Darkraria, Regno di Ombre [INTERROTTA] di Mixxo (/viewuser.php?uid=405451)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La principessa e la veterana ***
Capitolo 2: *** La spia, la recluta, lo sfidante ***
Capitolo 3: *** Equilibri Precari ***
Capitolo 4: *** Il Riflesso ***
Capitolo 5: *** Bottino di Guerra ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***
Capitolo 1 *** La principessa e la veterana ***
Darkraria, Regno di Ombre
«Lady Sumire?»
Sumire aprì gli occhi, alzò la testa dalle braccia di
scatto. La sala del consiglio si presentava come sempre: buia, il
tavolaccio ovale al centro occupava la maggior parte della superficie,
a malapena c’era lo spazio sufficiente per spostare le sedie per
alzarsi. Opprimente.
Il servetto che l’aveva svegliata era giovane, le teneva una mano
tremante sulla spalla, gli occhi bassi per evitare il suo sguardo.
Tossicchiò e le rivolse una sfuggente occhiata.
Sumire si massaggiò le palpebre con la mano: “mi sono addormentata di nuovo qui.”
«P-perdonatemi per averla svegliata.» Il servetto
staccò la mano dalla sua spalla ritirandola contro il petto.
«M-ma i signori avranno bisogno della sala a breve.»
Sumire lo trovava tenero. Non sarebbe durato più di una settimana.
«Non importa. Grazie.»
Lo vide sussultare mentre si alzava. L’interazione massima che si
aspettava era una pedata probabilmente, una di quelle che i signori
davano loro per sfogare le frustrazioni lontano dagli occhi altrui.
Sumire lanciò un’occhiata ai documenti sulla quale si era addormentata. Li raccolse velocemente ed uscì.
Passare dalla sala del trono le gelava il sangue ogni volta. Lo sguardo
penetrante di suo zio si era spostato su di lei, lo sentiva sulla
pelle, abbassò lo sguardo. Yaroi era figura capace di incutere
timore solo guardandoti.
«Maestà...» Aumentò il passo per dirigersi
verso l’uscita dalla sala del trono e togliersi dalla sua vista
il prima possibile.
«Sumire.»
La ragazza s’irrigidì, si girò e si mise in ginocchio. «Avete ordini per me, mio signore?»
Il silenzio prese la stanza. Yaroi picchiettava le dita un paio di
volte sul bracciolo del trono, l’indice ed il medio, prima di
parlare.
«Hai raggiunto la maggiore età recentemente. E non hai ancora un marito»
Sumire strinse le mani sui documenti.
«Sarai bersaglio di ogni famiglia per entrare nella
discendenza.» Yaroi strinse il pugno. «Non voglio deboli in
famiglia, non osare farti sottomettere da qualche primogenito di una
famiglia di basso rango, o ti ucciderò con le mie stesse
mani.»
Sumire tremò, strinse le dita sulle carte. Era consapevole che
“l’incidente” dei genitori era stato l’attuale
sovrano a causarlo. Poteva credere alle sue minacce senza ulteriori
prove. Alzò lo sguardo. Gli occhi rossi di Yaroi erano iniettati
di sangue. Abbassò lo sguardo, deglutì e poi
annuì. «Certamente, maestà.»
Yaroi rilassò il pugno. «Ora va’, torna ai tuoi doveri di principessa.»
Prima che potesse cambiare idea, Sumire si alzò e corse via.
Si chiuse la porta alle spalle, si appoggiò al muro. Occhi
sbarrati, respiro irregolare, fronte imperlata di sudore. Si
lasciò scivolare a terra, le mani tremanti raggiunsero le sue
spalle stringedosi in un abbraccio. Si rannicchiò.
Calma. Calma.
«Lady Sumire?»
Sumire alzò la testa si scattò. Il servetto che
l’aveva svegliata nella sala riunioni era in piedi davanti a lei.
Aveva un espressione preoccupata, che lo fosse per lei?
«Vi sentite bene?»
Sumire richiuse gli occhi, regolarizzò il respiro. Sentì
il tremolio alle spalle cessare, il cuore smettere di battere rapido.
Si rialzò lentamente allentando la stretta sui documenti.
«Certamente.» Avvicinò la mano alla testa del
ragazzino, il quale la incassò tra le spalle e chiuse gli occhi,
gli diede una carezza. Lo sentì tremare sotto la sua mano.
«Qual è il tuo nome?»
Il ragazzino si tranquillizzò. «Tenya.»
Sumire lo guardò per qualche istante. I capelli marroni erano
scompigliati e sporchi, era asciutto in faccia, probabilmente gli
davano il minimo necessario per sopravvivere. «Vieni con me»
Appena il servo chiuse la porta, Sumire indicò con un cenno
della mano il vassoio con le pietanze che si era fatta portare nelle
stanze. «Mangia quanto vuoi» disse con un sorriso.
Tenya alternò lo sguardo tra la ragazza ed il cibo. Corse al vassoio.
Sumire lo osservò mangiare in tutta fretta, il ragazzino iniziò a tossire
«Non te lo porta via nessuno, fa con calma» disse versandogli dell’acqua in un bicchiere e porgendoglielo.
Tenya afferrò il bicchiere, e tirò giù in un sorso l’acqua, battendosi il petto.
«Da dove vieni?»
«Oltanis,» disse riprendendo a mangiare.
“L’ultimo luogo che abbiamo attaccato.” Pensò.
“Dev’essere diventato uno schiavo da poco.”
Sumire si rimise seduta. “Che sia rimasto da solo?”
Tenya alzò lo sguardo verso Sumire, le porse del pane. «Hai fame anche tu?»
Ne fu sorpresa. Allungò la mano e prese il pezzo di pane.
«Grazie.» Abbassò lo sguardo sul tozzo. “In
teoria dovrei spaventarle le persone...”
«Anche tu sei una schiava, in un certo senso, vero?»
Sumire alzò la testa con un mugolio confuso. Tenya sembrava serio, aveva smesso di mangiare.
«No sono una principessa in realtà.» Sumire sorrise.
«In teoria dovresti avere paura di me per la mia posizione
forse...» Si sentiva terribile a dire qualcosa del genere.
«M-ma tranquillo, io non sono come la gente di questo
posto.»
“Forse sono io ad essere sbagliata.”
Tenya scosse la testa. «Tu non fai paura, sei gentile.»
Sumire tremò, si portò una mano alla bocca per nascondere
il sorriso che le spuntò sul viso. Non aveva idea se per
contentezza o amarezza.
La porta venne aperta di colpo. Una delle guardie irruppe nella stanza facendo trasalire i due.
«Principessa mi perdoni il disturbo, ma si tratta di Darkeeper.»
Sumire si alzò di scatto. «...Kama?»
§§§
Una giovane stava sul letto d’ospedale. Capelli neri lunghi,
pelle molto chiara, occhi verdi spenti che in quel momento osservavano
le sue braccia, completamente ingessate.
«Davvero un peccato. La figlia dei Darkeeper era un esempio del soldato perfetto.»
«Che significa?»
«Il suo corpo ha risposto bene alle operazioni. Ma non riuscirà a muovere le braccia come prima.»
Sentiva i medici parlare con uno dei suoi compagni di missione nel
corridoio accanto alla sua stanza. Non avevano nemmeno provato a
spostarsi lontano per non farsi sentire. Meglio, non voleva che le
addolcissero la pillola.
Kama non riusciva più a sentirsi le braccia, forse i farmaci che
le avevano dato contro il dolore gliele avevano addormentate.
Provò a muoverle ma senza risultato, nemmeno una fitta
percepì per il tentativo.
Ricordava solo Il cavaliere in armatura che la caricava armato di
martello. La falce volata via dalle sue mani al primo colpo nemico, e
di aver messo le braccia a protezione del busto. Poi il colpo e da
lì buio totale.
“Dovrò fare solo da peso morto ora?”
La porta si aprì. Una donna in armatura, lunghi capelli neri ed occhi verdi entrò nella stanza.
«Madre...»
La donna fece un paio di passi, lenti, controllati. Lo sguardo rimaneva fisso sulle braccia ingessate di Kama.
«Sii consapevole del fatto che questo cambierà la tua
posizione.» Le mise una mano sulla spalla. «La tua carriera
militare è finita.»
Kama deglutì. «Cosa posso fare ora?»
Sua madre chiuse gli occhi, staccò la mano dalla sua spalla.
Scosse la testa. «Appena la notizia della tua condizione si
diffonderà perderai la tua reputazione. Probabilmente anche i
Kinzoku ritireranno la proposta di matrimonio. Dato che-»
«Dato che non potresti nemmeno essere usata per dare luce a nuove
generazioni.» La porta venne spalancata di colpo, una giovane con
un camice ed i capelli biondi raccolti in due code si avvicinò
con passo spedito, diede una mezza occhiata alla cartelletta che teneva
in mano. «Non ti senti un buco in pancia? Hihihi!»
Kama abbassò lo sguardo. Forse perché stordita da
farmaci, forse perché aveva notato prima le braccia, ma le fasce
insanguinate all’altezza del ventre non le aveva notate.
«Pricipessa Clare.» La madre di Kama fece un cenno con la
testa, ignorato dalla bionda che si sedette sul letto di Kama.
«Qualcuno ha pensato di finirti una volta a terra probabilmente,
peccato che avesse una mira terribile, avresti sofferto meno
forse.» Clare si sporse in avanti. «Cosa si prova ad essere
un fantoccio inutile? Hihihi!»
Kama strinse i denti. «Troverò un modo per aiutare la causa.»
Clare si mise un dito sulla guancia ed inclinò la testa.
«Mi chiedo cosa. Beh, potresti tenere alto il morale dei soldati,
hihihi!» Si alzò e si diresse verso la porta.
«Probabilmente è l’unica cosa che potrai fare,
hihihi.» Aggiunse prima di uscire.
Kama abbassò lo sguardo, sentiva lo sguardo di sua madre su di sé.
«Devo fare rapporto.»
Sumire proseguì a passo spedito verso la stanza che le era stata
indicata. Aveva ottenuto qualche informazione ascoltando chi incrociava
durante il tragitto. Kama era una dei migliori soldati di Darkraria,
sapere che era stata ridotta in quelle condizioni la spaventava come
spaventava i piani alti. Ma soprattutto sapeva che sarebbe stata
lasciata da parte perché diventata inutile.
Assorta nei suoi pensieri si sentì afferrare
all’improvviso, la sua schiena picchiò contro la parete.
Sentì i polsi bloccati da una stretta ferrea. Occhi gialli, un
sorriso inquietante.
«Oh oh. Qualcuno si sente in pericolo finalmente, hihihi!»
Sumire s’irrigidì. «Clare, lasciami.»
La bionda si staccò con una risata. «Ahhh, cara cugina,
dovresti iniziare a guardarti le spalle. Prima ti lasciavano stare
perché Kama ti proteggeva, ma ora...» Clare rise.
«Ora è messa così male che potrebbe doverti usare
come scudo. Uh...» Fece un paio di saltelli verso Sumire e si
sporse in avanti. «Forse così saresti davvero utile per
una volta. Hihihi»
Sumire strinse i denti, guardò andare via Clare.
“Ha ragione. Se non sono mai stata aggredita è anche
perché tutti temevano Kama e sapevano che mi era devota.”
Si voltò dalla parte opposta del corridoio. “Ora è lei che ha bisogno del mio aiuto.
Rimasta da sola Kama singhiozzò. Avrebbe voluto sentire il dolore delle ferite per essere sicura di essere ancora viva.
“Perdere tutto in un giorno. Non mi aspettavo che sarebbe
accaduto così. Avrei trovato qualcuno più forte di me sul
campo di battaglia e mi avrebbe uccisa. Una fine onorevole. E
invece...”
Strinse gli occhi, un altro singhiozzo.
«Kama...»
La ragazza alzò lo sguardo. «Lady Sumire...»
Sumire si avvicinò lentamente. Kama distolse lo sguardo. «Mi dispiace...»
Venne abbracciata. «Sei viva. Mi basta questo.»
«Viva...» ripeté con voce flebile.
Sumire annuì. «Prometto che troverò un modo per farti guarire.»
«I dottori diranno che non è possibile tornare come un tempo.»
Sumire si staccò dall’abbraccio in cerca dello sguardo di Kama «Troverò un modo.»
§§§
Kama sarebbe crollata se non avesse mandato via Sumire con la scusa del
riposo. “Come se potessi dormire sapendo di essere diventata un
peso per tutti.”
Si era stesa ed aveva chiuso gli occhi, riflettendo sulle
possibilità che aveva davanti. Non sarebbe potuta essere
un’ addestratrice efficiente se non era in grado di muovere le
braccia. E le sue condizioni non le consentivano lavori di precisione,
dunque nemmeno la manutenzione degli armamenti era da considerare. Da
scartare anche lo spionaggio, dove spesso una mano rapida faceva la
differenza.
“Che la nobile Clare abbia ragione? Che possa contribuire alla
causa solo usando il mio corpo per alzare il morale dei soldati?”
Riaprì gli occhi. Si abituò quasi subito al buio della
stanza. Appoggiato alla parete in fondo c’era una figura.
Occhi scarlatti, andatura barcollante, una spada dalla lama spessa,
rossa e leggermente ricurva. Mentre si avvicinava si grattò la
testa in maniera compulsiva.
«Dannazione, Kama.»
La ragazza mise a fuoco un ragazzo: abiti larghi, capelli neri corti
tranne che per un ciuffo che scendeva in mezzo agli occhi fino al naso.
