Selenia - Ore oscure

di Corydona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Un turbolento ritorno ***
Capitolo 2: *** 1.2 Una consapevolezza nuova ***
Capitolo 3: *** 2.1 Di lettere e di incanti ***
Capitolo 4: *** 2.2 Al servizio di Sua Maestà ***
Capitolo 5: *** 2.3 La proposta della Primavera ***
Capitolo 6: *** 3.1 Lealtà e tradimento ***
Capitolo 7: *** 3.2 Le strade si dividono ***



Capitolo 1
*** 1.1 Un turbolento ritorno ***


 

Qualcuno doveva aver pregato la Luna affinché quella notte non finisse mai.

Si erano mossi al crepuscolo nella convinzione che dal tempio della dea notturna, in cui avevano trascorso l'ultima settimana, nessuno li avrebbe seguiti. Avevano lasciato il regno della Primavera alle loro spalle e si erano introdotti in uno di quei corridoi sotterranei che ormai erano diventati familiari ai pellegrini in cerca di risposte. Non ne avevano trovate, le uniche novità erano quelle che i sacerdoti annunciavano a proposito del continente: la vittoria dello Dzsaco contro il Ruxuna, la morte di Ettore Lugupe, l'incoronazione di Luciana, Roberto De Ghiacci ucciso da Raissa e Nicola scampato all'incendio; i suoi alleati sapevano solo che il Lotnevi era in vita e in salute.

Nicola... non meritava questo destino.

Flora si accostò alle finestra e guardò le nuvole oscurare la vista della Luna; un vento freddo scompigliava le chiome degli aranci, annunciatore di nefasti presagi. Lei non credeva a tali predizioni, ma alla scoperta dei libri di profezie e la corretta interpretazione che Claudio e Stella avevano dato della morte del De Ghiacci l'avevano suggestionata più del discorso che il Tirfusama le aveva fatto nel Defi, ormai diversi mesi addietro.

«Sua Maestà è in arrivo.»

Trasalì nell'udire la voce del vecchio servitore di Vittorio: immersa nelle sue riflessioni non ne aveva udito i passi. Non credeva che il re Estate si sarebbe davvero precipitato lì nel cuore della notte, nonostante Stella si fosse mostrata alle guardie all'ingresso: il sovrano aveva smesso di cercarla solo un mese prima, rassegnandosi ad attendere il suo ritorno.

Il suono dello scettro contro i pavimenti marmorei scandiva cadenzato l'incedere dell'uomo. Flora sistemò il cappuccio del mantello, con un brivido bollente a correrle lungo la schiena.

No, non adesso.

Conosceva quella sensazione, ma ancora non aveva imparato a dominarla. La magia scorreva dentro di lei, un fiume di lava incandescente che le pizzicava le dita quando sentiva di non poterla più controllare. Altre volte si presentava come un terremoto interiore, che conteneva con una fatica ancora maggiore, oppure i pensieri di chi le era vicino si univano nella sua mente in un coro incomprensibile; l'ultima volta le era accaduto mentre si trovava in un tempio pieno di sacerdoti che organizzavano un rito ed era svenuta, non riuscendo a sopportarlo. Solo a seguito di tale episodio si era lasciata convincere da Stella a tornare a Castelscoglio.

La situazione si stava ripetendo, ma non voleva che accadesse davanti a dei soldati sconosciuti né al cospetto di Vittorio che, appena entrato nella sala del trono, fissava la figlia con rimprovero.

«Loro chi sono?»

«Lo-loro...» Stella balbettò incerta. Suo padre era l'unica persona sul suolo di Selenia che le incutesse timore. Il re non disse nulla, con lo sguardo in tempesta puntato su quello della figlia, quasi a volerle estorcere quell'informazione con il pensiero, ma Flora non si illuse: nonostante fosse un uomo adatto al ruolo che ricopriva, non padroneggiava la magia.

Il re Estate attendeva una risposta, avvolto dalla vestaglia azzurra che riluceva al chiarore della luna. Posò lo sguardo sulle figure che accompagnavano la principessa, come se potesse sbirciare sotto i loro cappucci e distinguerne i lineamenti. Tuttavia, lasciarsi scorgere non era la decisione migliore da prendere, ne erano consapevoli: ne avevano discusso a lungo. I due soldati che li avevano scortati all'interno non se ne sarebbero andati tanto facilmente, questo era un dato di fatto. Bisognava agire, e alla svelta, così Flora prese l'iniziativa. La magia stava iniziando a pressarla e lei non poteva più attendere.

«Dobbiamo rimanere da soli.» disse, mantenendo il volto coperto. «Si tratta di una questione delicata e dobbiamo fare in fretta.» Agitò una mano in direzione delle ante d'ingresso della sala, che il servitore aveva richiuso diligentemente, e quelle si spalancarono.

Vittorio distese le dita sul bastone, lasciandovi posato solo il palmo, e poi richiuse il pugno attorno al simbolo del suo potere. «Uscite tutti. Non una parola su quanto avete appena visto, altrimenti non ne pronuncerete più.»

I soldati ubbidirono all'istante, schizzando fuori dal salone come colpiti da un ferro rovente. A un ulteriore cenno del re, anche il vecchio servitore uscì, richiudendosi con ossequio la porta alle spalle.

La Primavera sorrise tra sé e sé. Se la magia aveva un tale potere di coercizione su chi ne conosceva l'esistenza, avrebbe potuto approfittarne. L'Estate doveva aver temuto di trovarsi di fronte a una delle Autunno, se ne era stato tanto turbato nonostante la voce che gli era di certo suonata familiare.

«Dunque, ora esigo delle spiegazioni.»

«Padre, prima...»

«Non sono stato abbastanza chiaro?»

Stella si bloccò, con la mano che corse invisibile all'elsa della spada sotto al mantello.

«Vuoi dirmi chi sono le persone con cui sei fuggita dai tuoi doveri per mesi? Oppure vuoi che richiami i soldati e le faccia arrestare per uso della magia?» Vittorio era freddo, eppure Flora comprese che vedere la figlia dopo tanto tempo l'avesse scosso nel profondo.

Si scoprì il viso. «Alleati.» Le rughe sulla fronte del re si fecero più profonde e lui ebbe un momento di esitazione, che le permise di parlare. «Maestà, comprendo il vostro turbamento, ma dovete crederci se vi diciamo che non abbiamo avuto alternative.»

«Tua madre ha smosso ogni soldato del Defi per ritrovarti» la ammonì il sovrano con severità. «Sparire dal castello senza lasciare traccia né una rassicurazione non è cosa saggia, mai. Quando vi renderete conto che su di voi grava il peso di regni interi?»

«Ho detto che dovete credermi» ribadì Flora, senza trattenere un certo nervosismo. Non era una bambina da parecchi anni e la infastidiva che lui la vedesse ancora come una persona da istruire e proteggere. «Un giorno smetterete di comportarvi da sovrano altezzoso e ascolterete chi ne sa più di voi.»

Tacque, mordendosi la lingua. Quella era un'imprudenza che Vittorio non avrebbe perdonato, ma non le importava il perdono. Lei pretendeva rispetto, quello stesso rispetto che lui le negava.
Infatti il re le puntò l'indice contro. «Dovrei arrestarvi, tutti e tre

«Arrestarci?» rise la Primavera. «E lasciare il vostro regno senza un successore? Non siate ridicolo, e accoglieteci. Siamo qui perché abbiamo bisogno di aiuto.»

Vittorio serrò la mascella, furioso. Gli occhi di onice le lanciarono sguardi di fuoco, ma lei non se ne curò.

«Riceverete aiuto nel Defi o nello Cmune, di cui ormai presto diverrete regina.»

La giovane scosse la testa, trattenendo un'altra risata. «Quindi non siete più un alleato della mia famiglia? Curioso... Ma avete già visto di cosa sono capace e se dovrò utilizzare dei mezzi non convenzionali per ottenere quello di cui ho bisogno, non esiterò.»

«Flora» mormorò l'ultima figura, che fino a quel momento non aveva parlato.

Lei sentì che avrebbe voluto dissuaderla da quell'atteggiamento scontroso, ma non gli diede ascolto. Mantenne lo sguardo puntato sul re Estate, che strinse i pugni cercando di reprimere chissà quale istinto.

«Tu chi sei?»

Claudio imitò le ragazze e si lasciò vedere, malgrado la luce fioca del giorno fosse ancora lontana.

«Nel caso in cui ve lo stiate chiedendo, è proprio la persona di cui vi ha parlato mia madre nelle sue lettere» puntualizzò Flora. Sorrise, la Primavera, perché vide l'espressione sorpresa sul suo volto e comprese che il fedele alleato non era a conoscenza delle sue capacità, né di quelle di Alcina. L'unico tipo di magia che non le richiedeva sforzi eccessivi, e che lei aveva sempre definito intuito, le aveva permesso di scrutare i pensieri diretti del re.

«Dovrei farlo arrestare.» Mosse un passo verso la porta come per richiamare i soldati, in attesa di un suo ordine fuori dalla sala del trono.

Stella sguainò la spada. «No.»

Lei era davanti agli altri, la punta della lama a separare suo padre dalla soglia. Era stata più rapida di Flora, che non si aspettava tale reazione dal sovrano, nonostante avesse intravisto in lui una possibile minaccia nei confronti di Claudio. Era ormai lontano il tempo in cui fingevano di essere innamorati per dare alla corte di Defi un modo per confonderla e non permetterle di conoscere la vera natura degli amori della principessa. Il defico non era un popolano qualsiasi, ma un Veggente; e come tale, lei aveva il dovere di proteggerlo.

L'erede Estate era una statua irremovibile di volontà, con un bagliore che si sprigionava dalla sua figura, avrebbe preso fuoco se qualcuno avesse osato muovere un passo nella direzione sbagliata.

«Non metterti in mezzo» le intimò il padre.

«Non posso permetterlo» disse invece lei. «Se solo ci lasciaste spiegare...»

«Non ho bisogno di spiegazioni» Lui alzò la voce. «Deve avervi stregate e maledette, se ora vi comportate entrambe in questo modo!»

«Lui è sotto la mia protezione, non il contrario» asserì invece la Primavera. «Se lo arrestate, allora dovrete arrestare anche me.»

«Flora» mormorò di nuovo Claudio. «Non è necessario, mi consegno.» Alzò la testa in direzione del sovrano e aggiunse: «Maestà, io non ho rapito nessuno. Non so duellare, né usare la magia. L'unica cosa che davvero so fare non dipende da me».

«Lui è più ragionevole di voi due. Stella, abbassa quell'arma, non sai maneggiarla.»

La principessa era rimasta ferma con la spada puntata in avanti, per difendere l'amico da chiunque osasse avvicinarsi. Claudio le toccò il braccio, ma lei non si mosse: non era più così sicura che tornare lì fosse stata la scelta migliore. Era giusto, dovevano compiere delle ricerche storiche per sapere se alcune delle profezie si erano già avverate per arrivare a quelle che potevano riguardare il loro tempo, mentre Flora doveva capire come non lasciarsi sopraffare dalla magia.

Ma era giusto permettere che Claudio non prendesse parte a quelle scoperte?

«Lasciami andare.» Lui posò la mano sulla sua facendole chinare l'arma.

«Se scoprirò che gli è stato fatto del male, saranno guai seri» minacciò Flora, custodendo le sue vere preoccupazioni in fondo al cuore. Non era ancora in grado di controllare il flusso di magia, come avrebbe potuto proteggerlo?

«Non accadrà» replicò secco Vittorio.

«No.» La figlia rialzò la spada.. «Io non voglio che si separi da noi.»

«Basta così.» Il re avanzò ancora verso la porta, ma il secondo passo rimase incompiuto e la gamba bloccata nell'aria. In un secondo di esitazione, Stella si voltò verso Flora, che guardava assorta l'uomo e il suo piede che vagava nel vuoto, nel vacuo tentativo di raggiungere il pavimento.

La Primavera sentì il cuore salirle alla gola. Non sapeva come avesse fatto, nonostante la certezza che quel prodigio fosse opera sua. Un pizzicorio le percorse le dita delle mani, come se la magia cercasse di sprigionarsi da sola senza attendere un suo comando, svincolandosi dal suo controllo. Tuttavia, non poteva lasciarsi dominare.

«Non tollererò oltre il vostro comportamento.»

La voce di Vittorio le giunse lontana, indefinita, appartenente a un sogno. Non seppe come gli sbloccò la gamba; se fosse atterrito anche lui dalla potenza di quella forza che le scorreva nel sangue, non avrebbe saputo dirlo. Sapeva solo che si sentiva indebolita, che quel semplice sfoggio era stato più di quanto in quel momento potesse sopportare.

«Ora voglio delle spiegazioni.»

«Non c'è molto da spiegare...» tentennò Claudio. «Le succede così e non può controllarlo.»

«Silenzio» ordinò Flora, in un soffio. Si poggiò le mani alle ginocchia, riprendendo fiato. Per tutta l'estate, nonostante i tentativi continui e nonostante il supporto dei sacerdoti con cui aveva parlato, non era riuscita ad andare oltre quei piccoli sforzi. Non poteva essere lei la maga più potente mai esistita, ormai le era chiaro che la profezia non era stata interpretata correttamente da Raissa o da chi per lei.

Si accasciò al pavimento, la vista le si annebbiò e persino le voci preoccupate dei suoi amici erano irraggiungibili, come appartenenti a un altro mondo. La testa si fece pesante, attorniata da un ronzio che attutiva qualsiasi suono e quel pizzicorio riprese a bruciarle su tutta la pelle, come una scintilla accesa sul suo corpo.

«No, basta... Non posso sopportarlo più...»

La sensazione del pavimento freddo sotto di lei non le era di conforto, credette di essere sul punto di scoppiare, come una miccia accesa nel caminetto. La magia era in lotta con il suo controllo, in una guerra per la supremazia di quel corpo forse troppo fragile per contenerla. Inspirò ed espirò, come aveva imparato a fare quando sembrava che lei prendesse il sopravvento, ma non fu sufficiente.

«Chiamate il guaritore, presto» L'ordine del re fu l'ultima cosa che udì prima di perdere i sensi.

