Una questione privata

di Jeremymarsh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti sto pensando, anche ora ***
Capitolo 2: *** Per amore della verità ***
Capitolo 3: *** Un piano infallibile ***
Capitolo 4: *** Sottoterra ***
Capitolo 5: *** Sfortuna ***
Capitolo 6: *** Senza orme ***
Capitolo 7: *** Crepuscolo o Alba? ***
Capitolo 8: *** Battaglia Finale ***
Capitolo 9: *** Sei mesi dopo – Parte I ***
Capitolo 10: *** Sei mesi dopo – Parte II ***
Capitolo 11: *** Sei mesi dopo – Parte III ***



Capitolo 1
*** Ti sto pensando, anche ora ***


N/A: Prima di cominciare a leggere delle piccole annotazioni: 

L'idea per questa storia mi è venuta rileggendo alcune parti de "Una questione privata" bellissimo romanzo anti-guerra di Beppe Fenoglio ma gli eventi storici rappresentati in questa ff non fanno alcun riferimento ad eventi realmente vissuti; sono di pura finzione. L'ispirazione è quindi tratta da suddetto romanzo - così come le citazioni a inizio di ogni capitolo - ma scoprirete poi che a parte la prima parte il format della ff è molto diverso da quello del romanzo. 

Ringrazio infine Sara che la sta leggendo in anteprima e come sempre mi sprona a scrivere o mi dà consigli, la persona che più ama sclerare e commentare con me altre fanfiction - peccato solo non leggi in inglese perché ne avrei molte altre da consigliarti! 

E mi pare sia tutto! Buona lettura.
 


 



Capitolo Uno: Ti sto pensando, anche ora


 
"In che stato sono. Sono fatto di fango dentro e fuori. Mia madre non mi riconoscerebbe. Fulvia, non dovevi farmi questo. Specie pensando a ciò che mi stava davanti. Ma tu non potevi sapere che cosa stava davanti a me, ed anche a lui e a tutti i ragazzi. Tu non devi saper niente, solo che io ti amo. Io invece debbo sapere, solo se io ho la tua anima. Ti sto pensando, anche ora, anche in queste condizioni sto pensando a te. Lo sai che se cesso di pensarti, tu muori, istantaneamente?"
 





Erano ormai due anni che la guerra andava avanti senza che nessuna delle due parti riuscisse ad avere la meglio. Si alternavano periodi in cui i demoni sembravano finalmente sul punto di vincere e altri in cui gli umani erano nettamente in vantaggio.

Nessuno sapeva davvero come era cominciato tutto, solo che un giorno il sole era sorto e il mondo si era svegliato sul piede di guerra. Non esisteva più l’armonia duramente costruita tra demoni e umani, né le relazioni interrazziali; ogni persona era costretta a scegliere da che parte stare pena l’esclusione – o peggio.

Demoni e umani si scontravano senza riserbo, uccidevano il nemico a sangue freddo e non facevano caso a chi era in territorio neutro o cercava di fare da paciere. Se uno apparteneva al popolo opposto era nemico e basta, come tale andava fatto fuori prima che potesse fare fuori loro.

Chi attacca prima vince, chi esita muore. E a perire per primi furono i giovani e gli anziani.

I primi perché ancora inesperti e appena svezzati; la maggior parte non aveva il cuore per sopportare una rivolta del genere e davanti al nemico esitava. Senza che gli venisse data anche solo una seconda chance, il giovane cadeva a terra morto, raggiungendo un posto magari più sereno di quello che avevano appena lasciato.

I più anziani erano coloro che avevano visto la guerra precedente e non avevano voglia di vederne un’altra – quale fosse la guerra precedente non aveva importanza; demoni o umani, chi era più vecchio aveva sperimentato già l’orrore della guerra. Questi andavano incontro alla morte volontariamente o si sacrificavano per un membro più giovane.

Ma a chi era andata proprio male era persone come lui e sua madre che, membri di entrambe le società, erano stati costretti a scegliere lasciando dall’altro lato una parte del loro essere con grande rammarico.

Inuyasha era un mezzo demone – figlio di una principessa umana e un grande demone cane – e come tale sentiva in sé sia la parte umana che quella demoniaca. Essendo suo padre un generale di grande importanza che aveva anche aiutato a conquistare la pace secoli prima, lui e sua madre avevano da sempre vissuto nelle terre che Toga governava a Ovest.

Lì vivevano per la maggior parte demoni e non era raro incontrare persone che odiavano le relazioni miste e soprattutto i figli di tali relazioni. Il primo era suo fratello maggiore Sesshomaru, un demone maggiore che non aveva esitato a condannare il padre per aver scelto una moglie umana.

Eppure Inuyasha, nonostante le difficoltà e tutte le botte che aveva preso nei suoi duecento anni, non aveva mai odiato la sua vita, né suo padre per averlo condannato a un'esistenza in biblico tra due spaccati diversi. Non lo aveva mai fatto, non fino al giorno in cui la guerra era scoppiata e lui era stato costretto a scegliere.

Avrebbe dovuto schierarsi con i demoni e combattere insieme al padre e al fratello o rimanere da solo – perché non c’era proprio la possibilità che gli umani lo accogliessero nelle loro file. Ma Inuyasha non avrebbe mai combattuto contro il padre, esclusione o no; il suo posto era accanto a quel possente demone che gli aveva insegnato i giusti valori che ancora tentava di applicare nel bel mezzo del campo di battaglia.

Tuttavia, sin da piccolo non gli era mai stato imposto di rimanere solo a Ovest, aveva sempre potuto viaggiare tra le terre governate dai demoni e quelle degli umani. E lui aveva colto sempre l’occasione. Inuyasha amava correre con il vento che gli scompigliava i lunghi capelli argentei, saltare così in alto che da quasi volare e ispirare l’aria tipica dei boschi.

Era di natura un vagabondo, proprio come suo padre e suo fratello, e proprio come Toga prima di lui, durante uno delle sue escursioni aveva incontrato la donna amata.



 


Era sera quando accadde.

Inuyasha aveva fatto male i calcoli e si era ritrovato lontano da casa durante una notte di luna nuova, quel momento in cui il mezzo demone perdeva i suoi poteri demoniaci e diventava umano fino all'alba.

Era l’unica cosa che aveva sempre odiato di se stesso. Si sentiva debole, cieco e sordo e non amava farsi vedere in quel patetico stato, senza considerare poi che era un segreto che andava custodito con la vita; c’era sempre chi odiava quelli come lui e non vedeva l’ora di cancellarli dalla faccia delle terra.

Così, Inuyasha era stato costretto a nascondersi come un codardo quando aveva realizzato che non avrebbe fatto in tempo a tornare al castello e, di certo, viaggiare all’interno dei confini delle terre del padre nella sua debole forma umana era peggio che nascondersi ai margini di un apparente innocuo villaggio.

Prima che il sole calasse trovò uno degli alberi più alti della foresta e vi si rifugiò già consapevole di dover passare una notte in bianco. Sapeva che al mattino, quando avrebbe fatto ritorno alla fortezza, sua madre avrebbe avuto la ramanzina pronta. Per di più, i sensi di colpa al momento gli stavano attanagliando il petto al pensiero delle pene che la donna stava provando a causa della sua assenza.

Era già notte inoltrata quando una donna dai lunghi e lisci capelli color d’ebano attraversò la foresta.

Gli sembrò strano all’inizio. Perché mai un’umana avrebbe dovuto addentrarsi nella foresta a quell’ora della notte? Aveva istinti suicidi? Non sapeva che anche in territorio umano correva un grosso pericolo?

Non aveva nemmeno finito di formulare quei pensieri che la vide scoccare una freccia a una velocità inaudita, un leggero bagliore rosa avvolgeva l’oggetto, e un secondo dopo si sentì un urlo seguito da un altro bagliore che Inuyasha aveva imparato a riconoscere come quello tipico di un demone che veniva purificato da potere spirituale.

La ragazza era dunque una sacerdotessa. La guardò meglio, la sua vista umana non gli permetteva molto, quindi strinse ancora di più gli occhi e riuscì finalmente a distinguere in mezzo al buio della notte il bianco candido della parte superiore della sua veste; immaginò che di sotto portasse i tradizionali pantaloni rossi.

Inuyasha aveva corso anche un rischio, senza i suoi sensi non si era reso nemmeno conto che un demone fosse nelle vicinanze e invece questa ragazza, questa sacerdotessa, lo aveva purificato senza un attimo di esitazione; doveva essere addestrata e abituata.

Il mezzo demone diventato umano cercò di farsi ancora più piccolo sul ramo su cui era appollaiato, ma la ragazza, che nel frattempo era rimasta ferma a contemplare il punto in cui il demone era stato ridotto in cenere, alzò comunque lo sguardo verso di lui. Inuyasha era sicuro di essere abbastanza coperto ma il modo in cui si era voltata la diceva lunga.

Non poteva rischiare di farsi vedere, certo leggi imponevano che demoni e umani non dovessero uccidersi fra di loro a meno che uno non avesse dichiaratamente attaccato l’altro, ma di certo non avrebbe rischiato, soprattutto se la persona era una sacerdotessa decisamente dotata. Lui da mezzo demone non poteva essere ucciso, al massimo sarebbe stato trasformato temporaneamente in umano, ma i suoi istinti di sopravvivenza gli intimavano di non lasciar cadere le difese.

“Hai intenzione di rimanere lì tutta la notte e di diventare preda di qualche demone selvatico?” gli disse lei senza preamboli e dandogli la schiena. “Lo so che sei lì sopra a nasconderti,” disse ancora quando solo il silenzio seguì la sua domanda.

Passarono ancora dei minuti prima che Inuyasha si decidesse finalmente a scendere dall’albero e atterrare dietro di lei.

“Saresti disposto a proteggermi anche se sapessi che in realtà non sono quello che sembro?” le domandò di rimando lui.

“So già che sei un mezzo demone. Potrai essere umano adesso ma deboli tracce di youki ti rimarranno sempre addosso e di certo non puoi ingannare qualcuno come me,” gli rispose lei con fare autoritario – Kikyo, Inuyasha avrebbe imparato il giorno dopo che la sacerdotessa si chiamava Kikyo.

Era stato l’inizio della loro relazione, un’amicizia cominciata con molta cautela che si era trasformata in un sentimento profondo in grado di farlo rimanere sveglio la notte mentre pensava al marrone intenso degli suoi occhi, alla sua pelle soffice o alla sensazione delle sue labbra sulle sue. Un sentimento che Inuyasha aveva sempre pensato non sarebbe mai morto, nonostante tutte le guerre e le difficoltà.

Quello era ciò che aveva sempre pensato…

In quel momento Inuyasha, mentre salutava Kagome e correva scaltro tra gli alberi di quella foresta cercando di non farsi notare dai nemici, stava mettendo in dubbio tutto quello che c’era stato tra lui e Kikyo negli anni subito precedenti alla guerra.

Il dubbio e il senso di rabbia dato dal tradimento gli offuscavano la mente e non poteva permettere a certe sensazioni di appannargli la mente lucida mettendo a rischio la propria incolumità.

Ma mentre saltava da albero ad albero, la sua mente non poteva non riportare alla mente il suo passato con la sacerdotessa e la conversazione appena avuta con la sorella minore.


 


Lui e Kikyo si erano dovuti separare proprio perché appartenevano a fazioni diverse ma Inuyasha, durante un ultimo incontro clandestino, le aveva promesso che avrebbe combattuto per lei. Le aveva giurato che avrebbe fatto in modo di raggiungere la pace solo per lei e poi sarebbe tornato a sposarla come avevano già deciso insieme, prima di strapparle un ultimo bacio appassionato il cui ricordo aveva dato forza a Inuyasha in tanti di quei momenti difficili che aveva affrontato dallo scoppio della guerra.

Come quando sua madre era stata uccisa da alcuni demoni in teoria alleati di suo padre: loro ritenevano che anche tutti gli umani che vivevano nelle terre demoniache dovevano essere ammazzati in quanto probabili spie. Ovviamente, nemmeno loro avevano più visto la luce del sole, ma era stato un colpo duro e Inuyasha si era aggrappato a qualsiasi momento felice, la maggior parte dei quali vedeva Kikyo come protagonista.

Poteva ora, dopo ciò che Kagome gli aveva appena rivelato, trarre conforto dall’immagine della sacerdotessa amata? O sarebbe caduto in un baratro di dolore e odio come aveva rischiato di fare il padre alla morte della madre?

Quella mattina Inuyasha era stato mandato in avanscoperta, si era ritrovato davanti a quelle infinite scale che portavano al tempio che era da decenni della famiglia di Kikyo. Si era nascosto bene, o almeno lui credeva di averlo fatto, ma a quanto pare era stato così assorto nei suoi pensieri da essere facilmente scoperto da Kagome.

Il primo istinto era stato di darsela a gambe, non aveva mai conosciuto davvero la ragazza – in fondo era solo una bambina quando aveva cominciato a visitare Kikyo – e non poteva sapere quali erano le sue intenzioni. Eppure Kagome glielo aveva impedito, gli aveva prontamente afferrato il braccio trattenendolo e urlato un “No!” che gli aveva fatto appiattire le orecchie canine poste sul capo per puro istinto.

Con il senno di poi, Inuyasha si rendeva conto di essere stato molto fortunato, una disattenzione del genere avrebbe potuto costargli la vita se fosse stato scoperto da qualcun altro. Anche se i mezzo demoni non potevano essere purificati, gli spiritualisti avevano trovato il modo di uccidere anche loro; d’altronde non è che fossero tanto forti in forma umana.

Non li volevano tra le loro file, ma al tempo stesso se si alleavano con i demoni erano target facili.

Kagome lo aveva invitato a prendere un tè nella sua capanna, lui l’aveva guardata con fare scettico, alzando un sopracciglio e aveva scosso la testa – col cavolo che si sarebbe fatto abbindolare in quel modo! – ma gli occhi imploranti di Kagome e la solitudine che lesse in essi gli aveva fatto facilmente cambiare idea.

A quanto pare, subito dopo l’inizio della guerra la loro intera famiglia era stata sterminata ed erano rimasti solo lei, Kikyo e la sorellina Rin. Mentre la maggiore veniva mandata al fronte in quanto più addestrata e capace, a lei era stato imposto di rimanere a protezione del tempio di famiglia insieme alla bambina e all’anziana Kaede. La maggior parte degli abitanti del villaggio o era morto o scappato in posti più sicuri.

Quando Inuyasha le aveva chiesto perché non si erano rifugiati anche loro altrove, lei aveva risposto che quel posto era speciale ed era essenziale che venisse protetto sia il tempio che il Dio Albero posto sul suo terreno. Ma Kagome si sentiva sola, da due anni ormai non aveva più contatti con altre persone al di fuori della sorellina e dell’anziana che però non potevano offrirgli il conforto di cui aveva bisogno. Non si sentiva compresa e le sembrava di impazzire.

La ragazza, che nel frattempo in questi due anni era molto migliorata nelle sue arti di sacerdotessa per ovvi motivi e sotto l’occhio vigile di Kaede, aveva subito riconosciuto un’aura demoniaca ai piedi del santuario. Si era affrettata a controllarne la fonte, per paura che fosse qualche altro demone venuto a ucciderle – non ne venivano molti, ma talvolta qualcuno riconosceva la loro presenza anche oltre la barriera e tentava di attaccarle – ma aveva poi visto la sua chioma argentea e aveva ricordato il mezzo demone gentile che veniva spesso a trovare Kikyo quando lei era ancora piccola; aveva colto al volto l’occasione per parlare con qualcun altro e godere della sua compagnia.

Inuyasha l’aveva rimproverata. “Come facevi a essere sicura che io fossi dalla tua parte?”

“Sono sempre stata in grado di leggere le auree, anche se da piccola non ne conoscevo il significato, oggi riconosco la tua. So che non mi avresti mai fatto del male,” le aveva risposto le con un sorriso smagliante che le aveva illuminato il viso.

Avevano parlato molto e Inuyasha si era ritrovato ad apprezzare la sua compagnia ma alla fine, inevitabilmente, la conversazione aveva toccato l’argomento Kikyo. Era pur sempre il motivo per cui si era spinto fin lì e aveva rischiato grosso; lui le aveva chiesto se aveva notizie della sorella e cosa fosse sicuro dirgli.



 
“Kikyo? L’ultima volta che ci ha mandato una lettera ci ha lasciato scritto che aveva lasciato il fronte. Troppi morti diceva, si era stancata di uccidere e rischiare la vita. Non posso biasimarla, non è un compito facile quello che le è stato affidato e lei non ha mai voluto questa guerra, né io se per questo.” Una lacrima le solcò il viso ripensando alla madre, il nonno e il fratello caduti immediatamente.

Inuyasha si sentì in colpa per lei, pur sapendo di non essere in alcun modo responsabile, ma il sentimento fu subito sostituito da apprensione per l’amata. Dove si trovava in questo momento? Che rischi correva? Coloro che fuggivano dalle proprie responsabilità era uccisi dagli stessi umani se venivano scoperti e non avevano tanta fortuna con i demoni.

“E dov’è ora? Non sarà mica stata così stupida da scappare sotto gli occhi di tutti? Come ha fatto ad arrivarvi la lettera?” 

“Un nostro amico monaco ce l’ha portata insieme a delle razioni; Kikyo ci aveva assicurato fosse una persona fidata, magari un po’ troppo maniaco, ma niente che un bel colpo dove il sole non splende non possa rimediare.”

Inuyasha fece una smorfia istintivamente; che dolore!

“Se vuoi posso farti leggere la lettera, l’ho conservata con cura. È forse l’unica cosa che mi rimarrà di sorella Kikyo, probabilmente non la rivedrò mai più,” gli disse con voce flebile e capo chino. Quelle parole di certo non calmarono il battito impazzito del mezzo demone.

Annuì incapace di dire altro e aspettò diligentemente che la ragazza tornasse con la lettera. I suoi occhi vagarono senza accorgersene sul corpo di lei che ormai era una donna; Inuyasha non aveva idea di quanti anni potesse avere ma lì sul momento pensò che fosse ancora più bella di Kikyo. Fu un attimo, ma il pensiero venne formulato comunque.

I capelli avevano delle striature bluastre e le cadevano mossi sulle spalle, mentre gli occhi, sempre di un intenso marrone, sembravano contenere più emozioni della sorella che invece era sempre stata controllata e pacata. La pelle era leggermente più scura, così come il rosso delle sue labbra – ma forse quello era dovuto al fatto che mentre parlavano aveva continuato a torturarsele con i denti. Quando sorrideva le si formava una fossetta sulla sinistra e gli occhi le si illuminavano, nonostante il dolore che ancora si celava in essi; Kikyo aveva mai sorriso in quel modo?

Si riscosse dai suoi pensieri inopportuni – d’altronde lui aveva promesso se stesso a Kikyo, non poteva pensare in quel modo alla sorella – quando Kagome rientrò nella stanza con una lettera in mano e gliela poggiò sotto gli occhi.

Inuyasha la prese con mani tremanti. Sperava che Kikyo non avesse fatto pazzie, che ovunque fosse lui avrebbe potuto andare a salvarla, offrirle un posto dove stare al sicuro fino alla fine della guerra e aspettare di potersi finalmente sposare; non poteva immaginare di perderla in quel modo, lui stesso non sarebbe sopravvissuto.

Tuttavia, quei pensieri subirono uno stop repentino non appena i suoi occhi dorati si posarono sulle parole da lei scritte su carta. All’inizio, Kikyo andava avanti raccontando gli ultimi avvenimenti, il senso di sconforto a dover vedere sempre morti su morti ed essere lei stessa causa di quelle e accennava al peso che sentiva a causa dell’incarico che le era stato affidato.

Gli spiritualisti, diceva, erano molti, non avrebbero sentito la sua mancanza, di lei che orma rischiava di essere uccisa ogni giorno perché quei sentimenti stavano influenzando anche i suoi poteri, rendendoli meno efficaci. Ma poi…


 
Ricordi Suikotsu, il figlio del medico del nostro villaggio? Ci siamo ritrovati nello stesso accampamento, lui operava come medico e quando i nostri sguardi si sono incrociati ho letto nei suoi il mio stesso dolore. Il giorno dopo abbiamo deciso di scappare insieme. Questa vita non fa per noi e la guerra potrebbe durare ancora per molti anni; non sono certa di poter durare ancora per molto. Mi dispiace molto, sorella mia, di dovervi abbandonare così; spero un giorno di potervi riabbracciare. Non temere per la mia incolumità, Suikotsu ha dei contatti che ci aiuteranno a scomparire senza farci notare e dovremo stare nascosti per molto tempo prima che si dimentichino di noi. Quindi, ti prego con il cuore in mano di non cercarmi.
La persona a cui ho affidato…

 
 
La lettera si concludeva con Kikyo che descriveva il modo in cui le scorte le sarebbero arrivata e l’uomo che gliel’avrebbe portate, ma per Inuyasha era come se non quelle ultime parole non esistessero. Il foglio gli cadde senza troppo cerimonie sul tavolo e le pupille si dilatarono alla consapevolezza che Kikyo era scappata con un altro uomo.

Kikyo, dopo le promesse, i baci, le dolci parole e le lacrime, aveva deciso di abbandonarlo per un medico incontrato per caso. Che ne era di tutto l’amore che gli aveva sempre confessato? Ma era mai stato amore poi? O solo semplice affetto per il povero mezzo demone che aveva salvato, spinta da semplice pietà, quella fatidica notte di luna nuova?

“Kikyo e Suikotsu si sono sempre amati. Non hanno mai avuto la possibilità di annunciarlo, ma penso avessero sempre avuto intenzione di sposarsi. Li vedevo talvolta nascosti nel bosco che si scambiavano baci e so quanto Kikyo ha sofferto alla notizia di essere mandata sul fronte proprio perché veniva allontanata da lui. Allora non ne capivo molto, ma con il senno di poi ho riconosciuto i segni.”

Le parole di Kagome lo riscossero. Cosa stava dicendo? Sempre stati innamorati? Avevano intenzione di sposarsi? No, non era possibile! Lei... lei aveva promesso a lui tutte quelle cose. Perché? Perché farlo se non ne aveva mai avuto davvero intenzione? Che ne era di quei “ti amo” sospirati? Perché illuderlo così crudelmente?

Kagome evidentemente non si rese conto del tumulto di cui era attualmente preda Inuyasha, perché continuò imperterrita con il suo discorso: “Io non ho mai conosciuto l’amore, avevo solo quattrodici anni quando la guerra è scoppiata e siccome mi stavo allenando come sacerdotessa non ero stata promessa a nessuno. Da un lato ne sono stata contenta, chi vorrebbe fare un matrimonio senza amore? Ma dall’altro lato…” la ragazza sospirò, “ho sempre desiderato provarlo, quel sentimento che vedevo negli occhi di Kikyo ogni volta che pensava a Suikotsu; potevo sapere quando stava pensando a lui proprio per quel luccichio che vi leggevo. Deve essere bellissimo.”

Un luccichio... lui un luccichio negli occhi di Kikyo non lo aveva mai scorto. Che si fosse in realtà illuso lui in tutti qugli anni? Che Kikyo non gli avesse mai detto veramente “ti amo”? Che non lo avesse mai veramente considerato altro che un amico?

“Tu invece, Inuyasha? Sei mai stato innamorato? Piuttosto, qual era il tuo rapporto con mia sorella Kikyo? Mi è sempre parso strano che un bel ragazzo forte come te venisse così spesso a trovarci. Kikyo qualche volta mi ha rivelato che tuo padre è un generale che ha aiutato a riportare la pace qualche secolo fa; immagino che non debba essere stato facile nemmeno per lui rivivere momenti come questi,” ragionò lei, gli occhi di nuovo lucidi al pensiero.

Inuyasha fu capace solo di scuotere la testa; sentiva il suo corpo fremere dalla rabbia, dal dolore, da un’insensata gelosia. Che la sua vita finora fosse stata solo una menzogna? Qual era stato il senso di tutto ciò? Come poteva ritrovare la voglia di continuare ad andare in guerra senza più nulla a cui aggrapparsi? La madre… Kikyo… non c’erano più per lui.

All’improvviso sentì una mano più esile afferrare la sua più pericolosa, adornata di artigli che potevano fare a pezzi un uomo in pochi secondi. “Io non so cosa sia successo tra te e mia sorella e mi dispiace se ho detto più di quel che avrei dovuto dire. Non conosco ciò che si nasconde nel tuo passato o quello che la guerra ti ha portato via, ma non fare quell’errore Inuyasha. Non lasciarti andare...”

I suoi occhi all’improvviso lo tennero fermo lì sul posto, senza possibilità d’uscita e si ritrovò perso in essi chiedendosi come avesse fatto quella ragazzina sola a leggergli nella mente senza nemmeno conoscerlo veramente.

Ma c’era qualcuno che lo conosceva davvero a questo mondo? Anche suo padre, spinto dal dolore, si era allontanato.

“Se lo farai, sarà più facile per tutte quelle persone ricolme d’odio che hanno scatenato questa guerra liberarsi di te. Il mondo è crudele, lo è con tutti, ma con un mezzo demone anche di più. Non abbassare mai la guardia,” gli disse mentre raccoglieva le tazze di tè ormai vuote, il tono e lo sguardo ora più seri. “Mi farebbe piacere, un giorno, se questa faida finalmente finisse, di sapere che sei sopravvissuto. Trova la forza in te, io ho imparato che si nasconde in posti dove non avremmo mai immaginato di cercare.” Gli offrì un ultimo sorriso prima di scomparire dalla sua vista e Inuyasha rimase da solo nella capanna che una volta apparteneva a quella che credeva fosse la sua amata – e che invece a quanto pare non gli era mai appartenuta – riflettendo sul significato delle sue parole.

Riprese un’ultima volta in mano la lettera, concentrandosi sulle frasi scritte in fondo. Miroku, il monaco che Kagome aveva detto di aver trovato un po’ troppo manesco, gli riportò alla mente una notte di luna nuova in cui si era infiltrato in territorio nemico alla ricerca di notizie – la sua era stata una mossa rischiosa, ma aveva calcolato bene i tempi e alla fine gli era andata bene, anche fin troppo.

Quindi lo stesso monaco pervertito era stato considerato una persona di fiducia da parte di Kikyo e probabilmente conosceva anche la sua storia. Il piano che formulò subito dopo nella sua mente era solo una conseguenza ovvia degli ultimi avvenimenti.


 




N/A: 

Piccolo vocabolario: 
  • Youki: energia demoniaca
  • Reiki: energia spirituale
  • Youkai: Demone
  • Hanyou: mezzo demone 
  • Miko: sacerdotessa 
Se ho dimenticato qualcosa o altro non è chiaro, battete un colpo! 


A presto! 💞

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Capitolo 2
*** Per amore della verità ***


Capitolo Due: Per amore della verità.


 
Non poteva più vivere senza sapere e, soprattutto, non poteva morire senza sapere, in un'epoca in cui i ragazzi come lui erano chiamati più a morire che a vivere. Avrebbe rinunciato a tutto per quella verità, tra quella verità e l'intelligenza del creato avrebbe optato per la prima.
 
 



Un solo momento, tanto era bastato, a far sì che Inuyasha rinsaldasse il proprio proposito.
 
Quelle fredde parole che aveva letto sulla lettera scritta da Kikyo a sua sorella non gli bastavano. Doveva sapere in prima persona da lei la verità, voleva che lei gli dicesse in faccia che gli aveva mentito per tutti quegli anni in cui si erano visti, che aveva finto di amarlo, che non aveva mai voluto sposarlo nonostante avesse detto sì alla sua proposta.
 
Mentre diceva ti amo a lui, in realtà pensava a un altro, mentre le labbra di lui si posavano sulle sue, lei in realtà percepiva tutto un altro sapore, immaginava altre braccia stringerla a sé. Il calore che aveva visto nei suoi occhi quelle volte in cui si era lasciata andare ed era diventata una donna, non una sacerdotessa, in realtà non erano mai scaturite dalla sua presenza. Inuyasha aveva sempre vissuto una menzogna e lo aveva fatto felicemente.
 
Il mezzo demone si fermò, incapace di proseguire, e ascoltò il silenzio della raduna per accertarsi di essere solo. Lo scrosciare dell'acqua gli suggeriva la presenza di un ruscello nelle vicinanze; una breve sosta, solo qualche secondo, poi sarebbe ripartito.
 
Si sciacquò il viso nel tentativo di riacquistare lucidità. Una, due volte, tre volte, le immagini di Kikyo, ora distorte, non volevano lasciare la sua mente.
 
Come aveva fatto a non accorgersene? Il suo fiuto era infallibile, eppure…
 
Un dottore. Suikotsu, l'uomo a cui Kikyo era sempre appartenuta, era un dottore. Che fosse quello il motivo per cui erano riusciti a fregarlo e a farla franca?
 
Inuyasha immaginò che anche lui, come la sacerdotessa, doveva maneggiare erbe medicinali e pozioni tutto il giorno. Quanto di quel distinto odore pungente che Kikyo portava sempre con sé era davvero suo? E quanto era invece del dottore?
 
Cominciò a ridere come un maniaco, ma portò immediatamente le mani alla bocca per bloccare ogni suono che poteva risultare sospetto 
 era pur sempre in territorio nemico.
 
Inuyasha rise, ancora e ancora, lacrime gli scappavano dagli occhi. Comprendeva bene quanto fosse stato sciocco
– e innamorato –, come era stato facile prendersi gioco di lui. Rise fino allo sfinimento di se stesso.
 
Sapeva Suikotsu che mentre Kikyo prometteva a lui tutta se stessa, lei si lasciava baciare e toccare da un altro? Da un mezzo demone? Sapeva il villaggio che la sacerdotessa posata e controllata che curava i bambini malati si rifugiava nel bosco per cercare il piacere sotto il tocco di non uno, ma due uomini?
 
Mio Dio! Come aveva fatto ad essere così stupido? Com'era potuto accadere? Si era lasciato trasportare volontariamente da quel sentimento così puro che era l'amore da non riuscire a scorgere la vera Kikyo. Come si faceva a essere al tempo stesso la buona sacerdotessa e la donna infedele? Come faceva ad amare incondizionatamente le sorelle e poi subito dopo mentire tra le sue braccia?
 
E che ne era di quel sentimento puro? Una massa nera e corrotta che ora minacciava di stringergli il cuore in una morsa. Forse proprio come Kagome, Inuyasha era stato così desideroso di scoprire l'amore, avere ciò che vedeva tra i suoi genitori, che si era buttato a capofitto alla prima occasione. Così facendo, probabilmente, aveva ignorato segni che in altre circostanze avrebbe trovato lampanti.
 
La mente e il cuore non trovavano pace e non l’avrebbero mai trovata se non avesse parlato con Kikyo. Dovesse viaggiare per tutto il Giappone, attraversare tutte le terre nemiche, tradire la sua fazione e anche sfidare la morte, non importava… tutto ciò che ora importava era sentire quelle parole uscire dalla bocca della sua Kikyo. Lei glielo doveva; dopo tutte quelle stagioni che aveva perso dietro di lei, dopo le bugie e il modo crudele in cui l’aveva illuso, doveva avere il coraggio di dirgli in faccia che non l’aveva mai amato.
 
E Suikotsu…
 
Beh, anche lui aveva diritto alla verità, no? E anche se in realtà il medico da strapazzo sapeva già tutto, se anche era a conoscenza della tresca della sua promessa sposa sin dall’inizio, almeno avrebbe avuto modo di guardare in faccia colui che aveva toccato e baciato la sua amata.
 
Non si sarebbe dato pace e non gli avrebbe dato pace; li avrebbe trovati in qualsiasi buco si stessero nascondendo quei codardi – perché tali erano.
 
Erano stanchi della guerra, e quindi? Chi non lo era a parte i soldati invasati che trovavano gusto nell' uccidere e mutilare? Lui no di certo. Lui a cui la guerra aveva portato via la madre e anche il padre, che per quanto ancora vivo era diventato un’ombra di se stesso.
 
Lui non l’aveva mai voluta, né Kagome che aveva perso la sua famiglia ed era stata lasciata a se stessa a guardia di un tempio e di una bambina mentre la sorella decideva di scappare con l’amato e lasciare gli altri a combattere al posto suo.
 
Kikyo era una bugiarda, ma anche una codarda; che ne era della donna responsabile e integra che aveva conosciuto?
 
Un altro dubbio sorse a intasargli la mente già piena e in subbuglio: aveva mai conosciuto la vera Kikyo? Si era mai messa a nudo davanti a lui?
 
Una menzogna, ancora un’altra.
 
Inuyasha si portò le mani ai capelli e tirò dalla rabbia, stringendo i denti. Dopo qualche secondo si ritrovò in mano qualche ciocca argentata.
 
Si guardò nuovamente intorno, la radura in cui si trovava era ancora vuota e Inuyasha sapeva che, se fosse andato verso Ovest, ripercorrendo la via fatta quel mattino presto, avrebbe incontrato meno pericoli e sarebbe tornato probabilmente incolume al castello dove si aspettavano da lui un resoconto. Ma a lui di tutto ciò non importava molto, non adesso, non fino a quando non avrebbe sentito la verità dalle labbra di Kikyo.
 
Avrebbe proseguito verso Est, invece. Per uno come lui, un demone facilmente riconoscibile – i capelli e gli occhi dal colore innaturale erano difficili da nascondere e lo avrebbero scoperto immediatamente – era da pazzi formulare un’idea del genere. Più si andava a Est e più si incontravano accampamenti umani; chiunque si fosse addentrato verso quei boschi era tornato per pura fortuna o come corpo morto.
 
Inuyasha aveva percorso quelle vie solo una volta, quella notte di luna nuova in cui aveva incontrato Miroku. Poche ore dopo, l’ansia a mille e il cuore che gli batteva forte, aveva rifatto la strada del ritorno di corsa sperando di lasciare il territorio nemico prima che il sorgere del sole gli schiarisse nuovamente i capelli e gli occhi e le orecchie umane si trasformassero in canine.
 
Quella volta Miroku gli aveva rivelato che, avesse avuto bisogno in futuro, poteva provare a cercarlo in un tempio a Sud-Est gestito dal suo mentore Mushin. Se anche non avesse trovato lui, almeno era sicuro che il vecchio bonzo ci sarebbe stato e di lui ci si poteva fidare, aveva detto.
 
Il suo obiettivo era quello, raggiungere il tempio di cui Miroku gli aveva dato le indicazioni, senza sapere che però il suo interlocutore non era l’umano che aveva di fronte ma un mezzo demone. Avrebbe raggiunto la postazione e cercato il bonzo pervertito.
 
Inuyasha sperava di trovarlo; non sapeva quanto il vecchio avrebbe potuto essergli d’aiuto. Senza contare poi che con meno persone aveva a che fare, meglio era per la segretezza del suo piano. Lo infastidiva già dover far affidamento su Miroku per scoprire dove si nascondesse Kikyo, non aveva intenzione di aggiungere ulteriori intermediari al suo piano; era già pericoloso così com’era.
 
Il mezzo demone immaginò quale sarebbe stata la reazione di suo fratello se avesse scoperto le sue intenzioni. Sesshomaru non aveva mai nascosto l’odio che provava per il fratellastro, anzi nemmeno lo considerava tale. L’unico motivo per cui non lo aveva mai ucciso era per la presenza del padre che, nonostante tutto, il demone maggiore continuava ad ammirare. Probabilmente Sesshomaru lo avrebbe guardato ancora con disgusto e avrebbe offerto qualche commento sulla sua inutilità. Alla fine, magari, lo avrebbe anche incoraggiato perché a conti fatti la sua era una missione suicida.
 
Se Inuyasha fosse stato lucido, avrebbe capito che il suo piano era inutile. Che scoprisse da Kikyo stessa o dalla sua lettera la verità sugli anni che avevano passato insieme non aveva molta importanza. A conti fatti la sacerdotessa non sarebbe mai stata sua ed era meglio mettersi l’anima in pace.
 
Ma un cuore dilaniato e tradito non è mai lucido, queste cose non le capisce e quindi il destino di Inuyasha era segnato.
 
Ricordando la luna della sera precedente, Inuyasha calcolò che in meno di dieci giorni ci sarebbe stata un altro novilunio e che avrebbe potuto aspettare quel momento per mettere in atto il suo piano, aspettare di essere umano per una notte. Tuttavia, la pazienza non era mai stata il suo forte e dismise subito l’idea. Non avrebbe resistito così a lungo senza sapere, doveva avere la conferma il prima possibile e già sapeva che comunque, pur trovando subito Miroku, ci sarebbero voluti chissà quanti altri giorni prima di incontrare Kikyo.

Sarebbe partito quella sera stessa; gli essere umani era più deboli e come tali, di notte i controlli erano decisamente minori.
 
 

 

Erano ormai alcune ore che Inuyasha viaggiava da albero ad albero; era nel pieno del territorio nemico e grazie al suo fiuto eccezionale era riuscito ad evitare qualsiasi grosso accampamento nemico. Sapeva che se solo fosse stato avvistato, lì da solo e senza scorta, non c’erano possibilità di scampo per lui.
 
Gli umani avevano messo a punto armi di contenimento per i demoni alquanto efficaci durante gli anni della guerra. Bastava un attimo di distrazione e si diventava preda di quegli assurdi collari dei quali era impossibile liberarsi.
 
Aveva quindi viaggiato in religioso silenzio facendo attenzione a dove poggiava i piedi, evitando rami instabili o che avrebbero fatto anche solo il minimo rumore, scegliendo gli alberi più folti e più alti, viaggiando così velocemente che se anche qualcuno avesse notato qualcosa di strano avrebbe solo visto una strana macchia rossa dismessa come allucinazione.
 
Inuyasha aveva previsto che di questo passo avrebbe raggiunto il santuario del vecchio prima che il sole sorgesse ed era infatti quella la sua speranza, ma quando le sue orecchie colsero delle voci inaspettate si bloccò e decise di fermarsi ad ascoltare.
 
Tornò indietro di un albero e si appollaiò sul ramo più alto dopo essersi accertato che la folta chioma lo nascondesse a chiunque avesse avuto l’idea di volgere lo sguardo in alto. Infine, si concentrò di nuovo sulle voci provenienti dal piccolo accampamento.
 
“… attaccheremo tra due giorni all’alba,” disse una voce.
 
“Ne sei proprio sicuro? Non sarà troppo pericoloso?” chiese un’altra, più possente ma anche più incerta.
 
“Non c’è altro modo, Rikichi, sai bene quanto è importante Miroku-sama,” rispose una terza.
 
Miroku! Quei tipi stavano parlando di Miroku, magari gli sarebbero stati più utili di quanto credeva, e poi di quale attacco stavano parlando?
 
Osservò attentamente le persone che componevano il piccolo gruppo. Erano in cinque, due giovani e tre uomini più robusti che sembravano di mezz’età e più esperti. Tre di loro erano vestiti da semplici cacciatori e, infatti, accanto loro giacevano armi comuni, ma efficaci se chi le brandiva era abituato ad usarli.
 
I cacciatori costituivano la seconda metà dell’esercito umano. Solitamente erano persone di costituzione più robusta e capaci di più violenza fisica, senza poteri spirituali, attaccavano quasi sempre da lontano; cercavano di colpire alle spalle, aspettando che la vittima fosse immobilizzata da un collare o da una freccia carica. Erano sadici, amavano divertirsi con le loro prede per poi rispedire i corpi mutilati al mittente. Inuyasha aveva visto cos’erano capaci di fare e ricordava di aver pensato, per la prima volta, quanto gli umani potessero essere anche peggio di certi demoni assetati di sangue. Solitamente erano loro che si occupavano dei mezzo demoni trasformati in umani o i disertori che venivano scoperti; per quelli serviva la forza bruta visto che gli spiritualisti non potevano fare alcun danno e loro si divertivano. Il mezzo demone era certo che fosse uno spettacolo raccapricciante e lui ne aveva visto di sangue e budella.
 
“Ma non siamo troppi pochi? Insomma vuoi infiltrarti in una base maggiore nemica e recuperare un prigioniero; non è mica cosa semplice. Quelli là hanno un naso infallibile, non ci metteranno molto a scoprirti,” disse ancora la seconda voce, l'uomo di nome Rikichi.
 
“Non se abbiamo con noi qualche bella arma donataci dagli sterminatori. Il naso sarà pure infallibile, ma è anche un punto debole se sovraccaricato. Non saremo solo noi ad andare; domani ci incontreremo con i rinforzi. È necessario che Miroku-sama venga recuperato, non importa se qualcuno ci perde la pelle. Abbiamo giurato fedeltà quando siamo entrati nell’esercito e non possiamo tirarci indietro ora. Il primo che riesce a liberarlo deve fare ritorno alla base il prima possibile senza preoccuparsi degli altri,” si intromise una quarta voce. Era uno dei due spiritualisti e a Inuyasha sembrava uno di quei tanti invasati che parlava di ripulire il mondo dagli spiriti corrotti dei demoni o dei traditori della propria razza.
 
“E dove sarebbe stato portato Miroku-sama?” Rikichi chiese ancora. A quanto pare era il meno informato di tutti.
 
“È stato catturato qualche giorno fa mentre portava scorte a una delle tante famiglie rifugiate; lo sai che ha sempre insistito per mettersi a servizio degli altri, nonostante il rischio che si corre. Non importa quante volte gli è stato detto che in quanto monaco deve solo pensare agli attacchi e non fare la staffetta, ma non ci ha mai dato ascolto,” la prima voce rispose. Inuyasha riconobbe rabbia nel suo tono; era chiaro che non fosse contento del modo sciocco in cui Miroku era stato preso. “Ho sentito che è stato portato al castello dove vivono quei cani bastardi con i capelli d'argento. Non sarà difficile metterli k.o. con qualche polvere speciale.”
 
Miroku era dunque al castello, dannazione! Se solo fosse tornato prima alla base l'avrebbe scoperto e si sarebbe risparmiato quel viaggio inutile. Almeno questi pazzi gli erano risultati utili. Sarebbe tornato a casa il prima possibile, avvisato il padre dell’attacco – non poteva sapere quanti di loro avrebbero partecipato; nessuno era stato preciso – e poi avrebbe estorto ogni notizia a Miroku.
 
La fortuna era dalla sua parte, dopotutto.
 
Adesso doveva solo pensare a lasciare il bosco senza essere notato dai tipi raccolti lì giù e tornare di tutta fretta a Ovest. Un po’ gli dispiaceva per Miroku, a Inuyasha era sembrato un bel tipo. Era stato catturato mentre aiutava chi ne aveva più bisogno e ora sicuramente veniva torturato da uno dei sottoposti di suo fratello. Se gli fosse stato utile avrebbe pensato a liberarlo e salvargli la pellaccia, magari.
 
Tuttavia, mentre ripercorreva la strada fatta solo poco prima, Inuyasha realizzò di aver fatto un po’ troppo presto i conti e che uscire da quel territorio insidioso sarebbe stato molto più difficile di quel credeva.
 
La sua mente poco lucida gli aveva giocato di nuovo un brutto tiro e, probabilmente, in un solo giorno aveva sfidato un po’ troppo la sorte; i colpi di fortuna si erano esauriti. Stavolta non fu un’innocente sacerdotessa bisognosa di compagnia a scorgerlo, ma una sentinella che diede subito l’allarme.
 
