Captain Tsubasa - Tokyo 2020

di sissi149
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Calcio femminile ***
Capitolo 2: *** Softball ***
Capitolo 3: *** Cerimonia d'apertura ***
Capitolo 4: *** Ciclismo su strada - prova in linea ***
Capitolo 5: *** Scherma - Spada ***
Capitolo 6: *** Tuffi - Piattaforma 10 metri sincro ***
Capitolo 7: *** Equitazione - Dressage concorso a squadre ***
Capitolo 8: *** Surf ***
Capitolo 9: *** Canoa slalom - Canoa canadese ***
Capitolo 10: *** Tiro con l'arco ***
Capitolo 11: *** Nuoto - Staffetta 4X100 mista mista ***
Capitolo 12: *** Atletica leggera - 100 metri ***
Capitolo 13: *** Ginnastica artistica - Anelli ***
Capitolo 14: *** Boxe - Welter ***
Capitolo 15: *** Nuoto sincronizzato - Doppio ***
Capitolo 16: *** Arrampicata sportiva ***
Capitolo 17: *** Karate - Kumite ***
Capitolo 18: *** Pallavolo ***
Capitolo 19: *** Atletica leggera - Maratona ***
Capitolo 20: *** Cerimonia di chiusura ***



Capitolo 1
*** Calcio femminile ***


Sapporo Dome
 
Quando le avevano comunicato che la sua sede di servizio, almeno per la prima parte dei giochi, sarebbe stata a Sapporo, Yoshiko era rimasta un po’ delusa. Si era iscritta al percorso di selezione dei volontari per poter respirare l’atmosfera della capitale nei quindici giorni in cui sarebbe stata il centro del mondo, non per finire alla periferia. Aveva quasi pensato di rinunciare all’incarico, ma i suoi genitori l’avevano convinta a non lasciarsi sfuggire un’opportunità del genere, erano certi che un giorno l’avrebbe rimpianto.
In quel momento, considerando che Tokyo era in una morsa di calore, rivalutò che non le fosse andata così male una destinazione più fresca.
“Yamaoka è tutto a posto?” Il capogruppo le parlò in cuffia.
“Certo Manabu Senpai.”
“Mi raccomando, il tuo ruolo è molto delicato, l’ingresso in campo delle squadre dipende da te.”
“Andrà tutto bene Senpai.” Yoshiko annuì e chiuse la trasmissione temporaneamente.
Guardò l’orologio e poi controllò il corridoio: nessuna giocatrice era ancora in vista e nemmeno il collegio arbitrale, ma c’era ancora del tempo.
Era la partita inaugurale del torneo di calcio femminile e tutto doveva essere perfetto, avevano gli occhi di tutti addosso, un errore il primo giorno avrebbe potuto pregiudicare le aspettative dell’intera manifestazione.
In poche parole, lei ed il gruppo non avevano sopra di sé nessuna tensione!
Accanto a lei arrivò Takasugi Shingo, con indosso il costume di Miraitowa, una delle due mascotte: ora i suoi movimenti erano fluidi, ma il ragazzo le aveva confidato che la prima volta che aveva provato l’abbigliamento, si era sentito come un elefante in un negozio di cristallo.
“Come va là dentro?” Domandò Yoshiko.
“Abbastanza bene: non si muore nemmeno troppo di caldo.”
“Per fortuna! Non oso immaginare i tuoi colleghi giù a Tokyo.”
Takasugi fece un’alzata di spalle.
“Ci vediamo tra poco sul campo! Manabu mi manda ad intrattenere un po’ gli spettatori.”
“Dacci dentro!” Yoshiko incitò l’amico a dare il massimo.
Nell’uscire Shingo incrociò la terna arbitrale che sopraggiungeva e si esibì in un inchino.
“Buongiorno Signorina.” L’arbitro olandese Cruyfford era sempre gentile con i volontari, non si poteva dire lo stesso del guardalinee Napoleon che guardava sempre tutti dall’alto in basso.
Arrivarono anche le due squadre con i rispettivi capitani in testa al gruppo: a destra si mise la Gran Bretagna ed a sinistra il Cile.
“Yamaoka – la cuffia di Yoshiko si riaccese – meno di un minuto all’ingresso delle squadre sul terreno di gioco.”
“Sono tutti pronti Senpai.”
Yoshiko invitò il collegio arbitrale e le giocatrici ad avvicinarsi all’uscita del tunnel.
“Ci siamo quasi.” Li informò.
Le ultime chiacchiere si placarono, tutti sentivano la solennità del momento, partecipare a un’olimpiade non era cosa che capitava a chiunque.
“Venti secondi.”
C’era chi completava gli ultimi riti scaramantici, chi sistemava per la milionesima volta la divisa, chi faceva saltelli sul posto per mantenersi caldo.
“Dieci secondi.”
Yoshiko alzò un braccio per far capire che era quasi il momento.
“Cinque – quattro – tre – due – uno – falli andare.”
“Via!” Con le parole ed un gesto deciso fece segno di partire.
Arbitri e giocatrici uscirono dagli spogliatoi. Il boato della folla fu l’inconfondibile segnale di successo.
Yoshiko tirò un sospiro di sollievo, il primo scoglio era superato.
Restavano altri diciotto giorni di sfide.
 
 
 
 
 
 
 
 
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Finalmente ci siamo, nonostante il periodo particolare i Giochi Olimpici sono iniziati stanotte con i primi incontri di calcio femminile (domani iniziano gli uomini) e softball, che per ragioni di calendario anticipano sempre la cerimonia di apertura di un paio di giorni.
Qualche appunto utile:
  • Cominciando dal titolo, anche se per i motivi noti i Giochi si stanno svolgendo nel 2021, ho mantenuto la denominazione originaria perché in tutto il materiale ufficiale (sito, logo ecc) la manifestazione continua a essere riportata come Tokyo 2020.
  • Per scelta voluta non ho ambientato queste Olimpiadi nella contemporaneità, quindi ho tralasciato protocolli di sicurezza covid, c’è il pubblico numeroso e vedrete abbracci et similia. Ho preferito lasciare fuori questo aspetto dalle storie che scrivo, anche perché per me sono un momento di “fuga dalla realtà”.
  • Per quanto riguarda le squadre, l’indicazione di Gran Bretagna è corretta: il CIO (Comitato olimpico internazionale) non riconosce le divisioni federali calcistiche di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, come accaduto invece per esempio per gli europei, per cui anche nel calcio gli atleti partecipano sotto l’insegna del Regno Unito. La partita inizierà alle 9:30 ora italiana (le 16:30 a Tokyo).
  • Ho indicato questo lavoro come raccolta di one-shot: inizialmente dovevano essere flash fic, ma ho iniziato a lavorare a questo progetto ed a scrivere in un periodo in cui avevo fisicamente bisogno di staccarmi dal pc, per cui molte sono state scritte a mano, quindi senza contatore di parole. Va da sé che, anche se in alcuni casi di poco, le 500 parole sono state sforate. Diciamo che sono shottine brevi. Le shot sono tutte scritte e pronte, per cui quello che succederà nelle gare non influirà su ciò che leggerete, nel bene e nel male.
  • Questo inizio forse non è proprio ciò che vi sareste aspettati, ma avete notato la dicitura AU? Perché? Perché con (quasi) tutti gli sport a disposizione, limitarmi al solo calcio sarebbe stato riduttivo. Perciò in queste due settimane abbondanti vedremo i nostri beniamini cimentarsi con le più disparate discipline. Se volete provare a fare un giochino, vi dico che ogni giorno tratterà di una gara/evento che effettivamente si svolgerà nella data in oggetto, quindi calendario alla mano potreste provare ad indovinare COSA e CHI vedremo in azione. Qui il link al calendario: https://olympics.com/tokyo-2020/olympic-games/en/results/all-sports/olympic-schedule.htm
  • Dato il fuso orario col Giappone, le gare si svolgono nella nostra nottata, mattina e primo pomeriggio (per le gare che là sono serali), io cercherò di pubblicare sempre al mattino presto per rispettare un po’ di più la scansione temporale.
  • Un link con Miraitowa in azione: https://www.youtube.com/watch?v=ixE1a6_l7e4
  • Per finire, un ringraziamento a May Jeevas e a Sakura Chan che in questi mesi hanno sopportato le vicissitudini di ProgettoTokyo.

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Capitolo 2
*** Softball ***


Fukushima Azuma Baseball Stadium
 
Maki si posizionò sulla montagnola per effettuare il suo primo lancio della partita contro il Messico. Anche se era il secondo match del torneo, l’adrenalina e l’emozione non erano diminuite di un grammo rispetto al giorno precedente: il fattore casa si stava facendo sentire abbondantemente.
Prese un profondo respiro facendo rotolare la pallina tra le dita della mano libera dal guantone. Era un rito che di solito la tranquillizzava e trasformava la tensione in una carica  positiva.
Si raggomitolò, poi lanciò.
Non fu un lancio particolarmente riuscito: la battitrice della squadra avversaria colpì la palla senza problemi e la spedì fuori campo, riuscendo a salvarsi dall’eliminazione.
Akamine scosse la testa ed agitò un paio di volte la gamba destra, visibilmente contrariata. Non era certo il modo migliore di iniziare la partita, concedendo subito un vantaggio al Messico.
Mentre la seconda battitrice si sistemava, Maki provò a rilassare le spalle. Doveva affondare un colpo terribile per riguadagnare terreno.
Il secondo lanciò non lasciò possibilità di risposta all’avversaria, che non poté fare altro che vedersi passare la palla a poco dal naso.
Maki si lasciò andare ad un sorriso, era riuscita a sciogliersi. Col prossimo lancio avrebbe rischiato un poco meno, ma avrebbe comunque cercato di rendere la vita complicata alla battitrice: la partita era ancora lunga e non doveva bruciare subito tutte le cartucce a sua disposizione.
 
Al termine della parte alta dell’inning, quando le due squadre si invertirono tra attacco e difesa, Akamine tornò a sedersi in panchina e si asciugò il sudore con un asciugamano.
“Akamine, hai lanciato abbastanza bene.” Le disse l’allenatore.
La ragazza strinse il pugno che aveva prontamente liberato dal guantone:
“Avrei potuto fare meglio. Sono stata discontinua.”
Per tutta la durata della metà dell’inning Maki aveva alternato lanci di ottima qualità, ad altri più dimenticabili.
“Diciamo che è stato un inning di riscaldamento, ne abbiamo altri otto da giocare. Non crucciarti troppo.”
“Sì, signore.”
Un boato dello stadio richiamò l’attenzione di entrambi verso il diamante.
“Vedi? Anche la loro lanciatrice ha appena avuto un passaggio a vuoto e lei non viene da una partita lunga ed impegnativa come quella che abbiamo giocato noi ieri.”
La giocatrice annuì, tuttavia la sua mania di perfezione non le rendeva facile accettare di non essere riuscita ad esprimersi all’altezza delle proprie aspettative all’inizio della partita. Intrecciò le mani sul grembo e cercò di visualizzare nella mente tutti i lanci effettuati per capire dove aveva sbagliato e cosa poteva migliorare. In un torneo serrato come quello che stavano affrontando ogni punto ed ogni partita erano importanti, non potevano sprecare troppo se volevano qualificarsi alle finali.
“Maki, smettila di rimuginare! Manderai in cortocircuito gli ingranaggi del cervello. Guarda, si vede già il fumo uscire!”
“Sayuki, smettila di dire assurdità! Possibile che tu non riesca mai ad essere seria?”
“E tu prendi sempre tutto troppo seriamente.”
“Non siamo mica al torneo scolastico, siamo alle olimpiadi.”
“Lo so bene! – ribatté l’amica – Ma non per questo non si può scherzare un poco nei momenti di pausa. Scarica la tensione che è una meraviglia, dovresti provare.”
Akamine era scettica, ma era anche vero che, nonostante l’esuberanza fuori dalle righe, Sayuki Tomoe era una delle migliori giocatrici della nazione. La lanciatrice si accomodò meglio sulla panchina.
“Vedremo a fine torneo chi avrà avuto ragione.”
All’inizio del secondo inning, Maki scese in campo con nuova determinazione, non avrebbe sprecato un solo lancio, se l’era promesso. Le messicane non avrebbero avuto scampo.
 
 
 
 
 
 
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Se ieri la sfida era rimasta sullo sfondo, oggi con Maki entriamo nel vivo. Considerando che in questi giorni precerimonia, solo calcio e softball sono attivi (più gli allenamenti/prove/ricognizioni di qualche disciplina), la comparsa di Maki era abbastanza scontata: quando già il canone ha portato in scena uno sport diverso, mi ci sono adattata senza sconvolgere di più.
Altre giornate spero riserveranno maggiori sorprese. ;)
Nel softball, normalmente si disputano nove inning, ognuno dei quali è diviso in due parti, in modo da alternare la squadra che lancia a quella che risponde con il colpo di mazza. A linee molto grandi e vaghe.
La partita con il Messico è già terminata con la vittoria per 3 a 2 del Giappone, mentre ieri Maki e compagne hanno aperto il torneo con un 8 a 1 all’Australia.
Tra poco sarà l’Italia a scendere in campo contro l’Australia.

