Il Cavaliere Devoto

di Kharonte87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Finale ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Il sole fiammeggiava nel cielo in quel giorno d’estate ad Azeroth. ‘Fa davvero troppo caldo oggi’ si ritrovò a pensare per l’ennesima volta Æthelweard. Negli ultimi giorni aveva avuto spesso quel pensiero. Una grande ondata di calore aveva investito il regno di Lordaeron e la città di Hearthglen non era stata di certo risparmiata, anzi. Ad aumentare ancora di più quella sensazione di calore c’era adesso la forgia del fabbro della città, con quest’ultimo impegnato a rifinire la nuova armatura di Æthelweard. Una corazza di buona fattura. Certo, non sarebbe mai stata all’altezza delle grandi armature dei paladini del Silver Hand, ma per un giovane cavaliere di 19 anni sarebbe andata bene. Era color bronzo, senza particolari fronzoli. “Preferisco che sia solida e resistente” aveva detto al fabbro il cavaliere. “Ci devo combattere non farci la damigella.”

Lo sguardo di Æthelweard era fisso su quel pezzo di acciaio che il fabbro, un uomo sulla quarantina dal ventre prominente e con pochi capelli sulla testa stava battendo con il martello da lavoro. “Ecco qui, ser” disse il fabbro non appena ebbe finito, porgendo l’armatura ad Æthelweard ed emettendo un grugnito mentre la alzava. Il suo viso pacioccone era completamente bagnato dal sudore. Æthelweard guardò il lavoro finito. L’armatura splendeva alla luce del sole. L’elmo, a forma di testa di toro, gli piacque molto. Anche i gambali gli diedero un senso di sicurezza. Non poté che ritenersi soddisfatto.
“Quanto ti devo per il tuo lavoro, Bennis?”
Il fabbro si asciugò la fronte con la manica della veste. Una tunica grigia, ormai sbiadita dal tempo.
“6 pezzi d’oro andranno bene, mio buon ser” rispose.
Era più di quanto Æthelweard avesse pensato. Il conio che il giovane cavaliere possedeva lo aveva guadagnato giostrando a qualche torneo in giro per il regno, l’ultimo per i 16 anni del Principe Arthas, o prestando servizio presso qualche lord minore. Pagò dovuto e, presa la nuova armatura, si diresse alla taverna.

Hearthglen quel giorno era particolarmente vivace. Fumi si innalzavano dal forno della città, le donne trasportavano ceste colme di cibo verso il munucipio facendosi strada attraverso bambini che giocavano allegri per la strada.

“Ehi, Æthel ti serve una mano con quella?”

Senza aspettare la risposta di Æthelweard, un altro cavaliere si avvicinò a lui.
“Ti ringrazio Thomas, effettivamente è pesante…” L’altro cavaliere fece un largo sorriso. “Sempre pronto ad aiutare le giovani spade di Lordaeron!”

Ser Thomas Thomson era un cavaliere ben più esperto di Æthelweard, già paladino del Silver Hand nonostante avesse solo qualche anno in più di lui. Ed era anche alto. Non che Æthelweard non lo fosse, anzi. Il giovane cavaliere era sicuramente più alto di molti ragazzi della sua età, fatto che gli aveva causato non pochi problemi da piccolo, quando gli altri bambini lo chiamavano Æthelweard testa-tra-le-nuvole.
‘Chissà che fine hanno fatto’ si era chiesto più volte Æthelweard durante gli ultimi anni, da quando era fuggito dalla sua terra natale, il regno di Stormwind, ridotto in rovina dagli Orchi. La Prima Guerra era stata davvero una terribile prova per il Regno di Stormwind, il quale non era riuscito a resistere all’avanzare di quei mostri dalla pelle verde. Quanto avrebbe voluto combatterli, difendere la sua patria. Ma era troppo giovane gli avevano detto, al massimo avrebbe potuto servire come scudiero di qualche altro cavaliere. È lo stesso era successo solo due anni prima, allo scoppio della Seconda Guerra, che però stavolta avevo visto i Sette Regni unificarsi sotto un unico vessillo e dar vita a quelle che era stata chiamata Alleanza di Lordaeron. Fu proprio durante questa Seconda Guerra che nacque l’ordine dei paladini del Silver Hand, cavalieri sacri al servizio dell’Alleanza. Æthelweard agognava di entrare tra quei ranghi fin da quanto ne aveva sentito parlare la prima volta.

“Come procedono i preparativi?” Chiese a Æthelweard a Ser Thomas.

“Tutto benissimo” rispose lui. “La delegazione del Kirin Tor sarà qui entro domani. Sua signoria ha insistito perché ci fossero anche loro oltre ai nostri amici Alti Elfi alla commercializzazione degli eroi Draenor. Certo, mi domando quanto sia opportuno organizzare un banchetto per commemorare dei morti, ma qui mica comando io!” Ser Thomas rise divertito.

Sua signoria era il Barone Titus Rivendare, lord di Stratholme, la seconda città più grande ed importante di Lordaeron dopo la capitale, la quale si trovava più a ovest di Hearthglen. Il Barone era un ricco proprietario terriero, molto amato dai suoi sudditi. Spesso lord Titus donava grano alla sua gente, aveva organizzato tornei che avevano divertito il popolino. Suo figlio ed erede, Aurius, un uomo fatto sui 30 anni, sarebbe andato alla vicina città di Andorhal per andare incontro alla delegazione del Kirin Tor.