Inuyasha si immobilizzò. Se veniva inseguito dai cinque che erano all’accampamento più quelli che erano di vedetta era la fine per lui; non sarebbe riuscito a scappare in tempo. Se anche uno degli spiritualisti riusciva a beccarlo era la fine. Avrebbe fatto la fine dei tanti che erano diventati preda dei cacciatori e non ne aveva nessuna voglia.
 
Senza contare poi che, se conoscevano suo padre, lo avrebbero riconosciuto come uno dei bastardi dai capelli d'argento e avrebbero potuto torturarlo solo per quello. Magari, se erano intelligenti, lo avrebbero utilizzato come merce di scambio. ma Inuyasha non ci contava. I cacciatori lo avrebbero torturato in ogni modo; non dicevano mai no a un’occasione per divertirsi.
 
Lo shock durò meno di un secondo, non poteva farsi prendere dal panico, era un combattente nato lui. Il padre lo aveva addestrato sin da piccolo e, con un po’ di lucidità, se la sarebbe cavata.
 
… se solo la sua mente fosse stata davvero lucida in quel momento e non provata dai sentimenti che gli attanagliavano il cuore.
 
Erano passati solo un paio di minuti, ma ora sentiva chiaramente le urla che lo inseguivano. Il trambusto aveva allarmato anche altri accampamenti vicini e ora a inseguirlo non erano solo i cinque che era rimasto ad ascoltare, ma molti altri che sentiva provenire da destra e sinistra. Era chiaramente nella merda nonostante avesse un chiaro vantaggio sugli umani.
 
Le frecce cominciarono a volare, sempre più precise, nonostante la lontananza. Come diamine facevano a essere così precisi nel buio della notte? I suoi capelli che erano come un faro della notte; non avrebbe mai immaginato di desiderare che fossero dello stesso nero delle notti di luna nuova.
 
“Cazzo, cazzo, sono nella merda,” sibilò mentre correva il più veloce possibile, cercando di evitare ogni freccia che gli arrivava il più vicino possibile. C’era mancato poco che un paio lo prendessero proprio nel petto; sarebbe stata la fine. Non importava se gli umani fossero lontani, a quel punto lui sarebbe stato immobilizzato e completamente alla loro mercé.
 
Altre voci continuavano a raggiungerlo, altre si aggiungevano.
 
Se solo avesse raggiunto il villaggio di Kikyo avrebbe potuto chiedere rifugio alla sorella. Inuyasha sapeva che era chiedere troppo, ma se si fosse nascosto lì era improbabile che i cacciatori o gli spiritualisti venissero a cercarlo in un tempio; era l’ultimo posto dove si aspettava che un demone trovasse rifugio e purtroppo era ancora troppo lontano dalle terre dell’Ovest. La caccia non si sarebbe fermata fino a quando Inuyasha fosse rimasto in territorio nemico e lui non era sicuro di resistere così a lungo, con tanti umani alle costole che continuavano a lanciargli frecce. Senza contare poi, che se anche solo uno di loro si fosse avvicinato anche un po’ di più lo avrebbe potuto incatenare con uno di quei collari maledetti.
 
“Quel demone ha i capelli argentati,” gridò una voce. “Non lasciatevelo scappare. Proviene sicuramente da una delle basi maggiori dei demoni; sarà un pezzo grosso!”
 
“Potremmo utilizzarlo per riprenderci indietro Miroku-sama. Catturatelo, presto!”
 
Inuyasha non osò voltarsi e perdere anche solo un nanosecondo del suo prezioso tempo, era quasi arrivato al ruscello che aveva visitato quel pomeriggio quindi voleva dire che era più vicino di quel credeva al villaggio di Kagome. Un ultimo sforzo, un ultimo sforzo e sarebbe stato al sicuro.
 
Era un rischio che doveva correre, sperava che Kagome non rifiutasse la sua richiesta. Non sapeva esattamente cosa gli facesse credere di poter fare affidamento sulla ragazza, dopo tutto nascondere un nemico o un disertore era un reato grave pena la morte. Kagome poteva decidere di non voler correre un rischio così grande, soprattutto se poi ci andavano di mezzo anche la bambina e la vecchia.
 
Ma mentre correva come un pazzo rivide in quel suo sguardo sincero la certezza che lo avrebbe aiutato e messo in salvo.
 
Era una sensazione, una stupida sensazione che poteva costargli la vita, si rendeva conto che avrebbe potuto anche tentare di raggiungere il confine nonostante le poche possibilità di seminare un numero indefinito di uomini armati. Eppure, dentro di sé era certo che tra le due opzioni fermarsi al tempio era la migliore.
 
La sua vita era nelle mani di Kagome, la sorella della donna che lo aveva tradito e lo aveva spinto sull’orlo del baratro solo poche ore prima. Non era colpa sua, alla fine, se si trovava in quella situazione?
 
Certo, la sua sconsideratezza lo avevo portato a Est per attuare un piano suicida, ma a mettere in moto tutto erano stati solo Kikyo e le sue menzogne... il suo amore bugiardo.
 
Le voci continuavano ad aumentare e Inuyasha immaginò che dovessero essere tutti armati o con le munizioni; il tempo stava per finire.
 
“Arrenditi!” urlò uno, “Non puoi resistere contro tanti di noi.”
 
Le voci erano sempre più vicine e l’ansia che lo aveva preso, lo faceva rallentare inevitabilmente. Finalmente, si decise a voltarsi e allargò gli occhi al numero esorbitante di umani che lo inseguivano. Senza perdere un secondo di più, scagliò un attacco con i suoi artigli.
 
Al suo grido di battaglia, seguì quello degli umani colpiti; ne calcolò cinque o sei di quelli più vicini e in procinto di attaccare e poi riprese la sua fuga.
 
Una freccia lo prese sulla coscia destra. Inuyasha ringhiò dal dolore, ma un sospiro di sollievo gli scappò quando immediatamente notò che non era carica spiritualmente e quello gli aveva prolungato la vita per qualche secondo in più.
 
“Arrenditi!” gli arrivò nuovamente la voce.
 
Colto di sorpresa da un’ennesima freccia che gli sfiorò la guancia inciampò, sprofondando nel fango che ricopriva quella parte del terreno. Si alzò senza battere ciglio, ignorando il fango che ora gli sporcava il viso e i capelli; ripulì solo gli occhi per tornare a vederci chiaramente.  Riprese a correre stavolta più goffamente a causa della freccia che era ancora era conficcata nella coscia e che non aveva modo di rimuovere. Se si fosse fermato anche solo un altro secondo per farlo, avrebbe perso altro tempo prezioso; gli stavano alle costole e la distanza che ancora aveva era il suo unico vantaggio.
 
Con sollievo vide stagliarsi davanti a sé la fine dei boschi e l’inizio del villaggio. Cambiò leggermente la traiettoria e invece di continuare a correre dritto davanti a sé e uscire allo scoperto nella piazza, restò ai margini. Lì gli alberi, sebbene ora in minore quantità lo avrebbero ancora nascosto alla vista dei cacciatori. In quel modo questi ultimi avrebbero perso un minuto per localizzarlo. Un minuto prezioso per lui.
 
Velocemente, senza smettere di correre, rimosse gli stivali infangati che avrebbero solo aiutato i suoi inseguitori a ritrovarlo e continuò a correre a piedi nudi – non aveva nessun problema a farlo, aveva corso così per tutta la vita e solo l’arrivo della guerra lo aveva costretto a quegli stivali orrendi –, cercando di riguadagnare quanto più tempo possibile.
 
Ora vedeva anche le scale del tempio e doveva cercare di raggiungerlo senza farsi notare da anche solo uno degli uomini. In quel caso anche rifugiarsi da Kagome sarebbe stato inutile. Decise allora di percorrere a lungo il perimetro del tempio e accedere da dietro; gli avrebbe fatto perdere qualche secondo in più, ma almeno aveva più possibilità di non farsi vedere.
 
La barriera che era posta a protezione del tempio gli avrebbe fatto male, lo avrebbe reso umano, ma a quel punto sapeva di poter essere al sicuro e di potersi nascondere con l’aiuto della ragazza. Sperava che con il buio fitto della notte l’unica cosa che gli umani avessero notato di lui fossero i capelli argentei e non avessero riconosciuto il rosso della sua veste.
 
Fece un ultimo balzo, quello che gli avrebbe assicurato l’entrata nella barriera e quindi la sperata salvezza. Era in alto e stava per atterrare quando un dolore acuto al petto, a un soffio del cuore, lo colpì. Si portò la mano in quel punto istintivamente, come se quel gesto avesse potuto fermare il dolore che ora si diffondeva in tutto il corpo e cadde faccia a terra.
 
Neanche un secondo dopo sentì due paia di mani afferrarlo per le spalle e le gambe e si lasciò andare, sconfitto, mentre sentiva la sua parte demoniaca scomparire in un sol battito. Gli occhi si chiusero, il dolore diventò ancora più insopportabile in quella sua forma umana, la stanchezza dovuta alla corsa si abbatté su di lui e, infine, crollò.
 


N/A: Eccoci alla fine del secondo capitolo. 
Ho introdotto qualche altro dettaglio riguardante la società e la guerra in cui questa storia è ambientata. 

A Ovest abbiamo i demoni, a Est gli umani. L'esercito umano è costituto da spiritualisti e cacciatori e Inuyasha giustamente da solo non poteva farcela contro tutte quelle persone. Non è detta l'ultima parola però... nel prossimo capitolo si scoprirà il suo destino. 

Grazie a tutti, se vi va lasciatemi un feedback! 
 
 

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Capitolo 3
*** Un piano infallibile ***


Capitolo Tre: Un piano infallibile



“Questa guerra non la si può fare che così. E poi non siamo noi che comandiamo lei ma è lei che comanda noi.”
 
 



“Dov’è mio figlio?” tuonò una voce possente nella sala dov’erano riuniti la maggior parte dei soldati, comandanti e generali.
 
Il silenzio calò immediatamente su di loro e nessuno osò farsi avanti fino a quando la domanda non fu ripetuta con più rabbia e accompagnata da uno sguardo capace di gelare il sangue. Era risaputo che non era una buona cosa far arrabbiare l’Inu-no-Taisho, la guerra lo aveva indurito parecchio – lui d’altronde ne aveva già vissuta una identica e si era scocciato di vedere uomini e demoni cadere come foglie secche in nome di principi sbagliati – e soprattutto la perdita dell’amata moglie per mano di coloro che si dichiaravano suoi alleati.
 
Ora l’unica cosa che gli rimaneva di lei era il figlio che nessuno nel castello vedeva da un giorno e tutti avevano paura di dare la notizia al Generale. Inuyasha era partito per una semplice operazione di perlustrazione che non sarebbero dovuta durare più di mezza giornata, ma il mezzo demone non era ancora tornato e quello di certo non era un buon segno; scomparire poteva significare solo due cose: morte o cattura.
 
Alla fine tra le numerose file si fece avanti un alto demone lupo che era visto spesso in compagnia di Inuyasha. l’Inu-no-Taisho lo conosceva bene; magari gli avrebbe risparmiato la pena solitamente riservata all’ambasciatore.
 
Koga si fece avanti appena Toga ripeté la domanda, si inchinò per rispetto e poi prese parola mentre attorno a lui i restanti soldati restavano con il fiato sospeso. “Toga-sama, Inuyasha è partito ieri mattina per una breve perlustrazione a Est. Ci aspettavamo di vederlo tornare entro ieri sera, ma non abbiamo avuto notizia.”
 
Sul volto del demone cane si dipinse un’espressione accigliata e lo sguardo si fece ancora più duro se possibile.
 
“Si è spinto nel territorio nemico?” chiese secco. L’aria nella sala sembrò tremare in risposta.
 
“Non lo sappiamo, Toga-sama,” Koga aveva ancora il volto chinato e non osava incrociare gli occhi del Generale. “In teoria non avrebbe dovuto.”
 
“E quando avevate intenzione di farmelo sapere? Mi state dicendo che per un’operazione del genere, quando non lo avete visto tornare, nessuno ha pensato di mandare una pattuglia a controllare o di informarmi?”
 
I vetri della sala grande nella quale si trovavano vibrarono. L’aura arrabbiata del Grande Generale Cane si diffuse improvvisamente, ormai era impossibile tenerla a bada – né lui aveva più intenzione di farlo.
 
Che capiscano anche quanto sono a un passo da farli a pezzi tutti per quest’affronto! Pensò Toga.
 
Tutti i demoni presenti nella sala caddero in ginocchio o chinarono la testa istintivamente in riposta. Anche Sesshomaru, suo malgrado, fu costretto ad abbassare la testa in seguito alla violenta reazione del padre – ma storse la bocca e il suo sguardo si indurì.
 
Molti in quel castello speravano che ogni mezzo demone che ancora viveva in quelle terre perdesse la vita in qualche scontro così da liberarsi finalmente di quegli abomini senza dover agire direttamente. Più di tutto, però, molti demoni volevano che Inuyasha fosse fatto fuori; non accettavano che un mezzo demone avesse più potere di loro – che un mezzosangue fosse addirittura più forte di loro.
 
Probabilmente questi, alla notizia della scomparsa del figlio, avevano gioito.
 
“Che venga organizzata una pattuglia immediatamente! Voglio che vengano seguite le tracce di mio figlio e voglio che sia fatto ora. Dovrete sapermi dire dov’è andato e dove sparisce il suo odore. Se vi rendete conto che è andato oltre il confine un parte del gruppo scelto deve tornare subito indietro, fare scorta di armi e soldati e proseguire.” Il suo sguardo cadde su Koga, duro e anche deluso; si aspettava che almeno lui si fosse mosso immediatamente non appena non aveva visto tornare Inuyasha.
 
Il demone lupo cercò di annuire, ma Toga non gliene diede modo, bloccandolo lì con lo sguardo non appena aveva osato alzare gli occhi. “Non mi deludere ancora, Koga,” aggiunse solamente. Il resto della frase era implicito: Non mi deludere o altrimenti…
 

 
Il sole era finalmente sorto in quel villaggio desolato. Forse un po’ troppo tardi, pensarono i cacciatori che proprio quando avevano pensato di aver finalmente in pugno il demone dai capelli d'argento ne avevano perso le tracce.
 
“Dannazione, ero sicura che una delle mie frecce lo avesse preso. Erano anche cariche,” disse un donna mingherlina. Indossava la tipica veste da sacerdotessa e alle sue spalle aveva una faretra ormai vuota; aveva usato tutte le frecce durante la caccia.
 
“Anch’io ero convinto l’avessimo finalmente acchiappato. Diamine, certo che era parecchio veloce anche dopo essere stato colpito,” un monaco accanto a lei concordò. Stava ancora cercando di riprendere fiato dopo la corsa e, prima di aggiungere altro, bevve un sorso d’acqua. “Ho sentito chiaramente un’aura demoniaca sparire. Credi lo abbiamo ucciso?”
 
“Che cosa?” sbraitò un omone accanto a loro. Era uno dei tre cacciatori che Inuyasha si era fermato ad ascoltare e colui che aveva urlato di prendere assolutamente il demone. “Non doveva essere ucciso, ma solo catturato! Ci serve come ostaggio; da morto non possiamo farci nulla!”
 
“Calmati, Taro, non possiamo sapere nulla fino a che non troviamo almeno un corpo,” si intromise il terzo spiritualista. “Il demone era chiaramente ferito e Akemi dice di essere convinta che almeno una delle sue frecce lo abbia colpito; non può esserne uscito indenne. In questo caso non avrebbe potuto raggiungere il confine nemico così presto, è ancora troppo lontano. Si sarà sicuramente fermato a riposare credendo di averci seminato, ma le sue difese ora sono basse e per noi sarà un gioco da ragazzi catturarlo così.” Un sorriso sadico gli abbellì le labbra. “Anzi sai che ti dico? Questa caccia mi piace sempre di più; adoro giocare con la mia preda. Lasciamogli credere di essere in salvo.”
 
Rise sguaiatamente e i cacciatori attorno a lui si unirono.
 
“Non adagiamoci sull’alloro, comunque,” riprese il monaco di prima. “Cominciamo a guardarci attorno. Credo di ricordare che nel tempio di questo villaggio risieda ancora una giovane sacerdotessa a cui è stato chiesto di fare da guardiana. Cominceremo con il chiedere a lei se ha sentito qualcosa di strano poco prima dell’alba.”
 
Giunsero alla base delle lunghe scale che portavano al tempio e ai margini scorsero chiare tracce di sangue. Uno dei cacciatori si accovacciò e osservando notò che il sangue continuava sempre più fitto verso il bosco, chiaramente verso Ovest.
 
“Ehi, capo,” disse uno al terzo spiritualista, “forse abbiamo trovato qualcosa.” Indicò le tracce di sangue che si facevano sempre più numerose man mano che ci si allontanava.
 
“Molto bene,” rispose Kiyoshi. “Investigate, nel frattempo io, Akemi e Makoto andremo a parlare con la sacerdotessa.” Indicò il monaco e la sacerdotessa che avevano parlato prima. “Ma restate nei paraggi; voglio poter ricominciare subito appena riusciamo a estrapolare tutto quello che possiamo dalla ragazza e non voglio dover perdere tempo a cercare voi.”
 
“Agli ordini, capo!” urlarono quelli in coro come le marionette. Kiyoshi scosse la testa, quelli erano tutti muscoli e zero sale in zucca; almeno sapevano fare il loro lavoro quando si trattava di usare la forza bruta.
 
Il piccolo gruppo di tre individuò subito la capanna ai piedi delle scale e senza troppi preamboli e soprattutto non curandosi della privacy di chi la occupava, Kiyoshi scostò la tela che fungeva da porta ed entrò scioccando la giovane e l’anziana che erano riunite intorno al focolare cucinando la colazione.
 
La giovane si portò una mano al cuore per lo spavento, l’anziana assunse un’espressione accigliata e di rimprovero. Entrambe portavano i pantaloni rossi e la veste bianca, come di consueto per ogni sacerdotessa.
 
“Vogliate scusarmi, buone donne, ma è una questione di estrema importanza,” cominciò il monaco; non che gliene sarebbe importato tanto dei convenevoli in altre circostanze. Kiyoshi era un uomo abituato a prendersi sempre tutto quello che voleva, con le buone o le cattive, e la guerra aveva solo aumentato questa sua prepotenza e spavalderia. Un sorriso si dipinse sul suo volto, ma sia Kagome che Kaede poterono notare quanto fosse falso.
 
Quell’uomo non portava nulla di buono.
 
“Entrare in una capanna abitata da donne senza aver prima chiesto il permesso non si addice a un uomo di Buddha,” Kaede lo rimproverò. “Siccome vi siete arrogati il diritto di entrare in casa nostra, procedete pure con il dirci di cosa avete bisogno. Cercheremo di esservi di aiuto.” Aveva ormai smesso di girare il porridge di riso nella pentola e osservava i tre con un’espressione ancora più corrucciata.
 
“Veniamo per chiedervi se avete notato qualcosa di strano questa mattina poco prima dell’alba.”
 
“Qualcosa di strano? Dovete essere più precisi, buon uomo,” Kaede lo rimbeccò. “Questo sarà anche un villaggio disabitato, ma proprio per questo ci vengono a trovare le creature più disparate.”
 
Kiyoshi la fulminò con lo sguardo, per nulla non contento del modo in cui la vecchia cercava di imporsi su di lui. Volse lo sguardo verso la ragazza che invece se ne stava in silenzio osservando il dibattito. Magari da lei poteva ricavare qualcosa di più; le giovani erano sempre più impressionabili e malleabili.
 
“Una nostra preda ci è sfuggita proprio ai margini di questo villaggio. Durante la caccia abbiamo fatto abbastanza rumore, sicuramente abbiamo interrotto il vostro sonno di bellezza,” il suo sorriso era come quello del diavolo mentre parlava, “non è che avete notato dunque un demone dai lunghi capelli d'argento aggirarsi attorno al vostro tempio? Fareste un grosso favore al vostro esercito e ovviamente agli Dei che servite,” concluse compiacente.
 
“Mi dispiace deludervi, buon uomo, ma noi non abbiamo sentito proprio nulla. Potrà capire che, siccome dormivamo, non sarebbe stato facile per noi intravedere qualcuno. Senza contare poi, con il buio che scende durante la notte, che sarebbe impossibile riconoscere anche i propri piedi. Vi assicuro, però, che attorno al nostro tempio è eretta una barriera abbastanza efficace – sono certa che ve ne siete accorti anche voi, essendo dotati – e se anche il demone si fosse avvicinato, ne avremmo ricevuto immediatamente segnale. Nessun demone, sia l’aura forte o debole, può toccare la nostra barriera senza inconsapevolmente avvertirci. Fosse stato questo il caso, il demone sarebbe già stato eliminato. D’altronde, proprio come lei stesso ha detto, noi serviamo l’esercito e i nostri Dei.” Kaede concluse il suo discorso con un sorriso amabile ma tirato, la sua voce aveva toni velatamente derisori che nascondeva dietro la sua facciata seria.
 
Aveva riconosciuto il tipo Kaede, lei che di monaci e preti ne aveva conosciuti molti. Pensavano di essere servi di Buddha scesi sulla terra per il bene comune o si credevano reincarnazioni degli Dei; erano, come aveva ben detto Inuyasha poche ore prima, degli invasati che seminavano solo discordia, il cui potere ormai non era più puro da tempo. Talvolta la stupiva come alcuni mantenessero ancora le loro qualità nonostante i tanti peccati mascherati da opere a fin di bene.
 
L’espressione di Kiyoshi ora eguagliava quella di Kaede, per nulla contento della sua risposta. Allora si volse nuovamente verso Kagome. “E tu, giovane sacerdotessa? Sapresti dirci qualcosa in più?”
 
Kagome mantenne la sua espressione neutra e disponibile, ma dentro di sé rabbrividì sotto lo sguardo malignò del monaco che le piaceva tanto quanto a Kaede. Il modo in cui aveva parlato di preda le aveva fatto venire la pelle d’oca.
 
Inchinò il volto leggermente per pura formalità, non certo in segno di rispetto, e perché aveva immaginato che era meglio non farsi nemico un tipo del genere. Erano pur sempre due donne sole, un’anziana per giunta, e non era raro che durante la guerra gli uomini soli e stanchi rubavano con la violenza piaceri alle donne. Certo, quello in teoria era un monaco che non avrebbe mai commesso un peccato del genere, ma siccome la sua anima era già macchiata – Kagome poteva leggerglielo chiaramente nell’aura – non si poteva mai sapere cosa avrebbe potuto fare anche solo per dispetto.
 
“Mi spiace deluderla, venerabile monaco, ma anch’io come Obaa-chan non ho sentito nulla durante la notte,” cominciò lei, “anche se…” assunse un’espressione un po’ spaurita e timida e non concluse la frase.
 
“Anche se…?” la incoraggiò Kiyoshi. “Non devi avere paura, giovane sacerdotessa, qualsiasi cosa tu abbia visto o notato, non devi aver paura di quel demone. Ci siamo noi per questo. Mi posso rendere conto che, qualcuno giovane e inesperto come te, che non ha visto la guerra, possa provare timore davanti a un demone assetato di sangue, ma non permetteremo che vi faccia del male.” Le offrì un sorriso che doveva rassicurarla e invece le fece solo rizzare i capelli sulla nuca.
 
Dentro di sé Kagome stavano pensando ai peggiori insulti possibili. “Gli farei vedere io chi è quella inesperta! Non si accorgerebbe di un demone nemmeno se glielo mettessero sotto il naso questo qui!”
 
“Beh… ecco…” continuò con la sua recita. “Stamattina mentre mi recavo al fiume proprio ai margini della foresta ho notato una scia sospetta di sangue.” Le guance assunsero un colorito roseo sotto lo sguardo del monaco e abbassò il capo quasi mortificata da quel contatto diretto con un uomo.
 
“Va tutto bene, nipotina,” Kaede le disse in modo dolce poggiando una mano sulla sua. L’anziana sacerdotessa aveva iniziato a capire il gioco della nipote e si stava adeguando. Si rivolse poi nuovamente ai tre, “Sapete, mia nipote è spesso impressionabile.”
 
“Ma certo, certo,” Makoto parlò per la prima volta. “Però potete capire che al momento abbiamo una certa fretta e quindi…”
 
“Oh, scusate, scusate,” Kagome si nascose il viso tra le mani e cominciò a singhiozzare. “È come ha detto Obaa-chan, ma questa volta sto davvero esagerando.” La voce usciva flebile e tutti e tre dovettero sporgersi verso di lei per capirla. “Mentre andavo a riempire i nostri secchi d’acqua per la colazione,” lì indicò ai lati della porta, uno già in parte svuotato, “ho notato una grande quantità di sangue che proseguiva sempre di più verso il bosco fitto e i confini dei territori gestiti dai demoni. Non ho osato investigare perché non avevo con me il mio arco né le frecce e non volevo rischiare. Mi dispiace non potervi essere più d’aiuto o di non averlo preso subito o…” i singhiozzi aumentarono considerevolmente. “Ho sentito anche degli strani grugniti, come di un animale sofferente e mi sono spaventata!”
 
Kiyoshi assunse un’espressione tronfia; finalmente si cominciava a ragionare! Quelle tracce che avevano visto i cacciatori allora erano davvero del demone. Se ne aveva perso tanto doveva essersi fermato non lontano dal villaggio. Lo avevano finalmente in pugno! Oh, come si sarebbe divertito; non vedeva l’ora.
 
Il monaco poggiò una mano sulla coscia di Kagome in segno di conforto e in modo anche molto sfrontato; scambiò il brivido di disgusto per uno di paura. “Non devi preoccuparti, giovane donzella, ci preoccuperemo noi dell’animale e voi potrete tornare alla vostra vita tranquilla. Avete reso un grande servizio oggi, spero riuscirete a dormire sonni più sereni ora.” Le offrì un altro sorriso e Kagome si sforzò di ricambiarlo. “Mi curerò personalmente di tornare a farvi visita non appena il mio attuale incarico sarà terminato. È compito di noi uomini, d’altronde, far sì che voi giovani siate al sicuro.” Il volto di Kagome era ormai cinereo, ma tutti immaginarono per lo spavento che aveva preso e non per le parole del monaco.
 
I tre si alzarono e lasciarono subito la capanna dopo gli ultimi convenevoli. Solo allora le spalle di Kagome si rilassarono ed entrambe le sacerdotesse tirarono un sospiro di sollievo; l’avevano rischiata grossa.
 
Kaede si alzò e con fare discreto si avvicinò alla finestra per controllare se ogni persona di quel gruppo di villani fosse sparita dalla radura davanti al loro tempio. Poi tornò da Kagome e finalmente parlò, “Hai delle doti da attrice nata, bambina, per un attimo hai fregato anche me.”
 
Un sorriso, questa volta vero, si dipinse sul suo volto e comparve anche la fossetta sulla guancia sinistra. “Grazie, Obaa-chan. Ho fatto solo il necessario. Ora però muoviamoci, non c’è tempo da perdere; Inuyasha sarà ancora in forma umana e le sue ferite non erano da poco.”
 
Si alzò e sotto di lei fece la sua comparsa una botola nascosta nella quale, dopo aver preso garze e acqua a volontà, non esitò a discendere. Rin era rimasta accanto al mezzo demone tutto il tempo.

 

 
In verità, quella notte, Kagome, Rin e Kaede erano state risvegliate facilmente dalle grida dei cacciatori ed era bastato poco a riconoscere la sagoma di Inuyasha che correva a perdifiato proprio verso il tempio. Purtroppo però, avevano dovuto assistere anche a quella freccia sbucata alle sue palle che lo colpiva da dietro e gli trapassava il petto e al modo in cui il mezzo demone era caduto a terra senza troppe cerimonie, i capelli ormai neri e con solo una debole traccia di youki che si notava solo concentrandosi.
 
Senza esitare nemmeno un attimo – di certo non lo avrebbe lasciato alla mercé dei cacciatori che di lì a poco sarebbero arrivati nella radura – lo portarono all’interno della barriera e lo nascosero nella botola sotto il pavimento che in tempi di magra era stata utilizzava per nascondere le scorte rimaste. La loro era sempre una famiglia numerosa e talvolta non potevano proprio permettersi di fare la carità.
 
Quando il gruppo cominciò a disperdersi da tutt’altra parte, ignorando il tempio, Kagome aveva istruito Rin di prendere i due conigli avanzati ieri sera, che erano ancora in attesa di essere scuoiati, e di disseminare accuratamente il loro sangue procedendo verso Ovest, lasciando una scia ben calcolata.
 
A quel punto lei aveva pulito alla bell’e meglio le ferite di Inuyasha consapevole di non poter fare un lavoro accurato ora che i cacciatori e gli spiritualisti potevano arrivare in qualsiasi momento alla ricerca di notizie. Non era infatti cosa poco comune che rimanesse qualcuno a guardia dei santuari anche in tempi di guerra.
 
Non appena Rin era tornata con un sorriso smagliante che indicava il successo del compito appena svolto, Kaede l’aveva infilata giù nel nascondiglio insieme al mezzo demone e le due donne rimaste, assicuratosi che nulla fosse fuori posto, avevano messo in scena la tipica scena mattutina. Due sacerdotesse sole che si accingevano a cominciare la loro giornata.
 
Per più di una volta Kagome ringraziò il cielo che nessuno avesse sentito il suo cuore battere a mille o visto il sudore imperlarle la nuca; aveva temuto per tutta la durata dell’incontro che quell’uomo abietto potesse scoprirle e punirle di conseguenza.
 
Offrire rifugio al nemico era un crimine che si pagava caro e lei, che aveva solo sentito delle crudeltà effettuate dai cacciatori, non aveva intenzione di provarlo sulla sua pelle.
 
Quando infine raggiunse la sorella e il mezzo demone, Rin si voltò immediatamente verso di lei e le offrì un altro piccolo sorriso. “La febbre è ancora alta, ma ho continuato a disinfettare le ferite utilizzando l’unguento che Kaede mi ha messo nelle mani prima di chiudere la botola mentre voi eravate di sopra. Credo comunque che il suo sangue demoniaco continui ad aiutarlo in questa forma, anche se lentamente. Altrimenti non mi spiego come facciano a non essersi infette; nonostante il lavoro che ho fatto sono pericolose.” Indicò quella sul petto che era la più brutta e poi quella sulla coscia. Entrambe però, oltre a essere rosse, non presentavano nessun altro cattivo sintomo, anche se la febbre alta era sicuramente causata da quelle.
 
Kagome annuì. “Aspetteremo che gli ritornino i poteri,” disse, “a quel punto ferite del genere, senza cacciatori alle calcagna, dovrebbero essere facili da guarire per uno come lui. Speriamo solo che succeda presto; non vorrei che quegli uomini tornassero inaspettatamente e deve ritornare nelle terre demoniache quanto prima. Non possiamo rischiare che qualcuno percepisca una chiara aura demoniaca nel tempio.”
 
“E come hai intenzione di fare?” chiese la sorella di rimando, il volto corrugato. “Anche se tra un paio di ore è di nuovo in forma non può inoltrarsi nella foresta proprio ora. Quelli lì non se ne andranno mica presto, continueranno a cercare a lungo visto che tu gli hai fatto capire che era quasi morto. Non se ne andranno fino a quando non avranno trovato almeno il corpo.”
 
“Non ti preoccupare, sorellina, ho il piano perfetto in mente. Dobbiamo solo sperare che nessuno di loro torni prima del tempo.”

 

 
Proprio come Kagome aveva predetto, il sole non era ancora così alto in cielo quando Inuyasha riassunse i suoi caratteri demoniaci e poco dopo riprese anche coscienza. Le ferite cominciarono a guarire a velocità più che impressionante e Kagome, che non aveva abbandonato nemmeno per un secondo la sua postazione accanto al mezzo demone, osservò il processo con occhi sgranati e bocca aperta a causa dello stupore.
 
Inuyasha aprì gli occhi, sbatté le palpebre un paio di volte e un gemito gli scappò dalle labbra. Fece per portarsi un braccio alla testa che gli sbatteva terribilmente, ma un attimo dopo si ricordò degli avvenimenti della notte precedente e scattò subito a sedere. Assunse una posizione di difesa e perlustrò con gli occhi il luogo in cui si trovava solo per poi rilassarsi e avere un altro shock nel vedere l’esile figura di Kagome che se la rideva beatamente, una mano a coprire la bocca e gli occhi che le scintillavano.
 
“Tu…tu…” balbettò incapace di formulare un pensiero coerente, figuriamoci una frase. L’ultimo ricordo che aveva era un dolore lancinante che gli trapassava il petto e mani che lo afferravano; era sicuro di aver ormai finito di campare. Come ci era finito in quel luogo umido e rarefatto? Quella non era nemmeno la capanna in cui Kagome l’aveva invitato il giorno prima.
 
“Io,” confermò Kagome, il sorriso fermo sulle labbra.
 
“Dove mi trovo? Come ho fatto a salvarmi? I cacciatori mi stava inseguendo e poi…” si tastò il petto freneticamente e con un sospiro di sollievo constatò che la ferita si stava già rimarginando; mosse la gamba e non vi trovò nulla di male a parte il momentaneo intorpidimento.
 
“Calmo, calmo, una cosa alla volta. Vuoi un po’ d’acqua? Devi essere parecchio assetato. Dirò a Rin di portarti anche qualcosa da mangiare, Kaede stava giusto preparando uno stufato di coniglio; il suo è ottimo.”
 
Inuyasha poté solo annuire.
 
Sempre rimanendo nel rifugio sotto la capanna, Inuyasha si rifocillò e non dovette aspettare molto affinché le forze gli ritornassero del tutto. Ringraziò per l’ennesima volta il potente sangue demoniaco che gli scorreva nelle vene
 
Nel frattempo Kagome era rimasta accanto a lui tutto il tempo, quel sorriso smagliante sempre sulle labbra mentre la vecchia si portava dietro la sorella minore che Inuyasha non ricordava per nulla visto che all’epoca della sua relazione con Kikyo non era altro che una poppante. Il mezzo demone gliene fu grato perché immaginava che gli sguardi troppo curiosi e i risolini che Rin continuava ad emettere lo avrebbero messo ancora meno a suo agio.
 
Quando fu finalmente pronto ad affrontare il discorso, Kagome gli spiegò velocemente tutto quello che era accaduto da quando lo avevano messo in salvo. Inuyasha, che ascoltava senza perdersi nemmeno un suo sospiro o movimento delle mani – si era accorto che la ragazza gesticolava molto –, pian piano si ritrovò a sgranare sempre più gli occhi nel sentire fino a cosa si erano spinte quelle tre donne che non gli dovevano nulla e che anzi, da buone sacerdotesse, avrebbero dovuto denunciarlo già il giorno prima.
 
Era chiaro che, sebbene tutte e tre fossero cresciute con Kikyo, nessuna fosse come quest’ultima. Kikyo era sempre stata molto ligia alla legge e alle credenze della comunità spirituale – al punto tale che, se fosse stato meno scioccato dal suo tradimento, lo sarebbe stato un po’ di più per il suo disertare. Kagome invece non solo lo aveva accolto senza problemi il giorno prima, ma lo aveva anche salvato; lo aveva nascosto e aveva mentito spudoratamente per il suo bene. Un brivido lo colse al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se qualcuno le avesse scoperte o se il suo piano non fosse andato a buon fine. E in tutto questo aveva continuato a guardarlo e prendersi cura di lui con calore, come se effettivamente gli importasse di lui e la guerra non esistesse nemmeno. Era solo solitudine quella che leggeva nel suo sguardo o qualcosa di più? Che si stesse facendo illusioni e aveva scambiato la pietà per affetto?
 
Improvvisamente si sentì in colpa per la posizione in cui le aveva irrevocabilmente messe: tre donne sole in questa guerra erano già in pericolo per il maggior numero di banditi e di cacciatori sfrontati che non perdevano momento per violentare i loro corpi a turno, ma tre donne che avevano aiutato il nemico…
 
“Kagome…” riuscì solo a dire. Teneva gli occhi bassi, incapace di incrociare lo sguardo di lei; non riusciva nemmeno a esprimere quanto le fosse grato, ma anche il senso di colpa che lo stava attanagliando a causa della sua irresponsabilità. Per un attimo il dolore dovuto al tradimento di Kikyo scomparve del tutto.
 
Kagome osservò le diverse emozioni passargli sul viso e il sorriso non vacillò mai. Semmai, si sentì ancora più vicina a lui, inspiegabilmente, e provò l’insensata voglia di stringerlo in un abbraccio; fargli capire che non doveva avere paura e soprattutto non doveva averne per loro.
 
Dopo due anni a vivere in completa solitudine, dovendosi proteggere dagli attacchi dei demoni e non solo, lei, Kaede e Rin aveva escogitato diversi modi per difendersi. Per fortuna, c’erano ancora molti che tenevano alla santità del luogo – sebbene lei avesse avuto idea che nessuno aveva mai combattuto per amore di qualche Dio, ma anzi scatenando questa guerra la presenza di quest’ultimi fosse stata solo cancellata dalla faccia della terra.
 
Rendendosi conto che un abbraccio non sarebbe stata la mossa giusta – Kagome non sapeva molto di demoni e non sapeva come comportarsi in loro presenza – optò ancora una volta per stringere la mano più vicina a lei; il contatto durò molto di più e Kagome cercò di infondere in lui tutta la speranza e la fiducia che provava. Quando finalmente Inuyasha ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso di lei e le orecchie si drizzarono in testa, lei lesse nel suo sguardo sollievo e, anche se piccolo, vide un sorriso farsi strada sulle labbra di lui e un canino che sporgeva leggermente dal labbro inferiore.
 
Inuyasha sentì il calore diffondersi prima su tutto il suo braccio e poi in tutto il corpo, grazie a quella mano molto più piccola della sua e uno sguardo davvero pieno di affetto. Non era pietà, no, era un tipo di sguardo che non vedeva dalla morte della madre e che, si rendeva sempre più conto, non aveva mai visto negli occhi di Kikyo.
 
Che solo poche ore trascorse in compagnia della sorella potessero fargli vedere come stavano realmente le cose? Che potesse svegliarlo da questo incubo? Lentamente, sentì un piccolo sorriso distendersi sulle sue labbra e non tentò di nasconderlo, anzi.
 
“Non devi dirmi nulla, Inuyasha,” lei cominciò, “e non devi avere paura per noi. Sono due anni che ce la caviamo da sole, non siamo così ingenue. Non devi pensare che solo per quel che sei ti avremmo lasciato nelle grinfie di quelli là.” Gli occhi le si riempirono di rabbia al solo pensiero del monaco. “Ho conosciuto molti di quegli invasati che si credono stiano compiendo la missione di un Dio, ma in realtà hanno solo sete di potere e sangue. Tuttavia, non abbiamo ancora tempo di rallegrarci o di stare qui a parlare. Sono sicura che sono ancora in mezzo al bosco e sarà difficile per te tornare oltre i nostri confini non visto. Allo stesso modo ho paura che possano ritornare da un momento all’altro quando capiranno che la nostra pista è falsa e sarebbe difficile nascondere ancora la tua aura…”
 
“Me ne andrò in questo preciso momento,” rispose Inuyasha frettolosamente e alzandosi di scatto. In nessun modo avrebbe messo ancora più a rischio la loro posizione; aveva già approfittato abbastanza del loro aiuto, ora doveva tornare assolutamente a Ovest. Si chiese cosa stesse pensando suo padre quando dopo più di un giorno non era ancora ritornato per una missione che non avrebbe richiesto più di un paio di ore normalmente.
 
Il suo piano era stato stupido, se ne rendeva conto; ancora una volta la sua testa calda lo aveva messo a rischio insieme alla sua spavalderia. Se solo fosse tornato prima ad avvisare, forse avrebbe potuto notare che Miroku era loro prigioniero e non si sarebbe trovato in queste condizioni.
 
“No!” Kagome gli afferrò entrambe le braccia e nonostante la sua piccola statura cercò di rimetterlo a sedere. Non ebbe molto effetto.
 
Lui la guardò alzando un sopracciglio e sgranando un po’ gli occhi.
 
“Non puoi andartene così,” continuò lei. “Se esci allo scoperto ora e ti avvii verso Ovest non ci metteranno molto a notare la tua aura e a quel punto saresti punto a capo perché ti resterebbero ancora molte miglia da fare mentre loro ti inseguano. Non mi sembra il piano migliore.”
 
“Kagome! Sei impazzita? Che suggerisci allora? Non posso restare qui, lo hai detto tu stessa; potrebbero tornare da un momento all’altro e a quel punto rischiereste grosso anche voi. Potreste essere condannate o peggio!”
 
“Non sto suggerendo quello infatti, so solo che ho un piano migliore. È rischioso, certo, ma è il migliore al momento. Conosci altre vie per raggiungere il confine a parte quella principale?” gli chiese prima ancora di esporgli il suo piano.
 
Inuyasha si rilassò leggermente, anche se le sue spalle erano ancora molto tese. Lei gli lasciò le braccia e lui tornò a sedersi meditabondo. Si grattò piano la nuca mentre sentieri e sentieri diversi si materializzando davanti ai suoi occhi. “Beh, in effetti un paio ne conosco. Soprattutto da quando siamo in guerra abbiamo dovuto trovare più percorsi per attaccare inosservati. Resta comunque sempre il fatto che non posso nascondere la mia aura; non sono un demone completo e ora gli spiritualisti saranno sicuramente più concentrati visto che stanno cercando proprio me. Anche se posso correre molto velocemente e nascondermi ai loro occhi a un certo punto sentiranno per forza la mia aura. Uno di loro era anche abbastanza potente; potrebbe riuscire a sentirmi anche da lontano.”
 
Kagome annuì, poi si alzò per andare in un angolo e rovistare tra alcune carte. Tornò vicino al giaciglio del mezzo demone con un paio di mappe molto logore in mano. “Certo, hai ragione, ma intanto cominciamo a disegnare un percorso. Da dietro il tempio c’è un passaggio segreto che il mio bisnonno costruì ai tempi della sua ultima guerra quando era ancora giovane. Veniva usato per lo più come nascondiglio, ma in caso di necessità era stato scavato anche un sottopassaggio.” Puntò il dito tracciando una linea scura su una delle due mappe, a un certo questa si diramava in tre punti diversi: Est, Ovest e Nord. “Come puoi vedere, il bisnonno e chiunque lo abbia aiutato, sono stati molto provvidenti perché si erano lasciati aperte più di una via di fuga.”
 
Ancora una volta Inuyasha si ritrovò a sgranare gli occhi, “Un passaggio sotterraneo?”
 
Lei annuì e continuò a tracciare le mappe con le sue dita sottili. “Non dobbiamo far altro che trovare la ramificazione che ti fa più comodo, quella più vicina al percorso che ritieni più sicuro e poi ti accompagnerò io stessa.”
 
