Direzioni impreviste

di Legar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In direzione ostinata e contraria ***
Capitolo 2: *** Dalla stessa parte ***



Capitolo 1
*** In direzione ostinata e contraria ***


In direzione ostinata e contraria

 

 

Non leggerò più riviste inappropriate.

Sarebbe svanito a breve, l’unico marchio che le sarebbe mai stato imposto. Un cognome ottenuto solo per fortuna di nascita – le Sacre e intoccabili Ventotto – ha concesso ad Astoria di essere risparmiata dalle punizioni più crudeli della professoressa Umbridge. La sua colpa non è scritta con inchiostro dalle vene – malato e inappropriato sul serio, il suo sangue – ma esiste solo nell’ombra di un livido, che pure un corpo fragile può riuscire a guarire.

Sfiora con un polpastrello la macchia violacea sul dorso della mano. Delicatamente, tocca la conseguenza di una domanda troppo ardita: e se Harry Potter stesse dicendo la verità? Daphne le ha detto di lasciar perdere, porsi interrogativi porta guai: la sua ostinazione potrebbe produrre, prima o poi, una ferita più difficile da rimarginare, per quell’organismo inaffidabile che le è toccato in sorte.

«Questo proprio non me lo sarei aspettato.»

Alza lo sguardo e, in piedi nel mezzo del corridoio, c’è un ragazzo più grande che deve essere un Weasley. Riconosce la vivacità della chioma, nota l’ammissione implicita in una divisa scolastica meno impeccabile della propria, ma a colpirla è il sorriso sarcastico sulle labbra che hanno proferito parola.

«Una Serpeverde in punizione?» continua quella bocca. Non sa nemmeno che cosa Astoria abbia fatto, vede unicamente i colori della cravatta nemica.

Gli occhi di lui scivolano sull’impronta sulla cute, li socchiude per mettere a fuoco la lesione. Allora lei allunga il braccio per agevolarlo, come una dama in attesa di un baciamano. Scorge sorpresa nelle sue palpebre aperte, un attimo prima che si ricomponga; scommetterebbe che lui non l’ha ritenuta capace di avvicinarlo, perché un Traditore del Sangue potrebbe insudiciarla – ma c’è poco da sporcare, nel liquido già marcio che le scorre in corpo.

«Sono la prima» gli rivela. «Potrei ricevere una medaglia.»

Lui ride. «Io sono Fred, invece.»

«Astoria.»

Fred non prende la mano offerta, ma le si siede accanto, sulla panchina incastonata tra le mura di Hogwarts. Astoria non ha l’ardire di credere che quella pietra secolare non sia mai stata testimone di un altro Serpeverde con i suoi dubbi, ma nei sotterranei il dissenso è silenziato.

Fred le mostra il palmo, dove cicatrici rosse denunciano le sue colpe. Tracce scarlatte, come quelle che lei perde mensilmente, quelle che talvolta tossisce in un fazzoletto, quelle che minacciano di sgorgare da ogni graffio accidentale. Sangue come il suo: niente contraddistingue la purezza.

«Non ti preoccupare, ragazzina» la rassicura con gentilezza. «La tua punizione non lascerà segni.»

«Ma la tua sì.»

Fred si stringe nelle spalle. «Che cosa hai fatto?»

«Decreto Didattico Numero Ventisette.»

«Una Serpeverde in direzione contraria.»

Non è sicura che quella definizione le si addica, ma Fred la scruta con ammirazione.

«Anch’io ho letto Il Cavillo. In effetti, tutta la scuola l’ha fatto.»

Astoria sospira. «Ma io sono stata così ingenua da farmi beccare.»

«Posso insegnarti a essere più scaltra, se vuoi» ammicca.

Lei gli sorride: la incuriosisce.

 

***

 

«Che cosa significa che state per lasciare la scuola?

Che cosa significa che stai per lasciarmi?

«Vedrai. Ne parleranno tutti, finirà in Storia di Hogwarts

Fred ride, troppo esaltato e compiaciuto per rendersi conto che di quella fama non le importa, che se i suoi obiettivi lo portano lontano allora sono sbagliati. China il capo per cercare con foga qualcosa nella borsa, sepolto tra i libri e le sorprese che non le rivelerà. Il tramonto irrompe dalle vetrate e gli scurisce i capelli: così sono più simili al sangue, puro o marcio o malato, di qualunque colore. Verde e rosso, e oro e argento, e Fred e Astoria.

