(But) The Act

di Ardespuffy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act 1. ***
Capitolo 2: *** Act 2. ***
Capitolo 3: *** Act 3 + Off Stage. ***



Capitolo 1
*** Act 1. ***





Atto Primo: non si è mai tanto naturali come quando si recita una parte.
[O. Wilde]



















Forse abbiamo esasperato la situazione,

Forse abbiamo esasperato la situazione,

scagliato un qualche tipo di colpo.

 

 

 

 

Sirius non può credere a quanto vicino sia il pavimento.

Rotola sul suo stesso stupore per rimettersi seduto, senza realmente tentare di mascherare alcunché. Non della sua espressione, non delle sue nudità.

“Mi hai dato un pugno.

Doveva venir fuori come un’esclamazione, ma le immagini sature dei secondi precedenti continuano ad avvilupparsi alla sua lingua, lasciando le loro scie di colori troppo forti e cambiando le sfumature delle parole.

Remus è una nuvola di pelle contro l’orizzonte scuro del seminterrato.

“Basta giochetti. Da ora in poi. Non ti voglio più qui.

I sensi di Padfoot si attivano, allarmati dal pestare sordo dei piedi nudi sul pavimento sporco. Il compagno – il  lupo –  è un compagno che va via di spalle, adesso, inghiottito dalla luce promettente che è il fondo del tunnel.

La bestiola resta a guaire tra gli istinti dell’Animago, nel lato instabile che emerge sotto gli occhi pietosi della luna piena.

Sirius scrolla via il cane come una ciocca di capelli fuori posto.

Vai, certo, va’ pure! Ma non tornare da me quando ti servirà ancora qualcuno con cui giocare ad Ammazza La Pulce E Scappa!

Vocalizzata, la loro caccia mensile rimbalza fra le mura della Stamberga e torna a colpirlo dritto sul mento, come il ben mirato gancio di Remus.

Sei ancora nudo, questo lo sai?!”

L’urlo si perde prima di raggiungere la luce. La persona cui è rivolto non sarebbe lì per udirlo, in ogni caso.

Sirius sfrega insieme le gambe lunghe. Il sedere inizia a fargli male per il contatto prolungato col suolo, ma non riesce a considerare l’idea di rimettersi in piedi.

Sente l’abbandono soffiargli addosso con la sua polvere urticante e l’esasperazione folle del giorno che nasce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo spezzato il sigillo,

le crepe sono venute alla luce.

 

 

 

 

L’aria si è fatta troppo pesante per il pudding, James decide.

Il suo ingrato ruolo di leader gl’impone d’intervenire.

Duuunque, Pete, amico… ti ho mai raccontato di quella volta con Brittany Willets e il ripostiglio delle scope?”

Chiunque abbia respirato la medesima aria di James Potter per più di mezz’ora ha avuto il privilegio di ascoltare i resoconti delle sue prodezze – qualsivoglia genere di prodezze. Peter non si disturba ad alzare la testa dalla sua colazione.

“Sì, lo hai fatto.”

Una forchetta tintinna più forte del dovuto contro il piatto.

Le risponde il battere brusco di un bicchiere sul tavolo.

James lascia guizzare nervosamente lo sguardo da Sirius a Remus, maledicendo mentalmente l’ingordigia di Peter e il suo ottuso rifiuto per i diversivi.

Non gli resta che cambiare approccio.

“Giusto. Hey, Petey, che ne diresti di accompagnarmi al campo da Quidditch per sbirciare gli allenamenti dei Tassorosso? Hanno quel nuovo portiere che nessuno ha ancora visto in azione, potrebbe essere interessante!”

Peter non ritiene affatto che l’aria sia troppo pesante per il pudding. Sta profondendo tutti i suoi sforzi affinché il messaggio passi forte e chiaro.

“Non capisco perché dovresti preoccupartene. Sei un Cercatore, per di più il migliore della scuola – lo sanno tutti.

Sirius scaglia di malo modo il tovagliolo attraverso il tavolo.

Remus lo raccoglie con uno scatto stizzito.

“Si può sapere dove hai imparato a stare a tavola in questo modo? Credevo che almeno le buone maniere fossero un aspetto positivo del Protocollo Black.”

“Beh, sai com’è, sono pur sempre la pecora bianca della famiglia. Tu dove hai imparato a fare a pugni in quel modo, Lupin? Pensavo che l’essere quello che sei imponesse un controllo più rigido degli impulsi.”

James rabbrividisce nell’uniforme oro e rosso, salvo rammentare il valore di quei colori e il loro significato. Calcia violentemente Peter sotto il tavolo, beccando di striscio un intimidito Longbottom.

“Va bene, Peter, tu ora vieni con me, senza protestare né fare domande stupide che metterebbero tutti in imbarazzo e rovinerebbero i miei sforzi di fingere che qui non stia accadendo nulla e sia tutto perfettamente sano e normale e tranquillo, okay? Mi sono spiegato?”

di metà degli studenti del quinto anno osserva la scena con vivo interesse, insieme a un discreto numero di allievi più piccoli dagli occhi sgranati e impauriti.

Peter Pettigrew batte le palpebre per mezzo minuto, il tempo che gli serve a razionalizzare l’idea di abbandonare la colazione nel piatto. Poi sceglie di scrollare le spalle con aria saggia, e saggiamente stare al gioco.

Metà dei Malandrini batte in ritirata, lasciando i restanti due quarti a fare i conti con la cappa d’iper reazionarietà che avvolge un estremo del tavolo Grifondoro.

“È mosca bianca o pecora nera, Black. Se non sei in grado di citare correttamente un modo di dire babbano faresti meglio ad astenerti dal farlo, considerato anche quanto poco credibile suoni dalla bocca di uno col tuo cognome.”

Sirius sembra accusare fisicamente il colpo, arcuando le spalle e incupendo d’un tono o due.

Perché non la pianti col dramma del mezzosangue bistrattato e affronti il vero problema, eh, Rem? Perché non ammetti una volta per tutte cos’è che ti ha fatto scattare in quel modo, giù alla Stamberga? Che avresti voluto darmi sul serio, mentre eravamo lì, e non hai avuto la forza di…”

Quella di Remus Lupin che attacca briga con un altro studente è una visione cui nessun Grifondoro può dirsi lontanamente abituato. Men che meno se la scena avviene in sala da pranzo, di fronte all’intera scolaresca, e ha per oggetto Sirius Black, fra tutti.

Il sussulto di sorpresa è collettivo, mentre lo spazio tra i due contendenti si riduce al minimo. La cravatta di Black è stretta nel pugno bianco di Lupin, i cui occhi dardeggiano oro.

Mai l’operato degli elfi è stato più indecorosamente trascurato – deliziose colazioni giacciono pressoché intoccate nei piatti da portata. Ma è solo un attimo, durante il quale ogni cosa sembra passare in secondo piano rispetto alla verità dello scontro.

Remus è il primo a ritrarsi, apparentemente svuotato di ogni energie. Nessuno è in grado di notarlo, ma Sirius sa che ha il corpo intero scosso da fremiti, e gli occhi macchiati di luce frustrata.

“Io non ce la faccio.”

È il ringhio rotto con cui il primo attore prende congedo dal suo pubblico.

La scena non ha più modo di continuare, il mantello di Remus che sparisce in fretta oltre la soglia. Parte dell’audience s’interroga sul modo migliore di procedere; i più avveduti emulano Sirius e tornano a concentrarsi sui piatti che hanno innanzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo passato il segno,

dato l’avvio a tutto.

 

 

 

 

Nell’aprire senza invito le cortine del letto, Sirius non è sorpreso di trovare Remus raggomitolato contro il muro, bacchetta alla mano per farsi luce. Gli occorre un secondo in più per realizzare che l’altro sta effettivamente giocando con la punta luminescente, tracciando disegni scomposti nell’aria.

“Paura del buio?”

Remus gli rivolge un sorriso che è più una smorfia.

“Sarebbe stupido per uno come me, no? Ho imparato a controllare gli impulsi.”

La bacchetta oscilla aggraziata, portando con sé la piccola lucciola in cima. Sirius ne segue i movimenti fluidi, suo malgrado rapito.

“Il che si risolve in un colpo di fortuna per te, visto che il mio primo impulso è quello di Cruciarti finché non potrai più reggere il dolore.

È la minaccia soffiata fuori con acredine a strapparlo dal torpore luminoso.

Sirius sbuffa una risata smorzata, per poi lasciarsi scivolare sul bordo del letto. Si è prefisso uno scopo che può essere conseguito solo con la giusta arte e dedizione, rammenta a se stesso, oltre a una certa dose di tattica.

Il fallimento non è contemplato.