Arrivarono alla porta della taverna. Thomas spalancò la porta e chiamo il garzone, un giovane che non poteva avere più di 15 anni. “Ehi tu, ragazzo! Aiuta ser Æthelweard a portare la sua nuova armatura nelle sue stanze.” Il giovane, uno smilzo dai capelli rossicci e lentiggini nel viso si affrettò ad obbedire. Portalarla però su con l’aiuto del garzone non fu affatto semplice per Æthelweard. Il giovane cavaliere dovette sforzarsi molto di più di quanto non avesse fatto con l’aiuto di Ser Thomas durante la strada dal fabbro alla taverna.

“Posso portarvi del cibo, ser? Abbiamo dell’ottimo stufato d’anatra oggi.”

“Si, grazie. E portami anche una birra scura. Ci sta per mandare giù l’anatra.”

“Come desiderate, ser” replicò il giovincello facendo un inchino prima di uscire e chiudere la porta dietro di sé. La camera che aveva ser Æthelweard aveva preso era piuttosto spaziosa per come il giovane cavaliere era abituato. Durante i suoi viaggi, spesso Æthelweard aveva dormito in fossati, stalle o addirittura solo con le stelle di Azeroth a fargli da tetto. Ma era questa la vita di un cavaliere, ed Æthelweard l’aveva sempre saputo. Anche da prima di essere nominato tale, quando sognava il Silver Hand, come lo sognava in quel momento.

Si accorse che gli faceva male la schiena dopo il trasporto dell’armatura, ed anche le sue lunghe braccia. Æthelweard era un ragazzo possente per la sua età, con le spalle larghe e folti capelli castani, un colore che era stato ripreso anche dai suoi occhi. Sul viso gli stava persino iniziando a spuntare qualche pelo di barba. Si lasciò cadere nel letto, un soffice materasso di piume e, voltando la testa, guardò la nuova armatura.

‘Senza la luce del sole è decisamente più scura.’

La porta si aprì. “Ecco il vostro stufato e la vostra birra, ser” il ragazzo si affrettò a poggiare il cibo e la bevanda e tornò subito giù, richiamato dalle urla dell’oste. La taverna di Hearthglen era particolarmente affollata in quei giorni. Uomini, nani e gnomi non volevano perdersi la cerimonia di Stratholme, ed alcuni avevano deciso di fermarsi lì, come d’altronde aveva pensato lui. Ser Æthelweard aveva preso una decisione ormai. Sarebbe andato alla cerimonia ed avrebbe offerto la sua spada al servizio di Lord Titus. Una spada giurata era sempre tenuta in gran considerazione e mettersi in mostra come cavaliere di un grande lord lo avrebbe sicuramente fatto notare ai paladini del Silver Hand.

Æthelweard consumò il suo pasto guardando fuori dalla finestra della sua stanza. Da lì, poteva vedere quasi tutta la città e sentire le voci dei suoi abitanti. Alcuni stallieri stavano sellando i cavalli nelle scuderie, Bennis era impegnato come non mai alla forgia, Ser Thomas stava conversando con altri paladini dell’Alleanza. Questi ultimi stavano ridendo guardando a poca distanza da loro. Æthelweard seguì il loro sguardo. Vicino al municipio c’era un cavaliere che lanciava frecce verso un tirassegno ed un’elfa scagliava anch’ella frecce accanto a lui.

“Ti fai battere da una ragazzetta, ser Lucas?” disse uno dei cavalieri con Thomas, ridendo. Quest’ultimo, un uomo adulto piuttosto basso, si affrettò a rispondere.
“La maestria degli elfi e ben nota, imbecilli! Perché non provate voi, invece di ridere come polli!”

“Perché non siamo stupidi quanto te da sfidare Lady Rhenya Blackfire al tiro con l’arco!”. Altre risate.

L’elfa si voltò. Al fianco portava una faretra piena di frecce e nel pugno stringeva un arco. L’arciera portava i capelli corvini raccolti in una lunga treccia, talmente lunga da arrivarle quasi alla vita. Avevo il viso delicato degli elfi, e due occhi color nocciola. “Siete degli adulatori!”

Æthelweard aveva spesso sentito parlare degli elfi di Quel’Thalas ma solo raramente ne aveva visto qualcuno, elfe poi, ancor meno. Il giovane cavaliere non aveva avuto molto tempo per le donne durante la sua vita. Certo, non gli mancava esperienza, ma non si era mai visto a condurre una vita tranquilla insieme ad una ragazza. I suoi pensieri erano sempre stati rivolti all’arte della guerra ed alla difesa dell’umanità. Bevve l’ultimo sorso di birra, prima di posare la caraffa sul vicino tavolo in legno. Gli piaceva il naso di quell’elfa, ed anche la sua treccia corvina ed i piccoli ma ben formati seni sotto il farsetto di cuoio che indossava. Non sembrava affatto una lady. In quella tenuta indossava anche stivali in pelle e brache di un verde pallido.

‘Blackfire…’ pensò ser Æthelweard. ‘Fuoconero non è un nome che si adatta a quell’elfa.’ Si voltò, tornando verso l’interno, posando anche la ciotola dello stufato d’anatra, completamente ripulita. ‘Rhenya La-Troppo-Bella dovrebbero chiamarla.’

