Cronache di una strana collaborazione

di Aky ivanov
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il post intervista ***
Capitolo 2: *** La stesura del piano ***
Capitolo 3: *** L’indaffarata giornata di Kaito Kuroba ***



Capitolo 1
*** Il post intervista ***


~ Cronache di una strana collaborazione ~

Il post intervista

 

 

 

La portafinestra scorrevole slittò lungo le guide.

Passi cadenzati la oltrepassarono diretti sulla terrazza della villa, dita serrate attorno alla tazza di tè fumante abbinata al piattino decorato a motivi floreali.

Il quartiere immerso nel profondo buio della notte era scandagliato esclusivamente dalle luci di qualche abitazione distante, il silenzio dominava nell’intera area circostante.

L’estrosa casa del dottor Agasa riversava nel medesimo stato d’immobilità, tutto era spento proprio per sottolineare il sonno ristoratore degli inquilini. Il Dottor Agasa stesso dopo una lunga lotta era stato obbligato da Ai ad abbandonare i prototipi di una qualche invenzione per un sonno obbligato dopo le ventitré.

Yusaku mescolò la sua miscela fumante comodamente poggiato al parapetto dell’abitazione, i pensieri rivolti alla particolare situazione del figlio. Da quando era rientrato quasi in pianta stabile in Giappone, in seguito agli eventi della gita scolastica, aveva potuto constatare in prima persona quanto stessero precipitando velocemente le cose.

L’intrusione di Amuro in casa sua (1) ne era stata la prova, il suo soggiorno in patria aveva attirato l’attenzione.

Il ragazzo dei servizi segreti era stato chiaro al riguardo, lo aveva messo in guardia dall’organizzazione e dalle prossime mosse che avevano in programma.

«Le consiglio di star attento, Rum non ha visto di buon occhio la sua permanenza in Giappone. Lo sa che è il padre di Shinichi, un ragazzo che stando a quanto dichiarato dovrebbe essere morto ma continua a far notizia come se fosse vivo e vegeto. Pensa che lei possa essere pericoloso ed è pronto a fare la sua mossa, si guardi le spalle»

Il tintinnio dell’acciaio contro la ceramica accompagnò quei ricordi e non solo, le chiome dell’albero difronte frusciarono e un paio di foglie volarono via trascinate dal leggero vento serale.

Un sorriso consapevole arricciò le labbra dell’uomo baffuto il cui sguardo restò ancora proiettato sulla tazzina.

«Sei stato veloce»

«Le dispiace?»

«No, ne sono lieto»

«Anziché comprare un suo libro ho pensato di mostrarle “la bella copia” del suo Night Baron come ringraziamento»

«Oh, un pensiero lusinghiero, è proprio vero quello che si dice sul tuo conto Kaitō Kid»

«Potrei dire lo stesso, Kudo-san» la fila di denti bianchi quanto il vestito fu messa in mostra nel ghigno insolente illuminato dalla luce spettrale della luna.

Yusaku si decise a sollevare l’attenzione sul nuovo arrivato alla vocina cantilenante, in piedi sul ramo sporgente ed in perfetto equilibrio il ladro non sembrava minimamente curarsi dell’altezza sopraelevata. Gli occhi erano oscurati dalla falda del cappello ed anche se non poteva vederli era certo fossero puntati su di lui.

Sembra quello originale.

«Vorrei poter dire che è un piacere rivederti ma ahimè, credo non sarebbe giusto…» la frase volutamente lasciata in sospeso, in attesa di una reazione che non arrivò mai.

«Io invece non trovo giusta la sua scortesia» il ghigno ampliato in netto contrasto con il tono sconsolato, rammaricato al punto da sembrare reale.

«Come prego?» la domanda lasciò trasparire tutta la confusione per quella particolare affermazione.

«Sono venuto qui per ringraziarla di persona e lei mi nasconde un ospite segreto nell’ombra? Lo trovo oltremodo offensivo»

Yusaku dapprima dilatò le pupille sbigottito per poi scoppiare in una sonora risata, l’indice mosso nell’aria verso un angolo della terrazza.

«Avrei dovuto aspettarmelo da te, le mie più sincere scuse» l’uomo si profuse in un inchino accennato con la schiena continuando in un misto fra divertimento e rassegnazione «Subaru-san, è inutile ingannarlo ti ha già scoperto»

L’uomo uscì dal suo oscuro nascondiglio da dietro il pilastro guardando con occhi penetranti il ladro tanto da fargli correre un brivido su per la schiena. La prima impressione di Kaito fu quella di mantenere le dovute distanze, il suo sesto senso gli diceva di preservare un certo spazio di sicurezza fra loro, quella non era una persona normale.

L’aveva visto il modulatore vocale attorno al suo collo nel furto della fantomatica “scatola magica” della signora Kimika Tomoyose (2), di certo non era un accessorio che una qualunque persona avrebbe indossato tutti i giorni ed il principio restava lo stesso del papillon del nanerottolo guastafeste.

I passi lenti e ben cadenzati di Subaru si fermarono accanto allo scrittore, l’espressione lasciata indecifrabile quando si rese conto di essere scrutato con attenzione dall’uomo in abito bianco. L’intenzione era stata solo quella di origliare la conversazione come stabilito con Yusaku, era certo di non aver fatto alcun rumore dopo essersi posizionato volutamente lì molto tempo prima che Yusaku uscisse. Era stato osservato a sua volta e non se ne era accorto, oppure l’ospite aveva un radar troppo sensibile?

«Kudo-san, da questa gentile accoglienza deduco che non mi abbia aspettato qui sopra per ricevere solo dei ringraziamenti, ciò mi fa anche pensare che l’avermi scagionato dalle false accuse sia stata una scelta ben studiata e non casuale» non trasparì alcun dispiacere da quelle parole piuttosto una certa dose di certezza, quasi si trattasse di un evento ricorrente «Capisco da chi ha preso suo figlio»

Yusaku si umettò le labbra sempre più soddisfatto, ora più che mai era certo di aver preso la giusta decisione.

«Dopo queste tue parole mi chiedo perché tu segua la via criminale anziché del detective, potresti avere un brillante futuro»

«La ringrazio per le lusinghe ma passo più che volentieri, considero i detective troppo seri e oltremodo noiosi. Ovunque vadano si imbattono in cadaveri, sono circondati dalla morte peggio di uno shinigami, il pensiero di una vita del genere mi dà i brividi» la mano guantata oscillò nell’aria sulla destra e allo schicco delle dita una carta recante l’asso di picche con una kappa incisa sul seme apparve dal nulla, ruotata repentinamente verso il suo pubblico «Preferisco circondarmi di persone vive e vegete, col sorriso sulle labbra e l’espressione estasiata davanti i miei trucchi magici…ha mai visto la felicità di un bambino quando guarda uno spettacolo di magia? Quello è esattamente ciò che cerco, già è difficile accettare la reticenza di chi deve per forza scovare l’inganno, avere a che fare giornalmente con coloro che non hanno un briciolo di immaginazione, come i detective, sarebbe sfiancante persino per me»

Le dita scattarono fulminee, la carta venne scagliata verso il pavimento della terrazza, lì verso l’intercapedine delle piastrelle dove non giunse mai a incastrarsi. L’uomo dai capelli rosati l’aveva bloccata al volo ed ora la rigirava nella mano con un interesse tutto suo, uno degli occhi verdi ben in mostra.

Kaito non batté ciglio, il test era andato a buon fine, aspettava proprio di conoscere le abilità di quell’individuo.

«Così sei tu ad offendere me, mi diletto sì come detective ma resto comunque uno scrittore, la fantasia è il mio cavallo di battaglia» l’altro uomo, incurante e consapevole di quello scambio silenzioso di occhiate, si portò una mano al mento con atteggiamento riflessivo e il tono allusivo «Hai mostrato tutto il tuo disappunto per la vita dei detective circondati dalla morte e poi cosa fai? Lanci una carta il cui simbolo indica un cuore infilzato da una spada, segno inequivocabile di morte e sofferenza. Nelle diverse lingue occidentali l’etimologia di quel particolare seme fa riferimento proprio ad un’arma, dal latino spatha al francese pique»

«I miei complimenti per la sua cultura, deve essere una dote di famiglia» il sorriso di Kaito se possibile si ampliò ulteriormente accompagnato dal suono ovattato delle mani battute, non premurandosi nemmeno per un attimo di celare la nota canzonatoria «Ma, lo vede? È fermo ai preconcetti, radicato in quegli assiomi che ci vengono propinati da secoli, senza un briciolo di fantasia. Mi sta dicendo che ho utilizzato una carta che simboleggia una spada, una picca? Nah, io ci vedo una foglia come quelle che il vento sta facendo librare qui intorno, lo immagino tinto di rosa come il petalo di un fiore di ciliegio, ci vedo la fogliolina di un quadrifoglio. Se non è quest’ultima rarità della natura simbolo di fortuna, cos’altro può esserlo?»

Le braccia spalancate al termine dell’accorata difesa, il mantello svolazzante per l’impeto dell’azione e la falda del cilindro leggermente scostata per eliminare le ombre e rendere più chiaro tutto il suo divertimento. Yusaku sollevò le braccia in segno di resa manifestando il medesimo sentimento, quel ragazzo era così simile a Shinichi quanto estremamente diverso, lui proprio non riusciva ad immaginarsi il figlio dire una cosa del genere.

«Certo che ne hai di fantasia» proruppe atono Akai rispedendo al mittente il sottile oggetto anche questa volta afferrato prontamente, il pugno serrato intorno ad esso che una volta riaperto non mostrò più la carta ma un cumulo di coriandoli rosa lasciati liberi nell’aria, simili a petali di ciliegio. L’agente dell’FBI non poté far a meno di lasciarsi sfuggire un sorrisetto ironico.

«La ringrazio per il complimento Subaru-san»

Akai ebbe l’impressione che il ladruncolo provasse un certo sadico piacere nel chiamarlo con quel nome, doveva aver capito si trattasse di una mera copertura e lui sperava davvero che lo scrittore di fama mondiale sapesse in che situazione si stava infilando. Avrebbe impiegato pochissimo a bloccarlo con una presa di Jeet Kune Do ponendo fine ai drammi che la polizia e le agenzie internazionali vivevano da anni, ma non poteva farlo.

Scambiò in tralice un’occhiata con l’uomo perfettamente a suo agio accanto lui capendo fin troppo bene che la sua cattura era ben lontana dal potersi realizzare.

«Sono felice che abbiate avuto modo di far conoscenza, perché vorrei tornare al vero motivo per cui ho fatto in modo venissi qui» la dichiarazione seriosa di Yusaku non stupì minimamente il suo interlocutore che lo invitò a proseguire con la mano, un tenue colpo di tosse e il discorso riprese «Ci serve il tuo aiuto»

Le ultime parole sembrarono però colpire la facciata saccente, la testa del mago si inclinò con fare confuso.

«Il mio aiuto?» ripeté l’altro più a sé stesso che ai suoi ascoltatori, il sorriso nuovamente in mostra «Kudo-san, lei sa che sta chiedendo aiuto a un malfattore? Non è mai una buona cosa varcare la linea di confine tra il mondo dei giusti e quello dei ricercati, soprattutto non è carino aiutare qualcuno per poi chiedere di ricambiare, è un vizio di famiglia anche questo?»

«Non fraintendermi, ho aiutato volentieri l’ispettore Nakamori e questo favore che ti sto chiedendo non centra nulla con quel caso, ho solo colto la palla al balzo durante l’intervista, non è facile mettersi in contatto con te…ho ideato sul momento questo escamotage»

Kaito restò a scrutarlo in silenzio, non era difficile per lui credere a quella versione dei fatti ma aveva la netta sensazione ci fosse qualcosa fuori posto oltre alla notte fin troppo silenziosa. Il padre del suo rivale detective era stato fin troppo diretto nel chiedergli aiuto, proprio a lui, con tutte le conoscenze della polizia disseminate in giro per il mondo aveva preferito abbassarsi a chiedere aiuto ad un ladro. Qualcosa non quadrava, c’era un risvolto nascosto nella faccenda se non voleva fossero coinvolti degli ufficiali e a Kaito la direzione di quei pensieri non piaceva per nulla, la lampadina della comprensione si era accesa.

«Mi dica, la sua richiesta ha a che fare con il prodigioso ringiovanimento di suo figlio?» domandò apatico riducendo le labbra a una linea piatta, non mancando di cogliere il leggero scatto del sopracciglio dell’uomo più giovane «C’entrano ancora quegli strani individui con il nome in codice di alcolici?»

«Esattamente, sei perspicace ragazzo. Ti sto chiedendo aiuto proprio in vista di una loro prossima visita, in un ricambio di favori» di pari passo anche Yusaku abbandonò il precedente tono giovale per uno molto più pratico, era il tempo di concentrarsi sulle questioni veramente importanti.

Kaito storse impercettibilmente gli angoli della bocca, alle volte odiava davvero avere ragione.

L’angusto spazio del vagone merci e il puzzo della polvere da sparo non li aveva ancora dimenticati, quella volta c’era mancato veramente poco al rimetterci la pelle. L’aveva salvato la sua capacità di improvvisazione unita all’ossessione dei piani di riserva, il finto marmocchio l’aveva incastrato in extremis e non ci teneva poi molto a ripetere l’esperienza.

«Perdoni la mia reticenza Kudo-san, ma credo di star vivendo un déjà-vu non molto di mio gradimento e lei dovrebbe esserne consapevole. Shinichi ha usato la stessa tattica dello scambio di favori per coinvolgermi nei suoi piani sul Mistery Train (3), d’altronde tale padre, tale figlio. Lei comprenderà bene le mie ragioni se le dicessi che la conoscenza ravvicinata con il C-4 mi è bastata in quell’occasione e non intendo ripetere l’esperienza» parlò autorevolmente tutto d’un fiato, inchiodato sul ramo senza muovere altro muscolo al di fuori di quelli facciali che avevano perso definitivamente ogni barlume di gioia «In più, lei ha detto che questo scambio non è collegato agli eventi recenti da cui ha scagionato il mio nome ma io non ho alcun debito in sospeso con suo figlio, proprio a detta sua abbiamo pareggiato i conti anche se io continuo a credere che sia proprio lui a dovermi ancora qualcosa. Una morte scampata non credo possa essere paragonata ad un “ti lascio andare via” dopo una rapina, soprattutto per il poco tatto mostrato nei miei confronti con quei palloni elettrostatici»

Kaito terminò il suo sproloquio ritrovandosi a corto di fiato, si era lasciato trasportare più del dovuto dalla rabbia che il ricordo gli aveva scatenato anche se apparentemente era riuscito a mascherarla. Lui aveva i suoi problemi, non poteva accollarsi anche quelli altrui.

Lo pensava davvero?

Ovviamente no.

Se li era già accollati su quel treno i loro problemi e se gli fosse stato possibile tornare indietro nel tempo con la conoscenza odierna, la sua scelta non sarebbe cambiata. Quella pazzia l’avrebbe rifatta, si sarebbe travestito nuovamente da quella ragazza per salvarle la vita perché lui era fatto così. Allo stesso tempo però, aveva compreso che quelle persone fossero più pericolose di Snake, molto più vicine alla personalità oscura di Spider e voleva avere una conoscenza più ampia di questi avversari vestiti in nero prima di affrontarli di nuovo.

«Le avevo detto che non avrebbe accettato, a modo suo è intelligente questo fantomatico ladro internazionale» la voce di Akai ruppe il silenzio, le suole delle pantofole strusciarono portandolo più vicino al bordo dove i gomiti poggiati al tubolare in ferro battuto gli diedero la spinta necessaria per sporgersi lievemente verso il ladro ancora troppo lontano «Peccato tu sia in una posizione sfavorevole Kaitō Kid»

Kaito assottigliò lo sguardo in allerta, la provocazione non gli era piaciuta, andare lì era stata una grande sciocchezza. L’uomo apparentemente aveva un aspetto rassicurante ma lui era il primo a giocare sulle apparenze, sapeva quanto dietro l’aspetto più innocuo si celassero le persone più pericolose.

«Ho controllato l’intero giardino e le abitazioni vicine prima di venire qui proprio per evitare spiacevoli sorprese, non c’è nessun altro a parte noi» la voce di Kaito restò stabile incurante dei mille pensieri che gli vorticavano nella testa ed Akai si ritrovò un minimo ad ammirare quella strana figura dal sangue freddo, iniziava a capire le ragioni dello scrittore «Se si aspettava di incutermi timore con una minaccia numerica, mi spiace ma ha sbagliato bersaglio Subaru-San»

«Sei fuori strada, non serve una squadra speciale per metterti alle strette, al nostro breve incontro è bastato bloccarti una porta del bagno o sbaglio?»

«Vada a dirlo all’ispettore Nakamori, sono sicuro apprezzerà il suo pensiero. Per quanto riguarda il nostro incontro le ricordo che sono riuscito ugualmente a fuggire e le ho anche concesso di continuare la sua vita segreta qualunque essa fosse cedendole la foto incriminata, gradirei lei mi lasciasse fare altrettanto con la mia» terminata la frase Kaito sollevò un lembo del mantello dando le spalle al duo dopo essere arretrato di qualche passo, proseguendo senza mai perderli di vista con la coda dell’occhio «Se non c’è altro, io toglierei il disturbo»

«Kudo-san, non crede sia giunto il momento di doverglielo dire?»