«Così non c’è gusto...» Alzò la
spada, la puntò al petto di Kama «...che cazzo...»
Affondò con la lama.
Note di Mixxo:
Mi ero prefissato che se entro l'anniversario della mia iscrizione non
fossi riuscito a scrivere nulla avrei chiuso con EFP. A quanto pare
starò ancora per un po' su questo sito.
Questa sarà una storia breve, dedicata ai personaggi che ho
creato e che mi han spinto a scrivere, non penso di superare i cinque
capitoli, voglio solo dare un posto a questi personaggi, una loro
storia.
Sperando che vi piaccia, alla prossima.
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Capitolo 2 *** La spia, la recluta, lo sfidante ***
Darkraria, Regno di Ombre Cap2
Il grido di trionfo alla fine della battaglia. Toshi poteva
identificarsi come uno di quelli che permetteva che questo grido si
levasse in cielo. Dopo settimane di continui scontri anche
l’ultima divisione della Galactrix, forza di sicurezza
indipendente che aveva deciso di intralciare i piani di conquista
darkrariani, era stata distrutta. Abbassò la spada e la
rinfoderò, iniziando ad avanzare tra i cadaveri degli sconfitti.
Sterminio forse era un termine più corretto di battaglia.
Chariot aveva disattivato le difese della base dall’interno, poi
il sovrannumero aveva fatto il resto.
Toshi una volta aveva visto quel luogo dall’interno, come
prigioniero. Un caso sfortunato che l’aveva costretto ad
arrendersi per non far saltare la copertura di Chariot. Ora entrava in
quella struttura da conquistatore.
Girare per i corridoi in cerca di qualche altro superstite da catturare
era il momento rilassante delle azioni. Nel peggiore dei casi avrebbe
trovato qualcuno ferito troppo gravemente per combattere. Girò
l’angolo, incontrando una ragazza più bassa di lui.
Capelli castano spento, un taglio che attraversava uno dei due occhi
gialli.
«...Char», riconobbe la spia. «Peccato, mi aspettavo
di trovarti legata ad un tavolo con un laser che saliva per tagliarti
in due. Con chi faccio la figura eroica ora?»
Chariot inclinò la testa di lato fissando un punto non ben definito del pavimento.
«Crudele, davi per scontato che mi avrebbero scoperta.»
«Beh, non sei tua sorella in effetti.»
Chariot sferrò un calcio allo stinco di Toshi. Il ragazzo
tirò indietro la gamba dolorante, picchiò il ginocchio a
terra. Un sorriso soddisfatto si delineò sul volto della
ragazza. «Un cavaliere dovrebbe sempre inginocchiarsi ad una
gentil donzella.»
Toshi alzò le mani. «Me lo merito. Me lo merito.» La gamba fece qualche protesta mentre si rialzava.
In quel momento un paio di compagni di battaglia passarono accanto ai
due, tenendo per le braccia una ragazza. Pelle ambrata, capelli neri,
abito bianco e nero sporco di polvere.
«Toshi, Char...» salutò uno dei due.
Toshi rispose con un cenno e lo sguardo serio. Chariot aveva l’aria impaziente.
I tre proseguirono lasciando il soldato e la spia da soli.
«Ancora viva la stronza eh?»
Chariot girò i tacchi ed imboccò il corridoio.
“Ugh. Doveva essere una battuta per rilassarsi.” Toshi
guardò la ragazza allontanarsi con passo spedito. «Ehi,
aspetta!»
Era un po’ acciaccato, al contrario Chariot era in grado di
percorrere velocemente quei corridoi; si vedeva che era stata per molto
tempo in quel luogo. Grazie al suono dei passi, Toshi riuscì a
inseguirla.
L’aveva sempre trovata coraggiosa. Per infiltrarsi nella
Galactrix aveva dovuto tagliare temporaneamente i contatti con i
familiari. E quando dovette fargli carceriere, non si era voltata
nemmeno una volta verso di lui. Era professionale, affidabile in un
certo senso.
“Sarebbe difficile per tutti creare dei legami per poi essere pronti a tagliarli da un momento all’altro.”
Chariot si era fermata in una delle stanze più interne della
base ormai distrutta. A parte qualche mobile ribaltato dalle scosse
delle esplosioni, era in buone condizioni. L’attenzione della
ragazza era rivolta su una gemma, piena di sbozzi che la faceva
sembrare una stella. Si chinò su di essa.
Toshi rimase a guardare la ragazza finché non fu lei a notare la sua presenza.
«Non sei inquietante, Toshi. Affatto.»
Rise colpevole. Si avvicinò a Chariot, la quale si alzò con la gemma in mano.
«Joke ne sapeva di contrabbando, me l'ha trovata lui questa da un posto sperduto.»
“Ha gli occhi lucidi?”
«Sarebbe stato utile uno così...»
Le spalle di Chariot tremarono, poi singhiozzò. Toshi si
avvicinò abbracciandole le spalle. Forse il modo di lavorare di
Chariot non era quello che pensava, o forse, anche se per finta col
tempo finisci per tenere alle persone che devi tradire.
Chariot non mosse un muscolo, semplicemente lasciò scorrere le lacrime.
§§§
Sumire rimase imbambolata davanti a quello spettacolo.
Un trio di darkrariani di ritorno dalla missione aveva accerchiato una
quarta dai capelli rossi. I due ragazzi del gruppo si attaccarono ai
suoi lati e la portarono di peso in una strada secondaria. Si
staccò dagli altri nobili con la scusa di controllare il
bottino, ma si infilò in quel vicolo.
I due maschi del gruppo tenevano su la rossa per le braccia. Testa calata, qualche rantolo ogni tanto, le gambe piegate.
La quarta persona di quel gruppetto era una ragazza con i capelli verde
scuro raccolti in due code alte e voluminose, stava camminando avanti e
indietro in maniera agitata.
«Beh? Non reagisci?» La ragazza dai capelli verdi
alzò una gamba e sferrò un calcio allo stomaco della
rossa. Questa si piegò in avanti, tossì con violenza, un
paio di gocce di sangue caddero dalla sua bocca.
«Tsk! È per una come te che abbiamo perso una delle migliori guerriere?»
«Jess, forse dovresti darle un attimo? Se la ammazzi poi finiamo nei guai.»
Jess fulminò con lo sguardo il compagno. Si avvicinò alla
rossa e le afferrò la testa, tirandogliela su per i capelli.
«Far fuori questa merda dovrebbe essere motivo di vanto.»
Jess sferrò una ginocchiata al viso della ragazza. I due ragazzi
la lasciarono di colpo, lasciandola cadere a terra a peso morto.
Sumire scosse la testa, si addentrò nel vicolo. «Smettetela subito!»
Jess si voltò di scatto, degli artigli dritti e leggermente
ricurvi sulla punta scattarono dalle maniche della giacca. Alla vista
di Sumire si rilassò. «Ah, la principessa inutile.»
Mentre si avvicinava, Sumire abbassò lo sguardo sulla ragazza rossa per terra, quella stringeva lentamente la mano.
Jess ritrasse gli artigli, si mise la mano sul fianco. «Lo sai chi è questa merda?»
Sumire strinse i pugni mentre continuava a camminare.
Jess incrociò le braccia. «Kojo Shinomiya. Era una di quelle della squadra di Kama nel suo ultimo incarico.»
Sumire si fermò.
«E come vedi, uscirne male è il suo forte.» Jess si
avvicinò a Kojo, alzò la gamba e diede un pestone alla
sua schiena. Kojo emise un gemito soffocato. «Sapete, è
per colpa di questo scarto che Kama si trova in quelle
condizioni.» Jess spostò il peso sulla gamba poggiata
sulla schiena della rossa, si sporse in avanti e mise il braccio sul
ginocchio. «Potevi finire tu in quel letto d’ospedale al
suo posto, tanto sei abituata, no?»
«Adesso basta.» Sumire fece un altro passo avanti. «Vi ordino di fermarvi, altrimenti-»
«Altrimenti cosa?» la interruppe Jess con un ghigno.
«Ti metterai a piangere? Lo sanno tutti che sei più debole
di una recluta...» Indicò il terreno con un dito.
«Se vuoi che la smettiamo potresti chiedercelo in ginocchio,
no?»
I due ragazzi si guardarono tra loro. «Jess-»
«Questa puttana non merita il suo titolo!» disse Jess
girandosi di scatto. «Non l’ha nemmeno visto un vero
combattimento, perché dovrei rispettare una
“principessa” che di darkrariano non ha nulla?»
«Perché è comunque la principessa.»
Sumire si voltò. Un giovane alto dagli occhi blu, ed i capelli
ramati ben curati era entrato nel vicolo. Un mantello copriva il resto
del suo corpo.
«Il suo titolo non è immeritato anche se non credi
ciò.» Il ragazzo si fermò a qualche passo da
Sumire, dandole la schiena e fissando i tre. «Non vorrai forse
andare contro alle regole spero, è già grave che tu abbia
maltrattato così un tuo compagno.»
Il mantello tremò, suono di scatti meccanici proveniva da sotto l’indumento.
Jess strinse i denti. «Tsk! Non ne vale nemmeno la pena.»
Tolse il piede dalla schiena di Kojo e fece un cenno agli altri due.
«Andiamocene.» Nell’uscire dal vicolo si fermò
accostata a Sumire. «Forse sei principessa perché devono
sempre salvarti. Magari il tuo titolo non è quello che
credi.»
Sumire si voltò a fissare la schiena dei tre ragazzi che si
allontanavano. Quando li vide sparire si diresse verso Kojo. Si
chinò su di lei, fece per tendere le mani per aiutarla a
rialzarsi, quando la rossa alzò il braccio di scatto e fendette
l’aria.
Sumire si spostò all’indietro cadendo. Kojo piantò
la mano alzata a terra e fece forza, mentre il busto si sollevava
lentamente diversi colpi di tosse la scossero.
Sumire si rialzò e nuovamente si avvicinò alla ragazza. Quella spostò lo sguardo verso di lei
«Non toccarmi.»
Sumire si fermò come paralizzata. “Cosa...?”
sentì lievi scosse lungo tutto il corpo. “...Non riesco a
muovermi.”
Dopo un momento che le sembro interminabile vide Kojo alzarsi,
appoggiarsi alla parete e lentamente percorrerla per uscire dal vicolo.
Le scosse smisero di percorrere il corpo di Sumire. La prima cosa che
riuscì a fare fu stringere i pugni. Voltandosi si trovò
davanti il giovane.
«Mi chiedo cosa ci facciate qui, principessa.»
Sumire strinse gli occhi per un istante. «Avevo notato quel
gruppo allontanarsi in maniera sospetta. Sembra avessi ragione.»
Il ragazzo era più alto di lei, il mantello che indossava era
ampio, ma il suo viso sembrava troppo magro per avere quella
corporatura. Fece un sorriso. «Vi siete scomodata per questo?
Avreste potuto mandare le guardie.»
«Posso occuparmi di questi casi senza l’aiuto delle
guardie...» Sumire fece un gesto con la mano per invitarlo a dire
il suo nome.
«Mi chiamo Rexon, principessa.» Il ragazzo
s’inchinò. «Se volete terrò d’occhio
quella ragazza per voi.»
«Potresti?» domandò di rimando Sumire.
«Sono in un periodo di riposo al momento. Seguire una nostra compagna in difficoltà non è difficile.»
«Sei sicuro? Non voglio prenderti tempo di meritato riposo-»
Rexon scostò il mantello ed allungò la mano verso il
volto della principessa, poi la abbassò per prenderle la mano e
gliela baciò. «Per voi questo ed altro.»
§§§
Kama rimase immobile a fissare il suo aggressore.
Un lieve bruciore sulla guancia. La lama era conficcata accanto al suo viso.
«La tempra è ancora intatta,» disse il ragazzo
estraendo la spada. Ci passò sopra la mano per pulirla del
sangue rimasto sulla lama. «Potevi far colpire quella recluta
invece di rimetterci per lei.» Il ragazzo si voltò verso
di lei. «È un’altra Komuri?»
Kama scosse la testa lentamente. «Non per ora, anche se credo che
Clare le abbia messo gli occhi addosso.» Cercava di muovere le
mani, ma non ottenne nulla a parte lievi tremolii e diverse fitte.
«Proteggerla era un favore che dovevo ad una persona.»
Il ragazzo ripose la spada. «Qualcuno mi aveva pagato per
eliminarti. Ma così non ce nemmeno il gusto di farlo.» Si
voltò e si diresse verso la porta. «Se devo farlo voglio
che tu cada in combattimento.» Il ragazzo si mise la spada sulla
spalla. «Il mio nome è Hitoshi. Vedi di alzarti presto da
quel letto, così potremmo regolare questa faccenda.»
Hitoshi uscì dalla stanza, lasciando Kama ai suoi pensieri.
Note di Mixxo:
Considerando che devo ancora tirare fuori gente di quel gruppo,
nonostante le molteplici presentazioni di questo capitolo, è
facile che superi i cinque capitoli, (coerenza, questa sconosciuta).
Rispetto ai miei standard questo ritmo di pubblicazione è
ottimo, solo un mese e mezzo dal primo capitolo. Ottimismo, su. Ogni
commento o critica saranno graditi (forse dovrei rispondere alle
recensioni, uh.)
Alla prossima.
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Capitolo 3 *** Equilibri Precari ***
Darkraria Cap3
«Certo certo, ora sparite, voglio godermi il momento con lei.»