Allunga una mano per fermare la sua – la vicinanza che si concede senza tradire desideri più profondi, perché lui non potrebbe mai volere una bambina. «Fred.»

«Aspetta, ragazzina, ho qualcosa per te.»

Per settimane, in direzione ostinata e contraria, hanno camminato insieme. Nei corridoi durante le lezioni, sull’erba soffice intorno al castello; in una pausa dai progetti con il fratello, in una fuga dalle discussioni con la sorella. Lei ha parlato con lui e lui ha riso con lei.

Fred estrae dalla borsa un fagotto. Astoria può riconoscere la sua creazione, perché lui ha considerato una Serpeverde come lei degna di fiducia.

Compie un passo all’indietro e protegge la propria borsa con le mani. «Non le voglio.»

Lui la guarda confuso. «Non le hai mai rifiutate.»

«Non voglio un pacco di Merendine Marinare come regalo d’addio.»

Una scintilla di comprensione si accende nei suoi occhi e lei odia che, dopo un po’ di tempo che pare molto di più, lui sia in grado di guardarle dentro. Ci vede anche i difetti del sangue, quelli reali?

Fred sorride e le ravvia una ciocca dietro l’orecchio, come farebbe con una sorella minore, come probabilmente fa con Ginny Weasley. «Ma questo non è un regalo d’addio.»

Astoria scuote la testa e incrocia le braccia al petto.

Allora lui le posa una mano su un fianco; lei sente gli occhi allargarsi, per la sorpresa, e semplicemente diviene immobile. Lo lascia fare, mentre lui se la porta più vicino e poi le apre la borsa per lasciar scivolare i dolci dentro. Lo lascia fare, ma lui conclude e si ritrae.

«Ecco fatto» annuncia con soddisfazione. «Per usarle con i tuoi amici, quando vorrai.»

«Io salto le lezioni solo per stare con te.» Si acciglia e volta il capo per impedirgli di scoprirlo, ma lui le poggia due dita sul mento per riportare lo sguardo sul suo.

«Io continuerei a saltare le lezioni per te. Ma ho un piano con mio fratello, e ne sono orgoglioso. Io e te continueremo a vederci più spesso di quanto potrai sopportare, è una promessa. Puoi essere orgogliosa di me?»

Poi la bacia e le sue promesse divengono abbastanza e lei non è più una ragazzina. Forse, non lo è mai stata.

«Dovrà essere uno spettacolo grandioso. Storia di Hogwarts aspetta i vostri nomi.»

 

***

 

Un pezzo di muro crolla come una pioggia di meteoriti o una stella cadente ed è la mano di Fred, stretta sul suo braccio, a tirarla via. Non è stata altrettanto fortunata con la pietra che l’ha colpita mentre lo stava cercando, ma lui non lo sa.

«Ti porterò dai tuoi compagni e stavolta mi aspetto che ci resti.»

«Resta tu con me.»

Fred sospira e lei gli legge il conflitto negli occhi come se fosse scritto da una Piuma Rispostapronta. «Non posso non combattere. È giusto così, lo sai.»

«Allora io resterò con te.»

«Ragazzina, non puoi, sei minorenne! E sei…»

Non continua, ma la stringe a sé con tutta la forza con cui si impegnerà a lasciarla andare. Un istante dopo la allontana, piano, affinché non ci sia pressione sul ventre. Vi posa una mano: è una carezza destinata a una parte di sé e fa male.

«Non sarebbe la prima cosa non consigliata ai minorenni che faccio.»

Le prende il viso in un palmo. La guarda, serio: «Tu non vuoi combattere.» E ha ragione, perché la conosce come se fosse uno dei suoi Tiri Vispi.

«Voglio stare con te.»

«Io voglio che siate al sicuro.» Le sorride. «E trovarvi senza un graffio, quando tornerò da voi.»

Le piacerebbe avere le sue certezze, dicono che l’ansia non faccia bene alle donne incinte. Anche alle ragazzine, immagina.

Fred la lascia con Daphne, che storce il naso di fronte alla compagnia, ma tace – non gli perdona la leggerezza tanto quanto Astoria la ama. Persino quella per cui si è ritrovata a sedici anni e incinta. Non un errore durante un festeggiamento pasquale in tempi di guerra, ma un miracolo: uno sforzo troppo grande per un corpo insufficiente persino a se stesso, eppure sembrava prosperare, eppure fa male.