Kaito restò impuntato con i piedi nel legno divenuto della medesima consistenza, lo strano uomo dal marchingegno sul collo trasudava troppa spavalderia e per un attimo gli ricordò il detective londinese con le sue perenni accuse mattutine, mostravano la stessa dose di sicurezza. Certezza di cosa? Non stavano provando a catturarlo, nemmeno avevano mostrato tale iniziativa da quando era giunto, anzi, gli avevano chiesto aiuto.

L’intoppo stava nel mezzo, nonostante tali osservazioni loro sembravano comunque un passo avanti e la cosa non gli piaceva per nulla.

Tornò a voltarsi verso l’interpellato che rimasto in silenzio fino a quel momento si limitò a mettere una mano in tasca per estrarne un cellulare touch dalla scocca blu, un modello senz’altro familiare, ricordava perfettamente quale fosse.

Subaru continuò a fissare lui con quel particolare taglio degli occhi senza degnare della minima attenzione l’oggetto.

«Quello è il cellulare usa e getta che ho usato per la rapina della “Luna Memoria” appartenente alla signora Kimika Tomoyose» incrociò le braccia al petto reclinandosi da un lato, il peso bilanciato dalle gambe per non cadere «Gliel’ho lasciato io per cancellare la foto Subaru-san, cosa c’entra ora?»

«Tutto e niente, sai puoi anche aver eliminato quei pochi dati personali e rimosso la sim prima di darmelo ma la tecnologia di questi tempi fa miracoli» l’uomo sogghignò divertito poggiando la testa sul palmo «Con le giuste attrezzature si possono scoprire cose davvero interessanti»

Kaito si accorse dopo qualche secondo di aver smesso completamente di respirare, ispirò lentamente maledicendo l’effetto sorpresa che aveva inevitabilmente fatto saltare il suo poker face. I suoi occhi dovevano essersi sbarrati a giudicare dal crescente divertimento del tizio davanti a lui.

«Suvvia Subaru-san, se lo attacchiamo così non ne caveremo sicuro nulla di buono»

Poco badò alle parole del padre di Shinichi, troppo preso dal suo scanner mentale che ripercorreva le mosse del giorno in questione. Era stato certo di non poter lasciare tracce, altrimenti nemmeno per l’anticamera del cervello gli sarebbe passata l’idea di abbandonarlo lì. Il folle scienziato amico del piccoletto non aveva le attrezzature o le giuste conoscenze per ricavare qualcosa da quel pezzo di ferraglia, per lo meno ne era stato sicuro fino a due secondi prima. Ora invece, tutto il sistema di certezze era crollato con quella rivelazione perché significava che avevano conoscenze più potenti di quelle che sospettava.

Era un bluff? Volevano farlo cadere in trappola usando il cellulare come scusa?

Non che vi fossero dati particolarmente sensibili lì dentro pure tentando di recuperarli, oltre alle foto di quelli presi di mira per un possibile travestimento sarebbero saltate fuori quelle di qualche marchingegno del sistema di sicurezza o di qualche pietra preziosa che aveva cercato nell’attesa. Se era così importante non divulgare quella fotografia sicuramente non si erano rivolti alla polizia per farlo analizzare, dovevano avere delle conoscenze interne molto particolari perché l’unica cosa che poteva veramente danneggiarlo era il gps.

Stupido non era, l’aveva acceso ben lontano da casa sua ma tutti gli spostamenti di quel giorno erano stati registrati e potevano dare un’idea del suo modus operandi, oltre al fatto che se veramente avevano a disposizione degli informatici d’avanguardia disponibili a qualunque ora e li avevano usati quella stessa sera, potevano aver rintracciato la posizione dell’altra falsa sim, quella di Jii. A causa della perseveranza di Nakamori era riuscito ad andare via dalla struttura soltanto il giorno dopo ed era proprio quell’ultimo punto a preoccuparlo, non sapeva quando Jii si fosse disfatto della scheda.

Cosa era stato recuperato da quel dannato cellulare?

«Kudo-san, vedo che è tornato ai ricatti» sentenziò acido non celando il suo malumore, lui poteva anche finire nei guai ma nel mirino il suo collaboratore non doveva entrare.

Yusaku si ritrovò a sospirare mestamente, l’aveva avvisato Akai che utilizzare quel sotterfugio e attaccarlo in maniera diretta non avrebbero portato altro senonché la guardia del ladro ulteriormente alzata, non si sarebbero conquistati la collaborazione in quel modo. In più, nonostante l’impellente necessità di avere quell’aiuto non voleva davvero obbligare nessuno a prender parte ad una missione rischiosa, tantomeno il figlio di Toichi (4).

«Non fraintendermi ragazzo, non voglio ricattare nessuno ma solo giungere ad un accordo» la tazzina sollevata per assaporare il liquido ambrato ormai tiepido, nell’intento di trasmettere l’idea di una conversazione più conviviale «Io ti restituisco il telefono che non abbiamo ancora analizzato, tu ci aiuti per quest’ultima volta ma sia ben chiaro che non ti sto costringendo. Sei libero di rifiutare, però vorrei lo facessi dopo aver ascoltato e valutato il piano nella sua interezza»

«Anche se non sono obbligato ad aiutarla e quindi decidessi di rifiutare, lei comunque terrebbe il cellulare» ribatté sarcastico il ladro spingendosi fino alla punta del ramo, se volevano intimorirlo con quella storia potevano farsi avanti ma non gli avrebbe lasciato la porta spalancata. Se il tipo dai capelli rosa pensava di poter essere l’unico a permettersi atteggiamenti sfacciati gli avrebbe mostrato quanto si sbagliava.

«No, serviva solo a trattenerti qui per ascoltarci» rispose tranquillo Yusaku lanciando improvvisamente il cellulare verso Kaito che colto alla sprovvista riuscì a prenderlo per un pelo, accovacciato nella sua posizione a tre metri di distanza da Akai «Se non ti fidi controllalo pure, è il tuo»

Kaito restò ad osservare silenziosamente l’uomo non accennando il minimo movimento, volevano farlo concentrare sul dispositivo per fargli abbassare la guardia?

Yusaku tranquillamente continuò a sorseggiare la sua bevanda incurante dello sguardo fisso e anche l’altro dopo alcuni secondi retrocesse di qualche passo piuttosto interessato a osservare il cielo sovrastante, dovevano aver intercettato la sua diffidenza. Non completamente convinto rigirò il cellulare tra le mani continuando a restare all’erta, la cover posteriore aperta e il vano batteria smontato insieme a tutti gli altri elementi facilmente rimovibili grazie al piccolo cacciavite che portava nel polsino della camicia.

Sollevò infine la scheda madre analizzandone ogni chip fino ad individuare ed appurare la presenza di due piccoli graffi in un angolo, la sua firma proprio per queste evenienze.

Il telefono era quello originale.

«Soddisfatto della tua indagine?» domandò altezzoso Subaru sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso.

«In parte, non è esclusa la possibilità che abbiate già analizzato il contenuto e ora stiate reggendo la farsa» il sorrisetto strafottente tornò a far capolino, un briciolo della sicurezza precedente ritrovato, dopotutto un prestigiatore la faccia da poker doveva sempre mantenerla.

Akai soppesò il pacchetto di sigarette nei pantaloni sempre più desideroso di fumarne una, il maghetto era davvero un osso duro da convincere. Non che si fosse aspettato diversamente ma più ci parlava più era certo che della stoffa del criminale aveva probabilmente solo l’etichetta formale, oppure era lui troppo abituato ad avere a che fare con persone del calibro di Gin e ad aver abbassato i range di quantificazione per gli altri. Le persone con cui aveva si scontrava solitamente lui, sentendosi sottopressione, avrebbero già estratto una pistola.

«No, nessuno ha avuto modo di studiarlo da quando ce lo hai dato. Nessuna informazione è stata recuperata, di qualunque genere essa fosse» a prendere parola fu Yusaku, la speranza di convincerlo davvero dell’onestà di quanto detto, si era fatto in quattro per non farlo toccare nemmeno a Shinichi – non che suo figlio poi sembrasse interessato a catturare il ladro con quel trucchetto – voleva davvero lasciare sicura l’identità segreta agli occhi altrui «Ti do la mia parola ragazzo»

Kaito scrutò attentamente il volto dell’uomo alla ricerca della menzogna, era chiaro da quando avevano iniziato la conversazione e per come continuava a chiamarlo che lui sapesse bene di non star parlando al primo Kid. Dai racconti di sua mamma aveva intuito quanto lui e il padre fossero stati rivali in passato, doveva averla scoperta l’identità ad un certo punto e considerando che nessun altro a parte Hakuba era venuto ad additarlo come nuovo Kid, l’uomo quella conoscenza doveva essersela tenuta per sé.

Si fidava delle parole di Yusaku? Sì.

Si fidava dell’altro presente sulla terrazza? No.

«Considero fin troppo strana la sua avventatezza Kudo-san, eppure scrive libri gialli, in quanti di questi consegna la merce di scambio prima di aver stipulato l’accordo? Non ha paura di non rivederla più?» il cellulare roteò sull’indice teso alzato dinanzi al volto ghignante, svanendo in un battito di ciglia al quarto volteggio «Mi scusi, credo di essere affetto dalla cleptomania»

Se Subaru sembrò imprecare sottovoce guardando Yusaku come per comunicargli qualcosa, quest’ultimo inaspettatamente sorrise scrollando le spalle.

«Merce di scambio? Non so di cosa tu stia parlando, ho solo restituito un cellulare trovato in un bagno» il tono esageratamente sorpreso tanto da risultare inequivocabilmente falso, il sorriso accondiscende di chi sta parlando del tempo «Non c’è nessun ricatto in corso, ho solo chiesto un favore ad un amico»

Kaito celò la sua perplessità rialzandosi lentamente, la visiera calata ulteriormente sul volto ancora intriso della classica espressione sorniona mostrata durante i suoi show «Oh, comprendo perfettamente ma non posso fare a meno di chiedermi dove sia il trucco. Come farà ora ad esser certo che il suo presunto amico manterrà l’altra parte dell’accordo, ma soprattutto che deciderà di aiutarvi?»

«Non c’è nessun trucco, il mago tra i presenti non sono di certo io» altra scrollata di spalle scanzonata «Sono certo che ci aiuterai»

«Kudo-san, cosa le da questa estrema sicurezza?» il tono calato rispetto a quello precedentemente utilizzato, una nota rassegnata al fatto che fin troppe persone vedevano del buono in quello che alla fine dei conti restava apparentemente la figura di un ladro. Non gli dispiaceva ovviamente la cosa, lui prima di essere un criminale era un mago ma riteneva tale atteggiamento vagamente sbagliato.

«Perché lo hai già fatto in passato»

Kaito rizzò la testa esplicitamente interessato al resto, così come l’agente dell’FBI che fino a quel momento aveva ricevuto due parole in croce come spiegazione per quell’insana iniziativa.

«Anche se sono stato dall’altra parte del mondo Shinchi mi ha tenuto comunque informato sui casi in cui si imbatteva, compresi quelli in cui ha ricevuto il tuo aiuto. Se proprio vuoi un esempio posso citarti l’abitazione di Kichiemon Samizu dove hai salvato la vita a lui e i bambini restando con loro tutto il tempo senza che qualcuno te lo chiedesse oppure quando hai aiutato il signor Suzuki con la cassaforte nonostante tenti perennemente di catturarti»

«Un criminale dal cuore tenero» sentenziò l’agente ironicamente senza ricevere alcuna risposta dall’interessato di quella frecciatina divenuto nuovamente serio.

«Sai bene potrei continuare questa lista soprattutto se parliamo di aerei e a dirla tutta prima ti sei sbagliato, sul Mistery Train il “ricatto” di mio figlio è stata una sua tattica dell’ultimo minuto e mi scuso su come possa esserti sembrata ma il piano iniziale era quello di individuarti fra i passeggeri e chiedere il tuo aiuto. In realtà non ti ho ancora fatto i complimenti per la tua improvvisazione messa su in quel momento, hai mostrato davvero del talento»

«Quindi.. se io non avessi accettato, voi cosa avreste fatto?» domandò esterrefatto non volendo davvero conoscere la risposta, se era andata veramente in quel modo significava che si era fatto manipolare e anche se il fine era per una buona causa continuava a non accettarlo.

«Il problema non ce lo siamo minimamente posto. Non avevamo di certo previsto ci sarebbe stato un omicidio ma eravamo certi anche allora che la chiave fondamentale della nostra commedia inscenata, ossia tu, ci avresti aiutato dopo aver ascoltato la nostra richiesta» lo scrittore giocherellò con la tazzina ormai vuota guardando direttamente negli occhi il suo interlocutore «I maghi che ho conosciuto hanno questo vizio di essere fin troppo altruisti»

«Andiamo Kudo-san, non può davvero aver messo la vita di tutti voi a repentaglio convinto che io avessi accettato» la frase pronunciata bruscamente a voce più per autoconvincimento che per domande diretta «Lo ha detto anche lei, l’omicidio non era previsto, in un altro contesto non ci avrei guadagnato nulla nell’aiutarvi. Si fida così tanto dei ladri che incontra?»

«No, solo di te»

Ed eccola lì, quella conferma che Kaito non voleva, la prova di essere stato davvero il jolly introdotto in quell’assurda lotta.

Non poteva biasimare il pensiero dell’uomo, lui per primo sapeva benissimo che quelle parole erano vere. Se Shinichi fosse venuto a chiedergli aiuto senza porre alcuna condizione, lui si sarebbe messo a disposizione ugualmente. Prendere coscienza di quel fattore però lo portava inevitabilmente ad una conclusione: il suo poker face non aveva retto.

Quella maschera di impassibilità non doveva essere solo estetica, non doveva far capire proprio niente delle sue azioni o pensieri, invece Yusaku il suo punto debole l’aveva centrato, anche se per lui avere un cuore non era certo sintomo di debolezza.

«Mettiamola su un altro piano» Yusaku proseguì schiarendosi la voce, bloccando le future parole del mago con un gesto della mano e rivolgendosi a lui quasi stesse parlando al figlio «Avresti lasciato una persona in pericolo di vita ben sapendo che avresti potuto aiutarla?»

Akai ammise a sé stesso che un minimo di rimostranza se l’era aspettata, davanti a lui invece il ladro si era completamente zittito scattando sull’attenti come morso da un insetto. Non si era preoccupato nemmeno di non mostrare sconcerto, quello era stato fin troppo evidente nel sussulto e negli occhi sgranati parzialmente visibili. Yusaku sorprendentemente aveva fatto centro e per un attimo lui ebbe l’impressione che gli anni attribuiti dai fascicoli ufficiali a quel criminale fossero in realtà molti meno.

«Il tuo silenzio è la tua risposta»

Silenzio che Akai considerò unidirezionale dato l’urlo della donna proveniente all’improvviso dall’interno dell’abitazione.

«Yu-chan dove ti sei cacciato?! Ti stavo aspettando a letto»

Automaticamente si voltò verso la portafinestra da cui la voce giunse più nitida, evitando accuratamente di guardare l’uomo accanto a lui per eliminare le immagini poco consone che gli balzavano nella mente fin troppo spesso da quando i due erano tornati. Lui restava comunque un estraneo nella vita matrimoniale di quelle persone, nella privacy della loro stessa casa.

«Oh, Shu-chan ci sei anche tu!» la donna dopo aver acceso la luce nella camera era uscita sulla terrazza avvolta nella sua vestaglia per la notte, guardandoli come fossero degli alieni «Posso sapere cosa state facendo voi due qui sopra a quest’ora della notte?»

Due?

Akai ruotò la testa, contemporaneamente con Yusaku, verso l’albero alle sue spalle trovandolo completamente vuoto.

«Ho interrotto qualcosa?» chiese spaesata la donna alternando lo sguardo tra i due.

«Te l’avrei detto domani mattina, ero convinto stessi già dormendo» lo scrittore si tolse stancamente gli occhi strofinandoli con la pezzolina candida «Avevo pensato di chiedere aiuto a Kaitō Kid per il nostro piccolo problema. Amuro-san aveva accennato che Rum avesse affidato il compito a Vermouth, ho lanciato l’esca all’intervista di oggi con la speranza di condurla nella tela del mio piano oltre che per mettermi in contatto proprio con il nostro caro ladro»

«Ladro talmente caro che se l’è appena data a gambe senza darci una risposta» proseguì infastidito l’agente sporgendosi oltre il bordo della balconata, in basso tutto taceva e nemmeno il più piccolo movimento si vedeva tra i cespugli «Con tanto di telefono. Kudo-san gli accordi non erano di lasciarglielo prendere così a cuor leggero»

«Lo so, ma non avremmo ottenuto la sua fiducia con un ricatto» rispose l’uomo avvicinandosi a lui per scrutare a sua volta il paesaggio sottostante.

«No, aspettate un attimo» Yukiko posizionò le mani sui fianchi indispettita, in special modo verso il marito che sembrò concentrarsi improvvisamente su una macchia dei vestiti mentre Akai trovò inaspettatamente interessante leggere le ultime e-mail ricevute proprio in quel momento «Vorreste dirmi che fino a qualche attimo fa Kaitō Kid era qui e me ne avete tenuto volontariamente all’oscuro? Caro, mi hai per caso preso per tuo figlio?! Prima mi dici di attirare l’attenzione in tutti i modi e poi mi nascondi le cose?!»

Le guance della donna si colorarono di rosso per il nervosismo e per la palese dimostrazione di disinteresse dei due, il tono alzato maggiormente allo sbotto successivo.

