The Mirror

di turnersgroupie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Siamo felici di invitarvi al nostro matrimonio” recita la prima riga in un elegante corsivo nero che risalta sulla carta lucida madreperlata tra le mani di Dalia. Il sorriso che si fa spazio sul suo volto è luminoso quando legge, appena sotto, i nomi di due dei suoi amici più cari. 

Elettrizzata, saltella vivacemente fino al divano, salendoci a gattoni e avanzando fino alla parte opposta, occupata dal marito impegnato in una delle sue solite letture solitarie. Odia disturbarlo in quei momenti, quando la ricerca di idee e ispirazione si fa fitta e intensa tra le righe di un libro comprato tempo fa ma che ancora profuma di nuovo. L'odore della stampa che sprigionano le pagine mai sfogliate dei libri è uno di quei pochi che Dalia trova rassicuranti, forse è entrato a far parte di questa categoria solo quando Alex e le sue sessioni di lettura profonde sono piombati nella sua vita come un fulmine a ciel sereno. Prima Dalia nemmeno li apprezzava tanto, i libri. Leggere le piaceva, ma non era un'attività che prediligeva, non al posto di un concerto privato nel salone del suo piccolo appartamento di Londra. È stata proprio questa sottile ma enorme distanza nelle passioni che ha fatto avvicinare Dalia e Alex. Lui abituato al silenzio di un buon romanzo psicologico, lei alla confusione di un vinile rockeggiante.

Quando Dalia si è trasferita da Alex durante i primi mesi della loro relazione, i due hanno combattuto a lungo prima di trovare un compromesso. Non riusciva a non alzare il volume della radio quando partiva la sua canzone preferita, disturbando così l’angolo di pace in cui Alex si era rintanato, sempre su quel posto, sempre su quel divano. 

Alexander è un insegnante, leggere fa parte del suo lavoro tanto quanto della sua passione più grande: la scrittura. Non da molto è uscito il suo primo libro, sotto lo pseudonimo di ‘Acton Tey’. «Non voglio che i miei studenti lo sappiano», si è giustificato. Lesbian Wednesdays fatica a farsi spazio nella conoscenza letteraria dei critici odierni, ma Dalia è fiduciosa, forse anche più di Alex. Perché Dalia quel libro lo ha letto, dopo anni che non si dedicava alla lettura, lo ha divorato in soli due giorni. Non perché sia breve o semplice, anzi. Una lettura basata sull’introspezione di un personaggio incapace lui stesso di decifrarsi non è facile. Ma Dalia ha sempre cercato di capire meglio la testa di Alex, l’ha sempre affascinata quel luogo misterioso, enigmatico e lontano, troppo lontano dalla sua concezione delle cose. Quale modo migliore se non un libro, intessuto accuratamente da fili preziosi di parole e concetti provenienti dalle parti più oscure della sua mente?

 

«Thomas e Grace si sposano» azzarda la rossa, poggiando la testa sulla sua spalla. Lo dice piano, ancora incerta se rompere o no la concentrazione di suo marito, quasi spera non l’abbia sentita. 

Alex non si scompone, i suoi occhi continuano a scorrere sulla pagina del libro davanti al suo naso, lo sguardo tipico di chi sta leggendo senza capire davvero le parole. Chissà dove stia viaggiando ora la sua mente. 

 

«Guarda» continua Dalia, tirandosi su e piazzando sotto il suo naso la carta decorata. Il particolare colore di essa le rimanda alla mente un ricordo piacevole che la fa istintivamente sorridere, vuole farlo notare a colui che l’ha vissuto con lei.

 

«È una bellissima notizia» un sorriso accennato, il libro poggiato ancora aperto sulle cosce distese. Non ha davvero guardato il biglietto, gli sono bastate le parole della compagna per poterle dare un contentino.

 

«Cosa ti ricorda?» Dalia non si scoraggia per l’impassibile reazione del ragazzo, sa che è una conseguenza dell’interruzione di un flusso di coscienza e se ne dispiace, ma sa anche come recuperare il suo umore. 

A questa domanda Alex abbassa il viso sul biglietto, lo prendere tra le mani e legge e rilegge distrattamente la frase in corsivo. Non gli ricorda nulla se non altre mille partecipazioni dello stesso tipo, nella stessa forma e con gli stessi colori che ha ricevuto nella posta nel corso della sua esistenza. 