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Capitolo 3
*** Cerimonia d'apertura ***


Olympic Stadium
 
Machiko prese un profondo respiro, l’attesa le era sembrata infinita ed invece di aiutarla a rilassarsi, vedere tutte le altre delegazioni sfilare l’aveva fatta agitare ancora di più. E che diamine! Non era mica la sua prima cerimonia di apertura, aveva alle spalle un certo bagaglio di esperienza. Non era complicato ciò che doveva fare, in fondo doveva solo camminare, tra l’altro seguendo uno dei volontari che le avrebbe indicato la strada.
Solo camminare, davanti a tutto lo stadio, a tutta la nazione, in mondovisione, con la bandiera giapponese in mano.
Era più facile vincere la finale di badminton, due volte, ed essere la favorita per il terzo oro olimpico consecutivo.
Decisamente preferiva essere in campo che svolgere quella parte ufficiale, ma non aveva saputo dire di no, era un onore troppo grande quello che le era stato proposto. Con una racchetta ed un volano si ritrovava perfettamente a suo agio, mentre in altre occasioni sapeva risultare tremendamente maldestra, quasi che in lei vivessero due persone distinte. Quanto era stata presa in giro a scuola per la sua goffaggine!
Il momento era giunto, era il turno della delegazione giapponese.
Machiko strinse le mani attorno all’asta della bandiera e mosse i primi passi verso l’ingresso del campo dello stadio olimpico.
“Coraggio Machiko, è solo una camminata. Pensa di star giocando una partita.”
Appena sbucata dal tunnel il boato ed il calore del pubblico la circondarono, facendole tabula rasa nella testa: non c’era più la ragazzina insicura di parecchi anni prima, c’era la campionessa sostenuta dai tifosi.
Durante il giro di pista sventolò più volte il vessillo nazionale, fino ad arrivare al laghetto dove erano già disposte le bandiere delle altre nazioni, solo un posto rimaneva libero, non poteva sbagliare. Posizionò la bandiera sulla piccola barchetta e raggiunse tutti i compagni nello spazio riservato loro.
Ce l’aveva fatta, ora poteva godersi l’ultima parte della cerimonia d’apertura.
Il vessillo con i cinque cerchi stava già facendo il suo ingresso.
 
 
 
Tsubasa era in attesa, in una nicchia realizzata sotto al palco al centro dello stadio, del momento in cui sarebbe stato chiamato a recitare il giuramento olimpico a nome di tutti gli atleti partecipanti alle competizioni. Era un grandissimo onore ed aveva accettato senza riserve, ancora prima di sapere che il Giappone avrebbe giocato la partita del giorno precedente a Tokyo, evitandogli così un lungo spostamento.
A rappresentare gli allenatori era stato scelto Kozo Kira, un personaggio piuttosto eccentrico, che a tratti pareva non rendersi conto della solennità del momento. Aveva portato con sé una borraccia da cui ogni tanto beveva un sorso. Tsubasa non aveva indagato approfonditamente sul suo contenuto, ma avrebbe scommesso che non si trattava di innocua acqua. E, a quanto pareva, pure Jito, il corpulento volontario che li assisteva, era della sua stessa opinione.
“Per favore Kira-san – stava dicendo in tono più che accondiscendente – potrebbe darmi la borraccia?”
L’uomo rispose piuttosto rudemente:
“Questa è mia e nessuno me la tocca!” Cominciava ad apparire alterato.
“Kira-san, non starà bevendo saké, vero?”
“Per chi mi hai preso ragazzo?”
L’allenatore fece per allontanarsi dalla parete, ma nel farlo barcollò vistosamente. Jito si spalmò una mano sulla faccia, ci mancava solo che Kira si presentasse mezzo ubriaco a biascicare in mondo visione. Perché diamine il comitato organizzatore aveva scelto lui, con tutti gli allenatori decenti e presentabili che sicuramente esistevano in Giappone?
“Kira-san, adesso mi da quella borraccia, non mi faccia utilizzare le maniere forti.”
Il volontario era intenzionato a sottrarre l’oggetto, per evitare che la situazione si complicasse ancora di più e Kira raggiungesse il palco del tutto ubriaco. Utilizzò la propria mole per avvicinarsi all’uomo.
“Credi di spaventarmi, sottospecie di gigante?”
Tsubasa faceva fatica a concentrarsi a causa di quei tafferugli, per di più, se Jito era impegnato a rincorrere Kira, chi gli avrebbe comunicato il momento di posizionarsi sul piccolo montacarichi e, soprattutto, avrebbe azionato quest’ultimo?
“Volete smetterla entrambi? Non siamo qui per scherzare! È un momento molto importante per la storia dello sport giapponese.”
I due litiganti si fermarono, con Kira che borbottò:
“Sei sempre il solito moralista perfettino, Ozora!”
Poi di controvoglia lasciò la borraccia a Jito e cominciò a darsi una sistemata ai vestiti, giusto per non apparire troppo trasandato.
L’intervento di Tsubasa aveva salvato la situazione appena in tempo: pochi istanti dopo Jito fece segno al calciatore di salire sul montacarichi.
La breve salita cominciò e Tsubasa sbucò esattamente a fianco della bandiera olimpica.
“Pronuncerà il giuramento per gli atleti il calciatore Ozora Tsubasa.” Annunciò lo speaker.
Con fragore il pubblico fece capire di approvare la scelta del comitato organizzatore.
Ozora afferrò con la mano un lembo della bandiera.
“A nome di tutti i concorrenti, prometto che prenderò parte a questi giochi olimpici rispettando e osservando le regole che li governano, impegnandoci nel vero spirito della sportività per uno sport senza doping e senza droghe, per la gloria dello sport e l'onore della mia squadra.”
 
 
 
La cerimonia era quasi giunta al termine, era il momento in cui sarebbe stato svelato l’ultimo mistero, il nome tenuto segreto nei mesi precedenti, quello dell’ultimo tedoforo, di colei o colui che avrebbe portato la fiaccola negli ultimi metri ed acceso il braciere olimpico, dando finalmente il via in maniera ufficiale ai XXXII Giochi Olimpici. Le varie testate giornalistiche avevano fatto di tutto per riuscire a scoprire la sua identità, mentre sui social network erano diventate virali le teorie più fantasiose ed assurde, nessuna delle quali si era avvicinata alla realtà. Tra i vari nomi proposti, qualcuno era riuscito a beccare chi avrebbe condotto la torcia all’interno dello stadio, era stato scelto qualcuno di abbastanza “scontato”, ma quando il comitato organizzatore aveva scelto lui come ultimo tedoforo, aveva compiuto una scelta azzardata e contro corrente.
Attraversò la pista per posizionarsi dove avrebbe ricevuto la torcia, col cappuccio sulla testa: nonostante il buio cercava di proteggersi fino all’ultimo, per mantenere intatta la sorpresa e lo shock.
Sarebbe stato di sicuro uno shock quando l’avrebbero riconosciuto: l’ultimo tedoforo sarebbe stato non una vecchia gloria del  passato e nemmeno una promessa del futuro, come accaduto a Londra, ma il rappresentante di un sogno infranto.
Lui era stata una grande promessa di quelle che avevano entusiasmato la nazione e smosso il movimento del salto con l’asta fin dalle radici, portando un sacco di giovani ad avvicinarsi alla disciplina. Ovunque andasse era seguito da un gregge di ragazze più o meno adoranti. Si era fatto strada a suon di record nelle categorie giovanili ed al suo mondiale di esordio nella massima categoria era andato subito a podio.
Poi c’era stato l’incidente e tutto era crollato. Non aveva ricordi molto nitidi: lui che attraversava distrattamente la strada, un autobus che sbandava, un dolore lancinante alla gamba.
Il boato del pubblico lo riscosse dai suoi pensieri: la torcia olimpica era arrivata allo stadio ed all’uscita degli spogliatoi era apparso Tatsuo Mikami, eroe del tiro al piattello.
Era una leggenda vivente, non c’era quasi nessuno in Giappone che ignorasse chi fosse. Era il più quotato per svolgere il ruolo di ultimo tedoforo, forse proprio per questo motivo era invece stato scelto come penultimo portatore.
Dopo aver salutato la folla, Mikami iniziò a correre lungo la pista dello stadio olimpico. Era ancora in forma smagliante!
Per un attimo l’ultimo tedoforo ebbe paura: e se il pubblico non avesse apprezzato la sua scelta? E se fosse rimasto troppo adirato nel vedere la sua semi invalidità esposta a tutto il mondo? Deglutì pesantemente, ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, Mikami stava per raggiungerlo. In pochi secondi darebbe stato illuminato dall’occhio di bue che seguiva il tedoforo.
Si tolse il cappuccio giusto in tempo.
Come previsto lo stadio ammutolì all’istante nel riconoscerlo, fu un gesto quasi soprannaturale: migliaia di persone che trattenevano il fiato all’unisono.
Il tiratore era davanti a lui e gli sorrideva incoraggiante, porgendogli la torcia.
Taro Misaki annuì impercettibilmente ed afferrò  la fiaccola. Si voltò ed iniziò a correre verso il braciere con andatura zoppicante. Nonostante varie operazioni e fisioterapia a non finire, la sua gamba non era mai guarita dall’incidente, distruggendo la sua carriera.
Credeva gli sarebbe stata preclusa per sempre la possibilità di provare la gioia e l’emozione di calpestare il terreno olimpico ed invece ora si trovava sulla pista. Non era più un atleta in gara, era diventato qualcosa di più, uno dei simboli dell’olimpismo stesso.
Dopo l’iniziale momento di incredulità, gli spettatori cominciarono ad applaudire ed a sostenerlo nel suo percorso.
La gamba cominciava a dargli un po’ fastidio, probabilmente era stato ottimista nell’impostare la velocità della corsa.
Taro arrivò al braciere e sollevò la torcia sopra la testa con entrambe le mani, a mostrarla un’ultima volta prima che si trasformasse in un grande fuoco. L’abbassò e la avvicinò ad una piccola candela. La fiamma accese lo stoppino, poi cominciò a muoversi lungo un percorso sottile, a serpeggiare attorno al braciere, finché non raggiunse il centro dello stesso, divampando.
Il cuore di Misaki ebbe un guizzo e fu invaso dalla gioia.
Il braciere era finalmente acceso, ora i giochi della XXXII Olimpiade potevano dirsi aperti.
 
 
 
 
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Nella giornata di oggi, oltre a qualche round preliminare o di riscaldamento, l’evento più importante è la cerimonia d’apertura, l’inizio ufficiale dei Giochi. Si terrà a partire dalle 13:00 ora italiana.
Informazioni di servizio.
  • Chiaramente io non sono in Giappone e non ho avuto spoiler dagli organizzatori, per cui i momenti che vedete sono frutto della mia immaginazione e del riguardare le vecchie cerimonie che si trovano in versione integrale su Youtube. Ho scelto tre dei momenti simbolici più importanti.
  • La sfilata degli atleti delle nazioni con il portabandiera in testa: per tradizione il paese ospitante entra per ultimo dello stadio, mentre per primo entra la Grecia, culla delle Olimpiadi. Le altre nazioni sfilano in ordine alfabetico normalmente secondo la denominazione/alfabeto del paese ospitante. L’Italia ha scelto un doppio portabandiera per questa edizione: saranno Jessica Rossi (tiro a volo) ed Elia Viviani (ciclismo su pista), mentre Paola Egonu (pallavolo) è stata scelta da CIO per portare, insieme ad altri atleti, la bandiera olimpica con i cinque cerchi.
  • Il giuramento: chi altri poteva giurare sull’impegno degli atleti se non il nostro Tsubasa? Ovviamente lui è rimasto un calciatore, proprio non aveva voglia di dedicarsi ad altro. Ho usato la formula classica del giuramento, che prevede tre giuramenti distinti per atleti, allenatori ed arbitri/giudici. Dalle Olimpiadi invernali del 2018 è stata adottata una nuova formula che riunisce i tre giuramenti in uno. Non so se la cosa abbia convinto e quindi si procederà così anche a Tokyo o se si ritornerà alla classica come ho fatto io.
  • L’accensione del braciere, che arderà per tutta la durata dei Giochi, è il momento culminante e conclusivo della cerimonia, quello più atteso. Per mantenere il pathos il nome degli ultimi portatori della fiaccola viene tenuto segreto il più a lungo possibile.
  • Se domani non vedrete l’aggiornamento, sappiate che Sakura Chan mi ha preso in ostaggio per quanto ho scritto nell’ultima parte. XD

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Capitolo 4
*** Ciclismo su strada - prova in linea ***