«Questa non ve la faccio passare, non sono mica l’ultima ruota del carro. Yusaku, soprattutto tu sapevi quanto ci tenessi ad avere l’onore di incontrarlo di persona!»

«Non posso permettere che una dolce fanciulla come lei resti delusa a causa mia» la voce passionale giunse in un sussurro alle sue spalle irrigidendola all’istante per la sorpresa, meraviglia ancor più grande quando la mano sporta davanti a lei accolse con uno schiocco delle sottili dita coperte dai guanti bianchi una splendida rosa rossa.

I due uomini egualmente sorpresi tornarono a porre la loro attenzione su Yukiko che afferrato delicatamente il fiore si era volta repentinamente per fronteggiare l’ospite misterioso ormai svestitosi dell’abito bianco per un pantalone e una felpa scuri decisamente fuori misura per lui, ottimi per celare la reale corporatura sottostante.

«Shin-chan..?» sussurrò sbalordita la donna sgranando gli occhi dinanzi al ragazzo che a primo impatto in controluce aveva scambiato per il figlio.

Solo ad una seconda occhiata il senno della ragione era tornato a  contraddirla, Shinichi in quel momento non aveva quell’età men che meno la carnagione abbronzata al pari di Heiji e la montatura azzurra rettangolare sul viso.

«Mi scuso per il poco tatto nel mostrarmi così simile a suo figlio ma dopo il vostro leggero battibecco ho dovuto rimediare un travestimento frettoloso per non attirare ulteriore attenzione sulla casa, se qualche vicino curioso decidesse di affacciarsi alla finestra in questo momento vedrebbe soltanto un liceale» il ragazzo le lanciò un sorriso smagliante chinandosi elegantemente a baciarle la mano libera «In ogni caso, sono lieto di conoscerla Fujimine-san. Lo schermo televisivo non le rende giustizia, dal vivo è senz’altro più incantevole»

Yukiko restò a fissarlo esterrefatta per qualche secondo prima di ricambiare ampiamente il saluto abbracciando d’impeto il ladro.

«Oh, la tua voce è uguale a quella di Shin-chan

«Non proprio... sto imitando la sua voce» bofonchiò Kaito nel tentativo di respirare in quell’abbraccio stritolatore, rimpiangendo la scelta di ispirarsi proprio al detective senza aver calcolato sufficientemente l’espansività della mamma.

«Giusto, che sciocca che sono, però la imiti alla perfezione!» trillò allegra lei lasciandolo andare senza smettere per un secondo di elogiare le sue doti da doppiatore, chiedendogli di imitare anche la propria voce e quella degli altri presenti nell’enfasi pari a quella di una bambina.

Akai decise di estrarre finalmente il pacchetto di sigarette non distogliendo lo sguardo dal duo, in particolare dal presunto liceale che con nonchalance stava assecondando quelle richieste.

«Kudo-san, sua moglie è a conoscenza che quell’individuo è ricercato a livello internazionale?» chiese infilando la sigaretta fra le labbra alla ricerca dell’accendino.

«Sì, lo sa perfettamente»

«Sa anche che sta elogiando proprio le tecniche usate per i suoi furti?» aggiunse trovando il piccolo oggetto nel momento in cui il ragazzo fece comparire e scomparire delle carte.

«Ovviamente» l’uomo accanto a lui sembrò mostrare un certo grado di mesta accettazione.

«Perfetto» concluse Akai accendendosi quasi per disperazione la sigaretta tanto agognata.

Kaito terminò la sua breve performance con un battito di mani in cui tutte le carte sparirono, piuttosto lusingato dai complimenti sinceri della donna.

Avrebbe volentieri continuato il suo spettacolino se l’avesse incontrata in altre circostanze ma la mezzanotte era già passata e il giorno dopo non poteva permettersi di saltare nuovamente la scuola. Sua madre l’aveva stranamente avvertito con preavviso del suo ritorno l’indomani ad ora di pranzo e non voleva sorbirsi un’ulteriore ramanzina sulla sua istruzione messa in secondo piano per i lavoretti notturni. L’ultima volta l’aveva minacciato alludendo ad una scrivania, a delle catene e allo studio come unico svago per una settimana.

Non voleva provare l’esperienza, sua madre era capacissima di incatenarlo senza lasciargli alcun tipo di scappatoia.

Akai espirò il fumo che offuscò momentaneamente la sua visione, un sopracciglio inarcato quando essa tornò vivida mostrando il ragazzo mingherlino col busto inclinato da un lato e un ghigno accattivamene stampato sulla faccia diretto spudoratamente verso loro due rimasti indietro. Quanto gli sembrava giovane con quell’atteggiamento?

«Ehi ladruncolo, quanti anni hai?»

«Alcuni me ne danno quaranta, altri cinquanta, alcuni una ventina, altri ancora credono sia un bambino…Scegli quello che preferisci Subaru-san» la risposta fu un evidente presa per i fondelli non solo per le parole, la vocina arrogante aveva assunto un’inclinazione bambinesca simile a quella dei mocciosi quando vogliono fare un dispetto «In questo momento diciassette»

«Tu non sei Shinichi Kudo» rispose inespressivo aspirando la successiva boccata di fumo che gli andò di traverso alla risposta.

«Sono suo fratello maggiore, vero papà?» senza decidersi a cambiare la voce del famoso detective, il ladro aveva piegato la sua voce verso l’atto drammatico facendosi addirittura divenire lucidi gli occhi mentre osservava Yusaku «Digli che sei stato tu a scegliere il mio nome anni fa»

Akai scosso dai colpi di tosse ascoltò a fatica la spiegazione divertita dello scrittore dopo l’iniziale spaesamento, a quanto pare era stato l’uomo a leggere erroneamente la dicitura “Kaitō 1412” trasformandola in “Kaitō Kid” quando anni prima l’aveva inseguito. Per la prima volta quella sera si meravigliò davvero delle abilità di quel criminale, nell’ultimo periodo aveva avuto modo di conoscere in prima persona la perspicacia di Yusaku e difficilmente avrebbe creduto di poter trovare un caso aperto nella scia di successi di quell’uomo.

Riportò l’attenzione sul ladro quando egli indietreggiò saltellante verso la portafinestra, l’aria sfacciata mostrata con orgoglio.

«Cari signori e bellissima signora, direi di concludere qui i convenevoli» le mani infilate nel tascone della felpa ondeggiando come un ragazzino sui talloni «Non avevamo un piano su cui accordarci?»

Akai spense la sigaretta restando in disparte rispetto all’esplicita manifestazione di gioia e soddisfazione dei signori Kudo.

Il suo lavoro come agente investigativo e il periodo vissuto sotto copertura a contatto con la feccia più infima del mondo lo avevano portato a ricercare l’indole più oscura e ripugnante dell’essere umano anche nelle persone più improbabili e in special modo nei criminali, eppure in quel ladro quell’oscurità non riusciva a scovarla. Era proprio quella assenza a non fargli disgustare tale collaborazione nonostante i suoi doveri di agente dell’FBI, perché il ladro aveva accettato distintamente di dar loro aiuto contraddicendosi con la sua avversione precedente. Aveva aderito ancora prima di ricevere le fatidiche ulteriori informazioni.

La sua battutina sarcastica involontariamente aveva colto nel segno, quello strano individuo che si dilettava nella magia il cuore troppo tenero ce l’aveva sul serio.

Quella scelta di cooperazione non era saggia per nessuna delle due fazioni, il ladro si stava esponendo troppo con coloro che potevano incarcerarlo e i due coniugi avrebbero rischiato una futura accusa per favoreggiamento qualora in un futuro il criminale fosse stato catturato e costretto a confessare tutti i suoi crimini.

Ma li avrebbe traditi trascinandoli a fondo con lui? Ne dubitava, il solo fatto che la sua copertura come Subaru Okiya stesse ancora in piedi nonostante le sue scoperte ne era la prova.

Dopotutto, chi era lui per giudicarli?

Insieme alla sua squadra era entrato in quel Paese straniero per indagare su un’organizzazione senza un regolare permesso della polizia locale, aveva assunto un’identità fantasma mentendo a destra e a manca compreso alla sorella con documenti falsi pur di continuare indisturbato le proprie ricerche. Proteggeva con le diverse bugie elargite in giro la vera sorte toccate al famoso detective liceale e alla sorella di Akemi, aveva fatto credere a Bourbon di avere ucciso Scotch per non dirgli si fosse suicidato scatenando così quella sete di vendetta:.. la lista dei suoi peccati era davvero lunga.

Infilò le mani nelle tasche del pantalone assecondando il richiamo della donna, aprendosi in un leggero sorriso.

La giustizia era un concetto veramente relativo sotto il suo punto di vista e alle volte per vederla attuata bisognava chiudere un occhio, in alcuni casi anche due.

Collaborare con quel ladro non era sicuramente la cosa peggiore che avesse fatto nella vita.

 

 

 

 

Note finali

(1) = Riferimento ai capitoli in cui vediamo Amuro introdursi di soppiatto in casa Kudo, scoperto poi dai proprietari e da Akai (capitoli 1009 – 1010 – 1011 – 1012; Episodi 952 – 953- 954 “Il cocktail labirintico”). Irruzione di cui ufficialmente ancora non si conoscono i risvolti.

(2) = Si parla del caso in cui Kaito tenta di rubare il gioiello “Luna Memoria” della signora Kimika Tomoyose, conservato in una scatola realizzata da Samizu Kichiemon. In questa occasione Kaito scatta una fotografia a Saburu dove si vede il modulatore vocale e a fine puntata gli lascia il cellulare per poter cancellare la foto (capitoli 963 – 964 – 965; Episodi 887 – 888; “Kaito Kid e la scatola magica”)

(3) = Parliamo delle famose puntate in cui l’organizzazione si è messa in testa di uccidere Sherry facendola saltare in aria sul treno, Vermouth vuole farla fuori ad ogni costo ed è accompagnata da Bourbon (Amuro) che credendolo Kid la vera Shiho lo porta nel vagone a sua insaputa pieno zeppo di esplosivo (capitoli da 819 a 824; Episodi 753 – 754 – 755 – 766 numerazione italiana “Viaggio sul Mystery Train”)

(4) = Riferimento al caso nella scuola elementare di Ran e Shinichi, quando nella serie appare nel flashback Toichi con il piccolo Kaito intento a parlare con Yukiko che aveva chiesto il suo aiuto. Qui viene mostrato che Yusaku conosce la vera identità del primo Kid (capitoli 6 – 7 – 8 – 9 del volume 55; episodi 512 – 513 numerazione italiana “Le avventure del giovane Shinichi”)

 

Buonasera a tutti! ^^

La mia vena cospiratoria, di teorie e sotterfugi si è svegliata creando questa mia personale visione di come si siano svolti i fatti dietro le quinte dei capitoli 1058 – 1059 – 1060.

Spero di aver incuriosito qualcuno con questo mio delirio che porterò a termine in due o tre capitoli, a seconda di quanto diventerò prolissa mettendola per iscritto xD

Specifico che in seguito a quanto venuto a galla nei capitoli con Heiji (capitoli 1018 – 1019 – 1020 – 1021) e nell’atteggiamento di Conan nei confronti del presunto Kid (non si preoccupava nemmeno di risolvere un caso davanti a lui) nei tre capitoli su cui si concentra questa fanfiction, è ormai canonica la conoscenza da parte di Kaito sulla vera identità di Shinichi.

Io mi sono limitata ad aggiungere nei pensieri del ladro e nei riferimenti in genere oltre che rimandi ai film e ad eventi della serie/manga anche aggiunte dello special composta da 12 episodi dove compare il personaggio inventato di Spider.

Vi saluto prima che la sezione delle note diventi più lunga dell’intera storia e vi ricordo che sono sempre felice se fate sapere cosa ne pensate

Un bacio

 

Aky

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gōshō Aoyama, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

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Capitolo 2
*** La stesura del piano ***


~ Cronache di una strana collaborazione ~

La stesura del piano

 

Fanart credits: https://mobile.twitter.com/KIDkuroba4869


 

 

Il pendolo dell’orologio oscillò con tonfi sordi nel soggiorno dell’abitazione.

Kaito comodamente seduto in poltrona accavallò le gambe adagiando il volto sul palmo della mano, il gomito puntellato sul bracciolo atto a simulare una naturalezza che almeno apparentemente riusciva a mantenere perfetta.

Ai lati del basso tavolino in mogano erano disposti i due divani che completavano l’arredamento, su uno dei quali aveva preso posto il padre di Shinichi lasciando l’altro libero per la dolce metà momentaneamente assente, mentre dritto davanti a sé in corrispondenza della soglia della porta si era posizionato Subaru.

Sorrise predatorio all’uomo.

L’ingresso della sala non era certamente l’unica via di fuga a sua disposizione, bloccarla in quel modo tanto banale era pressoché inutile. Persino la polizia aveva ormai rinunciato su quella strada e a sue spese l’avrebbe fatto capire anche all’uomo, poco importavano gli eventuali assi nella manica.

Adorava le sfide, soprattutto quelle impossibili.

Yukiko canticchiò un tenue motivetto musicale di ritorno nella stanza silenziosa con un vassoio tra le mani, accomodandosi sul divano opposto a quello del marito ed ultimando la preparazione delle tazzine di tè fumanti, di cui una venne allunga sul tavolino verso il più giovane dei presenti.

Kaito ringraziò con un sorriso studiato la cortesia della donna limitandosi ad osservare attentamente il vapore sollevarsi dalla miscela senza accennare a muoversi, seppur il desiderio del tè non gli dispiacesse davvero per mantenersi all’erta.

Necessitava di un’agenda per organizzare il suo tempo, le ore di sonno erano finite decisamente in secondo piano nella sua scala delle priorità.

«Possiamo fare cambio se non ti fidi» sollevò gli occhi sullo scrittore di gialli che con totale calma aveva scambiato le loro tazzine bevendone un sorso per primo «Non c’è del sonnifero all’interno e nemmeno qualunque altra sostanza stordente ti sia balenata in mente, puoi stare tranquillo»

«Kudo-san far finta di bere è uno dei primi trucchi che ho imparato durante i miei pedinamenti, scommetto che lei così invischiato nell’ambito poliziesco lo consocerà sicuramente» cantilenò in risposta dopo un leggero fischio divertito non mancando di sfidare apertamente l’uomo alla porta «So altresì che non cadrebbe tanto in basso da offendere la sua intelligenza con metodi così vichinghi per catturarmi, quindi accetterò volentieri il tè gentilmente preparato dalla dolce e bellissima signora. Mi permetta però di chiedere se il suo coinquilino sia dello stesso avviso…Subaru-san, non sia timido e si unisca a noi! Gradisce del tè?»

Akai evitò di chiedersi per il bene della sua salute mentale come avesse fatto il ladro a far apparire la tazzina vuota nelle sue mani senza a prima vista spostarsi di un millimetro, l’insolenza sfacciata nei suoi confronti era così palese da farlo sembrare realmente e nuovamente un ragazzino dispettoso.

Il fastidio però con sua stessa sorpresa risultò minimo, a tediarlo non era l’irriverenza ma il non capire adeguatamente nei continui cambi di personalità e di emozioni quali fossero quelle autentiche. Lui aveva una sola identità fittizia e in alcuni casi riscontrava difficoltà a barcamenarsi tra le due, invece quell’individuo dal suo arrivo aveva cambiato modo di esprimere una stessa emozione così tante volte da fargli perdere il conto.

Con una tale nonchalance da farlo sembrare il compito più semplice del mondo.

«Ti ringrazio per l’offerta, ma preferisco restare qui»

Il ragazzo sembrò profondamente deluso dalla risposta, ma era difficile giudicare se fosse un sentimento autentico o una perfetta recitazione dell’atto, soprattutto per il broncio trasfigurato in una smorfietta provocatoria pochi secondi dopo. Avrebbe avuto più successo come attore che criminale.

«Capisco, anche se trovo scortese da parte sua rifiutare» la tazzina passò da una mano all’altra in scatti sempre più veloci sostituita da una pallina, dal monocolo, dal cellulare consegnatogli prima e da altri piccoli oggetti che non si capiva da dove venissero «Volevo informarla che se volessi uscire di qui, la porta sarebbe l’ultima delle scelte. La finestra del soggiorno non è molto alta per saltarvi attraverso, potrei anche usare il camino e non mi ci vorrebbe molto a scalarlo se è quello che si sta chiedendo. Ci sarebbe anche la porticina nascosta dietro la tenda lì infondo che presumo sia un ingresso secondario per lo studio del signor Yusaku, da lì potrei attraversare indisturbato la villa fino alla terrazza da cui sono entrato. Perde il suo tempo se è rimasto sulla porta con l’intento di bloccarmi»

Kaito in un abile scatto si rizzò in piedi, la tazzina riapparsa tra le mani ricolma della bevanda zuccherata protesa a mezz’aria verso l’uomo sotto lo sguardo attentamente divertito di Yusaku.

«Ora, le va di unirsi a noi?»

Subaru trattene tra i denti la sua risposta bloccandosi con espressione pungente una volta giunto all’estremità opposta del tavolino, avrebbe accettato quell’inutile buffonata derisoria esclusivamente per preservare la sicurezza dei due gentili coniugi. Afferrata la tazzina si premurò di stringere con più forza del dovuto le dita del mago che non lasciò trapelare la minima reazione al di là del consueto sorrisetto prima di risedersi.