“Sai, penso che Prongs sia andato veramente fuori di testa, là sotto. Prima, cioè. Sembrava una donnicciola isterica, e – non hai avuto anche tu l’impressione che stesse picchiando Pete sotto il tavolo con un grosso randello, o roba del genere? Perché io posso quasi giurare che stesse picchiando Pete sotto il tavolo con un grosso randello.

Remus emette un curioso suono nasale che Sirius interpreta come il segnale di passaggio obbligato alla fase due.

“Immagino che nominare la Stamberga davanti a tutti non sia stata proprio una delle mie idee migliori, eh?”

L’altro mette via la bacchetta con un gesto troppo rigido per apparire casuale.

Nella penombra opprimente del baldacchino cala il respiro pesante dell’onere. Turbina con le sue pretese di dialogo e chiarezza, fino a mescersi con la colpa epilettica e volgare, incalzato dall’impazienza della memoria con le mani sui fianchi.

Sirius registra il cambio d’atmosfera rabbrividendo, e massacra la cappa di negatività dal suo centro.

“Fortuna che non c’erano puzzolenti orecchie Serpeverde nei paraggi. Figurarsi cosa farebbe Snivellus se intravedesse la più piccola occasione di ficcare quel suo enorme naso pitocchioso nei nostri affari! Anche se non mi dispiacerebbe darlo in pasto a Moony e fargli ‘ciao-ciao, viscida poltiglia di Snivellus!’ una volta per tutte.”

L’ultimo pensiero sembra intrattenerlo particolarmente, con la sua carica d’innegabile fascino macabro. È certo che l’espressione di Remus, benché forzatamente stoica, nasconda lo stesso irrefrenabile impeto d’approvazione.

“Non offenderti, ma gradirei immensamente vederti andare al diavolo, adesso. Grazie.”

Sirius non ha modo di realizzare che, tempo due secondi netti, si ritroverà scagliato oltre le tende e piuttosto dolorosamente spiaccicato sul pavimento. Finché accade.

Oww, andiamo, Moony! Tu mi hai dato un pugno! Tu mi hai dato un pugno ed io ti ho perdonato!

Uggiola pateticamente all’indirizzo delle coltri ben tirate.

È in uno scatto ferino che la testa di Remus riappare tra le tende, gli occhi ardenti di sdegno e sconcerto.

“Io ti ho dato un pugno perché tu hai cercato di molestarmi mentre non ero cosciente! Sei stato un colossale idiota, e io avevoho talmente tanta ragione che è stupido persino spiegare quanta infinita ragione io abbia!”

Reso ansante dallo sforzo di esprimere con una sintassi corretta il proprio orrore, Remus strattona bruscamente la stoffa per richiudere Padfoot e l’assoluta mancanza di buonsenso fuori dalla sua sfera personale.

Una risoluzione troppo saggia per durare.

Si affaccia nuovamente, sbottando con quanto più astio riesce.

“E poi, permettimi di farti notare che hai davvero un modo contorto di dimostrare la tua clemenza.

È l’Errore. Sirius lo sa, lo legge chiaramente, perché è il panico che si allarga negli occhi del lupo a farglielo capire.

Prende a raspare contro le tende nella sua miglior imitazione di grosso cagnone esagitato.

Quindi è per questo che sei così corrucciato? È perché non pensi che io ti abbia perdonato sul serio? Ow, ma non essere sciocco, Mo-oh-ony! È ovvio che ti ho perdonato, no? Sei il mio compagno peloso!”

Remus sgrana gli occhi e tenta di arretrare, ma è ormai tutto perduto.

“Non è per questo! Non è per questo che ce l’ho con te, Sirius, non – non sono il tuo compagno peloso!”

Rem. Tesoro. Dolcezza.”

Sirius è praticamente di nuovo sul letto, adesso, e in una posizione che chiunque avesse la disgrazia di entrare in questo frangente dalla porta troverebbe traumatizzante in modo irreversibile.

“No! Non è per questo, Sirius, malediz–

“Andiamo. Sai che lo vuoi.

Remus sente il fiato spezzarsi sul fondo della gola. Black è, con la sua sfolgorante stupidità, a meno di un centimetro dal toccargli il naso – una distanza che rende impossibile ignorare lo scintillio di puro entusiasmo nell’argento letale dei suoi occhi. L’odore di pelle e unghie e capelli che si porta dietro invade le narici senza aggredire; il suo peso grava sul piumone senza minaccia. È lì, profondamente innocuo nella sua spavalderia, e sorride come…

Remus storce il naso.

“Non se continui a ghignare in quel modo idiota.

Neanche sembra accorgersi di quanto sorpreso Padfoot sia dalla risposta. Probabilmente perché questi è eccellente nel recuperare.

“Non posso farne a meno, mon Moony. È il mio marchio di fabbrica.

Il bianco di denti curati brilla nell’ombra.

Lupin rotea gli occhi.

“Chiudi la bocca.”

Sirius lo fa. E Remus vi poggia contro la propria, cautamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo dato fuoco alle polveri,

un’abitudine difficile da perdere.

 

 

 

 

È quasi impossibile credere alla pelle, ora che è lì. Che è lì nel modo in cui è nata per essere.

E Sirius è nervoso al punto in cui irrisoria è la distanza dall’odio per se stesso.

Rem… ti prego.”

Qualcosa scorre lungo tutto il suo corpo. Striscia tra le gambe frementi, avvolge l’inguine in tumulto, bacia il fondo dell’addome.

“Non mi fermare.

Anche la sua voce sembra scorrergli addosso, come l’umidità calda della pelle.

Remus è così diverso, sembra – sembra una macchia, sfocata, che tenta di sovrapporsi disperata all’immagine di un tempo. Una che questo letto cancellerà, e che la mente già stenta a richiamare.

Sirius accetta ogni secondo di labbra e di lingua, mentre lunghe dita curiose cercano il senso stesso del piacere proprio lì, fra le sue cosce schiuse, e madide.

“A volte… l’attrazione non è questione di fasi.

La bocca di Remus parla alle sue costole, linee oblique sotto il tessuto fine del fianco.

La bocca di Remus parla alla sua pelle, ma Sirius non riesce ad accettare che sia Moony a guidarla.

“A volte… è dire quel che si vuole...”

Un cozzare brusco di fianchi, e lo shock maggiore di tutti.

Aperto, scavato, discosto.

Come potrà tornare a sentirsi, senza Remus? Essere in grado di tollerare la propria esistenza come monade stravolta.

“… quando lo si vuole.”

Senza la sua pelle nella pelle.

Un urlo muto cade nel tranello del piacere. Le mani di Sirius stringono gli appigli che trovano, mentre il curioso ibrido dei corpi uniti rinuncia alla terra per farsi spazio nel vuoto. Per vincere la gravità con la forza di un desiderio saziato, immenso nella follia della sua unicità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto ciò che ricordo,

tutto ciò che mi torna in mente sei tu,

mentre mi dicevi che c’era stato un incidente.

 

 

 

 

Dev’esserci un posto rosso, fra gli universi. Un posto rosso per tutto il sangue degli uomini che vi affluisce, lasciando indietro corpi come conchiglie lisce e mute. Innaturalmente convesse.

Sirius non sente più il suono del mare.

Pads…”

Il bianco informe che è Remus scuote la calma. Sonno che cede il passo. Sensi nella ronda migratoria di ritorno.

“Come stai?”

È sempre quella, la prima domanda di Moony. Ogni volta che apre gli occhi nel letto dell’infermeria, un pensiero preciso va inevitabilmente a loro. Agli altri. Agli amici che rischiano la vita al suo fianco mese dopo mese, costruendo un debito che Remus sa non riuscirà mai a saldare. 

Sirius non può rispondere. È un compito che tocca a Potter, generalmente, perché Black sarà sempre più impegnato a ghignare come un idiota, e Pettigrew a contemplare con timore crescente le ferite nuove sul corpo del lupo.

Però adesso James non c’è. Neppure Peter.

Ed è una sola la conclusione che Remus, essendo Remus nel modo in cui lo è, può ricavarne.

“Ho fatto del male a qualcuno. Sirius? Guardami.”

Vorrebbe dirgli quanto egoista sia, per sua parte, chiedergli proprio di guardarlo. Potrebbe ordinargli qualunque altra cosa, e Padfoot eseguirebbe ubbidiente. Ma questo, e questa mattina, non è in questione.

“Sono loro. Dimmelo, Sirius. Ho… attaccato Prongs. Wormtail.”

Deve farlo, deve. Perché Remus non è più la sua voce, e nulla ha il senso corretto di una domanda, e solo – Sirius sa che dovrebbe farlo in ogni caso, e quel che perderà non sarà più suo comunque.

Moony è slavato. I capelli sembrano paglia tirata indietro con la forza, ghermita da dita inflessibili e dure come i rami di un Platano.