Fuji International Speedway
 
Una volta tagliato il traguardo sul rettilineo dell’autodromo internazionale di Fuji, Mamoru Izawa scese dalla sua bicicletta come una furia, abbandonandola nelle mani del tecnico e dirigendosi verso le aree di ristoro, evitando il più possibile i giornalisti e ringhiando un “no comment” a chi era tanto incauto da rivolgergli una domanda. Quando fu al sicuro all’interno dei box solitamente utilizzati per le gare di automobilismo, cominciò a sfogarsi, prendendo a calci un cesto di borracce. Non era un atteggiamento molto olimpico, ma lui era così arrabbiato e frustrato: un banale errore aveva buttato all’aria il lavoro di mesi.
Eppure fino ad un certo punto le cose stavano andando alla grande: alla salita sul monte Fuji, la più impegnativa di tutte, posta a circa metà percorso, era nel gruppo di testa, ben posizionato insieme a tutti i più forti ed ai favoriti. Mano a mano che la gara proseguiva, la selezione si era fatta sempre più intensa, su un percorso molto impegnativo, ma lui era sempre in buona posizione. All’ultima salita, per il passo Kagosawa erano partiti in fuga in sei, tra cui il campione del mondo in carica Gino Hernandez. Mamoru era arrivato per primo in cima al passo e forse questo gli aveva dato troppa sicurezza e spavalderia nella discesa successiva. Le discese non erano il suo forte e, voltandosi indietro, si era accorto che Salvatore Gentile, il gregario di lusso della squadra italiana, lo stava rapidamente raggiungendo. Non disposto a cedere la testa temporanea della corsa, aveva mollato leggermente i freni per acquisire maggior velocità. La curva seguente era più secca di quanto ricordasse dalla ricognizione dei giorni precedenti e dalle immagini su cui aveva studiato. Non era riuscito a tenere la strada in maniera corretta ed era caduto, coinvolgendo anche Gentile che stava sopraggiungendo.
“Idiota di un giapponese!” Aveva sbraitato quest’ultimo, mentre cercavano di rimettersi in piedi e di recuperare i loro mezzi.
Mamoru si era ritrovato pieno di lividi, sbucciature e botte. Alla sua bicicletta era andata peggio: si era piegata una ruota ed era stato costretto ad aspettare l’arrivo dell’ammiraglia della sua squadra per la sostituzione. Si era trattato di perdere in tutto una manciata di minuti, ma erano stati sufficienti a farsi superare dal resto dei fuggitivi e concedergli un vantaggio che non sarebbe più riuscito a recuperare.
Mamoru tirò un pugno contro il muro. Si sentiva uno stupido, forse aveva avuto ragione Gentile a dargli dell’idiota.
A niente sarebbero valsi i tentativi di consolazione di chi gli avrebbe detto che era ancora giovane ed avrebbe avuto altre occasioni di rifarsi. Quante altre volte nella vita gli sarebbe capitata un’olimpiade in patria?
Si accasciò a terra, la rabbia cominciò a scemare, lasciandogli addosso solo delusione.
Una lacrima ribelle scese sulla guancia destra.
“Posso entrare?” Qualcuno apparve all’ingresso del box.
Mamoru si asciugò velocemente il viso.
“Chi è?” Domandò.
“Hernandez.” Il nuovo campione olimpico avanzò, facendosi riconoscere.
“Sei venuto a gongolare?” La sua voce era piena di astio, l’ultima cosa che gli serviva era vedere l’uomo che aveva ottenuto ciò per cui lui aveva gareggiato ed aveva fallito. Si alzò in piedi per andarsene.
“No. So come ti senti.”
“Ah, davvero? Dubito tu abbia mai perso così una gara importante.”
“Proprio così no, ma ricordo ancora la mia prima Liegi-Bastogne-Liegi.”
“La grande classica europea?”
“Esattamente. – Hernandez si avvicinò – Ero in buona posizione, avrei potuto ottenere un risultato clamoroso per un esordiente, invece mi sono ritrovato coinvolto in una caduta di gruppo. Addio sogni di gloria.”
Izawa non voleva ammettere di essere colpito dal racconto.
“È diverso da quanto successo a me.”
“Se ti dicessi che sono stato io ad innescare la caduta?”
“Non ci credo.”
Hernandez lo affiancò:
“È vero e la ferita brucia ancora adesso, ma ne ho tratto degli insegnamenti preziosi. Tu sei forte Izawa, questo è stato solo un incidente di percorso. Ti assicuro che il dolore che provi oggi ti impedirà di commettere lo stesso errore in futuro. Tornerai e sarai più implacabile di prima. E io non vedo l’ora.”
 
 
 
 
 
 
 
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Primo giorno di medaglie ed i nostri partono subito….. col botto. Questo perché non sempre le cose vanno come devono per cui non sarà sempre scontato che i nostri portino a casa il risultato sperato.
Scegliendo la prova per questo giorno e dopo aver “studiato” l’altimetria del percorso Ewan mi ha subdolamente suggerito: “Nibali, Rio 2016”. Per chi segue questo sport, saprà che è accaduto e avrà notato delle analogie: il ciclista azzurro era lanciato verso la conquista del podio, ma una caduta in discesa l’ha costretto al ritiro.
Venendo al percorso olimpico, parte da Tokyo, si porta verso il Fuji di cui si affronterà la scalata e termina all’autodromo di Fuji, teatro in anni passati anche di gran premi di formula 1.
Al momento della pubblicazione la gara è ancora in corso, quindi incrociamo le dita.

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Capitolo 5
*** Scherma - Spada ***


Chiba Makuhari Messe Hall B
 
Era raro vedere una gara di spada arrivare quasi alla fine del tempo utile per trovare un vincitore: essendo la disciplina con il bersaglio valido più esteso di tutte e l’unica a prevedere la possibilità dei colpi simultanei, solitamente il punteggio saliva abbastanza in fretta. Non quella finale.
A poco più di un minuto dalla fine il campione francese conduceva l’incontro per 13 a 12. Jun abbassò la maschera e si preparò: al segnale dell’arbitro, con una mossa fulminea affondò la stoccata, portando a segno il punto del pareggio. Non si sarebbe arreso fino alla fine. Aveva investito troppo in quel sogno per lasciarselo sfuggire a due stoccate dalla realizzazione.
Fin da piccolo, complice anche l’apertura dei suoi genitori verso il mondo occidentale, era rimasto affascinato dalla scherma europea e dalla pulizia delle divise candide. Vivendo a Tokyo aveva trovato una sala d’armi ed un maestro con cui allenarsi, ma per fare il salto di qualità aveva dovuto trasferirsi nel vecchio continente. A lungo indeciso tra la scuola francese e quella italiana, alla fine aveva scelto Marsiglia.
L’arbitro chiamò un nuovo “En garde”. I due contendenti si posizionarono sulle due linee di guardia e diedero il via all’azione: le lame si scontrarono più volte in attacchi, parate e risposte, finché Misugi trovò il bersaglio insieme a Le Blanc.
“Halte!”
L’arbitro assegnò il colpo simultaneo, facendo avanzare il punteggio sul 14 a 14. Una sola stoccata avrebbe deciso tutto, una sola stoccata per la gloria o la sconfitta. Gli ultimi quattro anni di lavoro si sarebbero decisi in una manciata di secondi a favore dell’uno o dell’altro.
Jun si voltò verso l’arbitro e chiese la revisione dell’azione a video, era l’ultima che aveva a disposizione. Non dubitava della decisione arbitrale, ma aveva bisogno di un momento di sospensione per riprendere fiato e recuperare lucidità prima di giocarsi il tutto per tutto.
A maschera levata camminò verso il fondo della pedana, dove normalmente ci sarebbe stato l’allenatore pronto a fornirgli qualche dritta, ma in quella finale era da solo, come il suo avversario del resto: condividevano lo stesso maestro e quest’ultimo, per non dare vantaggi a nessuno dei suoi allievi aveva scelto di seguire la finale dagli spogliatoi.
Non era una finale olimpica come altre, era una sfida tra due compagni d’allenamento che conoscevano i rispettivi punti deboli, una sfida tra atleti che avevano condiviso fatica e sudore ogni giorno.
L’arbitro confermò il punto doppio.
“En garde!” Chiamò.
Prima di abbassare le maschere un’ultima volta entrambi si fissarono negli occhi, riconoscendo la stessa fame di vittoria. Nel prendere posizione Jun allontanò i fantasmi dei precedenti scontri conclusisi sempre a favore del più esperto Le Blanc.
“Allez!”
L’ultimo scontro fratricida iniziò. Gli schermidori si muovevano veloci e precisi, come se stessero compiendo una danza, ma dal risultato letale.
Dopo una parata Misugi cominciò a vedere la scena al rallentatore, con Pierre che scopriva in maniera quasi impercettibile un fianco. Affondò la stoccata e tutto riprese a scorrere velocemente.
Si accese la luce del colpo andato a segno.
“Halte!”
Il palazzetto trattenne il fiato, entrambi gli schermidori tolsero la maschera definitivamente. L’arbitro si avvicinò al monitor: la prassi voleva che in caso di parità, la stoccata definitiva, quella del quindicesimo punto, venisse rivista a video prima di venire assegnata. Le Blanc tentò di fare segno all’arbitro che non fosse necessario: per lui i risultato era chiaro.
Jun sentiva la tensione alle stelle, erano i venti secondi più lunghi della sua vita.
Il punto fu assegnato a Misugi. Il palazzetto esplose in un boato.
Jun cadde in ginocchio, sopraffatto dalle emozioni per aver realizzato il sogno di una vita e per essere stato il primo a portare una medaglia d’oro al suo paese nella disciplina. Accanto a lui Le Blanc gli afferrò il braccio e lo sollevò in segno di vittoria.
“Ce l’hai fatta, mon frère!”
Il giapponese, sull’orlo delle lacrime, si alzò ed abbracciò l’amico e rivale.
“Ancora non ci credo.”
“Goditela fin che puoi: nella prova a squadre mi prenderò la rivincita.”
Per tutta risposta Jun strinse più forte il fratello acquisito.
 
 
 
 
 
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Finalmente una gioia per i nostri ragazzi, e che gioia! Una medaglia d’oro.
Jun lo vedevo molto a praticare questo sport “da nobile”, nonostante il Giappone non abbia una tradizione importante in questa disciplina, salvo un exploit alle Olimpiadi di Londra con l’argento della squadra di fioretto maschile.
Per quanto riguarda il nome del suo avversario/compagno di allenamento, ho usato la versione dell’anime, Pierre Le Blanc, perché El Cid Pierre non riesco proprio a sentirlo.

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Capitolo 6
*** Tuffi - Piattaforma 10 metri sincro ***


Tokyo Aquatics Centre
 
“Fratello – Masao stava terminando di asciugarsi – per quale motivo abbiamo deciso di inserire nel programma un tuffo con partenza dalla verticale?”
Kazuo gli fece l’occhiolino dall’ultimo gradino delle scale.
“Perché siamo i più fighi.”
Masao alzò gli occhi al cielo.
“Possibile che non riesci ad essere serio nemmeno in un momento come questo?”
“Per quello ci sei già tu, io devo controbilanciare.”
“E piantala!”
Masao diede una leggera spinta alla spalla del fratello.
“Seriamente, credi che abbiamo fatto bene?”
“Seriamente, non lo so. Ci serviva un coefficiente di difficoltà alto ed un asso nella manica, qualcosa che potesse sparigliare le carte. Se il tuffo ci riesce possiamo portarci a casa un sacco di punti.”
“Forse abbiamo osato troppo.”
“Lo scopriremo presto. Ora è tardi per cambiare.”
Masao annuì, l’elenco dei tuffi veniva consegnato alla giuria prima dell’inizio della gara, non si poteva cambiare in corsa: eseguire un tuffo diverso da quello dichiarato avrebbe comportato uno zero da tutti i giudici.
“È ora.”
I gemelli si avvicinarono al bordo della piattaforma per eseguire il loro ultimo tuffo.
“Siamo stati folli a fare questa scelta.” Sussurrò Masao.
“È bello essere folle con te, fratello.” Rispose Kazuo.
I due si lanciarono un ultimo sguardo d’intesa: fosse andata bene o fosse andata male, avessero fatto un numero incredibile o avessero combinato un disastro totale, l’avrebbero fatto insieme. Nessuno dei due avrebbe recriminato con l’altro per un errore individuale. L’assoluta complicità tra loro era uno dei segreti che faceva funzionare il loro team.
Si chinarono e cominciarono a raggiungere la posizione di verticale.
In quanto più posato della coppia, toccava a Masao dare il comando.
“Pronto?”
“Sì.”
“Uno, due, tre, via!”
Piegarono le gambe, poi si staccarono dalla piattaforma e cominciarono a roteare in aria. Alla fine si distesero ed entrarono in acqua senza quasi sollevare uno schizzo. Tutto perfettamente all’unisono, come se a tuffarsi fosse stata una persona sola.
Nell’uscire dall’acqua Kazuo abbracciò il fratello:
“Te l’avevo detto che avrebbe funzionato!” Ancora prima dell’uscita del punteggio sapevano di aver eseguito il tuffo della vita, quello che avrebbe deciso la loro gara.
Per la prima volta in quella finale vennero assegnati dei dieci. Un boato si levò all’Aquatics Centre.
“È un punteggio da podio!” Esclamò Kazuo, stringendo più forte Masao.
“Sì, ma aspettiamo. Ci sono ancora coppie che devono finire la gara.”
“Possiamo far vedere i sorci verdi ai cinesi!”
Masao scosse la testa.
“Sii realista, devono sbagliare per finire dietro di noi e non lo faranno.”
Kazuo sbuffò:
“Mi concederai che almeno un po’ di pressione addosso gliel’abbiamo messa?”
Masao sorrise, era impossibile ragionare col fratello quando partiva per la tangente.
Restarono abbracciati ad osservare la prosecuzione della gara, fino alla fine di ogni tuffo.
Per ultimi si tuffarono i cinesi che non sbagliarono, confermando il pronostico.
I gemelli Tachibana ottennero l’argento: consapevoli di avere dato il massimo e di aver giocato al meglio tutte le carte a loro disposizione, erano felicissimi. Si congratularono con gli avversari ed a braccia sollevate andarono a godersi gli applausi della folla.
 