Clare entrò nella stanza dove tenevano la prigioniera. Spoglia,
l’unica fonte di luce era una lampada posta al centro, emanava un
cono luminoso che puntava ad una sedia. Su di essa con la testa
reclinata una giovane dalla pelle ambrata e capelli neri che le
calavano sugli occhi.
Clare si avvicinò saltellando.
«Ciao Seira. Come va oggi, sensi di colpa per la tua incapacità?»
La prigioniera non aveva mosso un muscolo. Clare fece qualche passo girando attorno alla sedia. Emise un mugolio.
“Si è spezzata così in fretta?” Alzò
una mano e diede un colpetto sulla spalla di Seira. Nessuna risposta.
Clare si piegò in avanti raggiungendo l’orecchio della
prigioniera. «Così non è divertente giocare con te
sai?»
Attese in silenzio una risposta. “Uffa l’ho già rotta.”
Clare si mise a seguire la circonferenza luminosa creata dalla lampada come se stesse facendo un gioco d’equilibrio.
«...Va bene, basta perdere tempo.» Clare frugò nel
camice e tirò fuori un cristallo irregolare, lucido e di colore
nero. Afferrò la testa di Seira e la alzò. Clare
fissò lo sguardo vuoto che aveva davanti. «Una leader
ridotta così, patetica. Hihihi»
Clare afferrò il cristallo come se fosse un pugnale e lo fece
calare verso la testa della ragazza. Entrò nella carne,
brillò. Come dotato di vita propria crebbe sulla ferita
chiudendola prima che anche una singola goccia di sangue potesse uscire.
Clare fece qualche passo indietro per osservare la situazione: Seira
non aveva mosso un muscolo o emesso un gemito. Il petto si alzava ed
abbassava regolarmente.
“Avere qualcosa che sia in grado di stabilizzare le condizioni di
un ferito in battaglia è qualcosa, ma non stavo cercando
questo.”
Clare sbuffò, cacciò le dita nel camice per tirare fuori
un altro cristallo dalla forma più sottile e lunga, simile ad
uno spillo. «Dovremmo fare una seconda prova probabilmente.»
Si avvicinò «Non ti dà fastidio vero Seira? Hihihi!»
Si chinò all’altezza della prigioniera rimasta con la testa calata. «Non sarai morta vero?»
In quel momento Seira alzò la testa di scatto, guardando dritta negli occhi Clare.
“La sclera del soggetto è diventata viola e luminosa.” Un sorriso si allargò sul viso della bionda.
«Quello sguardo d’odio sul tuo volto è magnifico.
Avrei voluto vederlo anche su tuo fratello quando gli ho fatto staccare
la testa, hihihi»
§§§
Era stato un momento rilassante.
Forse vedere Chariot non rimanere impassibile dopo la battaglia era
quello che serviva a Toshi per distendere del tutto i muscoli.
Appoggiata la testa sul sedile aveva chiuso gli occhi ed iniziato a
fare il conto delle piccole ferite che si era procurato, come un
piccolo appello mentale. Il bruciore annunciava la loro presenza una ad
una.
Avrebbe voluto parlare di più con Chariot, ma dopo essersi
lasciata andare per quell’istante si era staccata ed era sparita
chissà dove. Probabilmente a recuperare la navetta per la fuga
lasciata in qualche luogo nascosto in caso di copertura compromessa.
Avrebbe voluto provarne una prima o poi, le aveva viste solo una volta
in vita sua. Molto piccole, quel che bastava per portare una persona,
simili a piccoli caccia.
Toshi aprì un occhio. Una ragazzina giovane dai capelli rosa
scuro aveva scosso la testa come se lo stesse guardando fino ad un
momento prima e, sentendosi scoperta, avesse distolto lo sguardo in
tutta fretta. Gli occhi ametista della ragazza ogni tanto tornavano
verso di lui, ma cambiavano immediatamente direzione.
Toshi non trattenne il sorriso nel ricordare che quello scricciolo era una sua superiore di rango.
“Come si chiamava?” Cercò di fare mente locale, ma
non gli venne nulla. “Beh, durante la cerimonia lo diranno
più volte... oppure posso approcciarla all’arrivo.”
Toshi riaprì gli occhi all’atterraggio della nave.
Spostò lo sguardo verso la ragazzina. Trovò il sedile
vuoto. Si guardò attorno. All’uscita adocchiò le
due code rosa uscire in tutta fretta.
Toshi si grattò la testa. «Com’è che tutte le
ragazze scappano oggi?» Si alzò dal posto e si diresse
verso l’uscita.
Il viavai di gente che tornava o partiva dalla prossima missione era
ormai la routine del loro mondo dalla disciplina militare, Toshi aveva
smesso di farci caso, specie perché in quel momento stava
cercando nel traffico la ragazzina. La vide infilarsi in una
viuzza secondaria, si diresse verso quella svolta.
Vicolo cieco. Arrivato in quella via a parte tre edifici chiusi, un
armaiolo, un alchimista ed una casa in disuso, non vi era nulla. Toshi
si avvicinò alla vetrata dell’alchimista, la piccoletta
non sembrava tipo da usare qualcosa di pesante, e se fosse,
probabilmente avrebbe usato qualche incantesimo per alleggerirla. Mise
le mani a conca sugli occhi e tentò di sbirciare
all’interno del negozio. Calma piatta, non un minimo movimento.
Il suono di passi alle sue spalle lo fece girare di scatto con la mano
pronta sulla spada. La ragazzina era all’entrata del vicolo
agitata. Con un paio di falcate sparì dalla sua vista.
«Aspetta!» Toshi iniziò ad inseguirla.
“È veloce per essere così piccola.” Toshi allungò le falcate.
«Voglio solo parlare!» Quando riuscì a metterle la mano sulla spalla, la ragazzina si voltò di scatto.
Toshi sentì come il frammentarsi di vetro, poi sentì una
serie di fitte alla mano. Ritrasse l’arto, girò il palmo
verso sé. Una serie di schegge di vetro erano conficcate lungo
tutta la mano. Alzò lo sguardo, vide la ragazzina spiccare un
salto e tuffarsi verso una vetrata opaca. Strabuzzò gli occhi
quando sparì sotto i suoi occhi.
“Ma che diamine-?” Si guardò attorno in cerca di
qualche segnale per capire dove fosse finita la ragazzina. Si
guardò la mano. Si appoggiò ad un muretto basso e poco a
poco estrasse tutte le schegge.
“Quindi è una maga, anche se non ho mai visto usare così la magia. Si sono inventati roba nuova?”
Estratto l’ultimo frammento provò a chiudere la mano
lentamente. “Mi servirà qualche giorno per riprendermi da
questo, diamine. Almeno non è la dominante.”
Un boato fece tremare la terra. Un suono simile ad un ruggito.
«Che ce adesso!?» Toshi iniziò a correre verso la
fonte del suono.
Alzò lo sguardo, da uno degli edifici del confine della
città si era sollevato uno spettacolo pirotecnico simile di un
vortice di fiamme violacee, un puntino nero in lontananza era al centro
di esso.
Immaginava di cosa si trattasse: gli esperimenti della sezione
scientifica spesso creavano trambusto per le loro fughe, ma stavolta
sembrava ancor più pericoloso del solito.
I laboratori erano ad una certa distanza dal resto delle abitazioni
proprio per questi motivi, ma quello spazio era stato divorato
velocemente dalle fiamme violacee emanate dalla cavia, la quale in quel
momento si trovava sospesa in aria aveva un’altra persona tra le
mani.
“Uh, giornata sfortunata per te, amico.”
Dal malcapitato in mezzo al vortice cadde qualcosa. Rimbalzò un
paio di volte e finì ai piedi di Toshi. Una gemma con diversi
sbozzi che la faceva sembrare una stella.
“...Chariot?!”
Toshi non perse tempo. Tirò fuori da una delle tasche dei
pantaloni un coltello da lanciò e prese la mira. Portò il
braccio indietro socchiudendo gli occhi per il calore delle fiamme e
scagliò il coltello.
Un verso disumano provenì dalla creatura, Chariot
precipitò. Toshi scattò e scivolò in avanti per
prenderla al volo.
La ragazza era priva di sensi, aveva a pelle arrossata, i vestiti presentavano buchi causati da bruciature.
“Devo portarla via da qui prima di tutto.” Toshi si
tirò su e si mise a correre verso la strada dalla quale era
arrivato. Davanti a lui si abbatte una fiammata violacea che gli
tagliò la via di fuga. Si voltò verso l’essere.
“Troppo precisa come mira.”
L’essere scese lentamente alla loro altezza. Occhi spalancati,
forme femminili. Non gli era nuova quella silhouette, tantomeno quello
sguardo.
Per un momento si trovò con la mente nella cella della
Galactrix. Una figura con un vestito bianco si mise davanti alla
barriera della prigione. Un bastone bianco con delle decorazioni
dorate, due occhi azzurri e la pelle ambrata. Parlata ferma, chiara e
controllata. Non il tipo che aveva intenzione di ripetersi.
L’aveva vista portare via qualche ora fa. Seira Nagareboshi,
comandante dell’ultima divisione Galactrix.
Clare doveva averle messo le mani addosso appena erano arrivati e
chissà che razza di esperimento doveva aver fatto su di lei: ora
che era vicina faticava ad associare quella cosa alla nemica sconfitta.
Da alcune parti del corpo dei cristalli bucavano la sua pelle come
spuntoni, altre parti del corpo erano invece ricoperte dal cristallo,
modellati in versioni più grottesche e primordiali.
Normalmente non gli sarebbe importato di cosa aveva intenzione di fare
la leader dei laboratori di ricerca, ma ora uno dei suoi
“giochini” era problema suo.
Toshi teneva su Chariot con un braccio dietro le sue spalle, stringeva
la sua spalla per cercare di svegliarla; con l’altra mano
prendeva la spada attaccata al suo fianco.
«Non mi lascerai mettere lei al sicuro prima immagino.»
Seira ringhiò, gli occhi brillarono come fluorescenti. Gonfiò il petto ispirando e soffiò.
Toshi ebbe appena il tempo di scansarsi con Chariot che una fiammata
azzurra investì il terreno. Appoggiò Chariot a terra e
caricò verso Seira. La ragazza-bestia non reagì, la lama
saettò rapida verso una porzione di pelle “pulita”
al fianco.
Un clangore, la punta della spada che rimbalzava, sbilanciandolo. Toshi spalancò gli occhi. “Ma che cosa-!?”
Un arto cristallizzato di Seira, più simile ad un
artigliò, lo afferrò e lo scagliò in aria. Toshi
si trovò a roteare in aria, la visuale confusa si fermò
nello stesso momento in cui la fitta di dolore allo stomaco gli tolse
il fiato. Sangue scarlatto tinse l’arto cristallizzato della
bestia. Toshi strinse i denti ed ingoiò il grido di dolore.
Alzò il braccio e sferrò un fendente tra la spalla ed il
collo della bestia. La spada rimbalzò nuovamente. Alzò
l’arma ancora, ma la bestia alzò l’arto con la quale
l’aveva impalato e muovendolo verso il basso lo scagliò a
terra. Al contraccolpo un conato di sangue uscì dalla sua bocca.
La vista gli si annebbiò, mentre vedeva la bestia scendere in
picchiata.
Fu un lungo istante, interminabile. Mosse la testa di lato. Chariot
priva di sensi accanto a lui. Strizzò gli occhi, si diede la
spinta puntando il gomito a terra per mettersi tra la ragazza e la
creatura. Chiuse gli occhi ed attese.
“Mi dispiace, Kama.”
Toshi sentì un rombo sopra di sé. Un’ala di
cristallo era stata sotterrata da un cumulo di macerie. Ruotò
lentamente la testa.
La ragazzina che aveva inseguito prima imbracciava un fucile di
cristallo. Si avvicinò verso di loro tenendo puntato verso i
resti dove la bestia era stata scagliata.
Toshi abbassò lo sguardo verso Chariot. Espressione sofferente
ed il tremare delle ciglia, il loro lento alzarsi, gli occhi gialli
aprirsi, le pupille restringersi leggermente.
“È viva.” Toshi abbozzò un sorriso prima di perdere i sensi.
§§§
Toshi aprì gli occhi. La luce che vedeva era bianca,
artificiale, niente fiamme. Batté le palpebre un paio di volte,
si guardò attorno, il bianco delle pareti dell’ospedale lo
stordiva. Girando la testa verso sinistra incontrò il nero di
una lunga chioma. Una ragazza sull’altro letto della stanza lo
stava osservando preoccupata.
«...Kama? Come-?»
«Sono contenta che tu stia bene.» Lo anticipò con un sorriso poco convinto.
Toshi cercò di tirarsi su, diverse fitte allo stomaco gli fecero
scappare qualche imprecazione. Decise di rinunciare al mettersi a
sedere. Rimase a fissare il soffitto, sconfitto dalla situazione.
«Come è accaduto?»
Kama abbassò lo sguardo. «Distrazione.»
«Proprio tu? Non ci credo.»
Kama sorrise. «Mi metti su un piedistallo ora che non posso più essere un modello?»
Toshi si guardò la mano fasciata, la alzò per farla
vedere. «Con questa non ti potrei spostare di un
millimetro.»
«Cretino.»
«Da sempre.»
Calò il silenzio per qualche istante, poi Kama scoppiò a ridere.
Toshi spostò lo sguardo su di lei sorridendo. «Non ti sentivo da troppo.»
Kama abbasso lo sguardo, le gote si colorarono leggermente. «Anche tu mi sei mancato.»