Lui preferì restare soltanto appoggiato al bracciolo del divano dove Yukiko aveva smesso di canticchiare indagando attentamente il loro ospite. La carnagione scura e gli occhiali non riuscivano a toglierle dalla testa l’impressione di avere Shinichi lì con lei, complice anche la voce utilizzata identica a quella del suo bambino.

Yusaku si schiarì la gola attirando l’attenzione.

«Direi che possiamo saltare ulteriori convenevoli per dedicarci a questioni più serie» una piccola pausa per proiettare lo sguardo sul ragazzo impegnato in una sfida non verbale con Akai «Non so fin dove si spingano le tue conoscenze sugli uomini contro cui si è messo Shinichi e non è mia intenzione informarti più del dovuto sulla faccenda. Mi limiterò a spiegarti che si tratta di un’organizzazione particolarmente pericolosa come avrai già avuto modo di constatare, dove i seguaci utilizzano nomi in codice di alcolici per identificarsi fra loro e non è detto che conoscano a vicenda i loro veri nomi. Potremo tranquillamente definirli una sorta di gruppo terroristico considerando i loro ripetuti attacchi a persone importanti della sfera politica, con uso costante di armi di ogni genere. All’interno c’è una gerarchia e abbiamo avuto modo di apprendere che il braccio destro del capo, Rum, ha iniziato a non vedere di buon grado la mia presenza sul suolo giapponese. Negli ultimi giorni io e mia moglie abbiamo cercato di attirare maggiormente l’attenzione così da spingere la persona incaricata dal vice a farsi avanti e prepararci alla nostra contromossa»

Kaito si portò la tazzina alle labbra sorseggiando il suo tè per prendere tempo, non si meravigliava della furbizia dell’uomo dopo aver incontrato il figlio, il talento doveva pure averlo ereditato da qualcuno. Ciò che lo infastidiva erano le volontarie omissioni. Non gli stava dicendo nulla di nuovo rispetto a quanto appreso nelle sue indagini solitarie, restava abilmente con i suoi giochi di parole nella sfera puramente generica senza scendere nei dettagli e per quanto rispettasse e capisse l’importanza di conservare dei segreti, possedeva il brutto difetto chiamato curiosità.

«Mi sta dicendo che ha deciso di usare lei e sua moglie come enormi bersagli? Perdoni la mia schiettezza ma lo considero un azzardo eccessivo, da come li ha descritti è come se li stesse invitando a farsi ammazzare. Non mi sembrano le esatte persone che può invitare a prendere il tè per fare quattro chiacchiere»

«Ragazzo, è molto curiosa una simil affermazione detta da te» giunse il commento con un mesto risolino «Un abito bianco sfoggiato nella notte non attira forse per lo stesso scopo?»

Kaito incassò il colpo mordendo il bordo ceramico, era stata una fortuna l’aver avuto ancora la tazzina davanti alle labbra. Giocare la stessa carta del girarci intorno gli si era ritorta contro e poco male, avrebbe cambiato strategia.

«Kudo-san non mi offenda, sfoggio il mio bellissimo abito con orgoglio per esclusivi scopi magici!» ribatté sinceramente gioioso al ricordo delle acclamazioni del suo pubblico «Come pretende possano vedermi i miei numerosissimi fan se decidessi di vestirmi di nero? Non potrebbero bearsi della mia magia e ne rimarrebbero delusi»

«Forse esibirsi in teatro come un normale mago potrebbe facilitare lo scopo» si intromise l’agente dell’FBI osservando il ragazzo bloccarsi un attimo «O è troppo poco egocentrico per i tuoi standard?»

Kaito lasciò scivolare mestamente le dita sugli intagli della ceramica al pensiero di quel futuro tanto desiderato quanto lontano, una silenziosa tristezza della durata di un battito prima di ghignare serafico.

La malinconia poteva aspettare.

«Forse sì, forse no…chi lo sa! Non ho mai amato stare rinchiuso fra quattro mura»

«Oh, pensa che fortuna! In prigione saranno soltanto tre, la quarta avrà delle ottime sbarre»

«Shu-chan! Cerchiamo di contenere le divergenze per uno scopo superiore, ci sei riuscito con il tuo nuovo amico provaci anche con lui» la donna si scostò la frangia indicando supplichevole il ragazzo intento a sbattere le ciglia come un cucciolo indifeso e maltrattato.

Akai si morse la lingua per non esprimere il suo disappunto, quell’insolita figura aveva cambiato di nuovo modo di porsi, anche se in realtà da una mezzoretta a quella parte sembrava aver raggiunto una presunta stabilità. La facciata spudorata e provocatoria era rimasta immutata ma quell’aria altera dell’abito bianco era venuta decisamente meno, sostituita da una più giovanile perfettamente in linea con i vestiti da diciassettenne che indossava. Si era calato perfettamente nel ruolo e il dubbio inquietante era il non comprendere se fosse talmente abituato da averlo fatto inconsciamente o se si stesse prendendo gioco di loro calibrando ogni singolo movimento.

«Invece, quanto a te Kid…»

Kaito placò la sua farsa melodrammatica internamente preoccupato, da quando era arrivato non una sola volta aveva visto la signora assumere quell’aria seria e concentrata mentre lo squadrava. Assecondò l’avvertimento dettato dalla sua esperienza restandosene buono e tranquillo quando ella si avvicinò in un modo che gli ricordò vagamente sua mamma prima di una ramanzina.

«Yukiko, suvvia lascia in pace il nostro ospite»

Il marito parlò a vuoto, la donna non accennò a ridurre il cipiglio severo protraendosi con le mani sui fianchi verso di lui, a pochi centimetri dal volto, spingendolo a invocare tutte le divinità esistenti affinché non notasse lo strato di fondotinta usato per celare la vera tonalità della carnagione.

Era ancora in tempo per lanciare una bomba fumogena e levare le tende.

«Come ti chiami?»

«Eh?»

«Kid non è esattamente un nome e ladro non mi sembra appropriato per dialogare, potrei chiamarti Shin-chan dato il tuo aspetto attuale ma il mio adorabile bambino ne sarebbe geloso»

Kaito per poco non scivolò giù dalla poltrona nella classica reazione da cartone animato, in calcio d’angolo aveva salvato la sua maschera impassibile e dai rauchi colpi di tosse sullo sfondo intuì che non era stato l’unico sorpreso dinanzi a tali esternazioni. Il tè era andato di traverso a Subaru.

La domanda era stata troppo innocente, troppo sincera per essere un bluff.

Yukiko, infatti, si era allontanata camminando in circolo e picchiettandosi il mento sotto lo sguardo divertito del marito che sembrava l’unico a perfetto agio con tali stranezze.

«Heiji-kun?...Avete la stessa carnagione»

«Fujimine-san può chiamarmi come desidera…»

«Giusto, non sarebbe corretto associarti a loro»

«No, io stavo dicendo che un nome vale l’altro non è necessario sceglierlo con cura»

«Ragazzo, perdi il tuo tempo ormai sta scegliendo il tuo nome»

«Kai-chan

Kaito sussultò allo squittio esultante cercando di nascondere alla meglio il suo stato atterrito.

Ingoiò il boccone d’ansia imponendosi a fatica una certa calma, tra i tanti nomi esistenti sulla faccia della terra era senz’altro strana quella scelta ma non doveva fasciarsi la testa prima di rompersela. D’altronde, svariati nomi potevano utilizzare quell’abbreviazione e lo stesso Kai era un nome proprio a sé stante.

Lei non poteva aver pensato proprio a quello.

O forse sì?

«Sì, Kai-chan! Scusami se uso il -chan ma non riesco a darti più anni conciato così, spero non ti infastidisca! Hai un visino così adorabile, proprio come mio figlio!»

«Oh…no, stia tranquilla è il mio travestimento in fin dei conti» rispose sforzandosi di mantenersi in una composta allegria mentre nella sua testa il risolino isterico prevaleva su ogni razionale pensiero, perché lui aveva sempre ragione nei momenti sbagliati.

«Perfetto!» la donna agitò il dito con saccenza risedendosi al suo posto con due occhi brillanti «Kaito è il nome che più si avvicina a Kaitō, è un bel gioco di parole non trovi anche tu?»

Lo sfortunato ragazzo si sarebbe volentieri sbattuto una mano sulla fronte al pari di Subaru all’occhiolino complice rivoltogli da Yukiko. Per la prima volta si ritrovò a maledire lo scadente senso dell’umorismo dei suoi genitori, era inequivocabile dagli sproloqui di sua mamma che l’idea di chiamarlo in quel modo fosse una chiara ripicca all’attività notturna di suo padre.

Seriamente, non avrebbero potuto chiarire come persone civili senza la necessità di chiamarlo Kaito?

Lui rischiava di morire ogni qual volta quell’ultima sillaba veniva pronunciata in modo erroneo accanto al nome Kid e immerso nella sua autocommiserazione quasi non notò il proprietario di casa, l’unico intento a ridersela della grossa.

Il guru onnisciente dati i presupposti il suo vero nome sicuramente lo conosceva.

L’indomani avrebbe dovuto scambiare quattro paroline con Akako, a dirla tutta pensava che quella situazione surreale fosse solo un’allucinazione della streghetta dalla mania per gli strani intrugli alla ricerca di una qualche ripicca per l’ennesimo rifiuto. Perlomeno, lo sperava con tutto il cuore.

«Effettivamente Kaito potrebbe essere un buon compromesso» lo scrittore si sistemò gli occhiali ignorando volutamente la buffa espressione corrucciata del figlio di Toichi «Tornando al vero fulcro del discorso, potrebbe essere rischioso attirarli ma non possiamo pensare di nasconderci per tutta la vita senza trovare una soluzione al problema. Al momento però ci basta tenerli buoni, la nostra spia ci ha detto che Rum vuole capire quanto realmente possa rappresentare un pericolo per l’organizzazione. Ammetto di essere lusingato per cotanta soggezione nei miei confronti, seppur contorta, ma preferirei essere visto come un semplice e innocuo scrittore»

«Bourbon» commentò svogliatamente il mago rigirandosi tra le dita una carta apparsa dal nulla, apparentemente concentrato su di essa «È lui la spia di cui sta parlando, no? Il ragazzo straniero che voleva catturare la bella signorina di cui ho assunto le sembianze sul treno»

Akai schiuse le palpebre scambiandosi un’occhiata con Yusaku, mentre scendevano le scale pochi minuti prima aveva avvertito lo scrittore della pericolosità di quella decisione. Condividere apertamente solo parte delle informazioni come inizialmente supposto non sarebbe bastato e lui non era ancora totalmente convinto del suo coinvolgimento. Per quanto non sembrasse un criminale il loro ospite lo restava insieme al suo bagaglio di dossier aperti e mai chiusi a suo carico, era una persona da non sottovalutare quando si trattava di questioni di privacy.

Dalla parte sbagliata poteva risultare incredibilmente pericoloso e già bastava la sua controparte femminile in quell’organizzazione malsana, non era necessaria una seconda figura.
«Credo di non seguirti mio giovane amico»

«Kudo-san è un pessimo bugiardo, le sue pupille si sono dilatate e non ha guardato verso di me ma all’altezza del mio busto» fermò la carta posizionata di taglio distogliendo lo sguardo dal cartoncino per fissarlo con estrema serietà sull’uomo mentre sua moglie usciva nuovamente dalla stanza «Ed io non sono stupido, crede non abbia fatto le mie indagini personali dopo l’incidente sul treno? Soprattutto, sarebbe stato carino avvertirmi che Amuro-san non fosse un vero fanatico di quel gruppo di pazzi. Non è stato molto piacevole incontrarlo davanti l’agenzia del detective Mouri dopo il nostro ravvicinato contatto esplosivo. Ero andato a restituire il cellulare a Shinichi e capirà la mia sorpresa quando l’ho visto salutare allegramente un probabile bombarolo che mi aveva quasi fatto saltare in aria. Potevano trovare un povero e finto postino deceduto per crepacuore…già stare nel raggio d’azione di suo figlio è un attentato alla vita, mai pensato di farlo esorcizzare? Porta leggermente sfortuna, ma sto divagando…il punto della questione è che se vuole il mio aiuto, deve essere più dettagliato»

«Quelle che vuoi sono informazioni importanti, alcune strettamente confidenziali, ed io non avevo intenzione di schierarti nuovamente in prima linea, l’aiuto che ti chiedevo era per un dietro le quinte dove… -»

«Capisco, il suo amico non si fida del sottoscritto» lo interruppe pensieroso picchiettando la carta sulle labbra mentre l’altra mano faceva ruotare un mazzo di carte, l’attenzione tutta rivolta al chiamato in causa «Deduco che non sia un coinquilino qualunque se è così restio a confidarsi dopo aver chiesto il mio aiuto e aver elargito tante belle parole sulla fiducia nei miei riguardi»

La carta si fermò sulla bocca ovattando il suono delle successive parole, la nota insolente e alquanto minacciosa ben poco celata nel monologo serioso.

«Sappia che la comprendo ma al contempo se non me lo dirà, cercherò le risposte che voglio da solo…» fermò la sua frase per permettere alla donna rientrata di sedersi ed avere nuovamente il faccia a faccia con l’uomo misterioso, il mazzo nell’altra mano roteò un’ultima volta fra le agili dita «Ed il mio non è un ultimatum, solo una specificazione. Ho accettato di aiutarvi e andrebbe contro il mio onore rimangiarmi la parola»

«Inizio a pensare che Yusaku-san abbia ragione sul cambio di carriera, parli proprio come un detective» rispose sarcastico l’interessato scuotendo leggermente la testa, un implicito via libera per lo scrittore a continuare liberamente l’esposizione dei fatti.

Anche se, Yusaku trovava veramente difficile mantenere la serietà davanti al ragazzo improvvisamente borbottante con le guance gonfie per l’irritazione e le braccia incrociate per marcare tutto il suo disappunto a quell’osservazione.

Molto simile ad uno Shinichi dodicenne.

«Comunque, Kaito, dato il ruolo di Bourbon nell’organizzazione puoi immaginare che la sua posizione sia alquanto precaria. Ha raggiunto un ruolo abbastanza di spicco all’interno della cerchia, tanto che Rum ha iniziato a chiedergli di reperire informazioni su Shinichi dopo il piccolo incidente a Kyoto di cui avrai sicuramente sentito parlare. La sua partecipazione a quel caso sui social è stata molto discussa prima che potessimo fermare la fonte» Yusaku prese una piccola pausa per assicurarsi di essere ascoltato prima di proseguire «Lui non è entrato nei dettagli ma è molto vicino ad un altro membro, Vermouth, la preferita del boss di questa organizzazione. Una donna molto agguerrita ed astuta a cui sembrerebbe sia stato chiesto di tenermi d’occhio, per questo motivo ho chiesto il tuo aiuto. Lei è molto abile nell’assumere identità altrui, è in grado di travestirsi in maniera impeccabile da chiunque ella desideri, potremo dire che tra voi c’è una certa affinità di stile. Ho pensato che saresti stato la persona più adeguata a scovare un probabile camuffamento»

Il sopracciglio di Kaito scattò leggermente verso l’alto, c’era stata un’inclinazione insolita sulle parole finali ma non era riuscito a coglierla perfettamente. Il ragionamento filava, ovviamente il padre di Shinichi voleva combattere il fuoco con il fuoco, eppure, aveva l’impressione di essersi perso qualcosa nel mezzo, un dettaglio chiarificatore.

«Capisco, lei presume tenterà di tenervi d’occhio dopo l’intervista di stasera e mi sta chiedendo di essere il più discreto possibile nelle mie prossime viste, esatto?»

«Esattamente, come c’era da aspettarselo, hai capito al volo»

Le labbra del ragazzo si curvarono all’insù mentre restava concentrato sul basso tavolino.

Yusaku sospirò profondamente prima di riprendere, non spettava a lui dirgli chi fosse stato l’insegnante delle straordinarie abilità della donna. In un confronto diretto l’avrebbe capito da solo e sperava che tale situazione fosse il più lontana possibile, Toichi non poteva immaginare che le sue doti sarebbero state utilizzate per scopi poco ortodossi.

Il deceduto mago poteva solo consolarsi nel sapere che le sue doti migliori erano invece cadute in buone mani.

«Ho la sensazione che dopo gli eventi accaduti sul Mistery Train lei abbia capito di essere stata ingannata da noi ed ho il sospetto che abbia intuito che sia stato tu l’attore misterioso. Lei è una donna indecifrabile ma non penso verrà a cercarti, è persino a conoscenza del rimpicciolimento di mio figlio, eppure, continua a non farne parola con i suoi compagni…perde la testa per qualche assurdo motivo soltanto quando si tratta della signorina che hai impersonato»

«Mi sta dicendo che odia a morte la bambina della porta accanto?» ribatté distrattamente Kaito non curandosi del penetrante sguardo smeraldo puntato su di sé, troppo preso dallo studio del piatto ricolmo di biscotti glassati al cioccolato portati dalla donna «Sì Subaru-san, solo un cieco non si renderebbe conto della somiglianza, soprattutto se a suggeriti le risposte da rifilare a un pazzo armato è proprio la voce della suddetta bambina… Fujimine-san, posso?»

Yukiko batté le palpebre incapiente, era stata così presa a studiare il giovane mago da intuire con ritardo l’oggetto della richiesta pronunciata in modo così infantile. L’indice dello pseudo liceale era puntato contro le leccornie intoccate sul tavolino in trepidante attesa.