 
 
 
_________________________________
Per una disciplina spettacolare come i tuffi dalla piattaforma dei 10 metri chi altro potevo scegliere se non i nostri gemelli Tachibana? È il loro elemento.
Nel sistema di valutazione ad ogni tuffo è assegnato un coefficiente di difficoltà, la giuria si esprime solo sull’esecuzione con un punteggio da 1 a 10. Tolti i voti più alti e più bassi, la somma dei rimanenti si moltiplica per il coefficiente di difficoltà e si ottiene il punteggio. Nel caso dei tuffi sincronizzati la giuria è divisa in tre gruppi: due giudici per l’esecuzione del tuffatore 1, due per l’esecuzione del tuffatore 2 e 5 per il sincronismo.
I tuffi con partenza dalla verticale non si vedono quasi mai nel sincronizzato, per la difficoltà di riuscire a tuffarsi all’unisono partendo da una posizione più instabile e che bisogna dimostrare di sapere mantenere per alcuni secondi.
Negli ultimi anni, i tuffatori cinesi sono fortissimi in tutte le discipline, tant’è che spesso riescono a potare a casa l’en plein di medaglie d’oro e spesso il secondo tuffatore nell’individuale ottiene l’argento.
Masao e Kazuo sapevano che difficilmente avrebbero potuto battere la fortissima coppia cinese, anche con un colpo a sorpresa, e quindi sono felicissimi del loro prezioso argento.

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Capitolo 7
*** Equitazione - Dressage concorso a squadre ***


Sea Forest Cross-Country Course
 
Karl Heinz Schneider, a cavallo di Undine, un magnifico esemplare di Frisone, così nero da apparire quasi lucido, aveva appena terminato la sua routine in maniera esemplare.
Yoshiko Fujisawa, Masanori Kato e Kazumasa Oda avevano osservato l’intero esercizio a bocca spalancata, dimenticando di essere avversari della squadra tedesca, talmente ogni movimento era stato eseguito con perfezione ed eleganza.
“E questo è il motivo per cui la Germania è la dominatrice quasi incontrastata della specialità.” Commentò Kazumasa, senza celare un pizzico d’invidia per l’abilità di quel cavaliere.
Il punteggio assegnato dai giudici alla performance sfiorava la perfezione: i tedeschi erano sicuri dell’oro.
Schneider uscì dal rettangolo di gara senza perdere la sua consueta eleganza, inclinando leggermente la testa per salutare la squadra giapponese, e raggiungendo gli altri due cavalieri tedeschi, sua sorella Marie e Manfred Margus.
“Forza Fujisawa, ora tocca a te!” Masanori sfiorò un braccio alla cavallerizza che annuì impercettibilmente.
Yoshiko spronò dolcemente la cavalcatura ad entrare nel recinto di gara. Salutò la giuria e, non appena la musica si diffuse negli altoparlanti, iniziò l’esercizio.
Dreamer seguiva i suoi comandi con prontezza, eseguendo tutti i cambi di andatura, le transizioni e le figure richieste con naturalezza. In quei momenti Yoshiko era un tutt’uno con il cavallo, frutto di un affiatamento maturato in anni di lavoro ed addestramento insieme. Teneva particolarmente a fare bella figura, perché sarebbe stata l’ultima gara importante che avrebbe affrontato con quel compagno: dall’anno seguente l’animale avrebbe superato il limite d’età per gareggiare.
La routine terminò.
Fujisawa era  soddisfatta, sapeva di non avere la stessa eleganza dei fratelli Schneider, ma sapeva di aver affrontato l’esercizio al meglio delle proprie possibilità.
Il punteggio confermò le sue sensazioni.
Fuori dall’area di gara smontò e si lasciò andare ad una coccola contro il muso di Dreamer.
“Sei stato bravissimo. Come sempre.”
Si voltò per assistere alle routine dei compagni di squadra.
Per primo si esibì Masanori: anche lui era un cavaliere molto elegante e pulito ed eseguì un ottimo esercizio, guadagnando un punteggio molto vicino a quello della squadra del Regno Unito. Fu in quel momento che Yoshiko realizzò che quel giorno avrebbero potuto gareggiare per qualcosa di importante.
Dei tre cavalieri giapponesi, Kazumasa Oda era quello più impreciso, proprio per questo era stato lasciato per ultimo. Il suo esercizio fu buono, con qualche piccola sbavatura all’inizio, ma da cui si riprese subito, concludendo poi in crescendo.
“Mai visto Oda cavalcare così bene come oggi.” Sussurrò Masanori alle spalle di Yoshiko.
“Credo abbia appena fatto la gara della vita.”
“Non ci resta che aspettare il punteggio.”
Quasi distrattamente, il cavaliere sfiorò una mano a Yoshiko, aggiungendole qualche brivido a quelli che già provava per l’attesa.
Il punteggio di Oda era di tutto rispetto e, sommato a quelli di Fujisawa e Kato, portava la squadra giapponese a superare di un soffio il Regno Unito.
“Siamo d’argento!” Esalò Yoshiko, mentre le gambe iniziarono a tremare.
Kazumasa, ancora al centro dell’area di gara, era frastornato, non sapeva quasi cosa fare. Dovette intervenire uno degli addetti di gara a fargli segno di lasciare il recinto.
Meccanicamente raggiunse i due compagni di squadra.
“Vieni qui disgraziato. – Lo chiamò Masanori – Hai visto che quando vuoi sei capace di combinare qualcosa di buono?”
Kazumasa andò definitivamente in blackout: un complimento del genere da Oda, con cui non si poteva dire avesse instaurato un rapporto idilliaco, era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato, ancora meno della medaglia olimpica.
 
 
 
 
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E abbiamo di nuovo un argento!
Questa volta si può dire inaspettato: a differenza dei Tachibana che sapevano di potersi giocare qualcosa di importante, i nostri tre cavalieri dell’Hokkaido non pensavano di arrivare a tanto.
A partire dal 1984, la Germania ovest e poi la Germania unita, ha sempre vinto l’oro nel concorso a squadre di dressage, a parte nel 2012, a Londra, quando cedette il titolo al Regno Unito, accontentandosi dell’argento. A Tokyo  la gara si svolgerà a partire dalle 10:00 ora italiana.

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Capitolo 8
*** Surf ***


Tsurigasaki Surfing Beach
 
Gentili telespettatori, eccoci di nuovo in diretta dalla spiaggia. Dopo l’avvincente finale femminile che ha visto la statunitense Melanie Ford conquistare la medaglia d’oro, siamo ora in attesa del via della gara maschile per stabilire il titolo di campione olimpico. A sfidarsi saranno l’australiano Harry Konwell e l’idolo di casa Kojiro Hyuga.
Konwell fin qui ha affrontato un percorso netto, riuscendo ad imporsi abbastanza facilmente sugli avversari in ogni singola manche, al contrario il giapponese ha faticato al primo turno, riuscendo ad ottenere la qualificazione per pochissimi decimi di punto, ma da lì in poi il suo percorso è stato in netto miglioramento.
C’è da dire che questo sport viene parecchio influenzato dalle condizioni di gara che non sono mai uguali, provocando forti differenze tra una manche e l’altra: è il caso del primo turno affrontato da Hyuga, in cui a fatica abbiamo visto delle onde degne di essere cavalcate dai campioni accorsi in Giappone.
Ricapitoliamo le regole per chi si fosse collegato solo adesso: la finale avrà una durata di 30 minuti ed ogni sfidante potrà affrontare un massimo di 25 onde. Ad ogni onda i giudici attribuiranno dei punteggi e le due onde col punteggio più alto per atleta verranno sommate a formare il punteggio finale.
Questa mattina le condizioni del mare sono l’ideale per regalarci una finale tutta da gustare, direi che le onde sono addirittura migliori di quelle della finale femminile. La temperatura dell’acqua, secondo i dati forniti dagli organizzatori, risulta gradevole.
Konwell scambia le ultime indicazioni con il suo allenatore, mentre Hyuga sta terminando di legare i capelli in un pratico codino.
I due surfisti si stringono la mano ed entrano in acqua, portandosi abbastanza al largo.
Ecco la prima onda e subito Konwell si appresta a cavalcarla, non vuole perdere tempo. I suoi movimenti sono fluidi e sicuri. Oh! Che manovra spettacolare! L’australiano è partito alla grande in questa finale!
Hyuga non vuole essere da meno ed affronta l’onda seguente. Ottima la presa sulla tavola!
Questa finale si è aperta in maniera entusiasmante, siamo sicuri che ci sarà da divertirsi. Nessuno dei due sfidanti ha deciso di usare una tattica attendista entrambi hanno subito messo in mostra il loro talento e potenziale. Forse temono che le onde non miglioreranno ulteriormente?
 
Due terzi del tempo di gara sono già trascorsi e per il momento, facendo la soma dei due migliori punteggi, Konwell sembra proiettato verso la vittoria finale, ma non sbilanciamoci più di tanto, in dieci minuti possono ancora accadere molte cose.
Come non manchiamo mai di ricordare, l’oceano e, di conseguenza, la gara sanno essere imprevedibili. Tra tutti gli sport che vediamo in questa olimpiade, il surf è forse quello dai risultati meno pronosticabili.
Attenzione! Si è appena formata un’onda spettacolare. Sia Konwell che Hyuga l’hanno vista e vogliono tentare l’approccio, ma l’australiano deve desistere: Hyuga è più vicino al picco e, secondo convenzione, è suo il diritto a cavalcarla.
Il giapponese si solleva sulla tavola ed affronta l’onda. Che stile! Che potenza! Che sicurezza! Hyuga sembra una tigre scatenata. Konwell dovrà inventarsi qualcosa, estrarre un coniglio dal cilindro se vorrà tenere viva la speranza di oro.
Anche la giuria è del nostro stesso avviso e premia Hyuga con un punteggio stratosferico. L’australiano ora è nei guai. Deve sperare che in questi ultimi minuti l’oceano presenti un’onda di pari magnificenza.
Hyuga però non si appoggia sugli allori! Sta già scrutando l’orizzonte.
La sirena indica in questo momento la fine della manche e se i nostri conti sono esatti Kojiro Hyuga è il campione olimpico! Il Giappone aggiunge un altro oro al suo nutrito bottino.
I due surfisti si salutano seduti sulle rispettive tavole, prima di dirigersi a riva.
Hyuga viene accolto dai membri del suo team che lo circondano saltando.
Guardate: c’è anche Maki Akanime, della nazionale di softball, fresca di medaglia d’oro. Terminati i suoi impegni olimpici è venuta ad assistere alla gara del fidanzato ed ora giustamente partecipa ai festeggiamenti.
Per il momento dalla Tsurigasaki Surfing Beach è tutto.
Ci ricollegheremo più avanti per assistere sia alla cerimonia di premiazione femminile che maschile.
Una buona giornata a tutti.
 
 
 
 
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E qui tocca partire con le spiegazioni, sapevo che questo sport mi avrebbe dato problemi:
  • Il surf è uno dei nuovi sport introdotti in questa Olimpiade e quindi possiamo dire che Kojiro, colui che affronta le onde per inventare il tiro della tigre, è diventato il primo campione olimpico in assoluto!
  • Venendo ai problemi, le finali di surf erano in programma per oggi 28 luglio con alcuni giorni di riserva tra il 29 ed il 31 luglio, nel caso le condizioni del mare non fossero state idonee. Tuttavia, presumo anche per il tifone che sta lambendo parte del Giappone, le finali sono state anticipate a ieri 27 luglio. Avendo scritto tutto in anticipo, temevo che le discipline all’aperto mi potessero giocare scherzetti di riprogrammazione gare. Mi consolo col fatto di aver azzeccato il pronostico della gara femminile con una vittoria statunitense.
  • Per chi non lo conoscesse, Harry Konwell è un membro della nazionale australiana nel Golden 23 e nel Rising Sun.
  • Per quanto riguarda Maki, io non avevo pensato al suo risultato finale, avevo indicato genericamente la fine dei suoi impegni olimpici, ma poi le ragazze Giapponesi ieri hanno vinto l’oro nella realtà, per cui l’ho inserito anche qui.
  • Essendo questa una raccolta e non un racconto consequenziale, in alcune shot ho provato a sperimentare degli stili diversi: qui mi sono divertita con la telecronaca.