Qualcuno bussò alla porta. Kama alzò la testa riprendendo il suo atteggiamento militare. «Avanti»
Una camminata lenta, quasi esitante, una mano si appoggiò allo
stipite per poi staccarsi di colpo seguita da un’imprecazione
soffocata. Poco a poco Chariot prese il centro della stanza per
guardare i due. «Check dei moribondi?»
Toshi la squadrò. “I bendaggi coprono tutto corpo, le bruciature devono farle davvero male.”
«Moribondi assenti, crespella.»
«Mi sento più un tacchino.» Chariot spostò lo
sguardo verso Kama. «Quanto rimarrete dentro voi due?»
Kama sembrava star trattenendo il fiato tanto era tesa. «Troppo.
Darkraria ha bisogno di tutti per il suo funzionamento.»
«Non siete gli unici soldati del pianeta.» le fece notare Chariot.
Toshi annuì. «Se ci feriamo è per loro. E anche per la gloria, ma non tutta gloria.»
Il silenzio piombò di nuovo sulla stanza. “Possibile che non sappiamo come tenere su una conversazione?”
Chariot si voltò verso Kama. «Posso... fare qualcosa?»
Toshi guardò Kama. Lo sguardo freddo che aveva la ragazza
presentava una luce negli occhi diversa di quando dava ordini ai
sottoposti. Tendeva allo sguardo che aveva quando era con lui, da soli.
«Ho fatto ciò che mi chiedevi, ora ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, Chariot.»
Note di Mixxo:
Due mesi quasi, guh. Dovrei riprendere ritmo invece di perderlo.
Carino come ogni volta che hai un'idea e la prepari poi esplode
perché te ne viene una migliore in testa, ahhh il bello della
scrittura creativa.
Tengo a precisare una cosa che ho dimenticato di dire nel capitolo
precedente: Chariot e due probabili future apparizioni sono di
proprietà di Alcor_, fanno una capatina qui in attesa di uno
spin off che verrà scritto chissà quando. Questo
giustifica perché ho recensioni, ce una persona interessata a
vedere come muovo i suoi personaggi e pronta a tirarmi le orecchie se
sbaglio.
Grazie a chi legge!
Alla prossima
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Capitolo 4 *** Il Riflesso ***
Darkraria Cap4
Sumire si guardò attorno. La luce proveniente dalla lampada
sopra di lei la accecava. Era legata ad una sedia. Si divincolò,
ma le corde la tenevano attaccata allo schienale. All’improvviso
sentì una risata per lei inconfondibile.
«Hihihi! Che c’è Sumire? Non c’è più qualcuno a proteggerti?»
Sumire strinse gli occhi per un istante, girò lo sguardo verso
la voce. Dalla penombra uscì Clare rigirandosi uno di quei
pugnali di cristallo che ultimamente si trovavano spesso nel suo
camice. Deglutì.
«Cos’hai intenzione di fare?»
Clare tastò la punta del pugnale con i polpastrelli mentre
guardava Sumire. «Cosa pensi voglia farti con un pugnale mentre
sei legata, sciocca!?»
Si avvicinò con un sorriso minaccioso sul volto. Sumire iniziò a tremare. «F-fermati...»
Clare alzò il pugnale, la lama rivolta verso il basso offuscava
l’unica fonte di luce della stanza. Sumire alternò lo
sguardo tra il pugnale ed il volto di Clare, la quale aveva i tratti
delicati sfigurati da un ghigno assassino.
«Sei troppo fastidiosa per mantenerti in vita, hihihi!»
«C-Clare... ti prego...» Le lacrime scorrevano sul volto di Sumire senza che potesse controllarle.
«Smetti di frignare e comportati da darkrariana per una volta nella tua vita!»
Clare calò il pugnale. La lama affondò nel suo petto, sfondò lo sterno e raggiunse il cuore.
Il sangue usciva copioso, l’urlo di dolore, la risata maniacale della cugina.
«NO!»
Sumire alzò di scatto. Aveva la pelle madida di sudore, il
respiro affannato. Si guardò attorno. Riconoscendo le pareti
della sua stanza, si mise una mano sul petto e regolarizzò il
respiro.
“Un brutto sogno...”
La testa di Tenya spuntò dalla pediera del letto.
«Lady Sumire, va tutto bene?» chiese sfregandosi gli occhi.
Sumire mise la mano su quella ancora tremante. «Si. Scusa per
averti svegliato.» Allargò le labbra in un sorriso.
Tenya prese il cuscino dal letto di fortuna fatto con delle coperte
dategli e camminò fino al lato di Sumire. «Vuoi che dormo
con te?»
Sumire scosse la testa, come intontita. «Come?»
Tenya strinse il cuscino tra le braccia. «Al villaggio dormivo
con mia sorella quando faceva brutti sogni. Così vedeva che ero
accanto a lei e si tranquillizzava.»
Sumire sorrise al bambino ed alzò le coperte. «Va bene. Vieni su, piccolo paladino dei sogni.»
Tenya piazzò il cuscino accanto a quello di Sumire e si mise tra le coperte.
Sumire si stese nuovamente. «Buonanotte Tenya.»
«Notte notte.»
Sumire lo trovava adorabile. Era un bambino dolce e premuroso
nonostante ciò che stava passando. Aveva perso tutto in poco
tempo, era stato maltrattato e picchiato. Eppure nulla di tutto questo
sembrava averlo turbato.
«Tenya.» lo chiamò piano. Il bambino aprì un occhio.
«Tua sorella l’hai più vista da quando sei qui?»
Tenya scosse la testa. «Quando mi hanno catturato ho fatto da
esca per far scappare i bambini dal villaggio. Tenevamo una barca
pronta per le emergenze. Ed il vecchio Caleb stava tutto il tempo sulla
nave. Saranno da qualche parte al sicuro.»
Sumire allungò la mano sulla testa di Tenya, gli passò
lentamente la mano tra i capelli. «Sei un bambino coraggioso.
Vorrei essere come te.»
Tenya apriva e chiudeva gli occhi, forse avrebbe dovuto lasciarlo
riposare. «Papà diceva che se vuoi essere forte non basta
avere il coraggio di fare qualcosa, devi essere pronto ad accettare che
le tue azioni possano fallire nel loro intento.»
Sumire rimase a fissare Tenya mentre chiudeva gli occhi.
«Fare qualcosa...» ripeté Sumire. La
principessa debole, poco tenuta in considerazione. Forse avrebbe dovuto
fare qualcosa su cosa la gente pensava di lei?
Sumire rimase a fissare Tenya riflettendo sulle sue parole, finché il sonno fece calare il buio sulla sua vista.
§§§
Come ultimo membro del ramo principale della famiglia, era compito di
Sumire quello di promuovere i soldati migliori per le loro imprese. Non
le piaceva mettere l’armatura, ma quelle situazioni lo
richiedevano per etichetta. Non erano comuni le occasioni come quella
ma nemmeno troppo rare. Sumire ricordava ancora quando Kama era stata
promossa a élite. Una campagna militare dura contro un altro
pianeta belligerante, dopo aver perso molto terreno Kama era stata
mandata come rinforzo insieme alla sua generazione. Grazie alle sue
doti di stratega e di combattente ripresero il pianeta con perdite
quasi inesistenti.
Kama l’aveva vista come una quattordicenne sua coetanea,
nonostante la voce della “principessa debole” l’aveva
trattata con rispetto. Nei giorni a seguire iniziarono a coltivare la
loro amicizia che a dieci anni di distanza era minore per contatto ma
non per legame.
Anche la ragazza che si trovava ora davanti probabilmente aveva
quattordici anni, forse anche meno. Si trovava al centro della stanza
illuminata, davanti al trono, ai lati e dietro di lei altri membri
d’élite che prima di lei erano stati al centro
dell’attenzione. Seduto sul trono Yaroi fissava con occhi
fiammeggianti la ragazzina, la quale teneva lo sguardo basso.
«Kagami Yumemiru.» esordì Yaroi. «Entrata a
Darkraria come serva, ultima conosciuta della razza dei Riflessi,
divenuta recluta ed in seguito nominata élite, dopo essersi
occupata di un incarico molto delicato e confidenziale. Dopo le recenti
azioni, svolte non solo al di fuori del nostro regno con valorosi atti
in battaglia, ma anche salvando la vita di altri tuoi compagni e di mia
figlia Clare quando un esperimento dei laboratori di ricerca ha messo
in pericolo tutta la città, il titolo di élite non
è più sufficiente per farti onore.»
Yaroi si voltò verso Sumire. La principessa si alzò in
piedi. «Sei un esempio per tutti noi. Valore, coraggio,
intraprendenza e fratellanza verso i tuoi compagni. Qualità
necessarie per essere un leader» Si avvicinò con una
spilla in ossidiana raffigurante la testa di un drago.
«Qualità che ti rendono onore.»
Kagami alzò la testa per farsi mettere la spilla ma rimase ad
occhi chiusi. Sumire poté guardarla meglio: lunghi capelli rosa
scuro raccolti in due code morbide, un viso innocente circondato da due
ciuffi lunghi laterali pelle lucida e molto chiara. Kagami aprì
leggermente gli occhi, il color ametista incantò per un istante
Sumire, che esitò qualche istante a metterle la spilla e
indietreggiare. Tornò accanto allo zio.
«Da adesso sei un generale di Darkraria.» disse Yaroi. La
gente, che attorno a Kagami aveva iniziato ad applaudire, smise ad un
cenno di Yaroi. «Dunque, cosa desideri come premio per la tua
promozione?»
Kagami abbassò lo sguardo. Mise la mano in avanti e fece un inchino. «Non mi necessita nulla, mio signore.»
Yaroi annuì. «E sia. Tornate tutti alle vostre mansioni. Sumire, istruisci il nuovo generale.»
Sumire si alzò dal piccolo trono accanto a quello dello zio.
«Certamente, mio signore.» Si diresse a passi spediti verso
il nuovo generale. «Seguimi, Kagami.»
§§§
Quello che per tutta la vita Kagami aveva provato era paura.
Paura di affrontare i suoi compagni di classe quando andava a scuola,
paura del grosso cane del vicino quando abbaiava, paura della
velocità dello scivolo o della sensazione che le altalene le
davano nel loro dondolare. Paura di non poter più uscire dagli
specchi quando entrava, paura di rimanere per sempre bloccata dentro lo
specchio nascosto dietro l’armadio, paura delle grida e del suono
dell’acciaio che lacerava le carni. Paura di quelle persone che
le sorridevano con un ghigno terrificante, sporche di sangue, mentre
afferravano lo specchio in cui era nascosta, paura di quel rumore
assordante dei propulsori delle loro navi, paura della terra buia in
cui l’avevano portata insieme a pochi superstiti della sua
città.
Ebbe paura di quella bambina la quale abitava nella casa dove avevano
messo lo specchio che la conteneva, temeva che da un momento
all’altro anche lei potesse fare quel ghigno. Un giorno la
trovò a piangere, sola, in attesa di qualcuno che non era mai
arrivato. Non ricordava come era uscita dallo specchio, ricordava solo
di voler consolare quella bambina seppur facesse parte della terra di
quei mostri. Ricordava l’addestramento come milizia per quei
mostri, come “carne da macello della prima linea”.
Ricordava come pur di non morire ha iniziato ad uccidere, non importava
sesso, età, razza, senziente o meno. Importava sopravvivere.
Kagami ricordava come in mezzo a quei mostri iniziò a vedere
volti con zanne celate che venivano tirate fuori durante le battaglie.
Sa tutt’ora che quelle zanne sono lì, e che basti
abbassare la guardia perché escano da quei volti e affondino
nella sua carne.
Davanti alla principessa Sumire, per la prima volta, Kagami non vide
zanne. Vide lunghi capelli lilla che raggiungevano la schiena, forme
esili di giovane donna strette in un’armatura nera. E vide da
vicino occhi azzurri che mostravano gentilezza ma nascondevano ansia.
Kagami camminava accanto a lei, mentre Sumire le dava indicazioni sui
privilegi che possiede un generale ed i doveri a cui deve rispondere.
Non un movimento sospetto, o un segno che potesse allarmarla.
“Potrei ucciderla in questo istante.” Si trovò a
pensare per un momento. Scosse la testa. “Ho passato troppo tempo
tra i soldati.”
«Kagami, tutto bene? Vuoi che mi fermi un attimo?»
Kagami si voltò, l’espressione di Sumire era genuinamente
preoccupata per lei. Scosse la testa. «Vi prego, andate
avanti.»
Sumire riprese a camminare con passi più corti e lenti, lanciando occhiate fugaci verso Kagami.
«Posso chiederti una cosa?»
Kagami annuì. «Sono al vostro servizio, chiedete ciò che volete.»
Sumire si fermò davanti ad una delle finestre aperte del
palazzo, lo sguardo rivolto verso le stelle. «Che rapporti hai
con Kama Darkeeper? Vi conoscete? O avete solo lavorato assieme?»
Kagami si gelò per un istante. Aveva letto il suo rapporto?
Pensava che fosse stata lei la causa dello stato di Kama?
Deglutì. «Darkeeper mi ha addestrata dopo la mia prima
promozione. Abbiamo preso parte a delle operazioni insieme. Non posso
dire di averla mai conosciuta davvero.»
“O che avessi un motivo per farla finire all’ospedale.”
«Capisco.» Sumire si avvicinò alla finestra.
«Hai scritto nel rapporto la dinamica della vostra ultima
missione insieme.»
Kagami spalancò leggermente gli occhi quando la vide girarsi
verso di lei. “Sto per vedere le sue zanne?” Esitò,
avrebbe voluto fare un passo indietro quando la figura della
principessa si tese verso di lei. Strinse gli occhi.
