Un tremendo pasticcio

di Chiara PuroLuce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 2: *** Fratello e Sorella ***
Capitolo 3: *** Vi presento Ernesto ***
Capitolo 4: *** Cena con sorpresa ***
Capitolo 5: *** Tre novità per Ernesto ***
Capitolo 6: *** Il segreto svelato ***
Capitolo 7: *** Padre e Figlio ***
Capitolo 8: *** La parola ai giovani ***
Capitolo 9: *** Forza, coraggio e cuore di pecora ***
Capitolo 10: *** Dolce sentimento ***
Capitolo 11: *** Attimi di passione ***
Capitolo 12: *** Una trappola per Ernesto? ***
Capitolo 13: *** Sentimenti ***
Capitolo 14: *** Nuove coppie e vecchi rancori ***



Capitolo 1
*** Ritrovarsi ***


                                                                 Questa storia partecipa al
                                                            Writober 2020 del sito Fanwriter.it
 
                                                                UN TREMENDO PASTICCIO 
 
                                                        pumpNIGHT 2020 Prompt 13 – Pasticcio
 

 
«Voilà, ed ecco a voi il mio pasticcio di pasta al forno.»
 
Claudio, Antonio e Martino si guardarono a vicenda, la faccia allibita e per niente convinta. Ernesto ai fornelli, era paragonabile a un elefante in una cristalleria. Quell’uomo era un disastro in cucina e nessuno dei tre amici sapeva come mai, quella sera, gli era girata così. Ora stava portando in tavola una teglia enorme piena di… qualcosa che fumava ancora.
 
«Che succede?» disse loro l’amico, distribuendo quella poltiglia informe. «È brutto, ok, ma vi assicuro che è buonissimo.»
 
«Perché? L’hai già fatto qualche altra volta?» s’informò l’amico d’infanzia Claudio.
 
«E le persone che l’hanno mangiato sono ancora vive?» rincarò la dose il suo collega meccanico, Antonio.
 
«Dicevo così per dire. Mentre lo cucinavo saliva un profumino che non vi dico, ma è la prima volta che lo faccio. Fuori dal corso, almeno. Voi siete le mie prime cavie» confessò lui.
 
«Te lo dico apertamente, Ernesto, non vorrei dovere correre urgentemente al pronto soccorso per una lavanda gastrica. Sai poi le prese in giro dei miei colleghi? Gastroenterologo sottoposto a lavanda gastrica causa cibo non ben definito, servito dal suo sadico amico e chef mancato. Il poveretto ha rischiato la morte e giura che mai più assaggerà qualcosa cucinata da lui» l’informò Claudio facendo ridere tutti.
 
«Inoltre, è informe e non si capisce da che parte iniziare a mangiare. Non c’è simmetria e non si capiscono bene gli ingredienti che hai usato» intervenne Martino, il precisino del gruppo, l’architetto.
 
Bella fiducia che avevano in lui quei tre. Aveva conosciuto Claudio alle medie e ancora si frequentavano ora che di anni ne avevano cinquanta. Un’amicizia nata per caso e durata una vita. Antonio, invece, era stato colui che l’aveva introdotto nel mondo dei motori e – anche se a dividerli c’erano solo un paio d’anni di differenza – era un pozzo di conoscenza e gli aveva insegnato tutto sulle riparazioni, appena assunto in officina. L’amico, di anni, ne aveva cinquantadue. Martino, infine, aveva cinquanta tre anni ed era una conoscenza più recente, ma importante. Era colui che aveva progettato il complesso di appartamenti dove lui viveva da circa tre anni. Si erano incontrati a una riunione per la partenza dei lavori cinque anni prima e si erano subito trovati d’accordo, la loro amicizia era iniziata così.
 
«Ho seguito la ricetta che l’insegnante del corso ci ha dato. Pasta corta di tutti i tipi, curcuma, besciamella, olio, grana, mozzarella e qualche verdura come piselli, carote…»
 
«E mortadella, e prosciutto cotto, e fontina, e uova, e tonno… Ernesto, più che un piatto è una guerra qua dentro. Se te la vedesse Ramsey… ahia, un Amplifon non te lo toglie nessuno» gli disse Claudio, facendo ridere tutti.
 
«È solo il mio ringraziamento per voi che mi siete stati vicini col divorzio dello scorso mese. Finalmente mi sono liberato di Gianna e il giudice si è pronunciato in mio favore. Totalmente.»
 
«Figurati, gli amici servono a questo… anche se li vuoi avvelenare» lo prese in giro Antonio, strizzandogli l’occhio.
 
«Oh, quante storie. E va bene, vorrà dire che mi sacrificherò io.»
 
E poi lo fece, prese una forchettata di pasta e la mangiò. Buona, ma…
 
«Manca qualcosa!» esclamò.
 
«Che cooosa?» gli rispose gli amici, allibiti.
 
«Hai il coraggio di dire che ti sei dimenticato un ingrediente?» gli chiese poi un Claudio spaventato, a nome di tutti.
 
«Sì, il sale!» disse lui tranquillizzandoli e alzandosi per andare a prenderlo.
 
«Dio, che paura. Ancora non ci hai detto perché hai iniziato a seguire il corso di cucina ormai cinque mesi fa. Cavoli, non molli. C’è forse qualche bella donna che ha catalizzato la tua attenzione e vuoi fare colpo?» chiese Antonio.
 
Una donna? Sì, c'era in effetti, ma non per il motivo che pensavano loro. Avevano ragione. Se non aveva detto loro nulla, era perché prima voleva essere sicuro di avere trovato, finalmente, la sua gemella.
Sì, gemella! Elisa.
Aveva scoperto della sua esistenza solo un anno prima, alla morte di sua madre, che era già vedova. Nessuno gli aveva mai detto nulla sull’esistenza di Elisa. Stava rovistando nelle carte da portare alle pompe funebri, quando gli era capitato in mano un foglio tutto ingiallito e sbiadito dagli anni e quando lo aveva letto… il suo mondo era cambiato per sempre. Era un certificato di nascita. Non il suo. Quello che aveva in mano riportava la sua stessa data, ma aveva un nome diverso. Elisa. Elisa Roversi.
 
«Ho trovato la mia gemella!» annunciò al gruppo.
 
Ora lo stavano fissando tutti con sconcerto misto curiosità. Nessuno mangiava più.
 
«Che hai detto? Gemella?» fu Martino il primo a riaversi «Come… e chi è?»
 
«È per questo che siete qua, stasera. Volevo mettervi al corrente della sua esistenza, finalmente. Seguo il corso di cucina, è vero, ma non perché sono improvvisamente impazzito. Ma solo perché… è lei che lo tiene. Lo faccio per conoscerla meglio prima di avvicinarla. Si chiama Elisa.»
 
«E perché cazzo non… non ne sapevi nulla» domandò Claudio.
 
«Eh, sapeste quante volte me lo sono domandato anche io, ma la risposta non l’avrò mai. L’unica cosa che so è che ho trovato il suo certificato di nascita e… quello con il quale i miei genitori – tanto per bene e stimati da tutti – la rendevano adottabile.»
 
«E non ti hanno mai detto nulla, ma che bastardi senza cuore» commentò Antonio «scusa, ma è vero.»
 
«Ma… ma scusa, come fai a sapere sia veramente lei» intervenne Martino «devi esserne sicuro prima di parlarle o rischi di creare un bel pasticcio.»
 
«Un po’ come con questo piatto qua. Una pasta più pasticciata e confusa di questa non l’ho mai vista» concluse Claudio.
 
«Mangia e poche storie, amico. È buona. Sono ancora vivo, no?» gli rispose lui prendendone una seconda forchettata e portandosi un dito alla guancia, per poi farlo roteare e uscirsene con un Mmmmh che riportò l’atmosfera leggera e gioviale.
 
A discapito delle previsioni nefaste dei suoi amici, nessuno fu portato d’urgenza al P.S. e la serata fu un successo. Prima di andarsene – dopo avergli dato numerosi consigli su come comportarsi con questa sorella improvvisa e averlo preso in giro per il fatto che lui non sapesse cucinare le cose più semplici e sua sorella era una chef – gli fecero gli auguri e lo lasciarono solo.
Sì, auguri. Ne aveva proprio bisogno, perché l’indomani, lui, l’avrebbe finalmente affrontata.
Da quando il celere investigatore privato che aveva assunto, gli aveva detto che l’aveva rintracciata e che non abitava neanche troppo lontano da lui – nella cittadina a mezz’ora da casa sua, ironia della sorte – non vedeva l’ora che arrivasse quel giorno.
L’investigatore gli aveva anche detto che Elisa era sposata e aveva due figlie ormai grandi. Non aveva voluto sapere altro. Ma lui aveva aggiunto un dettaglio, ovvero dove poterla trovare senza presentarsi alla porta di casa sua all’improvviso.
Al corso di cucina.
 
 
 

 
«Allora, avete visto bene come ho fatto? Avete capito tutto? Sono andata lenta apposta» disse al suo gruppo di allievi eterogenei. «Forza, ora è il vostro turno. La vostra omelette al formaggio e verdure, vi aspetta. Avete quindici minuti. Cosa volete che sia una frittata, dopotutto. Le mie figlie hanno imparato alle elementari a farla. Uno, due, tre… via!»
 
Elisa amava prendere in giro i suoi allievi. Sembrava un piatto facile – e lo credevano anche loro viste le risate con il quale avevano accolto la proposta di quel giorno – ma non era affatto così. Ci volevano bravura, occhio e manualità.
Il giro che fece tra i tavoli, le confermò quanto – per l’ennesima volta – era riuscita a fare loro uno scherzo coi fiocchi. Per ultimo lasciò il banco di Ernesto, in prima fila. Era un uomo simpatico. Faceva il meccanico e le aveva detto che si era iscritto al corso per imparare a cucinare qualcosa di diverso dalla classica pasta al pomodoro, se voleva rimanere in vita dopo il divorzio.
 
«Come proced… oddio. Che stai combinando?»
 
Dio, quell’uomo riusciva a incasinarsi anche con delle uova sbattute. Era un disastro. Un divertente disastro ambulante. Era riuscito a fare arrivare dell’uovo persino per terra e sul suo grembiule.
 
«Ti ricordo che non stai collaudando l’acceleratore di un auto, ma che stai sbattendo due uova» gli disse ridendo.
 
«Queste cattivone non ne vogliono sapere di rimanere nella ciotola» gli rispose lui in affanno «io ci provo, ma davvero… mi odiano!»
 
«Forse, e dico forse, se provassi a non sbatterle come se fossero in una centrifuga da mille giri… ci rimarrebbero, nella ciotola. Devi essere energico sì, ma solo per togliere i vuoti d’aria lasciati dall’albume e rendere omogeneo il risultato. Ce la puoi fare, forza e coraggio. Io sarò qui davanti» gli disse prima di dargli una pacca affettuosa sulla spalla e tornare dietro il suo bancone.
 
Nelle successive due ore, Elisa si divertì un mondo a valutare i risultati delle omelette – ad assaggiarle un po’ meno – e ad affibbiare loro altri piccoli compiti. Quella era la serata dei pasti veloci per chi ha poco tempo.
Con sua sorpresa Ernesto se la cavò bene, a parte la frittata che risultò essere una poltiglia colorata e mezza cruda.
 
«Credo che questa non la farò mai per i miei amici» disse «ieri sera mi hanno massacrato la mia pasta pasticciata, senza pietà. Non oso immaginare cosa mi direbbero davanti a… questa cosa qui che ne è uscita.»
 
«Come dicevo all’inizio, mai sottovalutare questo piatto. Purtroppo, lo fanno tutti e poi io mi diverto.»
 
«Una chef sadica che sa di esserlo, cosa sei» le rispose Ernesto, scatenando l’ilarità generale.
 
«Ebbene sì, è questa la parte divertente del mio lavoro. Mi hai scoperta!» poi, quando tornò la calma disse «Bene, per stasera abbiamo concluso. Ci rivediamo la settimana prossima e, mi raccomando, vi voglio belli carichi perché vi aspetta un dolce classico, ma anche buonissimo… il tiramisù! Prima di andare via fermatevi qua al banco che vi do’ la lista con gli ingredienti da comprare. Buona serata a tutti.»
 
Dieci minuti dopo, stava finendo di sistemare la sua postazione – quella dei suoi allievi no perché dovevano pensarci da sé – quando vide Ernesto tornare indietro, con sguardo teso e stranamente agitato, non era da lui. Era un tipo sempre così allegro, che le sembrava strano vederlo così.
 
«Hai dimenticato qualcosa?» gli chiese.
 
«Sì, in realtà… vorrei parlarti, se non ti dispiace. Ci metterò poco e poi… poi non so se vorrai che venga anche alla prossima lezione.»
 
Quelle parole la spaventarono. Che cosa stava succedendo? Doveva indagare, ma con cautela.
 
«Ok. Mi dispiacerebbe molto se fosse così, sai… tieni su il morale della truppa e ti considero, ormai, come un amico. Che succede?»
 
«Questo ultimo anno» iniziò lui a fatica «è stato molto intenso per me, Il divorzio, mio figlio Bruno che è andato a fare l’Erasmus all’estero, la morte improvvisa di mia madre, l’investigatore privato e i suoi rapporti settimanali che mi facevano stare sulla corda…»
 
«Alt. Cosa? Investigatore privato? Chi cercavi?» gli domandò.
 
«Te. Cercavo te» le rispose lui spiazzandola.
 
Che cosa? Ma chi era quell’uomo, un maniaco? Ora sì che ne aveva paura, una paura fottuta.
 
«Stai lontano da me» disse lei indietreggiando e portando una mano vicino alla sua valigetta porta coltelli.
 
«Non sono uno stalker, tranquilla. Ti ho cercata per un motivo serio. Un motivo che è… scritto qua» le rispose prendendo il portafoglio, ed estraendo dei fogli ripiegati che le lasciò sul banco.
 
Lei, se pur sconvolta da quel comportamento e da quelle parole, si avvicinò e li prese con cautela, li lesse e poi sbiancò.
 
«Che scherzo è questo?» chiese a mezza voce, prima di farli ricadere.
 
 
 
«Nessuno scherzo. Hai usato le stesse mie parole quando ho trovato i fogli. Erano nascosti in una scatola di legno con doppio fondo. Mia… nostra madre ci teneva i documenti importanti lì.»
 
«Vorresti farmi credere che noi siamo… fratelli? Oh, lo so di essere stata adottata in fasce, ma… ma pensavo che mia madre fosse troppo giovane e in difficoltà per tenermi o che fosse stata costretta ad abbandonarmi, ma… no, questo… mai – mai! – l’avevo immaginato. Perché? Perché ha deciso di darmi via?»
 
«Gemelli, Elisa. Noi, siamo, gemelli» specificò Ernesto lasciandola ancora più di sasso.
 
«Gemelli!» ripeté lei con un filo di voce e barcollando. Lui le si avvicinò prontamente e la fece accomodare sullo sgabello dove, in genere, appoggiava la borsa.
 
Ernesto poteva capirla bene. Anche lui aveva reagito a quel modo ed era rimasto in trance, seduto sul letto dei suoi, per non ricordava più quanto tempo.
 
