Tu sei quel destino che mi porto dentro

di Sadele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il viaggio ***
Capitolo 2: *** Mai una gioia ***
Capitolo 3: *** SENTIRSI A CASA ***
Capitolo 4: *** Perdersi per poi ritrovarsi ***
Capitolo 5: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 6: *** Dal passato non si sfugge ***
Capitolo 7: *** Al peggio non c'è limite ***
Capitolo 8: *** Lasciarsi andare ***



Capitolo 1
*** il viaggio ***


IL VIAGGIO

 

In viaggio la cosa migliore è perdersi.

Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano il posto alle sorprese,

ed è allora, ma solamente allora, che il viaggio comincia”

Nicolas Bouvier

 

Nella vita ci vuole organizzazione, costanza e forza di volontà, certo anche un pizzico di culo non guasta..ma fondamentalmente è un di più.

Questa frase Emma se l'era ripetuta fino alla nausea negli ultimi dieci anni.

Lei era l'esempio lampante di quello che si dice applicare uno schema e seguirlo alla perfezione.

Nella sua vita aveva sempre organizzato e pianificato tutto, dagli studi alla vita privata, il suo ragazzo ad un certo punto se ne era andato per la disperazione, sapeva già quando l'avrebbe sposata, quando avrebbero avuto il primo figlio eccetera eccetera, che gusto c'era a stare ancora con lei?

Emma era rimasta scioccata, non tanto per il dispiacere della fine di un rapporto, ma perchè, per la prima volta qualcuno aveva disorganizzato i suoi piani.

Eppure non era sempre stata così estrema, non che da bambina fosse una scavezzacollo, ma insomma, nemmeno un generale delle SS. A pensarci bene però Emma sapeva quando aveva iniziato a programmare ogni secondo della sua vita. Bisognava tornare indietro di ben 15 anni, a quando il suo migliore amico se ne era andato facendo ritorno al suo paese d'origine.

Emma aveva sofferto molto, più di quello che aveva dato a vedere. Lui era il suo alter ego, la sua parte mancante riusciva a farle fare cose che da sola non si sarebbe mai sognata, come quella volta in cui si introdussero furtivamente nell'orto del vicino di suo nonno a rubare le pesche.. che scorpacciata!!

“dai bicchiere di latte, lasciati andare, rilassati ogni tanto” le diceva sempre. Quel soprannome Emma lo aveva odiato, fin dal primo giorno di scuola, quando conobbe Yhassin.

Lei era una bambina seria, composta, educata, due trecce ordinate e tante lentiggini sul naso.

Lui sempre allegro, scomposto, con quel sorriso canzonatorio stampato perennemente sul viso. Pelle color caramello e capelli neri , occhi vivaci e irriverenti, sempre luminosi tanto che sembrava avessero il sole dentro.

Il loro incontro non era stato dei più felici, la maestra li aveva messi vicini di banco perché sperava che Emma avesse un effetto calmante su di lui ma, in realtà, era successo l'esatto opposto.

La bambina dalle trecce rosse non sopportava caramello, cosi lo aveva soprannominato, lui riusciva sempre a renderla nervosa e a tirare fuori il peggio di lei. Le ci volle un bel po' per capire che quello non era il peggio ma il meglio di lei.

Yhassin era arrivato in terza elementare, era più grande di due anni ma per via della lingua straniera lo avevano retrocesso. Il suo modo di fare da sbruffone bulletto ad Emma non era mai piaciuto, per contro lui non faceva nulla per farsi voler bene, anche con i suoi compagni si comportava male era dispettoso e un po' stronzo.. ecco si quella era la parola giusta.

La maestra un giorno decise di dare un compito di realtà ai bambini. Dovevano dividersi in coppie e trascorrere un fine settimana insieme cercando di andare d'accordo. Poi avrebbero dovuto raccontare in classe come era andata.

Emma era disperata, non voleva passare il fine settimana con quel cavernicolo, era certa che lo avrebbe strozzato.

Quello che era iniziato come un incubo si era trasformato nel fine settimana più divertente di sempre. Anche se erano stati beccati dal padrone dell'orto a rubare le pesche.

Da quel giorno la loro amicizia crebbe e spesso Yhassin andava a casa di Emma a studiare, lui ci guadagnava in voti e lei si ammorbidiva caratterialmente.

I genitori di Emma avevano preso il bambino in simpatia e spesso lo avevano invitato anche a dormire da loro. Si rendevano conto della situazione difficile in cui viveva. Insomma la famiglia di Emma lo aveva praticamente adottato.

Il soprannome bicchiere di latte non le sembrava nemmeno più tanto brutto.

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“Emma Masini!!! si può sapere dove sei finita ti aspetto nel mio studio da quasi mezz'ora” la voce di Eugenio si era sentita fino in fondo al corridoio, “si può sapere cosa gli hai fatto per farlo incazzare cosi'?” le disse Erica sua collaboratrice nonchè amica.

“Credo che se non ti decidi ad andare da lui saranno guai seri”.

“uff, non voglio andarci, so già cosa vuole chiedermi e io non ho intenzione di dargli retta”. La sua amica la guardava incredula, lei che era miss precisina e non sgarrava una virgola, “intanto vai da lui poi ne parliamo, non voglio ritrovarmi in mezzo ad una strada.”

Emma era capo redattrice di una rivista scientifica che si occupava, tra le altre cose, anche di siti archeologici, e in quel periodo stavano seguendo uno studio in Egitto. Era stato rinvenuto un nuovo sito in un paesello sperduto nel deserto, e il suo capo Eugenio Martini voleva saperne di più.

Non si era accontentato del reportage fotografico che Emma si era procurata da alcuni colleghi in loco, no lui voleva spedircela di persona.

“Non se ne parla, io non ci vado in mezzo al nulla e ai cammelli.” disse incrociando le braccia al petto.

Il fatto era che Emma odiava volare e per di più odiava le situazioni estreme.

Non le piaceva per nulla, poi in quei posti non era sicuro viaggiare per due ragazze sole. “Non fare la bambina.. tu ci andrai e basta, avete il volo per domani alle 11. qui ci sono i biglietti e i riferimenti della guida. Quando arriverete vi accompagnerà in albergo e poi direttamente al sito.” Emma sbuffò prese i biglietti girò i tacchi e se ne andò.

“wow, ma è strepitoso, una vacanza in Egitto” esultò Erika, “frena i cavalli amica mia, siamo praticamente nel buco del culo del mondo, in mezzo ai cammelli, caldo, polvere e trogloditi.. e tu la chiami vacanza..? E' un incubo ecco cos'è!!” brontolò sconsolata.

 

Per Emma quella fu una notte da dimenticare, non riusciva a prendere sonno e in più aveva la costante ansia di aver dimenticato qualcosa, dover preparare le valigie in mezza giornata non era certo nei suoi piani.

La sveglia la avvisò che era ora di alzarsi, si guardò nello specchio del bagno, era orribile, uno zombie a confronto era più accattivante. Decise di farsi una doccia e un doppio caffè cosi da svegliarsi un po'.

Mentre sorseggiava il suo caffè, nero, bollente e rigorosamente amaro, lo sguardo le cadde su una foto, l'unica che avesse conservato del passato. Lo scatto la ritraeva insieme al suo migliore amico proprio l'ultima estate che avevano passato assieme. Aveva 13 anni. Sorrise osservando la foto, la prese e sospirò, “tu guarda che cosa mi hai fatto Caramello, senza di te qui è stato tutto molto difficile...” la guardò ancora un attimo e poi la mise al suo posto.

 

“ei bicchiere di latte ti vuoi muovere? Arriveremo in ritardo” un attimo, bisogna essere certi di avere tutto, la crema solare, l'asciugamano, il doccia schiuma, il pettine..” “bla bla bla..e che palle... lasciati andare ogni tanto, senza pettine non muori mica...!!!!” “uffa, cafone di un caramello che non sei altro...” “e dai ci sarà da divertirsi... tuffo a BOMBAAAA!!!!”

 

il ricordo di quella giornata al mare non la voleva abbandonare, chissà perchè. Da quando aveva guardato quella foto non faceva che ripensarci. Era davvero stata una giornata divertente, ma poi, il giorno dopo era arrivata la brutta notizia come una secchiata di acqua gelida: Yhassin se ne sarebbe andato.

 

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Capitolo 2
*** Mai una gioia ***


MAI UNA GIOIA

 

Il destino mescola le carte e noi giochiamo.”
ARTHUR SCHOPENHAUER

 

il volo era in ritardo, era partito quasi due ore dopo, avrebbero dovuto atterrare per le 15 e invece erano le 17 e ancora non erano arrivate. Emma era nervosa e non faceva che lamentarsi, “ecco lo sapevo che non ci volevo venire in questo posto” “ e dai Emma Rilassati..” disse Erika “non mi dire così, io non mi rilasso, l'ultimo che si è rilassato da queste parti è sparito e non lo hanno più trovato” disse.

