Abbi cura di vivere

di Izayoi_1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tosca&Cole ***
Capitolo 2: *** Tosca&Filippo ***
Capitolo 3: *** Tosca&Cole ***
Capitolo 4: *** Tosca&Filippo ***



Capitolo 1
*** Tosca&Cole ***


Lei
Perché in fin dei conti sin da bambina non le erano mai piaciute le cose banali, odiava il principe azzurro biondo e virtuoso, mentre guardava con occhi sognanti il cavaliere nero colmo di contraddizioni e con l’animo inquieto; non le piacevano i cuccioli di foca che tanto intenerivano i cuori delle sue compagne di classe, piuttosto preferiva i spietati squali che popolavano i profondi mari che vedeva così distanti da lei; non le erano mai piaciute le favole che camuffavano la realtà dei fatti, quando scoprì la verità sulla Sirenetta o Quasimodo di Notre Dame si sentì profondamente presa in giro, decidendo di bandire quelle videocassette dalla sua collezione. Con il crescere la cosa non si era affatto attenuata e nonostante non avesse nessun problema con i suoi compagni di classe durante la ricreazione, mentre le adolescenti delle medie sfogliavano estasiate le pagine patinate delle riviste di gossip, lei se ne stava seduta sulla panchina rannicchiata su se stessa per coprirsi dal frizzante vento primaverile mentre si trovava a vivere la dolorosa fuga di Jane Eyre dal suo amato Mr Rochester, in quei momento la sua anima si trovava così lontana dal giardino di quella scuola che sarebbe potuto accadere di tutto ma lei non se ne sarebbe accorta. L’idea dell’amore che stava prendendo forma nella sua giovane mente non era affatto semplice e costellato di frasi dolci e sorrisi candidi, il suo era fatto di fumo denso, così scuro da rendere i contorni confusi e poco nitidi, da rendere le cose difficili da raggiungere, da far agognare ogni singolo respiro.  Non c’era che dire, era sempre stata strana, fuori dagli schemi, timorosa delle cose comuni e semplici ma mai avrebbe immaginato che una cosa del genere potesse esistere, mai avrebbe immaginato potesse esistere tale difficoltà…
 
 
Capitolo 1
Tosca&Cole
L’odore di mandorla e cannella le fece chiudere gli occhi per quel profumo che le era arrivato alle narici, quella fragranza significava solo una cosa e arrivava puntuale come ogni sera, la fine di un’impegnativa giornata di lavoro. Per Tosca era diventato un rituale notturno prezioso per rilassarsi, poggiare la schiena sulla spalliera color panna del letto e spalmarsi delicatamente le mani di crema era diventato un appuntamento al quale non poteva rinunciare. Allungò le gambe e sorrise felice per il contatto liscio delle lenzuola sulla pelle, lasciò andare il corpo seduto e riaprì gli occhi guardando la luce del bagno che si rifletteva per il corridoio buio. Sentiva i rumori provenienti dalla toilette leggermente ovattati, l’acqua del rubinetto cadeva fredda e veloce come piaceva a lui, questo le faceva immaginare i gesti di chi stava occupando il bagno, chiuse gli occhi ed ebbe davanti a se l’immagine di un uomo che si lavava con forza il viso e il collo, con ancora in dosso la camicia bianca, il colletto di questa umido, mentre qualche coraggiosa goccia scendeva giù fino alla schiena, la visione riusciva a farle sentire persino il forte odore di pino silvestre. Gli odori, i rumori ovattati, la luce soffusa riuscivano a dare un gran senso di pace. Sorrise per quel piccolo angolo di perfezione, sorrise come fanno i bambini soddisfatti e stremati dopo una stancante giornata di giochi e cercando di lottare contro Morfeo sentì le sue palpebre chiudersi pesantemente. Si era leggermente appisolata, era stata svegliata dall’arrivo di Cole, che per quanto avesse fatto attenzione i suoi passi sul parquè  le avevano fatto riaprire gli occhi. Tosca lo trovò così, seduto sul bordo del letto mentre con gesti sicuri si sbottonava il polsino della camicia, lasciando al polso l’orologio d’acciaio che lei gli aveva regalato. La ragazza lo guardò in silenzio, gli piaceva osservarlo, non si perdeva mai nessuno dei suoi gesti. Gli piaceva la sua nuca, le spalle così larghe che aderivano alla perfezione alla stoffa, il suo odore sapeva di acqua fredda e di pulito, le sue mani che con impazienza e che con un po’ troppa forza sbottonavo i bottoni dell’indumento. Metteva una così gran pace godersi quella loro quotidianità, era vero, far combaciare gli orari lavorativi di entrambi non era semplice, Tosca lavorava in redazione per tutta la giornata, mentre Cole con i locali era costretto a rientrare in casa solo in tarda notte, eppure una volta chiusa quella porta, a qualsiasi ora del giorno o della sera, il loro piccolo mondo e i gesti che condividevano insieme li immergeva in una realtà molto diversa dalla frenesia dell’ufficio e il chiasso dei ristoranti. Tosca si mosse leggermente, quasi non volesse distrarlo ma non appena sentì quel corpo così minuto allungarsi l’uomo interruppe i suoi gesti e girò leggermente il viso, facendo vedere, però, solamente la linea della mascella, rigida e seria.
“E così mi trovo ad essere costretto a dover preparare io il caffè domani mattina, non è  così signorina?”.
Tosca sorrise, nonostante l’uomo cercasse di mantenere una tonalità seria il suo tentativo falliva parola dopo parola, poiché troppe volte le sue labbra si piegavano cercando di trattenere una risata e le spalle si alzavano e abbassavano nel tentativo di evitare di prendere ulteriormente in giro la compagna.
“Cole Eric Turner, non provare a fare la vittima, sappiamo entrambi che dovrai solamente prendere una piccola tazza, posizionarla e premere un pulsante”.
Ogni sera era la stessa storia, ci si trovava sul tavolo, che in quel caso era un letto, delle trattative a decidere le sorti del caffè del giorno seguente.
“Facciamo che se tu farai il caffè, io cercherò di sgattaiolare- Tosca accompagnò la parola a due piccole gambine fatte con l’indice e il medio- via dalla redazione per pranzare con te”.
Stavano per iniziare le trattative finali. Le più importanti.
“Sta per caso cercando di corrompermi signorina?”
Il tono dell’uomo era un falso sconvolto e ormai gli occhi di Tosca erano vigili e il suo corpo pimpante come appena sveglio. Si ritrovò a mettere fine a quella loro breve distanza gattonando sulle ginocchia, fingendosi silenziosa come un felino un attimo prima di attaccare la propria preda alle spalle, desiderosa di gettargli le braccia al collo e sentire quel profumo forte darle alla testa. La luce era soffusa, veniva solamente dalla parte sinistra del suo lato di letto, Cole era ancora seduto all’angolo, la mascella tirata da una risata divertita dallo scambio di battute, e così continuò ancora un po’ la nottata tra le risate, le prese in giro, il freddo dell’acciaio dell’orologio a contatto con la pelle di lei mentre facevano l’amore, per poi crollare stanchi e abbracciati insieme.