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


“Miei cari compatrioti, lasciate che vi dica quale onore sia questa sera per me avervi come ospiti, qui nella mia tenuta. Alcuni di voi potrebbero pensare che sia una mancanza di rispetto celebrare i nostri eroi caduti a Draenor per dare la caccia a quegli immondi orchi e salvare il nostro mondo. Eppure, io sono dell’idea che l’eroismo vada celebrato e non commemorato. Per questo, ho voluto indire questo banchetto ed avere qui voi tutti, lord, dame e cavalieri. Cosicché tutti possiamo rendere omaggio ai nostri prodi salvatori. Agli eroi di Lordaeron e dell’umanità!”

Lord Titus Rivendare si era alzato dal suo scranno per fare quel discorso che diede il via al banchetto di commemorazione, o celebrazione come aveva detto lui. Ser Æthelweard doveva ammetterlo, il cibo era davvero squisito, ne era sicuro, o almeno quello che vide portare alla pedana degli alti lord. Riconobbe petto d’anatra, cervo di Quel’thalas, pesce del lago Lordamere, e poi frutta di prima qualità e vino speziato. A lui l’avevano relegato nella parte più esterna della sala dei ricevimenti, insieme agli altri semplici cavalieri. Æthelweard non aveva mai visto in tutta la sua vita tanta sfarzosità. La tenuta di lord Rivendare era un maniero di tutto rispetto. Non paragonabile alla capitale di Lordaeron certo, ma era imponente fuori ed elegante dentro. Quella sala in particolare aveva lasciato il giovane cavaliere particolarmente basito. Il colore bianco la faceva da padrone ovunque. Risplendeva nel pavimento, nel marmo delle statue raffiguranti i grandi sovrani della storia dell’umanità, nelle colonne dai capitelli intarsiati. Appesi alle mura c’erano arazzi con scene di battaglia, paesaggi, ritratti di lord e dame. Tutto era meraviglioso, di un qualcosa che si poteva trovare solo all’interno della corte di un lord.
‘Non che io ci sia mai stato’, pensò Æthelweard mentre sollevava la sua coppa di vino per il brindisi dopo le parole di lord Titus.
“Agli eroi di Lordaeron e dell’umanità!” rispose di rimando, alla sua voce se ne unirono almeno un altro centinaio. Oltre a quelle dei cavalieri come lui seduti al suo stesso tavolo, almeno una quindicina, si udirono anche quelle dei Barov, la nobile casata di Caer Darrow, lì rappresentata da lord Alexei, lady Illucia e la loro figlia Jandice. Æthelweard svuotò la coppa di vino. Ma subito dopo, un attendente gliela riempì di nuovo.
“Al Re!” Fu il nuovo brindisi proposto dal figlio di lord Titus, Aurius.

“Io berrei volentieri alla salute di quella lady laggiù” annunciò Ser Thomas Thomson sghignazzando. La sua affermazione fu accolta dalle risate del tavolo dei cavalieri.

“Quella non se ne fa niente di te, Tom!” esclamò ser Duncan Brightflame, un cavaliere dai vispi capelli rossi che aveva prestato servizio presso il regno di Alterac qualche anno prima. “Al massimo potrai fare lo schiavo del lord suo padre!” Altre risate.

“Chiudi il becco Duncan o ti ficco la spada in gola!” ruggì ser Thomas di rimando. “Che ne vuoi sapere tu? L’ultima volta che hai visto una donna è quando sei nato!” La lady di cui si parlava era una giovane umana, minuta, dalla pelle chiara e dalla chioma lunga e liscia. I suoi neri capelli erano luminosi alla luce delle lanterne della sala. Lady Katrana Prestor era arrivata alla tenuta di lord Rivendare insieme a suo padre, lord Daval, e suo fratello, Victor. Il primo era un uomo di mezza età bellissimo, alto e ben piazzato, con luminosi capelli neri. Indossava abiti eleganti ed Æthelweard aveva notato, durante il tragitto che aveva fatto da Andorhal verso la tenuta, che Lord Prestor portava una spada ornata di pietre preziose. Il figlio Victor era invece un ragazzo dalla corporatura possente, con una corta barba scura e dei baffi ordinati.

‘Non si può certo dire che la bellezza non sia una caratteristica di famiglia’ pensò Æthelweard. Ma doveva ammettere che lady Katrana fosse davvero una bellissima donna. In quell’occasione indossava una lunga veste rossa, con una scollatura che ne metteva in risalto le forme generose. Un fermaglio in argento a forma di testa di drago teneva insieme a stento le parti destra e sinistra della sua veste. Ai piedi calzava degli eleganti sandali, ed al collo portava una collana di perle azzurre. Durante il viaggio da Andorhal, Æthelweard aveva fatto ben più di un pensiero su lady Katrana.

‘L’avranno fatto tutti’ rimuginò un giorno durante il viaggio, quando aveva visto, da lontano, la nobildonna ridere ad una battuta di Aurius. ‘Tutti vorrebbero portarsela a letto.’ I Prestor non erano molto conosciuti nel regno, e per questo partecipavano a tutti gli eventi mondani che si tenevano tra i lord e le lady. Lord Daval affermava di essere un lontano parente di Aiden Perenolde, l’ultimo Re di Alterac che aveva tradito l’Alleanza durate l’ultima guerra contro l’Orda.
‘Vorrà rivendicare il regno’ pensò Æthelweard. ‘Questi lord vivono per la politica ed i loro regni. Che ne sanno loro della guerra, della battaglia, del timore che ogni istante possa essere l’ultimo. Siamo noi cavalieri che facciamo i regni, non loro nei loro palazzi dorati.’ Intanto sia Æthel che gli altri ospiti avevano svuotato un’altra coppa di vino e di nuovo gli attendenti le avevano riempite.
“Al Kirin Tor!” esclamò un uomo in abiti viola dai capelli insolitamente lunghi.