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Capitolo 2
*** 1.2 Una consapevolezza nuova ***


 

Quando Flora riprese i sensi, non ebbe il tempo di accorgersi di essere sdraiata su un letto morbido e non più sul pavimento della sala del trono. Un lancinante dolore le attraversò la testa, una lama incandescente che le perforava il cranio e si divertiva a bruciarle la mente.

Non aprì gli occhi, ma mosse una mano, in cerca di qualcosa o qualcuno che non sapeva se presente o meno. Le pareva di aver udito delle voci sussurrare, e sperò che fossero quelle di Claudio e Stella. Delle dita si strinsero attorno alle sue e riconobbe la stretta rude dell’amico.

«Sei sveglia?» sussurrò invece l’Estate.

«Sì…» rispose lei, a fatica, ringraziando la Luna che quel suono fosse così semplice da pronunciare.

«Il guaritore di corte era a Zichi questa notte» commentò Stella, amareggiata. «Stiamo aspettando che ritorni, non so cosa fare per aiutarti.»

«Ho sete» biascicò Flora, sentendo la gola arsa dallo stesso fuoco che le infiammava il capo.

«Ci penso io.» Claudio le lasciò la mano e si allontanò, ma lei poté seguirne il suono dei passi nel corridoio. Si accorse solo in quel momento che, nonostante il dolore, riusciva a percepire l’ambiente circostante pur senza vederlo. Distingueva le linee geometriche dei mobili, la vetrata spalancata e la tenda che riparava dall’ingresso dei raggi solari, Stella china su di lei, il suo respiro preoccupato, i pensieri affannosi per la magia che nessuna delle due era in grado di spiegare.

Sentì il profumo di lavande provenire dalla sua sacca da viaggio che qualcuno doveva averle tolto dalla spalla per metterla a letto. Si sovvenne delle istruzioni di una guaritrice e la indicò all’altra.

«Un impacco. Mi serve un impacco.»

L’Estate si mosse e comprese subito di dover estrarre alcuni dei fiori essiccati che si erano conservati solo grazie all’arte di chi era più abile di loro. «Quali devo prendere?»

«Lavande.» Un altro lampo di dolore le perforò le tempie. Un grido strozzato le morì in gola e lei si portò le mani al viso, mentre altri passi giungevano ai suoi sensi. Non erano quelli affrettati e impacciati di Claudio, bensì solenni e cadenzati, l’incedere di chi si muove con sicurezza ed è abituato al comando.

«Si è ripresa?» chiese Vittorio, con voce austera.

«Non sta bene. Ho bisogno di acqua calda e di alcune bende.»

«Potevate dirmelo prima!» Claudio si avvicinò al letto di Flora, incerto su cosa fare.

Lei si fece forza e si sollevò poggiandosi contro lo schienale, mentre udì il re sporgersi fuori dalla stanza e dare ordini. Aprì gli occhi mentre lui rientrava e scoprì che aprirli o chiuderli non influiva sul suo dolore. Prese il bicchiere che l’amico le porgeva e beve in un solo sorso, sentendo il liquido scorrerle nella gola con dolcezza, come se spegnesse il fuoco che le ardeva dentro.

«Non capisco» disse. «Finora non aveva mai fatto così male.»

Parlare non fu difficile quanto incontrare lo sguardo di Vittorio che pretendeva spiegazioni. Il re la fissava assorto, ma lei non si sentiva in grado di affrontare quell’aria di superiorità che non gli veniva mai meno. Flora decise di accogliere quel dolore, espandendolo affinché lui potesse comprendere: gli avrebbe abbassato quell’alterigia insopportabile. Chiuse di nuovo gli occhi e si concentrò, lasciando che l’incandescenza invisibile la percorresse. La ricevette, e smise di soffrire. Era stato semplice, molto più di quanto avesse immaginato. Se la magia era parte di lei, non poteva chiudersi e ignorare di esserne impregnata.

«La prossima volta devi provare quello che sento io» scherzò Claudio, nel vano tentativo di smorzare la tensione.

Tuttavia, la Primavera non ribatté e gli fece cenno di spostarsi: si trovava tra lei e il re, e non doveva essere partecipe di quelle sensazioni. Distinse la sua figura scostarsi e intravide persino la confusione e il turbamento del suo animo, ma non se ne curò. Espanse quell’ardore bollente attraverso l’aria in direzione di Vittorio, che traballò e dovette reggersi a un comò di legno chiaro per non cadere e venirne travolto. Flora interruppe di colpo quel contatto, perché non sapeva quanto lui avrebbe potuto resistere.

«Magia. Dovevo immaginarlo.»

«Voi lo sapevate?» domandò la primaverese, atona. Ne aveva il sospetto, perché se lui e i suoi genitori erano alleati, doveva essere certamente a conoscenza di quei poteri che Alcina possedeva. Flora non si ingannava: sua madre utilizzava la magia ogni giorno, per tenere sotto controllo i suoi stolti cortigiani.

L’Estate chinò il capo. «Dovrai essere ricondotta nel continente, qui non credo che…»

«No.» Una parola sola, un diniego, un ordine. «Le risposte che cerco sono nel Pecama, devo rimanere qui. Ho bisogno di comprendere, perché sento che lei potrebbe prendere il sopravvento e ho bisogno di chi sappia aiutarmi: ho avuto più risposte qui di quante potrei averne a nord.»

«Alcina sicuramente saprà come fare» ribatté Vittorio, altrettanto inflessibile.

«Deve occuparsi del regno, non di me.» Non avrebbe ceduto, non sarebbe tornata nel Vorrìtrico né al cospetto di sua madre senza aver padroneggiato fino in fondo quegli impulsi della magia che tentava di reprimere con ogni sforzo. Non ci sarebbe riuscita a lungo e non poteva prevederne le conseguenze, per questo motivo – oltre che per lo studio della storia e delle profezie – erano tornati a Castelscoglio.

«La informerò del tuo ritorno.» Il re uscì dalla stanza, senza lasciare la possibilità di contraddirlo.
Lei roteò gli occhi infastidita.

«Non gli permetterò di rispedirti lì» la consolò Stella. «Se dovessi scoprire che ha preparato la tua partenza, ti farò fuggire prima.»

«Giusto» concordò Claudio con un sorriso incoraggiante. «Puoi chiedere ancora Nuvola di ospitarti, sono sempre stati gentili con noi. L’importante è che noi riusciamo a trovare qualcosa sulle profezie e tu che scopri come poter controllare la magia.»

Flora annuì. «Le nostre strade potrebbero separarsi. Non è quello che voglio, ma rischio di esservi più di impaccio che di aiuto.»

Qualcuno bussò alla porta e, appena Stella ebbe concesso di entrare, un servitore si precipitò da lei con una bacinella piena di acqua tra le mani e delle bende appoggiate sul braccio sinistro. La Primavera diede le istruzioni per preparare degli impacchi improvvisati e scivolò sotto alle coperte leggere, lasciando che l’amica le poggiasse sulla fronte le bende umide che avvolgevano dei mazzetti di lavande.

«Ora puoi andare.» Vittorio era tornato proprio in quel momento e osservava le cure che sua figlia prestava alla principessa di Defi.

Flora aveva gli occhi chiusi e dunque non poté sollevarli al cielo, ma una smorfia infastidita si dipinse sul suo volto. «Diteci tutto quello che sapete» ordinò, con voce pacata. «Potrei non essere in grado di controllarla e non vorrei fare del male a nessuno. Voi ne sapete più di quanto non lasciate intendere.»

«Per questo sono qui. Ma prima voglio sapere chi è lui.»

Stella si animò d’improvviso, e scattò in piedi. Era intenzionata a proteggere Claudio e rivelarne la natura poteva metterlo in pericolo. «Padre, non…»

«Invece mi sa che dirglielo è il minimo» commentò il defico. Si grattò una guancia rasposa su cui stava ricrescendo un filo di barba scura, incerto. Flora poteva toccare la sua paura, ma lui era conscio, come lo era lei, di non avere alternative. Se Vittorio avesse ascoltato la verità non sarebbe stato severo nei loro riguardi e avrebbe capito che la loro ricerca era decisiva per il destino di Selenia.

Claudio puntò lo sguardo in quello penetrante del re. «Sono un Veggente.»

Lui non si scompose, ma il turbamento era evidente per chiunque avesse potuto coglierlo.

«Non serve che chiediate delle dimostrazioni, le visioni non si presentano a comando» lo anticipò la Primavera. «Riesce a toccare i codici in cui sono conservate le profezie, cosa che non è possibile per tutti. Confido che ne siate a conoscenza.»

«Non potevate dirlo prima?» Vittorio strinse la mano sullo scettro, che aveva portato con sé.

Un simbolo di potere, per riaffermare che qui è lui al di sopra di tutti gli altri e che io devo sottostare alle sue decisioni. Se lo può scordare, questi trucchetti possono essere buoni per i cortigiani, non con me. Forse non ricorda che nelle gerarchie del Pecama io sono al di sopra di lui.

«Con il rischio che i soldati ci ascoltassero? Non vogliamo che circolino strane voci, le profezie sono un retaggio del passato che tutti vogliono dimenticare.»

Insieme alla magia e all’alchimia.

Il re fece un impercettibile cenno di assenso con il capo. «Su questo avete ragione voi.»

«Credo di avere ragione su molte altre cose, ma questo non è il luogo per discuterne» puntualizzò lei. Se con le parole poteva ristabilire la giusta gerarchia, non si lasciò sfuggire l’occasione per farlo. Sua madre gliela avrebbe fatta pagare cara, e così anche Vittorio fu tentato di risponderle, ma non c’erano cortigiani o servitori presenti e, qualsiasi rimprovero sarebbe stato del tutto inutile. «Cosa sapete sulla magia? I sacerdoti con cui abbiamo parlato in questi mesi non hanno saputo dirci molto.»

Vittorio afferrò la sedia della toeletta e la avvicinò a sé. Guardò sua figlia, che sedeva ai piedi del letto, e quel giovanotto che se ne stava a braccia incrociate con la schiena appoggiata a un armadio. Non aveva affatto l’aspetto di un Veggente, sembrava un perdigiorno. Il re non si sarebbe stupito se avesse iniziato a fischiettare e a girarsi i pollici.

«Non conosco tutta la storia della magia, né di come si sia generata su Selenia» iniziò a dire. «Posso solo dirvi come stanno le cose al giorno d’oggi.»

«Ci accontenteremo» commentò Claudio, suscitando una risata di Stella.

Sì, un perdigiorno in piena regola.

«Gradirei che non insultaste nessuno dei presenti. Come avrete capito, posso leggere i vostri pensieri e per me non è neanche impegnativo.» Flora si portò una mano alla fronte bagnata e sistemò l’equilibrio dell’impacco, che rischiava di scivolare sul cuscino. Vittorio l’avrebbe di certo interpretata come una mancanza di rispetto nei suoi riguardi, ma lui era stato altrettanto irrispettoso con la sua idea sul conto di Claudio; e lei voleva che fosse chiaro sin da subito che doveva accettare quella situazione senza volersi imporre.

Lui non replicò, alternando lo sguardo tra la maga, sua figlia e quel Veggente. Esclusa la Primavera, il cui unico scopo sembrava quello di punzecchiarlo, erano ansiosi di ascoltarlo.
«Bene, allora che io sappia la magia non è più viva su Selenia da ormai diversi secoli. Dopo la Guerra dei Draghi Bianchi ce ne sono state solo altre due legate alle conoscenze magiche, e al termine della seconda i Lupfo-Evoco hanno stabilito in una riunione segreta che non dovesse essere più usata da nessuno.»

«I Draghi Bianchi?» chiese Claudio, confuso. Ricordava vagamente che Franco gli aveva accennato a un’antica guerra e che lui lo aveva ascoltato raccontarla mentre studiava, ma doveva essersi distratto. Alla fine gli sembrava solo un elenco di nomi di nobili che vi avevano partecipato, di morti, di vinti, di vincitori e di territori persi o conquistati. E visto che il continente aveva cambiato suddivisione così tante volte, lui non aveva tenuto a mente tutti gli eventi che l’amico gli aveva spiegato.

«Lunga storia» tagliò corto Stella. «Gli Autunno stavano prendendo il dominio sul Vorrìtrico, ma un’alleanza guidata da Alessandro Inverno li ha sconfitti e hanno perso gran parte delle loro terre.»

«Ma i draghi non sono una conoscenza magica» rifletté il giovane. «Perdonatemi, Maestà, non so molte cose e sto cercando di capire.»

Vittorio annuì, per la prima volta comprensivo con lui. «Infatti non sono una conoscenza, ma creature magiche. Con quella guerra si sono estinti e non ne è più rimasta traccia.»

«Quindi non c’è pericolo che gli Autunno ne abbiano uno» asserì Flora. Virgilio le aveva rivelato di aver catturato un mostro marino ma lei sapeva che quelli, seppur confinati nelle acque del Lancobe, ancora esistevano. «E per la magia, oggi cosa si sa? Chi la usa?»

«Nessuno può usarla» rispose Vittorio. «I Lupfo-Evoco l’hanno vietato.»

Lei scoppiò a ridere istericamente. «Devo mostrarvi di nuovo che io la uso? O che la usa mia madre?»

«La vostra magia non è usata per scopi pericolosi» deglutì lui.

O non ha capito niente o non vuole accettare la realtà.

«Quindi ora ufficialmente né magia né alchimia esistono.» Claudio prese la parola, riflessivo. «Però, se ci pensiamo bene, ci sono entrambe, perché nei templi ci sono dei rimasugli della magia utilizzata per costruirli e questo vale anche per le costruzioni più antiche, giusto?»

Il re Estate annuì. «Le uniche tracce di magia sono queste, quelle rimaste negli edifici costruiti da architetti in grado di utilizzarla. I templi sono l’esempio più evidente, ma non sono l’unico.»

«Castelscoglio.» Stella si portò una ciocca chiara dietro l’orecchio. «E l’alchimia?»

«I guaritori sono alchimisti, ma la loro arte è volta a fin di bene» spiegò suo padre, asciutto.

