mentre controllava il respiro.
Lui si mise seduto e raccattò i pantaloni dal pavimento per accendersi una sigaretta. La barca aveva incominciato a oscillare dolcemente, sospinta sull’acqua dalla brezza notturna.
“Non possiamo fidarci di Lucius. Ha addirittura pugnalato Julian.”
Ariadne si buttò addosso la camicia di lui giusto per coprirsi un po’, anche perché facevano freschetto con l’avanzare della notte.
“Non possiamo neanche escluderlo. Eric si fida molto di lui. Inoltre, credo che Lucius abbia pugnalato Julian su ordine di Mick.”
“E la cosa ti consola?”
“No. Al momento dobbiamo prendere tutto con le pinze.”
Tommy inarcò il sopracciglio, c’era qualcosa nella voce di lei che non era convincente.
“Che ti frulla in testa?”
Ariadne si tirò a sedere sistemandosi la camicia sul petto e sulle gambe, i ricci erano spettinati e formavano un groviglio rosso.
“Se riusciamo a portare via Eric, ed è un ‘se’ enorme, mia madre verrà a cercarci in campo al mondo. Capisci, Tom? Sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso.”
“Pensi che tua madre stia architettando qualcosa?” domandò Tommy, cupo.
“Sì. Riflettici un attimo: sono mesi che lei e Mick mi cercano ma appena torno a Birmingham non mi vengono a cercare. A quest’ora io dovrei essere morta.”
Adesso Tommy scorgeva il grande disegno. Fino ad allora non aveva riflettuto abbastanza.
“Si stanno organizzando per il colpo finale.”
“Esatto. Ma quale sarà? Che cosa stanno pianificando?”
“Manderò Charlotte a indagare. E’ brava a ricavare informazioni.”
Ariadne arricciò il naso come faceva quando si sentiva offesa. Avrebbe voluto anche mettere il broncio, ma non era il caso.
“E io manderò Jonah.”
“Mmh, il tuo caro amico Jonah. E’ il tuo cagnolino domestico?” scherzò Tommy.
“Tu sei geloso.” Asserì Ariadne ridendo.
Tommy fece spallucce e assunse la tua tipica espressione indifferente, malgrado dentro sentisse la gelosia fargli il solletico.
“Sei tu che odi Charlotte. Sei gelosa marcia.”
“Io non odio Charlotte! E’ bellissima, intelligente e organizza delle feste grandiose. Mi dispiace solo che lei riesca starti accanto mentre io non posso.”
Il silenzio piombò nella cabina striminzita come l’ascia di un boia che si cala su un collo esposto. Tommy si concentrò sull’orlo della sigaretta che si esauriva ad ogni tiro. Il suo rapporto con Ariadne era come una sigaretta: più tirava e più consumava.
“Anche Jonah ti sta appresso. Lavorano per noi.”
“Non tutto nella vita è lavoro e affari.” disse Ariadne.
“Nella nostra vita sì. Non puoi avere sentimenti che ti rendono vulnerabile.” Replicò Tommy.
Ariadne strofinò la guancia sul colletto della camicia, voleva imprimere nella memoria l’odore di Tommy che era una combinazione di colonia e tabacco.
“Tu hai una famiglia. Lizzie, Charlie e Ruby ti rendono debole?”
“Sì. La famiglia, gli affetti, le passioni, sono pericolosi. E’ per colpa dei sentimenti che sbagliamo. Se tu non fossi legata a Eric e Julian, avresti già fatto fuori Mick e tua madre.”
Ariadne non aveva voglia di affrontare quel discorso. Sapeva di essere fin troppo sentimentale per la vita criminale. Era proprio il sentimento di vendetta che l’aveva spinta tra le grinfie di Alfie Solomons.
“E’ tardi. Voglio tornare a casa.”
Tommy non disse niente, la guardò mentre si rivestiva e cercava di pettinarsi i ricci con le dita.
 
“Come torni a casa?” chiese Tommy.
Ariadne intanto aveva aumentato il passo ed era arrivata alla bicicletta sgangherata che Margaret le aveva prestato. Il manubrio non sempre seguiva le sue mani ma era meglio di niente.
“Jonah è uscito con l’auto stasera, quindi io ho preso la bici. Casa mia dista venti minuti da qui.”
“Guidi?”
“Non sono più la ragazza insicura e inesperta dell’anno scorso. Adesso so guidare, so sparare e so anche usare i grimaldelli per scassinare. Jonah è un ottimo insegnante.”
“Sono impressionato.” Disse Tommy.
Ariadne si sistemò sul sellino e poggiò un piede sul pedalo mentre con l’altro restava a terra in equilibrio.
“Mi piace lasciarti a bocca aperta. Magari capisci di non essere l’unico capace di fare le cose.”
“E’ questo che pensi di me?”
“Il mondo non è ai tuoi piedi, Tom. Un giorno capirai che mantenere il controllo su tutto e tutti è impossibile.”
“Quello sarà il giorno del mio funerale.” Replicò Tommy.
“Se lo dici tu. Adesso devo proprio andare.”
“Sali in auto. Non ti lascio tornare a casa da sola di notte.”
Ariadne accettò senza perdere tempo, la prospettiva di pedale nel buio era alquanto terrificante. Tommy aggiustò la bici sui sedili posteriori mentre lei prendeva posto davanti.
Il viaggio fu tranquillo, nessuno dei due osò fiatare. Lui guidava e lei guardava fuori dal finestrino. Si fermarono solo per far attraversare un ragazzo e il suo bassotto.
“Se Jonah fosse un cane sarebbe un pastore tedesco.” Esordì Ariadne.
Tommy le lanciò un’occhiataccia, non capiva da dove venisse fuori quell’idea.
“Ma tu parli sempre di Jonah?”
Ariadne scoppiò a ridere e gli diede una gomitata giocosa.
“Sei geloso, lo sapevo! Ci sei cascato in pieno nel mio tranello. Sei un fesso, Tom.”
Tommy aggrottò la fronte. Ariadne era così giovane e vitale, e spesso questa sua giovinezza d’animo esplodeva in momenti banali come questo. Lui, invece, aveva smarrito quell’energia gioviale in Francia, sepolta insieme a tutti gli altri compagni morti.
“Sei proprio una ragazzina.”
Ariadne rise ancora, sapeva che quel tono burbero era falso. Tommy si chiudeva sempre a riccio quando un briciolo di gioia lo raggiungeva.
“E tu sei proprio un fesso.”
Tommy guidò in silenzio, non era in vena di scherzare ed era anche piuttosto stanco. Di certo Lizzie lo avrebbe tempestato di domande sul suo ritardo e avrebbe dovuto mentirle, sebbene lei avesse già capito tutto. Dopo dieci minuti la casetta gialla si mostrò a loro.
“Siamo arrivati.”
“Bene.”
Tommy le restituì la bici e si appoggiò allo sportello per accendersi una sigaretta. Ariadne si infilò il cardigan e si fermò davanti a lui.
“Grazie per il passaggio, Tom. E’ stata una bella serata, tutto sommato.”
“Vedi di non fare casini anche mentre dormi.”
“Non ti prometto nulla, vecchio brontolone.”
Senza pensarci due volte, Ariadne gli mise una mano dietro alla nuca e lo baciò. Tommy rispose al bacio con altrettanta passione.
“Ariadne.”
Bonnie Gold era in piedi sulle scale di casa. Indossava un completo elegante e in mano teneva un mazzo di rose. Ariadne si era dimenticata del loro appuntamento.
“Bonnie… io… ho avuto da fare. Non mi sono… scusami. Sono imperdonabile.”
“Io ti ho aspettato per ore e tu facevi sesso con Tommy Shelby. Questo dovevi fare?”
Bonnie era furioso. Aveva pensato alla loro cena per tutta la settimana con il cuore in gola. Aveva una cotta per Ariadne dall’estate scorsa ed era convinto che quell’appuntamento avrebbe cambiato le cose.
“Mi dispiace. Stamattina sono stata a Lond-…”
“Ti dispiace per essere andata a letto con quello là?” la incalzò Bonnie.
“Vedi di darti una calmata.” Lo ammonì Tommy.
Intanto sull’uscio di casa era comparso Jonah in pigiama che fissava la scena come un soldato pronto all’attacco.
“Buonasera, gentiluomini. Ci sono problemi?”
Ariadne non era mai stata così felice di vedere Jonah. La stava salvando da una rissa, considerate le occhiate minacciose che Bonnie e Tommy si stavano scagliando contro.
“Tutto apposto. Ce ne stavamo andando. Vero, Bonnie?” Disse Tommy.
Bonnie gettò i fiori a terra e pestò le rose fino a disseminare l’asfalto di petali.
“Scusate il disturbo. Buonasera.”
Ariadne si morse la lingua mentre osservava Bonnie andarsene mogio verso la macchina. Si era completamente scordata di lui e questo era atroce, specialmente per lei che teneva agli amici.
“E’ ora di rientrare, signorina Evans. E’ tardi e fa freddo.” Disse Jonah con voce ferma.
Ariadne guardò Tommy e gli riservò un piccolo sorriso, dopodiché si infilò in casa e andò in salotto.
“Ariadne è grande abbastanza da difendersi da sola.” Disse Tommy.
Jonah adocchiò il corridoio per essere certo che la ragazza non lo ascoltasse, poi guardò Tommy come se potesse trafiggerlo col pensiero.
“Signor Shelby, permettetemi di essere cristallino: lasciate perdere Ariadne. Lei non fa per voi.”
 
 
Ariadne entrò in casa con le scarpe in mano per non fare rumore. Il suo intento andò in fumo quando vide Julian che sbucava dalla cucina. Si era preparato una tazza di tè poiché la ferita non gli dava tregua.
“Ti sei divertita con Tommy?”
“Tommy? No, sono stata a casa di Margaret.” Mentì lei.
Julian annusò l’aria e arricciò le labbra in un ghigno.
“Per questo Jonah è uscito di tutta fretta? E poi puzzi di tabacco e acqua di canale.”
“Che vuoi, Jules? Sono affari miei!”
“Va bene, non ti agitare!”
Ariadne lasciò le scarpe all’ingresso e si tuffò sul divano, allungando le gambe sul pregiato tavolino di cristallo.
“Ho trovato un modo per aiutare Eric. Sei con me?”
Julian sorrise, prese posto accanto a lei e le diede una spallata giocosa.
“Facciamo arrabbiare la mammina.”
 
Salve a tutti! ^_^
Povera Ariadne, braccata fra tre uomini che le ronzano intorno. Ma lei sa il fatto suo e nel profondo ha già fatto la sua scelta.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Precisazione sull’esclamazione di Tommy in rumeno: nella prima stagione Tommy parla con una matriarca e il dialogo è in ‘’romani’’, spulciando su internet ho scoperto che gli Shelby in teoria dovrebbero parlare il rumeno essendo di origine gitana (più volte viene usato il termine ‘gipsy’ nella serie). La questione della lingua romaní è troppo complessa da affrontare, quindi spero che possiate comunque accettare la mia versione proposta.
 

 

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Capitolo 8
*** I fuggitivi ***


8. I FUGGITIVI

“L’inferno è la mia grande passione.”
(Alda Merini)
 
Il giorno dopo
Jonah come al solito fu in piedi alle sei del mattino. Fin da quando aveva dodici anni aveva l’abitudine di svegliarsi all’alba. All’epoca lo faceva per andare a lavorare e aiutare la famiglia, mentre adesso lo faceva perché dormire gli procurava sogni a cui non voleva pensare. Rimase sbalordito quando trovò Ariadne in salotto che fissava il quadro di una natura morta firmata da un pittore scozzese.
“Signorina, state bene?”
Ariadne annuì distrattamente, non aveva neanche sentito la domanda. Era troppo concentrata sul fiore secco dipinto per dargli attenzione. Jonah le toccò delicatamente la spalla, la sua mano era tanto leggera da sembrare priva di ossa.
“Signorina.”
Ariadne sbatté le palpebre, alcune lacrime le bagnavano le ciglia, e si schiarì la voce.
“Sto bene, Jonah. Stavo solo riflettendo. I prossimi giorni saranno difficili.”
“Ci siamo preparati a questo momento per molto tempo. E’ ora di affrontare vostra madre.”
“Non so se ce la faccio. Ho paura di fallire. Quella donna mi mette sempre in difficoltà.”
Jonah notò che lei indossava ancora i vestiti del giorno precedente. I ricci erano più scompigliati del solito e la sua pelle emanava un vago sentore di tabacco.
“Per questo siete stata con Tommy Shelby? Suppongo che abbiate elaborato una strategia.”
“Esatto. Tommy dice di avere un piano infallibile.” Disse Ariadne.
“Ovviamente.” Replicò Jonah, piccato.
“Che problema hai con Tommy? E’ chiaro che non lo sopporti.”
L’uomo si alzò e si passò le mani sul viso, aveva gli occhi che quasi gli schizzavano dalle orbite per l’agitazione.
“Tommy è una fonte di distrazione per voi. Non potete concedervi questo lusso, signorina. Voi dovete restare focalizzata sull’obiettivo.”
Ariadne inclinò la testa e studiò l’atteggiamento ostile di Jonah. Era una persona pacata, salda anche nei momenti peggiori, ma adesso stava perdendo il controllo.
“Jonah, parla con me. Io sono tua amica. Lo vedo che qualcosa ti tormenta.”
Jonah si afflosciò sul divano, le mani che tremavano e la fronte che sudava freddo.
“Sarò costretto a tornare a Gerusalemme se il nostro piano fallisce. Non posso tornare là.”
“Perché? Dimmi.”
“Oh, signorina… ho commesso un grave errore. Un errore mortale.”
Ariadne gli sollevò il mento con la mano e gli accarezzo lo zigomo sinistro.
“Parla con me.”
“Sono cresciuto in un villaggio nei pressi di Gerusalemme in cui vivevano dieci bambini. Ester era la mia migliore amica. Passavamo ore a parlare di tutto, a sognare il momento in cui ci saremmo trasferiti in Inghilterra grazie agli affari di Alfie. Ma i sogni si infransero quando Ester si ammalò all’età di ventidue anni. Il nostro villaggio era povero come le nostre famiglie. A Gerusalemme nessuno era disposto a fare la carità ad una ragazza malata. Così ho accettato di fare il lavoro sporco per Alfie: io stavo al suo servizio e lui mi dava i soldi per aiutare Ester.”
“Ce l’hai fatta? Ester è guarita?”
Per la prima volta Ariadne vide Johan piangere. Non era più l’uomo-falco che vegliava su di lei con espressione marmorea, era solo un uomo affranto da dolore.
“Ester è morta l’anno scorso. Non sono riuscito a partecipare al funerale, ero impegnato a nascondere Alfie a Margate. Capite, signorina? Ho deluso l’unica persona importante della mia vita. Non posso tornare a Gerusalemme e far finta di niente. Mi vergognerei troppo a guardare in faccia i genitori di Ester dopo che ho deluso le loro speranze.”
Ariadne lo abbracciò forte. Ormai Jonah era fondamentale nella sua vita, un amico leale a cui non avrebbe mai rinunciato. Si accorse che distruggere i Blue Lions implicava salvare molte persone: Julian, Eric, Jonah, Barbara e Agnes, Rose, e infine se stessa.
“Farò il possibile, te lo prometto. Non tornerai a Gerusalemme.”
Jonah pianse sulla sua spalla fino a quando le lacrime non diventarono silenziosi singhiozzi.
 
