Mia moglie si sposa!

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nozze Bianche, Nozze rosse ***
Capitolo 2: *** Gossip! ***
Capitolo 3: *** A che gioco giochiamo? ***
Capitolo 4: *** Donna in Camicia ***
Capitolo 5: *** Chi è senza colpa scagli la prima pietra ***
Capitolo 6: *** Madri & Suocere ***
Capitolo 7: *** Okutama ***
Capitolo 8: *** Shin ***
Capitolo 9: *** Teatro ***
Capitolo 10: *** Baby Boom ***
Capitolo 11: *** Una notte al museo ***
Capitolo 12: *** Le verità negate ***
Capitolo 13: *** Passato e Presente ***
Capitolo 14: *** Forever ***



Capitolo 1
*** Nozze Bianche, Nozze rosse ***


Benvenuti nella mia ultima pazzia! Nelle prossime settimane, questo Au vi terrà compagnia, con un Ryo e Una Kaori apparentemente diversi da quelli che conosciamo, ma allo stesso tempo, simili. Spero che apprezzerete i dodici capitoli di questa squinternata storia romantica!

“Se qualcuno conosce una regione per cui quest’uomo e questa donna non possano essere uniti nel sacro vincolo del matrimonio, parli ora o taccia per sempre.”

Con le ginocchia che le tremavano per l’emozione, Kaori guardò con le gote arrossate prima il vescovo della diocesi di Tokyo, e poi il suo fidanzato, Satoshi Uragami, mogul di un impero mediatico, bello, affascinante, benestante… e ben gradito alla sua famiglia. 

Stava per diventare la sua sposa…. Quasi non le sembrava vero! Quel matrimonio rappresentava tutto ciò che dalla fin più tenera età la ragazza aveva desiderato, era stato tutto organizzato alla perfezione dalla sua migliore amica, Miki, wedding planner che contava molto su quell’evento per far conoscere il suo nome all’alta borghesia dell’intero Giappone, riunito per celebrare la gioia ed il trionfo della famiglia Makimura, conosciuta nei circoli migliori della società da secoli. 

Miki, in piedi in disparte, si strinse nelle spalle del suo abitino celeste, compiaciuta, mentre Saeko, promessa sposa di Hideyuki, fratello maggiore di Kaori, nonché damigella di Kaori, alzò gli occhi al cielo: detestava i matrimoni, ed infatti il suo sarebbe stato uno di convenienza, combinatole dal padre, per permetterle di continuare con la sua vita nonostante fosse ancora zitella alla sua  “veneranda età” – veneranda  per gli standard Giapponesi, almeno. Inoltre, per la giovane ispettrice essere la moglie di un alto funzionario della procura avrebbe rappresentato un punto in più a suo favore, e l’avrebbe resa maggiormente ben vista in certi circoli prettamente maschili.

E poi, nel silenzio tombale della chiesa, dove anche uno spillo che cadeva si sarebbe potuto udire, Kaori sentì un suono risuonare con la potenza di dieci, cento, mille spari, di un intero campo di battaglia. 

Passi. Cadenzati, calmi, che si avvicinavano sempre di più all’altare. 

La giovane non si voltò, quasi sapesse già chi fosse, quasi potesse avvertire quale sarebbe stato il suo destino. 

Ti prego, no… sperò con tutta se stessa, mentre il suo corpo era scosso da impercettibili brividi, che aumentavano man mano che lo sentiva avvicinarsi.

“Lo faccio io.” Una voce roca, adulta, calda, decisa, con un qualcosa di imperioso nel tono, a cui era impossibile non obbedire. Ancora adesso, dopo due anni, sentirlo la faceva fremere dalla testa ai piedi, generandole uno sfarfallio incontrollato nel basso ventre ed accendendola di lussuria. “Io mi oppongo a questo matrimonio.”

Non aveva mai scordato quella voce, né il suo tono, che sembrava sempre volerla prendere in giro. Lui era ovunque: frequentava i suoi circoli, e se non si scontravano, allora poteva capitare che sentisse una sua intervista. Forse erano due anni che non si parlavano direttamente, ma lei, quella voce, sapeva che non avrebbe più potuto scordarla: Kaori avrebbe potuto raccontarsi quello che voleva, ma lui era sempre nei suoi pensieri, in un modo o nell’altro. La perseguitava, senza nemmeno saperlo. 

Satoshi era immobile al suo fianco, mentre i presenti avevano iniziato a mormorare, e suo fratello la fissava con una strana espressione sul volto, quasi si fosse aspettato quel singolare sviluppo, o ne fosse perlomeno compiaciuto. Percorsa dalla rabbia, lentamente, Kaori si voltò verso l’intruso, e dovette mordersi le labbra quando lo vide. 

Era bello, carismatico e seducente come sempre, anzi, forse ancora di più: Ryo, il figliastro di Shin Kaibara, il patriarca della famiglia con cui i Makimura erano in lotta da oltre duecento anni, era affascinante come la prima volta che si erano scontrati. Alto, anche grazie ai geni sudamericani della madre, capelli neri come la notte, penetranti occhi antracite che sembravano sondarti nell’animo, uno sguardo strafottente su un fisico invidiabile, un corpo desiderato da tante, molte donne… ad un certo punto, anche lei, anche se quel momento sembrava essere avvenuto in un’altra vita.

Ryo Saeba era il tipo d’uomo che solo a guardarlo si pensava al più perverso, meraviglioso e lussurioso sesso possibile. Ed era anche pericoloso, soprattutto per lei, una Makimura, sua eterna nemica.

Eppure…. Eppure era con lui che aveva fatto il più meraviglioso sbaglio della sua intera esistenza, un errore che ancora la perseguitava nei suoi sogni più segreti, e di cui fino ad allora nessuno era stato a conoscenza, se non loro due. 

Fino ad ora. Perché Kaori aveva la netta impressione che le cose stessero per cambiare radicalmente: Ryo tramava qualcosa, chiunque lo avrebbe compreso vedendo quel dannato ghigno che aveva impresso sul volto, di pura eccitazione e malcelato orgoglio cinico.

“Eh, ehm, ditemi, figliolo, in base a cosa…” Mentre il vescovo allargava il collare clericale che la tonaca verde e oro celava agli occhi dei presenti, un rivolo di sudore gli colò dalla fronte, e balbettava, mangiandosi le parole, intimorito dalla possanza di quel giovane uomo. “In base a cosa obbiettate a questa unione?”

Ryo, mani in tasca dei jeans, fece i pochi passi che lo dividevano da Kaori, che lo guardava quasi avesse desiderato lanciargli il guanto della sfida. Sotto lo sguardo attonito e feroce dello zio, fratello del defunto padre dei Makimura, che aveva preso le redini della famiglia alla morte del fratello maggiore, e quello sconvolto della madre di Kaori, che parve essere sul punto di svenire, Ryo alzò il mento della fanciulla con un semplice dito, e la guardò, occhi negli occhi, strafottente. 

Quel fuoco, lui lo ricordava fin troppo bene: dopotutto, erano due anni che lo perseguitava, se non, forse, anche di più.

“Ryo,” Hideyuki si fece avanti e posò una mano sulla spalla di Ryo, facendogli fare un passo indietro e lasciare andare la sorella. Squadrò l’ex compagno di studi, con cui  c’era sempre stata una certa giocosa rivalità, da capo a piedi, da sotto i sottili occhiali. Non c’era negli occhi del giovane magistrato traccia di cattiveria né di alcun senso di superiorità: Hideyuki era sempre stato il membro più alla mano della famiglia, il figliol prodigo che, seppure non avesse mai lasciato casa, aveva sempre dato un po’ di gatte da pelare ai suoi cari. “Mi sembrava di aver compreso che nessuno della famiglia Kaibara fosse stato invitato, quindi spero che tu abbia una buona ragione per essere qui ed obbiettare a questo matrimonio.”

Ryo, mani in tasca, guardò Kaori, che, nonostante lo sguardo fiero, tremava come un uccellino appena caduto dal nido che si trovasse davanti al feroce gatto, pronto a divorarla in un sol boccone. 

“Oh, credimi Maki,” lo punzecchiò, usando il nomignolo che il giovane uomo detestava con tutto sé stesso. “il mio peculiare ruolo nella vita di tua sorella mi da ogni diritto di essere qui ed obiettare a queste nozze.”

“E quale potrebbe mai essere il ruolo di un Kaibara nella vita di mia nipote?” Zio Toshio sbottò, digrignando i denti. Se Hide aveva scelto la via della non-violenza, l’anziano patriarca era invece intenzionato a difendere l’Onore non tanto della nipote, ma dell’intero clan, con le buone o le cattive. 

Mentre avvertiva gli occhi di tutti i presenti su quella deliziosa scena, che avrebbe fatto vacillare per la vergogna i Makimura per generazioni a venire, con estremo compiacimento del vecchio Shin, Ryo alzò il labbro in un sorriso a dir poco sinistro, senza mai staccare gli occhi da quelli della bella Kaori.

“Quello di suo marito,” Ryo rispose con tutta tranquillità. “La dolce Kaori è già sposata - con me.

Il silenzio cessò, e presto la cappella fu riempita dal mormorio spettegolante dei presenti, mentre il prete stava per svenire e Uragami si irrigidiva, impallidendo, a lato della sposa, che strinse gli occhi e si avvicinò all’uomo, a così poca distanza che Ryo non solo avvertì il profumo della donna, ma fu sfiorato dal delicato ed impalpabile velo da sposa.

“Ti sbagli!” la donna sibilò, senza lasciarsi intimorire ulteriormente dall’uomo, cercando di non svergognarsi e non far vedere come, sotto sotto, quel suo comportamento virile, il portamento fiero, sbruffone, caparbio, la riportasse indietro a quella notte… e a quanto lei lo aveva desiderato. E, forse, ancora lo desiderava.

“Oh, non credo proprio. Vedi, ricordo fin troppo bene,” Ryo si limitò ad alzare un sopracciglio, senza mai distogliere gli occhi da lei, lungi dal cadere vittima del fascino o del potere di Kaori. “quella notte, due anni fa, quando, dopo un paio di bicchieri di troppo, ci siamo trovati davanti ad un giudice di pace in uno dei tanti casinò del quartiere di Shinjuku. Tu avevi un vestitino rosso, se non ricordo male, tutto luccicante, con uno spacco da urlo ed un corpetto che con quella scollatura faceva sembrare il tuo seno di almeno due taglie più grande…”

Tornò di nuovo il silenzio, brevemente, mentre i presenti accendevano i loro telefoni per fare sapere a tutti il gossip dell’ultima ora: Kaori Makimura, sposata in un casinò al suo acerrimo nemico! 

Kaori guardò con disprezzo ogni singola persona presente; a nessuno di loro importava di lei, erano lì tutti per lo show. Decisa a non dare loro alcuna soddisfazione, e lungi dallo spiegare che sì, era stata sposata a Ryo, ma per poche ore e comunque le nozze erano state annullate, Kaori afferrò l’ampia gonna dell’abito da sposa - scelta della madre  e da Miki– e, dritta e fiera, camminò lungo la navata della chiesa, seguita dal fidanzato e da un estremamente arrogante Ryo: avrebbero risolto quella questione in privato, senza dare adito a pettegolezzi o dare ulteriore spettacolo. Il trio era appena uscito dalla chiesa, dirigendosi verso il giardinetto di fronte, che il mormorio all’interno delle mura divenne un vero e proprio frastuono: la loro uscita aveva dato il la ai pettegolezzi. 

“Come hai osato, tu…” la giovane donna sibilò, girandosi verso Ryo, e sollevandosi il velo. Il suo promesso sposo e suo marito se ne stavano uno accanto all’altro, uno con la faccia da pesce lesso, l’altro aveva tutta l’aria di essere estremamente soddisfatto del proprio operato: era inutile, se non nel sangue, Ryo era decisamente figlio di Shin Kaibara dove contava, e come ogni Kaibara covava il desiderio di distruggere la vita ai Makimura.

Arrossendo timido ed impacciato, sentendosi piccolo ed inutile, gracile di fianco a quell’uomo dal fisico scultoreo, possente, dal portamento fiero, Satoshi si schiarì la voce. “Saeba, spero che lei abbia una buona motivazione per aver interrotto il mio matrimonio ostentando una simile menzogna…”

“La mia motivazione è tutt’altro che una bugia.,” Ryo rispose, con tutta tranquillità, senza mai distogliere lo sguardo da Kaori, “Mai sentito parlare di certificato matrimoniale?”

“Saeba, non so in quale realtà alternativa la sua testa bacata stia vivendo,” Satoshi continuò, sibilando, mentre iniziava a spazientirsi; le vene del collo si ingrossarono, e strinse i pugni con decisione. “ma nessuno trova questa assurdità divertente!”

Ryo non rispose stavolta; sollevando un sopracciglio, si limitò a guardare Kaori, sfidandola a rispondere lei al suo promesso sposo. Era curioso: sarebbe stata onesta, o avrebbe continuato con quella menzogna che si portava dietro da anni?

“Il nostro matrimonio è stato annullato, Ryo!” La ragazza si lasciò scappare, mente faceva un passo avanti verso di lui, gli occhi colmi di panico… e vergogna.

“Quindi…è vero?” La accusò, allibito, Satoshi, con espressione incredula. “Sei sposata con lui?”

Ero sposata con lui!” La donna chiarì, cercando gli occhi del fidanzato, piccoli e vuoti, piuttosto che quelli di Ryo, che sempre avevano bruciato di passione e determinazione ed intelligenza. “Il nostro matrimonio è durato solo poche ore!”

“Beh, se per te oltre diciassettemila ore sono poche…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, e scrollò le spalle con totale nonchalance, facendo infuriare ancora di più Kaori; a guardarlo ora, a ricordare chi egli fosse, non capiva come avesse potuto prendere una tale colossale bidonata - infatuarsi di un bel faccino tra un bicchiere e l’altro, mentre festeggiavano le imminenti nozze di alcuni amici purtroppo comuni. 

“Pensavo…” la giovane non ingoiò, lo fissò negli occhi con fuoco, orgoglio e determinazione. “Sono passati due anni, te lo scrissi anche…. Perché non hai chiesto l’annullamento? Cos’è, sei stato troppo preso a saltare da un letto all’altro?”

“Non ne ho avuto voglia, tutto qui.” Ryo si limitò a risponderle, fissandola negli occhi castani. “Quindi, tu sei ancora mia moglie, tesoruccio caro.”

Kaori sapeva di non avere un carattere facile, ma col tempo aveva imparato a controllarsi, anche perché, come esperta d’arte, le capitava di trovare le occasionali teste calde che pretendevano che un pezzo avesse un determinato valore quando invece era poco più di una crosta. Ma Ryo aveva sempre avuto la singolare capacità di farle perdere tutto il suo proverbiale aplomb, fin da quando erano ragazzini e frequentavano la scuola, seppure in anni differenti, nel medesimo complesso.

“Ryo…” La donna sibilò con voce stridente. “Ti ho lasciato i documenti già firmati sul comodino e me ne sono andata nel cuore della notte! Più di così cosa dovevo fare per farti capire che non ero più interessata a rimanere sposata con te?”

“Tu li avrai pure firmati,” Ryo le rispose con tutta tranquillità, e quella scena, Kaori si rese conto, era quasi surreale: lei ed Uragami in abiti nuziali, e Ryo, odiato da tutti i Makimura, che annunciava di essere suo marito. “Ma io non li ho mai portati in tribunale. Quindi, ripeto: tu sei ancora mia moglie.” 

“Tu…” Kaori lasciò andare i lembi dell’abito. Alzò le mani, allungandole verso il collo di Ryo, desiderosa di strozzarlo, di trovare una qualsiasi soddisfazione. Era chiaro che aveva fatto tutto ciò intenzionalmente: per umiliare lei e la sua famiglia. Altrimenti, perché attendere così a lungo per svelare l’arcano, perché presentarsi proprio il giorno delle sue nozze? “Lo hai fatto apposta! Ammettilo!”

“Ma Kaori cara, io l’ho fatto per te…” la sbeffeggiò; mani in tasca dei jeans, si chinò verso di lei, cosicché i loro occhi fossero alla stessa altezza. “Non avresti mai voluto essere accusata di bigamia, vero? Vero?”

La donna avvertiva un formicolio alle mani, desiderosa di  strozzarlo, e al contempo di prendersi a schiaffi. Ryo era un Kaibara, non avrebbe dovuto fidarsi di lui, ma due anni prima non aveva avuto il coraggio, la forza di interessarsi troppo alla faccenda, volendo lasciarsela alle spalle, terrorizzata che qualcuno scoprisse di quel suo attimo di debolezza. Adesso, però, sapeva di aver commesso un errore colossale, di essere stata sciocca ed infantile. E che la sua famiglia aveva sempre avuto ragione: di un Kaibara, fosse esso di nome o di sangue, non ci si poteva fidare.

Kaori chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poi li riaprì, sentendosi un pochino più in controllo della situazione. “Il mio avvocato ti contatterà al più presto per la questione dell’annullamento.”

Ryo la guardava soddisfatto. Intanto, aveva ottenuto quello che voleva: aveva fatto una scenata, e rovinato il suo matrimonio. 

Sollevando la sua gonna, Kaori si allontanò sui tacchetti a passo svelto, tallonata dal suo quasi marito, mentre quello vero la guardava con un sorriso predatorio stampata sul volto, mentre con la mente tornava alla notte delle loro nozze: i Kaibara ed i Makimura erano stati bloccati in una lotta senza esclusioni di colpi da oltre duecento anni, ed immaginava che fosse anche quello che aveva alimentato la sua passione con Kaori- il gusto del proibito. 

Ma quell’assurda lotta tra la famiglia del patrigno di Ryo e quella di lei era stato anche il motivo per cui lei era scappata nel cuore della notte mollandogli sul cuscino i documenti per l’annullamento, prontamente trovati chissà come - Ryo non se n’era meravigliato minimamente, col suo lavoro Kaori conosceva decine di avvocati, e poi era una donna piena di risorse.

A Ryo questa fuga non era mai andata giù. Non era solo una questione d’orgoglio, dato che di solito era lui che spariva nel bel mezzo della notte senza dare spiegazioni all’amante di turno; Kaori aveva avuto un particolare spazio nella sua vita da quando l’aveva vista per la prima volta, quando lei era solo una ragazzina e lui uno studente universitario. Era sempre stata diversa dagli altri – gli altri membri della sua famiglia, quelli provenienti dal loro ambiente - ma il giovane uomo sapeva che, fino a che fosse esistita quell’assurda faida tra le loro famiglie, lei non sarebbe mai stata veramente sua.

Addolcendo il suo sorriso, una volta che fu sicuro che non ci fosse nessuno più a guardarlo, Ryo contemplò la visione di Kaori avvolta da quella nuvola bianca; sebbene quel vestito non raccontasse nulla di lei, era davvero bellissima, come lo era stata con quell’abito rosso, scintillante, la notte in cui aveva ceduto alle sue lusinghe.

E poi, com’era bello quel contrasto! Occhi scintillanti di passione come quelli di un sexy diavolo tentatore, e quel bianco angelico… a Ryo quasi dispiaceva di non averla presa tra le braccia per portarla via e reclamare i suoi diritti di marito, una cosa che era certo lei avrebbe apprezzato. Kaori aveva sempre l’aria composta e distante, ma in realtà era una facciata, una maschera che solo con lui, quella bellissima notte, lei aveva abbassato. L’uomo trovava intollerante che lei si limitasse in questo modo, che non facesse altro che recitare la parte della bella statuina, ancora con quel bell’imbusto che non valeva nulla, e che molto probabilmente era stato scelto da quello scellerato dello zio e da quell’oca giuliva che la povera Kaori si ritrovava come madre. 

Ryo sbuffò, passandosi una mano tra i capelli corvini. Maki era l’unico, in quella famiglia, con un po’ di cervello, che non pensasse costantemente alle dispute tra le loro famiglie per terreni, industrie, favori politici o gli affair romantici avvenuti secoli prima! 

Ryo ancora ricordava cosa era accaduto quella meravigliosa notte, e lo avrebbe ricordato fino a che avesse avuto respiro: entrambi un po’ alticci, si erano lasciati andare, flirtando in un modo a dir poco oltraggioso. Quando poi le avances di Ryo si erano fatte un po’ più esplicite, e lui le aveva baciato il collo mentre le accarezzava la coscia attraverso quello stratosferico spacco, la mano, impudente, che saliva sempre di più, alla ricerca del tessuto dell’intimo della ragazza, lei sorridendo lo aveva allontanato, ed un po’ mortificata gli aveva detto che lei era stata cresciuta all’antica, e non si sarebbe mai concessa prima del matrimonio. Ryo avrebbe potuto dirle che c’erano modi di divertirsi senza bisogno di arrivare al dunque, ma… ma non sarebbe stato lo stesso. Lui la voleva, a qualsiasi costo, ed era stufo di piegarsi ai ricatti e ai vaneggiamenti della famiglia, aveva desiderato Kaori per troppo tempo per arrendersi ora, quando era ormai lì.

“E allora giochiamocelo ai dadi…” Ryo le disse, prendendola per mano ed accompagnandola ad uno dei tavoli da gioco; avevano abbandonato la festa degli amici per andare in uno dei casinò del quartiere, dove pensavano avrebbero avuto più privacy. 

“Al tavolo del blackjack c’è un giudice che conosco…. Se vinco io, andiamo da lui e ci facciamo firmare la licenza, se vinci tu… ognuno va per la sua strada, e da domani faremo finta che non sia successo nulla, e saremo di nuovo rivali…” Le sussurrò sulla bocca, mentre le passava sul labbro il pollice, guardandola con ardente desiderio negli occhi. Ryo si avventò su di lei, e le divorò le labbra lì, in mezzo alla sala, davanti a tutti, baciandola in modo quasi osceno, pornografico, incapace di resistere alla chiamata del desiderio, e Kaori, dimentica di chi entrambi fossero, lo lasciò fare, gli si avvinghiò al collo, e sfregandosi con il seno contro il petto virile, coperto da quella bellissima camicia bianca, rispose al bacio. 

“Ti prego, Kaori, non dirmi di no….” Ryo le ansimò nell’orecchio, mentre la stringeva contro di sé: era duro ed eccitato, ed il sussulto, il mugolio carico di piacere di lei gli fece comprendere che anche la donna aveva avvertito la potenza della sua erezione.

E Kaori non aveva esitato, accettando la sfida; quando aveva vinto, Ryo era stato elettrizzato dalla prospettiva di aver avuto una via d’accesso preferenziale al cuore della donna, certo che quel pezzo di carta l’avrebbe legata a lui per la vita – una speranza resa ancora più forte da come elettrizzata gli era parsa mentre firmava, con quegli occhi che non aveva mai visto così vivi, da come gli si era donata completamente nel loro letto-  ma così non era stato, e al mattino, quando si era girato per prenderla ancora una volta, assaporando il gusto delle labbra di lei sulla bocca, invece del bel corpo nudo di Kaori si era trovato quel mucchio di fogli che, in preda alla rabbia, aveva prima appallottolato, poi guardato e letto, ed infine fatto a pezzetti. Ci aveva messo anni, nonostante la desiderasse da quando era adolescente, per trovare il coraggio di farla sua: non se la sarebbe fatta scappare così facilmente!

Peccato che nei due anni seguenti contattare Kaori fosse stato pressoché impossibile…. Lei lo evitava peggio della peste, se c’erano feste da amici comuni non ci andava, filtrava le chiamate…. Quell’incursione al matrimonio era stata la sua ultima spiaggia, e sebbene avesse sperato che Kaori si sarebbe arresa a lui, avrebbe visto la differenza tra lui e quell’altro, così non era stato. 

Avrebbe dovuto lavorare ancora un po’ per essere certo che lei volesse arrendersi completamente a lui ed a cosa c’era tra loro, perché capisse quanto era profondo ciò che provavano l’un per l’altra, e che non si trattava di una semplice infatuazione o mera attrazione fisica. 

E se per farlo avrebbe dovuto distruggere entrambe le loro famiglie o farsi odiare… che così fosse!

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Capitolo 2
*** Gossip! ***


Ragazze, ragazze, ragazze! Grazie mille per il supporto ricevuto, sia da chi ha ricensito, chi l'ha letta ed aspetta di avere un comodo pc a portata di mano per recensire, chi mi ha mostrato il proprio apprezzamento... grazie, grazie, grazie! 
Piccola nota introduttiva: all'interno di questo capitolo ci sono elemnti di grafica; entrambe le immagini sono dell'illustratrice Giapponese Pound, e potete trovarle, come molti suoi altri lavori, su twitter, @pound_poundy
 

“Ho sentito un pettegolezzo molto particolare, fratello caro…” Sonia, la sua sorellastra, gli disse col sorriso sulle labbra e una voce maliziosa, interrompendo la breve pennichella pomeridiana di Ryo che, vestito di tutto punto, se ne stava spaparanzato sul grande divano del suo loft, riposando tra un incontro di lavoro e l'altro.

Sonia era stata, come lui, presa in casa da Shin Kaibara quando il ricco magnate aveva sposato la loro madre, la bella ma volubile (e calcolatrice) Carmen. Colombiana, nata e cresciuta nella povertà, la donna era stata però dotata fin dalla più giovane età di un fascino prorompente, che unito alla sua carica sensuale latina avevano fatto di lei una bomba sexy dal comportamento volitivo e manipolatore. Carmen saltava bellamente da un ricco marito all’altro quando lo sfortunato uomo del momento cadeva in disgrazia incontrando sfortune economiche: il primo era stato Carlos, sposato solo per abbandonare la casa paterna, di cui si era fatta fuori presto, sposando il politico giapponese Matsuo – il padre di Ryo - che caduto in disgrazia dopo una scandalo di soldi e donne era stato abbandonato prima in favore del petroliere Texano Kenneth Field, con cui aveva avuto Sonia, e di Shin Kaibara poi, con cui aveva trovato una certa stabilità. 

Ryo però non era certo stupido, e non lo era mai stato. Entrato in quella casa già adolescente, aveva capito presto che, per quanto Shin fosse infatuato di Carmen, il motivo per cui l’aveva presa in sposa e la teneva ancora come moglie nonostante i continui tradimenti erano lui e Sonia, a cui l’uomo voleva bene dal più profondo del cuore - un amore ricambiato, perché sia per lui che per la sorella, Shin era stato più padre dei loro stessi padri. 

“Mamma ha fatto una scenata che non ti dico, dice che, testuali parole, se questa storia fosse vera, tu avresti trascinato il nome di famiglia attraverso il fango!” gli sorrise, mentre sedeva sul bracciolo del divano, accanto al capo dell’amato fratello. “Ma ha aggiunto che lei non ci crede, perché tu non ti saresti mai fatto vedere al matrimonio di un Makimura…”

“Beh, mi dispiace contraddirla...” Ryo sogghignò, guadagnandosi una cuscinata in testa dalla sorella. “Ma mi sono presentato a questo matrimonio eccome, e anche senza invito, e c’ero anche al precedente matrimonio della bella Kaori, e non certo come ospite… non so se mi spiego!”

“Sei il solito porco! Ci credo che quella ragazza ti ha mollato, pensi al sesso ventiquattro ore su ventiquattro tu!” Sonia sibilò, arrossendo, dandogli un’altra cuscinata in testa.  Poi, la ragazza si accasciò contro lo schienale del divano, sospirando, seria. “Però, anche tu, Ryo, chissà adesso cosa diranno i nostri genitori…. Sposarsi, un Makimura ed un Kaibara, cosa avevate per la testa?”

“Immagino uno dei tanti motivi per cui la gente si sposa…” Ryo si limitò a rispondere. Non gli andava di spiegarsi, raccontare del fuoco che lei gli accendeva dentro, della tenerezza di quella ragazza, del suo carattere gentile, e di come Ryo stesso fremette di gioia nel vederla realizzarsi, ed essere felice e serena, se stessa, accanto a lui, seppure per poche ore: parlarne sarebbe stato quasi un tradimento verso quella bolla in cui erano esistiti solo loro due, Ryo e Kaori, e non i rampolli delle famiglie Makimura e Kaibara. Forse un giorno si sarebbe aperto con qualcuno, ma prima aveva bisogno che lei, la sua dolce, bellissima  Kaori comprendesse ed accettasse questo fatto per prima. Ryo doveva solo trovare il modo di parlarle con franchezza, faccia a faccia, ed in modo civile, e lei di questo non ne voleva proprio sapere. Per adesso: perché se il piano di Ryo avesse dovuto funzionare, la giovane donna non avrebbe avuto scelta! 

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Kaori provava il distinto desiderio di afferrare qualcuno per il collo, ma se doveva essere sincera, in quel momento non era certa di sapere chi, se Ryo… o se stessa. Aveva sempre fatto attenzione a compiere tutte le scelte giuste, aveva frequentato, impegnandosi, le migliori scuole, aveva sempre preso ottimi voti, aveva frequentato le persone giuste, persone apprezzate dalla sua famiglia, e aveva scelto anche il fidanzato perfetto, su suggerimento di zio e madre.

Solo una volta si era lasciata andare in tutta la sua vita, seguendo l’istinto e non la ragione, e si era trovata sposata con Ryo Saeba…. E adesso quel dannato matrimonio era sulle bocche di tutti per colpa di quella stramaledetta rivista di gossip!

Appallottolando il giornale, Kaori lo lanciò nel cestino, poi si lasciò cadere sul letto di ferro battuto con un singhiozzo, chiudendo gli occhi: sperava che se si fosse addormentata, avrebbe poi riaperto gli occhi per scoprire che si era trattato solo di un incubo, ma sapeva che non le sarebbe andata così bene. 

Poteva solo immaginare cosa sarebbe successo, e tutto per causa di Ryo Saeba… tutti avrebbero parlato di lei, la sua famiglia (sua madre e suo zio) l’avrebbe messa all’indice, neanche fosse stata costretta ad indossare una lettera scarlatta sul petto. E per di più, anche Miki adesso era vittima di pregiudizi e pettogolezzi nella sua professione di wedding planner, nemmeno fosse stata colpa sua che la cerimonia aveva finito per essere interrotta, terminando in quel modo disastroso.

Kaori prese un profondo respiro ad occhi chiusi, cercando di controllare la sua respirazione, e di tornare in pieno controllo di sé; aprendo l’armadio fece passare i suoi capi da lavoro, grata che il suo capo alla compagnia d’assicurazione per cui stabiliva la veridicità delle opere d’arte da assicurare avesse insistito che fosse lei ad occuparsi di una valutazione per conto di un pezzo grosso – non sarebbe scappata dai problemi (ovvero Ryo ed il matrimonio che bisognava annullare al più presto) ma almeno avrebbe messo un po’ di distanza tra lei, lui, l’altro, le riviste di gossip e tutti quelli che le leggevano e stavano spettegolando di lei.

La mano pronta ad afferrare la gruccia su cui era appeso un maglione di Tommy Hilfiger nero, Kaori sfiorò inavvertitamente una lunga sacca porta-abiti.

Sapeva esattamente cosa ci fosse all’interno: quello che era divenuto l’abito delle sue nozze rosse, non di sangue ma di fuoco, passione… mentre sentiva il fiato morirle in gola, Kaori andò con la mente a quel giorno, alla festa di alcuni amici comuni a cui avevano finito per incontrarsi. 

Erano anni che non si vedevano faccia a faccia, da quando Ryo aveva terminato l’università, ma sapevano ancora esattamente chi fossero l’uno e l’altra- erano un Kaibara ed una Makimura, il contrario sarebbe stato impossibile, la regola d’oro di entrambe le dinastie era di conoscere i propri avversari.  L’essere soli, non circondati dalle loro famiglie, aveva fatto abbassare loro le naturali barriere costruite nel corso delle loro esistenze, ed avevano finito per flirtare, lanciandosi occhiate di fuoco. 

Avevano scherzato col fuoco, giocato, e quando Ryo le aveva fatto quella proposta… lei aveva accettato, pregando che lui vincesse per poter essere sua, dimenticare finalmente che le loro famiglie erano legate da un odio profondo, nato per motivi così lontani nel tempo che ormai nessuno ricordava perché quella lotta fosse esattamente iniziata. 

La giovane donna si lasciò cadere sul pavimento, incapace di sollevare lo sguardo dalla custodia dell’abito; aveva dato la colpa al fatto di essere single dopo l’ennesima rottura, di essere frustrata, aveva incolpato i troppi bicchieri e soprattutto quanto Ryo quella sera fosse stato affascinante, con quel completo scuro. Ricordava come, mentre giocava, lei gli aveva stretto il braccio con trepidazione, il fiato corto, con la speranza che fosse lui a vincere… e Ryo, uomo di affari, magnate senza scrupoli, il numero uno, ancora una volta aveva vinto, ed un certificato stampato da internet dopo, firmato davanti ad un giudice, li aveva resi marito e moglie.

Avevano preso una suite nell’hotel dal casinò, ed avevano passato la notte a fare l’amore, senza tuttavia riuscire a spegnere quel fuoco che li aveva consumati… Ryo era stato dolce prima, poi più possessivo e ancora quasi feroce – anzi, ferale - dopo; si erano baciati, morsi, graffiati, erano stati incapaci di averne mai abbastanza.

Quella stanza era stata la loro oasi di pace, e poi Kaori aveva visto un messaggio della madre sul telefono, e vedere quel nome era stato come ricevere in  testa la proverbiale secchiata d’acqua gelida. Si era voltata verso Ryo, profondamente addormentato, un’aria angelica, quasi bambinesca sui lineamenti virili, senza sapere verso chi sentirsi in colpa, se la propria famiglia per aver passato la notte con un Kaibara, che aveva addirittura sposato, o verso Ryo, che stava per abbandonare così, senza dire nulla… aveva chiamato un’amica avvocato che le aveva mandato per mail i documenti necessari, e li aveva fatti stampare nella hall, dove si era guardata intorno in preda al terrore, temendo che qualcuno potesse riconoscerla, e dopo averli firmati li aveva lasciati sul cuscino per lui, con l’aggiunta di un semplice post-it: è stato uno sbaglio, lo sappiamo tutti e due.

Il telefono squillò risvegliando la donna dai suoi pensieri; Kaori avvertì bagnato sulle guance, e sfiorandole, si accorse di aver versato alcune lacrime. Si tirò su, schiena dritta e viso alzato, ed andò a rispondere. 

Grazie al cielo era Miki, anche se una parte di lei temeva di rispondere. Cosa sarebbe successo all’amica? Che sentisse già le ripercussioni dello sbaglio suo e di Ryo? Kaori aveva pensato che chiedere a Miki di essere l’organizzatrice, invece che una damigella, le avrebbe portato visibilità e clienti… la visibilità non c’era dubbio che l’amica l’avesse avuta, i clienti invece stavano scappando a gambe levate.

Le due amiche presero a chiacchierare – di uno dei pochi matrimoni organizzati da Miki che non erano stati annullati per il semplice fatto che ormai era troppo tardi, e dell’imminente viaggio di lavoro di Kaori a Fukuoka, ma la giovane donna avvertiva una certa apprensione nell’amica, come una reticenza. 

“Miki….” Le disse con voce dolce e soave. “Non ti devi preoccupare per me. Mi sono messa io in questo pasticcio e ne uscirò al più presto, vedrai.”

“Oh, Kaori, sono così dispiaciuta per quello che è successo!” La sua amica piagnucolò dall’altra parte della linea. Kaori poteva immaginare benissimo la bellissima Miki che si tamponava gli occhi con un delicato fazzoletto di cotone ricamato. Il non-matrimonio di Kaori l’aveva turbata profondamente, sia per ciò che era avvenuto, sia perché quando aveva fatto irruzione in chiesa Ryo non era stato solo: si era portato dietro i suoi due migliori amici nonché soci in affari, Mick Angel ma, soprattutto… soprattutto, Hayato Ijuin, l’ex militare che Kaori aveva sorprendentemente scoperto essere l’ex innamorato di Miki.

Miki esitò nuovamente. Kaori alzò un sopracciglio, chiedendosi di cosa le dovesse parlare- quel tono e quella reticenza potevano indicare molte cose, ma era quasi certa che la cosa più probabile fossero una sfilza di colossali rogne. 

“Miki…” Kaori la avvertì, con un tono che poteva voler dire tutto o nulla. 

“Beh, ecco, mi chiedevo se fosse il caso di mandare un qualche, come dire, annuncio per l’accaduto, e soprattutto cosa fare dei regali…”

“Restituiscili,” Kaori le rispose lasciandosi cadere sul letto. Non era solo una questione di tempistica; le parole di suo marito le avevano dato la netta impressione che Ryo non le avrebbe concesso né un annullamento né un divorzio tanto facilmente, ma soprattutto, aveva la tacita consapevolezza che, dopo quella scenata che lo aveva fatto finire, per il motivo sbagliato, sulla cresta dell’onda mediatica, divenendo bersaglio di scherno delle sue stesse testate, difficilmente Uragami sarebbe ancora stato interessato a prenderla in moglie. Lei non gli aveva ancora restituito l’anello, ma lo aveva tolto immediatamente, riponendolo nel suo portagioie.  “E per quel che riguarda il comunicato stampa, puoi evitarlo. Direi che le testate di gossip hanno già detto tutto quello che c’era da sapere al riguardo.”

“Uragami come l’ha presa?” L’amica le domandò. Era la stessa domanda che le avevano fatto lo zio, la madre, sua cugina Sayuri e la sua amica Kazue, che era arrossita alla visione di Mick Angel. L’unica persona che non lo aveva chiesto, non per disinteresse ma perché aveva compreso che fosse una domanda superflua, era stato suo fratello: Hide sapeva sempre cosa dire… e cosa non dire. 

“Beh, la sua fidanzata non gli ha mai confessato di essersi sposata in preda ai fumi dell’alcol né di non aver controllato il suo stato civile prima di presentare i documenti in comune e lui all’improvviso scopre che lei è quasi bigama… tu che ne dici?” Kaori provò ad essere positiva e suonare allegra e leggera, ma la cosa stava iniziando a pesarle sulle spalle… anni a fare la cosa giusta, a piegarsi ai dettami della società, della sua famiglia, eppure questo era il risultato: un solo errore l’avrebbe perseguitata per il resto dei suoi giorni. 

“Sei sicura di non voler rispondere a quell’articolo dell’Intelligencer?” Miki le domandò. Kaori sapeva che Miki aveva a volte curato le pubbliche relazioni delle sue spose, ma un addetto stampa era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

“E per dire cosa? Confermare che sono ancora la signora Saeba-Kaibara e nemmeno lo sapevo?” Kaori sbuffò, sistemandosi la frangetta. Non aveva alcuna intenzione di mettere i media ancora di più in mezzo a quella faccenda, anche perché temeva che se lei avesse rilasciato una sua dichiarazione, Ryo si sarebbe potuto sentire in dovere di fare altrettanto, e solo Dio sapeva cosa avrebbe potuto raccontare, o cosa quel giornalaccio da strapazzo avrebbe potuto scoprire o anche solo insinuare.

No. Avrebbe chiamato il suo avvocato, che avrebbe chiamato quello di Ryo, e avrebbero sistemato la cosa tra di loro, senza scocciature di terze parti, nella speranza di quietare quello scandalo.

Kaori stava per dire qualcosa a Miki quando il campanello squillò, e la giovane andò a rispondere, salutando la wedding planner. 

Guardò dallo spioncino: Zio Toshio, in tenuta – metaforica- da guerra. 

C’era aria di guai.

“SI PUÒ SAPERE COSA DIAVOLO TI ERA PASSATO PER LA TESTA, KAORI?” Lo zio le sbraitò in faccia, senza nemmeno darle la possibilità di difendersi o anche solo salutarlo. Niente gentilezze, per lei: agli occhi del patriarca non se le meritava, non dopo aver commesso il sommo disonore di sposare un membro della famiglia Kaibara, anche perché, seppure non fosse suo figlio, era risaputo che Ryo fosse il prediletto di Shin e che dal giorno in cui aveva preso il cognome del suo patrigno l’uomo fosse stato cresciuto con il solo obiettivo di ereditare e guidare l’impero di famiglia.