«Voi non siete mai stato a contatto con le nozioni alchemiche?» domandò Flora. «Sappiamo che in un recente passato ci sono stati sovrani che in segreto si sono dedicati all’alchimia.»

«Una simile affermazione è oltraggiosa.»

«Perché? Non è un crimine approfondire la conoscenza.» Si tolse l’impacco dalla fronte e se lo rigirò tra le mani, prima di mettersi seduta. «Quelle conoscenze possono essere utilizzate per portare molti vantaggi sia al vostro regno sia a quello dei vostri alleati. L’unico rischio è quello che tali conoscenze cadano in mani nemiche.» Sentiva salire la soddisfazione dentro di sé: solo alcuni mesi prima non avrebbe mai osato rivolgersi con quel tono a Vittorio Estate, né a nessun altro sovrano di Selenia. Tuttavia il viaggio nel Pecama le aveva restituito una diversa consapevolezza di sé, e se prima era considerata soltanto una principessa capricciosa, ormai il suo ruolo era cambiato.

Lui inarcò un sopracciglio, irritato dal suo atteggiamento sfrontato.

«D’accordo, non siete stato iniziato ai segreti alchemici» concluse Flora. «Questo è tutto?»

«Non credo che ci sia altro da aggiungere.»

Stella guardò perplessa suo padre: quelle informazioni che aveva condiviso con loro erano meno di quanto lei si aspettasse. Vittorio, tuttavia, non mostrava alcun segno di turbamento, escluso il fastidio per le parole della Primavera.

«Cosa sapete, invece, sulle profezie?» lo interrogò lei.

«Non molto. Solo che non sono accessibili a tutti, infatti non si possono toccare i codici in cui sono custodite, come voi dovreste aver appurato. Inoltre, la loro spiegazione non è affatto semplice: sono state trascritte secoli fa e bisogna possedere delle profonde nozioni di storia di Selenia che non si limitino al proprio regno o ai propri alleati per sapere se si sono già verificate o meno.»

«Siamo fregati» commentò Claudio. «Dovremmo imparare più di quanto conosciamo e di quanto possiamo trovare in una sola biblioteca.»

«I dotti del regno potrebbero…» tentennò Stella.

«No» la interruppe Flora. «È troppo rischioso.»

«Le profezie sono considerati vaneggiamenti dalla maggior parte dei saggi» aggiunse Vittorio. «Io stesso ne ero convinto prima di scoprire che esistono ancora dei Veggenti.»

Arcadio.

«Quindi i nostri buoni propositi finiscono qui.» Claudio si grattò la nuca, rammaricato. «Sarebbe una ricerca senza fine, tanto vale provare a interpretare quelle che abbiamo. Non sarà molto ma intanto è meglio lavorare sui testi profetici che su quelli di storia, ci incasineremmo solo tutto.»

«Avrete a disposizione la biblioteca» decise il re, in uno slancio di benevolenza. Nonostante la sua prima impressione, quel ragazzo sembrava sveglio. «Lì non vi disturberà nessuno.»

Si congedò da loro e Flora seguì con lo sguardo e i sensi i passi dell’Estate lontano dalla camera. Si diresse nell’ala del palazzo dove si trovava la biblioteca. Aveva scorto in lui la sincerità, eppure qualcosa le suggeriva di mettersi sull’attenti.

«Non sei convinta?» le chiese Stella. «A parte il tuo incidente, non ci è andata così male, potremo studiare le profezie che abbiamo…»

«Non si tratta di questo.» Flora trasse un profondo sospiro, chiudendo gli occhi. «C’è qualcosa che lo preoccupa, e non si tratta solo di noi.»

«Puoi leggergli nella mente e scoprirlo?»

«Ci ho provato, ma sono ancora debole. Si tratta di qualcosa di più profondo che vuole nascondere, devo stare bene per riuscirci.»

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Angolino autrice
Come promesso, un nuovo capitolo al venerdì! Queste prime parti sono un po' introduttive, ma molto presto ci saranno alcune rivelazioni importanti... stay tuned ;)

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Capitolo 3
*** 2.1 Di lettere e di incanti ***


 

Melissa avanzò nel buio, avvolta nel silenzio della notte. Erano mesi, se non anni, che non metteva piede a Castelfango e ne aveva intuito la ragione: piuttosto che saperla lì, Raissa l'avrebbe obbligata ad agire alla luce del sole. Violante aveva scritto nei suoi diari di avere delle stanze segrete nella reggia del regno d’Autunno, stanze in cui potevano essere custoditi manufatti magici oppure istruzioni preziose per migliorare le proprie abilità. La maggiore delle nipoti non bramava il potere, ma la conoscenza: se avesse saputo come aumentare il flusso che sentiva scorrere dentro di sé come un torrente impetuoso, avrebbe posseduto un’arma preziosa per fronteggiare Raissa.

Deianira era rimasta nel continente, più precisamente nel Ruxuna, insieme al loro padre. Forse lo stesso Ruggero aveva cercato le tracce di magia disseminata da sua madre nel tentativo di distruggerla; tentativo fallito, visto che Melissa ricordava con chiarezza di aver origliato una conversazione al riguardo tra lui e Amelia. Il re di Ruxuna temeva che l’uso della magia avrebbe ostacolato la loro reputazione presso gli alleati. Si era ricreduto presto quando la contessa Diomira Nori aveva raccontato di aver percepito della magia viva in Alcina Primavera. Che la regina di Defi godesse di un universale rispetto era innegabile; grazie a lei e a quella vetusta donna del Lancobe, Melissa aveva ottenuto il permesso di dedicarsi alle arti per cui le sorelle Autunno erano tanto temute.

Giunse a passo felpato nell’ala di Castelfango destinata alla nonna Violante, in cui nessuno entrava più da anni, almeno stando a quanto le era stato riferito. Sarebbe stata una stolta a credere che Raissa se ne fosse tenuta lontana. Erano trascorsi solo pochi mesi da quando aveva preso la nave dei De Ghiacci per recarsi nell’isola, di certo ne avrebbe approfittato anche per una visita lì.

Melissa si richiuse la porta alle spalle con cautela, già solo che non fosse sigillata l’aveva messa in allarme. Non aveva emesso alcun suono, non aveva incontrato nessuno lungo il tragitto, neanche un servitore nottambulo. Eppure ancora non era il momento di abbassare la guardia. Non percepiva anima viva; e neanche chi, a quanto ne sapesse l’intera Selenia, doveva essere morto. C’era soltanto lei.

Si concesse un profondo sospiro, prima di procedere a tentoni nel semibuio. Le tende non erano state richiuse a dovere, chissà se da Raissa o da Violante stessa, ma quello che più importava era che aguzzando la vista la maggiore delle Autunno distingueva gli spigoli del mobilio. Poteva muoversi senza inciampare in qualche tappeto o sbattere contro il una poltrona: se sua sorella aveva dato ordine perché qualcuno vegliasse non doveva commettere alcun errore. Le sue abilità di illusione le davano sicurezza con gli altri, ma Raissa non era da sottovalutare.

Resasi conto di potersi muovere indisturbata, si avvicinò a una libreria vuota. Non c’era traccia di polvere, se lì era stato posto qualche volume di magia era probabile che fosse stata proprio Violante a toglierli di lì prima che Ruggero ne entrasse in possesso. Si soffermò per un istante a contemplare i tendaggi. Non era possibile che la polvere non si fosse depositata sugli scaffali, neanche se la finestra era serrata. Tuttavia il suono della pioggia che scrosciava nel regno le giungeva nitido come se si trovasse all’esterno. Avanzò a passo felino fino alla vetrata chiusa – o meglio, che tale presumeva. Le ante erano spalancate e rivolte all’infuori ma, nonostante il vento che scompigliava le chiome degli alberi verso di lei, l’acquazzone non entrava in quegli appartamenti.

Melissa rimase immobile, nascosta dalla tenda rossastra. Iniziava a comprendere da quali incanti era circondata, iniziava a percepire attorno a sé una forza magica che, lo sentiva, l’avrebbe protetta. Sua nonna aveva gettato degli incantesimi che avrebbero permesso solo ad alcune persone ben precise di varcare quella soglia. Per questo non era necessario che la porta fosse sigillata: se n’era già occupata lei.

E Raissa? A lei era stato concesso lo stesso privilegio?

La pioggia cadeva inarrestabile, suono armonioso che la accompagnò mentre si trovava all’interno. Superò l’anticamera e si ritrovò in un salotto spazioso, in cui a catturare la sua attenzione fu un quadro appeso alla parete di fronte a lei. Raffigurava due donne che a un occhio poco attento sarebbero sembrate coetanee. Eppure Melissa le riconobbe entrambe: la contessa Diomira Nori e Violante Autunno. La nonna reggeva uno scettro sottile, ma con un rubino incastonato in cima, il simbolo della famiglia regnante nel Ruxuna. All’epoca Violante era la regina, ma allora perché appariva così invecchiata, con lo stesso aspetto che Melissa ricordava di quando era una bambina? I capelli erano già ingrigiti, raccolti in un’acconciatura severa in voga alcuni decenni addietro, il vestito era lo stesso con cui era stata ritratta in tutti gli altri dipinti che la nipote aveva visto sia a Castelfango sia nella reggia nel continente.

Dev’esserci una spiegazione

Superò anche quella stanza, e anche le successive, che non presentavano particolari degni di nota, fino a quando non varcò la soglia della camera da letto. Il baldacchino e le sue spesse trapunte giacevano abbandonati da anni. Un vassoio d’argento era stato lasciato sul comodino vicino alla porta, con una teiera da cui usciva un filo di fumo affiancata da una più piccola contenente del latte. Melissa si sporse in avanti per annusare, convinta che fosse andato a male: invece i suoi sensi si sorpresero nello scoprire che quel liquido era dolce come appena munto. E comprese.

Il tempo. Hai fermato il tempo.

Notò solo in quel momento due volumi rilegati posati al centro delle coperte. Si versò una tazza di tè bollente e si sedette sul giaciglio della nonna. Sorrise tra sé e sorseggiò la bevanda con una consapevolezza nuova: la Contessa doveva aver applicato lo stesso incantesimo, per questo era ancora in vita e in salute nonostante dovesse aver varcato la soglia del secolo. Non si teneva lontana dal regno della Luna e di Danào per puro dispetto, come sosteneva Luciana, bensì grazie a delle capacità e a una sapienza magica per lei ancora tutta da scoprire.

Se solo Raissa non mi avesse tenuta lontana dal Pecama per tutti questi anni… Ora sarei una maga più potente di lei. Potrei fronteggiarla sicura di vincere.

Posò la mano al suo fianco, dove si aspettava di sfiorare la morbidezza della stoffa di velluto che copriva il letto, e invece toccò la copertina di pelle di uno dei libri che Violante doveva aver lasciato lì. Lo aprì e vi trovò una busta da lettera con all’interno un foglio di pergamena, senza ceralacca a chiuderla. Un inchiostro nero ricopriva tutto lo spazio, con una grafia decisa e regolare. Non fu difficile riconoscere la mano di sua nonna.

Cara e dolce Melissa,
se queste righe ti raggiungono significa che noi siamo lontane da molti anni e che tuo padre mi ha allontanata dalle nostre terre dopo aver scoperto che sto praticando la magia. Spero che le sue stolte convinzioni non abbiano intaccato la tua curiosità. Sei una bambina molto vivace e avida di sapere, e la donna che diverrai sarà saggia grazie alla tua indole e alle tue conoscenze.

Se stai leggendo le mie parole, significa altresì che hai accolto la mia verità: nelle mie stanze private di Castelfango i giorni non scorrono e tutto rimane uguale all’ultima volta in cui vi sono stata per sigillare i segreti che sto per rivelarti.

Ti starai chiedendo se anche le tue sorelle hanno avuto la possibilità di accedere alle mie camere private, se anche loro hanno superato l’incantesimo che impedisce a chiunque di entrare. La risposta è no: questo privilegio è riservato solo a te. Sei sempre stata la mia preferita, non è mai stato un mistero. Deianira è ancora piccola, non so prevedere il suo futuro, Raissa coltiva troppo rancore e risentimento nei confronti del passato e dei nemici: non è predisposta a un buon uso della Conoscenza.

Tuttavia ho lasciato anche a lei delle istruzioni magiche: non doveva sentirsi tagliata fuori, perché non avrei saputo immaginare quali sarebbero state le conseguenze. Non preoccuparti, si trattava dei primi rudimenti di magia che avresti assimilato anche tu: il vostro percorso verso qualcosa di più alto doveva avere un principio e non rimpiango la mia scelta. So di aver preso la decisione giusta.

La contessa Diomira un giorno convincerà tuo padre che la magia non è un male e che non ci potrebbe indebolire, né che diminuirebbe il nostro credito (io mantengo la convinzione che ci conferirebbe un maggior prestigio) e sarà solo allora che voi potrete dedicarvi ai primi studi. Ho già predisposto ogni dettaglio nella vostra formazione (lo avrete trovato nei miei scritti custoditi nella biblioteca reale di Ruxuna). Lì vi ho anche accennato alle capacità magiche di due pietre particolari: le ametiste e gli zaffiri. Confido che tu ne sia entrata in possesso, perché sarà fondamentale per completare il tuo percorso nella conoscenza della magia e di tutte le sue sfaccettature. Ora ti svelo un altro uso: quello dei topazi.

Bada bene, non mi riferisco a tutte le pietre che ne hanno le caratteristiche esterne, ma solo a quelle che i Del Nord possono ricavare da pochissime miniere nei loro territori. Nei secoli scorsi, quando la magia e l’alchimia non erano un tabù sul suolo di Selenia, quelle miniere sono state impoverite e le loro preziose gemme sono state utilizzate dagli alchimisti (questa è una storia affascinante su cui potrei dilungarmi oltre misura, ma non è il momento).

Ora quello che importa è la loro proprietà: possono alterare lo spazio. I due codici rilegati che troverai insieme alla mia lettera hanno delle copertine particolari: al loro interno sono stati nascosti dei topazi provenienti dalle miniere dei Del Nord e, grazie a loro, le parole scritte in uno dei due compariranno anche nell’altro. Scompariranno non appena saranno state lette, quindi fai attenzione a chi consegnerai il volume gemello. Dovrai fidarti ciecamente di quella persona, perché questi oggetti magici sono preziosi e se cadono nelle mani sbagliate possono diventare pericolosi. Il loro nome è décudo. Ti prego di usarli con attenzione, ma so che tu sarai abbastanza scaltra da non permettere a Raissa di entrarne in possesso.