Una sensazione di calore, le mani guantate della principessa avevano un tocco leggiadro dietro la sua schiena.
«Grazie per averla portata in salvo.» Disse con voce calma.
Kagami rimase pietrificata. «D-dovere...»
Quando Sumire si staccò Kagami fece un paio di passi indietro.
La principessa alzò un po’ le spalle, girò il
voltò e guardò di lato. «Perdonami, è stato
istintivo.»
Kagami annuì a scatti. «F-figur-» tossicchiò
per riprendere il controllo. «Potete fare ciò che volete
con i vostri sottoposti, principessa. Ora devo andare.» Fece un
veloce inchino e corse verso l’uscita prima che potesse
aggiungere altro.
Kagami si fermò solo una volta raggiunto il giardino, appoggiò la mano al petto e prese a respirare affannata.
“Quel tocco...” si sentì tremare, la vista appannata dalle lacrime.
Si passò il braccio sugli occhi. Era impossibile vero? Era la
principessa di quei mostri, non poteva avere un tocco così
dolce. “Mi avrebbe uccisa... mi avrebbe uccisa?”
Alzò lo sguardo verso il piano dove aveva lasciato Sumire.
«È... davvero gentile?»
«Eccessivamente, fastidiosamente ed inutilmente.»
Kagami trasalì ed emise un urletto quando si sentì mettere una mano sulla spalla.
Appoggiata alla base di una statua del giardino, Clare ritrasse la mano
che aveva allungato per portarla davanti alla bocca ed emettere una
risatina, il movimento fece dondolare una tracolla che indossava. Con
l’altra teneva la stampella con cui supportava la gamba sinistra
fasciata interamente.
«Lady Clare...» mormorò Kagami.
La bionda si avvicinò a lei con passo impacciato. «Stavi
tornando a casa immagino. Ottimo, mi farai da scorta dato che devo
andare lì.»
Kagami la fissò titubante. Gli occhi di Clare erano un elemento
di Darkraria di cui aveva imparato ad avere sempre paura, ma quando ti
fissano non bisognava mai mostrarla. Annuì.
«Prima di me, prego.» Disse Clare facendo un cenno con la mano verso la strada.
Kagami deglutì, si mise in marcia.
Le vie erano poco attive. Probabilmente la maggior parte della gente
era al porto, pronti a partire per la prossima conquista o a cercare di
ottenere all’asta gli schiavi del giorno. Se Clare non fosse
apparsa dal nulla, probabilmente Kagami sarebbe andata da Kama. Se la
principessa Sumire aveva davvero un rapporto di amicizia con lei,
avrebbe dovuto farle visita e mettere in chiaro l’accaduto.
“Non voglio vedere le sue zanne.”
«Hai già ricevuto ordini, Kagami?» Chiese a bruciapelo Clare.
Kagami scosse la testa. «No, nessuno. Attendevo indicazioni.»
Clare fece un sorriso compiaciuto. «Un ottimo soldato, senza dubbio... Potresti diventare la prossima Kama, sai?»
“Sostituire una persona che ha rapporti stretti con la
principessa? Così sembrerebbe davvero che abbia cospirato contro
di lei.” Kagami scosse la testa. «Il mio posto è
quello che deciderete.»
Clare fece una risatina. «Umile, o consapevole di essere più fragile delle tue armi.»
Kagami deglutì, fissò la strada davanti a sé,
tenendo le mani strette davanti al ventre. “Se vede che ho paura
è finita.”
La dimora assegnata a Kagami era distante dal resto della città.
Una casa abbastanza grande, con un piccolo giardino ben curato e chiuso
in una recinzione. La struttura era imponente, due piani con due
finestre ciascuno nella facciata principale. La porta in ossidiana era
lavorata con minuziosità. Le decorazioni in rilievo erano come
una cornice attorno all’ingresso. Kagami si fermò davanti
ad essa, si guardò alle spalle. Clare stretta alla sua stampella
fece un cenno con la mano libera, esortandola ad entrare.
“...Potrei aver dimenticato le chiavi.”
Kagami si voltò verso Clare. «Arrivo subito.» Girato
l’angolo della casa si fermò di fronte una delle finestre
di quella facciata. Fece due passi rapidi e si tuffò verso la
finestra.
Atterrò con una capriola. L’impatto con la finestra fu
come tuffarsi in acqua. Una sensazione di gelo la colse mentre
atterrava.
Silenzio.
La stanza si presentava come una copia buia e completamente nera della
stessa. Tavoli, sedie, quadri appesi erano a malapena distinguibili per
le fonti di luce che la scena presentava: Le finestre che emettevano
una tenue luce violacea.
Si guardò attorno. I suoi movimenti erano come frenati da una
forza esterna, col tempo aveva fatto l’abitudine alla resistenza,
ma quel senso di pesantezza e lentezza che quel mondo la gelava sempre.
“Fa paura, il nostro mondo...” Kagami si spostò
nell’altra stanza. La luce abbagliante della nuova stanza
proveniva da una forma rettangolare e lunga che partiva da terra e
raggiungeva circa due metri di altezza. Deglutì, si portò
in avanti. “...Forse ora è solo mio.” Entrò a
contatto con una superficie fredda, si spinse in avanti, la luce la
accecò.
Si trovò nella sua stanza. Appoggiò una mano alle sue
spalle. La cornice dorata dello specchio era rovinata in quel punto.
Kagami si guardò attorno. La sua stanza era normale. Un letto,
un mobiletto, un piccolo archivio accanto alla porta. Rimase a
fissarla, prima di emettere un sospiro. «Ne sono uscita di
nuovo.»
Scosse la testa ed abbandonò dalla stanza.
Mentre si dirigeva verso la porta sentì qualcuno scendere le
scale, fermò con la mano sulla maniglia e si voltò: una
figura esile di bambina correva giù per la rampa. Aveva i
capelli lunghi fin poco sotto le spalle, occhi arancioni, un vestito
smanicato leggero di colore indaco, con un velo viola che rimaneva
aperto davanti senza modificarne il colore alla vista, gambe coperte da
collant grigi.
La bambina aveva che massimo dodici anni si fermò davanti a Kagami. «Sei tornata.» disse sorridendo.
Kagami annuì timorosa. Girò la maniglia e aprì la porta.
«Ahhh, il tuo giochino da Riflessa. Così
affascinante» disse Clare mentre entrava dalla porta con passo
spedito supportato dalla stampella. Si fermò davanti
all’altra bambina con un sorriso inquietante e lo sguardo fisso
su di lei. «Allora Hotaru, hai fatto quello che ti ho
chiesto?»
La gioia dagli occhi della bambina si spense, annuì piano e si
diresse verso la scrivania per sfuggire a quello sguardo. Aperti un
paio di cassetti tirò fuori alcuni cristalli dalle forme e
colori più disparate ma tutti con una parte acuminata.
«Perfetto!» Clare si avvicinò ed allungò la
mano libera verso i cristalli, ma Hotaru mise la mano sopra per prima.
La bionda fece una smorfia mentre fissava la bambina. «Quando
posso rivedere mio fratello?» disse quest’ultima.
Clare piegò le dita lentamente stringendo il pugno. «A
tempo debito, ma abbiamo un patto, ricordi? Tu fai il tuo dovere ed io
farò il mio.»
Hotaru alzò la mano dai cristalli e fece un passo indietro.
«Brava bambina.» disse Clare mentre prendeva i cristalli e li infilava nella tracolla.
«Arriveranno indicazioni per i nuovi lavori.» disse facendo
forza sulla stampella e girandosi. «Vedi di non deludermi,
dopotutto lui è vivo grazie a me, hihihi.»
Clare si fermò davanti alla porta tenuta aperta da Kagami, si
voltò verso di lei. «Domani sveglia presto. Dovremo fare
nuovi test e mi servirai presente.»
Quando Kagami chiuse la porta alle spalle di Clare, Hotaru strinse le
mani al petto. Lentamente camminò verso la sua stanza. Il
singhiozzo non sfuggì alle orecchie di Kagami.
Note di Mixxo:
Meno di due mesi, good.
Nel giorno attuale abbiamo 36 visite sul capitolo precedente, è
consolante sapere che forse sono 36 persone che stanno seguendo questa
storia. Spero di essere all'altezza di eventuali aspettative.
Alla prossima!
|
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Capitolo 5 *** Bottino di Guerra ***
Darkraria Cap5
Toshi poté dire di sentirsi meglio solo quando, a braccetto con
Kama per sostenerla, aveva messo piede fuori dall’ospedale con le
sue gambe. Un po’ barcollante e con delle fitte al ventre ad ogni
passo, ma riusciva a camminare da solo. Respirò l’aria a
pieni polmoni, finalmente non permeata di disinfettante, o di qualsiasi
roba usassero per curarli.
Ai piedi della breve scalinata, Chariot li aveva guardati per un
istante, poi aveva salito le scale e si era messa dall’altro lato
di Kama, aiutandola a rimanere in piedi. «La confraternita dei
relitti dovrebbe stare insieme.»
In quel momento Toshi si sentì stringere il braccio da Kama.
La strada di ritorno verso casa costeggiava la zona dell'attacco della
cavia di Clare. Toshi sentì le ferite pulsare. Tra gli schiavi
che lavoravano per rimuovere le macerie e la ricostruzione, Toshi
notò qualche cristallo di quelli che erano attaccati al corpo
della comandante Galactrix.
«...Certo che è stata una scocciatura fino all’ultimo, eh?»
Chariot fece un sorriso sghembo. «Yeah, una terribile esistenza.»
Toshi si voltò verso Kama. Era assorta a fissare i cristalli
rimasti in giro. Le diede un buffetto sulla guancia. «Non ti
facevo tipa da gioielli.»
Kama scosse la testa. «Sento che sono innaturali.»
Chariot soffocò una risata isterica. «Non sai quanto.»
Improvvisamente Toshi si sentì formicolare la mano, la agitò un po’ per far passare quella sensazione.
“Sintomo delle ferite probabilmente. Dovremmo andare a casa.”
Toshi strinse per le spalle Kama che distolse lo sguardo, e si
incamminò per la strada di casa. Quando capì che i passi
che sentiva erano solo di due persone si voltò.
Chariot era ad occhi spalancati, concentrata su un punto specifico delle macerie.
«Chariot?» la chiamò Toshi. La ragazza fece qualche
passo incerto nella direzione che stava guardando, stabilizzò la
camminata ed allungò il passo.
Toshi e Kama si guardarono confusi.
«Hai idea di che cosa stia facendo?» chiese Toshi. Kama scosse la testa.
Dopo aver spostato qualche pietra, Chariot afferrò qualcosa tra
le mani. Rimase a fissarla per un momento che sembrò
un’eternità, poi si voltò: tra le mani una di
quelle strane gemme a forma di stella.
Chariot camminò lentamente verso gli altri due, occhi sulla
gemma, bocca leggermente aperta che borbottò una frase con voce
flebile.
«Chariot?»
«Ecco, ha valore, questa. Un sacco.» Chariot strinse la
gemma. «È sorprendente che Seira l'abbia tenuta con
sé fino all'ultimo...»
I due rimasero a fissare la gemma. Era bianca, con diverse striature di
azzurro, ma nei punti dove le dita di Chariot entravano in contatto era
di un color grigio-argento.
Il momento d’incanto venne interrotto da uno schiocco ed un grido di dolore seguito da un tonfo.
Toshi si girò: un giovane dall’aspetto malridotto era a
terra, senza forze per muoversi, aveva uno spesso collare nero attorno
al collo. A passi rapidi si avvicinò a lui un uomo armato di
frusta che lo guardò con aria schifata e rabbiosa.
«Che fregatura, è già andato.» Alzò
una telecomando e premette un tasto. Avvenne tutto in fretta: il suono
del metallo che tagliava la carne, la testa che rotolava via dal corpo,
la pozza cremisi che pian piano si allargava dal collo, dove il collare
metallico stava ritraendo una serie di lame che si riaprirono
lentamente rivelando la parte mozza.
«Tu pulisci e rimettiti al lavoro.» L’uomo fece un
cenno ad un altra schiava che si accucciò a terra e con mani
tremanti e singhiozzando prese il cadavere del ragazzo e con fatica
iniziò a spostarlo.
«Zitta e muoviti!»
Lo schiocco nell’aria della frusta ed il grido di dolore fecero
scuotere la testa a Chariot. «Devo andare. Scusate.»
Prima che Toshi potesse aggiungere altro vide la ragazza scappare via verso la zona portuale.
«Possiamo... tornare a casa?» Domandò Kama con lo sguardo basso.
Il resto della strada era stato silenzioso, interrotto da qualche passo più incerto che minacciava di farli inciampare.
Fermatisi davanti al cancello in ferro della dimora di Toshi, il ragazzo ci appoggiò la mano sopra.
«Certo che ci son troppi silenzi ultimamente.»
Kama abbassò lo sguardo sulla mano, provò a piegarla ma
non riuscì ad ottenere più di un lieve tremolio.
Toshi aprì il cancello per entrare nel breve vialetto.
Appoggiò l’altra mano sulla spalla di Kama.
«Ehi...»
La giovane alzò lo sguardo.
«Troveremo un modo, ok?» Toshi sorrise rassicurante.
Probabilmente più che preoccuparsi dei silenzi in sé
avrebbe dovuto preoccuparsi dei motivi del silenzio. ”Kama non
era mai stata ferma, ed ora che è forzata a rimanere a riposo
è in crisi... dovrei trovarle un modo per distrarsi? Ma
cosa?”