Due giorni dopo
Alle cinque di pomeriggio Ariadne entrò al Garrison insieme a Julian e Rose. Margaret li accolse con un sorriso gentile.
“Gli altri ci aspettano nel privé.”
Era la prima volta che Tommy invitava Margaret nel privé per questioni legate ai Peaky Blinders. La ragazza di solito si limitava a pulire il tavolo, lavare a terra e consegnare i drink. Ecco perché era tutta emozionata mentre si sedeva accanto a Finn. Anche Julian e Rose prese posto vicini, mentre Ariadne si appoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto.
“Io e Arthur abbiamo preparato tutto. Voi siete ancora d’accordo?” chiese Tommy.
Il suo sguardo era saettato su Ariadne quando lei era comparsa. Anche adesso la guardava con la coda dell’occhio.
“Assolutamente sì. Possiamo procedere.” Convenne Julian.
Arthur stese sul tavolo una piantina della villa degli Evans su cui erano segnati delle ‘x’ nere.
“Ieri sono andato all’ufficio catastale per avere questa pianta della casa.”
“Tocca a voi dirci i punti di accesso favorevoli e sfavorevoli.” Aggiunse Tommy.
Ariadne si chinò sulla piantina, i ricci rossi che le pendevano lungo le tempie come preziose tende di lino rossastro.
“La villa risale agli inizi dell’Ottocento, quando Napoleone dichiarò guerra all’Inghilterra. Fu creato un passaggio sotterraneo per scappare nel caso in cui i francesi avessero invaso il Paese. Il passaggio corre dalla cantina al giardino, superando il recinto e uscendo in strada.”
“Possiamo passare dall’entrata. Nessun problema.” Disse Arthur.
“Un problema c’è: nostro padre ha sigillato il passaggio anni fa.” Spiegò Julian.
“Come lo ha sigillato?” domandò Tommy, pensieroso.
“Con un cancello di ferro spesso. Non c’è serratura, quindi è impossibile usare una chiave.”
“Possiamo fondere il ferro del cancello.” Disse Arthur.
Tommy gli lanciò un’occhiata in tralice e si passò le dita sul mento, quasi poteva sentire gli ingranaggi del proprio cervello muoversi.
“Il ferro fonde a 1530 gradi. Ci serve del combustibile per scioglierlo.”
“Non devi sciogliere tutto il ferro. Basta un buco per farci passare una persona.” Disse Arthur.
Ariadne fece scattare la testa in direzione di Tommy, stupita dalla conoscenza dell’uomo.
“Come sai queste cose?”
“Quando sei un soldato e passi anni a scavare dei fottuti tunnel in Francia impari qualcosa.”
“Possiamo usare il coke della fabbrica. E’ un combustibile artificiale utile.” Disse Arthur.
“Possiamo usare un attrezzo per spaccare il cancello? Tipo una tenaglia?” fece Finn.
Tommy gli tirò uno scappellotto sulla nuca che quasi gli fece sbattere la fronte sul tavolo.
“Perderemmo tempo a cercare un fottuto combustibile se potessi usare uno strumento? Una grossa tenaglia del cazzo non apre un cancello di ferro rinforzato e fa troppo rumore. Deve essere per forza sciolto per aprirlo senza che qualcuno se ne accorga.”
“Me ne occupo io. Vado in fabbrica e chiedo ai saldatori.” Disse Arthur.
“Porta Finn con te, magari impara qualcosa.”
Finn e Arthur lasciarono in Garrison per raggiungere la fabbrica di Small Heath dove lavoravano alcuni uomini che ogni tanto gli passavano informazioni in cambio di soldi.
“Come superiamo le guardie? Mia madre avrà ingaggiato un esercito.” Esordì Julian.
Ariadne staccò gli occhi dalla pianta per guardare il fratello con estrema serietà.
“Qui entrate in gioco tu e Rose. Voi dovete distrarre la mamma mentre noi portiamo via Eric.”
“Possiamo andare da lei con la scusa del fidanzamento.” Propose Rose.
“E io posso innescare uno dei nostri consueti litigi.” Si aggregò Julian.
“Ottimo!” esclamò Ariadne.
“E chi porterà fuori Eric?” chiese Margaret, perplessa.
D’istinto Tommy e Ariadne si guardarono, avevano comunicato anche senza parlarsi.
“Entreremo solo in due. Meno siamo, più facile sarà nascondersi dalle guardie. Io e Ariadne attraverseremo il passaggio, raggiungeremo Eric e rifaremo il tragitto per uscire. Una macchina ci aspetterà fuori dal recinto e andremo in un luogo sicuro.”
“Quale luogo?” domandò Ariadne.
“In una casa di campagna da mia sorella Ada. Michael incontrerà Barbara davanti alla cattedrale alle dieci e la porterà fuori città.”
“Significa che entro le dieci dovremo essere tutti fuori da quella casa.” Disse Rose.
Ariadne fissò la pianta della villa nel punto in cui la didascalia indicava lo studio di suo padre. Per un secondo le urla del padre riecheggiarono nella sua testa, era un suono rabbioso e assordante. La mano destra con cui aveva conficcato l’attizzatoio incominciò a tremolare. Il respiro accentuò fino a bruciarle i polmoni. Stava avendo un attacco di panico.
“Aria?” la chiamò Julian.
Per quanto volesse concentrarsi e tornare indietro, era come se il suo corpo fosse bloccato nel ricordo atroce di quella notte.
“Shh, calmati. Va tutto bene, Ariadne. Respira.” Le sussurrò Tommy.
Pian piano si sforzò di regolarizzare il respiro e la vista cominciò a tornare lucida. Quando si fu ripresa, tutti gli occhi erano puntati su di lei. Julian era il volto della preoccupazione.
“Aria?”
“Sto bene. Scusatemi.”
Ariadne corse fuori dal privé per andare in strada a prendere una boccata d’aria fresca. Fu come togliere un tappo dal petto e lasciare defluire l’aria.
“Come stai?”
Tommy sollevò la testa per guardare il cielo che si riempiva di nuvoloni neri; presto sarebbe venuto a piovere, Polly lo aveva letto nei fondi del tè.
“Sto meglio, grazie. Mi capita spesso.”
“Ti capisco. Anche io certe notti perdo il contatto della realtà quando i ricordi della guerra sono troppo forti per combatterli. Siamo umani, a volte succede.”
Ariadne si passò una mano fra i ricci e raddrizzò la schiena come a voler riprendere in mano le redini di se stessa.
“Stasera potrebbe essere difficile per me tornare in quella casa. Hai lo stesso fiducia in me?”
Tommy, per qualche assurda ragione a lui ignota, si chinò su di lei per scostarle un riccio dalla fronte.
“Fiducia o follia, chiamala come preferisci.”
 
Margaret non credeva davvero che Tommy l’avrebbe coinvolta in una missione dei Peaky Blinders. Di solito gli Shelby si rivolgevano a lei solo per il whiskey e per sapere in quale zuffa fosse capitato Finn. Adesso, a dispetto delle sue credenze, aspettava in una lussuosa auto blu insieme a Charlotte Foster.
“Cosa dobbiamo fare di preciso?”
Charlotte le sbuffò il fumo della sigaretta in faccia, ridendo per la sua tosse convulsa. Tossiva anche quando Finn fumava vicino a lei.
“Non sei molto sveglia, ecco perché fai la barista. Dobbiamo distrarre gli uomini che sono appostati fuori dalla villa. Comprendi o devo ripeterlo lentamente?”
Margaret gonfiò il petto per incanalare la rabbia, odiava quei modi di fare altezzosi di Charlotte.
“Guarda che ti comprendo benissimo! Non ho fatto le scuole come te, però non sono mica stupida!”
“Allora forse, e dico forse, ne usciremo vive.” Replicò Charlotte.
“Perché sei sempre così cattiva?” chiese Margaret.
“Sono pragmatica, che è ben diverso. Rischiamo tutti il culo perché la principessina dai riccioli rossi vuole vendicarsi. Inconcepibile!”
Charlotte era stata diffidente sin da dubito. Dopo che Tommy l’aveva assunta, Margaret aveva pensato che potessero diventare amiche, però la ragazza rispondeva a tono e non la degnava di uno sguardo.
“Ariadne non ti piace, giusto?”
“E’ per colpa sua se sono stata picchiata. Ovvio che non mi piace! Anche tu dovresti lasciarla perdere, quella porta solo rogne.”
“Quindi sei qui per Tommy.” Disse Margaret.
Charlotte strinse le mani intorno al manubrio, le nocche stavano sbiancando. Avrebbe voluto andarsene, rifiutare quell’incarico, ma Tommy come al solito l’aveva convinta. Non riusciva mai a dirgli di no.
“Tommy è il mio capo. Faccio quello che mi chiede.”
“Gli uomini Shelby piacciono a tutte. Io ne so qualcosa, fidati.” Disse Margaret.
Le loro bizzarre confidenze furono troncate dall’arrivo di un camioncino grigio da cui scesero Arthur, Tommy e Finn. Charlotte smontò dalla macchina e camminò a braccia incrociate verso di loro.
“All’esterno ci sono quattro uomini. Dobbiamo occuparcene io e la biondina?”
“Tu e Margaret dovrete distrarre solo quelli davanti all’ingresso.” Rispose Tommy.
Dal fondo della strada Ariadne sopraggiunse in bicicletta. Jonah stava indagando sui movimenti degli Scuttlers e aveva preso l’auto, dunque lei aveva dovuto affidarsi alle sue gambe.
“Scusate il ritardo. Ci siamo tutti?”
Charlotte notò che gli occhi di Tommy si era illuminati alla vista di Ariadne. Sebbene lui si sforzasse di restare indifferente, era palese che adorasse avere attorno la rossa.
“Non trovavi la corona, principessina?” la canzonò Charlotte.
Ariadne rise e fece un inchino buffo, trovava davvero divertente quella frecciatina.
“La corona non mi si addice, potrei perderla durante la fuga.”
“Andate da parrucchiere o ci diamo una mossa?” si intromise Tommy.
Arthur e Finn ridacchiarono, come sempre il fratello si trovava in mezzo ad un dramma tutto al femminile.
“Diamoci una mossa, a mezzanotte la bicicletta si trasforma in zucca.” Disse Ariadne.
“Patetica.” Mormorò Charlotte.
Nel frattempo – per sottrarsi a quella scenetta – Tommy si stava togliendo la giacca e la cravatta, poi si avvolse le maniche fino ai gomiti.
“Avete trovato l’occorrente per squagliare il ferro?” domandò Margaret.
Finn estrasse dalla tasca un panno bianco e aprì i lembi per mostrare il contenuto: si trattava di polvere grigia opaca simile alla cenere.
“E’ coke catalico, ottimo combustibile. Ce l’hanno dato i ragazzi della fabbrica a buon prezzo.”
“Come si usa?” chiese Charlotte.
“Me la vedo io. Ariadne, sei pronta?” tagliò corto Tommy.
“No. Proprio per niente.”
“Grandioso. Andiamo.”
Tommy le afferrò la mano e la trascinò verso il retro della villa. Charlotte vide con disappunto che le loro dita automaticamente si incastrarono alla perfezione.
 
Ariadne e Tommy aspettarono all’incirca dieci minuti prima che Julian e Rose attuassero la loro messa in scena. Avevano trovato il finto tombino da cui sbucava il passaggio e permetteva di uscire.
“Dove si trova la camera di Eric?”
“Secondo piano, ultima porta a destra. Prima era la camera di Julian.” disse Ariadne.
Tommy studiò ancora la pianta della villa, non voleva sorprese spiacevoli di nessun genere.
“Com’è il passaggio segreto? Quanto è lungo?”
“E’ un semplice corridoio di circa trenta metri. Non è un granché, devo ammetterlo.”
Tommy usò un martello per sollevare il tombino, dopodiché illuminò il fondo e scorse uno spazio angusto.
“Sei mai entrata qui?”
“No. E’ abbastanza grande per due?”
“Ce lo faremo bastare. Caricheremo Eric sul furgoncino e andremo nel luogo indicato. Ada ci aspetta lì con un medico per visitare Eric.”
Ariadne allungò la mano per toccare la guancia di Tommy, che sollevò lo sguardo confuso su di lei.
“Grazie, Tom.”
“Lo faccio soltanto per gli affari.”
Ariadne fece ricadere la mano, ma in fondo avrebbe dovuto prevedere quella risposta gelida.
“Capisco.”
La testa di Tommy scattò nel momento in cui Julian parcheggiò l’auto nel vialetto. Diede un’occhiata all’orologio da taschino: avevano soltanto venti minuti.
“Scendiamo.”
 
“Puzza come se ci fossero cento cadaveri.” Si lamentò Ariadne.
Si erano calati nel finto tombino con una corda e da lì avevano proseguito velocemente verso il cuore della dimora.
“Cento cadaveri puzzano molto di più.” Confermò Tommy.
“Allora qui ci sono cinquanta cadaveri?”
“Resta concentrata. Cosa c’è dopo il cancello?”
“C’è la cantina. Per entrare nella villa dovremo usare la scalinata. Saremo visibili.”
“C’è di peggio.”
Continuarono in silenzio, soltanto i loro respiri accelerati spezzavano il mutismo. Più avanzavano e più l’ossigeno sembrava diminuire. Qualche metro dopo Ariadne si arrestò di colpo.
“Ecco il cancello.”
“Sposati e copriti il naso.”
Il cancello in questione era un enorme porta a doppio battente in ferro massiccio. Aldilà c’era il giardino, ma lo spessore metallico impediva ai rumori e agli odori di penetrare. Tommy versò il coke catalitico nella serratura e usò l’accendino per dare fuoco alla polvere. In pochi istanti una fiamma bollente avvolse il ferro divorandolo velocemente.
“Questo puzza davvero!” commentò Ariadne.
Lei e Tommy usavano il gomito per tapparsi il naso, però l’odore di ferro bruciato faceva loro pizzicare la gola lo stesso. Il combustibile aveva mangiato la serratura e un pannello, creando un grosso buco nero.
“Prima le signore.” Disse Tommy.
Ariadne si infilò nel buco, peccato che non fosse Alice e che quello non fosse il Paese delle Meraviglie. Attivò l’interruttore e la luce illuminò la cantina. Tommy fece fatica a varcare il cancello, il buco era troppo piccolo e un lembo di ferro gli strappò la manica.
“Julian e Rose sono entrati. Sento i passi.” Disse Ariadne.
Tommy si diede uno sguardo attorno: c’erano sacchi di farina, casse di vino e qualche sella da cavallo. Una porta di legno intarsiato divideva la cantina dal resto della casa.
“Abbiamo poco tempo. Facci strada.”
Si ritrovarono nel corridoio a metà fra la scalinata e lo studio. Un quadro raffigurante due putti faceva bella mostra sulla parete che era poi ornata da candelabri laccati d’oro e foto in bianco e nero. Ariadne osservò una foto in particolare che ritraeva i suoi genitori nel giorno del loro matrimonio; era uno di quei giorni che avevano rovinato la sua vita.
“Da questa parte.”
Arrivarono alle scale facilmente, il corridoio non era sorvegliato come avevano ipotizzato. Salirono veloci senza guadarsi indietro, attenti a non fare troppo rumore. Tommy l’agguantò per il gomito all’ultimo minuto.
“Dove stai andando?”
“A destra verso la stanza di Eric.”
“La porta è sorvegliata. Guarda dietro di te.”
C’era uno specchio ovale sulla parete che rifletteva due uomini armati davanti alla stanza. Ariadne era stata precipitosa, ma la voglia di rivedere suo fratello non doveva rovinare i loro piani.
“Io li distraggo e tu li abbatti.”
“Ariadne, non far-…”
Ma la ragazza si era già tuffata oltre la parete e a Tommy non restava che assecondarla.
 
Julian aveva contato almeno dieci uomini: quattro in giardino che perlustravano il perimetro, due alla porta d’ingresso, due in cucina a difendere la porta sul retro e due di posta davanti alla camera di Eric. A proteggere sua madre come un’ombra c’era Lucius.
“Quindi vi siete fidanzati.” Disse Marianne.
“Esatto. Siamo qui per comunicare il lieto evento.” Replicò Julian.
La madre, vestita di nero e con i capelli castani legati in una severa crocchia, aveva l’espressione statica. I suoi occhi verdi – identici a quelli di Julian – lo guardavano come a voler trovare buchi in quella sua storiella amorosa.
“Hai lasciato questa casa per inseguire tua sorella e ora torni per annunciare il tuo matrimonio. Mio caro Julian, non credere che io sia così sciocca. Cosa vuoi davvero?”
Rose si irrigidì, non era sicura di poter continuare a mentire. Lucius teneva la mano sulla pistola ed era pronto a sparare fino all’ultimo proiettile. Ripensò alla notte in cui Lucius aveva pugnalato Julian, quasi le sembrava di provare la stessa paura. Non poteva perdere l’uomo che amava.
“Ci servono soldi perché sono incinta.”
Julian si strozzò con la sua stessa saliva e iniziò a tossire. Rose gli diede dei colpetti sulla schiena per aiutarlo.
“Già. Aspettiamo un figlio.” Disse lui.
Marianne si toccò la fronte con disperazione, una giornata di sole rovinata da una tale notizia.
“Oh, misericordia! Un ubriacone senza speranze che sta per diventare padre. Rose, ragazza mia, sei a conoscenza delle promiscue inclinazioni di mio figlio?”
“Amo Julian per quello che è. Non mi importa che gli piacciano anche gli uomini.”
Julian strinse la mano di Rose e le sorrise, era una delle poche persone che lo accettavano per la sua vera natura. Con lei non doveva fingere di essere qualcun altro.
“Molto bene. Sono lieta per voi, però non avrete un centesimo da me o da Eric. A meno che…”
Julian colse al volo il sorriso furbo della madre. Marianne Evans sorrideva solo quando la sua mente partoriva idee malefiche.
“Che cosa vuoi, madre?”
“Se voi mi consegnate Ariadne, io vi darò tutto il denaro necessario al bambino.”
Fu allora che Rose sentì un tonfo provenire dal secondo piano; Ariadne e Tommy erano giunti a destinazione. Lucius aveva sentito lo stesso rumore e stava per andare a controllare quando Rose pestò i piedi a terra come una bambina capricciosa.
“No! Io e Julian non accetteremo simili ricatti!” stava strillando.
Julian capì che stava gridando per coprire i rumori, dunque si mise in piedi per aiutarla.
“Madre, tu non ti smentisci mai! Sei una perfida bastarda!”
Marianne non fu scalfita da quelle parole. Lei e Julian avevano un rapporto conflittuale che niente e nessuno avrebbe mai appianato.
“Se Ariadne continuerà a fuggire, sappiate che tutti voi ne pagherete le conseguenze. Io e Mick King vi faremo pentire di essere nati.”
Julian scoppiò in una risata isterica e si abbassò per guardare la madre dritto in faccia.
“La tua esistenza mi fa pentire di essere nato ogni giorno, madre. Sono un ubriacone molto pericoloso, perciò non ti conviene minacciare mia sorella e la mia fidanzata.”
“Sciocco ragazzo. Sei sempre stato un bamboccio debole e perverso.” Grugnì Marianne.
“Augurati che la mia perversione non diventi follia omicida perché in quel caso tu saresti la mia prima vittima.”
 