E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE”
D. ALIGHIERI
******* Questa storia l’ho iniziata a scrivere molti anni fa, i suoi personaggi fanno più parte di me di quanto potessi immaginare, mi sono sempre stati vicini in tutto questo tempo; a volte loro agiscono diversamente rispetto quanto io immagini, ma li lascio fare. Perciò perdonate qualche mio errore e ditemi ciò che ne pensate. Al prossimo capito

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Capitolo 2
*** Tosca&Filippo ***


La sveglia suonò prepotente, il rumore era fastidioso, Tosca si sentì irritata e quando a fatica aprì gli occhi ancora pesanti le sembrò di non capire nemmeno dove fosse, la testa le vorticava. Le coperte le davano fastidio con quel loro calore, la fecero uscire rapidamente da quel bozzolo, desiderosa di sentire il freddo del pavimento sotto i piedi scalzi. Si mise seduta sul letto e chiuse gli occhi per un istante, respirò affondo e riaprendoli si guardò intorno, come quando capita di cambiare con molta frequenza un posto per poi svegliarsi che non ci si ricorda dove ci si trovi; A fianco a sé Filippo dormiva placidamente, gli occhiali tartarugati rotondi poggiati sul comodino e un accenno di barba su quelle guance così magre, non gli donava affatto. La ragazza si stropicciò gli occhi e massaggiò la nuca, cercando di cacciar via quel senso di inspiegabile smarrimento che l’aveva svegliata. Provò a capire da dove quel sentimento provenisse, cercando nella mente i ricordi della sera precedente e i possibili fatti che le potessero aver dato fastidio. Cercò e cercò ancora ma nulla, la serata si era svolta bene o male come le altre, cena, due chiacchiere mentre si sistemava la cucina e la scelta di un film su Netflix che puntualmente non si terminava mai di vedere per il sonno. Così cercando di trattenere l’esasperazione che già alle 8.00 del mattino voleva farsi sentire, decise di farsi distrarre dall’idea di dover correre a prepararsi per il suo primo appuntamento lavorativo della giornata. Alle 11.00 del mattino la ragazza si trovava dietro la scrivania, un caffè dentro un bicchiere di plastica ormai diventato freddo e gli occhi incollati ad un computer intenta ad annotarsi date e cifre per un conteggio che le aveva chiesto una coppia. Mai come quel giorno e soprattutto per il suo umore, il suo lavoro che le era sempre sembrato grigio, la stava appassionando, in fondo- pensò, fare la commercialista ha i suoi vantaggi. Come ogni giorno Tosca passava la sua ora della pausa pranzo nella tranquillità del suo ufficio, accompagnata dalle note dei suoi CD preferiti, si lei era un’inguaribile nostalgica e con orgoglio e affetto vantava i suoi album, continuando a chiedersi da quale stanza dell’edificio provenisse un delicato ma persistente odore di cannella. Si trovava intenta in quella riflessione quando guardando dalla parete di vetro del suo studio i suoi occhi vennero attirati da un caschetto bruno passato di moda, accompagnati da grandi orecchini d’oro giallo stile anni ’90, che si muoveva per i corridoi a passo svelto. La ragazza si appiattì allo schienale della poltrona di pelle, illudendosi di non essere stata vista. La porta si spalancò energicamente senza nessun preavviso, “Come sempre se non prendo io la situazione in mano qui va tutto a rotoli e tu saresti ancora zitella”, Rachele fece la sua entrata trionfale non ricordandosi di trovarsi in un ufficio e con la sua solita vena da generale cominciò ad impartire ordini e punizioni. La ragazza sospirò mentalmente, rassegnandosi al suo destino di figlia obbediente, pensando, in fondo in fondo, che la madre organizzasse questo matrimonio come se fosse il suo, avendo quasi le ansie che attanagliano tutte le future spose. Rachele non aveva nemmeno finito di avvicinarsi alla scrivania che già aveva squadrato la figlia ed era partita con i suoi rimproveri “a fin di bene”. “Vogliamo affittare un tendone da circo, oppure vogliamo entrarci nel vestito da sposa? Posa subito questi biscotti.” La donna accompagnò la frase a un gesto rapido e veloce e il rumore della plastica che veniva accartocciata fece alzare gli occhi al cielo a Tosca. “Sai cara, comincio a pensare che tu ancora non sia entrata nell’ottica del matrimonio. Persino Filippo, che voglio dire è un uomo, ha più preoccupazione di te per questo evento.” Tosca poggiò stancamente il gomito sul bracciolo della poltrona, poggiando rassegnata la guancia sulla mano chiusa a pugno, sorridendo placidamente. “Hai ragione mamma, scusami sapendo che te ne stai occupando te me ne sto approfittando”, Rachele era una donna energica, stava supervisionando ogni sfumatura dell’organizzazione del matrimonio per rendere sua figlia felice e farglielo ricordare come il giorno più bello della sua vita, per questo anche se non rientrava proprio nella sua sfera d’interesse, Tosca cercò di prestarvi il più attenzione possibile, non fosse altro per non sembrare un’ingrata e per renderla felice. Questo era il destino delle figlie obbedienti, si ripeteva. Le dita