Kama si diresse verso la porta, poggiò la mano sulla maniglia
per entrare. Toshi la vide bloccarsi, la mano tremarle vistosamente
mentre cercava di stringere la maniglia ed infine rilassarsi. Kama mise
l’altra mano su quella dolorante che portò al petto.
Toshi passò dritto ed abbassò la maniglia. «Mia signora...» disse con un mezzo inchino.
Kama non lo degnò di uno sguardo, passò dritta a testa bassa e salendo le scale scomparve al piano di sopra.
Rimasto sull’uscio, Toshi appoggiò una mano sullo stipite.
“In effetti è difficile distrarsi se anche le azioni
più semplici sono negate.”
Entrò nella stanza. E si stravaccò sul divano del
salotto. Una nube di polvere si sollevò pizzicandogli il naso.
“Impolverato.”
Toshi starnutì poco dopo. Passò un dito sul divano. Uno strato di polvere grigiastro rimase sul polpastrello.
“Qualcuno che pulisca ogni tanto non sarebbe male nemmeno.”
Sfregò l’indice ed il pollice tra loro e si alzò
dal divano.
«Kama sto andando-»
Fermatosi sulla porta della stanza della ragazza Toshi si bloccò.
La stanza era ridotta al minimo, Kama non era tipo da possedere
più di quello che le serviva, perciò il mobilio della
camera era ridotto ad un armadio per gli abiti - o meglio, per le
uniformi – uno per l’armeria personale della ragazza, ed un
letto semplice, sul quale ora si trovava la giovane. Rannicchiata, ogni
tanto aveva dei lievi tremolii.
Toshi si avvicinò per guardarla meglio. In vita sua, era
capitato spesso di vederla dormire, teneva a fare otto ore di sonno
giornaliere, ma che ricordasse non l’aveva mai vista tremare.
Tese la mano verso i suoi lunghi capelli corvini, esitò un
istante prima di appoggiarle la mano sulla testa e darle una carezza.
Chiusasi la porta alle spalle iniziò a camminare lentamente vero l’area delle navi.
Uno schiavo. Uno schiavo era quello che gli serviva. Pulire la casa,
assistere Kama nella sua situazione, cose che una volta rientrato in
servizio non avrebbe potuto fare.
«Hmm... magari uno schiavo no.» Pensò ad alta voce.
“Se Kama non riesce nemmeno a stringere qualcosa in mano potrebbe
cercare di approfittarsene. Meglio una donna, biologicamente sarebbero
alla pari almeno.”
Accanto all’area delle navi, vi era la zona commerciale. Si
attivava quando le truppe tornavano da una missione, i soldati spesso
raccoglievano bottini di varia natura: spezie, pietre preziose,
manufatti, reperti scritti con le informazioni sulle civiltà, ma
soprattutto schiavi.
Vi era una specifica persona che si era messa davanti a tutti in
quell’ambito. Tsukihito era un giovane che sembrava lo stereotipo
del mercenario uscito da un’opera fantasy: diverse cicatrici per
tutto il corpo, una benda su un occhio, un abbigliamento composto da
una maglietta smanicata nera che lasciava in bella vista le braccia
muscolose, pantaloni larghi pieni di tasce, un paio di stivali sempre
sporchi di fango, ed un mantello nero sbrindellato negli anni.
Stava di spalle alla porta della sua struttura, sede della sua
“attività”. Braccia incrociate ed un ghigno a
metà tra il canzonatorio ed il maligno, a fissare la ragazza
poco più bassa di lui.
«Ti ho detto che per i soldati semplici e le spie di basso livello non è rimasto niente.»
«Eddai, come avresti fatto se non avessi fatto da target per il
mostro della settimana?» Chariot fece una risata debole.
«Ti ho salvato l'asta, distraendolo.»
Tsukihito fece un passo avanti sbattendo il piede a terra per
intimorire la ragazza, la quale si limitò ad alzare lo sguardo e
sorridere amichevole.
«Se ci tieni tanto ad entrare devi darmi qualcosa.» disse con un ghigno.
Chariot fece per aprire bocca, poi la richiuse.
«Hm-mh. Cosa?»
«Tua sorella qua dentro potrebbe essere molto interessante. Anche se è inutile, non passa inosservata.»
Toshi si trovò sorpreso nel vedere Cariot abbassarsi così
velocemente e spingersi in avanti, centrando l’addome di
Tsukihito con la spalla e buttandosi a terra con lui. La ragazza
alzò il pugno per sferrarglielo in pieno viso, ma quello del
giovane fu più rapido ad affondare nella pancia di Chariot,
strappandole un colpo di tosse. Tsukihito le mise la mano sul volto e
la schiacciò a terra, mettendosi di peso col ginocchio sul suo
sterno.
«Voi Shinomiya siede davvero patetiche, ma se vuoi proprio entrare potrei fartelo fare con un collare.»
Toshi batté le mani un paio di volte per richiamare
l’attenzione. «Ma se le fai altre cicatrici le fai perdere
il valore.»
Tsukihito si voltò. «Ancora vivo Kinzoku. Buon per te.
Finisco con questa nullità e arrivo.» Si avvicinò
col viso a quello di Chariot minaccioso. Spostò la mano sotto il
suo mento leccandosi e labbra.
«Le persone simili si riconoscono.» Gemette Chariot.
«A dir la verità son di fretta.» S’intromise
Toshi facendo i passi che gli bastavano per raggiungerli e poggiando
una mano sulla spalla di Tsukihito, il quale si voltò di scatto.
Toshi abbozzò un sorriso. «Non vale la pena di sporcarsi le mani per Shinomiya.»
Inizialmente Tsukihito tenne l’espressione contrariata, poi si alzò con un ghigno. «Già...»
Afferrò il polso di Chariot e la tirò su afferrandole il
collo per portarsela all’altezza degli occhi e sospesa di qualche
centimetro da terra. «La prossima volta il collare te lo metto
davvero, e ti tolgo il resto.»
Tsukihito la tirò di malagrazia ai piedi di Toshi.
«Fammi un favore, toglimela dalla vista e poi vieni dentro. Ho tenuto roba particolare te.»
Quando la porta si richiuse. Toshi si chinò davanti a Chariot e
le tese la mano. «È prerogativa delle spie mettersi nei
guai anche in casa?»
Chariot si tirò indietro la frangia e socchiuse l'occhio con la
cicatrice, gli strinse la mano. «No, credo che sia una cosa da
Shinomiya.»
Toshi la aiutò a tirarsi su lentamente. «Forse siete maledette.»
«Penso... di essere io il problema.»
«Un bel problema.» Toshi le fece l’occhiolino.
Accertatosi che Chariot riuscisse a stare in piedi da sola la
lasciò andare e si diresse verso il locale di Tsukihito.
«Non sparire, quando esco voglio parlare con te.»
Aperta la porta, Toshi si trovò davanti Tsukihito.
«Di qua. Ho una... sorpresa.»
Tsukihito s’infilo in un corridoio laterale poi scese le scale.
Il sotterraneo dell’edificio era disposto come una mostra
d’arte; solo che al posto di quadri o merci vi erano gabbie con
all’interno persone. Stazza, sesso, età, era presente di
tutto; dal fisico possente – probabilmente catturato in battaglia
– alle bambine piccole.
«Di qua.» Tsukihito passò tra le celle seguito da Toshi.
Nell’area in cui si trovano la luce era meno intensa, inoltre le
gabbie erano quasi tutte vuote come ad isolare quella in fondo.
All’interno di essa, una figura femminile appesa al muro per i
polsi, bloccati da anelli di metallo inseriti nella parete. Lo stesso
trattamento era stato riservato alle sue caviglie. Capelli indaco con
riflessi scuri, occhi grigio-azzurro.
Toshi spalancò gli occhi. “L-la principessa!”
«Tsukihito-»
Il darkrariano fece un ghigno, alzò la mano, le luci si accesero.
Alla luce la muscolatura era ben definita, lo sguardo di sfida e gli occhi affilati.
«Dovresti vedere la tua faccia Toshi. No, non è ancora
successo. La principessa è ancora al suo posto.»
Lo sguardo di panico non era scomparso dagli occhi di Toshi, anzi
l’agitazione del ragazzo era aumentata che d’istinto fece
un passo indietro e mise mano alla spada. “Avrei preferito la
principessa!”
Ricordava quel volto, quegli occhi, e nella fattispecie, le sue
braccia. Qualche anno fa quella furia della natura lo aveva caricato
durante una missione. Quando si era svegliato, era dentro una cella
della Galactrix.
La mano sull’elsa tremò per un istante, si obbligò a staccarla dall’arma e la richiuse alzandola.
«Guarda un po’ chi si rivede.» Disse cercando di metter su un’espressione canzonatoria.
La ragazza strinse gli occhi, oltre all’astio vi era della confusione nel suo sguardo.
«Ah, sai già chi è, meglio.» Tsukihito si
appoggiò alle sbarre della prigione della ragazza. «Ha
mandato quattro dei miei all’ospedale mentre cercavamo di
sbatterla dentro.»
“Ci credo.” Pensò Toshi deglutendo. “Cazzo se ci credo.”
«Ma se Darkeeper è stata ridotta in quello stato da queste
due, non mi sorprende che abbia ridotto così quelle mezze
tacche.»
Toshi distaccò lo sguardo dalla ragazza terribile per guardare in faccia Tsukihito. «Quelle due?»
Il carceriere lo indicò la cella alle sue spalle. La prima cosa
che Toshi notò fu una cascata di capelli ribelli biondi, spalle
esili strette in un’abbraccio, le mani che spuntavano dai lati
delle braccia tremavano. Stava in ginocchio in mezzo alla gabbia
qualche lieve singhiozzo si avvertiva nei silenzi del sotterraneo.
«Ohi bionda, girati e avvicinati.» disse Tsukihito.
Il tremolio della giovane divenne più evidente mentre si alzava e si voltava.
Un viso dolce solcato dalle lacrime, due occhi verdi brillante in quel momento lucidi che rimanevano bassi.
Toshi si avvicinò interessato. «Che mi dici di lei?»
«Una delle Galactrix che abbiamo catturato prima
dell’offensiva finale. Stavano scortando il figlio di un pezzo
grosso... pensare che Darkeeper sia in debito con quella
nanerottola.»
Toshi mise la mano su una delle sbarre della cella della ragazza, la
quale aveva fatto un passo indietro appena aveva appoggiato la mano
alla sua prigione «Mi ci fai parlare in privato?»
Tsukihito ghignò. «Se te la scopi subito mi devi dare un compenso per il servizio che ti fa.»
Toshi sentì la stanza tremare, la ragazza bionda trasalì.
Toshi strinse nuovamente la spada d’istinto, si guardò
alle spalle.
«Datti una calmata, ragazza-bestia!» Tsukihito
lanciò un mazzo di chiavi a Toshi mentre premeva il piede su una
mattonella con una elaborata incisione azzurra.
La ragazza bionda si voltò dall’altra parte, una serie di
lampi seguiti da gridi strozzati di dolore provenirono dalla gabbia
davanti a lei.
Toshi sentì odore di bruciato mentre apriva la cella. Fece tutto
in fretta: girare la chiave aprire e con un passo più lungo
entrare nella prigione, dando un giro alla chiave per chiudersi dentro
con la ragazza bionda.
La vide deglutire e riaprire gli occhi per fissarlo dritto in viso.
Incerto su cosa chiedere, Toshi rimase a fissarla mentre dalla cella
accanto i lampi di luce e gli stridi della corrente si mischiavano alle
grida dell’altra prigioniera.
«Avete affrontato Kama prima di finire qui?»
«Si...» Gli occhi della ragazza passarono alla sua
compagna. L’elettricità raggiungeva il corpo della
ragazza-bestia tramite gli anelli con i quali era incatenata, sembrava
stremata, aveva gli occhi socchiusi.
«...Fallo smettere, ti prego,» mormorò la bionda.
Toshi si avvicinò alle sbarre. «Se la friggi la puoi vendere solo come contorno.»
Tsukihito si voltò di scatto con sguardo irato. Alzò il
piede dalla mattonella, e tutte le scariche ed i lampi cessarono di
attraversare il corpo della schiava. Si mise le mani dietro la testa e
fece dietrofront. «Vedi di decidere in fretta.»
Toshi aspettò che Tsukihito fosse abbastanza lontano per riprendere a parlare.
«Grazie.» lo anticipò la ragazza.
Toshi spalancò un po’ gli occhi, s’infilò le
mani in tasca ed iniziò a fare avanti e indietro.
«Nome?»
«Justice. Kaho. Quello che preferisci.»
Si fermò davanti a lei fissandola. Per un istante la ragazza
tenne lo sguardo alto, Toshi ebbe il tempo di fissare il verde smeraldo
dei suoi occhi arrossati dalle lacrime, prima che li abbassasse.
«Ok, Kaho.»
Toshi le appoggiò la mano sulla spalla. La ragazza
s’irrigidì, mosse lievemente la spalla come per tirarsi
indietro. «Cosa vuoi da noi?»
Il ragazzo esitò per un momento. La trovava davvero bella
nonostante le condizioni in cui si trovava. «Sei tu che hai
ridotto Kama in quello stato?»
Kaho trattenne il respiro.
«Si.» Esalò.
«...Come?»
Chiuse gli occhi e li strinse leggermente. «Le ho sparato io. Mentre era a terra.»