Ariadne correva senza preoccuparsi del braccio che sfregava contro la parete grezza del passaggio segreto. Dietro di lei Tommy trascinava Eric a fatica. Poiché l’infezione gli aveva debilitato la gamba, Eric non riusciva a camminare bene senza bastone, ma non c’era stato tempo per quello. Tommy aveva tramortito le guardie e Ariadne aveva obbligato il fratello a scendere dal letto. I venti minuti erano scaduti, ecco perché ora correvano per uscire dalla villa.
“Siamo arrivati. Tieni duro, Eric.” Disse Ariadne.
La corda che avevano usato per calarsi nel finto tombino era ancora là, ciò significava che Margaret e Charlotte erano riuscite a distrarre gli uomini all’esterno.
“Ariadne, aiutami a legare la corda.” Disse Tommy.
Ariadne circondò la vita di Tommy con la corda, annodò per bene e la tirò per assicurarsi che fosse salda.
“Come saliamo?”
“Dopo che sarò uscito, legherai Eric e io lo tirerò fuori. Alla fine aiuterò te a uscire.”
“Va bene.”
Tommy avrebbe voluto dire altro, magari abbracciarla o baciarla, ma Eric gemeva di dolore ed era meglio farlo visitare dal medico. Si arrampicò con i piedi lungo la parete e con la braccia si spinse fuori dal tombino.
“Ti butto la corda.”
Ariadne afferrò la corda per legarla ai fianchi di Eric, il quale stava sudando freddo e stava diventando sempre più pallido.
“Eric, resta sveglio. Tra poco rivedrai Barbara e Agnes.”
“G-grazie.” Sussurrò Eric.
Ariadne gli diede un bacio sulla guancia e fece segno a Tommy di tirare.
“Salve, bambolina.” Disse Lucius.
La speranza di cavarsela illesa era appena sfumata. Lucius teneva la pistola puntata su di lei, e lui era un ottimo tiratore.
“Lucius Russel, il traditore per eccellenza.”
“Anche tu sei in fila per l’inferno. Come Julian, Eric e chiunque si opponga a tua madre.”
Ariadne si mise le mani dietro la schiena e richiuse le dita intorno alla pistola che Jonah le aveva dato quella mattina.
“L’inferno è di certo più accogliente di questa casa.”
“Non fare la stupida. Metti le mani in alto.” Disse Lucius sorridendo.
Ariadne sguainò la pistola e prese la mira come le aveva insegnato Jonah. Senza indugiare – e con agilità impressionante – sparò. Lucius si abbassò e schivò il colpo, un ghigno malizioso sulle labbra baffute.
“Sei come uno scarafaggio, Lucius. Non muori mai.”
Qualcosa cadde sulla spalla di Ariadne: era Tommy che le aveva lanciato la corda. Si aggrappò con un solo braccio mentre con l’altro teneva la pistola su Lucius.
 
Tommy e Arthur issarono Ariadne in pochi secondi. Uno sparò risuonò prima che lei fosse in superficie. La ragazza si riversò sull’asfalto con i ricci rossi spettinati.
“Ce ne avete messo di tempo!”
Arthur si accorse subito che Ariadne stava sanguinando dal polpaccio. La rimise in piedi e la tenne fra le braccia.
“Tommy, dobbiamo andare.”
Tommy seguì lo sguardo del fratello e imprecò sottovoce. Ariadne era stata colpita dal proiettile.
“Come ti senti, Ariadne?”
Se fino ad allora Ariadne si sentiva bene, l’agitazione di Tommy la mise in allarme.
“Oh, no. Hai la faccia preoccupata e tu non hai mai la faccia preoccupata. Che succede?”
Un forte capogiro la costrinse a tenersi alla camicia di Arthur. Di colpo le si appannò la vista e lo stomaco si contorse dolorosamente.
“Hai un proiettile nel polpaccio. Non possiamo andare in ospedale. Dobbiamo rimuoverlo mentre andiamo da Ada.”
 
Margaret non aveva mai immaginato uno scenario del genere, neanche nei peggiori dei suoi incubi. Arthur l’aveva trascinata nel retro del furgoncino e lei aveva subito notato una striscia di sangue sul pavimento.
“Finn, parti! Parti!” sbraitò Arthur.
Finn mise a tutto gas e sfrecciò per allontanarsi dalla strada il prima possibile. Dallo specchietto vide l’auto di Charlotte che li seguiva a gran velocità.
“Margaret, devi estrarre il proiettile.” Disse Tommy.
Sebbene la sua voce fosse ferma, continuava a deglutire in preda all’ansia. Le sue mani tremavano e non era in grado di estrarre il proiettile, ecco perché aveva richiamato la cognata.
“Farò del mio meglio. Avete un coltellino?”
“Che diamine devi farci con un coltello?” strillò Ariadne in lacrime.
Il dolore della ferita si era propagato in tutto il corpo. Le sembrava di essere stata folgorata da un fulmine e che tutti i muscoli vibrassero per la scarica. Sanguinava copiosamente, una pozza rossa si accumulava sul pavimento lercio del furgone.
“Mi serve per tirare fuori il proiettile. Fidati di me. Non ti farei mai del male.”
“Margaret ha rattoppato i Peaky Blinders un centinaio di volte.” La incoraggiò Arthur.
Ariadne si era accucciata in un angolo con le gambe distese, era talmente sudata che i capelli le si appiccicavano sulla fronte e sul collo. Tommy si inginocchiò accanto a lei per stringerle la mano.
“Farà molto male, ma tu dovrai resistere. Stringimi la mano quando senti dolore.”
“No! No! No! Non ce la faccio! Non ce la faccio!”
Intanto Arthur le teneva la gamba piantata per terra e con una mano le spingeva la spalla contro la parete del furgoncino.
“Smettila di frignare e fatti levare questo fottuto proiettile. Tira fuori le palle!”
“Non ho le palle, Arthur!” ribatté Ariadne, stizzita.
Tommy si sentiva male. Non sapeva per quale dannato motivo stava male solo a guardarla. Vederla soffrire, vedere il sangue e la sua pelle bianca gli procurava un sussulto violento al cuore. Ariadne era giovane, meritava pomeriggi in biblioteca e balli eleganti, non meritava di essere sparata e di sanguinare durante una fuga rocambolesca.
“Sta calma. Presto sarà tutto finito.” Disse Tommy.
“Col cazzo che mi calmo! Ho un proiettile conficcato nella carne!”
“Adesso non più.” Disse Margaret con un sorriso.
Aveva estratto il proiettile mentre Arthur e Tommy la distraevano. Aveva le mani sporche di sangue e reggeva il corpo estraneo fra indice e pollice.
“Alla salute!” disse Arthur.
Stappò la sua fedele fiaschetta – quella che portava sempre con sé – e versò alcune gocce di whiskey nella ferita. Il resto lo bevve in poche sorsate.
“Come ti senti?” volle sapere Tommy.
Ariadne sentì montare un conato di vomito, poi ebbe un altro capogiro che la obbligò a chiudere gli occhi. Svenne fra le braccia di Tommy.
“Non è andata male!” esclamò Margaret con entusiasmo.
 
Ariadne si svegliò con un terribile mal di testa. La stanza vorticò per qualche istante prima di riuscire a mettersi seduta. Si trovava in una stanza ben arredata, la carta da parati era nuova e lucida, anche il pendolo che ritoccava era nuovo di zecca. Era stesa a letto, avvolta in una calda coperta e con la nuca posata su un morbido cuscino. Una fitta di dolore risalì lungo la gamba facendole ricordare il proiettile nel polpaccio. Adesso la zona interessata era fasciata da una benda e il sangue era stato lavato via, sebbene ne rimanesse traccia sull’orlo dei pantaloni.
La porta si aprì e fece capolino il bel viso di Margaret.
“Bentornata, amica. Come stai?”
“Mi fa male tutto, però non male come mi aspettavo.” Rispose Ariadne.
“Il dottore che ha visitato Eric ti ha fasciato la gamba e ti ha somministrato delle morfina per il dolore.”
Ariadne si massaggiò le tempie pulsanti, era come avere un martello che le frantumava il cranio.
“Mi viene da vomitare.”
“E’ normale. E’ colpa dello shock. Non tutti vengono sparati.” Disse Margaret.
“Eric come sta? Che dice il dottore?”
“Eric se la cava. Un po’ di morfina anche a lui ha giovato. Vuoi alzarti?”
“Sì, per favore. Devo usare il bagno.”
Ariadne si sciacquò la faccia con l’acqua fredda per scacciare la stanchezza. Non servì a molto poiché si sentiva più affaticata di prima. Aveva due cerchi neri intorno agli occhi, le labbra secche, i capelli umidi di sudore.
“Ariadne, hai finito?”
Margaret l’aspettava fuori con un sorriso gentile; era davvero l’unica amica di cui poteva fidarsi.
“Certo, ho finito di ammirare la morta vivente allo specchio.”
“Sei bellissima lo stesso.”
Ariadne diede una spallata amichevole a Margaret e le fece l’occhiolino.
“Ho sete. Posso bere qualcosa o…”
“Andiamo di sotto, in cucina c’è del tè. Gli altri saranno contenti di vederti.”
 
Tommy sedeva davanti alla finestra con sguardo perso. Aveva ancora le mani sporche del sangue seccato di Ariadne, e ora anche la sigaretta che fumava era striata di rosso. C’era qualcosa – un brutto presentimento – che lo dilaniava dentro. Dov’era Michael? Perché era in ritardo? Ormai era sera inoltrata e il cugino avrebbe dovuto presentarsi al nascondiglio due ore prima.
“Sei viva, eh?” disse Arthur.
Tommy si girò e vide Ariadne che zoppicava sulla gamba sana per accasciarsi sul divano. Ada prontamente le versò una tazza di tè.
“Ecco, bevi questo. Per essere stata sparata stai una favola.”
Ariadne incrociò gli occhi di Tommy, per un secondo esistevano solo loro. Fu lui a distogliere lo sguardo per primo per timore che lei, se lo avesse guardato ancora, avrebbe visto il terrore che aveva provato quando le avevano sparato.
“Ma che diavolo…?” borbottò Charlotte.
“Che c’è?” chiese Ariadne, la voce tesa.
Tutti trattennero il respiro quando giunsero ripetuti colpi alla porta. Qualcuno stava bussando. Ci fu un generale – e nervoso – scambio di occhiate.
“Vado io.” Disse Tommy.
Ariadne e Arthur lo seguirono, con lui che reggeva la ragazza claudicante.
“Buonasera.”
Enea Changretta stava sull’uscio con il cappello in mano e un sorriso furbo sulle labbra.
“Che vuoi?” fece Arthur.
“Sono qui per dirvi che Mick e Marianne vogliono parlare con Ariadne e Tommy. Prima che possiate rifiutare o ammazzarmi, sappiate che abbiamo rapito Barbara, Agnes, Lizzie, Charlie e Ruby. Per darvi prova della nostra benevolenza vi lasciamo un regalo di pace.”
Un uomo di Changretta spinse fuori dalla macchina un corpo che ricadde sulla breccia.
“Michael!” disse Ada dalla finestra.
Enea lanciò un’occhiata al corpo scomposto di Michael e fece spallucce.
“Vi aspettiamo domani mattina al Sirens, il locale degli Scuttlers.” 
 
Salve a tutti! ^_^
Mi piaceva troppo l’idea di una evasione rocambolesca con tanto di sparatoria e battutine.
E come al solito Ariadne e Tommy hanno fallito.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*le indicazioni sulla fusione del ferro e sul coke catalitico sono vere, mi sono informata.

 

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Capitolo 9
*** Tutto è tenebra ***


9. TUTTO E’ TENEBRA

“Nei miei accessi di ottimismo, io mi dico che la mia vita è stata un inferno, il mio inferno, un inferno di mio gusto.”
(Emil Cioran)
 
Il giorno dopo
Ariadne si abbottonò la camicetta e calzò le scarpe, poi si legò i capelli con un fermaglio. Poche ore prima Jonah l’aveva raggiunta e aveva portato dei vestiti puliti sia a lei sia a Tommy. Si era fatta un bagno caldo e aveva sfregato per bene la pelle nel tentativo di rimuovere sangue, sudore e sporco. Aveva cambiato la benda al polpaccio dopo aver disinfettato la ferita, dopodiché si era seduta sul letto per qualche minuto. Era stanca dopo una notte insonne, ma non aveva il lusso di fermarsi. Prese un respiro e scese in cucina per mettere qualcosa sotto i denti.
“Buongiorno.” La salutò Finn.
Margaret era ai fornelli – cucinare era un’ottima distrazione – e aveva preparato una ciotola di porridge per tutti. Ariadne prese la sua ciotola e si mise a tavola a mangiare in silenzio. Quando ebbe finito tutta l’avena, si pulì la bocca con un tovagliolo e bevve una tazza di tè.
“Era tutto buono. Grazie, Margaret.”
“Figurati. Ora preparo un vassoio per tuo fratello, così glielo porti tu.”
Ariadne entrò nella stanza provvisoria di Eric con un vassoio colmo di porridge, tè e biscotti al miele che Jonah aveva comprato lungo la strada. Il fratello si illuminò quando la vide.
“La mia splendida sorellina.”
Ariadne, che aveva soppresso troppe emozioni, poggiò il vassoio sul comodino e si gettò fra le braccia di Eric.
“Mi sei mancato tantissimo. Mi dispiace per tutto.”
Eric le accarezzò la schiena e le baciò i capelli, proprio come quando era bambina e faceva un brutto sogno.
“Shh, va tutto bene. Non è colpa tua. Sono stato io quello a voltarti le spalle. Avrei dovuto capirlo prima che nostra madre non si ferma davanti a niente.”
Ariadne si tirò indietro con le guance bagnate di pianto, si asciugò con le maniche del cardigan e si schiarì la voce.
“A proposito di nostra madre… c’è una cosa che devo dirti, Eric.”
“Parla pure.”
“La tua madre naturale si chiama Doris. Lei soffre di schizofrenia e i nostri genitori l’hanno rinchiusa in un manicomio. Marianne e Philip sono i tuoi zii. Io e Julian siamo i tuoi cugini.”
Eric non disse nulla. Fissava la parete di fronte come se fosse incantato. Si ridestò quando Ariadne gli toccò la guancia.
“Eric…”
“Sono felice di sapere che Marianne non è davvero mia madre.”
Ariadne era sbigottita. Si era immaginata una scena tragica con lui che piangeva e si disperava, invece sembrava che Eric avesse trovato un lato positivo.
“Io e Julian non abbiamo la stessa fortuna.”
“Mi dispiace per voi.”
“Parlando di me e Julian, sappi che noi siamo la tua famiglia. Tu sei nostro fratello a prescindere dai legami di sangue. Io sono tua sorella e lo sarò sempre.”
Eric le accarezzò il mento e le diede un buffetto sul naso, era sempre stato affettuoso con lei.
“Per me è lo stesso. Neanche la perfida Marianne potrà cambiare il mio affetto per voi.”
Ariadne lo abbracciò di nuovo, stringendolo come se fosse l’unico scoglio in mezzo alla tempesta.
“Abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto. Marianne ha preso in ostaggio Barbara e Agnes e la famiglia di Tommy. Tu conosci i suoi piani? Sai qualcosa che possa esserci utile?”
“Purtroppo no. Le mie condizioni di salute mi hanno obbligato a letto da mesi. Non prendo parte agli affari da molto tempo.”
“Troveremo un altro modo per riportare Barbara e Agnes a casa.”
“Sei cambiata, Ariadne. Hai lo sguardo spento.” Disse Eric.
“Suppongo che lottare contro la propria madre sia estenuante e che abbia delle conseguenze.”
“Stai sacrificando tutto per questa crociata. Ne vale la pena?”
Ariadne guardò fuori, verso il sole che timidamente illuminava la campagna. Invidiava quella tenue luce che ormai dentro di lei si andava affievolendo. Era una candela con la fiamma che stava finendo l’ossigeno; presto si sarebbe estinta.
“Io ho commesso un grave errore che ha scatenato la rabbia di nostra madre.”
“Lo so.”
“C-c-ome… tu…?”
Eric annuì, era meglio mettere le carte in tavola prima che la partita giungesse al termine.
“Sei scappata a Londra la notte che nostro padre è morto. Non sei neanche venuta al suo funerale. Non sei mai andata a piangere sulla sua tomba. Come era possibile che una figlia non soffrisse per il padre? Negli anni ho riunito i tasselli e tutto è diventato chiaro.”
“Eric, sono mortificata. Avrei dovuto… io non sapevo come comportarmi e… avevo paura.”
“Ehi, non ti devi scusare. Nostro padre era uno stronzo che meritava quella fine. Ci picchiava, picchiava la mamma e ha comandato le nostre vite. Io volevo lavorare in banca, invece lui ha voluto che io continuassi con i Blue Lions.”
Ariadne ricordava bene lo schiaffo che aveva ricevuto quando si era rifiutata di prendere un bicchiere per il padre. Era una bambina e la credenza era troppo alta, ma a lui non importava e l’aveva colpita in piena faccia.
“Quella notte ha picchiato Julian per averlo scoperto che aveva baciato un ragazzo. Io ho agito d’istinto! Se solo potessi tornare indietro non lo rifarei. Il mio gesto ha distrutto le nostre vite.”
“Ma ora sei qui, Aria. Hai rinunciato all’Accademia d’Arte. Hai rinunciato a Londra. Hai rinunciato all’amore. Tutto questo solo per me e Julian, per Barbara e Agnes. Tu sei la nostra eroina.”
Ariadne scoppiò di nuovo a piangere. Finalmente buttava fuori tutte le lacrime che nei messi precedenti si erano accumulate nel petto.
“Troverò una soluzione. Te lo prometto, Eric.”
Eric le baciò ripetute volte i capelli mentre l’abbracciava e lasciava che piangesse sulla sua spalla.
“Lo so, piccola mia. Lo so.”
 