Sirius non può continuare a guardarlo. Non…

Le braccia, scoperte dalla veste a maniche corte, sono avvolte da più strati di bende. Su di esse vanno allargandosi macchie scure che è impossibile fissare.

Sirius.”

Deglutisce.

Gli occhi di Remus paiono nient’altro che ferite del lupo.

“Li ho uccisi. Li ho morsi? Ora dove sono? Aspettano di scoprire se sono come me…”

Tutto a un tratto la consapevolezza della perdita – di ciò che esattamente gli verrà sottratto, è abbastanza da spingere Sirius oltre il limite.

Sta’ zitto, sta’ zitto! Tu non sai niente! Smettila di parlare!”

È chiaramente uno shock, per l’ambiente che hanno intorno, ma Remus ha l’aria di non farsi mai trovare impreparato. Si aspetta di tutto e tutto può accadergli, perché è il giorno dopo la luna, e la sua bestia si ciba del controllo che l’uomo prova a imporle.

Sirius ingoia vilmente, stringendo nei confini della vista l’immagine di Moony nella sua neve sporca, come un tesoro sfuggente e morboso.

Forse, se rimandasse ancora, potrebbe…

Sirius. Voglio sentirtelo dire.”

… renderlo meno reale?

Deglutisce, sapore acido di lacrime.

Rem.”

Basta così. È tutto ciò che riesce a gemere, il tono strozzato, la gola serrata. Abbassa lo sguardo sulle nocche bianche dei pugni che tiene ben stretti sulle ginocchia, rigidamente accartocciato su se stesso come siede.  

La mano di Moony afferra l’orlo delle lenzuola, contraendosi spasmodica. Una paralisi entusiasta va colonizzando il suo corpo, a partire dal cuore che perde un battito, e un altro, e un altro ancora.

Sirius distende le dita della sinistra, asciugandone il palmo sudato contro il tessuto dei pantaloni spiegazzati. Con la destra si allenta il nodo della cravatta, per poi artigliarsi la gola con odio esausto, senza ferirsi abbastanza.

Rem…”

Due tocchi decisi alla porta gli tagliano le parole fra le labbra.

Sulla soglia, accanto quella immancabile di Madame Pomfrey, stanno due figure curiosamente fuori posto; in contrasto, ciascuna a sua modo, con la sacralità asettica della malattia che l’infermeria impone.

“Molto bene, signor Lupin. Vedo che ha ripreso conoscenza.

Albus Silente sorride gioviale. Sirius sente il sangue defluire pericolosamente dal cervello.

Madame Pomfrey supera frettolosamente l’uscio, avvicinando il paziente fisso con la fronte corrucciata dalla preoccupazione.

“Cielo, povero ragazzo! Dev’essere stata una notte terribile, per te.

Dalla sua posizione semi-distesa, Remus s’immobilizza definitivamente.

Sirius avrebbe voglia di urlare.

L’espressione sgomenta del lupo parla da sola per tutti i presenti. Si riflette nell’accorata preoccupazione della Guaritrice, come nelle mezzelune calate sul naso del Preside. Colpisce i nervi stravolti e il confuso ammasso di colpa crepitante che costituisce il rampollo Black.

Bagna gli occhi torbidi di Severus Snape, spalle curve sulla porta.

Sirius chiude l’incubo oltre la barriera della cecità, come se bastasse a silenziare Moony dalla voce tremante.

“Madame… signor Preside, lui… Severus non dovrebbe… che cosa è successo?”

Un unico sguardo d’intesa lega Poppy Pomfrey a Silente.

Braccia intrecciate morbidamente dietro la schiena, sulla lunga veste verde oceano, l’uomo muove senza fretta verso il letto del malato, evitando ogni occhiata superflua alla figura adombrata di Sirius.

“La invito a restare tranquillo e a non lambiccarsi troppo il cervello, signor Lupin. Ogni cosa ha la sua giusta spiegazione, e sono certo che il signor Black qui presente vorrà…”

I piedi della sedia stridono sulle piastrelle. Sirius scatta all’erta, volto nascosto dalle lunghe ciocche corvine.

Gli occhi di Remus guizzano, rapidi quanto una fuga.

Pads?”

L’animagus ansima, stordito dall’odore persistente di sangue e farmaci, e quello dei suoi stessi capelli.

“Signor Black, la prego di sedersi.”

Non può, non – non ha l’abilità per fare questo, non conta cosa, quanto, vorrebbe scusarsi col Preside, ma non, deve andare via di lì immediatamente.

Sfreccia verso l’uscio, vincendo bruscamente il tentativo di trattenerlo operato da Snivellus.

E lasciami!”

Il Serpeverde è spintonato contro la porta, mentre le proteste di Madame Pomfrey seguono il fulmine nero oltre la soglia. Insieme all’urlo ferito che tormenterà i giorni di Black fino alla fine.

Sirius!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sempre a fingere,

sempre a credere che l’amore sarebbe bastato.

 

 

 

 

Sono settimane che Remus e i suoi occhi non si appartengono più.

Lo hanno notato tutti. Molti, certo, l’indicano diversamente, ma Sirius è convinto di avere la definizione più vera per quello stacco dalla realtà che parte sin dall’apparenza.

Apertamente, Moony ha perdonato. Padfoot per l’egoismo sconcertante delle sue leggerezze; Snape per l’occhiata d’odio che ha accompagnato la sua promessa; Albus Silente per aver lasciato che tutto accadesse sotto il suo naso. È ben lontano dal perdonare se stesso per essere quello che è, o Fenrir Greyback per aver ucciso quello che avrebbe potuto essere; ma si tratta di vecchie colpe che hanno il peso di bagagli sdruciti, cui ci si abitua grazie all’indolenzimento del corpo.

Per questo nuovo dolore, i sensi non vogliono saperne di assopirsi. E tutto il rancore è rivolto contro la debolezza del solo sentimento in grado di tenerlo a galla.

Remus non accetta che il suo amore gli consenta di guardare Sirius negli occhi, ma non possa espandersi fino a smussare il ricordo dell’odio.

Moony.”

Nh?”

Sirius ritrova una volta di più la conferma della sua sensazione. Non c’è alcun modo di fingere che sia tutto normale, sotto quello sguardo orribilmente estraneo.

Odia, odia gli occhi di Remus più di se stesso, perché stanno sul suo viso a rammentargli che cosa ha perso.

Eppure ha bisogno di sentirli addosso. Anche mentre mentono come fanno.

“È davvero stupido da parte mia sperare che tutto possa tornare come prima?”

Remus stringe le labbra, unico segno che offre.

Perché vorresti tornare indietro? Pensaci, Padfoot. Pensaci bene. Tutto questo, e tu hai ancora una chance. L’ennesima prova della tua onnipotenza. Rinunceresti davvero all’unica conferma importante della vita?

Vorrebbe dire, ma trova il modo di tramutare in oro la piattezza bieca della bugia.

“No, Sirius, non lo è. Va già bene. Va meglio ogni giorno che passa.

Andrebbe meglio solo potessi sputare via le ossa del mio amore inutile, e liberarmi del disgusto per il loro sapore.

Vorrebbe dire anche questo, ma non c’è modo di rivestire la sazietà di metalli pregiati.

Ignaro, Sirius assente, fiuta l’aria con un sorriso. Deve solo ignorare l’odore di cenere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tua innocenza mi manca

ogni giorno.

 

 

 

 

Su alla torre d’Astronomia le mura hanno un sapore diverso. Remus ci pensa, fallendo nel trovarvi un briciolo di senso.

L’aria della sera è rarefatta; sgualcita, forata dall’odore degli incontri. Il tempo delle vite si ripiega in involti fitti di emozione, con le pietre polverose e i merli della torre per testimoni. Le notti rubate alla frenesia della routine e agli spettri confusi della guerra si bagnano di una dolcezza disturbante, e tutte culminano lì: negli amplessi donati al vento, e al cielo.

Remus non comprende come la meta di illecite fughe giovanili possieda il potere di farlo sentire tanto adulto.

È del tutto illogico. Quel senso di frugalità puerile la cui presenza parrebbe inevitabile è inspiegabilmente rimpiazzato da un’acuta gravità, pronta a scaraventarlo senza guanti nell’età adulta. Nel mondo che è oltre i cancelli di Hogwarts, col suo sapore amaro e speziato. Frizzante e caldo.

Ma forse è solo l’ombra di Sirius contro la luna a distogliere ogni percezione.

Remus lo guarda, nell’ultima notte prima dell’estate, e una corrente d’amore risanato torna a proteggerlo. Salvifica e benevola, respinge i ricordi di mesi privi di coordinate, derubati d’appigli. Mesi di distanze scavate in seno al contatto.