«È assurdo, vero? Nessuno di noi saprà mai perché ci hanno divisi alla nascita. Si sono portati il loro segreto nella tomba a discapito della loro ossessione per la rispettabilità. Questo dimostra quanto le persone nascondano di sé e che non bisogna mai dare per scontato nulla, con nessuno.»
 
«Non riesco a crederci, non… Che pasticcio, che tremendo pasticcio.»
 
«Lo so. Prenditi il tempo che vuoi. Possiamo fare anche il test del D.N.A. se ti fa stare più tranquilla. Adesso capisci perché penso di saltare la prossima lezione? E guarda che io amo il tiramisù. Non voglio farti pressioni. Sarai tu a cercare me, ti lascio il mio indirizzo e il mio numero. Posso?»
 
E quando lei annuì, piano, glieli scrisse e se ne andò.
 
 

 
«È ora di lasciarti questa storia alle spalle, Ernesto. Mi spiace che sia andata a finire così, ma dovevi metterlo in conto fin dal principio di tutta questa storia» gli disse Antonio.
 
I suoi amici erano nuovamente a cena da lui e questa volta per tirarlo su di morale. Si erano presentati alla sua porta un’ora prima con birre, pizza calda d’asporto e salatini.
 
«Sì, hai ragione, però uno ci spera sempre.»
 
«Puoi darle torto? Da un giorno all’altro scopre di avere un gemello di cui non ha saputo nulla per cinquant’anni. Ok, che anche a te questa notizia è caduta addosso, ma tu hai avuto un anno per farci i conti e accettarlo. Lei un solo mese e, se non si è fatta ancora, viva, vuol dire che non vuole saperne niente.»
 
Martino aveva ragione. Se Elisa avesse voluto contattarlo – e non doveva dimenticarsi che poteva farlo avendole dato i suoi contatti – l’avrebbe già fatto e, invece, era passato un mese e ancora non aveva avuto sue notizie.  
La pizza era buona, la compagnia di più, ma gli mancava qualcosa. Stava per aprire il sacchetto di salatini, per poi iniziare una partita a Poker, quando suonò il campanello. Visto che aveva le mani occupate, chiese a Claudio di andare ad aprire. Che strano non aspettava nessuno.
 
«Salve, cercavo Ernesto. Questa è casa sua, giusto?»
 
«Sì, buonasera, entri pure» le disse e poi rivolto all’interno urlò «ehi, amico, c’è una bella donna che ti cerca» e la lasciò sola all’ingresso.
 
«Come? A me? E chi sa… oh, ciao.»
 
«Ciao a te. Ci sei mancato alle lezioni questo mese e così… ho pensato di portarti un regalino» e dalla borsa in stoffa che aveva tra le mani, estrasse una teglia di tiramisù.
 
«Grazie. Ci mancava giusto il dolce, dopo la pizza. Vieni pure, ti presento i miei più cari amici. Stavamo per iniziare a giocare a Poker, ma possiamo rimandare.»
 
«Buonasera» salutò tutti lei, una volta raggiunto il gruppo in salotto.
 
«Ragazzi. Questa è Elisa, la mia gemella» la presentò tutto emozionato.
 
Gli amici, dopo lo stupore iniziale ed essersi presentati, li lasciarono soli e lui li ringraziò mentalmente. Avevano così tanto da dirsi.
 
«Ho seriamente pensato di non rivederti più» esordì lui.
 
«All’inizio ci ho pensato, ma poi mi sono detta che non era giusto nei tuoi confronti, che stavi soffrendo come me e che una cosa così bella come un gemello, non si butta via per paura. Così… ho fatto il tiramisù!»
 
«E hai fatto benissimo, perché…»
 
«Lo adoro!» dissero insieme, prima di scoppiare a ridere.
 
Ed Ernesto, da quel momento, seppe che qualunque cosa fosse successa in futuro, non sarebbe mai più stato solo.
Il perché fosse accaduta una tragedia del genere proprio a loro due, non interessava più. L’importante era essersi ritrovati.
                                                                                                                                                                

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Capitolo 2
*** Fratello e Sorella ***


Un mese prima, casa di Elisa.
 
Dire che era sconvolta era ancora poco. Elisa non si dava pace. Ma davvero aveva un fratello – gemello per giunta – del quale non sapeva nulla?
Arrivata a casa gettò la borsa sul divano e poi si lasciò cadere lì accanto con un gemito, prendendosi la testa tra le mani.
 
«Cara, tutto bene?» la voce di suo marito la riscosse dai suoi mille pensieri.
 
Scosse la testa sconsolata e gli fece cenno di raggiungerla, poi si sdraiò appoggiando la testa sulle sue gambe e chiuse gli occhi.
 
«Inizio a preoccuparmi, sai? Avanti, dimmi tutto» la esortò con dolcezza mentre le spostava la frangia dalla fronte.
 
Ah, il suo Giuseppe. Lo aveva incontrato a un party di compleanno quando aveva diciannove anni e lui venticinque e non si erano più lasciati. Due figlie gemelle e trentun anni dopo, erano ancora insieme, sempre innamorati e complici come quel primo giorno. Ancora stentava a credere alla sua fortuna. Giuseppe, 1.75 cm per 65 kg, capelli rossi ora tendenti al grigio, occhi azzurri e labbra sottili appena sotto un naso greco. E aveva guardato lei, tra tutte le belle ragazze presenti che lo attorniavano come api al miele. Lei, Elisa, che non arrivava al metro e sessantacinque per 70 Kg di peso, capelli neri, ricci fino alle spalle e indomabili. Lei, che si definiva tanta per corporatura, naso importante e labbra carnose, troppo a suo parere e non solo, dato che qualcuno le aveva chiesto se ricorresse al botulino. Lei, che non conosceva neanche la festeggiata e che ci era stata trascinata da un’amica che voleva vedere il ragazzo dei suoi sogni. Ragazzo che, per inciso, ora era suo marito.
 
«Dove sono le ragazze?»
 
«Angela è in piscina e Daniela a cena dalla sua amica Laura, tra un’ora saranno qui. Siamo soli, soletti e… e tu sei altrove con la testa.»
 
Elisa radunò le idee prima di parlare e decise di prendere l’argomento con calma e alla larga. Se ne era rimasta scossa lei, e anche Enrico stesso che aveva aspettato prima di sganciare quella bomba, figurarsi suo marito.
 
«Ti ricordi quando la ginecologa ci disse che aspettavamo due gemelle?»
 
«Sei incinta? Ma… ma…» saltò su lui, facendola ridere «alla nostra età e… e se poi ne arrivano altri due in coppia?»
 
«No, scemo» lo rassicurò lei dandogli un buffetto sulla guancia «non era questo che intendevo dire. Rammenti quando ci chiese se per caso avessimo avuto casi di gemelli in famiglia e noi le dicemmo di no?»
 
«Bè, non è che a memoria sia messo benissimo ultimamente, ma… sì, questo lo ricordo bene. Tu eri angosciata e non sapevi cosa rispondere perché sei stata adottata e quindi non potevi esserne sicura. Ma come mai ti è venuto in mente ora?» le chiese.
 
«Perché ora so la risposta» rispose lei semplicemente.
 
«Ah, sì? Hai scoperto qualcosa sui tuoi genitori biologici? E come, e quando è successo?»
 
«Tesoro, calmati» gli disse lei sorridendogli debolmente guardandolo nei suoi bellissimi occhi azzurri che l’avevano attratta da subito. «Ho un gemello.»
 
«Cooosaaa?» disse lui dopo un lungo silenzio che lei non aveva interrotto.
 
«Sai che spesso ti parlo di quel pasticcione di un meccanico che viene al corso?»
 
«Sì, quello che sta sempre in prima fila e che tiene alto il morale di tutti.»
 
«Esatto, quello di cui eri geloso le prime volte che te ne parlavo» gli ricordò lei con un sorriso, facendolo imbarazzare un pochino «ecco, è lui!»
 
Elisa si sentiva più leggera ora che aveva raccontato tutto a suo marito, era sempre bello parlare con lui e quella era una cosa che in molti le invidiavano. Tra di loro non esistevano segreti e anche quando Gina, una ormai ex collega di suo marito – che era un banchiere – aveva iniziato a mettergli gli occhi addosso, lei ne era stata subito informata. Un bel giorno si era presentata in banca per rimetterla al suo posto con le buone e Giuseppe, una volta a casa, aveva riso tanto per la faccia sconvolta e imbarazzata della donna dovuta alla sua coraggiosa piazzata. Dopo di allora la tizia si era tirata indietro, aveva iniziato a rispondere male ai clienti e di lì a poco, era stata trasferita in una filiale lontana.
 
«Un gemello. Il meccanico» stava intanto dicendo suo marito «e come mai non te l’ha detto prima? Sono mesi che viene al corso.»
 
«Infatti, si è iscritto per conoscermi prima di affrontarmi e l’ha fatto stasera. Dio che paura che ho avuto all’inizio quando mi ha confessato di avere assunto un investigatore privato per cercarmi» gli confessò «ma poi mi ha mostrato dei documenti che…»
 
«Documenti? Di che tipo?»
 
«L’atto di nascita e un foglio con il quale si rinunciava a me. Il mio vero cognome è Roversi. Mi ha proposto il test del D.N.A. per esserne sicuri e, anche lui, come me, è caduto dal pero.»
 
«Come sarebbe a dire… non capisco.»
 
«Figurati noi, Beppe. Vedi, lui l’ha scoperto cercando dei documenti per darli alle pompe funebri, la madre era appena morta, e ancora si chiede il perché di un gesto tanto ingiusto quanto crudele. Ha sempre pensato di essere figlio unico, come me. Solo che lui non è stato dato in adozione. Per fartela breve, l’investigatore mi ha trovato e gli ha detto dove cercarmi.»
 
«E lui l’ha fatto. Che storia incredibile e… e com’è? E cosa dice di tutta questa storia?» chiese ormai incuriosito.
 
«È un bell’uomo e molto alto. È incredibile, instancabile e anche autoironico. È sconvolto, come me e non si da pace per questo grave torto. Mi ha scritto dove trovarlo quando sarò pronta e mi ha anche detto che, per non influenzarmi, si sarebbe tolto dal corso fino a quel giorno.»
 
«Ammirevole e giusto» sentenziò il marito «cosa farai?»
 
Domanda da un miliardo di dollari. Cosa doveva fare? Al momento nulla, era troppo confusa.
 
«Tu che faresti al mio posto?» gli chiese.
 
«Io? Bè, prima di tutto farei analizzare i documenti che ti ha dato da un legale, per verificarne la loro validità e veridicità e poi, in attesa del responso, inizierei a pensare come agire in entrambi i casi. Ti ha dato del tempo, sfruttalo. Se poi deciderai di affrontarlo in ogni caso, verrò con te, ma resterò a distanza.»
 
«Davvero lo faresti? Oh, grazie tesoro mio» gli disse buttandogli le braccia al collo e stringendosi a lui prima di baciarlo dolcemente.
 
E fu così che li trovarono le figlie.
 
«E ti pareva se questi due non si stavano sbaciucchiando» esordì Angela alzando gli occhi al cielo, poi individuò la gatta tricolore che dormiva beata sulla sedia in cucina, la prese in braccio tra le sue proteste e corse su per le scale.
 
«Davvero, siete indecenti… alla vostra età poi. Ma proprio a noi dovevano capitare due vecchi così?» rincarò la dose Daniela aprendo un armadietto in sala e recuperando succo di frutta, bicchieri e due buste mega di patatine al formaggio.
 
«Ehi, tu, figlia» la riprese bonariamente lei «ritieniti fortunata invece. E vecchia a me non lo dici, chiaro? Semmai matura, ecco. Per tuo padre è un altro conto.»
 
«E invece no, protesto» intervenne quello «come mai già a casa?» chiese poi.
 
«Sì, siamo già tornate come vedete, scusate se abbiamo rovinato la vostra seratina romantica. Alle 23.30 danno Greese e volevamo vedercelo insieme in camera. Continuate pure, nei limiti della decenza, grazie. Ciaooo» e raggiunse la sorella.
 
Elisa e suo marito scoppiarono a ridere come due adolescenti beccati sul fatto. Le loro figlie ventitreenni non avevano peli sulla lingua e non sopportavano quando loro si lasciavano andare a romanticherie.
 
«Dobbiamo dirglielo, secondo te?» le chiese il marito.
 
«No, Beppe, per il momento no. Quando avrò deciso se incontrarlo o meno, le informeremo e, ti dico subito, che nel caso optassi per il sì… per un po’ vorrei vivermelo senza nessuno di mezzo.»
 
«Sì, credo sarebbe meglio per te conoscerlo da sola. Ma se dovessi cambiare idea, in qualsiasi momento, io sono qui.»
 
«Lo so, amore, lo so e ti ringrazio» disse baciandolo un’ultima volta «vuoi una camomilla? Io ne ho tanto bisogno, stasera e poi vado a coricarmi.»
 
«No, Elisa, sai che non sono un fan di quella brodaglia gialla. Guardo una puntata di C.S.I. Miami e poi ti raggiungo» e la lasciò andare.
 
Che serata pazzesca… e adesso, che cosa devo fare? Ha ragione Beppe, per prima cosa devo fare analizzare i fogli e intanto devo anche pensare a come comportarmi, pensò mentre preparava la bevanda calda.
Salì di sopra, passò accanto alla porta delle ragazze e sorrise sentendo la sigla iniziale del musical. Greese era un film intramontabile e lei, da fan, era felice che anche le sue figlie lo apprezzassero. Le sentì cantare e ridere, ignare che la vita della loro madre – e di conseguenza quella di tutta la loro famiglia – era appena stata stravolta da una notizia sensazionale, e per sempre.
Entrò in camera con mille e più pensieri per la testa, si sdraiò pensando di fare una notte in bianco, ma, stranamente, si addormentò di colpo col sorriso sulle labbra.
Aveva un gemello. Non era più sola.
 
 

 
Un mese dopo, casa di Ernesto.
 
Ed eccola lì, a casa del suo gemello. Sì, alla fine aveva deciso di incontrarlo e procedere con i piedi di piombo. Era tutto nuovo per lei, come per lui e così, per rompere il ghiaccio, non si era presentata a mani vuote.
Giusto il giorno prima aveva ricevuto la risposta dell’avvocato che aveva esaminato i documenti, erano validi e autentici. Era tutto vero.
Come promesso, Giuseppe era rimasto ad aspettarla in auto nel vicino parcheggio – si era portato uno di quei suoi noiosi e corposi plichi pieni di numeri incomprensibili da esaminare – e lei si era avviata verso il complesso di appartamenti dove viveva Ernesto. Non l’aveva avvisato, voleva fargli una sorpresa, ma le luci erano accese e se avesse avuto… compagnia? Si era fatta coraggio e aveva suonato il campanello.
Ad aprirle era stato un uomo sconosciuto che poi aveva chiamato a gran voce l’amico ed era sparito, lasciandola da sola sulla soglia.
Dopo i primi attimi di imbarazzo e la presentazione ai suoi amici, erano stati lasciati soli. Gli aveva dato il tiramisù.
E adesso?
 
«Ma prego, siediti» la invitò il gemello indicandole il divano.
 