“Ma chi è quello?” chiese ser Criston Tander, un veterano della Prima Guerra dai capelli d’argento. “Si sente una donna, forse?”

“Quello è Ras Soffiogelo”, gli rispose ser Duncan. “È uno dei più promettenti allievi del Kirin Tor, si dice che sia il prediletto di lord Kel’thuzad”. Quest’ultimo era il capo della delegazione che l’ordine dei maghi aveva invitato alla celebrazione di lord Rivendare. Un mago dai poteri straordinari si diceva, ma il popolino sussurrava che si interessasse anche a materie pericolose. “Sciocchezze!”, le aveva bollate subito ser Thomas durante il viaggio. “Lord Kel’thuzad succederà a lord Antonidas alla guida del Kirin Tor, vedrai ser. È un mago brillante e talentuoso. Il più talentuoso tra noi uomini, oserei dire!”

A quello in onore del Kirin Tor seguirono molti altri brindisi. Al regno, al principe, alla principessa, alla vittoria dell’Alleanza. Æthelweard voleva smettere di bere, ma ogni volta lo stesso pensiero lo faceva continuare a svuotare la coppa. ‘Potrebbe essere l’ultimo vino per tanto tempo. Chi mi ci porta più in un castello di un lord?’ Per tutta la serata, Æthelweard aveva cercato con lo sguardo l’arciera che aveva visto ad Hearthglen, ma di lei non c’era traccia nella sala. Non era presente nella delegazione degli Alti Elfi di Quel’thalas. Il giovane paladino aveva pensato per molto tempo a quell’elfa durante il viaggio. Si era chiesto se fosse lì anche lei, con la sua treccia nera a cadere dalla sua spalla. ‘Rhenya Blackfire… Rhenya la Troppo-Bella…’

“Dai, ser Æthelweard, ora iniziano i musici!” esclamò ser Thomas ridendo. Ben presto la sala dei ricevimenti di lord Titus Rivendare fu riempita dai suoni di liuti e flauti, e furono quei suoni che accarezzarono Æthelweard, portandolo ad appoggiarsi al tavolo ed addormentarsi.

Furono degli applausi a svegliarlo dopo qualche tempo, e ad interrompere un piacevole sogno che coinvolgeva lady Katrana Prestor e Rhenya la Troppo-Bella. Aprì gli occhi, aveva la vista un po’ annebbiata dal vino. Vide dei giocolieri che avevano appena terminato uno spettacolo con il fuoco. Metà della sala si era svuotata. Si alzò.

“Scusatemi ser, vado a prendere una boccata d’aria.”‘ In realtà doveva svuotare la vescica, ma quella frase gli parve più cavalleresca. Uscì dalla sala dei ricevimenti ed iniziò la ricerca. Tuttavia, la tenuta di lord Rivendare era davvero grande, e finì per perdersi. Percorse corridoi, scese e salì scale. Arrivato all’ennesimo corridoio si guardò intorno. Alla sua destra c’era una cappella dedicata al culto della Luce.
‘Devo pisciare, non pregare.’
Lì vicino c’erano due cavalieri che stavano parlando tra di loro. Erano visibilmente ubriachi.
“Mi scoperei quella lady Prestor sul tavolo di lord Rivendare, davanti a tutti! La farei urlare fino a quando le sue grida non si sentissero fino ad Alterac!”

Æthelweard si sentiva la testa troppo leggera per capire cosa avesse risposto l’altro. E sentì pulsare la testa come un tamburo quando vicino a lui passarono una servetta che rideva inseguita da un cavaliere. Guardò a sinistra. Una siepe.
‘Quella andrà bene.’ Si accostò e si abbassò le brache. Mentre il suo corpo si liberava, iniziò a sentire delle voci. Due, erano due. Venivano da sopra di lui.

“… allora, quando arriva questo grano?” diceva la prima. Æthelweard la riconobbe subito. Era quella di lord Rivendare.
“Presto, amico mio, presto. Tu hai raccolto gli uomini? Sono pronti?”
Questa era invece una voce mai udita dal giovane cavaliere. Una voce profonda, maliziosa, arguta. “Devo stare attento o il vecchio mi scoprirà. Ma ormai è quasi ora.”

“Io voglio quello che mi è stato promesso!” affermò lord Titus, un filo di irritazione impermeava quella frase.

“E lo avrai, mio caro, non temere. Lui da sempre quello che promette, te lo assicuro…”

Poi, allo stesso modo di come si erano avvicinate, le voci si allontanarono, fino a sparire del tutto.

‘Devo aver bevuto troppo…’

Æthelweard sentì ancora la musica proveniente dalla sala dei ricevimenti, ma decise di non rientrare. Per quella sera ne aveva avuto abbastanza di lord, lady e brindisi. Si incamminò per le scale ed i corridoi, fino a raggiungere l’uscita della tenuta e la taverna dove era riuscito a prendere una camera angusta e spoglia. Sicuramente, non il tipo di camera dove avrebbero dormito lord Rivendare, o i Barov, o i Prestor o Ras Soffiogelo. Si sedette sul letto. Gli girava ancora la testa.