Kaori sospirò: avrebbe dovuto sapere che non avrebbe potuto evitare la sua famiglia a lungo. Era praticamente fuggita dopo quel disastro, lasciando a madre e zio il compito di spiegare cosa fosse successo e tentare di salvare le apparenze – immaginava invece che Hide se la ridesse della grossa, visto e considerato che era stato fortemente avverso a quelle nozze fin dal principio; il fratello desiderava per lei la libertà, che potesse essere sé stessa e decidere fino in fondo da sola della propria esistenza, e vedeva le nozze con Uragami se non come un’imposizione diretta, per lo meno come un tentativo da parte di Kaori, l’ennesimo, di accontentare la famiglia.

L’uomo non disse nulla; la squadrò con fare critico, facendola sentire piccola ed insignificante, e poi si diresse verso il camino, sopra cui spiccava un ritratto di famiglia, di quando Kaori era poco più che neonata; la donna avvertiva lo sguardo del padre su di sé, quasi dall’aldilà lui la stesse giudicando per quell’affronto. 

“Il mio povero fratello si starà rigirando nella tomba, così come pure tutti i nostri antenati!” L’uomo sospirò rattristato, seppure ancora con tono marziale. “Hai messo la famiglia in estremo imbarazzo, Kaori. Cosa hai intenzione di fare per risolvere velocemente questo problema?”

La donna si sedette su una delle poltrone della sala principale della casa, un sontuoso palazzo in stile europeo, eretta su di un terreno poco fuori Tokyo. Circondata da un immenso parco verde, i Makimura vivevano lì da secoli, limitandosi ad abbattere una costruzione per costruirne di più moderne man mano che la percezione del lusso cambiava.

“Otterrò l’annullamento. E se non sarà possibile, chiederò il divorzio,” rispose serrando i pugni, mantenendo lo sguardo basso. Lo zio era intanto andato in cucina, dove si era servito un bicchiere di vino rosso, la cui successiva visione aveva fatto accaldare le guance della giovane donna, che aveva ricordato come lei e Ryo avessero passato quella notte indimenticabile a sorseggiare vino, spesso dallo stesso bicchiere, come avessero assaporato quel nettare attraverso i loro caldi e focosi baci…

“Lo definiremo un errore di gioventù, con la stampa, il risultato del passare da una festa all’altra senza controllo…” Lo zio immaginò, lisciandosi quel baffetto che faceva tanto vecchia aristocrazia europea; non le stava chiedendo nulla, aveva già deciso, quasi immaginasse che la nipote non potesse fare altro che scelte sbagliate: un errore, uno solo, e adesso si ritrovava marchiata a vita. “Devo però ammettere che sono molto contrariato: ti abbiamo fornito la migliore educazione, nessuno immaginava che avresti commesso un simile atto di ribellione, proprio tu. Forse lo avrei potuto accettare da tuo fratello, ma…”

Kaori strinse i denti, tentando di non piangere. 

Un errore. Un solo singolo errore, ed era divenuta una delusione. Lo zio e la madre, l’avrebbero mai perdonata, o negli annali della famiglia sarebbe stata annoverata come la stupida che si era fatta incastrare da un Kaibara, alla stregua di quella trisavola che era stata costretta a chiudersi in convento dopo essere stata sedotta da un membro della famiglia rivale, e ormai svergognata, era divenuta oggetto di dicerie, un qualcosa da nascondere dagli occhi del mondo?

Kaori sgranò gli occhi, mentre per un attimo il suo cuore si fermò: lo zio amava le tradizioni, ma certo non l’avrebbe nascosta agli occhi del mondo, o avrebbe osato chiederle questo sacrificio, seppure fossero ormai nel ventunesimo secolo e i divorzi fossero la norma? 

“Rimane ancora da capire come tu abbia potuto essere sposata a quell’uomo per oltre due anni, mantenendo il più tacito riserbo sulla questione - non che ti biasimi, un Kaibara, chi mai potrebbe volere vedere il proprio nome accanto al loro?”

Io,  la donna pensò. Solo per una notte, ma era stata felice di essere la sposa non di un Kaibara, ma di Ryo. Quella notte avevano entrambi dimenticato chi fossero, ma soprattutto da dove venissero, ma ora sembrava che nessuno desiderasse null’altro che ricordarglielo, costantemente. 

“…e proprio tu, agire in un modo così sconsiderato quando avresti dovuto sapere che genere di matrimonio ci si attendeva da te! Già abbiamo rischiato di divenire la chiacchiera del Giappone bene, rimanendo zitella così a lungo, quando ormai tutte le tue coetanee delle famiglie bene sono accasate con figli… hai idea di quanto sia stato difficile fare in modo che il pupillo degli Uragami ti prendesse in considerazione come consorte?”

Kaori alzò gli occhi al cielo, sentendo la rabbia che le cresceva dentro ad ogni singola parola che lo zio Toshio le diceva. 

Nessuno diceva nulla a  Hide perché lui era uomo, nessuno diceva nulla delle donne dello zio per lo stesso motivo, ma lei no. Lei doveva essere perfetta e non poteva sbagliare… e comunque, un buon matrimonio? Non avrebbe mai potuto fare meglio che con Ryo: i Kaibara erano di gran lunga più ricchi degli Uragami, e anche visti meglio per il loro antico retaggio, e perché non avevano investito il loro denaro, faticosamente guadagnato col sudore della pelle, in sciocchezze come reti televisive che trasmettevano programmi di dubbio gusto, al limite del trash, o giornaletti scandalistici.

E per quel che riguardava Satoshi Uragami… eh, se non l’avesse voluta più non sarebbe stata quella grande tragedia. Nessuno dei due era prono a grandi passioni, entrambi cercavano un rapporto di amicizia e rispetto reciproco, e avevano bisogno di qualcuno che “interpretasse” il ruolo del consorte ideale. In più, lui era stato chiaro: vedovo, voleva una madre per la giovanissima figlia Mayuko. Non aveva ancora detto nulla su cosa si aspettasse da lei ora, ma Kaori immaginava che il fidanzamento si potesse considerare belle che rotto, e che, presto o tardi, avrebbe ricevuto una mail dall’avvocato di lui chiedendo la restituzione dell’anello di fidanzamento, che era nella famiglia Uragami da oltre cent’anni.

“Grazie al cielo tu, in quanto secondogenita del mio povero fratello, non hai ereditato nulla. Non tollererei che Kaibara usasse la scusa di essere stato formalmente il tuo consorte per reclamare una parte dei beni della famiglia, anche se….” Zio Toshio fece schioccare la lingua contro il palato, lanciando uno sguardo interessato verso la nipote, e prese a massaggiarsi il mento, riflettendo ad alta voce. “Anche se potremmo benissimo reclamare la nostra parte di beni dei Kaibara noi stessi.  Quando il vecchio Shin si è ritirato ha praticamente lasciato tutto in mano a Saeba…”

“MAI!” Kaori urlò, spazientita, alzandosi in piedi; poteva accettare di sposarsi per etichetta, per apparenza, ma per una mera questione economica? Mai! Inoltre, non voleva macchiare quello che quelle poche ore avevano rappresentato per lei con una mera pretesa di denaro. Ryo sapeva che non era stato il suo portafoglio titoli a farla capitolare, e Kaori non voleva che lui cambiasse idea. Potevano essere in disaccordo su tante cose, ma quel ricordo… voleva solo serbare quel singolo ricordo nel cuore.

Avvertendo brividi di freddo, Kaori si svegliò; si rese conto di essere nuda, e ricordò esattamente il perché lo fosse. La sua mente si riempì dei ricordi delle ore precedenti, peccaminose immagini cariche di sensualità ma anche dolcezza. Ryo, che sempre l’aveva stuzzicata quando era ragazzina, che quando la vedeva in compagnia del fratello la chiamava Kaoru oppure maschiaccio, era stato un amante tenero, delicato, che si era dedicato completamente a farle scoprire cosa volesse dire il piacere, prendendosi tutto il tempo necessario, quasi torturandola prima di donarsi lui stesso  a lei.

Al ricordo del momento in cui i loro corpi si erano uniti, Kaori avvampò.

“Mica mi dirai che ti vergogni per quello che abbiamo fatto…” Lui le disse con una voce impastata dal sonno. Kaori aprì gli occhi, nascondendosi un po’ sotto al lenzuolo, ed incontrò lo sguardo di lui. Ryo la osservava, divertito, ma soprattutto con gli occhi colmi di tenerezza. Ridacchiando, afferrò il lenzuolo, e lo gettò a terra, prima di prenderla tra le braccia e baciarla, senza mai smettere di stringerla a sé. 

“Risolverò questo problema,” disse con risolutezza. 

Fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto, Kaori Makimura avrebbe ottenuto il divorzio da Ryo Saeba, e ristabilito l’onore della sua famiglia, dimostrando di essere la degna figlia di quell’importante dinastia. 

 

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Capitolo 3
*** A che gioco giochiamo? ***


A/N: grazie mille per l'incoraggiamento che mi state dando con questa storia!
 

Il viaggio di lavoro a Fukuoka era stato più breve del previsto, e molto più noioso; Kaori amava il suo lavoro come esperta d’arte, ma lavorare per una compagnia assicurativa non era quella grande cosa che certa gente sembrava credere, anzi, troppo spesso quando veniva assegnata ad un caso la donna si vedeva trattare come una ragazzina o come un’incapace, con uomini – intesi come maschi – che sembravano credere che, in quanto donna, non capisse nulla di nulla, sentendosi in dovere di cercare di abbindolarla, proprio come stavolta: un riccastro ormai sull’orlo della bancarotta aveva tentato di far assicurare un falso; Kaori era quasi certa che l’opera originale fosse ormai già stata venduta al mercato nero,  e che l’idea del cliente fosse quella di inscenare un furto per incassare anche  i soldi dell’assicurazione. Ed era anche sicura che, se il tipo si fosse trovato davanti un uomo, non avrebbe mai provato quel trucchetto: era inutile, il mondo della critica ed analisi artistica era altamente maschile e maschilista.

Tornata a casa, si era fiondata nell’appartamento dove Hide era solito fermarsi durante la settimana, a pochi minuti dal suo ufficio: non voleva subire ulteriori visite da parte dello zio, o, peggio ancora, della madre – sentirla per telefono le era bastato - ed inoltre era decisa a mettere fine al suo matrimonio con Ryo, una volta per tutte. Aveva scambiato “quattro chiacchiere” con un avvocato divorzista, che le aveva caldamente sconsigliato di incontrare il marito, ma Kaori temeva che, se non avesse preso lei in mano la situazione, Ryo avrebbe di nuovo fatto orecchie da mercante alle sue richieste, e lo aveva perciò raggiunto nel suo ufficio, stupefatta che l’avesse accolta non appena aveva detto alla segretaria - giovane, carina, sexy – che la moglie era andata a trovarlo in ufficio per parlargli. Sapeva che avrebbe potuto facilmente raggiungerlo nel suo sontuoso appartamento nel quartiere più in della città, ma Kaori ricordava fin troppo bene cosa era successo quando si erano trovati da soli in una camera d’albergo, e temeva che la casa di lui avrebbe potuto rappresentare un campo minato allo stesso modo; al lavoro poteva ancora sperare che entrambi avrebbero mantenuto il loro autocontrollo abbastanza a lungo da non saltarsi addosso o cercare di strozzarsi.

“Posso offriti qualcosa?”  Ryo le domandò indicandole la sedia dall’altra parte della sua scrivania. Kaori, che indossava un semplice abitino anni sessanta e sandali alti, si sedette e fece cenno di no col capo, additando come scusa il fatto che fosse passata da lui in pausa pranzo e fosse di fretta. 

“Sembri decisamente più tranquilla della settimana scorsa…” Ryo la prese un po’ in giro, facendo schioccare la lingua contro il palato; era seduto con i piedi sulla scrivania, le mani incrociate dietro alla nuca, sembrava tutto tranne il letale uomo d’affari che tutti lo ritenevano; Kaori strinse le gambe quando ricordò che lei sapeva esattamente come Ryo fosse per davvero, ed un’ondata di desiderio la fece vacillare nei suoi propositi, e temette di non essere in grado di resistere alla tentazione.

“Beh, quello che volevi fare ormai lo hai fatto. Tutti sanno che noi siamo stati sposati, il mio fidanzato è andato dall’altra parte del mondo per affari, i regali sono stati tutti restituiti e io sono la vergogna della famiglia per essermi compromessa con un Kaibara.”

Ryo strinse i denti. Non sapeva cosa detestasse di più di tutto quel discorso: che Kaori parlasse del loro matrimonio al passato quando era ancora una realtà, che avesse ritenuto quell’Uragami materiale da matrimonio degno di lei, o che vedesse così male il loro matrimonio da considerarla una colpa, quasi un’onta da lavare col sangue - non che ci fosse nulla di cui meravigliarsi, visto e considerato che nemmeno cinque ore dopo averlo sposato gli aveva lasciato un post-it per scaricarlo.

“Ryo, spiegami bene come diavolo è possibile che tu ed io siamo ancora sposati.” Gli domandò con un tono così freddo che sembrava che la donna stesse portando avanti una mera contrattazione commerciale, invece che parlare del proprio futuro e di un evento che le altre donne consideravano di estrema importanza: le nozze. 

“Le tecnicalità non sono importanti,” Ryo le rispose, facendo spallucce, per poi guardarla negli occhi in un modo che Kaori non riuscì a comprendere appieno, ma che le fece mancare il fiato in gola; Ryo era noto come un freddo e calcolatore uomo d’affari, e la donna aveva immaginato che, usando quel tono distaccato e presentandosi nel suo ufficio, lui si sarebbe comportato in modo altrettanto “professionale”, ma adesso si rendeva conto che si era sbagliata. Ryo sembrava voler flirtare con lei, proprio come aveva fatto la sera in cui avevano finito per sposarsi, e questa cosa la destabilizzava, e non poco. “La vera questione è: come vogliamo procedere adesso?”

“Che razza di domanda!” Kaori sbuffò, alzandosi in piedi e pestando i piedi, mentre sbatteva i palmi sulla scrivania di legno massello. “Adesso chiederò di ricevere un annullamento… oppure… oppure il divorzio!”

Mentre parlava, le guance di Kaori divennero rosse, e l’uomo si rese conto, per l’ennesima volta, di quanto fosse carina e graziosa quando era in preda alla furia: Ryo decise di mettere il dito nella piaga, e farla infuriare ancora di più, per poter godere appieno della sensualità di quella creatura che, ne era certo, era stata libera e disinibita forse una volta sola in vita sua, nella loro camera da letto durante la loro unica, vera notte di nozze. 

“Peccato che io non abbia la benché minima intenzione di renderti le cose facili, cara la mia Kaori… quindi, se pensi che ti concederò così facilmente il divorzio, ti sbagli di grosso!” 

“Hai già rovinato il mio matrimonio, e adesso vuoi pure rovinarmi il divorzio?” Kaori strepitò a denti stretti, quasi non volesse credere a quanto balordo Ryo si stesse rivelando, un vero Kaibara, di nome se non di fatto!

“Eh no eh, signora Saeba, ed è qui che ti sbagli!” Ryo la ammonì, alzando il medio e guardandola negli occhi, prendendola chiaramente in giro, usando quel norme tanto odiato da tutti i famigliari di Kaori. “Tecnicamente non ho rovinato nulla perché tu sei ancora sposata con me, quindi quelle nozze sarebbero state nulle… comico, non trovi? O forse karmico!”

“Tu lo hai fatto di proposito!” Kaori lo accusò, sembrando sempre di più una belva furiosa: era una cosa bellissima, finalmente si stava comportando come una persona vera, non come la bambolina di porcellana della sua famiglia, ed il sapere che era tutto merito suo faceva impazzire Ryo, lo accendeva, lo eccitava come mai nessun’altra aveva fatto prima di allora; se avessero continuato quel litigio, tempo dieci minuti la sua scrivania avrebbe assolto il medesimo compito svolto dal letto d’hotel durante la loro notte di nozze. “Tu hai scelto quel momento preciso perché volevi rovinare la cerimonia!”

“E io che speravo mi saresti stata grata che ti ho evitato un’accusa di bigamia!” Ryo continuò nel prenderla in giro. 

“…Ed hai rovinato il mio matrimonio quando non sei andato fino in fondo con l’annullamento per Dio solo sa quale motivo!” continuò lei, quasi non lo avesse sentito. 

“Ricordami solo quel’è il matrimonio che ho rovinato il nostro o quello che Uragami?” Ryo le domandò,  alzando un sopracciglio, la voce irriverente. “E comunque, credo che la maggioranza delle persone considererebbe il portare avanti un matrimonio come simbolo di buona fede, come un’azione atta a voler salvare quel matrimonio, non rovinarlo!” 

Kaori non si stava divertendo, ma immaginava che invece per Ryo valesse il contrario: lui, un Kaibara, doveva essere al settimo cielo nel vederla così in difficoltà, vederla così disperata e desiderosa di porre fine a quella peccaminosa unione.

“Non riesco a credere che nessuno sapesse del nostro piccolo peccatuccio…” Ryo pensò ad alta voce, massaggiandosi il mento glabro. “Anche il tuo fidanzatino è cascato dalle nuvole quando mi sono presentato in chiesa… non mi sembra che la vostra unione poggiasse su solide basi, sai?”

“La cosa non ti riguarda!” Kaori gli rispose, avvampando, la voce alta e stridula: il solo tono valeva come risposta ed era più che esauriente, e Ryo sorrise, compiaciuto. Erano anni che sapeva che Kaori non era indifferente al suo fascino, nonostante la famiglia avesse fatto il tutto per tutto per insegnarle l’equazione Kaibara= Male assoluto, ma certe attrazioni chimiche, che si provavano a fior di pelle, erano più forti di qualsiasi programmazione neuro-linguistica, qualsiasi insegnamento.

“Uhm, mi chiedo quanto a lungo il tuo affascinate imprenditore sarà disposto ad aspettarti…” Ryo continuò, senza mai perdere quel leggero tono di scherno; il suo occhio da falco andò alla mano destra di Kaori, priva del sontuoso anello di fidanzamento che, il giorno delle presunte nozze, era stato a quella mano.  “E niente anello di fidanzamento! Sicura che le cose vadano così bene, Kaori?”

Kaori non gli rispose. Braccia incrociate, sostenne lo sguardo di Ryo, aspettando che fosse lui a cedere: lei, per prima, non lo avrebbe fatto, gli aveva dato già fin troppe soddisfazioni. Adesso, si sarebbe finalmente comportata come una Makimura!

Tuttavia, trattenere la collera quando lo vedeva ghignare in quel modo era estremamente complicato, e Kaori, stringendo i pugni, sentiva di essere vicina al punto di non ritorno, e che sarebbe bastato un ultimo sguardo a quell’uomo per farla uscire dai gangheri. 

“Rassegnati, Kaori,” Ryo le disse, senza mai smettere di sorriderle in quel modo losco. “Non ho intenzione di concederti il divorzio così facilmente, ed il tuo amichetto dovrà farsene una ragione… rimarrai mia moglie ancora molto  a lungo!”

“L’importante è che alla fine io ottenga il divorzio!” Kaori continuò, sbattendo i piedi come una bambina, cosa che fece accendere Ryo, aumentando quel rimescolio che aveva avvertito nello stomaco appena la sua segretaria gli aveva annunciato l’arrivo di sua moglie, un rimescolio che era poi passato al suo inguine e che, con quelle sfuriate di Kaori, lo stavano facendo eccitare in un modo quasi indescrivibile, più di qualsiasi spettacolo porno a cui avesse mai assistito in tutta la sua vita… e lei era completamente vestita!

“Ed intanto,” lui continuò calmo e tranquillo, occhi socchiusi e braccia incrociate dietro al capo. “Rimarrai ancora mia moglie, uno scandalo per la tua adorata famigliola felice.”

Kaori si morse le labbra: aveva ragione. Una cosa del genere la sua famiglia non avrebbe potuto perdonargliela. I Makimura erano sempre stati rispettabili, votati alla privacy… una cosa del genere erano secoli che non capitava!

“Sei la signora Saeba-Kaibara, Kaori, tanto vale che inizi a presentarti come tale, perché le cose andranno ancora molto per le lunghe!”

La donna strinse i pugni, pronta a fare dietrofront e tornarsene a casa, a chiamare il suo avvocato, con un solo pensiero in testa: i suoi antenati probabilmente si stavano rigirando nella tomba solo a sapere cosa stava succedendo, e soprattutto chi si era sposata!

Il figlio di Shin Kaibara… un nemico! Aveva pensato, da ragazza, che tutte quelle querelle fossero assurde, ma adesso comprendeva appieno il senso degli insegnamenti di suo padre e soprattutto di suo zio, e che non era necessario avere il sangue dei Kaibara per esserlo davvero, Ryo ne era un esempio lampante.

Giunta alla porta, si fermò, la mano sulla maniglia, e si voltò in direzione di Ryo, sospirando con sguardo rattristato una sola parola: perché?

Ryo non le rispose, ma lo sguardo che fino ad un attimo prima era stato divertito divenne improvvisamente duro, e lei vide le vene della mano pulsare, i muscoli guizzanti mentre chiudeva il pugno, stringendolo con forza, quasi trattenersi rappresentasse per lui uno sforzo erculeo.  La donna se ne andò, quasi delusa, e lui afferrò il telefono, chiamando il suo avvocato, per essere certo che il suo piano stesse procedendo come stabilito. 

Due anni. Due anni di preparativi, piani, ipotesi, e adesso, finalmente, la lotta che da generazioni imperversava tra i Kaibara ed i Makimura sarebbe giunta alla fine, in un modo o nell’altro. Li avrebbe conquistati, iniziando con la sua bellissima moglie…

“Dì un po’, Ryo, cosa stai tramando?” Saeko, figlia maggiore del migliore amico di Shin, che accanto a Ryo era praticamente cresciuta, gli domandò, accomodandosi nell’ufficio, accavallando le bellissime gambe lunghe, fasciate in un delicato abito color lillà; la donna lo guardava intrigata, divertita, ben sapendo a chi l’uomo stesse pensando. 

“Che razza di domande, Ryo ha in testa sempre e solo una cosa sola, lo sai, mia bellissima amica!”  Mick Angel, ex compagno di studi di Ryo dopo che si era trasferito a Los Angeles per un master,  si accomodò sulla sedia accanto a Saeko. Possedeva una grande maestria in una lingua che non era la sua, e sembrava quasi più a suo agio in Giappone che in America. Al termine degli studi aveva finito per seguire l’amico nella sua terra natia, aiutandolo con alcuni investimenti che avevano permesso al rampollo dei Kaibara di divenire indipendente ma, soprattutto, potente: Shin aveva capito che con lui avrebbe potuto lasciare l’Impero in buone mani, e si era fatto da parte senza alcuna obbiezione.

Il trio - a cui mancava Ijuin, alias Falcon, che Ryo aveva gentilmente soprannominato Umibozu per la mole e la sua indole – si scambiò occhiate che dicevano fin troppo; amici da anni, si capivano senza bisogno di dire una sola parola. Ryo con quelle persone possedeva una chimica rara, frutto però di anni, mentre, paradossalmente, con Kaori l’aveva trovata in pochi attimi: i loro occhi si erano incrociati ed era come se avessero avuto una conversazione lunga giorni interi.

Ryo guardò gli amici,  mentre si versava dal minibar un goccio di whisky e giocherellava con il ghiaccio nel bicchiere: tutto il loro gruppo era alle prese con beghe sentimentali, grandi o piccole, il cui fulcro era stato, in un modo o nell’altro, il matrimonio di Kaori: Falcon si era scontrato con Miki, la wedding planner di Kaori, una sua ex che non aveva mai dimenticato e che adesso sembrava intenzionato a riconquistare; Saeko era la promessa sposa di nientepopodimeno che Hideyuki Makimura, il fratello maggiore di Kaori  - un matrimonio di convenienza, secondo quanto asserito da Saeko, che Ryo era certo però nascondesse qualcosa di molto più profondo – mentre Mick si era preso una sbandata per una delle damigelle di Kaori, Kazue… difficile sapere se fosse una cosa seria, perché Mick era sempre stato un gran dongiovanni. Certo era che tutti gli altri sembravano avere meno problemi di lui in campo sentimentale, perché se era vero che lui e Kaori erano un passo avanti, essendo già sposati, era altresì vero che lei sembrava voler portare avanti le loro discussioni tramite avvocato, anziché tentare di riappacificarsi in modi molto più piacevoli. Certo, dopo il suo ultimo scherzetto le cose sarebbero potute cambiare, ma non ne aveva ancora l’assoluta certezza.

“Credimi, Saeko,” Ryo guardò il suo drink, leggermente malinconico. “Non vuoi sapere cosa sto tramando…” 

Ryo, fin da quando era entrato a far parte del clan Kaibara, non aveva mai dato troppa importanza a quella sciocca lotta con i Makimura; in più, le vecchie famiglie ricche erano sempre state snob, quindi la mancanza di rapporti, ed un velato disgusto reciproco, erano considerati quasi nella norma. Però…

Però, quando era all’università, nel liceo affiliato alla suo scuola, era arrivata Kaori. Ryo all’epoca era compagno di scuola di “Maki”, come aveva soprannominato il giovane Hideyuki Makimura, e capitava spesso che Kaori gli portasse cose che lui aveva dimenticato, libri, quaderni, o i soldi per il pranzo. Era solo una ragazzina, eppure era lei a prendersi cura di lui, e la cosa aveva quasi intrigato Ryo, che con l’esempio della madre non era abituato a vedere donne comportarsi in modo così disinteressato ed amorevole verso gli uomini. Non aveva certo flirtato con lei - Kaori era solo una ragazzina e lui era quasi uomo -  ma lui ci aveva preso gusto a farle piccoli dispetti e prenderla in giro, soprattutto per l’aria mascolina che aveva all’epoca. 

Dopo l’università Ryo si era trasferito in America per un master in Finanza Immobiliare prima e in Risk Management poi, e quando poi era tornato le loro strade non si erano più incrociate direttamente, almeno fino a quella sera in cui era stato stregato da quelle gambe lunghe da urlo e da quegli occhi magnetici, e per la prima volta Ryo si era sentito un suo pari, ora che erano entrambi adulti. Avevano parlato, flirtato, battibeccato, e lui aveva capito che per lui era arrivata la fine: lei e nessun’altra lo avrebbe fatto capitolare. 

Aveva sperato che Kaori provasse lo stesso, che anche lei avesse avvertito la magnetica attrazione - non solo fisica ma anche mentale - che li accomunava, ma tuttavia, le lotte delle loro famiglie con lei, brava ragazza ubbidiente, avevano avuto la meglio, e la mattina Ryo si era svegliato da sola dopo aver passato quella meravigliosa nottata d’amore con lei. Adesso, porre fine a quell’assurdo disaccordo era divenuto il suo motivo di vita, e la ragione per cui aveva dato quasi del tutto fondo al suo conto personale ed al suo portafoglio titoli, lanciandosi nel settore dell’immobiliare,  soprattutto indirizzandosi verso alcune determinate proprietà… ma anche in un altro settore, di cui comprendeva ben poco, ma Ryo era certo che i suoi acquisti gli avrebbero permesso di ottenere ciò che desiderava dal più profondo del cuore.

“Sei sempre stato un ottimo giocatore di Poker, Ryo,” Saeko lo avvertì con un sorrisetto, mentre afferrava il bicchiere del vecchio amico e assaporava quel delizioso nettare. “ma fossi in te farei attenzione: anche ai giocatori migliori capita di perdere.”

“Le carte che ho in mano vanno più che bene, cara la mia amica… anzi, sono esattamente le carte di cui ho bisogno.” Ryo ammise, riprendendo il bicchiere e scolandosi in un sol sorso cosa era rimasto. “Perché questa volta, gioco per vincere!”

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Capitolo 4
*** Donna in Camicia ***


Sei mesi dopo…

Kaori era pensierosa mentre percorreva la strada verso la casa del nuovo cliente dell’assicurazione per cui lavorava; le opere che avrebbe dovuto stimare si trovavano in una tenuta poco fuori la città di Amami, nell’omonima isola. La donna sospirò, mentre si perdeva nella lussureggiante vegetazione che la contornava, e fu lieta di aver noleggiato in città quel piccolo  fuoristrada bianco perla - difficilmente con una monovolume avrebbe potuto percorrere le strade sterrate!

Quel giorno, Kaori era particolarmente di buon umore: aveva parlato con il suo avvocato che le aveva lasciato intendere che le fosse riuscito a chiarirsi con quello di Ryo, presto si sarebbe sbarazzata di quello scomodo marito e del suo altrettanto scomodo cognome e sarebbe stata di nuovo single; per quanto, era difficile a dirsi, in quanto sapeva che presto o tardi i suoi famigliari le avrebbero gentilmente chiesto di trovare un nuovo pretendente degno dei Makimura. Quel qualcuno non sarebbe stato però l'affascinante Uragami, che non era stato interessato ad aspettarla, preferendo consolarsi tra le braccia (e gambe) di una starlette prezzemolina che faceva la valletta in un programma di una delle sue emittenti. Ormai aveva fatto passare abbastanza tempo, e il gossip generato da quel fiasco di non-nozze era ormai sfumato, rimpiazzato dalle ultime notizie sulla relazione extraconiugale di un importante uomo politico, che nell’orario di ufficio andava a trovare la sua amante con tanto di scorta al seguito, ed inseriva i regalini per lei all’interno del conto spese: inaccettabile al tempo della Rivoluzione Francese, lo era ancora di più nel mondo moderno.

Le ombre della vegetazione tropicale le accarezzano la pelle, e Kaori si perse nei suoi pensieri. Desiderava ardentemente ricevere l’agognato annullamento, per poter fingere che quello che aveva condiviso con Ryo non fosse mai avvenuto, desiderava solamente dimenticare il passato, lasciarselo alle spalle e guardare avanti.

Parcheggiò nello spiazzo davanti alla grande casa in legno scuro e vetro, e la osservò per bene; era estremamente moderna, e nonostante la sua bellezza poco si faceva con quell’ambiente, c’era una nota stonata nel vetro e nell’acciaio. Probabilmente apparteneva a qualche vecchio eccentrico che non voleva arrendersi al passare degli anni, o chissà, magari a qualche oligarca straniero che aveva deciso di investire in Giappone.

Mentre un vento tropicale le accarezzava le braccia nude, Kaori si guardò intorno, senza vedere nessuno, né alcun veicolo. Borsetta al braccio, si avvicinò alla porta d’ingresso, e non ebbe nemmeno il tempo di suonare il campanello che la governante, con cui si era sentita al telefono appena sbarcata per ricevere maggiori indicazioni, la accolse con un rispettoso inchino e le domandò se desiderasse rinfrescarsi. Kaori declinò, desiderosa di vedere le tanto decantate opere d’arte, e fu accompagnata al piano superiore della casa, attraverso una scala di legno e metallo, sospesa. Appesi ai muri perimetrali di un grandissimo open space che occupava l’intero ultimo piano della struttura, c’erano opere di alcuni dei più grandi maestri pittorici che avessero mai graziato la Terra, opere minori, sì, ma non per questo di minore valore. 

La governante la lasciò sola, e Kaori iniziò ad osservare le opere, una ad una, affascinata da quello che era, essenzialmente, un piccolo museo, un paradiso per lei. Aveva studiato arte con aspirazioni ben diverse da quelle di divenire agente assicurativo, aveva sperato di poter gestire collezioni, pubbliche o private, magari una casa d’aste, ma il destino aveva voluto diversamente: era grata di poter almeno godere di tanta bellezza, e che tutti i suoi sforzi non fossero stati vani, che le nottate passate a preparare esami fossero servite a qualcosa, come pure le litigate con la sua famiglia quando aveva accettato borse di studio per i migliori istituti d’arte del Vecchio Continente.

Stava camminando lungo la parete, quando dovette fermarsi, e avvertì un mancamento, quando vide un’opera che sembrava stonare con tutte le altre, dallo stile molto più marcatamente moderno. Il cuore palpitò nel petto, e contro ogni sua aspettativa, gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre il suo intero essere veniva avvolto da una nuvola di tristezza… solo pochi minuti prima si era ripromessa di dimenticare, eppure, il suo cuore traditore, la sua mente le giocavano degli scherzi, tiri mancini. Ingannevole era il cuore, che alla vista di quel dipinto la riportò tra le sue braccia...

“Che cos’hai tanto da ridere?”  Ryo le domandò, dal letto, mentre lei, seduta su una poltrona, lo guardava quasi euforica. Nuda, il corpo era a malapena celato dalla camicia di lui, che non si era disturbata ad abbottonare. 

“Mi sento tanto come la protagonista di Donna in camicia*, un’opera di un pittore francese dei primi dei novecento…” Lei lo fissò negli occhi; il capo reclinato sulla spalla, disegnava cerchi e ghirigori sulla pelle della coscia con un’unghia laccata.

“Davvero?” Le domandò lui, sorpreso; Ryo sollevò un sopracciglio, ed intanto le fece segno di tornare a letto, battendo la mano sul materasso; il corpo nudo era a malapena celato dal sottile lenzuolo, lo splendore delle cui fibre sembrava mettere ancora più in risalto i muscoli dell’uomo ed il suo fisico aitante. “E come mai?”

“Perchè…” Kaori si alzò, e mentre compieva i pochi passi che la dividevano dal letto lasciò scivolare a terra la camicia, rimanendo nuda dinanzi a Ryo, che guardò, languida. “Perchè credo di capire come si sentiva la protagonista di quel dipinto.”

Sorridendole, Ryo allungo una mano verso di lei; Kaori la accettò, e lui la trascinò sul letto, facendola cadere su di sé, e senza aspettare riprese a baciarla, ad assaporare ogni centimetro di pelle che lei fosse disposta a donargli.

Ed adesso, eccolo lì quel piccolo capolavoro, il ritratto di una giovane donna dagli occhi scuri ed i corti capelli rossi sbarazzini, infatuata del suo amante e compiaciuta dopo aver goduto appieno delle arti amatorie dell’uomo, felice forse per aver finalmente realizzato il suo sogno, la possibilità di appartenere al proprio amato anche solo per poche ore, anche solo una volta...

Già, era stata proprio così lei, durante quella nottata indimenticabile che non la smetteva più di perseguitarla. 

Passi cadenzati e tranquilli raggiunsero il suo orecchio, ma persa nelle memorie, la donna non vi pose attenzione fino a che non sentì una voce tagliente fin troppo ben conosciuta.

“La mia attuale compagnia assicurativa sembra sottostimare il valore delle mie opere, basandolo unicamente su ciò che le ho pagate, ma io sono convinto di aver fatto ottimi affari e che il loro valore sia di gran lunga superiore alle loro stime. Speravo che potessi togliermi questo dubbio, mogliettina.

“Tu…” la donna sibilò mentre piroettò per guardare negli occhi quell’uomo dall’aria arrogante e pomposa, che, vestito con una semplice camicia bianca ed un paio di jeans, sempre impeccabile e affascinante nonostante lo stile solo apparentemente dismesso, la guardava divertito e decisamente compiaciuto.

“Ma come, niente auguri, maritino mio?” Mani in tasca, Ryo le si avvicinò, e si chinò su di lei, guardandola come il gatto che stava per sbaffarsi, finalmente, il tanto desiderato uccellino. “Oggi dopotutto è il nostro terzo anniversario di matrimonio!” 

“L’unica cosa che potrei mai festeggiare è il divorzio da te, Ryo!” la donna sibilò, sbattendo i piedi e chiudendo i pugni. “Anche se tu ti ostini a fare terra bruciata intorno al mio avvocato!”

“Ti piace Donna in camicia? L’ho comprato alcuni mesi fa, subito dopo la nostra… riconciliazione.” Ryo indicò con un ampio gesto della mano l’opera, senza tuttavia staccare lo sguardo da lei, divertito ed eccitato al contempo. “Me ne avevi parlato durante la nostra notte di nozze, ti ricordi? Avevi ragione, è identica a te… anche se, per essere proprio uguale a te in questo preciso momento, hai un po’ troppo addosso...” La guardò, allusivo, leccandosi leggermente le labbra con la punta della lingua, il suo sguardo quello di un predatore affamato; con lentezza micidiale sbottonò i polsini della camicia ed arrotolò leggermente le maniche, quasi avesse voluto rimuovere il capo per farlo indossare a lei sulla pelle nuda proprio come quella notte.

Lei voltò il capo dall’altra parte, fingendo disinteresse, e di non ricordare quel particolare – perché avrebbe significato ammettere che ricordava tutto di quella loro notte passata insieme a scoprirsi ed amarsi.

Finse di non avvertire la nota di rimpianto nella voce del suo ex amante, e non volle chiedersi cosa esattamente Ryo rimpiangere: il sesso, loro? Non lo voleva sapere. 

“Perché mi hai fatta venire qui, Ryo?” Una domanda apparentemente semplice, eppure sapevano entrambi che quel discorso era molto più complicato di ciò che sembrava, che c’erano tutte una serie di cose dette e non dette, di sottintesi… “Perchè hai acquistato tutte queste opere d’arte? Non ricordo che tu ti sia mai interessato all’espressionismo…”

“Ho fatto un investimento. Volevo solo essere certo che, come pensavo, valesse molto di più di quanto sembri.” Ammise, mentre si posizionava davanti al dipinto francese, grattandosi il capo svogliatamente, distogliendo lo sguardo dalla moglie, che credette di vederlo arrossire, anche se il tutto durò solo una frazione di secondo, un attimo fuggente. “La compagnia per cui lavori è specializzata nelle opere d’arte pittoriche, si è trattato di una scelta ragionata, tutto qui. Che abbiano mandato te… è un piacevole bonus, ed una coincidenza molto gradita.”

“Queste opere, non hanno prezzo, Ryo. Anche se molti ci provavano.”  Gli disse con voce bassa, un leggero sorriso sul viso, mentre gli stava accanto. Si voltò verso di lui, studiandolo: Kaori non era una sciocca, non aveva mai creduto alle coincidenze, e conosceva Ryo, con lui nulla era lasciato al caso, per questo era riuscito a moltiplicare in poco tempo la fortuna affidategli di Shin, lo sapevano tutti,  anche lei. “Solo pochi comprendono cosa sia la vera bellezza. Molte persone, ad un primo sguardo, vedrebbero questo quadro come poco più di una crosta.”

“Già…” Voce bassa, lui la guardò, accarezzandola con i suoi occhi scuri. Kaori avvampò, ed arrossì, sentendo quello sguardo carico quasi di dolcezza- come se lui avesse inteso quelle parole per lei, una creatura che non sembrava essere presa in considerazione da chi le stava intorno se non per quello che poteva fare per la sua famiglia.

“Ryo, sai che non è quello di cui stavo parlando…” lei ammise, col capo chino, improvvisamente triste. 

“Voglio essere quello che porrà fine alla querelle tra le nostre famiglie,” Asserì lui  con decisione, e Kaori lo guardò, vedendolo forse per davvero per la prima volta, e capì che forse avevano più cose in comune di quante non volevano ammettere: anche lui era stato sottovalutato, perché non apparteneva al clan Kaibara per diritto di nascita, eppure, sotto al suo controllo, le industrie della famiglia erano fiorite. Se fosse riuscito a schiacciare i Makimura, sarebbe stato il suo trionfo. 

“Allora lasciami andare, Ryo. Svergognami, se necessario, ma firma quei fogli.” Ti prego, pensò, senza tuttavia aggiungerlo. 

“No, sarebbe troppo facile.” Ryo ammise, freddo, lo sguardo lontano, come se lei non fosse più stata lì con lui. La donna lo guardò, incerta su cosa dire o fare, notando l’impercettibile linea tesa della virile mascella squadrata, il battito del cuore che pulsava nella vena del collo.

“E allora, prenditi la tua rivincita sulla mia famiglia. Non vuoi concedermi l’annullamento? Divorzia!” Lo sfidò, detestando con ogni fibra del suo essere quanto Ryo fosse calmo in quel momento. “Portami via quel poco che ho, se vuoi. Dimostra di aver vinto su di noi!”

“E in base a cosa dovrei chiedere il divorzio, adulterio? Non credo proprio, Kaori.” Le diede un buffetto sul mento, sorridendo, la voce bassa e soave, voluttuosa. “Lo so che non ci sei mai stata a letto, con Uragami.”

“Credi forse di essere così irresistibile? Di avermi rovinata per ogni altro uomo solo perchè sei stato il primo?” Lo sfidò, facendo un passo indietro e schiaffeggiando la mano che l’aveva sfiorata, e che lui aveva lasciato sul mento superbo della donna. “Non sai nulla di me, Ryo!”