Inuyasha osservò le mappe per qualche minuto e finalmente notò che uno dei tre sottopassaggi – quello che procedeva verso Nord – sbucava pochi chilometri di distanza dal confine con le terre di suo padre. Certo si sarebbe ritrovato ancora molto lontano dal castello ed era il percorso più lungo, ma una volta giunto ai margini sarebbe stato salvo. Toga aveva guardie poste lungo tutto il perimetro ed era molto improbabile che i cacciatori si azzardassero a combattere così su due piedi con tanti demoni. Inoltre quel percorso lo avrebbe portato a circolare l’intera foresta senza mai addentrarsi al suo interno. In quel modo avrebbe potuto eludere facilmente tutti coloro che gli stavano alle calcagna. Se fosse riuscito a sbucare dalla parte opposta del passaggio si sarebbe trovato ormai al di fuori di essa.
 
Restavano però ancora un paio di punti irrisolti.
 
“Ma anche se questi passaggi sono sotterranei non nasconderanno la mia aura e a quel punto, se qualcuno di loro la notasse mi troverei intrappolato. Di sicuro saranno stretti e buoi, non il luogo ideale per scappare se ci si trova in trappola. E volendo seguire la via più sicura e intelligente,” tracciò con un dito artigliato il percorso a Nord-Ovest, “impiegherò più tempo. Sarà più tempo anche per loro.” Ripensò a quello che Kagome gli aveva appena detto e spostò il suo sguardo indurito verso di lei, “E non credere che ti farò venire con me! Che razza di idee ti vengono! E che cosa faresti una volta giunta anche tu ai confini? Ti sei bevuta il cervello? Vuoi forse morire?”
 
“Inuyasha! Ma non posso lasciarti da solo con tutti quegli uomini che ti cercano, se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai!” rispose lei di getto, lasciandosi scappare molto più di quel che intendeva. Le guance si imporporano di rosso, ma lei continuò imperterrita. “Ho già attraversato questi cunicoli più di una volta dall’inizio della guerra, ti sarei d’aiuto!”

“Tu non te lo perdoneresti? Ma che dici! Sono io che vi ho messo in questo casino e non intendo mettere a rischio la vostra vita o lasciarti da sola al ritorno. Io me la so cavare da solo; non è mica la prima volta che vado in missione così.”
 
“Sì, ma scommetto che non ti sei mai trovato in una situazione simile,” ribatté prontamente Kagome. “Inoltre, non ti ho ancora esposto la parte più importante del mio piano e anche quella più pericolosa.”
 
“E quale sarebbe?” chiese Inuyasha scettico, ancora un po’ arrabbiato per il solo fatto che la giovane sacerdotessa avesse proposto di venire con lui e che stessero discutendo una roba simile.
 
“Hai ragione a dire che la tua aura è ancora un pericolo e che se ti scovassero sottoterra sarebbe la fine, non possiamo permetterlo. Per questo prima di entrare nei cunicoli, e lo faremo a breve perché non voglio rischiare quei tipi siano già di ritorno…”
 
Senza contare che io devo essere di ritorno entro stasera e devo riferire a mio padre l’attacco che hanno intenzione di sferrare, pensò Inuyasha.
 
“… sarò costretta a purificarti un’altra volta; neutralizzerò la tua aura demoniaca. Dovrai quindi percorrere il sottopassaggio nella tua forma più debole,” concluse infine Kagome. Lo guardò con ritrosia, aspettandosi le urla e l’espressione sconvolta che infatti seguirono le sue ultime parole non appena le orecchie canine di Inuyasha le percepirono.
 
“CHE COSA?!”
 


N/A: 

Ecco i significati dei nomi scelti per monaci e sacerdotesse di questo capitolo, ironia portami via ↓

Kiyoshi = puro 
Akemi = brillante e bellissima
Makoto = sincerità 

Inu-no-Taisho = Grande Generale Cane aka Toga 😉. 

Grazie a chiunque ha letto finora, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima 💘💘💘

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Capitolo 4
*** Sottoterra ***


Capitolo Quattro: Sottoterra

 
"Le aveva sempre pensate, le colline, come il naturale teatro dell’amore e gli era invece toccato di farci l’ultima cosa immaginabile, la guerra."

 
 

“Sei forse impazzita?” esclamò Inuyasha non appena si riprese dallo shock. “Non posso fare la strada di ritorno da umano; gli offrirei il mio corpo su un piatto d’argento! Sono inutile in quella forma, la mia forza non eguaglia quegli energumeni. Inoltre questo sottopassaggio sembra abbastanza lungo.”
 
Kagome pose le mani davanti a sé, agitandole e cercando di bloccare quella sua tirata arrabbiata; non aveva ancora finito di elencare le sue ragioni e non avrebbe potuto farlo in quel modo. “Inuyasha, ascoltami… lo so che sei scioccato dal fatto che io abbia anche solo proposto una cosa del genere e credimi in altr-”
 
“Scioccato? Scioccato è un eufemismo, ragazzina! La solitudine ti ha dato al cervello evidentemente, posso capire che tu mi abbia aiutato – te ne sono grato e te ne sarò sempre, davvero –, ma poi mi vieni a dire che vuoi accompagnarmi in una ritirata suicida e anche rendermi umano come se nulla fosse!” sbottò lui furioso non dandole modo di continuare. Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, il sangue che gli ribolliva. Con uno sforzo immane controllò la sua aura; sapeva benissimo cosa accadeva quando lasciava a piede libero qualsiasi tipo di sentimento, la situazione in cui si trovava ora non ne era altro che una conseguenza, dopo tutto.
 
Kagome lasciò che il mezzo demone sbollisse la rabbia per un po’ e poi quando lo ritenne sicuro ricominciò a parlare. “Inuyasha questi cunicoli sono sicuri, te l’ho detto; li ho già percorsi più di una volta da sola. Sono ben attrezzati e-”
 
Inuyasha si voltò di scatto verso di lei, l’espressione inorridita. “E per quale motivo li avresti dovuti attraversare? Che diamine volevi fare? Ma ci provi gusto a metterti nei guai?” la interruppe di nuovo.
 
Il mezzo demone non sapeva spiegarsi il perché di quella paura che all’improvviso gli aveva stretto il cuore in una morsa né perché il solo pensiero di lei che si trovava sola e indifesa in guerra gli faceva aumentare i battiti del cuore in modo febbrile.
 
“La vuoi smettere di interrompermi?” sbuffò lei. Le braccia incrociate e un broncio sulle labbra – Inuyasha dovette ammettere che era proprio carina da arrabbiata, anche se non era il momento per pensare certe cose. "Sto cercando di finire un discorso qui!" Ella sbuffò ancora una volta e poi riprese. "Come credi che mi arrivino le provviste? Di certo non da qualche parte nei dintorni, ti sei guardato intorno? Non c'è nulla, questo villaggio è sempre stato sperduto, ma durante la guerra è ancora di più una condanna. Miroku o la mia amica Sango solitamente arrivano da lontano attraverso questi passaggi; non avrebbero altro modo."
 
"Che diamine, Kagome, questo tuo piano infallibile fa acqua da tutte le parti. Ora mi vieni anche a dire che i cunicoli non sono poi così segreti?" sbraitò, la voce che aumentava sempre più di tono.
 
"Calmati ora! Vuoi richiamare i cacciatori con le tue urla?" sibilò lei in risposta. Inuyasha chiuse immediatamente la bocca, le orecchie si afflosciarono e lui si lasciò cadere nuovamente su quello che era stato il suo giaciglio per la notte. "Bene, ora che cominciamo a intenderci," riprese Kagome quando notò che non aveva intenzione di riprendere a urlare, "solo Sango e Miroku conoscono il passaggio e di loro ci si può fidare. Senza contare che saresti comunque umano e ti basterebbe dire che ti ho indicato io la via."
 
Mentre parlava Inuyasha cominciò a riflettere se fosse una buona idea avvisare Kagome della situazione in cui si trovava il monaco. Lei ne parlava come se lo conoscesse davvero alla fine – se gli aveva portato le scorte per due anni, voglio dire, era probabile – ma allo stesso tempo non voleva angosciarla e sicuramente non avrebbe reagito bene alla notizia. Kagome gli dava l'impressione di una donna molto emotiva oltre che determinata e, se la sua reazione di prima era un indizio, anche un po' violenta. Doveva rischiare proprio in quel momento delicato con cose più importanti a cui pensare? Alla fine decise per il no; forse glielo avrebbe detto prima di partire o semplicemente avrebbe liberato Miroku arrivato al castello sano e salvo e Kagome non avrebbe dovuto saperne nulla.
 
Come siamo positivi tutto d'un tratto, pensò tra sé e sé.
 
"Ma allora sei proprio fissata con questa tua idea di trasformarmi in umano! Credi che mi faccia piacere?"
 
"Ovvio che no, ma è questo il fulcro del piano e come tale necessario. Ti dicevo che questi sottopassaggi sono ben collaudati e vengono usati da decenni. Ci sono torce a quantità ed è segnalato il percorso sui muri. Non hai motivo di temere, ma stai sicuro che se li percorri da demone anche quel percorso a Nord-Ovest che circoscrive la foresta non riuscirà a nascondere la tua aura a quelli là in questo momento," gli disse sicura mantenendo uno sguardo fiero e deciso.
 
Inuyasha sospirò e poi si passò una mano in faccia. Perché diamine si trovava in questa situazione? Ah certo, Kikyo…
 
Dannata Kikyo, guarda dove mi hai condotto con le tue maledette menzogne, guarda dove hai condotto la tua stessa famiglia. E mentre tu te ne stai al sicuro nei tuo rifugi riservati ad altri disertori come te, loro devono pensare al modo migliore per salvarsi la pelle.
 
"E quanto durerebbe l'effetto?" chiese rassegnato. Non che avesse molta voglia di farsi purificare di proposito, ma sapeva che Kagome non aveva tanti torti. Uscire da quelle terre nella sua forma attuale al momento era pressoché impossibile se voleva evitare di essere notato.
 
"Non lo so," scrollò le spalle lei.
 
"Come sarebbe a dire non lo sai?"
 
"Credi che me ne vada in giro a purificare mezzo demoni per diletto? Che ne posso sapere! Posso solo fare supposizioni… questa notte sei stato colpito poco prima dell'alba e quando ti sei risvegliato il sole non era ancora molto alto. Oserei dire che avrai un tetto massimo di quattro ore." Lo guardò ancora negli occhi, quello sguardo deciso non la abbandonava e lui si sentì confortato da tutta quella determinazione che proveniva da una donna che non era che uno scricciolo rispetto a lui e che allo stesso tempo non sembrava provare minimamente paura. "Lo so che il percorso è lungo, ma non possiamo rischiare di impiegare più tempo," continuò. "In più vorrei tornare al tempio prima che faccia buio."
 
"Ehi, ehi, frena. Se io devo sottopormi a una cosa del genere tu non ti azzarderai a seguirmi. È troppo pericoloso e non ha senso," la bloccò lui ricambiando il suo sguardo. Poteva essere determinata lei, ma lui era altrettanto ostinato, non si sarebbe smosso.
 
Lei si imbronciò di nuovo, il labbro superiore sporgeva letteralmente e gli occhi di lui si spostarono inevitabilmente verso quel preciso punto, soffermandosi anche troppo; le guance di lei si fecero rosse a causa del suo sguardo penetrante.
 
"Inuyasha?" lo richiamò. Perché le fissava le labbra? Cosa aveva? Si portò istintivamente le dita alla bocca e lui capì di essere stato scoperto. Divenne rosso fino alla punta delle orecchie e poi scosse la testa per dimenticare pensieri impuri e figure imbarazzanti.
 
Si grattò la nuca nervosamente mentre lei riprendeva a parlare, le mani ora che si torcevano in grembo. "Accetterò di buon grado di rimanere qui, se per il resto farai come dico."
 

 
Kagome e Inuyasha si trovavano attualmente dietro al tempio e la ragazza lo stava conducendo verso l’entrata del sottopassaggio.
 
Dopo un saluto veloce alle altre due donne – Rin lo aveva abbracciato stretto, le sue mani da bambina lo avevano quasi soffocato, e gli aveva augurato buona fortuna, mentre la vecchia si era limitata ad annuire e dargli un piccolo buffo sulla spalla –, Kagome gli aveva preparato delle scorte per pura prevenzione e si erano avviati senza più indugiare. Il prima partiva, il prima sarebbe arrivato.
 
Mentre seguiva la giovane sacerdotessa tra sentieri sconosciuti spostò gli occhi verso quelle distese verdi che lo circondavano e si ritrovò ancora una volta a pensare a ciò che aveva vissuto in quella foresta, con tutte le implicazioni.
 
Kikyo, Kikyo, cosa mai mi hai fatto?
 
Ti ho amato tra questi alberi e ora ci faccio la guerra. Pensavo che certi luoghi sarebbero rimasti per sempre incontaminati, nonostante il sangue e il sudore, grazie al tuo ricordo, ma ora so che non sarà mai più così.

 
Morte, dolore e tradimento ora fanno da sfondo a questi alberi – cosa ha fatto di male la natura per meritarsi la tua immagine distorta? La guerra?
 
Niente sembra più andare per il verso giusto.

 
Portò lo sguardo nuovamente sull’esile figura di Kagome che gli dava le spalle e camminava imperterrita facendogli da guida.
 
Forse avrebbe dovuto trovare nuovi ricordi incontaminati che liberassero questa foresta dall’orrore di quella guerra.
 
Proprio in quel momento Kagome si voltò verso di lui, il sopracciglio alzato e un’espressione interrogativa sul volto. “Ehi… allora che stai facendo? Non abbiamo mica tempo da perdere. I cacciatori e il monaco potrebbero tornare da un momento all’altro. Sbrigati!” Rabbrividì per un nanosecondo al solo pensiero di Kiyoshi e il movimento non sfuggì a Inuyasha che assottigliò lo sguardo, ma decise poi di affrontare l’argomento una volta arrivati a destinazione.
 
Dopo cinque minuti finalmente giunsero a quello che Inuyasha in un primo momento avrebbe definito un punto morto. Un alto muro si stagliava davanti a loro pieno di rampicanti e crepato in alcuni punti. Rimase zitto mentre Kagome si chinava a terra e cominciava a spostare dell’edera e piano piano portava alla luce una piccola entrata, grande abbastanza per un uomo accucciato.
 
Il mezzo demone alzò un sopracciglio, non voleva mica dirgli che quello era il sottopassaggio? Avrebbe dovuto attraversare quei cunicoli a quattro zampe? Stava scherzando? Quell’entrata sembrava angusta solo a guardarla, come diamine si sarebbe mosso al suo interno.
 
Kagome lesse lo shock e lo scetticismo sul suo volto e subito parlò, “Rilassati, i cunicoli mica sono così. Solo l’entrata è minuscola; è fatta apposta per scoraggiare chiunque l’avesse notata nonostante il punto morto in cui si trova. Non sembra più di una tana di animali, vero? Abbi un po’ di fiducia e seguimi.” Si voltò verso di lui e gli fece segno di chinarsi come lei e poi cominciò a farsi strada in quello stretto passaggio. “Non respirare troppo, mi raccomando, ci vorranno alcuni minuti prima di sbucare dall’altra parte.”
 
Strisciarono in quel buco angusto e buio per quel che Inuyasha credette fosse un’eternità. Kagome non aveva problemi a muoversi con la sua corporatura esile, ma per lui che era il doppio… si era dovuto stringere pur di entrarci; dannazione ce l’avevano proprio messa tutta per farla sembrare la tana di un’animale eh? Non riusciva nemmeno a credere di essere riuscito a entrare.
 
Finalmente, dopo secoli, la ragazza si fermò e cominciò a spostare alcuni massi posizionati lì di proposito. Non riusciva a capire come potesse anche riconoscere qualcosa visto che per gli umani sarebbe stato impossibile anche solo vedere le proprie mani. Era evidente che lo avesse fatto molte altre volte e le dita si stavano muovendo seguendo la memoria di lei.
 
La vide infine alzare una botola, proprio come quella che si trovava nella sua capanna, e scese in quel secondo passaggio. Lui la seguì senza fiatare. Con suo sollievo notò immediatamente la libertà di movimento che questi nuovi spazi gli conferivano, gli occhi si abituarono subito a quell’altra oscurità e i suoi sensi più esperti scorsero un lungo corridoio che si allungava per chilometri.
 
Kagome raccolse due pietre abbastanza affilate che erano posizionate in un piccolo cestello affianco a una torcia spenta e subito accese un fuoco che le illuminò il volto e quel sorriso fiero che gli stava offrendo. Lei alzò la torcia e la puntò verso il corridoio. “Allora? Che te ne pare?” gli chiese facendogli l’occhiolino.
 
“Beh, devo dire che il bisnonno era intelligente,” ammise. Con tutta la fatica che avevano fatto per arrivare qui era facile intuire che qualsiasi altro umano avrebbe abbandonato subito l’idea di attraversare quella che sembrava la tana di un animale; senza conoscere in che modo funzionava il passaggio sarebbe stato impossibile raggiungere la via sotterranea.
 
“Non è stato solo lui,” sorrise lei mentre si avviava, mostrandogli simboli e oggetti che incontravano sui muri. Gli spiegò in che modo ogni cosa funzionava e come interpretare i vari simboli che non erano altri che strani segni cuneiformi e si leggevano più con le dita che con le mani. “Io e Rin abbiamo apportato parecchie modifiche da quando è iniziata la guerra, abbiamo fatto in modo che chiunque si arrischiasse a portarci le scorte e i mezzi di sopravvivenza potesse viaggiare il più facilmente e comodamente possibile. All’inizio sembrava difficile arrivarci, ma dopo un po’ ci si fa la mano.”
 
Lui le sorrise compiaciuto, “Ragazzine intelligenti.”
 
Kagome all’improvviso si fermò e poggiò la torcia in un’apposita entrata lì nel muro. Prese un profondo respiro – nonostante l’aria sottoterra fosse sempre poca e angusta – e alzò lo sguardo verso di lui. L’oro incontrò il cioccolato e per un paio di secondi nessuno disse nulla; Inuyasha capì che era arrivato il momento.
 
Annuì e non le diede modo di parlare quando fece per schiudere le labbra. “Va tutto bene. Sono pronto.”
 
Lei ricambiò il cenno della testa. “Poco più avanti troverai delle ramificazioni. Per riconoscere quella a Nord-Ovest leggi i segni sui muri come ti ho spiegato.” Disegnò con le dita sui muri i simboli che avrebbe dovuto riconoscere, ancora una volta. “Una volta imboccato quel tunnel dovrebbe essere abbastanza facile raggiungere l’esterno perché è un’unica via, non ci sono altre diramazioni; puoi stare sicuro. Se ti si spegne la fiaccola ce ne sono tante altre disseminate, ne avrai bisogno visto che non potrai più usufruire della tua magnifica vista demoniaca.”
 
Lui annuì ancora ma non disse niente.
 
“Va bene allora… Procedo.” Gli mise la mano all’altezza del cuore e chiuse gli occhi. Era piccola ma calda. Inuyasha strinse gli occhi pronto al dolore che lo avrebbe colpito da lì a poco. Essere purificato per un mezzo demone non significava la morte, ma ciò non toglieva che era pur sempre un processo doloroso che per nulla somigliava alla trasformazione che per lui avveniva nella notte di luna nuova. Non era naturale, cancellava con la forza la parte demonica e come tale non era piacevole.
 
Inuyasha spalancò gli occhi, un pensiero si fece strada nella sua mente: e se fosse svenuto come la notte precedente? Il loro piano sarebbe andato a farsi fottere. Ma in quel momento una luce chiara si sprigionò dalle punta delle dita di lei e lo colpì in pieno petto dopo che Kagome ebbe mormorato un fioco “Mi spiace”.
 
Tutto il corpo di Inuyasha tremò, strinse i denti e sibilò per il dolore, sicuro che di lì a poco avrebbe perso i sensi. Gli occhi e i capelli si scurirono, le candide orecchie scesero ai lati del viso, artigli e zanne si ritrassero e Inuyasha aveva ancora le palpebre calate e i pugni chiusi. L’oscurità non lo catturò – se non si considerava l’oscurità dei suoi sensi ora umani – e aperti gli occhi si guardò le mani incredulo e poi Kagome di fronte a lui preoccupata.
 
“Ma come…” cercò di dire lui ma sentiva la bocca impastata e la lingua attorcigliata.
 
“Come cosa? Ti ho fatto tanto male?” chiese lei di rimando. “Scusami, scusami, ho cercato di risparmiarti quanto più dolore possibile ma alla fine è pur sempre una purificazione.”
 
Lui scosse la testa e continuò a guardarla. Ora doveva far affidamento al bagliore della fiamma per osservare i suoi grandi occhi marroni. “No, non intendevo quello, sapevo già sarebbe stato doloroso. Dico solo… perché non ho perso i sensi? Questa notte l’impatto è stato molto più forte quando la freccia mi ha colpito.”
 
Le spalle di lei si rilassarono non appena ebbe parlato e un tenue sorriso le adornò le labbra. “Beh, per prima cosa io non ti ho trapassato con nessuna freccia, no? È già qualcosa.” Lui poté solo annuire. “Inoltre io non nutro alcun sentimento negativo nei tuoi confronti, il mio gesto non era fatto per ferirti quindi ovviamente l’impatto non è stato così duro. Se avessi avuto anche solo il minimo dubbio che la purificazione ti avesse messo nuovamente k.o. non avrei nemmeno mai suggerito un’ipotesi del genere,” gli spiegò.
 
“È fantastico, Kagome. Per un momento ho temuto che tutti questi piani non sarebbero serviti a nulla.” Ricambiò il suo sorriso.
 
“Bene allora, non c’è più nulla da perdere. Io devo tornare quanto prima al tempio e tu hai i minuti contati da questo momento in poi. Buona fortuna e sta attento,” gli disse prima di chinarsi verso di lui, alzarsi sulle punte dei piedi e poi baciarlo teneramente sulla guancia. Lo guardò un’ultima volta, agitò la mano e tornò da dove era venuta dopo aver acceso una seconda torcia.
 
Inuyasha rimase lì immobile mentre la osservava scomparire, una mano stringeva la torcia che gli aveva affidato e l’altra risalì piano verso la guancia che conservava ancora tutto il calore che quel suo improvviso gesto gli aveva trasmesso. Com’era possibile che un bacio così innocente lo lasciasse paralizzato quasi quanto quei baci ricchi di passione che una volta aveva scambiato con Kikyo?
 
La luce della torcia di Kagome sparì dalla sua vista e capì che era il momento di muoversi; la giovane sacerdotessa aveva ragione, non aveva più un minuto da perdere. Avrebbe pensato a quel calore che pian piano stava prendendo piede nel suo cuore assieme al dolore dato dal tradimento di Kikyo non appena le cose si sarebbero messe un po’ meglio per lui. Ora doveva solo pensare a mettersi in salvo.
 
Si voltò verso la direzione opposta, alzò la fiaccola e cominciò a muovere le gambe il più velocemente possibile; per fortuna anche da umano la sua prestazione fisica non era del tutto scarsa.
 

 
Kagome, veste sporca e respiro affannato, posò una mano sul cuore che le batteva forte e prese dei grossi respiri non appena ebbe lasciato il piccolo sentiero che ospitava il passaggio segreto. Non capiva proprio che le stava accadendo: perché lo aveva baciato? Che diamine le era preso? Avrà pensato fosse una stupida.
 
Si sistemò i capelli e la veste alla bell’è meglio e si avviò velocemente verso la sua capanna; non era il momento di cincischiare. Con orrore notò che Kiyoshi era già di ritorno e questa volta non solo con la sacerdotessa e il secondo monaco, ma anche tutti gli altri cacciatori che non sembravano per nulla ben disposti. Stavano interrogando Kaede e uno degli uomini guardava Rin nel modo in cui un uomo non avrebbe mai dovuto guardare una bambina di otto anni; Kagome sentì il freddo impossessarsi di lei.
 
Si guardò ancora una volta e sapeva che non poteva presentarsi a loro in questo modo, avrebbero capito che qualcosa non quadrava e lei doveva riprendere la sua maschera di giovane ragazzina timida e spaventata. Velocemente, si avviò verso il giardino situato dietro la capanna, si sporcò una guancia con del terriccio, strappò le prime erbacce che trovò sotto mano e ascoltò quello che stavano dicendo prima di raggiungerli.
 
“Allora, vecchia, dov’è l’altra ragazzina?” uno dei cacciatori chiese in modo molto rude e autoritativo. Kiyoshi si accigliò e lo zittì con una sola occhiataccia.
 
“Zitto!” ripeté a parole. “Non è questo il modo in cui rivolgersi a un servo degli Dei.” Si voltò verso Kaede e riprese quell’espressione finta e il sorriso diabolico. “Vogliate scusarmi ancora buona donna, si sa che i cacciatori non sono certo dei maestri delle buone maniere. Sarei venuto a parlare ancora una volta con vostra nipote. Potreste condurci da lei o chiamarla?”
  
Kaede guardava il corteo davanti alla sua porta con espressione accigliata e sguardo duro, il suo corpo cercava di coprire Rin dietro di lei ma con pochi risultati. Fece passare alcuni secondi prima di rispondere. Kagome e Inuyasha non erano partiti da poco e con un po’ di fortuna la ragazza era già di ritorno. Doveva solo temporeggiare un altro po’. Offrì a quel monaco sfrontato solo un cenno della testa – Kiyoshi ancora una volta non apprezzò l’atteggiamento che la vecchia aveva nei suoi confronti – e poi si rivolse alla bambina senza però distogliere lo sguardo dagli uomini di fronte a lei.
 
“Rin, vai a chiamare tua sorella.” Il resto delle sue istruzioni era implicito. “Dirigiti versi il nascondiglio e resta in attesa se non è ancora uscita.”
 
Una volta che la bambina fu andata via Kaede non offrì alcuna spiegazione agli uomini, sebbene potesse facilmente intuire quanto il monaco fosse infastidito.
 
“Ebbene?” Kiyoshi alzò un sopracciglio. “Come le abbiamo già detto questa mattina presto siamo un po’ di fretta. Crede che dovremo aspettare molto?”
 
“Mi spiace molto venerabile monaco, ma mia nipote ha molte cose di occuparsi durante la giornata quindi dovrete aspettare che la bambina trovi sua sorella.” Non offrì altro e ignorò i restanti tentativi dell’uomo di estorcerle notizie. Se aveva intenzione di intimidirla cascava male, Kaede era troppo anziana ed esperta per cadere nelle sue trappole o per lasciargli fare il suo gioco.
 
Nel frattempo Rin aveva trovato la sorella non appena svoltato l’angolo. Kagome aveva premuto l’indice contro le labbra facendogli segno di tacere e poi l’aveva attirata a sé, allontanandosi leggermente dalla capanna.
 
“Aspetteremo qualche minuto qui prima di avviarci,” Kagome le bisbigliò nell’orecchio. “Tu mi hai trovato mentre mi prendevo cura del giardino, in questo modo spiegheremo la ragione delle mie vesti sporche. È chiaro?” Rin annuì. “Non dovrai aprire bocca, sarò io a parlare. Non appena torniamo di là voglio che tu rientri in casa e non esca di lì; non voglio che quegli sporchi uomini posano ancora il loro sguardo su di te. Va bene?” La bambina annuì nuovamente. “Ottimo, allora. Sei stata brava, mia piccola Rin,” le disse prima di sfiorarle la fronte con le stesse labbra che poco prima avevano baciato la guancia del mezzo demone.
 
Aspettarono ancora qualche minuto prima di procedere e poi Kagome emerse da dietro la capanna con uno sguardo intimorito e gli occhi un po’ bassi, l’immagine di una contadina ingenua che si faceva impressionare dagli sguardi apprezzanti dei suoi vicini, ma la mano salda sulle spalle della sorella.
 
Gli occhi di Kiyoshi si illuminarono con malizia non appena la scorse, sebbene sulle labbra si dipinse un mezzo sorriso di scherno nonnotate le condizioni in cui si trovava, e Kagome chinò il capo per offrire un saluto, ma anche per cercare di nascondere un altro brivido causato dal modo in cui il monaco la guardava.
 
La giovane sacerdotessa sperava che l’incontro si protrasse il meno possibile perché non sapeva quanto i suoi nervi potessero resistere sotto gli sguardi lascivi di quei rozzi cacciatori e quello da predatore del monaco.
 

 
Nel frattempo, Inuyasha continuava a percorrere gli stretti corridoi sotterranei velocemente, quasi come se avesse i cacciatori e gli spiritualisti di nuovo alle calcagna. Non era abituato a fare granché durante le notte di luna nuova, rimaneva sveglio e sovrappensiero mentre si nascondeva come un codardo, come tutti i mezzo demoni d’altronde. Le uniche volte in cui era uscito allo scoperto erano state durante l’incontro con Miroku e quando aveva conosciuto Kikyo, ma scosse velocemente la testa per cancellare il ricordo di quella notte buia. Ora i ricordi di lei non sprigionavano più calore, non gli davano più sollievo, non lo spronavano più a combattere; ora c’era solo rabbia mista a dolore.
 
Come avrebbe superato il resto della guerra? Come avrebbe continuato a combattere se non aveva più un sorriso caldo a cui aggrapparsi? Era stato solo dal giorno in cui la mamma era stata uccisa e lui non lo aveva mai saputo.
 
Pensa a superare questa giornata e poi penseremo al resto della guerra, gli disse un voce interiore e lui concordò. Doveva superare questi angusti tunnel e poi le guardie di confine incolume, solo allora avrebbe potuto ricominciare a preoccuparsi per il tradimento di Kikyo. Ogni minuto che passava l’amore si trasformava in odio cieco e collera.
 
Si ritrovò contento delle scorte che Kagome gli aveva preparato prima di lasciare il tempio e bevve un lungo sorso d’acqua. Non era abituato a correre in quella forma e quindi non era abituato nemmeno ai polmoni che richiedevano aria e pausa dopo un po’; le tante goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e inzuppavano la veste di hinezumi. Non sapeva quanto tempo era passato da che si erano separati né quanto tempo gli restava per raggiungere l’uscita, sapeva, però, che il ritorno delle sue forze demoniache non era imminente perché continuava a sentirsi sempre più debole man mano che correva come il forsennato in quella dannata forma umana.
 
Fu costretto a fermarsi a un certo punto, si chinò in avanti, una mano appoggiata al muro sulla sinistra e l’altra sul ginocchio destro, la torcia appoggiata in una rientranza. Si rendeva conto quanto quei cunicoli fossero davvero una manna dal cielo e quanto le due ragazze erano state provvidenti. Lui però, nonostante fossero molto più larghi di quella specie di tana che avevano attraversato all’inizio, continuava a sentirsi intrappolato lì sotto, lui che era abituato a volare tra le chiome degli alberi in libertà e al vento che gli scompigliava i lunghi capelli.
 
Doveva uscire il prima possibile, non voleva restare troppo sottoterra; l’aria continuava a scarseggiare e si rendeva conto che il modo in cui stava respirando e correndo non lo aiutava in quello. Dopo un altro sorso d’acqua riprese la corsa, questa volta più controllata, sperando di essere quasi alla fine.
 

 
Inuyasha non seppe dire con certezza quanto tempo fosse passato nel momento in cui finalmente scorse una luce che non era data dalla fiammella che ancora teneva in mano. Proprio come Kagome gli aveva detto, l’uscita del tunnel era bloccata e nascosta come quella dell’entrata: non avrebbe dovuto attraversare una piccola tana, però, doveva solo riconoscere la botola e risalirla. Gli aveva spiegato che nel punto in cui il tunnel finiva non c’era alcun modo di nascondere l’entrata così bene come avevano fatto dietro al tempio, ma siccome era un punto deserto e abbastanza morto nessuno si sarebbe fermato e in ogni caso sarebbe comunque servita un’attenta investigazione per trovarla.
 
La luce era solo un punto… un foro fatto nella botola per segnalare ai viaggiatori sottoterra che erano finalmente arrivati a destinazione prima ancora che raggiunsero la fine del corridoio.
 
Eseguì alla perfezione le istruzioni che Kagome gli aveva dato e il più velocemente possibile aprì la botola e liberò l’uscita. Come un uomo assetato nel deserto, inspirò l’aria fresca che proveniva da fuori prima ancora di risalire. Si coprì i deboli occhi accettati improvvisamente dalla luce del sole e poi uscì. La prima parte era conclusa e lui si trovava fuori dalla foresta, a un passo dal confine a nord delle terre di suo padre.
 
Non poteva dire quanto fosse passato, ma non sentiva ancora le forze tornargli. Cosa avrebbe fatto ora? Nessun cacciatore lo avrebbe scoperto, ma avrebbe dovuto affrontare le guardie al confine in quella forma umana. Sapeva che nessun demone avrebbe accolto bene un umano che si presentava davanti a loro, erano in guerra dopo tutto.
 
Non aveva scelta, non poteva sostare così all’aperto senza nemmeno essere armato; Tessaiga non si trasformava da umano e non aveva nemmeno più artigli. Doveva solo sperare che la veste e la spada al fianco potessero essergli utile per farsi riconoscere.
 
Percorse quello che poco che gli rimaneva per raggiungere il confine ancora più velocemente – l’aria fresca e la luce lo rendevano più veloce, forse? – e senza nemmeno tentare di nascondersi si presentò davanti ai cancelli. Con suo sommo dispiacere riconobbe una delle guardie come Michi, un demone toro che non aveva mai sopportato la presenza di Inuyasha a corte, né il potere che aveva in quanto secondo figlio del generale. Fece una smorfia e si preparò al peggio. Confidò nel fatto che nessuno di essi volesse perdere la pelle, d’altronde se uno di loro osava ucciderlo anche da umano, suo padre non avrebbe esitato a giustiziarli lui stesso.
 
Vide le quattro guardie mettersi all’attenti nel momento in cui sbucò nella radura che ospitava l’accesso alle terre e li vede sguainare le spade. Più veloce di quanto avrebbe immaginato, il mezzo demone afferrò Tessaiga e se la portò davanti al volto per riconoscimento – avrebbe potuto ancora utilizzare la barriera del fodero almeno, nel peggiore dei casi – e gridò: “Fermi! Sono Inuyasha, figlio dell’Inu-no-Taisho.”
 
Il demone cane che era partito subito all’attacco si fermò improvvisamente a quelle parole. Non aveva mai visto il mezzo demone in quella forma, perché mai odorava di umano?
 
Katsuo sapeva che il secondo figlio del generale era scomparso ieri mattina e non c’era da escludere il fatto che la sua condizione attuale fosse il risultato di qualsiasi cosa gli fosse successa nel mentre. Non dubitò le parole del principe, riconoscendo sia la zanna che teneva in mano e le vesti che indossava, senza contare l’odore familiare che ancora lo contraddistingueva nonostante la forma umana. Alzò il braccio e fece segno agli altri di fermare l’attacco, ma voltandosi leggermente verso di loro ne trovò solo due. Sgranò gli occhi e si girò nuovamente verso Inuyasha.
  
Michi aveva completamente ignorato le parole del mezzo demone ora umano e prendendolo da dietro lo scaraventò a terra prima ancora che quello potesse reagire; Inuyasha non aveva avuto scampo, il toro muovendosi in modo scaltro aveva evitato ogni tipo di suono che sarebbe potuto giungere alle sue orecchie umane. Il demone gli schiacciò il petto con uno stivale mentre gli puntava la spada alla gola, Tessaiga gli volò via dalle mani e Inuyasha si ritrovò ancora una volta a un passo dalla morte.
 
Le cose si erano mosse molto più velocemente di quel che aveva creduto possibile: Michi sarebbe stato capace di ucciderlo pur sapendo che la morte lo aspettava di sicuro se avesse osato? Lo sguardo compiaciuto e diabolico di lui fu una risposta adeguata.
 
“Bene, bene, cosa abbiamo qui? Gli umani non sono accolti molto bene nelle nostre terre ultimamente, non lo sapevi?” disse Michi ghignando.

 


N/A: C'è solo un altro ostacolo da superare mentre Kagome dovrà inscenare ancora una piccola farsa per salvaguardarsi dai cacciatori e i monaci. Ce la faranno i due? 

Il prossimo capitolo sarà caricato ancora una volta tra circa una settimana. Come al solito, lasciate un commento se vi va. 

A presto! 

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Capitolo 5
*** Sfortuna ***


Capitolo Cinque: Sfortuna
 

 
“Correva, con gli occhi sgranati, vedendo pochissimo della terra e nulla del cielo. Era perfettamente conscio della solitudine, del silenzio, della pace, ma ancora correva, facilmente, irresistibilmente. Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò.”




 
 
Il sole non era ancora calato quando Koga e il suo branco di lupi stavano tornando verso il castello dove Toga aspettava notizie da lui.
 
Proprio come il Generale aveva ordinato, quella mattina lui e un gruppo scelto si erano recati verso il confine seguendo le tracce di Inuyasha. Avendo notato che proseguivano oltre, in terra nemica, Koga stava per mandare i due demoni più veloci oltre lui a chiedere i rinforzi e addentrarsi oltre il confine ma non ne ebbe il tempo perché delle voci dall’altro lato lo bloccarono.
 
Ordinò quindi agli altri di non fiatare mentre lui oltrepassava il confine e tentava di ascoltare quello che dicevano – dopo essersi assicurato che non ci fosse nessun uomo dotato di poteri spirituali tra loro.
 
Erano tre cacciatori, alti, spalle larghe, braccia possenti e… zero cervello.
 
Era evidente che la guerra non aveva insegnato molto a questi imbecilli visto che se ne stavano vicino al confine nemico, blaterando a voce alta roba che magari si sarebbero tenuti per sé se avessero avuto un briciolo di intelligenza – beh, meglio per lui. Non che si aspettasse nulla dai cacciatori, uomini più crudeli e spietati dei peggiori demoni quando si trattava di uccidere e mutilare.
 
Purtroppo, però, in quello che il demone lupo ascoltò non c’era nulla di buono. Scoprì che quella notte Inuyasha era stato sorpreso molto a Est – che diamine aveva combinato quel dannato botolo ringhioso? Perché era andato in pieno territorio nemico? – e che dopo una caccia abbastanza lunga era stato colpito da una freccia sacra ed era caduto.
 
Koga sapeva che per i mezzo demoni una freccia sacra non rappresentava la morte ma solo la trasformazione in umano. A quel punto in guerra entravano in gioco i cacciatori che prima di ucciderli si divertivano il più possibile con loro. Però la preda che avevano catturato era il figlio del Generale e sentì che avevano intenzione di usarlo come merce di scambio per un monaco che si trovava attualmente nelle prigioni del castello.
 
Il demone lupo non si faceva illusioni, sapeva che anche se questo aveva assicurato Inuyasha la salvezza, non gli assicurava meno sofferenza. Un cipiglio profondo si materializzò sulla suo fronte al pensiero e subito dopo fece una smorfia. Come avrebbe rivelato all’Inu-no-Taisho che suo figlio, l’amato figlio nato dalla moglie ormai morta, era attualmente nelle mani di uomini sadici e senza cuore?
 
Koga avrebbe voluto prendere almeno uno di quei cacciatori in ostaggio e uccidere gli altri due – meno ce n’erano in giro meglio era – ma non ebbe tempo perché sentì del potere spirituale che si avvicinava e senza pensarci due volte rientrò nei confini demoniaci. Raccontò ai suoi compagni l’accaduto e loro, come in un corteo funebre, si voltarono verso Ovest per tornare al castello.
 
In realtà, se Koga fosse rimasto anche solo cinque secondi in più ad ascoltare quello che i cacciatori stavano dicendo, avrebbe capito che sì, Inuyasha era stato colpito da una freccia sacra, ma non era stato catturato e al momento nessuno sapeva dov’era. Non era stato preso prigioniero e c’era ancora speranza.
 
Se Koga fosse rimasto anche solo cinque secondi in più, avrebbe risparmiato al Generale momenti di agonia che un cuore già debole e provato non dovrebbe mai sperimentare.
 



L’aria che si respirava a castello subito dopo che Toga ebbe ricevuto la notizia da Koga non era delle migliori. La spedizione che aveva dato la notizia era sollevata di non essere stata vittima della rabbia del Generale, ma… il demone cane era sempre stata un’anima magnanima. Anche durante i suoi momenti peggiori era sempre stato equo e giusto.
 
Sì, Toga era estremamente deluso del fatto che nessuno lo avesse informato della scomparsa di Inuyasha, ma non c’era nessuno contro cui puntare il dito e l’angoscia e la paura che gli attanagliavano il cuore al momento erano più forti della rabbia. Non voleva nemmeno immaginare quali erano le torture alle quali stavano sottoponendo suo figlio al momento. Che avrebbe potuto fare Inuyasha contro loro nella sua forma umana?
 
Fosse stato informato in tempo, lui stesso sarebbe andato in cerca del figlio, anche se in terreno nemico – per uno come lui non ci sarebbe voluto molto per tornare al castello. Avrebbero fatto ancora in tempo a salvarlo, ovunque quello stupido si fosse cacciato, perché stando a quanto detto da Koga era stato catturato solo poco prima dell’alba.
 
Dannazione!
 
Era stanco di tutto, di vedere giovani morire in continuazione, di sangue versato inutilmente – proprio come l’ultima volta – di soffrire. Il cuore si strinse al pensiero della moglie che ormai mancava da due anni, il cui ricordo era ancora vivido, impresso nella mente, quel sorriso e gli occhi pieni d’amore. Cosa avrebbe detto Izayoi se avesse saputo che non era riuscito a salvare nemmeno Inuyasha da quelle sofferenze? Cosa gli avrebbe detto se avesse saputo che chiuso in se stesso a causa del dolore Toga aveva ignorato il dolore del figlio?
 
Magari, avesse prestato più attenzione a Inuyasha, avrebbe saputo perché si era spinto tanto oltre in territorio nemico. Ma lui non lo sapeva, no, Toga non conosceva più chi era diventato il figlio in quegli ultimi due anni e non aveva idea di cosa potesse essergli successo.
 
“Mi stai guardando ora, Anata?” sussurrò al vento mentre dalla finestra della camera che un tempo era stata di entrambi osservava le distese di terre che da sempre si occupava di difendere. Eppure non era riuscito a difendere la sua amata, né suo figlio. “Ti ho deluso, vero? Cosa mi diresti ora sapendo in che modo vergognoso ho fallito sia con te che con nostro figlio?”
 
Gli occhi, della stessa tonalità dorata del secondogenito – quelli di Sesshomaru, invece, erano leggermente più scuri – si fecero lucidi, ma nemmeno una lacrima fu versata. Non aveva intenzione di versarne per un figlio la cui sorte era ancora sconosciuta e che molto probabilmente non era ancora morto.
 
Se lo sarebbe ripreso, avrebbe concluso questa guerra inutile per una volta per tutte. Si sarebbe ripreso il figlio e gli avrebbe chiesto perdono. Nulla era ancora perso.
 
La prima cosa da fare sarebbe stato interrogare i prigionieri attualmente nei sotterranei, qualcuno tra loro gli era sembrato più disposto a collaborare di altri. Magari sarebbe riuscito a carpire qualche informazione utile.
 
Il volto si fece serio, l’espressione si indurì. Il grande demone cane girò sui tacchi e lasciò le sue stanze determinato a non concludere quella dannata guerra con un altro profondo rimpianto.
 
Dalle pareti di quella stanza che aveva appena lasciato, il volto di una donna dai lunghi capelli color dell’ebano e gli occhi dolci, gli sorrideva.
 