sottili e ben curate cercarono con gesti secchi qualcosa nella borsa, alla fine vi estrasse un’elegante cartellina e non badando agli incartamenti poggiati sulla scrivania della figlia, cominciò ad invadere il piano da lavoro con piccoli bigliettini, alcuni chiari e altri scuri, grandi o piccoli, rettangolari o con forme fantasiose ma come la si voleva mettere il risultato non sarebbe cambiato, erano le partecipazioni. “A mio avviso il color cipria è il più indicato, è sobrio ed elegante”, Tosca per un attimo era rimasta concentrata sulla data di una di queste, mancavano poco meno di sei mesi e ancora non se ne era ben resa conto. “Allora anche te la pensi come me?”, fu riportata alla realtà da quella domanda, “scusami mamma, mi ero imbambolata. Si penso tu abbia ragione, il cipria è abbastanza neutro come colore, nulla di così eccessivo”. Rachele felice della conferma cominciò a mostrarle tutte le varie forme, le buste delle lettere, le calligrafie e i colori di queste. “Decidi tutto te, mi fido del tuo gusto”, aveva troncato tutta quella sfilata di partecipazioni nel modo più diplomatico possibile, alla fine era così, si fidava di lei e inoltre quelle poche idee che aveva avuto erano state tutte bocciate, perciò si convinse di non avere così tanto gusto in merito e sicuramente non voleva fare una brutta figura, così aveva lasciato il comando del timone placidamente. “Sei felice? Sarà tutto come lo hai sempre voluto e immaginato. Ah poi sai ieri chi ho sentito? Tua zia Paola, eh da quando sa che ti sposi non si vanta più molto della figlia – accompagnò la frase a un gesto infastidito- e poi di cosa dovrebbe vantarsi? Di una ragazza che non ha studiato, vive ancora con lei a più di trent’anni e che non si capisce che lavoro faccia? La colpa è di mia cugina, ha lasciato alla figlia troppa libertà quando era già piccola, io ti sono stata sempre dietro invece, e infatti ho fatto bene, ti sei laureata, hai un lavoro, un fidanzato e stai per sposarti. Doveva fare così anche lei, starle dietro per darle le basi per il futuro e invece cosa ha fatto? Le ha fatto fare un corso di fotografia dopo il liceo ma cosa si aspettava, che le sue foto andassero in qualche museo contemporaneo?” Tosca, però, non ascoltò minimamente lo sproloquio della madre, una frase aveva catturato la sua attenzione “ come lo hai sempre immaginato”, veramente lo aveva sempre immaginato? E se fosse stato veramente così perché, perché, in quel momento non ci riusciva? Mentre erano intente in quel loro chiacchiericcio frivolo e a tratti cattivo bussarono alla porta, Filippo entrò con dei fogli in mano che lasciò lì. Il fidanzato con la madre iniziarono a parlare delle novità del matrimonio. “Va bene, allora io torno a casa che sono stanca, sono uscita questa mattina alle 9.00 e tuo fratello non sa che fine abbia fatto”, baciò la figlia e il genero e con mano svolazzante se ne andò trionfante. “Sei stanca?” “Mh no, un pochino scombussolata, mi ci sono proprio svegliata ma sto bene”. “Ti sei messa la collana di perle che ti ho regalato, ti sta veramente bene”, in verità Tosca non era mai stata una ragazza che seguiva molto la modo, le piaceva vestirsi in modo sobrio, con colori poco accesi, il color cipria era il suo cavallo di battaglia e le perle erano quell’accessorio in più che la rappresentavano al meglio. “Stasera non ci sarò a cena, ieri ho sentito Dario e Riccardo e hanno organizzato una cena”. “Ah non me lo hai detto ieri..” “Ah no? Beh devo essermi dimenticato. Ci sono problemi?” Tosca sorrise e tenne gli occhi bassi scuotendo la testa. “Va bene, allora torno in ufficio, ci salutiamo prima che vai via, andrò in completo alla cena, penso che prima andremo a bere qualcosa, così non torno per niente a casa. Ci vediamo dopo.” Le diede una leggero bacio sulla fronte e uscì dall’ufficio. Ci era rimasta un po’ male per quella dimenticanza, non avevano nulla in programma ma il fatto che non si fosse ricordato di dirlo alla persona con la quale vive le aveva lasciata l’amaro in bocca. Sapeva che se fosse accaduto ad altre ragazze queste si sarebbero arrabbiate, avrebbero alzato la voce, spento il telefono e messo il broncio ma dopo sette anni di relazione le sembrava tutto ciò sciocco, e infondo non lo aveva mai fatto nemmeno all’inizio, quando i sentimenti erano nuovi e freschi. Si fidava di lui, lo conosceva fin da quando erano bambini, avevano fatto una vita insieme, perciò erano scenate inutili. Filippo era un uomo, doveva avere i suoi spazi e le sue amicizie per divertirsi, non che a lei non le fosse concesso ma preferiva aspettarlo a casa e farsi raccontare come aveva trascorso la serata. Pensò a quale potesse essere il programma migliore per quelle ore di libertà e alla fine optò per un bagno caldo, letto e libro. “La complicità e la passione di due persone sposate da trent’anni con tre figli e un mutuo sulle spalle.” Tosca spalancò gli occhi alla luce di quel pensiero che, non era assolutamente da lei ma forse, quella nuova vocina dentro di lei non aveva tutti i torti…