Ormai non cerca più di toccarlo, Sirius, però va bene così. La loro è una lenta guarigione, retta dai metri che necessariamente li separano anche quando restano da soli. Come adesso – con la sagoma di Padfoot rannicchiata sul davanzale, e la schiena di Remus contro la parete opposta.

“È una buona serata per salutarsi.”

Riemerge appena dagli spessi strati della riflessione nel sentire occhi brillanti puntati addosso.

“Davvero?”

Non gli riesce di tirar fuori altro. Per la prima volta dopo la disillusione più spietata, è nuovamente schiacciato dalla certezza dei sentimenti – plasmati nella bellezza viscerale e profonda, oceanica, del compagno che ha scelto per la vita, e la vita ha scelto per lui.

Sirius è un brandello d’irrinunciabile notte, e dalla notte Remus dipende come estasiato.

“Saranno delle belle vacanze. I Potter mi hanno invitato per qualche giorno, verso la fine di luglio. In caso le cose si facessero troppo pesanti.

Non c’è bisogno di inquisire oltre. Conoscere il traditore della famiglia garantisce uno sguardo privilegiato sui Black; porta a galla gli incubi che mai periscono entro quelle mura di pregio e memorie.

Remus si raddrizza contro il corpo della torre, ma non smette di sorridere.

“Mi fa piacere.

La nota stonata però è lì, in agguato. Sirius non permette che gli sfugga, tentenna.

“Saresti potuto venire anche tu, solo… con la luna, e tutto il resto…”

E tutto il resto.

Gli angoli della bocca si arcuano nervosi.

Come fare l’amore con te nella stanza comune, e soffocare i gemiti con i drappi del letto. 

“Già, certo, lo so. Non preoccupatevi, starò benissimo.

Sirius arriccia il naso, insoddisfatto, ma non muove un passo per sbugiardarlo. Remus osserva che, tempo addietro, sarebbe stato lanciato giù dalla torre come punizione per aver mentito – di fatto, tempo addietro non c’erano barriere di rimorso a frenare l’irruenza. 

“Ti porterò un regalo. Qualcosa dalla Cornovaglia, dove sta lo zio di Prongs. Magari una cornamusa! Scommetto che ti piacerebbe imparare a suonare una di quelle. Sempre che tu non sappia già farlo.”

L’entusiasmo sale ingenuo in un crescendo, commuovendo Remus fino alla dura roccia che lo sostiene.

“Dubito che troverai una sola cornamusa in Cornovaglia, Padfoot. Ma in caso passassi per la Scozia sappi che accetterei di buon grado un kilt.

“Come? Niente cornamuse? Credevo si chiamasse Cornovaglia per questo!”

Il cucciolo ha sul viso un tale stupore tradito che la nostalgia dei suoi occhi inizia a prendere forma, meschina e in anticipo. Remus può inspirarla, distinguerla come nota piccata nella cappa pesante che oscura la torre.

Quel diventare adulti, perdendo qualcosa lungo la strada.

“Pensa solo a goderti le vacanze, d’accordo?”

Capitola infine, e Sirius annuisce vigoroso. Il suo profilo taglia la luna in caselle aristocratiche, mentre contempla il cielo che pare invitarlo e ripete, in un sussurro:

“Sarà una bella estate.”

La gravità delle pietre non sembra più tanto pressante. Nelle ferite d’ombra, labbra giovani si spiegano sotto il firmamento, le une all’altre estranee, ma complici; e tutte per sbaglio sfiorano il futuro cui le ore del giorno le avvicinano, ammantate da spessi strati d’incoscienza che le preserveranno, per una notte ancora.

Remus si premura di rispondere al sorriso.

Splendida, come la sua stella, l’innocenza di Sirius brilla per gli ultimi istanti.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

_ * _



Per chiarire:

- sì, l'autrice matta di (Or) The Tempest è tornata, straripante di gratitudine per i suoi lettori <3. Però, sarà meglio che vi avverta: se state cercando ancora quel genere di storia allora fareste meglio ad uscire dalla pagine. (But) The Act è un fosco flashback dove i picchi d'umorismo sono affidati quasi esclusivamente a Prongs xD e sono peraltro molto sporadici. Qui mi sono cimentata nel fare le cose seriamente. Oh-oh, paura.
- gli stralci colorati vengono da una canzone cui sono molto legata, tradotta in italiano. Si chiama 'Always The Pretenders', e a cantarla sono gli Europe. Ecco la componente song-fic della storia. =)
- qualunque commento, positivo o negativo che sia, è più che ben accetto ^O^/. Se desiderate ulteriori chiarimenti o avete qualche domanda: sarei deliziata di rispondervi. *-*


Grazie di cuore alle meravigliose lettrici di (Or) The Tempest e alla fair lady che mi ha iniziata al fandom. <3 Shjtem <- cacofonico monosillabo che i francesi interpretano come dichiarazione d'amore xD.

A presto, spero, col prossimo capitolo! ^O^
Previsti: altri 2. ù__ù

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Capitolo 2
*** Act 2. ***





Atto Secondo.
L'oro nero
dei riflettori, colando attacca
alla pelle.










_ * _






Forse abbiamo acceso i riflettori,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo acceso i riflettori,

dato spettacolo in qualche modo.

 

 

 

È la Cosa Di Cui Non Parlano.

Se ne sta lì, annidata nella sfuggenza di Sirius, nel suo voltare il capo più bruscamente di quanto avesse bisogno di fare prima. Nell’asprezza della notte, ammantata fra tende ruvide che non vengono aperte ad orari improbabili da mani frementi – non più, da troppi mesi, e Remus è stanco di persuadersi a tollerarlo.

Riesce persino a farlo sentire in colpa, questo tipo d’egoismo. Sebbene, potesse mettere da parte lo smodato bisogno di contatto per più di qualche secondo, vedrebbe quanto giusta sia in realtà la nostalgia della pelle, e quanto bene abbia il potere di fare per entrambi.

È l’ennesima violenza ripetersi che non è questo il punto, che hanno altro cui pensare – altro da recuperare, per amor del cielo, dacché stanno spaccandosi più in fretta che mai.

Il dialogo resosi tanto necessario non giunge sotto la forma sperata, ma è forse maggiormente efficace. Certo lascia senza ricordi di guerra, e salvaguarda Remus dal timore costante d’incorrere nelle ire di Padfoot.

“Hai mai provato a parlarne con Sirius?”

Mh?”

La voce di James si frammenta in singoli tasselli di ovvietà annoiata, recriminazione sardonica.

“Forse ti è sfuggito, ma questa estate è scappato di casa. Non una di quelle cose da ragazzini: scappato davvero. Tanto che i miei lo hanno preso in custodia, e indovina? Quel che è peggio, suo padre non ha neanche tentato di portarlo indietro.

Remus leva lo sguardo dal saggio di Pozioni con cui aveva stabilito di fingersi terribilmente occupato.

“Potrei sbagliarmi, ma credo gli farebbe bene parlarne con te, invece di spendere ogni momento cercando di evitare la questione.

“Noi non evitiamo la questione, Prongs. Solo… lui non la solleva, e io detesto fargli domande cui non vorrebbe rispondere comunque.”

James sbuffa, scettico.

“Almeno gli avrai chiesto delle lettere. Non puoi non aver notato tutti quei gufi.

E Remus li ha, di fatto, notati. Ma ha ancora una volta scelto di aspettare che fosse Sirius ad aprirsi, dando a intendere di essere completamente all’oscuro di tutto, nel frattempo.

Non sarà stata la tattica più brillante del repertorio, però – l’impeto dell’orgoglio lo smuove – è troppo facile per James parlare.

Non è lui a dividere una zona d’anima con Sirius. Non è lui a rischiare il riflesso delle sue ferite, da quando colpire uno significa abbattere entrambi.

“Credevo fossero di sua madre.”

Tenta, pacato.

“Chi, Walburga Black?! Sai bene quanto me che non è capace di ricordare dove si trovi suo figlio abbastanza a lungo da pensare di scrivergli. Non lo ha fatto una volta in sei anni.”

E allora chi?”

Ancora uno sbuffo.

“Non è a me che dovresti chiederlo, ma visto che vorrei risolvere questa storia prima di diventare un vecchio pazzoide con la pancia piena di sorbetti al limone – è Regulus che gli scrive. Pare abbia preso molto male la rottura di suo fratello, ed è così insistente perché Sirius rifiuta di rispondergli.”

L’ultima occasione per aggrapparsi alla convinzione che tutto qesto sia triviale, e il rimbrotto di Prongs senza fondamento.

Pads adora suo fratello.”