Kagome osservava il sorriso beffardo di quel monaco mentre avanzava verso il gruppo, il braccio stretto attorno alle spalle della sorella e l’obiettivo saldo in mente. Dall’espressione scontenta che quasi tutti avevano, era evidente che avevano cercato in lungo e largo, magari seguendo anche la pista lasciata da Rin con il sangue di coniglio, e non avevano trovato nulla.
 
Magari, pensò la ragazza, sarebbe potuta riuscire a convincerli che il demone era scappato oltre i confini anche se le tracce evidenti sparivano molto prima.
 
Kiyoshi le piaceva sempre di meno e sperava che il suo piano funzionasse; non poteva sopportare la sua presenza un altro po’. Diede un colpetto alla sorella per comunicarle di andare dentro e Rin obbedì senza problemi mentre lei alzava il viso e cominciava a parlare. “Buon uomini. Vorrete scusare il mio ritardo, ma il giardino si riempie sempre di erbacce ed è davvero una condanna,” disse passandosi le dita prima sui pantaloni per ripulirli e infine sulla guancia per togliere quel terriccio con il quale si era sporcata poco fa.
 
“Oh, non ti preoccupare, giovane sacerdotessa. È un piacere sapere che voi tutte riuscite ancora a occuparvi di queste faccende quotidiane nonostante la guerra abbia cambiato il nostro stile di vita. Mi spiace disturbare ancora, ma avremo bisogno nuovamente della vostra assistenza.” Il sorriso malefico si addolcì leggermente ma fallì nel tentativo di confortare Kagome.
 
La ragazza non riusciva a credere che quell’uomo pensasse veramente di esserle simpatico o di scaturire un sentimento diverso dal disgusto in lei; era sicura usasse le dolci parole, gli sguardi in teoria caldi, per catturare l’attenzione e i favori delle donne. Magari non era uno di quelli che violentava le donne sole in guerra, ma sicuro si approfittava della loro solitudine in altro modo. Le era stato chiaro nel momento in cui si era rilassato quando Kagome aveva finto di essere una giovane e ingenua ragazzina pronta a pendere dalle sue labbra. Purtroppo per lui, in quel villaggio era cascato proprio male.
 
“Ma certo, venerabile monaco. Come posso essere d’aiuto? Per caso avete bisogno di assistenza con qualche ferita che i vostri uomini si sono procurati nella battaglia con il demone? Spero non abbiate dovuto combattere per molto. Vi siamo molto grate per il servizio che ci offrite; non oso immaginare a come starei in pena sapendo che quel mostro è a piede libero,” disse con grande sforzo. Quelle parole avevano un sapore acidulo in bocca.
 
“Mi spiace deluderti, giovane donzella, ma non siamo riusciti a trovare traccia del demone,” cominciò Kiyoshi. “Abbiamo seguito le tracce da te indicateci, ma non abbiamo trovato la nostra preda. Il sangue si interrompe improvvisamente all’inizio di un ruscello.” La guardò dritta negli occhi e Kagome sentì un altro brivido percorrerle il corpo; era come se l’uomo cercasse di scrutarle l’anima, carpirne i segreti. Ciò nonostante non si fece abbattere e mantenne la sua recita. Dovevano pur sempre continuare a fare la parte della ragazzina spaurita.
 
Si avvicinò a Kaede, il corpo scosso dai tremiti, mentre calava il viso e faceva finta di piangere. L’anziana donna le cinse immediatamente le spalle e cercò di darle conforto.
 
“M-ma… ma come…” cominciò Kagome. “N-ne siete proprio sicuri?” Non osò alzare ancora una volta gli occhi verso il monaco perché era sicura che se le avesse fatto l’intera recita sarebbe saltata. In quel momento non poteva nascondere l’odio che provava.
 
“Sicurissimi. Le tracce scompaiono al ruscello che prosegue verso i confini demoniaci.”
 
“C’è motivo di credere che il demone abbia utilizzato il ruscello per far perdere le sue tracce allora?” si intromise Kaede. “Se è quello che si dirige a Ovest allora potrebbe aver deciso di proseguire attraverso di esso. Infatti, se ricordo bene, si addentra in quelle terre.”
 
Kiyoshi indurì ancora lo sguardo. Aveva sperato che la vecchiaccia non si intromettesse, ma evidentemente la giovane sacerdotessa era più provata di quanto aveva immaginato dall’accaduto e ovviamente la nonnetta era corsa in soccorso. “Potrebbe anche essere. Ma dubito possa aver già raggiunto il confine; era ferito e probabilmente in forma umana quando ne abbiamo perse le tracce,” rispose suo malgrado. Si risolve poi di nuovo alla ragazza, imperterrito. “Giovane sacerdotessa, tu non sai dirci nulla di più di quel che ci hai rivelato stamattina?”
 
Kagome, il corpo ancora scossi dai singhiozzi, scosse la testa. “N-no. Come v-vi ho detto non ho a-avuto il coraggio di a-a-accertarmi di altro sentiti i g-grugniti e visto il sangue. Mi d-dispiace… n-non avevo il mio a-arco; non p-potevo fare molto.”
 
L’espressione arcigna di Kiyoshi si intenerì per un momento e cercò di avvicinarsi ancora un po’ alla ragazza ma un’occhiataccia di Kaede lo fermò. I due si guardarono in cagnesco per qualche minuto mentre la sacerdotessa stringeva ancora di più in un abbraccio la ragazza. Non avrebbe lasciato che questo viscido monaco si avvicinasse ancora una volta a Kagome.
 
“Mi dispiace molto, buon uomo, ma come vede mia nipote è molto scossa. Eppure vi ha detto tutto quello che sapeva. Sareste disposto a farla soffrire ancora di più ricordandole eventi più che spiacevoli? Sono sicura che un uomo di Buddha come lei possa capire bene.” Gli riservò un’altra occhiata tagliente e suggestiva. L’uomo di Buddha doveva anche ricordare che toccare in certi modi una donna, non sposata e per giunta serva degli Dei, era sconveniente.
 
Kiyoshi strinse la mascella rendendosi conto di non poter fare di più se voleva mantenere le apparenze; se avesse forzato la mano alla vecchia avrebbe anche perso tutta la fiducia della ragazza che aveva conquistato. “Certo. Ci ha detto tutto quello che sapeva,” ripeté. “Non dovete preoccuparvi comunque, troveremo quell’animale e verrò a darvene notizia non appena il compito sarà svolto come vi avevo promesso. Non vorrei mica che tre donne sole come voi debbano rischiare tali pericoli,” aggiunse tra denti stretti. Kaede lesse la minaccia implicita in quelle parole e mentalmente pregò qualsiasi Dio che quell’uomo non potesse più tornare a far visita alla nipote. I suoi sguardi non promettevano nulla di buono e non era più sicura che la sua posizione come uomo di Buddha gli impedisse di compiere certi atti.
 
Offrì al monaco un altro cenno della testa e aspettò che abbandonassero la radura nuovamente, questa volta decisamente più scontenti di prima. Dopo qualche minuto riportò dentro la ragazza che non aveva smesso nemmeno per un secondo di tremare e tutte e tre si posizionarono davanti al fuoco. Quando Kagome alzò nuovamente il volto, questo era cinereo e le mani le tremarono ancora un po’ mentre accettava la tazza di tè che la sorella le offriva. Il suo era stato un atto certo, ma quel monaco le incuteva sempre più timore e la sua ultima promessa le era sembrata più una minaccia.
 
“Da questo momento in poi,” cominciò Kaede rivolta a entrambe le ragazze, “non voglio che vi allontaniate nemmeno per un secondo da me. Restate sempre insieme, tu Kagome porta sempre il tuo arco con te. Non c’è da scherzare con quegli uomini, sono peggio dei demoni e i nostri poteri non hanno alcun effetto su di loro.”
 
Entrambe annuirono e Kaede alzò lo sguardò. “Speriamo che la guerra vi rispiarmi altri orrori, mie giovani ragazze,” mormorò prima di bere il suo tè.
 

 
Toga non aveva perso molto tempo a dirigersi verso le prigioni per interrogare gli umani che erano stati catturati recentemente. Il figlio maggiore, appena notata la direzione in cui il padre si stava avviando, lo aveva seguito senza proferire alcuna parola.
 
L’atteggiamento di Sesshomaru in quelle ore non era stato diverso da quel che il Generale aveva immaginato. Sesshomaru odiava il suo secondogenito, come molti altri in quelle terre lo riteneva un abominio e soprattutto non aveva mai perdonato al padre la sua scelta di copulare con un’umana. Lui che era nato da un’alleanza politica e che non aveva nemmeno contatti con la madre – eppure Toga si stupiva di quanto il figlio avesse preso da lei, nonostante non l’avesse mai veramente conosciuta e lui avesse sempre cercato di instillare nel figlio saldi valori – non poteva concepire il fatto che Inuyasha fosse frutto dell’amore che suo padre provava ancora per quella misera donna umana.
 
Avevano litigato molto, sia prima che dopo la sua morte, e suo malgrado la loro relazione si era fatta difficile. Non era mai riuscito a creare quel rapporto che con Inuyasha si era sviluppato naturalmente, ma dopo il suo matrimonio con Izayoi le cose erano solo peggiorate. In seguito alla morte di lei Sesshomaru aveva provato ancora più sdegno per il padre; lo aveva definito un debole e non degno del titolo che portava se si riduceva in quel modo solo per una donna umana che sarebbe dovuta morire già tempo addietro. Quella era stata l’ultima volta in cui i due si erano rivolti la parola se non si consideravano gli ordini che il padre gli dava in riferimento alla guerra. Toga, per la prima volta in vita sua, aveva attaccato il figlio che, pur essendosi difeso egregiamente, era caduto sotto i gesti esperti del genitore. Toga gli aveva dimostrato chi era davvero il debole.
 
Sesshomaru, nonostante tutto, continuava a nutrire ammirazione per il padre ma la delusione e la distanza erano ormai incancellabili.
 
La notizia della scomparsa del fratello minore non avevano migliorato il suo umore. La gelosia non era un sentimento che lo toccava, ma il sangue gli si ribolliva al solo pensiero del padre che, ancora una volta, si lasciava andare a sentimenti che non erano degni di lui, al pensiero di quella donna che ancora si metteva in mezzo tra loro due tramite quell’indegno ammasso di carni.
 
Assistette dunque all’interrogatorio del padre senza fiatare, raccogliendo quante più informazioni possibili. Tre erano attualmente i prigionieri – coloro che catturavano non resistevano mai abbastanza sotto le abili cure dei suoi sottoposti e di conseguenza non erano mai molti – e tra di loro un solo monaco, gli altri due erano cacciatori.
 
Il monaco era colui sul quale il padre si concentrò maggiormente. Il generale non volle ascoltare i resoconti dei due cacciatori che cercarono di infastidirlo raccontandogli i vari metodi che venivano utilizzati solitamente per torturare i mezzo demoni che cadevano nelle loro mani. Sesshomaru non sapeva in che modo il padre si era trattenuto dallo spezzare il collo a entrambi; aveva percepito l’aura arrabbiata che lo circondava. Ammirò il suo controllo ma lo sguardò si assottigliò: come poteva permettere a certa feccia di parlargli in quel modo? Fece segno alle guardie di proseguire, ma il padre in risposta lo incenerì con lo sguardo e bloccò le guardie.
 
“Non abbassarti al loro livello, figliolo.”
 
Sesshomaru non rispose, ricambiò solo lo sguardo e Toga ritornò a rivolgersi al monaco – le cui condizioni attualmente non erano migliori degli altri due. “Come ti chiami?” gli chiese. Il figlio derise il suo bisogno di formalità, ma lui lo ignorò e aspettò una risposta dal monaco.
 
“Miroku,” rispose quello mantenendo lo sguardo del demone cane i cui occhi brillarono nel momento in cui udì la risposta.
 
“Miroku… il tuo nome non mi è nuovo. Ci siamo già incontrati sul campo di battaglia per caso?”
 
“Lei è abbastanza famoso nell’esercito umano, Generale, ma le assicuro che mi sarei ricordato se avessi incontrato un demone dai capelli del suo colore,” offrì Miroku. Il suo portamento rimaneva fiero nonostante l’aspetto debilitato e i movimenti bloccati.
 
“Come sei finito prigioniero nel nostro castello?” Toga continuò. Non riusciva proprio a ricordare perché quel nome gli fosse familiare. “Ti eri forse inoltrato nei nostri confini cercando di effettuare qualche manovra scaltra?”
 
Il monaco rise in risposta, nonostante la situazione. “Non sono mica così pazzo, Generale. Ero solo al momento della cattura. Crede che mi azzarderei ad attaccarvi senza aiuto? Senza contare poi che non ho mai attaccato per primo. Coloro che ho ucciso l’ho fatto sempre e solo per legittima difesa.”
 
Toga alzò un sopracciglio. “Vorresti farmi credere che non ti sei mai macchiato di qualche crimine durante questa guerra? So bene come funziona il vostro esercito, venerabile monaco. Come so che molti, siano essi cacciatori o sant’uomini, non hanno esitato a usare le loro buone maniere sui i loro stessi uomini e sulle donne indifese.” I cacciatori nella stessa cella sorrisero beffardi come per dargli conferma, Toga li guardò con disgusto condiviso anche dalle guardie e dal figlio.
 
“Generale, posso immaginare l’idea che si è fatto del nostro esercito. Siete un demone centenario e sicuramente ha più esperienza di me. Tuttavia ciò non implica che io debbia condividere le idee dei miei compagni così come immagino anche che all’interno del vostro non tutti condividono la stessa opinione.” Gli risolve un’occhiata significativa; non che gli fosse sfuggito il disgusto negli occhi di Sesshomaru quando il padre aveva parlato del mezzo demone. Toga annuì e poi aspettò che il monaco continuasse. “Non ho mai amato l’idea di questa guerra, né creduto molto nei suoi motivi. L'ho odiata quando ho visto con i miei occhi a cosa ci stesse riducendo e per questo motivo mi sono sempre limitato a difendermi e ho preferito investire i miei sforzi nel contenimento dei danni. Mi sono indaffarato nel cercare di aiutare le donne indifese, i villaggi sfollati e i bambini orfani e affamati, nonostante mi fosse sempre stato ripetuto che, in quanto monaco abbastanza dotato, dovevo solo occuparmi dell’attacco. Ed è facendo questo che sono stato catturato,” ammise infine. “Alcuni soldati del vostro esercito mi hanno catturato nelle nostre terre mentre ero di ritorno da un piccolo villaggio sul confine; avevo appena portato ai pochi superstiti delle razioni.”
 
“Vorresti dirmi che non ti hanno catturato durante un’offensiva?” chiese ancora Toga stupito dal suo racconto.
 
Miroku scrollò le spalle. “Certo, potrei dirlo, ma lei mi crederebbe? La mia parola contro quella dei suoi soldati.”
 
Toga non rispose. Certo che poteva crederci, aveva visto alcuni di quelli che popolavano il suo esercito. Il marcio esisteva da entrambi i lati eppure non diede alcun segno al monaco né a suo figlio e alle guardie che lo stavano osservando; mantenne la sua espressione neutra.
 
“Hai detto che ti hanno sempre ritenuto un monaco piuttosto valido. Credi che la gente che guida il tuo esercito possa pensare di venire a ritirarti? Ti ritengono tanto importante?”
 
“È possibile,” rispose Miroku. “Non ne sono rimasti molti come me,” ammise, “ma non so quanto possa servire. Inoltrarsi fin qui per un’operazione di salvataggio e nel frattempo perdere altri uomini? Non ne vale molto la pena.” Poi parve ripensarci su e aggiunse, “Tuttavia non sono tutti strateghi e potrebbero pensare a un piano così stupido. Se invece, come lei crede, hanno preso ostaggio suo figlio, ci sarebbero ancora più possibilità. Le somiglia molto?”
 
“Sì. Il colore dei capelli non passa inosservato.”
 
“Non so che altro dirle, Generale. Sia io che suo figlio siamo stati molto sfortunati,” Miroku disse con chiaro riferimento sia alle condizioni in cui era stato catturato che al trattamento riservatogli, non credendo nemmeno per un secondo che il mezzo demone se la stesse cavando meglio.
 
Toga strinse i pugni ripensando a come l’azione sfrontata di qualche soldato invasato avesse probabilmente portato alla cattura del figlio. O forse si poteva considerare una fortuna? Se attualmente Miroku non fosse stato loro prigioniero suo figlio sarebbe stato ucciso dopo impensabili torture. Ciò, tuttavia, non giustificava le azioni di entrambe le parti. Toga non aveva mai giustificato la violenza gratuita e constatò con piacere che il monaco condivideva le sue opinioni; era stato sincero nel dirgli che non aveva mai voluto la guerra.
 
Eppure guarda un po’ dove si trovava nonostante tutto. A condividere una cella buia con due cacciatori crudeli e violenti.
 
Annuì un’ultima volta e alzandosi lasciò la cella, non prima di aver rivolto le sue ultime parole al monaco. “Grazie per la tua disponibilità, Miroku. Mi spiace che le circostanze del nostro incontro non siano state migliori.”
 
“Si figuri, Generale,” rispose allora Miroku. Non faceva a lui una colpa della sua attuale situazione; era sempre stato a conoscenza delle sue vedute, anche prima dello scoppio della guerra. Un demone del suo calibro che prendeva in sposa una donna umana e l’amava in quel modo non sarebbe mai potuto essere la bestia crudele che alcuni nel suo esercito cercavano di dipingere. “Speri solo che suo figlio faccia una fine migliore della mia.”
 
Forse Toga sarebbe dovuto restare qualche minuto in più quella angusta cella o forse avrebbe dovuto rivolgere qualche ordine ben preciso alle guardie, ma non lo fece e i tre rimasero da soli con le suddette e un Sesshomaru che stavolta non si affrettò a seguire il padre.
 
Lo sguardo che il demone maggiore rivolse ai prigionieri avrebbe intimidito molte altre persone, ma non Miroku che ormai era un uomo rassegnato e consapevole di aver fatto quel che poteva in quella maledetta guerra. Mantenne dunque lo sguardo del demone cane per tutto il tempo, mentre le dita di quest’ultimo si alzavano per far segno alle guardie.


 

 
 
“Che stai facendo, Michi? Liberalo immediatamente. Sei impazzito? Quello è il figlio del Generale. Se gli torci anche solo un capello firmi la tua condanna a morte,” urlò Katsuo non appena ebbe studiato la situazione.
 
“Come fai a dirlo, Katsuo? Per me non è altro che un umano che cerca di intrufolarsi tra le nostre file. Il figlio del Generale è scomparso e questo potrebbe benissimo aver rubato la veste e la spada dopo averlo fatto fuori.”
 
“Tu hai perso il cervello. E pensi che il padre non riconoscerebbe il figlio? Usa i tuoi dannati sensi! Sarà pure un umano adesso ma odora sempre del Generale. Michi…” ricominciò Katsuo mentre osservava l’altra guardia esercitare ancora pressione sullo sterno del mezzo demone, “non fare stronzate. Liberalo. Rischi grosso.”
 
Il toro continuava a guardare beffardo il mezzo demone con un ghigno spaventoso sul volto e troppo preso dalla voglia di uccidere Inuyasha – ovviamente lo aveva riconosciuto, quella puzza e quel volto rimanevano inconfondibili nonostante le sembianze umane, senza contare che in quella forma assomigliava ancora di più all’umana – non si accorse che Katsuo aveva fatto segno alle altre due guardie di circondarlo.
 
Queste lo presero alla provvista e Michi, anche se di riflesso, fece scivolare la lama della spada puntata alla gola di Inuyasha e per poco non gli tranciò la giugulare. Tutti trattennero il fiato nel vedere il sangue affiorare sul collo del mezzo demone che sibilò dal dolore.
 
“Sei morto,” Katsuo ringhiò a Michi, mentre gli altri due lo trattenevano con la forza e lui si affrettava a soccorrere Inuyasha. La ferita non sembrava esageratamente grave, ma restava il fatto che era ancora in forma umana e ci era mancato poco che le cose andassero nel peggiore dei modi; un po’ più a destra e la spada gli avrebbe fatto un graffietto più considerevole.
 
Inuyasha si rialzò immediatamente e accettò il pezzo di stoffa che Katsuo gli porse per fermare il sangue che gli scorreva sul collo. Ringhiò a Michi prima di dirigersi senza troppe cerimonie verso il castello. Era decisamente stanco di riportare ferite in quella debole forma umana e non vedeva l’ora che le forze demoniache gli ritornassero.
 
Katsuo si affrettò a seguirlo dopo che i tre avevano immobilizzato Michi e poi legatolo; lo avrebbe portato con sé davanti al Generale. Non voleva certo presentarsi al suo cospetto con un figlio ferito e senza spiegazioni. Non voleva essere quello a rimetterci le penne. Le altre due guardie rimasero a controllare i cancelli con la promessa che sarebbero arrivati dei sostituiti non appena Katsuo avesse avvertito il comando.
 
Quando, non dopo poco tempo, arrivarono al castello, i tre videro un battaglione di soldati che si stava preparando a superare i confini nemici sotto l’ordine del Generale intenzionato a trovare coloro che avevano catturato il figlio. I soldati e comandanti riuniti all’esterno del castello si fermarono un attimo nel vedere arrivare un gruppo così strambo: un umano ferito e a piede libero mentre una guardia ne teneva un’altra legata e sottomessa.
 
Superato il momento di stupore, tra le file si fece avanti Koga che riconobbe immediatamente la figura dell’amico anche sotto quella forma – era l’unico oltre al padre a conoscere il suo segreto visto che era solito fargli compagnia nella notte di luna nuova anche per offrirgli protezione oltre che compagnia – e si precipitò ad accertarne le condizioni.
 
“Inuyasha!” urlò facendo sobbalzare gli altri che non lo avevano ancora riconosciuto, “che diamine ti è successo? Tuo padre è impazzito quando ha saputo della tua scomparsa. Sono arrivato al confine e ho sentito dei cacciatori che parlavano della tua cattura.” Si voltò a osservare i compagni con i quali era arrivato e alzò un sopracciglio alla vista del demone cane che teneva fermo il toro che continuava a dimenarsi. “Katsuo, perché mai hai legato Michi?”
 
Katsuo fece una smorfia in risposta prima di parlare. “È stato lui a ferire Inuyasha.” Indicò la ferita al collo che il mezzo demone ancora si teneva. “Lui si è fatto subito riconoscere, anche sotto questa forma non ci è voluto molto a capire chi fosse, ma Michi lo ha attaccato comunque.”
 
Inuyasha sbuffò quando il demone cane ebbe finito il resoconto e fermò Koga prima che potesse prendere a pugni Michi; aveva riconosciuto lo sguardo omicida che l’amico assumeva ogni volta che qualcuno osava prendersi gioco di lui. Koga era un buon amico, talvolta si scontravano ma erano cresciuti insieme e si erano sempre guardati le spalle. Qualcuno gli aveva parlato alle spalle, accusandolo semplicemente di leccare i piedi al Generale tramite il figlio, proprio come parlavano male del mezzo demone a causa della sua natura, ma entrambi erano abituati a ignorare certi commenti.
 
“Muoviamoci,” Inuyasha intimò a Katsuo, “sono sicuro che a mio padre farà molto piacere sapere come svolgi bene il tuo compito, Michi.” Questa volta a ghignare fu lui. In più aveva fretta di presentarsi davanti al padre; sapeva che lo aspettava una bella ramanzina ma non voleva prolungare di molto il suo tormento. “Mandate altri due a fare da guardia al confine Nord. Katsuo e Michi verranno con me da mio padre,” ordinò poi alle file di soldati la cui missione era ovviamente saltata.
 
Mentre si avviava verso gli uffici del padre e Katsuo lo seguiva trascinando un riluttante Michi con sé, Koga lo affiancò ancora arrabbiato. “Mi dici che diamine ti è successo? Perché ti sei spinto fino al territorio nemico? Stai bene oltre a quello?” cominciò indicando la ferita al collo.
 
Inuyasha lo guardò male mentre proseguiva imperterrito, poi guardò se stesso. Era stanco, aveva corso per ore e l’acqua che Kagome gli aveva fornito era finita da tempo; le gambe quasi non lo reggevano più e il petto gli faceva male per l’eccessiva pressione che il bastardo aveva applicato poco prima. Decisamente non stava bene, non lo sarebbe stato fino a quando non sarebbe tornato al suo stato normale. “Non ho voglia né la forza di raccontare tutto più volte. Ascolterai la storia quando la racconterò a mio padre.”
 
Non erano nemmeno arrivati nel padiglione che ospitava gli uffici del Generale, quando videro quest’ultimo girare l’angolo in evidente fretta e osservare con occhi spalancati la figura del figlio ora umano. Toga aveva riconosciuto l’odore a distanza e si era precipitato ad accertarsi che la sua non fosse un’allucinazione. Constatò che il figlio, seppur non nelle sue migliori condizioni, era ancora vivo e vegeto e senza nemmeno perdere un attimo, lo strinse in un abbraccio stritolatore lasciandosi andare a manifestazioni pubbliche d’affetto che nessuno gli aveva visto fare da tempo.
 
Inuyasha, preso in contropiede, inizialmente rimase immobile, ma riconoscendo poi le emozioni del padre ne ricambiò il gesto. Le braccia si alzarono a stringere quella figura possente e, mentre senza vergogna affondava il viso nel suo petto, si ritrovò di nuovo a essere quel bambino entusiasta che accoglieva felice il padre di ritorno da una missione.
 
Ora, un mezzo demone di ben duecento anni, Inuyasha rimaneva sempre più esile e basso di Toga che lo stava stringendo in evidente sollievo, non credendo ai suoi occhi né al suo naso.
 
“Inuyasha…” disse mentre quelle emozioni rischiavano di prendere il sopravvento, “figlio mio.”

 



N/A: Finalmente Inuyasha è tornato sano e salvo al castello. 

Ho introdotto finalmente il personaggio di Sesshomaru che ho cercato di rendere quanto più possibile IC però accentuando i suoi lati negativi, ovvero prendendo come spunto più che altro dal Sesshomaru che Inuyasha e Kagome incontrano nelle prime puntate. 
Toga incontra Miroku e cominciamo anche a vedere un po' come ragiona il babbo. 
Nel prossimo capitolo abbiamo il confronto tra Inuyasha e Inu-no-Taisho oltre a uno sviluppo che credo vi scioccherà molto 🙊🙊🙊. 

Anata è un altro modo per indicare l'amata (non parlo Giapponese, sono cose che cerco in giro, ma in teoria dovrebbe significare anche il pronome 'tu'). In ogni caso, ho usato questo perché nel doppiaggio originale del terzo film "La spada del dominatore del mondo", la madre di Inuyasha lo usa per riferirsi al marito. 

Spero il capitolo vi sia piaciuto e di leggere alcune delle vostre opinioni. 

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Capitolo 6
*** Senza orme ***


Capitolo Sei: Senza orme
 
 
“Milton era già lontano, schiacciato dal vento e dall’acqua, marciava alla cieca ma infallibilmente, mugolando ‘Over the rainbow’.”
 
 
 
 
Dopo una piccola e commovente riunione a cui solo pochi eletti ebbero la gioia di assistere, non si perse troppo tempo in convenevoli e Toga prese subito in mano la situazione. La prima cosa che sicuramente non gli sfuggì fu l’odore del sangue del figlio in quella forma ancora umana, né il fatto che quello stesso odore circondava la figura della guardia tenuta sotto controllo da Katsuo. Avrebbe voluto avere più tempo per cercare una punizione degna del peccato di cui Michi si era macchiato, ma Inuyasha gli fece capire che c’erano cose più importanti di cui occuparsi e nessun tempo da perdere. Sebbene il sangue gli ribolliva nelle vene al pensiero dell’ennesimo affronto a suo figlio, soprattutto in un modo così vile e vigliacco, per il momento ordinò solo che il demone toro fosse immediatamente preso in custodia e sorvegliato perenemmente; ben presto avrebbe scontato la sua vera pena.
 
L’Inu-no-Taisho si diresse quindi verso il suo ufficio privato, seguito questa volta solo dal figlio minore e da Koga e, una volta da soli e fuori da orecchie indiscrete, pretese immediatamente tutte le informazioni da Inuyasha.
 
Il mezzo demone, senza soffermarsi troppo sul motivo per il quale si era trovato in territorio nemico, spiegò in che modo era stato circondato da un’armata di cacciatori e spiritualisti che avevano tentato di catturarlo e usarlo come esca per riprendersi un monaco attualmente loro prigioniero. Il padre non ci mise molto a capire che, sebbene Koga fosse suo amico, Inuyasha al momento non voleva rivelare certe informazioni e accettò la cosa. Era consapevole che avrebbe dovuto avere una conversazione ancora più privata con il figlio, una che era ormai tempo di intraprendere su molti versanti. Il mezzo demone proseguì raccontando della giovane sacerdotessa che aveva escogitato un modo per farlo uscire dalle terre nemiche senza che gli spiritualisti, ormai con le orecchie drizzate a percepire ogni singola aura demoniaca, se ne rendessero conto. Un piano che, nonostante Inuyasha non ne fosse stato molto contento, prevedeva la sua trasformazione in umano perché i passaggi sotterranei, benché fossero sconosciuti, non potevano nascondere la sua aura.
 
La partecipazione di Kagome in quello schema ben articolato aveva suscitato non poca sorpresa.
 
“Che diamine ti è saltato in mente?” esclamò Koga, “ti sei lasciato purificare di tua spontanea volontà da una sacerdotessa? Avrebbe potuto essere tutto un piano per intrappolarti dopo averti fatto credere di essere al sicuro!” Si passò la mano tra i capelli e rivolse all’amico uno sguardo carico di disapprovazione. Non poteva credere che in una situazione così tanto pericolosa si fosse lasciato andare così tanto in presenza del nemico.
 
“Zitto, Koga!” esclamò di rimando Inuyasha. “Cosa diamine ne vuoi sapere tu in che situazione ero? E poi, credo che Kagome mi avesse già dimostrato di essere affidabile dopo tutti i guai in cui è andata incontro solo per nascondermi agli occhi dei cacciatori. Se non fosse stato per lei e la sua famiglia ora sarei veramente loro prigioniero e chissà che cazzo mi avrebbero fatto!”
 
“Poteva essere tutto uno schema brillante: aiutarti per farti credere al sicuro e poi colpirti alle spalle!”
 
“E perché mai avrebbe dovuto fare tutti questi casini quando bastava denunciarmi la stessa notte in cui sono stato colpito, né? Ci pensi, lupo rognoso?”
 
I loro visi si trovavano ora a pochi centimetri di distanza, canini scoperti e sguardi omicida, mentre bassi ringhi si diffondevano nella stanza e Toga sospirava pesantemente per quel loro spettacolino. “Vorreste essere seri ogni tanto?” disse infine dividendo una volta per tutte i due demoni immaturi nonostante la loro età. “Penso che, essendo Inuyasha qui vivo e vegeto in procinto di recuperare i suoi poteri demoniaci, possiamo affermare con sicurezza che questa sacerdotessa che lo ha aiutato non è sicuramente un nemico. Ti prego di ricordare, Koga, che come tra di noi ci sono persone che non hanno voluto la guerra, così è lo stesso tra le file del nemico. Evidentemente Kagome-sama è tra queste persone e non ha esitato ad aiutare mio figlio. Sarò io stesso a porgerle i miei sentiti ringraziamenti quando questa ignobile guerra sarà finita.”
 
“Io non mi fiderei così facilmente, Toga-sama, se posso permettermi,” provò ad intercettare ancora una volta Koga che nutriva poca fiducia nei confronti di qualsiasi essere umano dotato di poteri spirituali.
 
“Non è il momento, Koga. Mio figlio è sano e salvo e, che tu ti fida o no, non credo che questa ragazza possa essere tanto stupida da denunciarlo dopo aver messo a rischio la sua vita. A che pro? D’altronde ora lui è qui in queste terre e lei dall’altro lato, si ritroverebbe in guai seri se rivelasse di aver aiutato il nemico. Quei cacciatori sanno essere molto spietati anche contro la loro gente, soprattutto le giovani donne,” continuò il generale con apprensione. “Questo è uno dei motivi per cui vorrei mettere fine a questo conflitto quanto prima. Sebbene anche noi non siamo liberi dai quelli interiori,” un dolore ancora fresco gli riaffiorò sul viso al pensiero della sua bella Izayoi; il braccio si alzò istintivamente a stringere le spalle del figlio, come se volesse accertarsi ancora una volta che almeno lui fosse scampato a tali orrori, “la situazione dei nostri nemici è peggiore. In questi due anni ho avuto modo di osservare in che modo se la cavano gli umani e, con sommo dispiacere, devo ammettere che a parte i fautori convinti, tutto il resto della loro gente muore per fame o per violenza da parte degli stessi cacciatori. Spesso anche a causa dei cosiddetti uomini di fede che hanno dimenticato la retta via.”
 
“Non dovremmo preoccuparci della nostra gente che muore?” chiese ancora Koga.
 
Sia Toga che Inuyasha gli rivolsero immediatamente uno sguardo inceneritore. “Come diamine puoi dire una cosa del genere Koga? Quei bastardi sarebbero capaci di violentare anche una bambina indifesa. Che colpa ne avrebbe lei se i suoi genitori o nonni hanno deciso di prendere parte a questa guerra malata? Sono persone innocenti, che siano in territorio nemico o meno!” Un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero di Kagome e la piccola Rin nelle mani di un uomo viscido come Kiyoshi.
 
“Ben detto, figliolo. Koga, non voglio sentirti più parlare in questo modo. Sei uomo onesto e un buon guerriero; so che arriverai senza troppi problemi al punto del mio discorso. Ora il problema principale sarà capire in che modo raggiungere la battaglia finale tra noi e gli umani. Questa guerra è durata anche troppo.”
 
“A questo proposito padre, credo che non avremo bisogno di scervellarci troppo. Saranno gli stessi umani a venirci incontro e a metterci a disposizione l’ultimo fondamentale scontro. Basterà solo preparaci adeguatamente,” si intromise Inuyasha. Non aveva ancora detto loro dell’attacco organizzato dalla fazione nemica.
 
“Di cosa stai parlando, figliolo? Ci devi dire ancora qualcosa?”
 
Inuyasha annuì, il viso ora incredibilmente serio. “Il motivo per il quale quella notte sono stato preso alla sprovvista dalle sentinelle è che ero troppo assorto nei miei pensieri e da quello che avevo appena ascoltato. Infatti, mi ero fermato ad un accampamento umano per sentire ciò che stavano dicendo e in questo modo ho scoperto che stanno progettando un attacco a sorpresa per riprendersi il monaco attualmente nelle nostre celle. Intendono trasformare i nostri punti di forza nelle nostre più grandi debolezze.”
 
“Dannazione!” Koga esclamò. “Quei deficienti continuano a crearci solo guai,” continuò riferendosi a coloro che avevano catturato Miroku. Si sapeva quanto, a volte, certe catture fossero solo motivate dal sadismo di alcune delle guardie sotto il comando di Sesshomaru. Ora che cos’altro dovevano causare?
 
“Silenzio, Koga, lascia che mio figlio continui. Quindi questi cacciatori vogliono riprendersi Miroku-sama. Allora aveva proprio ragione a dire che non sono proprio intelligenti e avrebbero potuto pensare a qualcosa del genere,” rifletté Toga.
 
“Hai parlato con lui, padre?”
 
“Hmm,” annuì il demone cane. “Quando Koga è giunto con la notizia della tua cattura ho cercato di trarre quante informazioni possibili dal monaco che purtroppo non ha saputo essermi d’aiuto più di tanto; povera anima sfortunata anche lui,” aggiunse.
 
Inuyasha fece una smorfia a quell’ultimo commento; era evidente che, come aveva previsto, Miroku non se la stesse passando bene. “Miroku è lo stesso monaco che mi aiutò quella notte di luna nuova in cui mi infiltrai nel territorio nemico,” rivelò.
 
Gli occhi del padre scintillarono. Quindi era per quello che il nome non gli era nuovo. Offrì un cennò della testa e il figlio proseguì.
 
“A quanto pare è uno bravo e la sua gente non è contenta del modo stupido in cui è stato catturato. Se anche riuscissero a liberarlo prevedo una bella ramanzina per lui, se non peggio.”
 
“Tsk, come se potessero riuscirci,” lo interruppe l’amico con l’espressione accigliata e le braccia incrociate, visibilmente infastidito dall’intera situazione.
 
Inuyasha lo guardò male poi continuò. “Hanno detto di voler usare i nostri maggiori sensi per metterci fuori combattimento. Non so esattamente in che modo, ma volevano usare le armi degli sterminatori per quello. Sei a conoscenza di qualcosa in particolare padre?”
 
Toga sembrò pensarci per un attimo, conosceva bene gli sterminatori e i loro modi di combattere. Prima che la guerra scoppiasse, aveva avuto modo anche di allearsi con loro e quello gli forniva sicuramente un ottimo punto di vista. “Purtroppo so bene quanto queste armi a cui fanno riferimento possono essere pericolose per alcuni di noi, soprattutto noi specie canine. È abbastanza comune per loro utilizzare polveri mirate a sopraffare i nostri sensi e in questo modo farci svenire; non avremmo molto scampo una volta inalati i fumi se verremmo presi alla sprovvista.”
 
“Ah, ma non succederà. Sappiamo quando attaccheranno e ci prepareremo adeguatamente. Non abbiamo abbastanza maschere nel deposito delle armi, padre? Sono sicuro che qualcosa del genere è già stata utilizzata migliaia di volte durante questa guerra e ci saremo mossi di conseguenza,” ragionò Inuyasha. “Purtroppo però, abbiamo poco tempo per preparare tutto. Koga, tu dovresti andare ad avvisare i Comandanti; l’attacco è previsto per domani all’alba,” istruì. Si volse verso il padre per cercarne il consenso e questo annuì. “Riunisci tutti e informali di quello di cui abbiamo parlato; ordina a qualcuno di controllare le riserve. È fondamentale sorprendere l’armata nemica in questo. Senza queste polveri non avranno tanto vantaggio e sono sicuro che quanto a numeri saremo in netto vantaggio.”
 
Koga annuì poi lo scrutò come se cercasse di chiedergli implicitamente qualcosa. Scosse la testa e poi chiese: “Devo informarli di aspettarsi un altro annuncio da parte sua, Toga-sama?”
 
“Fai come ha appena detto Inuyasha, Koga. Dì loro che dovranno seguire i tuoi ordini questo pomeriggio. Io e mio figlio avremo altro di cui discutere prima della battaglia. Mi occuperò di riunire nuovamente l’armata questa sera,” il Generale rispose.
 
“Molto bene,” il demone lupo si inchinò e lasciò la stanza, sebbene non fosse totalmente soddisfatto delle informazioni che gli erano state date. Aveva un compito più importante ora, quindi avrebbe risparmiato la lavata di capo a Inuyasha per il momento. A guerra finita l’amico non gli sarebbe più scappato.


 


Rimasti soli nella stanza, padre e figlio non parlarono per alcuni minuti. Toga osservò Inuyasha cercando di capirne i segreti ma senza tempestarlo di domande e aspettando il momento in cui finalmente si sarebbe aperto. Si rendeva conto quanto l’animo del mezzo demone fosse in subbuglio e gli si stringeva il petto nel rendersi conto che non aveva minimamente idea del motivo. Il dolore del figlio sembrava grande quanto il suo. Come aveva potuto ignorarlo fino a questo momento?
 
“Padre…” Inuyasha cominciò, “vorrei chiedere il permesso di andare a visitare il monaco che è attualmente nelle nostre celle. Avrei qualcosa da chiedergli.”
 
Toga alzò un sopracciglio. “Ha qualcosa a che vedere con il motivo per cui ti trovavi nel territorio nemico, figliolo?”
 
Inuyasha non rispose, ma la sua espressione era una risposta soddisfacente per il Generale. Non avrebbe ancora insistito suoi motivi, ma avrebbe accolto la sua richiesta per il momento. “Molto bene, ti accompagnerò io stesso da Miroku-sama. Vorrei accertarmi delle sue condizioni e penso che sarebbe un’ottima idea spostarlo in preparazione della battaglia. Qualcuno potrebbe infilarsi nei sotterranei mentre siamo troppo occupati a combattere domani mattina. Non preoccuparti, vi lascerò la privacy necessaria.”
 
Non ci misero molto a raggiungere le celle mentre attorno a loro sembra essere scoppiato il caos. Nonostante Koga avesse dato ordini ben precisi e stesse coordinando sapientemente ogni soldato, era stato difficile mantenere gli animi calmi prima di una battaglia così importante; lo era sempre.
 
Giunti nei sotterranei trovarono le stesse guardie di quella mattina che controllavano Michi, attualmente unico occupante di quelle celli anguste e Toga alzò un sopracciglio guardando con disappunto i due. Un leggero movimento del naso gli confermò i suoi peggiori timori: l’aria era diventata irrespirabile a seguito di ciò che doveva essere accaduto poche ore prima.
 
“Haru, Shigeru, cosa significa tutto questo?” pretese.
 
Le due guardie tremarono visibilmente al cospetto dell’aura possente e intimidatoria del Generale e non provarono nemmeno a lanciare degli sguardi carichi di odio al mezzo demone che lo stava affiancando. Calarono le loro teste incapaci di mantenere il contatto visivo e con voce flebile spiegarono gli ordini che gli erano stati dati precedentemente da Sesshomaru.
 
“Sesshomaru-sama ci ha ordinato di uccidere i prigionieri per l’affronto nei suoi confronti, Toga-sama. Tutti e tre sono stati immediatamente giustiziati sul posto e i loro corpi disposti come di consueto,” rivelò il primo, il suo tono provava quanta fatica avesse fatto per racimolare il coraggio e parlare.
 
Improvvisamente l’aura dell’Inu-no-Taisho vibrò potente accanto a quella del figlio e le due guardie, insieme a Michi che aveva seguito lo scambio dalla sua cella, caddero in ginocchio incapaci di sopportare tanta potenza, chinando ancora di più capo e aspettandosi il peggio.
 
“Come avete osato!” urlò Toga mentre afferrava di forza il braccio del figlio e lo teneva fermo. Inuyasha aveva riacquistato i suoi poteri poco prima di avviarsi e ora sembrava che il suo lato demoniaco volesse sopraffarlo nonostante la presenza della spada al suo fianco che solitamente funzionava da sigillo sul suo sangue. Vide rosso per un momento e strinse la prese sull’elsa di Tessaiga, mentre il padre lo teneva fermo; l’aura di quest’ultimo non lo stava aiutando a mantenere la calma.
 
Sesshomaru, quel bastardo di suo fratello, aveva ucciso l’ultima speranza che aveva di ritrovare Kikyo e arrivare a fondo del suo problema. Aveva ucciso a sangue freddo un monaco che non aveva colpe, così come aveva già fatto in precedenza.
 
“Vi avevo ordinato di non prendere provvedimenti nei loro riguardi, come avete osato scavalcarmi!” continuò il Generale gelando i due demoni ai suoi piedi con uno sguardo carico di disprezzo.
 