«E siamo noi gli spregevoli che attaccano alle spalle...» La mano di Toshi sulla spalla si strinse per un momento.
«Non davanti a Tae,» disse con voce tremula.
Toshi batté le palpebre sorpreso. «Come?»
Kaho si strinse nelle spalle ed incassò la testa tra di esse.
«...Se devi vendicarla non- non coinvolgerla. Si limitava a
proteggerci.»
La presa di Toshi si allentò sulla spalla della schiava
«...Va bene.» Fece scorrere la mano dalla spalla, passando
al collo fino al mento della ragazza. «Quindi... siete schiave.
Prendo te?»
Kaho tirò le labbra ed annuì.
Toshi fece qualche passo indietro. «Molto bene.»
Inserì la chiave nella serratura e la fece scattare. Uscì
dalla cella e fece un cenno verso Kaho. Questa lo seguì senza
indugiare.
«Maledetto fermati!» Dall’altra gabbia la ragazza incatenata alla parete si era agitata nuovamente.
Uno dei sottoposti di Tsukihito premette la mattonella con le rune.
Nuove scariche elettriche attraversarono il corpo della ragazza.
Toshi vide Kaho girarsi un’ultima volta verso l’altra
ragazza mentre questa veniva straziata dall’elettricità.
Poi si voltò e lo raggiunse.
Toshi uscì dal negozio di Tsukihito. Kaho lo seguiva con un
collare ben stretto al suo collo ed un paio di manette ai polsi.
Toshi si fermò a metà della piazza. La mano corse
all’elsa della spada. Sfoderò l’arma e la
puntò contro Kaho.
«Ultimo desiderio?»
Kaho scosse la testa. «Dille che mi dispiace»
«Sai che è viva quindi»
«Non ho una buona mira.»
Toshi alzò la spada, Kaho rimase a guardarlo. La spada scese. Un
tintinnio metallico, la catena sottile delle manette si sgretolò
davanti alla forza del colpo.
Kaho allargò le braccia, si fissò i polsi dove le manette
erano ormai libere dalle catene. Lo guardò con le sopracciglia
aggrottate. «...Eh?»
«Anche la mia mira è peggiorata dopo che il tuo capo mi ha
spiedinato.» Toshi tirò un paio di fendenti in aria come a
saggiare la forza che riusciva ad imprimere sull’arma e quanto
potesse fare movimenti ampi prima che lo stomaco gli desse quelle
dolorose fitte che finora aveva cercato di ignorare. «Significa
che abbiamo un problema.» Frugò nella tasca recuperando un
quadratino di cioccolato incartato rimasto dall’ultimo passaggio
dal contrabbandiere e lo lanciò verso Kaho. «Con la faccia
che hai non credo rimarrai in piedi a lungo se non mangi
qualcosa.»
Il cioccolato le sbatté addosso, Kaho si chinò a recuperaro da terra. «Non... Perché?»
«Te la caveresti con poco diventando cadavere.»
Kaho rimase in silenzio.
«...Ti ho dato l’ultima cosa che avevo da parte, e mi
è venuta fame. Credo che passeremo a comprare qualcosa.»
Toshi si avviò verso la mensa, un bip
acuto ad intermittenza iniziò a sentirsi nell’aria. Toshi
si voltò. Kaho era rimasta dov’era con la bocca semiaperta
e l’aria confusa.
«Se ti allontani troppo da me salti in aria, tieni il passo.»
Note di Mixxo:
E dire che pensavo di chiudere tutto in cinque capitoli, heh...
Siamo
vicini alla conclusione della preparazione degli eventi, ormai mancano
poche "pedine" all'appello prima che il vero "gioco" inizi. Spero che
abbiate la pazienza e la voglia di proseguire questo viaggio.
Alla prossima!
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Capitolo 6 *** Rivelazioni ***
Darkraria Cap6
Toshi uscì dal negozio. Il sacchetto fumante tenuto su con il
braccio. Frugò al suo interno e, tirato su un quadrettino di
carne, se lo cacciò in bocca. Kaho era all'entrata del negozio,
dove l'aveva lasciata. Notò un movimento rapido del suo viso,
prima che riabbassasse gli occhi, probabilmente era stata attirata
dall'odore.
Toshi allungò il sacchetto. Sentì il suo peso
sbilanciarsi leggermente mentre la ragazza avvicinava la mano per
recuperare uno dei pezzi.
«Grazie.»
Toshi iniziò a camminare verso la sua casa. L’assenza di
bip nell’aria gli fece capire che Kaho lo stava seguendo. Non che
avesse alternativa.
Fu in quel momento che notò Chariot più in là. Era
appoggiata con le spalle all’entrata di un vicolo. Occhi sulle
scarpe, persa nei suoi pensieri.
«Yo!» esclamò il ragazzo appena fu a portata
d’orecchio. Chariot alzò la testa, vide il suo sguardo
andare alle sue spalle, la mano corse alla cintura con la pistola.
Toshi rimase rilassato. “Sapevo che ci tenevi.”
Si fermò a qualche passo da Chariot. Lanciò
un’occhiata alle sue spalle, Kaho manteneva la stessa distanza da
lui.
Chariot ebbe qualche istante d’esitazione.
«Quindi è una delle tue-»
Sentì qualcosa passargli di scatto accanto. Toshi fece un mezzo
passo laterale. Kaho aveva stretto in un abbraccio Chariot, le spalle
le tremarono. La reazione dell’altra arrivò in ritardo: le
sue mani erano inizialmente rimaste sospese a mezz’aria,
lentamente si strinsero sulla schiena dell’altra.
Toshi si grattò la testa. «Posso avere un abbraccio anch’io? In fondo ti ho tirato fuori da lì»
Chariot poggiò una mano sulla testa di Kaho e gliela fece
abbassare per poter guardare Toshi. «La condizione per gli
abbracci è trattarla come tratteresti me,» serrò le
labbra come incerta. «Per favore.»
Toshi si mise una mano sul fianco e piegò la testa. «Tu
non ti lasci salvare, con lei ho già fatto di più.»
Chariot adocchiò il sacchetto, annusò per un momento l’aria.
«Carne.»
Kaho emise un soffio. Si staccò da Chariot, sembrava avere un sorriso sbilenco.
Toshi lanciò a parabola uno dei cubetti di carne. La ragazza
alzò la testa e aprì la bocca. Tempo di richiudere ed
aprire la bocca che era sparito.
«Lo hai almeno masticato?»
«Scortami da Kama» disse seria all’improvviso.
Sembrava innaturale il modo in cui aveva risposto. “Forse
è andata in modalità spia?” pensò divertito
Toshi. «Ma sai dov’è casa mia.»
«Voglio rubarti il resto della carne.»
“Sensato, è sempre Chariot.” Toshi si voltò
in direzione di casa. Prese un paio di cubetti dalla busta e li
portò alle sue spalle. Scivolarono poco dopo dalle sue dita,
strappati dalla mano di Chariot. Guardò le due ragazze rimaste
dietro di lui con la coda dell’occhio: Kaho sembrava molto
più a suo agio in quel momento, seppur sempre spaventata.
“Cosa fa una faccia amica.”
Toshi aprì la porta e fece passare le due ragazze.
«Kaho, questa sarà la tua nuova casa.»
L’odore di chiuso era pungente. Kaho arricciò il naso e
chiuse gli occhi. Lanciò uno sguardo rapido attorno. Finestre
tenute chiuse, ragnatele agli angoli del soffitto. Effettivamente non
entrava in casa da tempo, non aveva guardato le condizioni in cui si
trovava
«Accogliente come una bara.» Chariot si avvicinò a
Toshi e gli strappò il sacchetto di mano, ficcò una mano
all’interno in cerca di altri cubetti. Abbassò lo sguardo
per guardare all’interno. Lo accartocciò con
un’espressione piatta sul volto.
In quell’istante Toshi vide un ragno grande quanto il lampadario
uscire dalla cucina, prese ad arrampicarsi sulla parete. Un lieve
sorrisetto si delineò sul suo volto. Mise le dita in bocca e
fischiò. Il grosso animale si fermò di colpo e
saltò verso di lui. Toshi tese la mano, il ragno vi
atterrò molleggiando sulle zampe. Vide chiaramente Kaho
sbiancare e lentamente spostarsi dietro Chariot. «Cosa gli date
da mangiare?»
Toshi si massaggiò il mento. «L’ultimo pasto era il
servo precedente... forse ha ancora fame.» Allungò il
braccio verso le due ragazze.
Chariot guardò con la coda dell’occhio Kaho, alzò
il braccio e prese il suo per avvicinarlo alla creatura. Lo spalancarsi
degli occhi di Kaho, seguito dallo strattone che diede a Chariot per
non avvicinarsi fece capire al ragazzo che era il caso di smettere di
prendere in giro la ragazza, per quanto fosse divertente farlo.
Abbassò il braccio, il ragno saltò dalla sua mano e corse
rapidamente verso la parete, riprendendo a scalarla.
«Beh, immagino che dovremmo imitarlo. È ora di conoscere
la tua padrona Kaho.» Toshi si avviò verso le scale.
“Ora di tornare alla realtà, bambolina.”
Salendo, Toshi si gettò un’occhiata alle spalle. Chariot
sfregava leggermente le unghie sulla cicatrice sulla fronte, sembrava
la più nervosa tra le due: in confronto Kaho teneva le spalle
basse, lo sguardo puntato ovunque tranne che verso di lui.
Raggiunta la cima Toshi allungò la mano verso il pomello e la
aprì con calma. Intravide un movimento rapido, come un
allontanarsi dalla porta. Kama appoggiò le mani lievemente
tremanti al ventre, lanciò uno sguardo veloce sul ragazzo, poi
diede un’ occhiata a Chariot, infine posò gli occhi su
Kaho. Quella abbassò istintivamente la testa. «Mia
signora.»
Kama spostò lo sguardo su Toshi.
“Non sembra troppo entusiasta.” Toshi si passò la mano sui pantaloni.
«Kama questa è Kaho, da adesso sarà a tua completa
disposizione.» spiegò allungando la mano verso la ragazza
per far si che si avvicinasse. La vide farsi avanti senza troppa
resistenza.
Kama mantenne lo sguardo gelido sulla ragazza per qualche istante, spostò gli occhi su Toshi, infine su Chariot.
«Con me. Chiudi la porta.» Kama entrò nella stanza ed attese in piedi che Chariot la raggiungesse.
Chariot chiuse la porta dietro di sé, fece per aprire bocca, ma
nel vedere lo sguardo inespressivo di Kama la richiuse e
tossicchiò. «Ordini.»
«Clare ha aperto le porte dei suoi laboratori,»
incrociò le braccia, le tremavano leggermente. «Se conosco
Sumire, sarà andata a controllare cosa c’è tra
quelle mura.»
«Sta cercando di farsi ammazzare?» chiese approfittando
della pausa. Allungò una mano verso la sedia e, tirandola a
sé, la mise al contrario di fronte.
«Vuole sapere cosa potrebbe trovarsi nelle stanze nel cuore della
notte.» Kama spostò lo sguardo sull’armadio dove
teneva le sue armi.
«Ottimista se pensa che Clare riveli ogni suo segreto.» Chariot si sedette.
Kama fece un paio di passì verso la branda. «Ogni cosa che
conosciamo è una minaccia a cui possiamo prepararci.»
Chariot chiuse gli occhi per riflettere. Annuì qualche istante dopo. «Ok.»
Kama fece un cenno d’assenso. Con una lentezza quasi rituale si rimise seduta sul letto.
Chariot rimase a fissarla. “Vederla così a pezzi è frustrante.”
«Ehi, non per fare la televendita ma...» si alzò
dalla sedia e fece per alzare la mano verso Kama, quando si rese conto
che qualche settimana prima aveva premuto il grilletto che
l’aveva messa in quella situazione, la appoggiò allo
schienale. «Kaho è piuttosto brava con le questioni
relazionali. Ti potrebbe essere utile ad elaborare questa
situazione?» ipotizzò.
Kama chiuse gli occhi, il suo petto si gonfiò d’aria.
«Saprò occuparmi di questa faccenda da sola, come ho
sempre fatto.»
Chariot fece una smorfia. «Sai, in cinque anni di distanza ho
capito che facciamo schifo in questa cosa, come specie.»
Kama le rifilò un’occhiata inquisitoria.
«Vuoi negarlo?» Insistette Chariot. «Guarda su cosa
è fondata sulla nostra società.» Sentiva che quelle
parole fossero anche un promemoria per se stessa.
“Avrei dovuto trascinare Kojo via anni fa.”
Diede un ultimo sguardo alla donna, poi aprì la porta.
«Pensaci, datti una possibilità di farti aiutare da
qualcuno.»
«Chariot.»
Sentitasi chiamare si fermò sull’uscio. «Hm?»
«...Ho protetto tua sorella come d’accordo. Ora proteggi Sumire per me.»
Chariot annuì con la testa, poi si richiuse la porta alle
spalle. Abbassò il capo. "Con la speranza che sarò un po'
più utile di uno scudo di carne"
Scese le scale con calma. In fondo alle scale vide Toshi che indicava
le porte visibili dall’atrio. Probabilmente le stava dando
informazioni sulle stanze della casa. Passò dritta in mezzo ai
due, facendo un cenno con la mano mentre sentiva le voci dei due
salutarla. “Oh. Giusto.”
Prima di passare oltre la porta notò uno svuotatasche
all’ingresso. Cacciò la mano nelle tasche del giubbotto e
ci posò sopra la gemma argentea a forma di stella.