«Oh, certo Kai-chan! Prendi tutti quelli che vuoi, li ho portati per questo!» la donna protese il piattino verso di lui beandosi del sorriso raggiante a trentadue denti «Li ho preparati questa mattina come regalo per Shin-chan ma non li ha voluti, ormai mangia solo quello che cucina la sua mogliettina»

«Shinichi non capisce nulla, sono buonissimi!»

Akai preferì continuare a restare in silenzio nel suo angolo del divano per studiare al meglio il loro strambo ospite, era stato sorprendente il modo in cui si era integrato con i coniugi. Buona parte del merito andava sicuramente all’estetica del travestimento innocuo ma sarebbe stato uno sciocco a fermarsi all’apparenza, c’era stato qualcosa nel suo modo di fare che aveva spinto persino lui ad abbandonare la precedente reticenza.

Quell’individuo non poteva avere più di venti anni, si rifiutava categoricamente di crederlo.

Le parole di Yusaku le udì di sfuggita, conosceva orma a memoria i dettagli del losco gruppo di Renya Karasuma e aveva ritenuto senz’altro più interessante studiare i movimenti del liceale. Al primo biscotto ne era seguito un secondo, poi un terzo, fino ad arrivare al piatto misteriosamente scomparso dal tavolo e adagiato sulle gambe incrociate scompostamente sulla poltrona, con tanto di mani guantate imbrattate di cioccolato.

La sua non era stata mera recitazione, alla menzione del prodigioso farmaco in grado di far ringiovanire e alle ricerche ad esso collegate c’era stato uno scatto involontario nelle spalle. Una tensione fino a quel momento inesistente, dissipata nell’esatto istante in cui si era reso conto di essere osservato, quasi come se celare ogni emozione e reazione fosse più importante della fuoriuscita di informazioni sulla sua vera età.

Il racconto esaustivo giunse al termine quando non restò più una singola briciola di biscotti e goccia di tè.

Kaito dopo essersi scrollato di dosso le briciole restò in silenzio ad elaborare la quantità industriale di dettagli ricevuti, sentendo la sua testa pronta ad esplodere, era proprio vero che la realtà alle volte superava la fantasia.

Alcune informazioni erano state senz’altro omesse, ad esempio l’uomo lì con loro mai menzionato oppure nessuna definita specificazione per il “gruppo di servizi segreti” che avrebbe potuto essere una qualunque agenzia di spionaggio, ma andava bene così.

Tutta la storia era talmente assurda da sembrare la trama di un film fantascientifico, persino lui mesi prima quando aveva scoperto l’identità di Shinichi aveva dovuto darsi un pizzicotto per assicurarsi di non star sognando e la restante parte appena appresa non risultava più di certo più realistica.

Avrebbe riso se fosse stato da solo, dare la caccia ad un gioiello che avrebbe potuto garantire la vita eterna non era di certo sinonimo di persona mentalmente più sana e con i piedi per terra, ma erano state proprio quelle somiglianze col gruppo che gli dava la caccia a mandarlo fuori di testa e a spingerlo ad accettare per buona ogni singola parola.

«Yusaku-san, vorrei farle un’ultima domanda» chiese stancamente ad un tratto sciogliendo le gambe imprigionate nella stessa posizione per ore, la testa adagiata sullo schienale e gli occhi rivolti al soffitto «È davvero sicuro che i membri di quest’organizzazione utilizzino solo nomi in codice di alcolici?»

«Sì, ne sono assolutamente certo»

A rispondere fu una voce sconosciuta, profonda e mascolina con un velatissimo accento straniero.

Kaito rizzò di scatto la testa avvertendo ogni singolo muscolo teso e in allerta, catturando immediatamente nel campo visivo l’uomo dai capelli rosati con le dita ancora premute su un pulsante del modulatore vocale ora pienamente visibile.

«Shu-chan…perché lo hai disattivato?»

«Come ha detto suo marito sul terrazzo, è inutile provare ad ingannarlo. Le informazioni mancanti sarebbe capace di cercarle da solo e una mina vagante non ci serve al momento» commentò atono accennando un leggero cenno verso lo scrittore «La ringrazio per aver mantenuto il segreto omettendomi dal racconto ma sono convinto che il nostro nuovo amico non dirà nulla in giro»

Yusaku si limitò a sorridere onnisciente, quasi tale reazione rientrasse perfettamente all’interno dei suoi piani.

Shu-chan?

Kaito per la prima volta si rese conto di non aver prestato attenzione a quel piccolissimo dettaglio, di non aver riflettuto con sufficiente attenzione sul nome usato da Yukiko per rivolgersi all’uomo.

Nemmeno per una volta l’aveva chiamato Subaru.

«Quindi è questa la sua vera voce…» la testa dondolò incuriosita di lato non aspettandosi minimamente quella rivelazione, aggiungendo in un misto di incertezza e sarcasmo «…Shu-chan?»

«Per te Akai Shūichi, FBI»

Kaito sgranò gli occhi incurante del poker face in frantumi.

Una leggera risatina incolore gli sfuggì dalle labbra quando ricadde di peso contro lo schienale ritirandosi le gambe al petto, una mano premuta sul volto per darsi mentalmente dell’idiota. Ora aveva capito chi fossero gli infallibili tecnici utilizzati per il suo cellulare, a quale misteriosa agenzia alludesse il padre di Shinichi e perché quell’uomo gli avesse provocato la pelle d’oca.

«Mh? Non credevo di farti ridere con tale rivelazione»

«FBI…» scosse la testa allontanando la mano in un commento rivoltò più a sé stesso che ai presenti «Cavoli, mi son fatto incastrare per bene»

«Suvvia non essere così triste, credevo ti piacesse giocare a guardia e ladri»

«Certamente, quando conosco chi mi sta difronte e non ottengo tali belle sorprese» ribatté imbronciato con l’accusa malcelata verso la vera fonte dell’inganno «Neh, Kudo-san, esattamente cosa aspettava per dirmi che avrei collaborato con gli sbirri?»

«Oh, non te l’ho detto? Accidenti che sbadato!» esclamò fintamente sorpreso l’uomo lisciandosi i baffetti e ricevendo un’occhiataccia imbronciata in cambio «Devo averlo solo pensato sul terrazzo, che enorme errore! Scusami sarà l’età che avanza, inizio a sentire anche io il peso dello scorrere del tempo»

«Ma se non ha nemmeno quarant’anni!»

«Oh giusto, tu avrai sicuramente indagato su di noi»

Yusaku annuì condiscendente incrociando le braccia al petto ed unendosi al divertimento degli altri due, il grande ladro così spontaneo era uno spettacolo raro da poter ammirare durante i suoi consueti show. Difficilmente avrebbero dimenticato quella serata, probabilmente sarebbe rimasta indimenticabile anche per il mago stesso quando si sarebbe finalmente accorto di star parlando come un ragazzino.

Senz’altro però gli doveva i suoi complimenti, aveva mantenuto salda la voce di Shinichi.

«Kudo-san non dovrebbe dirlo con così tanta leggerezza…è stalking»

«Oh, santo cielo! Kai-chan tu consoci la mia vera età?!»

«Yukiko non essere così scioccata, ti ha comunque fatto i complimenti prima»

«Kudo-san questo non è corretto!» balzato in piedi Kaito si era posizionato davanti l’uomo puntandogli il dito contro, ignorando tutte le altre affermazioni «Non ha menzionato i servizi segreti quando mi ha proposto l’accordo!»

«Hai ragione Kaito, ma tu avevi già accettato prima che potessi dire i dettagli non ricordi?» la risposta giunse blanda, seguita da un’aggiunta pacata che racchiudeva un’implicita sfida «In più, non sei stato tu a dire: “Ho accettato di aiutarvi e andrebbe contro il mio onore rimangiarmi la parola”?»

Kaito morse frustrato l’interno guancia incapace di controbattere, si era infilato in quel guaio con le sue stesse mani. Gli occhi e le labbra ridotti a una linea sottile gli vennero restituiti dal riflesso sugli occhiali come silenzioso ammonimento a riacquistare alla svelta il contegno perduto.

«Ovviamente» rispose a denti stretti lasciandosi sfuggire uno sbuffo scocciato «Non mi tirerò indietro, provvederò a sorvegliare l’abitazione e a fare le ricerche che mi ha chiesto»

«Ti ringrazio»

Kaito infilò le mani in tasca sospirando sconfitto, il sorriso riconoscente dei due coniugi era riuscito a cancellare tutta la sua irritazione. Lo stavano sfruttando davvero bene il suo tallone d’Achille, sperava solo di non ricevere una freccia a tradimento quando il suo compito sarebbe finito.

«Passerò a riferire i miei aggiornamenti in serata» diede le spalle allo scrittore sventolando una mano a mezz’aria in segno di saluto, bloccandosi accanto all’agente segreto alla chiamata di Yusaku «Non si preoccupi Kudo-san, sarò invisibile nelle mie entrate se è quella la sua preoccupazione, sarò come un fantasma. Purtroppo ora devo proprio andar via, sono già le cinque del mattino»

«Improvvisamente vai di fretta Kaitō Kid?»

Kaito lo guardò con la coda dell’occhio Subaru scaricando il peso da un piede all’altro illuminandosi di un sorrisetto dispettoso, volente o nolente prendere in giro le forze dell’ordine era il suo passatempo preferito, proprio non riusciva a contenersi.

«Certamente!» urlò allegro roteando sul tallone in una piroetta appariscente, aggiungendo l’occhiolino spudorato alla vocina canzonatoria «Lo ha dimenticato? Tra poche ore Shinichi Kudo deve andare a scuola, anche se per poco deve dormire!»

Balzò preventivamente all’indietro frapponendo una certa distanza dalla sua vittima, la risata giocosa esplosa tra le pareti della sala dinanzi alla bocca spalancata senza alcuna possibilità di contenimento. Aveva capito ormai che Akai non era l’esatta persona incline agli scherzi ma il suo appagamento era stato ugualmente inquantificabile dinanzi all’espressione scioccata.

Tra una risata e l’altra salutò per la seconda volta sollevando l’ingombrante cappuccio della felpa che lasciava a malapena visibili alcuni tratti del viso, evitando accuratamente di fermarsi e voltarsi al suo nome pronunciato nuovamente da Yusaku. L’espressione seriosa intravista nel suo girotondo sul posto aveva anticipato ampiamente le parole mormorate dall’uomo che giunsero ugualmente alle sue spalle.

«Kaito, per favore cerca di non farti ammazzare»

Kaito sorrise sapiente celato all’ombra della stoffa, un pugno alzato verso l’alto come unica risposta.

 

Akai restò poggiato allo stipite finché il ladro non richiuse dietro di sé la porta d’ingresso in fondo al corridoio oscuro. Al tonfo del telaio salutò i due coniugi imboccando le scale del piano superiore riflettendo per l’ennesima volta sulle stranezze di quell’individuo.

Il barlume di soggezione che aveva voluto incutergli rivelando la sua identità era durato poco, anzi, non c’era proprio stato. Il ladro si era mostrato una continua sorpresa, aveva superato la faccenda non mostrando più che un fastidio legittimo per opposizione di ranghi finendo persino a scherzare con lui, a passargli accanto senza il minimo timore di un colpo basso.

Il ragazzino si era fidato troppo.

 

Yusaku ripose tutte le tazzine sul vassoio non sorprendendosi all’assenza di una di esse, il giovane mago aveva accuratamente eliminato ogni traccia del suo passaggio, degno erede del suo più grande rivale.

Sollevò il vassoio scrutando curioso sua moglie ancora seduta sul divano con il volto rivolto verso la porta, in bella mostra una serietà che non le apparteneva.

«Yukiko cosa c’è che non va?»

Il ticchettio delle lancette riempì il silenzio rendendolo opprimente.

La donna si morse il labbro inferiore lasciando trasparire il suo tormento, i capelli scossi nell’aria per scacciare quello che sembrava un pensiero irrazionale. Yusaku le prese la mano scontrandosi con due occhi blu tormentati iniziando a preoccuparsi seriamente per quell’insolito atteggiamento, preoccupazione che non venne meno nemmeno quando ella si decise a parlare.

«Da quanto non chiamiamo Chikage-chan

«Uhm, come mai questa domanda? Saranno passati più di otto anni ormai»

«Così tanto?… allora sono già passati otto anni dal funerale di Toichi»

Yusaku incurvò la bocca in un triste sorriso, effettivamente non avevano avuto il miglior tatto del mondo non chiamando più la donna dopo la sua tragica perdita e se sua moglie era tornata con i ricordi a quei tempi passati proprio quella sera, non era sicuramente casuale.

«Perché ci stai pensando ora?»

«Le carte…il mondo in cui lui prima le ha mescolate distrattamente» le dita femmine si strinsero intorno all’apertura della vestaglia, la voce tremolante trasfigurata in una più stabile solo al secondo tentativo «Lo so che ti sembrerà sciocco ma mi ha ricordato Toichi…aveva lo stesso vizio. Anche lui le mescolava in quel modo quando era sovrappensiero»

«È un mago cara, sarà una qualche loro implicita tecnica»

Yukiko sembrò voler aggiungere qualcosa ma richiuse la bocca un secondo dopo sorridendo assenziente, premurandosi fin troppo repentinamente di riportare le stoviglie in cucina.

Dimenticandosi di quanto suo marito sapesse riconoscere bene i suoi sorrisi d’attrice da quelli autentici.

 

 

 

 

Note finali

Bentrovati intrepidi lettori! ^^

Lo so, sono pessima nei miei aggiornamenti sporadici ma piano piano (molto piano) prima o poi porto a termine quello che comincio.

La colpa è dell’università, prendetevela con lei >.<

La storia prosegue, siamo ancora all’inizio del capitolo 1058, ma è quello che lascia più margine d’azione per raccontare i retroscena a cui la mia mente malata ha pensato. Ho tagliato il capitolo per poter aggiornare e non farvi aspettare altri secoli, di conseguenza la storia arriverà presumibilmente ad un massimo di quattro capitoli.

Nel prossimo capitolo infatti entreremo nel vivo delle disavventure a cui Kaito ha deciso di prendere parte, con l’apparizione di alcuni ospiti speciali che nei capitoli veri e propri Gōshō ha dimenticato (eh, l’amnesia).
Spero di aver solleticato almeno un minimo la vostra curiosità, perché non modificherò quanto accaduto nei capitoli del manga ma come accennato ci girerò soltanto intorno >.>

 

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito la storia, chi l’ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite e al silenzioso lettore che nell’ombra le ha dato una chance.

 

Vi ricordo che sono sempre felice un vostro parere

Un bacio

 

Aky

 

 

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gōshō Aoyama, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

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Capitolo 3
*** L’indaffarata giornata di Kaito Kuroba ***


~ Cronache di una strana collaborazione ~

L’indaffarata giornata di Kaito Kuroba

 

Fanart credits: non sono riuscita a trovare il propietario

 

L’odore del caffè impregnò le mura della cucina nell’uggiosa mattina d’autunno raggiungendo con il suo aroma afrodisiaco il corridoio lì accanto in un silenzioso ed etereo canto ammaliatore. Il battito di ciglia apertamente esagerato fu a malapena sufficiente a scacciare il desiderio. Kaito avrebbe voluto intraprendere una profonda e ben consolidata relazione con la caffettiera lasciata incustodita sul balcone.
Forte, pungente penetrante.
Le palpebre pesanti e il rivolo di saliva caduto sulla divisa scolastica avrebbero dovuto essere il primo sintomo da prendere al vaglio per l’instabilità fisica a cui era giunto. Invece no, nessuna domanda era sorta ai kanji del proprio nome intravisti fra le volute di vapore.
Era servita l’occhiata circospetta dell’ispettore e la sua fronte dolorante per giungere all’unica e insindacabile conclusione: quella di essere totalmente impazzito.
Aveva provato ad entrare in cucina, dal lato sbagliato della porta a vetri.

«Kaito-kun, sei sicuro di stare bene?»
Sua madre gliel’aveva sempre detto di dormire a sufficienza – ovviamente dopo averlo chiamato nel cuore della notte per coerenza – ma quel consiglio era parso superfluo e insignificante per lui, ragazzo nel fior fiore degli anni pieno di energie.
Avrebbe dovuto ascoltarlo almeno una volta a settimana, così tanto per cominciare non avrebbe annusato l’aria con la stessa foga con cui il cocainomane posizionato all’ingresso della metro di Ekoda cercava i contanti ogni mattina.

«Sì sì, non avevo visto la porta»
Scoraggiato per la sua stessa vuota e imbarazza risatina di circostanza e la scarsa inventiva per una scusa tastò la fronte dolorante concentrandosi sulla punta delle pantofole. La mole di informazioni elargitegli da Yusaku continuava a uscire e riordinarsi nei vari cassetti della memoria non trovandovi apposita collocazione. Lo stress contenuto nella casa dello scrittore gli era ritornato indietro con la forza di una catapulta, non aveva bisogno dell’ispettore Nakamori per completare il quadro di persone a cui tenere testa dissimulando freschezza.
I genitori di Shinichi e l’inquietante agente dell’FBI lo avevano prosciugato abbastanza.
La caffeina non avrebbe avuto effetto attraverso le vie respiratorie, inspirarlo non sarebbe stato sufficiente. Avrebbe potuto aspettare di essere solo per sgraffignare una, due, magari tre tazzine ma era altrettanto cosciente di non potersi permettere quel lusso.
Dopo l’esorbitante quantità di tè ingerito in nottata avrebbe dovuto mantenere le dovute distanze da qualsivoglia bevanda eccitante. Lo slancio d’energia appena sufficiente a farlo tornare a casa era sparito da un pezzo abbandonandolo a pensieri incoerenti.
Aveva esagerato con il tè, con l’istinto, l’altruismo e forse persino con la paranoia.  