“T-Toga-sama,” continuò il secondo, “suo figlio è stato molto insistente e…”
 
“Silenzio! Non mi interessa quello che voleva mio figlio, finché sarò vivo la mia parola varrà sempre più della sua. Vorreste per caso dirmi che state pianificando una rivolta nei miei confronti insieme a mio figlio? Vi avevo ben detto di stare fermi questa mattina quando sono venuto a visitare il detenuto!”
 
La fronte dei due arrivò a toccare il pavimento mentre il primo riprendeva la parola. “Mio s-signore, non avevamo ricevuto p-parola da lei riguardo l’esecuzione e quando vostro figlio-”
 
“Ho detto silenzio!” il Generale ripeté. “In questo castello avete ormai superato il limite; troppi prigionieri sono stati uccisi senza il mio consenso e nel più brutale dei modi. Mio figlio mi ascolterà. Voi per ora siete rimossi dal vostro compito e retrocessi a soldati semplici. Mi occuperò di mandare personalmente delle guardie più fidate a controllare quest’altra inutile,” aggiunse scoccando un altro sguardo carico di odio a Michi, anch’esso prostrato ai suoi piedi. “Anche se non so ancora per quanto potrà definirsi tale.”
 
Girò i tacchi trascinandosi dietro il figlio per un braccio, mentre la sua aura, che non accennava a calmarsi, aveva già mandato un segnale ben preciso al maggiore.
 

 

Di ritorno al suo ufficio, Toga osservò minuziosamente il comportamento del figlio mentre aspettava di essere raggiunto da Sesshomaru. Il modo in cui Inuyasha aveva risposto alla notizia aveva sicuramente un che di sospetto; era una reazione fin troppo esagerata per un monaco che aveva incontrato solo una volta. Qualunque fosse la ragione per cui Inuyasha si trovava a est due giorni fa non era da sottovalutare se quello ero lo stato in cui si riduceva.
 
Stava continuando a camminare avanti e indietro, le mani nei capelli e un cipiglio scuro sul volto mentre malediceva il nome del fratellastro e ripeteva ‘non c’è più nulla da fare’. Cosa c’entrava esattamente Miroku con la sfortunata cattura di Inuyasha? Il modo in cui il monaco aveva parlato suggeriva che non conoscesse Inuyasha e Toga non aveva percepito odore di menzogna. Cosa cercava su figlio che non poteva essere più ottenuto dopo la sua morte?
 
Analizzare il comportamento del figlio minore mentre il suo stesso umore non era dei migliori – tra la mancanza di rispetto di Sesshomaru e lo scontro imminente – non era la cosa più semplice e si chiese più volte, in quei pochi minuti di attesa, se era una buona idea affrontare ora il discorso con Inuyasha. Il giovane sembrava quasi fuori di testa, scombussolato per un motivo o per un altro e buttarsi in battaglia in quello stato rappresentava molti pericoli. In qualche modo doveva risolvere il problema, anche se l’argomento avrebbe fatto male a entrambi o riscoperto vecchie ferite – non avrebbe rischiato la vita di suo figlio mandandolo sul campo in quello stato.
 
Tuttavia, prima di finire il loro discorso, c’era una questione ancora più importante da risolvere e per farlo doveva aspettare il figlio maggiore che continuava a scavalcarlo e mostrargli una mancanza di rispetto che non gli si addiceva come generale e futuro erede di quelle terre. Se Sesshomaru aveva intenzione di continuare in quel modo Toga non era molto sicuro di volerlo ancora come suo successore. Il motivo per cui non gli aveva ancora tolto il titolo era perché sapeva bene che farlo avrebbe solo peggiorato le cose e per nulla calmato gli animi. Eppure in qualche modo doveva risvegliarlo e fargli capire che il suo comportamento in quel castello non era ben accetto e non poteva proseguire.
 
Finalmente, dopo quella che sembrava un’eternità, il demone comparve sulla soglia del suo ufficio. Arricciò il naso come a suggerire che solo l’odore di Inuyasha gli causasse un fastidio immenso, gli lanciò un’occhiata gelida, di quelle che non riservava nemmeno al suo peggior nemico, e poi si rivolse al padre dopo aver indossato nuovamente la sua maschera d’indifferenza. Il tutto era durato nemmeno una manciata di secondi.
 
“Padre.”
 
“Sesshomaru.” Toga immediatamente alzò lo sguardo verso di lui mentre Inuyasha ricambiava l’occhiataccia e fermava il suo andare avanti e indietro. “Mi giungono notizie di come, ancora una volta, hai dimostrato di non dare alcun valore alla parola di tuo padre e, ancor peggio, alla parola del tuo Generale,” disse con tono duro e deluso. Sesshomaru non sembrò minimamente scosso dalla sentimento che lesse negli occhi del padre. Ormai cercava la sua approvazione solo e soltanto sul campo di battaglia, tutto il resto poteva anche non esistere.
 
“È sbagliato, padre,” corresse. “Do valore alla tua parola quando è importante.” Gli angoli della bocca si alzarono in un ghigno strafottente, l’ennesima goccia per far traboccare il vaso.
 
“Non credevo che tu fossi in grado di scherzare, bastardo,” Inuyasha sputò.
 
Toga alzò il braccio per segnalare a Inuyasha di stare in silenzio per il momento e sebbene percepisse la difficoltà che la sua testa calda stesse avendo a restare zitto, non protestò. Almeno, dei due figli, uno gli obbediva ancora – talvolta.
 
“Zitto, mezzosangue. Nessuno ha chiesto il tuo parere,” Sesshomaru sibilò senza nemmeno distogliere il suo sguardo glaciale dal padre.
 
“Mi costringerai a prendere misure dure uno di questi giorni, figlio mio,” Toga rispose, per nulla scosso da quel suo comportamento, almeno all’esterno. “Devo dedurre che ti sei stancato del modo in cui guido la mia gente? Mi stanno arrivando molti segnali del genere ultimamente. Devo forse avere paura di mio figlio ora? Stai radunando i miei stessi comandanti per pugnalarmi alle spalle? Perché questo è quello che posso dedurre se mi scavalchi ogni volta e dai ordini opposti ai miei in continuazione. Ucciderai tuo padre e tuo fratello per prenderti il mio posto, Sesshomaru?”
 
Il tono era neutro e controllato, i loro sguardi rimasero incollati durante tutta la durata del discorso e Toga sfidò il figlio a guardarlo anche solo per un nanosecondo con aria di sfida per confermare le sue congetture.
 
“Non mi interessa nulla del mezzosangue; per me può fare la fine che vuole. Non è nemmeno degno di essere ucciso dai miei artigli. Piuttosto padre, essendo il tuo erede devo imparare a riconoscere degli sbagli quando ne vedo e, come attuale Generale, tu dovresti saper riconoscere i tuoi. Non potevo permettere che un simile insulto continuasse a macchiare le mura di questo castello, che dei meri umani potessero credere di averti in scacco a causa di un insulso ammasso di carne. Queste debolezze non fanno al caso tuo, padre. I prigionieri dovevano morire perché un messaggio ben chiaro doveva arrivare ai nostri nemici,” offrì solamente come spiegazione.
 
Toga ridacchiò, ma la sua risata non conteneva alcuna traccia di divertimento, mentre Inuyasha stringeva i pugni e faceva fatica a contenersi. “Ah, quindi volevi far arrivare un messaggio, Sesshomaru. E quanti altri ne vorresti mandare? Quanti ne hai già inviato uccidendo i nostri prigionieri, uno dopo l’altro, senza nemmeno avermi dato la possibilità di interrogarli e ricavare notizie o usarli per il bene della nostra armata?” Scosse la testa. “Parli di riconoscere gli errori, Sesshomaru. Mi dici che devo ammettere i miei e lo faccio figliolo, so di aver sbagliato tutto con te, ma questo mi servirà a non farne in futuro. Eppure, tu non fai altro che dimostrarmi di non essere adatto al ruolo di Generale se continui a muoverti in questo modo. Vuoi la mia approvazione come combattente, la vuoi sul campo di battaglia, ma ricorda che non si combatte solo con la spada e gli artigli, Sesshomaru, e tu, purtroppo, stai sbagliando su tutta la linea.”
 
Lo sguardò del demone più giovane si indurì. “Mi stai forse minacciando, padre?” chiese con sdegno.
 
“Non mi abbasso a questi mezzucci, Sesshomaru,” ricominciò il padre. “Sto semplicemente mettendo le cose in chiaro. Se vuoi la mia approvazione, se vuoi essere degno di diventare Inu-no-Taisho un giorno e seguire le mie orme, allora dovrai guadagnartela e portare rispetto senza rendermi il lavoro più difficile uccidendo prigionieri fondamentali in una guerra tanto delicata!” Ricambiò lo sguardo gelido del figlio.
 
“Seguire le tue orme?” un sorriso beffardo gli si dipinse sul volto, spostò per un attimo lo sguardo verso Inuyasha per indicare chiaramente a quali orme stava pensando e poi rise, come mai aveva fatto, una risata che avrebbe gelato il sangue nelle vene a chiunque altro, ma non a Toga. “Non ho alcuna intenzione di seguirle padre, hai perso la via molto prima di me.”
 
“Non mi lasci altra scelta allora,” mormorò il padre voltandogli le spalle.
                 
La tensione nella stanza aumentò all’improvviso a seguito di quelle parole e per un attimo Inuyasha temé che Sesshomaru potesse colpire il padre alle spalle. Fu un solo secondo, ma invece il demone digrignò ancora più i denti, serrò la mascella e rimase in silenzio. Inuyasha lo osservò con occhio critico: Sesshomaru era un bastardo e un razzista, ma si riempiva la bocca di parole sull’onore – beh, quando parlava. Non avrebbe mai attaccato il padre alle spalle perché il giorno in cui avrebbe combattuto e sconfitto Toga, lo avrebbe fatto con onore, cosicché nessuno, nemmeno se stesso, potesse mettere in discussione la sua vittoria.
 
Ma quel giorno era ancora lontano e Toga, ancora una volta, si chiese se ci fosse davvero speranza. La conversazione con il figlio maggiore era ormai finita, ma prima di mandarlo via aprì ancora una volta la bocca e pronunciò le ultime parole:
 
“Domani all’alba affronteremo il nemico per l’ultima volta. Mostrerai pietà per il tuo nemico quando arriverà il momento? Sarai un vero Generale?”
 
 

N/A: AAAAH! MIROKUUUU 😥😥😥

Ve lo avevo accennato, no? Ci sarebbe stato un risvolto che forse non sarebbe stato molto apprezzato - chi ha letto in anteprima ancora non mi perdona! 
In realtà, in questo ho un po' seguito la trama di Fenoglio.

Seguire la trama poi... la storia è molto diversa, quello che c'è alla base ( presunto tradimento/ricerca della verità) è solo un pretesto dell'autore per raccontare l'Italia fascista e le lande partigiane. Tuttavia c'è qualcuno che forse sa ma non può raccontare, la persona che Milton (qui Inuyasha) cerca. Miroku è in parte (solo in parte) quella persona e quindi il suo destino era segnato dall'inizio; volere rendere la sua impossibilità di raccontare. Mi spiace molto, Miroku-kun 😥. 

Beh, quindi lasciando da parte il modo in cui Fenoglio si sta rivoltando nella tomba per come sto raccontando a voi il suo meraviglio romanzo (😂), siamo giunti alla fine di un altro capitolo. 

Nel prossimo saranno rivelate molte cose e soprattutto, padre e figlio si confronteranno ancora.

Un abbraccio e spero di leggervi nei commenti💞. 



 

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Capitolo 7
*** Crepuscolo o Alba? ***


Capitolo Sette: Crepuscolo o Alba?
 
 
“Qualche volta Francette, l’estate passata sulla spiaggia, si divertiva a immergere le mani in mare nel tentativo di raccogliere un po’ di schiuma. Serrava i palmi l’uno contro l’altro e gridava di gioia poi correva da Denise con tutta la forza che aveva nelle gambette, ma quando apriva le dita non trovava altro che un po’ d’acqua. Allora si metteva a piangere, ma poi ricominciava… Ecco, l’amore era proprio la stessa cosa.”
Il malinteso, Irène Némirovsky.
 
 
 
 
Inuyasha si accasciò sulla sedia e nascose il viso tra le mani non appena Sesshomaru fu scomparso dalla sua vista. Non poteva credere a tutto quello che gli stava accadendo attorno, a come il mondo gli stesse crollando ancora una volta addosso nel giro di pochi giorni.
 
Scosse la testa e sospirò.
 
Dove aveva sbagliato?
 
Tutto, aveva sbagliato tutto.
 
Si era innamorato di Kikyo, le aveva dato tutto e in cambio non gli era rimasto nemmeno un pugno di sabbia. Aveva creduto di avere tutto e invece non aveva nulla. Si era imbarcato in una missione suicida per una donna che probabilmente aveva lo già dimenticato, anche il suo volto. Valeva la pena farsi uccidere per lei? Morire con il rimpianto e alla ricerca di una verità effimera?
 
Cosa c’era da verificare poi? Cosa gli avrebbe mai potuto dire quella povera anima di Miroku se fosse ancora vivo?
 
Rise, come un pazzo. Sì, certo, come no, gli avrebbe proprio rivelato il rifugio di un disertore.
 
Rise ancora di più, in preda alla seconda epifania nel giro di due giorni.
 
Che stupido, che stupido sei stato, Inuyasha.
 
La dea bendata lo aveva salvato e gli aveva mandato un angelo la volta scorsa e lui nemmeno aveva imparato. Non sarebbe stato fortunato una seconda volta. La verità, voleva la verità anche a costo della sua stessa vita. Ma qual era la verità?
 
Miroku era morto, ma anche se fosse stato vivo, anche se quella sera tutto fosse andato liscio e Inuyasha avesse raggiunto il tempio trovandolo lì, probabilmente non avrebbe racimolato nulla. Era stato un illuso ancora una volta, accecato prima dall’amore poi dall’odio.
 
Non c’erano sfumature diverse per quanto ne cercasse. Incontrare Kikyo ancora una volta non avrebbe migliorato nulla, lo avrebbe solo spinto ancora di più sull’orlo del baratro. Nero su bianco aveva scritto alla sorella – la persona di cui lei si fidava di più – che era scappata con l’uomo che aveva sempre amato. E lui, Inuyasha, chissà cos’era stato in tutto quel tempo. Non c’era una sfumatura diversa: Kikyo lo aveva preso in giro.
 
Con quale rimpianto vale la pena vivere? Il non sapere mai perché Kikyo si era comportata a quel modo o il non aver mai vissuto veramente ed essere morto invano in quella ricerca della verità?
 
Se domani tutto fosse andato liscio per loro, allora la guerra sarebbe finita e sarebbero cominciate le trattazioni per riportare tutto alla normalità – il padre gli aveva detto che era andata così la volta scorsa, e anche prima, era tutto un circolo infinito – e lui avrebbe dovuto aspettare mesi. Ma cosa ne sarebbe stato di Kikyo? I disertori erano sempre un’incognita, la maggior parte non aveva il coraggio di tornare nemmeno a guerra finita; la vergogna era troppa. E poi perché sarebbe dovuta tornare? Aveva modo di formare la sua nuova famigliola altrove; non aveva nemmeno avuto riguardo delle sorelle, nonostante tutto l’amore che diceva di provare per loro.
 
Più aspettava e più Kikyo si allontanava da lui. Ogni secondo che passava sottolineava l’impossibilità di quel suo piano infallibile. Ogni secondo che passava la verità veniva distorta da odio e rancore, rimorsi e dolore.
 
Inuyasha si sentiva come se il peso di tutta la guerra gli fosse piombato sulle spalle con quella consapevolezza – con la consapevolezza che non avrebbe mai rivisto Kikyo, né scoperto la verità di tutte le verità – e sembrò invecchiato di centinaia di anni tutto d’un tratto.
 
All’improvviso si sentiva stanco e svuotato. Per cosa valeva la pena combattere?
 
Toga osservò tutte quelle emozioni passargli sul volto e distinse l’esatto momento in cui il figlio sembrò rinunciare a tutto, il momento in cui rughe che non c’erano pochi minuti prima apparvero sul suo viso di giovane e le spalle si accasciarono come tutto il suo essere.
 
Il cuore gli si spezzò ancora un’altra volta. Ma in quanti frammenti ancora si sarebbe diviso?
 
I polmoni sembravano far fatica, il petto si strinse, e l’aria sembrò mancargli. Anche l’Inu-no-Taisho si ritrovò sull’orlo del precipizio. Però gli uomini della sua famiglia non erano deboli, lo erano stati per un momento – sì, anche Sesshomaru – ma era venuta l’ora di rialzarsi a testa alta e affrontare la battaglia del giorno dopo con il giusto spirito.
 
Si avvicinò silenziosamente al figlio e solo quando ebbe posato la mano sulla sua spalla quello alzò quel suo sguardo perso su di lui. I loro occhi si incontrarono e sembrarono dirsi il mondo: parole mai dette, scuse mai pronunciate, dolori mai condivisi e rimorsi che avevano appesantito troppo l’anima erano tutti contenuti in due paia di occhi dorati.
 
Le forti e larghe spalle del demone più anziano si fecero carico di un dolore che un viso tanto giovane non avrebbe mai dovuto lasciar traspirare. Un volto tanto giovane e indifeso.
 
“Figliolo,” mormorò. Niente parole di scuse, niente spiegazioni. Sembrava che si fossero già detti tutti solo con quello sguardo.
 
“Padre,” mormorò Inuyasha di rimando. “Padre,” ripeté seppellendo di nuovo il viso tra le mani tra l’abbattuto e l’umiliato.
 
Papà, ho sbagliato tutto,” disse ancora.
 
“No,” mise un po’ più di pressione sulla spalla, “Non hai sbagliato ancora, Inuyasha. Ma se lascerai che questo dolore ti laceri e ti lasci immobile allora lo farai. Proprio come il tuo vecchio.”
 
Forse non c’era bisogno che Inuyasha gli spiegasse davvero cosa era successo nelle terre del nemico, cosa era successo in questi due anni, perché Toga in quegli occhi aveva letto tutto. Vi aveva letto lo stesso dolore che lo aveva annientato da quando la sua dolce Izayoi non era più affianco a lui.
 
Tutti l’avevano sempre definita una debole e piccola umana ,eppure nessuno aveva saputo riconoscere che quella debole umana era sempre stata la sua roccia.
 
Lui sì che aveva sbagliato, su tutta la linea. Sesshomaru aveva sbagliato. Ma Inuyasha aveva ancora la possibilità di riprendere la strada giusta; il suo percorso era stato solo leggermente deviato. Niente era perduto.
 
“Papà?” gli chiese Inuyasha incerto, alzando ancora una volta gli occhi verso di lui. Lo sguardo perso di un bambino che ne ha combinata una grossa e sta aspettando la punizione dal padre.
 
“Ti ho lasciato andare. Mi sono lasciato andare. Non me lo perdonerò mai, Inuyasha. Ma nulla è perso. Non fare il mio stesso errore, figliolo. Rialzati ora.” Lo sguardo carico di determinazione lo inchiodava e lo sfidava a contraddirlo. Era come se in quel momento il Generale stesse dando un ordine al suo sottoposto. “Non fallire, cadi ma rialzati, porta a termine la tua battaglia con successo.”
 
Volse infine lo sguardo verso il ritratto della compagna e per un attimo sembrò perdersi nei ricordi, un sorriso genuino gli comparve sulle labbra. “Nessuno ha detto che in guerra non ci sarebbero mai state perdite. Alcune più dure di altre. Lo abbiamo imparato nel peggiore dei modi, figlio mio.”
 
Inuyasha lo guardò con interesse per poi volgere anche lui gli occhi verso il ritratto sorridente della madre.
 
“Le battaglie si combattono ogni giorno su ogni tipo di campo, non solo quello sul quale ci dirigeremo domani all’alba, proprio come ho detto a tuo fratello.” Il mezzo demone fece una smorfia all’uso dell’ultima parola; Toga lo ignorò. “Ma che succede se rimani a terra domani in quel campo dopo che qualcuno ti ha buttato giù? Cosa sarebbe successo se in quella radura, dopo che la freccia ti aveva colpito, quella sacerdotessa non ti avrebbe aiutato a rialzarti? Si muore figliolo, ecco che succede. A volte abbiamo delle giovani fanciulle che ci aiutano,” sorrise ancora osservando la moglie, “e altre dobbiamo farci forza da sola.”
 
“E altre volte il nostro vecchio ci indirizza,” mormorò Inuyasha che cominciava a capire l’antifona.
 
Toga rise leggermente. “Si talvolta il nostro vecchio può aiutare, se si è disposti ad accettare il suo aiuto.” Il silenzio sembrò farsi strada tra loro ancora una volta, ma il demone riprese il discorso poco dopo. “Domani avrai la tua possibilità, Inuyasha. Potrai fare la tua scelta: rimanere immobile nel tuo dolore, in questo limbo che sembra volerti aggrappare forte e non lasciarti mai andare, o potrai invece agitarti, scalciare, scalpitare pur di liberarti da quella morsa. Dimostra a tutti chi sei veramente.”
 
“E se non avessi capito nemmeno chi sono veramente, papà?” chiese il mezzo demone, quasi con aria di sfida.
 
Toga scosse la testa. “Ah, è difficile capirlo, figliolo. Anche quando arrivi alla mia età ti vengono i dubbi e ti chiedi se chi sei stato finora fosse il tuo vero io o una maschera, se le scelte che hai preso finora erano quelle giuste. Però sai qual è il bello della vita?” gli rivolse uno sguardo penetrante, “L’alba sorge ogni mattina e con quella hai sempre la possibilità di prendere una svolta, cambiare il tuo destino, prendere una nuova scelta. E chissà, magari anche quest’altra scelta sarà sbagliata, o forse no, ma almeno ci avrai provato. Sempre meglio di lasciarsi andare a quel limbo.” La vista gli si annebbiò per un attimo e poi gli occhi si fecero carichi di rimorso. “Fidati, ne so qualcosa,” mormorò poi con un filo di voce.
 
Inuyasha coprì la mano che ancora giaceva sulla spalla con la sua e la strinse. “Anche quella è una scelta allora, papà…” mormorò. “L’importante è rendersi conto se è quella sbagliato o meno e agire di conseguenza. A me sembra che tu sia sulla strada giusta.”
 
“Credi, figliolo?” I loro occhi si incontrarono ancora una volta e stavolta i ruoli erano invertiti. Il padre chiedeva conforto al figlio, chiedeva perdono al figlio, si inchinava al figlio.
 
“Ne sono certo, papà. Ne sono certo come sono certo che tu sia il Grande Generale Cane,” un sorriso genuino gli abbellì le labbra, un canino che sporgevo da quello inferiore e gli occhi ammiccanti. Il padre rise in risposta.
 
“Ah beh, meno male allora. Tua madre sarebbe arrivata a tormentare i miei sogni se avessi continuato per questa strada,” scherzò. “Per fortuna che è riuscita a farmi arrivare il suo messaggio in qualche altro modo.”
 
E c’era riuscita infatti. Izayoi risiedeva tutta in Inuyasha, in quel sorriso che il mezzo demone aveva eredito, nella forma del viso e di quegli occhi che se pur avevano eredito il suo colore avevano lo spirito di lei.
 
“Eh sì, la mamma lo avrebbe fatto, e poi… non contenta, avrebbe tormentato anche i miei.”
 


 
La notte passò troppo in fretta, tra preparativi, controlli, grida e ordini. Gli odori più disparati avevano invaso il castello e le terre più vicine a causa della tempesta di emozioni scatenata dall’annuncio di Koga prima e dell’Inu-no-Taisho poi.
 
Il sentimento più predominante era la sete di vendetta
– e di sangue  unita all’adrenalina che rendeva tutti più frenetici prima di una battaglia. Ma questa era la battaglia e quindi tutto era amplificato ai massimi livelli.
 
I demoni più violenti e crudi volevano riuscire a godere al meglio lo scontro di domani, proprio perché l’ultimo, e volevano uccidere il maggior numero di persone. Uno sguardo gelido da parte del Generale era servito in pare a quietare i loro animi, ma solo una minuscola parte.
 
Molti tra questi erano ancora innocui, magari erano persone che avevano perso un amico o un familiare per mano di uno spiritualista e volevano solo vendetta, altri invece erano quelle anime scure e senza speranza che volevano solo sangue – non importava di chi. Erano peggio di Sesshomaru e chi come lui pensava che chiunque non fosse un demone di sangue puro non fosse nemmeno degno della loro attenzione. No, queste anime corrotte avrebbero ucciso anche un loro amico se l’occasione si fosse presentata e per quanti sforzi si facessero per scacciarli dalle terre dell’Ovest ne nascevano sempre di nuovi. Erano questi quelli che Toga teneva più sotto controllo perché, nonostante la loro forza fosse necessaria a eliminare altre anime simili nell’esercito nemico, erano anche in grado di uccidere un alleato sul campo di battaglia.
 
Inuyasha e Koga storsero il naso a passare davanti a un gruppo di quelli, il loro odore era contaminato dall’inconfondibile puzza dell’odio, di certo non piacevole. Questo perché, molti di loro erano anche eccitati dalla battaglia e più ce ne si teneva alla larga, meglio era – sapevano essere crudeli in molti modi, spesso anche senza farsi notare.
 
Tra le diverse emozioni si distingueva anche ansia e preoccupazione, anche se in parte molto minima. Erano quei demoni che non amavano andare in battaglia già certi del risultato. Non amavano mostrarsi così sicuri perché erano convinti che avrebbe portato loro e a tutti gli altri sfortuna.
 
E infine c’era l’apatia. C’era chi si preparava alla battaglia privo di ogni sentimento o emozione perché magari lo aiutava a entrare nell’ottica mentale migliore o portava in superficie più controllo. Questi demoni indossavano una maschera dall’inizio alla fine della battaglia, senza lasciarsi scalfire da niente di quello che gli accadeva attorno. C’era solo lo scontro e il nemico da buttar giù.
 
Inuyasha, reduce dalla conversazione con il padre – con le emozioni ancora in subbuglio – era difficile da collocare in una categoria. La varietà di emozioni e odori che trovò nella sala grande non lo aiutava a mantenere saldi i nervi già fragili e non appena ebbe messe piede al suo interno si rese conto di quanto fosse stato stupido anche solo pensare di approcciarsi a essa. Koga, accanto a lui, percepì quell’umore instabile e lo condusse lontano.
 
Dopo dieci minuti buoni, si ritrovarono in una radura lontana dal castello e che rimaneva abbandonata per la maggior parte dell’anno. Beh, in realtà si poteva dire che era abitata solo dodici giorni all’anno – qualche volta in più, solo quando Inuyasha aveva bisogno di restare solo ed essere sicuro che nessuno lo trovasse, qualcosa che era successo anche troppo spesso dall’inizio della guerra. Koga lo aveva portato nella piccola radura nascosta che serviva da protezione nelle notti di luna nuova.
 
Nessuno era a conoscenza della piccola costruzione che vi dimorava perché era protetta da una barriera che Toga aveva fatto erigere nel momento in cui aveva scoperto che suo figlio sarebbe stato più debole una volta al mese e avrebbe avuto bisogno di protezione. Una barriera che continuava a rafforzare con il tempo per assicurarsi che non cedesse.
 
Inuyasha sbuffò leggermente. Ah, quindi era quello l’obiettivo di Koga, incastrarlo e poi tampinarlo di domande. Proprio il modo migliore per prepararsi alla battaglia, avere una presa salda sui suoi nervi e controllare il suo battito cardiaco impazzito.
 
“Keh. Se hai intenzione di farmi il terzo grado, lupastro, ti sbagli di grosso,” cominciò.
 
Koga gli rivolse un sorriso sornione, poi una pacca sulla spalla che lo prese allo sprovvista e gli fece perdere l’equilibrio per mezzo secondo. “Tranquillo, botolo,” rispose l’amico, “ho capito che stare in mezzo a quella massa di demoni arrapati non ti avrebbe fatto alcun bene.”
 
“Keh!”
 
Koga si lasciò cadere a terra in mezzo all’erba alta e Inuyasha lo seguì poco dopo, gambe incrociate, mani nascoste nelle maniche della veste del topo di fuoco e Tessaiga appoggiata alla spalla sinistra. Restarono in silenzio per un bel po’ di minuti. Un ape venne a dargli fastidio e volò pericolosamente vicina a un orecchio di Inuyasha che continuava a muoversi ancora più freneticamente – forse per il nervosismo o per scacciare tale ape.
 
“Hai intenzione di scendere sul campo di battaglia come un fascio di nervi, cagnolino?” gli chiese il demone lupo osservando i suoi movimenti.
 
“Keh!” Inuyasha ripeté una terza volta.
 
“Non darmi del keh, Inuyasha, non attacca. Qualsiasi cosa sia accaduta là fuori o in qualsiasi altro momento farai meglio a fartela passare prima di domani mattina perché non voglio dover dire a tuo padre che ti ho lasciare cadere nel bel mezzo della battaglia,” gli disse con tono duro e per nulla scherzoso.
 
Inuyasha assottigliò lo sguardò e storse il naso. “Nessuno ti ha detto che devi sentirti responsabile.”
 
“E invece devo!” ribatté Koga, “Soprattutto considerando che domani mattina, su quel maledetto campo, combatterai spalla a spalla con me come hai sempre fatto e non accetto altro. Quindi se ti fai beccare perché sei troppo perso in Inuyasha-land la colpa sarebbe anche mia. Datti una svegliata, amico, perché domani sera, quando la prima parte sarà fatta, voglio potermi ubriacare con il mio miglior compare.”
 
Inuyasha, che raramente era soggetto a una sfuriata di Koga – beh, non che il demone lupo fosse davvero il tipo da ramanzina, a meno che non superava il limite della pazienza – non sapeva in che modo rispondergli e fu quindi sul punto di lasciarsi sfuggire l’ennesimo “Keh”. Un’occhiataccia da parte del lupo lo bloccò. Quest’ultimo quindi ricominciò.
 
“Inoltre, non voglio nemmeno cominciare su tutti i casini che dovremo sistemare a guerra finita,” si lamentò. “Non vorrai mica lasciarmi a gestire tutto da solo?”
 
“Certo che sei proprio un tipo molto sicuro, Koga,” Inuyasha mormorò.
 
“Devo, altrimenti come dovrei andare avanti? Sarei morto il primo giorno. Ti ricordi quanto ci sono andato vicino la prima volta quando non avevano ancora ben chiaro come agissero quegli spiritualisti di merda? Ah, amico… ricordo ancora la sfuriata che mi facesti prima tu e poi tuo padre,” rise. “E quanto cazzo bruciava quella freccia.”
 
“Già… ancora mi chiedo come hai fatto a sopravvivere,” Inuyasha sbuffò.
 
“Forse gli antenati avevano deciso che non era ancora il momento o forse sapevano quanto hai bisogno di me nel momento in cui cominci a sparare stronzate malinconiche e senza senso. Chi ti farebbe rinsavire altrimenti? Senza contare poi che nelle notti di luna nuova moriresti di noia. Devo rimanere vivo almeno fino a quando non troverai un bel corpicino caldo che ti tenga compagnia al posto mio.”
 
Il mezzo demone fece una mezza smorfia, ma se Koga se ne accorse non lo diede a vedere e continuò con il suo discorso, non prima di avergli dato un’altra bella pacca ben assestata.
 
“Beh comunque, ora anche tu puoi contare un paio di esperienze pre-morte no? Quante volte ci sei andato vicino in un paio di giorni? Una, due? Ti cambia la percezione un’esperienza del genere amico, ti apre gli occhi,” sospirò.
 
Inuyasha alzò gli occhi al cielo senza rispondergli e rimase in silenzio; Koga non lo pressò.
 
Aprire gli occhi. Beh, lui gli occhi li aveva aperti anche prima, no? Quando Kagome gli aveva porto la lettera incriminata. Ci rifletté su per qualche minuto.
 
No, forse Koga aveva ragione. Dopo aver letto la lettera le sue palpebre erano rimaste ancora un po’ socchiuse, non si erano aperte del tutto e lui si era addentrato alla cieca nel territorio nemico. Sì, alla cieca.
 
Gli occhi li aveva aperti completamente solo a seguito della morte di Miroku, non era così? La morte ti apriva gli occhi – che fosse prima o dopo, presto o tardi, tua o di un altro.
 
“Forse hai ragione, lupastro.”
 
“Certo che ho ragione, botolo! Sono un pozzo di scienza io,” rispose Koga con una terza pacca.
 
“Oi! La vuoi smettere o no con queste tue manacce?” si incazzò Inuyasha.
 
L’amico rise in risposta. “Beh, se non ti dai una svegliata io devo farti reagire in qualche modo, no?” Inuyasha lo guardò male.
 
“Non importa comunque se gli occhi li apri o no,” mormorò ancora quest’ultimo. “Come si scende sul campo senza avere un’ancora? Un motivo per cui combattere?”
 
Koga si girò a guardarlo veramente per la prima volta da quando si era seduti. “Un motivo, eh? E chi ti dice che non ce l’hai, botolo? Devi essere proprio cieco allora, senza speranza,” sbuffò quello scuotendo la testa.
 
Nessuno dei due riaprì il discorso quella sera. Rimasero seduti lì ancora per molto prima di abbandonare la radura e prepararsi per l’indomani mattina. Ma una cosa era sicura, Inuyasha non era lo stesso mezzo demone che era entrato qualche ora prima.
 
Che suo padre e Koga si fossero messi d’accordo quel giorno? O forse si percepiva così tanto che era disperato che addirittura Koga – Koga – aveva sentito il bisogno di abbandonare i suoi modi giocosi e fargli una cazziata?
 
Entrambi però gli avevano dato da pensare e almeno le sue emozioni erano meno violente e i suoi nervi più stabili quando si ritirò nelle sue stanze.
 
La notte, sì, passo decisamente troppo in fretta; i primi raggi di sole vennero percepiti quasi come un affronto dal mezzo demone che, affianco all’amico, era pronto sul campo di battaglia e osservava le figure farsi avanti sul confine tra territorio umano e demoniaco.
 
La mano era salda sull’elsa di Tessaiga e la maschera – del tipo che veniva costruito da anni proprio sulla base di quelle utilizzate dagli sterminatori – gli nascondeva la maggior parte del viso, lasciando scoperti solo gli occhi dorati che si riducevano a due fessure man mano che il nemico si avvicinava.
 
Quegli stessi occhi però, l’unico mezzo disponibile per leggere le emozioni di qualsiasi demone al momento, sembrarono addolcirsi per un momento.
 
Nella mente di Inuyasha risuonarono le ultime parole dell’amico la sera prima – e chissà Koga a cosa si stava riferendo veramente quando si aveva parlato di lui come un cieco senza speranza – e subito dopo, come in una visione, il volto di una donna dai lunghi e mossi capelli neri apparve davanti a lui. Solo per un secondo, non per molto – ma era abbastanza per riconoscere quel sorriso genuino, a tratti preoccupato (per lui), e quelle due fossette.
 
Non era volto della madre. Non era il volto di Kikyo.
 
Allora era vero, Inuyasha aveva davvero qualcosa per cui combattere ancora.
 
Le labbra si distesero in un sorriso ma lì, in procinto di finire la guerra per la volta buona, e con una maschera antigas che gli nascondeva il viso, nessuno se ne accorse e solo quegli occhi dorati, all’improvviso di nuovo pieni di vita, sarebbero potuti essere indicatori per chiunque avesse volto anche solo per un secondo lo sguardo verso il mezzo demone.


 

 N/A: Mi scuso ancora per la lentezza con cui ho aggiornato avendo anche già il capitolo pronto 🙊 cercherò di postarvi il prossimo entro una settimana (anche quello già scritto). Mi manca solo l'epilogo da scrivere e sebbene ho già in mente cosa accadrà non riesco ancora a metterlo bianco su nero. Se non si era capito, comunque, ci avviamo verso la fine. Il prossimo vedrà lo scrontro finale e poi, per l'appunto, l'epilogo. 

Spero questo capitolo vi sia piaciuto: abbiamo una presa di coscienza maggiore da parte di Inuyasha aiutata sia dal babbo che dall'amico (vi fa strano vedere Koga come amico? Eh, sì, decisamente OOC, ma in questa AU mi piace la loro relazione). Se qualcuno ha letto il libro a cui mi sono ispirata, ha probabilmente già capito perché ho preso questa scelta nei confronti di Kikyo. 

Fatemi sapere cosa ve ne pare, se vi va, e alla prossima! 

 

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Capitolo 8
*** Battaglia Finale ***


N/A: La citazione a inizio capitolo la riconoscerete immediatamente. Si tratta de "La guerra di Piero" di De Andrè. In realtà inizialmente ne avevo messa un'altra di Fenoglio, ma mentre scrivevo una scena in particolare, mi è venuta in mente questa canzone e ho pensato fosse perfetta per ciò che accade in questo capitolo. 
Se a fine capitolo avete capito a quale scena mi riferisco, battete un colpo! 
Detto questo, buona lettura! 

 


Capitolo Otto: Battaglia finale
 
 
E mentre marciavi con l'anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore.
 
Sparagli Piero, sparagli ora
E dopo un colpo sparagli ancora
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere in terra a coprire il suo sangue.
 
E se gli spari in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore.
 
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l′artiglieria
Non ti ricambia la cortesia.
 
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chieder perdono per ogni peccato.
 
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno
 
 
 
Mentre i primi raggi di sole illuminavano l’intero campo di battaglia delle terre ad Ovest, quello che si stagliava di fronte al confine che li separava dal territorio nemico, un’ombra nera di enormi dimensioni si faceva sempre più vicina.
 
Gli odori rimanevano per lo più nascosti ai demoni grazie alle maschere, ma i rumori provenienti da tale ombra si facevano sempre più chiari. Grida e incitamenti riempivano le loro orecchie mentre l’ombra si avvicinava e diventava nitida, andando a rivelare non una massa informe, ma centinaia e centinaia di combattenti umani, mischiati tra loro e allo stesso tempo distinguibili grazie alle loro divise.
 
Un minor numero di persone, anch’esse dotate delle stesse maschere indossate da ogni demone, indossava un completo in pelle e rinforzato da un’armatura composta da ossa di demoni in punti più deboli, come la pancia e l’inguine, e nelle giunture. Era la tipica uniforme degli sterminatori.
 
I cacciatori invece, ne indossavano un’altra che avrebbe dovuto farli somigliare ai samurai ma che di simile non aveva nulla; erano solo una brutta copia che mancava di ogni saldo valore che veniva attribuito a quei famosi combattenti. Non solo lasciava scoperti punti vitali che, seppur piccoli, sarebbero stati facili da colpire per un demone con movimenti più veloci e una vista più sviluppata, ma sembrava rallentare anche i loro movimenti. Loro costituivano la maggior parte dell’esercito nemico.
 
Infine gli spiritualisti, in numero più o meno eguale a quello degli sterminatori, indossavano la tipica veste da monaco, prete o sacerdotessa. I loro abiti rispecchiavano la loro vocazione ed era anche simbolo dei loro poteri spirituali.
 
Accanto a ognuno di essi erano distinguibili le armi più disparate a seconda del soggetto.
 
Superato il confine demoniaco, fu facile riconoscere lo shock sulla maggior parte dei volti umani: quel loro attacco a sorpresa si era rivelato un contrattacco da parte del nemico. Era evidente che qualcuno li aveva traditi e fatto la spia, altrimenti in che modo sarebbero potuti essere così preparati e già pronti ad accoglierli?
 
Eppure, ignorando il turbamento maggiore sui volti degli sterminatori che avevano subito riconosciuto le maschere indossate dai demoni più vicini, i cacciatori non persero tempo e cercarono di mettere in atto la seconda parte della loro incursione non più a sorpresa.
 
In un secondo una enorme nube dai mille colori andò a inghiottire gran parte dell’esercito nemico. Si innalzava alta e nascondeva i combattenti agli occhi degli attaccanti. Nessuno poté vedere in che modo, socchiudendo gli occhi e trattenendo il respiro nonostante la maschera, i demoni rimanevano in piedi. Erano rimasti intaccati dai vapori che avrebbero dovuto mandarli k.o. sfruttando il loro fiuto più sviluppato.
 
I fumi dei veleni resero impossibile anche ai demoni di vedere chi c’era accanto a loro e nessuno notò il sollievo che si dipinse sul volto del Generale Cane quando si accorse che le polveri erano di quelle che attaccavano solo l’olfatto e non colpivano attraverso gli occhi e la pelle. A quanto pare, convinti che l’assalto a sorpresa avrebbe funzionato e che in nessun modo i demoni avrebbero potuto prevedere la loro arma segreta, gli umani avevano pensato che bombe di questo genere sarebbero state abbastanza.
 
Ed era vero, se Inuyasha non avesse ascoltato di nascosto i loro piani, l’attacco li avrebbe colti impreparati e per molti sarebbe stato fatale; una cosa buona era uscita dal gesto sconsiderato del mezzo demone, almeno.
 
Ma se ci fossero stati strateghi più abili tra le file umane, questi si sarebbero assicurati di avere un secondo piano di riserva e procuratosi dei veleni che avrebbero potuto anche oltrepassare le maschere protettive degli sterminatori. La cosa in parte sorprese Toga, gli umani che lui aveva combattuto in quei due ultimi anni gli erano sembrati molto più intelligenti, eppure la fatica di una guerra andata avanti per troppo tempo sembrava avere effetti anche su di loro. Li aveva resi più imprevidenti e avventati.
 
La nube sembrò accecare tutti per qualche minuto prima di disperdersi; i cacciatori e spiritualisti rimasero immobili nell’attesa di vedere crollare a terra demone dopo demone e approfittarne per ucciderne quanti più fosse possibile prima che potessero riprendere i sensi. Volevano che la battaglia finisse presto e con meno morti da parte loro. Troppo presi dall’eccitazione dovuto al conflitto e dalla sicurezza data da quelle armi, non si accorsero in che modo gli sterminatori erano lì bloccati dalla sorpresa e cinerei – loro sapevano che quelle maschere identiche alle loro avrebbero protetto i demoni dagli effetti peggiori dei veleni. Questi strinsero a sé le loro armi e si prepararono per il peggio una volta che la nube si fosse dissolta, consapevoli che non avrebbero visto alcun nemico già a terra come gli altri speravano.
 
Cercarono di avvertire i compagni non sterminatori, ma quelli come gli sventati e soprattutto accecati dalla troppa sicurezza, si erano già avviati oltre la loro linea difensiva e, quando finalmente le figure nemiche tornarono a farsi nitide, fu troppo tardi.
 
Il contrattacco che seguì fu devastante.
 

 
 
Nel frattempo, approfittando del caos generato dai fumi, uno spiritualista, accompagnato da cinque cacciatori che avrebbero dovuto fargli da scudo e sentinella nel caso qualche nemico si fosse accorto dei loro movimenti, si faceva strada nel territorio demoniaco. Correva a più non posso e si allontanava dal luogo della battaglia principale per raggiungere il castello dove risiedeva il target principale di quell’assalto.
 
Miroku.
 
Il monaco andava recuperato a tutti i costi e portato in salvo oltre i loro confini, mentre il resto dell’esercito cercava di avere la meglio sui demoni. Non poteva sapere se questo sarebbe stato il conflitto finale, ma sperava che l’esercito potesse abbatterne quanti più riusciva.
 