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Capitolo 3
*** Tosca&Cole ***


"C’è chi sarà nei nostri occhi anche quando ameremo altri, c’è chi una sera ci capiterà all’improvviso davanti mentre staremo camminando, e dopo anni di lontananza basterà il tempo di un breve saluto per non capire più niente, sarà sufficiente sfiorarlo un momento per dimenticarci anche il nostro nome.
C’è chi siamo destinati - condannati - a volere per sempre."
Cit. Maria Teresa Romeo

“Su sveglia ghiro. Non posso crederci, sono tornato a casa sei ore fa, stanco dopo una faticosa serata di lavoro, convinto che la mia fidanzata, la mia roccia, la mia spalla, fosse in trepida attesa e invece la trovo addormentata e non ti sei svegliata, nonostante io abbia fatto apposta più rumore del solito. Ora possiamo passare l’intera giornata insieme e la passi a dormire? Questo non lo permetto.” La voce le giungeva da sotto la trapunta che aveva usato come riparo dalle luce proveniente dalla finestra aperta, Cole era estremamente pimpante quella mattina, nonostante la poche ore di riposo la sua voce era già energica e scherzosa. Dal canto suo Tosca si arrotolò ancora di più nelle coperte e fece provenire da sotto quell’antro solamente un suono gutturale lamentoso. Stava per crollare di nuovo rapidamente tra le braccia di Morfeo quando quel calore che tanto le piaceva le fu tolto e in men che non si dica si ritrovò con gli occhi aperti e la trapunta ai piedi del letto. L’artefice del misfatto guardava la sua opera con sguardo fiero e le braccia incrociate in segno di sicurezza. Lo guardava con occhi semichiusi, troppo rimbambita per dire qualcosa che avesse senso, si limitò a stropicciarsi gli occhi, abituarsi a quella luce e mandare delle occhiate “inceneritrici”, almeno così dovevano essere, verso quel furfante.
“Cole volevo dormire, si stava così bene lì sotto”. Sembrava una bambina lamentosa, ne era cosciente. L’uomo, che non aveva mai perso il sorriso, sbuffò divertito.
“Perché con me non stai bene?”, si era sdraiato vicino a lei, attirandola a sé e prendendole le braccia se le era attorcigliate introno al collo. La guardava con i suoi occhi verdi venati di una tonalità calda di marrone. Rimasero così per qualche secondo di troppo, si baciarono con passione, i loro respiri si fecero più pesanti, Cole le teneva stretta per i fianchi, le sue mani fredde le diedero come una scossa di piacere, lo voleva, gli attorcigliò le gambe intorno e lo strinse vicino a se, le sue labbra si impossessarono avide del collo mentre con la mano sinistra gli teneva la nuca. Si staccarono per scambiarsi uno sguardo d’intesa, “credo proprio anche io che sotto le lenzuola non si stia male”. E fu così che fecero l’amore, perché si sa per quello c’è sempre tempo e infondo non c’è modo migliore per iniziare la giornata. 
                                                                     *******************************
Tosca giocherellava con un pezzettino di carta che si rigirava tra le mani, il traffico quella mattina era infernale, le vie della città erano intasate a causa dei lavori in corso che stavano avvenendo nel centro, qualcosa che avrebbe messo a dura prova la pazienza di tutti e non si poteva affatto dire che Cole fosse un uomo paziente, anzi. Si trovavano in coda ad un semaforo, la voce irriverente di Freddie Mercury faceva da sottofondo a quel silenzio che regnava sovrano nell’abitacolo, un silenzio rilassante per qualcuno e un po’ forzato per un altro, quando un vecchio particolare attirò l’attenzione della ragazza, una vetrina sulla strada aveva gli stessi stivaletti rossi che lei aveva e che la riportò indietro nel tempo, a un giorno in particolare, lo stesso giorno che lei incontrò Cole per la prima volta, ancora si ricordava cosa indossava, jeans a sigaretta, stivaletti rossi fino alla caviglia con tacco, una camicia bianca con un colletto svolazzante, il suo amato giubbotto di pelle nero avvitato e i suoi immancabili occhiali da sole (utilissimi soprattutto quando la giornata è nuvola e a te girano le scatole). Ricordava tutto di quel giorno.
“Cole?”
Tosca attese per un attimo una sua risposta ma l’uomo era troppo impegnato a stringere in maniera convulsiva il volante tra le mani per prestarle attenzione.
“Cole mi ascolti?”, dovette accompagnare la frase con una leggera pressione sul braccio del compagno, che come riportato alla realtà allentò la pressione delle mani sul volante, distolse lo sguardo dal traffico e la guardò.
“Ti è capitato di ripensare al nostro primo incontro?”, la voce era fiduciosa, felice, come volesse trasmettere con la sua sola intonazione le emozioni che quel ricordo le dava, come volesse dire “se avessi il potere di tornare indietro nel tempo vorrei rivivere quella prima emozione”.
Il compagno fece un sorriso sghembo, l’aria da furfante che gli davano i Persol tartarugati era un mix letale per lei.
“Intendi a quando per la prima volta vidi una ragazza di statura notevolmente ridotta ma con un ego spropositato e che sicuramente pianificava di conquistare il mondo? Ah certo, ogni volta che getto le scarpe all’angolo del corridoio, cosa che tu mi hai vietato di fare, e mi tocca sistemarle nella scarpiera. Ecco lì, in quei precisi momenti di castrazione ricordo che una volta ero uno scapolo libero e padrone della propria vita prima che una giovane laureanda entrasse nel mio locale.” L’uomo se la rideva sotto i baffi per quella sua affermazione ma Tosca alzò gli occhi al cielo e guardò fuori dal finestrino sbruffando 