 

«La carta» riprende allora la ragazza, recuperando il biglietto dalle mani del moro e portandolo davanti ai suoi occhi, così vicino da poter carpire ogni brillante dettaglio della carta utilizzata. La sua euforia, piano piano, si spegne. «È come quella dei nostri»

 

Dalia ricorda perfettamente quel giorno: il matrimonio era ancora lontano, ma non abbastanza da non preoccuparsene in quel momento, mesi prima della data prefissata. Dopo la colazione e qualche bacio, la coppia si era accertata di aver prenotato il luogo della cerimonia e quello del ricevimento prima di recarsi in una tipografia che gli era stata consigliata. La tensione scorreva tra i due come corrente elettrica, pizzicava i sensi e i nervi facendo scattare qualche risolino anche nei contesti meno appropriati. Avevano sognato quel momento per troppo tempo ormai, e vederlo materializzarsi tra le loro mani ogni volta che ne perfezionavano un dettaglio era emozionante e soddisfacente. Era una favola. 

Ma le favole, nella vita vera, non sono destinate a durare. Nulla è perfetto dall’altra parte del libro. 

 

«È vero» la voce del moro riporta Dalia alla realtà, asciutta e drenata da un ricordo che quasi non sente più suo, che guarda da spettatrice nell’angolo più buio della sua testa come se fosse un film. Ma è ancora il film più bello che abbia mai visto, ancora ne sente gli odori e le sensazioni, ancora ne sente il brivido e il peso su quella schiena che ha sostenuto anni di lotte e di fatica, ma che ora sembra indebolirsi ogni giorno di più. 

 

Rivolge un sorriso al moro prima di alzarsi dal divano frettolosamente. Sente l’urgenza di piangere, il naso le pizzica e gli occhi si stanno appannando mentre si rifugia in bagno, serra la porta. 

Non capisce cosa ci sia di sbagliato in lei, in lui, in quella casa che sembra fredda nonostante le temperature estive di una Londra soleggiata e generosa. Quest’anno il tempo è sereno, non piove da settimane e la gente brulica in ogni strada, rendendo vive quelle vie dal retrogusto autunnale. E lei è lì, seduta a terra contro la porta, a farsi una malattia di un qualcosa di più grande di lei che non può gestire, non può nemmeno capire. 

Quegli episodi di tristezza e disperazione a cui prima era abituata la attaccano alle spalle dopo tanto tempo, inghiottendola in un vortice incomprensibile di paranoie e di terrore. 

“È questo il problema,” pensa. “La causa di tutto sono io”. 

Come quando faceva scena muta davanti ai professori, come quando si guardava allo specchio dopo settimane di digiuno. Come quando perdeva la lucidità e si rintanava nelle perversioni più mondane e dopo ne pagava le conseguenze. Ora ne sta pagando le conseguenze. 

 

Si tira su con fatica, sente il corpo di carta, pronto ad esser spazzato via dal primo pensiero estraneo e irriverente come una raffica di vento. Apre l’acqua, la osserva crescere di livello sul bordo chiaro della vasca.

Impaziente picchietta un dito contro il bordo e, insolente e quasi maleducato, l’anello d’oro che segna l’inizio e la fine di tutto appare nel suo campo visivo. Con veemenza cerca di sfilarlo, lo tira contro la porta chiusa come a liberarsi di un peso. Ma il peso è ancora lì, nel suo stomaco, mentre si siede nell’acqua gelida della vasca che le gonfia i vestiti e glieli appiccica addosso. E colui che una volta il peso riusciva a dissolverlo con un bacio, stavolta non si accorge di come, a pochi metri di distanza, quello che una volta riteneva il suo libro preferito si stia disintegrando sotto le gocce di una pioggia arida.

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Capitolo 2
*** II ***


È quasi mezzogiorno. La luce di un sole troppo pallido per scaldare la pelle entra irriverente tra i fori delle persiane, illuminando in fasce il letto matrimoniale. Questo letto, Dalia, lo percepisce chilometrico. Oggi ancora più di ieri mentre, in dormiveglia, allunga una mano verso la sua parte destra e tasta delusa il materasso vuoto e freddo. Ovviamente, Alex non c'è.