Non poteva neanche sapere, però, avendo lasciato il campo molto prima che la nube si fosse dissolta, che l’attacco a sorpresa era fallito su tutti i fronti e che si stava trasformando secondo dopo secondo in una carneficina. Le perdite maggiori, tuttavia, sarebbero state riscontrate tra le loro file, e non in quelle demoniache.
 
Mentre molti cadevano a terra colpiti da artigli affilati, zanne appuntite e spade demoniache nettamente superiori alle blande armi umane – solo quelle rinforzate e costruite a partire da resti demoniaci degli sterminatori sembravano tenergli testa – Kiyoshi e i cinque cacciatori al suo fianco cominciavano a vedere la figura del castello principale che si erigeva davanti a loro. Aumentando il passo, si ritrovavano davanti ad esso.
 
Le guardie a difesa di quelle mura erano in numero inferiore rispetto ad un giorno normale, proprio perché la maggior parte era impiegata nella battaglia finale e, con gli occhi, il monaco cercò di trovare una qualche apertura che potesse condurlo nei sotterranei, dove era sicuro si trovasse ancora Miroku.
 
Dopo un giro di perlustrazione che durò anche troppo per i suoi gusti, riuscirono a trovare un’entrata secondaria difesa da solo una guardia. Un sorriso perfido si distese sulle sue labbra mentre tirava fuori un ofuda carico – Kiyoshi avrebbe continuato a servire il suo Budda anche durante l’operazione di salvataggio. Quello scelto era un suo gioiellino capace di immobilizzare il nemico e poi ucciderlo con le più atroci sofferenze  piuttosto lentamente; il demone sarebbe rimasto a terra a marcire mentre lui recuperava Miroku.
 
Un attimo dopo l’ofuda fu lanciato alle spalle del malcapitato. Il pezzo di carta andò a colpirlo tra le scapole. Il demone, ancora piuttosto giovane, si irrigidì e poi, quasi come se fosse diventato una statua di pietra, crollo a terra tutto d’un pezzo. Non aveva avuto nemmeno una possibilità, la paralisi colpiva immediatamente qualsiasi organo, nemmeno la lingua gli sarebbe stata utile per chiamare aiuto.
 
Kiyoshi era un monaco spietato, senza scrupoli e purtroppo per il giovane demone, anche piuttosto abile. Se Inuyasha gli fosse capitato a tiro non avrebbe avuto molto scampo. E il monaco era ancora infastidito dal fatto di non essere riuscito a scaricare la sua rabbia sul mezzo demone quindi la scena che gli si presentò davanti lo soddisfò ancora di più mentre gli occhi brillavano di una luce diabolica e malsana.
 
I sei passarono davanti al corpo del malcapitato e nessuno si risparmiò, calci e pugni furono tirati, mentre gli occhi del demone non reagivano nemmeno più, erano vuoti e vacui. Kazuo sentì la vita scivolargli via mentre attorno a lui la guerra continuava imperterrita, consapevole che lasciarsi andare al dolore non sarebbe servito a nulla e che il suo corpo sarebbe stato trovato troppo tardi. E così si rinchiuse in un mondo che apparteneva solo a lui, lontano da tutto e tutti, mentre moriva con la pace e l’armonia che lo aveva sempre contraddistinto in ogni cosa che faceva e che aveva sempre fatto parte di lui sin dal giorno in cui suo padre aveva scelto il suo nome.
 
Inconsapevoli di ciò che accadeva nella mente del giovane demone destinato a morire troppo presto, Kiyoshi e i suoi compari procedevano scaltri e individuavano il passaggio più vicino per i sotterranei. I corridoi che portavano alle celle erano stretti, così come le scale che avevano sceso, l’aria umida e la luce poca nonostante fuori il sole fosse alto. Non osarono però accendere una fiaccola per paura che ci fossero ancora delle guardie nascoste e solo il monaco poté proseguire più tranquillo mentre affilava i sensi e i cacciatori dietro di lui guardavano a destra e a sinistra senza l’arroganza che di solito trasudava da tutti i loro pori.
 
 

 
 
Michi se ne stava rannicchiato nella sua cella bestemmiando ogni Dio che gli capitava a tiro e lanciando inviperito piccoli ciottoli contro le mura della sua prigione.
 
Quei bastardi lo avevano lasciato lì a marcire mentre le sue orecchie captavano i suoni della guerra che proseguiva violenta e sanguinolenta. Digrignò i denti dalla rabbia: aveva aspettato così tanto per un attacco di quel genere, strappare la carne di quegli spiritualisti di merda a morsi, farli a pezzi e godere delle loro grida e invece… ecco lì incapacitato e annoiato a morte. E perché? Tutta per colpa di quel mezzosangue bastardo che continuava a essere il cocco di papà anche se ormai non era più un cucciolo. Dal suo sguardo trapelava tutto l’odio per Inuyasha ma un luccichio gli illuminò gli occhi al ricordo di ciò che era successo il giorno prima.
 
Quanto avrebbe voluto schiacciare sotto il suo stivale quell’inutile ammasso di carne che ricopriva cariche alte non a causa della sua forza, ma perché era stato abbastanza fortunato da nascere come figlio del Generale.
 
Il Generale… si lasciò sfuggire un suono ricco d’odio e disapprovazione. Eccone un altro che da qualche secolo era caduto a picco. Collaborare con gli umani, risparmiarli, copulare con uno di quelli, farci addirittura un figlio. Un brivido lo percorse dalla testa ai piedi al solo pensiero. E lui ora si ritrovava anche a occupare una cella puzzolente che aveva sempre ospitato sporchi umani, che fine… come si era anche solo permesso di buttarlo lì dentro e dimenticarlo?
 
Oh, quanto Michi avrebbe voluto togliersi lo sfizio e uccidere il mezzo demone per poi sperare che il vecchio ci lasciasse le penne durante la guerra, magari anche indirizzarlo. Così almeno si sarebbero assicurati un futuro senza dover leccare i piedi agli stessi umani a fine guerra. Con Sesshomaru come nuovo Generale, Michi era convinto che avrebbero continuato a prosperare per secoli e secoli e ad assicurarsi la purità della specie senza quegli esseri immondi che puzzavano di umano e giravano liberi per le loro terre. E chissà, magari Michi avrebbe potuto usarli come schiavi personali se Sesshomaru fosse stato magnanimo.
 
Troppo perso nei suoi vaneggi, mentre sognava un mondo ricco di odio e la loro razza superiore che governava su tutto, Michi non si accorse dei rumori che provenivano dall’entrata destra dei sotterranei. Si trovò faccia a faccia con un paio di occhi il cui odio faceva a gara con il suo e un sorriso diabolico che superava anche il suo il giorno in cui aveva schiacciato a terra il mezzo demone causa dei suoi guai.
 
“Ma bene, bene… come siamo fortunati, non è vero ragazzi?” disse Kiyoshi rivolto ai cacciatori alle sue spalle. La sua voce sarebbe potuta sembrare quasi melodiosa per quanto era contento di trovare qualche altra vittima sacrificale a sua disposizione, se non fosse stato per il veleno che trasudava da ogni parola.
 
Erano da poco arrivati nelle celle e purtroppo Kiyoshi si era subito reso conto dell’assenza dell’aura di Miroku; quello non era sicuramente un buon segno. I suoi sensi gli suggerivano morte e dolore; l’odore che anche un umano percepiva facilmente in quei corridoi angusti avvalorava ancor di più la tesi e la rabbia non faticò a raggiungerlo.
 
Poco dopo aveva percepito l’unica aura lì sotto, altrettanto arrabbiata e disgustata, e il sorriso perverso era ricomparso. Si era lasciato andare a una risata altrettanto perfida che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque fosse stato sano di mente e aveva invece suscitato ilarità nei suoi lacchè.
 
Raggiunta la cella si ritrovò davanti un demone un po’ malridotto, ma robusto, a cui per qualche motivo era stato impedito di prendere parte alla guerra. Beh, pensò il monaco, tanto meglio per lui e per i cacciatori.
 
Ci sarebbe stato da divertirsi e nel frattempo avrebbe estorto qualsiasi informazione riguardo Miroku. Il demone, un toro se i suoi sensi gliela raccontavano giusta, aveva i minuti contati, ma forse gli avrebbe risparmiato un po’ di dolore se gli avesse dato le risposte che voleva, forse
 
 

 
 
La guerra non era cominciata da molto, eppure il sangue già macchiava gran parte del suolo sul quale poggiavano i piedi e le grida di dolore e di rabbia riempievano le loro orecchie. La morte non si era fatta attendere, ancora una volta la guerra offriva le sue 1000 anime a Izanami, ma non c’era alcun Izanagi a dar vita ad altre 1500.
 
Delle candide e morbide orecchie canine continuavano ad agitarsi furiosamente sul capo di un mezzo demone a causa di tutta quella disperazione, mentre il loro proprietario combatteva spalla a spalla con il suo fedele amico lupo. I suoi artigli e la sua infallibile zanna avevano già avuto la loro parte in quella carneficina. Cacciatori, con occhi duri e satanici, illusi sguainavano le loro katane credendo di poterla aver vinta contro i suoi sensi più sviluppati e all’erta; spiritualisti più scaltri e intelligenti tentavano di colpirlo con le loro frecce e i loro maledetti pezzi di carta nel tentativo di lasciare poi il suo debole corpo alla mercé di quei macellai. Ma non avevano fatto i conti con delle orecchie capaci di percepire il sibilo che si avvicinava.
 
Era maggiore il numero delle volte in cui aveva agguantato Koga per la sua lunga coda di cavallo per gettarlo a terra insieme a lui ed evitare un colpo spirituale fatale o quello in cui le sue zanne e i suoi artigli si erano macchiati di sangue?
 
Fu mentre si chiedeva questo e sentiva po’ il rimorso per tanto spietatezza che, inspiegabilmente, una Katana gli venne puntata alla gola da dietro. Inuyasha non ebbe modo di andare nel panico, né di accorgersi delle pupille dilatate del fedele amico perché, in una mossa molto avventata delle sue, spinse con più forza del dovuto il gomito all’indietro, tanto che sentì le costole del nemico fratturarsi a causa dell’impatto.
 
Era stato fortunato, proprio come era successo nel precedente incontro con Michi.  Il cacciatore, preso alla sprovvista, avrebbe potuto far scivolare la lama lungo il suo collo e causargli un danno fatale, ma forse la dea bendata non lo aveva ancora abbandonato; forse quel sorriso che aveva visto lo accompagnava ancora da lontano.
 
Fece una capriola su stesso e osservò la figura a terra e dolorante. Gli occhi si allargarono nel notare uno di quei bastardi da cui aveva origliato quella notte fatale e uno di quelli che lo avevano seguito e quasi acchiappato. Un ringhiò gli sfuggì dalle labbra, gli occhi gli lanciarono uno sguardo carico di odio, ma Inuyasha non ebbe modo di concludere la sua patetica vita perché Koga lo anticipò. Le lame argentate della Goriashi gli tranciarono la testa di netto, sangue ne fuoriuscì a fiotti macchiando le pellicce del lupo e la veste di Hinezumi del mezzo demone di un rosso impuro.
 
In pochi secondi, calci e pugni, lame e artigli ripartirono all’attacco per uccidere anche i compagni del cacciatore ormai senza testa; qualche altra freccia andò vicino al bersaglio e dei bastoni sacri gli ostacolarono i movimenti, ma nonostante tutto, Koga e Inuyasha continuarono a cavarsela.
 
Era facile da capire chi stesse avendo la meglio, si prevedeva che il conflitto sarebbe finito anche abbastanza presto e Inuyasha avrebbe solo desiderato un po’ di spazio per poter utilizzare come si deve la sua Tessaiga. Con nemici e alleati mischiati tra loro, era troppo pericoloso lanciare una cicatrice del vento che avrebbe dunque tranciato anche molti demoni; sperava che qualcuno si fosse fatto indietro per lasciargli un’apertura. Inuyasha però non era uno sprovveduto, sapeva che sarebbe stato impossibile che quei demoni assetati di sangue lo lasciassero agire e sprecare i loro giocattoli.
 
Nel frattempo, Toga stava avendo una simile battaglia interiore dall’altro lato del campo. Per lui che aveva vissuto così a lungo, combattuto innumerevoli battaglie, era facile riconoscere e distinguere i vari combattenti; ci aveva fatto l’occhio e il naso. Erano gli sguardi i primi a tradire le persone: c’erano quelli che assettati e pieni d’odio, i primi a dover essere eliminati, i primi da mettere fuori combattimento; i loro movimenti esperti e per nulla esitanti erano solo la conferma. Di fronte a loro nemmeno il Generale esitava. Sapeva che erano senza speranza e non volevano redenzione.
 
Eppure, negli sguardi della gente era possibile riconoscere anche la paura che faceva mirare a vuoto, agire d’istinto e spesso senza senso. Si metteva il piede in fallo e si mostrava la reticenza e la vergogna nel prendere parte al bagno di sangue. Attraverso gli occhi, quelle pupille dilatate, i volti cinerei e i gesti maldestri, Toga aveva imparato a riconoscere anime innocenti che morivano sotto gli artigli di demoni che tanti scrupoli non se ne facevano.
 
Per questo Toga aveva dato un ordine preciso prima che la battaglia cominciasse, lo aveva detto a quella parte del suo esercito che non era interessato alle idee sanguinarie del figlio maggiore: salvare quelle anime, salvarle laddove era possibile; a fine battaglia avrebbero fatto i conti.
 
Queste persone venivano messe fuori combattimento il prima possibile e trascinati al sicuro, lontano dagli occhi avvelenati e, sebbene, non fosse possibile salvarli tutti, Toga era fiero del suo operato e sperava che, il giorno dopo, avrebbero anche potuto alleviare il peso che portava nell’anima.
 
 


 
Kiyoshi era di ritorno dal castello, nelle orecchie ancora gli risuonavano le urla del demone che aveva sapientemente torturato, centimetro per centimetro, zanna per zanna, artiglio per artiglio. A quelle di lui si accompagnavano quelle dei cinque cacciatori che erano periti quando, richiamati dalle urla, le guardie demoniache erano accorse nelle celle e fatto fuori i responsabili. Kiyoshi era scappato per un pelo: sapeva che, sebbene i pugni si stringessero al pensiero di non far soffrire quelle altre anime impure, non avrebbe mai potuto avere la meglio contro tanti demoni. Era stata quindi la scelta naturale lasciare quei babbei lì a morire; avevano servito il suo compito tanto e, approfittando del trambusto, lui aveva annullato la sua aura e scappato da quelle mura.
 
Il sangue gli ribolliva al ricordo di ciò che era riuscito a strappare dalle labbra di quel toro: Miroku era morto.
 
Morto.
 
E mentre ricompariva sul campo e si accorgeva del sangue e dei corpi esamini disseminati ovunque, realizzò quanto quel monaco idiota era costato al suo esercito.
 
Per qualche oscuro motivo, il loro piano, il loro attacco a sorpresa era fallito e lui ci avrebbe scommesso che quel maledetto ibrido che avevano inseguito qualche giorno prima era in qualche modo riuscito a rientrare nelle terre e spifferare tutto.
 
Non c’era altra spiegazione. Lui era lì, aveva ascoltato tutto, era riuscito a tornare ferito nelle terre demoniache. Strinse ancora di più i pugni. Non solo gli era scappato – il primo, il primo a farla franca contro di lui – ma aveva fatto sì che i loro piani ben calcolati andassero a puttane; aveva fatto sì che tutte quelle anime impure che Kiyoshi aveva il compito di purificare gli scappassero.
 
L’avrebbe pagata, oh sì, quei bastardi con i capelli d’argento l’avrebbero pagata.
 
In quel momento scorse tre teste d’argento, tre – questo confermava il fatto che il bastardo mezzo demone fosse tornato incolume e ora stava anche aiutando i suoi alleati demoni a uccidere la sua gente – e un ghigno gli apparve sul viso nel constatare il momento propizio. Un luccichio malsano andò a completare il quadro.
 
Senza perdere tempo, incoccò una freccia e lasciò che questa facesse il suo corso.
 
 


 
Ne erano rimasti pochi ormai.
 
Toga aveva appena colpito nello stomaco un giovane sterminatore – un bambino, nemmeno ancora sviluppato, già costretto a far la guerra – quando un cacciatore approfittò del momento e lo colpì da dietro.
 
Lo attaccò mentre il Generale stava raddrizzando il proprio corpo dopo aver inflitto il pugno, quel nanosecondo in cui i sensi erano più concentrati sui singoli movimenti e sul giovane piuttosto che sull’ambiente circostante.
 
Solo un nanosecondo.
 
La lama della lancia lo trapassò; Toga abbassò lo sguardo per osservare quella punta insanguinata che gli spuntava dal petto, a sinistra del cuore. Peccato, pensò lui, il cacciatore doveva migliorare proprio la mira se contava di colpirlo al cuore.
 
Senza farsi scalfire, come se il colpo lo avesse lasciato indifferente, rimosse la lancia. Non digrignò nemmeno i denti e il suo corpo non tremò nemmeno per un secondo.
 
Dietro di lui, un Comandante aveva già eliminato il cacciatore colpevole.
 
Dilettante, pensò Toga mentre era impegnato a rimuovere l’oggetto contundente. Ecco chi mandano a far la guerra e a morirci, dei dilettanti.
 
Ma quel secondo momento fu abbastanza.
 
Aveva pensato alla tristezza di quella guerra e rimosso una lancia che non avrebbe mai potuto definirsi mortale per uno del suo calibro e si era distratto.
 
Eppure fu abbastanza ad accendere una luce maniaca e malvagia negli occhi di un monaco deviato.
 
Quando Toga finalmente registrò il sibilo fu troppo tardi.
 
Quando la testa di Inuyasha scattò in quella direzione, le pupille si dilatarono e un urlo terrificante gli scappò dalle labbra mentre le gambe si muovevano di loro accordo, fu troppo tardi.
 
La freccia era stata scoccata.
 
E prima di essere gettato a terra e il suo corpo squarciato dagli artigli ora verdi-veleno del figlio maggiore, Kiyoshi ebbe modo di ridere sguaiatamente e maniacalmente del suo successo.
 
Sarebbe morto, per lui era la fine, ma almeno poteva vedere che era stato lui – lui – a scoccare la freccia che aveva buttato in ginocchio l’Inu-no-Taisho.

 

 
N/A: Iniziamo con le comunicazioni di servizio e poi parliamo di questo bel capitoletto. Ho quasi finito di scrivere l'epilogo, quasi perché mi manca la parte più sdolcinata insomma, che è sempre quella che mi riesce più difficile perché in realtà io le cose troppe zuccherose non le digerisco bene, quindi quando mi è richiesto e scrivo, sono io stessa a farmi venire le carie per quello che ho scritto. 
Tuttavia mi stava venendo troppo lungo quindi alla fine ho deciso di dividerlo in due perché c'era proprio un punto che diceva: Dividimi! E vabbè quindi questa storia che inizialmente ne doveva avere 4 di capitoli, alla fine ne avrà 10 e l'ultimo sarà anche abbastanza lunghetto. Però prometto che settimana prossima vi posto il nono, tanto sono stata brava a postare questo entro la decina, no? 

Ora venendo a ciò che succede qui: 
Inuyasha → Ehi, io ci ho provato a cercare la gif, mezz'ora ci ho messo invece di andare a cucinare e invece niente, ho trovato solo l'immagine. 
 
Eccolo il nostro mezzo demone alla fine di questo capitolo 😱. Tratto dall'episodio 46: Kageromaru e Juromaru. 

Izanami e Izanagi sono Dei Giapponesi. Secondo la mitologia, quando Izanagi lasciò dietro nello Yomi (la terra dei morti) la moglie Izanami, questa per vendicarsi dichiarò che avrebbe ucciso 1000 anime al giorno, il marito le rispose che ne avrebbe create altrettante + 500. Per questo motivo Izanami è anche considerata la dea della Morte. 

Per quanto riguarda, invece, il giovane demone ucciso, il suo nome significa Armonia e Pace, scelto per l'occasione se andate a rileggervi il pezzo. 
Per la morte di Kiyoshi, invece, avrei voluto fosse Inuyasha a ucciderlo, ed era mia intenzione, ma poi mi sono ritrovata a scrivere di Sesshomaru che lo fa a pezzi perché ho pensato che tra i due, Inuyasha sarebbe tipo corso in aiuto o sarebbe stato troppo scioccato, mentre Sesshomaru che è il più violento dei due, sicuramente avrebbe subito pensato a vendicare il padre. 

Grazie per essere giunti fin qua! Spero che il finale di questo capitolo non vi abbia sconvolto troppo. Alla prossima! 😜

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Capitolo 9
*** Sei mesi dopo – Parte I ***


N/A: Salve a tutti! 
Mi rendo conto di aver fatto passare una quantità di tempo spropositata prima di pubblicare questo capitolo - nonostante fosse pronto e aspettasse solo me - ma in realtà sto avendo difficoltà a concludere la seconda parte di questo epilogo. So cosa voglio scrivere, ho fatto una piccola scaletta, ma non riesco a convertirla del tutto in parole. Per ora è pronta solo a metà, ma non so dirvi quando vedrà finalmente la luce. 

Intanto, spero che il capitolo vi piaccia. A presto! 

 


Capitolo Nove: Sei mesi dopo – Parte I


 
“Fulvia, Fulvia, amore mio.”
Davanti alla porta di lei gli sembrava di non dirlo al vento, per la prima volta in tanti mesi.
Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto… Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi son visto morto. Ho riso e pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.”
 
 




Il sole stava albeggiando sulle terre ad Ovest quel tranquillo giorno di sei mesi dopo. Per la prima volta si respirava un’aria incredibilmente pura e libera dal crudo e nitido odore del sangue o dei medicinali; anche l’odio e il risentimento sembravano essere ridotti al minimo.
 
Era cominciato quel periodo di prospero e pace che il Grande Generale Cane aveva sempre definito il migliore post guerra – e anche quello che illudeva i più di poter vivere per sempre in quel modo. Ovviamente così non era.
 
La ripresa in tutte le terre del Giappone, sotto il controllo umano o demoniaco, era stata abbastanza veloce grazie alle risorse dei demoni e, sebbene rimanessero molte cose da riparare e portare all’antico splendore, gli animi avevano già cominciato a essere più leggeri e meno provati.
 
Però, come già detto, era un’altra condizione destinata ad evolversi, passeggera – nulla era fermo ed immobile, come d’altronde la storia insegnava.
 
Con il tempo anche la pace avrebbe cominciato a star stretta, le turbolenze sarebbero aumentate, i ribelli avrebbero gridato alla rivoluzione, al nemico, al traditore e gli errori si sarebbero ripetuti. Perché, sfortunatamente, se c’era una cosa che la storia non riusciva mai a insegnare era proprio il tipo di errori da non ripetere.
 
Presto o tardi, quindi, ci si sarebbe ritrovati sull’orlo di una nuova guerra, a sporcarsi gli artigli di sangue e leccarsi le ferite; il mezzo demone si chiedeva quel presto o tardi quando sarebbe arrivato. Lui aveva sperimentato solo una guerra e le perdite e il dolore causati da essa gli sarebbero bastati per tutta la vita. Non riusciva a concepire in che modo il padre ne avesse vissute così tante senza impazzire – anche se, Inuyasha ricordava bene, Toga in passato aveva ripetuto più volte di non sentirsi poi tanto sano di mente giunto a quel punto e dopo tanti conflitti.
 
“Non farti fregare dalle apparenze,” scherzava sempre rivolto al figlio minore, “questo tuo vecchio è il più ammattito di tutti quanti.” Una risata fragorosa avrebbe seguito quell’affermazione e poi una pacca potente sulle spalle che aveva sempre la capacità di fargli perdere l’equilibro per qualche secondo.
 
Il padre non ci era mai andato leggero con quelle, bisognava ammetterlo.
 
Sospirò per l’ennesima volta mentre volgeva lo sguardo in alto e osservava i primi raggi colorare l’orizzonte e illuminare i tanti demoni già a lavoro. La ricostruzione non finiva mai e tutti, senza prendere in considerazione specie, razza o sangue misto, si davano da fare. Ecco un’altra cosa che Toga aveva sempre amato dire quando raccontava al figlio delle precedenti guerre: nulla univa meglio di quel momento in cui tutti mettevano a disposizione le proprie abilità per ricostruire la propria casa.
 
Sospirare. Gli sembrava di averlo fatto anche troppe volte in quegli ultimi sei mesi, o meglio, gli sembrava di aver fatto solo quello. Il mezzo demone era probabilmente tra quei pochi che non erano ancora entrati nella fase della pace e della prosperità mentale – quei pochi ancora affranti dal dolore e dalla miseria della guerra.
 
Una figura possente lo stava osservando già da un po’ – Inuyasha, troppo perso nei suoi pensieri, non si era accorto di nulla – e scosse la testa a sentire l’ennesimo sospiro. Ne aveva abbastanza, in qualche modo doveva scuoterlo.
 
Si avvicinò limitando al minimo il rumore degli stivali sul terreno. Solo quando ebbe appoggiato la grande mano artigliata sulla spalla del mezzo demone questo si riscosse; Inuyasha continuò comunque a tenere lo sguardo rivolto allo spettacolo che la natura gli stava offrendo.
 
“Cos’è che ti affligge quest’oggi?” domandò. “Avrei giurato che con una vista del genere sarebbe stato impossibile essere tristi o nostalgici.”
 
“Buongiorno, padre. Non sono né triste né nostalgico.” Il tono gli uscì più secco e irritato di quel che avrebbe desiderato; Toga scosse una seconda volta la testa.
 
“Beh, avrei giurato il contrario, figliolo. A vederti da dietro almeno.” Gli lasciò la spalla e lo affiancò, ammirando la bellezza del sole che sorgeva.
 
“Mi stavo chiedendo quanto durerà questa finta pace e quando ricominceremo a sporcarci le mani.”
 
Il Generale indurì per un momento lo sguardo. “Figliolo,” ripeté, “so per esperienza quanto flebile sia questa pace, quanto velocemente si può tornare alla guerra, quindi non credi sarebbe meglio approfittarne ora che si può e lasciare andare le riflessioni filosofiche a un altro momento?”
 
Inuyasha non offrì alcuna risposta solo un’alzata di spalle.
 
“Sarebbe potuta andare peggio,” aggiunse il genitore conscio che il figlio stesse pensando ancora alle perdite e non alle conquiste.
 
Un’emozione attraversò gli occhi dorati del mezzo demone a quelle parole. Era vero, avrebbe potuto perdere molto di più constatò, anche se la consapevolezza non lo faceva soffrire di meno se ripensava alla madre o al tradimento di Kikyo.
 
Per un attimo smise di compatirsi e la mente ritornò a quell’ultimo scontro che aveva rischiato di portargli via anche l’ultima cosa buona che gli era rimasta: il padre.
 
 


 
La battaglia era quasi giunta al termine, gli umani sul campo erano decisamente pochi se non si consideravano i morti, e Inuyasha si era fermato un attimo per pulirsi la fronte sporca sia di sudore che di sangue. Fu un attimo e sentì, dal lato opposto a dove si trovava, il sibilo di una freccia che, sebbene non fosse diretta verso di lui, colse la sua attenzione.
 
Dopo avrebbe pensato che fosse strano il fatto che, tra le tante che volavano attorno e vicino a lui, quella in particolare avesse attirato la sua attenzione. Forse fu il tremendo presentimento che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene o il ghigno maniacale che accompagnò la freccia verso il suo obiettivo, fatto sta che Inuyasha lo sentì chiaro come una goccia d’acqua che cade infrangendo l’inquietante silenzio della radura al mattino presto.
 
Voltò la testa di scatto e gli occhi si allargarono a notare il padre fermo davanti a lui ancora intento ad osservare la lama di una lancia che lo aveva trapassato. Un grido strozzato gli lasciò le labbra mentre gli arti si muovevano di propria volontà, più veloci che mai, più di quel che avrebbe mai creduto possibile.
 
La sua mente non registrò nulla di tutto ciò, non le grida di terrore, né quelle di gioia di demoni e umani, né il suono della carne del monaco che veniva dilaniata dal fratello maggiore. Davanti agli occhi vedeva solo lo sguardo sorpreso del padre consapevole di essere stato colto alla sprovvista, lo sguardo rassegnato.
 
Mentre la freccia compiva il suo tragitto, Toga ebbe un secondo per voltare gli occhi verso il figlio minore e chiedergli scusa. Quell’attimo bastò a far ribollire il sangue di Inuyasha; non avrebbe accettato nulla di tutto ciò.
 
Il suo corpo, di cui non aveva ancora recuperato il controllo, sembrò accelerare in risposta alla rabbia che lo sguardo del padre aveva suscitato. Il sibilo della freccia continuava a rimbombargli nelle orecchie.
 
Poi fu un attimo, la sua mente non registrò il dolore o i sensi oscurarsi; né le gambe diventar di gomma e tradirlo, né il respiro che si mozzava. Vide solo il padre cambiare espressione, da implorante a scioccata, i suoi occhi sgranarsi e il corpo che si apprestava ad aiutare quello del figlio che si accasciava a terra immobile e improvvisamente incapace.
 
Prima di svenire usò quel poco fiato che gli rimaneva per rivolgere due parole dure al padre, per fargli capire che non avrebbe accettato nulla di quello che aveva provato a dirgli con gli occhi: “Niente scuse.”
 
Non rimase abbastanza sveglio per sentire ciò che il padre aveva mormorato in risposta, vide solo delle labbra sfocate che si muovevano mentre le sue palpebre si chiudevano all’improvviso pesanti come piombo.
 
 

 
 
Solo dopo essersi svegliato e tornato al suo stato di mezzo demone avrebbe saputo che quella corsa, che agli occhi di tutti coloro che erano sul campo di battaglia era sembrata impossibile, aveva salvato la vita al padre. Inuyasha non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto attraversare tutto il campo fino ad arrivare al padre e addirittura battere la freccia; era fisicamente impossibile.
 
Koga gli aveva detto di fregarsene. Aveva salvato il padre, a chi fregava se la cosa a pensarci era infattibile? Inuyasha aveva compiuto un miracolo forse, ma l’importante era che ci fosse riuscito. Forse era stata la disperazione, forse la rabbia, ma il mezzo demone – proprio grazie alla sua natura – aveva salvato il Grande Generale Cane.
 
L'attacco di Kiyoshi, però, aveva solo accelerato la fine della battaglia. Tutti, anche coloro che avevano sempre opposto le idee del Generale, erano rimasti oltraggiati da quell’assalto e ricominciato a colpire gli avversari con nuovo fervore, maniacale, infernale.
 
Inuyasha si era perso quegli ultimi momenti agitati ma non se ne dispiaceva poi tanto. Era sicuro che quando suo padre aveva definito gli attacchi dei demoni più mirati diligenti in realtà intendeva che si erano divertiti a sventrare e mutilare; gli era stato impossibile impedire la smorfia apparsa sul viso e lo sguardo carico di odio. Toga aveva finto di non vederlo, non perché non fosse d’accordo, ma perché sapeva quanto certe volte – tra demoni che avevano nella loro natura di essere spietati – era impossibile evitare bagni di sangue.
 
Lui stesso, combattente da secoli, rimaneva ancora un po’ perplesso a causa di certe emozioni, sebbene sapesse mantenere alla perfezione il sangue freddo quando era necessario – ecco qualcosa che Sesshomaru aveva ereditato da lui e non dalla crudele signora che era sua madre. Inuyasha, invece, ne era sempre particolarmente colpito e non solo per la sua inesperienza, ma anche e soprattutto per la sua metà umana che aveva ereditato da una donna che di per sé era sempre stata più sensibile degli altri.
 
Mentre Inuyasha tornava alla realtà e suo padre rimaneva in silenzio accanto a lui a guardare l’orizzonte, una guardia interruppe il loro momento lasciandosi andare a pure formalità prima di schiarire la voce e specificare l’intento della sua venuta.
 
“Miei signori.” Toga guardò con occhio attento quella guardia ancora giovane, più di suo figlio, impeccabile nei suoi movimenti e lineamenti ancora un po’ acerbi, porgergli un’urna di terracotta.
 
Un sorriso un po’ sfrontato gli abbellì le labbra osservando il giovane che aveva preso un po’ sotto la sua ala negli ultimi sei mesi da quando lo aveva trovato morto e ancora un po’ caldo davanti a un’entrata del castello.
 
In realtà, l’attacco al Generale si era rivelato una fortuna per Kazuo. Il giovane non aveva avuto tanto torto quando, prima di accasciarsi, aveva pensato che il suo corpo sarebbe stato ritrovato troppo tardi, ma avendo gli ultimi eventi accelerato il volgersi della battaglia, altri erano tornati in anticipo a difesa del castello.
 
Tra questi c’era il Generale in persona. Quando di nemici ne erano rimasti pochi, Toga aveva ordinato ad alcuni Comandanti di portare gli umani svenuti nelle celle e affidato il resto al figlio maggiore mentre correva al capezzale del minore. Fu così che aveva scorto il corpo del demone cane la cui anima era a un passo da superare il confine.
 
Non ci aveva pensato due volte, rivedendo in lui molti altri giovani che erano già stati abbattuti durante la loro prima guerra e lo stesso Inuyasha che se l’era cavata per il rotto della cuffia più di una volta. Aveva estratto Tenseiga e si era sbarazzato degli inviati dell’aldilà già più che pronti a trasportarlo dall’altro lato. Poi, senza nemmeno accertarsi della buona riuscita del suo gesto – in realtà non aveva dubbi, quindi non si sforzò nemmeno di assistere al risveglio del giovane – aveva proseguito per la sua strada e raggiunto il figlio nelle sue camere private.
 
Ora Kazuo, oltre a svolgere il suo compito di guardia, si ritrovava spesso ad aiutare con piccoli compiti che il demone maggiore gli affidava personalmente, come per l’appunto aveva appena fatto.
 
Prima di approcciarsi al figlio minore, infatti, Toga aveva richiesto a Kazuo di portargli l’urna che ora stringeva tra le mani.
 
Inuyasha lo osservò con un sopracciglio alzato; la puzza di morte e ceneri che il contenitore emanava non gli era sfuggita in quanto piuttosto forte. Toga lo ignorò ancora per qualche secondo, fingendo innocenza.
 
“Sai…” cominciò il padre dopo che ebbe dismesso la guardia, “Il giorno dopo la battaglia sono riuscito a recuperare qualcosa o meglio, qualcuno, che era rimasto ammucchiato insieme ad altri tanti cadaveri nella parte posteriore dei sotterranei. Quella dove tuo fratello ordina ai suoi sottomessi di gettare i corpi dei prigionieri uccisi che aspettano di essere bruciati o, peggio ancora, lasciati alla mercé dei saprofagi. A quanto pare le preparazioni dell’ultima battaglia e in seguito la pulizia del campo ha fatto sì che quelle impeccabili guardie tardassero un po’ nel loro compito.”
 
Inuyasha continuò a fissarlo stoico cercando di capire dove stesse andando a parare il padre – aveva recuperato qualcuno? E perché diamine si era fatto portare le ceneri?
 
Toga voleva alzare gli occhi al cielo per la tardività cronica del figlio nel capire le cose più ovvie, ma si trattenne e continuò con il suo discorso. “Credo che questo qualcuno meriti riposo e soprattutto una preghiera per le buone azioni che ha commesso durante questa guerra crudele.”
 
A quel punto Inuyasha sgranò gli occhi. Non voleva mica dire che… “Quelle sono…?” non riuscì nemmeno a completare la domanda.
 
“Sì, figliolo, il corpo che ho recuperato e poi fatto cremare era quello di Miroku. Mi è dispiaciuto non essere stato in grado di salvarlo e non nego che un po’ mi sento in colpa per la sua morte. Se solo fossi stato più preciso nei miei ordini…”
 
“Keh, è inutile perdersi in certi discorsi, padre. Sesshomaru avrebbe comunque fatto come gli pareva,” sbuffò.
 
Il Generale annuì saggiamente; Inuyasha non aveva poi tanto torto, ciò nonostante voleva riparare ai peccati del figlio maggiore. “Forse hai ragione, figliolo. Tuttavia, come stavo dicendo, merita anche lui un degno luogo di riposo e un funerale. Siccome non posso sapere quale fosse il suo villaggio natale, vorrei che le sue ceneri arrivassero almeno a quella gentile sacerdotessa che ti ha salvato la vita più di una volta. Sono sicuro che sarebbe misericordiosa abbastanza da lasciarlo riposare dietro al suo tempio. Tu che ne dici?”
 
Inuyasha saltò un battito. Kagome, suo padre voleva portare le ceneri a Kagome – senza nemmeno sapere che in realtà la ragazza conosceva più che bene il monaco sfortunato. Gli si strinse il cuore nel petto. Cosa stava pensando la giovane dopo tanti mesi che Miroku non si faceva vedere? Lo aveva dato per disperso o, con ragione, per morto? Non poteva non ricordare il volto triste che aveva avuto mentre parlava della sorella e come ora quella stessa espressione probabilmente le imbronciava il viso per un’altra persona che aveva perso a causa della guerra.
 
Il mezzo demone non poteva negare che durante la ripresa aveva pensato tanto alla giovane sacerdotessa – anche troppo – e si era reso conto di esserne anche un po’ ossessionato. La sua mente continuava a rimandargli le immagini del loro ultimo incontro, gli sembrava di risentire le sue labbra calde e innocenti che gli sfioravano la guancia e pensava al modo in cui si era messa in pericolo per lui. Sia Koga che Toga lo avevano colto più di una volta con la mano alzata a mezz’aria mentre inconsciamente andava a carezzare proprio quella parte del viso ma poi, rinsavito e resosi conto del gesto, cercava di nasconderlo grattandosi.
 
Il demone lupo lo prendeva in giro senza pietà mentre il padre, beh… Toga lo guardava tra il divertito e il consapevole. Ora che Inuyasha ci pensava bene, si chiese se quell’argomento non fosse stato scelto di proposito dal genitore.
 
Voltò gli occhi scettici verso il demone maggiore come a volergli dire che non se la beveva, c’era qualcosa sotto. Toga finse innocenza.
 
“Inoltre,” quest’ultimo continuò imperturbato, “avevo detto che mi sarebbe piaciuto portare i miei rispetti e sentiti ringraziamenti a questa fanciulla che mi ha permesso di riabbracciare mio figlio. È anche merito suo se siamo riusciti finalmente a parlarci come si deve, no?” Abbracciò di slancio il figlio, stringendogli la testa al petto e scompigliandogli i capelli, in una dimostrazione d’affetto simile a quelle a cui si era sempre lasciato andare quando Inuyasha era meno schizzinoso e chiuso. Talvolta quell’adolescente meno burbero e più aperto gli mancava; non che fosse proprio un adulto ora, ma aveva sicuramente passato quella fase.
 
Inuyasha tossì quando si fu liberato della stretta del padre e si risistemò stizzito i capelli, volgendo al padre un’occhiataccia poco convinta. “Quindi?” sbottò cercando di nascondere il battito accelerato e quanto in realtà gli interessasse sapere dove doveva andare a finire quella conversazione.
 
“Quindi? Ho rimandato anche troppo; Miroku-sama non lo merita. Ma io sono ancora bloccato con le ricostruzioni, gli incontri politici e quant’altro. Non penso proprio di potermi muovere al momento. Credi di poterti avviare al posto mio, figliolo? Ti raggiungerei appena possibile, vorrei comunque avere l’occasione di scambiare due parole con Kagome-sama e la sua famiglia.” Questa volta non cercò nemmeno di nascondere il divertimento che provava mentre intrappolava il figlio e il chiaro intento che c’era dietro la richiesta.
 
Inuyasha, invece, si sforzò di non diventare un libro aperto davanti al padre che già riusciva, in condizioni normali, a intuire cosa passasse per la testa del figlio. Lo aveva proprio incastrato bene; bisognava dirlo. Ma era davvero una cosa negativa? Si era scervellato nel pensare a Kagome in quei mesi, cercando di capire anche la natura dei suoi sentimenti e il perché del cuore che gli batteva più forte ogni qualvolta si accennava a lei, eppure non aveva mai fatto nulla.
 
Si era detto che era occupato, si era ripetuto che non poteva abbandonare l’amico o il padre in quella situazione tanto difficile, ma in realtà le sue scuse erano solo nate dalla mancanza di coraggio – e poi si arrabbiava se qualcuno gli dava del codardo. KEH!
 
Ora non poteva tirarsi indietro. Quando Toga gli chiedeva gentilmente di fare qualcosa in realtà non si aspettava minimamente un diniego e il suo era solo un teatrino inscenato per non fare la parte del padre cattivo che dava ordini o vestire i panni del Generale. Ma se Inuyasha avesse osato rifiutarsi o anche solo lamentarsi non avrebbe avuto remora a dargli un ordine secco.
 
Sospirò. Si faceva sempre mettere nel sacco e sapeva che il tutto era un piano orchestrato dal genitore – chissà che idee si era fatto su di lui e Kagome. Se un po’ lo infastidiva che si fosse messo in mezzo in quel modo, dall’altro lato riconosceva anche il tentativo di recuperare il tempo perso in quei due anni e riavvicinarsi ancora una volta alla vita personale del figlio. Inuyasha lo apprezzava.
 
Toga era nuovamente suo padre. Scherzava di nuovo, aveva ricominciato con le pacche e le risate fragorose che gli ferivano quasi le orecchie canine. C’erano giorni in cui il suo sguardo si perdeva e Inuyasha vi leggeva un dolore che conosceva molto bene, ma gli stessi impegni lo tenevano occupato e per questo finiva per riflettere meno su ciò che aveva perso.
 
Soprattutto aveva cominciato a cercarlo molto più di prima. Inuyasha e Toga, nonostante le differenze caratteriali, avevano sempre avuto un rapporto padre-figlio quasi perfetto, eppure adesso sembrava che il dai-youkai volesse trascorrere ancora più tempo con lui e non era il senso di colpa ad aver causato il cambiamento.
 
Inuyasha era figlio di Izayoi e, in quanto tale, Toga vedeva e cercava lei in lui; era il suo modo per sentirne meno la mancanza. Inoltre, non voleva più che il figlio corresse più determinati rischi. E considerando le ultime cose, era anche straordinario che il padre lo lasciasse andare da solo liberamente. Il Generale probabilmente si rendeva conto che non poteva comunque stargli continuamente addosso e il figlio aveva bisogno dei suoi spazi, soprattutto, di trovare il suo lieto fine.
 
Toga sperava che quella scintilla che aveva visto un paio di volte negli occhi del figlio fosse dovuta a una persona in particolare e che quest’ultima potesse in qualche modo ricambiarne i sentimenti. Non era all’oscuro, infatti, delle difficoltà che i mezzo demoni avevano a trovare un compagno di vita, ancora di più i mezzo demoni con il cuore spezzato.
 
Alla fine Inuyasha sorrise condiscendente. “Va bene, padre.” Allungò le mani verso l’urna e Toga gliela passò immediatamente. “Quando dovrei partire?”
 
“Anche subito,” fu la risposta del demone accompagnata da un’altra pacca sulle spalle e un occhiolino.
 