“Un matrimonio dettato dal bisogno di salvare il patrimonio della tua famiglia non è certamente basato sulla passione, mia cara,”  le rispose con una semplice scrollata di spalle, con il tono che avrebbe usato per commentare il meteo della settimana. “In più, ti sei concessa a me solo dopo che ti avevo messo un anello al dito, e non ho motivo di credere che tu non abbia fatto lo stesso con Uragami.” 

Kaori si morse il labbro, nervosa, mentre cercava di capire appieno cosa lui le avesse detto; certo, il suo matrimonio con Uragami era più per apparenza e classe, ma… cosa intendeva dire quando parlava della salvaguardia del patrimonio di famiglia?

“Oh, lo zietto non te lo ha detto il motivo per cui ti ha spinta tra le braccia di quel magnate del trash audiovisivo? Non lo sai quanto siete messi davvero male?” Le domandò, sarcastico, facendo schioccare la lingua contro il palato; la voce era arrogante, saccente, carica di rancore, e di cieca soddisfazione. Stava infierendo su di loro, e ne era fiero… Kaori lo odiava come nessun altro, in quel momento! “Lo zietto e la mammina presto potrebbero anche essere costretti ad abbandonare la vostra bella casetta fuori Tokyo, quella di cui andate tanto fieri.”

Kaori prese a tremare, la voce rotta dalla disperazione. “Lui… è logico. Viaggia molto. E mia madre ed io non risiediamo lì stabilmente da tempo, e…”

“No, Kaori, non è ciò che intendo,” le spiegò, freddo e calcolatore, il giocatore perfetto che aveva visto ai tavoli il giorno delle loro nozze. “Dopo la morte di tuo padre, tuo zio ha fatto degli investimenti poco saggi, per non parlare di un paio di suoi vizietti…. donne, cavalli, carte... adesso si trova indebitato fino al collo. Ha anche venduto la casa di famiglia- la casa che sarebbe dovuta essere tua e di Maki. Senza dirvi nulla.”

“Menti!” Lo accusò, urlando, colpendolo con i pugni sul petto. “Lo zio non lo avrebbe mai fatto! Quella casa sorge su un terreno che è della nostra famiglia da generazioni, da secoli! Lui ce l'avrebbe detto!” 

“Lo credi davvero?” Ryo urlò quasi con lo stesso tono di lei, afferrandola per le spalle e facendola allontanare da lui abbastanza perché potessero guardarsi negli occhi. “Per tuo zio tu sei poco più che carne da macello, mentre tuo fratello non viene nemmeno considerato, col lavoro che si è scelto! Quell’uomo non merita né il vostro rispetto… né il vostro affetto!”

“Tu non sai nulla!” La donna sibilò, con gli occhi che le bruciavano, colmi di lacrime di rabbia e paura che non avrebbe mai pianto davanti a lui. “Non lo puoi sapere!” 

“Non capisci, Kaori? Davvero?” La sfidò; la sua voce era quasi disperata, era come se con le parole ed il tono cercasse di far arrivare alla donna davanti a lui un messaggio ben più profondo ed importante di quello che poteva passare ad un primo, superficiale ascolto. “Ho già iniziato a porre fine alle lotte della nostre famiglie- ti ho sposata, e gli ho portato via una casa su cui lui non avrebbe mai dovuto vantare alcun diritto!”

“Zio Toshio non avrebbe mai venduto ad un Kaibara, per nessun motivo al mondo, anche se tu lo sei solo di nome!” lo accusò, ringhiando, tenendo il suo sguardo, fiera creatura di fuoco e passione. 

“Non lo sapeva, esattamente come tu non sapevi che si trattava di me quando sei venuta qui,” le rispose, con un sorriso compiaciuto sul viso. “Come pure non sapeva della casa di Okinawa o dell’attico in centro a Tokyo… e potrei andare avanti. Lo zietto si è fatto fuori di quasi tutte le vostre proprietà e di alcuni pezzi d’arte, andando alla ricerca di denaro facile e veloce. Scommetto che se andassi adesso a casa non troveresti nemmeno più l’argenteria. Anzi, vuoi scommettere? Mi gioco tutto che le posate sono state le prime cose di cui si è fatto fuori. Piccoli pezzi che ad un banco dei pegni è un gioco da ragazzi piazzare. Chi si fa tante domande per una forchetta, no?”

Kaori strinse gli occhi; per quanto odiasse Ryo in quel momento, se stava dicendo la verità, da un certo punto di vista lo poteva comprendere; lui aveva fiutato l'affare e ci si era gettato a capofitto. Chi lei detestava davvero in quel momento era suo zio, per averle nascosto quanto i loro problemi economici fossero seri, e se stessa, per non essersi interessata abbastanza alla situazione economica familiare, permettendo che le cose degenerassero così tanto. Si era tenuta alla larga dagli affari, dicendo che lei era comunque indipendente dal punto di vista economico, ma quella scusa, valeva ancora?

“Tuo zio Toshio ti ha spinta nelle braccia di Uragami, sperando in una rapida infusione di denaro attraverso quelle sontuose nozze, che mi gioco questo bel quadretto,” accennò, indicando il quadro acquistato “per” Kaori.  “Avrà pagato con quei pochi soldi che ancora aveva. E invece…”

Sguardo vuoto, Kaori guardò davanti a sé: non sapeva cosa fosse peggio, che un Kaibara si fosse impossessato della dimora ancestrale dei Makimura, o che ciò fosse avvenuto perché lei, una Makimura,  quel Kaibara lo aveva sposato.

E poi, ricordò cosa le avevano detto suo zio e sua madre: lei e Ryo non avevano stipulato accordi prematrimoniali, ciò significava che erano in comunione dei beni, e che ciò che era di lui, apparteneva anche a lei: in un certo qual modo, quelle proprietà appartenevano ancora ai Makimura, seppure in modo non certo convenzionale. 

Kaori fece per aprire la bocca e dichiarare a Ryo questo fatto, sperando di renderlo senza parole, ma lui ridacchiò, facendole l’occhiolino. 

“Fammi indovinare: stai pensando al fatto che siamo in comunione dei beni, vero?” Ryo le diede una pacca sul capo, quasi fosse stata una bambina. “Piccola notizia, mogliettina: ciò significa che tu sei proprietaria di metà di ciascuna di quelle proprietà, e ben te le potessi permettere, cosa di cui dubito visto il tuo magro stipendio, io non ho nessuna intenzione di venderle a te!!” 

Stronzo, la donna sibilò a denti stretti. “Hai pensato a tutto, vero?” Gli domandò, cercando di apparire impassibile. Eppure, Ryo sapeva che avrebbe dato qualunque cosa per riavere la sua casa. Nonostante dicesse di non vivervi più da tempo, Ryo sapeva che vi era affezionata: I Kaibara ed i Makimura non si frequentavano, ma dai confini della sua villa, poco distante dalla loro, lui li aveva osservati, incuriosito; dalla sua casa sull’albero aveva visto Kaori, bambina, correre nei prati… quella era la casa dove era nata, dove era stata felice con suo padre. 

“Cosa vuoi, Ryo?” gli domandò, con tono piatto e sconfitto, rassegnato, mentre lui giocava con una ciocca ribelle di capelli rosso fuoco, arrotolandola intorno a un dito.

“Una notte non mi basta, Kaori,” le disse, tirandola un po’ di più verso di sé; la donna si scontrò con il forte e solido torace, ed alzò gli occhi, incontrando quelli caldi di Ryo, che sembravano leggerle dentro, sapere tutto di lei. “Rivoglio la giovane donna che ho sposato tre anni fa, che non permetteva a nessuno di prendere decisioni per lei. Se la dovessi riavere… per una donna così,” continuò, spostando la mano al viso della donna, e tracciando il labbro con il pollice, facendole socchiudere gli occhi ed emettere un gemito roco. “Per quella donna, potrei rinunciare a qualunque cosa.”

“Rimanere al tuo fianco come tua moglie vorrebbe dire ribellarmi alla mia famiglia,” lei ammise rattristata. Quello era sempre stato il perno della questione, dopotutto: per quanto fosse stata infatuata di Ryo, per quanto quella notte fosse stata indimenticabile, alla fredda luce del giorno aveva ricordato che non erano Ryo e Kaori, ma un Kaibara ed una Makimura. 

“Ma tu sei una ribelle, Kaori,”  Ryo le spiegò con aplomb, sorridendole, mentre alzava un sopracciglio con sguardo interessato. “Tua madre voleva vederti debuttante, ma tu hai studiato. Hai anche lasciato il Giappone per farlo, e quando sei tornata, invece di andare a lavorare in una delle ditte di famiglia, ti sei cercata un lavoro iniziando dal basso. Quelli sono stati atti di ribellione!”

Kaori sentì il suo cuore vacillare, esposta, nuda, come se lui la vedesse davvero, in un modo in cui nessuno l’aveva vista mai. Ryo la guardava negli occhi, come se lui stesso vi si stesse perdendo, il pomo d’Adamo che si alzava ed abbassava nel collo. 

“Puoi scegliere, Kaori, puoi fare come vuole la tua famiglia ed ottenere l’annullamento, oppure continua a ribellarti, e rimani mia moglie.”

“Perché?” gli domandò, con voce tremante. 

“Te l’ho detto, voglio essere quello che porrà fine alle diatribe delle nostre famiglie.” Ribatté, staccandosi da lei e facendo un passo indietro. Mani in tasca, Ryo si voltò, e prese ad osservare la sua casa dalla cima dell’imponente scala. “Rimani mia moglie, Kaori, e farò in modo che la tua dimora di famiglia torni ad essere tua - e tua sola. E farò in modo che tu possa disporre del mio patrimonio artistico. Potrai farne ciò che vuoi, darlo a musei, aprire una galleria, venderlo, tutto questo sarà tuo, a tua disposizione, e a tua discrezione. ”

Ryo si voltò, e le si avvicinò nuovamente. Kaori avrebbe voluto dirgli che desiderava tempo per decidere, ma averlo così vicino, sensuale, e nel pieno controllo di ciò che gli accadeva intorno, la accendeva di desiderio, come se l’aria stessa si caricasse di lussuria. 

Labbra socchiuse in un’espressione di meraviglia, Kaori si perse a guardare quell’affascinante uomo che l’aveva conquistata con poche parole, e che ancora aveva così tanto potere su di lei – come lei sapeva di averne su di lui. Non era solo per denaro, per orgoglio: vedeva riflesso negli occhi di Ryo il suo stesso desiderio, la voglia. Il bisogno cieco. 

Ricordò come, prima di farla sua, l’avesse solleticata e stuzzicata con un bocciolo di rosa mentre erano coricati nel letto, nudi, mantenendo il suo sguardo, e quando Ryo si morse il labbro, Kaori ebbe la netta impressione che lui stesse condividendo quel ricordo con lei in quel momento, e dalle sue labbra uscì un mugolio di puro piacere, mentre stringeva le cosce sentendosi bagnata nel suo punto più segreto, il corpo percorso da mille e mille brividi di piacere. 

“Era stato un errore, Ryo, lo sai anche tu.” Ammise, con una nota di rammarico nella voce, mentre, occhi socchiusi, si appoggiava a quella grande e solida mano. 

“Non ci siamo nemmeno dati una possibilità, Kaori, non lo puoi sapere.”

“Ma so chi siamo,” lei ammise, sempre rattristata, ma con una certa determinazione nella voce, non più rassegnata, ma realista. “E so che a giocare col fuoco ci si brucia.”

“Dici?” le rispose, posando il capo sulla spalla. Spostò la mano, lungo il collo di Kaori, e prese a far scorrere il pollice sulla giugulare, avvertendo forte e chiaro il battito del cuore della donna, pazzo, tamburellante, chiaro segno che la presenza dell’uomo non la lasciava indifferente. “Non riesco a togliermi quella notte dalla testa, Kaori. Non sono mai stato così bene con nessun’altra donna, e per riavere quel fuoco, sono disposto a darti qualsiasi cosa…”

“Era il gusto del proibito, Ryo.” Tentò di spiegargli, posando la sua mano su quella di lui. Sebbene avesse desiderato allontanarlo, Kaori finì per intrecciare le dita a quelle di lui. 

“Siamo sposati, Kaori. Ciò significa che tu sei mia- ed io, tuo. Non c’è nulla di proibito in questo.”

Prima che lei potesse aprire la bocca per replicare, Kaori la trovò piacevolmente occupata da quella di Ryo, che con estenuante dolcezza era piombato sui di lei, ricordandole esattamente cosa l’avesse tanto accesa tre anni prima; Ryo sapeva essere forte, sicuro, sesso incarnato, ma in quel momento era languido, come se la stesse assaporando, e desiderasse imprimersi nella memoria quel bacio. Kaori gli intrecciò le dita nei capelli scuri, e lasciò che la lingua giocasse con quella di lui. Ryo la strinse a sé, facendole sentire la prorompente forza virile del suo desiderio, proprio come lui, attraverso il sottile vestito, avvertì i capezzoli di lei indurirsi. 

Era anche meglio di quanto entrambi ricordassero, e la cosa terrorizzò Kaori non poco, che posandogli le mani sul petto lo allontanò da lei; continuarono però a fissarsi, consci della portata del loro desiderio.  

Kaori scappò, correndo lungo le scale, e Ryo rimase da solo, a fissare il quadro della ragazza in camicia.

Quando sentì la porta sbattere, prese a calci uno sgabello, facendolo rotolare lungo la scala, e sferrò un pugno alla balaustra; dalle nocche graffiate colò un piccolo rivolo di sangue.

Non si sarebbe arreso così facilmente: aveva deciso di porre fine a quella ridicola guerra, e lo avrebbe fatto, a qualunque costo.

*Donna in camicia (anche noto come La ballerina) 
è un dipinto del 1906 del francese Andrè Derain, attualmente di prorpietà dello Statens Museum di Copenaghen, dove è attualmente esposto. tempo fa vidi quest'opera su un libro d'arte sul movimento Fauve e sugli impressionisti, e mi colpì profondamente. Se desiderate leggere un'analisi più approfondita dell'opera, potete trovarne una qui, insieme ad alcune note biografiche sull'artista.

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Capitolo 5
*** Chi è senza colpa scagli la prima pietra ***


Come aveva fatto suo zio con lei alcuni mesi prima, Kaori bussò con insistenza alla porta della casa in cui era cresciuta, fuori Tokyo, attendendo risposta; la giovane donna si guardò intorno, notando per la prima volta che la casa sembrava invecchiata e aver perso il lustro di un tempo, il giardino spoglio, e sembrava regnare una leggera incuria, quasi fossero mancati i fondi per sistemare il maniero. Le venne un colpo al cuore: presa da quelle nozze quasi impostele, aveva scordato di guardare cosa le succedeva intorno. 

E adesso, la casa di famiglia non apparteneva più ai Makimura, che avrebbero potuto soggiornarvi solo a discrezione di Ryo, e probabilmente dietro il pagamento di un generoso affitto - a meno che lei non avesse accettato di rimanere sua moglie.

“Dimmi che non è vero,” Gli domandò senza troppi giri di parole, indignandosi quando lo zio, senza nemmeno farla accomodare, ebbe il coraggio di squadrarla dall’alto in basso come una sciocca, una stupida oppure una cosa inutile, una donna che capiva poco se non nulla. Maschilista fino al midollo, Toshio aveva sempre visto le donne come oggetti. “Dimmi che non hai venduto la casa che era appartenuta a tuo fratello!” 

L’uomo aprì la bocca, pronto a dire, negare, ma poi, Kaori vide il momento preciso in cui il peso di quel segreto, della menzogna e delle maschere fu sollevato dalle sue fragili spalle; avanti con gli anni, Toshio non le era mai apparso così vecchio e solo come in quel momento, eppure non provò pena, ma solo disgusto.

“Lo sai.” L’uomo affermò, con gli occhi fissi sui propri piedi. “Mi era stato promesso di poter rimanere qui fino a che avessi avuto vita, e che nessuno avrebbe saputo di questa compravendita. Come hai fatto…”

Kaori entrò nella casa superandolo, sbattendosi la porta alle spalle; si diresse nel salotto, dove dal mobile bar si versò un bicchiere di vino prima di accomodarsi su uno degli eleganti divani. “Ha importanza?” domandò, assaporando, sorso dopo sorso, il rosso nettare. 

L’uomo non rispose, si limitò a rimanerle innanzi a testa bassa.

“Sei stato preso in giro, zietto caro,” gli disse, mettendo in quella parola più veleno e rancore di quanto ella stessa credesse possibile. “Il tuo compratore ha usato tutta una serie di società di comodo per non farti sapere di chi si trattasse, ma ad acquistare la dimora dei Makimura è stato Ryo Saeba-Kaibara.”

Lo zio cadde sul divano, afferrando la fronte con entrambe le mani, disperato, incredulo. Occhi sgranati, non aveva più mormorato una sola parola dopo quella scoperta sconvolgente. 

“Avresti dovuto dire a me e Hideyuki cosa stava accadendo alle finanze della nostra famiglia, invece che mentirmi e manipolarmi, di lasciarmi credere che Uragami era interessato a me perchè lo avevo colpito con la mia intelligenza.” Lo accusò Kaori, tranquillamente continuando a bere il suo vino. Non si trattava di senso di superiorità, semplicemente era rassegnata. Agli occhi dello zio, lei sarebbe sempre stata solo una bella statuina, ma visto che Ryo, in cambio del suo ruolo di moglie, offriva di toglierla dai guai, sentiva di avere il diritto di sapere cosa esattamente fosse accaduto per arrivare al punto di non ritorno. “Come hai potuto permettere che la situazione degenerasse in questo modo?”

“Investimenti sbagliati, e le rendite di alcuni membri del nostro casato.” Kaori sospirò. Lei e Hide vivevano del loro lavoro e di un piccolo fondo fiduciario che era stato lasciato loro dai nonni paterni, quindi non avevano mai sentito il bisogno di utilizzare i fondi di famiglia per supportarsi. Era un’altra storia per la loro madre e per lo zio, abituati ad annegare nel lusso lei, e in donne e gioco lui. Nessuno di loro però lo avrebbe mai ammesso, preferendo che le colpe ricadessero su altri; non a casa suo zio aveva fatto ben attenzione a spostare l’attenzione sui membri del clan in generale piuttosto che su se stesso. 

E adesso, toccava a lei risolvere la situazione: lei che aveva sempre cercato di stare fuori dai guai ed essere una brava ragazza… che fosse ciò che le veniva chiesto per espiare alla colpa di aver sposato Ryo in quella notte folle?

“Non tutto è perduto, zio.” Kaori ammise, posando sul tavolino basso davanti a lei il calice ormai vuoto. “Non scordarti che la casa appartiene a Ryo, che, dopotutto, è ancora mio marito.”

“Sì! E…. e forse questa potrebbe essere l’occasione per porre fine alla lotta tra le nostre famiglie, non credi?” Lo zio si alzò e le si avvicinò; sguardo rinfrancato, mentre lei lo congelava le prese le mani tra le sue, stringendole. “Potresti…potresti dirgli che rimarrai sua moglie, se accetterà di intestarti questa proprietà!” 

“Mai!” Rispose, staccandosi da lui ed alzandosi in piedi, improvvisamente sentendosi guerrigliera, e stufa di essere usata dalla sua famiglia, disprezzando quello zio che aveva sempre creduto volerle bene, erroneamente. “E comunque, perché dovrebbe farlo? Potrei chiedere il divorzio dopo aver ottenuto la proprietà, e Ryo non è stupido!” 

“Non esistono solo i contratti prematrimoniali, Kaori, ma anche quelli post-matrimoniali.” Lo zio la rimproverò, afferrandola per le spalle, stringendole, e forzandola a guardarlo negli occhi. “Sei parte della famiglia, Kaori, anche se sei solo una donna: perciò compi il tuo dannato dovere e renditi utile!” 

Kaori strinse i denti, guardandolo. Perché toccava a lei? Secondo Ryo, il loro matrimonio sarebbe stato un atto di ribellione, eppure ora lo zio lo abbracciava con entusiasmo…. Ribelle e devota figliola, poteva essere entrambe? Ma soprattutto… lo voleva?

Voleva davvero salvare un uomo che le rinfacciava la colpa di…. di essere donna?

“Questo implicherebbe che Ryo mi voglia ancora come sposa…” sibilò lei a denti stretti. 

“Se non ti volesse al suo fianco non avrebbe mai messo su quella pantomima da quattro soldi quando hai quasi sposato un altro!” lo zio la redarguì. “Sei giovane, bella ed intelligente, nonché proveniente da una delle più antiche e stimate famiglie del Giappone. Cosa potrebbe desiderare di più dalla vita?” 

Forse vendetta, si disse.  Era possibile che Ryo avesse acquisito quelle proprietà col solo scopo di fargliela pagare per il repentino abbandono del talamo nuziale? Si disse di sì: aveva sentito le storie che circolavano su Shin Kaibara, uomo freddo e calcolatore, feroce con tutti ad eccezione che sua moglie ed i figli – e non faticava ad immaginare che Ryo potesse essere come il patrigno, specie quando lo guardava in quegli occhi gelidi. 

Ma se era colpa sua… allora non spettava forse a lei salvare le fortune della famiglia? Ma poi, era davvero sua la responsabilità? Ryo aveva fiutato un affare, ma se non l’avesse fatto lui, qualcun altro si sarebbe accaparrato quelle proprietà, e sarebbe potuto essere molto meno generoso e discreto di quanto lui non fosse stato fino a quel momento…

D’altra parte, tutto questa accadeva anche perché lei e Hide si erano disinteressati delle vicende della famiglia, beandosi della propria autonomia, e fidandosi ciecamente del giudizio dello zio.

Spalle che si abbassavano per la disperazione quieta, per il rammarico, o forse più probabilmente per la vergogna di essere stato scoperto, colto in fallo,  Kaori, ormai rassegnata al suo destino, guardò lo zio negli occhi: l’uomo forte e virile che ricordava dai balli che aveva spiato da bambina era ormai sparito, e sembrava solo un bambino bisognoso di essere salvato perché del tutto incapace di farlo da solo;  in quel momento, la donna seppe che cosa fosse necessario fare, e che non aveva alcuna scelta al riguardo. 

Aveva sì le carte in mano, ma non quelle vincenti: la mano di quella partita che era divenuta la loro vita di coppia, il destino della loro unione, era andata a Ryo. 

Ancora una volta. 

 

    “Accetto le tue condizioni.” In piedi davanti alla scrivania di Ryo, braccia conserte, Kaori studiava l’uomo dinanzi a lei, sfidandolo, nonostante fosse stato lui, con un messaggio, a chiamarla, per sapere cosa avesse deciso, probabilmente informato della visita che lei aveva fatto allo zio per sgridarlo sui guai in cui aveva cacciato tutta la famiglia Makimura. Kaori aveva raggiunto Ryo nella sua casa; tanto antica all’esterno quanto raffinata all’interno, moderna e confortevole ma di classe, rappresentava un forte contrasto con le abitazioni di quasi tutti i membri della famiglia Makimura.

Lui si limitò ad alzare un sopracciglio, sembrando un re di altri tempi che dovesse decidere del destino dei suoi oppositori, nonostante, al sicuro nell’ufficio della sua abitazione di famiglia, letteralmente accanto a quella in cui lei era cresciuta, fosse vestito con semplici jeans neri e una camicia rossa leggermente aderente, che facevano risaltare il suo corpo statuario ed i muscoli guizzanti.

“Tuttavia, ho intenzione di dettare anch’io alcune condizioni, se non ti dispiace.” Lei continuò. Kaori faticava a mantenere lo sguardo dell’uomo: per quanto mossa dall’orgoglio, sapeva che guardarlo avrebbe potuto rappresentare una tentazione a cui difficilmente non avrebbe potuto cedere - soprattutto visto il fatto che quell’uomo seducente, lo scapolo voluto da tutte, era in realtà suo marito.  Come Ryo stava già facendo sapere in giro: il maggiordomo l’aveva salutata indirizzandola come Signora Saeba-Kaibara, un titolo che, nonostante avesse sposato Ryo, Kaori sentiva a lei sarebbe stato stretto: dopotutto, c’era una sola signora Kaibara, e questa era la madre di Ryo, nonché la moglie di Shin; se Kaori fosse dovuta essere qualcosa, preferiva di gran lunga, a quel punto, essere semplicemente la signora Saeba o la signora Makimura.

“Mi sembra logico. Magari potremmo partire con un vero matrimonio, che dici? Una cerimonia come quella che la tua famiglia aveva organizzato per te ed Uragami…” Ryo le disse, col sorriso; lo sguardo sognante, non poteva fare a meno di ricordare quanto Kaori fosse stata bella il giorno del suo matrimonio con Uragami, con l’abito bianco; non le avrebbe mai permesso di indossare nuovamente quel capo, quello era poco ma sicuro, ma avrebbe fatto arrivare da Parigi il meglio del meglio, Chanel, Dior… qualunque cosa per lei!

Lei però non gli permise di spiegarle cosa desiderasse per loro, e lo bloccò seduta stante, determinata, caparbia, con il fuoco nelle vene e negli occhi.

“Scordatelo. Ho detto che resterò tua moglie, non che ti sposerò di nuovo.” Gli rispose, non apprezzando quello sguardo divertito. E poi, un matrimonio ed un tentativo di nozze le erano bastati, non avrebbe dato adito a speculazioni o altri gossip con il tentativo numero tre – dio solo sapeva cosa sarebbe potuto capitare! “E comunque, vedere le nostre famiglie sedute ai due lati di una chiesa è l’ultima cosa che desidero. Come minimo sarebbe costretto ad intervenire l’esercito per sedare le risse!” 

“O magari potrebbe essere l’occasione per interrare l’ascia di guerra una volta per tutte,” le rispose lui, sornione, con l’aria leggermente addormentata. Kaori lo guardò, con quei capelli spettinati, e si sentì mancare, colta improvvisamente dal desiderio di toccarlo, passare le mani tra quelle ciocche e baciarlo. Arrossì, incapace di comprendere perché proprio lui le dovesse fare quell’effetto prorompente. “Sarebbe uno spettacolo interessante qualunque cosa accada, non trovi?”

Kaori grugnì una risposta intelligibile; no, non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere se la sua famiglia e quella di Ryo si fossero trovate assieme. Temeva le ire dei Kaibara, ma soprattutto l’opera di  lecchinaggio che suo zio e sua madre avrebbero potuto mettere in scena- non pensava potesse esistere parola migliore per descrivere i loro comportamenti.

“La casa della mia famiglia, Ryo.” Si limitò a sussurrare lei, sconfitta, lasciandosi cadere sulla sedia davanti a lui, tenendo il volto basso e torturandosi le dita. “Se mi intesterai quella casa, allora rimarrò tua moglie.”

“Interessante, ma non credo proprio.” Ryo le rispose, secco e tranquillo. Mano sul mento, la studiò, interessato, eppure freddo e calcolatore. “Dopotutto, tu sei già mia moglie, non ci guadagnerei nulla, anzi, ci perderei, e come posso sapere che non chiederai comunque il divorzio non appena la proprietà sarà nelle tue mani?”

“Perché ti do la mia parola?” Gli domandò, speranzosa, cercando di non far trasparire il dubbio nel suo tono di voce. 

“Sei una Makimura, Kaor - non averne a male, ma non posso fidarmi così, alla cieca.”  Ryo scoppiò in una profonda risata, che tuttavia sembrava avere poco di onesto. Ma la fece comunque star male, contorcere lo stomaco con rabbia. I suoi occhi si accesero, brucianti, e le labbra dell’uomo si piegarono in un impercettibile sorriso di soddisfazione che alla donna, presa dal suo ardore, sfuggì, come pure il leggero movimento con cui, con la punta della lingua, Ryo si leccava le labbra. 

Era lei, ed era tornata, la donna focosa, testarda e ribelle che aveva incontrato quella notte,  che gli aveva rubato una volta per tutte il cuore.

Piccoli passi, si disse Ryo, incoraggiandosi. E poi, e poi quello che da troppo tempo agognava sarebbe potuto essere suo.

“Porzioni della proprietà ad intervalli regolari,” lo interruppe. “In questo modo, saremo tutti felici: io non rimarrò sposata con te per sempre, ma tu non dovrai temere che mi svegli una mattina e chieda il divorzio su due piedi.” 

“Tutte le proprietà della tua famiglia,” continuò lui, massaggiandosi il mento. “Una all’anno. Per tre anni. Ci stai?”

“Due anni,” rispose lei, secca. “La casa di famiglia e l’attico - la villa di Okinawa è stato solo un capriccio di mio zio e di mia  madre, puoi farne quello che vuoi. Servirà loro di lezione per il futuro.”

Ryo sorrise, compiaciuto: la bella ribelle stava facendo capolino. La guardò, ardente di desiderio, affamato, ma soprattutto intenerito: Kaori voleva quella casa per i ricordi, per sé, per il fratello… non certo per la madre o o lo zio. Aveva capito l’antifona, e stava finalmente agendo di conseguenza.

Kaori lo studiò allo stesso modo, cercando di comprendere i motivi dietro al silenzio di Ryo; non avrebbe negoziato oltre, quelli di entrambi erano termini accettabili, per cosa gli chiedeva. E due anni sarebbero passati veloci: sarebbe ancora stata giovane, una volta ottenuto il divorzio, avrebbe potuto ricominciare la sua vita. E avrebbe ancora avuto la sua casa, quella in cui lei e Hide erano nati, in cui erano cresciuti… quella in cui erano stati felici accanto all’amato padre, prima che il mondo crollasse loro sotto ai piedi con la prematura scomparsa del patriarca della famiglia Makimura. Era per lui che Kaori accettava quel ricatto, per i ricordi… e perché la generazione successiva potesse camminare e giocare tra quegli stessi muri.

“Non te lo chiedi mai, Kaori?” le domandò lui, riportandola sulla terra dopo che Kaori si era persa nei ricordi ed in mille e più pensieri; ormai erano quasi otto mesi che andavano avanti con questo loro rincorrersi, e nonostante Ryo fosse noto per essere paziente e meticoloso stava iniziando a stancarsi del rifiuti di lei. “Non ti piacerebbe essere mia moglie a tempo indefinito? Essere la moglie di Ryo Saeba-Kaibara ti porterebbe non pochi benefici… lusso, denaro, tutto ciò che potresti desiderare.”

“Nulla che non abbia già visto, e di cui non mi sono mai interessata.”  Gli rispose, secca. “Voglio la casa di mio padre, Ryo, la casa mia e di Hideyuki, niente di più e niente di meno.”

“Sei assolutamente certa che non c’è nient’altro con cui ti possa tentare?” le domandò, facendo schioccare la lingua contro il palato. Lascivo, Ryo le fissò con caldo desiderio la scollatura, lasciandole intendere che poneva se stesso, e l’ottimo sesso consumato in quella stanza d’albergo, come una delle principali motivazioni per cui lei avrebbe voluto rimanere sposata con lui. “Quello che c’è stato tra di noi quella notte non è una cosa facile d trovare…”

“Non ero in me quella notte!” lei ammise, furente, voltando il capo di lato per non vederlo, le guance arrossate per il desiderio ed il ricordo. Ryo si allungò sulla scrivania, e la prese delicatamente per il mento, costringendola a guardarlo. 

“Perché ti sei lasciata andare, hai lasciato che l’istinto ti guidasse?” Ryo la guardò intensamente, sfidandola silenziosamente a negare, trovare una scusa.

“Perché avevo bevuto.” Ammise lei, a voce bassa, quasi vergognandosi. 

“Due drink, Kaori, ore prima - non eri ubriaca quando mi hai detto che se ti avessi sposata, allora saresti stata mia.”

Kaori osò guardarlo negli occhi: all’improvviso, non lo capiva. A che gioco giocava? Cosa voleva Ryo realmente da lei? Possibile che i rancori tra le loro famiglie fossero così profondi da fargli desiderare di tenerla legata a sé per il semplice gusto di privarla della libertà? 

“Mia sorella pensa che la storia che la tua antenata sia stata sedotta fosse stata tutta una cazzata. Che il mio antenato e la tua si amassero, ma che la famiglia di lei volesse altro.” Ryo continuò, passandole il dito sulla bocca, senza mai distogliere lo sguardo da quello di Kaori. “Sono riuscito dove altri avevano fallito, ha fatto mia una bellissima Makimura…”

“Questo lo vedremo,” gli rispose lei con tono di sfida. Ryo le sorrise, stranamente compiaciuto, poi aprì un cassetto della scrivania, e sotto lo sguardo attonito, eppure segretamente emozionato, di Kaori, prelevò una scatola di velluto. La aprì, rivelando al suo interno due fedi nuziali, di oro giallo: semplici, una era liscia, e l’altra aveva un piccolo brillante; il cuore di Kaori perse un battito, mentre si sentì profondamente emozionata da quel gesto di Ryo, anche perché adorava quelle semplici fedi. Non avevano avuto tempo quella sera, decidendo di firmare un semplice foglio, ma quello era ciò che avrebbe desiderato per sé, non certo gli stravaganti anelli per cui avevano insistito la sua famiglia e quella di Uragami. 

Guardandola negli occhi, lo sguardo caldo e avvolgente, che le sembrava promettere caldi notti di lussuria, Ryo si infilò con deliberata lentezza la fede, poi prese con delicatezza la mano sinistra di lei, e risoluto le infilò l’anello al dito, portandosi poi la mano alle labbra e lasciandovi un delicato bacio sopra. 

Un semplice tocco, ma per lei fu come essere percorsa da una scossa elettrica, e quando guardò meglio gli occhi di Ryo, capì quanto anche lui stesso si sentisse scosso da quel semplice bacio – perfino più di quanto non lo fossero stati quando si erano baciati giorni prima, quando le loro bocche si erano divorate, affamate di avere sempre di più. 

Chissà com’è fare sesso su una scrivania, Kaori si chiese improvvisamente, leccandosi le labbra. Non era nemmeno certa lei del perché se lo fosse chiesto, ma i ricordi della sua unica notte da Signora Saeba-Kaibara si stavano svegliando con prepotenza, e Kaori sentiva che c’era una parte di lei, che si rifiutava di riconoscere come realmente sua, che desiderava ardentemente comprendere se quell’elettrizzante attrazione, la chimica sconvolgente, fossero solo nella sua testa o se fosse stato tutto vero, come lo ricordava… o se i ricordi stessi potessero impallidire davanti alla realtà.

“Non farlo, Kaori,” Ryo la avvertì, con voce roca. “Non tentarmi, mi hermosa amada.

Ryo si chinò su di lei per depositarle un bacio sulle labbra e sigillare così il loro contratto, quando però qualcuno bussò con prepotenza alla porta, disturbandoli. Kaori fece un passo indietro, grata per l’interruzione, scandalizzata e spaventata dalla portata del suo desiderio per Ryo, mentre invece l’uomo ringhiò, furibondo, prendendo a pugni la scrivania mentre la rabbia si rifletteva nei suoi occhi tempestosi. 

“Si può sapere cosa diavolo c’è? Ero stato chiaro: mia moglie ed io non volevamo essere disturbati!” 

“Chiedo scusa, signore, ma,” il maggiordomo rispose, col capo chino, ed il tono chiaramente imbarazzato. “La signora Saeba-Kaibara è qui e desidera vederla.”

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Capitolo 6
*** Madri & Suocere ***


Ryo imprecò a bassa voce, a denti stretti; il romantico e passionale interludio che aveva sperato di condividere con Kaori avrebbe dovuto aspettare: Carmen, la sua adorata madre che andava e veniva dalla tenuta di famiglia a suo piacimento, non avrebbe certo permesso che la si lasciasse aspettare; ed infatti, la donna piombò nella stanza con forza e determinazione, falcate da modella su tacco dodici ed un fisico ancora sublime nonostante la non più giovanissima età.

Kaori arrossì, facendosi piccola e stringendosi nelle spalle… nonostante tutti le dicessero che aveva stile da vendere, soprattutto la sua amica Eriko, stilista per cui aveva sfilato più volte, davanti a quella donna si sentiva brutta e insignificante, le sembrava quasi di impallidire. Ryo sembrò percepire questo suo turbamento, e la guardò, imbarazzato, lanciandole un sorriso timido, quasi fanciullesco per la sua spontaneità, che la fece arrossire ancora di più quando la giovane comprese cosa lui le stesse comunicando: per lui, lei era bellissima, non aveva nulla da invidiare a nessun'altra donna e lo faceva impazzire così com’era. Un brivido la percorse lungo la spina dorsale, scatenandole la pelle d’oca: ne era certa, il ricordo sarebbe decisamente impallidito davanti alla realtà, una volta che lei e Ryo avessero di nuovo ripetuto la sensuale esperienza della loro prima notte di nozze, e Kaori non sapeva se esserne compiaciuta, elettrizzata… o spaventata. Lei e Ryo si comprendevano e comunicavano con un solo sguardo, un semplice tocco, e non era mai stata così in sintonia con nessun’altro in tutta la sua vita, nemmeno con persone che la conoscevano da molto più tempo di lui. Perchè? Cosa c’era di così speciale tra di loro?

Carmen notò Kaori, e desiderosa di approfittare di quell’attimo di titubanza della nuora le lanciò uno sguardo gelido, mentre Ryo circumnavigò la scrivania, raggiungendo la sua “compagna”; mise una mano sulla spalla di Kaori, attirandola a sé, e si schiarì la voce. 

“Madre, ti presento mia moglie, Kaori.” Evitò accuratamente di usare il cognome Makimura, o, peggio, di presentarla come la signora Saeba-Kaibara: la bella Carmen sapeva benissimo chi quella ragazzina esattamente fosse, non aveva certo bisogno che le venisse ricordato. 

La donna strinse i denti, cambiò colore, passando dal dorato al rosso al viola, mentre le rughe d’espressione sulla fronte e intorno ad occhi e naso si accentuarono; Kaori a malapena riuscì, con estremo compiacimento di Ryo, deliziato da quella spontaneità, a controllare la risata che sentiva salirle in gola. 

“Tesoro,” la donna sibilò, stringendo in modo quasi impercettibile i pugni, guardando con aria di sufficienza Kaori, che, sentendosi chiamata in causa, le lanciò un’occhiata che lasciava ben poco all’immaginazione, carica di risentimento e irritazione; dal canto suo, nemmeno Carmen si lasciava intimidire, guardando la giovane dall’alto verso il basso con disgusto, quasi avesse avuto davanti un ratto di fogna. Parlava col figlio in spagnolo, immaginando che la donna non comprendesse, tentando volutamente di tagliarla fuori dalle loro conversazioni. “Quando ti avevo detto che era ora che trovassi una moglie adeguata e ti sposassi, non era esattamente questo che intendevo.” 

Ryo alzò gli occhi al cielo, e fece per aprire bocca ma prima che potesse rispondere, Kaori lo precedette, rispondendole per le rime - in spagnolo.

“Sono una Makimura, signora Kaibara,” rispose, il naso alzato, il temperamento non tanto altezzoso quanto fiero, gli occhi che le brillavano di determinazione, furia divina. Ryo fece scivolare la mano lungo il braccio e le strinse la mano, guardandola meravigliato, incantato: eccola lì, la donna che quella notte lo aveva conquistato, e che da troppo tempo ormai non vedeva più! Non solo non si era lasciata intimorire da Carmen, ma le aveva risposto a tono, dimostrando tra l’altro un’eccellente padronanza delle lingue, prova ulteriore della sua intelligenza. “La mia è una delle famiglie più antiche e rispettabili del Giappone, ed ho studiato nei migliori istituti del Paese e non solo. Mi sono laureata in scienza del restauro con lode alla Sorbona e ho sempre frequentato tutti i circoli più esclusivi. Dubito che Ryo potrebbe trovare qualcuno di più adeguato della sottoscritta.”  

“Appunto.” Per nulla intimorita, Carmen continuò a guardare Kaori dall’alto verso il basso; le due donne si lanciavano occhiate cariche di energia, esplosive, e Ryo, quasi intimorito, fece un passo indietro, sentendosi quasi un terzo incomodo in quella lotta. Sua madre avrebbe permesso tutto, per lei una divorziata, una madre single, una cameriera, una donna più vecchia sarebbero state mogli più che adeguate, ma a quanto sembrava, una Makimura era impensabile. Tirando un profondo respiro, Ryo si chiese quando suo padre - il suo patrigno, in realtà - si sarebbe fatto vivo per dire la sua. Lì sì che ci sarebbe stato da divertirsi: prevedeva già, come minimo, lanci di piatti, l’avrebbe certamente minacciato di diseredarlo nonostante da solo Ryo fosse riuscito a duplicare gli introiti delle ditte di famiglia ed aumentare il valore delle proprietà attraverso mirate opere di ammodernamento ed il tutto in un tempo relativamente breve.