“Ah ah ah cretino”.
Nel vederla reagire così Cole si diede dell’idiota da solo, perdendo un po’ quell’ involucro di sicurezza e quel sorrisetto beffardo che aveva sul viso. Pensò per bene a quando la vide per la prima volta entrare da quella porta, a come il caso volle che quel pomeriggio lui si trovasse a dover controllare il nuovo cuoco assunto nel suo locale, anziché stare in un altro ristorante come era da programma. La sua mente venne catapultata a quattro anni prima, in quel momento era distante dal traffico, da quei lavori e anche da lei e,  quando aprì bocca nemmeno se ne rese conto.
“Stavo parlando con un fornitore, vino, mi ricordo ancora quale fosse l’ordine in particolare di cui stavamo discutendo. Ciò che avevo ordinato era arrivato ma non nelle quantità che avevo richiesto e odio quando le cose non vanno come dico io, in più mi innervosiva la questione nel nuovo cuoco. Perciò quel giorno ero molto nervoso e facilmente alterabile. Mi ricordo che ero sul punto di mandare quell’idiota dove si meritava, poi non so nemmeno io perché ma guardai in direzione dell’ingresso e in quel momento entrasti te- l’uomo nel ricordare quel momento sorrise con una leggera nota di malinconia che durò la frazione di un secondo, una nota tipica di chi vorrebbe tornare nel passato e rivivere quel momento- ricordo che fu tutto così strano, avevo visto molte donne bellissime, avvenenti, sensuali, donne che avevo conosciuto e conquistato, eppure come tu catturasti i miei occhi, la mia attenzione, nessuna di loro vi riuscì- sorrise di nuovo ammettendo la realtà- facesti un’ espressione in particolare che mi catturò, che non mi fece nemmeno più pensare, una semplice che fai ancora oggi, quella che hai quando entri in un luogo che non conosci, sembri quasi una bambina in imbarazzo, ti guardavi intorno come avessi il timore di disturbare e se pensavi di poterlo fare io te ne ringrazio- accompagnò la frase a una delicata carezza su quella guancia così fredda-, ricordo che i tuoi movimenti erano estremamente delicati, come avessi paura di calpestare il pavimento. Quando ti misi seduta, ammetto, sapevo già quali carte sfoderare, sorriso ammiccante, battuta pronta, ti avrei offerto di sicuro la consumazione, perché alle donne piacciono i cavalieri e ancora di più, alle donne piace essere corteggiate e poterne far vanto. I miei gesti erano automatici e il sorriso più provocante che avessi era già sulle mie labbra ma quando il cameriere ti portò il bicchiere di vino che ti avevo offerto e tu lo rifiutasti, “no, la ringrazio non sono astemia ma comunque non lo avrei accettato”, ti assicuro che non mi era mai capitato, fu uno smacco per la mia virilità, mi avevi fatto fare una brutta figura davanti ai miei dipendenti, nessuna aveva mai rifiutato e beh non mi piacque- Nel dire quella frase l’uomo sembrava una bambino capriccioso a cui era stato negato per la prima volta un giocattolo- chi l’avrebbe detto che avresti rifiutato ogni cosa che volevo offrirti, sei venuta per una settimana intera ad occupare un mio tavolo, non alzando mai lo sguardo dal tuo computer, bevendo una salubre spremuta e lasciando puntualmente metà muffin al limone, mi stavi esasperando e iniziavo ad odiarti. Ma è proprio questa la tua trappola, chi non ti conosce pensa che sei una ragazza dolce e timida, in realtà sei una stronza. Sei peggio di un uovo di Pasqua, hai presente che da fuori sembrano tutti belli, ti lasci abbindolare dalla scritta “cioccolato finissimo” e poi dentro trovi una sorpresa del cazzo, ecco tu sei stronza come un uovo di Pasqua”. Rise e fece le facce per quell’affermazione, non si era offesa perché sapeva benissimo che era così, le piaceva comportarsi in quel modo, giocare al gatto con il topo, avere lei il comando, perciò l’essere definita “uovo di Pasqua” la rappresentava bene.
“Mi odiavi perché non cadevo ai tuoi piedi come le altre e poi mi infastidivi parecchio. Uscivo dalla lezione del corso esausta e nonostante fossi stanca dovevo lavorare agli articoli, perciò avevo bisogno di calma, il tuo locale era proprio affianco alla sede dove mi trovavo. In più in quegli anni non avevo intenzioni di avere nulla, mi divertivo a giocherellare con i sentimenti altrui, inoltre non mi mettevo a guardare i “nonnetti” di trentuno anni”, lo schernì pizzicandogli l’orecchio divertita, “avevo bisogno di carne fresca.”
L’uomo scosse la testa ancora un po’ infastidito e scacciò quella mano con un gesto piccato.
Passò qualche attimo di silenzio, mentre Tosca ancora se la rideva sotto i baffi.
“Ma il meglio di noi ancora lo dovevamo dare, ricordi?”
Sorrise divertita capendo a cosa si riferisse,
“Non sarò una tacca in più da aggiungere alla tua parete, non gonfierò maggiormente il tuo ego spropositato”.
“Tu non hai nessun diritto di giudicarmi senza conoscermi. Chi direbbe che, come dici, per me le donne sono solo uno svago, una caccia che porto avanti per divertimento?”.
“Sarò giovane, ma non sono ingenua”.
“No, tu sei una stronza arrogante, è questo quello che sei”.
“E tu sei patologicamente instabile a livello sentimentale, cosa c’è una delusione d’amore adolescenziale ti ha così traumatizzato da non riuscire a costruirti un futuro concreto con una donna?”