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Capitolo 9
*** Canoa slalom - Canoa canadese ***


Kasai Canoe Slalom Centre
 
L’acqua del bacino artificiale scorreva tumultuosa, per mettere in difficoltà le migliori atlete del panorama mondiale e consentirgli di dare prova della loro maestria.
Sanae Nakazawa era pronta nella sua canoa ai blocchi di partenza, in attesa che le fosse dato il segnale di partenza. La presa sulla pagaia singola era salda. L’atleta giapponese era l’ultima ad affrontare le 25 porte, 19 da attraversare normalmente e 6 in risalita, del percorso olimpico: se ne era guadagnata il diritto qualificandosi con il miglior tempo nella semifinale e pure nella sessione preliminare. Circa un minuto e 45 secondi la separavano dal termine della gara.
Le venne dato l’ok. Con un colpo di pagaia si diede la spinta e partì, gettandosi tra i flutti, la corrente e le ripide cascatelle.
Un colpo dopo l’altro, una porta dopo l’altra e il traguardo era sempre più vicino. Il percorso era insidioso, la corrente le sembrò un po’ più forte rispetto alla manche precedente, ma non l’avrebbe fermata.
Tagliò il traguardo col fiatone, convinta di avercela fatta, di aver portato a casa la vittoria. Era sicura di essere stata la più veloce, lo era sempre stata. Guardò il tabellone solo per scrupolo, per non sembrare troppo altezzosa nei confronti delle rivali.
La pagaia per poco non le scivolò di mano: accanto al suo tempo cronometrato era apparso il numero tre.
Si sentì risucchiare da un buco nero, mentre le altre concorrenti andavano a congratularsi con la vincitrice.
Cos’era successo?
Com’era stato possibile?
Era stata la migliore per tutte le fasi di gara, non c’era stata storia per nessuna. Era certa di non aver toccato le porte e ottenuto penalità. Dove aveva sbagliato? O il cronometro era difettoso?
Di sicuro qualcosa di sbagliato in tutta quella faccenda c’era. Che lei non vincesse quella gara era qualcosa di inaudito, di impensabile. Una campionessa del suo calibro che falliva l’appuntamento più importante della stagione.
Il delicato picchiettio di una canoa che toccava la sua la riscosse dai pensieri.
“Congratulazioni, Nakazawa! Una medaglia stupenda!”
La stava prendendo in giro? Lei voleva l’oro, cosa le poteva importare di un piazzamento?
Altre atlete vennero a congratularsi con lei. Avrebbe voluto mandarle al diavolo, ma poi un pensiero la colpì: erano atlete classificatesi dietro di lei, addirittura fuori dal podio, avrebbero dovuto essere più deluse di lei, eppure erano venute a farle i complimenti ed apparivano serene.
Era forse quello il tanto decantato spirito olimpico?
Si guardò intorno, oltre ovviamente la vincitrice, tutte sembravano soddisfatte, perfino l’atleta britannica arrivata seconda per pochissimi centesimi.
Le vennero in mente le parole che la nonna le aveva rivolto tanto tempo prima:
“Se dai il massimo e anche oltre, in qualsiasi posizione ti piazzerai sarai in pace con te stessa, perché saprai che non avresti potuto fare di più.”
Sanae si interrogò: aveva pagaiato al massimo delle sue capacità?
Assolutamente sì.
Finalmente si lasciò andare ed un sorriso cominciò pian piano a spuntarle sul volto, la delusione lasciava spazio alla consapevolezza. Dopo tutto, anche vincere un bronzo olimpico non era cosa che capitava tutti i giorni.
 
 
 
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Sanae l’ha presa benissimo eh. Il sistema di cronometraggio era guasto…. *facepalm*
Fortuna che gli insegnamenti della nonna tornano a galla nel momento opportuno.
Abbiamo il primo bronzo di questa raccolta, in una situazione che a volte capita: risultare i migliori nelle fasi preliminari e poi altri mettono quel quid in più nella finale.
Nella canoa slalom abbiamo due specialità: il kayak con la pagaia doppia, e la canoa canadese con la pagaia singola.

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Capitolo 10
*** Tiro con l'arco ***


Yumenoshima Park Archery Field
 
Yayoi lasciò andare un sospiro di sollievo: aveva salvato per il rotto della cuffia il set strappando un pareggio all’avversaria sudcoreana, portando il punteggio generale sul 4 a 4. Chi avrebbe vinto il quinto set avrebbe conquistato la vittoria.
Nella breve pausa si asciugò il sudore e chiuse un attimo gli occhi. La mente decise di giocarle un brutto scherzo, rimandandole le immagini della gara a squadre dei giorni precedenti. Non aveva avuto una performance all’altezza dell’evento, era la prima lei stessa ad ammetterlo, aveva sbagliato troppe frecce e ciò era costato al team il passaggio in semifinale. Questo aveva consentito ai tifosi di Sato, rimasta esclusa dalla selezione olimpica, di dare nuova linfa alla polemica che aveva accompagnato la sua scelta, nonostante la sua poca esperienza in campo internazionale.
Aveva sfruttato i giorni di pausa per lavorare su sé stessa e capire cosa non avesse funzionato, cosa le avesse impedito di reggere adeguatamente la pressione.
Nel torneo individuale sembrava aver trovato la chiave di volta, visto che uno dopo l’altro aveva superato tutti i turni e si trovava a scontrarsi in finale con la coreana Kim, la favorita dell’intero torneo e non stava sfigurando per ora: il primo set si era concluso in pareggio, il secondo aveva visto la vittoria dell’avversaria, ma lei aveva prontamente recuperato vincendo il terzo ed il quarto aveva di nuovo dato esito pari.
L’arbitro chiamò l’inizio del quinto set.
Toccava alla sua avversaria tirare per prima, piccolo vantaggio mentale.
La coreana ottenne nove, era parecchio costante nei suoi colpi.
Yayoi si mise in posizione e scoccò: otto. Aveva iniziato male.
Passò la lingua ad umettare le labbra, cercando di cancellare subito quanto successo. C’erano ancora due frecce a testa da scoccare, niente era ancora perduto.
Kim tirò la seconda freccia: un altro nove.
Yayoi si concentrò, per restare in gioco fino alla fine doveva piazzare un buon colpo. Centrò il dieci, portandosi in pareggio. Con un piccolo tic nervoso diede un paio di scrocchiate al collo.
Anche l’ultima freccia di Kim si conficcò a nove.
Yayoi sentì la pressione calare nuovamente sopra di lei. Un nove per pareggiare il set, raggiungere il 5 a 5 e giocarsi il tutto per tutto con la freccia di spareggio, oppure un dieci per chiudere subito la partita. Non aveva molte altre alternative, ma doveva restare calma. Doveva pensare solo al suo tiro, non a cosa sarebbe eventualmente successo in seguito.
Respirò il più lentamente possibile, per tenere sotto controllo il battito cardiaco, ogni dettaglio era importantissimo per la buona riuscita del colpo. Sollevò l’arco, tirò indietro la corda, appoggiando la coda della freccia sul labbro, trattenne il fiato mentre aggiustava la mira e scoccò.
La freccia attraversò veloce l’aria ed andò a conficcarsi nel bersaglio esattamente sulla linea che separava il nove dal dieci, assegnando all’atleta il punteggio più alto dei due.
Yayoi riprese a respirare e si piegò qualche secondo sulle gambe, mentre la tensione la abbandonava. Ce l’aveva fatta, aveva vinto!
Si risollevò ed andò a stringere la mano all’avversaria che si complimentò con lei:
“Sei la prima che riesce a battermi in quattro anni. Vuol dire che sei una grande tiratrice.”
“Faccio del mio meglio.”
“Continua così!”
Yayoi si diresse verso la zona degli allenatori e venne travolta dal gruppo giapponese, in cui era presente anche la capitana della squadra femminile.
“Cosa ti avevo detto? Sapevo ti saresti riscattata!”
Yayoi strinse più forte l’abbraccio.
 
 
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E siamo al giro di boa di queste Olimpiadi e di questa raccolta, con la prima settimana di gare ormai andata.
Oggi torniamo ad una medaglia d’oro con una storia di riscatto: un’atleta che non ha brillato particolarmente nella prima gara affrontata, non molla e trova un risultato su cui in pochi avrebbero scommesso alla vigilia, forse solo chi l’ha selezionata tra le rappresentanti della nazione.
Il tiro con l’arco individuale si svolge con una formula a set in cui per ogni set ogni arciere scocca tre frecce di cui si sommano i punteggi. Chi vince il set guadagna due punti, chi perde zero, in caso di pareggio si assegna un punto ad entrambi. Vince il primo atleta che raggiunge sei punti. Se dopo cinque set la situazione è di pareggio, si gioca lo spareggio con una singola freccia a testa. In caso di ulteriore pareggio presumo si continui a oltranza una freccia alla volta, tipo nei rigori.

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Capitolo 11
*** Nuoto - Staffetta 4X100 mista mista ***


Tokyo Aquatics Centre
 
“Forza Nacchan! Forza Nacchan!”
Azumi, Hajime e Teppei si sbracciarono al blocco di partenza per incitare la compagna di squadra durante l’ultima vasca della 4X100 mista mista.
La più giovane nuotatrice di tutto il gruppo era stata scelta come ultima frazionista, un onere che all’inizio non era sembrato troppo gravoso: la mista mista aveva centrato di un soffio la qualificazione alla finale e anche con l’inserimento del più creditato Taki nella frazione a rana, non aveva velleità di podio o di un piazzamento tra i cinque migliori.
Almeno fino a qualche minuto prima.
Hajakawa aveva aperto con una frazione a dorso elegante e perfetta che l’aveva portata a realizzare il suo record personale, la rana di Taki era stata maestosa, un po’ più impreciso ed affannato il delfino di Kisugi, ma comunque efficace tanto da permettere alla giovane Hyuga di tuffarsi in acqua come seconda, con un vantaggio sufficiente a resistere ad almeno due o tre delle squadre che avevano scelto di fare nuotare la frazione a stile libero ad uno degli uomini.
Alla virata dei 50 metri Naoko aveva toccato come prima, riuscendo a sopravanzare la nuotatrice spagnola, ma alle calcagna aveva i rappresentanti di USA e Regno Unito. A metà della vasca di ritorno le due nazioni l’avevano superata e lottavano tra loro per la vittoria finale, mentre il nuotatore australiano le si avvicinava a tutta velocità.
“Dai Nacchan! Non mollare!”
Azumi, Hajime e Teppei continuavano il loro tifo senza badare che non si addicesse troppo all’immagine compassata dei giapponesi che all’estero tutti avevano.
A poche bracciate dall’arrivo era quasi un testa a testa, Naoko usò tutte le energie che le restavano in corpo per slanciarsi verso la piastra ed arrivare al tocco precedendo l’avversario.
Col fiatone si voltò di scatto, sollevando gli occhialini.
“Ce l’hai fatta Nacchan! Ce l’hai fatta!” I compagni di squadra erano fuori di sé dalla gioia, si abbracciavano e poi si sporgevano verso di lei. Azumi addirittura era sommersa dalle lacrime.
Era un’emozione intensa, probabilmente tra le più travolgenti perché inaspettata: nessuno di loro aveva ancora avuto il grande exploit internazionale, erano un gruppo di outsider per cui la medaglia era solo un sogno proibito.
Ad un certo punto Naoko vide qualcosa di non identificato piombarle davanti nella piscina, sollevando una marea di schizzi. Dall’acqua emerse Teppei, che subito imprecò in direzione di Hajime.
“Si può sapere che ti è saltato in mente, idiota?”
L’altro nuotatore si limitò a sorridere ed a spingere in acqua con nonchalance anche Azumi, facendola precipitare nella corsia accanto a quella dove avevano gareggiato. Per finire si gettò pure lui, raggomitolandosi.
“Kisugi ha ragione – commentò la dorsista – sei proprio un idiota.”
Cominciarono a spruzzarsi acqua addosso a vicenda, ingaggiando una sorta di battaglia.
La giovane Hyuga li fissava con gli occhi ancora sbarrati per lo spavento.
“Dai Nacchan, unisciti a noi!” La invitò Teppei, ormai conquistato dallo spirito goliardico dell’amico.
Gli schizzi aumentarono ed a nulla valsero i richiami dei giudici di gara a lasciare la piscina e permettere lo svolgimento della premiazione degli 800 metri femminili.
La gioia e la felicità dei quattro era troppo grande e non poteva essere fermata in nessun modo, finché non l’avessero deciso loro.
 
 
 
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E la piscina del nuoto regala un bronzo ai nostri ragazzi, da una delle gare di nuova introduzione, ma già sperimentate a mondiali e europei: le staffette miste uomini e donne, che a me piacciono molto. La mista mista è la più particolare di tutte e la più difficile da leggere, poiché solo nel finale si allineano i valori: non c’è una regola, ogni nazione sceglie in base alle sue potenzialità come comporre la staffetta, quindi spesso in acqua si ritrovano uomini contro donne.
Questa era una medaglia inaspettata: nessuno del quartetto ci aveva neppure pensato e, forse, l’essere scesi in acqua solo per divertirsi, per dare il meglio di sé senza pensare al risultato è stata l’arma in più dei nostri. Tra le storie olimpiche ci sono anche le medaglie a sorpresa.