Fred la bacia e Astoria si lancia su di lui, gli cinge il collo con le braccia, assalisce le sue labbra come se non avessero più un domani per rifarlo.

Un’ultima carezza sull’addome – infila le dita sotto la divisa, pelle su pelle – ed è andato, inghiottito dalla polvere di un incantesimo.

Astoria crolla in ginocchio, il dolore della solitudine la colpisce allo stomaco, la prende a calci, brucia e le mozza il respiro.

Ma non è Fred che la sta lasciando, lui tornerà.

«Che succede?» Daphne le è subito accanto.

Stringe le palpebre, prende un labbro tra i denti. Piange.

L’amore di cui non sapeva di poter essere degna le scivola via, in direzione ostinata e contraria: fuori dal suo grembo, irreparabilmente, là dove non può sopravvivere. Le sta macchiando la biancheria.

Fa male, essere una ragazzina dal sangue e dal corpo immeritevole illusasi di speranze.

Quando la notizia dell’ultima risata di Fred Weasley la raggiunge, non sa quanto tempo dopo, Astoria è solo una stella cadente e decaduta. Il cielo erano le sue braccia e la sua eredità di carne – le restano solo quelle della sorella, che le si chiudono addosso.

 

 

 

 

 

 

Note:

Il titolo del capitolo è un verso da Smisurata preghiera di Fabrizio de André.

Il Decreto Didattico Numero Ventisette è quello con cui la professoressa Umbridge vieta agli studenti di leggere la copia de Il cavillo contenente l’intervista in cui Harry rivela la verità sul ritorno di Voldemort.

Per ragioni di trama, ho reso Astoria di un anno più grande rispetto a quanto si può dedurre dal canon, quindi con solo un anno di differenza con la sorella maggiore (coetanea di Harry).

Questa raccolta di tre flashfic partecipa al contest “La Fiera delle Coppie Crack” indetto da CatherineC94 sul forum di EFP. Sono tutte costituite dallo stesso numero di parole, 493, contate con il contacaratteri indicato.

Il prossimo capitolo, contenente altre tre flashfic, ha per protagonisti Astoria e George Weasley.

Grazie per aver letto!

Se vi va, potete trovarmi anche su Facebook e Instagram.

Alla prossima!

Legar

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Capitolo 2
*** Dalla stessa parte ***


Dalla stessa parte

 

 

Ci sono persone disposte su due lati e un passaggio libero al centro, come se quello fosse un matrimonio, come se fosse una celebrazione d’amore e non di morte.

Eccetto che l’amore c’è comunque, negli occhi lucidi dei familiari di Fred Weasley, nell’abbraccio degli amici, nella postura contratta dei conoscenti. E c’è Astoria, che ne ha troppo nel cuore e non più in grembo.

Si è accomodata dalla stessa parte del gemello del defunto, ma più in fondo. Non l’ha scelto, ha semplicemente scorto una chioma rossa tagliata alla stessa maniera e l’ha seguita come un miraggio. Non ha avuto necessità di raggiungerla, però: si è accorta alcune file di sedie prima che quei capelli, identici ai suoi, non hanno niente di familiare. Non ci ha passato le dita nel mezzo di una confessione d’amore, non li ha strattonati durante un incastro di carni e cuori. George Weasley ha un orecchio che è una ferita di guerra e di vita, e per Astoria è un promemoria non necessario del fatto che è solo uno sconosciuto nelle sembianze della persona che l’ha conosciuta più di tutti – nella mente nuda e nelle sue direzioni impreviste.

Daphne si è proposta di accompagnarla, silenziando la propria disapprovazione. È stata il suo appiglio, quando Astoria ha perso il cielo in cui brillare.

Non le è rimasta che terra fredda. Tra arbusti che fanno troppa ombra, sotto i piedi di maghi che non hanno cullato nel ventre una parte dell’uomo che piangono, il suolo inghiotte quel che resta di Fred Weasley.

Astoria non si alza, mentre gli altri vanno via. Non li guarda negli occhi, molti non sanno nemmeno chi lei sia e che ci faccia lì – il privilegio del cognome dei Greengrass, erba pulita in tempi di guerra e di pace, mai una presa di posizione troppo netta.

L’uomo che è Fred ma non è Fred le si siede accanto. Allunga un palmo, lo trattiene, si irrigidisce.