“Lo so. Per questo penso che lo abbia allontanato con l’intenzione di proteggerlo. Non vuole che finisca nei guai con suo padre per essere rimasto in contatto col traditore, ma non capisce che se Regulus continua a non ricevere risposta seguiterà a scrivere finché verrà scoperto, e allora sì che sarà un vero schifo!”

C’è silenzio, che Remus usa per maledirsi in ogni idioma telepatico noto all’uomo.

Poi:

Moony. Fa’ un favore a tutti e parla con Sirius.

James sparisce oltre la soglia del bagno con una strizzata d’occhio, buttata lì per addolcire il commento troppo penetrante.

“Non costringermi a dubitare del tuo coraggio, Grifondoro!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo imparato a scontrarci

come parte della quotidianità.

 

 

 

 

“Così… da quant’è che stai coi Potter, esattamente?”

“Bah. Un po’.”

Non sa se dirsi più deluso o sollevato dalla risposta. Adesso, Remus si dice, avrebbe una buona scusa per battere in ritirata e dimenticare il fastidioso pungolo del dovere. Una scusa per non rovinare quel prezioso, raro momento d’intimità senza patemi, con questioni sgradite ad entrambi.

Mh. Un po’?!

“Già.”

“Ti spiacerebbe essere un po’ più specifico?!

Sirius s’irrigidisce contro il suo petto, in quell’abbraccio precario che sta per trasfigurare orrendamente in una presa grottesca.

“Non è… che vuoi? Cos’è tutta questa importanza, all’improvviso?”

“Scusa tanto se mi interesso alla tua vita!”

“Oh. Ma sì, certo.”

È il sarcasmo che lo smonta.

“Adesso non fare lo stronzo.”

E tu non fare la vittima.”

Lo scatto è inevitabile, ormai. Remus spinge in su l’addome, nello stesso moto d’insofferenza per cui Sirius si tira a sedere, ustionato dal solo pensiero di prolungare il contatto.

“La…?!”

“La vittima, sì, Remus, esatto! Non te ne accorgi?”

“Francamente, se c’è qualcuno che si vittimizza quello mi sembra che sia tu. Quando non vuoi parlare dei tuoi problemi, abbi il buonsenso di…”

“Come no, Remus.”

“… non farli notare. Altrimenti sembra tu voglia farti compatire.

“Sembra che cosa?! Tu… non hai idea!”

Gli occhi di Sirius non sono mai stato più argentei, attoniti e rotti come se ne stanno. Remus li ricorderà come la prima cosa andata distrutta, quando sarà tutto finito.

“E di chi è la colpa?!

Adesso.

“Quale colpa? Quale colpa?! Sai che, vaffanculo.”

Pads – ”

Fottiti!”

Non gli resta che annegare fra i cuscini, e guardare Sirius schizzare via dalla sala comune.

Le spalle malferme e i capelli così neri portano a galla il ricordo di quel mattino, in infermeria, tra l’oblio della notte da superare e il peso del giorno di cui farsi carico. La sensazione, Remus registra, è la stessa.

Quella di un tradimento consumato già da troppo, ma ancora lontano nella comprensione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse siamo balzati giù dal muro,

abbiamo aggiunto al vaso l’ultima goccia.

 

 

 

 

L’inverno è trascorso in trincea. Giorno dopo giorno, da postazioni privilegiate, sono tornati ad osservarsi, attenti a evitare i sacrifici inutili.

San Valentino è stato da incubo, Sirius rammenta. Passeggiare per Hogsmeade senza dimenticare neanche un attimo la vista di Remus e Mary-Anne Finch da Madame Puddifoot, seduti al tavolo vicino la porta; e, in nottata, rifugiarsi da Darren Walpole di Tassorosso nel misero tentativo di accelerare la decomposizione dei sentimenti residui, e della pelle ansiosa d’altri – di Moony, ancora e sempre.

Adesso, in quest’attimo agognato fatto delle lacrime di Mary-Anne, Sirius stabilisce di tentare il primo colpo, valicando la coltre del filo spinato.

Che succede?”

Peter ha indosso un’espressione di rammarico tanto sincero da sembrare comica, tutto sommato, giacché Sirius ne ricorda una identica all’indomani della rottura con Remus in autunno.

Moony ha piantato Mary-Anne. Cavolo. Dopo San Valentino, e tutto il resto!”

Black mantiene un contegno dignitoso, ma i pianeti stanno già allineandosi nel suo orizzonte di previsione.

“Una vera disgrazia.”

Il commento non sfugge ad alcuno. Gli occhi di Remus bruciano di colpa senza nome mentre premono in quelli di Sirius, e la scena sembra cambiare intorno a loro.

Non dura neanche un’ora. Le orecchie diventano sorde ai piagnistei femminili, le dita s’intrecciano sotto la tavola. La sedia scotta, il pavimento – la tovaglia traccia linee d’intollerabile tempo bianco, mentre febbre cresce sullo sfondo, muta e sudata. Tutto passa come soffiato via dall’ingiustizia stessa del rivivere sopra macerie.

La ritirata in dormitorio non è mai stata più urgente.

È di braccia, e labbra e lingue, e corpi e un letto soltanto, che la prima brezza dell’era a venire si compone. Annodati sotto il piumone, dentro l’uno all’altro per equa alternanza, sgusciano via dalla pelle avvizzita e affrontano la muta con un sesso nuovo.

E ancora labbra, e lingua, e Remus su di lui, e tutt’intorno, e –

Rem…”

“Non smettere. Sirius, ti prego.

Gli stringe un fianco, geme spezzato.

“Andiamo a stare insieme. Tu ed io. Dopo scuola.”

Butta fuori a scatti, nelle pause di fiato tra le spinte rotte del bacino.

Remus miagola, striscia labbra verso l’arco del collo, e Sirius ne avverte i baci flebili fin nell’arteria.

“Dopo… Hogwarts?”

Un’inversione d’angolo e sono perduti. L’intrico di gambe si rovescia; i guanciali accolgono una chioma più chiara, ambra mossa in onde lievissime.

“Per favore.

Sirius prega con tutti i mezzi, si tende dentro il compagno. Remus è impossibilmente aperto e caldo, vicino, bello come nei ricordi più santi.

Sì.

Qualcuno alla porta, il cui arrivo rammenta a Sirius la sua imprudenza; ma non può pentirsene – troppa premura per silenziare il letto.

Non è sfiorato dall’idea di fermarsi. Non prima di ciò che desidera, e non dopo l’assenso tremulo di Moony.

Prongs e Wormtail capiranno – Remus direbbe che è proprio questo il problema, quindi è una fortuna che sia ridotto al silenzio.

Spinge per liberarsi, e l’alcova dolcissima che l’ospita accoglie fino al piacere finale.

I suoni dall’esterno sono attutiti dall’ebbrezza del dopo, coperti dal gemito più acuto con cui Remus completa la loro muta. Unghie affondate nella pelle si ritraggono, docili, lasciando il posto ad un languore pesante.

Sirius non può credere di aver vissuto per tutti quei mesi senza un solo assaggio di simile torpore.

“Hey, Moony.”

Nnh. Sirius, sono a pezzi.”

“Lo credo! Non eri più abituato a, eh, me.

Fuori dal mio letto in questo istante, razza di cagnaccio ingrato!”

“Potrei, in effetti. Credi che Petey arriverebbe effettivamente a svenire se mi vedesse uscire da qui senza che mi sia ripulito? In tutta la mia gloriosa nudità appiccicaticcia.

Ugh. Sei ripugnante. Evanesco!”

Mooooooney! Moony, Moony-Moons?”

“Sto per dormire. Sei avvisat – ”

“La tua risposta? Era… davvero?”

“…”

“…”

“Davvero. Sì, ti prego.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse ci siamo sforzati troppo,

per paura di fallire.

 

 

 

 

La stanza è romboidale, vista con code d’occhi lucidi.

Remus sente le membra irrigidirsi, scosse dall’afflusso del sangue che sale rapido al cervello. Ruota su se stesso, infastidito dalla lana pungente del piumone contro la nuca. Di traverso, il naso sepolto in uno dei cuscini, trae un respiro incerto e beve l’odore di lui.

Un po’ di sesso e di fumo, la traccia di Sirius in camera.

Può ancora sentire il clangore del chiavistello e il tonfo della porta – divenuto secco e plateale da quando il coinquilino ha smesso di usar prudenza per non disturbarlo. È un effetto d’intossicante ridondanza.

Si flette lievemente, sfregando l’addome nudo contro la stoffa ispida.

L’amore in quel letto è un sapere elitario e sfuggente, come l’alcool in coppe di vino. Del resto vivere insieme ha il gusto dell’eufemismo, ora che Sirius non c’è mai per davvero.