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Capitolo 12
*** Atletica leggera - 100 metri ***


Olympic Stadium
 
La finale dei 100 metri maschili era la gara più attesa del programma di atletica leggera, tutto il pubblico fremeva per vedere gli uomini jet percorrere il breve rettilineo a velocità impensabili. In fondo era anche la gara più corta di tutto il programma olimpico, quella che più delle altre rendeva chiaro quanto fosse importante cogliere l’attimo giusto.
Shun sapeva che il suo attimo era stato colto nella semifinale, portandogli la possibilità di disputare la finale. Sapeva anche che non avrebbe avuto possibilità di giocarsi una medaglia con gli avversari, perciò aveva deciso di godersi appieno ogni momento come se fosse ad una festa: la sua medaglia era stata già conquistata nel poter condividere la pista con quei fenomeni.
Uscito dal campo di riscaldamento, si era diretto verso lo stadio dove aveva atteso la chiamata.
Con lentezza tolse la tuta e la depositò nell’apposito contenitore. Gli era stata assegnata la corsia più esterna, la più vicina agli spettatori. Sentiva il loro calore sulla pelle, era l’atleta di casa e poteva contare su quel sostegno speciale.
Scambiò uno sguardo fugace col vicino alla sua sinistra: anche se non profondamente, tra loro si conoscevano un po’ tutti, trovandosi più volte nel corso dell’anno a partecipare alle stesse competizioni.
Controllò che il blocco di partenza fosse regolato nella posizione a lui più comoda e cominciò ad accucciarsi. Chiuse gli occhi un istante, godendo della sensazione di benessere che provava nel vedere i suoi sforzi ripagati per essere arrivato dove aveva sempre voluto stare.
“Ready!”
Il giudice di gara diede il segnale per sollevarsi.
Ci fu lo sparo, Shun scattò, ma dopo pochi metri la gara venne fermata per la falsa partenza dell’atleta in corsia cinque. Era uno dei favoriti, la tensione doveva avergli giocato un brutto scherzo. La squalifica fu immediata.
Passati un paio di minuti, i centometristi furono richiamati per cominciare una nuova procedura di partenza.
Nitta cercò di non farsi innervosire dalla situazione, ma notò che non tutti riuscivano a recuperare concentrazione come se niente fosse.
Si rimise sui blocchi: prima un piede e poi l’altro, sistemò le mani dietro la riga di partenza, badando di non lasciare nemmeno un dito al di là.
“Ready!”
Shun si sollevò, cercando di restare il più immobile possibile, quasi non respirò.
Lo sparo risuonò.
Tutti scattarono regolarmente. Nitta diede tutto quello che aveva in corpo.
Dieci secondi e fu tutto finito.
L’atleta giapponese tagliò il traguardo per ultimo, rispettando il pronostico. Sul volto gli si stampò comunque un sorriso.
Alzò le braccia al cielo per salutare e ringraziare chi aveva assistito.
Si voltò e raggiunse il vincitore per congratularsi con lui: era attorniato un po’ da tutti, poiché nella sua prova aveva stabilito un nuovo record del mondo.
Shun si sentì ancora più felice: probabilmente quasi nessuno si sarebbe ricordato della sua presenza in quella finale, ma lui era grato di essere stato presente ad un momento storico per il suo sport, di averlo vissuto in prima persona.
Ancora una volta sentì di aver fatto la scelta giusta quando aveva preferito il club di atletica al club di kendo.
 
 
 
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Come per il primo giorno di gare, anche qui niente medaglia: Mamoru non poteva mica essere l’unico a restare a secco. ;) Tuttavia la situazione è molto diversa: se Izawa rosicava, e giustamente, Nitta è contentissimo così, perché sapeva di non avere possibilità, di aver già superato sé stesso arrivando in finale. Il pubblico si ricorda solo dei medaglisti, ma ci sono atleti che per il loro percorso e le loro capacità già compiono un’impresa a essere in finale. Con Shun abbiamo ricordato anche questi atleti.
Nitta nel manga è considerato uno dei ragazzi più veloci, per cui ci stava in una gara di velocità, anche se non ha proprio il physique du role del centometrista, per cui accontentiamoci del piazzamento.

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Capitolo 13
*** Ginnastica artistica - Anelli ***


Ariake Gymnastic Centre
 
Eleganza.
Stabilità.
Sicurezza.
Forza.
Questo era il messaggio che Genzo stava cercando di far passare alla giuria mentre sollevava le gambe e le portava orizzontali al pavimento, le braccia ben distese a reggersi agli anelli. Era tutto lì il segreto, far passare per semplici quei movimenti che in realtà richiedevano una forza sovrumana ed ore di allenamento in palestra ogni giorno.
Svuotare il cervello.
Dimenticare ogni cosa.
Lasciarsi alle spalle il dolore al polso che aveva condizionato la sua prova ai mondiali dell’anno precedente, quelli che l’avevano visto beffato dallo svedese Levin e relegato nel posto più scomodo della classifica, il quarto, ad un passo dal podio, ma primo tra coloro che vengono dimenticati.
Concentrarsi solo sul momento presente.
Sulla gara in corso.
Sulla gara che conta davvero: la finale olimpica.
Discesa per rilassare muscoli e spalle per una frazione di secondo e per prendere lo slancio per risalire in verticale con un solo movimento fluido.
Non mostrare alcuna esitazione.
Non mostrare alcuna fatica.
Tutto doveva essere preciso, quando meno di un minuto e mezzo di esercizio valevano una vita di allenamento.
Genzo scese dalla verticale, mancava solo  l’ultima figura del suo programma, la rondine. Non si sentiva stanco, avrebbe osato, avrebbe tenuto la posizione un poco più a lungo dei due secondi richiesti dal codice.
Doveva impressionare la giuria.
Levin era stato quasi perfetto.
Lui doveva esserlo ancora di più. Avvicinare l’inumano.
Mostrarsi forte.
Mostrarsi più forte di qualunque avversario o avversità.
Dopo la rondine c’era solo l’uscita, il suo tallone d’Achille, non sempre riusciva a bloccare l’atterraggio come avrebbe dovuto.
Le mani lasciarono gli anelli, il corpo roteò in posizione tesa.
Le ginocchia erano pronte ad ammortizzare l’urto col materasso.
Toccò terra.
Il corpo non si spostò o sbilanciò: era riuscito a chiudere in maniera impeccabile. Era l’esercizio della vita.
Genzo si raddrizzò, salutò giuria e pubblico e lasciò la pedana, raggiungendo l’allenatore.
Era il tempo dell’attesa.
Infinita.
Torturante, più dell’esercizio stesso.
Il suo punteggio di partenza era leggermente più basso di quello del ginnasta svedese, ma gli sembrava di aver avuto un’esecuzione migliore, più pulita. Era tutto nelle mani dei giudici, in un delicato equilibrio di cifre decimali.
Il tabellone si accese ed apparve il punteggio.
A fianco campeggiava il numero uno.
Wakabayashi alzò il pugno al cielo in segno di vittoria, senza lasciarsi andare però a celebrazioni eccessive: mancava ancora un atleta e, anche se sulla carta non avrebbe dovuto portare problemi alla zona podio, la gara era ancora in corso.
Nel suo angolo Levin fece un gesto di stizza, il campione del mondo in carica, il favorito del pronostico era stato battuto.
Ricominciava l’attesa, ma era più dolce, meno snervante.
Wakabayashi si godette l’esecuzione dell’esercizio di Fersio Torres: era un giovane ancora un po’ acerbo, che mostrava sprazzi del campione che sarebbe potuto diventare un giorno. Genzo ne era certo: tra quattro anni sarebbe stato tra coloro che avrebbero provato detronizzarlo.
Ora era lui il campione olimpico, l’unico e vero signore degli anelli.
 
 
 
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E Sauron spostati. XD
Genzo ci dà una grande prova di forza in una disciplina che in passato ci ha regalato grandi gioie. E si porta a casa un oro olimpico. Il bottino dei nostri eroi cresce.

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Capitolo 14
*** Boxe - Welter ***


Kokukigan Arena
 
Koshi Kanda rientrò nello spogliatoio e si gettò su una panchina, esausto dopo il match appena disputato.
Non sapeva esattamente come sentirsi, perché una parte di lui provava un pizzico di delusione, era inutile negarlo. Era arrivato alla finale del torneo di pugilato ad un soffio dalla vittoria.
Dall’altra parte sapeva benissimo che l’argento andava più che bene, era un risultato su cui qualche settimana prima avrebbe messo la firma.
Si sfilò i guantoni lentamente e si diresse verso le docce, doveva prepararsi per la premiazione.
Sotto il getto di acqua calda ripensò al momento in cui aveva rischiato che i suoi sogni andassero in frantumi: era stato a trovare i cugini, in una cittadina di campagna poco trafficata, dove si muoveva spesso in scooter senza problemi. Non credeva di essere stato imprudente, in fondo non si stava spostando a Tokyo nell’ora di punta. Invece un camionista l’aveva urtato e l’aveva fatto cadere, procurandogli una microfrattura. Aveva rischiato di dover rinunciare a giocarsi un piazzamento importante: i tempi di recupero prospettatigli dai medici indicavano che avrebbe potuto essere libero qualche giorno prima degli incontri, ma avrebbe perso settimane di allenamento.
Dopo i primi giorni di incazzatura pesante, aveva concentrato tutte le sue energie nel cercare di guarire più in fretta possibile, nel seguire scrupolosamente le indicazioni dei dottori, nel cercare di tenere in esercizio le parti del copro che non erano coinvolte nell’infortunio e nello studio di tutti i match degli avversari che era riuscito a reperire. Non era mai stato un amante dei video ed uno stratega sopraffino, tuttavia aveva realizzato che doveva trovare una maniera per compensare la mancanza di una preparazione fisica ottimale, doveva conoscere a memoria il modo di combattere di chi si sarebbe trovato sul ring.
Chiuse la manopola della doccia e cominciò a sfregarsi in un asciugamano, poi indossò la divisa di rappresentanza.
Era pronto da poco quando uno dei volontari venne ad avvisarlo che la cerimonia di premiazione stava per incominciare.
“Signore e signori, ecco a voi i vincitori delle medaglie!” L’annuncio dello speaker precedette di poco l’arrivo del quartetto che si posizionò dietro i gradini del podio.
Kanda sentì le ginocchia tremare, ma si era imposto di non mostrare emozioni in maniera eccessiva, non si sarebbe messo a piangere come un bambino, come gli era capitato di vedere fare ad alcuni connazionali nei giorni precedenti.
“Il vincitore della medaglia d’argento: Koshi Kanda!”
Il pugile salì sulla sua pedana, alzando le braccia al cielo ed accogliendo gli applausi del pubblico che si era trattenuto fino a quel momento.
Si chinò leggermente per permettere che la medaglia gli venisse infilata al collo dal presidente della federazione di pugilato.
Come precedentemente in spogliatoio, si sentì invaso da sensazioni contrastanti: da una parte percepiva addosso tutto il peso del trofeo e le sue implicazioni, dall’altra si sentiva leggero, come se riceverlo l’avesse finalmente liberato.
Cercò con lo sguardo i genitori che sapeva essere in tribuna, il risultato ripagava anche i loro sforzi per permettergli di praticare lo sport che tanto amava.
Un pensiero fugace volò alla sua ex ragazza, quella che l’aveva lasciato quando si era fatto male, perché non poteva permettersi di stare con, parole sue, “un deficiente che aveva buttato via in maniera cretina l’Olimpiade.” Chissà se stava guardando la tv in quel momento e si stava mangiando le mani.
Scacciò velocemente l’idea, mentre sul volto gli appariva un sorriso sghembo: quel momento era solo suo e di tutti coloro che avevano creduto in lui fino alla fine.
 
 
 
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Ed anche il grande villain di Capitan Tsubasa, il camion, si infila di prepotenza! Voleva anche lui una parte in questa raccolta. XD
  • Non seguo per niente il pugilato, infatti della gara in sé non ho scritto nulla, però Kanda un posto qui dentro se lo meritava.
  • Ho scritto che al podio va un quartetto di vincitori della medaglia: nel pugilato olimpico non si disputa la finale per il bronzo, i due sconfitti delle semifinali hanno diritto entrambi alla medaglia.
  • Piccola precisazione: dopo aver pianificato, distribuito tutti i ruoli e scritto buona parte delle shot, ho scoperto che nel manga Kanda combatte nella categoria Heavy Light, non nei Welter come ho inserito io. Purtroppo spostarlo di categoria mi avrebbe costretto a spostarlo di giornata ed a cambiare/cancellare alcune assegnazioni. Spero mi perdonerete la licenza poetica.
  • Devo dire che sono stata ispirata, come per la shot di Mamoru, da un fatto reale: l’incidente nel 2011 di Tania Cagnotto mentre si recava in motorino all’allenamento. Incidente che ha compromesso la preparazione per i mondiali dello stesso anno e nonostante il quale riuscì a conquistare la medaglia di bronzo nel trampolino da 1 metro (specialità NON olimpica). Alla storia di Kanda potrebbe andare in parallelo anche quanto successo a Gregorio Paltrinieri, colpito dalla mononucleosi un mese prima dei Giochi di Tokyo e vincitore della medaglia d’argento negli 800 metri stile libero.
  • Ultimo ma non ultimo: Koshi, una ragazza così, meglio perderla che trovarla. ;)
 

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Capitolo 15
*** Nuoto sincronizzato - Doppio ***


Tokyo Aquatics Centre
 
Kumi e Yukari raggiungono la pedana mano nella mano, per darsi forza a vicenda, come hanno sempre fatto durante tutto il percorso di qualificazione che le ha portate fino a quel punto. Salutano la giuria, si guardano negli occhi e si mettono nella posizione di partenza del loro esercizio libero.
 