Adesso guarda sotto i cuscini del mio letto. Vi troverai una collana con il ciondolo di topazio: indossala ogni volta che vorrai tornare qui. Ti ci troverai appena la pietra avrà toccato la tua pelle. Sei la sola a cui le mie stanze a Castelfango saranno sempre accessibili. Potrai condurre qualcuno con te, ma soltanto una persona e soltanto per nasconderla. Queste sono le condizioni che i miei incantesimi possono proteggere.

Ora ti ho detto tutto ciò che devi sapere. O quasi: non ti ho ancora dato un motivo per cui tornare. Se scosti l’arazzo vicino alla finestra (quello che rappresenta il Drago Bianco di Laura Autunno), ti accorgerai di una porta nascosta nella parete. Nel suo legno sono stati incastonati tre topazi e un’altra pietra: ti permetteranno di varcarla e di trovarti nel luogo che desideri. Ricordati di chiuderla, altrimenti apriresti un varco magico attraverso cui altri potrebbero entrare nelle stanze e scoprire il nostro segreto.

Spero di incontrarti presto, mia cara.

Nonna Violante.

Melissa piegò la lettera e la ripose in una delle tasche del mantello, poi sfogliò il codice rilegato: le pagine erano vuote, sembrava che nessuno l’avesse mai aperto… Eppure era certa che anche Violante vi aveva scritto, altrimenti non le avrebbe spiegato come funzionava. L’utilizzo delle pietre rimandava all’alchimia, una branca che la giovane conosceva solo a tratti. Riprese in mano il foglio e rilesse.

Sua sorella si era imbattuta accidentalmente nei volumi che la nonna paterna aveva lasciato in biblioteca, che loro avevano utilizzato per sperimentare la magia. Non era stato affatto accidentale: Violante aveva pianificato tutto, anche i fogli inseriti all’interno tra alcune pagine, in cui aveva annotato le sue conoscenze su ametiste e zaffiri.

Procurarsi le ametiste non era stato difficile, le miniere al confine tra Agloeto e Nutixa non erano sotto il controllo di nessuno dei due regni; quei poveri minatori che lei aveva incontrato erano abbandonati a loro stessi, con un misero guadagno per un lavoro che nessuno aveva intenzione di fare. Ricordò l’incontro con Angelo, e come lui l’avesse aiutata a farsi accettare da quegli uomini scorbutici. Alla fine erano riusciti a convincerli e loro avevano estratto le ametiste che i giovani si erano spartiti equamente. Lui le avrebbe date al capitano della nave di cui era secondo; lei ne avrebbe tratto giovamento per i suoi continui spostamenti.

Aveva creduto che quelle pietre livide influissero sul tempo, che lo rallentassero per chi le possedeva, non che rendessero più veloci i viaggi via terra e via mare. Nulla dava sostegno alla sua tesi e quando aveva letto i primi accenni all’alchimia di sua nonna aveva sperato di saperne qualcosa in più, invano. Tuttavia l’intuito le suggeriva che in quella lettera ci fossero delle omissioni.

È solo un tassello di un progetto più grande. Tu e Raissa non siete così diverse.

Strinse i volumi al petto. Nessuno avrebbe mai sospettato l’alleanza che la legava al marchese Giampiero Tirfusama. Si distese sulle coperte, allungando il braccio libero sotto ai cuscini che non erano stati scalfiti dal tempo: toccò la stoffa sottile di una collana e si ritrasse, scoprendo un nastro nero con il ciondolo di topazio. La infilò nella busta della lettera e poi in una tasca del mantello.

Si alzò in piedi e si accostò alla finestra. Non perse tempo a guardare l’acquazzone che scrosciava: ne aveva avuto abbastanza di quel regno e del suo umore inquieto. Spostò il vecchio arazzo, lanciando un’occhiata disgustata alla figura di Laura Autunno a cavalcioni su un drago con scaglie argentee: se non si fosse comportata da folle spargendo terrore e morte con quelle creature, i territori della loro famiglia non sarebbero stati toccati e Raissa non avrebbe intrapreso la strada per vendicarla.

E forse la mia vita sarebbe diversa.

Varcò la soglia e richiuse la porta dietro di sé. Sorrise scorgendo il cortile dei Gredasu alla periferia di Nilerusa. Menta era la persona giusta per consegnare il décudo al Tirfusama.

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Capitolo 4
*** 2.2 Al servizio di Sua Maestà ***


 

Il marchese attraversò a passi cadenzati l'intreccio di corridoi luminosi del castello di Defi. Tastò una tasca del mantello pesante in cui si era avvolto e trasse un sospiro di sollievo nel sentire la vicinanza del décudo. Era stato dai Gredasu all'alba e Menta gli aveva fornito le istruzioni di Melissa.

Il vento che annunciava l'arrivo delle stagioni fredde si era insinuato in ogni angolo della reggia, e più di un servitore che correva indaffarato rabbrividì, come se la calura estiva avesse gettato nell'oblio il ricordo degli inverni.

Giunse a una sala secondaria, in cui gli era stato detto che Alcina lo attendeva. Bussò con educazione, e l'uscio si spalancò da solo.

La regina, avvolta da un abito di stoffa scura, guardava l'orizzonte cupo da una delle finestre che si affacciavano a sud. I capelli erano raccolti in una treccia gonfia sulla nuca e che le ricadeva sulla schiena, lasciata nuda dall'abito, ma coperta da un lungo scialle di lana. La donna soffriva di dolori fisici a ogni cambio di stagione e, proprio per quel motivo, doveva aver chiuso le finestre e ordinato che Giampiero la raggiungesse in un luogo appartato.

Solo in un secondo momento il marchese si accorse che sul tavolino di cristallo era poggiata una teiera di porcellana da cui usciva un refolo di fumo. Si domandò se Alcina avesse intenzione di avvelenarlo.

La donna si voltò e gli rivolse un sorriso. Gli occhi chiari guizzarono in quelli scuri di lui, che però le chiuse l'accesso alla sua mente. Forse non l'avrebbe ucciso, ma quell'incontro dall'aria informale non sarebbe stato semplice da affrontare.

Con un cenno della mano lo invitò a sedersi su uno dei divani ricoperti di velluto verde smeraldo e Giampiero eseguì all'istante muovendosi con sicurezza, mentre lei si avvicinava. Non appena la sovrana l'ebbe raggiunto, lui le vide gli occhi gonfi e la punta del naso arrossata di chi è infreddolito.

«Maestà, vi sentite bene?»

Alcina scosse il capo con un gesto impercettibile. «No, ma è per via della stagione. Ogni anno sembra sempre peggiore del precedente... Ma forse sto invecchiando.» Sorrise, come a smorzare una tensione di cui sapeva essere la causa. Versò il tè nelle tazze e gliene porse una. «Vedi, tutti gli avvenimenti delle ultime settimane mi hanno messa alla prova. L'uccisione di Guglielmo, la fuga di mia figlia, la guerra tra Dzsaco e Ruxuna che i nostri alleati hanno inaspettatamente vinto... E il non essere riuscita a fare molto per Luciana Lugupe, dopo tutto quello che ha dovuto passare a causa della sua lealtà verso di me, mi hanno debilitata.»

Giampiero trasse un profondo sospiro. «Luciana non vi ha chiesto aiuto. Forse era troppo orgogliosa per farlo, ma se ne avesse davvero avuto bisogno si sarebbe rivolta a voi.»

«Sì, orgoglio... Il difetto peggiore per un sovrano, eppure chi non ne ha nemmeno un po' non è in grado di governare» commentò la regina, prima di sorseggiare la bevanda calda il cui fumo danzava di fronte ai suoi occhi chiari. «Temo di aver commesso un terribile errore che l'ha allontanata da noi.»

«Da noi?» Le parole gli sfuggirono prima che Giampiero se ne rendesse conto. Si trattenne dal portarsi una mano al volto solo per non apparire debole agli occhi della Primavera, ma quella domanda era un'ammissione imperdonabile.

«Sì, da noi. Da me, dal Defi... da te, caro marchese.» La risposta di Alcina per lui fu un colpo più duro di una stoccata alle gambe in precario equilibrio. «So che non ti è indifferente, e l'esito dei Lupfo-Evoco non è stato favorevole né alle mie alleanze né alle tue vicende personali. Amelia sarà anche morta in quell'incendio, ma ha cercato in ogni modo di farmi terra bruciata intorno... Molto ironico, ma è una nuova realtà con cui dobbiamo entrambi fare i conti. Ho bisogno di te più che in passato.»

«Sono qui per servirvi.» Era una frase di circostanza, quella che qualsiasi suddito avrebbe rivolto al proprio sovrano, ma la regina aveva toccato la giusta corda per smuovere l'insieme armonico dei suoi sentimenti. Se Luciana era stata abbandonata, la colpa era anche sua. Gli ambasciatori di ritorno dallo Dzsaco fornivano resoconti di quanto l'atmosfera nel suo regno fosse cupa, e di come la nuova sovrana soffrisse la presenza ingombrante della contessa Diomira Nori, l'unica parente ancora in vita.

«So che posso fare sempre affidamento su di te.» La donna gli sorrise affabile. «Vorrei che tu andassi da lei e le tendessi la mano del Defi. So che abbiamo commesso degli errori, e...» Si morse il labbro, la confessione le costava più di quanto prezioso avesse «E dovrai dirle che la prima a sbagliare sono stata io, e che sono stata imperdonabile.»

Giampiero si mosse per ribattere, ma fu anticipato da un servitore che bussò alla porta ed entrò senza attendere il permesso. «Perdonatemi, Maestà. È arrivata una lettera da Vittorio Estate, il re l'ha già letta, ha detto che avreste dovuto farlo subito anche voi ed è partito per il Pecama.»

L'uomo le porse il vassoio con la missiva aperta, che lei afferrò subito. Scorse le righe rapidamente sotto lo sguardo del marchese, senza mutare espressione del viso

«Il re ha preso la decisione giusta» sentenziò infine. «Puoi andare.»

Il servitore si inchinò e lasciò il salottino, richiudendosi l'uscio alle spalle.

«È accaduto qualcosa a Vittorio Estate?» Giampiero si fece coraggio osando più rispetto a quanto si sarebbe spinto solo alcune settimane prima. Tuttavia, percepiva che la situazione era cambiata, e che quello che non sarebbe stato possibile in passato lo era in quel momento.

La regina si concesse un sospiro meditabondo, e posò la missiva sul tavolino. «Flora è da lui, a Castelscoglio.»

«Mi sembra un'ottima notizia, perché vi turba?» Si morse la lingua, ma dentro di sé era convinto di doverle parlare in quel modo. Avrebbe approfittato della sua vulnerabilità per recuperare il prestigio che i Lupfo-Evoco gli avevano sottratto e le avrebbe dimostrato che in quell'occasione era stato sconfitto solo dalle arti magiche delle Autunno.

Lei non rispose, ma sollevò lo sguardo puntandolo nei suoi occhi. Giampiero le sorrideva, come se dovesse infonderle il coraggio per rivelargli i suoi dubbi, quando in realtà la sua espressione mirava a celare lo sforzo per impedirle di entrare nella sua testa. La magia della regina non sembrava affatto indebolita dalla debolezza fisica. Osservandola meglio in quello scontro silenzioso, il marchese credette che fosse proprio quell'oscuro potere a permetterle di non accasciarsi sul divano in modo poco elegante.

«Quando sarai nello Dzsaco, dovrai scoprire per me com'è andata la battaglia di Merolpe in cui hanno sopraffatto il Ruxuna.» La sovrana sospirò profondamente. «Non posso credere che un regno instabile come il loro abbia potuto sconfiggere una potenza militare quale è quella degli Autunno. Dev'esserci qualcosa sotto, anche se si trattasse di soldati a pagamento voglio saperlo. Ci riuscirai?»

«Maestà, ho fallito una volta, non accadrà di nuovo.» Giampiero chinò il capo, rispettoso. Si aspettava che lei gli indicasse subito di uscire dal salotto e mettersi in viaggio, perciò lo sorprese che Alcina versasse ancora del tè per entrambi.

«Confido che quando tornerai avrai delle informazioni dettagliate. Ho bisogno di te, perché i tempi bui che sembravano tanto lontani stanno arrivando. E la luce è lontana.»

«Non dubitate più di me?»

Alcina sollevò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. Tra le dita affusolate stringeva ancora una fumante tazza di porcellana. «No, non ne dubito più.»

Quindi in passato l'ha fatto.

Nessuno dei due aveva dimenticato quella breve visita all'antico casale abbandonato che la sovrana aveva offerto a Giampiero. La proposta del ritiro dalla vita di corte e quello scontro silenzioso che avevano combattuto con la mente e la magia, tra ciò che entrambi volevano conoscere e ciò che era da nascondere a ogni costo.

Se la regina aveva di nuovo deciso di riporre la sua fiducia nel marchese, lui sarebbe stato attento. Non poteva più permettersi altri errori, non se in ballo c'era il destino di Selenia. La nuova stima di Alcina l'avrebbe salvato dall'imbarazzo di quelle lunghe settimane trascorse noiosamente a Castelvetro. Ora poteva mettersi in viaggio e non solo recuperare il tempo che l'aveva visto lontano dalla consueta vita da diplomatico, ma anche avvicinarsi di nuovo a lei.

«Partirò subito e non vi deluderò.»

Attese che Alcina gli indicasse la porta della sala, e solo quando lo fece si allontanò. A grandi passi raggiunse la propria camera, a uno dei piani superiori, avendo già delineato come agire una volta lasciata il castello di Defi. Sapeva che la regina non gli avrebbe mai permesso di agire indisturbato, non dopo avergli proposto di ritirarsi a vita privata; quindi si aspettava di essere seguito a vista da uno dei suoi soldati.

Forse da quello più fedele in assoluto.