Il biglietto della metropolitana al ritorno non l’aveva sfruttato per intero.
Sceso a metà tragitto aveva girovagato in tondo per diversi isolati fuori il proprio quartiere. La tranquillità di uno sportivo che si allenava all’alba, il grado di attenzione di un artificiere pronto a disinnescare una bomba con decine di civili a carico. Si era fidato di Yusaku e l’uomo si era fidato di lui ma la vita dell’ultimo anno gli aveva insegnato più del dovuto a non abbassare la guardia, nemmeno con il proprio migliore amico. Soltanto dopo essersi assicurato di non avere nessuno alle calcagna era entrato in un edificio diroccato per nascondere il cellulare restituitogli dal padre di Shinichi.

La prudenza non era mai troppa quando si parlava dei membri di casa Kudo.
Aveva percorso il resto della strada a piedi, circa otto chilometri di corsa sotto un improvviso temporale. Rientrato a casa alle sei e mezza più simile ad un pesciolino di quanto fosse stato disposto ad ammettere – il solo paragone gli aveva procurato i brividi – pur di non rischiare la tentazione di intraprendere un duraturo e indeterminato rapporto con Morfeo aveva evitato di infilarsi nel letto ormai divenuto un mero miraggio. Si era diretto invece a casa di Aoko dopo aver goduto dei massimi confort della sua doccia e aver preparato quanto necessario per svolgere il favore.

Perché essere un mago, un ladro e uno studente non richiedevano troppo tempo.
No, lui aveva dovuto accettare pure l’incarico di spia/consulente/aiutante in affari in cui sarebbe stato più sensato chiamare la polizia/angelo custode e altre svariate associazioni che per il proprio bene non aveva voluto ricercare.

«I maghi che ho conosciuto hanno questo vizio di essere fin troppo altruisti»

«Andiamo Kudo-san, si fida così tanto dei ladri che incontra?»

«No, solo di te»

Le parole erano e sempre saranno l’arma di uno scrittore. Yusaku ne aveva strategicamente fatto un abile uso colpendolo nel suo punto cieco, quello che lo rendeva diverso da un criminale qualunque. Non era stato lui a condurre i giochi nuovamente e per quanto avesse cercato il rancore per detestarlo, questo non era arrivato.
Nemmeno quando la fortuna l’aveva momentaneamente abbondato.

Il pensiero di infastidire Aoko con qualche scherzetto e svagarsi con lei era bastato a concedergli la spinta necessaria per iniziare quella giornata nonostante l’umore nero e la dea bendata da sempre fedele alleata d’un tratto vacillante. Da quando nella sua vita era indirettamente entrato il piccolo detective, l’attira disgrazie, la calamità naturale per le altrui tragedie, difficilmente qualcosa aveva seguito il proprio corso senza intoppi. Quell’ormai lontano primo aprile (1) anziché scherzare con la polizia avrebbe dovuto starsene buono e tranquillo in casa, guardare il film scadente noleggiato da Aoko e ridere della nottata in bianco dell’ispettore.
Incontrare Conan Edogawa era una costante sfida contro la propria vita, un viaggio di andata dall’incerto ritorno. Un momento potevi respirare la sua stessa aria e quello successivo trovarti una pistola alla tempia, un omicidio a tuo carico o ancora un intero gruppo terroristico pronto a farti saltare in aria. Forse era esagerato, forse no, ma nello scrutare il coloratissimo arcobaleno svettante nel cielo diradato insieme allo sfavillante astro solare ove prima c’era stato il diluvio universale Kaito aveva avuto pochissimi dubbi.
Non era Shinichi o la sua forma rimpicciolita il problema, un malaugurio indiretto gravava su tutta la maledetta casa situata a Beika, distretto due, blocco ventuno. Le spore della sfortuna vivevano con loro e lui nel prolungato soggiorno notturno ne era stato infettato.

Kaito trattenne a stento uno sbadiglio ricevendo un’ulteriore occhiata perplessa dall’ispettore Nakamori intento a sistemarsi la cravatta allo specchio del genkan (2).
Per buona sorte l’uomo così abituato alle sue stranezze non si era fatto domande quando l’aveva visto piombare in casa all’alba vestito di tutto punto ma con la voglia di vivere di uno zombie. Tantomeno aveva insistito sul piccolo e imbarazzante incidente con la porta.
Forse stare distante da Beika era sufficiente ad annullare le onde negative.

«Kaito-kun dovresti smetterla di passare la notte davanti ai videogiochi» borbottò burbero l’ispettore con un ultimo nodo per poi passare ad allacciarsi scarpe, aggiungendo sconfortato con un cenno del capo verso le scale «E per favore assicurati che si rinfili a letto prima di andare via, ostinata com’è ha voluto prepararmi il pranzo nonostante non si regga in piedi»

«Non si preoccupi sarà fatto! Mamma tornerà per ora di pranzo e le ho lasciato un messaggio chiedendole di passare qui a fare compagnia ad Aoko»

Kaito annuì svogliato alle sue stesse parole, sbadigliando l’ennesima volta. Il padre della sua migliore amica sembrò voler dire qualcosa ma si limitò a tirargli debolmente in testa la cartellina blu piena di scartoffie. I rapporti sull’ultima rapina di Kid molto probabilmente.

«Tu devi di dormire di più ma non ora» il chiavistello scattò con la stessa enfasi sinistra dell’ultima parola «Una volta uscito di qui fila dritto a scuola!»

Kaito si riscosse immediatamente dal suo stato catatonico all’improvviso tono elevato scattando sull’attenti. Braccio sinistro lungo il fianco e mano destra alla fronte.

«Signorsì ispettore!»
Nakamori chiuse la porta sghignazzando sommessamente. Il lavoro quel mattino sarebbe stato ingrato e poco soddisfacente dato l’ennesimo gioiello rubato sotto il suo naso e non ancora restituito ma le buffonate di Kaito avevano reso il tutto più piacevole. Neppure i suoi sottoposti reagivano con quella celerità e nemmeno per un istante la mente matura indagò a fondo quella azione involontaria considerandola diversa da un rimasuglio del sonno.

Kaito espirò sonoramente alla chiusura della porta schiaffeggiandosi le guance. Totalmente confuso ed estraniato aveva creduto di trovarsi ad una delle sue rapine, travestito da agente della squadra investigativa laddove quel tono veniva usato in continuazione.
Così com’era giunta l’adrenalina altrettanto rapidamente scemò in una silenziosa invettiva.
L’ispettore Nakamori e la sua malsana tendenza di urlare sarebbero stati la sua morte.

Sempre se non ci avessero pensato prima Shinichi e l’allegra combriccola con il loro arsenale.

Abbandonate le braccia lungo i fianchi Kaito sospirò pesantemente avvicinandosi al sottoscala, precisamente alla porticina semiaperta che svelava la sua amica rannicchiata in terra. La coperta in pile a stelle rosse e gialle avvolta in più strati avevano reso Aoko più simile a un bozzolo raggrinzito che un essere umano, lasciando spuntare all’esterno un solo ciuffetto di capelli.

«Aoko, lo so che sei lì sotto» picchiettò divertito un punto dell’ammasso informe più o meno all’altezza di quello che suppose essere il fianco della ragazza «Alzati e vai in camera tua, prenderai solo più freddo seduta lì per terra ed io non voglio una strigliata da tuo padre quando scoprirà che non ho assolto al mio compito»

L’omino delle coperte ondeggiò in segno di diniego accompagnato dal colpo di tosse che spezzò la frase rimostrante facendolo preoccupare ulteriormente. Si era presa davvero una brutta influenza. Forse non avrebbe dovuto obbligarla ad uscire da scuola dopo averla inzuppata con la pompa dell’acqua il giorno prima ma Aoko gli aveva rovinato il trucco magico finendo per rendere il cortile scolastico la succursale di una piscina con le sue stesse mani.

Lui aveva soltanto insistito per tornare in fretta a casa.

Aoko non gliel’aveva perdonato e forse un briciolo di ragione era disposto a concederglielo.

Maledetti sensi di colpa.

«Aoko lo so che sei arrabbiata per lo scherzetto di ieri…mi dispiace?»

«Bakaito le scuse non vanno fatte sottoforma di domanda!» lo strillo offeso da sotto le coperte lo raggiunse prima che esse venissero scostate per lasciar sbucare parzialmente il dolce visino arrossato «Andrò a letto quando te ne sarai andato!»

«Hai ragione, ho sbagliato, ma il mio intento era solo farti uscire allo scoperto, Ahoko» pizzicò delicatamente la guancia della ragazza scandendo ogni sillaba del nome «E se ti stai nascondendo per quel tuo pigiama con i pulcini, mi spiace ma l’ho già visto quando sei corsa a nasconderti»

Aoko arrossì fino alla radice dei capelli alla vocina scanzonata tornando a nascondersi nel suo piccolo bunker morbido decisa a non farsi più vedere da lui per il resto della vita. Lui l’avrebbe presa in giro per settimane se non mesi e sarebbe stata una fortuna se non l’avesse reso pubblico davanti a tutta la classe. Lo faceva già con la sua biancheria intima, non poteva di certo aspettarsi un trattamento di favore per il pigiama.

«Dai Ahoko sono solo dei pulcini! Piccoli e cicciosi animaletti gialli» anche non avendolo davanti, lei poté sentire tutto il divertimento malcelato «Dovresti preoccuparti più dei tuoi capelli, sembravi un porcospino»

«Sparisci idiota!»

Aoko urlò inviperita scalciando alla cieca, presumibilmente colpendo in pieno il suo fastidioso amico seguendo il contatto spugnoso del piede e il gemito seguente. Non le importava se si fosse fatto male. Kaito non mostrava mai un briciolo di tatto quando si trattava di darle giuste attenzioni, doveva rimarcare sempre l’aspetto sbagliato. Lo sapeva da sola che era un disastro su tutti i fronti con il naso rosso per il raffreddore e i capelli reduci da una guerra persa con la spazzola. Se avesse saputo della visita si sarebbe chiusa a chiave in stanza prima del suo arrivo. Il suo amico non era mai stato puntuale quando si trattava di andare a scuola, proprio quel mattino doveva venire in anticipo?

Qualcuno di potente doveva avercela con lei.

Aoko avvertì la coperta pendere da un lato e prima di arrivare a comprendere cosa stesse architettando il suo combinaguai preferito lo trovò a due centimetri dal viso. Infilato all’interno del rifugio con i gomiti poggiati sulle ginocchia e un piccolo spiraglio luminoso utile a far trapelare la luce necessaria a distinguerne i lineamenti.

Inaspettatamente i calori febbrili arrivarono in tutto il loro splendore.

«Dato che non uscivi, sono entrato io»
Il sorriso aumentò dinanzi agli occhi lucidi sbarrati, le mani svolazzarono nel poco spazio a disposizione serrandosi attorno allo stelo di uno sgargiante girasole materializzatosi al centro del pugno serrato. Il luccichio accattivante perse però intensità nelle iridi cerulee accartocciando il giubilo in una goffa piega dinanzi alla sua perplessità.
«Ehm…avevo finito le rose, lo accetti lo stesso come segno di scuse?»
Aoko avrebbe voluto urlargli in faccia quel “no” premuto sulla punta della lingua mandandolo alla ricerca per tutto il globo se necessario ma, in contraddizione con il suo stesso pensiero, strinse il fiore tra le mani prima che bocca e cervello si collegassero. La febbre aveva giocato la sua parte offuscandole la testa e gli altri sensi, il suo cuore non reggeva sufficientemente l’ordine di battere pacatamente.
«Ora valgo così poco da non cercare nemmeno le rose per farti perdonare?»
«Eh? No…Il girasole si intona con i pulcini!....Ehi, no! Ahoko ferma!»
Kaito mugugnò per il dolore al pugno sulla testa finendole praticamente addosso in un groviglio informe di pile nel vano tentativo di liberarsi e ricambiare il gesto in maniera del tutto diversa, soffocandola con il solletico. La paura di farle male al buio lo costrinsero in svantaggio al punto da permettere alla coperta di aggrovigliarsi per terra attorno ai loro corpi e ai gomiti di urtare le strette e basse pareti del sottoscala. Il manico di scopa gli cadde in testa mostrandogli in uno sfolgorio di lucine l’intera Via Lattea sancendo la fine della soffocante lotta.
«Ahoko…fermati! Posso liberar-»
«KAITO!» l’urlo feroce contro i propri timpani interrotto da un fragoroso colpo di tosse fece tremare lui e le stesse pareti cosicché colpito dal timore si immobilizzò all’instante, in quella famiglia avevano tutti il fastidioso vizio di urlare troppo «Togli quella mano da lì! ORA»
In piena confusione e stordimento Kaito ritirò piano l’arto incriminato inumidendosi le labbra secche quando alla coperta tirata via con forza capì cosa avesse infastidito la ragazza. Involontariamente aveva esagerato, di nuovo. Aoko rizzatasi immediatamente in piedi incurante della testata tirata alla scala era sguisciata fuori dal piccolo stanzino sorreggendosi la coperta davanti al petto. Kaito preferì concentrarsi sui pulcini danzanti raffigurati sul pantalone e i calzini imbottiti piuttosto che sul luogo del misfatto.
Sarebbe stato un bugiardo ad ammettere di provare rimorso per quell’errore.
Ritornò a un grado di respirazione normale soltanto quando Aoko fu costretta a poggiarsi al muro per non accasciarsi al suolo ai feroci attacchi di tosse. Con i propri impulsi passati in secondo piano Kaito sospirò alzandosi a propria volta per avvolgerle a sorpresa un braccio intorno alla vita e l’altro sotto le gambe. La sua massa muscolare serviva da rinforzo più per esibizioni atletiche che manifestazioni di forza, su per le scale percorse in completo silenzio e senza sforzo considerò di avere tra le braccia un peso piuma anziché una persona.
Un leggiadro corpicino troppo caldo, segno indiscutibile della febbre alzatasi più del dovuto. Suo malgrado preferiva accertarsi prima della salute della sua amica che mantenere fede alla parola data ad un manipolatore seriale quanto lui.
Giunto in cima alla fila di gradini percorse il corridoio fino alla camera della ragazza attraverso quei muri visti e percorsi centinaia di volte.
«Dimmi la verità, lo hai fatto solo per toccarmi il sedere» sbottò infine in una mormorata accusa Aoko tra le sue braccia, il cui volto nascosto dalla chioma spettinata la diceva lunga su quanto credesse veritiera quella affermazione.
«C-cosa?!...No! Cosa ti salta in mente?!» rispose evasivo spingendo con il gomito la maniglia della porta, desideroso di porre quanta più distanza possibile «Volevo solo aiutarti visto che sei tanto incosciente da non tornare a letto per uno stupido pigiama!»
«Come se ci credessi! Lo sanno tutti che sei un pervertito!»
In risposta Kaito lasciò andare la presa guadagnandosi un urletto spaventato dall’ammalata atterrata sul morbido materasso. Aoko grugnì scontenta scostandosi la frangia senza sputar via la sua acida critica sui metodi bruschi al risolino sarcastico, il bicchiere d’acqua con la medicina disciolta le era già stato porto insieme al termometro estratto da chissà dove.
Lei ricordava di averlo lasciato in cucina.

