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di Nikij
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

Il corridoio davanti a lui era buio.
Si sentiva l’eco dei passi incerti, brancolanti nel buio, ma il ragazzo non avrebbe saputo dire se fossero i suoi o anche quelli di qualcun altro.
Terence avanzò piano, un piede dopo l’altro, tastando lo spazio attorno a lui con le mani alla ricerca di una parete a cui appoggiarsi.
Il buio era così denso che quando vide il puntino di luce in lontananza dovette coprirsi gli occhi, abituandosi a fatica, accecato da una pallina di luce così distante.
Sorrise nervosamente, più per lo sconforto. La luce non stava illuminando nulla: era un puntino che cercava di combattere il buio opprimente che lo circondava, ma il buio continuava a inghiottire tutto intorno.
Terence continuò a guardare fisso la luce, cercando di non battere le palpebre, continuando ad avanzare a passi pesanti. Aveva la sensazione che se avesse perso di vista la luce le tenebre lo avrebbero inghiottito per sempre.
L’aria si fece improvvisamente gelida alle sue spalle. Un brivido gli risalì per la schiena. Combatté l’istinto di voltarsi, mentre gli occhi cominciavano a bruciargli. Una mano gli afferrò la maglia, tirandolo a sé.
«Non così in fretta.»
Terence venne tirato indietro, cercò di opporre resistenza facendo perno sulle gambe, ma non riuscì a mantenere l’equilibrio.
Cadde all’indietro e la figura gli fu sopra. Non riusciva a distinguere nulla nel buio, ma continuava a cercare con gli occhi la luce che fluttuava ancora lontana.
Sentì i lunghi capelli della figura cadergli sul viso mentre questa si metteva a cavalcioni su di lui cercando con le mani il suo collo.
«Non puoi pretendere di mandare all’aria così i miei progetti Terence.» Ringhiò una voce femminile.
Le mani della donna trovarono il suo collo e vi si strinsero attorno, mentre le unghie lunghe gli graffiavano la pelle.
Terence annaspò cercando di colpirle il volto. Uno, due, tre colpi. Ma la donna non si mosse né lasciò la presa, anzi strinse.
Terence sentiva che qualcos’altro stava avanzando con il buio dietro di loro, qualcosa di molto più pericoloso di quella donna, ma non aveva il fiato per avvertirla.
Sentì le forze venirgli meno, e poi di colpo l’ossigeno entrare di nuovo nei suoi polmoni.
Tossì rumorosamente, mettendosi a carponi.
Cercò di riprendere fiato, ma il suo pensiero andò alla donna che lo aveva aggredito, cercò nel buio ma la sua vista non incontrò altro che tenebre.
Sentiva dei gemiti arrivare poco lontano da lui, ma sembravano più due persone che una soltanto.
«Và Terence!»
Era un’altra voce femminile questa.
Familiare. Come anche quella di prima ora che ci pensava.
La sua testa turbinava di domande, ma le risposte sembravano nascoste in un luogo inarrivabile.
«Và!» Gli urlò di nuovo la ragazza.
Terence cominciò a correre, mentre il nulla dietro di lui inghiottiva l’eco dei suoi passi.
Nel petto la consapevolezza che se si fosse fermato, questa volta sarebbe stato perduto per sempre.

Le gambe erano sempre più pesanti, sentiva cercare ossigeno, ma l’aria era densa e gli era difficile respirare: a ogni ansito gli sembrava di inghiottire direttamente l’oscurità.
Il suo corpo smise di rispondergli, nel panico lo sentì rallentare. Il buio lo reclamava. Qualcuno lo stava chiamando: sentiva uno sguardo gelido trapassarlo.
Due occhi blu ghiaccio si accesero come fiamme nelle tenebre, ma Terence non li vide.
Si costrinse ad avanzare, a fatica, un piede dopo l’altro, passo dopo passo.

Terence allungò una mano verso la sfera di luce. Cercò di afferrarla. Quella non si sottrasse, sembrò danzare tra le sue dita come se fosse felice di vederlo. Terence la sentì sorridere.
Un calore accogliente si diffuse nel suo corpo, la morsa gelida che aveva sentito sulla sua schiena fino a quel momento si dissolse, il viso di Terence si distese, sorrise. Una sensazione di nostalgia lo prese alla gola, sentì il petto contrarsi, le lacrime premevano per uscire.
Durò un attimo. Una voce familiare riecheggiò nella sua mente, sembrava provenire dalla luce.
 