“Signora Saeba -Kaibara, rimane il fatto che sono lieta di fare la sua conoscenza, e spero che stia avendo una buona giornata.” Kaori rispose con un sorrisetto che più falso non poteva essere, accennando un leggerissimo inchino. “Inoltre, desidero rassicurarla che lei rimarrà la signora Saeba-Kaibara. Nonostante Ryo insista, non ho intenzione di cambiare il mio cognome, e preferirei presentarmi come la signora Makimura, utilizzando il cognome con cui mi sono imposta nel mio ambito professionale.”

“Non… non ho mai sentito nulla di più offensivo!” Carmen sibilò, smettendo di guardare Kaori e spostando gli occhi scuri su Ryo, che stava ridacchiando sotto i baffi, divertito dall’insolenza della sua sposa, che, forse unica donna sulla faccia della terra, se non unica persona, stava finalmente mettendo al suo posto la bella latina. “Ryo, dille qualcosa!” 

“Ma, madre! Trattare così la mia mogliettina, quando è appena arrivata, non si fa!” Ryo non resistette, e punzecchiò un po’ la donna, facendole sciò con la mano ed un’espressione impertinente sul viso, che trasudava soddisfazione. “Su, dai, adesso devo far vedere la nostra proprietà a mia moglie!”

Il modo in cui Ryo aveva sottolineato quei due aggettivi possessivi non passò inosservato alla matriarca, le cui vene sulle tempie presero a pulsare, ormai divenute bluastre. Tuttavia la matriarca aveva iniziato una personalissima guerra con la giovane donna, e non si lasciò scoraggiare dai nemmeno tanto velati tentativi del figliolo di mandarla via. 

“Allora, Kaori, devo forse desumere dalle tue parole che tu abbia intenzione di continuare a lavorare?” Sia Ryo che Kaori alzarono un sopracciglio, incerti se la donna fosse stata più disgustata dal dover pronunciare il nome della nuora o quel verbo a lei quasi del tutto sconosciuto. Ryo sapeva che la madre non era estranea al duro lavoro, in gioventù aveva faticato, ma proprio per sfuggire a quella che lei considerava una precaria esistenza aveva scelto di usare la sua bellezza per la sua personale scalata sociale.

“Assolutamente sì. Non solo perché io amo la mia professione, ma perché ho faticato a farmi strada in un campo prettamente maschile come quello della critica artistica, nonostante purtroppo in questo momento sia limitata alla valutazione delle opere d’arte presso un’importante agenzia assicurativa.” Kaori rispose, tutta di un pezzo. La stima che Ryo nutriva verso di lei aumentava con ogni secondo che passava, come pure il suo desiderio, e l’uomo si chiese, non per la prima volta, come fosse possibile che una donna del genere non avesse avuto un esercito di spasimanti a tampinarla, e fosse arrivata vergine alle nozze. “Inoltre, non vorrei mai trovarmi in futuro nuovamente single, e dal momento che non ho intenzione di chiedere alcun supporto economico a Ryo in caso di divorzio, continuare  a lavorare mi sembra una scelta più che logica.” 

“Cosa mi stai nascondendo, ragazzina?” La donna la accusò, braccia incrociate sul corpo magro e sguardo assassino. “Sei una Makimura, e l’unico motivo per cui una Makimura accetterebbe di sposarsi con un Kaibara è per vile denaro!”

“Non denaro, ma terra. Ryo si è impadronito dei latifondi della mia famiglia, e per ogni anno che rimarremo sposati entrerò in possesso di una proprietà.” La donna sottolineò, senza tuttavia smuoversi di un millimetro. Non c’era vergogna o paura in quello che diceva, solo la semplice verità. “Mi creda, se non fosse che suo figlio si è impossessato della mia casa con l’inganno, a quest’ora sarei già lontana mille miglia da qui!” 

Carmen guardò prima Kaori e poi Ryo, soffermandosi poi sul figlio. “Sonia ed io ti aspettiamo a cena, Ryo. Ho dato ordine di preparare la tavola nella sala grande. Non farti attendere.” Detto ciò, si girò sui tacchi e uscì dalla porta, lasciandosi dietro una scia del suo costosissimo profumo. 

Ryo lasciò andare un sospiro di sollievo, che nemmeno sapeva di aver trattenuto, e sardonico si grattò il capo. “Beh, è andata piuttosto bene, no?”

“Già, non vedo l’ora che si ceni…” Kaori gli rispose, la sua voce e ogni parola che grondavano sarcasmo, prima di uscire dalla stanza anche lei. 

Ryo emise un leggero singhiozzo: con quelle due donne, far funzionare il suo matrimonio sarebbe stato più complicato del previsto- o chissà, forse più divertente.

 

    Se invece del cibo le donne sedute attorno al maestoso tavolo avessero  infilzato lui, Ryo era certo che avrebbe sofferto meno. L’atmosfera era strana, nessuno si sentiva del tutto a proprio agio e studiava ogni singola mossa del proprio opponente; l’unica che cercava di tenersi realmente in disparte e non elargiva giudizi era Sonia, che, seduta davanti a Ryo dall’altro capo del tavolo,lontana circa tre metri da lui, guardava prima la madre e poi Kaori cercando di capire se rimanere neutrale o di chi fosse il caso che prendesse le parti. I suoi occhi azzurri, eredità del padre biologico, si fermarono su Ryo, cercando di capire da che parte lui stesse: nel dubbio, avrebbe seguito l’amato fratello, a cui era di gran lunga più affezionata che alla madre, che in gioventù si era presa troppe libertà, ponendo se stessa sempre al primo posto, ed i figli all’ultimo. Le voleva bene, ma sapeva quanto la società e la donna cercassero di imporle le loro regole, che iniziavano a starle strette. Forse per questo aveva provato una simpatia immediata, seppur timida, per Kaori, che sposando Ryo si era ribellata alle etichette impostele da altri.

Eppure, fino a quel momento non era stata detta nemmeno mezza parola: ma gli sguardi che le due donne si lanciavano la dicevano lunga, ed era lampante che a Carmen non fosse piaciuto che Ryo avesse fatto sedere Kaori alla sua destra, come fosse la signora della casa. E Kaori lo aveva assecondato, con un sorriso di soddisfazione sul volto. Lo aveva fatto non tanto per compiacere Ryo, quanto per irritare la suocera, che dopo nemmeno mezz’ora di conoscenza già detestava.  Poco le importava di cadere nel più classico dei clichè, quello della nuora che non poteva fare a meno di detestare la suocera, Carmen era altezzosa, supponente, impertinente, egocentrica… con una madre così, era un miracolo che Ryo fosse diventato solo un cinico dongiovanni. 

Ryo, da parte sua, stava iniziando a spazientirsi, ed averne abbastanza di quella ridicola situazione; decise perciò di essere lui a rompere il ghiaccio, interloquendo con il membro più defilato della congrega: la sorella. Aveva capito che Carmen l’aveva portata con sé nella speranza di avere una valida alleata nella sua lotta contro Kaori, ma il giovane imprenditore rampante sperava di poterla portare dalla sua parte, trovando in lei un appoggio che, qualora il padre avesse fatto il guastafeste, sarebbe potuto tornare loro utile.

“Sonia, tu e Kaori avete pressappoco la stessa età,  vi siete già incontrate? Magari avete amici in comune...” Le domandò; Sonia lo guardò, allarmata, quasi dicendogli silenziosamente che lo detestava per averla messa nel mezzo quando, nel suo cantuccio, lontana da loro, se ne stava tanto bene.

“Credo di ricordare di averla incontrata ad alcuni eventi sociali in passato, ma non penso di averle parlato approfonditamente.” ammise infine, timida ed impacciata, mentre la madre la fulminava, nemmeno avesse detto che lei e Kaori erano inseparabili. 

Ryo sospirò, immaginando fin troppo bene come mai Sonia non avesse mai sentito il bisogno di comunicare con una donna della sua età e che, per giunta, lavorava in un campo non dissimile dal suo, e decise di dare voce a questo pensiero, nella speranza di accomunarle ancora di più. 

“Sai, Kaori, Sonia è una graphic designer, si lascia spesso influenzare dall’arte per le sue creazioni…”

“Oh, davvero? C’è qualcuno in particolare che ti interessa? Lo scorso anno mi sono occupata di una galleria che ospitava numerosi pezzi di  Fujishima Takeji!” Kaori esclamò, allegra, mentre, da sotto al tavolo, Ryo le stringeva il ginocchio come per incoraggiarla. Era chiaro che parlare del suo lavoro le facesse piacere, e la entusiasmasse. Lei gli lanciò uno sguardo emozionato, carico di gratitudine e, Ryo sperò, affetto.

“In realtà io uso molto i manga come referenza, più che le classiche opere d’arte – non che Ryo ne capisca qualcosa del mio lavoro.” Sonia si limitò a rispondere, leggermente imbarazzata per lo sguardo glaciale che le lanciava la madre per aver osato assecondare quelli che la donna vedeva come i capricci del figlio, nemmeno Ryo fosse stato un adolescente insolente – che doveva farci, viverci insieme era pressoché impossibile, ma era pur sempre sua madre!

Dopo questo scambio, Kaori si limitò a fare un cenno col capo, poi la conversazione tornò a stagnarsi; Ryo guardò le tre donne- la madre e la sorella eleganti in capi di alta moda di Chanel e Gucci, agghindate con gioielli che le facevano sembrare alberi di Natale,  mentre il vestito di Kaori era sì di buon gusto ed elegante, ma non lussuoso come quelli delle due donne, e gli unici gioielli che indossava erano la fede nuziale e un piccolo anello con una pietra rossa, e dei semplici orecchini a pendente, chiaramente di scarso valore ma che però col capello corto stavano molto bene. 

L’uomo sospirò, sentendosi lievemente sconfitto: portare avanti quel matrimonio sarebbe stato un duro e lungo lavoro, in più, vista la gelida accoglienza della sua famiglia, temeva che riconquistare Kaori e riaverla nel suo letto e nella sua vita a tempo indeterminato sarebbe stato più complicato del previsto.

Si soffermò a guardarla: labbra rosa, profilo delicato e femminile, capelli che le accarezzavano i lineamenti dolci e femminili, ed un seno esplosivo che si intravedeva attraverso il soffice tessuto dell’abito; ricordava di aver sentito uomini dire che sembrasse un maschiaccio, ed in gioventù lui stesso l’aveva così derisa, quando lei, ragazzina, si nascondeva dietro alle gambe del fratello; ma quando l’aveva vista con quel vestito rosso addosso, si era chiesto quando esattamente Kaori Makimura avesse smesso di essere una ragazzina e fosse divenuta une bellissima donna - di più, una dea. Vederla l’aveva attizzato, ma Ryo, abituato a considerare i Makimura inferiori, subito l’aveva etichettata come una ragazzina viziata e sciocca. Ma lei aveva osato ribattere alle sue battute con intelligente humor, e lui si era reso conto che oltre alle gambe e alle tette c’era molto di più, ed ad accenderlo per davvero, emozionarlo, era stato tutto il resto: per la prima volta nella sua vita, Ryo Saeba era attratto non tanto dal corpo, quando dalla mente di una donna; una donna che, per giunta, sembrava fatta apposta per lui sotto alle lenzuola. 

Bella, intelligente, e dalla prorompente carica sensuale quando si trattava di loro: cosa avrebbe potuto chiedere di più dalla vita?

Di potermene stare un po’ in pace con mia moglie, e questi idioti la piantassero di litigare una volta per tutte!  L’uomo si disse. 

“Dimmi, Ryo, tu e tua moglie avete impegni nei prossimi giorni?” La madre gli disse, nuovamente sottolineando quella parola senza nemmeno provare a celare il suo disgusto, neanche fosse stato veleno allo stato puro. Stava tagliando un delicato filetto, stritolandolo quasi potesse sfogare la sue personali frustrazioni su quel succulento pezzo di carne. 

“Interessante domanda, madre.” Neanche gli fosse stata servita su un vassoio d’argento, Ryo sorrise soddisfatto, quasi sogghignando, gli occhi fissi su Kaori. “La prossima settimana Kaori ed io siamo invitati ad un matrimonio. Hayato sposa Miki, una carissima amica di Kaori. E che tu ci creda o no, non fosse stato per noi, quei due non si sarebbero mai rimessi insieme, vero cara?”

Ryo le fece l’occhiolino, e lo stomaco di Kaori si contorse; ormai perso ogni appetito relativo al cibo, la donna spostò delicatamente il piatto di lato, dovendo ammettere che purtroppo Ryo aveva ragione: era al suo non-matrimonio con Uragami che Miki ed il suo ex si erano rivisti dopo anni, quando Ryo, amico di vecchia data del futuro sposo, aveva annunciato a tutti che loro due erano ancora sposati, e la scintilla aveva riacceso le braci mai davvero estinte di quell’amore adolescenziale.

La giovane donna sospirò: stava iniziando ad odiare i matrimoni!

 

    “Bambina mia, ce l’hai fatta!”  Tornata nella sua magione ancestrale – che sua non era più, perché apparteneva al suo consorte - per recuperare alcuni capi di vestiario che le sarebbero serviti nei giorni successivi, Kaori guardò con sguardo tagliente e venefico lo zio. La serata precedente era giù stata abbastanza pesante, con la presenza soffocante e tagliente di quella spocchiosa donna arricchita e priva di classe che era purtroppo la madre di Ryo, e la pazienza di Kaori, seppure vasta, stava giungendo al termine. 

“Immagino che sarai soddisfatto.” Sibilò, guardandolo truce; tuttavia l’uomo non parve cogliere la sottigliezza degli sguardi e del tono della nipote: uomo borioso ed egocentrico, legato ancora alle tradizioni, ancorato in un passato che non poteva più tornare, vedeva quelle nozze come il trionfo dei Makimura sui Kaibara, un sentimento che sembrava condiviso dalla cognata, che sedeva su un’elegante poltrona in stile Vittoriano bevendo tranquillamente da un bicchiere quello sembrava essere un Martini, se l’oliva verde e la forma del bicchiere erano indicazione di qualcosa. 

Kaori si portò una mano alla tempia, socchiudendo gli occhi: e la gente si chiedeva perché lei e suo fratello evitassero i raduni famigliari come la peste - cosa avrebbero dovuto fare? La loro madre beveva già alle dieci del mattino, lo zio era un borioso arrogante con il vizio del gioco… probabilmente, solo per dare loro una lezione, Kaori avrebbe fatto bene a lasciarli cuocere nel loro stesso brodo, andando semplicemente avanti con la sua vita come se nulla fosse stato. E invece… e invece, dato che lei si sentiva in colpa per aver permesso che le cose peggiorassero, giorno dopo giorno, senza che lei nemmeno se ne rendesse conto, adesso li stava togliendo dai guai, e loro nemmeno capivano il sacrificio che lei aveva compiuto per arginare i danni causati dallo zio e dalla madre alle finanze della famiglia.

“Certo che, però…” la donna sospirò, posando su un tavolino il bicchiere in un modo che poteva essere definito solo melodrammatico. “Non avrei mai immaginato che il tuo modo di porre fine allo scandalo delle tue nozze fosse quello di rimanere sposata a quel Kaibara…”

“Ryo è un Kaibara di nome, mamma, ma non di fatto, lo sai anche tu.” La giovane sbuffò; sua madre sembrava non essersi ancora fatta un’idea precisa di quell’unione, e se da una parte era perlomeno sollevata di essere nuovamente in possesso della proprietà, dall’altra, nonostante il Makimura fosse stato il marito, non riusciva a nascondere il malcontento a quell’unione: lei e Carmen sarebbero decisamente andate d’accordo, da quel punto di vista.

“Quindi… cosa hai intenzione di fare? Hai un’idea precisa di come andranno le cose da qui in poi?” La donna le chiese, con sguardo truce; anche Toshio la guardò torvo, ma d’altronde, forse solo lui- e la giovane Kaori- capivano quanto grave fosse la situazione della famiglia. 

Cercherò disperatamente di stare il più a lungo possibile lontana da Ryo, perché è chiaro che mi voglia sedurre…e che io non mi farei troppi problemi a lasciarlo fare. Di per sé, Kaori non era contraria al ripetersi della loro notte di nozze, anche perché sarebbero stati sposati almeno due anni, e non aveva intenzione di permettere a Ryo di avere amanti; d'altra parte, lui era sempre stato noto come un dongiovanni, e ancora ricordava come avesse sentito voci ai tempi delle scuole, secondo cui lui sarebbe stato soprannominato lo Stallone… inoltre, lei stessa non era del tutto indifferente al fascino del bel Saeba. Sapeva che prima o poi sarebbero finiti di nuovo a letto, adesso era solo questione di capire quando quel fatidico evento sarebbe avvenuto. 

Le sue gote si arrossirono e sulle sue labbra comparve un delicato sorriso, mentre si portava, timida, un dito alle labbra, e ricordava la dolcezza di Ryo prima, la sua sfrontata irruenza dopo… sarebbe stato sempre così? Ricordava ogni tocco, carezza, ogni parola, e poi, in mezzo a quelle peccaminose immagini, ne fece capolino un’altra, del tutto diversa. 

Un neonato, dai capelli neri e ricci e gli occhi scuri, luminosi e grandi. 

Al suo cuore mancò un colpo per l'intensità delle emozioni che quell’improvviso desiderio che non sapeva di avere le scatenò dentro, e la donna quasi scoppiò a ridere all’idea di cosa le loro famiglie avrebbero potuto dire vedendo quel piccolo ibrido, un erede ad entrambe le famiglie in guerra, ma poi scosse il capo: lei aveva ogni intenzione di lasciare Ryo passati i due anni, e quindi un bambino era fuori questione. 

“Cosa ne dice Uragami?” La donna continuò. “Dopotutto, un giorno sarai di nuovo single...e allora lui potrebbe ancora rappresentare un buon partito… unire le nostre famiglie potrebbe essere saggio.”

Kaori strinse i denti e fulminò la madre: si era appena riappacificata- seppure in quel modo-a Ryo e quella donna già le cercava un nuovo marito…

“Uragami ha già trovato chi gli scalda il letto, mamma,” le rispose, seccamente. “Se questo è il valore che dava al nostro legame, non sono intenzionata a svendermi per permettere a voi di avere due soldi in più.”

“Kaori, non permetterti di usare questo tono con noi!” La madre la rimproverò. “Dopotutto, sto solo pensando a te, voglio solo il tuo bene, tesoro mio.”

“Davvero?” La giovane scoppiò, gli occhi che le bruciavano per le lacrime di rabbia che desiderava piangere. “Allora perché spetta a me salvarvi la faccia ed il portafoglio?”

Sotto agli sguardi attoniti della famiglia, Kaori girò, letteralmente, i tacchi, senza attendere che le due figure, sedute sulle poltrone con la bocca aperta, potessero replicare.

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Capitolo 7
*** Okutama ***


Ciò che solo qualche giorno prima Kaori aveva espresso non era assolutamente vero: lei non odiava assolutamente i matrimoni, e non li avrebbe odiati mai. E comunque, non avrebbe mai potuto mancare al matrimonio di Miki, né essere meno che felice per la sua migliore amica, che, finalmente, coronava il suo sogno d’amore, sposando l’unico uomo che avesse mai amato in tutta la sua vita. 

E poi, Miki era magnifica, con il lungo abito bianco ricamato a mano da lei stessa, il delicato bouquet di gigli e fior di cuculo che la fiorista aveva confezionato su sua precisa indicazione. Miki aveva tentato di sminuire il suo lungo lavoro, le ore di preparazione, le notti insonni passate a cucire e le innumerevoli volte che si era punta mentre ricamava o cuciva sul tessuto le perline di vetro, ma Kaori aveva visto quanto felice ed entusiasta la sposa fosse: quel giorno c’era davvero solo spazio per la felicità, e lei e Ryo, obbligati a vestire i panni dei testimoni e stare fianco a fianco, si sarebbero comportati al meglio ed avrebbero fatto in modo che nulla potesse andare storto.

La cerimonia cominciò; una volta giunta accanto allo sposo davanti all’altare, Miki porse il suo bouquet alla sua damigella, Kaori, che arrossendo, le guance dello stesso colore del suo abito - il rosso era decisamente il suo colore -  si rifiutò di guardare il testimone dello sposo: Ryo. 

Miki e Hayato avevano optato per una cerimonia molto semplice, ed infatti erano presenti solo alcuni membri selezionati della loro cerchia di amici, la loro famiglia surrogata dal momento che erano entrambi orfani e senza fratelli o sorelle.

Sedute sulle sedie di legno di ciliegio e di velluto color avorio, c’erano Saeko e Kazue (cugina di Kaori) coi rispettivi compagni- Hideyuki, il fratello di Kaori, e Mick, uno dei soci in affari di Ryo e del futuro sposo di Miki. Matrimonio apparentemente d’interesse il primo, nonostante Kaori sapesse da quanti anni Hide fosse innamorato della bella poliziotta, si era trattato invece di amore a prima vista nel secondo caso, un colpo di fulmine scattato quando Ryo e la sua combriccola avevano interrotto le nozze di Kaori con Uragami. Entrambe le donne erano ora felici e appagate, circondate dall’amore  ed attendevano gli eredi delle rispettive dinastie… era quindi ricaduto sui novelli signori Saeba-Kaibara il ruolo di testimoni. Entrambi erano certi che non fosse un caso: Ryo pensava che la donna li volesse stuzzicare, Kaori invece vedeva il cervello romantico dell’amica al lavoro, che stava disperatamente cercando di ricreare, con un finale a lieto fine, però, la storia del Montecchi e dei Capuleti.

Il giudice di pace iniziò a parlare, recitando tutte le formule del caso, non certo il veloce affaire clandestino che Ryo e Kaori avevano condiviso nella loro notte di fuoco; mentre Hayato faceva scorrere la vera d’oro all’anulare della sua sposa, Kaori finalmente guardò Ryo ed incrociò il suo sguardo, e rimase travolta dall’intensità e dal calore di quegli occhi che sembravano spogliarla e dirle che la volevano, esattamente come quella notte, se non forse addirittura di più.

Hayato giurò di amare Miki, la stessa promessa che le aveva sussurrato Ryo mentre firmavano le carte, ma da quelle nozze Kaori aveva avuto solo lussuria e desiderio, il che non era male ma… come potevano amarsi? Venivano da famiglie che si detestavano, e per giunta, non si conoscevano nemmeno davvero, e prima di quella sera a malapena si erano scambiati quattro chiacchiere in croce nel corso delle loro intere vite. Ryo continuava a stuzzicarla, chiederle se l’idea di rimanere sposata a lui a vita fosse così da buttare, un incubo, ma Kaori non capiva perché proponesse una cosa del genere, o la ritenesse possibile.

Un sospiro languido, una lacrima che voleva lasciare i suoi bei occhi, ma Kaori non pianse. Non avrebbe dato a Ryo la soddisfazione di averla resa malinconica proprio in quel giorno, e la donna si ripromise di smetterla di pensare alle nozze e all’amore, che forse lei non avrebbe mai conosciuto davvero. 

Poco dopo la cerimonia, gli invitati si trovarono ad un piccolo brunch all’aperto, in un parco vicino alla deliziosa cappella di Okutama - una chiesetta che sembrava essere uscita da un racconto di Anna dai capelli rossi, e che veniva usata sia per funzioni civili che religiose - con stuzzichini da assaporare in piedi. Kaori e Miki stavano conversando amabilmente tra di loro, con Hayato, un gigante calvo con un difetto della vista che lo obbligava a nascondere lo sguardo dietro spesse lenti da sole-  che teneva una mano protettiva sulla schiena della moglie. Kazue e Saeko li raggiunsero, alzando le mani salutandoli; Saeko era raggiante: indossava un vestito lilla che metteva in risalto le sue forme rese floride dalla gravidanza, facendola risplendere anziché apparire goffa. 

“Quanto ti invidio, Saeko, spero tanto che sarò anch’io bella come te quando avrò un bambino!”  Miki le disse, radiante, chiaramente felice; buona di natura, non c’era un grammo di invidia o cattiveria in quella donna. Al suo fianco, il marito arrossì, timido, e prese a tossicchiare, nemmeno con quell’accenno ad una possibile gravidanza futura la sua consorte avesse sventolato in piazza il Kamasutra illustrato con loro foto. 

Le donne parlottarono tra di loro, ridendo e scherzando, e Kaori, con un velo di tristezza negli occhi, finse il meglio che poté: era felice che le sue amiche avessero trovato l’amore, e che il matrimonio del fratello stesse andando a gonfie vele, poco importava se le loro rispettive dolci metà erano amici di Ryo. Uno sguardo le aveva fatto capire che quelle nozze sarebbero state tutte durature, al contrario delle sue, anche se le parole che lui le aveva detto mesi prima le tornavano prepotentemente in testa, e Kaori non potè fare a meno che interrogarsi nuovamente sul loro significato.

Non ho intenzione di concederti il divorzio tanto facilmente, Kaori. Rassegnati: le cose andranno ancora molto per le lunghe! 

E quello non era stato nemmeno l’unico accenno… ma che cosa aveva voluto dire Ryo? Era forse riferito alla battaglia tra le loro famiglie? Ryo sarebbe stato ben felice di distruggere e rovinare, sia emotivamente che economicamente, i Makimura, per dimostrare al patrigno la sua gratitudine per avergli dato il benvenuto nella famiglia e averlo sempre fatto sentire ben accetto e amato, ma era possibile che ci fosse anche altro? Che lei lo stesse giudicando male? Che lui davvero la volesse

“Un penny per i tuoi pensieri?” Miki le domandò, dandole un colpetto sulla spalla. Kaori si voltò, e le sorrise, cercando di apparire serena e felice; era un giorno di giubilo, non ci sarebbe dovuto essere spazio per le sue esitazioni, i suoi rimpianti, i dubbi o per qualunque cosa animasse il suo spirito irrequieto in quel momento, men che meno la paura, folle, che Ryo la volesse solo per renderle poi la vita un inferno. 

Avrebbe voluto negare l’evidenza, inventarsi scuse, deviare l’attenzione delle amiche verso altri argomenti, ma Miki e Kazue la guardavano con vivo interesse, desiderose di sapere la verità; inoltre, la giovane donna non faceva altro che far ricadere lo sguardo sul fratello, che teneva una mano protettiva al fianco della moglie, e di tanto in tanto le accarezzava il pancione, senza mai distogliere lo sguardo caldo ed innamorato da lei- uno sguardo che, piena di emozione, Saeko ricambiava, dimostrando quanto potente fosse divenuto il sentimento che la legava a quell’uomo che aveva saputo conquistarla con i suoi modi solo all’apparenza da imbranato e nerd.

Kaori sospirò, preparandosi al affrontare le acque tempestose che la sua rivelazione avrebbe  scatenato. “Ryo ed io abbiamo deciso di non divorziare, né di chiedere un annullamento. Rimaniamo insieme e… e vivremo insieme. Cioè, viviamo insieme.”

“Oh, Kaori, ma è bellissimo!” Miki, entusiasta, batté le mani felice; sembrava quasi volesse ballare sul posto, tanto era estasiata da quella notizia. “Sapevo che tu e Ryo eravate fatti per stare insieme, l’ho capito appena vi ho visti scambiarvi uno sguardo in chiesa, quando ti ha impedito di andare avanti con la cerimonia con quell’Uragami... e poi lo dicono tutti!” 

Kazue si trattenne dallo scoppiare e ridere, mentre Kaori fulminava la sposina novella con lo sguardo; se c’era una cosa che era traspirata in quei momenti, il giorno del suo non-matrimonio, era il profondo odio, rancore e disprezzo che nutriva per l’uomo che aveva avuto la malsana idea di sposare mentre era ebbra di alcol e endorfine ed ormoni.

“Secondo me c’è qualcosa che Kaori non ci sta dicendo….” Kazue asserì, intromettendosi nella discussione con sguardo cospiratorio. Un sopracciglio alzato, sembrava saperla lunga… e chissà, forse il suo, di compagno, Mick Angel, amico e socio di Ryo, l’aveva informata di qualcosa… possibile che Ryo avesse ammesso con gli amici la verità?

Lo sapeva Saeko? E Hide, era stato informato anche lui? Il cuore di Kaori perse un battito mentre si riempiva di panico e paura: aveva insistito con la famiglia per tenere segreto cosa stesse accadendo, non volendo ferire il fratello, farlo sentire in colpa per l’essersi allontanato dagli affari della famiglia per seguire le proprie aspirazioni personali di giovane e rampante magistrato. Lei era quella che negli ultimi anni aveva passato più tempo con la madre e lo zio, in quella casa...lei si sarebbe dovuta accorgere di cosa stava accadendo.

“Mio zio e mia madre hanno portato la nostra famiglia sul baratro della bancarotta, e Ryo ha acquisito alcune delle nostre proprietà storiche, nascondendosi dietro una serie di società di comodo.” Sconsolata, Kaori si sedette ad un tavolo, seguita dalle amiche, e prese a fissarsi le mani, che teneva in grembo. “Lui stesso me lo ha confessato. Anche la nostra tenuta, quella in cui da secoli la mia famiglia vive…”

“In poche parole, Ryo ti sta ricattando: se rimani sposata con lui, manterrà il segreto su cosa hanno combinati quei due e… cosa? Ti ridarà le tue proprietà?” Kaori arrossì, annuendo, davanti all’accuratezza dell’affermazione di Kazue, che d’altronde era sempre stata intelligente e studiosa- non per nulla era una delle ricercatrici più brillanti e giovani dell’intero Giappone, voluta da tutti i migliori istituti di ricerca del Paese.

Kaori, pensierosa, si portò una mano alle labbra, mentre cercava il marito con lo sguardo, sperando di non essere colta in flagranza; doveva ammettere che Kazue aveva ragione, e d’altronde, lei stessa aveva posto quella domanda a Ryo: possibile che volesse solo umiliarla? Alla fine dei giochi non avrebbe avuto nessun riscontro economico, anzi, ci avrebbe rimesso- poca roba visto il suo patrimonio, ma quelle proprietà gli sarebbero costate comunque dei bei soldini…

E poi, improvvisamente, Kaori si immobilizzò, avvertendo i capelli corti sulla nuca drizzarsi mentre un brivido le percorreva la schiena. Impallidendo, si voltò verso Miki, ricordando cosa avesse detto pochi attimi prima.

“Cosa… cosa intendete dire con tutti?” Domandò, balbettando leggermente, temendo la risposta. Chi erano questi tutti… la cerchia dei loro conoscenti? I loro famigliari? Quelli che erano presenti al suo non-matrimonio? I suoi colleghi, che effettivamente si erano fatti parecchio impiccioni? “Tutti chi? Chi dice cosa?”

C:\Users\eli\Google Drive\city hunter\Grafica\makimura_saebatweet.png“Tutti quanti, Kaori. Della serie, l’intero Paese.”  Kazue ammise con un’espressione di leggera vergogna, mentre prendeva dalla pochette il cellulare di ultima generazione e cercava tra i tweet salvati quello incriminato, dell’Intelligencer, la stessa rivista che aveva pubblicato quell’articolo di gossip su cosa era accaduto con Uragami il giorno delle loro presunte nozze. Non solo c’era una notizia - in parte falsa - ma era anche corredata da una loro foto scattata chissà quando… prima delle loro nozze di sicuro, dato che Kaori aveva tagliato i capelli dopo il mancato matrimonio (come tutte le brave ragazze che uscivano da una relazione disastrosa)… lei stava dando le spalle a Ryo, lui stava parlando con qualcuno fuori dall’immagine, accendendosi una sigaretta… eppure sembravano una coppietta in un atteggiamento cospiratorio, pronti ad una fuga d’amore, mentre invece lei non si era nemmeno accorta della presenza dell’uomo a quell’evento, qualunque esso fosse!

“Immagino che Uragami non ne voglia sapere di non far circolare queste voci su di voi dopo quello che è successo…” Rapida, Kazue riprese il telefono dalle mani di Kaori, notando quanto intenta questa fosse a cercare di distruggerlo, e lo ripose nella borsetta, mentre l’amica continuava a borbottare le frasi dannata rivista di gossip, maledetti scarafaggi e frasi simili. “Perché, sono solo voci, vero? Tu non ti sei fatta mettere incinta da un uomo che ti sta ricattando…”

“No, no, assolutamente no!” Kaori si affrettò a chiarire, imbarazzata, stringendo la stoffa della gonna nei pugni. “Ryo ed io non… non è successo nulla. Tolto, insomma, quando ci siamo sposati.”

“E quindi… cosa hai intenzione di fare?” Miki le domandò, posandole una mano sul ginocchio. “Rimarrai sposata ad un uomo che non ami per sempre? Perché la tua famiglia non paghi i suoi stessi errori?”

“No, no…” Kaori ammise, riluttante, scuotendo leggermente il capo; si guardò intorno, e vedendo che Saeko era impegnata a chiacchierare si sentì libera di parlare apertamente. “Ryo ed io abbiamo firmato un accordo, cioè, lo stiamo per firmare… più a lungo rimaniamo sposati, e più beni della mia famiglia mi restituirà al momento del divorzio… e comunque, non lo faccio per loro, ma per me. Quella era la casa in cui mi ha cresciuta papà… voglio che anche il bimbo di Hide possa correre per quei corridoi, come abbiamo fatto noi. E poi, anch’io ho la mia dose di colpe, non avrò speso i soldi della mia famiglia ma ho permesso allo zio e alla mamma di farlo, ho chiuso un occhio davanti alle loro stravaganze facendo finta di nulla.”

“Però a lui cosa gli viene in tasca? Mi sembra di capire che chi avrà dei vantaggi da queste nozze sei tu, non certo lui…” Miki guardò Kaori, incuriosita, mordendosi il labbro. “Non credi che Ryo potrebbe, insomma, provare qualcosa per te? Forse ha acquistato la casa ed i vostri beni per evitare che tuo zio li svendesse e venissero divisi, o finissero in mano a gente senza scrupoli...”

“Certo che prova qualcosa per me…. Disprezzo, rancore, astio, disgusto ed un po’ di lussuria stemperata nel mezzo…vuoi che vada avanti?” Kaori sbuffò, appoggiando un gomito sul tavolo e posando il mento sopra al palmo la mano. Rattristata, più di quanto volesse ammettere di essere, volse lo sguardo verso Ryo, che rideva con i suoi amici; quasi avesse avvertito gli occhi di Kaori su di sé, l’uomo si voltò a guardarla, sorridendole malandrino, alzando il calice nella direzione della sua riluttante consorte, che, arrossendo imbarazzata per essere stata colta con le mani nel sacco a sospirare dietro all’affascinante imprenditore, si voltò nuovamente verso le amiche, che sogghignarono tra di loro, quasi conoscessero un segreto di cui Kaori stessa non poteva ancora essere messa a conoscenza- o forse… non voleva, non ancora, almeno.

La giovane Makimura si voltò ancora una volta verso Ryo, che chiacchierava con Mick e Saeko: si era lasciata guidare dalla passione, la notte che lo aveva sposato, ma non avrebbe più fatto lo stesso errore. Si sarebbe tenuta strette le sue carte, e giocato con razionalità e giudizio quella partita che sarebbe stata il loro matrimonio. Perché Miki aveva ragione. Ryo, apparentemente, non aveva nulla da guadagnare da quelle nozze, ma tutto da perdere, inclusa (anzi, soprattutto) la faccia, e finché non avesse  capito a che gioco stava giocando il suo consorte, avrebbe fatto meglio a fare molta attenzione, e seguire alla lettera le regole che si era imposta.

 

    Ryo non riusciva a staccarle gli occhi dosso nemmeno per un attimo; anche quando credeva di essere al sicuro, lui, di sfuggita, la seguiva, la guardava, gli occhi colmi del desiderio che nutriva per Kaori, che non voleva arrendersi all’ovvietà: suo marito non era semplicemente infatuato di lei, nè era solo mosso dal desiderio di vendetta o dalla lussuria. Ryo lo aveva capito:  quello che nutriva per la bella Kaori, che negli anni aveva seguito da lontano, vedendola trasformarsi in una bellissima donna, intelligente e dal grande cuore, era amore, del tipo che ti cambiava la vita, per cui eri disposto a fare pazzie e, se fosse stato necessario, rinunciare a tutto. 

Per lui era tutto nuovo. Non aveva mai realmente amato nessuna, e sua madre gli uomini li aveva sempre solo usati- come aveva fatto con lui e la sorella, d'altronde. In tutta la sua vita, solo due persone gli avevano dimostrato onesto affetto, Sonia – che però era sua sorella – ma soprattutto una persona che, avesse voluto, avrebbe potuto annientarlo, l’uomo che per lui era stato più padre dello stesso uomo che per primo gli aveva dato il suo nome… Shin Kaibara. 

Kaori non lo capiva, ma anche Ryo era combattuto: amava lei, e voleva bene, un bene dell’anima, al mortale nemico della donna che occupava ogni suo pensiero; come vedevano le loro famiglie quelle nozze? Era abbastanza che Kaori avesse il suo nome, come vittoria sui Makimura, o Shin si sentiva tradito?

Ryo sospirò: erano tre anni che si faceva la stessa identica domanda, e dubitava che quel pomeriggio avrebbe trovato risposta alle sue elucubrazioni. 

La musica cambiò, e Ryo notò le coppie che si avvicinavano allo spiazzo lasciato libero come pista da ballo; Miki e Hayato presero a ballare, e lui quasi scoppiò a ridere: il suo amico era timido nelle questioni di cuore, e chiaramente imbarazzato, ed il suo rossore era solo paragonabile all’emozione della sua novella sposa… che era davvero tanta! 

Con la coda dell’occhio guardò Kaori, mordendosi il labbro per non dire idiozie o non sospirare: aveva indosso un abito rosso, lo stesso colore che aveva il giorno delle loro nozze, e quel colore le stava assolutamente da Dio, come pure il pendente a goccia, un rubino, che aveva al collo, che delicato ricadeva nella vallata tra i seni: era un gioiello dei Kaibara, appartenuto alla nonna di Shin. Ryo lo aveva fatto mettere a Kaori perché unico ed inimitabile, noto e riconoscibile: quelle sanguisughe a caccia di gossip che si erano casualmente intrufolate al matrimonio avrebbero avuto di che parlare, e ogni articolo, ogni tweet o post facebook inerente il loro matrimonio non faceva altro che rendere la loro unione più reale e tangibile.

Inclinando il capo di lato, Ryo la studiò: era davvero bellissima, e sapeva che ogni tanto lei gli prestava attenzione… perché non cedeva? Possibile che solo lui sentisse ancora ardere la fiamma del desiderio? Eppure non era così, lo aveva capito che lei era molto consapevole della sua presenza, ma era così ostinata che continuava a negare anche l’evidenza, e a non voler capire una cosa elementare come la vera ragione dietro a quel contratto post-matrimoniale: davvero Kaori non si rendeva conto che era lei l’unica che ci guadagnava qualcosa? O credeva davvero che lui la volesse solo vedere infelice ed umiliata?

Ryo rilasciò un suono gutturale intellegibile, a metà tra un ruggito ed un grugnito ed una maledizione; il suo piano era di conquistare Kaori nel letto prima, ed abituarla gradualmente al fatto che si appartenessero l’un l’altra, ma quella donna non ne voleva sapere di cedere nuovamente alle lusinghe della carne.

Adesso basta! Si disse mentre scolava in un sol sorso il calice di champagne, prima di lasciarlo sul primo tavolo che trovò lungo il suo cammino verso la sua mogliettina, che appena si rese conto che Ryo stava marciando verso di lei sgranò gli occhi, stupefatta. 

“Ehi, amore…” le disse dolcemente, cambiando da così a così nel giro di un attimo; gli occhi dolci ed intensi, lasciò un delicato bacio sulla guancia di Kaori, che stava chiacchierando con un imprenditore di Okinawa, facendola arrossire, mentre il suo interlocutore sorrise magnanimo, intenerito da quella coppietta di giovani innamorati. 