«Grazie» accettò «E così…»
 
«Già, e così…» le disse lui, nervoso, sedendosi davanti a lei sul bracciolo dell’altro divano «eccoci qui. Sono contento di vederti, a dirti la verità avevo perso le speranze.»
 
«Avevo bisogno di riflettere e di…»
 
«Lasciami indovinare, fare analizzare i documenti che ti ho lasciato?» poi quando lei lo guardò stranita aggiunse «E non dire di no, l’avrei fatto anch’io al tuo posto. Se sei qui vuol dire solo una cosa, che hai scoperto che non ti ho mentito.»
 
Lei gli sorrise debolmente, quell’uomo le leggeva dentro e, a pensarci bene, quella era una piacevole novità.
Decise di cambiare argomento.
 
«Ti ho rovinato la serata con i tuoi amici, mi dispiace.»
 
«Niente di grave, recupereremo. Questo è più importante, ora e l’hanno capito anche loro. Un giorno te li farò conoscere come si deve… ma non sarà tanto presto. Prima voglio conoscerti meglio e credo che l’essere qui, significhi che anche tu sei dello stesso parere.»
 
Suo malgrado, Elisa scoppiò a ridere ed Ernesto la guardò confuso e allora lei gli spiegò che aveva detto una frase simile a suo marito la sera in cui lui si era rivelato. Il ghiaccio era finalmente rotto.
 
«Abbiamo cinquant’anni da recuperare e non dobbiamo avere fretta. Procederemo per piccoli passi e, quando ci sentiremo pronti, faremo entrare nelle nostre vite anche gli altri. Sei d’accordo?» le disse e lei concordò «Sei qua da sola?»
 
«No, Giuseppe, mio marito, mi sta aspettando in auto con un plico pieno di numeri da analizzare. Roba da banchiere, lasciamolo divertire ancora per un po’. Peccato solo che si perderà questo strepitoso tiramisù. Chissà chi l’ha fatto. Tu, per caso? Ho i miei dubbi, eppure non è difficile… è come fare una… frittata? Ahahaha. Ok, sto zitta» disse poi vedendolo farle la linguaccia.
 
«Ma smettila» le aveva detto lui dopo un attimo di sconcerto «sei sempre la solita cuoca sadica.»
 
«Mh… può darsi e tu il mio allievo pasticcione» rilanciò lei facendolo scoppiare a ridere di gusto «ma ti sfido a fare di meglio.»
 
«Mi piacciono le sfide. Sono a tua disposizione… sorella.»
 
Quel termine le fece battere il cuore di gioia e scendere qualche lacrima di commozione. Lui se ne accorse e si rabbuiò, forse sentendosi in colpa e così lei fece una cosa che non aveva programmato, ma che si sentiva di fare… si alzò, lo raggiunse e l’abbracciò di slancio, stretto, dando via libera ai singhiozzi. Abbraccio che fu ricambiato e lacrime che, a giudicare dal tremore delle sue ampie spalle, coinvolgevano anche lui. Dopo un tempo indefinito si staccò e lo guardò con gli occhi rossi e gonfi, si asciugò le lacrime con le maniche e gli sorrise imbarazzata. Lui non era messo meglio, per fortuna.
 
«Dovrai impegnarti al massimo, perché io sono una tipa competitiva… fratello!» gli disse lei con voce flebile e tremante e lui riuscì solo ad annuire.
 
Evidentemente quel termine disorientava anche lui.
Ernesto è l’altra metà di me e io non lo lascerò mai più andare via. Ancora non mi sembra vero eppure… eccoci qua, insieme. Dovevamo arrivare a mezzo secolo di vita per scoprire che non eravamo soli come avevamo sempre creduto, si disse.
 
Da qui incomincia la nostra storia. La storia mia, Elisa, e del mio gemello ritrovato Ernesto, da qui incomincia la nostra vera vita.
 

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Capitolo 3
*** Vi presento Ernesto ***


Sei mesi dopo
 
 
«E così, finalmente oggi ci presenterai tuo fratello» esordì Mara.
 
«Era ora, cavoli. Ce ne parli sempre e così tanto che ci sembra già di conoscerlo da una vita» rincarò la dose Gemma.
 
Ah, le sue amiche. Le adorava, le conosceva a menadito dalle superiori e sapeva che erano emozionate quanto lei per quell’incontro voluto fortemente da Ernesto.
Ernesto. Il suo gemello. Il suo unico legame con un passato che non sapeva di avere e che aveva iniziato a conoscere da poco.
Prima di presentare lo zio alle sue figlie – Daniela e Angela – lei, Elisa, aveva voluto aspettare qualche mese e per la precisione quattro. Si era preposta di conoscere meglio il gemello, da sola e aveva iniziato a frequentarlo sempre più spesso, sia fuori che all’interno del corso di cucina.
Sì, perché era tornato e lei, gli aveva proposto di affiancarla. Ernesto attirava gli allievi più giovani con la sua goffaggine e la sua simpatia e così, ora erano complici.
Lei spiegava e lui eseguiva, o meglio, faceva vedere agli allievi cosa non fare e la loro collaborazione funzionava molto bene. Gli iscritti erano aumentati.
Elisa aveva proposto un compenso al fratello, ma lui…
 
 
«Non ci pensare neanche e non ridirmelo più, per favore.»
 
«Ma perché? Alla fine, è come un secondo lavoro per te, non è più una serata di svago.»
 
«Sbagli, Elisa. Per me è un divertimento e quello che mi interessa veramente, lo sai, è potere passare del tempo con te per recuperare i decenni perduti, per conoscerti meglio e visto che ci siamo ritrovati al tuo corso…»
 
«Va bene, se la vedi così… grazie… fratello!»
 
«Di nulla… sorella!»
 
 
Sorella. Per lei era ancora strano sentirsi chiamare così e le scappava sempre un sorriso tutte le volte che Ernesto lo usava.
Arrivare a cinquant’anni e scoprire di essere la gemella di qualcuno che, a sua volta, non sapeva niente della tua esistenza, era qualcosa di destabilizzante e… e sì, anche di magico, perché no.
Elisa aveva sempre sentito di non essere completa, ma non aveva mai saputo spiegarsene il motivo. Pensava di essere una tipa semplicemente incontentabile, ma non aveva mai preteso troppo dalla vita e non aveva mai cercato il superfluo e quindi, si era domandata spesso, da dove arrivava quel leggero malessere dell’anima.
Ora aveva la risposta che aveva sempre cercato. Non doveva chiedersi cosa, ma chi le mancava… Ernesto!
Tante erano le domande che l’assillavano da quando lui aveva sganciato la bomba.
Perché a loro? Perché, i loro genitori, avevano dato via lei e tenuto lui? Perché erano stati tenuti all’oscuro della reciproca esistenza? Perché erano stati privati di tante di quelle esperienze, che nemmeno la Stele di Rosetta sarebbe bastata a contenerle tutte?
Se lo chiedeva di continuo. Ai suoi genitori biologici non poteva più domandarlo ormai, almeno avessero lasciato un messaggio o una traccia… niente. Tabula rasa.
Era incredibile come in pochi mesi, si fosse legata così tanto a Ernesto. Anche lui non riusciva a comprendere quel comportamento assurdo dei genitori. Nonostante alla fine avessero deciso di indagare sulla loro vita – per capire come mai avessero compiuto quel gesto estremo e da che cosa fosse stato dettato – non erano ancora giunti a una soluzione.
Lo stesso investigatore privato – tale Redaelli Giacomo, un brianzolo tenace che non mollava mai la presa – che Ernesto aveva ingaggiato per seguire le sue di tracce, era stato ora contattato di nuovo per mettere la parola fine a tutta quella storia.  Il signor Redaelli si era detto entusiasta di quella nuova sfida e poi, parole sue…
 
«Sono curioso anch’io, come voi, di scoprire la verità e non mi darò per vinto fino a che non l’avrò scovata. Dovessi andare fino in Patagonia per scoprirla.»
 
Per la parcella, aveva poi detto loro, non avevano di cui preoccuparsi, visto lo sconto famiglia che gli avrebbe applicato e un ulteriore sconto perché era la seconda volta che lo contattavano.
A distanza di due mesi, nessuna novità si era ancora vista all’orizzonte.
 
«Elisa ci sei ancora?» La voce di Mara la riportò alla realtà.
 
«Sì. Sì, scusate, ma…» si guardò in giro, come mai erano solo loro due? «E Gemma, dov’è finita?»
 
«Ha dimenticato il cellulare sul cruscotto. Siamo alle solite, ha il vizio di lasciarlo andare a zero e caricarlo in auto e poi se lo dimentica in bella vista. Prima o poi qualcuno glielo ruberà, te lo dico io» sentenziò l’amica.
 
E, in effetti, non aveva tutti i torti.
Aveva conosciuto Gemma alla scuola alberghiera. Era un paio d’anni avanti a lei e avevano legato da subito. Casinista fino al midollo, spontanea e chiacchierona. Aveva una memoria quasi inesistente ed era capace di dimenticarsi qualsiasi cosa nel giro di poco tempo, ma quando si parlava di lavoro… ah, lì era un caterpillar.
Di contro, Mara, era il suo opposto. Era nella sua stessa classe e si erano ritrovate in banco assieme. Lei era un tipo perfettino, riservato, amava organizzare tutto fino alla nausea e odiava gli imprevisti.
Elisa, invece, era una via di mezzo tra le due amiche e forse era per questo che si trovavano bene insieme.
A guardarle da fuori potevano ricordare le famose Charlie’s Angel. Lei era la bruna, Mara la bionda e Gemma la rossa.
In seguito al diploma avevano preso tre strade diverse. Mara aveva aperto una piccola pasticceria, Gemma si era donata al catering ed era riuscita, dal nulla, a farsi una bella clientela. E lei insegnava in un istituto alberghiero e, a tempo perso, teneva corsi serali per gente comune che, il più delle volte, non sapeva distinguere una patata dolce, da una rossa adatta per friggere o da una bianca, ideale per purè. Gente come suo fratello, appunto. Elisa si divertiva moltissimo con loro, tanto che stava pensando di dedicarsi a tempo pieno e lasciare la scuola. Le sue figlie l’appoggiavano in pieno, suo marito e suo fratello un po’ meno. Quei due avevano legato moltissimo e la pensavano quasi allo stesso modo su tutto, al punto che sembravano più fratelli loro che lei stessa. Incredibilmente si era scoperta gelosa del loro legame quando erano insieme.
 
«Se lo lasci dire, lei è proprio un gran cafone e poi, scusi, ma deve proprio andare nella mia stessa direzione?»
 
Gemma? Gemma che discuteva con qualcuno? Che novità era mai quella. Da dove si trovava non riusciva a vedere con chi ce l’avesse, ma la voce che le rispose… oh, no, non con lui.
 
«Veramente è lei che sta andando dove sono diretto io.»
 
«Certo, come no.»
 
«Le giuro che è così. Ho appuntamento con tre donne.»
 
«Tre? Lei? Ah ah ah, ma non mi faccia ridere. Maleducato e permaloso com’è è già tanto se ce ne sarà una ad aspettarla al tavolo.»
 
Iniziamo bene. Dannazione, questa non ci voleva. Ma che cosa sarà successo?, pensò dopo un attimo di smarrimento.
 
«Wow, che bel tipo. Lo vedi Elisa?» la distrasse Mara «E quell’allocca della nostra amica non trova di meglio da fare che litigare con lui, invece che flirtare un pochino. Peccato che io sia felicemente sposata, altrimenti un pensierino ce l’avrei fatto volentieri. Ah, che impiastro di donna che è, ovvio sia ancora single alla sua età» sentenziò l’amica scuotendo la testa sconsolata.
 
Mi domando se la penserai ancora così tra un minuto scarso!, pensò ancora lei.
Ebbene sì, le sue amiche non avevano la benché minima idea di che faccia avesse Ernesto. Solo dopo avergli fatto conoscere la sua famiglia, aveva parlato di lui alle sue amiche storiche e non aveva voluto mostrare loro nessuna foto.
Aveva resistito nonostante le loro insistenze e, per fortuna, suo fratello non aveva nessun account social.
Ernesto era molto alto, le aveva detto che si aggirava sul metro e ottantacinque – che faceva a botte con il suo metro e sessantacinque scarso, ma non erano gemelli? –  di corporatura muscolosa – grazie al nuoto che praticava due volte a settimana – aveva i capelli sale e pepe corti e mossi e una leggera barba curata che, a suo parere, gli donava e che gli incorniciava perfettamente le belle labbra carnose. Occhi marrone scuro, come i suoi e un naso importante, completavano il tutto.
Era il classico uomo dal fascino virile che le donne si giravano ad ammirare, peccato che lui non se ne accorgesse nemmeno e non si valorizzava più di tanto.
 
«Ecco, io sono arrivata, lei non deve proseguire oltre? O vuole sedersi con noi, visto che sarà tutto solo al suo tavolo?» stava intanto dicendo Gemma.
 
«Ma come, non doveva essercene almeno una ad aspettarmi?» la pungolò Ernesto.
 
«Ho mentito. Per non ferirla troppo, sa? Allora, visto che vuole sfidare la sorte… buona fortuna e addio» gli disse ancora lei prima di scostare la sedia e guardarle come se si fosse appena liberata di una zecca fastidiosa.
 
Ernesto a quell’uscita scoppiò a ridere. Ah, la sua capacità di non prendersela mai per nulla, come gliela invidiava. Ora toccava a lei.
Suo fratello non accennava ad andarsene, Gemma lo fissava con fastidio, Mara se lo mangiava con gli occhi e lei…
 
«Benarrivato, ti aspettavo con ansia» gli disse sotto lo sguardo allibito delle amiche. «Ragazze, vi presento Ernesto, il mio gemello.»
 
«Piacere di conoscervi» esordì lui e subito dopo la guardò «Ansia dici? Addirittura. Ciao bellissima» le disse prima di chinarsi a baciarla sulla guancia e poi rivolto a Gemma «vede signora? Le avevo detto che mi aspettavano tre donne, ma non immaginavo che una fosse lei.»
 
Per tutta risposta, dopo un attimo di smarrimento, l’amica intensificò il suo cipiglio.
 
«Ma… ma che è successo? Ernesto, sei riuscito nell’impresa storica di fare arrabbiare la nostra Gemma» gli disse indicandola «e lei è Mara» aggiunse infine indicando l’altra amica che lo fissava con un sorriso a trentadue denti in pieno stile pubblicità del dentifricio.

 
                                                                                   


Ecco, bella domanda, sorella. Mi ha preso in antipatia e tutto perché…
 
«Tuo fratello ha pensato bene di insultarmi.»
 
«Cosa? Impossibile, non è da lui» lo difese a spada tratta sua sorella.
 
«Il mio voleva essere un complimento che lei ha travisato, Gemma» le rispose lui fissandola negli occhi grigi.
 
«Se per complimento intende avere urtato il mio sedere mentre scendeva dalla sua auto – facendomi finire lunga distesa di pancia sul sedile – e poi scusarsi dicendomi…» e qui si schiarì la voce e cercò di imitare la sua baritonale «mi scusi signora, non volevo, ma il suo posteriore sporgeva così bene dalla portiera che non ho potuto evitarlo.»
 