‘Ma loro sono lord, e vivono nei palazzi d’oro. Che ne sanno della guerra e dei campi di battaglia?’

 
 

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Capitolo 3
*** Finale ***


Da giorni erano in marcia. Cinque volte il sole era sorto e poi era tramontato oltre l’orizzonte di quelle terre da quando ser Æthelweard aveva lasciato Stratholme e la piccola corte di Lord Titus Rivendare. Eppure, cinque giorni non erano bastati al giovane cavaliere per scrollarsi di dosso l’imbarazzo che provava ogni volta che guardava la sua compagna di viaggio. Una settimana prima, il giorno dopo il banchetto di celebrazione degli eroi dell’Alleanza, Æthel aveva posto la sua spada ai piedi di lord Rivendare, giurando fedeltà al Signore di Stratholme.

‘Essere una spada giurata ha i suoi vantaggi’, aveva pensato. ‘Posso servire l’Alleanza stando alla corte di lord Titus. E poi avrò sempre un pasto caldo ed un tetto sotto cui dormire. Senza dover per forza mangiare quel manzo salato duro come il legno o dormire sotto un albero o peggio ancora spendere del conio per una locanda.’

Lord Rivendare lo aveva poi convocato la sera stessa per affidargli il suo primo compito.
“Ho un compito da affidarti, mio buon ser”, aveva esordito il signorotto. Æthelweard l’aveva trovato con una comoda veste color blu notte, il mantello bianco tenuto fermo da una spilla d’argento a forma di testa di cavallo, i lunghi capelli neri a scendergli oltre le spalle. “In quanto mia spada giurata è mio compito affidarti questioni che richiedono la massima lealtà. E non dubito che tu, ser Æthelweard, ne sia sprovvisto.” Prese una coppa e se la riempì di vino.
“Voi mi lunsigate mio lord”, rispose Æthel, chinando il capo. Lord Titus si sedette sul scranno, agitando il vino all’interno della coppa, prima di berne un sorso.
“Non mi fido molto dei Barov. Voglio che vai nella loro isola-fortezza di Caer Darrow e dai un’occhiata in giro. L’Alleanza ha già avuto dei traditori. Non vogliamo altri Perenolde tra noi.”

‘I Barov traditori? E per cosa? Gli Orchi sono sconfitti, che motivo avrebbero di tradire?’

Ma chi era lui per mettere in discussioni gli ordini di un lord? Un ragazzotto che andava girando per le terre dei Sette Regni sognando di essere un paladino. Non molto per mettersi a discutere con il lord di Stratholme. Piegò il ginocchio.

“Sono pronto, mio lord. Posso partire stasera stessa, farò del mio meglio per non deludervi. Da solo ci vorrà un po’ di tempo, ma…”

Lord Titus rise sonoramente, alzandosi dallo scranno. “Oh tu non sarai solo, ser Æthelweard. Per quanto mia spada giurata, sei pur sempre un ragazzo!”

‘Un ragazzo? Io sono un uomo fatto.’

“I nostri amici di Quel’thalas mi hanno generosamente offerto il loro aiuto ed uno di loro verrà con te.”

Di colpo, Æthel perse tutto l’entusiasmo per la sua prima missione. Non aveva un bel rapporto con gli Alti Elfi. Li trovava boriosi, inutilmente arroganti, fastidiosamente narcisisti.

“Mio lord, chiedo perdono, ma sono sicuro di potermela cavare da solo. Vi giuro, che la Luce mi sia testimone, che porterò a termine il mio compito. Non voglio maghi o spadaccini a…”

“Ma io non sono un mago o uno spadaccino”. Una voce femminile riempì la sala. Era musicale, come tutte le voci elfiche, ma aveva un qualcosa di strano alle orecchie di Æthelweard. Era una voce determinata, maliziosa, sicura. Æthel avrebbe detto che fosse come seta sull’acciaio. Il giovane si voltò verso la grande porta d’ingresso.
“Una mia freccia potrebbe raderti quei quattro peli che hai sul mento, ragazzo.”

Ser Æthelweard vide avvicinarsi un’elfa, un po’ più bassa di lui.

‘No… non lei..’

Indossava delle brache nere, con piccoli lacci ai lati, molto aderenti a gambe slanciate e toniche. Più in alto, la ragazza portava una camicia di seta di un blu acceso, legata sotto il seno, a lasciarle il ventre scoperto. La sua pelle era liscia.

‘Sarà liscia dappertutto…’

I capelli, neri come la notte, erano raccolti in una treccia.

“Rhenya Blackfire ti accompagnerà.” L’elfa intanto si era accostata a ser Æthelweard, chinando il capo in segno di saluto a Lord Rivendare. “È una delle arciere più talentuose di Quel’thalas. Sono sicuro che insieme, riuscirete nel compito affidatovi.”

‘Perchè proprio lei? Sarebbe quasi stato meglio uno di quei stupidi maghi…’

“Lady Rhenya, per me è un onore essere…”

“Perché mi chiami lady? Io non sono una lady. Le lady stanno in un castello a fare figli ed accendere i camini per i loro mariti. Ti sembro una di loro?”

“N-no, non volevo dire questo…” Poche volte Æthel si era trovato in difficoltà come quella sera. Rhenya Blackfire incuteva timore in un certo senso, eppure era innegabile il suo fascino.