“Oh, Ryo!” Kaori gli sorrise, con le labbra tirate, mentre stringeva lo stelo del calice con tanta intensità che il ristallo sembrava destinato a rompersi da un momento all’altro; Ryo le sorrise, tenero, e lo tolse dalla mano della donna, prima di metterle un braccio intorno alla vita, le dita calde e forti che premevano con una delicata insistenza sulla stoffa sul fianco sinistro della sua sposa. “Conosci già il signore Fujisawa?” 

“Sì, abbiamo già fatto affari in passato,” Ryo rispose, facendo un leggero inchino col capo; Fujisawa era forse meno benestante di lui, ma veniva comunque da una famiglia degna di rispetto, ed era più anziano, e quello era il comportamento che richiedeva l’etichetta; era già abbastanza grave che Ryo si fosse intromesso in una discussione, ma il suo atteggiamento era perdonabile, dato che era con sua moglie che l’uomo parlava. “Le spiace se le rubo mia moglie? Kaori mi aveva promesso un ballo…”

“Assolutamente no, anzi, non vorrei mettermi in mezzo a una tale bella coppia!” L’uomo disse, facendo un cenno col capo ed allontanandosi in direzione del buffet, mentre Ryo offriva il braccio a Kaori che, seppure riluttante, lo accettò, e camminò al passo di lui verso la pista, dove tutti i loro amici, ad eccezione della bellissima Saeko, stavano ballando.

Sorridendole con sguardo machiavellico, Ryo posò una mano sul fianco della sua donna, mentre l’altra la prese per mano, e la trascinò contro di sé, petto contro petto. Kaori lo guardò negli occhi, incerta e titubante, le gote arrossate, ma i denti stretti in un ghigno di malcelato orgoglio, ma lui si limitò a stringerla ancora di più, scrollando le spalle.

“Andiamo, Kaori, è il momento di ballare guancia a guancia…” La presa di Ryo intorno alla sua vita si fece sempre più forte, ed a Kaori mancò il fiato in gola; abbassò lo sguardo, improvvisamente conscia del calore che avvertiva sulle gote, ma Ryo piombò su di lei, e mentre i loro corpi erano premuti l’uno contro l’altro, le diede un leggero morso al lobo, facendola sobbalzare e tremare di desiderio, mentre sentiva ogni centimetro del suo essere premere per andare da lui e finalmente riscoprire il piacere supremo che quell’unione le aveva permesso di provare. Ryo, intanto, prese a sussurrarle con voce roca e suadente, da seduttore. “In questa posizione riesco a sentire ogni centimetro del tuo meraviglioso corpo, Kaori… mi fai impazzire quando vesti di rosso, mi fai morire dalla voglia di toccarti…”

La musica continuava, ma nessuno dei due ne era consapevole; Ryo sicuro e arrogante, Kaori incerta e spaventata, ballavano e mantenevano l’uno lo sguardo dell’altra, incapaci di porre un limite a quella magnetica attrazione, quella corrente che scorreva forte ed intransigente tra di loro, un desiderio che necessitava di essere appagato in qualunque modo. 

“Sei fuoco, Kaori…” le sussurrò roco, mentre le dita si muovevano, e salendo nella scollatura posteriore dell’abito, premevano con forza sulla delicata spina dorsale. Contro la guancia di Kaori, le labbra di lui si piegarono in un sorriso. “E non certo solo perché il rosso è il tuo colore…”

“Per questo mi hai dato questo pendente?” Gli domandò, con voce titubante, conscia degli occhi di lui puntati sulla sua scollatura. “Oppure perché volevi che fosse chiaro che sono tua?”

Ryo ridacchiò, scrollando nuovamente le spalle: dopotutto, non poteva negare l’evidenza; la musica finì in quel momento, mettendo fine a quella curiosa querelle dal sapore di preliminari erotici, e lui fece un passo indietro, lasciando alla compagna il suo spazio. Poi, sguardo sornione, le offrì il suo braccio. “C’è un delizioso giardino, ti va di andare a fare una passeggiata?”

Con un cenno del capo, la donna acconsentì- per quanto fosse riluttante a rimanere sola con un uomo per cui provava un tale desiderio, sentiva gli occhi di tutti addosso, e desiderava solo che quell’esperienza giungesse finalmente al termine, e sapeva che allontanandosi avrebbe potuto avere almeno un po’ di respiro.

La coppia prese a camminare lungo i sentieri, attraverso la vegetazione, in parte tropicale, in parte locale, ma ciò che catturò davvero l’attenzione della donna erano le rose, bellissime, di decine e decine di varietà diverse, tutte dal profumo avvolgente, che le entrava dentro e quasi diventava parte del suo stesso essere. 

“Il nostro giardiniere sta sperimentando con l’ibridazione di alcune specie di rose alla tenuta.”  Ryo le disse, casualmente e distrattamente, mani in tasca, mentre lei si chinava ad annusare un delicato bocciolo. Kaori si alzò in piedi, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e lo guardò negli occhi, con un sorriso strano, che Ryo non sapeva esattamente come descrivere. In silenzio, mosse una mano lungo un braccio nudo della donna, e rimase affascinato dalla pelle d’oca che il suo tocco provocava. 

Aveva ragione: Kaori sentiva l’attrazione che nutrivano l’uno per l’altra.

Ryo rimase in silenzio, ma si avvicinò ancora di più, e la afferrò, delicatamente, per le spalle; erano soli in quell’alcova, quella deliziosa radura, e lui prese ad accarezzare la pelle delicata dal profumo di vaniglia di sua moglie, e la sua mente ed il suo corpo virile si infiammarono alla memoria dell’ultima volta che aveva respirato a pieni polmoni quel profumo, mentre la possedeva con aria soddisfatta, e lei sorrideva, compiaciuta, sotto di lui, stremata dagli orgasmi che lui le aveva donato. 

“Vaniglia,” Le labbra di Ryo le sfiorarono il collo, che graffiò leggermente con i denti. “Tutte le volte che lo sento penso a te… e a noi. A quella notte.”

Labbra aperte, Kaori lo guardò con occhi carichi di desiderio, Ryo si staccò da lei, ma senza darle tempo di decidere o di allontanarsi, catturò la sua bocca in un delicato bacio, quasi avesse voluto assaporarla, oppure darle il tempo di decidere cosa fare di e con lui; dopo un attimo di rigidità, la donna si lasciò andare, ma non si permise di condividere totalmente quell’attimo con lui. Allora Ryo intensificò il bacio, stuzzicò la bocca di Kaori con la lingua, e intanto le mani si fecero più sicure ed ardite, scesero fino alla vita; afferrò la gonna del morbido abito e la sollevò, così che i suoi grandi palmi potessero toccare la pelle dei glutei, lasciata libera dal sensuale tanga di pizzo bianco, un colore virgineo in netto contrasto con l’erotismo implicito di quel capo.

Kaori gemette, ormai in preda al piacere e al desiderio, e aprì le labbra, dando accesso alla lingua di Ryo e partecipando, agguerrita amazzone, a quel sensuale scontro, e a malapena accorgendosi di cosa stava facendo, Ryo disfò il nodo dietro al collo di Kaori ed abbassò la zip, lasciando cadere a terra in un mucchio, leggero come una nuvola, il tessuto rosso,

In tacchi rossi e mutandine, senza reggiseno, una rosa rossa tatuata, splendente, su una coscia,  la donna fece un passo indietro, non per allontanarsi da lui, ma per trovare appoggio contro un tronco d’albero, e allungò una mano verso il suo uomo; Ryo la afferrò, e si chinò su di lei, divorando con la sua sensuale bocca i seni della sua compagna; prese a stuzzicare con i denti i boccioli, guardandola negli occhi, mentre strofinava il pollice sul tessuto madido dell’intimo di sua moglie ed intanto Kaori mugugnava in preda ad un piacere accecante, gettandogli le braccia al collo per tenerlo stretto a sé. E poi, lo avvertirono: rumore di passi e di risate, qualcuno stava avendo la loro stessa idea, quella di allontanarsi dal quel sontuoso party in cerca di pace, tranquillità e silenzio.

Quasi le fosse stata gettata una secchiata di acqua gelida addosso, Kaori si scostò da Ryo, e recuperò il suo abito, mettendoselo alla meno peggio, continuando a dargli la schiena senza nemmeno degnarlo di uno sguardo o una parola.

“Senti, Kaori…” Ryo iniziò, passandosi una mano tra i capelli. 

“Non riesco a credere a cosa stavamo per fare!” la donna insistette, rossa in volto come il suo abito, leggermente infervorata, mentre sistemava il seno, guardando che non arrivasse nessuno. 

“Già, una radura nel bel mezzo di un matrimonio non è il posto migliore per consumare il proprio matrimonio, eh, eh, eh…” ridacchiò lui. Ryo era arrossito un po’, e sembrava all’improvviso un ragazzino timido, mentre si grattava la nuca.

“Ma cosa cavolo stai dicendo, brutto idiota che non sei altro?!” Gli gridò lei a denti stretti voltandosi, e avvicinandosi minacciosa a Ryo, che, facendo alcuni passi indietro, finì con l’impattare contro lo stesso tronco contro cui avevano amoreggiato fino a pochi attimi prima. “Non abbiamo nemmeno ancora firmato l’accordo post-matrimoniale!”

“Ah, quindi è questo che aspetti?” le domandò, seccato, petulante, incrociando le braccia. 

“No, è quello che noi stiamo aspettando!” Kaori puntualizzò, isterica, voce sibilante. “Perché dobbiamo sistemare la nostra situazione prima di… prima che accada qualsiasi cosa tra di noi!”

Ryo strinse i denti, mentre cercava di tranquillizzarsi e distendere i nervi; il sangue era fluito tutto a sud, e se voleva risolvere quell’incresciosa situazione, avrebbe dovuto usare un po’ del suo magistrale autocontrollo, o prendere nelle sue mani- in senso letterale- quel grande e duro problema dato che era chiaro che Kaori non avesse alcuna intenzione di concedersi prima della firma del contratto, nonostante fosse già sua moglie.

La loro notte di nozze era stata incredibile, lei gli si era incisa sulla pelle a fuoco, ma Kaori non aveva alcuna intenzione di assecondare la loro attrazione finché lui non avesse firmato; e lui non avrebbe potuto firmare fino a che il suo avvocato non avesse dato un’occhiata ai documenti, nella speranza che non ne parlasse con Shin: suo padre avrebbe capito cosa il figlio stesse tramando.

Ryo accennò il suo assenso col capo, e poi prese ad incamminarsi per la direzione da cui erano venuti, viso basso, senza guardarla, temendo che non sarebbe stato in grado di controllarsi una seconda volta. Quando vide i loro amici in lontananza, però, si fermò, voltandosi verso Kaori, e le passò il pollice sulle labbra, e lei quasi svenne. 

“Il rossetto,” si scusò, chiarendo il motivo dietro a quel sensuale gesto. “Eri macchiata.”

Le spalle di Kaori si abbassarono, quasi fosse stata delusa, e lui, sorridendo- con la bocca, con gli occhi, bellissimo, luminoso, da togliere il fiato- si chinò su di lei; le lasciò un bacio sulla guancia, prima di avvicinare le labbra all’orecchio, e sussurrarle roco. “È solo questione di tempo, Kaori… e prima o poi condivideremo di nuovo lo stesso letto…”

Indignata- o forse solamente spaventata, o eccitata- Kaori si scostò da lui, per raggiungere Miki; Ryo la seguì, camminando con calma, e guardò quella deliziosa schiena, quelle gambe, la gonna che celava il tatuaggio dell’amato fiore- un altro piccolo segno di ribellione della focosa donna. 

Lo voleva. Nonostante lui avesse rovinato le sue nozze con Uragami, nonostante lui non volesse concederle né l’annullamento né il divorzio, nonostante lui fosse un Kaibara, nonostante lui si fosse impossessato delle proprietà di famiglia… Kaori lo voleva ancora, forse era anche innamorata di lui, ma non era ancora pronta ad ammetterlo a sé stessa. E aspettava a lui e lui solo aprirle gli occhi: solo allora avrebbe ottenuto ciò che desiderava da più tempo di quanto non volesse ammettere,  la fine della lotta tra i Makimura ed i Kaibara sì, ma attraverso l’unione in  giuste nozze dei loro pupilli e la nascita di un erede, un giusto contrappasso al motivo che, secondo le leggende, aveva diviso i due clan secoli prima.

Presto, Kaori sarebbe stata sua, di nome e di fatto… e se Dio avesse voluto, sarebbe stato per sempre, e non certo solo per i due anni che intendeva lei!

 

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Capitolo 8
*** Shin ***


Appena sveglia, mentre si stiracchiava pigramente, Kaori si guardò intorno, lasciandosi accarezzare dalla sofficità delle lenzuola della camera da letto che Ryo aveva preparato per lei nella tenuta dei Kaibara, assaporando come nei giorni precedenti un lusso a cui, seppure molto benestante, lei non era abituata e in cui non riusciva a lasciarsi andare fino in fondo. 

La giovane Makimura aveva sempre rifuggito i beni di famiglia, facendo di tutto per cavarsela da sola con i propri mezzi, e comunque, doveva ammettere che purtroppo, seppure sia lo zio che la madre amassero vivere nel lusso, quando si trattava degli altri, diventavano improvvisamente, per la mancanza di una parola migliore… tirchi. Non le era mai mancato nulla, ovviamente, ed aveva avuto accesso alle migliori scuole- nonostante fosse stato il fondo fiduciario dei nonni a permetterle di iscriversi alla Sorbona, cosa a cui la madre era stata fortemente contraria - ma non aveva mai vestito Armani, Moschino o Chanel. Nessuno le aveva mai offerto il lusso sfrenato, ma d'altronde, nemmeno lei lo aveva mai desiderato. 

La sua vita le andava bene così, e forse per questo le sembrava strano essere in quella stanza, la più bella forse della casa dopo quella meravigliosa libreria piena di volumi antichi e di prime edizioni in tantissime lingue diverse - Ryo stesso era poliglotta: Inglese, Spagnolo, Giapponese, Tedesco, Russo e Cinese, e non solo quel tanto che gli serviva per gli affari, le maneggiava tutte quante come se ognuna di quelle lingue fossero la sua lingua madre. 

Intelligente, affascinante, spiritoso, colto, intrigante, bello da togliere il fiato:  Kaori sapeva che Ryo aveva ragione, e che presto o tardi avrebbero finito per condividere nuovamente, nelle vesti di amanti lussuriosi, lo stesso letto. Grazie al cielo il contratto post-matrimoniale non era stato ancora firmato, e questo le dava ancora un attimo di respiro, e le permetteva di contenersi nei suoi slanci verso di lui e resistere alla tentazione di ricreare la loro meravigliosa prima notte di nozze. 

Il ricordo di quell’interludio erotico nella radura, del legno contro la schiena nuda, delle mani di Ryo che sfioravano una il tatuaggio, l’altra la seta bianca che nascondeva il suo intimo segreto, mentre con la bocca le divorava i seni e lei faceva scorrere le dita tra i capelli scuri, con il capo gettato all’indietro, riempì la sua immaginazione e scatenò una valanga di ricordi; socchiudendo occhi e labbra, Kaori lasciò andare un gemito, mentre la mano andò di propria volontà a cercare il clitoride attraverso la stoffa setosa della camicia da notte rosa.

Quando si rese conto di cosa stava facendo, Kaori allontanò la mano e la guardò quasi il suo arto avesse preso fuoco o fosse stato posseduto, o appartenesse a qualcun altro… per quanto bella e straordinaria fosse la chimica tra le e Ryo sotto le lenzuola, doveva ricordarsi di cosa lui le avesse fatto: Ryo aveva acquisito le sue proprietà per poterla ricattare, anche se ancora non aveva ben compreso cosa l’uomo stesse tramando- oltre la disfatta dei Makimura, ovviamente, ma quello era da ormai due secoli l’unico motivo di esistere dei Kaibara, e Ryo, sebbene adottato, sembrava essere il peggiore di tutto quel clan. Miki credeva che l’uomo nutrisse dei sentimenti per lei e che fosse mosso da questi nelle sue azioni, ma dalla sua bocca non era mai uscita la parola amore, fino a quel momento aveva sempre e solo parlato di affari e orgoglio: a chi e cosa credere, dunque?

La donna si lasciò cadere sul letto, sbuffando, detestando quella battaglia che stava prendendo luogo nel suo animo: finora il lavoro l’aveva tenuta abbastanza occupata da non concentrarsi su cose simili, ma sapeva che non sarebbe durato per sempre; i suoi superiori le avevano perfino chiesto se volesse prendersi una licenza matrimoniale, alcune colleghe avevano bisbigliato tra di loro che forse sarebbe andata presto in maternità, riportando quell’assurda voce messa in rete dall’Intelligencer...

Lanciando un’occhiata veloce alla sveglia, notò l’ora, e decise di rendersi presentabile; si fece una rapida doccia e scese in sala per prendere un the e fare uno spuntino prima di uscire, nel suo giorno libero,  e dedicarsi ad alcune commissioni che aveva rinviato troppo a lungo, ma rimase congelata all’istante quando vide chi era già seduto al tavolo, con tutta l’aria di essere lì ad attenderla, quasi avesse voluto coglierla in fallo.

Il padre –patrigno, in realtà- di Ryo, Shin Kaibara in persona. 

Kaori non lo conosceva di persona, ma solo di vista e attraverso i racconti- tutti dell’orrore- di famiglia, e da quel poco che aveva potuto capire, da quando Ryo aveva assunto il controllo delle società del gruppo, l’uomo si era ritirato a vita privata in una delle tante sue proprietà, lasciando quella magione al legittimo erede, quasi fosse stato un segno dello status di Ryo; sembrava però che usasse quella casa per riposare quando doveva recarsi a Tokyo per qualche ragione, oppure tra un viaggio e l’altra capitava che visitasse i figli o la moglie, che ormai era sua sposa solo più di nome. Quella doveva essere una di quelle occasioni.

“Oh, Kaori,” le disse con un sorriso sul volto, sembrando più gentile di quanto le avessero fatto credere nel corso degli anni, e le fece segno di sedersi davanti a lui al grande tavolo. Kaori, timida, arrossì, e fece un leggero inchino col capo, prima di sedersi davanti all’anziano, che le versò, senza neppure che lei la chiedesse, una tazza di tè. Le cose erano due: o Shin non era l’uomo che lei credeva, oppure stava tramando qualcosa. Visto e considerato com’era suo figlio, tendeva a credere che fosse la seconda ipotesi.

“Tra due settimane ci sarà una festa di beneficenza, come nuova signora Kaibara spetta a te l’onore di discutere il menù con lo chef, e ho dato istruzioni al mio architetto di fiducia perché ti contatti, nel caso volessi riarredare i tuoi spazi personali all’interno della tenuta.” L’uomo le sorrise,  e Kaori, vedendo quelle leggere rughette, fu sorpresa di quanto Ryo gli assomigliasse, nonostante non fossero davvero imparentati. “Inoltre, mi pare di capire che ci sia un certo numero di eventi a cui tu e Ryo siete stati invitati e a cui non hai ancora risposto. Spero rimedierai al più presto.” 

“Non intendo spodestare sua moglie, signor Kaibara.” Kaori rispose mentre girava il cucchiaino nella tazza, senza tuttavia smettere di studiare, risoluta, il suo “avversario”; Shin aveva l’aria del dolce vecchietto, il caro nonnino delle favole, ma da quello che si diceva in giro sul suo conto, e che Ryo stesso le aveva accennato, sapeva anche essere gelido e implacabile, poteva ferirti con un solo sguardo o anche solo con poche parole dette nel modo giusto. 

Kaori aveva la netta impressione che fosse quello che stava cercando di fare, facendola sentire inadeguata e piccola.  Detestava sentirsi così; lei ed il fratello avevano passato le loro intere vite a lottare contro quel senso di frustrazione di non essere mai abbastanza – non erano abbastanza attraenti per gli standard della bellissima madre, non erano abbastanza avventati negli affari e nei loro sentimenti come lo spregiudicato zio – perciò strinse i denti promettendosi di non permettere a quell’uomo di umiliarla in quel modo, seppur sottile. 

“Ryo ed io siamo molto impegnati con i nostri lavori, e ci siamo appena riavvicinati.” Rispose determinata e secca, senza troppi fronzoli né peli sulla lingua. “Preferiremmo godere della nostra tranquillità da soli, e non permettere a dei reporter da quattro soldi di infangare i nomi delle nostre famiglie con sciocche illazioni, per questo abbiamo centellinato le nostre uscite pubbliche. Inoltre, credo davvero che sarebbe saggio che il passaggio di testimone tra me e mia suocera fosse il più graduale possibile- odierei fare innervosire la madre di Ryo, facendola sentire inadeguata.”

Shin comprese cosa le parole della nuora volessero dire, ed in parte, purtroppo, si trovava a doverle condividere : Carmen poteva permettersi di perdere tempo con feste e altre cosucce simili, dato che faceva di fatto la mantenuta, ma Kaori non aveva la benchè minima intenzione di lasciare indietro il suo lavoro per dedicarsi alla vita sociale. Non era forse la parte economicamente forte della coppia, ma non voleva farsi mantenere nè chiedere nulla a Ryo, ma mantenere una certa indipendenza.

Sorseggiando da una tazza di porcellana la sua bevanda, Shin alzò un sopracciglio ed accennò un sorriso, soddisfatto della risposta della nuora; quelle parole l’avevano messa in una nuova luce con lui, non fragile bambolina alla caccia di denaro facile ma creatura dotata di spina dorsale che non si faceva mettere i piedi in testa tanto facilmente da nessuno, nemmeno lui, che, per lei, sarebbe dovuto essere l’equivalente dell’uomo nero delle fiabe. Si compiacque della sua abilità di giudicare le persone: a dispetto delle faide familiari, Shin aveva sempre avuto un’ottima opinione dei giovani Makimura, ragazzi con la testa sulle spalle ed i piedi ben piantati per terra.

“La mia non voleva essere una critica, Kaori, ma una mera constatazione.” L’uomo sorseggiò la bevanda calda, occhi chiusi, apprezzando il sapore delicato. “Io mi sono ritirato dagli affari, lasciando tutto in mano a Ryo, nella speranza che Carmen volesse viaggiare con me. Lui è la faccia della famiglia, e come sua moglie… beh, diciamo che è una questione di rappresentanza. Inoltre, tu sei la sua consorte: è giusto che siate voi a prendere le decisioni, e non dei vecchi ruderi come me e mia moglie.”

Kaori aprì la bocca, nonostante fosse incerta su cosa rispondere esattamente, ma fu bloccata dall’arrivo di un’altro ospite che, con voce squillante, diede loro il buongiorno, materializzandosi alle loro spalle: Sonia. Evidentemente, sapendo che il patrigno era in città, aveva deciso di soggiornare anche lei nell’ala della casa che era solita usare. La giovane donna si accomodò a uno dei capi del tavolo, tenendo il volto leggermente chino, quasi si sentisse in colpa per il comportamento tenuto verso Kaori quando si erano incontrate al sua arrivo alla tenuta. Ma Kaori stessa si sentiva in parte responsabile per quello che stava accadendo ed era accaduto: erano coetanee, ed avevano avuto occasione di socializzare in passato, ma entrambe avevano scelto di non farlo, vessate dai loro famigliari. 

“Sei arrivata da molto, Sonia?” Kaori le chiese, sorridendo, e la giovane designer e pubblicitaria la guardò un attimo con occhi sgranati, sorpresa, non aspettandosi né quel comportamento, né tantomeno quel tono e quel sorriso da una donna che, per sangue, avrebbe dovuto odiarla a priori, senza se e senza ma - e ancora di più visto come la madre di Sonia la trattava.

“Stamattina, avevo lasciato alcuni vestiti qui.” La ragazza rispose, guardando il patrigno, cercando di studiare la sua reazione.  “Dovrei ripartire in giornata.”

“Questa è la dimora di famiglia, Sonia, non devi sentirti obbligata ad andartene perché ci sono io, né comportarti come un’ospite.” Kaori continuò a sorriderle, la voce dolce e pacata. Le due donne continuarono a bere in silenzio il loro the, sorseggiandolo, fino a che Kaori non ricordò improvvisamente ciò che aveva desiderato chiedere alla giovane, e si voltò verso Sonia. “Oh, Sonia, hai per caso uno studio qui in casa? Mi chiedevo se potrei usarlo… immagino che avrai già scanner, stampanti e quant’altro…”

“In realtà, no, non ho uno studio qui. Lavoro dal mio appartamento personale.” La giovane si schiarì la gola, e guardò il padre, senza tuttavia capire cosa stesse pensando. “Mia madre ritiene che le ragazze di buona famiglia dovrebbero pensare a cercare un buon partito e portare avanti le famiglie dei rispettivi mariti, evito di ricordarle che lavoro. Per il quieto vivere.”

Kaori scosse lieve il capo e sorrise: sembrava di sentire la sua, di madre. Lei e Sonia, forse, erano più simili di quello che potesse sembrare ad un primo acchito. Chissà, forse col tempo sarebbero potute diventare amiche, o comunque un po’ complici… una piccola oasi di tranquillità nel tempo che la attendeva da passare accanto a Ryo.

 

    “Dio, io, Ryo Saeba, a fare la spesa… che vergogna!” Ryo, mani incrociate dietro il capo, sbuffò per l’ennesima volta, mentre Kaori passava da una fila di prodotti all’altra nel supermercato, selezionando attentamente cosa comprare. Quando, alcuni giorni prima, dopo la chiacchierata con Shin, Kaori aveva parlato con lo chef per annunciargli alcune novità, l’uomo aveva avuto un mezzo attacco epilettico a sentire che si sarebbe occupata lei della colazione e dei loro pasti, quando si fossero trovati da soli, e che lei stessa sarebbe andata a fare la spesa, neanche fosse stato uno scandalo. Ryo aveva pensato che scherzasse, e aveva deciso di accompagnarla  per scoprire dove andasse, e con sua somma sorpresa la donna aveva detto la verità.

“Nessuno ti ha obbligato a venire,” gli rispose, piccata, selezionando tra decine di marche di salsa una in particolare, dopo aver letto attentamente le etichette una ad una. “E comunque mio fratello ed io siamo abituati a cavarcela da soli, contrariamente a quanto tu pensi. E cucinare per due non è così diverso da cucinare per uno!”

“Spero solo che nessuno mi riconosca,” Ryo rispose, massaggiandosi il mento, un po’ mogio; Kaori stessa lo sperava, temendo sempre l’apparizione di persone che avessero potuto chiederle delle sue nozze con Ryo e di quelle mancate con Uragami, temi che era lungi dal voler toccare, anche perchè iniziava a chiedersi se, come moglie di Ryo, le cose non le stessero andando meglio che come compagna di Uragami; non tanto dal punto di vista economico - Ryo era più ricco e più rispettabile di Satoshi - quanto da quello morale, perché se era vero che Ryo la stuzzicava, come aveva sempre fatto fin da quando lei era un’adolescente con un pessimo carattere, era altresì vero che loro parlavano, chiacchieravano, condividevano cose, ed il fatto che lui avesse acquistato Donna in camicia dimostrava che la ascoltava.

Inoltre, Ryo la stava stupendo: non era lo spocchioso ragazzino viziato, freddo ed impertinente che si era immaginata o che ricordava dai tempi della scuola – cosa più che logica, visto e considerato che la stava legando a sé con un ricatto e come l’aveva trattata con sufficienza in passato- ma era diventato il tipo di persona che se vedeva una vecchietta che non arrivava a prendere dallo scaffale una confezione la afferrava per lei, o andava a prendere un carrello alla mamma che non riusciva a tenere a bada i propri bambini; dopo che avevano caricato sulla Mini Countryman rossa fiammante di Ryo i loro acquisti, lui aveva riportato il carrello indietro, e si era fermato a fare lo stesso per una vecchietta che lo aveva ringraziato dandogli una pacca sul capo quasi lui fosse stato un cagnolino, facendolo arrossire. Seduta in macchina, Kaori aveva assistito alla scena, che le aveva fatto venire un tuffo al cuore.

“Beh, che c’è?” Le domandò lui, appena accese il veicolo, guardandola storto, senza capire perché lei gli sorridesse in quel modo così peculiare.  

“Dì un po’, aiuti sempre le vecchiette a mettere a posto i carrelli della spesa?” gli domandò, dandogli un buffetto sulla guancia quasi Ryo fosse stato un bambinetto; l’intera situazione, paradossalmente, la stava facendo divertire- una cosa che non aveva mai creduto poter avvenire in compagnia di Ryo.

“Beh, a volte le aiuto pure ad attraversare la strada, e allora?” Ryo sbuffò, mentre si immetteva nel traffico; una mano sul volante, teneva il gomito opposto pigramente appoggiato al finestrino aperto. “Guarda che non sono il bastardo che tu ed i tuoi pensate solo perché ho preso il cognome del mio patrigno.”

Kaori si morse le labbra e prese a guardare fuori dal finestrino, avvertendo quanto pericolose fossero le acque che si stavano apprestando a percorrere, ma immaginava che presto o tardi avrebbero comunque dovuto affrontare il discorso.  

“Ryo, posso chiederti perché tu e Sonia lo avete fatto? Prendere il cognome di Shin, intendo…” 

“Beh, i nostri padri non si sono opposti quando lui lo ha chiesto,”  Lui si limitò a dare una scrollata di spalle, anche se il modo sottile in cui Ryo sembrava aver sottolineato il verbo chiedere fece alzare un sopracciglio a Kaori, che squadrò Ryo interessata. “Sonia non aveva nemmeno cinque anni quando Shin e Carmen si sono sposati, ed io ero ancora minorenne, la scelta non è stata nostra. Lui ci ha adottato e in questo modo ha dato anche a tutti noi lo stesso cognome, cosa che a me tutto sommato non dispiace. E poi Shin non è così male, una volta che lo conosci bene. Non dico che non sia spregiudicato negli affari, ma sa essere leale, buono e comprensivo. Ma solo con chi se lo merita.”

Kaori sospirò; quasi le sembrava di poter terminare la frase di Ryo - che lui le stesse dicendo che su di lei il giudizio era ancora in corso, ma che sua madre e suo zio non avevano passato il test, e non avevano saputo mostrarsi degni del rispetto del capofamiglia Kaibara.

Kaori riprese a guardare fuori dalla finestra: iniziava a credere che Ryo avesse ragione, e che forse non tutti i Kaibara erano i cattivi mostri che le erano stati mostrati in gioventù: probabilmente, in tutte quelle storie c’era un fondo di verità, ma dove arrivava? E dove iniziava la finzione, la menzogna?

“Senti, Kaori…” Ryo si schiarì la gola, evitando di guardare la donna, cercando invece di concentrarsi sulla strada. “Papà mi ha detto che hai aperto una delle camere della casa ai figli del personale, che l’hai trasformata in una sorta di sala giochi?”

Kaori trasalì un attimo, sia per cosa lui aveva detto che per il modo, estremamente interessato e curioso; inoltre, non le era ancora passato inosservato il fatto che Ryo si riferisse a Shin come “papà”, mentre, se parlava di Carmen, era “mia madre”, leggermente più formale, quando non la chiamava per nome. Era evidente chi fosse il genitore preferito, e lei non se la sentiva di dargli contro: dai loro pochi incontri, le era stato chiaro fin da subito che Carmen non era certamente una persona materna.

 “Ah? Oh, no, è più una sorta di aula ricreativa. Ho visto che i figli del personale non avevano un posto dove giocare e tenersi occupati, e dato che tuo padre ha detto che mi dovevo occupare di più dei miei doveri di padrona di casa ho pensato di rendermi utile… non volevo pestarvi i piedi, solo che ricordo cosa significa essere un bambino in una grande casa piena di adulti.” 

Ryo rimase in silenzio, non sapendo davvero cosa dire; in realtà, dopo che Shin gli aveva parlato di quella novità- in modo estremamente entusiasta, dimostrando quanto avesse imparato ad apprezzare Kaori- lui stesso era andato a vedere di cosa si trattasse, ed aveva visto Kaori e Sonia vestite con vecchia magliette e jeans tenere compagnia ai figli del personale, bambini dai tre anni in su, insieme alle governanti della casa; Sonia, che lentamente si stava aprendo alla cognata, nonostante avvertisse forte il giudizio  e lo sdegno della madre a quella nuova amicizia, stava persino aiutando i piccoli ad imparare a dipingere, mentre Kaori aveva dato loro dei giochi in legno ed aveva acquistato dei libri di storia dell’arte per bambini. Quella stanza era stata un tripudio di risate e gioia, e Ryo, solo a vedere Kaori così libera e felice e spensierata, aveva avvertito prorompente il desiderio di prenderla tra le braccia e baciarla, non guidato da un desiderio e bisogno lussurioso e spasmodico come quella notte in cui lei lo aveva conquistato quasi a prima vista, ma bensì da affetto e tenerezza. E poi… com’era dolce coi bambini! Kaori sarebbe stata una madre presente, premurosa am decisa quando necessario. Sembrava nata per rivestire quel ruolo, e l’uomo non desiderava altro di poter essere lui quello che avrebbe reso quella maternità una realtà. 

Quelle emozioni, quei desideri, lo spaventavano però e non poco: per tutta la vita, Ryo aveva sempre tenuto le sue barriere emotive alzate, invalicabili. Non si era mai aperto con nessuno, nemmeno con la sua stessa  famiglia, e le donne, prima di Kaori, erano state poco più di giocattoli erotici compiacenti che speravano di ottenere qualcosa da lui- non certo amore eterno, ma magari qualche regalino di lusso di certo sì. Con Kaori era diverso, lui desiderava aprirsi, farsi coinvolgere… voleva amare, ma soprattutto, essere riamato, ma non sapeva come. Kaori sembrava felice solo quando lo sapeva, o credeva, lontano, e sembrava voler ancora vivere nella convinzione che tutti i Kaibara, dal primo all’ultimo, fossero il nemico e vivessero per fare a lei ed ai suoi famigliari un torto, mentre fino a quel momento, e lei nemmeno sembrava volersene rendere conto, a remare contro di lei ed usarla erano stati gli stessi Makimura, la sua famiglia d’origine, mentre lui aveva fatto il tutto per tutto per tentare di salvare le sorti dell’impero della famiglia di lei.

Doveva conquistarla, e sperava che col tempo ci sarebbe riuscito, e solo una cosa gli avrebbe permesso di avere quel tempo di cui aveva così disperatamente bisogno.

 “Stamattina dovrebbe passare il mio avvocato con il contratto da firmare.” Lui le disse, la voce bassa. Ryo non aveva certo bisogno di specificare di che contratto si trattasse, sapevano entrambi di cosa egli stesse parlando: il contratto post-matrimoniale, che dava una effettiva data di scadenza alle loro nozze. 

“Te lo farò riavere firmato al più presto,” si limitò a rispondere lei, voce bassa, guardando fuori dal finestrino, quasi fosse turbata, o forse spaventata, da quel foglio di carta, nonostante fosse solo un’idea e non ancora una cosa concreta nelle sue mani.

“Bene.” Ryo si morse le labbra, cercando di non farsi vedere mentre studiava di nascosto il profilo di Kaori, le cui guance si erano tinte di rosa, e la cosa lo fece sorridere. 

Quando avevano quasi ceduto alla passione al matrimonio di Miki e Hayato, lei si era fermata, con la scusa che il contratto non era stato ancora firmato, ma una volta che lei avesse apposto la sua firma su quel foglio, Kaori non avrebbe più avuto nulla dietro cui nascondersi, e Ryo sarebbe stato libero di dare sfogo al proprio desiderio,  non pretendo i suoi diritti di marito, né prendendola con la forza, ma bensì seducendo sua moglie con sensualità sì, ma anche dolcezza.

Strinse la mano intorno al volante digrignando i denti. Fosse stata l’ultima cosa che faceva, avrebbe fatto ammettere a Kaori che era lui che lei voleva, e per sempre, e quella lotta insensata tra le loro famiglie avrebbe finalmente avuto fine, una volta per tutte!

 

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Capitolo 9
*** Teatro ***


Dopo la firma del contratto, Ryo aveva lasciato a Kaori spazio e tempo per abituarsi a quella nuova situazione; nonostante la firma, infatti, non le aveva fatto alcuna pressione perchè si trasferisse, finalmente, nella camera padronale, nè le aveva chiesto di intensificare le loro uscite o aveva ulteriormente cercato di sedurla nel modo sfrontato che aveva utilizzato fino ad allora ma aveva tuttavia  deciso di trovare il modo di “festeggiare”, e far capire a Kaori cosa significasse per l’evoluzione del loro rapporto. Alla ricerca di qualcosa di speciale, Ryo aveva ricordato quella loro famosa prima cena a casa Kaibara, quando Kaori, parlando con Sonia, aveva accennato ai pittori originari del Giappone, e di quanto lei stessa apprezzasse l’arte tradizionale, in particolare quella kabuki; per questo, non appena il celebre teatro Kabukiza, dopo essere stato chiuso per anni a causa di un incendio che lo aveva quasi raso al suolo, era stato finalmente riaperto in pompa magna, aveva pensato di regalarle i biglietti per la prima, convinto che la donna avrebbe visto quel gesto come un atto d’affetto, e dimostrasse quanta attenzione Ryo prestava a cosa lei dicesse.

E infatti aveva capito di aver fatto bene: appena glieli aveva fatti vedere, Kaori gli era letteralmente saltata addosso, gettandogli le braccia al collo, per la gioia… il suo spettacolo preferito, nel suo teatro preferito, e in posti meravigliosi, di prima classe, che da sola lei non si era nemmeno mai permessa di sognare. Ryo era rimasto estremamente intenerito da quell’adolescenziale esuberanza, commosso e stupito dal fatto che Kaori, una Makimura che avrebbe potuto avere tutto, si fosse negata tanti piccoli lussi che lui dava per scontati perché voleva vivere del solo frutto del proprio lavoro: era stato quindi ancora più felice di averle fatto quel dono.

Certo, purtroppo l’entusiasmante sensazione di avere Kaori spalmata addosso, con i seni che premevano contro i pettorali di Ryo, ed il profumo di vaniglia che gli riempiva i polmoni era durata poco, perché la giovane si era scostata da lui appena resasi conto del suo eccessivo entusiasmo, e aveva abbassato gli occhi, imbarazzata, ringraziandolo – e segretamente sperando che lo avesse fatto per lei e non solo per farsi vedere in giro con la moglie che lo aveva quasi mollato, o così il mondo pensava, per un altro.

La sera dell’inaugurazione, nella stanza degli ospiti che ancora occupava, Kaori si era vestita indossando un abito verde smeraldo, dalla scollatura a barchetta, che ben si sposava con i suoi capelli rossi e sbarazzini, accostandolo ad un elegante trench di Burberry di tessuto lillà dalla finitura metallizzata, che le arrivava sotto alla gonna a tubino, ed ad un paio di scarpe a tronchetto in tinta col capo-spalla. Si era vestita con cura, truccandosi anche un po’, ma con un tocco di titubanza, conscia che, con il contratto firmato, non aveva più scuse per resistere ai tentativi di seduzione di Ryo.

Sistemandosi il pendente a goccia dei Kaibara che le ricadeva nella scollatura, Kaori sospirò: lo avrebbe fatto? Ci avrebbe provato, a riconquistarla? Nelle ultime settimane si era comportato da gentiluomo, ma la donna immaginava che si trattasse più di un tentativo da parte di Ryo di assecondare il desiderio espresso da lei quel giorno nella radura che di una convinzione dell’uomo vera e propria: in poche parole, lo faceva perché doveva, non certo perché lo volesse. 

E poi, mentre scendeva le scale, i loro occhi si incontrarono, ed il cuore di Kaori prese a farle le capriole nel petto; Ryo era davvero bellissimo, vestito con una maglia a dolcevita nera, di cachemire all’apparenza, di cui lei poteva percepire la sofficità anche da lontano, ed un completo grigio, giacca e pantalone- casual quel tanto che bastava senza tuttavia smettere di essere raffinato. 

La donna arrossì, col fiato che le moriva in gola, mentre non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Ryo che la spogliava per poi farle raggiungere le vette del piacere, ma nella sua mente lei non aveva l’abito rosso e lui lo smocking nero, nè erano in quella suite d’albergo….si immaginava nella sua camera da letto, solo con le scarpe che aveva indosso in quel momento, e Ryo con dolcevita e pantaloni.