«Ernesto!» esclamò sorpresa sua sorella.
 
E che colpa ne aveva lui se aveva cercato di fare un complimento scherzoso a quella bella donna. Rossa, capelli corti, alta un metro e un pocket coffee, formosa e con un volto davvero molto bello, quei due enormi occhi grigi e la bocca piena l’avevano sconvolto da subito. No, meglio non mentire a se stesso, la prima cosa che aveva visto di quella Gemma era stato il suo morbido fondoschiena che spuntava dall’auto. La seconda cosa i suoi stupendi occhi che lo fissavano con rabbia e la terza erano state le sue labbra che lo apostrofavano come maleducato, cafone e burino.
Oh, insomma, le donne non le avrebbe mai capite lui.
La sua ex moglie Gianna l’aveva lasciato per uno più giovane di quindici anni perché, a suo dire, la faceva sentire viva e lui invece no. Come se invecchiare fosse una colpa e poi, a dirla tutta, erano mesi che a stento si rivolgevano la parola e che lei aveva smesso di attrarlo anche fisicamente.
Quella Gemma, invece, era una calamita per i suoi occhi e quel caratterino così focoso invece di allontanarlo, lo attraeva.
Il cameriere arrivò e ordinarono. Lui e Gemma – che scoprì essere la guidatrice per quella sera – delle birre analcoliche, Mara uno spritz ed Elisa un prosecco.
 
«Non vedo cosa ho detto di male. È vero, Gemma ha un bel fondoschiena, inutile negarlo e forse mi sono espresso male, ma ha urlato così tanto che sono stupito abbia ancora la voce e io le orecchie.»
 
Suo malgrado, quel commento dovette farla divertire perché quella strana donna scoppiò a ridere e poi gli disse con voce seria:
 
«Per il suo bene, non dica più a nessuna donna, che ha il culone e che è molto ingombrante.»
 
«Ripeto, io volevo solo dirle che era notevole e che mi dispiaceva di averla urtata. La prego di perdonarmi la rudezza, non mi piace offendere le donne, specie se belle come lei.»
 
Quella frase doveva averla colpita perché l’espressione del suo volto mutò del tutto, facendosi aperta e sorridente – pur con un certo riserbo – e lui le sorrise di rimando. Poteva giurare di averla vista arrossire, anche se fingeva distacco. Wow, era in guai seri. No, si era ripromesso niente più storie dopo Gianna, neanche fugaci, figuriamoci serie – sì, perché con quella Gemma ci avrebbe fatto volentieri un pensierino – e così doveva continuare a essere. Oh, ma se quella donna in particolare continuava a guardarlo così… fu Elisa a distoglierlo da quei pensieri inappropriati.
 
«Bene, sono contenta che si sia chiarito tutto in fretta perché ci tengo andiate d’accordo» disse guardandoli «per tornare a noi, ragazze, mi avete sempre chiesto perché abbiamo deciso di aspettare a uscire allo scoperto, bè… è perché…»
 
«… prima volevamo avere del tempo tutto per noi» concluse Ernesto al suo posto «capirete che cinquant’anni da recuperare non sono pochi e avevamo bisogno di conoscerci meglio, da soli. E ho l’impressione che continueremo a scoprire cose di noi fino alla morte» intervenne lui facendo ridere tutti. «Due mesi fa ho conosciuto la famiglia di Elisa e lei ha visto mio figlio Bruno via Skype trovandosi a Londra per l’Erasmus.»
 
«Sì e ora è il turno degli amici più cari. Oggi voi e domani quelli di mio fratello, che ho già visto di sfuggita, come sapete.»
 
E che non se l’aspettano minimamente, pensò lui ridacchiando tra sé per lo scherzetto che avevano architettato per loro.
 
«Strabiliante!» esordì Mara e poi specifico sentendosi fissata «Sì, strabiliante è vedere come ve la intendete e vi completate le frasi, dopo così pochi mesi.»
 
«È bello vedervi insieme» disse Gemma guardandoli a turno «un po' vi assomigliate, sapete? Il naso, la bocca, gli occhi…»
 
Era una sua impressione o le si era smorzata la voce mentre lo diceva e stava arrossendo? Il suo ego si galvanizzò non poco a quella vista.
 
«L’altezza!» specificò sarcastica Elisa causando l’ilarità generale.
 
Ah, sua sorella. Ogni tanto gli rinfacciava questa cosa dell’altezza, ma che poteva farci lui, se con l’adolescenza aveva iniziato a crescere a dismisura, mentre lei si era fermata?
 
Stava per risponderle con una battutina delle sue quando il telefono di Elisa squillò in borsa e lei si affrettò a prendere la chiamata.
 
«Pronto? Angela, che succede, ti sento agitata» disse con tono nervoso che mise sul chi va là anche lui «la macchina? Come siete rimaste in panne… e dove? Aspetta cara, ti passo tuo zio… sì, è qui con me, ciao!»
 
Zio. Ancora faticava a riconoscersi in quel ruolo, ma aveva due nipoti gemelle fantastiche e aveva scoperto che gli piaceva esserlo. Prese il telefono della sorella, si calò in modalità professionista e rispose.
 
«Ciao, che vi è successo?... Ah, ok e che rumore ha fatto prima di spegnersi?... Pum? E basta?... Ah, era partita, poi ha fatto pum ed è morta. Bè, così su due piedi posso dirti che potrebbe essere il fusibile dell’accensione, ma dovrei darci un occhio. Avete messo le quattro frecce e il triangolo che segnala che siete lì?... Brave, dove siete?... Ok, datemi un’ora scarsa e vi raggiungo. Prima devo passare in officina a recuperare delle cose. Ah, non lo so cosa potrete fare nel frattempo, forse cantare?... Ah, ah, ah… era solo un’idea Daniela, qualcosa la troverete di sicuro. Ciao.»
 
«Allora?» gli chiese la sorella, preoccupata appena le restituì il telefono.
 
«Non ti preoccupare, è un problema riscontrato in diverse Ford Ecosport, niente di grave. Per fortuna ho le chiavi dell’officina, mi basta mandare un sms al capo per avvisare. Vuoi venire con me così sei più tranquilla?» le propose alzandosi.
 
«Sì, ti prego. Avviso Beppe. Che dire, avere un meccanico in famiglia, è utile» gli disse facendolo ridere «vi dispiace tornare da sole?» disse poi rivolta alle amiche che le risposero di andare pure.
 
Ernesto salutò le amiche di sua moglie con un baciamano e si premurò di guardare Gemma negli occhi mentre lo faceva, fino a che la vide arrossire e, questa volta, vistosamente. Che l’nteresse fosse reciproco? Solo allora si ritirò e le sorrise scusandosi per l’inconveniente e dichiarandosi incantato di averla conosciuta.
 
«Breve, ma intenso» disse loro «piacere di avervi conosciute, ci rifaremo in un’altra occasione» concluse poi e uscirono.
                                                      
                                                                      
                                                                            

 
«Dì un po', tu, cos’era quella cosa che ho visto poco fa?»
 
Elisa non seppe trattenersi e appena entrati nell’auto del fratello dovette chiedere.
 
«Un attimo» rispose lui estraendo il cellulare, evidentemente per contattare il capo e poi la guardò incuriosito «di che parli?» chiese lui allacciando la cintura e inserendo la retro per uscire dal parcheggio.
 
«Oh, andiamo, non fare lo gnorri con me. Guardavi Gemma come se volessi mangiartela. Ti avverto, sta attento con lei, non è il tipo con cui divertirsi e basta, ok?» lo mise in guardia.
 
Gemma ne aveva passate tante nella sua vita sentimentale e l’ultima esperienza non era stata idilliaca, quindi era sempre sul chi va là. Il fatto che Elisa avesse notato passare una strana corrente tra lei e suo fratello, l’aveva fatta scattare in modalità protettiva. 
 
«Ehi, se non l’hai notato, quella bellissima donna mi odia. Hai visto anche tu come mi ha trattato, no?»
 
«Io ho visto solo come le sorridevi e la guardavi e ho notato anche come lei cercava di evitare il tuo sguardo e arrossiva come una scolaretta quando non ci riusciva.»
 
«Alt, ferma. Anche se fosse vero, non ho intenzione di uscirci – non la conosco neppure per la miseria – e questo è tutto. Sai cosa mi ha combinato Gianna, credi forse che voglia ripetere l’esperienza dei mille tradimenti e della fuga con un toy boy? No. Le mie priorità ora sono mio figlio e tu. Non cerco altro.»
 
«Ma… ma…»
 
«Ammetto che è una donna notevole, con un caratterino niente male, ma ho già dato e anche troppo, per quanto mi riguarda. Il colpo di fulmine, mia cara, non esiste. Non alla nostra età, questo è certo. Poi che figura ci farei a chiederle un appuntamento dopo quello che è successo in parcheggio.»
 
Lei aspettò un po' prima di rispondere e poi fu colta da un’illuminazione e rise, guadagnandosi un grugnito da parte di Ernesto.
 
«E quindi ammetti che ci hai pensato, a uscirci insieme» gli disse vedendolo arrossire.
 
«Forse» le concesse lui «ma non ho intenzione di farlo. Non so nulla di lei e di certo non sono un ragazzino in preda agli ormoni impazziti. Ho cinquant’anni e non me la sento più di correre dietro a una donna.»
 
«Parli come se avessi già un piede nella fossa. Io ti dico solo di non fare nulla che possa ferirla, anche lei ha già dato e ora ha bisogno solo di serenità. Comunque, nel caso cambiassi idea, ti dico dove trovarla. Ma bada, che se vengo a scoprire che sta soffrendo a causa tua… ti pentirai di avermi cercata, chiaro?» gli intimò cercando di fare una faccia seria.
 
La reazione del fratello non fu quella sperata, visto che scoppiò a ridere fino alle lacrime, ma lei non era disposta ad arretrare di un solo millimetro.
 
«Tranquilla sorella, non accadrà e sai perché? Perché la mia vita è già fin troppo incasinata così com’è per preoccuparmi anche di una donna che si offende per un complimento innocente.»
 
«Se lo dici tu…»
 
«Lo dico io» confermò «e ora che abbiamo chiarito questo punto…» disse mentre parcheggiava davanti all’officina «aspettami qui dieci minuti e poi andiamo a recuperare le tue creature con l’auto che ha fatto pum e poi si è spenta. Ahahah, le donne e il loro modo di spiegarsi incomprensibile. Pum, hanno detto, ahahah e poi ti chiedono pure se hai capito e che cosa possa essere, neanche avessi la bacchetta magica» rise ancora più forte e poi scese dall’auto.
 
Quando di lì a poco lo vide tornare con una capiente borsa per gli attrezzi in spalla e il telefono all’orecchio, sorrise. Almeno fino a che non salì e sentì cosa stesse dicendo e a chi.
 
«Tranquillo Beppe, ci penso io a loro. Per sicurezza guiderò io la Ford a tornare e passerò la mia a tua moglie…. Sì, sì, confermo, ha fatto pum ahahahah… Infatti, lo dico anch’io che più chiaro di così si muore… ahahaha, ok, ciao a dopo!»
 
Ah, gli uomini… tutti uguali!, pensò, mentre alzava gli occhi al cielo e partiva con lui al salvataggio delle figlie.

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Capitolo 4
*** Cena con sorpresa ***


«Ed eccoci di nuovo tutti qua a sfidare l’avvelenamento» esordì Claudio.
 
«Le cose sono due; o siamo masochisti o siamo pazzi» lo spalleggiò Antonio.
 
«Nella migliore delle ipotesi, lo siamo entrambi» decretò anche Martino.
 
Ecco, begli amici che aveva. Ah, ma questa volta sarebbero rimasti a bocca aperta, garantito.
Quella mattina – anche se era sabato e non lavorava se non in casi eccezionali – Ernesto aveva lavorato sull’auto delle sue nipoti, in collaborazione con un suo amico elettrauto a cui si appoggiava ogni tanto. Alla fine, avevano risolto il mistero, era proprio quel dannato fusibile dell’accensione il problema. Dannato, perché erano riusciti a ripararlo dopo due ore sofferte di prove e imprecazioni varie.
Quel pomeriggio, invece, l’aveva trascorso con sua sorella e le figlie, a casa sua. Lui aveva riconsegnato l’auto – dicendo loro di provarla per un paio di settimane e poi riferire se avessero sentito qualcosa di strano – e loro, per sdebitarsi, avevano aiutato la madre in cucina. Sì, proprio così, in cucina.
Oddio, aiutato. Daniela sì che era stata di supporto alla madre, a tratti anche più pignola di lei a dirla tutta. Quelle due ai fornelli, facevano paura. Angela, invece, eh… lei si era limitata a sbucciare le patate, tagliare il pane dei tramezzini e altre piccole incombenze semplici. Delle gemelle era lei, quella che gli somigliava di più, essendo anche un’amante della piscina, una scapestrata con la battuta pronta e un disastro tra i fornelli. La sorella era più sensibile, riservata e odiava lo sport, tutto.
Mancava solo Giuseppe all’appello, ma lui era a un corso di aggiornamento per bancari; esistevano davvero, incredibile.
Ora, a sera appena iniziata, era stato raggiunto dai suoi tre tanto strambi quanto leali amici per una cena programmata da tempo. Come al solito, riponevano scarsa fiducia in lui.
 
«Poche chiacchiere, non morirete di certo oggi» disse lui, e, vedendo Claudio guardarlo storto, non si trattenne «hai allertato la tua equipe, vero?»
 
«Prima di uscire da casa, anzi, ho messo sul chi va là tutto il reparto di gastroenterologia. Tanto per essere sicuro» rispose l’amico prendendolo in giro.
 
«Perfetto, e dopo questa rassicurazione, possiamo finalmente mangiare con più tranquillità» rispose Antonio scatenando l’ilarità generale. «Dai, amico, portaci l’arma del delit… ops, sì, insomma, il primo piatto.»
 
«Forse dovevo insistere sulla pizza» intervenne Martino.
 
«Dico solo una cosa» esordì alzandosi e fissandoli con sguardo finto offeso «ve ne pentirete, amaramente, di queste parole.»
 
Poi – accompagnato da altre prese in giro più sfacciate – uscì e si diresse in cucina, dove una Elisa divertita lo stava aspettando vestita da cuoca.
 
«Quindi sanno che sei un disastro in cucina» gli sussurrò lei.
 
«Eccome. Da quando hanno saputo della tua esistenza non la smettono più di prendermi in giro per essere una tale sciagura ai fornelli, quando tu sei una maga.»
 
A quelle parole, la sorella ridacchiò.
 
«Non ti senti in colpa a ingannarli così? Io, un po’ sì.»
 
«Se lo meritano. Elisa. Ben gli sta» le rispose.
 
Poi si girò verso la porta e fece la linguaccia ai suoi amici che stavano discutendo sull’ultima gara di Formula 1 disputata. Passione che li accumunava e li radunava a casa di uno o dell’altro per domeniche pomeriggio intere, con birra e patatine a non finire.
 
«Ma si può sapere cosa ci vedete voi nel guardare delle macchine scomodissime e bassissime – dove ci entri solo se sei magrissimo a dir poco – che continuano a girare sullo stesso percorso per ore?»
 