Poi, l’odore. Le lunghe dite di fumo che avvolgono il candore delle federe, sgualcendole con mani invidiose e gesti semplici – perché è facile da sempre lasciarsi Remus alle spalle. Bruciarlo e stringerlo fra i denti, senza trattenerlo più a lungo del dovuto: non un attimo oltre il piacere e la sua frustrazione.

Non lo disturba, di per sé, che Sirius abbia preso a fumare. Solo che ogni cosa gli sfiori le labbra di questi tempi pare inconsistente, e la triste parabola di nicotina appesantisce la nube in cui stagnano di un carico troppo patetico.

I gufi non infestano più l’abitazione, ed è facile intuire quanto il Black perduto ne avverta la mancanza. Godric, persino Remus ne accusa l’assenza, malgrado il disagio dei primi tempi – per non menzionare la sorpresa nell’apprendere che, sì, Padfoot aveva effettivamente informato Regulus della sua nuova sistemazione, con tutta la sequela di spiegazioni supplementari implicate. Adesso la mancanza di beccate sul vetro della finestra corrisponde allo spettro di un marchio nero nel cielo terso, ne condivide il significato. E la guerra fuori ha fornito una scusa rapida ad ogni sbalzo d’umore, ogni fuga, ogni silenzio.

L’udito da lupo fallisce, prevedibilmente assopito dalla luna calante. Sirius è in camera senza che Remus possa predirlo, e il suo calore è disteso sul letto l’attimo dopo.

Uno sbuffo, stanco e indebolito, musica l’intrecciarsi molle di braccia e gambe sul piumone.

Ed è ancora il tentativo, irriducibile, di costruire supporti.

“Brutta giornata?”

Sirius nasconde il viso nelle strie di pelle del compagno, aspirandone l’essenza a labbra dischiuse e rilasciandola in un gemito umido e tiepido.

“Lo sai. Non posso parlarne.”

Silenzio sia. Remus si lambicca per sfuggire all’apatia, risolvendo di tenere su di sé il discorso.

“Silente dice che mi assumerà a scuola come aiuto-bibliotecario, finché Madame Pince non si ritirerà dalla professione. Intanto farei un po’ d’esperienza, il che mi tornerebbe utile se decidessi di impegnarmi davvero per diventare professore.

Dalle profondità del guanciale di odori la voce di Sirius giunge in un grugnito.

“Grandioso.”

Bugia che rischierebbe di valergli un diretto in pieno stomaco, fosse Remus meno preso da buona lena.

“Ti va una birra? Ai Tre Manici. Potremmo chiamare Wormtail e Kingsley, e Longbottom.

Il fiato di Sirius si spezza, brusco, prima di riemergere appesantito.

Non. Vedrò. Ancora. Gente. oggi né in questa vita, se possibile.”

C’è già più distanza fra le sue labbra e la spalla nuda del licantropo, ma questi tenta un ultimo recupero. Dopo un frangente di silenzio che ha più cocci da raccogliere, però.

“Potremmo sempre andare da soli.”

Lo scatto è subitaneo. Ciocche di nera bellezza graffiano la pelle nell’allontanarsi a schiocchi di frusta, come fanno.

Remus. Lascia stare, okay?”

Sirius ruota con slancio per rimettersi seduto sul bordo, schiena volta al compagno. L’altro può vedere il su e giù incalzante del costato, intuire la respirazione affannosa.

Piano, i gomiti che lo sorreggono cessano di fremere, e la sagoma ritrova un equilibrio plastico. Remus è rapito dall’arte intonsa di quelle spalle larghe, modellate, fasciate dal pastrano scuro e orlate dalle ciocche di notte arricciate in punta. Da troppo ormai non dedica del tempo ad osservare simili dettagli, preso com’è a leccarsi le ferite. La bellezza di Sirius è al tatto: mani callose non riescono a trarne il meglio, né meritano di conoscerlo.

Odierebbe le sue cicatrici davvero solo se gl’impedissero di amare Padfoot, o tendere alla sua presenza con ogni fibra dei loro dolori.

Hey… ascolta.”

Vorrebbe, Remus, riconoscere in quel tono apologetico lo stesso del compagno di dormitorio. Vorrebbe sentirsi in grado d’accettare scuse che creda sincere, costruttive per il domani di coperte ispide e chiazze di fumo.

Tutto ciò che sente è la supplica, e non credeva potesse deluderlo fino a quel punto.

“Io voglio davvero che questo funzioni. È la cosa che voglio di più al mondo.”

 La torsione del busto segue una spirale morbida. Sirius lo fissa con l’ansia dei folli negli occhi.

“Tu mi credi. Non è vero?”

Rimbomba e galleggia, sospesa in un vuoto che al tempo non c’era, la lirica tenue cui Remus si lascia cullare nel buio. Abbatte le sue difese e lo lascia di arido stucco, incattivito dalla meraviglia soffusa.

Non pensa di avere una risposta per Padfoot.

Reset.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto ciò che ricordo,

tutto ciò che mi torna in mente sei tu,

mentre mi dicevi che c’era stato un incidente.

 

 

 

 

La notte in cui Remus Lupin è stato strappato dal torpore e ha scoperto di amare oltre ogni volontà ha segnato la fine del tempo.

Sirius, puoi spiegarmi una buona volta che cosa sta succedendo?!

“È già qui, Moony. Voldemort ci ha trovati. Devo…”

Harry. James e Lily, saranno – ”

“Vado da loro. Tu cerca di metterti in contatto con Silente, e non muoverti di qui per nessuna ragione al mondo.

“Non puoi aspettarti che me ne stia con le mani in mano! Stiamo parlando dei miei migliori amici.”

“Sono anche i miei – ma certo, Peter! Oh, diavolo!”

Che altro c’è?”

“Devo passare da Wormtail per assicurarmi che stia bene. È il Custode. Se Voldemort fosse arrivato a lui sarebbe la fine dei giochi.”

…”

Moony…”

“Vai. Penso io al resto dell’Ordine.”

Sirius è andato, e non è tornato indietro.

Reset. Remus si chiede come abbia potuto sbagliare così incredibilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sempre a fingere,

sempre a credere che l’amore sarebbe bastato.

 

 

 

 

Nove code lisce.

Nove.

Per un totale di… 36 piccole zampette sulle piastrelle in pietra.

Intorno ai 108 minuscoli artigli. E 54 corte vibrisse.

Quanti denti in tutto?

Stringe le gambe al petto di scatto, sprofonda il capo nell’incavo tra le ginocchia. Ce n’è un altro i cui occhietti rossastri brillano nell’angolo opposto della cella.

Dieci code lisce.

40 piccole zampe. 120 unghie appuntite. 60 baffi come stringhe lucenti di –

L’auror di guardia batte sull’uscio col più indegno pugno babbano.

“Facciamola finita lì dentro, Black!”

Ma forse non dice nient’affatto. Forse non c’è nessuno a sorvegliarlo, all’infuori di quelle 20 pupille dardeggianti e l’ombra fredda che tocca i muri incassati prima della violenza terminale.

Sirius non ricorda.

Ha preso a discorrere tra sé, certamente. Qualche volta ha anche l’impressione che stralci di conversazioni siano già occorsi in passato, ma la percezione è pallida e va via in fretta.

Al calare delle ombre innaturali – il sole non filtra, in Azkaban – gli sembra perfino di risentire una voce umana, da qualche parte fra i suoi brandi d’anima.

Io ti amo.

Flautata, glucidica, porta il messaggio di una zona inesplorata di sé che s’immola per proteggerlo dagli artigli dei mantelli scuri, disgregandosi poco per volta. Si riduce in scorie invisibili che cadono in pasto ai cani infernali nascosti dai cappucci.

Quando diventa dura realmente, Sirius s’industria per ribattere alla voce. Solo che il dialogo deraglia verso lidi che non è certo di saper cogliere.

“Io ti amo.”

Ma non ha importanza! Non ha senso, lo capisci? Se non vuoi stare con me, allora è tutto nella tua testa. Nel tuo cuore, se siamo fortunati. Però non cercare di farmi credere che può bastare, Rem, perché non è giusto.

Non prova più da tempo ad approfondire l’indagine. I ricordi sono fatti di nomi senza valore impilati secondo le strutture di una disperazione dispotica; Sirius Black, in Azkaban, ha troppo da fare per mettersi a gustare il dolore.

Le nocche prominenti sbiancano, arcuate sulle rotule in agetto.

Undici code lisce.

Undici…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tua innocenza mi manca

ogni giorno.

 

 

 

 

Prima che le ore iniziassero a uccidere, c’erano stati momenti come quello in cui –

Moony?”

– aveva alzato gli occhi dal suo libro (ricorda persino quale, Don Quijote de la Mancha) per sorridergli in semplicità.

“Sì?”