“Vorrei poter fare di più, scusami...”

L’oscurità sotto i suoi piedi sembrò aprirsi e Terence cadde nel nulla.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Terence spalancò gli occhi, non riuscì subito a mettere a fuoco quello che aveva davanti a sé: piccole macchioline danzavano nel suo campo visivo. 

Batté le palpebre un paio di volte ma la situazione non migliorò di molto.

Respirò profondamente.

Qualcosa si mosse attorno a lui ma i suoni gli arrivavano ovattati. Sentì qualcuno afferrarlo dalle spalle, d’istinto cercò di liberarsi dalla presa dimenandosi ma riuscì solo a muoversi debolmente. Sentì la presa sulle sue spalle venire meno, dubitò fosse dovuto alla forza con cui aveva cercato di resistere.

Quando la testa smise di pulsare sentì il dolore arrivare d’un colpo solo. Si piegò in avanti portandosi le mani alla nuca e digrignando i denti, sentì i propri gemiti lontani, mentre l’udito tornava poco a poco. 

Gli bruciavano gli occhi.

Tra i suoni che pian piano si facevano meno ovattati sentì due voci maschili vicino a lui. La prima veniva dalle sue spalle, il ragazzo lo afferrò delicatamente da dietro, portandolo gentilmente a sedersi. Terence carpì qualche vaga parola: stava dicendo all’altro di portare dell’acqua e il kit medico.

Non alzò gli occhi per vedere chi fossero i due, era ancora concentrato sul dolore che pulsava prepotente. Sentiva i suoi pensieri accavallarsi tutti insieme, flash di immagini che svanivano velocissime senza imprimersi nella sua mente, la sensazione che se non li avesse afferrati sarebbero spariti per sempre. 

Un flash: il volto di una donna piegata su di lui, la pelle scura e i lunghi capelli neri raccolti in delle treccine, sorride felice mentre le labbra si muovono silenziose. Forse sta raccontando una storia, forse sta cantando una canzone, i suoi occhi neri come le notti estive traboccano d’amore, mentre lo guarda come se fosse la cosa più preziosa del mondo.

Solo un flash, però, che si perse nell’oblio. Un ricordo troppo lontano perché il ragazzo potesse raggiungerlo, rimase solo il fantasma del calore di quel sorriso. 

Sentì che stava dimenticando qualcosa di importante. C’era qualcosa che doveva assolutamente fare.

La sensazione di gelo tornò potente sulla sua nuca, alla fine lo aveva raggiunto.

Terence si alzò di scatto sottraendosi al tocco del ragazzo e voltandosi, gli occhi spalancati urlavano panico puro. Inciampò sui suoi stessi piedi perdendo l’equilibrio, ma qualcuno alle sue spalle lo sostenne.

“Vorrei poter fare di più, scusami...”

Terence batté gli occhi e scosse la testa. Quando riaprì gli occhi il dolore si era fatto sordo, i pensieri nella sua testa avevano smesso di agitarsi, c’era un silenzio quasi irreale.

Terence si accorse di star ansimando, si portò una mano al petto cercando di regolarizzare il respiro.

«Terence?» 

Il ragazzo cercò con gli occhi chi lo stesse chiamando. Vide un ragazzo poco più piccolo di lui. Era seduto a terra, doveva essere quello che lo aveva aiutato a sedersi. I suoi occhi azzurri erano spalancati, quello che avrebbe dovuto essere un azzurro limpido era patinato da un grigiore di preoccupazione. Terence notò che continuava a spostare lo sguardo a lui e una figura alle sue spalle. Si rese conto che qualcuno lo stava ancora aiutando a stare in piedi. Spostò il peso cercando di rimettersi in equilibrio, voleva almeno dare una parvenza di controllo. Chiunque lo stesse tenendo non oppose resistenza, lo aiutò anzi a stabilizzarsi, prima di spostarsi. Lo sentì allontanarsi di pochi passi per dargli il suo spazio.