Ariadne si sciacquò la faccia due volte prima di calmarsi definitivamente. Doveva dominare le emozioni, aveva bisogno di essere lucida per sopravvivere a quella giornata. Tornò in camera e vide la porta semiaperta. Alla finestra c’era Jonah che osservava la sconfinata campagna che circondava quel casolare.
“Jonah, è successo qualcosa? Non sono in vena di altre brutte notizie.”
“Mi dispiace, signorina, ma sono un ambasciatore che porta pena.”
Ariadne non sapeva se ridere o piangere, ormai non faceva più alcuna differenza.
“Avanti, parla.”
Jonah camminò avanti e indietro nella stanza, le mani dietro la schiena e l’espressione assorta.
“Birmingham è assediata dagli uomini di Enea Changretta. Small Heath è sotto il comando degli Scuttlers. E la nostra distilleria a Camden Town è stata assalita dai Blue Lions.”
“Diamine! Abbiamo perso qualche uomo? Come stanno i nostri lavoratori?”
“Stanno tutti bene. Changretta ha detto che andranno via dopo che voi e Tommy avrete incontrato Mick e Marianne.”
Ariadne si portò le mani ai fianchi e chiuse gli occhi, doveva soffocare quella vocina dentro di sé che le suggeriva di scappare via il prima possibile. La sua famiglia, i suoi amici, Tommy, avevano bisogno di lei.
“Ascoltami, Jonah: Julian e Rose si nascondono in una pensione nella periferia di Birmingham. Va da loro, racconta quanto sta succedendo e tienili al sicuro. Capito?”
“Li scorterò a Margate, poi tonerò da voi.” Disse Jonah.
“No. Poi prenderai Eric e lo porterai in un altro posto sicuro. Eric e Julian dovranno stare in due posti separati.”
“E poi tornerò per voi. Giusto?”
Ariadne sorrise e mise le mani sulle spalle di Jonah, malgrado la differenza di altezza.
“Non tornerai per me. Tornerai a Margate e ti nasconderai con Alfie. Nessuno deve farsi male a causa mia. Voglio tutte le persone che amo lontane da Birmingham.”
“Signorina, ma…”
“Devi lasciarmi andare, Jonah. Sei il mio più fidato amico. E’ grazie a te se sono arrivata fin qui. Ora, però, devi fare ciò che ti dico per l’ultima volta.”
Jonah aveva gli occhi lucidi di lacrime ma non pianse, del resto doveva pur mantenere una parvenza da falco.
“E’ stato un onore immenso stare al tuo fianco, Ariadne.”
Ariadne si issò sulle punte e lo abbracciò. L’aveva chiamata per nome e questo significava che le voleva davvero bene. Una volta Jonah le aveva detto che usare il nome di una persona implica complicità, dunque erano arrivati a quello stadio della loro amicizia.
“Stammi bene, Jonah.”
 
Tommy aveva perso il conto delle sigarette che aveva fumato nelle ultime otto ore. Venti. Cinquanta. Cento. Ad un certo punto aveva smesso di pensarci. Era nervoso, arrabbiato e deluso da se stesso. Aveva studiato ogni dettaglio, aveva previsto ogni contrattempo, eppure non aveva calcolato la sua famiglia. Ariadne notò come le dita di lui si serrarono sul manubrio.
“I tuoi figli stanno bene. Mia madre sarà anche pazza, ma non farebbe mai del male ai bambini.”
“Quanta fiducia in tua madre.”
“Non la definirei fiducia. Più che altro so che non ferirebbe mai dei bambini, soprattutto perché lì ci sono mia nipote Agnes e Barbara è incinta.”
“Quindi convinceremo tua madre perché ha pietà dei bambini?”
Ariadne sbuffò, odiava lo scherno nella voce di Tommy. Era una situazione difficile per tutti, non era necessario farsi la guerra a vicenda.
“Sentiamo prima la loro proposta, poi decidiamo. Sei ancora con me?”
“Sì.” Rispose Tommy.
“Grazie.”
Il tragitto proseguì senza chiacchiere. Ognuno se ne stava per conto proprio, non avevano voglia di perdersi in banali chiacchiere. Superato l’ingresso a Birmingham, Ariadne si agitò sul sedile e si morse le labbra.
“Non farti venire un altro attacco di panico.” Disse Tommy.
“Non preoccuparti per me, non ti si addice.” Replicò lei.
Tommy sollevò il sopracciglio con fare interrogativo. Non capiva il motivo di quella risposta tagliente. Certo, fra di loro non c’era amore, ma comunque c’era un sentimento di affetto.
“Non mi preoccuperò se ti mancherà di nuovo l’aria, d’accordo.”
“Non fingere che ti importi davvero di me. Per te si tratta solo di affari e di divertimento occasionale.”
Ariadne andava a briglia sciolta. Era stufa di tenersi tutto dentro perché sentiva di sta covando una rabbia che non le piaceva. Almeno con Tommy poteva sfogarsi.
“Sei incazzata e te la prendi con me. Ho capito.”
“Sì, sono incazzata. Però è vero quello che ho detto. A parte la mia famiglia e Jonah, io sono sola.”
Tommy sospirò, non sapeva nemmeno come fossero finiti invischiati in quell’assurda conversazione sentimentale.
“Non sei sola.”
“Ci sei tu a tenermi la mano? Beh, che magra consolazione.”
“Mi spieghi che cazzo hai? Stai dando i numeri.”
Ariadne girò la testa verso il finestrino per non mostrare lo sguardo lacrimoso. C’era questa dolorosa sensazione che le faceva contorcere lo stomaco. Avvertiva il pericolo come una mano invisibile che le bloccava il respiro.
“Sto bene. Non insistere.”
Tommy non disse altro, non voleva infastidirla più di tanto. Si accese un’altra sigaretta e guidò in direzione della villa.
 
Marianne Evans stava bevendo il tè quando il maggiordomo annunciò l’arrivo di Tommy e Ariadne.
“Falli accomodare pure. Ah, Mark, prepara altro tè per gli ospiti.”
“Come desiderate, signora.”
Un olezzo di campagna invase il salotto quando Ariadne entrò al fianco di Tommy. Erano una bella accoppiata: capelli rossi e capelli neri, occhi d’ambra e occhi azzurri; parevano angeli caduti realizzati da una mente artistica demoniaca.
“Ariadne, noto con disappunto che sei ingrassata. Hai i fianchi così gonfi!”
“Hai indetto l’incontro per insultarmi? Mi aspettavo di più.” Disse Ariadne.
“Dove sono mia moglie e i miei figli?” chiese Tommy.
Marianne abbassò la tazzina per guardarlo come se le avesse rivolto un’offesa.
“Che maleducazione! Quando una vecchia signora vi invita per il tè, ci si siede e si conversa.”
“Io vedo solo una vecchia.” Borbottò Ariadne.
Lei e Tommy presero posto sul divano, le loro ginocchia e le loro braccia si sfioravano abbastanza da condividere un pizzico di calore.
“Ci siamo seduti. Ora dimmi dove si trova la mia famiglia.” Disse Tommy.
“Non te lo dirà. Vuole giocare al gatto e al topo.” Disse Ariadne.
Marianne sorseggiò altro tè nascondendo un sorriso beffardo dietro la tazza.
“Sono impressionata dalle tue capacità intellettive. Credevo fossi del tutto stupida.”
Ariadne non fece una piega. C’era rimasta male ma non lo diede a vedere. Mostrarsi ferita avrebbe solo invogliato la madre a perseverare, tanto meglio cessare il fuoco appena nato.
“Intendi che non sono stupida e pazza come Doris?”
Tommy scorse un’ombra oscurare il volto di Marianne. Se prima sorrideva, adesso la bocca era una linea dura.
“Beh, da qualcuno la pazzia devi pur averla ereditata. Come quei dannati capelli rossi!”
“Quindi mi odi per via dei miei capelli?”
Marianne le lanciò un’occhiata carica di disprezzo, non vi era in lei una braciola di affetto materno.
“I tuoi capelli e le tue lentiggini sono evidenti segnali. Non puoi sfuggire al tuo destino.”
“Segni di cosa?” domandò Tommy.
“Segni del diavolo.” Spiegò Ariadne.
“Padre Bruce lo dice sempre che i rossi di capelli non hanno anima.” Disse Marianne.
Ariadne sospirò, avevano affrontato quella questione più e più volte fino allo sfinimento. Da bambina di solito scoppiava a piangere e si faceva consolare da Eric, ma con gli anni aveva imparato a non ascoltare gli insulti.
“Padre Bruce ha quasi cento anni e crede che i demoni esistano. Direi che non è una fonte attendibile.”
“Lui avrà pure cento, ma quando sei nata un fulmine ha colpito la cattedrale. Coincidenze? Non credo.”
Marianne Evans era da sempre una timorata religiosa. La chiesa era la sua seconda casa. Sin da ragazzina leggeva la Bibbia tutti i giorni, pregava e andava a messa tutte le sere. Ariadne e Julian da piccoli erano costretti ad andare con lei per ascoltare le pesanti – e superstiziose – omelie di Padre Bruce.
“I fulmini sono fenomeni naturali, madre. Non ho il controllo anche sulla natura!”
Tommy non ne poteva più di quel battibecco tra madre e figlia, era come assistere ad una partita infinta di tennis in cui la palla va avanti e indietro senza sosta.
“Possiamo concentrarci? Io rivoglio ciò che è mio.”
“La dignità non può ridartela nessuno.” Replicò Marianne.
“La mammina ha imparato a usare il sarcasmo. Lodevole!” disse Ariadne battendo le mani.
Il maggiordomo entrò trafelato e Marianne fu l’unica ad averlo sentito.
“Sì?”
“Signora, il vostro ospite è qui. Lo faccio accomodare?”
“Assolutamente.”
Pochi istanti dopo Mick King faceva il suo ingresso a passo baldanzoso. In vita portava la tipica cintura di cuoio degli Scuttlers munita di pistola. Si era pettinato i capelli castani all’indietro, sulle tempie vi erano accenni di grigio. Era rasato e indossava un completo nuovo, ma le sue mani rovinate chiarivano il suo status sociale.
“Buongiorno. Perdonate il ritardo, stavo pestando un tizio che non mi ha restituito i soldi. Avevo bisogno di un cambio d’abito, sarebbe stato sconveniente presentarsi con le macchie di sangue sulla camicia.”
Ariadne diventò un pezzo di ghiaccio. All’improvviso sentiva freddo e i peli sulle braccia si erano rizzati.
“Dove sono Barbara, Lizzie e i bambini? Siamo qui per loro.”
“Non fateci perdere altro tempo.” Aggiunse Tommy.
Mick si andò a sedere accanto ad Ariadne e le mise un braccio sulle spalle per avvicinarla a sé.
“Vedi, principessa, siete qui per trattare il loro rilascio. Non credevate mica che avremmo riconsegnato gli ostaggi facilmente?”
“Che cosa vuoi da noi?” chiese Tommy.
Marianne e Mick si scambiarono uno sguardo eloquente, menti diaboliche comunicano intenzioni diaboliche.
“Io e Marianne vogliamo quello che cerchiamo dall’inizio: Ariadne.”
La ragazza si staccò da lui e si alzò in piedi, il ginocchio toccava ancora quello di Tommy.
“Perché siete ossessionati da me? Mia madre mi odia e tu potresti avere tutte le donne che vuoi!”
“Perché hai fatto la cattivella e meriti una punizione.”
“Volete picchiarmi? Volete uccidermi? Va bene! D’accordo! Basta che lasciate andare le nostre famiglie.”
Mick squadrò Ariadne da capo a piedi, leccandosi le labbra come se fosse un arrosto succulento. Con la punta della scarpa le diede un colpetto giocoso alla coscia.
“Ti piace essere picchiata, principessa? Interessante.”
Tommy scattò come una molla e afferrò il polso di Ariadne per allontanarla da Mick.
“Finiscila con queste stronzate. Non devi toccarla.”
Mick prima aggrottò la fronte e poi sorrise come se avesse ricevuto l’illuminazione divina.
“Tu l’hai già toccata, vero? Sei proprio uno stronzo con le mani lunghe!”
Marianne emise un verso di disgusto. Aveva ribadito l’importanza di arrivare illibata al matrimonio, ma ormai la virtù della figlia era scomparsa in modo irreparabile.
“Mick, malgrado la scoperta, l’accordo è ancora valido?”
“Quale accordo?” intervenne Tommy.
Mick si chinò su Ariadne per annusarla, passandole la punta del naso sul collo. Lei lo spinse via dandogli uno schiaffo sulla spalla.
“Vaffanculo! Non toccarmi!”
“Profumi di bergamotto. Mi fa impazzire.” Sussurrò Mick, sorridendo.
Tommy avvertì come una bastonata in testa quando capì lo scopo di quell’incontro. La verità gli era sempre stata un passo avanti ma se ne rendeva conto soltanto adesso.
“Che pezzi di merda. Fottuti pezzi di merda!”
“Finalmente hai capito. Credevo non ci saresti mai arrivato.” Sbottò Marianne.
Ariadne guardò Tommy, non capiva ed era spaventata. Si sentiva una barca in balìa delle onde selvagge.
“Che cosa hai capito? Tom?”
“E’ un contratto di matrimonio. Tua madre ti sta cedendo in sposa a Mick.”
“Bingo!” esultò Mick.
“Madre…”
“Suvvia, non fare così. Sei una ragazza forte, Ariadne. Devi sacrificarti per la famiglia.”
Qualcosa dentro Ariadne andò in mille pezzi. Un dolore disumano si fece spazio in lei cancellando ogni speranza. Era un dolore nero, amaro, straziante. Tutto era diventato tenebra.
“Quale debito hai nei confronti di Mick?” domandò Tommy.
“Non sono affari tuoi. E’ una faccenda di famiglia.” Rispose Marianne, piccata.
“Esci, Tommy. Devo parlare da solo con Ariadne.” disse Mick.
“Non ti lascio con lei. Resto qui.”
Ariadne lesse una furia terrificante negli occhi neri di Mick, dunque rivolse un sorriso finto a Tommy.
“Aspettami in macchina, Tommy. Arrivo subito. Per favore.”
Tommy annuì e le diede una pacca sulla spalla prima di lasciare la villa. Lui andava via e trascinava con sé la felicità della ragazza.
Mick accarezzò il mento di Ariadne e poi strinse tanto forte da obbligarla a guardarlo in faccia.
“Hai ventiquattro ore di libertà, dopodiché accetterai la mia proposta di matrimonio e verrai con me. Se provi a scappare, se ti fai aiutare da qualcuno, sta certa che ammazzerò tutti quelli a cui vuoi bene. Hai capito, principessa? Il loro sangue sporcherà le tue belle manine.”
Tu sei il mare impetuoso o la sabbia ferma?, le aveva chiesto Alfie.
Ripensò ad una frase di William Blake e trovò la risposta a quella domanda: lei era il ruggito di un leone, l’ululato di un lupo, il furore del mare in tempesta e una spada distruttiva.
“Ho capito.”
 
“Tu sei sicura?”
“Mia madre ha detto che Barbara e Lizzie sono al Sirens.” Ribadì Ariadne.
Tommy guidò verso il quartiere di Aston più in fretta che poté, beccandosi imprecazioni dagli automobilisti che sorpassava.
“Cosa voleva Mick da te? Dimmelo.”
“Ha detto che Eric deve tornare là.” Mentì lei.
Non voleva che Tommy sapesse la verità, o almeno per il momento. Voleva godersi le ultime ore di libertà senza pressioni.
“Solo questo? Ariadne, se lui ti ha fatt-…”
“Sto bene. Mick non mi ha fatto niente. Anzi, mi ha irritata con tutte le sue chiacchiere.”
Tommy la vide sorridere, era serena, eppure c’era qualcosa che la turbava.
“Me lo diresti se fossi nei guai? Siamo soci.”
“Sì.”
Da lì in poi Ariadne continuò a fissare la strada come un segugio in cerca di tracce. Avrebbe voluto piangere e urlare, dunque trovò un modo per controllarsi.
“Siamo arrivati.” Annunciò Tommy.
Il Sirens di mattina era aperto solo agli addetti alle pulizie e alle ragazze che si preparavano per la serata. Un paio di ubriaconi dormivano sulle scale del locale.
“Papà!” strillò una vocina dalla finestra.
Tommy alzò la testa e vide il piccolo viso rotondo di Charlie. Lo salutò con la mano.
“Adesso salgo. Aspettatemi lì.”
Ariadne stava già salendo la tromba delle scale, i tacchi spezzavano il silenzio dell’edificio. Non sbuffava, non parlava, non rideva, e questo mise Tommy in allarme.
“Non sembri stare bene, Ariadne.”
“Sto bene. Hai visto a quale finestra si affacciava Charlie?”
“Al terzo piano.”
Ariadne camminò spedita, la testa alta e la schiena dritta. Tommy la seguiva perché era lei a conoscere meglio il posto.
“Barbara? Lizzie?” gridò Ariadne.
“Zietta!”
Una porta si spalancò e Agnes corse incontro alla zia con i fiocchi che scivolavano via dai capelli. Anche Ruby e Charles corsero dal padre. Tommy li abbracciò e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“State bene?”
“Sì. Ruby piangeva perché aveva paura ma io l’ho protetta.” Disse Charlie tutto fiero.
“Sei un ometto coraggioso.” Si complimentò Tommy.
Ariadne affondò il naso fra i lunghi capelli della nipote, aggrappandosi a lei con tutte le forze.
“Mi sei mancata così tanto, tesoro.”
“Anche tu mi sei mancata, zia. Lo sapevo che saresti venuta a prendermi.”
Ariadne le accarezzò le guance paffute e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Io verrò sempre a prenderti, Agnes. Ti voglio bene.”
Intanto anche Barbara e Lizzie si erano riversate in corridoio. Erano entrambe stanche, soprattutto Barbara col suo pancione.
“Eric è salvo?”
“E’ al sicuro, tranquilla. Lo incontrerete presto.” Disse Ariadne.
Con la coda dell’occhio vide che Tommy stava abbracciando Lizzie e che le stava baciando la guancia. Un nodo alla gola le impedì di respirare, poi ricordò a se stessa di restare forte.
“Lizzie, stai bene? Mi dis-…”
Lizzie schiaffeggiò Ariadne in pieno volto. La pelle si arrossò subito e con essa sopraggiunse il formicolio del dolore.
“Adesso sto meglio.”
Ariadne rimase ferma, l’espressione immobile, mentre la guancia diventava più rossa.
Era questo che la vita aveva in serbo per lei? Schiaffi, tradimenti e inganni? Era un circolo vizioso di sofferenze. Era l’inferno in terra.
 