«Ciò che è rimasto di Seira.» Non aspettò la risposta.
§§§
Sumire non sapeva perché Clare aveva aperto i laboratori alla
élite di Darkraria. Forse a causa dell’ultimo incidente,
Yaroi voleva essere messo al corrente di cosa faceva al suo interno sua
figlia, o forse cercare di nascondere qualcosa tra quattro mura quando
buona parte di esse erano distrutte sarebbe sembrato troppo sospetto.
Di una cosa era sicura: se Clare permetteva di vedere il risultato dei
suoi lavori, lei non avrebbe esitato a vedere cosa avesse a
disposizione sua cugina.
Clare era appoggiata con gli avambracci su ciò che rimaneva
della parete frontale, un sorrisetto divertito sul suo viso nel
guardare i vari membri dell’élite di fronte a lei che
esitavano a varcare l’ingresso del laboratorio.
«Sembrate tanti cani spaventati sapete?» disse canzonatoria.
Sumire strinse i pugni ed inspirò. Fece due passi verso
l’entrata diroccata. Affacciandosi vide solo qualche maceria
residua rimasta negli angoli delle mura semidistrutte, alcuni frammenti
di fogli bruciacchiati, e delle provette rotte. In effetti, forse non
stava cercando di nascondere perché non era rimasto nulla.
«Complimenti alla nostra principessa codarda per aver fatto il
primo passo!» Clare le fece un applauso, poi prese il bastone da
passeggio che aveva sostituito la stampella e si diresse al centro
della stanza.
Sumire si voltò alle sue spalle. Rexon aveva appena oltrepassato
la porta, si guardava intorno più rapidamente di come aveva
fatto lei. Che fosse agitato?
«Ebbene?» domandò fronteggiando Clare. Questa
batté il bastone un paio di volte sulle piastrelle, la polvere
su di esse tremò mentre una porzione del pavimento si spostava
di lato rivelando una scalinata.
Porse la mano verso la scalinata. «Dopo di voi.»
Rexon si portò davanti ad essa, fissando sospettoso Clare mentre
scendeva i gradini. Sumire strinse i pugni per farsi forza e
seguì il ragazzo per la discesa.
Quando l’ultimo darkrariano raggiunse il terreno irregolare,
Clare richiuse dietro di sé il passaggio e si fece strada
appoggiando la mano alla spalla di ogni persona. «Mi aspettavo
più curiosi.» Mormorò recuperando la testa del
gruppo.
Una serie di cunicoli scavati nella terra formava un sistema di
gallerie. Sumire non si sarebbe sorpresa se avesse scoperto
accidentalmente un tunnel che portava direttamente fino al palazzo.
«Ci si perde facilmente qui, vi consiglio di seguirmi,» disse Clare prima di fare una risatina acuta.
Sumire accelerò il passo. Non aveva idea di cosa poteva esserci
dentro quel luogo, e rimanere da sola sembrava fin troppo pericoloso.
Mentre seguiva Clare, un bagliore dall’alto la sorprese e la
obbligò a chiudere gli occhi. Alzò lo sguardo, la luce
filtrava da quello che era un buco del diametro di due metri.
«L’esperimento uscito dal laboratorio ha causato molti
danni, ma vi assicuro che non era il progetto migliore che sono
riuscita a creare.»
Sumire rimase a fissare la voragine lasciata dalla creatura.
Deglutì al pensiero di cosa aveva dovuto passare Kagami quando
lo aveva affrontato.
«Passo, tenete il passo,» canticchiò Clare.
Incredibile come fosse rapida nonostante l’andatura zoppicante.
Clare fece un mezzo inchino mentre presentava con la mano la sala che
faceva da laboratorio. Presentava pochi elementi. Attaccata alla parete
alla sinistra dell’entrata vi era una scrivania con sopra diverse
fiale, appunti scritti e sparsi, e diversi oggetti colorati
difficilmente riconoscibili dalla distanza. Nella parete opposta
all’entrata vi erano un enorme cilindro di vetro pieno di una
sostanza liquida e rossastra ed un’altra struttura accanto
coperta con un telo, possibilmente un secondo cilindro. Tra la parete
opposta e quella alla destra dell’entrata vi era una piccola
cella, subito accanto uno specchio da parete.
Sumire mosse i primi passi. Se i cilindri di vetro avessero attirato
inizialmente la sua attenzione, avvicinandosi posò lo sguardo
sugli oggetti colorati sulla scrivania. Erano di forme, dimensioni e
colori diversi, ma tutti avevano due cose in comune: erano fatti di
cristallo ed erano appuntiti. Ne sfiorò uno con la mano, una
sensazione di formicolio gliela fece ritrarre di scatto.
Spostò lo sguardo verso Clare, intenta ad incitare gli altri ad entrare ed esplorare.
“Un momento senza di lei.” Istintivamente ne prese uno e lo
infilò nella tasca dell’abito. Rimise la mano sulla
scrivania, iniziando a spostare lievemente le pergamene di appunti.
“Che calligrafia terribile.”
«Cercate qualcosa?» Sumire trasalì quando si sentì toccare le spalle.
Si voltò di scatto per incontrare il viso di Rexon. Fece un passo indietro, la schiena premette contro la scrivania.
«No nulla.» disse elusiva, abbassò lo sguardo sui
cristalli, tentò di avvicinare una mano, chiuse gli occhi e si
rilassò. Si concentrò sul cristallo su cui aveva steso la
mano, rimase in attesa di percepire qualcosa.
“Nulla.” Chiuse la mano di scatto. “Il cilindro di
vetro è per il contenimento, ma non vi è nulla al suo
interno. I cristalli non sembrano avere proprietà magiche vere e
proprie, e gli appunti sono illeggibili.” Guardò verso
Clare, intenta ad osservare con fare compiaciuto gli altri membri
d’élite girare per la stanza.
«Ebbene?» chiese facendo un passo avanti.
Clare spalancò gli occhi, si mise la mano al petto. «Due
prese di coraggio nella stessa giornata? Attenzione, potresti uccidermi
così.»
Clare ridacchiò mentre si avvicinava a Sumire. «Potremmo
dire che la cosa più interessante oltre che la più
appariscente è proprio qui.»
Sumire la guardò allungare la mano verso uno dei cristalli. Clare se lo rigirò tra le mani con fare divertito.
«Sei pallida cugina.» disse prima di piantarsi il cristallo
nel palmo della mano, da esso il cristallo si estese coprendola dello
stesso materiale, non uscì nemmeno una goccia di sangue, alla
fine si era formato un guanto dall’aria rudimentale.
«Si è ancora un po’ rozzo.» disse aprendo e
richiudendo le dita «Tuttavia...» Clare mosse la mano a
palmo aperto una parete libera, durante il movimento il cristallo
iniziò a ed emettere una luce tiepida. Essa si staccò dal
guanto per essere scagliata come un’onda di energia che
creò una voragine scavata nel muro.
Sumire s’irrigidì. La potenza di quel colpo avrebbe ucciso
chiunque, e da come il guanto lampeggiava ai movimenti della mano di
Clare, era pronta a scommettere che avrebbe potuto sparare una raffica
di quelle onde d’energia senza troppo sforzo. Scoprì di
star tremando, deglutì e strinse i pugni per calmarsi.
«Ha controindicazioni?» Domandò verso Clare.
«Nulla di davvero importante.» disse attorcigliando una ciocca tra le dita della mano priva di cristallo.
«Se vuoi far usare queste armi ai nostri soldati tutto è importante.»
Clare squadrò con espressione seccata Sumire. «Questo coraggio di oggi è davvero fastidioso, lo sai?»
«Ma in fondo ha ragione,» disse Rexon appoggiando una mano
sulla spalla di Sumire per poi ritirarla di scatto. «Queste armi
le avete create per rendere più forti i nostri soldati, sarebbe
disdicevole che per qualche motivo portassero alla loro rovina
invece.»
Sumire si sentì sollevata nell’avere qualcuno dalla
propria parte, dall’altra ricordava di come si era liberato
improvvisamente un posto nel consiglio dopo che i resti di un membro
spesso in contrasto con Clare erano stati ritrovati in una delle stalle.
“Non metterti in pericolo per me, ti prego.” Pensò
mentre fronteggiava Clare, la quale era in cerca di qualcuno che non
avesse un’espressione preoccupata rivolta verso di lei.
Sbuffò seccata. «Se volete agitarvi per nulla
d’accordo.» Mise le mani sulla scrivania e si sedette sopra.
Clare alzò la mano ancora avvolta dal cristallo, il quale presentava alcune crepe profonde.
«Non sono ancora in grado di stabilizzarli.» Il cristallo
si spaccò da solo, i frammenti giallognoli caddero a terra come
una cascata e persero il loro colore. «I cristalli non sono
compatibili con tutti i soggetti, gli effetti collaterali sono stati
vari, anche se principalmente c’è la sola rottura del
cristallo,» Rigirò la mano per mostrarla, non vi era
nemmeno lo squarcio prodotto dal pugnale sul guanto. «Senza
lasciare segni.»
«In altre una persona viene trasformata in una sorta di drago incontrollabile.» La interruppe Rexon.
Clare alzò le spalle con espressione sfacciata. «I rischi dell’ignoto, hihihi.»
Sumire deglutì, mise le mani tremanti davanti la pancia.
«Quindi non sapresti prevedere le conseguenze della fusione con
il cristallo.»
Clare alzò un dito e tese la mano verso Sumire. «Per ora.
Ma,» Saltò scese con un saltello dalla scrivania,
«So bene che sotto quelle spille da membri d’élite
ce solo una massa di codardi, quindi avevo già ipotizzato un
altro uso di questo materiale,» inclinò la testa per
guardare verso l’entrata. «Non è vero, Kagami?»
I presenti si voltarono verso la ragazzina che stava passando in mezzo
a loro imbracciando un fucile a retrocarica di cristallo bianco.
Clare allungò la mano verso il fucile e lo prese dalle mani di
Kagami. «Il materiale che sto studiando è complesso, ma le
sue proprietà di adattamento lo rendono tanto imprevedibile
quanto prezioso.» Clare puntò nuovamente verso la voragine
che aveva creato. «È possibile usarlo per armi bianche o
da fuoco.» Clare premette il grilletto, uno scoppio leggero, un
lampo schizzò lungo la stanza, al centro della voragine era
stato scavato un cratere più piccolo, del diametro di qualche
centimetro.
«Per quando avrò completato le ricerche, potranno fare ben
altro,» Clare alzò l’arma verso il soffitto, Sumire
notò che il cristallo dell’impugnatura si era allargato
fino a coprirle la mano.
«Come mai hai dato in mano un’arma sperimentale del genere
ad un soldato che un tempo non era altro che una schiava?» Rexon
fece un passo avanti, diede un rapido sguardo verso l ragazzina.
«Senza offesa, generale Kagami.»
Clare appoggiò la canna dell’arma sotto il mento ed
iniziò a camminare per la stanza. «Vedi, il cristallo ha
un requisito che lui stesso impone, è come se fosse materia
viva. È lui a decidere se si è compatibili o meno, per
quel che riguarda me...» Piegò il polso e avvicinò
l’arto con l’arma attaccata, piccole crepe stavano
iniziando a formarsi sul cristallo che avvolgeva il polso.
«...Sono solo parzialmente compatibile, ma Kagami, oh...
Kagami.» fece un movimento con la mano, il cristallo del polso si
spaccò comportandosi come quello del primo
“esempio”, l’arma fece una parabola stretta prima di
essere preso al volo da Kagami. Le piccole crepe che si erano formate
nel calcio dell’arma si erano richiuse come se non fossero mai
esistite. «Lei è perfettamente compatibile.»
Clare si avvicinò saltellando alla ragazzina, prima di metterle le mani sulle spalle. Kagami s’irrigidì.
«Posso solo ipotizzare che il cristallo ricerchi qualcosa nei
soggetti che entrano in contatto con lui. Occorrono test, e
volontari.» Clare carezzò le spalle della ragazzina e
guardò Sumire. «...Vorreste mettervi alla prova?»
Sumire guardò alle sue spalle. Gli altri sembravano in parte
spaventati, in parte desiderosi di mettere le mani su quei cristalli.
Tossicchiò.
«A tempo debito,» si voltò verso gli altri,
soffermando lo sguardo su Rexon. «Come ha detto Clare, non
è ancora in grado di stabilizzare questa nuova scoperta.»
Si voltò verso la cugina. «Ma confidiamo che non ci
deluderai.»
Lo sguardo di sfida di Clare non tardò ad arrivare accompagnato
da un sorriso. «Farò tutto ciò che è in mio
potere per donare ad ogni darkrariano il potere che merita.»
Distaccò lo sguardo da Sumire per un istante. «Potete
andare. Kagami mostragli l’uscita, vorrei... rassicurare la
principessa.»
Kagami annuì, si staccò rapidamente da lei e si diresse
verso la porta con le mani strette sul fucile, seguita dai presenti.
Rexon chiuse la fila, diede un ultimo sguardo a Sumire, poi
lasciò la stanza.
Note di Mixxo:
Questo capitolo è stato più difficile del solito da
produrre, probabilmente si "sentirà" durante la lettura, non
saprei nemmeno dire qual è stata la causa specifica. Le feste in
mezzo o la salute altalenante forse.
Spero di essere più rapido a darvi il prossimo capitolo,
soprattutto perché abbiamo finito l'arco "introduttivo". In un
modo o nell'altro i protagonisti di questa storia sono stati presentati
e non vedo l'ora di poterla mettere in moto come si deve.
Alla prossima!
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