Al ricordo di quella loro prima lite avvenuta senza che sapessero nulla l’uno dell’altro entrambi scoppiarono a ridere. 
“Di sicuro un inizio non banale”
“Quanto ti odiai quel giorno, mi feci rimanere incazzato per tutta la giornata, e mi incazzavo anche con me stesso perché non riuscivo a toglierti dalla testa, non avevo mai conosciuto una ragazzina così testarda. Respinto, tu mi avevi respinto…che affronto”.
Tosca rise vedendo l’espressione ancora stupita che aveva assunto il compagno, quello per Cole era stato un affronto che più e più volte le rinfacciava ma lei era soddisfatta di sé, aveva sempre odiato quegli uomini che sicuri del proprio aspetto, della posizione sociale e del loro essere carismatici, si prendevano gioco dei sentimenti altrui, perciò per lei fu come vincere un premio, dato poi gli sviluppi importanti che aveva assunto la loro relazione.
In quel momento il traffico non fu più un problema, il tempo cominciò ad essere occupato dai ricordi e i due si persero nel parlare mentre a poco a poco le macchine si muovevano.

“Credo che ciò che ci aiutò fu quella sorta di tacita tregua che stipulammo l’ultima sera del corso”, Cole non rispose, sorrise solo annuendo con la testa ripensando a quella sera.
“Il corso all’ufficio stampa era terminato e per festeggiare i ragazzi del gruppo vollero organizzare una serata e il tuo locale era il posto migliore, a due passi di distanza e a detta loro “molto alla moda”, ovviamente quando decisero la location non ero la persona più felice del mondo ma preferii sorvolare del nostro battibecco. Eppure quel giorno, nonostante la stanchezza per la giornata, mi feci in quattro per tornare a casa a darmi una seria sistemata, mi dicevo che quella volontà era solo per fare una bella figura davanti ai miei colleghi, ma forse inconsciamente volevo essere notata da te, darti un altro “schiaffo morale”, quasi a voler dire “guarda cosa ti stai perdendo fallito patologico”.  Tosca sorrise sovrappensiero al ricordo di quelle odiose scarpe alte tanto belle quanto scomode e dolorose.
“Come sempre fosti l’ultima ad arrivare, i tuoi amici erano già al tavolo e nonostante ancora mi ritrovassi a pensarti qualche istante, e il mio ego colpito ne risentiva, dovetti ammettere che eri una grande stronza ma bellissima”.
Rimasero qualche istante in silenzio a guardarsi.
“Feci di tutto per non guardarti appena entrata, non nego che mentre camminavo per raggiungere il locale speravo che tu non ci fossi, ma mentivo a me stessa e in fondo lo sapevo, ti cercavo, con la coda dell’occhio mentre gli altri erano impegnati a ridere ti cercavo, forse lo facevo goffamente ma speravo che fossi non troppo lontano da me”.
 Di nuovo silenzio, mentre entrambi si trovavano indietro nel tempo.
 “Eri un pavone, sicuro della bellezza della tua coda e così, quando ci fu portato il primo giro di bevute, apristi le tue piume in tutta la loro magnificenza, tanto da venire di persona al tavolo”. 
“Erano un tavolo di ragazzi allegri, che conoscevano il divertimento ma quello semplice, mentre tu eri Machivellica e da tale dovevo trattarti. Avevano ordinato una bottiglia di champagne commerciale, buonino ma nulla di eccezionale, dovevo farti sentire una dea tra gli insetti e volevo sfidarti, sapevo che davanti a loro avresti ceduto se ti avessi offerto qualcosa di migliore, solo per sentirti superiore e coccolata agli occhi delle tue coetanee”. 
Tosca fece un ghigno di disapprovazione: “Ammetto la mia sconfitta, trovasti il mio tallone d’Achille, oppure era un modo per dichiarare una tregua l’aver accettato il tuo calice di champagne superiore…chi può dirlo ormai”, disse le ultime parole beffeggiandolo.
 “Non fu il fatto che accettasti la mia “offerta di pace” a farmi ritirare qualche cannone, avevo fatto quel gesto solo per sfidarti, ma lo sguardo d’intesa che ci fu nel momento in cui ti porsi il bicchiere.”
“Perciò in quel momento non avevi doppi fini con me?”
“Che tu ci creda o no, il che non mi interessa, non ho mai avuto doppi fini con te, altrimenti non saremmo qui ora”. La frase era stata detta con sicurezza e gli credeva, per quanto fosse una maledetta mal fidata, lei credeva a quelle parole. 