 
Ariadne non era davvero presente. La sua famiglia chiacchierava, rideva, mangiava. Lei se ne stava seduta con gli occhi fissi sul vino rosso. Si sentiva fredda e vuota, una parte di lei era andata distrutta dopo l’incontro con Mick. Sapeva di non avere più scampo. Ogni tentativo di fuga era inutile. La sua famiglia non doveva pagare per le sue colpe.
“Aria! Aria, ci sei?” la punzecchiò Julian.
Lei annuì distrattamente e sorrise, lo faceva in maniera meccanica. Il suo corpo si muoveva e la sua mente restava bloccata.
“Sono qui. Domani, invece, non ci sarò più.”
“In che senso?” chiese Eric.
“Torno a Londra a studiare presso l’Accademia d’Arte.”
Applausi e schiamazzi scossero l’allegra tavolata. Rose versò da bere a tutti, eccezione fatta per Barbara che brindò con l’acqua.
“In alto i calici per Ariadne, ragazza maldestra e sorella terribile!” scherzò Julian.
Ariadne si stampò in faccia un sorriso e bevve il vino. Aveva inventato quella bugia per giustificare la sua assenza. Non voleva che i fratelli la salvassero a rischio di essere uccisi. Ogni decisione che prendeva ora mirava a difendere la sua famiglia.
“Grazie a tutti. Colgo l’occasione per dirvi che voglio bene a ciascuno di voi. Voglio bene al serio Eric. Voglio bene al divertente Julian. Voglio bene alla dolce Barbara. Voglio bene alla meravigliosa Rose. Voglio bene alla mia piccola Agnes e anche al bambino che verrà al mondo. Per otto anni sono stata lontana da voi, ma ora sono tornata e intendo onorare ogni giorno il bene che provo per tutti voi.”
“Oh, ma come sei tenera!” disse Rose, commossa.
“E’ colpa del vino.” La canzonò Julian.
Julian colpì il fratello minore col tovagliolo, poi sfoggiò un sorriso radioso.
“Anche noi ti vogliamo bene, sorellina.”
“Sei parte di questa famiglia, ricordatelo sempre.” Disse Barbara.
Fu quello il preciso istante in cui il cuore di Ariadne si ruppe. Davanti aveva la sua famiglia riunita e felice. Quanto avrebbe voluto partecipare ad altre mille serate così felici! Ma la clessidra del tempo scorreva veloce e lei doveva ancora salutare molta gente.
 
 
Finalmente Tommy poté bere il suo adorato whiskey irlandese. Dopo aver accompagnato a casa moglie e figli, dopo essersi assicurato che Enea Changretta aveva levato le tende, si era regalato un’ora di relax al Garrison.
“L’uomo tenebroso e il suo whiskey.”
Ariadne occupò lo sgabello di fianco e gli diede una gomitata leggera.
“Uno cherry per la signorina.” Disse Tommy.
L’oste le servì un bicchierino contenente liquido rosa che lei tracannò in pochi secondi.
“E’ buono.”
“Mi dispiace per prima. Lizzie non avrebbe dovuto tirarti lo schiaffo.”
“Invece sì. Vado a letto con suo marito, è giusto che mi prenda a schiaffi.”
“E’ capitato soltanto due volte.” La corresse Tommy.
Ariadne gli tolse il whiskey di mano e lo buttò giù in una sorsata unica. Ormai aveva imparato a tollerare piuttosto bene l’alcol.
“Stanotte capiterà per l’ultima volta.”
“Di che parli?”
“Andiamo alla barca di Charlie Strong.”
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne questa volta è davvero nei guai. Tommy scoprirà la verità oppure è già troppo tardi?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

*Le opinioni sui capelli rossi e sulle lentiggini sono stupide credenze popolari che in quegli anni erano ancora piuttosto diffuse. Ovviamente da parte mia non c’è nessuna intenzione di offendere qualcuno.

 

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Capitolo 10
*** Tutto è tenebra ***


9. TUTTO E’ TENEBRA

“Nei miei accessi di ottimismo, io mi dico che la mia vita è stata un inferno, il mio inferno, un inferno di mio gusto.”
(Emil Cioran)
 
Il giorno dopo
Ariadne si abbottonò la camicetta e calzò le scarpe, poi si legò i capelli con un fermaglio. Poche ore prima Jonah l’aveva raggiunta e aveva portato dei vestiti puliti sia a lei sia a Tommy. Si era fatta un bagno caldo e aveva sfregato per bene la pelle nel tentativo di rimuovere sangue, sudore e sporco. Aveva cambiato la benda al polpaccio dopo aver disinfettato la ferita, dopodiché si era seduta sul letto per qualche minuto. Era stanca dopo una notte insonne, ma non aveva il lusso di fermarsi. Prese un respiro e scese in cucina per mettere qualcosa sotto i denti.
“Buongiorno.” La salutò Finn.
Margaret era ai fornelli – cucinare era un’ottima distrazione – e aveva preparato una ciotola di porridge per tutti. Ariadne prese la sua ciotola e si mise a tavola a mangiare in silenzio. Quando ebbe finito tutta l’avena, si pulì la bocca con un tovagliolo e bevve una tazza di tè.
“Era tutto buono. Grazie, Margaret.”
“Figurati. Ora preparo un vassoio per tuo fratello, così glielo porti tu.”
Ariadne entrò nella stanza provvisoria di Eric con un vassoio colmo di porridge, tè e biscotti al miele che Jonah aveva comprato lungo la strada. Il fratello si illuminò quando la vide.
“La mia splendida sorellina.”
Ariadne, che aveva soppresso troppe emozioni, poggiò il vassoio sul comodino e si gettò fra le braccia di Eric.
“Mi sei mancato tantissimo. Mi dispiace per tutto.”
Eric le accarezzò la schiena e le baciò i capelli, proprio come quando era bambina e faceva un brutto sogno.
“Shh, va tutto bene. Non è colpa tua. Sono stato io quello a voltarti le spalle. Avrei dovuto capirlo prima che nostra madre non si ferma davanti a niente.”
Ariadne si tirò indietro con le guance bagnate di pianto, si asciugò con le maniche del cardigan e si schiarì la voce.
“A proposito di nostra madre… c’è una cosa che devo dirti, Eric.”
“Parla pure.”
“La tua madre naturale si chiama Doris. Lei soffre di schizofrenia e i nostri genitori l’hanno rinchiusa in un manicomio. Marianne e Philip sono i tuoi zii. Io e Julian siamo i tuoi cugini.”
Eric non disse nulla. Fissava la parete di fronte come se fosse incantato. Si ridestò quando Ariadne gli toccò la guancia.
“Eric…”
“Sono felice di sapere che Marianne non è davvero mia madre.”
Ariadne era sbigottita. Si era immaginata una scena tragica con lui che piangeva e si disperava, invece sembrava che Eric avesse trovato un lato positivo.
“Io e Julian non abbiamo la stessa fortuna.”
“Mi dispiace per voi.”
“Parlando di me e Julian, sappi che noi siamo la tua famiglia. Tu sei nostro fratello a prescindere dai legami di sangue. Io sono tua sorella e lo sarò sempre.”
Eric le accarezzò il mento e le diede un buffetto sul naso, era sempre stato affettuoso con lei.
“Per me è lo stesso. Neanche la perfida Marianne potrà cambiare il mio affetto per voi.”
Ariadne lo abbracciò di nuovo, stringendolo come se fosse l’unico scoglio in mezzo alla tempesta.
“Abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto. Marianne ha preso in ostaggio Barbara e Agnes e la famiglia di Tommy. Tu conosci i suoi piani? Sai qualcosa che possa esserci utile?”
“Purtroppo no. Le mie condizioni di salute mi hanno obbligato a letto da mesi. Non prendo parte agli affari da molto tempo.”
“Troveremo un altro modo per riportare Barbara e Agnes a casa.”
“Sei cambiata, Ariadne. Hai lo sguardo spento.” Disse Eric.
“Suppongo che lottare contro la propria madre sia estenuante e che abbia delle conseguenze.”
“Stai sacrificando tutto per questa crociata. Ne vale la pena?”
Ariadne guardò fuori, verso il sole che timidamente illuminava la campagna. Invidiava quella tenue luce che ormai dentro di lei si andava affievolendo. Era una candela con la fiamma che stava finendo l’ossigeno; presto si sarebbe estinta.
“Io ho commesso un grave errore che ha scatenato la rabbia di nostra madre.”
“Lo so.”
“C-c-ome… tu…?”
Eric annuì, era meglio mettere le carte in tavola prima che la partita giungesse al termine.
“Sei scappata a Londra la notte che nostro padre è morto. Non sei neanche venuta al suo funerale. Non sei mai andata a piangere sulla sua tomba. Come era possibile che una figlia non soffrisse per il padre? Negli anni ho riunito i tasselli e tutto è diventato chiaro.”
“Eric, sono mortificata. Avrei dovuto… io non sapevo come comportarmi e… avevo paura.”
“Ehi, non ti devi scusare. Nostro padre era uno stronzo che meritava quella fine. Ci picchiava, picchiava la mamma e ha comandato le nostre vite. Io volevo lavorare in banca, invece lui ha voluto che io continuassi con i Blue Lions.”
Ariadne ricordava bene lo schiaffo che aveva ricevuto quando si era rifiutata di prendere un bicchiere per il padre. Era una bambina e la credenza era troppo alta, ma a lui non importava e l’aveva colpita in piena faccia.
“Quella notte ha picchiato Julian per averlo scoperto che aveva baciato un ragazzo. Io ho agito d’istinto! Se solo potessi tornare indietro non lo rifarei. Il mio gesto ha distrutto le nostre vite.”
“Ma ora sei qui, Aria. Hai rinunciato all’Accademia d’Arte. Hai rinunciato a Londra. Hai rinunciato all’amore. Tutto questo solo per me e Julian, per Barbara e Agnes. Tu sei la nostra eroina.”
Ariadne scoppiò di nuovo a piangere. Finalmente buttava fuori tutte le lacrime che nei messi precedenti si erano accumulate nel petto.
“Troverò una soluzione. Te lo prometto, Eric.”
Eric le baciò ripetute volte i capelli mentre l’abbracciava e lasciava che piangesse sulla sua spalla.
“Lo so, piccola mia. Lo so.”
 
Ariadne si sciacquò la faccia due volte prima di calmarsi definitivamente. Doveva dominare le emozioni, aveva bisogno di essere lucida per sopravvivere a quella giornata. Tornò in camera e vide la porta semiaperta. Alla finestra c’era Jonah che osservava la sconfinata campagna che circondava quel casolare.
“Jonah, è successo qualcosa? Non sono in vena di altre brutte notizie.”
“Mi dispiace, signorina, ma sono un ambasciatore che porta pena.”
Ariadne non sapeva se ridere o piangere, ormai non faceva più alcuna differenza.
“Avanti, parla.”
Jonah camminò avanti e indietro nella stanza, le mani dietro la schiena e l’espressione assorta.
“Birmingham è assediata dagli uomini di Enea Changretta. Small Heath è sotto il comando degli Scuttlers. E la nostra distilleria a Camden Town è stata assalita dai Blue Lions.”
“Diamine! Abbiamo perso qualche uomo? Come stanno i nostri lavoratori?”
“Stanno tutti bene. Changretta ha detto che andranno via dopo che voi e Tommy avrete incontrato Mick e Marianne.”
Ariadne si portò le mani ai fianchi e chiuse gli occhi, doveva soffocare quella vocina dentro di sé che le suggeriva di scappare via il prima possibile. La sua famiglia, i suoi amici, Tommy, avevano bisogno di lei.
“Ascoltami, Jonah: Julian e Rose si nascondono in una pensione nella periferia di Birmingham. Va da loro, racconta quanto sta succedendo e tienili al sicuro. Capito?”
“Li scorterò a Margate, poi tonerò da voi.” Disse Jonah.
“No. Poi prenderai Eric e lo porterai in un altro posto sicuro. Eric e Julian dovranno stare in due posti separati.”
“E poi tornerò per voi. Giusto?”
Ariadne sorrise e mise le mani sulle spalle di Jonah, malgrado la differenza di altezza.
“Non tornerai per me. Tornerai a Margate e ti nasconderai con Alfie. Nessuno deve farsi male a causa mia. Voglio tutte le persone che amo lontane da Birmingham.”
“Signorina, ma…”
“Devi lasciarmi andare, Jonah. Sei il mio più fidato amico. E’ grazie a te se sono arrivata fin qui. Ora, però, devi fare ciò che ti dico per l’ultima volta.”
Jonah aveva gli occhi lucidi di lacrime ma non pianse, del resto doveva pur mantenere una parvenza da falco.
“E’ stato un onore immenso stare al tuo fianco, Ariadne.”
Ariadne si issò sulle punte e lo abbracciò. L’aveva chiamata per nome e questo significava che le voleva davvero bene. Una volta Jonah le aveva detto che usare il nome di una persona implica complicità, dunque erano arrivati a quello stadio della loro amicizia.
“Stammi bene, Jonah.”
 
Tommy aveva perso il conto delle sigarette che aveva fumato nelle ultime otto ore. Venti. Cinquanta. Cento. Ad un certo punto aveva smesso di pensarci. Era nervoso, arrabbiato e deluso da se stesso. Aveva studiato ogni dettaglio, aveva previsto ogni contrattempo, eppure non aveva calcolato la sua famiglia. Ariadne notò come le dita di lui si serrarono sul manubrio.
“I tuoi figli stanno bene. Mia madre sarà anche pazza, ma non farebbe mai del male ai bambini.”
“Quanta fiducia in tua madre.”
“Non la definirei fiducia. Più che altro so che non ferirebbe mai dei bambini, soprattutto perché lì ci sono mia nipote Agnes e Barbara è incinta.”
“Quindi convinceremo tua madre perché ha pietà dei bambini?”
Ariadne sbuffò, odiava lo scherno nella voce di Tommy. Era una situazione difficile per tutti, non era necessario farsi la guerra a vicenda.
“Sentiamo prima la loro proposta, poi decidiamo. Sei ancora con me?”
“Sì.” Rispose Tommy.
“Grazie.”
Il tragitto proseguì senza chiacchiere. Ognuno se ne stava per conto proprio, non avevano voglia di perdersi in banali chiacchiere. Superato l’ingresso a Birmingham, Ariadne si agitò sul sedile e si morse le labbra.
“Non farti venire un altro attacco di panico.” Disse Tommy.
“Non preoccuparti per me, non ti si addice.” Replicò lei.
Tommy sollevò il sopracciglio con fare interrogativo. Non capiva il motivo di quella risposta tagliente. Certo, fra di loro non c’era amore, ma comunque c’era un sentimento di affetto.
“Non mi preoccuperò se ti mancherà di nuovo l’aria, d’accordo.”
“Non fingere che ti importi davvero di me. Per te si tratta solo di affari e di divertimento occasionale.”
Ariadne andava a briglia sciolta. Era stufa di tenersi tutto dentro perché sentiva di sta covando una rabbia che non le piaceva. Almeno con Tommy poteva sfogarsi.
“Sei incazzata e te la prendi con me. Ho capito.”
“Sì, sono incazzata. Però è vero quello che ho detto. A parte la mia famiglia e Jonah, io sono sola.”
Tommy sospirò, non sapeva nemmeno come fossero finiti invischiati in quell’assurda conversazione sentimentale.
“Non sei sola.”
“Ci sei tu a tenermi la mano? Beh, che magra consolazione.”
“Mi spieghi che cazzo hai? Stai dando i numeri.”
Ariadne girò la testa verso il finestrino per non mostrare lo sguardo lacrimoso. C’era questa dolorosa sensazione che le faceva contorcere lo stomaco. Avvertiva il pericolo come una mano invisibile che le bloccava il respiro.
“Sto bene. Non insistere.”
Tommy non disse altro, non voleva infastidirla più di tanto. Si accese un’altra sigaretta e guidò in direzione della villa.
 