 

 

«Accidenti, accidenti, accidenti!»
Kaito evitò la carrozzeria cremisi saltando sul cofano dell’altra vettura ferma al semaforo dell’attraversamento pedonale non ancora divenuto verde. La maledizione del demone in miniatura reincarnato l’aveva colpito ancora una volta scombussolando la sua tabella di marcia della giornata. Sdraiato al fianco di Aoko per tenerle compagnia aveva finito con l’addormentarsi abbandonando ogni buon proposito, i pochi minuti erano diventati dieci, la mezzora due intere ore e la stanchezza aveva fatto festa mentre i suoi doveri piangevano miseria.
«Guarda dove vai teppistello!»
Piegatosi in un impetuoso inchino di scuse volteggiò come una trottola attorno ad un invisibile asse dopo aver afferrato al volo le decine di arance fatte cadere all’urto con una cassetta di frutta. La colpa non era stata la sua ma non si preoccupò di sottolinearlo. Incurante dello stesso fruttivendolo e cliente annessa rimasti imbambolati ad osservare il sacchetto spiegazzato, incapaci di comprendere quando e come la frutta fosse stata raccolta, fuggì oltre il cavalca pedonale per guadagnare qualche secondo.
«Maledetta famiglia Kudo»
A denti serrati sbiascicò il suo malumore svoltando repentinamente verso una stradina secondaria per accorciare il tragitto, rimpiangendo di aver lasciato la moto in garage il giorno in cui gli sarebbe stata più utile. I vicoli apparentemente tutti uguali erano più facili da interpretare dei suoi stessi desideri, aveva ormai memorizzato tutti le stradine esistenti e anche quelle non presenti sulle cartine stradali tanto da non dover nemmeno concentrarsi per non sbagliare strada. Una svolta a destra, una a sinistra, ancora destra, un’orchidea offerta all’anziana signora seduta sconsolata su una panchina, di nuovo sinistra fino alla scaletta antincendio di un condominio. Era in ritardo per la scuola, per il bene della sua concentrazione e lucidità avrebbe fatto meglio a non pensare al suo dolce risveglio a cui ritornava ogni minuto, al braccio stretto attorno al busto di Aoko, al volto addormentato proprio accanto al suo, alla maglia del pigiama scostata per il troppo caldo.
Fortunatamente per lui Aoko non si era svegliata durante la sua fuga.
Scuotendo ferocemente la testa prese il cellulare della tasca del pantalone premendo due volte sull’icona azzurra della sua app preferita prima di saltare in rapida successione due cassonetti del vicolo parallelo. Le immagini delle diverse angolazioni di casa Kudo occuparono il suo schermo portandolo a chiedersi retoricamente per l’ennesima volta nell’arco della mattinata chi gliel’avesse fatto fare di accettare il velato invito dello scrittore durante l’intervista. L’impianto di videosorveglianza intorno alla villa l’aveva posizionato dopo essersi congedato dai coniugi sfruttando le modernità della tecnologia e le sue obbedienti colombe appollaiate sui gli appigli più svariati, oltre alle videocamere nascoste fra fronde e cespugli.
Mandando a ritroso le registrazioni salvate su una memory card – che avrebbe dovuto formattare l’indomani per non ritrovarsi con la memoria piena – constatò l’assenza di eventuali minacce. Il video mandato a velocità elevate aveva mostrato nel tempo trascorso da avvio registrazione sino a quel momento solo passaggi sporadici del vicinato. Uomini e donne pronte al lavoro, il postino, i bambini amici del piccolo demonio diretti alla casa accanto. Il più sospettoso di tutti, un uomo dalla corporatura massiccia completamente vestito di nero e con un berretto scuro calato sul viso, si era rivelato infine essere un buco nell’acqua. Alleato non si sa in quale bizzarro modo con la famosa famiglia e lo strano agente dei servizi segreti, l’uomo aveva provato a porre una videocamera all’ingresso in maniera fin troppo plateale. Il display del cellulare secondario con il numero di Yusaku composto era già finito accanto al suo orecchio quando Shūichi nelle vesti di Subaru l’aveva tirato dentro di peso insieme all’appariscente oggetto.
Kaito giunto ai cancelli della scuola sperò vivamente che l’omaccione non facesse realmente parte dell’FBI.

 

 

La fresca brezza di inizio ottobre scosse le fronde degli alberi riflesse sul display del cellulare prossimo alla batteria scarica. Kaito appeso a testa in giù ad uno dei rami nel cortile del liceo spostò la schermata al video successivo, strizzando gli occhi alla luminosità massima con cui era costretto ad analizzare ogni singolo filmato. Le cuffiette all’orecchio non riproducevano alcun suono, le aveva indossate soltanto per non essere disturbato.
Al suono di notifica arricciò le labbra contrariato e quasi graffiò lo schermo per eliminare l’ennesimo messaggio fastidioso. Sua madre atterrata sul suolo giapponese aveva improvvisamente ricordato l’assenza di eccessive tariffe telefoniche su rete nazionale.
Il quindicesimo poup-up ostruì la visuale del retro della casa con una emoji recante due occhioni enormi colmi di lacrime e l’ennesima punzecchiatura alla sua insensibilità di figlio portandolo a sbuffare sonoramente. Le voleva bene, tanto, ma aveva deciso di non aprire più alcun messaggio dopo essersi ritrovato la foto di Aoko placidamente addormentata con tanto di didascalia annessa: “Non la trovi tanto carina anche tu?”

Se non fosse stato un mago a cui le dita erano necessarie tanto quanto l’aria se le sarebbe staccate via a morsi quando la risposta affermativa per poco non era partita all’interno della chat. Sua madre dirottava la sua attenzione verso ben altri scopi e non poteva permetterlo, aveva una dimora da sorvegliare. Doveva continuare a ignorarla.
«La tua stravaganza va di pari passo con la stanchezza Kuroba-kun
Kaito imprecò internamente gettando completamente il capo all’ingiù all’odiosa voce proveniente a pochi passi da lui. Gli occhi color cioccolato dai contorni dorati inchiodarono i suoi sottosopra con un’ombra di divertimento miscelato alla saccenza.
«Non hai altre persone da infastidire?» le dita bloccarono velocemente lo schermo incriminato mentre la voce risuonò visibilmente annoiata «Sai, qualcuno con cui parlare, un amico…Smetti di fare l’asociale e vai a fare amicizia. Su, su Hakuba-chan»
Saguru accomodatosi ai piedi del tronco non si preoccupò di fornirgli risposta. Incrociate le gambe accanto al mucchietto di foglie aprì lo zaino con misurati gesti scoperchiando il proprio bentō per la pausa pranzo. Kaito inarcò dubbioso un sopracciglio rimarcando il suo dissenso, consapevole di non lasciar trasparire il giusto grado di fastidio a testa in giù, magari il detective anziché uno sbuffo scontento avrebbe visto uno sfavillante sorriso.

Un allineamento astrale proprio non voleva farlo concentrare sui filmati di casa Kudo.

L’ampio cortile della scuola offriva decine e decine di altrettanti posti riservati per una consumazione tranquilla e Saguru non aveva accennato alcuna ritirata al suo palese sfottò, di bene in meglio. Era nei suoi giorni del mese, quelli in cui doveva indagare ogni sua parola, gesto o respiro.

Riportò l’attenzione allo schermo ancora guardingo per quell’inusuale calma solitamente preludio di tempesta. Hakuba non era avvezzo a pranzare in sua compagnia nemmeno per i suoi fantomatici scopi superiori, si univa soltanto sotto invito di Aoko attualmente assente. Il soggetto dei suoi pensieri sembrò notare l’elettricità alleggiante e anziché scacciarla distese le labbra in un sorrisetto di superiorità mentre inforcava il proprio pranzo.

Kaito si morse l’interno guancia valutando se cambiare o meno postazione.

Il viale antistante casa Kudo era deserto tanto quanto il suo stomaco e il profumo dell’omelette dell’inglese non mitigava la fame. L’ultima cosa ingerita erano stati i biscotti della signora Yukiko ormai dodici ore prima.
Zoomò sconfortato sull’ingresso dell’abitazione scandagliando centimetro per centimetro la zona alla ricerca del più piccolo indizio. I due coniugi non l’avevano aiutato a capire cosa individuare e ripensando alla nottata almeno un’idea dei volti di questi presunti criminali avrebbe voluto averla. Giocare a mosca cieca sarebbe stato più semplice. Dubitava l’esistenza di fotografie ma almeno descrizioni fisiche o disegni segnaletici avrebbero potuto averli da mostrare, se non i coniugi almeno Shūichi con le sue conoscenze.

Kaito sbatté le palpebre restando con il dito sollevato sullo schermo. Lui aveva parlato con un agente dei servizi segreti ma per come si era posta la situazione non era detto che il capo delle azioni o la stessa FBI sarebbe stata informata della sua collaborazione, altrimenti in primo luogo non avrebbero chiesto il suo aiuto. Per quanto ne sapeva il capo dell’operazione poteva essere lo stesso Shūichi, alla fine aveva svelato la sua identità e non era stato necessario indagare per appurarlo, erano bastati gli sguardi intercorsi fra loro.

«Pensi al tuo prossimo furto Kuroba-kun

Il numero di persone informate era eccessivamente ridotto, probabilmente lo stesso Shinichi sarebbe stato mantenuto fuori da tutto. La mancanza del bambino alla riunione parlava da sola ma non aveva prove sufficienti per appurare le sue ipotesi. Supponeva che un bambino avrebbe destato qualche sospetto in mezzo a future adunanze di agenti operativi quindi la sua assenza non era effettivamente una giustificazione, in più, Yusaku aveva sottolineato svariate volte come avesse accettato il tutto ancor prima di conoscere i dettagli.
Adorava giocare col fuoco ma gli piaceva anche non scottarsi nel processo.

«Kuroba-kun

Il loro gioco era un azzardo su tutta la linea come aveva fatto notare anche a loro, ma il punto più importante, quello che aveva contribuito alla sua assenza di sonno finché non aveva sentito il respiro di Aoko adeguarsi al suo, era il dover mettersi in gioco per loro. Un’organizzazione criminale sulla sua coda era più che sufficiente, svegliare il cane che dorme avrebbe comportato problemi non solo alla sua incolumità e sicurezza. Le persone che cercavano Shinichi erano pericolose, folli, pronte a tutto e ad atti estremi molto più di Snake. Un solo gesto sbagliato, una sola parola di troppo con orecchie indiscrete in agguato, un solo errore di valutazione e avrebbe ritrovato alle sue calcagna un’ulteriore macchina assassina pronta a colpire chiunque, soprattutto le persone a lui care.

Quell’organizzazione non doveva neppure immaginare la sua collaborazione e l’ultimo avvertimento dettogli da Yusaku poche ore prima acquisì molta più importanza, l’uomo ci teneva a mantenerlo al sicuro. Non l’avrebbe venduto coinvolgendo persone di cui non si fidava ciecamente o che avrebbero mostrato problemi a collaborare con un criminale, doveva smetterla di dubitare di lui. I signori Kudo era un conto, Shūichi aveva un debito con lui e si stava nascondendo a proprio volta sotto mentite spoglie, ma gli altri?
Lui restava un ladro e loro l’emblema rappresentativo della giustizia.
Eppure, non era quello a gettarlo verso la paranoia. Organizzazioni così grandi e fuori dai mirini investigativi dovevano avere i loro agganci, spie inserite nella fazione avversaria come avevano fatto loro. Shūichi e Yusaku non erano sprovveduti, dovevano essere giunti alla sua stessa conclusione anche se non vi avrebbero dato credito fino allo sfinimento.
Forse sarebbero stati realmente solo loro quattro le persone informate del piano ma aveva bisogno di ulteriori sicurezze.

«Kuroba!»

Kaito sobbalzò arraffando al quarto tentativo il telefono sfuggitogli dalle mani per lo spavento. Strati di sudore freddo scivolarono alla base della nuca al pollice schiacciato a pochissima distanza dal pulsante di disconnessione. Un solo centimetro di troppo e avrebbe potuto dire addio alla sua fonte di informazione.

Saguru scrutò silenziosamente il ragazzo provando di riflesso dolore alle proprie articolazioni. La sola vista delle gambe intrecciate attorno al legno e il volto capovolto gli mettevano in subbuglio le viscere. Era lì da mezz’ora appeso come un animale facendola sembrare la posizione più comoda del mondo, rendendo quasi sbagliato l’acido lattico alle sue gambe sorto dopo ogni inseguimento notturno.
Kaito non era il tipo di persone facilmente impressionabile ed anche nei momenti di nervosismo tendeva a non stare fermo, dopo mesi a studiarlo qualcosa seppur piccola l’aveva compresa. Un vizio più che un’abitudine, concentrato o sovrappensiero Kuroba agitava e muoveva sempre qualcosa, specialmente le monetine che iniziavano a roteare fra le dita ovunque si trovasse. In quel momento non c’era stato nulla.

Né un battito di ciglia né un sollevamento del petto.

Kuroba era sembrato una statua di pietra fin troppo realistica.

«Sabato non partire per Londra»

Kaito rilassò i muscoli delle gambe piantando i suoi occhi in quelli scuri.

Il cellulare pesava nel palmo abbandonato sul petto mentre le parole sfuggivano dalla diga accuratamente eretta fra lui e il detective. Non era un pipistrello, stare a testa in giù non gli aveva favorito il sistema circolatorio. Il sangue sceso più del dovuto gli aveva annebbiato la ragione, oppure, aveva allentato e infuso coraggio alla lingua l’altrimenti recalcitrante.

Saguru l’aveva sentito, poco importava il tono volutamente abbassato.

«Immagino di dover suppore che la tua richiesta sia del tutto casuale» la risposta serena e il boccone di riso lentamente allontanato dal viso non avevano raggiunto la più piccola percentuale delle sue aspettative «E ovviamente non abbia alcuna relazione con gli individui che ti hanno sparato due sere fa»

Saguru non scendeva a patti con lui, erroneamente aveva attirato la sua completa attenzione.
Il liceale suo compagno di classe aveva lasciato il posto all’indole del detective.

Lo stomaco di Kaito bruciò a ritmo con le bacchette picchiettate sul bordo d’acciaio.

«Sparato?» sollevò esageratamente le sopracciglia allargando la bocca in una deformata e apparentemente pura manifestazione di sorpresa «Di cosa stai parlando?»

«Lapsus freudiano, perdonami» parole vuote artificiosamente studiate come la mano alzata sul torace il cui dispiacere non toccava neppure la punta del mignolo «Per un attimo ho creduto di star parlando al grande Kaitō Kid»

«Ancora con questa storia? Non ti stanchi mai? È ovvio all’interno mondo che non sia io!»

Kaito sbloccò nuovamente il cellulare in una rotazione esasperata degli occhi. Se il detective avesse voluto condurre la conversazione su quel punto avrebbe perso in partenza, lui avrebbe voluto chiedergli tutt’altro. Nell’accettare a cuor leggero quell’incarico aveva dimenticato di dover tenere al sicuro una persona, quella più importante.

E i brutti presentimenti andavano sempre ascoltati.

«Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare»

Il bambino sul triciclo insieme a sua mamma persero subito importanza. Kaito scostò il cellulare di lato alla solenne esternazione, osservando il detective come il risultato di un esperimento genetico malriuscito.

«E questa da dove ti è uscita? Dai biscotti della fortuna?»

«No ignorante, è una citazione di Sir Arthur Conan Doyle»

«Uno, non se ne salva uno» borbottò il mago scuotendo esasperato la testa nel vuoto, saturo di tutti quei detti e quelle conoscenze decantate a gran voce da ogni persona che si riteneva superiore alla media «Detective o scrittori non cambia assolutamente nulla, sono tutti così maledettamente noiosi e poco originali, oltre che strani»

«E a dirlo è il ragazzo che si crede una scimmia» ribatté prontamente il londinese chiudendo con un tonfo il pranzo parzialmente consumato.

Kaito tolse le cuffiette balzando giù dall’albero, sopprimendo ogni reazione al giramento sopraggiunto al repentino cambio di posizione. Saguru lo osservava in attesa di vederlo collassare al suolo ma non gli avrebbe dato la minima soddisfazione di cedere o mostrarsi vulnerabile. Anche se i nervi delle gambe tremavano a fior di pelle.
«Allora, perché non vuoi che parta sabato?»

Stranamente però, non fu lui a riporre l’ascia di guerra.

«Vorrei che facessi compagnia ad Aoko in questi giorni, compreso sabato» si fermò un istante ad analizzare le iridi brune ridotte a due fessure ottenendo il tacito consenso di proseguire «È malata, sicuramente l’influenza non le passerà prima della prossima settimana e non voglio che resti sola»

«Scusami ma non sei tu il suo migliore amico?»

«Sì, ma io sono occupato»

Saguru rizzò le spalle e se fosse stato un coniglio Kaito sarebbe stato certo di poter immaginare due orecchie alzate e mosse in allerta nell’aria. Stava gettando benzina sul fuoco, attizzando quella curiosità malsana che prima o poi gli si sarebbe ritorta contro. Detestava Saguru e la sua dannata smania di conoscere ogni dettaglio della sua vita per via delle sue giuste e non accertate conclusioni, ma al contempo era la persona maggiormente degna di fiducia per far compagnia ad Aoko. Le avrebbe impedito di andare in giro ancora parzialmente malata e quello gli bastava. Aveva bisogno di libertà di movimento e preoccuparsi di andare a casa di Aoko o di guardarle le spalle non collimava con i suoi piani.

«Non posso disdire un volo di punto in bianco, mi credi ricco sfondato?» cosa si aspettasse di vedere il detective Kaito non lo capì, Saguru interrotta la frase l’aveva penetrato con un’occhiata di fuoco aggiungendo più pacatamente «Vedrò cosa posso fare ma non contarci troppo»

In tutta sincerità Kaito aveva pensato di dover subire un ulteriore interrogatorio per presunte attività malavitose e quell’improvvisa condiscendenza gli diede fastidio. Saguru avrebbe passato del tempo in casa solo in compagnia della sua amica ammalata, non pericoloso come un approfittatore ma fastidioso quanto il damerino qual era.

«Momoi-san, hai portato il tuo pesce rosso per il progetto di scienze?»

Kaito immerso nei propri pensieri sussultò alla domanda di cortesia diretta alle sue spalle. D’istinto ad occhi sbarrati si voltò di scatto con la paura infusa nelle vene sopprimendo a stento il gemito pauroso involontario, pronto ad arretrare e porre quanta più distanza fra lui e la migliore amica di Aoko sempre presente al momento sbagliato. Nemmeno si ricordava di averlo un progetto di scienze da consegnare.
I talloni piantonarono il terreno sollevando uno strato di polvere e null’altro.
Dietro di lui non vi era nessuno, anzi, gran parte del cortile si era svuotato in vista dell’inizio delle lezioni. I suoi sensi non avevano fatto cilecca non avvertendo nessuno arrivare di soppiatto.

«Hakuba che dia–»
L’imprecazione restò inespressa mentre ritornava ad affrontare il detective. Le dita di Saguru schioccate debolmente sulla sua fronte in un blando e divertito ammonimento smossero l’impolverato ricordo passato in secondo piano dopo le ultime ventiquattro ore.