Il comandante annunciò l'imminente atterraggio, “finalmente..”

Emma era impaziente di mettere i piedi per terra, e la sua amica non vedeva l'ora di conoscere un po meglio quei luoghi così affascinanti.

Giunte in aeroporto si guardarono intorno per cercare la guida. Emma aveva il nome su un biglietto, tentò di pronunciarlo ad alta voce ma nessuno sembrava rispondere a quel nominativo. “iniziamo bene” desse Emma sconsolata. “vieni andiamo a recuperare le valigie poi torniamo a cercare la guida.”

 

“Come sarebbe non ci sono, state scherzando?”gridò Emma in inglese al tizio del recupero bagagli.” Mi dispiace signorina, deve esserci stato un disguido” “te lo do io il disguido, e secondo lei come ci vado in giro.... COSI'?” Indicandosi i vestiti che indossava. Poi iniziò a sproloquiare in italiano insulti di vario genere, al suo capo, al destino alla sfiga echi più ne ha più ne metta.

“cerca di calmarti Emma, adesso andiamo in albergo e domani ci facciamo accompagnare a fare shopping”. Non lo avesse mai detto..”cooosa, ma dove credi di essere a Parigi, guardati intorno, guarda come vanno in giro vestite le donne qui, ammesso che tu ne trovi una. E in più non ho nemmeno lo spazzolino da denti”. Sentiva le lacrime salire, non sarebbe mai dovuta partire, lo sapeva che sarebbe stato il viaggio della speranza. In più della guida nemmeno l'ombra. Decise così di chiamare il suo capo, e dirgliene quattro.

“ohh finalmente carissime, come sta andando?” rispose Eugenio allegramente.

“siamo ancora in aeroporto, ci hanno perso le valigie con tutto dentro, compreso il materiale per il lavoro, e della guida non c'è traccia, trai tu le conclusioni. Io aspetto il primo volo per l'Italia e torno indietro, e poi ci vieni tu qui a fare l'intervista” disse prima di tirare giù la comunicazione.

Emma era seduta su una panchina con la testa tra le mani, dovevano aspettare per la denuncia di smarrimento, forse sarebbero riusciti a rintracciare i bagagli e farli tornare con un volo ma non certo prima di due giorni.

Erano le 19 di giovedì e causa uno sciopero non ci sarebbero stati voli fino al sabato. Anche volendo non sarebbe potuta tornare.

Erika la osservava, iniziava a chiedersi se fosse lei a portare sfiga. In ogni caso era una bella rogna. “ehi, dai non fare così, in fondo tra poco ci lasceranno andare, chiamiamo un taxi e ci facciamo portare in albergo almeno potremo riposare, poi domani cerchiamo di risolvere la situazione. Cosa mai potrebbe andare pegg....” “non dirlo!!” la zitti Emma. “lo sai anche tu che al peggio non c'è limite”. Erika storse la bocca ma non disse nulla. Infondo la sua amica aveva ragione, quella non sembrava proprio una vacanza....piuttosto uno di quegli incubi dove tutto va storto e non riesci a svegliarti.

 

L'albergo sembra meglio di quello che avevano immaginato, dopo tutto ciò che era successo, si aspettavano una topaia e invece era un hotel a 4 stelle.

Emma ringraziò Dio in tutte le lingue conosciute più una, non le sembrava vero, finalmente una cosa dritta in un mare di disgrazie.

L'hotel aveva anche un piccolo negozio così le ragazze si comprarono il necessario per lavarsi e dormire.

Dopo una cena degna di questo nome andarono nella loro stanza.

Una telefonata avvisò Emma che il giorno seguente una nuova guida le avrebbe aspettate nella hall e le avrebbe accompagnate a comprare dei vestiti e dopo al sito archeologico.

Forse fu la stanchezza o le lenzuola profumate, ma dopo la giornata da incubo Emma si addormentò tranquilla. Aveva solo bisogno di staccare la spina almeno fino al giorno dopo.

Erano circa le 8 del mattino quando finirono di fare colazione ed uscendo dalla sala trovarono ad attenderle la loro nuova guida.

Un ragazzo sui 20 anni, alto scuro, come tutti gli abitanti del posto, capelli rasati abito scuro e formale.

Emma lo guardò da capo a piedi, “e questo dovrebbe farci da guida..mio Dio, ma è un bambino” “Emma non fare come al solito, in fondo sembra carino” disse Erika che lo stava osservando intensamente. “oh per favore, non varrai mica provarci, primo non è professionale e poi ti arrestano per pedofilia..” Erika non rispose e si limitò a scuotere la testa.

“e dai, lasciati andare ogni tanto...” le disse infine, sapendo quanto Emma detestasse quella frase.

“buongiorno Signorine, mi chiamo Habuk, e sono al vostro servizio”.

“Ciao Habuk, per prima cosa abbiamo bisogno di comprare dei vestiti, ci hanno perso le valigie e abbiamo solo questo” disse Erika indicando i loro vestiti.

“non c'è problema vi porto in un posto dove troverete sicuramente quello che fa al caso vostro”.

Il ragazzo aveva una guida orribile, Emma era aggrappata alla portiera e teneva gli occhi chiusi “giuro che se inchioda ancora una volta gli vomito la colazione in testa..” disse con espressione disgustata. “Hei Schumacher puoi darti una calmata, ci vorrei arrivare intera al negozio” disse Erika con tono ironico. Emma non parlava era troppo concentrata a non vomitare.

Finalmente si fermò davanti ad un negozio di abiti tradizionali.

“eccoci arrivati disse il ragazzo invitandole ad entrare.

Emma si guardò in torno, “ma cos'è uno scherzo?” chiese scocciata. Ogni abito presente nel negozio era lungo, molto coprente, largo, si passava dal Kaftano al velo, all'abito lungo tipico delle donne arabe, ci mancava solo il burqa e poi erano a posto.

Erika era estasiata, si guardava intorno accarezzando quelle stoffe leggere e impalpabili, “che meraviglia, davvero possiamo vestirci così?” chiese più a se stessa in realtà. “non mi dirai che ti piace questa roba?” chiese Emma stizzita. “EHM EHM scusate se mi permetto, ma qui di giorno fa molto caldo e stiamo per andare in una zona desertica quindi meglio un abito coprente. “

la commessa era una ragazza garbata e graziosa, vestita con un pantalone nero e una tunica colorata lunga fino al ginocchio, portava un velo leggero che le copriva solo i capelli ma il viso era scoperto.

Era bella e nell'insieme ad Emma non dispiacque quell'abbigliamento.

Dopo averle spiegato quello che stavano cercando la ragazza le portò nel retro, fece provare loro una serie di vestiti.

Alla fine riuscirono a trovare qualcosa, ma Emma continuava a sentirsi ridicola a vestirsi così. Aveva un pantalone in lino bianco e sopra una tunica anch'essa bianca. Erika era vestita in modo simile.

Per fortuna erano riuscite a trovare anche abiti più normali. Sempre molto castigati ma si sa.. in certi luoghi meglio non esagerare.

“bene ora possiamo andare al sito?” chiese Emma.

“Certo signorina, partiamo subito”.

“quanto ci vorrà?” “o poco, state tranquille al massimo un ora e ci siamo” “Cooosa?” gridò Emma “non preoccuparti, con la mia guida anche meno!!”

“come no, sempre se ci arrivo viva”.

 

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Capitolo 3
*** SENTIRSI A CASA ***


SENTIRSI A CASA

 

Prima di partire per un lungo viaggio
devi portare con te la voglia di non tornare più.”

Irene Grandi

 

 

Durante il viaggio in auto Emma si perse nei ricordi, quella era la terra del suo migliore amico, era sciocco considerarlo ancora così dopo 15 anni e, soprattutto, dopo che lui non le aveva mai telefonato o scritto nemmeno una cartolina.

Forse fu più quello a farla soffrire che non la partenza vera e propria. Se lui avesse tenuto almeno un po alla loro amicizia avrebbe trovato un modo per mantenersi in contatto.

Il giorno in cui si salutarono Emma era distrutta, le lacrime le rigavano il viso e Yhassin, forse per la prima volta, aveva gli occhi tristi.

Ricordava ancora, come fosse ieri, lo sguardo che le regalò, quell'abbraccio disperato e quel bacio dato a mezza bocca che aveva lasciato Emma turbata e con le guance in fiamme.