Marianne Evans stava bevendo il tè quando il maggiordomo annunciò l’arrivo di Tommy e Ariadne.
“Falli accomodare pure. Ah, Mark, prepara altro tè per gli ospiti.”
“Come desiderate, signora.”
Un olezzo di campagna invase il salotto quando Ariadne entrò al fianco di Tommy. Erano una bella accoppiata: capelli rossi e capelli neri, occhi d’ambra e occhi azzurri; parevano angeli caduti realizzati da una mente artistica demoniaca.
“Ariadne, noto con disappunto che sei ingrassata. Hai i fianchi così gonfi!”
“Hai indetto l’incontro per insultarmi? Mi aspettavo di più.” Disse Ariadne.
“Dove sono mia moglie e i miei figli?” chiese Tommy.
Marianne abbassò la tazzina per guardarlo come se le avesse rivolto un’offesa.
“Che maleducazione! Quando una vecchia signora vi invita per il tè, ci si siede e si conversa.”
“Io vedo solo una vecchia.” Borbottò Ariadne.
Lei e Tommy presero posto sul divano, le loro ginocchia e le loro braccia si sfioravano abbastanza da condividere un pizzico di calore.
“Ci siamo seduti. Ora dimmi dove si trova la mia famiglia.” Disse Tommy.
“Non te lo dirà. Vuole giocare al gatto e al topo.” Disse Ariadne.
Marianne sorseggiò altro tè nascondendo un sorriso beffardo dietro la tazza.
“Sono impressionata dalle tue capacità intellettive. Credevo fossi del tutto stupida.”
Ariadne non fece una piega. C’era rimasta male ma non lo diede a vedere. Mostrarsi ferita avrebbe solo invogliato la madre a perseverare, tanto meglio cessare il fuoco appena nato.
“Intendi che non sono stupida e pazza come Doris?”
Tommy scorse un’ombra oscurare il volto di Marianne. Se prima sorrideva, adesso la bocca era una linea dura.
“Beh, da qualcuno la pazzia devi pur averla ereditata. Come quei dannati capelli rossi!”
“Quindi mi odi per via dei miei capelli?”
Marianne le lanciò un’occhiata carica di disprezzo, non vi era in lei una braciola di affetto materno.
“I tuoi capelli e le tue lentiggini sono evidenti segnali. Non puoi sfuggire al tuo destino.”
“Segni di cosa?” domandò Tommy.
“Segni del diavolo.” Spiegò Ariadne.
“Padre Bruce lo dice sempre che i rossi di capelli non hanno anima.” Disse Marianne.
Ariadne sospirò, avevano affrontato quella questione più e più volte fino allo sfinimento. Da bambina di solito scoppiava a piangere e si faceva consolare da Eric, ma con gli anni aveva imparato a non ascoltare gli insulti.
“Padre Bruce ha quasi cento anni e crede che i demoni esistano. Direi che non è una fonte attendibile.”
“Lui avrà pure cento, ma quando sei nata un fulmine ha colpito la cattedrale. Coincidenze? Non credo.”
Marianne Evans era da sempre una timorata religiosa. La chiesa era la sua seconda casa. Sin da ragazzina leggeva la Bibbia tutti i giorni, pregava e andava a messa tutte le sere. Ariadne e Julian da piccoli erano costretti ad andare con lei per ascoltare le pesanti – e superstiziose – omelie di Padre Bruce.
“I fulmini sono fenomeni naturali, madre. Non ho il controllo anche sulla natura!”
Tommy non ne poteva più di quel battibecco tra madre e figlia, era come assistere ad una partita infinta di tennis in cui la palla va avanti e indietro senza sosta.
“Possiamo concentrarci? Io rivoglio ciò che è mio.”
“La dignità non può ridartela nessuno.” Replicò Marianne.
“La mammina ha imparato a usare il sarcasmo. Lodevole!” disse Ariadne battendo le mani.
Il maggiordomo entrò trafelato e Marianne fu l’unica ad averlo sentito.
“Sì?”
“Signora, il vostro ospite è qui. Lo faccio accomodare?”
“Assolutamente.”
Pochi istanti dopo Mick King faceva il suo ingresso a passo baldanzoso. In vita portava la tipica cintura di cuoio degli Scuttlers munita di pistola. Si era pettinato i capelli castani all’indietro, sulle tempie vi erano accenni di grigio. Era rasato e indossava un completo nuovo, ma le sue mani rovinate chiarivano il suo status sociale.
“Buongiorno. Perdonate il ritardo, stavo pestando un tizio che non mi ha restituito i soldi. Avevo bisogno di un cambio d’abito, sarebbe stato sconveniente presentarsi con le macchie di sangue sulla camicia.”
Ariadne diventò un pezzo di ghiaccio. All’improvviso sentiva freddo e i peli sulle braccia si erano rizzati.
“Dove sono Barbara, Lizzie e i bambini? Siamo qui per loro.”
“Non fateci perdere altro tempo.” Aggiunse Tommy.
Mick si andò a sedere accanto ad Ariadne e le mise un braccio sulle spalle per avvicinarla a sé.
“Vedi, principessa, siete qui per trattare il loro rilascio. Non credevate mica che avremmo riconsegnato gli ostaggi facilmente?”
“Che cosa vuoi da noi?” chiese Tommy.
Marianne e Mick si scambiarono uno sguardo eloquente, menti diaboliche comunicano intenzioni diaboliche.
“Io e Marianne vogliamo quello che cerchiamo dall’inizio: Ariadne.”
La ragazza si staccò da lui e si alzò in piedi, il ginocchio toccava ancora quello di Tommy.
“Perché siete ossessionati da me? Mia madre mi odia e tu potresti avere tutte le donne che vuoi!”
“Perché hai fatto la cattivella e meriti una punizione.”
“Volete picchiarmi? Volete uccidermi? Va bene! D’accordo! Basta che lasciate andare le nostre famiglie.”
Mick squadrò Ariadne da capo a piedi, leccandosi le labbra come se fosse un arrosto succulento. Con la punta della scarpa le diede un colpetto giocoso alla coscia.
“Ti piace essere picchiata, principessa? Interessante.”
Tommy scattò come una molla e afferrò il polso di Ariadne per allontanarla da Mick.
“Finiscila con queste stronzate. Non devi toccarla.”
Mick prima aggrottò la fronte e poi sorrise come se avesse ricevuto l’illuminazione divina.
“Tu l’hai già toccata, vero? Sei proprio uno stronzo con le mani lunghe!”
Marianne emise un verso di disgusto. Aveva ribadito l’importanza di arrivare illibata al matrimonio, ma ormai la virtù della figlia era scomparsa in modo irreparabile.
“Mick, malgrado la scoperta, l’accordo è ancora valido?”
“Quale accordo?” intervenne Tommy.
Mick si chinò su Ariadne per annusarla, passandole la punta del naso sul collo. Lei lo spinse via dandogli uno schiaffo sulla spalla.
“Vaffanculo! Non toccarmi!”
“Profumi di bergamotto. Mi fa impazzire.” Sussurrò Mick, sorridendo.
Tommy avvertì come una bastonata in testa quando capì lo scopo di quell’incontro. La verità gli era sempre stata un passo avanti ma se ne rendeva conto soltanto adesso.
“Che pezzi di merda. Fottuti pezzi di merda!”
“Finalmente hai capito. Credevo non ci saresti mai arrivato.” Sbottò Marianne.
Ariadne guardò Tommy, non capiva ed era spaventata. Si sentiva una barca in balìa delle onde selvagge.
“Che cosa hai capito? Tom?”
“E’ un contratto di matrimonio. Tua madre ti sta cedendo in sposa a Mick.”
“Bingo!” esultò Mick.
“Madre…”
“Suvvia, non fare così. Sei una ragazza forte, Ariadne. Devi sacrificarti per la famiglia.”
Qualcosa dentro Ariadne andò in mille pezzi. Un dolore disumano si fece spazio in lei cancellando ogni speranza. Era un dolore nero, amaro, straziante. Tutto era diventato tenebra.
“Quale debito hai nei confronti di Mick?” domandò Tommy.
“Non sono affari tuoi. E’ una faccenda di famiglia.” Rispose Marianne, piccata.
“Esci, Tommy. Devo parlare da solo con Ariadne.” disse Mick.
“Non ti lascio con lei. Resto qui.”
Ariadne lesse una furia terrificante negli occhi neri di Mick, dunque rivolse un sorriso finto a Tommy.
“Aspettami in macchina, Tommy. Arrivo subito. Per favore.”
Tommy annuì e le diede una pacca sulla spalla prima di lasciare la villa. Lui andava via e trascinava con sé la felicità della ragazza.
Mick accarezzò il mento di Ariadne e poi strinse tanto forte da obbligarla a guardarlo in faccia.
“Hai ventiquattro ore di libertà, dopodiché accetterai la mia proposta di matrimonio e verrai con me. Se provi a scappare, se ti fai aiutare da qualcuno, sta certa che ammazzerò tutti quelli a cui vuoi bene. Hai capito, principessa? Il loro sangue sporcherà le tue belle manine.”
Tu sei il mare impetuoso o la sabbia ferma?, le aveva chiesto Alfie.
Ripensò ad una frase di William Blake e trovò la risposta a quella domanda: lei era il ruggito di un leone, l’ululato di un lupo, il furore del mare in tempesta e una spada distruttiva.
“Ho capito.”
 
“Tu sei sicura?”
“Mia madre ha detto che Barbara e Lizzie sono al Sirens.” Ribadì Ariadne.
Tommy guidò verso il quartiere di Aston più in fretta che poté, beccandosi imprecazioni dagli automobilisti che sorpassava.
“Cosa voleva Mick da te? Dimmelo.”
“Ha detto che Eric deve tornare là.” Mentì lei.
Non voleva che Tommy sapesse la verità, o almeno per il momento. Voleva godersi le ultime ore di libertà senza pressioni.
“Solo questo? Ariadne, se lui ti ha fatt-…”
“Sto bene. Mick non mi ha fatto niente. Anzi, mi ha irritata con tutte le sue chiacchiere.”
Tommy la vide sorridere, era serena, eppure c’era qualcosa che la turbava.
“Me lo diresti se fossi nei guai? Siamo soci.”
“Sì.”
Da lì in poi Ariadne continuò a fissare la strada come un segugio in cerca di tracce. Avrebbe voluto piangere e urlare, dunque trovò un modo per controllarsi.
“Siamo arrivati.” Annunciò Tommy.
Il Sirens di mattina era aperto solo agli addetti alle pulizie e alle ragazze che si preparavano per la serata. Un paio di ubriaconi dormivano sulle scale del locale.
“Papà!” strillò una vocina dalla finestra.
Tommy alzò la testa e vide il piccolo viso rotondo di Charlie. Lo salutò con la mano.
“Adesso salgo. Aspettatemi lì.”
Ariadne stava già salendo la tromba delle scale, i tacchi spezzavano il silenzio dell’edificio. Non sbuffava, non parlava, non rideva, e questo mise Tommy in allarme.
“Non sembri stare bene, Ariadne.”
“Sto bene. Hai visto a quale finestra si affacciava Charlie?”
“Al terzo piano.”
Ariadne camminò spedita, la testa alta e la schiena dritta. Tommy la seguiva perché era lei a conoscere meglio il posto.
“Barbara? Lizzie?” gridò Ariadne.
“Zietta!”
Una porta si spalancò e Agnes corse incontro alla zia con i fiocchi che scivolavano via dai capelli. Anche Ruby e Charles corsero dal padre. Tommy li abbracciò e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“State bene?”
“Sì. Ruby piangeva perché aveva paura ma io l’ho protetta.” Disse Charlie tutto fiero.
“Sei un ometto coraggioso.” Si complimentò Tommy.
Ariadne affondò il naso fra i lunghi capelli della nipote, aggrappandosi a lei con tutte le forze.
“Mi sei mancata così tanto, tesoro.”
“Anche tu mi sei mancata, zia. Lo sapevo che saresti venuta a prendermi.”
Ariadne le accarezzò le guance paffute e sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Io verrò sempre a prenderti, Agnes. Ti voglio bene.”
Intanto anche Barbara e Lizzie si erano riversate in corridoio. Erano entrambe stanche, soprattutto Barbara col suo pancione.
“Eric è salvo?”
“E’ al sicuro, tranquilla. Lo incontrerete presto.” Disse Ariadne.
Con la coda dell’occhio vide che Tommy stava abbracciando Lizzie e che le stava baciando la guancia. Un nodo alla gola le impedì di respirare, poi ricordò a se stessa di restare forte.
“Lizzie, stai bene? Mi dis-…”
Lizzie schiaffeggiò Ariadne in pieno volto. La pelle si arrossò subito e con essa sopraggiunse il formicolio del dolore.
“Adesso sto meglio.”
Ariadne rimase ferma, l’espressione immobile, mentre la guancia diventava più rossa.
Era questo che la vita aveva in serbo per lei? Schiaffi, tradimenti e inganni? Era un circolo vizioso di sofferenze. Era l’inferno in terra.
 
 
Ariadne non era davvero presente. La sua famiglia chiacchierava, rideva, mangiava. Lei se ne stava seduta con gli occhi fissi sul vino rosso. Si sentiva fredda e vuota, una parte di lei era andata distrutta dopo l’incontro con Mick. Sapeva di non avere più scampo. Ogni tentativo di fuga era inutile. La sua famiglia non doveva pagare per le sue colpe.
“Aria! Aria, ci sei?” la punzecchiò Julian.
Lei annuì distrattamente e sorrise, lo faceva in maniera meccanica. Il suo corpo si muoveva e la sua mente restava bloccata.
“Sono qui. Domani, invece, non ci sarò più.”
“In che senso?” chiese Eric.
“Torno a Londra a studiare presso l’Accademia d’Arte.”
Applausi e schiamazzi scossero l’allegra tavolata. Rose versò da bere a tutti, eccezione fatta per Barbara che brindò con l’acqua.
“In alto i calici per Ariadne, ragazza maldestra e sorella terribile!” scherzò Julian.
Ariadne si stampò in faccia un sorriso e bevve il vino. Aveva inventato quella bugia per giustificare la sua assenza. Non voleva che i fratelli la salvassero a rischio di essere uccisi. Ogni decisione che prendeva ora mirava a difendere la sua famiglia.
“Grazie a tutti. Colgo l’occasione per dirvi che voglio bene a ciascuno di voi. Voglio bene al serio Eric. Voglio bene al divertente Julian. Voglio bene alla dolce Barbara. Voglio bene alla meravigliosa Rose. Voglio bene alla mia piccola Agnes e anche al bambino che verrà al mondo. Per otto anni sono stata lontana da voi, ma ora sono tornata e intendo onorare ogni giorno il bene che provo per tutti voi.”
“Oh, ma come sei tenera!” disse Rose, commossa.
“E’ colpa del vino.” La canzonò Julian.
Julian colpì il fratello minore col tovagliolo, poi sfoggiò un sorriso radioso.
“Anche noi ti vogliamo bene, sorellina.”
“Sei parte di questa famiglia, ricordatelo sempre.” Disse Barbara.
Fu quello il preciso istante in cui il cuore di Ariadne si ruppe. Davanti aveva la sua famiglia riunita e felice. Quanto avrebbe voluto partecipare ad altre mille serate così felici! Ma la clessidra del tempo scorreva veloce e lei doveva ancora salutare molta gente.
 
 
Finalmente Tommy poté bere il suo adorato whiskey irlandese. Dopo aver accompagnato a casa moglie e figli, dopo essersi assicurato che Enea Changretta aveva levato le tende, si era regalato un’ora di relax al Garrison.
“L’uomo tenebroso e il suo whiskey.”
Ariadne occupò lo sgabello di fianco e gli diede una gomitata leggera.
“Uno cherry per la signorina.” Disse Tommy.
L’oste le servì un bicchierino contenente liquido rosa che lei tracannò in pochi secondi.
“E’ buono.”
“Mi dispiace per prima. Lizzie non avrebbe dovuto tirarti lo schiaffo.”
“Invece sì. Vado a letto con suo marito, è giusto che mi prenda a schiaffi.”
“E’ capitato soltanto due volte.” La corresse Tommy.
Ariadne gli tolse il whiskey di mano e lo buttò giù in una sorsata unica. Ormai aveva imparato a tollerare piuttosto bene l’alcol.
“Stanotte capiterà per l’ultima volta.”
“Di che parli?”
“Andiamo alla barca di Charlie Strong.”
 
Salve a tutti! ^_^
Ariadne questa volta è davvero nei guai. Tommy scoprirà la verità oppure è già troppo tardi?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

*Le opinioni sui capelli rossi e sulle lentiggini sono stupide credenze popolari che in quegli anni erano ancora piuttosto diffuse. Ovviamente da parte mia non c’è nessuna intenzione di offendere qualcuno.