Sirius può solo immaginare, adesso, quanto dovessero dolere gli scoppi di gioia veemente nello stomaco, condizionati dal più misero gesto e portatori tutti di un unico messaggio, magnifico e tremendo…

… che non ricorda più. Ma è certo fosse proprio lì, fosse lì tutto il tempo.

“Come puoi avere a che fare con me? Come riesci a fidarti?”

Pads, non quella storia di nuovo!”

“Non mi riferivo a quella… è tutto. Anche se tentare di usarti per mandare Snivellus a morte è un buon esempio di ciò che intendo.

“Varrebbe a dire?”

“Oh, andiamo, Rem! Tu mi conosci. Sono una testa calda, un – un povero idiota che si getta a capofitto in tutto quello che fa, e a volte non capisco neppure dov’è che sbaglio, quindi non posso pentirmi. E tu sei sempre lì a tollerare e a pazientare, e a riportarmi sulla via della ragione quando perdo la bussola, e in più mi ami. So che sei forte, ma quanto devi esserlo per gestire me?”

“… c’è solo una cosa che non ti perdonerei mai, ed è la stupidità di discorsi come questo. Cerca di tenere a mente che non ti amo perché lo meriti.

Stretti e caldi, gli occhi di Remus dovevano illuminare la sala comune deserta; l’oro e rosso degli stendardi tracciare i confini ora indistinti del suo volto.

“Continuerò a farlo. Pensi che abbia scelta? Non importa quanto tu possa sbagliare, vedrò sempre in te le stesse cose.”

Quel battere di cuori, corrosi e ridipinti. Atleti vecchi e ansanti, che toccano il traguardo col sangue infetto e tornano a competere.

“Quand’anche perdessi la fiducia in te mi resterebbe quella nel mio amore. Credo basterebbe per una vita intera!”

Aveva sorriso e proteso una mano – benevolo, altissimo come certi sovrani della storia babbana, sembrando più regale che mille incoronati e i loro stuoli di gioielli.

Dopo

È il ricordo più sano che ha. E Sirius è sopravvissuto sapendo d’essere riuscito a conservarlo solo perché ammantato di rancore, menzogna, amarezza. Prezzi esatti dai carcerieri e dal tempo stesso, in una tassazione fluviale che ha risciacquato via il desiderio della memoria.

Quel che adesso gli accade di ricordare è una sventura deforme e inaccettabile; e neppure è il lato peggiore. L’artificiosità dei pezzi di passato che rievoca senza volere ammicca ad una prospettiva terrificante, capace di sbaragliare ogni pilastro del suo esistere qualora provata corretta.

Sirius Black deve credere sia stata tutta una finzione, una recita assurda sin dall’inizio. Cosicché i moti a scatti dei Malandrini, in tutto il dolore degli anni trascorsi, avrebbero più senso e dignità – non più memorie distorte e abbrutite di un passato perduto nel vuoto del consenso, ma riflesso fedele di una pantomima disimpegnata dai buoni effetti scenici.

Non sa perché stia valutando tutto questo, ora che risente il vento e il sole sulla faccia. È bizzarro, sembra la prima volta.

C’è dunque stato un tempo in cui vivere lo rendesse tanto felice?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_ * _

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte 2 di 3. Grazie di cuore a chi ha avuto la pazienza di attendere questo secondo capitolo, che è stato nell’incubatrice un bel po’ prima di decidersi a spuntar fuori. *w*

 

Fruscio di Anime e Mizar, deliziose creature: dipendo interamente da voi per il sostentamento della mia latente i-i-ispirazione, quindi mi prostro ai vostri piedi in caso siate ancora intenzionate a seguire questo progetto.

 

Devo dire che (But) The Act – il cui titolo è spiegato particolarmente nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, da Sirius – ha preso connotazioni vagamente diverse da quelle che mi aspettavo, forse più dialogiche del previsto. E forse anche un po’ disturbate, mh.

Oh, be’: quel che è fatto è fatto. Vi attendo alla conclusione. :3

 

In più, da brava recidiva, vi annuncio che ho un capitoletto avanzato proprio a questa storia (già, ho persino degli AVANZI) sul quale intendo lavorare un po’ per mettere su un’altra fic, magari di diversa prospettiva. Con più Snape e più Regulus. O forse no.

Suggerimenti sono più che ben accetti *O*!

 

Un bacio dalla sempre vostra e devota,

Autrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Act 3 + Off Stage. ***


Off Stage

Act 3 + Off Stage.

Il vizio tragico dei

vestiti su misura.

La propria pelle che

calza stretta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa è perduto,

e cosa otteniamo?

 

 

 

 

Debole. Debole, debole, debole.

Sui crateri scavati nel volto lunare di Sirius, tra gli anni della storia che li ha squartati – è letta la stessa parola, di nuovo e di nuovo.

“Professor Lupin…”

Nome estraneo ad entrambi.

Il fantasma di Black inclina il capo, scricchiola secco l’osso del collo.

Professore? Carino.”

Il tono è burbero e suadente, forse per l’astinenza da nicotina.

Remus avvampa, gravato di un peso che non aveva neppure iniziato a – che non aveva calcolato. Accettare lo stesso fascino di una voce bagnata di familiare condiscendenza in un guscio depredato e scialbo qual è il Sirius di tredici anni più tardi, è un tributo da pagare all’amore speso. Lo riconosce, ma ne avverte il peso come sconcertante.

Qual è il punto?

Padfoot sorride, da qualche parte nella polvere e il ferro trito.

Remus non soleva stupirsi innanzi alle manifestazioni della propria impotenza. Ma questo era il modo di vivere da ragazzi, era l’adolescenza riflessa negli occhi avorio di un lupo mannaro.

Ora gli occhi sono spenti e scuriti, e hanno il coraggio di allibire per – cosa, poi? Cosa, che non fosse già perfettamente scontato e previsto, così consequenziale?

La rottura è insanabile e il male avvizzito.

Dal suo cantuccio incompetente, Harry s’interroga muto sulla freddezza delle reazioni. Certo il professor Lupin non vorrà ancora dar credito all’opinione generale, ora che Sirius è stato riabilitato da Silente in persona?

“Sì, be’. Mi hai sempre accusato d’essere un talento naturale quando si tratta di dire agli altri cosa fare!”

L’esclamazione è leggera ma energica, con il sorriso giusto fra naso e mento.

Sirius nota con delizia che Moony sta fingendo, proprio com’era certo sarebbe accaduto.

Non è mai stato diverso da questo. Ora lo so.

Libero dall’incomodo dell’autenticità, il livore e l’affetto evaporano con la stessa disinvoltura, lasciandolo con la sola voglia di fare dello spirito.

Eppure Remus gela sul posto, quando in amicizia gli cinge le spalle.

“Chi può dire quante cose siano cambiate, dopotutto! Ma avremo tempo di metterci in pari, non credi?”

Il gomito ossuto contro la scapola non ha quasi peso, timida appendice della figura ristretta; ma la densità di quella facciata ingiusta, messa su per i motivi sbagliati, sguscia tra le vertebre e paralizza il midollo, avvelenando poi le sinapsi con la convinzione dolce che –

è tutto a posto. Non ho fallito. Non come amante, né per difetto d’umanità.

Remus sorride alla fronte di Sirius, distesa livida senza rimproveri.

Un pensiero mostruoso in quella sollevazione di colpe.

Vorrei averlo fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tu ed io,

questo è il nostro tempio.

 

 

 

 

D’accordo: non è così che l’aveva immaginata.

Però, adesso che la Scena arida del Crollo Mantenuto si è verificata qui, lo sfondo di piastrelle del bagno non ha più grande importanza.

“Scusa!”

E perché?”

Semplice come la spontaneità del secondo ti amo.

L’accappatoio stretto spasmodicamente fra dita sottili, Remus deglutisce un guizzo di panico e rinuncia a sorridere, optando per un accigliarsi discreto.

Che significa? Ti sono venuto addosso, volevo – ”

“Mi sei venuto addosso migliaia di volte, quand’eravamo ragazzi, e non ti ho mai sentito chiedere scusa per questo.”

Il dubbio del doppio senso lo solletica, ma Remus è ancora ben deciso a tenere la conversazione su binari neutri. Povera anima, ingenua e vile.

“Va bene, come vuoi! Non avevo idea fossi tanto suscettibile all’argomento, ma se è un problema non mi scuso. Adesso, ti spiace…?”

Snap.

Sirius sorride internamente, prima che la fame ben nota lo possegga. Un braccio scatta a frapporsi nella cornice degli stipiti, l’altro strattona l’accappatoio di Remus in vita.

Il tonfo è sordo mentre Lupin perde l’equilibrio e l’altro fa in fretta a bloccarlo contro il muro.

“Ti voglio.”

Sirius – ”

Pressione rude di fianchi.