Non ricordava il passato: immaginava il futuro.

“Vieni?” le domandò, e Kaori divenne paonazza, mentre lui la guardava come se non capisse cosa le stesse passando per la testa; poi, forse accorgendosi del verbo usato, del doppio senso non voluto, Ryo le fece un sorrisetto, malandrino, e negli occhi scuri di lui Kaori poté leggere una promessa… prima che fosse giunta una nuova alba, sarebbero nuovamente appartenuti l’uno all’altra. 

Ryo scosse leggermente il capo, poi le offrì la mano e le aprì lo sportello della sua Audi R8-la Mini la riservava per le uscite più informali e le gite – ed in poco tempo raggiunsero il teatro, lasciando l’auto ai giovani parcheggiatori. Il suo consorte la prese a braccetto e insieme si avviarono all’ingresso, già gremito. Ryo riconobbe alcuni conoscenti, e non mancò di presentare loro sua moglie, che fece un ottimo lavoro sorridendo e stringendo mani e facendo leggeri inchini, e lo stesso fece Ryo, nonostante fossero molte di più le persone che si inchinavano a lui che quelle che lo avevano fatto con la moglie. 

Entrarono e si sedettero nei loro posti- meravigliosi, con una visuale spettacolare- e quando le luci si abbassarono, Ryo prese la mano della moglie e la strinse, prima di portarsela alle labbra e baciarla. La portò poi sul ginocchio, intrecciando le loro dita senza accennare a lasciarla andare. 

Calde, grandi, ruvide e virili, così erano quelle mani che quella notte, in una stanza di albergo, le avevano fatto assaporare il paradiso dei sensi, eppure il tocco di Ryo sapeva essere delicato e gentile, quasi dolce, e forse era proprio questa gentilezza che spaventava e confondeva Kaori.

Con la pelle d’oca, nell’oscurità, Kaori cercò lo sguardo di Ryo, ma la sua espressione seria  e concentrata, diretta tutta sullo spettacolo, non sembrava tradire alcunché: sembrava che solo lei fosse stata smossa nell’animo da quel tocco, dal contatto, che appariva ora naturale e casuale, quasi fosse stato una cosa da tutti i giorni.

Eppure, Kaori, che era tutt’altro che stupida, sapeva che non era così; Ryo non era un uomo da poco, era un pianificatore, tutto ciò che faceva era calcolato e fatto con una precisa ragione, e non era difficile farle capire cosa quel tocco volesse comunicarle. Non era certamente una pretesa od un obbligo, ma la dimostrazione che Ryo la voleva, era interessato, e se lei avesse voluto, sarebbe stato ben felice di ricreare quella magica notte che avevano passato nella suite luna di miele.

La stava seducendo, conquistando… quel semplice tocco la accendeva, e la distraeva; nonostante fosse stata un’ammiratrice di quell’opera, non ne aveva seguito un solo attimo, troppo presa, col fiato in gola, da quello che le stava accadendo. 

Ormai, era impossibile resistere: era stato complicato farlo quel giorno nella radura, e sarebbe stato impensabile farlo ora, quando non c’erano più ostacoli di sorta a frapporsi tra di loro, se non la volontà stessa di Kaori, che ormai era crollata, lasciando solo spazio ad un’ondata di desiderio incontenibile. 

Il pubblico proruppe in un applauso, mentre gli spettatori si alzarono in piedi e le luci si riaccesero, e Kaori, ancora con il viso rivolto verso Ryo, ne fu sorpresa: persa in lui, in quella loro piccola alcova, non si era resa conto di quello che le stava accadendo intorno, tantomeno del tempo che, inesorabile, passava. 

“Ti è piaciuto lo spettacolo?” Ryo le domandò mentre si alzavano in piedi, tenendola ancora per mano; sembrava onesto in quella domanda, e lei si domandò se stesse fingendo, o se davvero non si era reso conto di quanto, un semplice tocco, se da parte di quell’uomo affascinate, la potesse turbare, perciò si limitò ad annuire, in silenzio. 

L’umore di Ryo cambiò drasticamente, vedendola così silenziosa, quasi scostante; mani in tasca, andò a recuperare il suo veicolo, facendo letteralmente il broncio a Kaori, e non le rivolse la parola; lei stessa teneva le mani in grembo, e sospirando guardava fuori dal finestrino, sconsolata: fu allora che Ryo sbottò.

“E io che credevo che ti avrei fatto contenta prendendoti quei biglietti!”  abbaiò, seccato, guardando con occhi duri come il metallo, e taglienti come una lama d’acciaio, la strada davanti a sé, illuminata a tratti da sparsi lampioni posti ai lati del lungo rettilineo. 

“Guarda che la colpa è tua! Sei tu che… che… che…” Gote arrossate, Kaori sbuffò, incrociando le braccia e guardando di nuovo fuori dal finestrino; Ryo sterzò bruscamente, facendo mancare l’equilibrio alla compagna, che allungò le mani tenendosi alla consolle, e frenò all’improvviso appena raggiunto il bordo strada. Stringendo i denti, Ryo rimase immobile, muscoli tesi, lo sguardo furente, senza tuttavia dire una sola parola, tentando disperatamente di controllare le sue reazioni, mentre intanto Kaori, per lo spavento, aveva preso a tremare e sbattere i denti. 

Passò un attimo. Due. Tre. Un tempo quasi infinito- e alla fine la donna, ormai rosa dalla rabbia, si voltò verso l’uomo, sbraitando. 

“MA TI È ANDATO IN POLTIGLIA IL CERVELLO?! BRUTTO IDIOTA, A MOMENTI CI FACEVI SCHIANTARE! SI PUÒ SAPERE COSA DIAVOLO TI È PRESO?!”

“A ME?!” Continuò lui, urlando a pieni polmoni con un tono che eguagliava quello di lei. Voltati l’uno verso l’altra, erano ormai a soli pochi millimetri l’uno dall’altra. “COSA DIAVOLO HAI TU! MI DICI COM’È POSSIBILE CHE CON TE NON NE FACCIA UNA GIUSTA, EH? EH? UNA, UNA SOLA! MA NO, TU MAI CHE SEI CONTENTA! ERANO SETTIMANE CHE TI SENTIVO PARLARE DI QUEL TEATRO E INVECE DI ESSERE CONTENTA PER I BIGLIETTI SEMBRI PURE INCAZZATA!”

“Sei tu che mi hai distratta, hai passato tutto il tempo a... a accarezzarmi e stringermi la mano e...” Kaori ammise; stava sbottando, seccata, eppure non poteva fare a meno di arrossire, lasciando che la giovane timida e imbranata nelle questioni di cuore facesse di nuovo capolino di tanto in tanto.  

Perversamente grato che lei fosse stata conscia delle sue attenzioni, gli occhi di Ryo si focalizzarono sulle labbra di Kaori; lei aveva indossato un rossetto dal colore acceso, pieno, ma il passare delle ore, ed il vezzo di mordersi le labbra, lo avevano fatto sbiadire, rendendo il look della donna molto più naturale, e rendendola, paradossalmente, ancora più appetibile agli occhi di Ryo, che in passato era stato sempre attratto dalle femme fatale, bellone rifatte, mozzafiato, dalla bellezza esagerata e artificiosa, ma sotto al cui cerume c’era poca o nulla di sostanza. 

Le labbra dell’uomo si piegarono in un sorriso, e scrollò lieve il capo, sospirando, mentre rimetteva la prima e ritornava sulla strada maestra, guidando calmo verso casa; Kaori lo fissava con un certo cipiglio, incerta, quasi lei stessa non capisse cosa fosse successo, e soprattutto cosa stesse passando nella testa del consorte: quello di cui la donna era però pienamente consapevole era l’atmosfera di intimità che si era improvvisamente venuta a formare tra di loro dopo quella sorta di scenata. 

Arrivarono alla loro casa, che era illuminata solamente da una luce posta ai lati della porta d’ingresso, mentre dalle persiane chiuse non filtrava nemmeno un raggio proveniente dall’interno, segno che tutti coloro che vi risiedevano erano già andati a dormire. Ryo posteggiò nello spiazzo antistante la costruzione, e aprì lo sportello a Kaori, offrendole la mano per aiutarla a scendere, e camminarono a braccetto fino alla porta. Entrati, Ryo richiuse la porta alle sue spalle, e quando si voltò vide che Kaori non era salita lungo le scale, ma era ancora ai piedi della scalinata, mordendosi le labbra e stringendosi le dita nervosa. 

Sorridette di nuovo, consapevole che era lui a provocarle quel conturbante effetto. “Ti va il bicchiere della staffa? Ho una bottiglia di whiskey Hakushu invecchiato dodici anni che brama di essere assaggiato.” Le domandò, e senza attendere risposta le pose una mano sull’incavo della schiena, e la guidò verso il mobile bar, posto all’interno della bellissima libreria. Kaori si liberò di giacca e scarpe, sedendosi con i piedi sulla poltrona, quasi rannicchiata, ed accettò il bicchiere che Ryo le offrì, un po’ titubante. 

“Niente ghiaccio?” Gli domandò, guardando bene il liquido dentro il bicchiere. Ryo alzò gli occhi al cielo, e si lasciò cadere sulla poltrona davanti a quella di lei, incrociando le caviglie  su un basso tavolino. Anche lui si era già liberato della giacca, rimanendo con il dolcevita scuro che aderiva al suo fisico statuario quasi fosse una seconda pelle. 

“Ti prego, non bestemmiare,” le rispose, semiserio. “Il whiskey si beve da solo, specie se è una bottiglia da quarantamila yen, altrimenti se lo vuoi annacquare tanto vale prendere la prima cosa che trovi al discount per quattro soldi.”

Sorso dopo sorso, si godettero le due dita di liquore che lui aveva versato loro, e Kaori si passò la lingua sulle labbra, per assaporare meglio le note affumicate del liquido ambrato. In silenzio, guardò Ryo, concentrata- lui stesso era nello stesso stato d’animo, anche se sembrava fissare il vuoto. 

“Vuoi farmi ubriacare, Ryo?” gli domandò, cercando di sembrare seria. 

“Ci vogliono ben più di due dita di whiskey per stenderti, Kaori, lo sappiamo entrambi.”  Le rispose sorridendo, facendo ticchettare le dita contro il bracciolo di velluto della poltrona. “O forse vuoi una scusa per venire a letto con me e rimangiarti tutto domani mattina?”

La voce di Ryo possedeva una nota leggermente dura, e Kaori comprese che, forse, a lui fosse pesato fare quella mezza ammissione, quel riferimento, nemmeno troppo velato, al loro matrimonio, che Kaori aveva definito uno sbaglio alcolico e di cui si era subito pentita, tentando di fingere che non fosse mai avvenuto.

“Ryo…” Kaori sospirò, la sua voce leggermente esasperata, quasi stesse tentando di placarlo o sgridarlo, redarguirlo neanche fosse stato un bambino, o si fosse riferito a qualcosa di sciocco e puerile- di sbagliato.

“Cosa? Cosa c’è di così sbagliato nel volerti- nel volerci? Siamo sposati, viviamo insieme!” L’uomo si alzò, sbattendo il bicchiere sul tavolino, che cadendo rotolò sul tappeto con un tonfo sordo. Ryo andò davanti al mobile libreria, poggiandovi l’avambraccio, dando la schiena alla moglie, e continuò a parlare, sbottando frustrato. Non era solo perché bruciava di desiderio, inespresso ormai da troppo tempo, lei lo frustrava, lei lo innervosiva, gli faceva perdere il controllo.  “Io ti voglio, tu vuoi me, perché diavolo continuiamo a giocare a questo stupido gioco idiota di gatto e topo se per una volta io voglio essere serio?”

“Perché tu sei un giocatore, Ryo, è inutile che ci raccontiamo storie. A te piace l’azzardo, ma soprattutto ti piace vincere.” Gli rispose lei, posando il bicchiere ed alzandosi in piedi. “E la nostra storia non è certo l’eccezione.”

Ryo si voltò; il viso scuro, si avvicinò lentamente a Kaori, e con ogni passo che lui faceva, a lei mancava sempre di più il fiato. Prese la destra di lei nella sua, e se la portò al cuore, che batteva con un ritmo forsennato. 

“Ti sembra che stia giocando?” Le domandò, serio, la voce roca e quasi disperata; la reazione di Ryo spiazzò Kaori, che fece un passo indietro, cercando di districarsi dalla morsa dell’uomo, nonostante lui non sembrasse voler lasciare andare il delicato polso della fanciulla. Anzi: più lei tentava di allontanarsi, più Ryo la tirava a sé, ed i due finirono con l’essere ad un solo respiro di distanza, a guardarsi occhi negli occhi. “Forse le nostre famiglie saranno nemiche, ma noi non siamo loro, non siamo obbligati a seguire  quello che ci è stato insegnato…  noi ci apparteniamo, Kaori, siamo fatti per stare insieme e lo senti anche tu!”

“Smettila, Ryo!” Kaori strinse gli occhi e scosse il capo, con veemenza. “Ci siamo solo lasciati sopraffare dal desiderio, ma non c’è nulla di profondo tra di noi!”

“Questo lo dici tu!” Ryo abbassò il capo, e poggiò con una dolce ma insistente pressione le labbra su quelle di lei, e Kaori, senza rendersene conto, sospirò, dandogli libero accesso; Ryo sapeva di fumo, spezie e di qualcosa di estremamente unico che Kaori associava a lui e lui solo, qualcosa quasi di indescrivibile e vago, eppure tangibile sulla punta della lingua della donna. Le mani dell’uomo andarono, delicate, alle spalle di lei, sorreggendola ed accompagnandola invece che spingerla verso di sé, e Kaori si lasciò accompagnare, mentre il suo intero corpo veniva percorso dai brividi del desiderio, con una consapevolezza tutta nuova, completamente diversa da quella che l’aveva guidata in quella loro unica notte insieme – come se, nonostante lo conoscesse, fosse tutto nuovo.

Mentre assecondava il bacio, Kaori gettò le mani nei capelli scuri di lui, massaggiandogli e graffiandogli leggermente il capo, facendogli fare le fusa; lei gli sorrise contro la bocca, e sospirò languida quando Ryo prese a cercare la lampo del vestito, grugnendo di insoddisfazione quando non la trovò. 

“Dannazione!” mormorò tra una bacio e l’altro. “Non trovo la lampo! Ma come diavolo è fatto questo vestito?”

Kaori scoppiò a ridere, e dopo aver ripreso a baciarlo gli prese la mano, guidandola alla lampo nascosta da una serie di abili cuciture e di decori; non voleva certo che lui rovinasse quel capo, sia per il valore, sia perché a quanto pareva Ryo lo apprezzava, e sperava di, chissà, poter ripetere quell’esperienza in futuro.

Ryo abbassò la zip, facendo rabbrividire Kaori quando l’aria fresca la colpì, e mentre lo faceva, prese a lasciare una scia di baci sul collo della donna e sulle sue delicate spalle, e Kaori fu colpita da una serie di flashback sulla loro nottata insieme: Ryo era stato attento, preparato, premuroso ma passionale, aveva pensato a soddisfare in primis lei… e sembrava intento a voler ripetere l’esperienza, nella biblioteca della sua casa. 

Il vestito cadde a terra, in una pozza di stoffa color smeraldo. 

Ryo si spostò, tenendola per mano, e si appoggiò alla scrivania in rovere; guidò la sua sposa a sé, vestita di un peccaminoso tanga di pizzo nero e autoreggenti dalla fascia riccamente decorata, da cui spuntava il tatuaggio della rosa, e sorreggendola per i glutei l’uomo si chinò su di lei, prendendo a giocare con la bocca con i seni prorompenti di Kaori, che sospirando, incatenata alla vista lussuriosa, lo strinse forte a sé, quasi commossa… e sentendosi viva, ricettiva, donna, compiaciuta dalla sensazione delle cosce che sfioravano la prorompente erezione del marito.

Presi dalla frenesia ardente del desiderio reciproco, si spogliarono in quell’alcova, rimanendo vestiti delle loro sole pelli. Baciandola, Ryo la sollevò, e si voltò, facendola sedere sul tavolo. Senza smettere di baciarlo, lei gli allacciò le gambe alla vita, facendo scorrere i piedi lungo i polpacci dell’uomo, sentendosi percorrere come dal fuoco. 

Aveva mai voluto qualcuno con tale intensità? Assolutamente no!

Gettando il capo all’indietro e tremando per l’emozione, le labbra piegate in un placido sorriso di soddisfazione, Ryo entrò in lei, facendola sussultare, fremere, e prese ad amarla con un ritmo delicato, quasi volesse assaporare ogni istante della loro unione, cercando continuamente gli occhi di Kaori, sussurrando il nome dell’amata come fosse stata la più incantevole delle preghiere.

 Le unghie di Kaori, desiderosa e bramosa di avere sempre di più, lo graffiarono mentre lei gli morse il labbro; voleva vederlo perdere il controllo, impazzire… Ryo aumentò il ritmo, rendendolo frenetico, pazzo, incontenibile, eppure era concentrato su di lei, come se la donna fosse il centro focale di tutta la sua esistenza; continuava a guardarla con meraviglia ed incanto, estasiato, a tenere una mano premuta sulla rosa tatuata, mentre con l’altra ora sorreggeva la nuca coperta dai riccioli madidi di sudore, ora sfiorava le labbra carnose della sua amante.

Occhi negli occhi, Kaori fu finalmente raggiunta dall’orgasmo, e si lasciò scivolare tra le braccia di lui, che la strinse a sé, coccolandola, quasi come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai tenuto tra le mani; Ryo le lasciò assaporare quell’estasi, poi riprese ad amarla, il suo ritmo si fece di nuovo pacato, tranquillo, e senza mai smettere di baciarla, l’uomo raggiunse anche lui l’apice- trascinando nuovamente lei attraverso il vortice dell’estasi dei sensi. 

Kaori si lasciò cadere sulla scrivania, e lui la seguì, inginocchiato a terra, con il capo sul ventre di lei, che lo accarezzava dolcemente, facendo scorrere le lunghe dita affusolate nei capelli scuri, un’azione che gli faceva fare le fusa, nemmeno fosse stato un grosso felino selvaggio, finalmente appagato.

Kaori sorrise, e a malapena trattiene una dolce risata; decisamente,  si disse, non ricordava male la loro prima notte da coppia sposata: se non altro, Ryo era stato un amante ancora più attento, dolce e delicato di quanto non lo fosse stato quella loro prima notte insieme… e aveva la netta sensazione che le cose potessero solo migliorare, che col tempo avrebbero potuto raggiungere un’intesa invidiabile sotto tutti i punti di vista.

Un brivido però la percorse mentre quel pensiero si insinuava nella sua mente… quanto a lungo sarebbe durato esattamente quel tempo?

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Capitolo 10
*** Baby Boom ***


In un mondo normale, sarebbe stato Hideyuki a chiacchierare con Ryo e Mick, mentre Saeko, appena tornata a casa con l’erede della famiglia Makimura, avrebbe tenuto conversazione con Kaori, Miki e Kazue; ma Saeko  non era mai stata come tutte le altre: donna dalla disarmante ed esplicita sensualità, la giovane aveva saputo sfruttare le armi che madre natura le aveva messo a disposizione, facendosi strada in un campo prettamente maschile come quello della Procura. Forse, proprio per questo suo lavoro così “maschile” e quella sua bellezza sfacciata e talvolta esagerata aveva sempre faticato a tenersi delle amiche, preferendo avere… degli amici. 

Proprio come Ryo e Mick, con cui stava conversando al tavolo da pranzo, mentre “Maki”- ormai il soprannome non lo avrebbe abbandonato mai più, nemmeno quando era la sua dolce metà a parlare di lui- era nella stanza del figlio, intento a farlo vedere alle giovani donne, a partire dalla zia del piccolo. 

“Beh, congratulazioni, Saeko!” Ryo scherzò; lui e Mick avevano portato alla coppietta una bottiglia di scotch e una scatola di sigari, seppure avessero il netto presentimento che il giovane magistrato Makimura fosse avverso al consumo di entrambi all’interno della sua abitazione, specie con il piccolo Satoshi presente tra le mura domestiche. “Non so chi sia in forma migliore, se te o il piccolo gremlyn sbraitante che hai sfornato!”  Ryo sghignazzò, seguito a ruota da Mick, mentre Saeko gli dava uno schiaffetto sulla nuca, come a volerlo fare stare buono.  

“Beh, i Makimura l’erede ce l’hanno…” Mick sogghignò, alzando entrambe le sopracciglia in tono allusivo, mentre prendeva a gomitate nel fianco Ryo, che si stava leggermente imbarazzando. “Tu e la bella Kaori quando lo date un pupillo ai Kaibara? Ormai ci siete solo più voi a non avere mocciosi in arrivo, non lo volete proprio sfornare il demonietto, eh? Ammettilo: la vuoi tutta per te la tua bella mogliettina! Ih, ih, ih!”

Ryo, leggermente imbarazzato, distolse lo sguardo, mentre non riusciva  a trattenere un sorriso, non tanto di soddisfazione quanto di effettiva felicità; da dopo la serata a teatro, lui e Kaori non si erano più separati, cercando la rispettiva compagnia, e non solo tra le lenzuola, ma nella vita di tutti i giorni. Tutte le volte che la teneva tra le braccia, Ryo provava un’emozione indescrivibile, che non aveva mai provato con nessun’altra donna, e questo rafforzava la sua convinzione che lei fosse quella giusta; l’unico ostacolo ad una vita piena - e chissà, anche alla nascita di un erede prima o poi- era dato dal fatto che Kaori si rifiutasse, ostinatamente, di ammettere che anche lei provava lo stesso, nonostante Ryo fosse certo che i suoi sentimenti fossero più che ricambiati.

“Mi duole dovere dare ragione a Mick, ma Kaori sembra essere decisamente più civile nei tuoi confronti… non passa il suo tempo  a fissarti come se fossi l’essere peggiore sulla faccia della terra, e anzi, credo addirittura di averla sentita ridere ad una tua battuta!” Saeko sorrise, sistemando una ciocca nera dietro l’orecchio, e liberando i suoi bei occhi scuri. “Inoltre, Maki dice che sembra essere, come dire, eccitata per qualcosa… sentiamo, stallone, cosa avete combinato tu e mia cognata?”

“Nulla,” Ryo le rispose, lasciandosi cadere sulla sedia, e sorseggiando il suo the. “Semplicemente, siamo giunti ad un accordo per il quieto vivere.” Mick gli diede una gomitata nel costato, ridacchiando scioccamente: aveva una vaga idea di cosa Ryo volesse dire con quell’espressione, specie dopo aver intravisto l’amico rubare un bacio alla bella Kaori mentre l’aiutava a scendere dalla macchina, da vero gentiluomo. 

“Fossi in te però farei attenzione, Ryo,” la donna continuò, intrecciando le mani e abbassando la voce, mentre con lo sguardo controllava che nessuno uscisse dalla stanza del figlio. “Né tu né Kaori siete tipi che si piegano facilmente, e non vorrei esserci nel momento in cui lei scoprirà che stai continuando a fare incetta dei beni della sua famiglia!”

“Oh,” Mentre la bevanda andava di traverso a Mick, Ryo poggiò la tazza, osservando quasi compiaciuto l’astuta amica. “E di grazia, come hai fatto a scoprirlo?”

“Toshio e la madre di Kaori sono degli idioti,” lei sbuffò, muovendo una mano nell’aria con falsa noncuranza. “Ma Maki è tutt’altro che stupido, come dimostra il fatto che si sia fatto strada da solo e che conti dell’appoggio e della fiducia di molti dei membri della procura. Si sente in colpa per essersi disinteressato in passato degli affari di famiglia, e ha capito che, per quanto tu e Kaori vi amiate, nonostante dubito che quelle parole siano mai uscite dalle vostre bocche, tu l’hai riportata a te usando il pretesto dei beni della sua famiglia. Ha tenuto le cose d’occhio, diciamo, da dietro le quinte, e ha capito a che gioco stai giocando, anche se non lo condivide.” 

“E com’è che il tuo maritino non è ancora andato a correre dalla sua sorellina a raccontarle cosa fa quest’orco spietato?” Ryo continuò; aveva incrociato le braccia sul petto, coperto dal tessuto teso della camicia azzurra, e guardava Saeko quasi avesse voluto sfidarla. 

“Perché è un uomo intelligente, e sa che qualunque cosa ci sia tra te e sua sorella è complicata e va al di là delle beghe famigliari ed è un problema vostro. Ma,” la donna continuò, seria e concentrata. “Fossi in te starei attento: rischi di finire nelle sabbie mobili se fai una mossa sbagliata… e a pagare non saresti solo tu! Kaori è una donna forte, ma sa essere testarda come pochi, lo sai anche tu, Ryo. Potrebbe non perdonare facilmente un tuo inganno, anche se fatto a fin di bene.”

“Oh, credimi, lo so fin troppo bene!” Ryo sorrise, riprendendo la sua tazza e scolandosi il contenuto, ormai freddo, in un solo sorso. “Ma io non sono abituato a perdere… e non ho la minima intenzione di farlo soprattutto adesso!”  

 

    Hide se ne stava ai piedi dell’elegante culla in legno bianco, mentre le tre donne guardavano incantate il piccolo Satoshi. Kaori non smetteva di fissare meravigliata il nipotino, con occhi colmi di commozione ed il cuore che le batteva così forte per l’emozione che credeva le sarebbe uscito da petto. Non era solo la nascita del piccolo a commuoverla, ma anche, un po’, l’invidia: era lampante che Saeko e Hide si amassero, e non avessero remore alcuna a vivere quell’amore alla luce del sole. Sapeva bene che anche quel matrimonio era iniziato sotto le spoglie delle nozze di interesse – sebbene Hide amasse da tempo la bella poliziotta – ma Kaori sapeva che le cose ora erano diverse per loro, e non poteva fare a meno di chiedersi se un giorno anche per lei e Ryo le cose sarebbero andate così.

La donna allungò una mano verso il neonato addormentato, tentata di toccare quegli zigomi uguali a quelli di Hide nelle fotografie di quando era neonato, ma si fermò immediatamente, quando la bocca dello stomaco le si chiuse, nell’istante in cui ebbe la pazza idea di chiedersi, ancora una volta, come sarebbe stato un figlio suo e di Ryo. 

Fece un passo indietro, portandosi la mano sul cuore, sconsolata, ricordandosi che, per quanto lei e Ryo facessero scintille, per quanto lei lo volesse sempre- e sapesse che la cosa era reciproca- lei e Ryo avevano una data di scadenza. Poco meno di due anni… e poi non sarebbe stata più Kaori Saeba-Kaibara, ma sarebbe tornata ad essere solo Kaori Makimura. Rimanere incinta di Ryo sarebbe stato da pazzi, e per questo era grata che lui avesse sempre avuto l’accortezza di proteggerli da questa evenienza, però... però, guardando quel cucciolo, era facile farsi tutta una serie di se, ma, però.

Con un sorriso leggermente mesto, Hide posò i palmi sulle schiene di Kaori e Miki, e le spinse via, mentre Kazue li seguiva, e andarono a sedersi sul balcone, sul divano in ferro battuto e sulle poltrone abbinate.

“Allora sorellina, fatto pace con Ryo?” Le domandò il fratello, mentre si puliva con la camicia gli occhiali dalla spessa montatura che lo facevano sembrare un nerd degli anni settanta-ottanta. “Non sembri più volerlo uccidere ad ogni passo che fa…”

“Già, e io credo anche di averli visti baciarsi appena scesi dalla macchina…” Miki insinuò, guardando l’amica con molto interesse. Kaori, imbarazzata, arrossì, sia per il tema, che per la presenza del fratello- ma anche perché era difficile raccontare alla sua migliore amica, un’eterna romantica, che lei e Ryo erano solo amanti, nel senso letterale del termine, e nulla di più. Quando aveva scoperto del contratto Miki non aveva fatto una piega, convinta che fosse tutta una scusa di Ryo dietro cui trincerarsi per assicurarle il suo imperituro amore, e Kaori l’aveva lasciata sognare, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, non volendoci credere, nonostante ora ogni tanto il dubbio si insinuasse nella sua mente.

Hide scosse il capo, avvertendo che quella conversazione stesse diventando intima, da donne, e che difficilmente Kaori avrebbe apprezzato condividere i segreti della sua vita sessuale col suo fratello maggiore, perciò si alzò, dicendo di aver sentito il figlio piagnucolare, e dopo aver stretto la spalla della sorella raggiunse la cameretta, arredata con colori neutri, lasciando le tre donne da sole. 

“Secondo me, Kaori vede Ryo in tutt’altra luce ultimamente…”  Kazue ridacchiò, massaggiandosi la pancia, ed intanto, Miki batté le mani, entusiasta. “Scommetto che la nostra amica puledrina si è già fatta un giro con lo stallone… anzi, sullo stallone!” la donna scoppiò a ridere, seguita da Miki; fino a qualche anno prima, Ryo era stato un playboy impenitente, con una donna diversa tutte le sere- entrambe le donne erano state vittime dei suoi sensuali assalti, ed in giro si vociferava che Kazue quelle avances le avesse bellamente accettate -  ma poi era successo qualcosa, e Ryo era cambiato all’improvviso. Nessuno aveva capito cosa fosse successo esattamente, fino a che non era uscita fuori la verità: Ryo si era sposato, e da quel momento aveva messo la testa a posto; tuttavia, il soprannome era rimasto, specie quando si trattava di prenderlo in giro. 

“L’ho sempre detto che tu e Ryo sareste stati una coppia meravigliosa!” la wedding planner esultò. 

“Le cose non sono così semplici, Miki…” Kaori sospirò, e Kazue fece cenno di sì col capo, comprendendo che le cose fossero davvero complicate per la coppietta, e che ci fossero cose di cui Kaori non era disposta ancora a discutere. 

“Fai solo attenzione, Kaori,” Kazue la avvertì. “Ci sono uomini complicati e pericolosi, e gli uomini che ci siamo scelte sono così… bruciarsi giocando con loro è più semplice di quanto si possa pensare.”

Kaori non poté fare altro che acconsentire, conscia di quanto l’amica avesse ragione, e di quanto quella consapevolezza l’avesse percorsa nel suo animo fin dal primo attimo in cui aveva posato gli occhi su Ryo quella sera di oltre tre anni prima, e chissà, forse era stato il senso del pericolo, unito a quello del proibito, ad attirarla in primo luogo; stava ancora riflettendo su questo aspetto, chiedendosi se in parte fosse ancora così, quando si sentì chiamare dal fratello nella camera di Satoshi. Lo raggiunse, e vide il timido ed imbranato Hide con in braccio quel neonato che era un po’ un incrocio tra lui e Saeko, e fu colpita dall’amore che vide negli occhi del fratello, chiara indicazione che il suo, di matrimonio, stava andando a gonfie vele, una cosa su cui non avrebbe scommesso nemmeno uno yen quando lui e Saeko erano andati all’altare, poco dopo che le nozze di Kaori con Uragami erano saltate.

“Ti assomiglia, sai.” Kaori gli disse, con voce soave, le mani incrociate dietro la schiena, mentre si avvicinava loro. “Ma ha anche parecchio di Saeko. Da grande farà strage di cuori.”

“Come faranno i figli tuoi e di Ryo- e se prenderanno anche il vostro carattere, daranno parecchie gatte da pelare a chi gli starà intorno.” Hide le sorrise, e Kaori arrossì, abbassando il capo. Il magistrato rimise il figlio nella culla, coprendolo con cura e sistemandogli la sottile cuffietta azzurra, poi si aggiustò gli occhiali prima di guardare la sorella, corrucciato. “Kaori, tu e Ryo state facendo sul serio?”

“Ma… ma che razza di domande! Certo che facciamo sul serio! Siamo sposati, no?” La donna balbettò, chiudendosi a riccio. Distolse lo sguardo dal fratello, conscia che lui era una delle persone che meglio la sapevano leggere, e si strinse nelle spalle, preparandosi alla raffica di domande ed insinuazioni che sarebbe certamente seguita, e si domandò se Hide sospettasse qualcosa o se qualcuno avesse parlato al fratello di cosa stava accadendo… forse che Kazue o Miki avessero rotto la promessa spifferando tutto ai consorti, che lo avevano poi riportato a Saeko? O era stato Ryo a parlare? La sua famiglia, forse?

“Kaori…” Hide sospirò, alzando gli occhi al cielo, quasi esasperato. “L’ho capito da solo che tu e Ryo avete un qualche tipo di accordo finanziario, anche se non so ancora bene di cosa si possa trattare, ma… vorrei solo che sapeste a cosa andate incontro. Se vi rendete conto delle ripercussioni delle vostre azioni. E voglio che tu sappia che non devi salvarci tutti, ogni tanto dovresti pensare a te stessa.”

“Stai dicendo… che non dovrei continuare a rimanere sposata a Ryo?” gli domandò. stropicciandosi le dita, lo sguardo basso, come quando era bambina e temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato. 

“No, quello che intendo è che non devi rimanergli sposata se non vuoi, solo per salvarci. Non dovresti fare delle scelte così importanti, in cui metti in mezzo tanta gente, solo per una dannata casa, anche se era di nostro padre. Se decidi di rimanere con Ryo devi farlo perché lo vuoi, perché lo desideri, senza ulteriori motivi.” Sbottò lui, un po’ seccato, mentre si stropicciava il naso; Kaori aveva abbassato gli occhi, stringendosi le mani in grembo, quasi fosse stata colpevole di chissà che colpa.. “A giocare col fuoco ci si brucia, sorellina, e ho paura che voi due non l’abbiate ancora capito.”

Hideyuki sospirò un’ultima volta, poi si alzò dal divanetto e raggiunse la sorellina; scostando la frangia rossa, le lasciò un bacio sulla fronte, come aveva fatto tante volte quando lei era bambina e aveva bisogno di sentirsi rincuorata, e l’aveva lasciata sola, a riflettere, pensare… Aveva sentito la stessa frase, detta per ben due volte, da due persone diverse, nell’arco di pochi minuti: Kaori iniziava a sospettare che avessero ragione, e che presto o tardi sarebbe stata chiamata a pagare il prezzo di quell’unione. Istintivamente, si portò le mani al ventre, mentre guardava il nipote dormire, riposare nella sua culla. 

Occhi castani, capelli neri: quel piccolino era la copia di Hideyuki, ma era facile immaginarlo anche come un piccolo mix suo e di Ryo in miniatura.  Cosa sarebbe accaduto se fosse rimasta incinta durante il loro matrimonio? Che tipo di padre sarebbe potuto essere Ryo? Non conosceva il genitore biologico del marito, ma  da quel poco che aveva capito di Shin Kaibara era stato un padre eccezionale, che aveva messo davanti a tutti i suoi due figli. Se avesse seguito il suo esempio, Ryo sarebbe stato…perfetto, e lei non aveva alcun dubbio al riguardo.

Sospirando, la mente colma di pensieri, Kaori si lasciò cadere all’indietro, e prese a guardare il soffitto. Cullata dal respiro del nipote, si lasciò scivolare in un sonno tranquillo: sapeva che i suoi amici e la sua famiglia avevano ragione, ma in quel momento, non voleva pensarci. Non voleva pensare più ai dubbi, alle paure, alle insicurezze… voleva vivere quell’amore, senza pensare che avrebbe potuto avere una data di scadenza.

 

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Capitolo 11
*** Una notte al museo ***


Alcuni giorni dopo la visita a Saeko e Hide per celebrare la nascita del loro piccolo frugoletto, Kaori era nella camera sua e di Ryo a prepararsi per una cena al museo di Arte Occidentale, dove si sarebbe tenuta un’esposizione di pittori francesi vissuti a cavallo tra ottocento e novecento. Lei e Ryo avrebbero partecipato sia perché lei amava l’arte europea, ma anche perché lui aveva imprestato al museo alcune opere della sua collezione privata, in particolare Donna in camicia, a cui era particolarmente affezionato, per un’esposizione speciale di soli due giorni.

Kaori non aveva ancora scelto il vestito da mettere, e stava facendo passare il contenuto dell’armadio alla ricerca del capo adatto, impresa ardua, dato che da quando si era trasferita da Ryo non aveva fatto nuovi acquisti, nonostante lui continuasse a ripeterle fino alla nausea che i Kaibara avevano conti aperti in tutte le maggiori boutique del Giappone, non solo di Tokyo, ma lei non aveva voluto approfittarne, volendo fare da sola. La scelta era perciò caduta su un capo dallo stile anni venti, color oro, che aveva indossato ad un’altra festa tempo prima, con sandali neri alti, una scelta che Ryo sembrava condividere, dal momento che tentò letteralmente di saltarle addosso non appena lo raggiunse in macchina. 

Lei gli sorrise, ridendo come una ragazzina, e gli fece tenere le mani a posto, dandogli un leggero schiaffo sulle nocche, ma lei stessa emise un gemito di compiacimento nel vederlo elegante: non aveva ancora capito come stesse meglio, se in jeans, in completo elegante… o nudo. 

“Dai smettila, così mi disfi il trucco!” squittì lei, arrossendo leggermente. Ryo si grattò la nuca, ridacchiando, e la guardò, con segreto compiacimento. 

“Sai, tu ed io siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda…” Le disse, sornione, allungandosi verso il vano porta-oggetti della sua Audi. Aprì lo sportellino, afferrando una scatola quadrata di velluto nero, dall’aria antica, e la aprì, dopo essersela posata sulle ginocchia: Kaori sgranò gli occhi quando vide cosa conteneva, un delizioso bracciale rigido dall’aria vintage, in oro giallo, riccamente decorato e con una serie di granati scuri montati a formare un fiore. “Anni venti, come il tuo vestito stasera.” 

Ryo glielo mise al braccio, sfiorandole con delicatezza la pelle, su cui comparve la pelle d’oca; le sfiorò il polso delicato, massaggiandolo con un movimento circolare del pollice, i suoi occhi fissi su quel movimento quasi ne fosse incantato, ipnotizzato, le labbra dischiuse in un’espressione che Kaori non fu in grado di decifrare, ma che le fece azzerare la salivazione.

“Apparteneva alla mia nonna paterna,” Le spiegò, quando le prese la mano e la portò alla bocca, lasciandole un bacio sul palmo prima di posarlo sulla sua guancia. Sorridendole, pensieroso, la guardava negli occhi, quasi a volerle comunicare qualcosa, ma Ryo temeva che Kaori si stesse ostinando a non voler comprenderlo. “Non la madre di Shin… quella del mio vero padre. Questo gioiello non è mai appartenuto ai Kaibara, ma solo alla famiglia Saeba.”

Quasi comprendendo cosa egli volesse dirle- che non doveva vergognarsi, sentirsi colpevole, una traditrice indossando quel monile – Kaori cercò gli occhi di Ryo, e quando li incontrò il cuore prese a martellarle nel petto tanto lo sguardo del marito era intenso.

Ryo la confondeva, non riusciva a comprendere cosa volesse da lei, né perché compiesse determinate azioni… la voleva, ma perché, come? E lei, cosa voleva lei, da lui? Cosa era disposta a dargli… e a ricevere?

Tenendogli la mano sulla guancia, gli accarezzò la pelle con il pollice, con lenti movimenti circolari, e Ryo la guardò incantato, con un sorriso fanciullesco sul viso. “Sai Ryo, a volte sai essere davvero dolce e romantico!”

“Sì, ma non dirlo in giro!” Ridacchiò, facendole l’occhiolino. “Rovineresti la mia nomea di freddo uomo d’affari che non deve chiedere mai!”

Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata, ma presto il silenzio ripiombò nel veicolo; la coppia si scambiò sguardi caldi, colmi di affetto e complicità, e inconsciamente si avvicinarono l’uno all’altra, senza bisogno di dirsi nulla, ma non si sfiorarono, si limitarono a studiarsi, fissarsi… Un fragoroso scroscio di pioggia battente colpì il parabrezza, rompendo l’incanto che avvolgeva la coppia; quasi Ryo bruciasse, Kaori si allontanò da lui velocemente, abbracciandosi come per riscaldarsi, le spalle ancora coperte dalla pelle d’oca e le gote sfiorate da un delizioso rossore che aveva un qualcosa di quasi virgineo.