 

 
 
E così, veste e spada fedele al seguito, il mezzo demone si avviò verso Est senza nemmeno avvertire l’amico lupo, il quale continuava a nutrire dubbi verso la comunità spirituale. Voleva evitare le solite ramanzine; i suoi nervi già a fior di pelle non avrebbero gradito.
 
Lo aiutava invece l’idea della passeggiata attraverso la foresta, l’odore dell’erba dopo un temporale che aveva sempre amato e il frusciare degli alberi che lo avevo sempre accompagnato. Aveva già deciso che non avrebbe corso, non ci sarebbe stata alcuna fretta – tanto il suo passo normale era comunque superiore a quello di un umano – e si sarebbe goduto il paesaggio mentre cercava di mettere in ordine i suoi pensieri che da un po’ di tempo continuavano a essere matassa disordinata.
 
Le sue incertezze erano ricominciate qualche giorno dopo la battaglia X. Aveva deciso di mettere finalmente una pietra sopra la questione Kikyo, sperando che ciò lo aiutasse a ricucire il cuore ferito più facilmente, ma il fatto stesso che lei fosse la sorella di Kagome gli rendeva le cose più difficili.
 
Si diceva che doveva dimenticare anche quest’ultima, altrimenti non avrebbe mai lasciato andare nemmeno la maggiore, però poi a quel pensiero il cuore si stringeva in una morsa letale e lasciava perdere. Non che comunque avrebbe mai rivisto Kikyo – anche nell’ipotesi, che gli sembrava sempre molto remota, in cui avrebbe rivisto Kagome, avrebbe dovuto imparare a distinguere le due come entità separate e con nulla in comune, nemmeno il sangue.
 
Nelle giornate più positive pensava che presto avrebbe imparato a conviverci. Se suo padre aveva imparato a farlo con la mancanza dell’amata compagna non vedeva alcun ostacolo neanche per sé – solo sperava di non metterci tanto quanto il genitore. Ci avrebbe riso su un giorno, si diceva. Se gli Dei gli avessero permesso di arrivare alla veneranda età di suo padre, sperava di guardarsi alle spalle dall’alto dei suoi tanti secoli e ridere a crepapelle della sua stupidità e immaturità.
 
Ma soprattutto, quando la speranza tornava a fargli visita, non si vedeva solo in quel viaggio secolare.
 
Era un pensiero che durava poco però, perché non appena la mente cominciava a navigare in quelle acque un po’ più pericolose scuoteva la testa e si dava dello stupido per illudersi così facilmente. Sperare roba del genere lo avrebbe fatto solo soffrire ancora di più. Avrebbe portato le ceneri al villaggio e poi da lì chissà, forse il padre gli avrebbe dato il suo benestare per un viaggio solitario attraverso tutto il Giappone – sentiva gli avrebbe fatto bene.
 
Eppure, per quanto ci provasse a tenersi impegnato, distrarsi con quei pochi amici fidati e gli allenamenti, il pensiero di Kagome continuava ad affollargli la mente e lo lasciava senza fiato.
 
Com’era possibile ossessionarsi – non voleva usare la parola infatuarsi o peggio ancora – per una persona dopo così poco tempo passato insieme? Lui non credeva a quelle scemenze come il colpo di fulmine o l’amore a prima vista, per quanto il padre, demone maggiore di forza inestimabile che faceva paura a tutti ed eterno romanticone, amasse raccontare il suo incontro con la dolcissima e incantevole principessa umana che, dopo solo un incontro di sguardi, sapeva sarebbe diventata sua.
 
Toga diceva che per i demoni non si trattava di colpo di fulmine, ma d’istinto. Per loro le cose erano più razionali da quel punto di vista; non si scervellavano, non si facevano dubbi, lo sapevano punto e basta. Inuyasha avrebbe voluto avere un po’ meno problemi su quel lato, di certo avrebbe avuto anche meno mal di testa, ma ancora una volta la sua metà umana tornava a incasinargli la vita e la salute mentale. Al padre rispondeva sempre con un suono nasale di disapprovazione.
 
Però anche con Kikyo ci era andato piano e le cose di sicuro non erano finite così bene per loro. E a quel punto ci pensava il suo demone interiore a fargli la guerra: guarda un po’ com’è finita a far le cose come si deve, lasciando a ognuno i suoi spazi.
 
Quella parte più istintuale e rozza di sé ce l’aveva a morte con Inuyasha a quanto pare, dopo il tradimento della sacerdotessa, e non sopportava che in qualche modo lui non l’avesse superata del tutto. Il mezzo demone però digrignava i denti e ignorava quei pensieri, non si sarebbe mai messo a fare conversazione con se stesso manco fosse un pazzo.
 
Eppure tutto ritornava sempre a Kagome.
 
Kagome, il cui nome ritrovava ovunque e il cui sguardo pieno di calore e la fossetta, dal giorno della battaglia, non lo lasciavano più.
 
Kagome che lo aveva aiutato pur avendo tutto da perdere.
 
Kagome che, magari, una volta arrivato al villaggio lo avrebbe aiutato a fare chiarezza nella sua vita e indirizzarlo, che l’incontro tra loro fosse stato un addio o un bentornato.
 

 
Essendo partito poco dopo l’alba, Inuyasha contava di arrivare entro sera nonostante il passo più lento – non ci aveva mai messo troppo per raggiungere il villaggio quando volava quindi presupponeva che una giornata fosse abbastanza anche così.
 
Saltò da albero a albero, scegliendo sempre le chiome più alte e godendo del sole che si posava sui capelli argentati facendoli luccicare come seta preziosa. Le orecchie poste sul capo fremevano agitate in parte a causa del nervosismo e in parte perché si concentrava sui mille rumori della foresta stranamente più silenziosa. Si fermò più di una volta da ruscello e ruscello per quietare la sua sete e strappò qualche frutto maturo mentre era ancora in viaggio quando fu colto dai morsi della fame.
 
Ma alla fine si ritrovò di nuovo in quella radura che occhi e cuore conoscevano tanto bene.
 
Lì in mezzo, fermo e immobile ai piedi di un albero secolare, sembrò perdere per un secondo coraggio. L’urna con le ceneri di Miroku, che aveva tenuto fino a quel momento al sicuro sotto il braccio, fu momentaneamente poggiata a terra mentre si passava lei mani nei capelli nervoso e inspirava.
 
Quando ebbe finalmente riacquistato un po’ di fiducia e stava per calarsi a raccogliere il vaso, un odore che avrebbe riconosciuto tra mille gli invase le narici e lo bloccò. Gli ricordava proprio la foresta dopo un temporale con un’aggiunta un po’ più dolce.
 
Inuyasha sgranò gli occhi a sentire prima la voce cristallina intonare un motivetto e poi a vedere il bianco e il rosso caratteristico delle sue vesti.
 
Nel momento in cui Kagome giunse finalmente nella stessa radura, a Inuyasha parve tutto tranne che Kikyo – nonostante le mille somiglianze – e quel pensiero rafforzò solo il suo precedente proposito: non avrebbe mai dovuto dimenticare Kagome a causa della sorella.
 
Si beò di quella giovane e fresca visione, mentre il primo sorriso sincero da mesi si allargava sulle labbra, approfittando del fatto che Kagome, occupata a raccogliere delle erbe e piuttosto concentrata, non si era accorta di lui. Beh, si disse il mezzo demone, questa volta sarebbe stato lui a coglierla di sorpresa.
 
Aspettò che lei si rialzasse, si pulisse i pantaloni un po’ stropicciati, e poi alzasse il viso.
 
Mentre lei sgranava gli occhi e si copriva la bocca con le mani, Inuyasha si era già fatto un po’ coraggio e le stava offrendo un sorriso smagliante e caloroso. Mentre le prime lacrime di gioia le solcavano il viso, a lui sembrò normale allargare le braccia in segno d’invito.
 
E Kagome, come se fosse la cosa più naturale del mondo, non se lo fece ripetere più di una volta: lasciò andare tutto e corse. Nascose il viso nel petto, bagnandogli la veste di Hinezumi, mentre le forti braccia l’avvolgevano come se Inuyasha cercasse di farla diventare parte di sé; come se finalmente avesse capito il senso di tutto e quel senso risiedesse proprio nel corpicino stretto a lui.
 
Non ci furono parole, al momento non ne avevano bisogno, ne avrebbero scambiate a tempo debito. Ora volevano fare tesoro della reciproca presenza prima che il mondo attorno a loro li richiamasse a sé. 
 

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Capitolo 10
*** Sei mesi dopo – Parte II ***


N/A:  Chi non muore si rivede, quindi eccomi qui. 

Questo lunghissimo capitolo ho cominciato a scriverlo a fine luglio e ha visto le sue battute finali una decina di giorni fa o poco più. Sono seguite riletture su riletture, da parte mia, di chi ha seguito la storia e di chi non conosce nemmeno il fandom 
– facciamo santa quell'amica che è disposta a subirsi quasi 12000 parole senza conoscere il fandom di base 💞 – e infine arriva la pubblicazione. 
Ebbene avete letto correttamente: 12000 parole. 
Le cose da dire erano tante, così come i punti irrisolti quindi alla fine tra una paragrafo e mille dubbi il capitolo è diventato qualcosa di mostruoso. E dire che inizialmente avevo progettato di scrivere a stento 4 capitoli 😅 (Abbiamo capito che non sono brava a calcolare queste cose lol). 
Proprio perché è venuto lunghissimo ho deciso di dividerlo. Ce ne ho messo di tempo a decidermi, sul serio, perché non volevo assolutamente inserire una "Parte III", ma come mi hanno giustamente fatto notare le cose che andrete a leggere sono tante quindi forse è meglio così. Vorrei evitare di scocciare, confondere o farvi venire il mal di testa. 

Nel capitolo precedente ci eravamo fermati che Inuyasha, convinto dal padre, raggiunge Kagome nel villaggio. Questo invece fa un passo indietro e comincia dal punto di vista della giovane sacerdotessa che ricorda cosa è successo in questi sei mesi da che è finita la guerra. 

Detto questo, buona lettura e ci risentiamo nelle note finali. 






Capitolo Dieci: Sei mesi dopo – Parte II
 
 
“Tieni conto di cosa ho fatto per amore e usami indulgenza per cosa ho fatto per forza.”
– Beppe Fenoglio, La Malora 
 
 
Kagome si coprì il viso dai raggi del sole mentre andava a chiamare la sorella minore; la bambina aveva lasciato la capanna da un po’ dopo aver dichiarato di voler trascorrere un po’ di tempo nel giardino privato. Nonostante sapesse quanto Rin amasse occuparsi di tutto ciò che riguardava piante, fiori e verdure, a quell’età non poteva passare tutto quel tempo sotto il sole cocente. Aveva ormai perso il conto delle volte in cui l’aveva sgridata.
 
Era anche vero, però, che Kagome non era davvero capace di essere severa. Aveva diciassette anni e fino a due anni prima era stata lei a essere sgridata, per di più certi istinti materni le erano davvero estranei. Figurarsi se sapeva fare la voce grossa con la sorellina.
 
E infatti, Rin le rispondeva sempre con la sua risata cristallina e poi toccava a Kagome beccarsi la ramanzina da Kaede perché era compito suo, come sorella maggiore, badare a Rin.
 
Siccome non era riuscita a trovarla doveva aveva detto di essere, Kagome dovette deviare leggermente e dirigersi verso i campi di riso. Era la stagione della piantagione ed erano dunque più affollati del solito. Salutò mogli e contadini che incontrò per strada, ma non si lasciò rallentare nemmeno una volta; nonostante la guerra fosse finita e l’atmosfera che si respirava fosse nettamente migliore, non era comunque ancora sicuro per una bambina restare così tanto tempo da sola chissà dove. Accelerò dunque il passo, sperando di trovare Rin nel suo solito posto segreto o, altrimenti, si sarebbe arrabbiata sul serio – sorella o non sorella.
 
Mentre attraversava il villaggio, pensò a quanto fosse cambiato negli ultimi sei mesi e quanto fosse ora pieno di vita. Di certo non aveva più modo di sentirsi sola, semmai il contrario. Ora faceva fatica a ricavare del tempo per se stessa.

 


 
Incontri da organizzare con la comunità spirituale, le lezioni con Kaede – visto che era stato dichiarato che sarebbe stata la prossima capo sacerdotessa in seguito alla scomparsa di sua sorella Kikyo – gente da guarire e una casa da governare, in quegli ultimi sei mesi Kagome non aveva avuto un attimo per respirare. Inoltre, in quanto sacerdotesse, spettava a lei e Kaede accogliere i nuovi abitanti del villaggio insieme al capo e ancora non ne avevano incontrato nemmeno la metà.
 
Siccome molte persone, di ritorno dalla battaglia, avevano ritrovato le proprie abitazioni rase al suolo, durante uno dei primi consigli post-guerra era stato deciso di ricollocare le famiglie nei villaggi che avevano perso molti abitanti – e quello di Kagome era stato tra i più colpiti.
 
Per fortuna, a loro non era stato chiesto di ospitare persone nella loro capanna come era capitato a molti altri mentre nuove case venivano costruite. La loro era piccola e, inoltre, senza una figura maschile, era stato definito inadeguato accogliere uomini nella dimora di tre donne nubili. L’unica eccezione era stata Sango.
 
La ragazza era giunta da loro solo un paio di giorni dopo l’ultimo scontro, insieme a tante altre donne che avevano perso i mariti ed erano venute a chiedere asilo. Era stata la stessa Sango a guidarle nel loro villaggio, in quanto la presenza del tempio lo rendeva più sacro agli occhi di chi aveva cominciato un’opera di devastazione prima che i Generali firmassero nuovi patti per stabilire l’ordine e controlli più serrati.
 
Nessuno degli sterminatori era tornato dalla guerra, le aveva detto l’amica tra una lacrima e l’altra; lei era stata fortunata, il giorno in cui gli spiritualisti erano venuti a reclutarli, ad essere rimasta alla base a causa di un malanno. Tutti, zii, padre, fratello… erano morti tutti.
 
C’era voluto un po’ per farla riprendere, molti giorni a letto e un sacco di tisane per farle scendere la febbre, ma alla fine era stato solo l’arrivo miracoloso di Kohaku e altri giovani sterminatori e farla rialzare.
 
Kagome si era tenuta in disparte durante quella piccola riunione, cercando di ignorare la sensazione di pesantezza al petto e quei pensieri poco puri che le facevano invidiare l’amica; lei suo fratello non l’avrebbe più riabbracciato.
 
Solo dopo che il ragazzo ebbe mangiato, riposato e si fu lavato – e in seguito a un numero esorbitante di abbracci e lacrime da parte di un po’ tutti – Kaede era riuscita a far sì che Sango lo lasciasse respirare e Kohaku aveva cominciato il suo racconto.
 
Fu così che erano venute a sapere che il Grande Generale Cane tanto odiato dagli umani, era stato colui che aveva salvato quella ventina di ragazzi così giovani da avere ancora i denti da latte – e a detta di Kohaku, non erano nemmeno gli unici, ma le loro strade si erano separate sulla via del ritorno.
 
L’unico motivo per il quale avevano tardato tanto era che erano stati trattenuti al castello: siccome erano parte dell’esercito sconfitto, avrebbero dovuto pagare un debito di guerra. Sango aveva sussultato a sentirlo parlare così, aveva creduto che il Generale avesse salvato i ragazzi solo per un proprio tornaconto, per avere degli schiavi, ma era stata subito smentita dal fratello. Questo aveva continuato affermando che anche il debito richiesto era irrisorio. Infatti, avrebbero dovuto contribuire alla ricostruzione dei territori demoniaci danneggiati durante l’ultima battaglia, ma sarebbe stato offerto loro una stuoia dove dormire e delle guardie che li avrebbero protetti da eventuali demoni mal intenzionati. Al tempo stesso questi si sarebbero anche assicurate che svolgessero il lavoro.
 
Non era rimasto molto tempo. Intenzionato com’era a rispettare i patti, dopo un paio di giorni Kohaku si era rimesso in marcia verso il castello; tornava al villaggio solo ogni tanto per bene della sorella.  Tuttavia era rimasto abbastanza per dare un’altra notizia scioccante che aveva rigettato la sorella sul baratro. Aveva rivelato alle donne il motivo per il quale l’ultima battaglia era stata così affrettata e come mai molti erano venuti a saperlo solo a cosa compiuta.
 
Il tutto era stato inizialmente organizzato come operazione di salvataggio di Miroku. Siccome gli spiritualisti veramente dotati scarseggiavano, i maggiori capi avevano ritenuto necessario recuperarlo ma alla fine l’intero attacco si era rivelato la loro disfatta.
 
Oltre a perdere la guerra, ora la comunità spirituale era decisamente esigua a causa delle forti perdite subite. Questo era anche il motivo per cui Kagome, nonostante la giovane età e nonostante non fosse mai stata presa in considerazione dai grandi capi essendo cresciuta nell’ombra della sorella maggiore, era stata ora nominata prossima capo sacerdotessa – incarico che la ragazza non aveva proprio preso nel migliore dei modi, tra l’altro.
 
Quando gli era stato dunque chiesto dove fosse Miroku, Kohaku aveva chinato il capo e si era stropicciato le mani in grembo, incapace di trovare le parole per comunicare la notizia alla sorella. La battaglia era stata una sconfitta da ogni punto di vista, aveva infine mormorato, sperando che le donne cogliessero il significato dietro quella frase. Lo avevano colto, infatti; non era stato così difficile. Un urlo disperato di Sango e il suo successivo accasciarsi ne era stata la prova.
 
Una volta messa a dormire la sterminatrice – Kaede aveva affermato che riposare le sarebbe stato d’aiuto per digerire tutte quelle informazioni e sensazioni negative – Kohaku aveva continuato raccontando che Miroku era già stato ucciso prima ancora che l’esercito arrivasse al confine con le terre demoniache quel fatidico giorno.
 
Voci di corridoio, alle quali il ragazzo non sapeva se credere o meno, mormoravano che l’ordine per ucciderlo era venuto dal figlio maggiore del Generale; si diceva che questo fosse un demone spietato e senza alcun riguardo verso gli umani. Anche il suo stesso padre era stato furibondo a riguardo. Kaede aveva risposto che, se questo Generale era quello che aveva risparmiato la vita a gente venuto ad ammazzarlo, allora si poteva credere che non avrebbe mai ordinato la morte di un monaco di buon cuore senza un vero motivo.
 
E mentre Kohaku parlava, i pensieri di Kagome erano volati inevitabilmente verso il secondo figlio del Generale. Non che Inuyasha le avesse rivelato chi fosse e quanto fosse importante in termini di nobiltà demoniaca, ma i suoi capelli erano stato un chiaro segno; tutti sapevano che l’Inu-no-Taisho aveva capelli argentati, occhi dorati e due figli, di quale uno mezzo demone.
 
Non era la prima volta che pensava a Inuyasha, in realtà. Non passava giorno, da che Kagome gli aveva salvato la vita, che la giovane sacerdotessa non tornasse con la mente a lui.
 
Le notizie che Kohaku aveva portato era tutte fuorché positive, eppure, sapere che monaci spietati e senza cuore come Kiyoshi non erano più in vita e non potevano più far male a persone come Inuyasha le riempiva il cuore di sollievo. Era convinta che, ora che la guerra era finita in favore dei demoni, anche il mezzo demone era al sicuro, qualsiasi cosa stesse facendo.
 
Non poteva nemmeno ingannarsi affermando che non le importava se non lo avesse più rivisto; era inevitabilmente e inspiegabilmente attratta dal suo ricordo e sentiva il bisogno di curare quelle ferite che gli aveva letto così facilmente negli occhi. Se lei, che non aveva nessuna esperienza, aveva fatto così poca fatica a vedergli nel cuore, era così per tutti gli altri?
 
Ma Kagome era ancora una bambina, si diceva, e soprattutto non poteva pensare certe cose, ora che era destinata ad essere sacerdotessa del villaggio. I capi spirituali avevano messo in chiaro cosa si aspettavano da lei: ora che erano in pochi non potevano perdere membri per cose triviali come l’amore o il matrimonio. Capiva più che mai, oggi, perché sua sorella aveva sempre nascosto agli occhi della gente il suo affetto per Suikotsu. Si chiedeva se lei fosse destinata a morire senza sapere cosa fosse l’amore e a veder sfiorire l’unica possibilità di conoscere quel sentimento insieme alla sua stessa vita.
 
Kohaku lasciò il villaggio due giorni dopo insieme agli altri sterminatori giunti con lui. Le ricostruzioni ricominciarono e Kagome e le altre donne erano occupate più che mai, essendo la presenza maschile ormai ridotta al minimo. Almeno in quel modo non aveva la forza di soffermarsi su certi pensieri e logorarsi l’anima.
 
Dopo un altro paio di giorni, fu organizzata una processione in memoria di Miroku; era riuscita ad imporsi quando gli abitanti avevano proposto di fare una funzione comune per tutti i membri della comunità spirituale che erano morti in battaglia. Non voleva mischiare il nome dell’amico – amico, a chiamarlo così ora si stupiva considerando quanto l’avesse scandalizzata quella prima volta in cui lo aveva incontrato – a quello di anime poco pure.
 
Aveva stretto Sango a sé e preso parte al funerale versando lacrime silenziose. Una volta concluso, si era asciugata il viso e aveva ripreso le attività quotidiane senza dire una parola; dietro di lei Kaede l’aveva guardata scuotendo il capo. Avrebbe mai avuto pace? Per lo meno non dovevano avere più paura di monaci pazzi che venivano a trovarle per mantenere dubbie promesse.
 
L’anziana sacerdotessa sperava che la nipote potesse presto trovare anche un po’ di calma nel cuore.
 
 


 
Come volevasi dimostrare, Kagome trovò Rin nella radura ai margini della foresta, le mani piene di piante e i vestiti macchiati d’erba e di terriccio, intenta a fare nuove coroncine. Alzò il viso non più infantile nonostante la giovane età e le offrì un sorriso smagliante mentre cercava di infilarle dei fiori dietro l’orecchio.
 
Kagome avrebbe voluto arrabbiarsi – davvero – ma qualsiasi rimprovero le morì sulle labbra; meglio preservare quella gioia innocente, nonostante tutto.
 
Il pomeriggio, dopo averla costretta a restare con l’anziana Kaede, si recò a sud dei campi di riso, verso il Goshinboku. Nelle vicinanze dell’albero secolare cresceva una pianta ottima per gli unguenti e come antibiotico; ne serviva parecchio ora che c’era sempre qualcuno che tornava ferito dai campi.
 
Aveva appena finito di riempire il proprio cesto, quando, mentre si puliva i pantaloni rossi, notò una figura altrettanto rossa invadere la sua visione. Il cuore cominciò a batterle ancora prima di alzare il viso e verificare che la sua mente non gli stesse giocando uno scherzo.
 
Il cesto le cadde a terra con un tonfo sordo, le erbe appena raccolte si sparpagliarono ai suoi piedi, mentre entrambe le mani andavano a coprirle la bocca e gli occhi si riempivano di lacrime.
 
Inuyasha era di fronte a lei, vivo e vegeto, con un sorriso più caloroso e smagliante di quel che gli aveva mai visto sulle labbra. Le volte in cui era venuto a trovare Kikyo non gliene aveva mai visto uno così bello.
 
Lacrime di gioia e di sollievo le stavano già macchiando il viso quando lui, in una muta richiesta, allargò le braccia. Non ci pensò, non si fece domande, non si chiese se era consono… corse e basta. Corse e si lasciò avvolgere da quelle forti braccia che la strinsero a sé come se lei fosse la risposta a ogni dubbio, come se volesse fondersi con lei. Pianse ancora, bagnandogli senza vergogna il tessuto dell’haori e aggrappandosi a lui.
 
Inuyasha era vivo ed era tornato al villaggio; Inuyasha la stava abbracciando; Inuyasha stava affondando il volto nei suoi capelli stringendola ancora più forte a sé.
 
Lui non disse nulla, né lo fece lei. Non ce n’era bisogno.
 
Per un momento, il mondo attorno a loro si dissolse.
 
Presto, però, troppo presto per Inuyasha, Kagome cominciò a muoversi per sciogliere l’abbraccio e obbedendo alla sua muta richiesta, il mezzo demone la lasciò andare, osservandone il viso, cercando di capire il motivo dell’improvvisa ritrosia. A lui era sembrata contenta, anche troppo se il profumo che emanava gli diceva qualcosa, cosa era cambiato?
 
Kagome distolse lo sguardo improvvisamente imbarazzata, le gote rosso fuoco e le mani che si agitavano. Inuyasha contemplò l’idea di prenderle il mento con due dita e cercare nei suoi occhi una risposta, costringerla a guardarlo, ma vi rinunciò pensando che avrebbe peggiorato le cose.
 
Nel frattempo, nella mente di Kagome era in corso una guerra simile. Si era improvvisamente ricordata il motivo per cui Inuyasha era venuto quella prima volta al villaggio, lo sguardo perso quando lei gli aveva ingenuamente mostrato la lettera di Kikyo e parlato di Suikotsu, tutte le volte in cui era venuta a trovarla prima della guerra…
 
Le apparve tutto chiaro e si diede della stupida per non averlo capito prima; tutto indicava che lei era ancora una bambina, troppo piccola per imparare ad amare. Più imbarazzata che mai, pronunciò le prime parole che le vennero in mente per togliersi dall’impiccio. D’altronde, cosa mai avrebbe voluto un uomo come lui da una come lei? Si disse certa che quell’innocente bacio che si erano scambiati prima di separarsi, mesi fa, l’aveva fatta sembrare una sciocca.
 
“Io… Inuyasha, scusami – scusami tanto,” cominciò prendendo le distanze e agitando le mani davanti a sé. “Mi dispiace, io non volevo, davvero; non ci ho pensato. Oddio, non volevo metterti in imbarazzo.”
 
Inuyasha la guardò confuso, inarcando un sopracciglio. “Ti dispiace? Uh? E per cosa? Kagome, fermati, non sto capendo nulla.” Cercò di avvicinarla e afferrarle il polso, ma lei scappò alla sua presa facilmente. Un nuovo peso lo colpì come un macigno a quel chiaro rifiuto, ma non si fece abbattere. Non aveva fatto tutta quella strada per andarsene senza nemmeno una spiegazione.
 
Si era detto che ci avrebbe provato e, siccome non era mai stato molto coraggioso in fatto di sentimenti, che fosse deciso a parlare significava molto. Prima lo accoglieva come una moglie accoglie un marito di ritorno dalla guerra e poi lo rifiutava? Il suo sguardò si indurì. Sì, avrebbe avuto una risposta, bella o brutta, la meritava.
 
Si passò una mano tra i capelli, tra il nervoso e lo scocciato, ma vedendo in che modo lei si stava torturando, si intenerì. “Kagome, ehi, sono io. Non voglio farti mica del male, vorrei solo capire perché… cacchio… perché all’improvviso sembra che tu abbia paura di me? Io… diamine, Kagome, non voglio che tu abbia paura di me! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non dovevo abbracciarti?” Oh cacchio, ecco cos’era. Lei era ancora una ragazzina innocente che probabilmente non era mai stata da sola con un uomo in una stanza – lui probabilmente era stato l’unico – e si stava prendendo troppe libertà.
 
Che doveva fare? Lui non ne sapeva nulla. Con Kikyo era sempre stata lei a prendere l’iniziativa, lui sempre quello goffo e inesperto – e ripensandoci, capiva anche perché lei avesse tutta quella esperienza.
 
Kagome agitò ancora una volta le mani davanti a sé in risposta al suo farfugliare. “Oh, no, no, Inuyasha!” si coprì il volto con le mani e il resto del suo discorso raggiunse le sue orecchie un po’ attutito. “Chissà che avrai pensato di me, oddio. Ti prego, perdonami, non farti un’idea sbagliata. Mi dispiace,” ripeté.
 
Il corpo del mezzo demone si irrigidì. “Cosa ho pensato di te? Quando? Oggi, sei mesi fa? Quando? Ho pensato che avessi il sorriso più bello che avessi mai visto, che non era possibile che tu lo stessi rivolgendo proprio a me – nemmeno Kikyo nei suoi giorni migliori me ne ha mai regalato uno così spettacolare!” sbottò alzando le mani in aria. “Ho pensato che non riuscivo a capire perché continuavo a ripetere il tuo nome come un mantra nella mente; ho pensato di impazzire perché non avevo il coraggio di tornare a farti visita e c’è voluto mio padre a spingermi! Ho pensato…” continuò mentre piano si avvicinava a lei e le prendeva il volto ancora un po’ spaurito a coppa, sfiorandole le guance con una delicatezza che non avrebbe mai creduto di avere, “quando ti ho visto qui, ora, entrare nella radura… ho pensato che fossi una visione e che tutto aveva finalmente un senso.” Le asciugò una lacrima che scendeva sul viso, solitaria. “Oh, cacchio, Kagome. Io non sono un tipo che dice queste cose, non credo nemmeno di aver parlato così tanto in vita mia, ma diamine, ho pensato che volevo giocarmi il tutto e per tutto!”
 
Un attimo dopo le labbra di lui incontrarono quelle di lei delicatamente, assaporandole; gli sembrò di morire. Kagome, dal canto suo, si immobilizzò, non credendo né alle sue orecchie, né agli altri sensi. Inuyasha le aveva detto che aveva pensato a lei – a lei, non Kikyo – tutto questo tempo; Inuyasha la stava baciando.
 
Oddio, Inuyasha la stava baciando! Lui la stava baciando e lei era lì immobile come uno stoccafisso! Doveva muoversi, fare qualcosa, ricambiare, cacchio… ma che faceva?! E infatti lui, il cuore già in frantumi per l’ennesimo rifiuto, cercò di allontanarsi, ma Kagome, non volendo che il suo primo bacio finisse in quell’orrendo modo, né che lui fraintendesse, gli afferrò le ciocche di capelli ai lati per tirarlo a sé – forse un pochetto troppo forte – e ricambiò il gesto. Inuyasha spalancò gli occhi per la sorpresa, per poi richiuderli immediatamente, e le cinse la vita con un braccio per stringerla ancora più a sé.
 
Fu un bacio casto, ma dolce, e non pensò nemmeno di approfondirlo, ci sarebbe stato tempo in futuro per scambi più appassionati e per esplorarsi a vicenda – o almeno, lui sperava fosse così. Le guance rosse e il respiro affannato nonostante le azioni abbastanza innocenti, provarono a Inuyasha che decisamente non era ancora il momento per baciare Kagome come un uomo avrebbe fatto, ma a lui andava bene così.
 
Quando si separarono, le appoggiò il mento sul capo, e la strinse al petto, di più; lei allacciò le mani dietro la sua schiena e appoggiò la guancia al livello del cuore.
 
Fu Kagome la prima a rompere il silenzio. “Ma, Inuyasha, io non capisco…”
 
Inuyasha si bloccò. E meno male che suo padre diceva che era lui quello un po’ tardo! Gli aveva fatto la migliore dichiarazione che avrebbe mai sentito uscire dalle sue labbra, l’aveva baciata nonostante tutte le paure e le ritrosie – un monaco probabilmente era anche in agguato pronto a riempirlo di sutra per l’affronto – e lei ancora non capiva. Represse l’istinto di roteare gli occhi.
 
“Cosa c’è da capire?” le chiese di rimando, il tono più brusco di quel che avrebbe voluto; lei infatti sussultò e nascose ancora di più il viso. Le parole che seguirono il gesto gli arrivarono incomprensibili. “Come? Puoi ripetere?”
 
Lei sospirò e alzò lo sguardo verso di lui, ancora rossa, forse anche di più di prima. “Ho detto: che ne è di Kikyo? Non eri innamorata di lei?”
 
“Oh,” all’improvviso tutto ebbe un senso. “E così, alla fine lo avevi capito, eh?”
 
Lei fece spallucce. “Beh, magari non subito. Però, ecco, ho avuto tempo per pensare a te e a quel giorno,” mormorò. “In realtà ci sei arrivata solo due minuti fa, scema!” le urlò la sua coscienza, ma lei la ignorò.
 
Inuyasha sgranò gli occhi. “Tu… tu hai pensato a me? Me?” Ancora tutto quello che stava accadendo gli appariva in qualche modo irreale. Dopo il tradimento di Kikyo che andava ad aggiungersi ai soprusi che aveva ricevuto sin da piccolo a causa della sua stessa natura, non gli sembrava vero che lei potesse ricambiare in qualche modo i suoi sentimenti.
 
“Uh-uh,” era così tenera quando si imbarazzava, pensò ancora lui. Kagome annuì e cercò di nascondere il volto nel suo petto, ma Inuyasha glielo impedì; la consapevolezza lo rendeva più sicuro di sé. Le prese il mento tra due dita e le offrì un sorriso smagliante, poi la baciò una seconda volta, premendo più forte le labbra sulle sue.
 
“Non importa Kikyo, ora. Ci ho messo un po’ a capirlo, ma ce l’ho fatta.” Lei sembrò voler controbattere ma Inuyasha glielo impedì di nuovo. “Prometto che ti spiegherò tutto, giuro. Ora ti basta sapere che non la amo, non più almeno; non mi importa nemmeno che rapporto ci fosse tra di voi. Ho fatto tutta questa strada e ho avuto modo di riflettere ancora e ancora. Voglio solo che tu mi dica che ho una possibilità,” le disse schiettamente. Poi parve ripensarci e aggiunse non credendo alle sue stesse orecchie, “e che potrò baciarti ancora,” avvicinò i loro visi, “e ancora…”
 
Ruppe definitamente la distanza rubandole un terzo bacio che lo scaldò dentro e gli confermò che era lì il suo posto, accanto a lei.
 
Forse, tolto il dolore e l’inganno, imbattersi in Kikyo quella notte di alcuni anni fa, era stato davvero destino. Tuttavia, il suo destino si era scontrato con quello di Kikyo solo per permettergli di incontrare Kagome.
 


Rimasero ancora un po’ nella radura, dimentichi dei loro doveri. Infine, Kagome notò l’urna poggiata a terra e Inuyasha le spiegò l’altro motivo della sua visita; omise per il momento che suo padre volesse personalmente venire a porgerle i suoi sentiti ringraziamenti.
 
Come aveva previsto, Kagome pianse, ma fu anche molto felice di quello che lui e suo padre avevano fatto – Inuyasha aveva cercato di dirle che era in realtà solo merito del padre, ma lei lo zittì affermando che era stato lui a fare la strada per portargliele personalmente. Aggiunse, inoltre, che Sango gliene sarebbe stata eternamente grata; lei e Miroku erano stati promessi sposi.
 
Poco dopo, decisero di raggiungere la capanna di lei e dare la notizia alle altre, ma Kagome lo avvertì anche che avrebbe potuto ricevere occhiate poco gradevoli da parte degli abitanti, alcuni dei quali erano particolarmente in collera con i demoni. Lui scrollò le spalle ma mentre attraversavano il villaggio ebbe cura di mantenersi a distanza da lei per evitare che l’odio si trasferisse.
 
Quando infine raggiunsero casa di Kagome, Inuyasha ebbe bisogno di un attimo per riprendersi da quel benvenuto. Pensò che forse, essendo Rin ancora una bambina, era normale per lei lasciarsi andare a certe dimostrazioni d’affetto – magari non le era ancora stato insegnato che non si abbracciava un mezzo demone così sfacciatamente – ma quando anche la vecchia Kaede lo salutò e gli porse, senza problemi, una tazza di tè e una bella zuppa fumante, decise che era proprio la famiglia a essere pazza.
 
O speciale, si inserì il suo demone interiore.
 
O speciale, concordò Inuyasha nonostante si fosse ripromesso di non intavolare conversazioni con la bestia.
 
Kagome non volle aspettare la fine del pasto per annunciare il motivo della visita di Inuyasha – quello ufficiale, almeno – anche se quest’ultimo pensava che parlare di morti non era proprio un argomento di conversazione per la cena.
 
La ciotola gli cadde quasi da mano quando fu Sango a placcarlo in un abbraccio. Sebbene soffrisse ancora al pensiero dell’amato morto in guerra, la sterminatrice gli fu molto grata per averlo riportato a casa; durante la serata ebbe anche modo di ringraziarlo per ciò che il padre aveva fatto per il fratellino e altri giovani sterminatori. Inuyasha si lasciò sfuggire che nei prossimi giorni avrebbe potuto dirglielo personalmente e a quel punto dovette anche aggiungere che il padre voleva a sua volta esprime la sua gratitudine alla famiglia che aveva salvato suo figlio nel momento del bisogno.
 
Nel complesso, nonostante fossero stati toccati argomenti tutt’altro che felici, Inuyasha decise che in quell’ambiente piccolo ma accogliente, si respirava un’aria familiare e piena d’amore come non l’aveva mai sperimentata.
 
Durante la notte, Inuyasha decise di restare di guardia sul tetto dell’abitazione. Era ancora sprovveduto riguardo certe cose, nonostante l’esperienza con Kikyo, tuttavia anche lui sapeva che era meglio non restare a dormire in una casa piena di donne, non importa se invitato. Il clima non era un problema e la posizione gli dava anche la possibilità di controllare che nulla arrivasse a disturbare la quiete delle ragazze; l’istinto a proteggere ciò che era suo era troppo forte in lui.
 
Il fatto che avesse riposato, sotto gli occhi dell’intero villaggio, sul tetto della capanna, non impedì alle prime donne, all’alba, di venire a chiedere informazioni alla vecchia Kaede sul perché uno di quelli fosse loro ospite. Almeno, rifletté Inuyasha, con quello intendevano il genere demoniaco nella sua totalità e non lui in quanto mezzo demone.
 
Kaede non aveva fatto in tempo ad aprire la bocca che era spuntata Sango, vestita di tutto punto con la divisa degli sterminatori e un gigantesco boomerang sulle spalle – per fare cosa poi? Non voleva mica usarlo sulle donne del villaggio? – e aveva detto che quello era il figlio dell’uomo che aveva salvato i loro ragazzi da morte certa. Bastò lo sguardo furioso della giovane e zittirle tutte.
 
Peccato solo che, una volta giunto anche l’Inu-no-Taisho i mormorii sarebbero ricominciati.
 
 


 
Due giorni dopo, Toga giunse al villaggio in una sfera di luce e salutò gli abitanti della capanna ai piedi del tempio con un sorriso smagliante che replicava alla perfezione quello del figlio minore. La sua aura emanava calore e affetto, oltre a molta confidenza e potere; Kagome non poté evitare alle sue labbra di piegarsi all’insù, nonostante l’imbarazzo di trovarsi di fronte a una figura del suo calibro.
 
Poi, davanti agli occhi scettici di quasi tutto il villaggio e alle bocche spalancate di alcuni di loro, Toga si inchinò davanti a quella donna giovane e minuta. Kagome, dopo un attimo di stordimento, tentò di fargli capire che non doveva assolutamente lasciarsi andare a certi atteggiamenti per lei, ma il demone cane non ne volle sapere.
 
“Ti devo tutto, miko-sama,” esordì lui. “Se tu non avessi salvato Inuyasha, la mia stessa vita sarebbe stata persa (forfeit); lascia che io esprimi la mia immensa gratitudine.
 
Se così tante persone non fossero state presenti, Kagome avrebbe fatto fatica, anni dopo, a credere che la mente non gli avesse giocato un brutto tiro, ma era tutto vero… un dai-youkai del suo calibro e della sua stazza si era inchinato a lei e le aveva detto di avere un debito incommensurabile nei suoi confronti.
 
Subito dopo, Toga era a un centimetro da lei e le stava prendendo le piccole mani nelle sue, stringendogliele gentilmente e guardandola fissa negli occhi. “Grazie di tutto… Kagome-sama.” Quegli occhi dorati le parvero improvvisamente limpidi, due specchi all’interno dei quali lesse amore, tanto da farle scoppiare il cuore, ma anche dolore e rimpianto. In quell’attimo fu consapevole del fatto che l’Inu-no-Taisho non la stava ringraziando solo per aver salvato suo figlio quella notte di sei mesi fa.
 
La giovane sacerdotessa annuì, incapace di proferire parola e poi il silenzio – durato in realtà molto meno di quel che avrebbe creduto – venne interrotto dai mormorii e dalle insinuazioni degli abitanti dei villaggi, sia di quelli nuovi che dei vecchi.
 
E mentre Kagome faceva un passo indietro e Inuyasha compariva affianco a lei per sincerarsi che fosse tutto a posto – conosceva bene l’effetto che talvolta la presenza imponente del padre aveva sugli umani – Toga si guardò attorno, sempre con quel largo sorriso fermo sulle labbra, e annunciò che avrebbe volentieri preso parte alla seconda cerimonia in onore di Miroku. Era stato infatti deciso che poche persone prescelte avrebbero detto un’altra preghiera mentre le sue ceneri venivano lanciate al vento; lo sguardo dorato del demone maggiore incontrò quello scuro di Sango per chiederle il permesso e la giovane annuì.
 

 
 
Quella sera, quando nel villaggio dominava il silenzio rotto solo ogni tanto dal rumore dei pochi animali ancora svegli, Inuyasha e Kagome si recarono nella radura del Goshinboku; non era stato difficile, grazie alle abilità del mezzo demone, arrivarci senza farsi cogliere da occhi indiscreti.
 
Durante quei due giorni, Inuyasha e Kagome non si erano solo ritrovati, ma avevano anche scoperto che era più facile di quel che sembrava lasciare andare ogni perplessità, imbarazzo e ritrosia. Certo, Kagome era ancora molto più inesperta di Inuyasha, ma accoglieva molto volentieri le carezze lievi e caute del mezzo demone, le strette di mano durante le loro passeggiate all’ombra della foresta e i baci di mezzanotte.
 
Così, ora si trovavano l’uno accanto all’altra, mentre le braccia di Inuyasha l’avvolgevano in modo protettivo – e possessivo, notò. Si bearono ancora un po’ del calore che i rispettivi corpi donavano all’altro e del silenzio confortevole della notte, prima che il mezzo demone rompesse il ghiaccio.
 
“Ti vorrei fare una proposta, ma prima credo di doverti una spiegazione.” Kagome alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi dorati e annuì quasi impercettibilmente; il battito del cuore accelerato tradiva lo stato d’animo agitato. Inuyasha prese un profondo respiro e continuò, “Non posso negare che l’attrazione e i sentimenti che ho sviluppato nei tuoi confronti mi siano piombati addosso a ciel sereno; non mi sarei mai aspettato di provare qualcosa del genere così facilmente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.” Era un po’ troppo presto per usare la parola ‘amore’, giusto? Non voleva spaventarla. Notò, però, il corpo di lei irrigidirsi e subito cercò di rimediare. “No, aspetta… non saltare a conclusioni affrettata, lasciami finire.” Questa volta non incrociò i suoi occhi per paura che qualsiasi cosa vi avesse letto avrebbe annullato tutti i suoi sforzi.
 