I suoi occhi vagarono per la stanza, cercando appigli, qualcosa di familiare a cui aggrapparsi. In tutto ciò Terence non aveva ancora capito dove si trovasse esattamente. Si accorse di essere teso, pronto allo scatto, sebbene fosse tornato accettabilmente calmo e sicuro sulle sue gambe e le due figure lo avessero aiutato, sentiva i muscoli fremere contratti, il suo respiro era tornato regolare ma non riusciva a calmarsi. 

Almeno per il momento però i due ragazzi non sembravano essere una minaccia.

La stanza non aveva offerto appigli familiari per la sua memoria, i suoi occhi avevano vagato per le mura bianche senza trovare segni particolari che raccontassero dei due insieme a lui, né di lui. La stanza sembrava più grande di quanto non fosse, il bianco dei muri si fondeva con quello delle luci neon installate sul soffitto. Le uniche note di colore erano i letti, gli armadi, lui e gli altri due ragazzi.

I letti erano a castello, quelli sotto erano fatti entrambi, di quelli sopra solo uno aveva le lenzuola, che in quel momento stavano pendendo verso il pavimento. 

Dedusse dal male alla testa che fosse caduto da lì.

Finalmente lo sguardo di Terence su posò sull’altro tizio. Incrociò i suoi occhi, due pozzi neri d’ossidiana lo scrutavano straniti e preoccupati. Aveva incrociato le braccia al petto ma i muscoli delle sue gambe erano tirati, era pronto a scattare, forse per sostenere nuovamente Terence, o forse per fermarlo se fosse scappato. Quando i loro occhi si incrociarono il ragazzo gli rivolse un sorriso di incoraggiamento, ma il suo nervosismo era palpabile.

«Terence…»

La voce acuta del ragazzo dagli occhi celesti gli giunse lontana all’orecchio mentre Terence cercava di scansionare con lo sguardo la persona di fronte a lui, come aveva fatto con la stanza, alla ricerca di qualche appiglio per la memoria: era più alto dell’altro, la sua pelle più scura, olivastra. Ma Terence era abbastanza sicuro di non aver mai visto né lui, né l’altro, né tantomeno la stanza dove si trovava in quel momento.

«Terence!» La voce era ferma questa volta, un chiaro comando.

Terence d’istinto ubbidì. Voltandosi verso il ragazzo dagli occhi azzurri. Si accorse di aver portato la mano destra alla fronte e abbassò il braccio confuso. Il ragazzo dietro di lui si lasciò scappare un risolino.

«Vedi Orion che sai essere carismatico quando vuoi?»

Orion lo ignorò, era ancora concentrato su Terence. Si era rimesso in piedi, mosse qualche passo avvicinandosi a lui. Gli appoggiò il dorso della mano sulla fronte, e dovette quasi alzarsi sulle punte dal suo metro e sessanta di bassezza, quando si ritrasse sembrava già più sollevato.

«Non sembra che tu abbia l’influenza.» Sentenziò soddisfatto.

«Terence che si ammala? È più probabile che Yules ci faccia un regalo a Natale. È solo caduto dal letto.» Il ragazzo gli lanciò un pacchetto di ghiaccio istantaneo tra le mani, Terence lo prese al volo con un movimento secco. «Tieni mettiti il questo se no il bernoccolo diventa una montagna.» 

Terence si tastò il capo, quando le sue dita sfiorarono il bernoccolo il dolore ricomparve potente, se ne era quasi dimenticato Cercò conforto nel gelo del ghiaccio, che effettivamente migliorò un poco la situazione. La superficie gelata gli richiamò alla mente una sensazione di oppressione, la voce riecheggiò di nuovo nella sua mente.

Vorrei poter fare di più, scusami. 

"Scusami" per cosa? Cosa non riusciva a fare? Chi?

Una fitta di dolore gli fece strizzare gli occhi.

«Forse è meglio se ti siedi un attimo. Hai fatto una brutta caduta.» Orion lo accompagnò al letto più vicino. Lo fece sedere, attento che non sbattesse di nuovo la testa sul letto a castello.