«Non capiresti» gli rispose lui.
 
«È la stessa risposta che mi dà sempre anche Beppe. Voi uomini, a volte, siete noiosi e senza fantasia» sospirò lei, rassegnata.
 
«Oh, questo non lo sapevo di Beppe, non ne abbiamo mai parlato, strano. Vorrà dire che alla prossima gara lo inviterò qua. Ricordami di dirglielo quando viene a prenderti» le rispose lui.
 
«Dai, incomincia a portare di là gli antipasti» gli disse cambiando argomento e scuotendo la testa sarcastica, mettendogli in mano un vassoio. «Io ti raggiungo tra poco.»
 
E lui non se lo fece ripetere. Dieci minuti dopo fu di ritorno tutto sorridente e le chiese di seguirlo, come promesso. Era ora che si svelasse.
Elisa indicò la pentola sul fornello e gli fece cenno con la mano di aspettare altri cinque minuti ed Ernesto sbuffò. Fremeva dalla voglia di presentarla ai suoi amici in via ufficiale. Loro l’avevano vista diversi mesi prima per circa cinque minuti – e nello specifico, la prima volta che lei si era presentata a casa sua – e poi li avevano lasciati da soli.
Da allora, Ernesto aveva spesso parlato della gemella agli amici, aveva detto loro che prima di fargliela conoscere l’avrebbe frequentata da solo e che Elisa aveva espresso il desiderio di incontrarli. Ma non aveva detto loro, quando.
Tornò dagli amici con un ricco vassoio di antipasti che gli fece emettere esclamazioni di stupore.
 
«Cavoli, amico, li hai fatti tu?» e poi quando lui annuì, continuò «Mh, allora verrò anch’io al corso di tua sorella d’ora in poi. Se è riuscita a mettere un po’ di senso culinario in te… c’è speranza per tutti!» esordì Claudio.
 
«Ah, ah, ah. Davvero molto spiritoso. Dopotutto non ci vuole uno studio per fare dei semplici – come diamine si chiamavano quei così? Ah, sì – voile a vent di pasta sfoglia» gli disse lui, mettendosene in bocca uno con salsa rosa e del salmone affumicato sopra.
 
Un tonfo proveniente dalla cucina lo fece sobbalzare, come pure il suo gruppo di amici che si voltò in quella direzione.
 
«Cos’è stato?» disse Antonio, sospettoso.
 
«Il gatto?» rispose lui, ironico.
 
«Tu non hai un gatto» gli ricordarono tutti in coro.
 
«Davvero? Ah, sì, be’… e allora sarà caduto qualcosa. Vado a vedere» disse alzandosi in fretta e sparendo oltre la soglia.
 
Appena la varcò, si ritrovò un cucchiaio di legno puntato alla faccia e, molto più in basso, due occhi scuri che lo fulminavano.
 
«Non ho capito bene, ripeti?» gli disse inarcando un sopracciglio.
 
«Sta attaccando» rispose lui, guardando oltre la sua spalla «il risotto» poi le rubò il mestolo, un bacio sulla guancia e si diresse alla pentola e al suo contenuto dorato, iniziando a mischiare in senso orario come gli aveva insegnato.
 
«Sei bravo» constatò un Elisa ammirata, avvicinandosi «e per questo ti perdono. Direi che ci siamo. Prendi i piatti e andiamo di là.»
 
«Pensavo volessi rimanere nascosta qui tutta sera» le disse «vado avanti e ti chiamo, devo prepararli un attimino.»
 
Subito tornò dai suoi amici che si erano sbaffati tutti gli antipasti.
 
«Ehi, lasciarmene almeno un paio, no?» si lamentò.
 
«Chi va via, perde il posto all’osteria» gli ricordò Antonio.
 
«Pensavamo ti fossi perso. Stavo per creare una squadra di ricerca e recupero, ma vedo che sei ancora vivo. Che cosa ci nascondi?» gli chiese Claudio.
 
«Sì, amico. C’è una donna nascosta di là? No, perché, da uno che riesce a bruciare anche un pezzo di lasagna da scaldare… non mi spiego come abbiano fatto a essere create bontà del genere» rincarò la dose Martino, mangiando l’ultimo pezzo di pasta sfoglia con wurstel all’interno.
 
Ecco. Il momento era arrivato e con esso anche la paura, eppure non aveva aspettato altro negli ultimi tempi. Si fece coraggio, sorrise e disse:
 
«Mi avete scoperto. Ebbene sì, c’è.»
 
Il silenzio sconvolto dei suoi amici era più eloquente di mille parole. Se lo godette per quei pochi secondi che durò, perché poi scoppiò il finimondo.
 
«Come, come?» saltò su Claudio «E la lasci a sgobbare in cucina invece di farla sedere con noi? Ma che uomo sei.»
 
«Che aspetti? Valla a prendere che vogliamo vederla» gli ordinò Antonio.
 
«Hai capito l’amico single? Non eri tu quello che aveva detto di avere chiuso con le donne dopo il divorzio?» gli ricordò Martino. «Ora mi spiego questa cena e questo cibo meraviglioso. Niente a che vedere con un certo pasticcio di pasta che mi tormenta i sogni la notte. Ho ancora gli incubi» disse scatenando l’ilarità generale.
 
«Da quanto la conosci? Fate sul serio?» s’informò Claudio calandosi in modalità pettegolo.
 
«Da sei mesi circa e… oh, mio, Dio, nooo! A parte che è una cosa contro natura, ma poi chi lo sentirebbe suo marito in quel caso.»
 
Al secondo silenzio sconvolto degli amici – decisamente quella sera stava dando il meglio di sé – seguì una risata bella potente dalla cucina.
 
«Ok, ti sei nascosta abbastanza. Esci da lì o ti carico in spalla e ti porto io di qua» le disse girandosi verso la porta incriminata.
 
E lei, Elisa, uscì.
 
 
 


Quel gruppo di amici era uno spasso. Anche se era rimasta in cucina fino a quel momento, si era divertita un mondo a sentirli. Era un gruppo strambo, ma molto affiatato. C’era suo fratello che poteva essere definito il mattacchione; il suo collega meccanico Antonio, un tipo alla mano e gentile; Martino pignolo e simpatico; Claudio, il casinista del gruppo, senza peli sulla lingua e sarcastico.
 
«Buonasera, è un piacere rivedervi» esordì.
 
«Che… chi… ma lei è…» Claudio era basito.
 
«Siamo riusciti a farlo rimanere senza parole, Elisa, è un miracolo» le disse suo fratello, alzandosi per raggiungerla.
 
«Ehi, si aspettava di trovare una fatalona e sono comparsa io. Al suo posto sarei delusa e sconvolta, è comprensibile.»
 
«Ma… ma… oh cavoli, perché non ci hai avvisato che ci sarebbe stata anche tua sorella, stasera?» riprese un Claudio ormai rinsavito.
 
«Sì, amico, non sei stato corretto e lo sai» intervenne Martino.
 
«Buonasera a lei, signora» le disse Antonio mentre si alzava e andava a stringerle la mano, seguito a ruota da tutti gli altri. «Felice di rivederla. Immagino sia lei l’artefice di questa cena, perché, se lo lasci dire, suo fratello è un caso disperato in cucina.»
 
A quell’uscita tutti risero. L’atmosfera era tornata gioviale.
 
«È una frana, concordo, ma sta migliorando» rispose lei ridacchiando. «Possiamo passare al tu? Lo preferirei. Dopotutto è come se vi conoscessi da tempo, ormai, mio fratello mi parla spesso di voi.»
 
«Bene, spero» intervenne Claudio e quando lei annuì, continuò «ok, ora che abbiamo scoperto il mistero… che ne direste di continuare con la cena? Io ho fame. Che altro c’è di buono?»
 
La serata proseguì tra aneddoti divertenti e rivelazioni scottanti su Ernesto che la fecero ridere a crepapelle, specie quando lui cercava di bloccare i racconti degli amici, che erano un fiume in piena.
Anche lei decise di dare il suo contributo a metterlo in imbarazzo.
 
«Ieri il vostro amico qui presente» disse indicando il fratello «ha conosciuto le mie due amiche e, vi dirò, una di loro l’ha particolarmente colpito. Così tanto da comportarsi come un perfetto cretino con lei. È stato sconvolgente, ma anche assai divertente. Adesso vi spiego cos’ha combinato.
 
E poi, sotto tre paia d’occhi interessati e uno imbarazzato, prese a raccontare di come avesse conosciuto Gemma e di quello che era riuscito a fare. Il suo racconto fu talmente dettagliato, che alla fine avevano tutti le lacrime agli occhi dal troppo ridere.
 
«Dio, amico, sapevo che eri arrugginito, ma non così tanto» gli disse Claudio, al termine del racconto. «Sei un impiastro totale!»
 
«Certo che Gianna ha causato più danni di quelli che credevamo. Non va affatto bene così, proprio no» rincarò la dose Antonio.
 
«Non l’avrei mai detto, ma ora hai tu la palma d’oro dell’imbranataggine» gli disse un Martino stranamente contento che si sfregava le mani soddisfatto.
 
«Che vuol dire?» s’informò lei, confusa.
 
Fu il fratello a risponderle, anticipando l’amico che si stava preparando a dire la sua versione, probabilmente stringata. E così venne a conoscenza di come l’architetto, fosse riuscito a rendersi ridicolo in tutti i modi possibili con colei che prima divenne la sua fidanzata – ed era già un miracolo quello, convenne con il resto del gruppo che iniziò a prenderlo in giro per l’ennesima volta, ci avrebbe scommesso il suo piatto migliore – e poi sua moglie.
Ma Ernesto non cercava l’amore, glielo aveva anche detto, eppure… forse… Lei avrebbe vigilato, non gli avrebbe permesso di fare soffrire Gemma, in nessun modo.
La serata fu un successo, come i suoi piatti e si congedarono promettendo di ritrovarsi quanto prima con i rispettivi consorti.
Una volta soli, Elisa – sorda alle richieste del gemello che non voleva riordinasse – diede una pulita alla cucina, con Ernesto come aiutante e poi chiamò il marito che arrivò a prenderla di lì a mezz’ora, visto che avevano solo due auto e gli era servita per recarsi al corso di aggiornamento.
 


 
 
Un puntuale Giuseppe arrivò a riprendersi la moglie ed Ernesto l’accompagnò fuori. Era tardi e le luci del parcheggio adiacente alla palazzina erano bruciate. Come al solito, i due si trattennero qualche minuto a chiacchierare del più e del meno e così ne approfittò per ragguagliare il cognato, sull’auto delle figlie.
 
«Semmai decidessi di volerne una per te, di auto, anche piccolina, sai chi chiamare. Me. Te ne recupero una io, anche di seconda mano se vuoi e a poco prezzo» propose poi rivolto alla sorella.
 
«Grazie, fratello, me lo ricorderò, ma per il momento va bene così. Ci siamo organizzati benissimo. Io uso i mezzi pubblici per arrivare a scuola – che comunque non è lontana da casa – quando ho lezione e la sera, per venire al corso, ho sempre l’auto.»
 
«Sì, ma sarebbe più comodo e sicuro per te» insistette lui.
 
«Ecco, bravo, falla ragionare. Magari riesci dove io ho più volte fallito» intervenne Giuseppe. «Tesoro, lo sai che non sarebbe un problema per noi avere una terza auto e sarei più tranquillo» le disse poi, guardandola.
 
Ernesto vide la sorella scuotere la testa sconsolata – evidentemente i due coniugi avevano affrontato quell’argomento varie volte senza successo – e quando lei stava per replicare, venne zittita da un tizio che sbraitava nella loro direzione.
 
«Oddio, è ancora sveglio questo.»
 
«Ernesto, ma chi è?» volle sapere la sorella «Sembra avercela con noi.»
 
«Ce l’ha con noi, fidati. In realtà ce l’ha con tutti, ma ve lo spiegherò la prossima volta che ci vedremo. Lasciate fare a me, state a guardare.»
 
Aveva appena finito di parlare quando il suo vicino li raggiunse, armato di bastone che sventolava verso di loro. Indossava le pantofole, un cappello di lana verde militare con tanto di pon pon, un pigiama pesante e una lunga e leggera vestaglia di cotone, aperta, che – secondo lui – lo teneva caldo.
Ottantasette anni, alto un metro e un pocket coffee, magro come un chiodo, sordo come una campana e mezzo cecato, il signor Idelfonso Maria Brambilla, milanese doc, era un personaggio.
Ora, dopo averli raggiunti e fissati a turno con sguardo torvo – che poteva ingannare chi non lo conosceva, ma non lui – diede quello che doveva essere un colpetto di tosse, a suo dire, e poi esordì dicendo:
 
«Giovanotto. Non le sembra un po’ tardi per intrattenersi qua fuori? Sono le 23.30» e picchiettò il bastone sulla sua gamba.
 
«Signor Idelfonso, buonasera. Non dovrebbe essere fuori a quest’ora, rischia di beccarsi un malanno e poi il suo medico sarebbe costretto a dargli altre medicine. Casa sua sembra già una farmacia privata, vuole aumentarle ancora?» lo blandì lui, sapendolo sensibile all’argomento pillole.
 
«Poche storie. Il destino dell’uomo è morire, pillola più o pillola meno. Giovani o vecchi, non fa differenza. Se è destino, è destino.» sentenziò e lui fece le corna dietro la schiena. «Ma non cerchi di farmi fesso ora, non mi sono ancora rincitrullito del tutto. Mi avete svegliato, voi e il vostro vociare a notte fonda in mezzo alla strada. Incivili.»
 
Ernesto guardo Elisa e Giuseppe che stentavano a rimanere seri e gli fece l’occhiolino, poi tornò a fissare l’anziano vicino, fece per replicare, ma quello continuò, fissando la sua gemella.
 
«E lei» le disse spostando il bastone per indicarla «ma quanti uomini ha? Non creda che non l’abbia vista, sa? È un po’ di mesi che bazzica qua attorno. Pensavo fosse interessata al giovanotto spilungone qua presente, ma invece ora scopro che è una meretrice. Stasera si è intrattenuta con altri tre uomini, oltre a lui e ora un quinto si è aggiunto al gruppo» concluse poi spostando lo sguardo su un Giuseppe basito.
 
«Ma no, guardi che ha frainteso. Lasci che mi presenti e capirà tutto. Io sono…»
 
«Questa è una palazzina per bene e gradirei rimanesse tale. Ci siamo capiti?» l’interruppe lui e poi tornò a fissare Ernesto «E lei, giovanotto, la facevo più serio e rispettoso del decoro. Non la credevo capace di abbassarsi a tanto e poi, dia retta a me…» gli disse infine indicando col bastone gli altri due malcapitati «la lasci perdere, ma non vede che lei preferisce gli uomini con la pancetta? Gli sta praticamente appiccicata. Buonanotte signori, spero per voi che riusciate a dormire, perché io, grazie a voi tre, per stanotte ho già finito di incontrare Morfeo.»
 
Per qualche minuto, nessuno fiatò. Il signor Brambilla sparì così com’era apparso e loro stettero a guardarlo allontanarsi. Fu Elisa la prima a riaversi.
 