È la sua voce che, infine, le parla. «La famiglia era più avanti.» Accenna con il capo alle prime file.

«Io non sono di famiglia.» Astoria scioglie le mani che ha tenuto incrociate sul grembo per tutta la durata della cerimonia funebre.

George intreccia le dita alle sue. Sono calde, gentili e conosciute.

«Se avesse avuto la possibilità di scegliere le sue ultime parole, mi avrebbe chiesto di prendermi cura di te. E del bambino.»

Astoria guarda davanti a sé. Inspira, espira: c’è profumo di fiori. «Non c’è nessun bambino.» È riuscita a dirlo senza mostrare occhi lucidi e una voce spezzata.

Avverte lo sguardo dell’uomo – sarebbe stato uno zio – sul profilo del proprio volto. Lo sente sospirare. «Quando è successo?»

«Il due maggio.» La notte in cui non è scivolato via solo Fred.

George le sfiora la mano con le labbra. Anche le sue guance sono umide; Astoria si domanda se possa distinguere sul dorso il sapore salato delle lacrime che ha strofinato via. «Voglio comunque prendermi cura di te, di qualunque cosa tu abbia bisogno.»

«Non puoi fare niente.»

Strattona il braccio, meno gentile del suo conforto, e scompare.

 

***

Quando si incontrano sono completamente soli, a eccezione di un uccello che starnazza da un ramo e copre i suoi singhiozzi. Astoria si chiede se sia sempre il solito, se, come le sue lacrime, abbia eletto quel cimitero a dimora ogni due del mese.

Lei e George non si sono mai dati appuntamento, ma non ne hanno mai mancato uno, nello stesso giorno e alla stessa ora dell’incantesimo mortale che ha congelato l’ultima risata dell’uomo che ognuno ha amato come una parte di sé. Sono dalla stessa parte del lutto, nascosta e inarrivabile.

Cade in ginocchio e con le dita sfiora un nome e un cognome, graffia due date separate da un’insopportabile manciata di anni. L’uomo al suo fianco si piega sulle gambe per portarsi alla sua altezza e le fa ritirare la mano, quando lei arriva a premere sulla pietra aguzza al punto da ferirsi un polpastrello. Una goccia scarlatta macchia il candore della lapide lucida: è sangue puro, e malato, e per suo figlio l’avrebbe versato ma questo è solo vano.

George la attira a sé e Astoria seppellisce tutta se stessa – il cuore ingiustamente battente, doveva essere lei quella condannata a una vita breve – nel calore delle sue braccia. Il corpo che ha accolto i suoi pianti, negli ultimi tempi, è anche quello che piange. Piange gli stessi capelli del colore di un bacio al tramonto, gli stessi occhi attenti e la voce... Piange, e li ritrova.

Inclina il viso verso l’alto per incontrare uno sguardo altrettanto afflitto; con un dito segue il tragitto di una lacrima, dal solco scuro sotto le ciglia a una guancia all’angolo della bocca. Incornicia tra le mani quel volto insopportabilmente e meravigliosamente indistinguibile dai ricordi più vividi, pure dietro una patina di pianto a offuscarle la vista. «Sei uguale a lui.»

«Non lo sono.»

Non serra le palpebre, nel tentativo di mantenere immortale l’immagine perduta del volto di Fred, mentre posa la bocca su quella di George. Sfiora, accarezza, preme.

Un istante dopo lui le prende i polsi e separa le loro labbra, ma congiunge le fronti. «Astoria» la ammonisce.

«Ti prego.»

«Io non sono Fred.»

«Hai detto “di qualunque cosa tu abbia bisogno”. Sto parlando a te.» Non a Fred, ma non ne pronuncia il nome ad alta voce.

Non ha abbastanza vita davanti a sé per provare rimorso.

Si porta le sue mani sui fianchi. Lui stringe, un sospiro è una resa e guida una Smaterializzazione Congiunta per un luogo che non ha importanza.

Astoria non è mai stata nella camera da letto di George Weasley, nell’appartamento che divideva con il fratello, ma non si preoccupa di studiarne l’arredamento. Si muove solo per imprimere nuove memorie come fuoco rovente. Se lo guarda ovunque meno che sul profilo sinistro, lui è Fred – nella bocca, sul torace, tra le gambe. George lascia che lei lo spogli anche dei vestiti, per ritrovarlo uguale al suo amore perduto in una nuda menzogna.