Allacciandosi la cintura, Ryo mise in moto; dopo nemmeno mezz’ora, arrivarono al museo, e si mescolarono alla folla. La mano di Ryo rimaneva perennemente accanto a lei, sfiorandola casualmente, a volte con maggiore insistenza, ma paradossalmente per Kaori, soprattutto in quella circostanza, la presenza dell’uomo e la sua vicinanza non erano motivo di frustrazione o nervoso; anzi, ormai era quasi abituata a vivere con lui quei momenti di vita sociale, e se essere sola con Ryo la mandava ancora talvolta in crisi e la riempiva di mille domande, nonostante avesse imparato a cogliere l’attimo e lasciarsi andare, quando erano ad eventi come quello sapeva esattamente cosa aspettarsi, chi essere e come si doveva comportare, per vendere agli occhi del mondo la favola della coppia innamorata. 

Kaori e Ryo stavano chiacchierando con degli amici della famiglia Kaibara, dei lontani cugini di Shin che avevano già avuto occasione di andare a trovarli per complimentarsi delle nozze, quando Kaori, in preda alla sete, si voltò alla ricerca di un cameriere per chiedere dell’acqua. Ma invece che un membro dello staff, fu su qualcun altro che i suoi occhi si posarono.

Satoshi Uragami. 

A disagio, si voltò verso Ryo per tornare a badare al suo accompagnatore, e lo sguardo del marito le fece comprendere che anche lui aveva visto chi fosse presente all’evento – non certo una stranezza, dal momento che Uragami possedeva giornali e televisioni che certamente avrebbero coperto, se non addirittura sponsorizzato, quell’evento. Le prese la mano e la strinse forte nella sua, quasi avvertendo il desiderio di Kaori di scappare, il senso di colpa per cosa gli aveva taciuto ma soprattutto il disagio di tante donne di trovarsi davanti all’improvviso un ex; tuttavia, la donna sapeva che doveva, e voleva, essere forte e determinata: dopotutto, facevano tutti parte di un circolo più stretto di quello che si potesse credere, era impensabile credere che, nel loro ambiente, non si sarebbero mai più incontrati: solo, non pensava che sarebbe accaduto così presto. 

Tuttavia, guardare Uragami avvicinarsi a lei con quello sguardo arrogante e colmo di malizia perversa non aiutava certo Kaori, che istintivamente si avvicinò ancora di più a Ryo, stringendosi al braccio che lui le aveva offerto come appoggio, tanto fisico quanto morale. Kaori non aveva paura, era imbarazzata: lo aveva lasciato all’altare, dopotutto, per tornare da Ryo- e questo sotto gli occhi di tutti, una cosa non facile da dimenticare nel loro ambiente.

“Guarda, guarda, guarda chi abbiamo qui…” Uragami la indirizzò avvicinandosi alla coppia di coniugi, bevendo da un calice quasi vuoto; tuttavia, gli occhi lucidi privi di profondità e il rossore sulle guance e sul naso sembravano suggerire che quello non fosse stato il suo primo bicchiere della serata.  “La signora Makimura… oppure adesso ti presenti come signora Kaibara?”

Saeba Kaibara, per la precisione.Ryo sentì il bisogno di sottolineare, guardando quell’omuncolo, quell’insetto, dall’alto verso il basso, con sguardo glaciale, letale, desiderando solo rimetterlo al suo posto; Kaori si mosse, pronta per dire la sua, ma Ryo stringeva il suo braccio, la allontanava da Uragami frapponendosi tra di loro, impedendole di proferire anche una sola, singola, parola. “Dopotutto, è con me che Kaori è sposata, è logico che porti il mio cognome.”

Uragami fece un sorrisetto, e lasciò svogliatamente il calice vuoto sul vassoio di un cameriere che passò loro accanto; alzò una mano, offrendola a Kaori, con un ghigno che sembrava trasudare cattiveria e cinismo. 

“Un ballo in nome dei vecchi tempi, Kaori?” biascicò, chiaramente in preda ai fumi dell’alcol. 

“Kaori è già impegnata per il prossimo ballo,” Ryo rispose prima che Kaori potesse aprire bocca, di nuovo. “Tutti i suoi prossimi balli sono già riservati.”

“Cos’è, la mogliettina ha perso la lingua e ha bisogno che tu difenda il suo onore?” Il magnate dell’intrattenimento sbuffò, guardando dall’alto in basso la donna con espressione viscida e lasciva, quasi la stesse soppesando nemmeno fosse stata un pezzo di carne nel banco del macellaio, come se per lui non avesse avuto altro valore oltre al suo corpo e al suo nome. “O sposartela non ti è bastato? Vuoi allontanarla dal resto del mondo ed isolarla in quella specie di gabbia dorata che è la tua villa?”

“Potrò sbagliarmi,” Ryo gli rispose, beffardo, alzando un sopracciglio, “Ma direi che la nostra continua presenza ad eventi mondani è prova evidente che non ho la benché minima intenzione di isolarla da niente e nessuno. Inoltre Kaori è capacissima di rispondere a tono a chiunque, ma non vedo perché dovrebbe sprecare il fiato con uno come te, Uragami.”

Kaori prese a guardare i due uomini, spostando lo sguardo prima verso l’uno, poi verso l’altro; per quanto il tono di Ryo volesse chiaramente sbeffeggiare il “rivale”, era chiaro che era seccato. Inoltre, Uragami era nervoso ed arrabbiato, e la donna temette che i due uomini, che stavano attirando gli sguardi dei presenti, fotografi inclusi, sarebbero potuti arrivare alle mani presto o tardi. Non era tanto la possibilità che Ryo potesse essere ferito a farla preoccupare – anche da lucido, Uragami era di gran lunga inferiore a suo marito – quanto il fatto che si sarebbero messi in ridicolo, dando spettacolo, e spostando l’attenzione dalla causa umanitaria che quell’evento avrebbe dovuto sponsorizzare.

Mentre però si trovava lì, in mezzo a loro, per la prima volta prese a notare  le differenze tra i due uomini, che stranamente le erano un tempo parsi così simili: Ryo era sicuro di sé, implacabile, trasudava carisma e sicurezza, mentre Uragami sembrava un piccolo ometto senza spina dorsale capace di vivere solo sulle spalle degli altri, godendo delle disgrazie altrui – cosa non certo difficile da immaginare, visto quanto la sua famiglia nel corso degli anni avesse investito nel campo delle riviste scandalistiche.

“Quindi il problema sono io!” 

“In tutta onestà? Sì, ma non certo perché ti consideri un rivale.”  Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, e alzò gli occhi in tono allusivo. “Da quello che ho capito, Kaori non ha avuto assolutamente nessun problema a resistere ai tuoi patetici tentativi di avances, mentre pur di avere me è arrivata a sposarsi.”

“Adesso basta, smettetela subito!” La mascella di Kaori si irrigidì non appena Ryo fece quella nemmeno non troppo velata allusione sessuale, e furibonda pestò i piedi, mettendosi fisicamente tra i suoi due spasimanti. “Vi dovreste vergognare, attirare così l’attenzione di tutti, due uomini adulti… quest’anteprima era una serata di beneficenza, e voi con i vostri sciocchi battibecchi state allontanando l’attenzione dal vero obbiettivo della serata!”

Furibonda per il comportamento maschilista ed infantile di Ryo, Kaori si girò sui tacchi, letteralmente, e si mosse verso un’altra sala, sperando che non si vedesse troppo quanto effettivamente infuriata fosse… e lui che osava domandarsi come mai alla sua famiglia non piacessero i Kaibara, ma davvero non si era reso conto di come si era comportato, di aver dato prova di essere esattamente come lei lo aveva sempre creduto- maschilista, infantile, stupido, egoista ed egocentrico?

Arrabbiata con il consorte, decise di evitarlo, come pure l’altro ubriacone, per il resto della serata; non le fu difficile, perché c’erano parecchie sue conoscenze, e con molti ospiti si intrattenne a parlare di arte; fu anche salvata dal dover cenare accanto a Ryo, dato che il suo superiore era presente all’evento, e lui e sua moglie desideravano essere aggiornati su cosa stesse accadendo nella vita della fanciulla e su cosa lei pensasse di cosa stava accadendo in quel momento nel mondo dell’arte, sempre in fermento ed in movimento, mai immobile seppure i tentativi delle élite borghesi di rimanere trincerati dietro alle tradizioni, ed insistettero per poterle stare accanto, l’uno da una parte, l’altra al lato opposto. 

Seduto davanti a lei, lei e Ryo si ritrovarono solo per andarsene, e anche allora lei rimase chiusa in un freddo mutismo atto a tenerlo a distanza e punirlo per quello che lei considerava un comportamento scellerato, mutismo che durò fino al loro arrivo alla tenuta dei Kaibara e oltre- appena messo piede fuori dalla macchina, Kaori si chiuse lo sportello alle spalle con violenza, e marciò a passo deciso, quasi militare, fino alla stanza che Ryo le aveva assegnato al suo arrivo.

Solo una volta che la porta fu chiusa alle sue spalle, trovatasi a sedere davanti alla  toeletta, la donna si permise di tirare un sospiro di sollievo; tuttavia, non sentire Ryo salire la scala verso quella che era la loro camera la faceva innervosire, e con ogni attimo che lui se ne stava dio solo sapeva dove per conto suo, lei sentiva montare la rabbia. Non si comprendeva nemmeno lei: non lo voleva intorno, eppure desiderava che lui la cercasse, la anelasse... soprattutto, voleva che Ryo si comportasse da uomo, e la affrontasse chiedendole scusa per quel suo comportamento da Neanderthal.

Cinque minuti. Dieci. Quindici. Non erano ancora passati venti che la donna, fiera e decisa, decise di andarlo a cercare per fargli sapere esattamente cosa pensava del suo comportamento meschino di quel giorno. 

Come volevasi dimostrare, Ryo era nella biblioteca, il luogo dove il loro primo incontro da coppia riappacificata- se così li si poteva definire, come il mondo li vedeva- aveva avuto luogo. Lui, sentendo il rumore dei tacchi sul parquet di legno pregiato, si voltò, bicchiere di vino rosso in mano; aveva tolto la giacca, disfatto il nodo della sottile cravatta di tessuto nero, gettandola su una sedia e aperto due bottoni della camicia, e nonostante sembrasse stanco, aveva quell’aria insolente e un po’ trasandata che lo rendeva veramente affascinante e la faceva fremere di desiderio ogni volta che erano l’uno accanto all’altra.

“Ne vuoi un po’?” le domandò, e Kaori scosse il capo; Ryo, indifferente a quella risposta, si limitò a fare spallucce. Kaori si aspettava un attacco, un fendente diretto, immediato- quello era lo stile di suo marito - ma non avvenne, e questo la destabilizzò. Si strinse nelle spalle, facendo un altro paio di passi verso di lui, e cercò gli occhi scuri del suo compagno.

“Sei stato insolente,” gli disse, mogia ma risoluta allo stesso tempo. “Verso Uragami ma soprattutto verso di me.”

“E esattamente, cosa ti fa più rabbia delle due?” le domandò. Bicchiere pieno, lo posò sulla scrivania dove giorni prima l’aveva fatta sua, e mani in tasca dei pantaloni si avvicinò a Kaori. 

“Se credi che mi possa ancora importare qualcosa di un uomo che dopo nemmeno una settimana che ci siamo lasciati si stava già sollazzando nel letto di una sciacquetta da quattro soldi ti sbagli di grosso.” Lei sibilò, con le labbra tirate in una linea sottile e gli occhi duri. “Ma sei stato maleducato, Ryo. Difendermi spettava a me, e tu non me lo hai permesso. E questo non faceva parte dei nostri accordi.”

“Stavate per sposarvi!” Ryo contrattaccò, così vicino che Kaori poteva sentire il suo alito caldo sul viso, poteva vedere il rosso dei suoi occhi colmi di rancore e rabbia. “Mentre tu eri ancora mia moglie! Ti aspetti che lo dimentichi? Che sorvoli?”

“Vorrei ricordarti che non ero stata informata del mancato annullamento della nostra unione!” Pur mantenendo il suo sguardo, Kaori fece un passo indietro: c’erano momenti in cui aveva paura di lui, non tanto per la sua prorompente forza fisica, ma per la sua carica virile, perché lui aveva molto più ascendente su di lei di quanto Kaori stessa non volesse ammettere. 

“Ma adesso lo sai, eppure…” Sospirando, le prese una ciocca tra le dita e prese a giocare con i sottili capelli dai riflessi ramati, lo sguardo fisso sulla sua mano quasi questa stesse compiendo un atto meraviglioso ed incredibile, degno di nota. ”Eppure, non ascolti quello che ti dico, e vedi solo quello che vuoi tu…”

La donna sgranò gli occhi, illuminata all’improvvisa su cosa fosse accaduto esattamente quella sera. Non era stato un semplice duello tra maschi alfa, né si era trattato di orgoglio… era geloso. Per questo Ryo aveva agito così quella sera- non solo per un senso di superiorità e di possesso, ma perché guidato dalla paura che lei si stufasse e cercasse sollazzo altrove, o che il suo cuore tentennasse e cercasse nuovamente quell’uomo a cui si era quasi legata.

 Questa nuova consapevolezza- la consapevolezza di avere un tale potere su di lui- colpì Kaori nel petto con la forza di una tempesta. Sapeva che Ryo la desiderava, lo aveva percepito, addirittura vissuto… ma questo era diverso, anche se non sapeva esattamente spiegare quanto lo fosse, e cosa comportasse. 

Senza indugiare, Ryo si avventò su di lei e la baciò. Kaori gli gettò le braccia al collo, mentre lui la afferrò per i fianchi e la strinse a sé, e subito le dita andarono a cercare la zip, mentre le donna si liberava delle scarpe, sfilandole senza slacciarle e lanciandole dove capitava. Una volta rimasta solo in mutandine di pizzo rosa antico davanti a lui, Ryo si strappò letteralmente di dosso la camicia, un destino simile a quello che attese i suoi pantaloni ed i boxer. 

Era eccitato, un’eccitazione resa ancora più forte e concreta dalle mani di Kaori, che percorrevano il petto marmoreo, giocando con la dura peluria nera, avvicinandosi sempre di più all’inguine e al pene duro come l’acciaio, che sembrava divenire più grande e duro con ogni secondo che passava, man mano che aumentava la loro bramosia.

Gli portò una mano alle labbra, sfiorò la bocca con i polpastrelli, e poi, sorridendogli, scivolò a terra, inginocchiandosi sul legno davanti alla prorompente erezione che prese in bocca; lo stuzzicò con la lingua, senza mai smettere di guardarlo, sorridente, negli occhi; il tutto però durò solo un attimo, perché Ryo le fece scorrere una mano nei capelli tirandoli leggermente. La sollevò, afferrandola per le spalle, e senza mai smettere di baciarla, deliziato ed eccitato dal sentire il proprio sapore salato sulla bocca di lei, la guidò verso la libreria. La fece sedere su uno dei ripiani, e lei gli allacciò le gambe alla vita, gettando il capo all’indietro mentre lui entrava, lento, in lei. Ryo la baciò, le tempestò il viso ed il collo di baci, morsi, la leccò, la stuzzicò mentre la faceva sua con lenti e calcolati affondi; non la stava possedendo: Kaori avvertì che lui la stesse venerando, quasi entrambi stessero vivendo l’unione dei loro corpi alla stregua di un’esperienza mistica.

Quando fu tutto finito, Ryo si lasciò cadere mollemente su di lei, e scoppiò a ridere contro la spalla nuda della moglie.

“Prima di sposarti, non avevo mai creduto alla fantasia erotica della sexy bibliotecaria, invece devo, a malincuore, ricredermi...” le disse, ridacchiando. “Le biblioteche hanno un qualcosa di decisamente pornografico!”

E dopo averlo guardato, stralunata, per un attimo, Kaori comprese dove lui volesse arrivare, e scoppiò a ridere con lui, stringendolo forte mentre affondava il naso nei capelli scuri madidi di sudore del marito.

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Capitolo 12
*** Le verità negate ***


Tra i vari eventi a cui i Kaibara dovevano partecipare c’era anche l’annuale torneo di tennis, atto a raccogliere fondi per il maggiore ospedale di Tokyo. Kaori, da sempre avversa a quello sport in cui non aveva mai eccelso, non partecipava, mente Ryo invece era sceso in campo, giocando in doppio con l’amico Mick contro altri due rampolli della Tokyo bene- il fatto però che fosse per beneficenza non lo fermava dal cercare di essere il migliore, dal colpire con la massima precisione la palla per mandarla nel punto esatto che avrebbe permesso a lui di fare punto, ed al suo opponente di perdere. 

Dagli spalti, Kaori, che indossava un vestito di Jeans senza maniche, si fece fresco col programma del torneo, cercando un sollazzo per la sua figura accaldata, non tanto dalla prima calura ma dall'ardore che vedere i muscoli del marito brillanti di sudore le provocava. 

Nell’ultima settimana, dal suo incontro con Uragami, le cose tra di loro avevano subito un leggero cambiamento; Kaori era divenuta consapevole dell’ascendente che aveva su Ryo, e che il suo consorte non era solo guidato da orgoglio e bisogno di vincere, ma da qualcos’altro di ben più profondo, e questa consapevolezza la terrorizzava e non poco, perché quel comportamento dell’uomo mandava a farsi benedire tutto quello in cui la donna aveva creduto fino a quel momento… davanti alla reazione viscerale di Ryo, il contratto, le loro origini e cosa lui aveva, in parte con l’inganno, sottratto alla sua famiglia perdevano di significato, mentre la loro quotidianità, la loro vita di coppia, ne acquistava di nuovo. Il sesso era sempre più intenso, passionale, li consumava, e Kaori sentiva che anch’esso stava mutando lentamente… ormai non poteva più ingannarsi, dicendosi che rimaneva sposata a Ryo perché voleva la sua casa indietro, lo faceva perché lo desiderava, e perché desiderava lui.

Avvertì il telefono vibrare nella borsa che teneva posata sulle ginocchia, ma quando andò a rispondere era ormai troppo tardi: a telefonarle era stato suo zio, come il messaggio sullo schermo del cellulare la avvertiva. 

La donna fissò lo schermo, leggermente impensierita: doveva esserci qualcosa sotto. Suo zio era lungi dall’essere un tipo paterno, e se la chiamava non era certo perché volesse sapere come stava. Detestava ammetterlo, ma su questo punto Ryo non aveva tutti i torti…

Alzò lo sguardo dall’oggetto e vide Ryo che, tamponandosi il viso con un asciugamano bianco immacolato, chiacchierando con Mick, si allontanava dal campo dirigendosi verso il bordo del rettangolo rosso, nella sua direzione. Il suo consorte si appoggiò contro la sottile rete metallica, sorridendole, facendole sciogliere qualcosa nel petto, accendendola di desiderio, e Kaori a malapena si trattenne dal leccarsi le labbra mentre lo guardava: Ryo aveva un completo pantalone corto e polo di un beige chiarissimo, quasi bianco, e dai bottoni lasciati aperti poteva intravedere la cicatrice che gli attraversava il petto, madido di lucenti gocce di sudore. 

“Allora mogliettina, hai visto che abbiamo vinto?” Le domandò facendole l’occhiolino. 

“Ecco, in realtà…” Kaori arrossì, abbassando gli occhi, mentre prese a torturarsi le dita, e Ryo alzò gli occhi al cielo, sbuffando un po’. 

“Dovrò farti un corso intensivo di tennis…” Le sorrise, e di nuovo le fece l’occhiolino. “A meno che tu non abbia capito nulla perché eri troppo presa da me!”

“Che scemo che sei, Ryo!” Gli rispose lei, ridendo. Le labbra di lui si piegarono verso l’alto, e gli occhi si annacquarono, focalizzati su lei e lei sola e quello che stava accadendo in quel momento- Kaori era bella, ma lo era ancora di più quando rideva davvero, quando il suo sorriso le partiva dal cuore e dagli occhi, una cosa che tra di loro, ultimamente, accadeva sempre più spesso. La serata in cui avevano incontrato Uragami, in cui Ryo si era comportato come un cavernicolo possessivo, avrebbe potuto dividerli, allontanarli, eppure quelle poche parole che si erano scambiati dopo, una volta tornati a casa, li avevano paradossalmente uniti una volta di più… o forse, a farlo non era stato tanto quello che avevano detto, quanto il non detto, quegli sguardi e quei gesti che si scambiavano e che mostravano quanto fossero ben ingranati tra di loro.

Kaori scese dagli spalti e gli si avvicinò, allacciando le loro dita attraverso la grata, e lui si chinò su di lei; non poteva baciarla con quell’ostacolo tra di loro, ma vederla per lui era abbastanza, e comunque, così poteva sempre sentire quel profumo che per lui era una droga. 

“Vado a farmi una doccia e poi ti raggiungo….” Lui sospirò, inalando quell’aroma fresco che gli riempiva l’animo e lo riportava al momento in cui lei aveva acconsentito a divenire sua moglie, quella sera di anni prima. “Sempre che tu non voglia fare la ragazzaccia e la doccia la voglia fare con me! Potrebbe essere eccitante, il gusto del proibito, il rischio di farsi beccare in flagrante… ci proviamo?” Le domandò, facendole l’occhiolino. La sua espressione sembrava sottolineare che stesse scherzando, ma Kaori lo conosceva abbastanza bene da sapere che sarebbe potuto benissimo essere sincero.

“Ryo!” Sibilò lei, indignata, facendo un passo indietro. Il volto più rosso di un’aragosta bollita, Kaori cercò di evitare di guardarlo in volto, temendo che avrebbe finito davvero per cedere. “Sono stata convocata dalla famiglia… passo un attimo a trovare zio e la mamma, dato che tu per oggi hai finito…”

“Beh, ti aspetto a casa allora, non tardare troppo… così magari la doccia ce la facciamo nel nostro bagno!” le promise allontanandosi, salutandola con un braccio alzato, sorridente e felice come un ragazzino, una cosa che fece stringere il cuore a Kaori, che non mancava mai di emozionarsi a quella vista, consapevole di essere lei la causa di tanta felicità e spensieratezza. 

Casa: che parola meravigliosa! Il solo sentire Ryo che chiamava quel luogo così la faceva emozionare, battere il cuore all’impazzata, come se potesse avvertire, dentro di sé, il vero significato del termine, non solo quattro mura ma il luogo dove risiedeva il cuore… la famiglia. Istintivamente, arrossendo, si portò le mani al ventre: sentiva che, come stavano andando le cose, fosse giunto il momento di permettersi di sognare di nuovo quel frugoletto dai capelli ricci, dalla chioma ribelle scura. Sorrise: quello sì che sarebbe stato il modo perfetto per mettere fine alla faida che divideva le loro famiglie da oltre due secoli!

Prese la macchina e, sospirando languida, raggiunse la tenuta di famiglia, che, dopo l’acquisizione, Ryo aveva preso ad ammodernare, mantenendo però il buon gusto che lo contraddistingueva - certa che lo zio avesse una qualche fissazione di cui metterla al corrente, un favore da chiederle, qualche progetto idiota per cui volesse dei soldi da Ryo, sicura però che non si trattasse nulla di che. Quando però lo trovò intento a camminare per la biblioteca con le mani nei capelli, pallido e gli occhi cerchiati, capì che si sarebbe dovuta ricredere: era un uomo sì melodrammatico, ma non fino a questo punto.

“Cosa… cosa è successo?” Kaori si impensierì, immaginando i più oscuri scenari, colmi di morte e dolore… non ricordava di averlo mai visto in un tale stato, nemmeno quando suo padre si era ammalato, morendo poco dopo, lasciandogli la famiglia sulle spalle.

“Tuo marito, Kaori.” L’uomo strinse gli occhi, e si lasciò scivolare su una poltrona, dandole la schiena. “Quel Kaibara si è impossessato del palazzo che avevamo a Rapponigi per rivenderlo subito dopo!”

“Cosa?” Kaori lo raggiunse, ponendosi immediatamente davanti a lui, cercando di capire la logistica, ed i tempi, di quest’operazione, e se fosse possibile che lo zio le stesse mentendo – anche perché nessuno le aveva detto che anche quella proprietà fosse stata messa in vendita. Anzi: era sicura che quel palazzo, per quanto moderno e in una zona centrale e di alto interesse, essendo completamente affittato e per giunta ad una moltitudine di soggetti diversi, non fosse esattamente appetibile. “Quando?”

“Alcune settimane fa. L’ho venduto ad un’immobiliare, dietro cui ho scoperto si nasconde tuo marito, quel Kaibara!” L’uomo sospirò. “Ha venduto ad un’altra società due giorni fa.”

“Hai venduto un’altra proprietà dei Makimura… senza dirci nulla...” Kaori strinse i denti, oltraggiata e arrabbiata, anche se non sapeva con chi lo fosse di più, se con lo zio o il marito, entrambi bugiardi ai suoi occhi, che continuavano ambedue nelle loro operazioni finanziarie, di cui avrebbero dovuto renderla partecipe, senza tuttavia condividere quelle preziose informazioni. “Come hai potuto farlo? I soldi che Ryo ti ha dato per le nostre case non ti sono stati sufficienti per pagare i tuoi debiti?”

Kaori chiuse i pugni, desiderosa di colpire qualcosa, distruggerlo: aveva accettato di divenire moglie di Ryo a tutti gli effetti per poter ritornare in possesso dei beni che erano appartenuti al padre, dopo che lo zio aveva sperperato tutto, e adesso scopriva che anche dopo il suo “sacrificio” suo zio aveva continuato a dare via i loro beni, perché probabilmente non aveva smesso di giocare con i soldi che il fratello gli aveva affidato, e quelli che aveva intascato dalla vendita della loro casa. Quanto poteva essere egoista ed irresponsabile un uomo del genere? Le si strinse il cuore al pensiero del padre: se fosse stato ancora vivo, lui non avrebbe mai permesso che qualcosa del genere potesse accadere, ma era stato strappato al mondo troppo presto… e così, il controllo di quell’impero che si era rivelato di terracotta era finito al membro più anziano della famiglia, che si era rivelato un pessimo giocatore d’azzardo con il pallino delle donne facili e del lusso sfrenato.

“Kaori, credimi, non sai quanto sia disperata la nostra situazione al momento… per ripagare i nostri debiti non è bastato vendere delle proprietà…” L’uomo sospirò, poggiando sulla mano la fronte solcata dalle rughe. “Tu… tu davvero non sapevi che era stato Ryo ad acquisire le nostre proprietà?”

La donna abbassò gli occhi, divenuti improvvisamente freddi e vuoti come l’Artico; si sentiva tradita ed usata… Ryo aveva fatto l’amore con lei, la loro relazione si era trasformata, divenendo reale e profonda, un qualcosa che andava ben aldilà della mera attrazione fisica, o almeno così aveva creduto, perché adesso scopriva che lui le aveva nascosto questa preziosa e fondamentale informazione.

“Kaori, credi che saresti in grado di parlare con Ryo, vedere se, insomma…”

L’uomo non finì la frase, ma come la guardò fece comprendere esattamente a Kaori cosa lui volesse dire, cosa volesse lui- la sua famiglia- da lei, come vedessero il suo matrimonio. Che lei fosse felice o meno a loro non interessava, il suo matrimonio con Ryo era stato “concesso” e benedetto solo per ciò che lei poteva fare per loro. Lungi dall’essere una donna libera, indipendente, e di successo, per loro lei era solo un mezzo per raggiungere i loro fini.

Non avevano nemmeno capito perché lei avesse accettato quel matrimonio, o facevano finta di nulla.

Ryo aveva ragione, per quanto le dolesse ammetterlo – ma questo non significava che non fosse arrabbiata ed offesa anche verso di lui. Capiva che la compravendita immobiliare facesse parte del suo lavoro e rappresentasse il ramo principale dei suoi affari, e che se i Makimura erano in quella disperata situazione la colpa era solo loro; ma, avrebbe dovuto dirle cosa stava facendo, essere sincero: erano pur sempre la sua famiglia, e lui avrebbe dovuto immaginare che lo zio avrebbe agito in sordina, senza mettere nessuno al corrente delle sue nefande azioni.

Decisa ad avere un confronto chiaro, la donna si limitò a fissare sdegnata e disgustata suo zio, prima di girarsi sui tacchi; salì in macchina, pronta a discutere di nuovo. Raggiunse Ryo nel suo ufficio nella loro residenza, l’uomo era vestito di fresco e profumato di quella colonia così maschia che le faceva mancare il fiato e, a giudicare dallo sguardo di Ryo, famelico, era lo stesso anche per lui. L’uomo infatti lasciò la sua sedia e la raggiunse dall’altro lato della scrivania, espressione tenera, quasi innamorata, ma Kaori incrociò le braccia facendo un passo indietro e mantenendo la distanza di sicurezza tra di loro, e gli tenne testa, sconcertandolo. 

“Eh? E adesso che ho fatto?” Le domandò, onestamente sorpreso, grattandosi il capo. 

“Cosa hai fatto? E hai la faccia tosta di chiedermelo?” Lei gli sibilò in faccia. “Guarda che mio zio lo ha scoperto che sei stato tu ad acquistare il nostro palazzo a Rapponigi!” 

“E lo zietto ha sentito il bisogno di venire a piangere miseria da te…” Ryo, improvvisamente scocciato dalla piega che la cosa stava prendendo, sbuffò, e tornò a sedere alla scrivania. Da un cassetto prese un pacchetto di sigarette, e si accese una bionda, segno che era davvero molto nervoso per l’accaduto. “Cosa vuole, più soldi? O che glielo rivenda ad una modica cifra che potrebbe essere un centesimo del valore di mercato? Sentiamo, sono proprio curioso di sapere cosa ha avuto la faccia tosta di chiederti quel vecchio idiota!”

“Non provare a svicolare, Ryo!” Kaori provò a protestare, tenendogli testa mentre lui, pigramente, soffiava fuori dai polmoni una nuvola grigiastra di fumo impalpabile. “Cosa pensi lui non mi interessa, quello che mi rode è che tu non me l’abbia detto. Ti saresti dovuto confrontare con me prima di prendere questa decisione!” 

“Sai benissimo che se ho acquistato quella proprietà è stato per salvaguardarla ed impedire che fosse svenduta a decine di diversi investitori, rendendola meno appetibile per transazioni future. Se lo zietto te l’ha detto non è perché gli importi qualcosa delle proprietà o tema che io ti stia ingannando, ma solo perché ti vuole usare per riempirsi il portafoglio! Di nuovo!” ribatté Ryo, freddo. Kaori lo scrutò con attenzione, e a malapena riconobbe l’uomo che aveva sposato in quella notte brava. “Se avesse tenuto alla famiglia non avrebbe permesso che le vostre proprietà finissero in vendita l’una dopo l’altra, né ti avrebbe usata come ha fatto, prima facendoti sposare Uragami e poi concedendoti di portare avanti il nostro matrimonio.” 

Gettando scontroso la sigaretta appena iniziata nel posacenere, Ryo si massaggiò la fronte. Poteva capire che lei fosse seccata che non avesse condiviso questo particolare con lei, ma non vedeva che stava cercando di aiutare i Makimura? Che stava permettendo loro di raggiungere una certa sicurezza finanziaria- nonostante lo zio e la madre di Kaori continuassero  a sperperare yen dopo yen inutilmente?

“Non pensavo di doverti dire tutto per filo e per segno, e poi da quando quel palazzo a Rapponigi significa qualcosa per te?” L’uomo strinse i denti, cercando di controllarsi, ma il nervosismo stava prendendo velocemente il sopravvento, e Ryo non era certo di quanto ancora a lungo sarebbe stato civile con la sua adorata consorte.

“Avevamo un accordo, Ryo!” Gli rispose, piccata, mani sui fianchi. 

“L’accordo era per due proprietà, non le altre, e non è certo colpa mia se tuo zio è un bastardo egoista che non sa pensare agli affari ma solo a chi portarsi a letto e come far bella figura sulla sventola di turno svuotandosi il portafoglio al tavolo da gioco o all’ippodromo!” lui sibilò a denti stretti, sempre più nervoso ed irritato. “E comunque, quello che ho guadagnato dalla vendita, l’ho usato per rimettere a posto la tua adorata casetta, che tuo zio e tua madre hanno lasciato andare a scatafascio mentre tu studiavi in Europa e giravi tutto il Giappone per lavoro e tuo fratello lavorava a farsi una carriera!”

Kaori strinse i denti: comprendeva come a Ryo non piacesse essere giudicato per una cosa che lui, erroneamente, considerava innocente, ma perché rigirare la frittata? Suo zio aveva fatto degli errori, lei… lei aveva sempre agito per non pesare sulla famiglia, idem Hide… e lui osava rinfacciarglielo, quasi fosse stata una colpa?

“Beh, se è così che la pensi allora direi che non abbiamo nulla da dirci, tanto fate tutti di testa vostra lasciandomi fuori!” E così dicendo, Kaori uscì, sbattendosi la porta alle spalle, mentre Ryo, inferocito, gettava a terra un pesante libro, con il solo scopo di sfogare la sua frustrazione.

Tutto quello che aveva voluto era tentare di salvare dalla bancarotta quei due insolenti, e a causa loro aveva litigato con Kaori dicendole per giunta, in un momento di rabbia, una cosa che non pensava davvero, ma attaccato dalla donna che amava, per cui aveva fatto sacrifici, Ryo non ci aveva visto più e aveva parlato senza pensare… e tutto a causa del vecchio Makimura. Lui si che era da ringraziare!

Passandosi una mano tra i capelli, Ryo sospirò mentre sentiva il motore dell’auto della moglie che partiva, e lei che sgommava andandosene dalla proprietà ad alta velocità: adesso, avrebbe dovuto darsi una calmata, aspettare che Kaori smaltisse l'arrabbiatura… e poi avrebbe pensato a come fare pace con lei e chiarire tutto - e stavolta, una volta per tutte!

 

    Nell’appartamento di Tokyo che lei stessa aveva usato in passato, e che era momentaneamente occupato dalla genitrice, Kaori guardò suo zio e sua madre sospirare, e studiarla con un cipiglio colmo di giudizio, come era già accaduto quando era stata più giovane: qualsiasi cosa accadesse, lei era nel torto, sempre, mentre loro, i combina guai, erano nella ragione. 

“Kaori, si dice in giro che tu abbia lasciato Ryo. C’è forse un fondamento di verità in queste voci?”  Lo zio le domandò, freddo, lanciandole sotto al naso la rivista scandalistica che Kaori aveva purtroppo già visto. “Tra l’altro, lascia che te lo dica: la stampa ci sta mettendo tutti in cattiva luce col tuo comportamento.” 

C:\Users\eli\Google Drive\city hunter\Grafica\GOSSIP MAGAZINE2.jpgMentre sua madre, con in mano il suo immancabile drink, accennava un movimento di assenso, Kaori alzò un sopracciglio: com’era che era lei nel torto, quella che veniva messa in cattiva luce? E com’era possibile che i giornali di gossip avessero già saputo che si era allontanata dalla residenza dei Kaibara, dopo solo pochi giorni? E come potevano avere quella foto sua con Mick – una foto equivoca, era vero, ma Ryo stesso era stato accanto a lei quel giorno, e doveva sapere che Mick l’aveva baciata sulla guancia, e non certo sulla bocca!

Non volendo condividere nemmeno mezzo centimetro quadrato con lo zio, Kaori aveva chiesto ospitalità al fratello; Hide e Saeko avevano immediatamente acconsentito alla sua richiesta di riparo, e vedendola sconvolta avevano deciso di non inferire, anche se tuttavia entrambi avevano un vago sospetto di cosa fosse accaduto, e che le loro previsioni si fossero purtroppo avverate. Kaori aveva trascorso una notte insonne colma di pianti nella camera degli ospiti, e quando era stata chiamata a raccolta all’alba, aveva ormai capito dove stesse la verità: amava Ryo, la sua caparbietà, la sua intelligenza, la sua risolutezza, il suo senso dello humor, era pazza di lui, follemente innamorata, e proprio per questo lei stava così male. 

Perché, non dicendole nulla di quell’acquisto, aveva dato prova di non amarla, che lei fosse solo un trofeo, una conquista- il suo modo di dimostrare di essere un Kaibara a tutti gli effetti, che Shin, affidando a lui la baracca, aveva compiuto la scelta giusta. 

“Sono certo che gli articoli nella stampa siano certamente opera di Ryo e sua madre,” lo zio continuò, senza attendere che lei gli desse la sua opinione. “Ma seppure hanno vinto la battaglia, la guerra sarà nostra. Ho un paio di avvocati a cui rivolgermi, che contesteranno la vendita della proprietà di Rapponigi come una violazione del vostro contratto post-matrimoniale... faremo in modo che nel divorzio tutti i beni e le proprietà originariamente dei Makimura tornino a noi, e una volta che sarò di nuovo io ad avere in mano il nostro patrimonio...”

“No.”

La madre e lo zio la guardarono come se la vedessero per la prima volta, stupiti e sconvolti da tanta audacia, mentre invece, con ogni parola che usciva dalla bocca dell’uomo, Kaori capiva finalmente cosa fosse accaduto, e cosa sarebbe successo se lo zio fosse riuscito a rimettere le mani sui beni della famiglia… debiti, vendite, ipoteche, avrebbe sperperato tutto, e, non fosse stato per Ryo, gli acquirenti sarebbero stati molto più scaltri e disonesti… farla sposare con Uragami non era stato dettato dal bisogno di trovarle un marito, lei, ultima single della sua classe, ma semplicemente dal desiderio che lui rimpolpasse le finanze di famiglia. 

Per quanto tenesse alla sua famiglia, voler loro bene in quel momento era molto difficile, conscia che lei era stata solo un pezzo di carne da sacrificare sull’altare dell’avarizia: ancora una volta, Ryo aveva avuto ragione su tutta la linea, ed era giunto il momento che lei lo ammettesse ma soprattutto prendesse in mano le redini della situazione.

“No?” L’uomo quasi balbettò, gli occhi così sgranati che quasi gli uscivano dalle orbite, mentre il labbro della madre di Kaori tremava. “Cosa vuoi dire con no?”

“Esattamente cosa ho detto, zio. E per la precisione, intendo dire,” Sibilò dura, avvicinandosi con passo marziale all’ometto, che non aveva mai disprezzato tanto come in quel momento. “che secondo l’accordo post-matrimoniale è a me che Ryo lascerà le proprietà, e io non ho la benché minima intenzione di permettere a te di gestirle nuovamente… da oggi in poi le cose si faranno come decidiamo Hide ed io!”

Uno strano calore si impossessò di Kaori, che si sentì rilassare, libera e leggera come mai prima di allora. Aveva sempre avuto una certa indipendenza, ma ora comprendeva che le era stata concessa, quasi fosse stato un capriccio passeggero: ora, invece, stava consapevolmente ribellandosi al volere patriarcale, prendendo di fatto le redini della situazione.

“Kaori, cara, non essere assurda… una donna che si occupa di proprietà immobiliari e di affari economici, da quando in qua si è vista una cosa simile nella nostra famiglia?” La madre la guardò con sufficienza, e Kaori sentì l’orgoglio risvegliarsi in lei. 

“Da adesso, mamma,” rispose, secca. “E comunque non lo farò certo da sola, ma con i consigli di mio fratello e di mio marito.” Il cuore e la mente andarono a Ryo, e sebbene ancora seccata perché lui le aveva nascosto l’acquisto di quella proprietà, adesso, con calma, iniziava anche a comprenderne le ragioni, sebbene non potesse condividerle appieno.

Col sorriso sulle labbra dette le spalle alla sua famiglia, sperando con tutta sé stessa che, dopo che lei se n’era andata, Ryo non avesse pensato che lei potesse essere dalla parte dello zio, ma soprattutto, che lui la volesse ancora… ma prima, sentiva il bisogno di prendersi ancora del tempo per sé. 

Se lo voleva perdonare, aveva bisogno di ancora un po’ di tempo per riflettere, in pace, e chiarire, una volta per tutte, i suoi, loro, sentimenti, e certamente non avrebbe potuto farlo nella casa dei Kaibara, con Ryo che rappresentava una tentazione costante con la sua sola semplice presenza. 

Dove riflettere. Pensare. Perdonare. Solo allora sarebbe tornata da lui - nella speranza che decidessero di darsi una seconda possibilità...

 

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Capitolo 13
*** Passato e Presente ***


"Si può sapere cosa diavolo ti è passato per quel tuo dannato cervello bacato?! E non provare a negarlo… tanto lo so che sei stata tu, che la gola profonda a cui fa riferimento il giornale non è nientepopodimeno che mia madre… solo qualcuno che vive qui avrebbe potuto sapere così velocemente che Kaori se n’era andata, e nessuno qui ha interesse che lei ed io ci lasciamo!” 