«Meretrice? A me?» disse con un soffio di voce.
 
«E ti è ancora andata bene. Non ti immagini cosa dice agli altri vicini. Dammi retta, non farci caso. Io lo faccio ed è proprio per questo che sono l’unico a sopportarlo, perché me ne fotto dei suoi vaneggiamenti. Se non fosse per me – che gli faccio la spesa e lo aiuto come posso – sarebbe sempre solo, visto che non ha parenti. Diciamo che ho imparato a sopportarlo in nome del quieto vivere che tanto sbandiera qua e là. Mi aspettavo una sua tirata domani mattina, ma ha anticipato i tempi.»
 
«Ma chi è, il gazzettino padano del complesso?» gli chiese ancora lei.
 
«Lui sa tutto, vede tutto e sente tutto – per quello che può – ma se glielo chiedi, nega di sapere cosa accade fuori da casa sua. È scaltro.»
 
Risero insieme e poi guardarono Giuseppe che era, stranamente, muto. Non che fosse molto loquace di suo, ma così era troppo.
 
«Tesoro, che ti prende?» gli chiese la moglie.
 
«Ha detto che ho la pancetta» rispose lui picchiettandosi l’addome «ha mentito, vero? Io non ho la pancetta. Questi sono solo muscoli rilassati dovuti all’età, giusto cara?»
 
Per tutta risposta i due gemelli tornarono a ridere di gusto, prima di salutarsi. Mentre un Beppe allibito continuava a blaterare frasi come “mi trovi grasso?” “secondo te devo mettermi a dieta?” “perché non me lo hai mai detto?”, Elisa lo prendeva in giro bonariamente e se la rideva senza ritegno, dirigendosi alla loro auto.
Ernesto si disse fortunato ad averli nella sua vita. Lo avevano accolto bene fin da subito, comprese le sue nipoti e persino la gatta Tea.
Tutti si chiedevano come mai i suoi genitori avessero fatto questa scelta scriteriata e insensata e lui sperava, un giorno, di potere dare una risposta a questo mistero.
L’investigatore Redaelli era uno stacanovista e quando lavorava, non guardava i giorni della settimana. Ragion per cui l’indomani, ovvero domenica, l’avrebbe chiamato per sentire se ci fosse stata una qualche novità.
Rientrò in casa, una volta che i fari posteriori sparirono dietro la curva, prese la foto dei suoi sul comodino all’ingresso e si sedette sul divano a fissarla.
 
«Ma che cazzo avete combinato voi due» chiese loro «scoprirò il vostro segreto, a tutti i costi e vi conviene sperare non sia tanto grave o potete scordarvi di rivedermi al cimitero, fino a che camperò.»
 
Poi lanciò la foto contro la parete di fronte, mandandola in mille pezzi, spense tutto e andò a prepararsi per la notte.

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Capitolo 5
*** Tre novità per Ernesto ***


Il cellulare squillò proprio mentre era intento a cambiare il freno di un Opel Corsa. Dannazione, non poteva mollare il lavoro a metà, così lo lasciò squillare. Cinque minuti dopo ricominciò e poi ancora.
 
«Ma insomma, vuoi rispondere o no? Va bene che sei impegnato, ma cavoli amico, se sento ancora una volta quella tua terribile suoneria… giuro che te lo riduco in mille pezzi.»
 
«Ma come, Tony, non ti piace la Macarena
 
«No, la detesto e non capisco come mai tu abbia scelto proprio quella.»
 
«Perché tu la odi» disse lui tranquillamente, guadagnandosi un’occhiataccia dall’amico. «Diciamo che le mie due nipoti hanno trovato il modo per farmi uno scherzo. L’altro giorno hanno voluto il mio cellulare per inserirmi i loro numeri – nel caso dovessimo rimanere ancora in strada, zietto, hanno detto – come no. Avrei dovuto capire dallo zietto che ne stavano studiando una delle loro.»
 
Mentre Antonio rideva, lui posizionò il freno e iniziò a stringere.
 
«Be’, ti hanno fregato alla grande… zietto. Ma se non l’hai ancora cambiata, vuol dire che ti piace.»
 
«No, significa solo che non so come si fa. Non ne sono capace. Non me ne intendo di tecnologia, io. Non ho neanche un social… bazzico giusto su WhatsApp e ci ho messo un mese a capire come funzionasse.»
 
«Come essere una cariatide a cinquant’anni» sentenziò quello «persino mia madre, che ha superato gli ottanta, lo usa e mi sommerge di immagini stupide e pretende che io risponda o si offende. Buongiorno, buon pomeriggio, buonasera, buonanotte, buona cacca… ah, no, quello non esiste, per il momento.»
 
«Tua madre è un caso a parte» gli rispose lui scuotendo la testa
.
 
Proprio in quel momento Tom Jones riprese a cantare
 
«Va bene rispondo, ok?» disse poi ridendo del cipiglio dell’amico.
 
E lo fece, con il vivavoce. Gli servivano le mani libere.
 
«Pronto?» disse mentre cercava di regolare il freno.
 
«Signor Roversi? Parla Giacomo Redaelli.»
 
L’investigatore. Ernesto si bloccò e si tirò su di scatto, andando a urtare la testa contro il ponteggio ed emettendo un gemito.
 
«È un brutto momento?» continuò quello.
 
«No, no, è che a volte essere troppo alti ha i suoi svantaggi» si affrettò a tranquillizzarlo lui massaggiandosi la sommità del capo. «Mi dica che ha buone notizie da darmi, per favore.»
 
«Volevo fissare un incontro con lei e sua sorella, per aggiornarvi. È passato un po’ di tempo e trovo sia doveroso farlo» rispose quello in modo molto evasivo.
 
«Em… certo, sì. Mi lasci informare Elisa e…»
 
«Mi dispiace mettervi fretta, ma dalla vostra risposta in merito a quello che vi dirò, dipenderanno il resto delle indagini. Quindi, se non è un problema per voi, direi di vederci quanto prima – ovvero domani che è sabato – nel mio ufficio a Lecco. Facciamo alle 14.30?»
 
«Ah, perfetto. A domani e grazie.»
 
Che avrà mai di così importante e urgente da dirci?, si disse tra sé.  
 
«Che il mistero stia per essere svelato?» gli chiese Antonio.
 
«E chi lo sa, ma da come ha parlato, non ci giurerei. Quell’uomo è molto bravo, ma anche estremamente enigmatico. Finisco questo lavoro e poi approfitto della pausa pranzo per chiamare Elisa. Domani avevo in programma di passare al discount per il signor Idelfonso, ma dovrò anticipare a questo punto. Non ne sarà molto contento, ma se ne farà una ragione, per una volta.»
 
«Il vicino svampito e perennemente malato? Quello ipocondriaco? Non mi dire che si appoggia a te per la spesa. Non lo sapevo.»
 
«Non è male se sai come trattarlo e poi non vado in giro a fare pubblicità sulle mie opere di bene. Quell’uomo non ha nessuno che lo aiuti ed è troppo orgoglioso per chiedere assistenza al comune. Non mi costa niente dargli un occhio e una mano ogni tanto.»
 
«Magari quanto sarà la sua ora, scoprirai che ti ha lasciato l’appartamento.»
 
«Non lo faccio per quello, ma se dovesse accadere, chi sono io per rifiutare? Sarebbe sempre un’entrata extra visto che lo metterei in affitto.»
 
Per fortuna il capo richiese la presenza di Antonio in ufficio e venne lasciato solo. Era tanto buono e gentile, quanto veniale, a volte. Il suo vicino era una spina nel fianco, il più delle volte, ma era anche una persona molto sola che non sapeva rapportarsi con il prossimo.
All’improvviso si ricordò di come il vecchio aveva definito sua sorella e suo cognato, la settimana precedente e scosse la testa divertito.
Quando terminò il lavoro e la revisione all’auto, era già mezzogiorno e mezzo e si affrettò a informare sua sorella della novità.
Aveva appena preso il cellulare dalla tasca quando un furgoncino parcheggiò lì di fronte e ne uscì una donna piccoletta e rossa di capelli. Quella chioma, quel corpo formoso… oddio, Gemma? Cosa ci faceva lì? Che domande, era in un’officina e quindi… sì, ma perché proprio quella? Non aveva un meccanico di fiducia? E come faceva a sapere dove lavorava?
 
«Salve, disturbo?» esordì quella.
 
«Em… no, sono in pausa pranzo, ma se ha bisogno…»
 
«Uh, sì, grazie. Scusi se mi sono precipitata qui senza appuntamento, ma è da stamattina che questo catorcio si spegne mentre vado e poi riparte e… e be’, il mio meccanico oggi è chiuso per lutto, così ho chiamato Elisa e…»
 
«E lei le ha detto dove trovarmi» concluse lui al posto suo.
 
«Sì, e meno male ero in zona. Può aiutarmi, per favore? Per domenica ho una festa di compleanno di un bambino che compie dieci anni e…»
 
«Ma quanto è carina quando implora.»
 
Eh? Ho detto davvero… carina? Sì, a giudicare dalla sua faccia scioccata direi proprio di sì… dannazione.
 
«Come, scusi?»
 
«Chiedo scusa, non so come mi sia uscita. È che dopo averla vista arrabbiata e sarcastica, non mi aspettavo questo suo atteggiamento e be’… mi ha spiazzato. In positivo» le disse con un certo imbarazzo.
 
«È perdonato. Ma solo perché sono disperata» gli disse con una voce di riso nella voce.
 
«Sia mai che debba rinunciare alla torta.»
 
«Chi?» chiese lei, evidentemente presa in contropiede dal cambio di argomento.
 
«Il pupo. Non ha detto che…»
 
«Ah, sì. Guai se non avesse la sua torta con Iron Man sopra.»
 
«Lo posso capire benissimo. Lo invidio sa? A me mai nessuno ha fatto un regalo del genere.»
 
«Ma non mi dica… è un fan di Iron Man?»
 
«E non solo, di tutti gli eroi Marvel. Una passione che coltivo fin da ragazzo. Ho perso punti?»
 
Gemma gli sorrise scuotendo la testa e lui – inspiegabilmente – si sentì sollevato.
 
«Nessuno tocchi Wolverine o dovrà vedersela con me» dichiarò, seria.
 
Ah, però. E chi l’avrebbe mai detto che quella donna apprezzasse i fumetti e i film della Marvel. Ernesto scoppiò a ridere.
 
«Tornando a noi» le disse poi «se mi lascia il furgoncino, le prometto che glielo sistemerò entro domani mattina e poi – se mi dice il suo indirizzo, ma solo per questo motivo, non immagini altro ora – la riaccompagno a casa e glielo recapito direttamente lì, appena terminato il lavoro. A patto che poi mi riaccompagni qua.»
 
«Em… se promette di salvare il mio culone, affare fatto.»
 
«Non me la perdonerà mai questa, vero?» gli disse lui sospirando tra il serio e il divertito.
 
«Dipende. Se farà un ottimo lavoro, gliela abbonerò.»
 
«Troppo magnanima, grazie Gemma» le disse. «Quanti anni ha?»
 
«In teoria non si dovrebbe mai chiedere l’età a una donna, ma io non mi sono mai vergognata della mia quindi… cinquantadue.»
 
Suo malgrado, Ernesto rise di gusto e poi, sentendosi guardato con sconcerto, specificò.
 
«Portati benissimo, tra l’altro. Ma io mi riferivo al suo furgoncino.»
 
«Ah. Oddio che figura» rispose lei arrossendo lievemente. «Be’, lui solo dodici. Perché?»
 
«Perché quella, sommata ai km percorsi che ora scoprirò… potrebbe aiutarmi a farmi un’idea su cosa sia successo. Ha la mia parola che domani entro mezzogiorno sarà a sua disposizione di nuovo. Anche perché nel pomeriggio ho un appuntamento e proprio non posso mancare.»
 
Appuntamento… galante? Con chi? Cosa? Ma era impazzita del tutto? Gli fece un bel sorriso. Non l’aveva per nulla colpita quella frase, proprio no.
 
«Mi va benissimo. E mi porti il conto, per favore.»
 
«Ehi, come corre.»
 
«Preferisco sapere di che male morire. Ahahah, scherzo, è che sono previdente e mi piace pagare i miei debiti per tempo. Su tutto il resto sono una casinista, ma nella questione entrate/uscite, non ho nulla da invidiare a un commercialista.»
 
E niente, quella donna lo intrigava. Punto. No, niente punto. Basta donne, anche se bellissime, carismatiche e spiritose come quella Gemma. E poi, chi l’avrebbe sentita Elisa nel caso le cose si fossero evolute al peggio?
Guardò l’orologio.
 
«Ho ancora tre quarti d’ora di pausa pranzo. Pensavo di mangiarmi un panino, ma improvvisamente non ne ho più voglia. Che ne dice se ce ne andassimo alla trattoria qua davanti?» disse indicandogliela. «Come può vedere ci sono molti camion parcheggiati e sa cosa significa, vero?»
 
«Ovvio. Che si mangia da Dio e si spende poco. È tutta la mattina che corro e mi arrabbio con il catorcio. Ho bisogno urgente di carboidrati» gli rispose massaggiandosi la pancia. «A una sola condizione però.»
 
«No, non offrirà lei, se è questo che sta pensando.»
 
«Cosa? No. Sarò anche emancipata e viva il girl power, ma adoro farmi offrire il pasto da un bell’uomo» poi si bloccò e arrossì. «Ho dimenticato di dire imbranata e incline alle figure di merda.»
 
Ernesto scoppiò a ridere. Non sapeva bene perché, ma sentirsi definire tale da lei, gli fece piacere oltre ogni buon senso. Dannazione.
 
«Em, grazie. Be’, e quale sarebbe questa fantomatica condizione?» le chiese.
 
«Come? Ah, sì, ecco… che d’ora in poi ci dessimo del tu. Mi sembra il minimo, no?»
 
Lui finse di pensarci un attimo e poi le tese la mano con un ampio sorriso.
 
«Affare fatto» accettò stringendogliela «e ora vogliamo andare a mangiare? Non so tu, ma lì dentro fanno dei pizzoccheri spettacolari e io ne voglio proprio un piatto.»
 
«Oh, wow. Io pure» accettò di buon grado, quasi saltellando dalla gioia e battendo le mani dalla contentezza.
 
Ernesto avvisò il capo e Antonio su dove trovarlo in caso di bisogno urgente e poi si diresse con Gemma a mangiare uno dei suoi piatti preferiti.
 
 
 
 

Antonio era basito. Come, come? A braccia conserte dalla finestra dell’ufficio vide il suo amico dirigersi tutto gongolante dalla parte opposta della strada. Una donna bassa e formosa al fianco, con la quale sembrava intendersela a meraviglia.
Ma tu pensa e poi andava in giro a dire che dopo Gianna aveva messo una pietra tombale su tutto il genere femminile.
 
«Allora, cosa ne pensi?»
 
La voce del suo anziano capo lo riportò alla realtà.
 
«Penso che si stia prendendo una bella cotta.»
 
«Eh? Chi, di grazia?»
 
Oh, cavoli, aveva riflettuto a voce alta. Si girò verso il suo anziano capo che lo fissava basito dalla sua scrivania.
 