‘Rhenya la Troppo-Bella. Vuoi che ti chiamo così?’

I suoi occhi color nocciola lo stavano fissando. “Partirete domani mattina”, concluse lord Titus. “Ora tornante ai vostri alloggi. La strada verso Caer Darrow sarà lunga.”

‘Dopo stasera sarà ancora più lunga…’ aveva pensato ser Æthelweard mentre usciva.

Il giorno dopo, come da programma, erano partiti, ognuno in sella al suo cavallo. Æthel aveva indossato la sua armatura nuova, rimanendo sorpreso di quanto Bennis il fabbro avesse fatto un buon lavoro.
‘Devo ringraziarlo di nuovo al mio ritorno,” pensò.
Rhenya Blackfire invece indossava un farsetto rosso e delle brache bianche. Ai piedi calzava degli stivali. A tracolla l’immancabile arco e la faretra piena di frecce. Ben presto, Stratholme sparì alle loro spalle, lasciando il posto a verdi prati, alberi rigogliosi e qualche torrente qua e là.

Dentro l’armatura, ser Æthelweard si stava cuocendo. Il caldo non voleva lasciare la sua presa su Lordaeron, ed il sole ruggiva più che mai quel giorno.

Caldo che non sembrava affatto soffrire Rhenya. ‘Ma lei non porta mica l’armatura’

“Questi abiti ti donano. Devono essere comodi per combattere”, aveva detto con uno slancio di audacia Æthel. Ogni volta che doveva parlare con la sua compagna di viaggio, si sentiva stranamente turbato. Rhenya increspò le labbra.

“Ti ringrazio, ser, ma sai, non è che abbia molta scelta”, aveva risposto sarcastica l’elfa. “Se avessi addosso quella latta che hai tu, sarei già morta da un pezzo. Sono leggera come la morte che le mie frecce dispensano.”

“L’armatura fa parte di un cavaliere, è come la sua seconda pelle. Se la tua morte è leggera, la mia è pesante, Rhenya”.

“Lo credo, senza quella non dureresti mezzo secondo. Tutti uguali voi cavalieri. Scommetto che senza la tua preziosa armatura non riusciresti a fare un passo, non che con essa mia aspetti risultati diversi… Le mie frecce vi ridurrebbero in poltiglia.” Rhenya Blackfire rise, toccandosi con una mano la treccia.

Successe la sera del quarto giorno. Si erano fermati alla taverna di Andorhal, in quella che doveva essere l’ultima notte prima d’imbarcarsi per Caer Darrow. Æthel voleva riposarsi per prepararsi al meglio per la giornata successiva. Non poteva certo deludere Lord Rivendare, il suo signore. Ma le cose non andarono come sperava.
Fu una notte agitata.
Æthelweard si girò e rigirò sul suo ruvido giaciglio, scivolando in un sonno inquieto solo per risvegliarsi all’improvviso nell’oscurità. Non vedeva l’ora che il sole sorgesse nuovamente. Solo che il mattino sembrava ancora all’altro capo del mondo. La testa di ser Æthel era piena di battaglie, armi da guerra, maghi del Kirin Tor, lord che parlavano nel buio, di paladini del Silver Hand. E c’era anche lei, Rhenya Blackfire, una delle più talentuose arciere di Quel’Thalas, come aveva detto lord Rivendare. Æthelweard vedeva il viso delicato dell’elfa, la sua espressione maliziosa, le sue braccia snelle, la sua lunga treccia corvina, la sua pelle liscia.

‘Deve essere liscia dappertutto…’

Tutto questo lo fece sentire colpevole. Non doveva sognare lei, no. Non la conosceva nemmeno. E poi era un’elfa! Lui doveva sognare del grande paladino che sarebbe diventato, di tutta la gloria che avrebbe portato all’Alleanza, non di una con la treccia. Ma sarebbe davvero diventato quel paladino che voleva essere? E che ne sapeva lui? D’altronde era ancora un ragazzotto che i paladini li aveva solo visti da lontano. E anche solo pensare a Rhenya Blackfire ne era la riprova.
‘Non essere scemo. Non fa per te. Lascia perdere.’
Alla fine, sonnecchiando, ser Æthelweard sognò. Correva attraverso la radura di uno dei boschi di Lordaeron. Correva verso Rhenya, e lei gli stava lanciando frecce contro. Ogni singola freccia colpiva il bersaglio, conficcandosi nel suo petto, eppure il dolore era stranamente dolce. Æthel avrebbe dovuto girarsi e scappare, invece continuava a correre verso di lei, a correre con la lentezza dei sogni, come se l’aria stessa si fosse tramutata nel più dolce miele di Lordaeron. Un’altra freccia lo colpì, e un’altra ancora. Era come se la faretra di Rhenya contenesse infinite frecce. I suoi occhi del colore delle nocciole e pieni di malizia.

“Questi abiti ti donano. Devono essere comodi per combattere.” voleva dirle. Solo che Rhenya non indossava nessun abito. I suoi piccoli seni erano sodi, stavano su, integerrimi, sfidando la forza di gravità, i suoi capezzoli erano rossi e duri come piccole more. E quando Æthelweard finalmente arrivò a caracollare ai suoi piedi, le frecce lo facevano sembrare come una
specie di grosso porcospino. Eppure, lui riuscì a trovare la forza di afferrarle la treccia. Uno strappo deciso e riuscì a trascinare l’arciera sopra di sé, per poi baciarla. Voleva toccare la sua pelle.
‘Sarà liscia dappertutto…’

Un bussare frenetico alla sua porta lo aveva riportato alla realtà. “Svegliati ser sonno! Dobbiamo metterci in marcia o perderemo l’imbarco!” Æthel si era svegliato di soprassalto, sedendosi e stropicciandosi gli occhi.
‘La preferivo nel sogno…’ aveva pensato.