Prese una sacca da viaggio e indossò un mantello pesante: mettersi in viaggio con quel clima uggioso non lo allettava, ma preferiva arrivare alla corte di Luciana il prima possibile. Rischiuse la porta della stanza, dopo essere stato ben attento a non lasciare nulla di compromettente. Il décudo era in una delle tasche e solo quello avrebbe potuto destare nella sovrana il vago sospetto che lui tramasse alle sue spalle. Scese rapidamente le scale senza incontrare, per sua fortuna, alcun cortigiano; non lo allettava l'idea di doversi confrontare con loro o di parlare delle ragioni per cui era in partenza. Ad ampie falcate giunse nell'armeria e ritirò il suo stiletto, che recava sull'elsa il fiore di magnolia simbolo di Alcina. Sorrise amaro quando il custode glielo rese: la regina non avrebbe mai più dubitato di lui, non dopo che le avrebbe consegnato delle risposte.

Giampiero non conosceva la verità sulla battaglia di Merolpe, ma allo stesso modo della sovrana Primavera supponeva che ci fosse qualcosa sotto. Tuttavia, prima di arrivare da lei aveva un'altra faccenda urgente da sbrigare che lo stava spingendo a inoltrarsi per le vie di Nilerusa, non nella direzione più veloce verso lo Dzsaco.

La capitale era avvolta dai colori cupi del cielo; le case basse, solitamente dai toni sfavillanti, erano ingrigite dalla prospettiva di un imminente temporale. Qualche bambino giocava a rincorrersi, sporcandosi con la terra resa fangosa dalla pioggia della notte, con le madri che li richiamavano per mettersi al riparo. Le strade erano sgombre, nemmeno le donne canute che di solito vi sostavano per ciarlare o ricamare si erano appostate fuori dalla porta. L'autunno era ormai alle porte, portando con sé l'umidità e il freddo che anticipava l'inverno.

Il marchese proseguiva senza seguire un itinerario chiaro ad occhi estranei: come previsto, Marco Pomi lo seguiva a debita distanza. Cercò di seminarlo camminando a passo rapido tra le vie strette di un quartiere a metà tra il centro e la periferia, dirigendosi prima verso nord, poi verso ovest e ritornando, seguendo il suo piano, verso est. Girò intorno ad alcune case basse e vide un'anziana che rientrava trasportando a fatica delle sacche di tela colme di frutta e verdura.

Le corse incontro e le rivolse un sorriso. «Posso aiutarla?»

«Voi siete un nobile, non posso chiedervelo.» La donna accennò con il mento alla spilla che chiudeva il mantello di Giampiero, quel fiore di magnolia che portavano i fedeli di Alcina tra l'aristocrazia.

«La vedo affaticata, per me non sarà un problema.» Non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato Pomi per tornare sulle sue tracce e preferiva nascondersi per qualche minuto, oppure attraversare dei cortili interni che non si affacciavano sulle vie.

«Non ho modo di sdebitarmi.»

«Non sarà necessario.» Il marchese le prese di mano le sacche e la seguì all'interno di un'abitazione i cui colori esterni dovevano essere di un arancio splendente sotto i raggi del sole. Non era mai stato dentro case piccolo-borghesi, dunque non sapeva cosa aspettarsi una volta lì. La porta d'ingresso si affacciava su un ampio spazio, con un caminetto spento e una sedia a dondolo poco distante. Dei lavori a maglia erano lasciati in mostra su un tavolo da pranzo, mentre la donna riempiva una fruttiera in vetro con dei melograni appena acquistati, che si affiancavano a delle mele vermiglie con sfumature aranciate.

«Ne volete una?» propose la donna. «I miei nipoti ne vanno matti, soprattutto la più piccola...»

«Preferisco che le abbiano loro, non vi ho aiutato per avere qualcosa in cambio.» Giampiero scosse la testa. «Immagino che sia importante, sia per loro che per lei.»

«Siete il primo nobile di questo stampo.» L'anziana gli rivolse un ampio sorriso, avvicinandosi a lui. «Ma devo aiutarvi lo stesso.»

Il marchese esitò. Finse di riflettere, cercando di comprendere se potesse fidarsi o meno. L'istinto, o la magia, gli suggerì di farlo: scorse in lei qualcosa di familiare, come se l'avesse già conosciuta in un tempo passato. Avrebbe potuto essergli utile.

«Mi sono perso, sto cercando la casa degli Ulsi.» Intrecciò le dita con un gesto nervoso, notando solo allora dei tappeti a ricoprire il pavimento scuro. Ne indicò uno e aggiunse: «Penso che li conosca, li vendono nel loro negozio».

«Ma certo che li conosco! Quello lì è un regalo di mio genero!» Gli occhi chiari della borghese guizzarono nei suoi. «Ma non pensavo che i nobili comprassero i tappeti direttamente dalle botteghe!»

Giampiero scosse la testa, tuttavia sentendosi più leggero: se aveva capito bene, davanti a sé c'era la nonna materna di Franco. «Vorrei parlare con uno dei suoi nipoti, il più grande... Si tratta di una questione urgente. E segreta, devo chiedervi di non farne parola con nessuno.»

«Non vi preoccupate, abitano qui vicino, il mio cortile sul retro coincide con il loro!» Senza dargli la possibilità di ribattere, lo lasciò solo, uscendo da una porta che affacciava su un piccolo giardino ben curato. Era molto diverso dal campo coltivato di Elide: non c'era traccia di coltivazioni, né di terra battuta, ma della ghiaia riempiva alcuni sentierini sinuosi attorno a scuri cespugli. Forse nei giorni più caldi dell'anno fiorivano emanando profumi dolci e delicati. A un albero era appesa un'amaca, su cui si dondolava un ragazzo immerso in una lettura e fu proprio a lui che la donna si avvicinò con passo arzillo.

Giampiero si avvicinò all'uscio per origliare. Si era fidato di lei, ma voleva avere la certezza di essere in buone mani. Nascondendosi alla vista, anche a lui era impossibile scorgere le due figure; tuttavia poté udire le loro parole con chiarezza.

«Filippo!»

«Oh, nonna!» Il suo tono sorpreso era quello di chi era stato colto con la testa tra le nuvole, e al nobile sfuggì un sorriso.

«Di' un po', tuo fratello?»

«A casa, sta studiando per... Boh, non so nemmeno che roba sia.»

«Non lo disturbo, vero?»

«Ma non disturbi mai!»

Udì il suono di qualche passo e la donna tornò nel campo visivo del marchese, che la spiò bussare a una porta e attendere che qualcuno aprisse. Quando accadde, Franco scambiò alcune parole con l'anziana prima di seguirla a ritroso.

Pochi istanti più tardi i due giovani si ritrovarono l'uno di fronte all'altro.

Il borghese puntò subito lo sguardo sulla spilla e impallidì. «Nonna, non potresti lasciarci da soli?»

«Ma certo, caro. Controllo che tuo fratello non stia ancora bighellonando nel cortile... Spreca troppo tempo con quei romanzi d'avventura.» Fece un cenno con il capo al nobile in segno di saluto.

Franco era rimasto immobile per tutto quel breve lasso di tempo, cercando invano di nascondere il nervosismo. «Siete qui per arrestarmi?» chiese, pacato.

«Assolutamente no, potete fidarvi di me.»

«Perché dovrei?»

«Perché io sono Giampiero Tirfusama.»

A sentire quel nome, Franco si rilassò, e gli indicò di prendere posto attorno al tavolo. «So chi siete, Bianca De Ghiacci ha parlato di voi a Chiara Delle Foglie.»

Il marchese annuì, sedendosi. Aveva suggerito lui a Bianca di informare la nuova alleate delle persone di cui poteva fidarsi ciecamente: uno dei nomi in cima alla lista era di certo il suo.

«Avete davvero aiutato Flora a fuggire dal Defi?»

«Non proprio: la sorte è stata dalla nostra parte, perché l'incontro con chi davvero l'ha aiutata è stato fortuito. Ma saprai che insieme a lei c'è il vostro comune amico.»

«Claudio... non posso credere che sia partito all'avventura. Ma voi non siete qui per parlarmi dei miei amici, giusto?»

Giampiero scosse la testa, composto, mentre Franco intrecciò le dita e iniziò a far ruotare i pollici in un gesto che tradiva ancora la tensione non del tutto smorzata.

«No, è molto più importante.»

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*Angolino autrice*
Ricordate che nel Trono c'era un capitolo con un titolo simile a questo? In quell'occasione si trattava di Luciana che giungeva presso Alcina, invece ora si tratta di Giampiero!

Che dite, ce la farà il nostro marchese a portare a termine il suo compito?

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Capitolo 5
*** 2.3 La proposta della Primavera ***


 

Lo scroscio della pioggia si riversava su Nilerusa dal primo pomeriggio, tanto che sua madre aveva scherzato dicendo che il dio Sole stava calpestando le nuvole correndo da una parte all'altra. Menta sorseggiò un po' di quell'infuso caldo che profumava di erbe aromatizzate e che Carmen le preparava ogni volta in cui si sentiva debole. Nel breve periodo trascorso insieme a Bianca De Ghiacci non aveva dimenticato com'era sentirsi coccolata da quelle premure e si chiese, forse scioccamente, se lei ne ricevesse. Aveva saputo tramite il Tirfusama che stava bene e che era tornata nel Pecama, nel suo piccolo regno.

Soffiò sulla bevanda fumante, fissando ipnotizzata il fumo che saliva alto. Si accorse che dalla manica spuntava la stanga della M marchiata con il fuoco sul suo polso e lo ricoprì alla svelta: non riusciva a guardarlo, a evitare di sentirsi colpevole. Ma per cosa? Lei non aveva commesso alcun crimine, come Melissa aveva detto per rassicurarla. Certo, alcuni suoi comportamenti o legami personali potevano apparire non irreprensibili agli occhi di una regina severa; in ogni caso, quel simbolo di eterna condanna era sempre lì, pronto a ricordarle che era l'ultima erede di una stirpe maledetta e che nemmeno Bianca l'aveva salvata. Bevve un sorso bollente, ripensando alla De Ghiacci.

Roberto era stato ucciso da Raissa sotto i suoi occhi, e lei non aveva potuto fare niente se non guardarlo cadere nel mare.

Una piccola parte di Menta aveva sempre temuto che anche al proprio fratello fosse riservato un destino simile, se non addirittura peggiore. Incontrare Angelo, da questo punto di vista, le aveva restituito la leggera sensazione di saperlo ancora in vita.

Qualcuno bussò alla porta, facendola sobbalzare: suo padre era ancora al centro di Nilerusa e non sarebbe rientrato prima della sera. Quando Carmen aprì la porta, Menta trasalì.

Sull'uscio era apparsa Alcina Primavera. Si trattenne all'esterno, spiando con occhiate gelide la famiglia che teneva sotto controllo, con dei soldati di sua fiducia che la vegliavano giorno e notte. Strinse la presa sulle pieghe scure del vestito abbastanza per evitare che il fango lo sporcasse.

Carmen si fece di lato. «Maestà, entrate.»

«Non resterò a lungo.» La regina fece saettare lo sguardo intorno per l'ambiente, arricciando il naso.

Menta si alzò in piedi in segno di rispetto, ma la donna le rivolse un gesto quasi impercettibile per dirle di rimanere al suo posto. Sembrava che volesse mostrare la sua distanza anche fisica da quella dinastia.

«Non siete tutti. Non ha importanza, so dov'è chi manca.»

«Ci state spiando?» Angelo era l'unico a non essere intimorito da lei, tanto che per diversi giorni aveva lasciato scoperto il suo marchio sulla pelle, un segno di orgoglio da sfoggiare per aver sfidato una delle sovrane più temute di Selenia.

«Non avreste pensato che vi avrei lasciati qui dopo che avete tentato di sfidare i limiti imposti dalla maledizione.» Alcina mantenne lo sguardo fisso sul giovane, che ricambiava con aria di sfida. Rimase immobile per alcuni istanti prima di sorridere tra sé, soddisfatta. «Come immaginavo. Tu non sei chi hai finto di essere e io per una sciocca sensazione di vittoria mi sono lasciata ingannare.»

Menta trasalì di nuovo. Se lei era in grado di scoprire tanto facilmente i segreti delle persone solo guardandole, avrebbe presto conosciuto il suo. Inspirò ed espirò profondamente, sperando che il panico non le attanagliasse le viscere e che, soprattutto, la Primavera non le leggesse nel pensiero. Giampiero le aveva rivelato che ne era capace e le aveva consegnato una collana con uno strano ciondolo di pietra scura che lei doveva indossare in ogni momento: una protezione dalla magia, aveva detto il marchese. Lo sentiva gelido contro la sua pelle, sotto gli strati di vestiti che la difendevano dagli spifferi che si insinuavano gelidi dentro casa.

«Perché avrei dovuto fingere e prendermi la marchiatura?» Angelo fece un passo avanti, ponendosi come scudo tra Carmen e la regina.

«Non te la farò pagare, perché sei sordo alle ferite e la tua morte non sarebbe utile a nessuno. E a me servi vivo.» La voce di Alcina era fredda, a rimarcare una decisione già presa. «Voglio che tu conduca qui il vero Virgilio Gredasu.»

«M-ma, Maestà,» provò a obiettare Carmen, «come può lui sapere dove si trova? È stato qui per mesi...»

La sovrana sorrise. «Sono certa che sarà in grado di svolgere questo compito. Probabilmente avevano già ideato il piano in caso di cattura, visto che hanno dimostrato di non essere degli sprovveduti.»

«Non vi permetterò mai di marchiarlo.» Angelo aveva fatto un passo avanti, per nulla intimorito dall'alone di autorità che la donna emanava.

«Cosa farò o non farò di lui non dipende da te. Hai un mese di tempo.»

«E se non lo facessi?»

«Sarai morto, così come lui non appena i miei uomini lo troveranno al tuo posto.» Lo disse con semplicità, quasi noncuranza, e la sua espressione risoluta fu uno schiaffo per Carmen, impallidita e sul punto di svenire. «Prendi questa.» Dal mantello estrasse una spada con tanto di fodero. Sull'elsa era inciso il suo fiore di magnolia. «Vedi, ti sto concedendo l'onore di una delle armi dei miei fedelissimi. Non mi aspetto che tu riponga la tua fiducia in me, ma apprezzerai il mio tentativo.»