Era sicura che anche a lui costasse molto quella partenza ma evidentemente se ne era dimenticato in fretta.

Non fu così per Emma, lei quel saluto lo portò nel cuore per lungo tempo e forse in qualche angolino nascosto era ancora presente.

Forse era per questo motivo se nella vita si era chiusa in se stessa, aveva tirato su dei muri degni del miglior costruttore, cemento armato, impenetrabile ed indistruttibile. Si era protetta dalla sofferenza ma aveva fatto sicuramente soffrire a sua volta e non andava certamente fiera di ciò.

All'alba dei 30 anni, non si poteva certo dire che avesse un bilancio positivo da fare, erano tante le cose che avrebbe voluto cancellare volentieri o almeno poter modificare.

 

“ehi bicchiere di latteee...ci sei?” disse il bambino sventolando la mano davanti al suo naso. “che vuoi, quante volte ti devo dire di non chiamarmi così... sei irritante” ma proprio vicino a lei dovevano metterlo, era peggio di un moscone fastidioso, sempre a prenderla in giro. “oggi vieni con me in un posto?” “dove vorresti andare?” gli chiese Emma sconsolata.

A fare i tuffi. “coosa? Ma sei matto? Siamo a novembre?” “e allora... è divertente, dagli scogli. Ho bisogno che qualcuno mi tenga i vestiti” aveva un sorriso contagioso Yhassin, quando rideva lo faceva anche con gli occhi, quegli occhi che ti facevano sentire sempre a casa ovunque tu fossi.

Cosi Emma non seppe dire di no, lo accompagnò in quell'avventura sciocca e fu sorprendentemente divertente.

Tutto, con lui, era semplice come bere un bicchiere d'acqua.

Lui non trovava scuse, se gli andava di fare una cosa la faceva anche a costo di mettersi nei guai come quella volta delle pesche.

 

Emma si era persa nei suoi ricordi d'infanzia quando l'auto si fermò. Non si era nemmeno accorta che erano arrivati.

Si guardò intorno, era un posto piuttosto isolato, brullo, senza vegetazione. “ma non doveva essere una fattoria?” chiese Erika. “Qui non c'è altro che polvere ed erba secca...”

“da queste parti non c'è molta vegetazione, siamo nel deserto” disse Habuk. “Qui vicino sorge il sito di Giza, e comunque, questa terra fino a pochi mesi fa era coltivata ad erba per le capre. Da quando hanno scoperto il sito archeologico il proprietario ha lasciato andare tutto e ha venduto le capre.”

L'aspetto desolato di quel luogo mise tristezza alle ragazze, certo doveva costare molto sacrificio allevare bestiame in quel posto e lottare quotidianamente contro la desertificazione.

“venite, il signor Mohamed vi aspetta da questa parte”.

Sentendo quel nome Emma ebbe un tuffo al cuore, era il cognome del suo amico, ma d'altra parte qui si chiamavano tutti così, non sarebbe stato strano trovare un omonimo.

Si fermarono davanti ad una casa bassa, in pietra bianca, ad un piano con il tetto piatto anch'esso bianco. Accanto alla casa c'era un'altra struttura, doveva essere la stalla, pensò la ragazza. Certo che quel posto le metteva i brividi, come si può vivere in un contesto simile, era certa che non ci fosse nemmeno l'acqua corrente.

L'autista bussò alla porta, e gli aprì un uomo sulla cinquantina basso e grassoccio, a giudicare dall'aspetto non era certo un Egiziano. “Se cercate Il signor Omar Mohamed” non è qui, è allo scavo, ha detto di raggiungerlo la”.

“grazie mille Robert, ci andiamo subito”.

Parlavano in inglese il che confermò ad Emma la sua teoria sull'origine dell'uomo.

“venite per di qua”. “ma tu come fai a conoscere così bene questo posto ?” gli chiese Erika. “be io qui sono di casa, il proprietario è mio cugino, e quando abbiamo saputo del disguido con il precedente autista, mi sono offerto di venire io a prendervi.” il ragazzo era in imbarazzo, ma era ovvio che non fosse un autista di mestiere, era un cane nella guida. Tuttavia Erika non si sentì di dire nulla. Probabilmente quello era il lavoro più onesto che avrebbe potuto avere. Ed in fondo a loro non importava più di tanto. Avrebbero fatto questa benedetta intervista ed entro domenica sarebbero tornate alla civiltà.

Lo scavo distava qualche minuto a piedi, quando arrivarono notarono subito in lontananza i macchinari e gli uomini intenti a sollevare la terra e le pietre. Era un lavoro molto delicato, non si poteva sapere cosa nascondesse il sottosuolo e quindi bisognava procedere con cautela.

Una figura si avvicinò a loro, era un uomo, alto e ben piazzato fisicamente, aveva pantaloni e camicia di cotone chiari, e sporchi di polvere.

I capelli ricci e neri contornavano un viso anch'esso scuro.

Man mano che si avvicinava, Emma potè notare che quella che le sembrava una folta barba era in realtà una mascherina per proteggersi dalla polvere. Quando l'uomo fu a pochi metri da loro le ragazze notarono che era giovane, all'incirca della loro età, aveva il volto quasi interamente coperto da quella specie di bavaglio e si vedevano solo gli occhi, neri come la notte.

Emma lo guardò, per un attimo pensò che quegli occhi avessero qualcosa di famigliare, l'uomo iniziò a parlare con Habuk nella sua lingua, probabilmente gli stava chiedendo chi fossimo. “ehm ehm , scusa Habuk, puoi dire al signore che siamo qui per l'intervista”? Disse Emma spazientita, non le piaceva quando qualcuno parlava una lingua che lei non conosceva.

“Puoi farci da interprete per favore, così faremo prima”.

Il tizio che doveva essere il signor Mohamed si voltò verso Emma e disse: ”non c'è bisogno dell'interprete, ti capisco benissimo”. Poi gli occhi gli si illuminarono all'improvviso e anche se aveva la bocca coperta Emma era certa che stesse sorridendo, rimase impietrita con la bocca aperta come colta da una folgorazione.

Era consapevole Di essere osservata, Erika e Habuk la stavano guardando curiosi.

L'uomo si abbassò la mascherina e un bellissimo sorriso luminoso si aprì su quel viso scuro. A Emma parve impossibile, non riusciva a credere ai suoi occhi, non era cambiato di una virgola, sempre la stessa faccia da schiaffi, il sorriso irriverente e quella luce negli occhi... “Yhassin” sussurrò con la voce rotta dall'emozione e senza pensarci volò fino a lui e gli gettò le braccia al collo, sotto lo sguardo sbigottito degli altri due.

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Capitolo 4
*** Perdersi per poi ritrovarsi ***


PERDERSI PER POI RITROVARSI

 

 

Quel miracolo lì,

di incontrarsi per doversi dire addio

e annegare in un abbraccio che sa di nuovo inizio”

 

Emma non riusciva a credere che fosse proprio lui, le braccia del ragazzo si strinsero sui suoi fianchi e la fecero volteggiare per poi rimetterla con i piedi per terra.

Fu lui a sciogliere l'abbraccio, la guardò negli occhi e scosse la tesa, “sei proprio tu...?” disse, “si... e tu non sei cambiato per niente” commentò Emma riabbracciandolo stretto... “ehi vacci piano, se continui ad abbracciarmi in questo modo mi farò un'idea sbagliata delle tue intenzioni...!!” “e cioè.. quale idea?”chiese Emma ingenuamente “ “non hai più 13 anni, non puoi saltarmi addosso in questo modo... potrei fraintendere...” disse sogghignando. Emma si irrigidì e le sue guance si infuocarono. A quel punto Yhassin non riuscì a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata. “bicchiere di latte... nemmeno tu sei cambiata di una virgola, è sempre divertentissimo prenderti in giro” disse tra le risa. Emma lo fulminò con lo sguardo...”stronzo...”sibilò.

“scusate se mi intrometto in questo siparietto, io Sono Erika, collega e amica di Emma, è un piacere conoscerti”. “ma tu guarda, Emma è migliorata, è riuscita a farsi un amica femmina”.

“come prego?, dalle mie parti il sostantivo “FEMMINA” lo usiamo per indicare i gatti e i cani. Donna, si dice Donna”! Disse Erika un po sarcastica ma neanche troppo. “chiedo scusa, DONNA, se non sbaglio avevamo un intervista da fare?”.

Erika rimase a bocca aperta.

Emma sorrise e si girò verso la sua amica che iniziò a sproloquiare qualcosa in Napoletano, sua città natale, sicura che li non l'avrebbe capita nessuno.

“guarda che ti capisco, il Napoletano è internazionale...disse Yhassin in tono sarcastico” “merda...” fu la risposta di Erika.