Da quel momento, ogni volta che aveva guardato Rhenya Blackfire si era sentito in imbarazzo. E come se ciò non bastasse, arrivarono alla riva del Lago Darrowmere quando il sole era già tramontato. Al molo, incontrarono un uomo tozzo, con pochi capelli in testa e dalle vesti modeste. Reggeva una lanterna in una mano.

“Quando arriva il prossimo traghetto, buon uomo?” chiese Æthel. “Dobbiamo aspettare molto? Siamo di fretta”, rincarò Rhenya. L’uomo li guardò di traverso. “Dove è finita la cortesia? Voi cavalieri volete tutto e subito! Io lavoro da tutto il giorno, sapete? Un po’ di rispetto per chi cerca di guadagnarsi il pane onestamente”

Æthelweard sentì lo sguardo di Rhenya su di sé, poi l’elfa parlò. “Parla, se non vuoi che ti ficchi una freccia nel collo. Così potrai continuare a guadagnarti il tuo pane.” Il giovane cavaliere la fulminò, ma le parole dell’arciera sortirono l’effetto sperato.

“Non c’è bisogno di arrabbiarsi, mia signora”, disse l’uomo, d’un tratto meno spavaldo. “Purtroppo non sarà possibile traghettare a Caer Darrow fino domani mattina, l’ultimo è partito poco fa.” Affrettò il passo e se ne andò.

Rhenya portò il suo cavallo davanti a quello di Æthelweard. “Cosa vuoi fare, ser?”

‘Cosa voglio fare? Cosa vuoi che faccia?’

“Aspetteremo qui, che domande. Ho un compito, ed intendo portarlo a termine. Per l’onore mio e del mio lord.”

“Ah, quindi dovremo dormire insieme?”

Ser Æthelweard si sentì avvampare. “N-non volevo dire questo, c’è molto campo qui… c’è posto per entrambi.”

“Sei proprio un tonto, ser.”

‘Un tonto, dice lei…’

“E se venissimo attaccati? Che facciamo, ci chiamiamo a distanza?”

‘Effettivamente..’

“Tu cosa suggerisci?”

Rhenya Blackfire si guardò intorno. “Accampiamoci lì, vicino a quel grande albero.” Indicò una grossa quercia. “Dormiremo ognuno su un lato dell’albero.”

“Bene, mi sembra un’ottima idea… Andiamo allora.”

Arrivati, legarono i cavalli ed accesero il fuoco. Æthelweard decise di togliersi l’armatura, non ne poteva più. La appoggiò alla quercia con la massima attenzione. Anche la notte era calda, non si muoveva un filo d’erba quella sera. Arrostirono della selvaggina che avevano comprato ad Andorhal, dopodiché, Æthel si stiracchiò. Si sentiva davvero stanco.

“Bene, meglio andare a dormire. Non vorrei che domani perdessimo il traghetto. Dobbiamo prendere il primo del giorno. Da che parte vuoi…”

Ma la risata di Rhenya lo fece voltare verso l’elfa. La ragazza era scattata in piedi. “Vai a dormire tu se vuoi, ser sonno.” Stava armeggiando con il farsetto.

‘Si sta spogliando?’

“Ma che fai?” chiese sbigottito Æthel.

“Siamo a cavallo da giorni. Qua abbiamo un lago. Vuoi che non mi faccia un bagno?”

“Ma ti sembra il momento?” Æthel non si era mosso di un millimetro, ma sentiva il corpo invaso dal calore.

Rhenya lo guardò con aria canzonatoria. “Oh, il nostro prode cavaliere ha paura che qualche moscerino lo attacchi? O forse non ha mai visto una donna?” Si toccò la treccia.

Ser Æthelweard scattò in piedi. “Certo che ho visto una donna, ed anche più di una, se vuoi saperlo!” ruggì. Rhenya intanto si era sbottonata il farsetto e slacciate le brache. Rise.

“Bravo, bravo, ora però voltati. Non ho sicuramente voglia di farmi vedere da te, ser sonno.” Æthel obbedì… ma la sua armatura illuminata dal fuoco rifletteva quello che succedeva alle sue spalle.

Rhenya si tolse il farsetto e la camicia bianca che aveva sotto di esso. I suoi seni erano proprio come Æthelweard li aveva sognati.

‘Forse ancora più belli’. Immaginò di baciarli.

Poi si sedette e si tolse gli stivali, seguiti dalle brache. Pochi secondi, e Rhenya Blackfire era nuda. Æthelweard deglutì. Non c’erano punti scuri in quel corpo.

‘Deve essere liscia dappertutto…’

In quel momento, ringraziò di non star guardando l’elfa, o Rhenya si sarebbe accorta della sua erezione e probabilmente l’avrebbe deriso.

‘Sicuramente lo farebbe’

Rhenya corse poi verso l’acqua e poco istanti dopo il giovane cavaliere sentì il rumore prodotto dal suo tuffo. Solo in quel momento Æthelweard si voltò.