«No, nulla, ero sovrappensiero» glissò. «Si riferiva alla vendita, vero?»
 
«Sì. Ho voluto parlare con te per primo, perché sei qui da più tempo, ma dopo pranzo informerò anche Ernesto e gli altri due operai. Sono stanco e ho la pressione ballerina che mi impedisce di essere presente come vorrei. Il medico mi ha detto che data la mia età e una piccola polmonite pregressa mai guarita del tutto, se non voglio incorrere in problemi più seri e debilitanti, devo starmene tranquillo.»
 
«E così si ritira.»
 
«Esatto, Antonio. E sarei felicissimo se tu ed Ernesto rilevaste l’officina. Siete i miei operai migliori e vi meritate una ricompensa per tutto l’ottimo lavoro svolto qua dentro. Ultimamente avete fatto anche le mie veci e non potrò mai ringraziarvi abbastanza. Se non donandovi la mia creatura. I vostri due colleghi sono ancora troppo giovani, inesperti e immaturi, ma sotto la vostra guida, miglioreranno velocemente. Per questo la offro a voi e non a loro che, tra l’altro, sono arrivati da poco più di un anno e ancora non hanno capito bene come funziona un’attività del genere. Vi considero i miei eredi.»
 
«Grazie, sono commosso. Ma i suoi figli?»
 
«Ah, loro. Non vedono l’ora di sbarazzarsene. Non hanno mai amato sporcarsi le mani e la chiuderebbero domani mattina se potessero. Gli ho già esposto la mia idea e non si sono opposti.»
 
Antonio era tentato dall’accettare quell’offerta. Aveva sempre sognato di possederne una sua un giorno, di officina, ed era molto affezionato al signor Fausto per averlo preso con sé in età giovanissima e avergli insegnato il mestiere dal nulla. Gli doveva tutto, anche la sua amicizia con Ernesto.
 
«Posso pensarci bene e domani mattina dirle la mia decisione?»
 
«Ovviamente, non mi aspettavo una risposta diversa da te. Ti conosco e so che ponderi tutto con cautela e non lasci nulla al caso. Non appena il nostro Ernesto sarà tornato dal suo pranzo con quella rossa tutta curve, gliene parlerò. Eh, sì, credo che il suo cuore potrebbe essere in pericolo.»
 
Cosa? Il signor Fausto non finiva mai di stupirlo. Aveva previsto il disastro del matrimonio di Ernesto con Gianna – pur senza mai intromettersi – e smascherato i tanti tradimenti di lei. Ora aveva capito anche che Ernesto era attratto da quella nuova donna. Quell’uomo possedeva il fantomatico sesto senso. A proposito, chissà chi era la rossa Una nuova cliente senza dubbio. Ma le clienti non si portavano a pranzo fuori, giusto? Giusto. Quindi, una volta che l’amico fosse rientrato, l’avrebbe tampinato fino a farsi dire l’identità della donna misteriosa.
 
 
 
 
 
«Ti ringrazio per il pranzo – era da tempo che non mangiavo dei pizzoccheri così buoni – e per avere accettato di sistemarmi il furgoncino. Ti sono debitrice. Mi hai salvato la pancia e il lavoro.»
 
«Ahahah esagerata. Non ci ho ancora messo mano e poi chi ti dice che riesca a mettertelo a posto?»
 
«Ah, Ernesto, tua sorella dice che sei un mago dei motori. Se ce la farai, ti prometto che da oggi avrai una nuova cliente.»
 
«Wow, sarà felice il mio capo. E se dovesse risultare impossibile da aggiustare?»
 
«Be’, allora vorrà dire che domenica mi accompagnerai tu alla festa di compleanno e mi aiuterai a scaricare tutto, per poi preparare l’ambiente – in modo che sembri sia stata la madre a cucinare – prima di dileguarci.»
 
«Ah, e tu lasci che altri si prendano il merito del tuo lavoro?» le chiese sbarrando gli occhi dalla sorpresa.
 
«Se mi pagano bene, sì. E poi la famiglia in questione, in genere, si sente in debito con me e mi fa pubblicità gratis. I clienti, in questo modo, non mancano mai. Come vedi, non lascio nulla al caso.»
 
«Sei incredibilmente scaltra, complimenti.»
 
«Sono una donna d’affari» gli ricordò lei. «E tu che mi dici? Non ti piacerebbe avere un’officina tutta tua, un giorno?»
 
Lo vide pensarci su un attimo, serio in volto con lo sguardo rivolto al luogo dove lavorava e poi parlò.
 
«Non ti nascondo che mi piacerebbe, ma alla mia età… e poi non vorrei mai lasciare il signor Fausto, neanche per mettere in piedi qualcosa di mio. Lui e Antonio mi hanno insegnato tutto e mi sentirei di tradirli, in quel caso.»
 
Gemma era sorpresa dalla sensibilità di quell’uomo e da come si trovasse bene con lui. Era bello parlarci insieme e confrontarsi. E dire che all’inizio l’aveva preso a male parole.
Stava per rispondergli, quando una macchina parcheggiò all’officina. Elisa. Cavoli e adesso cosa avrebbe pensato vedendola insieme a suo fratello? Ma poi non stava facendo nulla di male, aveva solo pranzato con lui dopo avergli commissionato un lavoro.
 
«Ehi, voi due» esordì quella raggiungendoli poco dopo «fate comunella quando non ci sono? Oppure… no, non vi sarete mica scannati, vero?»
 
«Eh? No, no, che vai a pensare. Gli ho solo lasciato il catorcio come mi avevi suggerito tu» si giustificò lei «e ora, visto che sei capitata a fagiolo, mi riaccompagnerai a casa e risparmierai la strada al tuo caro gemello qui.»
 
«Ma certo, contaci» le rispose lei e poi guardò Ernesto. «Ha chiamato anche te l’investigatore, vero?»
 
«Mh, mh. Ah, che tipo, gli avevo detto che ci avrei pensato io a contattarti. Ci ha fissato l’appuntamento per domani, deve essere davvero importante se si è portato avanti e con così poco preavviso.»
 
Investigatore? Ma certo, quei due stavano ancora cercando notizie sul guaio combinato dai genitori, come aveva fatto a scordarselo. Ecco perché l’indomani pomeriggio non ci sarebbe stato e lei che aveva pensato… ah, che stupida.
 
«Dite che finalmente avrà chiuso il vostro caso?»
 
«No, ha detto che gli serve parlarci per sapere come continuare l’indagine, quindi o è ancora in alto mare oppure è vicino alla soluzione e vuole essere certo di fare i passi giusti» le rispose Ernesto.
 
E lei sperava, come tutti, che ne venissero a capo. Era arrivato il momento di congedarsi, aveva rubato fin troppo tempo al suo nuovo amico.
 
«Se mi dai il tuo numero di cellulare, ti mando il mio indirizzo» notò un Elisa basita che la fissava strabuzzando gli occhi, di contro il gemello rideva. «Per restituirmi il catorcio domani mattina s’intende» si affrettò a specificare.
 
E una volta ottenuto, si affrettò all’auto dell’amica, evitando di girarsi indietro.
 
 
 
 

 
«Dì un po’ tu, cosa stai combinando con la mia amica? Non ti avevo messo in guardia? Cosa sono quegli occhi luccicosi che le ho visto farti?»
 
Ernesto stava ancora guardando Gemma andarsene quando sua sorella gli pose quella raffica di domande. Occhi luccicosi? Ma esisteva quel termine? Era sicuro di no.
 
«Mi ha solo portato il furgoncino da riparare, sorella. Rilassati e non saltare alle conclusioni. Domani passo da te per le 13.30 così andiamo a Lecco con calma, ok?»
 
«A piedi? No, perché faccio prima a raggiungerti da Gemma e poi andiamo con la mia, però guidi tu. A meno che, tu non voglia farti riaccompagnare in officina da lei prima di venire da me.»
 
Ah, Elisa e la sua gelosia fraterna. Non gli dispiaceva, ma a volte esagerava.
 
«Senti, sono un uomo adulto e Gemma non mi dispiace, è vero. Ma sai bene come la penso su una nuova frequentazione. Andiamo d’accordo e mi piacerebbe esserle amico, tutto qui. È così difficile da pensare, per te, che due persone del sesso opposto possano andare d’accordo senza metterci il sesso o il cuore di mezzo?»
 
«Suppongo che non siano fatti miei se vi trovate bene insieme. Non sono gelosa di questo, solo lo reputo strano, dopo avere assistito al vostro primo incontro. Vorrei solo ricordarti di non prenderla in giro. Ha già sofferto molto.»
 
Ma per chi l’aveva preso? Eppure, avrebbe dovuto conoscerlo dopo tutti quei mesi. Però era ammirevole come proteggesse la sua amica e gli scappò un sorriso.
 
«Lascia fare a me. Sono un gentiluomo, dopotutto.»
 
Poi la baciò sulla guancia e la salutò. Passò uno scooter ad Antonio e portò il furgoncino di Gemma sopra il montacarichi, ma non fece in tempo ad accenderlo che la voce del capo lo distolse dal suo lavoro e lo raggiunse in ufficio.
Ne uscì mezz’ora dopo, sconvolto e pensieroso. Raggiunse Antonio e lo fissò, quello smise di provare l’acceleratore dello scooter e gli sorrise.
 
«Stasera da me, amico. Ti invito a cena e ne parliamo, ok?» gli disse.
 
E lui accettò. Era incredibile come poteva cambiare la vita in poco tempo.
La chiamata del signor Redaelli. Il pranzo con Gemma, durante il quale si era trovato benissimo. E ora la proposta del suo capo di rilevare la sua attività con l’amico di sempre.
Era troppo bello per essere vero. Se anche l’incontro dell’indomani con l’investigatore fosse andato bene, avrebbe acceso un cero in chiesa.
Ma la vita gli aveva insegnato a non dare nulla per scontato, ragion per cui si rimise al lavoro e cercò di tenere sottochiave tutte le emozioni che provava, almeno fino a quella sera.

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Capitolo 6
*** Il segreto svelato ***


«Ma è assurdo!» Ernesto era basito.
 
«Può ripetere, per favore?» Esordì un sconvolta Elisa.
 
Erano arrivati da una decina di minuti nello studio in centro Lecco e subito Giacomo Redaelli – il loro investigatore privato – era partito alla carica.
 
«Mi rendo conto che è uno shock tremendo per voi – d'altronde lo è stato anche per me appena scoperta la cosa – ma così stanno i fatti» rispose loro.
 
«Una… setta? I miei… nostri… genitori erano membri di una… setta?» Urlò Ernesto.
 
Sentì la mano della gemella insinuarsi nella sua e stringerla forte. Stretta che lui ricambiò. Per fortuna non era da solo a dovere affrontare quella terribile e assurda verità.
 
«Signor Redaelli, ma com’è possibile una cosa del genere. È sicuro? No, lo dico perché sono sempre state persone pie e devote, che facevano molta beneficienza e spesso partecipavano anche a dei pellegrinaggi, soprattutto dopo la pensione.»
 
«Nessun dubbio sul loro coinvolgimento, purtroppo.»
 
«Come ha fatto a scoprirlo?» chiese Elisa, dopo un lungo silenzio.
 
«È stato frutto di una ricerca certosina. Sono partito dai nomi che Ernesto mi aveva fornito, insieme a qualche informazione su di loro e, alla lunga, scavare dà quasi sempre i suoi frutti. In questo caso avrei preferito non ricavarne un ragno dal buco, ma adesso si spiegano molte cose.»
 
«Non si faccia desiderare, ci dica tutto e non risparmi i dettagli. A questo punto tanto vale sapere ogni cosa, anche la più scabrosa. Vogliamo capire come mai siamo stati divisi, è un nostro diritto saperlo» lo incalzò Ernesto supportato dalla gemella che annuiva con vigore, le mani ancora allacciate.
 
L’uomo si alzò e andò dritto a uno schedario, dove prese un fascicolo e poi tornò alla scrivania. Il plico era contrassegnato con il loro cognome: Roversi.
Ernesto lo vide sospirare e aprirlo, prima di fissarli e iniziare il suo resoconto in maniera molto professionale.
 
«Stefano Roversi e Luisa Paggi, coniugata Roversi» disse estraendo una loro foto e piazzandogliela davanti. «Imprenditori di successo nell’ambito del settore moda, filantropi, fautori di molte cause di beneficenza senza scopo di lucro, ambientalisti e… membri attivi de Il cerchio dorato
 
«Oh, mio, Dio. Non l’ho mai sentito questo nome, né in casa, né fuori» disse Ernesto con un filo di voce.
 
«Come tutte le sette agiva nell’ombra e non amava farsi pubblicità. I membri venivano reclutati a caso, perlopiù tra persone facoltose. I potenziali nuovi seguaci erano avvicinati alle feste o alle riunioni di settore, quelle grosse intendo… tipo le fiere.»
 
«Senta, non vedo il nesso tra questo e la nostra separazione» s’intromise Elisa.
 
«È presto detto signora. Una delle assurde regole della setta prevedeva che i membri non potessero avere figli gemelli – che erano visti come una punizione divina, specie se di sesso diverso – e quindi la soluzione era solo una, l’allontanamento del figlio ritenuto più debole se omozigoti o…»
 
«Della femmina in caso fossero nati eterozigoti, come noi due. Per dirla in una parola, io» concluse Elisa per lui.
 
Ernesto, se possibile, era ancora più basito di lei. Quella storia era assurda, oltre che folle e dell’altro mondo.
Era arrabbiato e curioso. Era nauseato. Ma come avevano potuto – i tanto stimati e amati coniugi Roversi – rinunciare a una figlia per una setta.
 
«Scusi, ma… e lei come è riuscito a sapere tutto questo. Ho capito che ha indagato a fondo, ma sono ambienti pericolosi quelli ed estremamente chiusi. Non rilasciano informazioni a nessuno, figuriamoci a un investigatore» gli chiese.
 
«Ernesto ha ragione. Non si sarà messo nei guai, vero?» indagò Elisa.
 
«No, no, state tranquilli. Fortuna volle che incappai in un nome, circa un mese fa e questo mi ha acceso una lampadina. Ernesto, conosceva un certo Dario Villa?»
 
Lui ci pensò su per qualche minuto, poi picchiò la mano sulla gamba e disse:
 
«Ma certo, come ho fatto a dimenticarmene. Il signor Villa, un nostro vicino di quando ero bambino. Aveva circa una decina di anni in più dei miei genitori, se non ricordo male e lo chiamavo zio. Frequentava spesso casa nostra, non era sposato e si fermava a cena il più delle volte. Era il titolare di una gioielleria molto rinomata e famosa nella zona. Poi, un bel giorno, ha smesso di venire e mi dissero che si era trasferito.»
 
«Non esattamente. Il signor Villa era egli stesso un membro della setta e, quando ha tentato di uscirne, è stato vittima di due tentativi di omicidio. È stato posto sotto tutela delle forze dell’ordine ed è entrato nel programma protezione testimoni. Purtroppo, la sua denuncia non ha mai avuto riscontro. Nessuno mai è riuscito ad arrestare i capi della setta e lui – oltre a quei due nomi – non ne ha mai fatti altri. Essendo a rischio di vita, è stato trasferito in una località ignota. L’anno dopo l’inchiesta fu archiviata, ma il pericolo era sempre reale e non gli fu permesso rientrare in Lombardia.»
 