Somewhere over the rainbow, way up high
there's a land that I heard of, once in a lullaby

 
Le due atlete si tuffano e dopo qualche bracciata si immergono per realizzare la prima verticale con avvitamenti. Il sincronismo è quasi perfetto. È un ottimo biglietto da visita per l’inizio dell’esercizio, colpire subito i giudici con qualcosa di ben eseguito.

somewhere over the rainbow, skies are blue
and the dreams that you dare to dream
really do come true

 
Escono dall’acqua col busto ed eseguono una parte di movimenti di braccia col sorriso sulla labbra, non deve trasparire la fatica. Il pubblico accenna un timido applauso per non disturbare troppo la performance.

someday I'll wish upon a star
and wake up where the clouds are far behind me

 
Prendono fiato e tornano con la testa sott’acqua per affrontare una complicata parte di movimenti di gambe, tutta in apnea. Forbici, aperture, chiusure, piegamenti. Potrebbe sembrare semplice dato che hanno scelto una musica abbastanza lenta e dolce, ma i giudici conoscono la difficoltà di mantenere l’unisono in queste condizioni.

where troubles melt like lemon drops
away above the chimney tops

that's where you'll find me
 
Le due si distendono e scivolano una sull’altra a realizzare con i loro corpi alcune figure geometriche, ben visibili dall’alto delle tribune. È un momento di transizione coreografico, per recuperare prima del finale. I movimenti sono fluidi, Yukari e Kumi sembrano un tutt’uno con l’acqua della piscina.

somewhere over the rainbow, bluebirds fly
birds fly over the rainbow, why then, oh, why can't I?

 
Di nuovo in apnea per un’altra sequenza di movimenti di gambe, meno spettacolare della precedente, ma ben rifinita. L’esercizio si sta avviando alla sua conclusione.
 
if happy little bluebirds fly beyond the rainbow
why, oh, why can't I?

 
Kumi passa sopra Yukari che le da una leggera spinta, sollevandola con tutto il busto rispetto al livello dell’acqua, poi entrambe assumono la posizione conclusiva.
Restano immobili per un paio di secondi ed alla fine si abbracciano. Il pubblico applaude fragorosamente: ha apprezzato la performance delle due sincronette giapponesi.
Nishimoto e Sugimoto escono dall’acqua e restano in attesa del punteggio assegnato dalla giuria. Si riprendono per mano, perché l’elaborazione del risultato finale è più lunga del previsto, probabilmente i giudici stanno riguardando qualche elemento. Dopo il programma tecnico occupavano la quinta posizione, ma non erano troppo distanti dal podio: qualche decimo di punto potrebbe segnare la differenza tra la gloria di una medaglia e la normalità di un buon piazzamento.
La giuria è pronta.
Il punteggio appare sul tabellone.
Kumi e Yukari si abbracciano con foga e quasi piangono: sono terze!
Dopo di loro deve esibirsi solo una coppia che non ha possibilità di andare ad insidiare questo risultato.
Il pubblico si alza in piedi e tributa una standing ovation alle due atlete, mentre loro si voltano e salutano con due sorrisi veri e brillanti.
 
 
 
 
________________________________________
Questa è una delle shot scritte in uno stile diverso, quello della song-fic. Mi è sembrato calzante dato che nel nuoto sincronizzato gli esercizi sono accompagnati dalla musica, così abbiamo potuto ascoltare l’accompagnamento dell’esercizio di Kumi e Yukari.
Il loro brano è la celebre Over the rainbow, utilizzata anche come colonna sonora ne Il mago di Oz. Qui un ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=zMwOO8d7tkw
A livello olimpico per ora le discipline del nuoto sincronizzato sono due: il doppio e la squadra di otto elementi. Entrambe le gare si svolgono con due esercizi in due giornate differenti: la prova tecnica, più breve, e l’esercizio libero, più lungo.
Chissà che nelle prossime edizioni non vedremo il doppio misto uomo/donna.

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Capitolo 16
*** Arrampicata sportiva ***


Aomi Urban Sport Park
 
Hikaru si sentiva forte e tranquillo prima di iniziare l’ultima prova della finale. L’arrampicata sportiva era alla sua prima apparizione nelle competizioni olimpiche e subito aveva attratto il pubblico con le tre prove previste: la sfida di velocità su una parete di 15 metri, il boulder su piccole pareti di 4,5 metri e per finire il lead, la prova di difficoltà in cui in sei minuti bisognava raggiungere la massima altezza possibile su una parete che diventava via via più complicata e priva di appoggi. Per quest’ultima prova agli atleti era proibito vedere gli avversari svolgere il loro percorso per non ottenere dei vantaggi dalle esperienze altrui. Dopo la breve osservazione iniziale della parete, erano in attesa in una stanza.
Matsuyama ripassava mentalmente una possibile via in base ai propri ricordi.
Nelle prove del pomeriggio aveva ottenuto ottimi risultati che lo ponevano in testa alla classifica parziale, dove era intenzionato a rimanere.
Era cresciuto in montagna, fin da quando aveva cinque anni ed aveva cominciato ad arrampicarsi tra le rocce quando accompagnava il nonno al pascolo. Crescendo la sua passione era aumentata, fino a portarlo a provare pareti e passaggi sempre più difficili. I suoi genitori l’avevano allora portato in palestra, dove poteva sfogare la sua passione con le adeguate protezioni e misure di sicurezza.
Ora era lì, con la possibilità di essere il primo vincitore olimpico della storia nell’arrampicata sportiva.
Hikaru si sfregò le mani, ma non erano sudate: si era impegnato molto e faticato duramente, sia al chiuso delle palestre, sia all’aperto con le condizioni meteorologiche più impensate ed era convinto che il duro lavoro ripagasse sempre.
Uno dei volontari lo informò che era il suo turno e lo accompagnò sul terreno di gara.
Con pazienza indossò l’imbragatura a cui veniva agganciata la fune di sicurezza: mancare una presa a più di 10 metri d’altezza non era un’esperienza da cui si potesse uscire incolumi.
Il cronometro dei sei minuti scattò e Matsuyama iniziò la sua salita.
I primi passaggi furono abbastanza semplici, niente di trascendentale, e li affrontò in scioltezza e spedito, ma presto la salita si fece ardua.
Hikaru non si scoraggiò, non si era di certo aspettato un percorso semplice.
Con pazienza e fatica si fece strada tra i vari appoggi. A circa 14 metri di scalata restò bloccato per diversi secondi, temette di non riuscire a raggiungere la cima prima della fine del tempo utile.
“Coraggio Hikaru – si disse, spostando lo sguardo lungo tutta la parete – pensa, ci dev’essere per forza un modo per salire.”
Forse avrebbe dovuto tornare indietro e provare un approccio diverso, quando vide uno spiraglio. Era un passaggio molto difficile che avrebbe richiesto tutta la sua forza fisica e di volontà. Decise di tentare.
Si diede lo slancio e con uno sforzo immane riuscì a raggiungere un appoggio alla sua sinistra. Si arrampicò e riprese la scalata.
Le braccia gli facevano male, non aveva mai affrontato una parete così impegnativa, gli organizzatori avevano fatto di tutto per rendere il debutto olimpico indimenticabile.
Raggiunse l’arrivo nel momento in cui la sirena indicava la fine del tempo utile.
Hikaru sorrise, poi si lasciò scivolare dolcemente a terra tramite la fune.
Recuperò una bottiglia d’acqua ed andò a sedersi nei posti riservati agli atleti che avevano terminato la prova.
“Complimenti Matsuyama! – gli disse Juan Diaz – finora nessuno aveva ancora raggiunto il top.”
Il giapponese annuì, consapevole del significato dell’affermazione: era il pretendente più accreditato per l’oro.
Nessuno degli scalatori che affrontarono la parete dopo di lui si avvicinò minimamente alla sommità.
Matsuyama si alzò e sollevò un pugno al cielo: aveva vinto la medaglia d’oro dominando tutte le specialità, era indiscutibilmente il più forte del mondo. Si voltò verso la tribuna più vicina, dove in prima fila c’era il nonno che applaudiva fino a spellarsi le mani.
Senza pensarci troppo andò a ricevere il suo abbraccio.
 
 
 
 
 
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Oggi, dopo il surf, affrontiamo un altro dei nuovi sport, l’arrampicata sportiva, ed a chi altri potevo affidarla se non al nostro montanaro per eccellenza? Con la guest star del nonno che per l’occasione è diventato quasi il nonno di Heidi. XD
Altro oro per il nostro team preferito dopo la nazionale italiana.

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Capitolo 17
*** Karate - Kumite ***


Dojo della famiglia Wakashimazu
 
Al dojo si respirava una strana atmosfera, una sorta di eccitazione ed euforia trattenuta ed imbrigliata ad ogni costo, come la calma che precede una tempesta od una bolla che arriva al massimo grado di tensione appena prima dello scoppio.
Katsumoto Wakashimazu aveva ordinato che gli allenamenti e le attività si svolgessero nel modo consueto, senza eccezioni particolari: doveva essere un giorno come qualsiasi altro, non avrebbe tollerato distrazioni, almeno fino al tardo pomeriggio. Eppure non poteva non notare che, nonostante  i suoi sforzi, quello fosse tutto fuorché un giorno normale. Gli allievi, soprattutto i più giovani, avevano la testa da un’altra parte.
“Che cos’è questo atteggiamento? Non stai andando nei prati a raccogliere margherite!” Con voce aspra rimproverò uno dei ragazzi della squadra delle superiori, colpevole di impegnarsi poco.
“Keitaro, vedi di prestare più attenzione ai tuoi allievi.”
“Sì, padre.” Il giovane maestro rispose rigido. Katsumoto era noto per la sua severità ed il rigore dei suoi principi, ma quel giorno stava decisamente esagerando, pareva non si rendesse conto di cosa significasse che uno dei suoi figli fosse…
La porta scorrevole della stanza si spalancò ed il più giovane dei fratelli Wakashimazu entrò urlando:
“Sta iniziando!”
“Kazuo, vedi di mantenere un po’ di contegno!” Lo riprese il padre, ma il suo richiamo si perse nel vuoto quando tutti gli allievi abbandonarono l’allenamento e si recarono nella sala principale del dojo per assistere al torneo olimpico di karate.
Katsumoto scosse la testa per quell’eccessivo entusiasmo: i fratelli e gli allievi del dojo stravedevano per suo figlio Ken e per il fatto che fosse stato scelto per rappresentare il paese all’Olimpiade, ma non aveva fatto ancora nulla, doveva ancora dimostrare cosa fosse in grado di fare. Fosse dipeso da lui,avrebbe proibito a tutti di assistere al torneo, ma sua moglie aveva insistito sul fatto che anche quello poteva ritenersi un allenamento e per il quieto vivere familiare alla fine aveva ceduto. Era in ogni caso riuscito ad impedire uno spostamento di massa del dojo per assistere dal vivo.
Lentamente raggiunse la sala principale.
Il primo scontro era già iniziato e Ken pareva avere il controllo della situazione. Un paio di rapide occhiate gli bastarono per stabilire che l’avversario non fosse di livello degno di attenzione, per cui un eventuale fallimento del figlio non sarebbe stato contemplato e ritenuto un disonore tale da interdirgli un futuro accesso al dojo.
“Come si fa a ritenere educativa la visione di un simile incontro?” Mormorò a mezza voce.
Gli incontri del torneo proseguirono, inframmezzati anche da quelli della rassegna femminile, suscitando ben poco entusiasmo in Katsumoto, impegnato a sottolineare le mancanze tecniche di ogni karateka.
“Padre, dovresti mollare un po’ la presa, in fondo stai solo guardando degli incontri in tv.” Cercò di consigliarlo Keitaro.
“Sono gli atteggiamenti permissivi come questo che rischiano di portare alla svalutazione della nobile arte del karate.” Ringhiò in risposta il patriarca Wakashimazu.
Finalmente era giunto il momento della finale. Katsumoto si sistemò meglio, recuperando un blocco per gli appunti in cui annotare minuziosamente ogni cosa.
Ken era riuscito a qualificarsi con un percorso abbastanza netto, ma non aveva brillato particolarmente.
L’incontro iniziò.
Ai primi punti assegnati al karateka giapponese gli allievi del dojo esplosero in un applauso ed in cori di incitamento.
“Per cortesia, trattenetevi.”
Katsumoto, cercava di mantenere l’ordine, ma nessuno ormai badava a lui, tutti troppo presi ed emozionati dalla sfida per la medaglia d’oro.
Annotò furiosamente sul taccuino gli errori tecnici che aveva appena visto commettere al figlio, scuotendo con vigore la testa al constatare come buona parte dei  suoi insegnamenti paresse essere caduta nel vuoto.
L’incontro si concluse con la vittoria finale di Ken che esultò abbastanza compostamente.
Nella sala del dojo invece si era scatenata una baraonda, tutti saltellavano, si abbracciavano e gridavano. Katsumoto assisteva con orrore allo spettacolo dei suoi due figli Keitaro e Kazuo che guidavano quei festeggiamenti in maniera scomposta. Sua moglie addirittura piangeva dalla gioia.
L’uomo si alzò e lasciò la sala, non intenzionato a farsi influenzare da quei festeggiamenti sconsiderati: Ken aveva solo portato a termine il suo dovere, non aveva fatto nulla di trascendentale da giustificare un simile abbandono della disciplina del dojo.
Si ritirò nello studio e si lasciò tutto alle spalle.
 
 
 
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E il papà di Ken si rivela simpatico come un porcospino sotto al cuscino. *facepalm*
La scelta del karate per Wakashimazu era abbastanza scontata, visto che anche nel manga pratica pure questo sport, ma ho deciso di cambiare il punto di vista rispetto al solito: non quello dell’atleta, ma quello di uno spettatore, che dovrebbe essere anche piuttosto interessato, ma a cui non va bene nulla. Il figlio vince l’oro olimpico e per lui è come avesse vinto il torneo dell’oratorio.