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


11. EPILOGO

“L’unico luogo sicuro è l’Inferno, dove non c’è più niente da perdere.”
(Tim Willoks)
 
Era mezzanotte quando arrivarono al canale. Le barche erano tutte ormeggiate, alcune già pronte per andare a pesca all’alba e altre che erano da poco rientrate dalla pesca notturna. Ariadne aveva imparato ad apprezzare quel luogo. Sebbene vi fosse solo un ponte a separare il canale dalla città, aveva la sensazione di entrare in un’altra dimensione. L’acqua era un dolce mormorio continuo, l’odore di sale si mescolava con quello della segatura usata per assorbire i liquidi. Avrebbe sentito la mancanza di quelle acque.
“Ariadne.” la chiamò Tommy.
Durante il viaggio dal Garrison al canale non si erano parlati. O meglio, lei aveva tenuto gli occhi fissi sulla strada per non invogliare lui a parlare. Adesso tutto quel silenzio era pesante e Tommy si sentiva oppresso.
“Vieni.” Disse Ariadne.
Andarono dritti verso la barca di Charlie Strong. Era diventato il loro rifugio. In quello spazio angusto erano capitate molte cose: baci, passione, lacrime, litigi. Era il loro mondo segreto, dove esistevano solo loro due e tutto sembrava più tollerabile. Ariadne abbassò la maniglia ed entrò nella cabina come se fosse casa sua. Tommy richiuse la porta e la bloccò con il gancio, una giusta precauzione per evitare impiccioni.
“Siamo qui. Qual è il problema?” chiese Tommy.
Ariadne si tolse il cardigan e le scarpe, era stanca e voleva soltanto buttarsi sulla brandina malconcia.
“Nessun problema. Voglio solo passare del tempo qui.”
Tommy si sedette sul tavolino, le mani sulle ginocchia e lo sguardo torvo. Si mise una sigaretta in bocca senza accenderla.
“Tua madre all’improvviso ci fa la cortesia di lasciare andare la mia famiglia, il che mi sembra strano per una stronza che ci sta facendo penare. La mia domanda è: che cosa ha voluto in cambio da te? Marianne non dà nulla gratuitamente.”
Ariadne doveva mentire ancora. Era diventata abile – anche fin troppo – e le venne spontaneo fare spallucce.
“Mi ha chiesto di trattare alcuni affari per conto dei Blue Lions.”
“Quali affari?”
“Non ti devi preoccupare. Sono affari di famiglia.” Disse Ariadne.
Tommy studiò il suo volto in cerca di una sbavatura, di una crepa che mostrasse che quanto diceva era una bugia. Non trovò nulla. Ariadne era impossibile da leggere questa volta.
“Quindi lasci Birmingham? Per quanto tempo?”
“Non siamo qui per un interrogatorio.” Replicò lei, divertita.
Tommy scosse la testa, tirò fuori l’accendino e inalò una buona dose di tabacco.
“Allora perché siamo qui? Domani te ne vai, dovresti riposarti.”
Ariadne si sdraiò sulla brandina in modo da rivolgere gli occhi al soffitto rovinato e ingiallito dal tempo.
“Ricordi la nostra notte insieme a Londra? Ti chiesi di restare con me.”
“Anche all’epoca c’era di mezzo tua madre. Non ci credo che te ne vai per essere il cagnolino dei Blue Lions. Non pensi ad Alfie?”
“Alfie dipende da me. Sono io che ho Camden Town sotto scacco.” Disse Ariadne.
“Non sottovalutare Alfie Solomons.”
“E tu non sottovalutare me.”
Tommy si morse il labbro per la frustrazione. Era confuso dal comportamento enigmatico della ragazza. C’era dell’altro sotto, qualcosa che lui non riusciva a cogliere.
“Cos’è che vuoi?”
Ariadne si alzò per avvicinarsi a lui. Gli afferrò la cravatta e lo attirò per dargli un bacio a stampo sulla guancia.
“Voglio che per una volta smettiamo di litigare. Voglio fingere che le cose tra di noi siano possibili.”
Tommy era stufo di contrastare i sentimenti che gli davano il tormento. Provava qualcosa per Ariadne. Era attrazione che sfociava in un affetto più profondo. Voleva saperlo. Voleva immaginare di potersi lasciare andare a quell’affetto.
“Fingiamo di essere due persone normali. Come sarebbero andate le cose tra di noi?”
Ariadne iniziò a sbottonargli lentamente il gilet, asola dopo asola, mentre si perdeva nelle sue fantasie.
“Tu mi avresti fatto una corte spietata. Sento che in fondo sei il tipo che sa corteggiare una fanciulla. Mi avresti riempita di complimenti e di regali, e soprattutto di fiori. Mi avresti regalato delle rose rosse, simbolo di passione. E mi avresti anche portata a cena in un ristorante costoso solo per fare colpo su di me.”
“O magari tu mi avresti regalato delle rose rosse.” Scherzò Tommy.
Ariadne rise e gli sfilò il gilet dalle spalle, poi gli sciolse la cravatta con altrettanta accuratezza.
“Io ti avrei regalato un ritratto. Hai le fattezze giuste per essere disegnato.”
“E poi?”
Nel frattempo le mani di Tommy si erano posate sui fianchi di Ariadne, con i pollici tratteggiava linee invisibili.
“E poi ogni appuntamento si sarebbe concluso con un meraviglioso bacio.”
“A questo possiamo provvedere subito.” Mormorò Tommy.
“Ah, sì?”
“Mmh.”
Tommy la strinse a sé e la baciò, sentendo il sorriso di lei sulla propria bocca. Ariadne si abbandonò del tutto, il corpo schiacciato contro di lui e le labbra che si muovevano alla perfezione.
“E’ proprio così che sarebbero stati quei baci.”
“Suppongo che non lo sapremo mai davvero.” Disse Tommy.
Ariadne gli diede uno schiaffo sulla spalla e mise il broncio.
“Sei noioso. Mi stavo divertendo ad immaginarti come l’uomo perfetto.”
“Io perfetto? Neanche nei tuoi sogni più sfrenati.”
Tommy si staccò per aprire il solito baule in cui Charlie Strong nascondeva l’alcol. Per fortuna c’era una bottiglia intatta di whiskey. La stappò e ne bevve un sorso, fu come tornare a respirare. Ariadne gli rubò la bottiglia e mando giù un paio di sorsi.
“Nei miei sogni più sfrenati non sei vestito.”
Tommy inarcò il sopracciglio. Per scaricare la tensione della giornata accese un’altra sigaretta. Le tolse il whiskey di mano e ne tracannò una quantità generosa.
“Allora siamo qui per realizzare i tuoi sogni. Vuoi vedermi senza vestiti?”
“Mi sono beccata un ceffone per quei sogni maledetti.” Rise Ariadne.
Si toccò la guancia dove Lizzie l’aveva schiaffeggiata, le faceva ancora un po’ male. A ferirla di più era la sua stessa condotta: lui era sposato, eppure questo non la convinceva a desistere. Per quanto lottasse, sapeva di essere spacciata. Sapeva che una parte di lei era irrimediabilmente – e sfortunatamente – invaghita di Tommy Shelby.
“Lizzie ha paura di essere sostituita e di perdere i privilegi del nostro matrimonio.”
“Ma ciò non accadrà perché continuerete ad essere sposati.”
“Del resto un matrimonio è un contratto.” Chiosò Tommy.
Ariadne lo sapeva eccome che il matrimonio era un mero patto fra le parti. Lei e Mick, difatti, quel pomeriggio erano giunti ad un accordo che di sentimentale non ne aveva neanche l’ombra.
“E’ un contratto anche quando trovi la persona giusta?”
“Quando trovi la persona giusta di solito le cose finiscono male.” Rispose lui.
Il suo pensiero era volato a Grace. La sua prima moglie, la madre del suo primo figlio, la prima che aveva amato dopo Greta. La prima che morendo lo aveva distrutto.
“Per fortuna noi siamo solo soci in affari.” disse Ariadne.
Tommy la guardò per un secondo con occhi strabuzzati, poi deglutì e annuì con la testa.
“Già.”
Ariadne di colpo sentì il respiro mancarle. Non riusciva più a condividere quello spazio con Tommy. Non ora che sapeva che il loro tempo insieme stava inesorabilmente scadendo. Più stava con lui e meno voleva tornare da Mick.
“E’ meglio andarcene. Lizzie ti aspetta e io devo preparare le mie cose.”
“Ariadne.”
La ragazza si mise a raccogliere i vestiti di lui con una strana fretta. Evitava di guardarlo, gli dava le spalle e si torturava il labbro fra i denti.
“Ariadne.”
Nessuna reazione. Tommy la prese per il braccio e la costrinse a voltarsi, e lesse nei suoi occhi ambrati una tonalità tendente al bronzo; qualcosa la stava dilaniando.
Ari, che c’è?”
Ari. Nessuno l’aveva mai chiamata così. C’era una potenza in quel misero gesto tale da farle tremare i polsi.
“E’ solo che sentirò la tua mancanza.”
“Tanto torni presto. Vero?”
Ariadne abbassò lo sguardo e abbozzò un sorriso così finto che Tommy emise un sospiro.
“Vero.”
“Che pessima bugiarda.”
Ariadne d’istinto lo abbracciò, la fronte poggiata sul petto di lui, le labbra che gli sfioravano il tatuaggio.
“Avrei voluto sposarti.” Sussurrò con voce roca.
Tommy ricordava di averle detto le stesse parole mesi prima. Anche adesso era vero come allora. Se le circostanze fosse state diverse, se ci fosse un reale modo per liberarsi di Mick e Marianne, lui l’avrebbe portata all’altare.
“Lo so.”
Ariadne gli mise le mani sulla nuca e chiuse gli occhi per assaporare quel momento che non si sarebbe ripetuto mai più. Lo baciò con tutta la passione che sentiva bruciarle nel corpo.
“E’ così che si sarebbe concluso uno dei nostri fantasiosi appuntamenti.” Disse lei.
Tommy affogò le mani nei ricci rossi di Ariadne in modo da spingere la testa all’indietro. Era così vicini che l’uno respirava sulla bocca dell’altra. La guardava come fosse il frutto proibito che finalmente poteva mangiare macchiandosi di innumerevoli e deplorevoli peccati.
“Ti avrei fatto trascorrere una delle notti migliori della tua vita.”
“Dimostramelo.” Mormorò Ariadne.
Un attimo dopo Tommy aveva la bocca calda e aperta sulla sua. Premette il corpo contro quello di lui, desiderando di più.
Tommy la fece sdraiare sulla branda e si inarcò su di lei, era totalmente rapito da quel bacio travolgente. Ariadne gli strappò via la camicia e passò i palmi sul petto, sull’addome e poi sulla schiena. Gli sbottonò i pantaloni con un gesto scattante che fece sogghignare Tommy. Un gemito gli risalì lungo la gola quando Ariadne fece scivolare la mano oltre il bordo dei boxer. Proruppe in una serie di rantoli di apprezzamento mentre Ariadne indugiava in quel punto tanto sensibile.
“Toccami. Così… Ari, toccami.”
Quella supplica fece sorridere Ariadne, era soddisfacente sapere di avere Tommy Shelby alla propria mercé. E lei sarebbe stata crudele. Ribaltò le posizioni e si ritrovò sopra di lui. Le mani di Tommy andarono subito a posarsi sulle sue cosce, muovendosi su e giù in preda all’eccitazione.
“Voglio farti un ritratto.”
“Adesso?” chiese Tommy, perplesso.
Ariadne giocò col bordo dei boxer mentre un sorriso malizioso si dipingeva sulle sue labbra.
“Più tardi. Sei incredibilmente bello quando sei vulnerabile. Potrei essere il ritratto migliore che io abbia mai realizzato.”
“E cosa mi dai in cambio? Occhio per occhio.”
La ragazza sorrise di nuovo, questa volta un lampo illuminò i suoi occhi dorati.
“Ti permetto di fare l’amore con me. E’ un ottimo scambio, a mio parere.”
Tommy avvertì una scarica di adrenalina in ogni fibra del corpo. Era da tempo non sentiva quella elettricità che gli gonfiava le vene.
“A me sembra che così ci guadagni soltanto tu.”
“Allora è davvero un ottimo affare!”
Tommy si lasciò sfuggire una breve risata. Odiava mostrarsi tanto aperto e vulnerabile, ma in quella barca insieme a lei, al riparo dal mondo esterno, si sentiva in qualche modo libero. Libero di essere felice almeno per una manciata di ore.
“Sei furba.”
Ariadne sorrise e poi lo baciò di nuovo. Tommy gemette quando lei gli succhiò il labbro inferiore, arrossandogli la pelle. Attorcigliò le dita in mezzo ai ricci della ragazza, linee di fuoco che gli scorrevano fra le mani. Poteva sentire Ariadne muoversi sopra di lui, oscillava su e giù facendolo ansimare. Tommy fece scendere le mani verso il basso e incominciò a sbottonarle la camicetta, poi la gettò a terra e le tolse il reggiseno.
“Tom…” boccheggiò Ariadne.
Tommy si chinò a baciarle i seni, la sua bocca era bollente mentre setacciava ogni centimetro di pelle. La fece scivolare sotto di sé e si avvolse le sue gambe intorno ai fianchi. Ariadne lo attirò in un bacio brutale, mordendogli e leccandogli le labbra. Lui si staccò solo per parlare all’orecchio:
“E’ questo che ti avrei fatto.”
Ariadne ridacchiò quando Tommy le slacciò i bottoni della gonna. La risata diventò gemito quando Tommy si piegò a baciarle l’interno della coscia destra.
“Già mi piace.” disse Ariadne.
“Tra poco ti piacerà ancora di più.”
Tommy voleva che quella notte fosse memorabile per entrambi. Il sole presto sarebbe sorto e loro non avrebbero più avuto la possibilità di fingere. Il sole avrebbe spezzato la magia e loro sarebbero tornati alla vita criminale.
“Uh, signor Shelby, così mi incuriosite.”
Ariadne non aveva idea dei progetti che Tommy aveva per quella nottata. Ecco perché trasalì quando anche l’ultimo indumento svanì e lei rimase nuda sotto di lui.
Tommy le baciò più e più volte le cosce, erano baci umidi e invitanti. Delicatamente le fece divaricare le gambe e si spinse verso di lei. Le lanciò un’occhiata maliziosa prima di premere la bocca sul centro del suo corpo. La stuzzicò un paio di volte con la lingua, poi continuò a vezzeggiarla con baci sempre più vibranti. Ariadne annaspava senza ritegno, prima sembrava di salire in paradiso e l’attimo dopo precipitava all’inferno. Era una altalena di sensazione che le mozzava il fiato.
“Tom…”
Le mani di Tommy le arpionarono i fianchi mentre continuava ad esplorarla con la bocca. Sentiva che Ariadne era tesa, con le dita fra le sue ciocche nere lo incitava a proseguire. Tommy affondò ancora la lingua, ancora la baciò, ancora sorrise nell’udire i suoi gemiti. Quando Ariadne giunse sull’orlo del baratro, Tommy accompagnò la sua caduta con una manciata di baci sulle ginocchia. Si tirò su ad osservare con estremo compiacimento il modo in cui lei ansimava mentre cercava di regolarizzare il respiro.
“Ho soddisfatto la tua curiosità?”
Ariadne aprì gli occhi con il petto che si agitava ancora. Vide Tommy passarsi il dorso della mano sulle labbra impregnate della sua essenza. Era una visione che le sarebbe di certo mancata.
“Sei uno stronzetto che sa il fatto suo, eh.”
“Sono il migliore in certe cose.”
Tommy raccolse la bottiglia di whiskey dal pavimento e bevve per inumidirsi la gola. Si sedette sul bordo della brandina e prese una sigaretta dal suo contenitore di latta. Ben presto l’odore di tabacco si diffuse nella piccola cabina.
“La modestia non è una tua virtù.” Rise Ariadne.
“Di sicuro sono più capace di Bonnie Gold.”
Ariadne rise e fece roteare gli occhi a quella patetica scenata di gelosia. Con il piede diede un colpetto alle costole di Tommy.
“Sei pietoso, Shelby. La gelosia ti divora.”
“Perché nessuno tocca ciò che mi appartiene.” Replicò Tommy.
Lei distese le gambe e rivolse gli occhi al soffitto usurato della barca. Un sospiro doloroso le si bloccò nello sterno.
“Ma io non appartengo a te.”
“Non ancora.”
“Tom, non fare promesse che non puoi mantenere.” Lo rimbeccò Ariadne.
Tommy sbuffò una striscia bianca di fumo che si dissolse davanti ai suoi occhi come si stavano dissolvendo le sue fantasie. Se le cose fossero state diverse, se lui fosse stato diverso, adesso Ariadne sarebbe stata sua.
“Faccio solo promesse che prima o poi posso mantenere.”
Ariadne non aveva voglia di continuare su quel sentiero di bugie e illusioni. Sin da bambina sapeva che sognare, azzardarsi a desiderare qualcosa, era una condanna per l’anima.
Tese il braccio e arraffò la bottiglia di whiskey mezza vuota, ne mandò giù un piccolo sorso nel vano tentativo di addolcire i pensieri.
“Devi tornare a casa?”
Tommy adocchiò l’orologio da taschino che giaceva per terra, ancora incastrato nella giacca, e scosse la testa.
“No. Alle nove ho una riunione col partito a Londra, ho ancora tempo a disposizione.”
“So io cosa ti serve per la campagna elettorale.”
Tommy la guardò con il sopracciglio sollevato, scettico come suo solito.
“Cosa?”
“Devi appoggiare le suffragette. Betty Preston sarebbe ben lieta di accettare la tua offerta.”
“Andrebbe più a vantaggio di Betty che mio.”
Ariadne si mise in ginocchio dietro di lui e gli baciò il collo lentamente, arrivando alle spalle e alla cicatrice sulla scapola.
“Vuoi vincere le elezioni? Chiedi l’appoggio delle suffragette. Gioca di modernità su una mentalità conservatrice.”
Tommy chiuse gli occhi abbandonandosi contro di lei, ogni bacio gli rubava un gemito. Se lei avesse continuato a baciarlo così, avrebbe venduto anche l’anima al diavolo.
“Mmh, si può fare. E in cambio cosa ottengo?”
Ariadne si spostò fino a sedersi a cavalcioni e poggiò i gomiti sulle spalle di lui. Sorrise e gli stampò un tenero bacio sul naso.
“Ottieni altre due ore in mia compagnia.”
Tommy agganciò l’indice ad un riccio rosso e se lo rigirò fra le dita; quanto adorava quelle ciocche color sangue.
“Allora ci conviene intavolare subito la trattativa.”
Ariadne scoppiò a ridere e lo abbracciò, un gesto banale che sprigionò una dolcezza insolita nel loro rapporto. Loro insieme erano caos puro, passione, rabbia, vendetta, ma quella notte c’era qualcosa di luminoso e caloroso.
“Potrei innamorarmi di te, Tommy Shelby.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere.” Ripeté Tommy.
“Mai dire mai.”
Ariadne ridacchio prima di baciarlo con trasporto. Si mosse cautamente fino a scivolare su Tommy per unire i loro corpi. Le mani di lui si arpionarono sui fianchi della ragazza per accompagnare quella danza lussuriosa. Ripresero ad ansimare uno sulla bocca dell’altra, i movimenti dapprima lenti e poi sempre più frenetici. Tommy affondò di nuovo le mani di Ariadne per tirarle la testa leggermente indietro e approfondire il bacio. In tutta risposta, Ariadne fece scontrare i loro fianchi in un colpo secco che li fece rabbrividire entrambi.
“Ariadne… fallo … fallo ancora.” Sussurrò Tommy con voce roca.
Ariadne ripeté l’azione dando maggiore vigore alla stangata di fianchi. E poi ancora, ancora e ancora finché nella cabina non riecheggiarono solo i loro sospiri. Per un attimo parve che la stanza girasse, poi l’impressione sfociò in un piacere bollente e succulento.
“Per la miseria.” Mormorò Ariadne.
“Dannazione.”
Tommy era talmente esausto che si sdraiò per placare i respiri concitati. Ariadne si alzò, indosso la camicia di lui e scavò nella tasca del cardigan in cerca del suo taccuino.
 “Mettiti a pancia in giù. Voglio disegnarti.”
Tommy le scoccò uno sguardo divertito e ubbidì, posando la guancia sinistra sulle braccia incrociate sotto il malconcio cuscino. Ariadne si focalizzò su quel corpo nudo come se fosse di nuovo all’Accademia. Aveva già ritratto un modello nudo durante il secondo anno, ma questa volta non doveva fare attenzione ai dettami del professore e poteva essere libera.
“Fammi venire bello.” Disse Tommy.
“Sei già bello, e lo sai.”
Ariadne si morse le labbra mentre tratteggiava i contorni dei polpacci. Quando passò alle cosce, si perse a osservare i muscoli qualche secondo di più. Disegnò la schiena, i muscoli sodi e le cicatrici bianche. Tracciò il segno delle spalle e delle braccia, concludendo con le mani dalle vene gonfie.
Venti minuti dopo – e dopo un centinaio di correzioni – Ariadne sorrise soddisfatta.
“Hai finito? Voglio vedere.”
Tommy allungò il collo per guardare il disegno e dovette ammettere che Ariadne era davvero eccezionale. Quasi si sentiva davvero bello.
“Che ne pensi?”
“Mi piace. Hai talento. E’ un peccato che tu abbia lasciato l’Accademia.”
“Già.”
Ariadne abbozzò un sorriso tirato. Da mesi non riusciva ad aggrapparsi all’arte come un tempo. Prima era più facile impugnare una matita o un pennello perché la sua mente era sgombra, ma adesso le preoccupazioni ingurgitavano tutto il suo tempo.
“Vieni qui.” Disse Tommy.
“Che c’è?”
Ariadne si infilò sotto la coperta striminzita e Tommy la strinse a sé. Era la prima volta che condividevano un momento così intimo e dolce. Si erano dati baci focosi, si erano toccati in mille modi piacevoli, ma quello era il primo vero abbraccio.
“Abbiamo ancora due ore.” Mormorò lui.
“Per fare cosa?”
Tommy le fece posare la testa sul proprio petto e le baciò la fronte, annusando il suo inconfondibile profumo di bergamotto.
“Per dormire.”
Ariadne gli circondò la vita col braccio e gli depositò un bacio sul tatuaggio inciso sul petto.
 