“Nonostante ciò, però, ero ancora punto nell’orgoglio, ti aspettavo, volevo che venisti te da me, almeno una volta, ma il tempo passava, l’alcool scorreva e tu e i tuoi compagnucci vi eravate alzati molte e molte volte per uscire fuori a fumare ma mai, mai, tu mi degnasti di uno sguardo. La rabbia mi era di nuovo salita, avevo abbassato la guardia dopo quello sguardo e mi ero trovato nuovamente spalle al muro”.
“Giustamente quale momento migliore se non quello mentre uscivo dalla toilette per prenderti una rivincita”.
Aveva bevuto molto e il caldo del locale le stava cominciando a dare fastidio e la sua vescica aveva raggiunto il limite, così Tosca con le guance rosse e le labbra tirate per una battuta idiota fatta, si alzò per andare in bagno e per la prima volta da quando si trovava in quel locale, complice l’impellente bisogno, non fece caso se intorno a lei ci fosse Cole. L’aria in quella stanza era fredda rispetto alla sala, e ciò le face piacere, infilò le mani sotto il getto dell’acqua gelida e chiuse gli occhi assaporando quella sensazione di sollievo. Rientrò nella sala che si sentiva decisamente meglio e pronta per altri giri ma:
“Hai giudicato me patologicamente instabile sentimentalmente, come dicesti? Che una cotta adolescenziale andata a male mi aveva traumatizzato? Credo che questa descrizione appartenga a te e non a me signorina”.
“Signorina?” Tosca alzò un sopracciglia venendo appellata in quel modo.
“Cosa vuoi da me? Ho accettato la tua offerta con pacatezza…ah ora capisco cosa ti aspettavi, che come una delle tante ingenue che hai conquistato, al primo momento buono venissi da te per ringraziarti, e allora li avresti ottenuto la tua vittoria. Questo volevi. No, non mi sono sbagliata, quella descrizione appartiene a te, e questo lo dimostra.”
Scosse la testa con disapprovazione, disapprovazione forse dovuta al fatto che aveva indovinato con la sua descrizione iniziale e in cuor suo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, le dispiaceva.
“Allora una cena”, il suo passo fu interrotta da quella che non era una domanda ma un’affermazione detta con troppa sicurezza e nel voltarsi a guardare in faccia quell’uomo, questi era uscito da dietro il bancone e ora si trovavano l’uno davanti all’altro, per la prima volta vicini e per un momento si chiese se quella sorta di elettricità la sentisse solo lei.
Entrambi rimasero seri a guardarsi, entrambi trattenendo il respiro.
“Una colazione, domani mattina alle 10.00 al Garden of books, perdonami sicuramente non è il classico posto modaiolo a cui sei abituato ma amo i giardini e libri, perciò penso che si possa fare li”.
Cole venne preso contro piede, lei aveva deciso dove e quando, senza attendersi controfferte e questa era l’ennesima novità per lui. “Almeno lascia che ti venga a prendere io.”
Tosca rise di gusto a quella frase, “ e così farti vedere dove vivo e in più ti dovrei dare anche il mio numero di telefono, in modo che una volta arrivato tu mi chiami e mi avvisi di scendere. No, no, no, ci vedremo direttamente lì davanti.”
Ma per una frazione di secondo Tosca si accorse che forse stava esagerando, e che infondo l’uomo le aveva solamente offerto di passarla a prendere, si sentiva antipatica persino a se stessa. Così colta da un lievissimo imbarazzo si guardò intorno e come nei casi più classici scrisse su un fazzoletto il suo numero di telefono.
“Così potrai mandarmi lo stesso il messaggio una volta arrivato”, sorrise, cercando di farsi perdonare per il suo atteggiamento antipatico.
“Tregua?”.
“Tregua”.
I due si guardarono rilassati, le difese si stavano ritirando senza che se ne rendessero conto.


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Buonasera a tutti, la storia è un pochino ingarbugliata, lo so, ma spero vi piaccia e vi ringrazio tanto perché la leggete, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie ancora e buon sabato.

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Capitolo 4
*** Tosca&Filippo ***