 

“Perchè Robert ti ha chiamato Omar?” “perchè Omar è il mio primo nome, quello di mio nonno, ma tutti mi hanno sempre chiamato Yhassin, però formanlmente per lavoro uso il mio primo nome” “e come ti devo chiamare?”chiese Emma “tu puoi chiamarmi Yhassin”.

 

“E così questa è la tua proprietà?” chiese Emma, era molto curiosa di sapere qualcosa di lui, come stesse ma, soprattutto, che cosa avesse fatto in questi 15 anni; probabilmente era sposato, magari anche due o tre volte e con una valanga di figli.

Non poteva certo fargli il terzo grado e allora si limitò ad essere professionale.

“si, questa terra era di mio nonno e di suo nonno prima di lui, insomma è della mia famiglia da una marea di generazioni.

Un tempo era una fattoria molto più florida, ma negli ultimi anni la desertificazione ha creato non pochi problemi”.

“si lo vedo, sembra deserto”. “ci procuravamo l'acqua con un irrigazione artificiale, vedi quei canali? Da li ci arrivava l'acqua per irrigare i campi e per le capre. Ma ci costava parecchio. Ultimamente non c'era più convenienza.”

“dev'essere stato difficile prendere la decisione di vendere” chiese Erika.

“si, io sono nato qui, e qui è nato mio padre. Quando siamo tornati per aiutare mio nonno ci siamo impegnati molto, mio padre ha messo tutto quello che aveva in questa polveriera.

Ma alla fine ci ha solo rimesso la vita.”

“tuo padre è morto? Mi dispiace tantissimo” disse Emma.

“già, sono ormai 4 anni, è morto di infarto, una sera si è addormentato e non si è più svegliato.”

Il ragazzo abbassò lo sguardo, Emma poteva sentire tutto il suo dolore, avrebbe voluto abbracciarlo per dargli conforto. Yhassin era molto legato al padre, era venuto in Italia con il fratello maggiore e aveva lasciato in Egitto la madre e le sorelle.

“il resto della tua famiglia? Come ha preso la decisione di vendere?”

“mia madre dopo la morte di mio padre è caduta in depressione e si è trasferita da mia sorella e suo marito a Il Cairo, lui è un medico e hanno le possibilità di aiutarla, in più ci sono i nipoti che la tengono impegnata.

Mio fratello è in Europa da 10 anni. È sposato con una tedesca, e non lo vedo praticamente da allora.”

“avevi un'altra sorella se non ricordo male” “si Haisha, è la più piccola, anche lei è sposata, vive qui... da qualche parte, ma non siamo in buoni rapporti”.

Emma si rattristò, lui era lo spirito libero della famiglia, e alla fine è stato proprio lui a rimanere imbrigliato qui dove non sarebbe mai voluto tornare.

Emma ricordava bene i racconti di Yhassin sulla scuola in Egitto, sulle punizioni corporali per quelli come lui che non seguivano le regole. Chissà che cosa avrà dovuto passare.

“comunque ho deciso di vendere ora perché il gioco valeva la candela”, disse. “Dopo il terremoto e la scoperta del sito archeologico ho pensato che finalmente Allah si era ricordato di me.”

“ Dio è grande” disse Habuk, “ah lo sai cugino come la penso, io non sono molto religioso, e non credo che Dio ci aiuti. Siamo noi che ci dobbiamo dare una mossa se vogliamo andare avanti. Ma forse in questo caso può averci messo uno zampino.” sorrise, ma era un sorriso amaro, di chi in qualche modo aveva perso la speranza, aveva sofferto e ora si vedeva portare via tutto ciò per cui aveva lottato.

Dopo la visita al sito e ancora qualche domanda di rito, tornarono al punto di partenza.

“dobbiamo tornare in albergo, ma mi piacerebbe rivederti prima di partire” disse Emma. “Be potreste portarci in qualche locale tipico a gustare i piatti del luogo. Non in quei posti tutti uguali spella turisti” disse Erika.

“UH si cugino, ci sarebbe un posto carino potremmo organizzare questa sera a cena che ne dici?” Yhassin rispose in arabo e dal tono non sembrava molto contento dell'idea di Habuk.

“ma non sei obbligato se non ti va” disse Emma, sicura che il tono del suo amico fosse contrariato. “non c'è problema Emma, per me va bene, vi veniamo a prendere alle 20.” così dicendo entrò in quella che doveva essere casa sua e si chiuse la porta alle spalle.

“certo che è strano, ma era così anche da bambino?” chiese Erika. “no, evidentemente non deve avere avuto una vita facile qui” .

“non giudicatelo, non sono stati anni facili, soprattutto da quando suo padre è morto.

Si da la colpa di quello che è successo anche se è ovvio che non è colpa sua”.

“perchè mai, se non ho capito male è morto di infarto” chiese Erika curiosa.

“si, ma lui si d la colpa, avevano avuto una discussione proprio il giorno prima e... “non dovresti raccontarci cose private di Yhassin, non credo che a lui farebbe piacere. Tutti abbiamo dei segreti o dei sensi di colpa per qualcosa...” Emma non sopportava che Habuk spiattellasse così la vita più intima di suo cugino, non lo trovava carino. Poi era pur vero che la vita ti cambia e ti mette a dura prova, chi meglio di lei ne era l'esempio lampante.

Si era chiusa talmente tanto in se stessa da perdere tutte le amicizie che aveva, quando decise di andare a studiare a Milano non lo fece perchè l'università era migliore, lo fece perchè non tollerava più lo sguardo compassionevole di sua madre, perchè sentiva il bisogno imperioso di cambiare aria, di poter essere solo Emma senza che tutti dovessero per forza conoscere il suo passato.

Emma ricorda come un incubo i primi anni delle superiori, quando Yhassin partì, tutto fu più difficile, non sa spiegare il perchè, ma era come se lui si fosse portato via una parte di se stessa, quella parte che gli permetteva di lasciarsi andare.

E siccome lei riusciva ad essere se stessa solo con lui, aveva smesso del tutto, si era chiusa tirando su dei muri difensivi che non permettevano a nessuno di entrare.

Il fatto poi che non si fosse mai fatto vivo l'aveva resa ancora più cinica e incattivita col mondo.

Il primo anno di università non fu facile, andò meglio da quando conobbe Erika, sua coinquilina, all'inizio come era prevedibile fu odio a prima vista ma poi piano piano impararono a conoscersi.

Emma era una persona sensibile e generosa se solo si lasciava andare e con Erika le riusciva meglio che con chiunque altro.

Fu sicuramente un bene per lei incontrarla perchè le insegnò che nella vita non bisogna mai arrendersi e che bisogna sempre guardare avanti.

Riusciva a mitigare i suoi eccessi e a smussare i suoi spigoli.

Quello che non riusciva a fare però era convincerla a lasciarsi coinvolgere un po di più dai sentimenti, solo chi la conosceva bene sapeva quale tesoro in realtà avesse dentro, oltre alla sua famiglia solo due persone erano riuscite a sbirciare dentro al suo cuore.

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Capitolo 5
*** Un tuffo nel passato ***


UN TUFFO NEL PASSATO

 

Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei!

Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi.”
(Charlie Chaplin)

 

Yhassin si chiuse la porta alle spalle, era turbato dall'incontro con Emma. Quando aveva letto il nome dalla giornalista che sarebbe venuta ad intervistarlo non riusciva a credere che fosse proprio lei.

Sicuramente doveva trattarsi di un'omonima, in Italia era un nome abbastanza comune. Aveva cercato su internet ed erano apparse un sacco di “Emma Masini” sparpagliate ovunque e poi la sua Emma non era di Milano.

Non faceva che ripensare all'abbraccio che gli aveva dato, carico di sentimenti, sensazioni, affetti lasciati nell'oblio per quasi 15 anni.

Yhassin aveva sofferto la partenza almeno quanto Emma, forse di più.

Lei e la sua famiglia sono stati gli unici ad accettarlo per quello che era, non gli hanno mai fatto pesare il fatto che fosse straniero e che fosse di un altra religione. Lo avevano sempre rispettato e trattato con affetto.

Ricordava come se fosse ieri il giorno in cui aveva salutato Emma, quando le aveva detto che se ne sarebbe andato.

“Ma perchè Yhassin? Manca solo un anno alla fine della scuola, non puoi andartene ora...”.

“non lo decido io, mio nonno non sta bene e dobbiamo tornare ad aiutarlo”

“Ok, ma tu puoi rimanere da me, prendi il diploma di licenza media e poi torni...”