L’altro ragazzo si appoggiò con la schiena al muro di fronte a Terence. «Sarà meglio che tu ti riprenda, non sei certo nella posizione di poter saltare l’allenamento oggi.»

«Dario smettila, lasciagli un attimo. Ha battuto la testa, è già tanto che non stia peggio.» Orion gli lanciò uno sguardo di avvertimento. 

Dario alzò gli occhi al cielo. «Ma chi lo appieda questo. Va bene fallo riposare, non preoccuparti dell’allenamento. Sora farà un tempio al letto quando scoprirà che avremo perso perché Terence ha deciso di cadere nel sonno.»

«Non pensavo che avessi problemi con la Seconda squadra.»

«Non ho problemi con la Seconda squadra! È Sora che ha deciso di mettersi nella seconda squadra. Avrei problemi anche con la mensa se la pulce lavorasse lì.»

«Però ti alleni con Julia.»

«E tu giri con Riccardo.»

A Terence sembrò di essere di troppo. Decisamente. 

Dario sorrise divertito. «Ti stai dimenticando del tuo paziente.» Indicò Terence con un cenno del capo.

Orion si alzò a riempire un bicchiere d’acqua che porse a Terence. «Ti porto qualcosa dalla mensa se vuoi riprenderti ancora un attimo.»

«Lo sai che se ti scoprono ti danno mezza razione per una settimana.»

«Allora non mi farò scoprire.»

«Ah! Non riusciresti a nascondere gli occhiali al Priore che è cieco come una talpa!»

«Potrei sorprenderti.» 

Dario si avvicinò con un sorriso divertito, portò il suo volto a pochi centimetri da quello di Orion. «Sorprendimi.»

Orion sostenne il suo sguardo, allungò la mano fino al colletto della canotta color pece di Dario.

Terence si alzò in piedi di scatto. Orion quasi saltò in braccio a Dario, che si ritrasse come scosso bruscamente dalle sue fantasie.

Restarono in silenzio un attimo.

«Penso che andrò a trovare la mensa.» Disse Terence sommessamente facendo scorrere lo sguardo su tutto fuorché i due, il che era difficile essendo Orion e Dario letteralmente di fronte a lui. Li aggirò continuando a far scorrere lo sguardo su tutto il resto della stanza, gli occhi scivolavano senza ostacoli sui muri spogli e asettici.

Afferrò la canotta nera e i pantaloni militari ripiegati di fianco alla porta, pregando che fossero della sua taglia e non di quella di Orion poi uscì.

Si richiuse la porta alle spalle, cercò di trattenere una risata ma sentiva di star arrossendo per l’imbarazzo. Dietro la porta poteva i due ragazzi parlare tra le risate e l’imbarazzo.

«Mi ero letteralmente dimenticato fosse qui!»

«Adesso capisco quando Julia mi dice che nei combattimenti non lo sentono arrivare.»

«Che imbarazzo...»

«Nah ormai è abituato, non preoccuparti.»

Le risate si spensero un attimo.

«E poi adesso ci ha lasciato la stanza.»

Terence si scostò dalla porta e si avviò verso il corridoio che gli sembrava giusto, il che era assolutamente senza senso perché i corridoi erano uguali, ma era decisamente arrivato il momento di farsi un giro.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Terence camminò a lungo nei corridoi, alla ricerca del bagno, della mensa… di qualsiasi cosa. Tu tutto quello che vedeva erano porte chiuse, ma nessuno in giro.

Teneva i vestiti che aveva raccolti prima stretti al petto, una parte di lui voleva di corsa tornare nella stanza. Non poteva dire che gli fosse familiare, ma almeno gli sembrava sicura.

Una porta davanti a lui si aprì. Ne uscì un ragazzo alto, spalle larghe, i lunghi capelli biondi legati in una crocchia fatta male: alcuni ciuffi gli ricadevano morbidi sul volto assonnato, tra le mani teneva un fagotto di vestiti uguali ai suoi.

Il ragazzo si lasciò andare a uno sbadiglio, Terence rimase fermo un istante di troppo chiedendosi se fosse meglio o no chiedere informazioni. Il ragazzo lo notò con la coda dell’occhio e gli rivolse un caloroso sorriso.