Mugola rassegnata, le sue labbra sono secche e fanno male al minimo movimento, ripensa a quando c'era lui a bagnarle con l'amore rovente di chi ha passato ore ed ore a digiuno e ora necessita di saziarsi. Si chiede quando sia stato l'ultimo bacio così, non lo ricorda nemmeno.

La testa pesa quando la rossa si tira su restando sui gomiti, i residui di una serata come tante altre, con le solite persone, le solite chiacchiere, i soliti passatempi. Dalia, ieri sera, ha cercato di colmare il vuoto che sente dentro con qualche bicchiere in più: errore madornale. Avrebbe dovuto imparare la lezione tutte quelle volte che ha buttato giù bicchieri roventi non più delle lacrime che nel frattempo le solcavano il volto, sperando in qualcosa che forse non sapeva nemmeno decifrare in quella nube che le ovattava i pensieri. Avrebbe dovuto farlo perché si ritrovava poi accovacciata a terra, atterrita dal peso del mondo intero, delle sue scelte già sbagliate e di quelle che avrebbe sbagliato in futuro, senza una vera via d'uscita da quel malessere cronico che penetrava fin dentro le ossa ammollendole. Lo stesso metodo non cambia il risultato.

Cade nuovamente giù contro il materasso, coprendosi fino al naso con il lenzuolo indaco che non ha più un odore vivace, non come quella mattina di settembre quando l'amore era viscoso e li teneva saldi l'uno all'altra. Quella mattina Alex le aveva confessato la cosa che più lo aveva tormentato negli ultimi tempi: «voglio scrivere un libro». La sua mano sfiorava il braccio della compagna che teneva stretta al petto, solleticandolo appena con la punta delle dita in attesa con forte quanto nascosta bramosia di un riscontro. Dalia non aveva mai pensato al suo novello marito come qualcuno disposto a mettere nero su bianco le sue idee. Forse le sembrava un discorso troppo strano, la sua mente era davvero molto intricata. Eppure quella notizia la inebriò con la stessa intensità della sorpresa, strinse con necessità la mano che l'accarezzava: ne sentì il tremore, la paura, il peso di un progetto così grande. Lo sentì forte e debole allo stesso tempo, pronto ad intraprendere quell'avventura solo se avesse avuto un sostegno per farlo. E Dalia era lì per quello, glielo dimostrò con un bacio a fior di labbra mentre pensava che forse il destino li aveva voluti insieme per un motivo ben preciso. Le lenzuola in quel momento sapevano di tutto: di ammorbidente, del cielo di Londra, di lui, di lei, di loro. Ora coprono lo stesso letto e le stesse persone, sono lavate allo stesso modo e stese nello stesso posto, ma qualcosa è cambiato anche in esse.

Stanca di autocommiserarsi si fa forza e, dopo una breve preparazione mentale, indossa una vestaglia e si alza dal letto; lo specchio all'angolo segue i suoi movimenti fino alla porta. Raggiunge la cucina a passi lenti, quasi trascinandosi; dell'alcol di ieri è rimasta l'acidità insieme alla spossatezza che rende difficile il movimento di ogni arto mentre cerca distrattamente qualcosa nel frigo da addentare.

Non c'è niente, se non qualche tintinnante bottiglia di birra che non manca mai e a cui Dalia reagisce con un colpo di tosse, cercando di mandare giù il saporaccio di un'idea poco gradita. 

Appoggiatasi al bancone, incrocia le braccia facendo guizzare gli occhi da una parte all'altra: non lo ammette a se stessa ma sta cercando anche solo un dettaglio che le indichi che il marito è nelle vicinanze per poter tornare a respirare. Ad accogliere le sue preghiere, qualche attimo dopo, c'è l'entrata in stanza di Alex che, lentamente, si apposta a qualche centimetro dalla ragazza e afferra la maniglia del frigo. 

 

«Buongiorno», bofonchia soprappensiero mentre afferra il collo di una bottiglia di birra ghiacciata. Niente baci, niente carezze, nemmeno uno sguardo o un sorriso. 

 

«Non mi va di cucinare,» una fitta alla testa porta Dalia a fare una pausa di qualche secondo. Non ha il coraggio di alzare lo sguardo, non vuole incontrare quello vuoto di una persona che si fa sempre più sconosciuta, e di trovare in esso ulteriori conferme che potrebbero disintegrarle il cuore. «Pensavo di ordinare qualcosa».