Quando Tommy si svegliò era l’alba. In lontananza poteva sentire le campane della cattedrale che annunciavano il nuovo giorno.
“Buongiorno, dormiglione.”
Ariadne gli lanciò un sorriso mentre agganciava il retro del reggiseno. Indossava già la gonna e le scarpe, i capelli erano una matassa rossa disordinata.
“Scappi?”
“Sono le sei, fra due ore devo partire e devo ancora preparare le valigie. Anche tu alle nove devi essere in un altro posto, giusto?”
Tommy indossò i boxer e si passò una mano sul viso per scacciare il sonno. Con disappunto notò che il whiskey era finito. Sarebbe dovuto passare al bar del Parlamento per un goccetto prima della riunione.
“Non mi dirai dove vai?”
Ariadne si abbottonò la camicetta e si infilò il cardigan, poi tentò di districare i ricci con le mani.
“Non ti riguarda. Sono soltanto affari.”
“E nel frattempo io cosa dovrei fare? Mick e tua madre ci vogliono ancora morti. Enea Changretta controlla la città. E Byron Davis si aspetta i tuoi alcolici ogni sabato.”
Tommy stava accampando scuse solo perché moriva dalla voglia di conoscere la destinazione di Ariadne. Se aveva accettato di lavorare per sua madre, la situazione doveva essere critica.
“E’ tutto apposto, Tom. Camden Town lavorerà per dare gli alcolici a Byron ogni fine settimana, Jonah supervisionerà il tutto. Enea non è un grosso problema, sono sicura che i Peaky Blinders sapranno difendersi. Se vuoi, puoi sempre chiedere a Jonah alcuni uomini di rinforzo da Camden Town. Per quanto riguarda Mick e mia madre, me ne occupo io.”
“Dunque te ne vai per occuparti di loro?” insistette Tommy.
Ariadne gli afferrò il mento tra l’indice e il pollice e gli diede un bacio veloce.
“Ho un piano. Fidati di me.”
“Ariadne…”
“Fidati di me, Tom.”
Tommy la guardò negli occhi e lesse una determinazione che lo spaventava. Ariadne era testarda e avventata, per lei avere un piano implicava guai seri. Ma doveva darle fiducia, non poteva fare altrimenti. Vuoi per la meravigliosa notta appena passata insieme, vuoi per l’intelligenza spiccata della ragazza, lui annuì.
“Hai la mia fiducia. Non deludermi.”
“Non lo farò.”
Tommy le mise la mano a coppa sulla nuca e la baciò con foga. Ariadne sorrise nel bacio e si strinse a lui. Quando si staccarono, Tommy le accarezzò lo zigomo col pollice.
“Torna tutta intera.”
“Tornerò. Tu aspettami.” Disse lei.
“Affare fatto, signorina Evans.”
Ariadne lo ammirò ancora per qualche minuto. Voleva imprimersi nella memoria ogni dettaglio di quel viso, i magnetici occhi azzurri, la bocca carnosa, la mascella tagliente, i setosi capelli neri striati di grigio sulle tempie.
“Affare fatto, signor Shelby.”
 
Mick King. Un nome che era garanzia di crudeltà da anni. Ovunque andassero gli Scuttlers c’era una scia di cadaveri. Mick avrebbe raso al suolo Birmingham mesi fa, ma Marianne Evans lo aveva trattenuto perché avevano un piano preciso da seguire. Allora Mick aveva aspettato con pazienza, aveva fatto pedinare la famiglia Shelby e anche Julian Evans. La sua calma era durata poco: dopo aver saputo che Ariadne aveva trovato rifugio presso la comunità ebrea, aveva deciso di giocare a modo suo. Per i suoi scopi aveva arruolato la persona giusta: la migliore truffatrice di Parigi.
“Signore, la macchina di Tommy Shelby è qui. Che facciamo?”
Dal finestrino Mick osservò l’acqua del canale che la luce del primo sole tinteggiava di giallo. La barca di Charlie Strong era ancora ormeggiata, il che era strano dato che la pesca e i trasporti via acqua iniziavano ancora prima dell’alba.
“Aspettate che Ariadne Evans esca dalla barca.”
“E dopo, signore?”
“Dopo ammazzate lo zingaro.”
I due uomini che aveva portato con sé annuirono e si appostarono lungo la sbarra di attracco a cui le imbarcazioni erano ormeggiati tramite catene e corde.
“Hai ancora bisogno dei miei servigi?” domandò la donna al suo fianco.
Mick si accese un sigaro e fece un sorriso storto, anche se la sua bocca era già storta di natura dopo una rissa particolarmente violenta avvenuta anni prima.
“Tu sei fondamentale. Quando lo zingaro morirà, tu guadagnerai la fiducia di tutti gli Shelby e ruberai tutto. Prenderai i loro pub, i loro soldi, i loro affari e anche le loro vite.”
La donna acconsentì con un cenno della testa. Era smaniosa di entrare in azione. Per mesi aveva fatto la bella faccia con Tommy mentre faceva rapporto a Mick di nascosto. Adesso iniziava la vera partita, e lei avrebbe vinto.
“Adesso me ne vado, prima che qualcuno possa capire il mio coinvolgimento.”
“Ci teniamo aggiornati.” Disse Mick.
Senza fare alcun rumore – e con sorpresa di Mick – la donna si volatilizzò tanto in fretta da sembrare che quasi non fosse mai stata lì.
 
Ariadne si chiuse alle spalle la porticina della cabina. Il suo cuore perse alcuni battiti. Stava lasciando tutto: la sua città, la sua famiglia e anche Tommy. La vita che l’attendeva era atroce, ma doveva perseverare se voleva trionfare. Scavalcò la parete della barca e si appoggiò al cippo di attracco per tornare sulla terraferma. Si mise le mani in tasca e si avviò verso la strada principale.
“Amore, dove pensi di andare?”
Ariadne si immobilizzò, trafitta da quella voce rude e velenosa. Si voltò e incontrò il sorriso meschino di Mick King.
“Che vuoi? Mi hai dato ventiquattro ore, dunque ci vediamo oggi pomeriggio alle cinque.”
“Ti avevo concesso un giorno per fare i bagagli e non per scoparti Tommy Shelby.”
Ariadne fece spallucce, non voleva che lui rovinasse gli ultimi stralci di vita tranquilla che le restavano.
“So fare entrambe le cose. Ci vediamo alle cinque.”
“Non osare voltarmi le spalle!” tuonò Mick.
“Ciao!”
Ariadne lo liquidò con un gesto della mano e riprese la via di casa. Voleva stare da sola prima di cedere alle pressioni di Mick e della madre. Superato l’arco che fungeva da ingresso al canale, si sentì agguantare per il braccio.
“Tu non fai la stronza con me.”
Mick le circondò il collo con la mano e la sbatté contro l’arco di pietra, facendole picchiare la testa contro la dura superficie.
“L-l-asc-i-a-a-mi.” Balbettò Ariadne.
La mano di Mick stringeva così forte da offuscarle la vista. Se avesse continuato a strangolarla sarebbe morta entro pochi minuti.
“Da oggi in poi farai solo quello che ti dico io. Diventerai mia moglie e dovrai comportarti come tale. Se disubbidisci, io farò soffrire la tua famiglia in modi disumani. Sarebbe un peccato se Barbara perdesse il bambino. E immagina la sofferenza della piccola Agnes se le venissero strappate le dita a morsi da un cane.”
“Vaf-fa-n…”
Mick rise e rafforzò la presa, sul collo si intravedevano già i primi lividi.
“Vaffanculo? Oh, tu ci verrai con me. Non hai più scampo, Ariadne. Adesso sei mia.”
 
Ariadne si massaggiava il collo mentre Mick la trascinava verso l’auto. Avrebbe voluto piangere, ma singhiozzare le procurava tremende scariche di dolore alla gola. Anche le lacrime l’avevano abbandonata.
“E’ tutto risolto, signore.” Disse un ragazzo calvo.
Mick si schiacciò contro Ariadne e col naso le sfiorò il lobo dell’orecchio.
“Goditi lo spettacolo, amore.”
Un boato scosse la terra sotto i piedi di Ariadne. A pochi metri da loro cadde un pezzo di metallo infuocato.
“No…no…”
“Sali in macchina. Il treno per la Svizzera parte fra due ore.” Ordinò Mick.
La barca di Charlie Strong era saltata in aria. Tommy era morto nell’esplosione.
“Tom! Tom!”
Ariadne si precipitò di corsa verso l’ammasso fumante della barca. Guardò in acqua nella speranza di vedere Tommy. Non vide nulla. Il fumo oscurava tutto.
“Ti ho detto di salire in macchina!” urlò Mick.
Ariadne fu sollevata di peso e spinta verso l’auto, invano tentava di svincolarsi dalle mani di Mick.
“Lo hai ucciso! Hai ucciso Tommy!”
Mick la lasciò andare e le tirò uno schiaffo tanto forte da farle piegare la testa di lato. Il labbro inferiore di Ariadne iniziò a sanguinare.
“Quella è la fine che farà la tua famiglia del cazzo se non sali su quella fottuta macchina. Non sfidare la mia pazienza.”
Ariadne fissò la colonna di fumo che si librava in cielo nera come la notte. Nera come la morte.
Quello era l’inferno in terra.
 
 
Dieci ore prima
Jonah bussò alla porta dopo che tutti gli altri furono andati a dormire. Ariadne durante la cena gli aveva detto che avevano questioni importanti da discutere, pertanto lo aveva invitato in camera sua.
“Accomodati, Jonah.”
La ragazza sembrava angosciata, i suoi occhi erano di una tonalità bronzea che esplicava il suo tormentato stato d’animo.
“Che succede, signorina?”
“Adesso dovrai starmi sentire con attenzione. Ho un compito per te.”
“Ditemi tutto.”
Ariadne aprì un cassetto del comò e tirò fuori due lettere chiuse da nastri azzurri.
“Io dovrò lasciare il Paese per un po’ di tempo. Non so quando tonerò, quindi non chiedere. Tu dovrai occuparti della distilleria e assicurarti che Camden Town produca tutto l’alcol di cui Byron Davis ha bisogno.”
“Posso farlo.” Asserì Jonah.
“Bene. Non posso dirti dove andrò perché non lo so neanche io. Ti dico solo che è la svolta utile ai nostri piani.”
“Mi fido di voi, signorina. Che altro devo fare?”
Ariadne gli diede il dépliant di una clinica in Belgio che, stando alla dicitura, ospitava malati gravi.
“Devi portare Eric in questa clinica. So che si occupano di medicina sperimentale. Forse posso aiutare mio fratello. Trova anche una bella casa per Barbara e Agnes, e assicurati che il nuovo nascituro abbia tutto l’occorrente.”
“Sarà fatto. E vostro fratello Julian?”
Ariadne frugò nel cassetto della biancheria e gli mostrò una chiave dorata.
“Questa è la chiave di una casa che ho comprato a Ballintoy nell’Irlanda del Nord. E’ lì che porterai Julian e Rose per allontanarli da qui.”
“Perché l’Irlanda?”
“Perché mia madre e Mick King non metterebbero mai piede in Irlanda per non inimicarsi fazioni ancora attive dell’IRA. A Ballintoy c’è una vita sicura per Julian e Rose.”
Jonah rimase stupito dalla cura che la ragazza aveva riservato ad ogni dettaglio. Prese in consegna la chiave e la mise al sicuro nella giacca.
“Vi serve altro?”
Ariadne mise le due lettere sul letto e ne sfiorò i nastri con un sospiro.
“Devi dare queste due lettere ai destinatari. Una va spedita ad Alfie e l’altra va spedita a Tommy.”
“Sarà fatto.”
“Ottimo.”
Prima che si scostasse, Jonah prese la mano di Ariadne e accarezzò le nocche col pollice.
“E’ grave la situazione, dico bene?”
“Questo viaggio ci aiuterà ad annientare Mick King e mia madre. Ho soltanto bisogno che la mia famiglia sia al sicuro per proseguire col piano.”
“Proteggerò la vostra famiglia come se da ciò dipendesse la mia vita.” promise Jonah.
Ariadne gli strinse la mano e sorrise, consapevole che solo lui poteva essere il suo braccio destro in quella guerra.
“Tieni d’occhio anche Tommy Shelby.”
“Ai vostri ordini, signorina Evans.”
 
 
Eccoci giunti alla – tragica – fine di questa seconda parte ^_^
Tutti gli sforzi di Ariadne e Tommy non sono serviti a niente. Mick e Marianne hanno comunque vinto.
Che ha in mente Ariadne adesso? E cosa c’è scritto in quelle lettere? Ma soprattutto, chi è la donna francese che fa la spia per gli Scuttlers?
Lo scoprirete nel prossimo ‘’libro’’!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie di cuore per aver seguito la storia.
Alla prossima, un bacio.
 

 

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