“...Emma, non è possibile e lo sai”. Yhassin stava dicendo addio per sempre a quella ragazzina dai capelli rossi, la sua amica dalle lentiggini e le trecce, a quella che, con il tempo, era diventata la persona più cara che avesse.

Aveva iniziato a provare qualcosa di diverso dall'amicizia già da un po, ma lei non era pronta, lo vedeva come un amico e lui non voleva rovinare nulla, ora però se ne sarebbe andato e non avrebbe mai più rivisto quel faccino di porcellana.

Sapeva che tornare in Egitto significava dire addio per sempre alla speranza di diventare qualcosa di diverso da suo padre, e da suo nonno prima di lui: la fattoria di famiglia lo aspettava, un buco polveroso in mezzo al nulla.

“Bicchiere di latte... mi mancherai come l'aria” e così dicendo la baciò sulla bocca, a metà, tra il labbro superiore e il naso.

Un bacio casto ma carico di significati, durò un istante, durante il quale Emma non disse nulla, rimase stupita e lo guardò come a non capire, Yhassin le sorrise, si voltò e Iniziò a correre lontano da lei. Le lacrime gli rigarono il viso, aveva pianto, molto e per la prima volta da quando aveva lasciato il suo paese, quando era partito con il cuore gonfio di dolore e speranza.

Lo squillo del cellulare lo destò da quei ricordi. Era suo cugino che gli rammentava di essere puntuale, e in effetti doveva tornare a casa, quella ormai non era più casa sua ma solo un punto di appoggio per il sito.

Con i soldi della vendita aveva comprato un appartamento in città, in un quartiere centrale.

Uscì, inforcò la sua moto e partì.

Dopo una doccia ristoratrice Yhassin si preparò psicologicamente per la serata, Habuk aveva scelto un locale sicuramente d'effetto e molto tipico, ma dove lui non aveva voglia di andare.

Aveva lavorato in quel posto e aveva combinato una serie di casini fino a quello conclusivo, quello che fece soffrire a tal punto suo padre da procurargli l'infarto.

Forse non era davvero colpa sua, ma era sicuro che se lui avesse accettato il suo destino e si fosse sposato come voleva il padre tutto questo non sarebbe successo.

Scrollò la testa, per scacciare via quei pensieri.

Avrebbe rivisto Emma ed era questa la cosa più importante, aveva una voglia matta di parlare con lei, sapere qualcosa della sua vita. Le era mancata così tanto.

 

-_-_-_-_-

 

Il viaggio di ritorno all'albergo fu veloce come all'andata ma questa volta Emma non se ne accorse nemmeno, era totalmente persa nei suoi ricordi e in quel senso di attorcigliamento delle viscere che nulla aveva a che fare con le scarse doti dell'autista.

“Uhh mamma mia, tu mi vuoi morta, ma sei sicuro di avere la patente...”? Chiese Erika scombussolata.

“Si signorina, qui il traffico è un casino quindi dobbiamo imparare a guidare in modo veloce, di solito non uso mai l'auto... “

“Oh e cosa usi il cammello?” Habuk sorrise le scocco uno sguardo molto eloquente.

“Ti piacerebbe, credimi... farci un giro”!!

“Dove sul cammello?” Chiese Erika sorridendo

“No, sul mio mezzo alternativo!!”

Quel ragazzo stava flirtando con lei e in modo anche molto evidente.

A Erika questo atteggiamento lusingava, aveva notato da subito che era un bel ragazzo, certo era la loro guida ed era molto giovane, ma comunque non faceva nulla di male a godersi quelle battute e quegli apprezzamenti.

“Ei Emma ci sei? Tutto ok?

“S-si, perchè?”

“Non so sei su un altro pianeta da quando siamo salite in macchina, non hai fatto nemmeno un commento sulla guida da cani di Habuk.”

“Si sono solo stupita di aver incontrato Yhassin... non me lo sarei mai aspettato.”

“Me ne sono accorta, sembrava fossi stata posseduta, non è un comportamento che ti si addice. Se non sbaglio quello è il ragazzo della foto che hai a casa tua. Stavate insieme?” “cosa...? No, avevo 13 anni in quella foto, lui era un mio compagno di scuola ci siamo conosciuti in 3 elementare. E' stato il mio migliore amico per un sacco di tempo...”

“E poi che è successo?” chiese la ragazza sinceramente curiosa

“Poi è partito, semplicemente, cosi come è entrato nella mia vita se ne è andato. È un po colpa sua se sono così rigida e pignola, lui mi ha insegnato a lasciarmi andare, sai la frase che mi dici sempre e io odio?”

“Lasciati andare ogni tanto?” le chiese Erika.

“Si esatto, me la diceva sempre lui, quando se ne è andato si è portato via quella parte di me, quella che riusciva ad essere se stessa e lasciarsi coinvolgere, dopo non ci sono più riuscita.

Ho avuto bisogno di costruirmi delle difese per non crollare, o forse per non dare a vedere quanto soffrissi...”

“Mamma mia sembra il racconto di una struggente storia d'amore... sei sicura di non aver avuto una cotta per lui?”

“No, te l'ho detto, io non ci pensavo nemmeno a quelle cose...” “Tu no, ma lui sicuramente, e poi se non ricordo male ti ha fatto una certa battuta quando lo hai abbracciato, per non parlare della sua faccia.”

” Perchè cosa aveva la sua faccia?” chiese Emma.

“Era stupito, poi ha sorriso ed infine ha chiuso gli occhi inspirando profondamente nei tuoi capelli. Quello a me sembrava un atteggiamento molto intimo, scusa ma mi sono quasi spaventata, pensavo fossi impazzita”.

Emma sorrise, nonostante tutto quel tempo lui le faceva ancora quell'effetto, quello di dimenticare per un attimo tutto quanto e lasciarsi andare alle emozioni.

“Dici che ho fatto una figuraccia, e che ha frainteso il mio gesto?”

“Ecco la parte paranoica e razionale.. ora si che ti riconosco, dove sei stata amica mia, ti hanno rapito gli alieni?” Disse Erika in tono ironico.

Per lei era tutto un gioco, e trovava sempre il lato divertente delle situazioni, anche quando di divertente non c'era proprio nulla. Forse era per questo che erano diventate amiche, lei era la versione femminile di Yhassin.

“Tu piuttosto, ti sei accorta che il pilota di formula uno ti fa il filo, si...?”

“Mhh dici...?”

“Ma smettila, si vede lontano un chilometro...!!”

“Ok ok, si me ne sono accorta, ma è così carino e sexy”

“Ma è la nostra guida e poi è un ragazzino... ” Disse Emma.

“E dai Emma, lasciati andare ogni tanto...!”

Il suono del cellulare distolse le ragazze dalla conversazione, Emma avrebbe voluto sicuramente replicare, ma non ne ebbe il tempo.

“Pronto?”

“Emma sono Eugenio, ho appena sentito l'ambasciata, hanno ritrovato le vostre valigie e provvederanno a spedirvele entro lunedì.”

“Cosa? Noi avevamo intenzione di tornare domenica” disse. “Non se ne parla, appena vi arriva l'attrezzatura voglio un reportage degno di questo nome, foto ed interviste con tanto di video. Mi sono spiegato?”

“Ok, come vuoi”.

Replicare non avrebbe avuto senso. Quando il capo si metteva in testa qualcosa non c'era verso di fargli cambiare idea.

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Capitolo 6
*** Dal passato non si sfugge ***


Le nostre cicatrici ci ricordano che il passato è reale”

(Jane Austen)