Astoria presta un’attenzione maniacale all’esecuzione dell’incantesimo contraccettivo, perché dentro di sé non vuole altro che piacere senza conseguenze, nessuna eredità di carne. George prende il suo corpo, insopportabilmente gentile, ma è il suo gemello che ha avuto il primo sangue versato senza dolore – e l’ha voluto, pure malato.

 

***

 

È di nuovo il due maggio e lui non si è presentato.

L’ultima volta, tra lenzuola fredde e stropicciate come lei, George ha implorato “basta”, ma Astoria non gli ha creduto. Lui ha ribadito che doveva cercare una conclusione, ma lei ha pensato che non gliel’avrebbe permesso. Loro due sono dalla stessa parte del tormento, quella che resta immobile e non è scalfita dal tempo.

Guarda la lapide solitaria – solo loro si recano a visitarla a quell’ora impossibile – e stringe i pugni. È l’anniversario, e come osa George Weasley mancare all’appuntamento che non hanno mai fissato?

Un brusco respiro è il tempo necessario a decidere di Smaterializzarsi. Non la lascerà da sola a piangere il primo anno trascorso senza l’amore, nei due modi in cui l’ha conosciuto e perduto quella notte.

Dall’esterno l’appartamento è silenzioso e ordinato, ma è poco distante il trambusto che anima la via altrimenti avvolta dal calare del buio. Astoria scansa un gruppo di curiosi e le parole che strappa alle loro chiacchiere sono sufficienti a rendere il flusso del sangue una vorticosa processione senza direzione.

Il negozio per cui Fred l’ha lasciata a Hogwarts, il lavoro per cui la lasciava dopo ogni incontro, l’eredità che George non ha lasciato esaurire, non esiste più. Un cumulo di macerie e nubi di polvere scura. Neanche l’insegna con il loro cognome – lo stesso che avrebbe avuto un bambino mai nato – è rimasta in piedi.

Un’esplosione, sussurrano. Un esperimento andato male, ipotizzano. Una disgrazia, commentano.

Non è rimasto nemmeno un cadavere integro da infossare nella stessa terra che oscura il sonno mortale del suo gemello. Le braccia che Astoria ha perduto e creduto di ritrovare in un inganno non esistono più.

Le gambe sembrano diventate incapaci di reggerla, per puro sforzo di volontà non crolla sulla pietra. Accanto alla punta di una scarpa giace un frammento di un mattone dal colore troppo vivace per Diagon Alley.

Astoria trattiene con le unghie sulla gola l’urlo che minaccia di erompere dagli argini del suo autocontrollo. Seppellisce in un basso gemito l’interrogativo che non smetterà di tormentarla nel resto dei giorni che la malattia le concederà di vivere. Dal lato opposto di un muro di pianto che separa i vivi dai morti, George era davvero solo impegnato perché il lavoro del fratello non sfiorisse come il corpo? Oppure si è concesso la deliziosa disattenzione con cui raggiungerlo dalla stessa parte?

Ha sempre saputo di non essere destinata a lunga vita, ma perdere un Weasley al prezzo di due non l’aveva preventivato. Prima di abbandonare il proprio corpo su un giaciglio imbrattato di sangue malato, è stata abbandonata da Fred e dalla sua ombra, l’uomo che era Fred ma non era lui.

Una piccola strega ricurva, con finissimi capelli di neve, si sofferma sulle sue lacrime. Le offre un fazzoletto in una mano rugosa e gentile. Troppo candore: è il due maggio ed è primavera, ma da un anno è una stagione di rami spogli e alberi avvizziti.

«Lo conoscevi, cara?»

Astoria volta le spalle all’ennesimo addio che non ha dato.

Stringe le palpebre, inclina la nuca. Non si vedono stelle in cielo.

«No. Conoscevo un’altra persona.»

 

 

 

 

 

 

Note:

Volendo restare in tema di citazioni musicali, come nel primo capitolo, il titolo “Dalla stessa parte” è un verso di Sempre e per sempre di De Gregori.

In questo capitolo le interazioni tra George e Astoria prendono una “direzione imprevista” quantomeno controversa, ma penso al fatto che, nel canon, George finisce per sposare Angelina Johnson, che è stata proprio una frequentazione del gemello. (La cosa mi lascia sempre un po’ perplessa, a essere onesta, ma se non disturba loro!)

Grazie per la lettura!

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Legar

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