«Ho delle alternative?»

«Nel tuo ultimo soggiorno al castello non sei stato torturato. Non vorrei chiamare i soldati che mi hanno scortata fin qui e ordinare di catturarti.»

Dietro quel sorriso e quel tono gentile, le parole della sovrana suonavano pronunciate da un dio maligno. O, almeno, così suonarono alle orecchie di Menta, che ne rimase attonita. Non erano stati torturati, ma il dolore della marchiatura era impresso nella sua memoria, indelebile come la traccia sulla sua pelle. Che Alcina avesse davvero intenzione di torturarlo se non avesse obbedito?

La regina gli lasciò l'arma tra le mani, ma lo trattenne quando il giovane fece per estrarre la lama dal fodero. «Questo non è il luogo adatto.»

«Non è una spada normale» commentò lui, asciutto. «Ha della magia?»

«Lo scoprirai da solo. Ricorda che hai un compito da svolgere e un mese di tempo per farlo. Portami il capitano della Millenaria e quella spada sarà tua per sempre.»

Angelo strinse l'impugnatura, acquietandosi. La scrutò con attenzione, con l'animo che ribolliva sottopelle, ponderando la richiesta della Primavera e i benefici che ne avrebbe ricevuto. Si era lasciato sfuggire per caso con Menta di non aver mai posseduto una spada, ma che quelle che avevano sulla nave erano utilizzate indifferentemente da tutti i marinai in caso di scontro con i pirati. Nemmeno nelle missioni via terra ne aveva avuta una che potesse considerare propria e, nonostante affermasse di essere abile nei combattimenti, la mancanza di un'arma con cui prendere confidenza era un piccolo macigno che gli pesava. Sembrava che Alcina avesse colpito il punto giusto per ottenere il suo appoggio.

«Ho la vostra parola che non lo ferirete né ucciderete?»

Lei chinò il capo, con un impercettibile assenso. «Lederlo non è nel mio interesse.»

«D'accordo, parto subito.» Prese una sacca da viaggio, pronta per l'eventualità di una fuga improvvisa più che per eseguire gli ordini della donna che l'aveva relegato lì. Indossò un mantello che si era procurato al mercato di Nilerusa e si congedò da Carmen con un abbraccio, sotto lo sguardo indifferente di Alcina.

Scambiò un'occhiata con Menta e le si avvicinò con passo incerto. Non avrebbe potuto dire nulla che le due donne non avrebbero colto, dunque rimasero senza parole di commiato e con solo una stretta di mano come addio.

La sovrana posò lo sguardo su Carmen non appena Angelo se ne fu andato. La nobile decaduta era sconvolta, temeva che aver taciuto la verità – è cioè che quello non era suo figlio – potesse avere delle catastrofiche conseguenze. «Non vi punirò per averlo tenuto nascosto: la lealtà è sempre ammirevole, ma non ho finito con voi. Menta verrà con me a Castelvetro.»

«Cosa sarà di lei?»

La giovane socchiuse gli occhi. Sua madre non aveva battuto ciglio quando si era trattato del futuro di Virgilio, perché preoccuparsi per l'altra figlia?

«Diventerà una donna di corte. Ormai la maledizione è stata infranta, quindi non vedo motivo per cui tenere segregati gli ultimi Gredasu.»

«Sarò una pedina politica?» La domanda sorse spontanea dalle sue labbra, senza che lei potesse impedirlo. Si rese conto solo in un secondo momento di aver utilizzato termini particolari, appresi da Melissa e non da Bianca. L'amuleto l'avrebbe protetta, si ricordò, la regina non avrebbe scoperto il suo segreto.

«Sarai molto di più. Raduna i tuoi effetti personali e poi partirai con me.»

«Avete parlato degli ultimi Gredasu.»

«Infatti mi sono occupata di loro due. Menta e Virgilio hanno dimostrato di essere persone di valore, per questo li voglio con me. Non ti devo altre spiegazioni. Tu e tuo marito siete liberi di restare qui o di andare altrove, se questo regno vi reca ricordi spiacevoli. Non vi perseguiterò oltre, perché il vostro destino non mi interessa né mi riguarda più.»

«Ma, Maestà, noi non potremmo...»

«No.»

Alcina fece una smorfia infastidita, quasi disgustata, disprezzando l'ardire che quella donna, sua suddita, aveva tentato di sfoggiare. Era un coraggio che non possedeva davvero, era solo il mero desiderio di conquistare uno status che non le apparteneva. Era nobile di sangue, ma il sangue non era tutto.

Altrimenti i nobili del Defi non trascorrerebbero le loro giornate in futilità.

«Sei ancora qui?»

Menta non si era mossa di un passo. «Non ho nulla da portare con me.»

La sovrana inclinò la testa di lato, occhieggiando i vasi di spezie sul terreno. «Quelli sì, se vuoi: nel castello ci sono poche distrazioni se non ami i pettegolezzi. A meno che tua madre non vi sia così affezionata da non poterne fare a meno.»

Carmen roteò gli occhi in alto: non comprendeva per quale motivo se la regina accoglieva i suoi figli a corte non poteva fare altrettanto con lei. Aveva accettato la sua condizione, ma se era vero che la maledizione era stata spezzata, allora anche lei era meritevole di cambiare il suo stile di vita.

Alcina ghignò, piegando un angolo della bocca, proprio per provocarla. Dietro l'aspetto e il comportamento mansueto che la Gredasu aveva dimostrato nei suoi anni di vita trascorsi lì, c'era l'attesa di un futuro migliore, di ricevere la grazia da lei o da Tancredi... Eppure non aveva compiuto niente che le permettesse di ottenerla. Si divertì a osservare l'irrequietezza che le traspariva dai lineamenti delicati del viso. «Allora, vuoi tenerli o tua figlia può portarli con sé?»

«I-io... non so se...» La ragazza balbettò contorcendosi le mani. Erano tornate a essere il suo solo scopo da quando era tornata dopo la marchiatura e non avrebbe desiderato separarsene; ma lei come poteva saperlo? Non le aveva letto nella mente, ne era certa. Forse Carmen aveva ceduto.

«Lo interpreto come un sì.» Alcina schioccò le dita e un uomo si precipitò lì, fermandosi al suo cospetto con un inchino. Senza alcuna cerimonia lei indicò le piantine, come impartendogli ordini con il pensiero. «Nella carrozza, e porta qui un mantello pesante.»

Quello eseguì all'istante, tornando con un tessuto scuro tra le mani, simile a quello che indossava la regina, tanto che Menta si chiese se era un vecchio capo del suo guardaroba.

«Indossalo e metti anche il cappuccio.»

Non se lo fece ripetere due volte e vi si rintanò, provando un piacevole tepore al contatto con la pelliccia all'interno. Per il freddo aveva indossato gli stivali con cui era partita ormai diversi mesi prima insieme al marchese. Quel regalo di un abile artigiano si era rivelato più utile di quanto avesse immaginato.

«Addio.» Voltò le spalle a sua madre, consapevole che non sarebbe più tornata. Se da un lato la vita tranquilla la faceva sentire a proprio agio, dall'altro quei giorni lontano dal Defi le avevano fatto scoprire la sensazione di libertà, una libertà che lei non aveva alcun motivo per non meritare e che le era stata impedita dalla condotta di un avo fuori di testa. E, soprattutto, che i suoi genitori non avevano neanche provato a restituire a lei e Virgilio.

La sovrana la fece accomodare nella carrozza, dandole la precedenza. Menta era certa che non sarebbe capitato altre volte, forse voleva controllare che non scappasse. Alcina prese posto di fronte a lei e le rivolse un sorriso accennato, un istante prima che i cavalli partissero, sbalzando la giovane che si aggrappò appena in tempo allo sportello per non cadere addosso alla regina.
«Il vero motivo per cui sei qui è più complesso.» Menta sobbalzò all'udire quella voce gelida rivolgersi a lei con tono confidenziale. «Nella mia corte sono circondata da nobili mediocri, perché sono più facili da controllare e obbediscono ai miei ordini senza sollevare obiezioni. Ho bisogno di persone più sveglie e coraggiose. Sono pochi coloro che godono della mia piena fiducia e devo infittirne le fila.»

«Chiedo perdono, Maestà, ma non credo di essere adatta per consigliarvi.»

Un angolo della bocca della donna si incurvò verso l'alto. «Non è quello che ti chiederò. Ti offro la mia fiducia in cambio di te.»

Lei non si prese neanche un minuto prima di rispondere: in cuor suo aveva già deciso. «La accetto e apprezzo che siate voi ad avere fiducia in me, ma continuo a non capire come potrò servirvi.»

«Di questo ci occuperemo domani mattina insieme agli altri, perché si tratta di una faccenda delicata. Per questa sera dovrai solo riposarti, ho già predisposto una camera per te e ho ordinato un tuo guardaroba nuovo, visto che come corporatura sei simile alla principessa non è stato impegnativo. Troverai degli abiti più consoni e ti farò portare la cena. Immagino che tu non abbia ancora mangiato.»

Menta scosse la testa.

La regina non aggiunse una parola, immersa nelle sue riflessioni. Il suono della pioggia picchiava sulla carrozza e le accompagnò per tutto il tragitto fino a Castelvetro.

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Capitolo 6
*** 3.1 Lealtà e tradimento ***


 

Un raggio di sole fendette la spessa coltre di nubi e si rifletté sul pavimento, illuminando la stanza a giorno. Menta sorrise, portandosi una mano davanti agli occhi: la sera prima non aveva resistito e aveva lasciato la finestra aperta, ascoltando il suono freddo della pioggia al riparo delle coperte.

Nonostante si trovasse in un luogo che ancora le era estraneo, si sentiva riposata e pronta ad affrontare persino Alcina e il compito che le avrebbe riservato lì a corte. La regina non era scesa nei dettagli nemmeno una volta arrivate lì, eppure Menta era fiduciosa, pervasa da un'energia sconosciuta.

Non sapeva cosa pensare del comportamento della sovrana: al contempo si sentiva al sicuro e temeva che la Primavera avrebbe potuto nuocerle; tuttavia, la collana che le aveva regalato il marchese si stava dimostrando un amuleto prezioso, da cui non si sarebbe mai separata. Uscì da sotto le trapunte e si accostò alla finestra. Da lì vedeva le case disordinate di Nilerusa, i campi che si estendevano fuori dalla capitale a perdita d'occhio e, in lontananza, una boscaglia al confine con lo Cmune. Si sporse a osservare intorno, dove le vie pavimentate si intrecciavano tra loro collegando ogni angolo del regno. Aveva la sensazione di poter dominare il Defi da quell'altezza, nonostante i nuvoloni carichi di pioggia e l'acquazzone che avrebbero scatenato entro pochi minuti. Rispetto ai giorni precedenti non era cambiato molto: il cielo rimaneva grigio, come spesso accadeva in quella stagione.

Menta si riscosse solo quando qualcuno bussò alla porta alle sue spalle e si sentì in dovere di aprire la porta. Una ragazza, la stessa che la sera precedente le aveva portato la cena, entrò nella camera e adagiò un abito dai toni smeraldini sulla sedia della toeletta.

«La regina vi manda questo e vi attende nel suo salotto privato.»

Quelle parole allarmarono Menta: non sapeva dove fosse quel luogo all'interno del labirintico castello e continuava a temere un incontro con Alcina. La premura della sovrana nei suoi confronti sembrava sincera: la donna non assomigliava più alla stessa che l'aveva sottoposta alla gogna della marchiatura. Eppure, nel profondo, lei ne era ancora terrorizzata. Si passò involontariamente una mano sul segno scuro impresso sulla sua pelle, coprendolo con la manica della camicia da notte. Non avrebbe potuto permettere che qualcuno lo vedesse. Ormai quella ragazza l'aveva scoperta, ma le aveva detto di avere ordine di non fare parola con nessuno a proposito della nuova ospite del castello.

La ragazza era rimasta immobile ad attendere un suo cenno o un suo ordine.

«Sei qui per accompagnami?»

«E per aiutarvi a indossarlo, se avete delle difficoltà.»

Menta annuì, con il cuore stretto in una fredda morsa. Non era abituata al rispetto riservato ai nobili, nemmeno all'utilizzo del voi nei suoi riguardi. Aveva avuto la tentazione di chiedere alla cameriera di non usarlo e di rivolgersi a lei come se appartenessero allo stesso ceto sociale, ma si era trattenuta: cosa ne avrebbe pensato Alcina? Proprio lei che non voleva che Flora si mescolasse ai popolani e che le rifiutava di incontrare Claudio!

Sono passati mesi, ma dubito che possa essersi ammorbidita. Per me ha fatto un'eccezione perché nelle mie vene scorre sangue nobile... Anche se di una nobiltà distrutta dai miei antenati.

Senza troppe cerimonie si infilò in quell'abito, e la ragazza le porse due bracciali della stessa stoffa che le avrebbero coperto i polsi. Nessuna delle due lo disse ad alta voce, ma entrambe sapevano che avevano la funzione di nascondere con eleganza la marchiatura a occhi indiscreti. Lasciò i capelli sciolti sulle spalle e dietro la schiena, limitandosi a sopportare che la cameriera glieli pettinasse: una delle tante novità a cui Menta immaginò che si sarebbe dovuta abituare.

«Ora portami da lei» disse, con voce tremolante. Dare ordini era difficile, ma non aveva alternative: era tutto nelle sue mani e ormai era pronta. Non aveva senso indugiare ancora.

Dunque seguì la ragazza attraverso i corridoi e le scale che componevano quel castello verticale, fino a quando lei non si fermò dietro a una soglia aperta. «È qui» bisbigliò, timorosa di alzare la voce. Forse era solo per via del rispetto dovuto alla sua regina che il suo atteggiamento non era dovuto alla stessa paura di Menta.