16 Luglio
Era uscita dall’ufficio mezz’ora prima, voleva farsi bella per quella sera, tanto che aveva preso appuntamento per farsi truccare, aveva comprato un nuovo vestito, pronto solo per essere indossato e i capelli erano perfetti nelle loro onde scure. Tosca si sentiva un po’ come una ragazzina al primo appuntamento ma volevo che quella data, quell’ultima data d’anniversario da fidanzati fosse diversa dalle altre, inoltro Filippo aveva prenotato in un ristorante e non voleva assolutamente dirle quale, il che la faceva sentire ancora più elettrizzata, era certa che avrebbe prenotato in quel ristorante con la terrazza sul lago, gliene parlava da un anno e sicuramente avrà atteso una data importante per andarci.
Tosca entrò nell’appartamento come un uragano, fiondandosi sotto la doccia, la stanchezza della giornata era lontana da lei che voleva aggrapparsi a quella felicità con le unghie e con i denti, era ormai da troppo tempo che non si sentiva così con Filippo, si era data tutte le colpe del mondo, pensando che fosse lei ad essere fredda o distaccata e perciò voleva “essere positiva per attirare la positività”, così le aveva detto una cliente alquanto spirituale che frequentava lo studio. Inizialmente l’aveva presa come una spostata ma in fin dei conti cosa le costava cercare di rivalutare le cose, scacciare tutti i vecchi e pesanti sentimenti del passato e sorridere di più, nulla e perciò quale occasione migliore se non quella, per “ricominciare” un pò.
Si osservò allo specchio e sorrise, le piaceva quello che vedeva, un sobrio vestito color tortora, scarpe non troppo alte e l’immancabile collana di perle regalatale da Filippo, a lui piaceva molto come le stava e lei voleva ricominciare a piacergli, voleva che lui la tornasse a cercare come faceva in passato. Questo pensiero la rabbuiò un po’ e per un istante rimase immobile ad osservarsi senza pensare, era innegabile che tra i due le cose erano cambiate e lei nemmeno si era accorta quando era accaduto, aveva lasciato che accadesse. Si stava nuovamente chiudendo in questi pensieri quando una voce dentro di lei la smosse, urlandole di tornare alla positività di prima per il bene del rapporto, doveva impegnarsi. Così pensando, sospirò e recuperò il sorriso, mentre Filippo aveva appena varcato la soglia di casa. Tosca fece una cosa che non faceva da anni ormai, andò a passo svelto da lui e lo abbracciò, poggiò la testa sul suo petto e sospirò, in passato la faceva sentire a casa.
Filippo ricambiò l’abbraccio inaspettato con un po’ d’imbarazzo, e con un sorriso tirato le diede un bacio e parlando di appuntamenti lavorativi e bilanci si diresse in bagno per prepararsi.
Tosca la sentì, sentì la prima fitta della serata.
Il centro quella sera era pieno di persone, le coppie mature camminavano placidamente, gli adolescenti ridevano e scherzavano sguaiatamente e il traffico era delirante, era il quarto giro che facevano con la macchina e non c’era alcuna traccia di un parcheggio, né vicino e né lontano, nel frattempo l’orario della prenotazione del tavolo era già passato da trenta minuti. Una cosa, però, lasciò Tosca in silenzio durante quei giri ripetuti, ossia che ancora una volta aveva capito di aver idealizzato il momento e, cosa peggiore, di aver idealizzato Filippo. Non era perché aveva capito che non l’avrebbe portata in quel meraviglioso ristorante in riva al lago ma il rendersi conto di non essere ascoltata, come sempre, e di essere scontata, come una cosa che, indipendentemente da come viene trattata rimane stoicamente ferma li. Aveva idealizzato che l’uomo che le stava accanto fosse tornato ad essere quello di qualche anno prima, la persona attenta e colma d’interessi che aveva conosciuto e che l’avevano catturata. Si girò a guardare quel viso che aveva sempre ritenuto “bello”, la barba leggermente incolta scura, gli occhi verdi cerchiati dagli occhiali, le guance asciutte dagli allenamenti in palestra, quei tratti che prima le facevano battere il cuore, adesso le facevano bagnare gli occhi di pianto e una domanda si faceva largo nella sua mente, “ma cosa sto facendo?”
Rimase in silenzio guardando fuori dal finestrino, tutti intorno a lei erano felici e sorridenti;  E lei?
“Niente non si trova nulla, volevo tornare in quel ristorante sotto i portici, ci siamo trovati bene le ultime volte ma ormai il nostro tavolo lo avranno dato a qualcun altro, è passata quasi un’ora. Che ne pensi di ordinare qualcosa e mangiarla comodamente in casa?”
La ragazza abbassò la testa, mentre una voce dentro di sé le urlava che era stata una stupida, dare tanto significato a una data, cosa si aspettava che la stessa sensibilità nel dar importanza alle ricorrenze fosse universale?
Serrò i pugni, inghiottì il magone che le si era formato in gola e con voce quasi cattiva, forse per la prima volta in vita sua, disse ciò che pensava.
“Si, torneremo a casa e se vuoi puoi ordinare ciò che vuoi per la cena ma io non voglio saperne nulla. Sapevi quanto fossi felice per questo anniversario, l’ultimo da fidanzati, volevo trascorrerlo in modo particolare, così da parlarne il prossimo anno con la fede al dito ma tu oramai non mi ascolti più, non mi dai più valore Filippo. Sembra quasi che se io ci sia o meno per te sia indifferente”.
“Non esagerare adesso, avevo prenotato, cosa vuoi da me se non trovo un posto dove mettere la macchina?”
Anche se cercava di non farle uscire le lacrime le avevano rigato il viso di Rimmel e quel trucco così preciso stava colando via senza essere stato mostrato un minimo. Oltre alle lacrime, però, quasi sputò fuori anche un’altra cosa, che da mesi le chiudeva lo stomaco.
“Perché mi sposi? Perché questo è l’ordine delle cose? Dopo anni di fidanzamento e convivenza è automatico il matrimonio anche se ormai non ti accorgi più di me?”
Disse la fine della frase in un sussurro, per la paura di farla sentire, per la paura della risposta e si pentì subito per quell’improvviso impeto di rabbia e coraggio.
Ma peggio di una brutta verità non c’è una bugia, forse in quel momento Tosca l’avrebbe apprezzata, ma c’è il silenzio di chi conferma tutti i suoi dubbi, il silenzio di chi non ha alcun interesse nel cambiare le cose. Urla, grida, porte sbattute, frasi dette per rabbia, lacrime…non ci fu nulla di tutto ciò, quello sfogo scivolò via dalle spalle di Filippo con una semplice scrollata. Quella sera, come tutte, la porta di casa si chiuse placidamente e finalmente l’uomo poté andarsi a togliere la cravatta, la cosa che più l’aveva infastidito quella sera; mentre Tosca capì che non doveva farsi scrupoli di coscienza per quelle parole dette al compagno, quasi le avrebbe dato speranza, quasi sarebbe stata felice se lui gli avesse dato peso.

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