Yhassin era tornato a casa e si era fatto una doccia nella vana speranza di rilassarsi un po'.
L'idea di tornare il quel ristorante non gli andava giù, era passato un bel po' di tempo, sicuramente ora le cose erano diverse ma aveva comunque dei ricordi spiacevoli che non voleva dover rivivere.
Il ristorante era un posto davvero carino, era un locale frequentato da turisti ma manteneva comunque un target abbastanza alto.
L'arredamento, il servizio e i piatti serviti erano tipici egiziani e l'atmosfera era davvero suggestiva.
Yhassin aveva lavorato in quel posto per anni e ora tornarci come cliente gli sembrava strano.
“Ehi cugino, sei puntuale che strano” Disse Habuk
“Sì e se ti levi guido io” Rispose il ragazzo.
“Ma che ha la mia guida?”
“Lo chiedi pure? Sei un cane al volante! Non so quelle povere ragazze come hanno fatto a non vomitare sui sedili” Disse Yhassin sogghignando.
Seguì un interminabile momento di silenzio che fu proprio lui ad interrompere.
“Tu lo sai vero che cosa significa per me tornare in quel posto?”
“Si, ma è passato un sacco di tempo, hai saldato il tuo debito e ora non hai più nulla da temere.”
“Habuk tu eri solo un ragazzino e non sai niente di quello che è successo...”
“Allora perché non me lo racconti, perché non mi dici come mai tuo padre si è dovuto indebitare, e soprattutto che cosa c'entrava Aisha con quella storia...?”
“Perché non sono affari tuoi, e poi non c'è proprio nulla da raccontare” Rispose secco. Yhassin non voleva rivangare il passato, ma Habuk aveva ragione, quella storia era rimasta un segreto tra lui e suo padre, per proteggere la sua famiglia non aveva raccontato a nessuno quello che era successo, per mettere a tacere le lingue avevano pagato parecchio, e solo con la vendita della proprietà era riuscito a togliersi quel debito dalle spalle.
Arrivarono all'albergo in poco tempo, erano le 20 in punto e le ragazze erano nella hall ad aspettarli.
Quando Emma vide Yhassin entrare le si fermò il respiro, era molto diverso dal pomeriggio, si era cambiato, era più curato e anche se indossava un semplice jeans e una camicia bianca, stava davvero bene.
“Non sbavare così o se ne accorgerà!” La rimproverò Erika tirando una gomitata a Emma, prenderla in giro stava diventando molto divertente, da quando arrossiva come un adolescente con gli ormoni in subbuglio?
“Scema, che dici, non farmi fare brutte figure, dobbiamo rimanere qui ancora per un po' e non voglio dovermi sotterrare dalla vergogna.”
“Buona sera signorine” Disse Habuk lanciando uno sguardo a Erika.
“Buona sera a voi” Rispose la ragazza.
Yhassin pensò che Emma fosse davvero bella, la guardò e sospirò. Il tempo non l'aveva cambiata poi molto. Era cresciuta certo, ma quello sguardo e quel sorriso erano rimasti gli stessi. Si rese conto che l'aveva sempre amata, prima come amica e compagna di giochi poi, come qualcosa di diverso, un sentimento ancora acerbo, ma adesso? Forse era lei quel destino che si portava dentro da metà della sua vita. Per quello stesso motivo non aveva mai voluto sposarsi, non poteva fare una cosa simile senza essere innamorato.
Certo, un pensiero stupido, dalle sue parti l'amore aveva poco a che fare con il matrimonio... Ma lui era fatto così.
Non aveva mai saputo spiegare il perché della sua scelta ma ora che la guardava, come se l'avesse vista per la prima volta, se ne rese conto.
Lui era innamorato di lei e lo era sempre stato fin da quando le tirava le trecce per farle dispetto.
Sapeva bene che doveva cacciare via dalla sua mente quel pensiero, Emma presto sarebbe tornata alla sua vita, e lui sarebbe rimasto lì, non avrebbe potuto esserci nulla di romantico tra loro, mai.

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“Wow!” Esclamò Erika, guardandosi intorno. Il ristorante era davvero bello, un ambiente suggestivo, ricco di colori e particolari che lo rendevano magico.
“Ottima scelta” disse “Non mi intendo di ristoranti egiziani ma questo mi sembra davvero suggestivo”.
“Sono contento che ti piaccia” Disse Habuk.
Emma si guardò intorno estasiata. Il locale era particolare, molto curato ma a catturare la sua attenzione fu la luce.
I due grandi lampadari che pendevano dal soffitto emanavano una luce aranciata, che, accentuata dal colore delle pareti, avvolgeva tutto in un suggestivo color tramonto.
“È meraviglioso qui, sembra di essere nel deserto al tramonto.” Disse Emma.
“Già, è un posto molto suggestivo, vengono molti turisti, ma non è per tutti... non so se mi sono spiegato!” Disse Yhassin.
Certo non era uno di quei locali prettamente commerciale, frequentati dai turisti, l'idea che dava era di essere un posto di nicchia, frequentato da una certa clientela.
“Tanto paga Eugenio” Disse Erika divertita, interpretando il significato delle parole di Yhassin.
“Non se ne parla, siete nostre ospiti” Disse il ragazzo con un sorriso.
“Dovrebbe essere illegale!” Disse Erika.
“Che cosa?” Chiese Yhassin non capendo a cosa si riferisse la ragazza.
“Il tuo sorriso... È da infarto!”
Erika sapeva essere molto diretta e sfacciata, a volte anche troppo, questa esternazione le costò una gomitata nelle costole da Emma che la fulminò con gli occhi.
Yhassin scrollò la testa in leggero imbarazzo ed invitò le ragazze a seguirlo.
Un cameriere si avvicinò e sorrise. Iniziò una conversazione in arabo con Yhassin, da quello che si poteva osservare, dato che non si capiva nulla, sembrava che i due si conoscessero bene.
Alla fine il cameriere si rivolse alle ragazze in inglese e le accompagnò al tavolo che era stato prenotato.
Emma guardò Yhassin con fare interrogativo e lui sorrise.
“È un mio vecchio amico, ho lavorato qui per parecchio tempo quando sono tornato.”