La Gredasu si sporse in avanti per bussare, ma non ve ne fu bisogno. Alcina era in piedi all'interno della sala rivolta nella sua direzione, come se l'aspettasse. Neanche lei sembrava aver perso tempo ad agghindarsi, come la più giovane constatò tirando un impercettibile sospiro di sollievo. L'unico ornamento della donna consisteva nella corona in oro bianco e smeraldi adagiata sul suo capo, da cui partiva una gonfia treccia che le raccoglieva i capelli scuri.

Alcina le fece un cenno con il braccio invitandola a entrare, e lei ubbidì titubante.

«Ti presento Pietro Riutorci.» Le indicò qualcuno che le dava le spalle seduto a uno dei divanetti.

Una figura maschile si alzò in piedi, rivolgendole un sorriso dietro due lenti a mezzaluna poggiate sulla punta del naso. Aveva una postura dritta, adatta a chi si prepara a un ruolo di potere, anche se non sembrava avere più di vent'anni. Pietro le porse la mano, che lei strinse debolmente cercando di ricordare in quale occasione l'avesse già incontrato. Aveva un'aria familiare.

«Sedetevi, gli altri saranno qui a breve.»

Pietro si fece di lato per farle posto sul divano, poi le indicò delle tazzine vuote posate sul tavolino di cristallo. «Hai fatto colazione?»

Fu solo un sussurro, ma quella voce profonda la scosse. Menta si pizzicò un braccio lasciato nudo dal vestito e solo in quel momento si accorse di non avere freddo e che gli spifferi, alla cui visita era abituata nella sua casa di Nilerusa, lì al castello non erano contemplati. Immaginò che fosse la magia a tenere a bada il freddo; Flora le aveva raccontato che quel luogo ne era pervaso, ma constatarlo di persona era differente. Conosceva già la magia, la stessa collana che portava al collo ne era una manifestazione, tuttavia ogni sua nuova scoperta era emozionante.

«Tè o caffè?» Pietro accennava a due teiere in porcellana, chino in avanti e pronto a versarle una bevanda.

«Caffè» bisbigliò timidamente. «Con zucchero.»

Pietro sorrise e pochi secondi dopo le porse una tazza colma di quel liquido scuro, con una zolletta che galleggiava in superficie, riducendosi sempre più fino a scomparire. Menta ruotò il cucchiaino, mentre altri passi si avvicinavano frettolosi alla sala.

Non dovette attendere molto per scoprire di chi si trattava: Erik Inverno, con il petto ampio e tronfio, accompagnato da una giovane che a Menta parve una delle ragazze più belle che avesse visto in tutta la sua vita. Era avvolta elegantemente da un abito purpureo che scendeva fino al pavimento e lei si muoveva con sicurezza al fianco del principe, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Sul suo volto non c'erano segni di alcun abbellimento artificioso, così come valeva anche per la Gredasu e la regina. Tutti erano consapevoli dell'urgenza di quell'incontro, contribuendo all'imbarazzo di Menta.

«Madre, cosa succede?» Erik trasudava preoccupazione, ma la donna si limitò a indicargli di prendere posto attorno al tavolino e di servirsi, ella stessa avvicinandosi e sedendosi in una poltrona di velluto.

«Lui è il figlio di Donna Clara Riutorci.» Alcina mosse gli occhi in direzione del suo ospite. «Ed è venuto da me perché è stato coinvolto in un gioco di potere più grande di lui. Voi siete le uniche persone del regno, fatta eccezione per il re e la principessa, di cui possa fidarmi.»

Menta sospettò che la donna non si fidasse davvero di Flora, ma che fosse costretta a dirlo per il loro legame di parentela. Dopo la fuga di sua figlia, un minimo di scetticismo nei suoi confronti era più che comprensibile.

«Spiega anche a loro.»

Pietro si sfilò gli occhiali e li ripulì con un sottile lembo di stoffa, prima di sistemarseli di nuovo sul naso. «Durante i Lupfo-Evoco, mia madre si è alleata con gli Autunno. Finora non avevano chiesto nulla di concreto da parte sua, ma pochi giorni fa le hanno proposto di entrare a far parte di una società segreta e lei mi ha ordinato di farlo in sua vece. Ho incontrato Ruggero Autunno che mi ha spiegato che le Ombre della Notte sono infiltrate in ogni regno e luogo di Selenia, in attesa degli ordini di un dio, non so di quale dio si tratti. Non mi ha potuto dire di più perché secondo lui prima devo essere all'interno e diventare io stesso un'Ombra.»

«E perché ce l'hai detto?» Erik non aveva distolto per un solo momento lo sguardo da lui.

«Perché ci sono troppe cose che non mi convincono. Mia madre è sempre stata al di sopra delle parti, non si schiererebbe mai in difesa di una famiglia o di un'altra... Eppure ora so che è con gli Autunno e non mi ha consultato prima di decidere che anche io sarei stato coinvolto nei suoi accordi, come invece è sempre accaduto in passato. Inoltre, sto iniziando a pensare che dietro la strage di nobili a Mitreluvui possano esserci proprio loro. E io non voglio essere coinvolto in alcun omicidio.»

«Maestà, qual è la vostra opinione?» pronunciò l'altra ragazza.

Alcina inspirò profondamente. «Iris, io credo a tutto questo. Ipotizzavo già da tempo che Ruggero e Amelia avessero una loro rete di informatori. Pietro conferma i miei sospetti.»

«Se voi lo sapevate già, allora perché convocarci qui?» Il principe inarcò un sopracciglio, infastidito da quell'inutile conciliabolo. «Avete preso una decisione, volete informarne soltanto noi?»

«Proprio così. Pietro non sarà da solo, ho deciso che avere più persone all'interno dei giochi di potere degli Autunno sia la migliore strada da percorrere.»

Menta sentì il cuore saltarle alla gola. Per quel motivo lei era stata condotta lì, per essere soltanto una pedina che la sovrana avrebbe potuto muovere a proprio piacimento?

«E quindi ci sarò anche io.» Lo disse, eppure la sua voce le parve lontana come se galleggiasse in un sogno e quel momento non fosse reale.

«Esattamente. Sei la persona più adatta.»

«Ma... Madre, non può farlo Iris?» Erik si morse il labbro, consapevole di aver osato troppo.

Tuttavia la sovrana non si scompose affatto. «No.»

La Gredasu scambiò un'occhiata imbarazzata con il Riutorci. Si sentiva a disagio in quella situazione e sperò di incontrare nel suo volto dei segnali che la confortassero. Pietro, invece, seguiva attento lo scambio di opinioni tra principe e regina.

«Ma perché no? Lei è più adatta, sa muoversi all'interno di una corte e non attirerebbe le attenzioni su di sé.»

La madre scosse lievemente il capo. «Non sei obiettivo. Lei attira le attenzioni, è di una bellezza fuori dal comune, e chi l'ha vista in tua compagnia non può dimenticarla. Se in questo castello c'è qualcuno che appartiene alle Ombre, io devo saperlo. Se inviassi Iris, correrei dei rischi che ora non posso permettermi. Gli Autunno sono in vantaggio dal punto di vista del controllo militare, e questa mossa può tornarci utile nel caso in cui si intromettessero nelle sorti di altri regni.»

«Altri regni?» Menta quasi sobbalzò all'udire la propria voce. Non era sicura che parlare fosse la cosa giusta, ma era guidata da un sesto senso che la spingeva a farlo.

«Sai qualcosa che dovresti dirci?»

Le rughe sulla fronte della regina si infittirono, come se lei cercasse di scrutarle nel pensiero e di capire cosa le passasse per la mente. La Gredasu tirò un sospiro di sollievo nel capire di essere al riparo da quella magia e annuì.

«Credo che gli Autunno controllino il Copne.»

Alcina posò la sua tazza vuota sul tavolino. «Come temevo. Milena è stata fin troppo sicura di sé nel nostro ultimo incontro.»

«Lei non può avere un'informazione del genere!» Il principe Inverno si spazientì, sbattendo le mani sui pantaloni scuri. Inalò un profondo sospiro, nel tentativo di dominarsi. «Non ha mai messo piede fuori dal Defi, come può sapere cosa accade nel Copne?»

«Erik...» Iris puntò i suoi occhi chiari in quelli di Menta con una smorfia dispiaciuta. «Sono sicura che c'è un motivo se l'ha detto.»

La Gredasu strinse le labbra, incerta. Come avrebbe giustificato il suo viaggio insieme a Bianca De Ghiacci? Dubitava che persino Alcina conoscesse nello specifico come era uscita dal regno e come si era unita alla principessa del Pecama; e lei non voleva mettere Giampiero nei guai.

«Se ha deciso che sarà lei ad andare, sarà così, non possiamo opporci.» Iris parlò di nuovo, sicura di sé. Chinò appena il capo all'indirizzo della sovrana e proseguì. «Ha ragione, io non posso essere discreta, se gli Autunno sanno già che io sono qui.»

«Inoltre, per voi due ho un altro incarico.» La donna infisse il suo sguardo gelido in quello del figlio, quasi a redarguirlo per la sua presa di posizione fuori luogo. Era lei a comandare. Menta rabbrividì al solo pensiero di quel controllo ferreo su di loro: sebbene la regina si fosse dimostrata affabile e le aveva chiaramente detto di fidarsi, comprese che quella libertà che aveva ricevuto non era totale, bensì condizionata dalla sua subordinazione.

Se nemmeno il principe poteva considerarsi libero, lei non lo sarebbe stata mai.

«Vi ascolto, madre.»

«Voglio che andiate in viaggio diplomatico nel Copne, per vedere se ci sono i margini per riportarlo sotto la nostra egemonia; Milena o non Milena.»

«Ne siete certa?» Pietro aveva strabuzzato gli occhi e si era portato una mano al petto. Perché era preoccupato? Alcina non voleva solo verificare di poter stipulare una nuova alleanza?

«Ne sono più che certa. Non possiamo più permetterci che il loro controllo si espanda: se dovremo compiere dei gesti estremi, è quello che faremo.» La donna si sistemò la sciarpa di lana attorno al collo e bevve un sorso di tè ancora fumante, attendendo le reazioni dei giovani.

Erik si era impietrito. «Non potete chiedermi di uccidere Milena.»

Menta si sentì venire meno, tanto che il Riutorci la scrutò preoccupato. Forse era impallidita? Non riusciva a credere che Alcina commissionasse un omicidio con tanta serenità. Si trattava di uccidere un'altra regina! Se il principe di Cmune era stato condannato a morte per aver solo ricevuto una simile accusa, quale sarebbe stato il verdetto per una donna molto più potente di lui? E per Erik che ne sarebbe stato l'esecutore?

«Nessuno oserebbe accusarci. L'unica possibilità è muoverci in anticipo e far sì che i nostri alleati nella corte del Copne scrivino subito ai Lupfo-Evoco puntando il dito altrove. Abbiamo qualcuno da poter accusare, qualcuno che gli Autunno non possono più nascondere.»

«Ti senti bene?» La voce di Pietro fu un sussurro, che però la raggiunse distinto.

La Gredasu scosse lievemente la testa, e lui le versò un'altra tazza di tè. Quel liquido uscì dalla teiera con uno sbuffo sonoro, come se non si aspettasse il contatto con l'aria fredda dell'esterno. O forse fu solo la sua impressione, perché da quando la sovrana di Defi aveva parlato un silenzio agghiacciante aveva avvolti i presenti.

Si portò la porcellana decorata alle labbra, e la bevanda la scaldò dall'interno riportando un po' di colore sulle sue guance.

«Ti darò istruzioni precise più tardi. Voi due dovrete essere pronti a partire prima che qualcuno dei miei fedelissimi cortigiani possa vedervi, e quindi adesso. Menta, ho già dato ordine di preparare i bagagli, non è necessario che torni alle tue stanze, c'è una carrozza pronta per voi: non vi resta che andare. Iris, puoi ritirarti anche tu.»

Alcina indicò l'ingresso del salotto con un cenno perentorio della mano, con lo sguardo glaciale fisso in quello del figlio. I giovani ospiti ubbidirono all'istante, e appena furono usciti da lì la porta si richiuse alle loro spalle.

«Spero che non mi porti rancore a lungo.» Pietro si incamminò lungo il corridoio conducendo Menta con sé. «Non avevo mai parlato con Erik Inverno e non volevo indisporlo.»

La ragazza strinse le spalle, senza sapere come replicare. Si sentiva spaesata e non era in vena di confidenze con un estraneo; neanche se quell'estraneo era stato gentile con lei. Avrebbe dovuto lasciare il castello dopo essere appena arrivata. Al suo ritorno avrebbe potuto dormire nella stanza in cui aveva trascorso la notte o quello era un addio definitivo al Defi?

«Mi scuso per lui» disse Iris, alle loro spalle. «Sicuramente non è arrabbiato con voi, ma i piani degli Autunno sono imprevedibili, ne è sconvolto anche lui. Fate attenzione, se vi dovessero scoprire...» Non completò la frase, poiché erano arrivati alle scalinate che si diramavano in due direzioni. Menta scoccò un'occhiata a quelle che portavano ai piani superiori, giusto per non essere obbligata a dire nulla.

«Non ci scopriranno, non vi preoccupate.» Pietro si congedò da Iris porgendole la mano, che lei strinse.

«Sento che alla regina sta sfuggendo qualcosa... Forse è solo una mia sensazione» sussurrò la giovane. «Con loro non si può mai stare tranquilli.»

Il Riutorci non replicò, limitandosi a chinare il capo. «Menta, andiamo.»

Lei guardò Iris che si mordicchiava il labbro, irrequieta. Avrebbe voluto pronunciare qualche parola di circostanza, ma il fiato le si spense. Era così sciocca, come poteva rassicurare una sconosciuta?

«Se avrete bisogno di qualcosa, potrete contare su me ed Erik» disse invece Iris.

La Gredasu accennò un sorriso. Lei aveva già qualcuno su cui fare affidamento. Sperò solo che sua madre informasse Elide, che avrebbe fatto giungere la notizia della sua partenza a Giampiero. O forse il piano di Alcina era separarli? Che avesse scoperto il loro legame?

Scese le scale insieme a Pietro, che la accompagnava a passo sicuro. Prima di decidersi di chi fidarsi, avrebbe dovuto fare molta attenzione: la stessa Melissa che le era tanto cara si muoveva lungo un filo indefinito tra lealtà e tradimento.