“L’acqua è davvero calda!” gridò l’arciera. Æthel vedeva solo la sua testa. Stava ridendo. Si sedette di nuovo, cercando di mettersi a dormire. Non doveva pensare a lei, no. Chiuse gli occhi… ma il sonno non arrivò. Sentì ancora la parte basse del suo ventre premere contro le sue brache. Rhenya tornò quando il fuoco si era già spento. Æthelweard era con la schiena contro il tronco della quercia. Provò a sporgersi un po’, sperando che l’elfa non stesse guardando in quella direzione. Fu fortunato. Si stava rimettendo le brache, era piegata verso l’altra parte. Un’alta vampata di desiderio. Æthel distolse subito lo sguardo. Forzò il suo corpo ad addormentarsi.

Riuscirono a prendere il traghetto ed arrivare a Caer Darrow il mattino seguente. L’uomo della sera prima li guardò nuovamente di traverso quando furono i primi a salire.

Tuttavia, sull’isola-fortezza tutto sembrava strano. Non c’era anima viva. Caer Darrow sembrava abbandonata. Presso la tenuta dei Barov, trovarono un pezzo di terra… annerito.

“Ma che diavolo è successo qui?” esclamò Rhenya. Vicino a quella terra che sembrava morta c’erano dei sacchi di grano. Vuoti.

Ser Æthelweard pensò. ‘I sospetti di Lord Rivendare erano fondati? Ma dove sono potuti andare i Barov? L’Alleanza non ha nemici…’

Cercarono ovunque. Nelle piccolo villaggio, nelle stalle.. persino la fortezza sembrava abbandonata. Solo altri pezzi di terra morta e sacche di grano vuote.

“Dobbiamo tornare a Stratholme. Devo avvertire Lord Titus di tutto questo…”

Rhenya Blackfire annuì. “Presto, andiamo via da…” Le sue parole furono interrotte da un’improvvisa folata di vento gelido, da congelare le ossa. Dalla porta principale della fortezza emerse una creatura macabra. La sua pelle cadeva dalle sue ossa, non aveva occhi nelle orbite.

I due compagni si misero subito in guardia. Æthelweard estratte la spada, Rhenya prese mano all’arco ed incoccò subito una freccia.

“Chi sei? Dov’è Lord Barov?” intimò Æthel. La creatura non rispose, emettendo solo dei versi gutturali. Solo allora il cavaliere notò che impugnava una vecchia lama arrugginita. Si scagliò selvaggiamente su di lui, ma Æthelweard si fece trovare pronto. Schivò l’attacco e poi colpì al lato della creatura. Il fendente squarciò la carne molle del non-morto e liquido verde fuoriuscì dalla ferita. Rhenya intanto scagliò una freccia al suo petto. Il non-morto emise un altro verso ma non si fermò. Æthelweard parò i suoi colpi, prima in alto, poi in basso, poi ancora in alto, mentre la creatura lo incalzava. Rhenya era pronta a scoccare un’altra freccia ma un altro non morto sorse alle sue spalle e l’attaccò, bloccandola. L’elfa urlò, cercò di divincolarsi, ma la stretta del cadavere vivente era ferrea. Ser Æthelweard era ancora alle prese con l’altro non-morto, ma l’attacco all’arciera lo fece infuriare. Roteo la lama sopra la testa e con un fendente staccò di netto la testa del non morto dal suo collo. Questo crollò a terra e dopo alcuni spasmi smise di muoversi. Æthelweard si precipitò da Rhenya ed infilzò alla schiena il non morto che la teneva ferma, girando la lama all’interno del suo corpo. Sentì le ossa della creatura frantumarsi.

“Hai visto?” disse una volta che anche il secondo non-morto smise di muoversi. “Hai perso la scommessa, sono durato più di mezzo secondo…”

Rhenya abbozzò un sorriso stanco. “Hai ragione, ho perso… cosa devo pagare come pegno?”

Æthelweard la cinse con un braccio e la strinse a sé. La sua pelle era liscia.

‘Sarà liscia dappertutto..’

La baciò con trasporto. Rhenya gli passò un braccio intorno alla vita, l’altra mano salì fino alla sua nuca. Il giovane cavaliere imparò più con quel bacio che con tutti quelli che aveva dato fino a quel momento. “So esattamente cosa voglio da te, Rhenya Blackfire.”

Il viaggio di ritorno fu veloce. Cavalcarono verso Stratholme giorno e notte, facendo poche soste. A metà strada, si salutarono. Rhenya intendeva fare rapporto a Silvermoon.

“Quello che abbiamo visto a Caer Darrow è sicuramente di natura magica. Devo informare i miei superiori” aveva detto.

Arrivato, una grande folla era davanti alla tenuta di Lord Rivendare. Quello che sembrava un paladino, stava cercando di tranquillizzare le persone. Æthel fermò un passante.

“Ehi, che succede?”

“Lord Rivendare! È sparito! Dicono che abbia tradito l’Alleanza!” il ragazzo si liberò dalla presa con uno strattone.

‘Tradito? Ho servito un traditore?’

Sconsolato, si diresse alla taverna. Si buttò nel letto. Era stanchissimo. Guardò fuori dalla finestra. La folla si stava disperdendo. Poi tornò a sedersi. Dalla sua borsa da viaggio tirò fuori il suo trofeo.

“Non ho più un lord da servire. Ma almeno ho questa. Il mio primo trofeo…”

Fissò la treccia corvina di Rhenya Blackfire.

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