 

«Ho già pranzato,» la risposta arriva fulminea, stavolta seguita da un sorriso e un bacio sulla guancia della rossa, dopo aver dedicato non troppe attenzioni al tappo della bottiglia. Anche l'abitudine del pranzo insieme è sfumata, non si sa come né quando. «Grazie lo stesso,» scompare nuovamente oltre la porta.

 

Dalia non risponde, è stranita. Per qualche attimo ha potuto nuovamente godere della folata di un vento estivo, seppur tempestoso. Il profumo di Alex le è sempre sembrato adatto a lui. Va oltre il semplice odore di tabacco e dopobarba, è qualcosa di più intenso e misterioso che potrebbe paragonare solo al sottobosco. Non ha niente a che vedere con le fragranze delle piante o dei frutti, è un'associazione di sensazioni: la tranquillità, la penombra, la freschezza. Si dice che solo una persona innamorata riesca a sentire l'odore caratteristico di qualcuno e Dalia ricorda perfettamente il momento in cui lo sentì per la prima volta: dopo un anno impegnativo, tra scuola e lavoro, il gruppo di amici di sempre si era riunito intorno al tavolo di un bar. Dalia aveva quindici anni, era la più piccola eppure la più scaltra, riusciva a intrufolarsi in qualsiasi situazione richiedesse la maggiore età senza troppo impegno. Era anche la più amata dal gruppo che la vedeva come una figlia; Matt —il migliore amico di Alex— di quattro anni più grande, si prendeva cura di lei, del suo benessere, persino del suo rendimento scolastico. A distanza di quasi vent'anni non è cambiato quasi nulla e Dalia si ritrova spesso a sorridere malinconica al ricordo di un'adolescenza passata che però, fortunatamente, ancora tende le sue mani pronta ad abbracciare chiunque ne senta la mancanza. 

Dunque era una serata estiva, la ragazzina combatteva col vento caldo di una Sheffield generosa e troppo secca che le scombinava i capelli, mentre dondolava le gambe nude e bianche dall'alto della sua posizione; Matt la teneva salda dal bacino, rendendole confortevole la sosta sulle sue ginocchia. C'erano tutti: Cindy, Jamie, Hannah e sua sorella Mia, Andy. Mancava solo Alex e la conversazione, da una manciata di minuti, era rivolta proprio verso questo particolare fin troppo evidente. Un chiacchiericcio scomposto, un tintinnare di bicchieri semi vuoti e lattine di birra economica, tutto all'improvviso, perlomeno a quel tavolo, si interruppe alla vista del moro, ciuffo insolente sul viso e Lacoste azzurra, che teneva stretta la presa sul fianco esile di una bionda, dei sorrisetti complici sul viso di entrambi. «Lei è Maggie,» aveva detto semplicemente, rivolgendosi a tutti i presenti prima di chinarsi a salutare, come da consueto, ognuno di loro. Il momento del bacio sulla guancia di Dalia fu travolto da una serie di impetuose sensazioni, forse da parte di entrambi, che portarono i due a muoversi troppo impacciatamente per portare quel semplice gesto a termine. Un sorriso imbarazzato, il venticello caldo che, solleticando la fronte del nuovo arrivato, trasportò tacitamente l'odore della sua pelle dritto nelle narici della rossa, aprendole una voragine nello stomaco. Era una voragine diversa da quelle a cui era abituata: non era fame, non era ansia. Era gelosia.

 

Ripensando a quella sera, Dalia sente ancora quella strana sensazione di un amore innocente che stava sbocciando noncurante dei timori e dei dolori che, conseguentemente, avrebbe causato, semplicemente non destinato ad essere. 

Sola, decide di saltare il pasto, ormai lo stomaco si è fatto troppo piccolo per poter ospitare anche la minima briciola di cibo. Si chiede quanto ancora il suo corpo riuscirà a resistere senza un'alimentazione adeguata e se vale davvero la pena soffrire così tanto per qualcosa che non va e basta. Dovrebbe parlargliene. Sì, dovrebbe davvero farlo.

Raccoglie coraggio anche nei posti dove non pensava di poterlo trovare, stringe i pugni per qualche attimo solo per darsi la spinta di aprire bocca e azzardare a parlare. 

 

«Alex, dovremmo parlare,» la voce esce più sicura di quanto immaginava, rivolta verso un'immagine non formatasi davanti ai suoi occhi in quanto ancora rivolti verso il basso. Non appena alza lo sguardo, l'amore della sua vita si materializza in contrasto col divano chiaro in tutta la sua dolorosissima presenza. 