«Terence!»

Si trattenne dal alzare gli occhi al cielo. Con questo facevano tre persone che lo conoscevano, mentre lui non se ne ricordava una.

Lo sconosciuto gli si fece incontro, era più basso di lui, ma aveva il fisico più muscoloso, Terence si fece quasi indietro.

Sentì una voce indispettita da dietro la porta chiusa.

«Digli di andarsene!»

«Salutamelo!»

Il ragazzo rise sotto i baffi. «Julia ti saluta.» Si avvicinò ancora di più e gli passò un braccio sulle spalle, poi lo spinse nella direzione da cui era venuto. «Che ci fai da questa parte del corridoio, mi sei venuto a prendere? Che carino. Sei ancora in pigiama, magari oggi non hai finito apposta l’acqua calda.»

«No, non l’ho fatto.» Terence era confuso, perché avrebbe dovuto? Era una cosa che faceva normalmente?

«Grandioso! Allora oggi gliela finisco io a Sora.» Rise di gusto. Poi cominciò a elencargli quello che ci sarebbe stato a colazione quel giorno, niente sembrava troppo appetitoso, ma lo stomaco di Terence brontolò lo stesso. L’altro rise di nuovo.

 

Riccardo si crogiolò nell’acqua calda diversi minuti più del dovuto. Fu risvegliato dal torpore letteralmente da una doccia d’acqua ghiacciata. Si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.

Terence rise dall’altra parte del muro.

«Ridi, ridi… a te non è finita quella calda?»

«La sto facendo fredda...»

«Bestia!»

Terence si lasciò andare a un’altra sincera risata.

Riccardo era rimasto troppo sorpreso dall’acqua per ricordarsi che Terence non rideva mai così. Ci sarebbe arrivato più tardi quando avrebbe ripensato alla giornata, ma non avrebbe poi saputo che farsene di quell’informazione, archiviandola lontano, per quando poi gli sarebbe servita.

«Come va nella Prima squadra?»

Terence rimase in silenzio un attimo, le sue risa si spensero.

«Bene.»

Riccardo aspettò che il ragazzo aggiungesse qualcosa, ma sentì solo l’acqua spegnersi e la porta aprirsi mentre Terence probabilmente finiva di asciugarsi e rivestirsi.

Uscì anche lui, Terence stava finendo di indossare la canotta nera. Gli ricadde morbida sul fisico allenato. Riccardo pensò, come pensava sempre, che fosse molto affascinante, certo che molti sulla nave gli andassero dietro: il soldato più bravo, il pupillo di Yules. Oltre che ad essere bravo era anche gentile e cordiale, se si ignoravano gli occasionali momenti di superbia e le scenate tra lui e Sora.

Vide Terence fermarsi davanti allo specchio, sembrò studiarsi come se fosse la prima volta che si vedeva riflesso. I suoi occhi si fermarono evidentemente sulla striscia di metallo che aveva attorno al collo, il metallo brillante creava un forte contrasto con la sua pelle nera. Sarebbe stato più affascinante se fosse stata una scelta nel suo vestiario e non un collare con una matricola. Riccardo portò una mano al proprio collo, le sue dita incontrarono il metallo freddo, c’erano dei giorni in cui riusciva a dimenticare di averla addosso. Era lì, pesante nella sua presenza nonostante sembrasse pronta a rompersi. Aveva cercato di toglierla, romperla, spaccarla in mille pezzi, ma il metallo era aderente e le sue dita avevano scavato nella pelle attorno senza riuscire a trovare appiglio nel metallo.

Sentì il collo formicolare, conscio della presenza di quello che era a tutti gli effetti un collare. Decise che poteva bastare per il momento, prima di aggiungere altri graffi a quelli che erano da poco guariti.

Batté le mani. Terence sobbalzò e si girò a guardarlo.

Riccardo indossò il suo sorriso più credibile. 

«Ora che abbiamo finito l’acqua calda a Sora, colazione?»

 

Terence si sentiva ancora intontito. Forse la caduta dal letto lo aveva reso più stupido. Non si era accorto di avere addosso un collare, aveva notato solo dopo quello di Riccardo, ma non aveva fatto domande riguardo alle cicatrici sul suo collo. Poteva immaginare.