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Erano seduti ad un ampio tavolo rotondo con al centro un vassoio girevole su cui il cameriere aveva posato le portate scelte.
Ruotando il vassoio ogni persona seduta al tavolo poteva assaggiare ogni portata comodamente.
“Che figata” Disse Erika “Ho visto un meccanismo simile in un ristorante cinese!” Habuk la guardò stizzito.
“Vorresti forse paragonare la nostra cucina con quella dei musi gialli?” Domandò.
“Però... E poi siamo noi i razzisti!” Disse Emma, Yhassin scoppiò a ridere e guardò suo cugino che aveva ancora la faccia offesa “In realtà Habuk ha un conto in sospeso con una certa ragazza il cui muso giallo ha spezzato il suo cuore.”
“Puoi evitare i particolari... Grazie!”
Le ragazze risero a quell'affermazione, era evidente che la cosa lo infastidisse ancora, ma in un modo talmente buffo da renderlo irresistibile.
I piatti tipici erano molto buoni, leggermente speziati ma davvero gustosi, Emma assaggiava un po' di tutto sotto lo sguardo divertito di Yhassin.
“Sei cambiata.” Disse.
“In che senso?”
“Eri molto schizzinosa, mangiavi solo pasta al pesto... Non avresti mai assaggiato questa roba.”
Emma guardò l'amico con aria stupita “Allora non ti sei dimenticato di me!” La frase uscì dalla sua bocca prima che potesse trattenerla, era una frecciatina neanche troppo velata, in realtà il fatto che lui ricordasse quel particolare le faceva piacere, in un modo che non riusciva nemmeno a comprendere.
“No, non avrei mai potuto...” Rispose guardandola negli occhi.
“Perché... Sei sparito?”
“No, sono solo tornato a casa, questa è la mia casa.” Disse.
Emma lo guardò, era sicura di aver sentito dell'emozione nella sua voce, una nota stonata.
“Anche l'Italia era casa tua.”
“Lo è stata per un po', tu sei stata la mia casa e la mia famiglia ma alle proprie origini non si sfugge!” Disse distogliendo lo sguardo. Emma capì che quello non era il posto né il momento per continuare quel discorso, Habuk ed Erika li osservavano, era chiaro come il sole che c'era del non detto tra loro, ma Emma lasciò cadere il discorso, non era sicura di volerlo approfondire.
La serata proseguì tranquilla, il cibo era ottimo e anche la compagnia. Tuttavia, Emma si sentiva a disagio, dopo lo scambio di battute si era creato come un muro tra loro, Habuk teneva banco con aneddoti divertenti sulla sua infanzia e racconti sulle tradizioni del suo paese, ma Yhassin sembrava nervoso, era teso e si guardava spesso attorno, come se cercasse qualcuno o al contrario temesse di incontrare qualcuno. Decise di non fare domande, aveva la sensazione che qualunque cosa avesse chiesto sarebbe stata quella sbagliata ed improvvisamente si sentì fuori posto.
Guardò Erika che rideva e scherzava con Habuk: perché lei non riusciva ad essere così leggera e a lasciarsi andare? Non riusciva mai a godendosi le situazioni senza farsi inutili voli pindarici o seghe mentali, come le avrebbe chiamate Erika.
Le venne in mente il suo ex e tutte le volte che le aveva fatto notare quelle cose... Sbuffò e improvvisamente si alzò dalla sedia.
“Devo fare una telefonata” Così dicendo prese la borsa ed uscì.
Doveva prendere una boccata d'aria, uno strano magone le attanagliava la gola.
“Merda, come vorrei tornare a Milano” Disse a voce alta sicura che nessuno l'avrebbe sentita o comunque capita.
“Pensavo che ti avesse fatto piacere incontrarmi.” Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare “Che diavolo...”
“Scusa, ma è meglio non andare in giro da sole e poi non credo tu possa fare una telefonata senza questo...” Le porse il cellulare che aveva lasciato sul tavolo.
“Ehm, grazie, in realtà avevo bisogno di prendere una boccata d'aria.” Disse Emma in imbarazzo.
“Qualcosa non va?” la ragazza lo guardò stranita, era lui ad essere in evidente disagio e il suo atteggiamento aveva contagiato anche lei.
“No, cioè... Sì... No, è tutto ok!”
“Non sembri convinta”
“Ok, non va tutto bene, mi sento fuori posto, tu hai passato la serata a guardarti intorno, è chiaro che non avresti voluto essere qui... E per quanto mi riguarda nemmeno io. Mi fa piacere averti incontrato, ma...”
“Guarda un po' chi si rivede da queste parti...” Una voce alle loro spalle interruppe il discorso di Emma, il ragazzo che si stava avvicinando era alto scuro di carnagione, come tutti del resto, aveva i capelli lunghi e legati in un codino basso. Aveva un’aria minacciosa, Emma fece un passo indietro.
Yhassin si irrigidì, si voltò e sospirò.
“Talib, che piacere vederti!” Disse a denti stretti. Era ovvio che non fosse un piacere.
Il nuovo arrivato si rivolse ad Emma e le chiese in inglese come si chiamasse e da dove venisse.
Emma rispose educatamente ma quando il ragazzo si mise a ridere, le venne voglia di mandarlo a quel paese.
“Sei italiana?” Le chiese.
“Parli la mia lingua?” Chiese Emma stupita.
“Si, un po', sono stato in Italia tempo fa”.
“Yhassin, non mi avevi detto di aver ripreso l'attività... Vedo che le turiste ti piacciono sempre. Ottima scelta è un bel bocconcino...” Disse.
“Non ti azzardare a parlare così, lei non è una turista, e poi non ho ripreso proprio niente, lo sai che non lo farei mai e poi mai.”
Emma seguiva quella conversazione a fatica. Il tizio di nome Talib parlava volutamente in italiano ma Yhassin rispondeva in arabo, era evidente che non voleva farle capire di cosa stessero parlando... Questo le diede parecchio fastidio, chissà quale segreto aveva, o a quali attività si stavano riferendo.
Quando Talib si allontanò Yhassin tirò un sospiro di sollievo e prese Emma per un braccio e si diresse verso il ristorante.
“Scusa, che fai?” Chiese contrita Emma.
“Torno dentro al nostro tavolo” Fu la risposta del ragazzo.
“Non credi di dovermi una spiegazione?”
“No, non sono cose che ti riguardano.”
“Non sono cose che mi riguardano? Quel tipo mi ha fatto sentire come una poco di buono, si può sapere di cosa parlava?”
Yhassin guardò Emma negli occhi, la sua espressione era molto seria e non ammetteva repliche.
“Ok” Disse Emma “Torniamo dentro”.
Le parole di quel tizio continuavano a ronzarle in testa, non riusciva a non pensarci. Era ovvio che ci fosse qualcosa che non andava.
Si sentì ancora una volta fuori posto, Yhassin non era il ragazzo che ricordava, i quindici anni trascorsi lo avevano cambiato, si era illusa di aver ritrovato il suo miglior amico, si voltò a guardarlo e gli sembrò un perfetto estraneo, gli faceva persino un po' di paura.
“Habuk, puoi chiamarmi un taxi per favore? Vorrei tornare in albergo” Dichiarò Emma di punto in bianco.
“Ti accompagno io...” propose Yhassin.
“No, non ti disturbare, non voglio rovinare la vostra serata perché mi è venuto il mal di testa”.
“Emma, non scherzare, Yhassin può tenere l'auto, io abito qui vicino, andrò a prendere la moto e poi riaccompagno Erika più tardi.” Disse Habuk.
Accidenti, aveva trovato una soluzione a cui Emma non poteva ribattere. Non le restava che accettare anche se non aveva nessuna voglia di rimanere da sola con Yhassin.
“OK, allora grazie.” Disse a malincuore

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Capitolo 7
*** Al peggio non c'è limite ***


La strada per tornare in albergo le sembrò incredibilmente lunga.

Il silenzio assordante che regnava nell'auto era pesante come un macigno. Non le era mai successo di non sapere cosa dire o, addirittura, voler essere da un'altra parte pur di non dover spiaccicare parola. Eppure erano tante le cose che avrebbe voluto dire, talmente tante da non sapere come cominciare. Nessuna di quelle cose in effetti avrebbe avuto un senso a quel punto. Lei non aveva diritto di intromettersi e forse non voleva nemmeno. Quello che Yhassin nascondeva, qualunque cosa fosse, non era pronta ad ascoltarla, non era pronta a lasciare andare il ricordo del suo migliore amico per far posto a quello che era diventato negli anni; perché di una cosa era certa, quel ragazzo che guidava silenzioso non aveva nulla del ragazzino spensierato e canzonatorio che aveva conosciuto.

“Emma”? La sua voce suonò come dall'oltretomba e la riportò al presente, “si”? Rispose voltandosi verso di lui, ormai erano arrivati all'hotel.

“Mi dispiace, non volevo essere scortese” disse il ragazzo in evidente disagio. Chissà forse anche lui stava rimuginando sul loro passato, si chiese Emma, cosa avrebbe dato per sapere i suoi pensieri, “non ti preoccupare, sono io che non ho il diritto di impicciarmi nelle tue cose, hai ragione sai...non siamo più dei ragazzini, siamo cresciuti ed ognuno ha fatto le sue esperienze” disse senza quasi guardarlo in faccia, Emma sentiva uno strano nodo alla gola stringerle il respiro, e sapeva che quello era il preludio di un bel pianto a dirotto. Non avrebbe mai voluto farlo davanti a lui quindi prese un bel respiro “Buonanotte” disse, e scese dall'auto.

 

Yhassin rimase per un po' a guardarla mentre camminava verso l'ingresso dell'hotel.

Avrebbe voluto fermarla chiederle di parlare un po', le era mancata come l'aria, ma il suo passato gli impediva di essere se stesso, non voleva che lei sapesse. Aveva tante cose da chiederle, e da raccontarle ma si vergognava. Lei era diventata importante, lui un delinquente.

La porta scorrevole si chiuse ed il vetro oscurato gli impedì di seguirla oltre. Appoggiò la testa sul volante e sospirò sonoramente. “Che serata del cazzo” disse tra se e se.

Tornò a casa di malavoglia, quell'appartamento non gli era mai piaciuto, lui non era fatto per la vita da città, quattro mura di vetro e un soffitto che, mai come quella notte, gli toglievano l'aria.

Ripensò al passato, e rivide due ragazzini, spensierati, con il sorriso sulle labbra e la voglia di sbranare il mondo. Emma aveva sempre avuto il sogno di diventare una giornalista, tenace e caparbia a quanto pare c'era riuscita. Yhassin si era perso per strada, per chi come lui viene dalla polvere e più difficile emergere.

Ci aveva provato ma alla fine si era arreso alla sorte.

 

Fu una lunga notte, si girò e rigirò nel letto, senza riuscire davvero a prendere sonno, in quel dormiveglia Emma sognò il ragazzo del ristorante la sua voce beffarda, quegli occhi terrificanti.

Si sveglio di soprassalto, più stanca di prima, guardò l'ora, le quattro, si voltò verso il letto di Erika che era intatto, segno che la ragazza non era ancora rientrata o forse aveva deciso di passare la notte fuori. Si maledisse per non avere la sua leggerezza, la sua capacità di godersi i momenti, lei era così pesante, così cerebrale.

Si sarebbe presa a schiaffi da sola.

Si alzò e decise di farsi una doccia, forse così sarebbe riuscita a lavarsi di dosso quella sensazione orribile che la attanagliava. Domani è il grande giorno, arrivano le valigie e finalmente ce ne possiamo andare, pensò tra se e se. Lo sapeva bene che questo viaggio della speranza sarebbe stato una merda, peggio di così non sarebbe potuta andare.

________:_:_:_

 

Al peggio non c'è limite, lo aveva sempre saputo, ma mai come ora ne era così convinta.

“Cosa?” gridò al telefono, “come sarebbe una settimana, sei impazzito? Io non resto qui un giorno di più, l'uomo di Neanderthal a confronto viene dal futuro...”!!

“Calmati Masini, non è la fine del mondo!” furono le ultime parole del capo prima di riagganciare.

Emma era furiosa, stava ancora imprecando ad un telefono ormai muto quando qualcuno la chiamò. “Emma si può sapere che stai facendo”? Erika aveva fatto il suo ingresso in camere seguita da Habuk come se niente fosse, come se non avesse passato la notte con un ragazzino e per di più il loro autista.