Nemmeno tre giorni dopo che lei se n’era andata, Ryo sibilò queste parole, con la bava alla bocca, mentre sbatteva un giornale sotto al naso della madre. Il giovane Saeba-Kaibara aveva gli occhi cerchiati, il colorito spento ed era evidente che non si fosse fatto la barba quella mattina – erano giorni che non dormiva, che non riusciva a concentrarsi, a mangiare a fare nulla, e aveva dovuto telefonare al suo assistente per annullare tutti gli appuntamenti perché pensare al lavoro, in quelle condizioni, era a dir poco inconcepibile. Il giorno dopo che Kaori se n’era andata, senza nemmeno fare le valigie, lui si era perfino fiondato nella casa di Amami, sperando di trovarla lì, a riflettere davanti a Donna in camicia, che intanto aveva lasciato la mostra ed era tornata nel posto che le spettava di diritto, ma nulla… così davanti al quadro ci era stato lui, a disperarsi perché Saeko aveva avuto ragione e a tenere il becco chiuso aveva fatto la figura dello stronzo, del manipolatore, del bugiardo, e lei, giustamente, se l’era attaccata al dito... 

Sua madre, invece, che stava prendendo il the con tutta la tranquillità possibile ed immaginabile, non aveva nemmeno un capello fuori posto, e quando Ryo le mostrò esattamente di cosa stesse parlando- ovvero un certo articolo in particolare – lei non aveva battuto ciglio, alzando giusto di forse una frazione di millimetro un sopracciglio.

Ryo si lasciò cadere sulla poltrona davanti alla donna, sbuffando e guardando da un’altra parte: quell’arpia avrebbe potuto fare comunella con Brie Van De Kamp- anzi, forse Brie stessa avrebbe potuto imparare qualcosa da lei! [NDR personaggio di Desperate Housewife che mascherava manie di controllo e perfezionismo dietro la maschera della sorridente madre di famiglia]

“Si vede che non hai mai divorziato, figlio mio,” la donna rispose, piatta, aggiungendo un goccio di miele di nocciolo al suo the. “Si è nella ragione se si controlla la narrativa, e nel nostro ambiente si controlla la narrativa se si controllano i media.”

“Questa spazzatura,” Ryo sibilò, indicando l’articolo in questione. “è tutta una menzogna. C’ero anch’io quando questa foto è stata scattata, madre, e Mick stava dando a Kaori un bacio sulla guancia!”

“Sì, ma,” Carmen sogghignò, soddisfatta. “Non è certo quello che sembra. Ed un magistrato che potrebbe dover decidere della spartizione dei beni nel vostro divorzio potrebbe rimanere, come dire, influenzato da quella foto e da quello che crede di sapere questa fonte anonima....”

“Immagino inoltre che non sia un caso che tu sia andata all’Intelligencer, proprio la rivista scandalistica che appartiene alla famiglia Uragami…” Guardando la fredda Carmen, Ryo alzò un sopracciglio. Sapeva che i latini potevano essere vendicativi, ma non certo fino a questo punto: un presunto torto, che fosse antico o recente, come il temporaneo allontanamento volontario di Kaori dal tetto coniugale, valeva rovinare delle vite, della amicizie?

“Si fa ciò che si deve, Ryo. In guerra ed in affari tutto è lecito.” La donna continuò, con un sorriso colmo di determinazione machiavellica stampato sulle belle labbra, su cui era stemperato un rossetto laccato ancora perfetto. 

“La citazione giusta, mia cara, è in guerra ed in amore tutto è lecito.” Appena sentì la voce argentina, Carmen posò velocemente la tazza di tè nel piattino, facendola dondolare leggermente, instabile. Le labbra serrate in una linea dura, si lisciò l’abito che aveva indosso, quasi fosse stata una mossa nervosa, e si irrigidì non appena il consorte la raggiunse al tavolo, posandole la mano libera dal bastone sulla spalla prima di sedersi. “Anche se Ryo ha saputo mettere in mezzo anche gli affari… non è forse vero, figliolo?”

“Shin. Non sapevo fossi a Tokyo.” La donna gli disse, senza guardarlo negli occhi, colma di apprensione. 

Shin consegnò il bastone alla cameriera, e si fece versare lo stesso tipo di the che la consorte stava bevendo; poi, prima di bere, intrecciò le dita, gomiti poggiati sul tavolo, mentre guardava Ryo davanti  a sé.  Il giovane uomo arrossì, leggermente imbarazzato, e si grattò il collo, allentando al contempo il colletto della camicia che lo stava facendo soffocare. 

“Come amministratore del patrimonio dei Kaibara, in poco tempo hai saputo moltiplicare le fortune della nostra famiglia, dimostrando di essere meglio di coloro che si arroccavano questo diritto perché appartenevano a questa famiglia per sangue.” Shin disse lentamente, sorridendo mesto. “Hai dimostrato di essere degno come e più degli altri di portare questo nome antico… e purtroppo, insieme a questo nome è venuto anche un peso, ed un’eredità scomoda, e di questo me ne rammarico infinitamente, e me ne scuso.”

Quasi avvertendo dove il consorte volesse andare a parare, Carmen si irrigidì, stringendo i denti. 

“Quella donna è una Makimura,” sibilò la donna, non badando all’espressione fredda e rancorosa del marito. “Ryo può avere tutte le donne che vuole, ci sono ragazze dell’alta società che farebbero di tutto per averlo, e lui ha scelto lei, soltanto per…per indispettirci!”

“Indispettire te, intendi, mia cara. Tutta la famiglia ed il personale della tenuta si sono affezionati a Kaori. Nostra nuora” Shin le rispose, sorseggiando il tè e alzando un sopracciglio. Sottolineando la parola nuora con un tono deciso. “ha dato prova di essere una donna intelligente, sofisticata, matura e dolce, perfetta per Ryo perché diversamente dalle oche che tu gli hai presentato nel corso degli anni è in grado di pensare col suo cervello e di tenergli testa, invece di pendere dalle tue labbra!”

“ADESSO BASTA!” Carmen fece per aprire la bocca ed obbiettare, ma Ryo, rafforzato dal sentire il padre lodare così apertamente Kaori e supportarlo nelle sue scelte, si alzò in piedi, sbattendo il pugno sul tavolo con tale forza che la cristalleria vibrò. “Questa assurda guerra è andata avanti fin troppo a lungo, e non ho intenzione di rovinarmi la vita perché tu, che un Kaibara te lo sei solo sposato, non hai intenzione di sentire ragione! Io sono un uomo adulto, e Kaori è mia moglie, e se lo vorrà, continuerà ad esserlo… sono pronto a tutto per lei, anche ad abbandonare questa famiglia se fosse necessario, e non credere che non sarei disposto a tranciare ogni legame con te se fosse quello che servirà a riportarla nella mia vita!” 

Il giovane si allontanò dal tavolo, con una nuova determinazione a rincuorarlo: avrebbe fatto qualunque cosa per riconquistare sua moglie, e stavolta, avrebbe fatto in modo che fosse per sempre… basta sotterfugi, basta bugie, niente più mezze verità; Ryo era pronto a giocare l’ultima carta rimastagli in mano: quella dell’onestà.

Strinse i denti, marciando spedito verso la porta d’ingresso, pronto ad andare a cercare Kaori, ad abbassarsi ad andare a bussare alla casa dei nemici della sua famiglia, quando però l’arrivo di una berlina grigia metallizzata lo fermò. Il veicolo si fermò, e con sguardo truce Ryo vide l’amico-nemico Maki scendere. Il magistrato si sistemò la cravatta prima e gli occhiali poi,  l’immagine del perfetto burocrate, ma Saeba sapeva che dietro quell'apparenza mite si nascondeva  un uomo atletico e sportivo che amava tirare di boxe e non aveva nulla da invidiargli. 

“Maki. A cosa devo l’onore?” Gli domandò, leggermente seccato, la mascella serrata. 

Maki si limitò a sorridergli, e passandogli accanto gli afferrò la spalla destra, stringendola con decisione. “Cognatino, mi sa che noi due dobbiamo farci quattro chiacchiere da uomo a uomo!”

“Non lo so, Maki…” L’altro gli rispose, abbassando gli occhi e grattandosi la nuca. “Non sono certo di essere molto a mio agio a parlare di tua sorella con te… e comunque, ecco, io avevo fatto una promessa a Kaori, di, insomma…”

“Non mettermi in mezzo e dirmi che è tornata con te in cambio della nostra casa, che tu hai acquistato dopo che lo zietto e la mammina ci hanno fatto fare bancarotta?” Maki alzò gli occhi al cielo, sbuffando leggermente, le mani sui fianchi. Sembrava non tanto scocciato, quanto esasperato, seppure Ryo non comprendesse se fosse stato il comportamento suo e della sorella a causare quella reazione oppure quello dello zio e della madre. ”Eh, Ryo, mi dispiace dovertelo dire, ma l’avevo capito da solo. Non sono completamente stupido…”

“Già…” Ryo sorrise, sornione. “Forse hai ragione.”

“In realtà, non dovrei essere qui, ma… voglio troppo bene alla mia sorellina per non intromettermi.” Maki si appoggiò alla portiera della macchina, e si accese una sigaretta, senza smettere di guardare Ryo, quasi l’altro uomo fosse una curiosità scientifica. “Ryo, credo che sia opportuno che tu sappia che Kaori è da me e Saeko.”

Ryo abbassò il capo, maledicendosi: come aveva potuto non considerare la possibilità che Kaori avesse trovato rifugio a casa del fratello? L’aveva scartata a priori, ritenendo che la moglie non avrebbe mai chiesto ospitalità alla migliore amica dell’uomo da cui stava fuggendo, eppure il sangue, e la lealtà di Saeko al suo sposo, le avevano dato ragione di quella scelta…

Saeko riposava, seduta sul divano, il capo appoggiato sullo schienale di pelle beige, mentre, sedutole accanto, il marito le accarezzava dolcemente i capelli, incantato da tanta bellezza; conosceva Saeko da quando era adolescente, era sempre stata affascinante, sensuale, una vera pantera, ma la maternità l’aveva fatta fiorire, rendendola ancora più bella ai suoi occhi, forse perchè aveva finito per addolcirla, tanto nel fisico quanto nel cuore.

L’amava ogni giorno di più. 

Si chinò verso di lei per rubarle un bacio, moderna Bella Addormentata, quando qualcuno bussò affannosamente alla porta, e lei si svegliò, all'improvviso- con risultato che lei gli diede una testata nel naso.  

“Maki!” Scattò in piedi, la voce stridula, impallidendo alla vista della goccia di sangue che gli colava dal naso. “Oh, tesoro, scusa, non l’ho fatto apposta!”

“Tranquilla, va tutto bene!” La scusò lui, tenendo il palmo premuto contro la parte dolente. Senza occhiali, si incamminò per andare a vedere chi continuasse a bussare in quel modo così agitato.; era pronto a fare una scenata, ma rimase di sasso quando si trovò davanti sua sorella, con gli occhi gonfi di lacrime e una piccola borsa da viaggio in mano. “Ka… Kaori? Ma cosa…”

“Posso… posso fermarvi qui da voi per un paio di giorni?” Gli domandò, abbassando lo sguardo. “Per favore, Hide…”

Hideyuki la fece accomodare, accompagnandola dentro per una spalla, mentre Saeko, vestita di una candida vestaglia di seta sopra la sensuale camicia da notte, era già andata a preparare un tè, di cui immaginava che la cognata avesse bisogno.

Tornò in salotto alcuni minuti dopo, con un vassoio con tre tazze piene, fumanti dell’aromatica bevanda. Lo  posò sul tavolino davanti al divano, su cui suo marito e sua cognata sedevano, in silenzio.

“Kaori… so di essere amica di Ryo, ma… se hai bisogno di confidarti con qualcuno, sono molto brava a mantenere i segreti!” Saeko le disse, sorridendole complice. 

Kaori rimase in silenzio ancora un po’; strin, teneva, nei pugni chiusi, il tessuto della gonna di lino chiaro, mentre stringeva i denti, la mascella serrata, per ricacciare indietro le lacrime.

“Hide, c’è una cosa che devi sapere….” la giovane donna ammise, infine, voltandosi verso il fratello dopo aver preso un profondo sospiro. “Lo zio… lui… non è stato l'amministratore che pensavamo fosse. Ha messo in vendita le proprietà dei Makimura e Ryo… beh, lui ne ha approfittato, solo che, credo di non aver capito il perché lo avesse fatto. Credevo volesse dimostrare di essere uno speculatore edilizio senza scrupoli, ma credo che… che volesse salvarla dalle grinfie di chi avrebbe distrutto l’eredità di nostro padre, ma io non gli ho permesso di spiegarsi e adesso… adesso forse lui non mi perdonerà mai!” 

“Ryo… le cose stanno davvero così?” Maki gli domandò, serio e cupo; Ryo si limitò a fare un cenno di assenso. 

“Tuo zio e vostra madre avrebbero permesso che le vostre proprietà venissero distrutte, disintegrate... non era giusto nei vostri confronti, specie verso Kaori. Tuo zio l’ha tagliata fuori solo perché donna, nonostante sia il membro della famiglia con più pallino per gli affari!” 

“Sì, ma… quello che non capisco è perché tu l’abbia fatto, Ryo… perché prenderti tutto questo disturbo solo per portarti mia sorella a letto?”

“Davvero credi che sia solo questo?” Ryo gli domandò, occhi vispi; dallo sguardo che gli uomini si scambiarono, era chiaro che entrambi gli uomini ben sapessero che non era quello il caso. “Amo tua sorella, e… non prendertela,” Ryo continuò, arrossendo leggermente, dimostrandosi per una volta timido ed impacciato. “Ma credo di averla sempre amata. Mi ha conquistato la prima volta che l’ho incontrata!”

La mente del magnate tornò proprio a quell’evento, la prima occasione in cui il suo cammino si era intrecciato a quello della giovane Makimura; Kaori, allora sedicenne, era andata a portare al fratello un libro che aveva scordato a casa. Ryo aveva fatto lo stupido - lo stronzo, per mancanza di una parola migliore- chiedendo all’occhialuto compagno di classe se avesse cambiato gusti e gli piacessero le ragazzine. Era stato allora che Maki gli aveva presentato la sorellina, Kaori, e Ryo l’aveva squadrata dall’alto in basso: lentiggini, capelli corti rossi ricci disordinati, tagliati alla “maschiaccio”, piatta come un asse da stiro, gambe chilometriche ma fin troppo magre… se non avesse avuto la divisa femminile del liceo, non avrebbe mai e poi mai capito di trovarsi davanti una ragazza, e questo le aveva detto, con tono impertinente. 

Kaori non aveva fatto una scenata, non gli si era gettata addosso, come tante, né aveva piagnucolato: aveva alzato il viso, stizzita, scrollandosi di dosso delle immaginarie particelle di polvere, e gli aveva risposto che nonostante non avesse tette e culo come quelle oche svampite era almeno dotata di cervello… e così dicendo aveva salutato il fratello, raccomandandosi di stare più attento, e dando loro le spalle se n’era andata.

Aveva lasciato Ryo senza parole: nessuna donna si era mai comportata così con lui. Il giovane aveva preso ad intercettarla per il semplice gusto di farla arrabbiare, stuzzicarla, nella speranza che lei volesse cambiare atteggiamento e cadergli tra le braccia, ma nulla, l’unico risultato ottenuto era che lui era  sempre più preso, anche perché la giovane era sbocciata nel giro di un paio di anni, divenendo di una sensualità che lo aveva sconvolto, e lei era sempre più seccata dai suoi comportamenti… Kaori gli teneva testa quando bisticciavano, e faceva lo stesso con tutti gli altri, e questo lo faceva impazzire, lo attizzava, per mancanza di una parola migliore, nonostante lui non capisse il perché. 

Ryo ricordava ancora - e forse lo avrebbe ricordato fino a che avrebbe avuto vita -la volta che Kaori si era procurata un occhio nero difendendo un ragazzino da dei bulli, svenendo pure… lui era andato nell’infermeria appena saputolo, dicendosi che lo faceva per sfotterla, ma quando l’aveva vista addormentata in quel lettino aveva avuto un tuffo al cuore, e si era chinato su di lei... quasi l’aveva baciata. Era fuggito, terrorizzato da cosa provava e schifato da cosa aveva quasi fatto, provando ribrezzo non per l'attrazione verso di lei, ma perché era una ragazzina, era giovane ed innocente… Ryo aveva anche tentato di baciare Saeko per togliersi la piccola Makimura dalla testa, ma non aveva funzionato e si era pure preso una ginocchiata nei gioielli di famiglia.

E poi, aveva scoperto che Kaori sarebbe partita per studiare in Europa… lui era persino andato a vederla partire di nascosto, con un mazzo di fiori in mano, senza sapere esattamente il perché lo facesse, ma alla fine si era tirato indietro, dandosi dello stupido per aver pensato che lei potesse essere interessata a lui, o che le cose potessero funzionare tra di loro, con la differenza di età, i continenti di distanza, e le loro famiglie… cosa gli era passato per testa?

Alla fine aveva gettato in un cestino dei rifiuti i fiori, ed era andato in un locale equivoco, di spogliarelli, e nonostante la nottata di sesso bollente, non si era sentito più leggero o libero, anzi: lei aveva continuato a tornargli nella testa, il suo volto che si sovrapponeva a quello della bella maggiorata. 

Col tempo l’aveva tenuta a distanza, aveva preso a vivere la vita dissoluta del dongiovanni scapestrato che non usciva mai due volte con la stessa ragazza, ma lei era rimasta un tarlo nella sua mente, era stato divorato dal dubbio, e forse anche dal rimpianto, e quella notte in cui l’aveva vista a quel party Ryo aveva capito che era un condannato - o che forse, per la prima volta, il destino veniva in suo aiuto. 

Per poche, incantevoli ore, Kaori era stata sua… ma poi lei era scappata, e se all’inizio riaverla era stata una questione di orgoglio, quando Ryo aveva scoperto che lei stava per legarsi ad Uragami - su consiglio della sua famiglia, che si aspettava una bella dose di liquidità in cambio della mano della rampolla dell’alta società - aveva preso in pugno la situazione, capendo che se non l’avesse avuta nella sua vita sarebbe stato come essere morto, ed aveva intrapreso la sua personale crociata per salvaguardare quello che era di diritto di Kaori… Credeva davvero cosa le aveva detto un giorno, dopo la loro riappacificazione: era destino che loro stessero insieme, erano fatti l’uno per l’altra, e anche se apparentemente non aveva alcun senso, loro… funzionavano. Era così, e basta.

“...e quindi, adesso sai tutto.” Ryo ammise alla fine, dopo avergli raccontato tutto per filo e per segno.

Chiuse gli occhi, preparandosi ad essere preso a pugni dal vecchio compare quando questi aveva scoperto dei lussuriosi pensieri dell’amico provati per Kaori quando questa era solo adolescente, ma il pugno non arrivò mai. Ryo aprì gli occhi, trovandosi davanti un Maki che scuoteva il capo seccato e stufo. 

“Ma invece che mettere su tutta questo storia non potevi parlarle? Ma perché voi due dovete essere così complicati…. sfido che state davvero bene insieme!” Il magistrato si rigirò le chiavi in mano, stringendo i denti. “Ryo, ho intenzione di mettere in chiaro le cose con mio zio e mia madre:  credo che sia auspicabile che degli affari di famiglia se ne occupi Kaori, con il nostro appoggio. Non ho intenzione di permettere loro di distruggere tutto quello per cui nostro padre ha lavorato duramente. Né gli permetterò di manipolare ulteriormente Kaori.”

Ryo si limitò ad accennare un sorriso, e lo stesso fece l’altro, che salì in macchina. 

“Vado a fare quattro chiacchiere con la mia adorata famigliola, per mettere subito in chiaro le cose.” gli disse, prima di lanciare in mano a Ryo un mazzo di chiavi, che questi afferrò al volo con estrema facilità. “Quelle sono le chiavi di casa mia… Kaori torna stasera alle sei, fossi in te approfitterei del fatto che Saeko ed io ci fermiamo a dormire da suo padre  e andrei a chiarire la situazione con tua moglie!”

Incamminando il veicolo, dietro cui si levò una nuvola di polvere rossastra, Maki fece un segno di saluto dal finestrino, mentre Ryo si grattava la nuca. 

Per anni aveva ritenuto Hideyuki Makimura un avversario, ed invece, forse, era il migliore amico che avesse mai potuto desiderare, e quell’amico gli stava affidando una delle cose più preziose che avesse mai avuto: la sua adorata sorella.

Ryo avrebbe fatto in modo di dimostrarsi degno di quel gesto: questo si ripromise mentre camminava tranquillo e sereno verso la sua Mini, pronto per andare a riprendersi sua moglie. Dentro di sé aveva una certezza, che tutto sarebbe andato bene… e che la felicità fosse lì dietro l’angolo.

Presto, molto presto!

 

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Capitolo 14
*** Forever ***


“Ryo, ma cosa…. Tu… ” Appena rientrata a casa del fratello dopo una giornata di lavoro dove, la mente colma di pensieri riguardanti Ryo, aveva portato a termine poco o nulla, stanca e con il morale a terra, Kaori rimase sconvolta non appena vide chi si trovava davanti a lei, seduto mollamente a cavalcioni di una sedia davanti alla porta d’ingresso. Mentre si sentiva tremare e le parole le uscivano dalle labbra come un borbottio sussurrato, guardò Ryo fisso negli occhi, che la studiava sornione come se tutto nel mondo fosse a posto, oppure lei fosse la cosa migliore e più bella che gli fosse mai capitata in tutta la sua vita. “Come hai fatto a trovarmi?”

“Kaori, desidererei rammentarti che tuo fratello ha sposato la mia migliore amica…” lui sogghignò, incrociando le braccia sullo schienale della sedia. “E tu è proprio a casa loro che sei venuta a nasconderti. Davvero credevi che nessuno di loro sarebbe venuto a dirmi quanto era triste senza di me la mia mogliettina?”

“A volte detesto come tu ed i tuoi amici fate comunella!” Lei sbuffò; marciò oltre, verso la camera degli ospiti, camminandogli accanto a passo spedito, senza degnarlo di ulteriori attenzioni. Ryo si alzò in piedi e la seguì, rimanendole dietro senza tuttavia avvicinarsi troppo o toccarla, conscio di essere responsabile della rabbia della donna con le sue bugie e le sue mezze verità.

“No, non i miei amici. Il problema,” ammise lui, passandosi una mano nei capelli. “tu ce l’hai con me. Anche perché tu a loro piaci, e pure tanto, come io piaccio a tuo fratello, dato che è stato Maki a darmi la casa libera per poter parlare con te in tutta tranquillità e ragionare su cosa è successo.”

Kaori rimase in silenzio, un silenzio carico di tensione, di detti e non detti che parlava da sé; logico che fosse arrabbiata- ma non sapeva se avercela con Ryo, per averle nascosto i suoi affari, o con sé stessa, per essersi permessa di cadere vittima di quell’incantesimo d’amore.

“Ho annullato la vendita della proprietà di Rapponigi.” Le disse all’improvviso, abbassando gli occhi, le mani in tasca. Stupita, certa che ormai fosse stato tutto deciso, Kaori si voltò verso di lui, e notò per la prima volta quanto Ryo sembrasse quasi un ragazzino, indifeso e ferito. I vestiti erano sgualciti, quasi ci avesse dormito dentro, e aveva l’aria stanca- non si era nemmeno fatto la barba.  Ryo fece un passo verso di lei, offrendole il palmo della mano destra, sorridente. “Voglio venderla… a te. Tutto quello che ti chiedo è una moneta da cento yen.” 

“Tu… vuoi vendermi una proprietà. Invece di donarmela.” La donna alzò il sopracciglio, indecisa se credere a cosa il cuore che batteva martellante nel petto le suggeriva o se seguire la ragione e non cadere vittima delle macchinazioni del magnate. “Cos’è, hai intenzione di cambiare in corsa il nostro accordo post-matrimoniale?”

“Proprio così, Kaori!” Le rispose, facendo un ulteriore passo verso di lei, il viso rilassato e felice, ma che sembrava trasmettere tenerezza e bisogno. “Ho intenzione di rivenderti ogni bene e proprietà dei Makimura alla modica cifra di cinquecento yen l’uno, a patto che tu voglia essere ancora mia moglie.” Il modo in cui la sua voce la accarezzò, il calore che le trasmetteva, e la scelta del verbo - volere, non dovere stavolta - non mancò di impressionare la donna, che arrossì, emozionata, rinfrancata nell’animo alla prospettiva di poter avere quello che desiderava… e di non essersi sbagliata.  Ryo non era il diavolo che aveva sempre creduto, ma un angelo, un po’ sui generis, ma soprattutto era uno che non sapeva come comportarsi con il suo prossimo, specie con lei… ma era un brav’uomo, e quello che aveva fatto, lo aveva fatto per lei.

“E se io non fossi interessata a riavere quelle proprietà?” Gli domandò, ammiccante, conscia che non avrebbe avuto bisogno di conquistarlo, perché Ryo era già suo, come lei apparteneva a lui, anima e corpo. “O ad essere tua moglie?”

“Allora le donerei tutte a tuo fratello, o a tuo nipote, e farei di tutto per poterti conquistare, anche rinunciare al mio nome, al mio patrimonio se fosse necessario!” Le rispose, secco e deciso, gli occhi che la supplicavano di riprenderlo, dargli un’altra possibilità. Il cuore di Kaori tremò nel petto, mai lo aveva visto così bisognoso, supplichevole. Aperto. “Non mi importa di questa stupida lotta che va avanti da più tempo della guerra delle due rose, io ti amo da anni Kaori, da quando eri quella ragazzina impertinente che quando la prendevo in giro mi rispondeva per le rime, quella ragazza che difendeva i più deboli dai bulli e non si lasciava dettare regole da niente e nessuno. La mia vita senza di te non ha senso… ti prego Kaori, fammi l’onore di voler rimanere mia moglie… dammi un’altra possibilità, come hai fatto quella sera, quando abbiamo scommesso su di noi.” 

“Oh tu…. maledizione Ryo, avrei voluto dirtelo io per prima!” Kaori ricacciò indietro le lacrime e tirò su col naso, lasciando che Ryo prendesse la mano nella sua, e gli sorrise, ridacchiando dolce. “Immagino di non avere molta scelta, e che mi toccherà rimanere tua moglie!” 

“Intanto perché non me lo dici per bene, moglie?” Sorridente, le fece l’occhiolino; arrossendo, Kaori nascose il viso nel petto di lui, e lo guardò negli occhi. Lui la fissò incantato da quelle pozze color nocciola, lucenti, brillanti, piene di vita e brio: non era cambiata, era la stessa di tanti anni prima, la stessa ragazzina che lo aveva stregato anche se lui all’epoca non aveva capito bene il perché. 

“Tu, Ryo Saeba, mi hai conquistata!” Gli disse, timida ed innocente, ma chiaramente felice. “Ti amo così tanto… e non desidero altro che tu sia la mia famiglia, per sempre.”

Ridendo come un ragazzino, Ryo la prese tra le braccia, e la sollevò; mentre volteggiavano, ridevano, si baciavano, si sorridevano, e continuarono a piroettare così fino a che non inciamparono nel divano, cadendoci sopra in una posizione molto invitante, con la giovane donna letteralmente spiaccicata contro il solido torace di lui. 

“Oddio, chissà cosa diranno le nostra madri adesso…” Lei scherzò. Braccia incrociate, si puntellò sui gomiti, allungandosi per lasciare un bacio giocoso sul naso di lui, che giocava con una ciocca di capelli ramati della sua adorata moglie. “Come minimo avranno un collasso!”

“Oh, saranno troppo prese dal badare ai nipotini per ricordarsi che c’era stato un tempo in cui le nostre famiglie si erano fatte la guerra… anzi, magari se la faranno pure di più, per cercare di capire chi possa essere la nonna preferita, anche se non sono certo che Carmen accetterà di buon grado questo titolo. Quasi me la vedo che scoppia a piangere dicendo che non è vecchia!” Ryo scoppiò a ridere, un sorriso che gli raggiungeva gli occhi, poi, una volta calmatosi, prese a guardarla allusivo, mentre spostava la mano verso sud, infilandola sotto la vestito blu che Kaori aveva indossato quel giorno per uscire. “Allora moglie, che ne dici, ti va di provare la teoria del fate l’amore non fate la guerra e mettere in cantiere un erede?”

“Sul divano di mio fratello? Nemmeno morta, Ryo!” Ridacchiò lei. Gli diede un altro veloce bacio, stavolta a fior di labbra, e poi si accoccolò contro di lui, godendo del modo in cui la mano di Ryo le massaggiava il braccio, riscaldando il suo intero essere. Rimasero a lungo accoccolati così, godendosi il silenzio e la pace, ed erano quasi addormentati quando Kaori ricordò improvvisamente una cosa.  “Sai, non ti ho mai chiesto come mai eravamo ancora sposati, o perché i documenti dell’annullamento non erano mai arrivati al tribunale..”

“Beh, semplice!” Ryo ridacchiò, facendole l’occhiolino. “Non abbiamo mai avuto l’annullamento perché non  ho mai presentato i documenti… appena ho letto cosa fossero li ho strappati e li ho bruciati! Cosa credi, io ero pazzo di te da anni, Kaori, e non avevo la benché minima intenzione di rinunciare al nostro matrimonio… o credi che sia stato un caso che mi sia messo a collezionare dipinti antichi e che sia andato proprio alla tua compagnia assicurativa per mettere al sicuro il mio investimento? E comunque, tu non ti sei mai presa la briga di controllare se io li avessi firmati, quindi mi sa che sotto, sotto pure tu volevi rimanere mia moglie!”

“Non so se sia stato un gesto romantico o stupido…comprare le proprietà della mia famiglia, acquistare tutti quei quadri... tutti quei soldi solo per potermi rivolgere la parola… non sarebbe stato più semplice parlarmi direttamente e dirmi che ti piacevo?” Lei gli diede un colpetto nello sterno, ridendo, ma subito dopo si incupì leggermente, anche se tuttavia un leggero rossore si era posato sulle sue guance, come petali di una rosa. “Ryo… mi spiace di essere scappata quella notte. Io… mi sono spaventata. Non mi ero mai sentita così prima di allora, era quasi… totalizzante. E poi ho agito d’impulso, sul momento non ho voluto capire che comprare quelle proprietà era il tuo modo di mettere al sicuro il patrimonio della mia famiglia. dalla mia famiglia.”

“Non importa, Kaori… e poi ti capisco. Anche io ho avuto paura, non mi ero mai sentito così con nessuna… forse per questo non sapevo bene come comportarmi, ed invece che essere onesto ti ho nascosto cosa stavo facendo. L’importante però  è che siamo arrivati qui, ora, non credi?” Le rispose. Prendendo le dita di Kaori nella sua mano, le portò alle labbra, posandovi un delicato bacio. “Ti andrebbe di risposarmi? Stavolta facendo le cose per bene… niente giudici al tavolo del Black jack, ma i nostri amici e le nostre famiglie, vere promesse, e magari pure la luna di miele. Non siamo obbligati ad andare lontano, potremmo passare due settimane immersi nel verde di Amami, solo noi due, da soli, niente telefoni, niente staff… ho anche una spiaggia privata, una piccola distesa di sabbia rosa contornata da vegetazione su cui si affaccia una meravigliosa cascata ed un lago...potremmo fare il bagno nudi, fare l’amore nell’acqua, sulla sabbia… contro un albero magari! ”

“Ryo!” Arrossendo, gli diede uno scappellotto, mentre lui ridacchiava come un ragazzino sciocco. Kaori sospirò, alzando gli occhi al cielo, eppure, non riusciva a smettere di sorridere. “In realtà, visto il disastro che ho combinato alle mie due precedenti nozze non penso che sia molto intelligente organizzare un altro matrimonio, ma dato che insisti così tanto, forse un tentativo per te potrei farlo… forse!”

“Beh, intanto che ci pensi permettimi di farti il regalo di nozze!” Ryo scoppiò a ridere, facendole l’occhiolino. Si allungò dietro al divano, afferrando un pacco avvolto in carta marrone. Kaori lo prese, titubante, dalle sua mani, e lo scartò con estenuante delicatezza, ed il fiato le mancò in gola quando vide cosa conteneva.

Donna in camicia.

Ryo le aveva regalato il loro quadro, quello che lui aveva sempre ritenuto che la rispecchiasse alla perfezione, il quadro di cui lei gli aveva parlato la loro prima volta insieme, e che lui aveva poi acquistato per la sua collezione personale per quel semplice motivo, perché l’aveva ascoltata, e aveva dato peso a ciò che lei diceva.

E adesso, ne faceva dono a lei.

“Oh, Ryo…” con le lacrime agli occhi, tirando su col naso nemmeno fosse una bambina, mentre la tela cadeva a terra, lei gli gettò le braccia al collo, divorando la sua bocca con famelici baci che Ryo fu ben felice di ricambiare, sorridendole sulle labbra mentre le mani la tenevano stretta al suo corpo virile, desiderose di non lasciarla andare, mai più, per nessun motivo al mondo. Proprio come a lungo aveva desiderato, finalmente aveva il tesoro che aveva bramato per anni, il cuore di Kaori - e Kaori aveva il suo. Possedeva tutto di lui. Il suo corpo, la sua anima, la sua mente. Fino a che avessero avuto respiro.

 

Un anno dopo…

Era finalmente arrivata la primavera, e le vie di Tokyo erano colme di turisti provenienti da tutto il mondo, giunti per assaporare la fioritura dei ciliegi. Era il festival dell’Hanami, il periodo dell’anno preferito da Kaori, aveva da poco compiuto gli anni (come anche Ryo, il cui compleanno cadeva pochi giorni prima del suo), ed era circondata da persone che la amavano davvero, apprezzandola per chi era e non per cosa potesse rappresentare per loro.

C:\Users\eli\Google Drive\city hunter\Grafica\gossip magazine cover.jpgKaori si guardò intorno, seduta sulla verde erba del parco cittadino, i petali rosa che le cadevano sul capo, leggeri come la prima neve; Ryo e Hide erano appoggiati alla balaustra di un ponticello, facendo vedere al nipotino di Kaori le ochette che nuotavano spensierate nel piccolo torrente e afferravano i pezzetti di pane che il bambino ed il padre lanciavano loro. Come se avesse avvertito lo sguardo della moglie su di sé, Ryo si voltò, e rimasero incatenati l’uno all’altra per lunghi e interminabili momenti di pace interiore, che trasmettevano a chiunque vedesse l’enormità del loro amore, quanto si amassero e adorassero. 

Ryo le sorrise, abbassando leggermente gli occhi sul ventre di Kaori: ormai mancavano solo più un paio di mesi all’arrivo della piccola Midori, che avrebbe portato il nome della nonna paterna di Ryo, nelle loro vite.

Con emozione, Kaori si portò una mano sulle labbra, mentre gli occhi le brillavano per la gioia: al prossimo festival dell’Hanami anche loro, come i loro amici, come suo fratello, sarebbero stati genitori… Mick e Kazue avevano avuto una bambina, che avevano deciso, simpaticamente, di chiamare Gabriella, e anche Miki ora era madre, anche se suo figlio, Masato, era solo un neonato.

Quei tre pargoli sarebbero stati presto raggiunti da un quarto, ed i padri già bisticciavano e si punzecchiavano chiedendosi se crescendo qualcuno di loro si sarebbe innamorato. Kaori non poteva saperlo, nessuno poteva prevedere il futuro, ma era certa che avrebbe permesso a sua figlia di scegliersi da sola la sua strada, il suo destino… ed il suo amore, nessuno l’avrebbe usata come suo zio  e sua amdre avevano fatto con lei. 

Mani sul grembo, la donna sospirò. Lei e Ryo stavano gradualmente ricostruendo i rapporti con le loro famiglie d’origine, specie con certi soggetti in particolare… il primo passo era stato avere un vero matrimonio, con tanto di prete, nella deliziosa cappella di Okutama, fuori Tokyo, dove anche Miki si era sposata. Ryo aveva indossato uno smoking,  lei un abito bianco -disegnato in esclusiva per lei dall’amica Eriko-  che più classico non poteva essere, per la gioia di sua madre. Avevano perfino venduto l’esclusiva nientepopodimeno che all’Intelligencer, dietro la promessa che la somma ricevuta non sarebbe andata a loro ma ad un ente di beneficenza. I Kaibara, i Makimura ma anche i Saeba avevano partecipato alla cerimonia, che si era svolta senza intoppi, e adesso che un erede di entrambe le dinastie era in arrivo, erano tutti più sereni. Anche la madre di Ryo era divenuta più accondiscendente, nonostante  Kaori fosse certa che lei vedesse quel bebè come solo un Kaibara, anche se buona parte del merito era di Hide, che dopo aver parlato con Ryo e appreso appieno i sacrifici che lei aveva fatto, e i sotterfugi messi in atto dalla loro famiglia, aveva deciso di prendere maggiormente in mano la situazione e dedicarsi agli affari dei Makimura, congiuntamente a Kaori e Ryo.

“Ehi, tutto bene?” Ryo le domandò, sedendosi accanto a lei e poggiandole un braccio attorno alle spalle, mentre le dava un delicato bacio sul collo; Kaori, riportata al loro bellissimo presente, non poté fare altro che acconsentire, sorridente. “Beh, rilassati adesso finché puoi… se penso che domenica abbiamo  a pranzo tutte e due le nostre famiglie mi vengono i brividi…”

“Già… se tuo padre batte ancora una volta mio fratello a scacchi mi sa che scorrerà il sangue!” Kaori scoppiò a ridere, mentre il ciondolo antico che portava al collo catturò i raggi del sole, risplendendo.  Ryo lo prese tra le dita e lo guardò, giocherellandoci, pensieroso: era stato Shin a regalarlo a Kaori, e Sonia le aveva raccontato la storia di quel monile, che aveva scoperto curiosando tra vecchi archivi e raccolte di antichi racconti. Alla fine, la giovane aveva avuto ragione, e aveva scoperto la storia di Himari Makimura. Unica figlia femmina di Kazuo Makimura, promessa, innamorata e ricambiata del loro vicino, Shinichi Kaibara. Un vecchio molto benestante si era però innamorato della ragazza, ed il padre di lei non aveva esitato a rompere il fidanzamento della figlia, vendendola al miglior offerente… Shinichi aveva giurato amore eterno alla bella Himari, a cui aveva donato quel ciondolo, e sempiterno odio al padre di lei, un odio che si sarebbe dovuto mantenere per tutte le generazioni a venire. 

Alla fine, però, l’amore aveva trionfato, ed i clan Makimura e Kaibara si erano ritrovati finalmente uniti, secoli dopo quel primo giuramento infranto; la guerra era finita, ed un giorno, le proprietà che erano state dei Makimura sarebbero passate ai figli di Kaori, con l’eccezione di quelle che lei aveva donato al fratello: Hide si era allontanato dalla famiglia per seguire la sua strada, ma Kaori desiderava che comprendesse che, agli occhi del padre, erano stati tutti uguali… lui li aveva amati allo stesso modo, e forse se non fosse mancato prematuramente, avrebbe potuto decidere meglio di chi avrebbe dovuto amministrare i beni di famiglia nel tempo.

Intanto, però, lei adesso aveva le mani occupate con il loro presente, e la gioia che la loro famiglia le donava, giorno dopo giorno, e presto a riempiere le sue giornate ci avrebbe pensato sua- loro- figlia.

E chissà cos’altro avrebbe riservato loro la vita… dopotutto, Kaori non si era mai immaginata quello scenario, che si potessero innamorare, sposare, lasciare e tornare insieme… poco più di due anni prima era stata intenta ad organizzare la cerimonia perfetta con l’uomo ideale, e la vita invece le aveva riservato quella sorpresa, facendole scoprire come l’unico uomo con cui non credesse possibile avere un futuro fosse in realtà quello giusto…

Accoccolandosi contro il petto di Ryo, Kaori si disse che non vedeva l’ora di vivere quel viaggio con lui, giorno per giorno.

 

[nota: la fan-art di City Hunter inserita all’interno della storia è di @pound_poundy, su twitter]

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