“Non ho desiderato che la tua testa, per tredici anni. Se non posso prendermi quella dammi almeno il resto.”

E Sirius piove di baci affrettati, denti distratti sul collo. Ha mani che astraggono il sacro da ciò che toccano, e Remus le sente portare marciume lungo il proprio corpo, finché viscide si stanziano sull’inguine ancora caldo d’acqua.

Deve chiudere gli occhi, obbligarsi a riconoscere il piacere smorzato nei tocchi frenetici di dita ossute attorno al sesso. Ha bisogno di risentirlo lì, per potersi scostare e liberare dall’abbraccio con la consapevolezza di quello che rifiuta.

“Smettila. Non così.”

Padfoot ha il fiato spezzato. Gli occhi brillano di lame malevole, le labbra – rosse sul viso scarno e ingrigito, cinto dai capelli troppo lunghi – fuori posto e dischiuse, orrende. Trasfigurate in bocche da incubo per ciò che riescono a dire.

Non così come? Pensi sul serio sia mai stato tanto diverso?!

Remus non ha il tempo di lasciarsi sopraffare dal dolore della replica. Neppure sa inventare un dolore cui arrendersi; di nuovo è spinto al muro – mani pesanti sotto la spugna umida, fiato animale contro la giugulare.

“Eri più freddo.”

Sirius inizia con voce incrinata, trasognato.

“Fatto d’aria… e di sogni. E volavi via… tanto in fretta.

Un palmo premuto contro l’anca rigida del lupo, il polso a fregare la peluria del pube. È più languido e grave, ma in qualche buffo modo timido, premuroso. Sincero, quasi.

“Nei momenti in cui… cercavo di adorare… il tuo corpo, spirava. Volevo solo andarmene.

Il professor Lupin cede ai fremiti, liberi di nuovo da quel primo incontro imbarazzante. Può persuadersi a fingere che non esista lascivia nel tendersi al tocco dell’amante, ritrovato sotto sembianze tanto rotte, ma il pizzicore oltre le palpebre, e Sirius – vuole essere creduto, ascoltato con disperazione. Non può, non può fare altrimenti, non può fargli questo.

“Dovrei ucciderti, perché non mi capiti mai più di sentirmi così solo.

Gelida è la lucidità che arresta il tempo.

Remus ingoia la voglia del sesso, eretto com’è nel pugno scarno dell’altro, il cui abbraccio non dura più d’un altro colpo al costato.

Mutamente, Sirius dichiara il terrore condiviso, e senza indugio si ritira.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è ancora un po’ d’amore,

qui intorno.

 

 

 

 

Sirius.”

È una dimensione via dalle ere, ed è la camera degli ospiti, al tempo stesso.

“Non parliamone più, Moony, ti prego.”

“Hai ragione. Volevo solo tu sapessi.”

“…”

“Non ti ho creduto. Mi sembrava così stupido.

“Va tutto bene, Rem.”

Davvero. Sirius lo tocca con un turbamento gentile di passione, quel garbo ponderato e servile che ha sempre avuto nell’amare.

“Poi, sarei voluto venire. Avevo tanta rabbia. Sono stato lì, e ho scoperto cosa ti era stato fatto, ma non potevo. Non potevo e basta.”

“È la legge.”

“Ma la legge non ha fermato te, o Prongs, o Wormtail.

La pace è tale da permettergli di sorridere al singulto mal soppresso che scorge nel tono di Remus.

“Ora non perdere il controllo! Erano altri tempi. Da ragazzi si vive diversamente.

Il sospiro tenuto stretto si rilassa.

“Eravamo più forti, allora.”

Sirius non dice niente. Non ha il cuore di rievocare i soli frangenti che ha custodito nell’anima nera di Azkaban – le interminabili lune, la colpa, il crollo di Peter, la fine di James – e rovesciarli tutti su Remus quali testimoni d’eterna debolezza. È fermamente convinto che, in qualche modo contorto, Moony sia più innocente di tutti loro.

Pads.”

Mh?”

“Ti sembrerò ingrato, e forse non ci crederai – d’altronde non ne avresti motivo.”

Cosa?”

“Penso che l’avrei preferito, se non mi avessi perdonato.”

“…”

“So che è strano. Forse non ci credo neanch’io. 

Moony…”

La sorte ha fatto di Remus Lupin una creatura oscura davvero fortunata. Anche adesso, i capelli di Sirius sotto i polpastrelli, non riesce a giudicarsi degno di tanto.

Deve rimbrottarsi un attimo più tardi. Attribuirsi l’incarico di un simile giudizio è ben fuori dalla sua portata – ode la propria voce fondere a quella di Silente, assimilarne l’appunto smaliziato.

“… posso sempre arrabbiarmi di nuovo, se ti fa stare meglio!”

Ghigni gemelli posano per occhi privilegiati, nella camera deserta. Poco importa che la battuta sia a spese sue – Remus è talmente stufo della delicatezza, non li ha portati che a bivi tortuosi.

“Dopotutto, ne farò a meno.

Sirius ride di cuore, conscio della semplicità pesante di battute non scritte né recitate. Se mai un demiurgo è stato dietro le scene per tutti loro, per Peter e per James, ha ora scelto di lasciare i superstiti al silenzio della natura vivida.

Nell’oblio, nel frammento, nella verità – osserva,

nella forza, nell’errore, nella libertà – Remus si dice,

un’unica mano larga e violenta cinge entrambi, rimettendoli malconci alle cure del tempo che sempre sa come trattare gli spiriti infranti.

È la lezione di una vita spesa a farsi creta, anima, arte – Padfoot e Moony lasciano la ribalta con profusione d’inchini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

– –  Cani d’attori, storie di cani.

Per la fiducia d’ancora vagare, muso in giù, tra le macerie.




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_ * _

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’est bien, abbiamo finito J. Grazie a tutti, davvero, DAVVERO grazie.

Come alla fine di una prima teatrale, ne? ;-)

 

Mizar, spero ardentemente tu abbia PIANTO in questo ultimo capitolo, muaha. Non per una qualche gioia sadica, bensì perché ritengo di aver evidenziato qui emozioni un po’ più forti di quelle del capitolo precedente – quindi, ecco, in proporzione. Ti ringrazio davvero tanto per la costanza del tuo incoraggiamento: non saresti obbligata a recensirmi, potresti semplicemente goderti il mio stile contorto xD se ti piace. Apprezzo il superfluo più di quanto riesca a esprimere *__*.

 

TimeWarpAddicted, temo di essermi persa a ‘sorbirti le mie recensioni’. Mi è andato in tilt il cervello. Poco male, però: era alla fine del commento :p. Recensori come te meritano così tanto, e in quanto autrice sono cosciente di poterti ricambiare solo continuando a scrivere, possibilmente migliorando un po’ ‘^^ - oooh, maccomessiamopprofonde, nevvero? Spero vivamente di non averti delusa nel finale, perché non l’avevo esattamente immaginato così: è venuto dal para-nulla (come la sottoscritta, del resto). Un abbraccio fovte fovte <3.

 

Fri rapace, dal tuo commento deduco tu non abbia letto la mia fic di battesimo nel fandom, (Or) The Act, nella prefazione della quale dichiaravo la mia totale e vergognosa incompetenza riguardo il mondo di HP xD: il fatto è che sono stata iniziata al fandom da amiche, ma non mi sono mai premurata di leggere i libri della Rowling o di guardare i film con particolare attenzione. Mi sono presa una cotta spaventosa per Sirius e Remus <3 e i Malandrini in genere, ecco tutto. Premesso questo, vengo alla tua domanda: nella mia situazione di partenza, ovvero quella di un Moony e un Padfoot che stanno insieme sin da Hogwarts, ho pensato che fosse semplicemente più credibile considerare che Sirius avesse raccontato a Remus la verità. Non ho potuto esprimerlo chiaramente perché odio mettere parole in bocca ai personaggi solo per comunicare direttamente ai lettori: in quest’ultimo capitolo Remus dice che ‘non gli ha creduto’, riferendosi al fatto che Peter fosse il Custode. Poi, con sarei voluto venire, ma non potevo. Non potevo e basta’ si riferisce ad un ipotetico processo e alle eventuali visite ai detenuti: difficilmente un lupo mannaro, benché sotto la protezione di Silente, potrebbe avvicinarsi impunemente al Wizengamot. Non so se le mie spiegazioni ti soddisfino o meno ‘^^, e in caso contrario mi scuso con te in quanto rappresenti i fans fedeli della saga, un gruppo cui non appartengo di diritto. Ti ringrazio per questo doppiamente dell’interesse mostrato alla mia umile storiella *____*. 

 

Al mio prossimo coup de génie xD - dunque potreste aspettare tutta la vita.

Bye! :3

 

 

 

 

 

 

 

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