E Menta sentì in cuor suo che amandola si era condannata allo stesso destino.

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*Angolino autrice*
Sto tornando! Ho passato un periodo un po' turbolento in estate per cui non ho aggiornato praticamente nessuna storia, ma ora mi sto rimettendo in carreggiata. I prossimi capitoli sono già pronti, quindi spero di riprendere a postare con regolarità.

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Capitolo 7
*** 3.2 Le strade si dividono ***


 

Alzarsi dal letto non era stato difficile. Muovere un piede dopo l’altro e camminare senza cadere a terra o barcollare, invece, le aveva richiesto diversi tentativi. Tuttavia a Flora sembrò di essere tornata a respirare quando uscì dalla camera. Avanzava lentamente, sostenendosi alle pareti chiare di Castelscoglio e rifiutando l’aiuto di quei servitori che avevano osato proporglielo. Voleva farcela da sola.

La magia l’aveva debilitata, prendendo il sopravvento su di lei. In un primo momento ne era stata spaventata, ma nel suo animo era presto subentrata la determinazione. Avrebbe dovuto controllare la magia, entrare in sintonia con essa, plasmarla a suo piacimento e impedire a sé stessa di perdere i sensi ancora una volta.

Non aveva intenzione di fingersi forte, perché con Claudio e Stella non era necessario: non erano lì con lei per proteggerla, bensì perché erano invischiati anche loro in qualcosa che non comprendevano del tutto. Le profezie erano affascinanti, e ormai la Primavera capiva l’attrazione che suscitavano in Raissa: se lì vi era custodito il loro futuro, conoscerle avrebbe dato il potere di anticipare o modificare gli eventi.

I suoi amici erano di diverso avviso: temevano entrambi l’idea di un dio sconosciuto e al di sopra degli altri che potesse inviare delle visioni ai seleniani. Poter vedere per loro non era solo un privilegio, ma anche una condanna. Claudio sentiva su di sé un peso immane, come se avesse visto qualcosa di terribile. Forse una morte, oppure sofferenza. Che un ragazzo solare e allegro come lui vivesse quel dono come maleficio della sorte ai suoi occhi era inspiegabile: poteva utilizzarlo per aiutare, era una risorsa preziosa.

Immersa nelle sue riflessioni si avvicinò a poco a poco al cortile esterno, illuminato da pallidi raggi. Ormai era autunno inoltrato e persino in quel regno se ne subivano gli effetti; eppure lei, che come sua madre soffriva l’arrivo della stagione opposta, non ne era indebolita.

Forse è fatto di essere nell’Estate: qui è tutto mitigato.

Se la magia si fosse manifestata tanto potente in un altro luogo, la degenza sarebbe durata più a lungo e non si sarebbe trovata già in piedi e, bene o male, deambulante. Il sole filtrava tiepido da una leggera coltre, restituendole una sensazione piacevole, come di un risveglio sotto le coperte a Castelvetro. La sua mente volò, un passo dietro l’altro, al clima fresco che in quel periodo si stendeva come un telo sopra al Vorrìtrico. Laggiù sarebbe stato diverso, ma forse sarebbe riuscita a controllare quegli impulsi che la sovrastavano; per un istante il pensiero che sua madre avrebbe potuto aiutarla a controllare la magia che le scorreva dentro le attraversò la mente, ma lo ricacciò indietro.

Non voleva tornare nel Defi, non voleva incontrare Alcina.

Claudio e Stella erano seduti sotto un albero di arance, chini sui libri di storia a cui avevano avuto libero accesso. Ma il defico teneva sempre a portata di mano il manoscritto di Ennio e quel volumetto di profezie che avevano preso parecchi mesi addietro. Erano tanto concentrati che non si accorsero che lei li aveva raggiunti e che si era seduta al fianco dell’Estate sul lenzuolo che la separava dall’erba.

Claudio mordicchiò la matita che stringeva tra le dita, nervoso. «Deve pur esserci un modo per metterci di meno! Sto impazzendo… Inizio a ricordare tutto e mi sembra che le profezie non parlino di niente! Ah, sei qui… Come ti senti?»

Flora gli sorrise. «Ancora debole, ma sto meglio.»

«L’arrivo di tuo padre è previsto tra due giorni» mormorò Stella, chinandosi in avanti. «Non voglio che tu sia costretta ad andare via, ma temo che non abbiamo alcuna alternativa.»

La Primavera scosse lievemente il capo. «No, non ne abbiamo. Ma c’è qualcosa che non va, anche se...» Si interruppe, perché un gruppo di cortigiani sfilò chiacchierando al loro fianco. I lunghi abiti ricamati delle due dame cadevano fino ai piedi, e gli uomini in loro compagnia erano vestiti abbinati, come se formassero un gruppetto ben consolidato.

Deve assolutamente sapere di quel ragazzo. Sta sempre attaccato alla principessa, non può essere un caso. Se è un Veggente, lei deve saperlo.

Il cuore di Flora le salì in gola: non era un suo pensiero. Apparteneva a uno dei quattro cortigiani appena sfilati alle loro spalle.

Si alzò in piedi, sotto lo sguardo stupito degli altri due, e si portò una mano al petto ansimante. Si voltò a guardare, ma quelli erano già lontani: si era trattato solo di pochi istanti, sufficienti però a permetterle di carpire un’informazione preziosa.

«Flora, che hai?»

«Ti senti bene?»

Voci che le giunsero come soffi lontani. La realtà attorno a lei era sbiadita e l’unica cosa che distingueva nitida era un tracciato dritto attraverso il cortile, la via più breve per rientrare all’interno, così lo seguì. I suoi stessi passi erano attutiti dall’erba sotto i piedi, non si accorgeva di ciò che calpestava, né se era presente qualcuno vicino a lei. La magia era tornata con prepotenza, ma priva della sua potenza distruttiva; sembrava che anche quella forza ancestrale si sentisse in pericolo e che, smossa dal puro istinto di sopravvivenza, guidasse la Primavera tra ciechi corridoi. Qualche figura grigia si mosse intorno, ma con un gesto della mano allontanò chiunque la intralciasse fino alla sua meta.

«Ho chiesto espressamente di non essere disturbato.» La voce di Vittorio la scosse e Flora si sentì trascinata vorticosamente sul suolo di Selenia, all’interno di Castelscoglio e non più in quell’altra dimensione in cui le era parso di camminare per arrivare al cospetto del sovrano. Dov’era prima, neanche lei avrebbe saputo dirlo.

Il re Estate era chino su alcune carte, non aveva alzato lo sguardo né si era preoccupato di chi aveva osato disobbedirgli.

«E io ho notizie che non vi piaceranno affatto.» Flora posò entrambe le mani sullo scrittoio davanti a sé, più per la paura che le gambe smettessero d’improvviso di sostenerla che per attirare la sua attenzione.

Vittorio si tolse dal naso la sottile montatura d’oro degli occhiali da lettura e infisse gli occhi in quelli chiari dell’ospite. «Ti ascolto.»

«Uno o una dei vostri cortigiani pensava a Raissa, voleva che lei sapesse di Claudio… Ho ascoltato i suoi pensieri in modo involontario, sono ancora troppo debole per capire a chi appartenessero, non so neanche se fosse un uomo o una donna. Maestà, Raissa ha delle spie qui!» Si lasciò cadere sfinita su una delle due sedie imbottite di fronte a Vittorio e si portò una mano alla fronte.

E lei saprà presto che qui ci sono anche io.

«Ne ero già al corrente.» La postura del re si irrigidì come compensando la rilassatezza fisica di Flora, che rimaneva immobile in una posizione poco consona, anche se perdonabile per via del suo stato di salute, con i gomiti sullo scrittoio a sorreggere la testa e i capelli sciolti che le ricadevano davanti al viso. «Tua madre mi ha scritto per informarmi che gli Autunno hanno spie ovunque, in ogni corte di Selenia, e di conseguenza anche nella mia. Non sono in grado di scoprire di chi si tratta, dunque non mi resta che comportarmi normalmente e attendere che egli, o ella, compia un passo falso. Hai detto che si tratta di uno dei cortigiani, giusto?» Con un cenno invitò qualcuno a entrare. «Chiudi la porta, nessuno deve ascoltare.»

«Padre, cosa sta succedendo?» Stella prese posto sull’unica altra sedia libera, arrossata per la corsa e con il fiatone. La Primavera si rese conto solo in quel modo che era stata la magia a spingerla oltre i suoi limiti e a farla andare più rapida di quanto avrebbe potuto. I suoi compagni, che dovevano averla seguita, non erano così lenti.

Claudio si accostò scompigliandosi i capelli con un gesto che tentava di nascondere la sua preoccupazione. «Flora, stai bene?»

«Credo di no, ma in questo momento non è la nostra priorità» rispose Vittorio per lei. «Tu qui sei in pericolo. Raissa tra poco tempo potrebbe sapere della tua esistenza, e un Veggente ancora in vita è una risorsa che noi non possiamo lasciarle. Dobbiamo muoverci in anticipo e impedirle di arrivare a te.»

«Quindi devo andare via?» Il suo tono era disteso, consapevole. Libero dall’affanno per l’amica, incatenato al suo dono che poteva trascinare le due ragazze in altri guai a causa sua. Non erano più al sicuro e in una fuga nascosta al resto di Selenia, ma in un luogo pubblico, frequentato da potenziali traditori.

«Quindi devi andare via. Non posso metterti a disposizione i miei soldati, se la spia degli Autunno sa di te significa che può utilizzare la magia e che sa leggere le altre menti: loro non sono addestrati, come non lo sono neanche io, a contrastarla. Mi assumerò il rischio, ma mi terrò lontano dal resto della corte. Se avete qualcuno fuori da Castelscoglio di cui potete fidarvi ciecamente, ditelo e vi ci metterò in contatto.»

«Nuvola.» Flora non esitò un istante. «È una sacerdotessa del Sole, si trova nel tempio poco fuori da Zichi. Ci ha già aiutati in passato e sono certa che non ha nulla a che fare con gli Autunno.»

Vittorio annuì. «Bene, allora darò disposizione che venga qui stanotte e all’alba andrete via.»

«Andrete?» Stella si pizzicò un dito, nervosa. «Andrete chi?»

«Lui e la sacerdotessa. Tu non puoi darti di nuovo alla macchia, né posso permetterlo a Flora: Tancredi arriverà tra un giorno o due e lei tornerà nel continente.»

«Dovrai difenderti da solo» constatò l’Estate con un nodo alla gola. «Noi non potremo più proteggerti.»

Il defico chinò il capo. «Me ne rendo conto. Ma se Raissa ha bisogno di me, le conviene che sia ancora vivo.»

«Allora è deciso» concluse Vittorio. «Raduna le tue cose e vai a riposarti: ti manderò un mio servo fedele ad avvertirti quando sarà il momento di partire.»

«Ti porto i libri in camera» suggerì Stella. «Meglio che tu non vada in giro.»

«Sarebbe meglio che me li portasse un servitore…» Claudio esitò. «Se possiamo fidarci.»

Flora agitò la mano con un gesto svogliato. Glielo aveva ripetuto una marea di volte e lui continuava a non ricordarlo. «I servitori sono legati ai nobili che servono, non possono tradirli a meno di non morire all'istante.»

Vittorio annuì, a confermare le parole cantilenate dalla Primavera. «Ora puoi andare.» Attese che il defico avesse lasciato la sala, per rivolgersi con serietà alle principesse. «Da questo momento in poi, fino a quando Tancredi non sarà qui, anche voi rimarrete nelle vostre stanze il più possibile. Non possiamo fidarci di nessuno, almeno fino a quando non avremo capito di chi si tratta.»

«Così attireremo l'attenzione» commentò Flora con una smorfia infastidita. «Se Raissa o chi per lei ha una spia qui, dobbiamo lasciar intendere che non sia cambiato nulla. E che non sospettiamo di nessuno.»

Si morse la lingue subito dopo averlo detto. Quei giochi di potere, quegli intrighi ragionati le ricordavano sua madre. Se possedeva una certezza, questa era il non voler diventare come lei.

«Siate discrete.» Vittorio si chinò sulle carte sparse per il tavolo, dando l'implicito ordine di lasciarlo solo.

Tanto bastò a Flora per sapere di aver parlato nel modo giusto e che il re aveva davvero smesso di considerarla come sua inferiore. Non si trattava solo della magia: aveva provato di essere anche intelligente e di sapere come agire in una situazione delicata. Si ritenne soddisfatta e uscì dal salottino privato insieme a Stella.

«Come facciamo a comportarci come prima? Non posso starmene tranquilla sapendo che qui ci sono delle spie di Raissa!» sussurrò l'Estate non appena rimasero sole in un corridoio.

La Primavera si portò l'indice alle labbra e percorse insieme all'altra, in silenzio, il tragitto più breve per la camera dove aveva riposato fino a poco prima. Appena vi furono entrate, si chiuse la porta alle spalle.

«Nessuno a parte Claudio può toccare il libro con le profezie, ce l'aveva con sé quando mi avete seguita?»

Stella rifletté, prima di rispondere. «Sì, lo teneva in mano anche quando ci siamo alzati in piedi dal prato.»

«Allora dai ordine a qualcuno di dargli uno o due libri di quelli che stavate consultando… non ne possono sparire troppi dalla biblioteca reale. Anche se non dovesse rimanere qui, può continuare a leggerli.» Flora si sedette sul letto, con la gonna elegante che le copriva le gambe e che si distese a ventaglio sopra le trapunte. «E lui è l'unico di noi che può nascondersi e continuare a cercare. Purtroppo io devo fermarmi. La magia sta diventando troppo forte, devo imparare a controllarla.»

Stella si portò una ciocca bionda dietro l'orecchio, pensierosa. «Le nostre strade si dividono davvero.»

«Sì. Ma quello che abbiamo scoperto non è stato inutile. Tu e Claudio avete interpretato la profezia sull'incendio di Mitreluvui, sulla morte di Roberto De Ghiacci…» Si interruppe, e il suo sguardo corse alla finestra: delle nuvole soffici striavano il cielo azzurro del meriggio. «Quando io sarò andata via, non dovrai rimanere da sola.»

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