“Tu” disse puntando il dito verso Habuk “ti sembra l'ora di riportarla a casa? E tu” rivolta verso Erika “lo sai che siamo qui per lavoro vero?” ormai stava sbraitando, era completamente partita. Erika congedò Habuk chiuse la porte e si voltò a guardare l'amica, non l'aveva mai vista così sconvolta.

“Datti una calmata, che problema hai”? “lo vuoi davvero sapere? Allora senti che bella notizia, i nostri bagagli arriveranno tra una settimana” disse come se fosse la la peggior tragedia. “ Erika la guardò e con un sorriso a trentadue denti le disse “ davvero... questo vuol dire che siamo in vacanza per una settimana wow... non posso crederci! Voglio andare a vedere la piramidi”!!

Emma la guardò non disse nulla si sedette esausta sul letto con le mani tra i capelli... “le piramidi...certo...”ripetè tra se e se.

 

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Capitolo 8
*** Lasciarsi andare ***


Dopo aver riflettuto a lungo aveva deciso di provare a lasciarsi andare un po', era certa che l'Egitto oltre alla cacca di cammello e alla polvere avesse anche delle bellezze da scoprire, ma non riusciva a fare a meno di essere sarcastica. Già perchè il sarcasmo era l'unica cosa che riusciva a tenerla in piedi, un bel muro di facciata dietro cui nascondersi nei momenti peggiori.

Scese nella sala colazioni, e vide Erika e Habuk intenti a mangiare. “Ma tu una casa non ce l'hai?”

disse rivolta al ragazzo.

“Potresti essere un po più gentile, l'ho invitato io” rispose Erika.

“Scusa, mangiati pure tutto, tanto io non ho fame” disse.

Si diresse verso l'uscita e Habuk si affrettò ad alzarsi ed andarle dietro “ aspetta capo, dove vuoi che ti porti”? “ tu da nessuna parte... su quella macchina non ci salgo, piuttosto noleggio un cammello” “ ma non è sicuro andare in giro da sola, devo accompagnarti”. Emma era visibilmente adirata, stava davvero per perdere la pazienza.

“Senti, io non ho bisogno della balia, so badare a me stessa, non seguirmi”.

Così dicendo si avviò fuori dall'Hotel.

 

Il sole era alto nel cielo, e il caldo iniziava a farsi sentire, era uscita per smaltire la rabbia, per riflettere ma aveva camminato decisamente troppo, le strade di quel maledetto quartiere erano tutte uguali, e ora non sapeva più da che parte andare.

La sua proverbiale mancanza di senso dell'orientamento non le permetteva certo di trovare la strada di casa. -Prenderò un taxi- pensò e in quel preciso momento si rese conto di essere uscita senza la borsa, questo voleva dire solo una cosa, niente portafoglio e niente telefono.

“Bene e adesso che faccio”? iniziava ad avere ansia, quella sensazione terribile che le prendeva la gola e che piano piano si trasformava in vero e proprio panico.

Le era già successo a Milano di perdersi soprattutto le prime volte, o di parcheggiare senza prendere riferimenti e poi perdere l'auto; ma era in Italia, avrebbe potuto chiedere un informazione a chiunque, qui chi avrebbe potuto aiutarla?

Si guardò intorno, poca gente, qualche donna imbacuccata sotto strati e strati di stoffa, si chiedeva come facessero a non morire di caldo, l'aria era incandescente o forse era l'attacco di panico che gliela faceva percepire tale.

Ruotò su se stessa un paio di volte cercando di riconoscere qualche dettaglio che le facesse capire da che parte andare quando vide, in lontananza, un piccolo parco.

Lo riconobbe subito, era il parco che si vedeva dalla finestra del suo albergo, quindi non doveva essere così lontano.

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“Pronto” ?

“Yhassin devi venire subito, è un emergenza” la voce agitata di Habuk non prometteva niente di buono. “che cosa è successo, dove sei”? Rispose il ragazzo.

“Devi venire all'albergo, Emma è sparita”.

 

“Che cazzo è successo”? Grugnì appena entrato nella stanza.

Fu Erika a rispondere “Emma è uscita per fare una passeggiata, ma è passata un ora e non è ancora tornata, il peggio è che ha lasciato la borsa qui. È senza documenti e telefono”.

La ragazza era davvero preoccupata, sapeva bene che Emma si perdeva in un bicchier d'acqua, figurarsi in un posto sconosciuto.

Yhassin si strinse il setto nasale tra l'indice ed il pollice, gesto che aveva sempre fatto quando era nervoso o preoccupato.

“Ti avevo chiesto di non lasciarle andare in giro da sole, è pericoloso, lo sai benissimo”. Disse scandendo bene le parole, “ma cugino, non ha voluto, mi ha detto che piuttosto noleggiava un cammello...” piagnucolò Habuk.

Yhassin si passò una mano tra i capelli e pronunciò una serie di parole nella sua lingua che, per Erika, non avevano nessun senso per terminare con un italianissimo “cazzo”!

Scesero all'ingresso, “allora... non può essere lontanissima, le strade qui sono circolari e ruotano attorno al parco. Quindi se io vado da un lato e tu dall'altro, con un po' di fortuna dovremmo trovarla” disse Yhassin. “IO invece che faccio”? Chiese Erika. “tu resti qui se dovesse tornare la ricopri di insulti da parte mia”. Disse Yhassin.

 

Erika rientrò, si sedette su un divanetto a attese, si chiedeva che cosa mai dovesse esserci di così pericoloso, quel ragazzo iniziava a darle sui nervi, come aveva fatto ad essere il migliore amico di Emma... era così scorbutico, impenetrabile, onestamente metteva soggezione.

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Emma inizio a camminare nella direzione del parco, era talmente agitata che non si era nemmeno resa condo che stava correndo.

Arrivata davanti al muro di cinta non era più così convinta che fosse lo stesso parco, si voltò per vedere se scorgeva l'albergo ma davanti a lei c'erano altri palazzi e alberghi, quella era una zona un po' periferica, frequentata da giornalisti e persone che viaggiavano per lavoro, gli edifici erano tutti uguali, compreso il suo albergo.

Le stava venendo da piangere, e mente cercava di resistere e restare lucida una voce la colse alle spalle.

“Ma guarda guarda che sorpresa, la bella italiana. Che ci fai qui tutta sola? Il tuo principe azzurro non ti ha accompagnata”? Emma trasalì, quella voce, quella faccia, non poteva crederci.... Talib.

Non sapeva se essere terrorizzata o felice per aver incontrato una persona che avrebbe potuto aiutarla. “ C-Ciao” balbettò. “veramente ero uscita per fare due passi emi sono persa” disse con sincerità.

“aihai principessa, non si va in giro da sola non te lo ha detto il nostro amico Yhassin”? Aveva usato un tono che le aveva fatto venire i brividi, in una situazione normale sarebbe scappata a gambe levate ma in quel caso doveva sfruttare la circostanza in suo favore.

“Avrei bisogno di un favore, potresti indicarmi la strada per tornare all'Atlas hotel”?

“Si, potrei, ma preferirei accompagnarti, cosi sarei sicuro che tu non faccia brutti incontri. Sai sei stata fortunata ad incontrare me”.

Emma non era per nulla convinta, tutta quella fortuna non la vedeva proprio, anzi era andato tutto storto.

Mentre rifletteva sulle sue sfortune il ragazzo si incamminò lungo la strada e lei si affrettò ad andargli dietro.

“E così tu e Yhassin siete amici...? ma guarda un po',” disse Talib.

“Sai noi eravamo in affari un tempo, ma a quanto pare lui ha preferito vendere ad altri la sua proprietà, mi ha tradito, e questo non va affatto bene, sai cosa si dice dalle mie parti”? Emma scosse la testa in segno di diniego. “occhio per occhio, dente per dente, non so se ho reso l'idea”.

“Se ha cambiato idea avrà avuto le sue buone ragioni”. Talib si voltò di scatto “attenta femmina, tu parli un po' troppo per i miei gusti, avevamo un accordo e lui ha tirato troppo la corda tutto qui, prima o poi me la pagherà”.

Emma sentiva ribollire il sangue nelle vene, nessuno l'aveva mai apostrofata così, avrebbe voluto fargli notare che lei era una donna, non femmina, e che apparteneva alla specie umana non bovina. Ma pensò fosse meglio tacere, la situazione era già abbastanza difficile così.

“Che c'è ti sei mangiata la lingua, non hai più nulla da dire”?

“Sai come si dice dalle mie parti? Non sprecare fiato inutilmente, prima o poi ti servirà”. Rispose Emma seccata.

 

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