“Sono contento di come siano andate le cose. Per la prima volta io… io mi sento completo, mi sento a casa. Non avevo mai sentito nulla di simile quindi mi sono lasciato anche prendere in contropiede e all’inizio non sapevo come reagire.” Piano, Inuyasha, non usare troppi paroloni, non è comunque da te.È vero che provavo qualcosa di forte per tua sorella, o almeno pensavo. Prima di raccontarti come siano andate le cose, vorrei metterne in chiaro un’altra…” Abbassò lo sguardo verso di lei che stava studiando attentamente il suo volto mentre parlava con un mezzo cipiglio tra le sopracciglia. Le prese una mano tra le sue e abbassò ancora di più il tono di voce mentre non lasciava che lei potesse distogliere lo sguardo. “Mai… mai dovrai pensare che quello che sta nascendo tra noi sia un’eco di quello che c’è stato fra me e tua sorella. Ora devo pensarvi come due entità diverse perché ho capito che non sarebbe stato corretto macchiare il tuo nome con il ricordo di lei.”
 
Kagome sussultò sia per le parole scelte che per il velo di astio che poté sentire nella sua voce mentre parlava di Kikyo. Inuyasha ridacchiò e liberò una mano per passarsela tra i capelli, nervoso. “Beh… ecco, non ho proprio un bel ricordo di tua sorella, ma adesso, quello che ti deve interessare è che… Cavolo! Mi ero preparato un discorso così pulito e invece sto divagando e scommetto che non ti sto facendo capire niente.”
 
Lei gli passò una mano sul braccio, stringendoglielo leggermente e gli sorrise per incoraggiarlo e lui riprese: “Non voglio che tu possa pensare un giorno che io stia con te, abbia scelto te… perché mi ricordi lei; assolutamente no. Voglio che sia chiaro che io vedo te per quello che sei e che mai la memoria di lei potrà sovrapporsi alla tua immagine, sia in modo positivo che negativo. Lo capisci questo, Kagome, vero?”
 
“Io ti piaccio per quello che sono… e non per quello che una volta deve... deve esserci stato fra voi due.” Kagome incespicò un po’ al pensiero di quel che un tempo Inuyasha, colui per il quale era certa di provare qualcosa, e sua sorella avevano condiviso. “Non sei interessato a me solo a causa di Kikyo e perché in qualche modo le somiglio,” ripeté come una bambina diligente.
 
Inuyasha tentò di sorriderle ancora, ma ne uscì più una smorfia a causa della tensione che ancora tutto il suo corpo radiava; annuì e poi volse lo sguardo verso la foresta. “Non le somigli,” la contraddisse. “Questo mi è stato chiaro da quella prima volta in cui ci siamo incontrati; pensieri e ricordi successivi non hanno fatto altro che avvalorare la mia tesi.”
 
Il silenzio cadde tra di loro per alcuni minuti ed entrambi contemplarono il buio della notte prima che Kagome si azzardasse a parlare di nuovo. “È una bella cosa quella che mi hai detto, Inuyasha…” cominciò. “Per quanto io voglia bene a mia sorella – e che gli Dei possano continuare a proteggerla ovunque adesso sia – non posso negare che vivere costantemente nella sua ombra mi pesava. Il fatto che crescendo io abbia preso ad assomigliarle fisicamente in alcuni tratti non ha aiutato. Poi arrivi tu… che più agitato di quanto dovresti essere in realtà, non sai come dirmi che non ti ricordo lei e che mi apprezzi per quello che sono. È molto più di ciò che chiunque abbia mai fatto per me, non sai quanto significhi per me. Soprattutto perché so che, se non avessimo affrontato l’argomento, prima o poi il dubbio avrebbe cominciato a logorarmi.”
 
Inuyasha la strinse ancora di più fra le braccia, incapace di esprimere a parole ciò che stava provando in quel momento o spiegare perché il cuore sembrava volergli uscire dal petto. Le baciò la sommità del capo e la tenne ancora un momento stretta a sé. “Mi credi?” chiese con voce flebile.
 
“Certo,” rispose immediatamente Kagome, tanto veloce da non fargli dubitare nemmeno per un nanosecondo della sincerità delle sue parole. “So quello che ho visto nei tuoi occhi un momento fa, Inuyasha.”
 
“Bene. Allora ti basti sapere che quello che c’era tra me e Kikyo non è mai stato reale e quello che pensavo di provare per lei non è che una briciola di ciò che sento per te ora. Voglio vedere dove ci porterà e voglio farlo senza che l’ombra del passato incombi su di noi.” Si fermò un secondo per scegliere bene le sue prossime parole. “Ti ho detto che ti dovevo una spiegazione… e non voglio negarti che una volta pensavo che Kikyo fosse la mia anima gemella, ma… non posso raccontarti perché è finita tra di noi; non voglio che il mio ricordo avvelenato possa contaminare quello puro e felice che hai tu di lei. Mi capisci? Per me basta che tu sappia che è tutto passato, che tu ci creda.”
 
Con un po’ di fatica, Kagome si liberò dalla sua presa e Inuyasha temette di aver detto troppo, di aver sbagliato, poi lei alzò lo sguardo verso di lui e protese una mano verso la guancia; lui si beò del contatto e chiuse gli occhi per un secondo, prima che lei rispondesse. “Mi basta… mi basta che tu sia stato sincero con me e che non abbia minimizzato quello che pensavi ci fosse tra di voi o l’enormità del sentimento che provavi per lei. Kikyo è parte del poco che rimane della mia famiglia quindi apprezzo anche il fatto che tu voglia preservare la memoria che ho di lei.” Prese una pausa, poi ricominciò; la sua mano era ancora poggiata alla guancia di lui, i loro occhi erano ancora incollati. “Anch’io voglio provarci, Inuyasha, anch’io voglio avere la possibilità di innamorarmi…” il respiro di lui si bloccò, “di te.”
 
A quel punto Inuyasha non resistette più e, in un attimo, fu su di lei, labbra premute contro quelle rosee e piene; una mano le cinse la vita per premere il suo corpo quanto più possibile contro di sé, un’altra le prese il viso a coppa. Inclinò la testa e approfondì il bacio, pian piano la sua lingua si fece strada nella sua bocca e assaporò il suo profumo potente e fresco, travolgente.
 
Dopo l’iniziale intontimento, Kagome rispose al bacio, prendendovi parte con una passione che stupì anche lei stessa. Si aggrappò con entrambi le mani al tessuto della sua veste – ebbe paura che le forze l’abbandonassero da un momento all’altro – e spinse le labbra contro quelle di Inuyasha, incontrò la sua lingua ugualmente vogliosa, esplorò la sua bocca.
 
Quando si fermarono, entrambi erano senza fiato. Nonostante fossero accaldati, però, Inuyasha non le permise di lasciare il suo abbraccio e continuò a tenerla stretta in vita. Appoggiò la fronte alla sua e tenne gli occhi chiusi mentre tentava di riprendere controllo del suo corpo, dei suoi istinti e delle sanità mentale che era sicuro di aver perso mentre la baciava. “Io… ecco… voglio dire.”
 
Lei ridacchiò di fronte al ritorno dell’imbarazzo, ma visto che non si sforzò di aggiungere nulla, Inuyasha intuì che anche Kagome, come lui, era a corto di parole al momento.
 
“Non sai quanto questo significhi per me. Soprattutto sapere che potremmo cominciare questo…” come avrebbe dovuto definirlo? Relazione? Corteggiamento? Alla fine scelse una parola abbastanza neutra, “… rapporto tra di noi con sincerità.”
 
“Questo ci riporta alla tua proposta,” ricordò lei, ritrovate le parole.
 
“La mia? Ah… uh, la mia proposta, certo.” Si grattò nervosamente la nuca. “Beh, ecco, visto che ora non ci sono più dubbi o incertezze tra di noi, mi chiedevo se ti andava di intraprendere un viaggio… con me?”
 
“Un viaggio? Con te?” Kagome sussultò. Come avrebbe potuto pensare che una cosa del genere fosse possibile? Non erano sposati, i capi della comunità spirituale non avrebbero mai acconsentito a lasciarla partire con un uomo, un demone per lo più, da sola e chissà per quanto. Per non parlare del fatto che la comunità spirituale le aveva già fatto capire senza mezzi termini che sarebbe dovuta rimanere vergine per tutta la vita e dedicarsi solo alla sua vocazione.
 
In quel paio di giorni da quando Inuyasha era tornato, aveva ingenuamente sperato che avrebbero potuto chiudere un occhio se lei avesse promesso di continuare a fare il suo dovere. Ora si rendeva conto che era una speranza vana. In nessun modo avrebbero approvato la sua relazione con un mezzo demone – o con qualsiasi umano, per quel che li riguardava – lei era una loro prigioniera ora, e non vi avrebbero rinunciato data la scarsità di persona con una buona dose di potere spirituale. Lasciarla andare? Fuori discussione.
 
Inuyasha percepì la crescente ansia, sentì il cuore batterle furioso nel petto, vide gli occhi dilatarsi e si affrettò a ritrattare. “No, no, aspetta…” la lasciò andare e agitò le mani davanti a sé credendo che lei avesse frainteso i suoi motivi. “Non ti stavo proponendo niente di disdicevole, non mi permetterei mai. Io, ecco... io volevo solo un’opportunità per conoscerci lontano da certi impegni e costrizioni. Avevo già pensato di intraprendere questo viaggio e prendermi una pausa. Ho pensato... ho pensato… niente, diamine!” si coprì il viso, tutta la felicità di prima svanita. “Sono solo uno stupido, ecco cosa sono. È ovvio che non dovevo dire certe cose a una donna nubile, non dovremmo nemmeno stare qui fuori; chissà cosa penserebbero le persone. E ti ho pure baciata! Diamine!” ripeté.
 
Continuò la litania di parole poco consone alle orecchie di una fanciulla innocente che rivolse per lo più a se stesso, fino a quando le dita delicate di Kagome non tentarono di spostargli le mani dal viso. Lo sguardo triste e rassegnato che la ragazza gli porse gli spezzo ancor di più il cuore. Si bloccò incapace di parlare. “Oh, Inuyasha…”
 
Lui fu preso alla sprovvista da quello che lesse nei suoi occhi ora spenti. “Non capisco.”
 
“A me non interessa nulla di quello che potrebbe pensare la gente. Se fosse stato così non ti avrei mai salvato la vita quella notte, non ti avrei portato con me nel villaggio quando sei tornato, non sarei venuta con te questa sera, ma… ho paura che la mia vita non mi appartenga più; non ho più potere decisionale su di essa.”
 
“Che stai dicendo? Ovvio che ce l’hai… chi dovrebbe decidere per te? Non hai un padre, un nonno… un fratello. Kaede? Ma io pensavo di piacerle. Era solo una facciata? Credi che potrebbe darti problemi? Non vuoi darle un dispiacere? Cosa?” La interrogò freneticamente anche con gli occhi, ma continuò a non trovare altro se non rassegnazione.
 
“No. Kaede non si imporrebbe mai così tanto nella mia vita, non è nemmeno una mia parente di sangue. Ma Inuyasha… non capisci? Dopo la guerra la nostra comunità spirituale è stata ridotta al minimo, mi hanno imposto doveri che io non ho mai voluto e che prima erano destinati a Kikyo, anche di più. Mi hanno detto che il mio unico compito d’ora in poi sarà servire gli Dei e prendermi cura del tempio, istruire i futuri spiritualisti; non mi hanno dato altra scelta.”
 
“E tu gliel’hai lasciato fare?” chiese Inuyasha inorridito dal futuro che le si prospettava davanti; dal mondo in cui dei vecchi bislacchi – gli stessi che erano in parte causa di tutte le morti della guerra appena passata – si erano appropriati di un’anima così pura e innocente senza nemmeno chiederle il permesso.
 
“Cosa avrei dovuto fare? Io non ho nessuno, Inuyasha; l’hai detto tu stesso. Non ho un padre che possa imporsi per me, un fratello maggiore. Sono solo una donna nubile e come tale devo rispondere a chi è ai vertici del nostro stato.” Abbassò il volto impotente.
 
“Stronzate!” sbottò allora il mezzo demone, alzandosi e quasi facendola cadere di conseguenza; si affrettò a chinarsi su di lei e aiutarla a rialzarsi. “Stronzate,” ripeté. “Se questi vecchi rimbambiti credono di poter tornare a comandare e fare quello che vogliono loro, si sbagliano di grosso.” Le diede le spalle e poi si accucciò davanti a lei, facendogli segno di salire. “Sali!” le ordinò in modo un po’ brusco, ma lei obbedì comunque. “Si è fatto tardi, devo riportarti a casa. Ne riparleremo domani.”
 
Giunti dietro la sua capanna, Inuyasha le carezzò dolcemente la guancia e poi la sfiorò con le labbra. Le augurò la buonanotte prima di lasciarla, mentre nei loro occhi il tormento ancora dilagava e ogni traccia di quella felicità che li aveva colti davanti alla scoperta del sentimento reciproco sembrava sparita.
 




N/A: Innanzitutto, se siete arrivati fin qui vi ringrazio. Nonostante il capitolo sia stato diviso, c'erano comunque un sacco di cose da leggere. 
La maggior parte di ciò che dovevo dire l'ho detto nelle note iniziali quindi non mi dilungherò molto. 

Spero che quanto raccontato sia stato di vostro gradimento e soprattutto chiaro, in particolar modo nelle dinamiche Inuyasha/Kikyo e Inuyasha/Kagome, ma se qualcosa non vi è chiaro non esitate a dirmelo. 
Il capitolo finisce con una nota non troppo positiva, ma posso assicurarvi che tutto si risolverà nel prossimo capitolo 
– che prometto di pubblicare entro settimana prossima; è già pronto – perché nonostante non sia fan del romanticismo smielato, amo i lieto fine (in caso contrario ho la lacrima facile. Lo so, sono un controsenso, vero? 😆). 

Ogni altro vostro pensiero o commento non può che farmi piacere. 💞
Grazie ancora e a presto!

 

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Capitolo 11
*** Sei mesi dopo – Parte III ***


Capitolo Undici: Sei mesi dopo – Parte III

 
“Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà.”
- Beppe Fenoglio, "Il partigiano Johnny".
 




 
Il giorno dopo, Kagome si svegliò più frastornata e stanca che mai. Dopo una notte insonne, scoprì con delusione che quella mattina Inuyasha non li avrebbe raggiunti per colazione. Eseguì i soliti rituali in silenzio, fece un paio di giri per accogliere qualche nuovo abitante e curare qualche ferita. A pranzo non c’era ancora traccia del mezzo demone.
 
Quando mancava poco più di un’ora al tramonto, la giovane sacerdotessa aveva ormai perso la speranza, dopo aver fabbricato una storia abbastanza improbabile per la quale Inuyasha l’aveva abbandonata perché non c’era via d’uscita per lei e non ne valeva la pena.
 
Stava tornando dall’ultimo dei suoi giri, quando il giovane Ryo la raggiunse correndo e sbracciando le mani; le disse che la vecchia Kaede la stava cercando già da un po’ e che era richiesta vicino al pozzo prosciugato all’inizio della radura. Rimproverò il ragazzino per il modo poco educato con il quale aveva chiamato Kaede e si diresse a casa a prendere delle bende nel caso ci fosse qualche ferito urgente da trattare. Solo allora si avviò verso il pozzo delle leggende.
 
Arrivata lì, fu sorpresa di trovare solo Kaede, che tranquillamente raccoglieva qualche erba spontanea che, però, al momento non scarseggiava tra le loro riserve. Qual era dunque il motivo per cui l’aveva fatta chiamare?  
 
“Ah, Kagome, bambina mia, sei arrivata finalmente,” la accolse Kaede senza distogliere lo sguardo dalle erbe. Un paio di minuti dopo si alzò, pulì il suo paio di hakama rossi e poi le fece cenno di accompagnarla. Kagome obbedì silenziosamente, ancora chiedendosi il motivo di tutta quella farsa.
 
Continuarono a camminare per un bel po’, mentre Kaede raccoglieva qualche erba qua e là e indicandole ogni cosa nuova o interessante che avvistava, ma per il resto senza offrirle altro. Kagome non era proprio dell’umore adatto per tanta segretezza, soprattutto per tutto il subbuglio che attualmente albergava nel suo cuore.
 
Finalmente, quando Kagome pensò di non poter più sostenere quel ritmo lento e silenzioso, Kaede parlò: “Oggi, mentre tu adempievi i tuoi compiti, io ho avuto modo di conversare amabilmente con il Generale demoniaco; ti sarai sicuramente chiesta dove fossero finiti lui e suo figlio.” Adocchiò la nipote, notando il modo in cui le spalle si irrigidivano e lo sguardo cadeva a terra rassegnato. “Non avrai mica pensato che se ne fossero andati senza nemmeno salutarti, spero. Credevo che soprattutto il padre ti avesse dato prova di avere modi molto cortesi e impeccabili; scomparire così non sarebbe stato da lui.
 
“No, certo che no, Obaa-chan,” si affrettò a dire lei.
 
“Molto bene,” annuì Kaede con una punta di divertimento nel tono. Che c’era poi da ridere? Pensò Kagome stizzita. “Vuoi sapere di cosa abbiamo discusso.” Kagome le fece un cenno con il capo. “Ieri sera, di ritorno dalla vostra passeggiata serale, suo figlio gli è parso molto strano, agitato. Quando l’ha affrontato stamattina, Inuyasha gli ha esposto i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Vedi…” proseguì mentre la invitava a sedersi accanto a lei sulla cima della piccola collina dove adesso si trovavano, “Toga-sama mi ha detto di aver dato per scontato che suo figlio mi avesse già chiesto il permesso di corteggiarti, visto che in questi pochi giorni siete sempre stati visti insieme.” Kagome sobbalzò. “È rimasto abbastanza sorpreso quando gli ho risposto che, sebbene avessi notato qualcosa, non ne sapevo niente.”
 
“Obaa-chan…” provò a dire la giovane, “non vorrei che tu…”
 
“Shh, shh… fammi concludere, per favore. Secondo quanto mi ha raccontato tu e Inuyasha vi siete dichiarati, ma qualcosa ancora ti blocca. Inuyasha è andato da lui a confidargli i suoi problemi e lui è venuto da me perché pensava che insieme avremmo potuto risolvere questo dilemma, quindi per favore non pensare che io mi intrometterei altrimenti nella tua vita privata.” La guardò seria con il suo occhio buono, in quel modo che riusciva a farle confessare anche i peccati più innocui.
 
“È vero, Kaede-obaa-chan, ma che scelta ho?” ripeté le parole che aveva rivolto a Inuyasha la sera prima. “Gli anziani del consiglio hanno già scelto per me. Non mi permetterebbero mai di stare con qualcuno, figuriamoci una creatura che loro considerano contaminata.”
 
“Lascia che ora io ti chieda una cosa, figliola.” Kaede le poggiò una mano sul ginocchio in segno di affetto. “Tu provi davvero qualcosa per Inuyasha? Non è un capriccio? O una cotta adolescenziale? L’interesse per qualcosa di nuovo?”
 
“Cosa? Obaa-chan! No, ovviamente, no, come puoi pensare una cosa del genere. Quello che provo per Inuyasha è genuino,” rispose scandalizzata Kagome.
 
Le emozioni che l’occhio indagatore di Kaede lesse sul viso di Kagome, le dovevano essere sembrate sincere, perché un attimo dopo la vecchia sacerdotessa continuò. “Molto bene, allora non vedo quale siano i problemi.”
 
Kagome sgranò gli occhi e stava per scattare in piedi per la furia che una frase del genere aveva scatenato nel suo cuore già provato, dopo una giornata scandita da tanta ansia, quando la mano rugosa di Kaede, riuscì inspiegabilmente a tenerla ferma. “Lascia che finisca, Kagome.” Questa volta le lanciò un’occhiata carica di disapprovazione per il modo in cui non riusciva a tenere a bada certi istinti. “Tu gli vuoi bene e Toga-sama mi ha anche rivelato i piani di Inuyasha. Ora, rispondi a un’ultima mia domanda. Credi che sia giusto che gli anziani del consiglio ti facciano pagare un debito lungo una vita per degli errori che hanno commesso loro? Pensi sia corretto che si approprino della vita di una giovane innocente mentre loro continuano a condurne una agiata?”
 
La giovane, che ora cominciava a comprendere dove Kaede volesse arrivare, scosse la testa. La donna più anziana le prese allora le mani tra le sue e gliele strinse, prima di rivolgerle un altro sguardo penetrante. “Ascoltami allora: loro non hanno alcun diritto di decidere della tua vita. Non pensare nemmeno per un secondo che solo perché sei donna devi sottostare a ogni loro capriccio e privarti della felicità. La vita da sacerdotessa è ricca di sacrifici e se non la si sceglie volontariamente, può portare verso un sentiero molto pericoloso; non voglio che la tua anima possa scurirsi tra dieci o venti anni a causa delle scelte sbagliate di qualcun altro.” Man mano che continuava a parlare il suo tono si abbassava, fino a che non divenne un sospiro molto più morbido. “Bambina mia, tu ha già sofferto molto e portato sulle tue giovani spalle un peso non indifferente e, come te, molti altri in questi ultimi due anni. Voi che avete avuto la possibilità di sopravvivere non dovete gettarla al vento.” Le asciugò una lacrima solitaria quando le solcò la guancia.
 
“O-baa… ma come…”
 
Kaede distolse lo sguardo e lo volse verso il sole che stava per tramontare. “Parti, esplora il mondo, conosci meglio la persona che è con te, scopri se è quella che vorresti accanto per tutta la vita… approfittane ora che quasi tutti sono ancora ubriachi di pace. Tra qualche anno, quando i rancori si accumuleranno, quando ci si scoccerà della stasi, la guerra potrebbe incombere di nuovo su di noi e allora potresti non essere più tanto fortunata.”
 
“Mi stai suggerendo quello che credo?” chiese Kagome sbalordita, gli occhi spalancati.
 
“Non ci vedo nulla di male, figliola. Parti, diventa una donna, diventa indipendente e al tuo ritorno, saprai prendere le redini della tua vita in mano, senza che nessuno più ti imponga il percorso da intraprendere. Che tu scelga di tornare a vivere qui al villaggio, sposarti o spostarti a Ovest, continuare ancora per qualche anno il tuo pellegrinaggio… è tutto nelle tue mani, Kagome.”
 
“Ma Rin? Ormai siamo solo io e lei. E come faremo con gli anziani? Non accetteranno mai. E…” Improvvisamente Kagome sembra ancora più agitata di prima.
 
“Pensavo avessimo appurato che delle idee degli anziani non ci importasse molto. Quanto a Rin… ha ancora me e Sango, no? E poi sono sicura che, per quanto le farebbe bene un viaggio lungo, sua sorella non riuscirebbe a stare per troppo tempo lontana da lei,” commentò Kaede ridendo sotto i baffi. “Ma…” ricominciò tornando seria, “parti solo se vuoi, non perché te lo ha chiesto Inuyasha, non perché te lo sto consigliando io né per scappare. Prendi la decisione che il cuore ti suggerisce e per una volta non curarti delle conseguenze.”
 
 


 
Kaede l’aveva lasciata dopo quelle ultime parole e un’ultima raccomandazione a stare sempre all’erta, così Kagome era rimasta da sola con i suoi pensieri e la consapevolezza di dover prendere una scelta che le avrebbe cambiato per sempre la vita.
 
Lei amava Inuyasha? Sì, anche se era un sentimento nuovo, anche se non del tutto sbocciato. Per quanto improvvisa fosse stata la cosa, era sicura di quello che provava.
 
Era disposta a rinunciare a lui? No, la sola idea le faceva male al petto. Aveva paura di quel che tutto significava? Tantissima, tanta da immobilizzarla. Eppure le era stato insegnato che lasciarsi bloccare dalla paura era la cosa più sbagliata che potesse fare.
 
Ricordava i primi insegnamenti quando era stata poco più grande di Rin e come Kikyo l’aveva sempre rimbeccata severamente ogni volta che si era pietrificata con l’arco in mano davanti a un demone; quante volte la sorella l’aveva dovuta salvare perché la paura l’aveva resa incapace di agire e tirare una freccia.
 
Non era la stessa cosa? Forse non si trattava di vita e morte, eppure era una situazione ugualmente importante. Non decidere, rimanere ferma, l’avrebbe condannata a una vita che, secondo le parole dell’anziana Kaede, avrebbe potuto essere peggio della morte.
 
Perché doveva rinunciare a tutto per colpa degli anziani? Tutta la rabbia che aveva cercato di nascondere, il dolore per quell’ingiustizia, tornarono a farsi sentire con insistenza. Lei non meritava quel destino.
 
L’ignoto le faceva altrettanta paura, ma era una paura diversa, una che in parte la riempiva di adrenalina e la faceva fremere per l’attesa di quel che sarebbe potuto essere. E avrebbe tanto voluto conoscere Inuyasha a fondo, sperimentare cosa significava essere innamorati e ricambiati.
 
Allora perché non partire? Poteva affrontare l’ignoto prendendo la giusta decisione. Il rimorso futuro, invece, non lo avrebbe mai potuto cancellare nel caso in cui sarebbe rimasta ferma e immobile.
 
Alzò lo sguardo verso il sole ormai nascosto e osservò le varie gradazioni di arancione che coloravano il cielo. Si chiese in che modo le sarebbe apparso dall’altra parte del paese, se avrebbe notato sfumature nuove e diverse. Sarebbe stato interessate impararle tutte, magari anche sfruttare la vista più acuta del suo compagno di viaggio.
 
Finalmente si rialzò e, pulendosi l’hakama, sospirò. Sembrava non ci fosse voluto molto per prendere la decisione definitiva. Quello di cui aveva sempre avuto bisogno era un po’ di incoraggiamento e la consapevolezza che essere egoisti ogni tanto faceva bene.
 
Sarebbe partita per se stessa e per nessun altro.
 
 

 
 
Quella sera Inuyasha venne a prenderla come al solito. Quando Kagome uscì dalla capanna dopo cena, lui era lì che l’aspettava con la schiena appoggiata al tronco di un albero e le braccia conserte. A un osservatore esterno poteva sembrare sempre scontroso, ma lei lesse facilmente la tensione nei muscoli delle spalle e la preoccupazione nel modo in cui le orecchie si agitavano sul capo.
 
Era incredibile quanto si potesse imparare in così poco tempo con lo giusto spirito d’osservazione.
 
Un sorriso le apparve subito sulle labbra, il volto le si illuminò e gli corse incontro senza curarsi di chi poteva vederla. Inuyasha le offrì le mano senza parlare e la condusse per il solito sentiero più solitario che portava al Goshinboku.
 
Il villaggio le sembrò più silenzioso, quasi inquietante, o forse era solo la consapevolezza di ciò che stava per fare a darle quell’impressione.
 
Quando finalmente arrivarono nella radura, presero posto alla base dell’albero sacro e Inuyasha la fece sedere tra le sue gambe, abbracciandola da dietro e nascondendo il viso tra i suoi capelli. Lo sentì inspirare profondamente. Sembrava voler protrarre il silenzio più a lungo possibile, come se avesse paura di rompere il momento e di ciò che sarebbe potuto accadere.
 
Si rese conto che aveva paura della sua risposta; pur non essendosi detti ancora nulla da che si era incontrati quella sera, era come un accordo non detto che Kagome gli avrebbe dato la sua risposta definitiva. E per come si era separati la sera precedente, era ovvio che Inuyasha se ne aspettasse una per nulla positiva.
 
Quasi rise, ma poi decise che era meglio eliminare quell’inquietudine che aleggiava tra di loro il prima possibile e lasciare spazio a sentimenti più positivi e consoni alla situazione; adatti a un amore nel pieno della sua fase iniziale e più euforica.
 
Gli prese il viso a coppa e lo costrinse a guardarla negli occhi. In quelle pozze dorate lesse tutto ciò che provava per lei, ma anche terrore. Si rimproverò per averlo fatto sentire in quel modo, ma d’altronde fino a poche ore fa condivideva la stessa paura.
 
Continuò a mantenere il contatto visivo mentre cominciava a parlare, così piano che era convinta che anche con il suo udito lui non l’avrebbe sentita se non fossero stati così vicini. “Ho parlato con Kaede oggi.”
 
“E io con mio padre.”
 
“Lo so,” ridacchiò lei. “Sei stato tu a far partire questa serie di confessioni. Tu e, beh, il fatto che tuo padre e Kaede ci vogliano così tanto bene da intromettersi nelle nostre vite.”
 
“È la prima volta che la vedo in questo modo. Non credo di essere mai stato d’accordo, anzi mi ha sempre dato fastidio. Ma devo ammettere che se mio padre non avesse fatto l’impiccione, non mi troverei qui e non ti avrei fra le mie braccia. Qualsiasi cosa accadrà dopo stasera, sono comunque contento del poco che c’è stato fra noi.”
 
Era vero. Se lei avesse deciso di seguire gli ordini di quei vecchi bacucchi avrebbe sofferto, ma nel frattempo avrebbe conservato il ricordo di quei momenti insieme come il più prezioso degli averi. Non voleva costringerla a prendere una decisione che non era pronta ad affrontare e amare significava anche mettere il bene della persona amata davanti al proprio. O almeno era così che gli aveva detto il padre.
  
Kagome sorrise un po’ mesta per le implicazioni di quello che le aveva appena detto, ma poi si riprese consapevole che a breve avrebbe cambiato idea. “E che succede invece se decido che quel poco che c’è stato non mi basta e voglio poter formare nuovi ricordi? Che succede se ti dico che non sono soddisfatta, che sono una persona egoista e avida?”
 
Lo sentì inspirare profondamente, mentre le pupille si dilatavano e la presa delle dita sui suoi fianchi si faceva più forte. Kagome annuì alla domanda che lesse nei suoi occhi spalancati. Allora i tratti del suo viso si rilassarono e un ghigno apparve sulle sue labbra, mettendo in evidenza i suoi canini bianchi.
 
Lei fu colta dall’improvvisa voglia di baciarlo e passare la lingua su di essi, ma si contenne, muovendosi istintivamente, strofinando le gambe. C’erano ancora altre cose da dire prima di potersi lasciare andare. Kagome era sempre stata una persona paziente; non c’era bisogno di dare il meglio – o peggio – di sé subito.
 
“Succede che io sono ugualmente egoista da volerti tutta per me, da non volerti dividere con nessuno. Succede che lo sono al punto da dirti che sono pronto a portarti via da qui anche seduta stante pur di darti quei ricordi che tanto desideri.” I suoi occhi erano famelici e Kagome sentì un brivido attraversarle la spina dorsale mentre la guardava in quel modo. Entrambi non resistettero più e annullarono quella poca distanza che li separava.
 
Ogni bacio che si scambiavano era sempre più passionato e urgente del precedente. Ogni contatto ne richiamava altri, rendendo chiara la necessità di voler di più, sempre di più. Il desiderio era ardente e incontrollato, ma era una così nuova per entrambi che procedevano cauti e per gradi, nonostante l’intensità di esso.
 
Quando si staccarono, Inuyasha non lasciò comunque la presa. I loro visi erano così vicini che le loro labbra ancora quasi si sfioravano e i respiri erano diventati un tutt’uno.
 
“Significa che partirai con me?” le chiese in un filo di voce, quasi non credendo alle parole che aveva lasciato la sua bocca.
 
Kagome annuì soltanto; aveva paura che l’emozione potesse farle tremare la voce.
 
“Non lo stai facendo solo per me. Vero? Insomma, è quello… è quello che vuoi, giusto?” Sembrava esitare. La paura di essersi sognato tutto, che aprendo gli occhi sarebbe tornato di nuovo alla notte appena passata, era troppa.
 
Lei poteva capirlo senza troppo problemi. Anche per lei sembrava impossibile e di certo c’erano ancora altre cose da risolvere, ma ci credeva abbastanza da riuscire a trovare un tono fermo per rispondergli. “Lo faccio solo ed esclusivamente per me. Sono egoista. Te l’ho detto, no?”
 
Lui ridacchiò, la sua risata aumentò di volume man mano che continuava fino a quando non andò a riempire la radura, rimbombando in quel silenzio quasi inquietante. “Sì, cacchio; l’hai detto. Devo dire che questo lato di te mi piace abbastanza. Non vedo l’ora di scoprire cos’altro comporta.” Ammiccò, in un modo così spontaneo e allo stesso così, così… Kagome avrebbe detto sensuale, che sentì il desiderio in lei farsi ancora più prepotente. Deglutì.
 
“Beh,” disse subito dopo. “Direi che avremo tutto il tempo per scoprirlo insieme, no?”
 
 

 

Al loro ritorno, gli animi più leggeri e gli spiriti sollevati, con un’aura così radiasa che avrebbe contagiato chiunque li avrebbe incontrati, furono sorpresi di vedere l’Inu-no-Taisho e Kaede, ancora sveglia, aspettarli fuori la capanna.
 
Si sistemarono attorno al focolare e mantenendo un tono di voce più basso possibile per rispetto degli altri occupanti che stavano dormendo dietro il paravento che divideva la stanza, discussero dei preparativi.
 
Kaede consigliò loro di partire quanto prima, senza avvisare nessuno – se gli anziani lo avrebbero scoperto prima del tempo, avrebbero creato maggiori problemi e c’era sempre il rischio di qualche abitante più pettegolo e spione. Toga si disse d’accordo e la coppia non mosse obiezioni. Non aveva senso perdere altro tempo, le decisioni erano già state prese e rimanere ancora di più al villaggio avrebbe solo attirato l’attenzione. C’era chi già aveva sospetti riguardo la prolungata presenza dei due demoni e presto, proprio come aveva detto Kaede, qualcuno ne avrebbe fatto parola con la comunità spirituale.
 
Kagome voleva essere già lontana quando sarebbero venuti a sapere che aveva abbandonato le sue mansioni ed era partita con un uomo che non era nemmeno suo marito. Non le interessava nemmeno cosa avrebbero detto di lei; voleva sentirsi una donna libera, libera da ogni costrizione e retaggio sociale che finora le era stato imposto. Per lo più, né lei né Inuyasha erano pronti a un passo del genere e a lei interessava soltanto di avere l’appoggio di Kaede, nient’altro.
 
Toga disse che al loro ritorno – qualunque fosse stata la data – se avrebbero deciso di sposarsi avrebbero avuto l’appoggio di entrambi. Se avrebbero voluto continuare a vivere come coppia libera altrettanto. Ogni scelta era loro, lui e Kaede potevano solo stargli vicino e offrire il loro aiuto nel caso in cui ne avrebbero avuto bisogno.
 
Né Inuyasha né Kagome riuscirono a convertire in parole le emozioni che sentirono nascere in loro davanti a quell’appoggio incondizionato. Era molto più di ciò che avrebbero mai sperato, pur conoscendo molto bene le due persone che si trovavano di fronte a loro.
 
La mattina dopo fu il momento dei saluti. Era stato deciso che sarebbero partiti dopo il tramonto, quando la maggior parte del villaggio si era già ritirato per la notte, quindi avrebbe trascorso il resto della giornata come se fosse una qualunque per non dare nell’occhio. Qualsiasi altra cosa di cui avrebbero avuto bisogno era già stata preparata la sera prima.
 
Salutare Rin non fu così difficile come Kagome aveva inizialmente immaginato, o per lo meno non lo fu per la bambina che sembrava aver preso la notizia incredibilmente bene. Era, anzi, eccitata per lei. La giovane donna, invece, non poté evitare di piangere ma era sicura che avrebbe rivisto la sorellina abbastanza presto.
 
Sango non nascose la sua sorpresa, ma le promise di badare a Rin al posto suo e le diede la sua benedizione. Kagome era sicura che l’amica non fosse del tutto d’accordo con la sua decisione, ma non cercò di farle cambiare idea né puntualizzò i lati negativi di questa sua scelta e a lei tanto bastava. Sango evidentemente capiva come si sentiva, soprattutto dopo aver perso una persona così importante per lei.
 
 

 
“Starai bene, papà?” Inuyasha chiese all’alta figura accanto a sé. Erano al limitare della foresta e stavano osservando silenziosi il sole che spariva dietro la collina e la coltre di nuvole scure che si faceva strada verso Ovest; per fortuna non era da quelle parti che lui e Kagome erano diretti perché si prospettava un temporale.
 
Toga sollevò gli angoli della bocca, ma non si voltò a guardarlo. “Con chi credi di parlare, cucciolo?” ridacchiò. “So badare a me stesso e non sono certo il tipo di padre che piange quando il figlio prende la propria strada.”
 
Inuyasha lo fissò sollevando un sopracciglio; in realtà lui avrebbe detto che il padre era proprio quel tipo. Era sicuro che in quel momento stava facendo di tutto per sembrare il combattente forte e spietato che tutti credevano che lui fosse, sebbene non volesse far altro che piangere e abbracciarlo.
 
Apprezzò il fatto che non lo stesse soffocando di attenzioni, soprattutto considerando gli ultimi due anni. Annuì solamente e poi chiese: “Cos’hai in programma di fare una volta tornato al castello? La ricostruzione è ormai agli sgoccioli e, presto, anche gli sterminatori se ne andranno.”
 
Il Generale scrollò le spalle. “Voglio cambiare un po’ di cose nell’esercito, riprendere parte agli allenamenti, controllare che non ci siano troppe ingiustizie. Hai visto anche tu che non poche persone si sono approfittati del mio animo turbato durante la guerra, primo fra tutti tuo fratello.”
 
“Ah, Sesshomaru…” una parte di Inuyasha si sentiva in colpa per lasciare il padre da solo con lui, ma d’altronde erano stati solo loro due per secoli prima che sua madre apparisse. “Cosa hai intenzione di fare con lui?”
 
“Niente,” rispose semplicemente Toga.
 
“Niente?” il mezzo demone lo guardò a bocca aperta. “Come sarebbe a dire niente? Avevi detto che una volta che tutto si fosse sistemato avresti fatto in modo di risolvere anche con lui.”
 
“Esattamente. Sesshomaru non è te, Inuyasha. Non aiuterei mai la nostra relazione se dovessi impormi o anche solo dargli consigli come ho fatto con te. Credo che questo sia chiaro, no?”
 
“Keh. Perché non dici direttamente che è odioso e presuntuoso?”
 
Toga ridacchiò. “Come vuoi tu, Inuyasha. Però, per quanto possa sembrare che io e Sesshomaru siamo molto distanti, non dimenticare che sono sempre suo padre e l’ho visto crescere; lo conosco bene quanto conosco te. So quello che sto facendo e l’ultima cosa che voglio è allungare la distanza di tra di noi. Approfitterò della tua assenza per avvicinarmi di più a lui e rimediare agli errori che ho commesso; mi assicurerò che diventi un degno Generale.”
 
Inuyasha lo guardò con occhi leggermente sgranati e con nuova ammirazione. Era normale che suo padre non si arrendesse così facilmente, che non si facesse scoraggiare dall’atteggiamento che Sesshomaru dimostrava nei suoi confronti. Annuì senza aggiungere altro sull’argomento; era sicuro che Toga ce l’avrebbe fatta.
 
All’improvviso il padre gli mise una mano sulla spalla e la strinse, continuando a guardare verso l’orizzonte macchiato d’arancione e rosa. “Quando tornerai sarà tutto diverso, tu sarai diverso. Promettiti che ti godrai ogni secondo di questa nuova avventura e ricorda che non sarà sempre tutto rose e fiori, ma almeno avrai la donna che ami al tuo fianco.”
 
 

 
Infine il momento arrivò. Inuyasha indossava la sua fedele veste rossa, mentre Kagome aveva optato per dei normali vestiti da contadina; voleva evitare di dare nell’occhio con le vesti da sacerdotessa. Avrebbero portato con sé per lo più qualche cambio, medicinali d’emergenza e le loro armi. Il resto se lo sarebbero procurati volta per volta; Inuyasha era più che addestrato per quel tipo di vita.
 
Mano nella mano, senza prolungare troppo i saluti, si avviarono oltre la collina. Kagome agitò un’ultima volta il braccio prima di dare le spalle al villaggio in cui era nata, cresciuta e aveva perso quasi tutto. Inuyasha le strinse la mano, guardandola incoraggiante e sorridendo.
 
Dietro di loro, Kaede aveva l’occhio buono stranamente lucido e un sorriso sulle labbra. Rin saltellava e agitava entrambi le mani, ma stava evitando ogni rumore non necessario perché sapeva di non dover attirare l’attenzione. Sango aveva il braccio attorno alle sue piccole spalle e guardava le due figure che sparivano nella foresta senza nascondere la tristezza e le lacrime che rigavano incontrollate il suo volto. Infine il Generale osservava la scena con occhi fieri, ma come si era promesso non stava piangendo. Le lacrime, d’altronde, non sarebbero riuscite comunque a esprimere quanto fosse contento per il figlio che finalmente aveva trovato la sua strada. Qualunque cosa il destino aveva in serbo per lui, Toga sarebbe stato lì. 
 
Era il crepuscolo e al tempo stesso l’alba di una nuova era. Era arrivato per Inuyasha e Kagome il momento di scoprire cosa c’era oltre la foresta, esplorare l’ignoto e se stessi.
 
Quando sarebbero tornati lo avrebbero fatto da persone diverse e cresciute. A quel punto avrebbero dovuto adempiere ai loro doveri da adulti e comportarsi da tali, ma prima si sarebbero goduti la giovinezza che era stata in parte rubata loro.

Non sarebbe stato facile, ci sarebbero stati giorni in cui si sarebbero pentiti delle scelte prese, volte in cui le loro volontà si sarebbero scontrate, così come la loro testardaggine, ma il sentimento reciproco avrebbe cancellato ogni rancore.  
 
Ora, la vita per loro era tutta da scoprire e la coppia era più che intenzionata a godersi il personale periodo di tranquillità prima che la discordia dilagasse di nuovo per il paese e il ciclo di pace e guerra ricominciasse.








N/A: Salve a tutti, eccoci agli ultimi saluti! 

Nonostante questa non sia la prima storia che comincio, è la prima che finisco e devo dire che un minimo di soddisfazione c'è. Era nata come qualcosa di veramente piccolo, ma inevitabilmente scrivendo scrivendo è diventata più lunga e diversa da ciò che avevo immaginato (ed è stata anche quella meno costante per quel che riguarda gli aggiornamenti, ahimè). Ciò che non è cambiato dall'idea originale che mi ero fatta in mente, però, è il finale aperto. Da che è stata concepita, ho sempre avuto idea di far ritrovare i due e lasciare davanti a loro un mondo di opportunità. Ci sono diversi fattori che mi hanno spinta verso quest'idea, primo fra tutti il fatto che pur comprendendo di provare qualcosa l'uno per l'altro, Inuyasha e Kagome devono ancora scoprirsi e così anche quel sentimento appena sbocciato. Partire mi sembra l'idea migliore per loro, da lettrice e non tanto da scrittrice (perché sono pur sempre prima una lettrice e quando scrivo tendo a immaginare come reagirei io a leggere certi sviluppi 😜). 

Per quel riguarda Kikyo, se qualcuno ancora si aspettava un incontro tra i due spero di non avervi deluso troppo. Qui lei deve essere considerata come un personaggio che spinge Inuyasha a crescere e a venire a patti con se stesso; è motivo di crescita. Lui non saprà mai qual è la verità, così come il lettore che può immaginare quello che vuole, ma capisce che restare ancorato al passato e al dubbio non lo porterà mai avanti. Riferimento a questo è il capitolo sette dove ha il confronto con il padre. 

Spero che il viaggio, seppure breve, sia stato di vostro gradimento. Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite o le seguite, i lettori silenziosi e chi mi ha lasciato un segno del suo passaggio. Si conclude qui la storia. 

Un abbraccio e a presto! ❤



 

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