«Volevo fare anche io una magia Kuroba-kun» cantilenò astutamente l’avversario ritirando la mano con negli occhi la stessa gioia sfavillante di un vincitore della lotteria.

Kaito serrò le labbra contrariato arricciando le dita nei propri palmi fino a scavarsi la pelle. Quella svolta non andava affatto bene e non aveva nemmeno il giusto tempo per occuparsene, avrebbe dovuto risolvere i conti in sospeso con Saguru al termine della settimana. La colpa era stata tutta del proprietario del rubino cremisi.
Uno stupido proprietario di un altrettanto stupido acquario.
Suzuki aveva ispirato la concorrenza nel modo sbagliato o semplicemente la gente ricca non sapeva più come spendere i propri soldi tanto da preferire inventare stravaganti e complessi luoghi in cui conservare i propri tesori. La gemma era stata posta proprio al centro della struttura, in mezzo alle vasche per pesci con la scusa che Kaitō Kid non avrebbe potuto nuocere a così tanti animali provando a sfuggire rompendo le vasche d’acqua.
Kaito li avrebbe sterminati tutti più che volentieri.

Al contrario delle loro aspettative, infatti, non era arrivato nuotando e il solo ripensare all’eventualità scampata gli accapponava la pelle. Le viscide creature esistevano al mondo con l’unico scopo di rovinargli la vita. A causa loro il problema maggiore era sopraggiunto nel bel mezzo dell’inseguimento nei corridoi desertici con solo Hakuba al seguito. Spessi teli neri erano stati posti sulle vasche come distrazione, una scusante per i suoi filmati di video-mapping psichedelici che a dispetto da quanto sbraitato da Nakamori non servivano a distrarli dalla sua fuga a nuoto ma a salvare sé stesso.
Fallimento totale.
Era stato messo alle strette in un vicolo cieco, punto preciso in cui era inciampato nell’estremità facendo cadere uno dei teli, rivelando un enorme pesce con la bocca premuta sul vetro giusto difronte a lui. La sua fuga era riuscita soltanto perché Hakuba sopraggiunto a manette tese era rimasto immobile, costernato dal puro urlo di terrore fuoriuscito dalla sua gola e dalle centinaia di carte sparate istericamente in incerte direzioni differenti.

«Quando me lo restituisci ricordati di inserirci qualcosa di cremisi»

Il sopracciglio di Kaito scattò all’insù fissando incerto dapprima il complice occhiolino – da quando Saguru gli faceva l’occhiolino? – e successivamente la sicura linea delle spalle del ragazzo avviatosi verso le porte del complesso scolastico. Ai piedi dell’albero Saguru gli aveva lasciato il portapranzo con all’interno quel tanto necessario per mettere a tacere il suo stomaco fino a sera.

Era una sua impressione o le persone stavano diventando davvero strane attorno a lui?

 

 

 

La ventola del pc ronzò sempre più flebilmente man mano che il laboratorio nello scantinato divenne distante. Un luogo buio senza finestre non era certamente il posto più adatto in cui passare interminabili ore davanti uno schermo ad analizzare formule chimiche e numeri che la maggior parte delle persone liquidava come argomenti complicati da cui tenersi lontano.
Ai strusciò i piedi oltre la porta arrampicandosi su uno degli sgabelli per poggiare i fogli dell’ultima ricerca sulla penisola della cucina avvolta nella penombra creata dalle tende tirate alle finestre. La sensazione di vivere in un mondo di giganti era svanita dopo i primi mesi di rimpicciolimento ma i limiti della bassa statura e l’apparenza giovanile continuavano a infastidirla. Il dottor Agasa era uscito quella mattina per andare a un convegno di scienziati a Kyoto raccomandale di stare a letto a causa del suo brutto raffreddore, non aprire la porta a sconosciuti e aspettare il signor Subaru per il pranzo così da potersi rilassare.

Come se fino a qualche mese prima non avesse lavorato per un gruppo terroristico.

Bevve un sorso d’acqua per placare il bruciore alla gola accentuato dal brodo di pollo ingerito alla velocità della luce ad ora di pranzo, seguito da un secondo bicchiere con l’amarognolo retrogusto della medicina. La pietanza anziché migliorarle la salute l’aveva peggiorata, tutto a causa di Saburu e il suo inquietante e sottile sorriso rimasto a fissarla silenziosamente per l’intera durata del pasto. Shinichi l’aveva rassicurata sulla natura dell’uomo senza ovviamente darle chissà quali esaustive informazioni e lei aveva voluto fidarsi, la preoccupava maggiormente il giovane del Poirot ma ciò non le aveva impedito di sentirsi ugualmente a disagio in sua compagnia.

Scuotendo mestamente il capo si avviò all’ingresso indossando le scarpe e il cappotto per evitare ulteriori colpi di freddo. Necessitava di un contatto con la luce esterna e aria fresca oltre a un po’ di movimento dopo le interminabili ore di analisi chimiche. Una passeggiata attorno all’abitazione non sarebbe durata molto e le avrebbe favorito la circolazione.  

Il dottor Agasa sarebbe rientrato verso sera e Subaru non le avrebbe fatto visita prima delle venti piuttosto preso dai propri studi universitari. Teoricamente il ragionamento reggeva ma all’atto pratico aveva il sospetto che un occhio del suo vicino fosse sempre puntato sull’abitazione, su di lei. Era il momento perfetto per metterlo alla prova, poco sarebbero importate eventuali scuse qualora fosse apparso all’improvviso.
Aveva smesso da un pezzo di credere alle coincidenze.

Richiuse la porta inspirando a pieni polmoni l’aria filtrata oltre la mascherina beandosi del pungente odore presagio di pioggia. Amava il contatto con l’aria umida e densa di petricor alleggiante dal rovescio caduto a tarda notte, un contatto diretto con la natura e quelle conoscenze studiate per anni. La pioggia si mescolava ai composti del terreno formando le classiche bolle d’aria che scoppiate rilasciavano nell’atmosfera le particelle fragranti tanto apprezzate. Oli, resina, ozono e geosmina creavano quel mix così attrattivo e irrinunciabile.

A cuor leggero percorse il vialetto tirando su la cerniera del colletto abbozzando un lieve sorriso dietro la stoffa tra respiri eccitati trasformati in sospiri apprensivi oltre la quarta lastra di pietra del lastricato. Più rarefatti e assenti alla quinta, inesistenti quanto il rumore dei propri passi nei pressi del cancello spalancato della villa. Assordata non dallo stridio delle suole sul suolo ma dai pesanti e opprimenti battiti del cuore salitogli in gola.
La spiacevole sensazione di essere osservata vestì di gelo le membra sotto la giacca scivolando inesorabile lungo la schiena fino a farle tremare le gambe. Le mani salirono all’altezza del cuore avvinghiandosi attorno ai lacci del cappuccio tirato eccessivamente sul viso. La mascherina medica ostruì il piccolo afflusso d’ossigeno gettandola in un film muto del primo decennio televisivo. I piedi non collaborarono per tornare indietro, cementati nel terreno affondarono sul posto spingendola ad aggrapparsi al muro granitico.
Il rombo del tuono squarciò la bolla cotonata in cui era caduta con la spietatezza di un colpo d’artiglieria.

Il capo scivolò in avanti oltre la soglia del cancello sporgendosi quel tanto per osservare la strada, sulla destra, verso il ronzio di uno scooter fermo davanti casa Kudo. La carrozzeria rossa e il logo delle poste placarono soltanto per un’istante l’incontrollata paura.
La prima goccia d’acqua atterrò sulla mano pallida violentemente scossa e la voce perì nelle profondità della gola insieme all’autocontrollo. Il lampo squarciò il cielo illuminando cupamente il quartiere deserto, la posta cascante nella cassetta, il ciuffo di capelli chiari altresì sempre bruno fuoriuscito dal berretto del presunto postino.
Sottilissimi e innaturali crini biondissimi da sembrare fili d’argento.

Il terrore ristagnò alla bocca dello stomaco, salì su per l’esofago, i denti batterono fra loro e il più flebile suono di paura gorgogliò infine fra le sue labbra. Una mano foderata di nero sbucata alle sue spalle le coprì la bocca e la visuale agguantandola per la vita. A nulla valsero i tentativi di divincolarsi dalla ferra presa attorno al bacino o le piccole mani stette attorno alle dita schiacciate sulla sua faccia.
Il suo aggressore era più forte di lei.

Inerme e impossibilitata alla lotta perse contatto con la realtà scalciando nel vuoto con quanto vigore i piccoli arti glielo consentissero. I polmoni la implorarono di ricevere aria e le spalle strattonate una tregua inattuabile nell’immediato futuro. Sentì gli occhi bruciare di lacrime non versate ancora non disposte a colare tra ispirazioni violente e pugni aggressivi sbattuti sul braccio saldamente ancorato attorno al suo corpicino finché non riconobbe il familiare e stravagante appendiabiti della casa del dottor Agasa.
Il panico non diminuì nella consapevolezza di non essersi nemmeno resa conto di essere rientrata. Fuori da occhi indiscreti, alla mercè dove neanche urlare avrebbe attirato l’attenzione. Forse avrebbe dovuto sperare maggiormente nelle doti di stalking del suo vicino di casa.

Finita sul parquet a poca distanza dall’ingresso dal quale avrebbe potuto provare a scappare se oltre la porta non vi fosse stata Vermouth ad attenderla, ingoiò a fatica il groppo in gola persistendo nell’involontario tremore. Il cellulare l’aveva lasciato nel laboratorio, lontano e irraggiungibile per una semplice chiamata d’avvertimento a Shinichi. Avvisarlo e intimargli di scappare, di non presentarsi per nessuna ragione lì da lei.
Alla fine, l’avevano trovata.
Vermouth non si era fatta ingannare dal trucchetto sul Mistery Train spifferando ai suoi compagni la sua vera identità, i veri effetti del farmaco da lei creato e la sua morte fintamente inscenata. Le avevano teso un agguato raggiungendo il loro scopo. I capelli scivolati ai lati del volto le impedirono di osservare bene il rapitore dalle braccia ossute ed esili contro il cui petto era schiacciata.
Al colpo di tosse sopraggiunto feroce sussultò violentemente avvertendo la propria respirazione aumentare nell’aria rarefatta. Inspirò ed espirò affondo per non permettere all’attacco di panico di prendere il sopravvento, ripetendo il gesto fin quando l’ossigeno tornò a circolarle nei polmoni attraverso le dita guantate distanziate e una mascherina non più esistente sul suo viso.

«Shhh, calmati, non voglio farti del male»
Il sussurro appena accennato al suo orecchio rimbalzò da una parte all’altra del cervello gettandola dal terrore alla confusione. Le parole non contenevano malizia, l’intonazione non somigliava per nulla a quella di Kron a cui in un primo momento aveva associato l’identità.

«Respira»

assecondò inconsciamente il comando inalando e riversando aria all’esterno a ritmo con il conteggio mormorato sommessamente nella presa attorno al suo corpo ancora salda ma meno opprimente. Il dolciastro profumo di rose le invase le narici solleticando un pensiero nebuloso che non riusciva a definire, quella inclinazione tonale armoniosa e sicura l’aveva già sentita.
Ogni tentativo d’individuazione cadde nel vuoto al suono del campanello.

«Come si chiama il vostro postino?»

L’uomo oltre la porta non era il suo postino bensì la donna dei suoi peggiori incubi, ma la risolutezza della domanda bisbigliata le suggerì che non era necessario specificarlo. Apparentemente non erano dalla stessa parte.

«Agasa-san, Ai- chan siete in casa?»
L’ondata di terrore al sentire il suo nome fittiziamente adattato alla voce del postino fu sufficiente a farle scegliere cosa fare. Al secondo scampanellio tracciò con l’indice sulla gamba del presunto rapitore su cui era seduta il nome del ragazzo che giornalmente consegnava la posta non capendo ugualmente la necessità di tale conoscenza.

«Ho capito Ishii-san! Non c’è bisogno di insistere!» la melodia intermittente cessò al contempo con la frequenza cardiaca di Ai «Ho anche io la mia età! Sarò anche un inventore ma se scivolo nella doccia sono uguale a tutti gli altri»
La voce, quella meno acuta e più impastata che le aveva appena distrutto un timpano era stata precisa in ogni singolo accento e cadenza a quella del dottor Agasa. Troppo perfetta per crederla reale, troppo studiata persino nella risata di circostanza.

«A tal proposito potresti lasciare la posta nella cassetta?» la pausa, la classica interruzione esalta dal dottore ogni qualvolta stava per dire qualcosa di impacciante «Sono solo in casa oggi e… sa, non molto presentabile al momento»

Se non fosse stata certa dell’assenza dello scienziato lei sarebbe stata la prima a cascare in quel tranello. Una simile gaffe era già accaduta in passato, con la sola differenza che quella volta aveva aperto lei al venditore porta a porta sbattendogliela in faccia pochi istanti dopo. Non aveva avuto tempo per le cortesie, il dottore era stato invitato a casa della signora Kimika Tomoyose insieme a Conan.

«Come desidera lei, dottore. A domani!»

Ai allentò la stretta dai pantaloni dell’individuo che non ricordava di aver afferrato. Vermouth si era davvero accontentata di non saperla lì? Non riusciva a crederci davvero e quanto pare nemmeno il tipo lì con lei che da polsino della maglia aveva estratto un cellulare sul quale poteva vedere distintamente anche lei le immagini trasmesse.
Una ripresa in tempo reale della sua abitazione.

La pioggia torrenziale ostruiva la visuale ma il longilineo profilo della donna fu ugualmente individuabile attraverso il viale, in strada e successivamente in sella al motorino delle consegne. Lo stesso rumore del motore messo in moto provenne dall’esterno.
Vermouth era davvero andata via.

La paura accumulata lentamente scemò via abbandonandola alla debolezza ben presto dipanata da un’altra importante questione che andava risolta. Era stata sicuramente salvata, quello era innegabile. Altrettanto certamente però non tollerava di essere spiata.
Sfruttando l’occasione concessa dalle braccia del rapitore allentate fece la prima cosa che le venne in mente per sgusciare via dalla presa. Piantò i denti nel polso dell’individuo facendo immediatamente scattare lontano le braccia che le offrirono la giusta opportunità per calciare all’indietro il suo stomaco e graffiare ferocemente qualunque cosa a portata di tiro.
Distanziatasi di alcuni passi impiegò alcuni secondi a registrare la velocità dei suoi stessi movimenti e il pezzo tenuto stretto fra le dita, gelatinoso e scivoloso, simile al materiale trovato a casa Kudo fra i vari oggetti di proprietà della mamma di Shinichi.
Polimero inorganico costituito da uno scheletro silicio-ossigeno.
Maschera in silicone.

Ai non era una detective né un’appassionata di misteri, era una scienziata dal nutrito e sincero interesse per la materia scientifica. Scienziati e detective avevano però una cosa in comune, la voglia di indagare e capire a fondo un determinato fenomeno. Alzò la testa con innaturale lentezza verso il polso sofferente agitato nell’aria e il volto celato dal cappuccio extralarge coperto parzialmente dalla manica della felpa laddove la copertura facciale era saltata.
Pochi passi, venticinque centimetri di distanza per l’esattezza, un solo salto per le sue piccole gambe per colmare il distacco dall’accovacciato ragazzo occhio d’ambra. Uno. L’altro era rimasto celato dall’avambraccio saldamente piazzato sul lato destro del viso, ostinatamente nascosto per non mostrarle il colore differente.

Ai non era un detective, non lo sarebbe mai stata.
Lei era una scienziata, le interessavano i numeri e i processi chimici.

«Il bagno è al piano di sopra, la seconda porta dopo le scale»

 

Non avrebbe mai messo alle strette la persona che per la seconda volta le salvava la vita.

 

 

 

 

Note finali

 

Questo capitolo è dedicato alla mia amica Serena, la poverina che più di tutte ha dovuto rinunciare alle sue ore di sonno per tenermi compagnia nei miei esistenziali drammi universitari.

 

 

(1) = Riferimento al caso della Black star, il gioiello di proprietà della famiglia Suzuki che comporta la prima apparizione di Kaito all’interno del manga di Detective Conan (capitoli 156 – 157 – 158 – 159; Episodi 78 – 79 numerazione italiana).

(2) = Genkan è la tradizionale anticamera d'ingresso che separa l'ambiente esterno da quello interno nelle abitazioni.

 

Ehm…c’è ancora qualcuno? ç.ç
So bene di essere sparita per mesi ma non per mia volontà, purtroppo.
Il capitolo potrebbe sembrare riempitivo e fuori da quelle che sono le avventure dei file di riferimento ma anche se sembra non scrivo nulla per caso, non dimentico le cose che racconto come qualcuno che conosco…*coff* *coff* Gosho.

Ovviamente Kaito non ha solo la famiglia Kudo a cui dover pensare, ha una sua vita abbastanza caotica da dover gestire e adoro unire le due cose, forse anche troppo.

 

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito questa storia, l’hanno inserita fra preferite/ricordate/seguite e ringrazio anche le due persone che perennemente mi hanno chiesto di aggiornarla. Spero di ricevere un vostro parere anche su questo nuovo capitolo

 

Restate sintonizzati, nel prossimo ritorneranno i personaggi principali della storia >.>
Akai non vede l’ora di incontrare nuovamente Kaito.
Ci credete tanto, vero?

 

Aky

 

 

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Gōshō Aoyama, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

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