Alex, nel sentire quelle parole, si scuote. Chiude cautamente il libro dalla copertina rigida e colorata, lo posa al suo fianco. 

 

«Vorrei portarti a cena stasera,» dice. Forse per volontà di un riavvicinamento, forse per puro e mero timore.

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Capitolo 3
*** III ***


Con le mani tra i capelli per cercare di sistemarli un po' prima di uscire, Dalia trova lo specchio complice di un'altra abitudine sfumata. Sente il mal di testa martellarle sulle tempie, come a ricordarle della serata passata a indossare la solita maschera: non riesce più ad essere se stessa nemmeno con le amiche di una vita. 

Un po' di trucco nero le affossa gli occhi, cerca di eliminarlo o quantomeno sfumarlo con un pollice. Ieri sera era troppo stanca per potersi struccare, era a malapena riuscita a togliersi i tacchi ed il vestito; Alex era ancora sveglio, forse in terrazza, forse sul solito divano nel suo solito posto troppo immerso nella lettura per poter percepire qualsiasi rumore esterno. Non si era accorto del suo rientro e di conseguenza non l'aveva aiutata come era solito fare. Amava struccarla e aiutarla a mettersi a letto dopo quelle bravate, una volta. 

 

«Sono pronta, devo solo lavarmi il viso,» informa il marito a pochi metri da lei, impegnato a sistemarsi le maniche di una camicia bianca leggera. Troppi ricordi legati a quella camicia, Dalia ha già appurato che non saprà tenerli lontani dalla sua testa durante il corso della cena. 

 

 

Il ristorante è tranquillo, come previsto è poco affollato, in fondo è un mercoledì sera. Un cameriere elegante accompagna la coppia al tavolo prenotato, accogliendoli con modi gentili. Alex non ha perso la sua galanteria né la sua accortezza in determinate circostanze e lo dimostra spostando la sedia a Dalia per farla sedere, il suo stomaco fa una capriola. 

Non è sicura che riuscirà a mangiare: sente la caratteristica ansia che lei chiama 'felice', quella che parte dallo stomaco e piano piano prende tutto, riempiendoti di adrenalina tanto da farti tremare e ingarbugliare la lingua. Era un po' che non si sentiva così. Le prime uscite con Alex, tutte le prime volte sono state caratterizzate da questa sensazione che la faceva balbettare, ed Alex è sempre stato intenerito da questo dettaglio, facendola però sentire a suo agio in ogni situazione. 

 

«L'ansia felice?» dice Alex, segnando in questo modo l'apertura di una possibile conversazione. Dalia sorride: nonostante i cambiamenti nella loro relazione, il marito non ha perso l'abilità di leggerle nella mente. Ma lo sguardo fisso e quasi ripudiante puntato sul cestino del pane è un particolare inequivocabile per Alex, a cui ha assistito troppe volte da quando conosce la piccola ragazza rossa davanti a lui. «Ho notato che stai mangiando poco ultimamente».

 

Quelle parole, per qualche motivo incerto, colpiscono Dalia proprio dritto al cuore, tanto che deve nascondersi in un bicchiere d'acqua per riprendersi. Cosa deve fare ora? Dire tutto ciò che passa nella sua testa ammalata dalla tristezza? Dargli la colpa? O forse, più semplicemente, tacere.

Alex non si arrende, allunga una mano per poter toccare la sua, la accarezza dolcemente con la sua solita scrupolosità, quella di chi non vuole invadere gli spazi personali altrui e limita al minimo ogni contatto per farlo ma che, al contempo, è di quel contatto che ha dannatamente bisogno.

 

«Dalia, parlami» richiama la sua attenzione e, come un allarme, la ottiene istantaneamente. Dalia reagisce ancora come un tempo ad ogni stimolo che la raggiunge da parte del ragazzo; è diventata una cosa intrinseca alla sua persona e, anche senza volerlo, il suo corpo reagisce automaticamente. «Per favore».

 

La tenerezza nei suoi occhi scioglie la ragazza che prontamente viene assalita dai sensi di colpa. La sua testa e i suoi pensieri intrusivi hanno, ancora una volta, rovinato tutto ciò che di bello poteva avere. 