Anche Orion e Dario lo avevano? Probabilmente. Decise che la cosa migliore da fare era sedersi e godersi la colazione, riprendersi un attimo, poi cercare di capire perché tutti sembrassero conoscerlo e tutto il resto.

Riccardo parlava a macchinetta da quando avevano lasciato il bagno, probabilmente Terence avrebbe fatto meglio ad ascoltare per cercare di capire meglio la situazione, ma a metà del corridoio aveva cominciato a sentire odore di cibo e qualsiasi forma di raziocinio aveva deciso di lasciare il posto al grido del suo stomaco; gli sembrava di non mangiare da una vita.

 

Riccardo entrò nella mensa assieme a Terence, ma scivolò via tra la folla non appena ebbero varcato la soglia. Sora non gli faceva paura ma non voleva nemmeno far scoppiare l’ennesima lite davanti a tutte le altre squadre. Si andò a sedere al tavolo assegnato alla Seconda squadra in attesa degli altri due.

La sua mano corse ad accarezzarsi piano il collo mentre il suo sguardo era perso, sovrappensiero. Si riscosse solo quando Julia si sedette di fronte a lui, i lunghi capelli neri le cadevano sulle spalle, le davano un’aria regale. Sora era probabilmente in fila, come capitano prendeva lui la razione per tutti.

«Potreste gentilmente avvertirmi la prossima volta che decidete di finire l’acqua calda di tutta l’Unità?»

Riccardo alzò le spalle con espressione angelica. «Di che parli, anche io l’ho fatta fredda.»

«Che spara-stronzate! Aspetta che ti frigga il culo in Arena.»

«Tradimento!»

«L’acqua calda alla mattina è più importante della nostra amicizia.»

«Immagino.»

Sora si avvicinò al tavolo con la colazione per i tre, appoggiò tutto sul tavolo e si chinò a dare un bacio fugace alla guancia bronzea di Julia, poi sedette trattenendo a stento un sorriso ebete.

«Avete finito?»

«Hai deciso tu di avere la ragazza nell’altra Unità.»

Riccardo affondò il cucchiaio nel budino scuro senza replicare. Cercò Terence nella folla, per nessuna ragione in particolare in realtà, si sentiva un po’ male ogni volta che doveva scappare via solo per tenere lui e Sora lontani. Due bambini. Alzò gli occhi al cielo e rise, gli altri due si scambiarono un’occhiata senza capire.

Riccardo mandò giù il boccone e si rivolse ai suoi compagni. «Che formazione proviamo dopo in Arena?»

 

Terence rigirò nervosamente l’anello di ossidiana che portava al medio della destra.

Sentiva gli occhi di diverse persone addosso, ma sparivano prima che lui potesse incrociare lo sguardo con loro.

Si sentì sollevato, immensamente, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e la voce di Dario che lo canzonava.

«Aspetti un invito scritto per metterti in fila? Orion ha detto che oggi salta, ma io sto morendo di fame. Prendi per tre comunque, tanto andrebbe buttata la sua razione.»

Lo spinse verso la fila e andò a sedersi in un tavolo dalla parte opposta a dove sedevano Riccardo e la sua squadra.

“Sora” pensò a quel nome mentre la fila avanzava lentamente. Chissà cosa c’era che non andava tra di loro.

Lanciò uno sguardo di sottecchi al tavolo. Il suo decantato arcinemico era mano nella mano con la ragazza al suo fianco. Sembrava sereno, concentrato nella sua conversazione, concitato mento spiegava qualcosa agli altri due. Ma sorridente.

Il sorriso svanì quando si voltò e incontrò il suo sguardo. Gli occhi a mandorla si chiusero in due fessure e con uno scatto gli diede di nuovo le spalle.

Quando arrivò al banco della mensa l’uomo gli consegnò un enorme vassoio con tre porzioni, Terence ricambiò il sorriso cordiale e si andò a sedere al tavolo con Dario.

Mangiò sovrappensiero cercando di ordinare quelle che per lui erano state le nuove conoscenze della giornata, ed era solo mattina.

Sarebbe stata una lunga giornata.

 

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