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Capitolo 18
*** Pallavolo ***


Ariake Arena
 
Il Brasile stava ormai dilagando, ad un passo dalla conquista del titolo olimpico, bissando il successo ottenuto nell’edizione precedente disputatasi a Rio de Janeiro.
La squadra giapponese aveva tenuto botta per il primo set, costringendo la formazione sudamericana a conquistare la frazione di gioco ai vantaggi. Nel secondo set la sua intensità di gioco era calata, ma non in modo tale da far  prevedere il tracollo quasi verticale del terzo parziale. O, più probabilmente, erano i carioca ad aver ingranato il turbo: nel primo set, la distribuzione del gioco da parte di Carlos Santana, il genio del palleggio mondiale, era apparsa un po’ appannata rispetto ai suoi standard usuali, a tratti scontata e prevedibile, mentre dal secondo era tornata a splendere della sua consueta freschezza ed inventiva.
Il coach chiese un time-out per dare un’ultima scossa ai suoi giocatori, anche se il punteggio non lasciava spazio a speranze di ripresa: 22 a 15.
“Ragazzi, potete giocare molto meglio di così!”
“Il coach ha ragione! – urlò Ryo Ishizaki, capitano, dopo essersi asciugato il volto con la salvietta – Vendiamo cara la pelle! Non lasciamoli vincere così!”
Kishida annuiva.
“Facciamogli sudare gli ultimi punti! Non ci hanno ancora piegato.”
Urabe era più scettico ed incrociò le braccia:
“Ragazzi, ormai è andata! Non li riprenderemo mai!”
“Mai dire mai!” Gli urlò in faccia il capitano, mentre Takeshi fu più razionale:
“Credi che non lo sappiamo? Ma non per questo dobbiamo alzare bandiera bianca.”
Il fischio dell’arbitro richiamò le squadre in campo.
Il coach ebbe tempo per un’ultima raccomandazione:
“La partita non è finita finché non è caduto l’ultimo pallone.”
Al servizio c’era Natureza, il realizzatore del maggior numero di ace del torneo. Per non smentire la sua fama mise subito a segno due punti con due battute che non permisero nemmeno di vedere la palla alla ricezione giapponese, stabilendo un nuovo record per la battuta più veloce.
24 a 15, era il match point per il Brasile.
“Non credere di cavartela così facilmente.” Masticò tra i denti Ryo, del tutto intenzionato a non far aggiungere un’altra X nel tabellino delle statistiche di Natureza.
Il brasiliano si portò dietro la linea di fondo campo e prese la rincorsa per eseguire il servizio in salto, colpendo la palla esattamente in centro.
Ishizaki previde la traiettoria e fece due passi in avanti per ricevere la palla, questa volta non l’avrebbe assolutamente fatta cadere e…. venne colpito in pieno volto!
“Ishizaki!” Urlarono i compagni.
“La palla è ancora in gioco!” Urabe si lanciò per tenere vivo il sacrificio del capitano e riuscì a ributtare la sfera verso la zona d’attacco.
Kishida schiacciò da posto quattro, ma il muro verde-oro non si fece sorprendere e respinse il colpo.
La palla toccò terra in campo e l’arbitro fischiò.
Era finita, il Brasile era campione olimpico, di nuovo.
Tutti i giocatori giapponesi corsero intorno ad Ishizaki, che era ancora a terra.
“Capitano! Sei vivo?” Hanji tese una mano a Ryo.
“In forma smagliante!”
“Ma che ti è saltato in mente di fare? Potevi restarci secco!”
Ishizaki agitò una mano, mentre con l’altra si tastava il volto, a controllare che tutto fosse al suo posto.
“Macché! Non vi ha mai detto nessuno che la palla è la nostra migliore amica?”
Gli altri giocatori alzarono gli occhi al cielo.
Poi, tutti insieme, andarono a rendere onore agli avversari ed a ricevere gli applausi dell’intera arena.
 
 
 
 
 
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Anche se non nel calcio, un momento di squadra non poteva mancare in questa raccolta e, soprattutto, non poteva mancare una pallonata in faccia a Ryo. XD Ishizaki per l’occasione rispolvera e riadatta una vecchia massima di Tsubasa.
Diciamo che al Brasile l’ho un po’ tirata, mandandoli a vincere il secondo oro consecutivo, mentre nella realtà giocano oggi per il bronzo. Pazienza. Non era intenzionale, ma da qualche parte ci voleva una finale Brasile – Giappone.

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Capitolo 19
*** Atletica leggera - Maratona ***


Sapporo Odori Park
 
La fatica stava salendo implacabile. Dopo quasi 40 chilometri di corsa tra le strade di Sapporo ed il parco, Yuzo Morisaki sentiva il suo corpo farsi sempre più pesante e rigido, ogni muscolo era invaso di acido lattico che gli gridava a gran voce di fermarsi, di non proseguire in quella tortura.
Yuzo non si sarebbe fermato, non prima di aver tagliato il traguardo. Non era intenzionato a perdere la sfida con sé stesso: prima che con gli avversari, una gara dura come la maratona era un confronto con il proprio corpo ed i propri limiti. Negli ultimi chilometri di quella lotta, Morisaki si trovò a provare dolore e fatica in muscoli che nemmeno sapeva di possedere. Come in ogni maratona che aveva corso fino a quel momento, ogni volta scopriva una parte nuova di sé.
Senza interrompere la corsa, Yuzo guardò il cronometro che aveva al polso: la sua velocità era ancora buona, se la manteneva sarebbe arrivato al traguardo con un tempo complessivo di tutto rispetto, non troppo distante dal suo record personale. Per non pensare alla fatica si guardò intorno, cercando di cogliere qualche dettaglio del luogo in cui si trovava, in rete aveva visto delle foto magnifiche dell’Odori Park. Una maratona, rispetto a prove su distanze più brevi, aveva il fascino di svolgersi in scenari sempre diversi e stimolanti. La fatica, però, non permise a Yuzo di cogliere appieno la bellezza del luogo: i colori apparvero spenti al suo sguardo, quasi tendenti al grigio, rendendo vano il suo tentativo di distrazione.
Arrivò all’ultimo chilometro di gara. Solo mille metri separavano Morisaki dalla fine della prova. Il suo fisico era quasi allo stremo, doveva chiedergli “solo” un altro piccolo sforzo, poi gli avrebbe concesso tutto il riposo che desiderava. Niente più maratone almeno fino alla fine dell’anno. Se lo meritava.
Sentiva la gola secca, l’ultimo rifornimento sembrava avvenuto troppo tempo prima, le gambe stavano diventando di piombo. Il suo corpo stava per abbandonarlo. Sarebbe stata una beffa terribile arrivare così vicino all’obiettivo e mancarlo.
Si voltò per controllare la situazione alle sue spalle, la prudenza non era mai eccessiva. In lontananza vide la sagoma di un atleta, di qualcuno che probabilmente aveva amministrato le forze meglio di lui. Non riuscì a capire chi fosse, aveva ancora un certo margine.
Il traguardo apparve in fondo al viale. Ora Yuzo poteva vederlo e poteva vedere anche il nastro d’arrivo ancora teso e intatto: nessuno era ancora passato da lì. La cosa lo sorprese molto, l’atleta keniota era partito in fuga intorno al ventesimo chilometro e nessuno era riuscito a tenere il suo passo. Morisaki credeva che avesse concluso la gara già da un pezzo. Forse aveva dato uno strappo troppo violento.
Di colpo, come un’illuminazione improvvisa, nonostante la fatica, Yuzo capì di non stare più correndo per la piazza d’onore, ma per l’oro.
La consapevolezza gli diede una scarica di adrenalina, ricaricando le sue batterie quel tanto che bastava per arrivare in fondo.
Tagliò il traguardo con le braccia alzate al cielo: ce l’aveva fatta, aveva vinto contro sé stesso e contro tutti gli altri.
I colori del parco attorno a lui esplosero più vividi che mai, mentre veniva circondato dall’abbraccio dell’allenatore e del resto dello staff.
 
 
 
 
 
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E siamo all’ultimo giorno di gare e non potevamo che chiudere con un oro, nella gara più dispendiosa dell’intero programma olimpico.
Fortunatamente li fanno correre in mattinata a Sapporo, dove dovrebbe essere un po’ più fresco. Immagino che poi butteranno i vincitori su un aereo o su uno dei treni superveloci giapponesi: solitamente la premiazione della maratona maschile avviene durante la cerimonia di chiusura che sarà a Tokyo.
E se siete stati attenti, avrete notato che la raccolta non risulta conclusa… c’è ancora qualcosa in cantiere.

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Capitolo 20
*** Cerimonia di chiusura ***


Olympic Stadium
 
I vessilli erano stati ammainati, la bandiera olimpica consegnata al sindaco di Parigi ed il braciere olimpico appena spento. Un ultimo giro di fuochi d’artificio avrebbe fatto calare definitivamente il sipario sui Giochi della XXXII Olimpiade.
Nella saletta riservata allo stadio olimpico, dalla cui vetrata si poteva assistere a tutto ciò che accadeva, Katagiri stava versando del brandy in alcuni bicchieri di cristallo, che poi porse ai colleghi.
“Ce l’abbiamo fatta. Tutto è andato come doveva.”
Gamo afferrò uno dei bicchieri e lo sollevò come per un brindisi.
“Queste olimpiadi sono state un successo.”
Shiroyama e Kitazume annuirono a loro volta, mentre Furuoya era più pensieroso.
“Sai Munemasa, quando la prima volta hai proposto il progetto per ospitare i giochi in Giappone, non mi avevi molto convinto, mi avevi lasciato con più dubbi che certezze. Invece hai avuto ragione tu ed hai messo in piedi una macchina perfettamente organizzata.”
Katagiri si toccò gli immancabili occhiali scuri, che portava anche al chiuso per nascondere i segni del suo incidente.
“Sei troppo buono Takeshi. Sai benissimo che è stato un lavoro di squadra: senza di voi non sarei riuscito ad ottenere nemmeno la metà dei risultati.”
“Concordo – Shiroyama era sempre il più pacato nel gruppo – Anche se avrei fatto volentieri a meno delle chiamate nel cuore della notte di Makoto con idee geniali che non potevano aspettare un orario di lavoro normale.”
Kitazume diede un buffetto sulla spalla al collega e si comportò da finto offeso:
“Scommetto che ti mancheranno prima di quanto immagini!”
Gamo incrociò le braccia.
“Sei stato fortunato, Makoto, che Tadashi è una persona a modo. L’avessi fatto con me ti avrei mandato a quel paese per direttissima!”
“Il solito esagerato! – Katagiri scosse la testa. – E se vogliamo essere pignoli, non è che certi tuoi vocali su whatsapp fossero la cosa più piacevole da ascoltare.”
Furuoya annuì vigorosamente.
“Soprattutto all’inizio, quando non si capiva praticamente nulla. Quanto ci hai messo ad imparare?”
“Mi sa che il primo vocale decente è riuscito a mandarlo dopo un mese.”
“Questa me la paghi, Makoto! Ho di meglio da fare che impazzire dietro alle moderne tecnologie come voi giovincelli!”
Shiroyama intervenne prima che gli animi si scaldassero troppo e guastassero l’atmosfera di festa. Erano un gruppo in fondo affiatato, ma ognuno di loro aveva la propria personalità decisa e non era raro che alcune discussioni diventassero troppo vivaci, per quanto il rispetto reciproco non venisse mai a mancare.
“Che ne dite di seppellire l’ascia di guerra e dedicarci solo alle parti belle di questa esperienza?”
Tutti furono d’accordo.
Katagiri si versò dell’altro brandy prima di parlare di nuovo.
“Sapete, ho lavorato talmente tanto per la buona riuscita di questi giochi che, ora che sono conclusi e non avrò più da badarci, mi sentirò un po’ vuoto.”
“Frena, frena – lo redarguì Furuoya – ti ricordo che abbiamo ancora della burocrazia da sistemare e finché l’ultimo atleta non avrà lasciato il villaggio olimpico dovrà avere la nostra completa attenzione.”
“Io però capisco un po’ Munemasa: chiudere questa esperienza è come vedere un figlio ormai grande che se ne va di casa.”
“Da quando sei così poetico Tadashi?” Lo canzonò Kitazume.
“Che ne dite di un ultimo brindisi?”
Tutti sollevarono i bicchieri.
“A noi ed a questi meravigliosi giochi di Tokyio 2020 ormai conclusi.”
Mentre i cinque uomini bevevano, i fuochi d’artificio terminarono e i festeggiamenti per la fine delle olimpiadi si spostarono in tutta la città.
 
 
 
 
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E stavolta, con la seconda shot del giorno, è davvero finita!
Con mezzo occhio alla cerimonia di chiusura e una sbirciatina ai nostri organizzatori che giustamente festeggiano il successo.
Nella vera Tokyo 2020, l’Italia ha battuto i suoi record precedenti di medaglie, conquistandone 40 (10 ori, 10 argenti e 20 bronzi), ma soprattutto, cosa mai successa prima, vincendo almeno una medaglia in ogni giorno di competizione in cui si assegnavano medaglie. Il Giappone invece ha ottenuto il terzo posto nel medagliere generale con 27 ori, 14 argenti e 17 bronzi.
Un grazie a chi in questi giorni di giochi è stato compagno di avventure mio e dei nostri ragazzi/e reali e immaginari.

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