Proprio quando il coraggio la porta ad aprire bocca per poter parlare l'occasione viene meno: il cameriere approccia al tavolo e trova entrambi impreparati. 

 

Dopo aver cercato frettolosamente qualcosa di appetibile sul menù e aver scelto il primo piatto più familiare, l'attenzione di Alex torna nuovamente su Dalia che sente una scossa lungo la spina dorsale: non è più abituata ad avere i suoi occhi addosso per così tanto tempo e questo la imbarazza. Teme che possa riaprire la conversazione fortunatamente interrotta, questa paura le tamburella le tempie al ritmo del battito accelerato del suo cuore. 

 

«Il libro non va e gli esami mi stressano,» sembra un mare in tempesta, il capo chinato e una mano che va a sistemare qualche ciuffo ribelle di capelli. «Mi chiedo se ci sia un po' di paradiso sulla terra per un'anima miserabile come la mia». 

 

«Tempo al tempo,» è tutto ciò che Dalia riesce a dire, trattenendo nella gola un "Sono fiera di te, comunque vada", troppo pesante da poter tirare fuori, troppo spinoso da mandare giù. 

 

 

Il ritorno a casa è sbrigativo, come se ci fossero conti in sospeso da chiudere una volta per tutte. Dalia non capisce se sia per via del vino, di una connessione fisica risvegliatasi negli ultimi istanti della cena e del ritorno a casa o se sia un modo subdolo ma tremendamente umano di scappare dai problemi. 

Sa solo che si ritrova premuta contro la porta di casa, poi contro il muro dell'ingresso e infine, con l'accortezza di un marito vorace ma pur sempre premuroso, contro il materasso del loro nido d'amore. 

Quelle lenzuola che stamattina apparivano sbiadite sembrano aver preso colore tutto d'un tratto mentre si increspano ad ogni movimento e, soprattutto, tra le dita di una Dalia ansimante e, finalmente, felice. Almeno all'apparenza.

 

 

«Non ho dimenticato il discorso di prima, sai?» nonostante lo scrosciare dell'acqua, la voce di Alex arriva cristallina alle orecchie della rossa che, di spalle, si fa massaggiare la testa. 

 

«Lo so» risponde sommessa in un sospiro. Le carezze, la sua vicinanza, l'acqua calda e l'abitudine di quel gesto la tranquillizzano, ma quella conversazione ormai inevitabile riesce a scuoterla tanto da farla singhiozzare evidentemente. 

 

«Non ti agitare,» le labbra del moro si posano sul collo di Dalia, le sue mani ancora insaponate scendono fino al suo ventre, centro del discorso, stringendolo in un abbraccio rassicurante. «Non sono un nemico. Sono sempre io, Alex, quello a cui dicevi qualsiasi cosa. Non respingermi, Dalia. Non respingermi più».

 

Non riesce a sopportare quelle parole uscire dalla sua bocca. È stato lui a respingerla, a ignorarla, a dimenticarla. Lo fa da troppo tempo ormai.

“Non sostituirmi mai”, le diceva spesso; e ora era lei ad implorarlo al cielo ogni notte, tra la paura di esser rimpiazzata da un dannato libro e quella di esser diventata matta o troppo paranoica.

Gli occhi iniziano ad appannarsi, Dalia non sopporta più questa pressione. È furiosa, delusa, triste. Vorrebbe solo che tutto tornasse come prima, vorrebbe sentirsi a suo agio tra le braccia del marito, nella loro doccia, petto contro schiena. E invece, tutto quello che prova è inadeguatezza. Quasi si vergogna di quel corpo che Alex ha esplorato e adorato per l’ennesima volta giusto una mezz’ora prima. Sente che non dovrebbe più lasciarglielo toccare ed odia da morire anche queste sensazioni, questi pensieri intrusivi che rovinano gli unici momenti intimi e belli rimasti tra loro. 

 

In un attimo quell'abbraccio diventa oppressivo, i baci sulla sua spalla sono spine nella pelle e l'acqua che scorre è fuoco sul suo corpo. Ansima, è agitata: per la prima volta cerca concretamente rifugio dalla persona che rifugio era stata per anni. 

Con uno scatto si divincola dalla presa, si copre con un asciugamano e lascia la stanza sotto gli occhi increduli del marito che, amareggiato, inizia a fare i conti con l'atroce verità di un matrimonio già finito.

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