«Oh, mio… non ho parole. E la setta che fine fece? Fu smantellata?» Chiese un Ernesto sempre più allibito e curioso allo stesso tempo.
 
«Avendo potuto consultare gli archivi investigativi e avendo anche parlato con uno dei poliziotti che partecipò all’operazione, posso rispondere con precisione a queste domande. Per quanto riguarda la sede dove si riunivano con i vostri genitori… sì. L’area boschiva e il casolare stesso furono posti sotto sequestro. All’interno vennero ritrovati manufatti antichi, probabilmente usati per degli strani riti, simboli dipinti sul pavimento e quadri inquietanti alle pareti. Tutto lasciò presupporre che fossero scappati in fretta – probabilmente grazie a una soffiata anonima – e non avessero avuto il tempo di radunare tutti i loro averi.»
 
«E cosa ci dice della setta?» Insistette lui.
 
«Sparita nel nulla. Ma questo non vuol dire che non sia più attiva altrove. Sono sicuro che avranno aumentato il livello di segretezza e che siano divenuti ancora più subdoli e selezionatori.»
 
Era un incubo. Quando insieme a Elisa avevano dato il mandato al Redaelli di indagare sul motivo del gesto insensato dei loro genitori – ovvero la rinuncia alla figlia femmina resa adottabile – Ernesto non si sarebbe mai aspettato una tale scoperta.
Guardò la gemella che appariva riflessiva. Ormai aveva imparato a conoscerla e quando si concentrava su qualcosa, le si formava una ruga marcata tra gli occhi. Più, era seria, più si accentuava il solco e ora, era molto visibile. La stessa cosa accadeva a suo padre. Stava per dirle qualcosa quando lei l’anticipò, rivolgendosi al professionista.
 
«Non capisco come abbiano fatto a farsi tirare dentro. Eppure, erano anche persone intelligenti e pragmatiche e il loro successo professionale lo conferma» rifletté a voce alta.
 
«Ho una domanda per lei signor Redaelli» e quando vide l’uomo annuire continuò «perché mio fratello non è stato coinvolto nella setta? Non era logico che i figli dei membri stessi, ne facessero parte a loro volta?»
 
Brava Elisa, richiesta sensata e giusta, lui non ci aveva neanche pensato. Era curioso di scoprirne il motivo.
 
«Questo è un interrogativo a cui non so rispondere. Dovete porlo al signor Villa, che saprà, certamente, cosa dirvi in merito.»
 
Ehi, un momento. Cosa aveva appena detto? No, era impossibile che… aprì la bocca per chiederglielo, ma fu anticipato dal Redaelli, neanche gli avesse letto nel pensiero.
 
«Ho saputo tutte queste cose da lui in persona» lo informò l’investigatore.
 
Incredibile! Quasi stentava a credere alla fortuna che avevano avuto.
 
«È ancora vivo? E dove si trova?»
 
«In una casa di riposo a Milano. I poliziotti, gli diedero una nuova identità e lo spedirono a vivere in un’altra regione – e precisamente in Veneto – dove incontrò quella che poi divenne sua moglie. Ha avuto una figlia che si è trasferita a Milano pochi anni fa e lui, rimasto vedovo, l’ha seguita. Ormai non c’era più pericolo per lui e così ha potuto ritornare. Purtroppo, soffre di Parkinson ed è stato alloggiato lì, non potendo più gestirlo a casa. Anche se la figlia mi ha assicurato che lo vede tutti i giorni, essendo a due passi da casa sua. È accudito bene e ha una memoria formidabile, l’ho constatato di persona quando sono andato a trovarlo la settimana scorsa. Mi ha raccontato tutto con le lacrime agli occhi e ha chiesto la visita del suo caro nipotino Ernesto, ci terrebbe tanto.»
 
Lui sorrise all’uso di quel termine. Nipotino. Sì. Zio Dario lo chiamava così e riusciva sempre a farlo ridere. Era una persona gentile e tranquilla. Per questo gli risultava difficile capire come avesse potuto fare parte di una setta.
 
«Se mi passa l’indirizzo, ci andrò volentieri. Mi farebbe molto piacere rivederlo e poi, a questo punto, anch’io avrei due domandine da fargli» rispose.
 
«E io verrò con te» lo spalleggiò la sorella con l’aria di chi non si deve contraddire. «Signor Redaelli, quando ci ha convocati qui, ci ha anche detto che aveva bisogno del nostro consenso per procedere o meno nelle indagini. Cosa intendeva dire?»
 
 
                                                                                                                     &&&
    

Certo che quella donna non mollava mai. Per essere la gemella di un uomo pacato e posato come Ernesto, sapeva essere implacabile. Era davvero un peccato che i loro due sconsiderati genitori li avessero divisi in fasce.
Avrebbe tanto voluto chiudere subito quella storia – dopotutto il suo lavoro l’aveva svolto egregiamente e in meno tempo rispetto al previsto – ma non poteva, non ancora e così… sì, aveva bisogno del loro consenso per…
 
«Mi chiedevo se volete che scavi un po’ più a fondo sulla questione o se preferite che concluda qui.»
 
Ci stavano pensando, lo poteva vedere dagli sguardi che i suoi due clienti si scambiavano. Sguardi confusi, speranzosi. Quei due riuscivano a comunicare anche senza parole, incredibile come fossero in sintonia dopo soli pochi mesi dalla loro riunione. Tuttavia, non era pronto alla risposta che gli diedero.
 
«Grazie, Signor Redaelli – e dico sul serio – se non era per lei, non avrei mai ritrovato la mia gemella perduta e non avrei conosciuto la sua bella famiglia, ma… al momento dobbiamo ancora digerire questa notizia bomba che ci ha appena dato e…» gli disse Ernesto.
 
«… abbiamo bisogno di tempo per riordinare le idee, pensare alla sua proposta e darle una risposta. Possiamo ricontattarla noi? Nel frattempo, le faremo avere il pagamento con la modalità che preferisce» concluse per lui Elisa.
 
Era giusto. Non aveva considerato le emozioni dei due Roversi. Dannazione. Era stato così preso dalla sua indagine e dal volerla proseguire a tutti i costi che aveva dato per scontato di ricevere il via libera.
 
«Sì, avete ragione e mi scuso per la mancanza di tatto. Vi farò avere la mia parcella in settimana.»
 
«Allora siamo d’accordo» gli disse Ernesto e poi aggiunse «scusi, mi chiedo quale sia il motivo che la spinge a volere continuare le indagini. Ormai sappiamo cos’è successo e questo era il suo compito principale quindi…»
 
«Deformazione professionale. Non mi piace lasciare le cose a metà, ma rispetto il vostro volere e metto in pausa tutto fino a vostro ordine. Ora, siete rimasti soddisfatti del mio operato?»
 
Se i due fratelli avevano qualcosa da dirgli sulla frase che si era lasciato scappare, non lo diedero a vedere e gli ultimi momenti con loro, prima di congedarli, li passò a parlare dell’importo finale e del metodo di pagamento. Tutto sommato quell’indagine era stata un successo e poteva ritenersi quasi soddisfatto, quasi.
 
 
                                                                                                                     &&&
 

Pazzesco. Elisa non trovava altra parola per definire tutto quello che era appena capitato a loro. Non poteva crederci. Era stata ceduta per una stupida regola di una stupida setta cui i suoi stupidi genitori facevano parte.
Lei ed Ernesto avevano fatto tutto il viaggio di ritorno in silenzio – che altro si poteva dire che non era già stato detto? – e ora erano arrivati nei pressi dell’abitazione del fratello. Non riuscivano a scendere dall’auto e fissavano entrambi un punto vuoto, voltandosi ogni tanto a fissarsi.
Be’, doveva farsi coraggio e dire qualcosa, qualsiasi cosa.
 
«Credo… credo che non dovresti rimanere solo stasera. Siamo una famiglia, ora e come tale dobbiamo sostenerci a vicenda, sempre.»
 
«Grazie, ma ne ho bisogno. Devo riflettere. Vedi, sorella, non sei tu quella che è vissuta con i nostri genitori e che si è vista crollare il mondo addosso nell’ufficio dell’investigatore. Quello che ci ha detto… è sconvolgente, è vero, ma per me lo è il doppio. Riesci a capirlo?»
 
Sì, ci riusciva benissimo. Era dura per lei, ma per Ernesto doveva essere ancora peggio. Dopotutto, aveva ragione.
 
«Va bene, ma domani passi a pranzo e non provare a rifiutare.»
 
«Non ci penso neanche e chi rifiuterebbe un pasto preparato da una cuoca talentuosa come te» le disse per stemperare il clima e facendola ridere.
 
E quando stava per rispondergli con una battutina sulla sua di goffaggine ai fornelli, si accorse di una cosa e glielo fece presente.
 
«Fratello, quando sei uscito hai lasciato aperta una finestra, per caso?»
 
«Em… no, perché?»
 
«Be’, perché quella della sala lo è.»
 
Poi, prima che potessero scendere dall’auto, entrambi notarono qualcuno uscire sul balcone dalla portafinestra e guardarsi in giro. Elisa non riusciva a inquadrare chi fosse, ma Ernesto sì. Si affrettò ad aprire la portiera, di nuovo sorridente e urlò un saluto.
 
«Papà! Finalmente, cavoli. E poi sarei io quello che non risponde mai alle telefonate, vero? Ti avrò lasciato una marea di messaggi e chiamato come minimo tre volte. Ero preoccupato, non è da te sparire così, ma dov’eri finito?» Poi, accorgendosi che non era solo disse «Tu sei mia zia, vero?»
 
Suo nipote Bruno era tornato e proprio nel momento giusto. Ora sì che la famiglia era al completo.

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Capitolo 7
*** Padre e Figlio ***


Appena Ernesto aveva visto suo figlio sul balcone, era corso in casa – letteralmente corso – e si era precipitato ad abbracciarlo stretto. Quanto gli era mancato. L’Erasmus era sfiancante. Non tanto per lui padre – che era costretto a stargli lontano e non poteva raggiungerlo con facilità – ma anche per Bruno stesso, che lo chiamava spesso e gli riferiva che sì, Londra era bella e tutto, ma a lui mancava casa sua. Suo figlio ancora non aveva deciso cosa fare una volta terminato il corso all’estero, ma qualunque cosa avesse scelto, per lui andava bene.  
 
«Ok, adesso basta, papà. Stai cadendo nel ridicolo» gli disse suo figlio cercando di sottrarsi all’abbraccio.
 
«Zitto tu, figlio ingrato» gli rispose lui con sarcasmo «sono mesi che non ti vedo e potresti come minimo fingere che ti piaccia come quando eri piccolo, ricordi?»
 
«Ecco, appunto, ma adesso sono cresciuto. Diamine papà, ho diciannove anni, ora.»
 
«E quindi non hai più bisogno di me e dei miei abbracci?» Gli chiese rinforzando la presa e scatenando altre proteste che lo fecero ridere.
 
«Ernesto, lascia andare il ragazzo. Dovrà pur respirare.»
 
Elisa. Pensava fosse andata a casa e invece era lì, l’aveva seguito. E ora stava fissando lui e Bruno con sguardo divertito e amorevole.
 
«Ciao, Bruno. Che bello vederti senza uno schermo capriccioso davanti» esordì ricordando le due volte che si erano parlati via Skype con mille e più interferenze di linea. «Ah, questi genitori sempre così espansivi, che vorrebbero i loro figli sempre bambini e li trattano come tali.»
 
«Visto, papà? Lei mi capisce… lei!»
 
«Lei ha due figlie che se potessero fuggire dai suoi abbracci lo farebbero di corsa, ma Elisa è furba e trova sempre il modo per prenderle alla sprovvista.»
 
«Ah, allora sarebbe un vizio di famiglia. Confortante, davvero. C’è un modo per sfuggirvi?»
 
«No!» Risposero in coro quelli, facendolo ridere.
 
I figli, in fin dei conti erano tutti uguali. Tutti troppo adulti per un abbraccio o una carezza o un bacio sulla guancia, eppure tutti troppo bambini per non preoccuparsi se non rispondevano quando li cercavano.
 
«Ma, gesti appiccicosi a parte» disse Bruno «davvero, non sapevo che pensare papà. Io arrivo e trovo la tua auto nel parcheggio, però la casa è chiusa e tu non rispondi né al telefono, né al citofono. Faccio per aprire e vedo il vecchio Brambilla arrivare di corsa – di corsa papà, con il bastone sollevato da terra e il passo lungo – e mi fa il terzo grado, prima di dirmi che eri andato via con la tua amante, un’eterna indecisa che non sa scegliere tra te e un tizio con la pancia.»
 
A quella frase i due fratelli ripresero a ridere sotto lo sguardo sconcertato di Bruno e con un “Meglio che tuo zio questa non la sappia”, Ernesto liquidò la questione.
Elisa rinnovò l’invito a pranzo per il giorno dopo per entrambi, questa volta e poi li lasciò soli.
 
«Che succede, papà? Sei strano. Qualcosa non va?»
 
«Come sei diventato perspicace. In effetti qualcosa c’è, e ora te lo spiego. È il motivo per cui non ero in casa oggi, ma in giro con tua zia. Se mi avessi avvisato del tuo arrivo, avrei rimandato l’uscita.»
 
«Lo so, ma volevo farti una sorpresa. Allora, spiegami cosa ti angustia. Oh, sentito che termine ho usato? Angustia. A volte mi faccio paura da solo» disse fingendosi compiaciuto di se stesso.
 
Poi Bruno scoppiò a ridere – sicuramente per stemperare l’aria che, aveva notato, essersi fatta più cupa – ed Ernesto si unì a lui per un breve momento, improvvisamente tornò riflessivo e…
 
«Preparati figliolo, perché sarà un fulmine a ciel sereno anche per te.»
 
E poi…
 
 
                                                                                                           &&&
 
 
«Stai scherzando! No, non… non può essere vero. Quell’investigatore privato da strapazzo deve avere preso un grosso abbaglio.»
 
«Purtroppo, no, Bruno. È la verità. Ha le prove. Ha parlato con un poliziotto che ha partecipato all’operazione di smantellamento della setta, ha letto gli incartamenti del caso e poi ha raccolto le parole – ancora più decisive – di un ex membro che frequentava casa dei miei quando ero un bambino. Io ed Elisa andremo a parlarci, abbiamo delle domande da porgli, domande che esigono risposte sincere e solo lui potrà aiutarci a capire meglio questo schifo.»
 
I suoi nonni. I suoi amati nonni erano stati membri di una setta. Come l’aveva chiamata suo padre? Ah, sì. Il cerchio dorato. Avevano abbandonato sua zia Elisa per una stupida imposizione e non se ne erano mai pentiti. Era come se l’avessero dimenticata, cancellata dalla loro vita, come… come se non fosse mai nata! Era orribile e terribilmente ingiusto.
Lui, Bruno, aveva un debole per i suoi nonni paterni – in special modo per nonno Stefano – e li aveva sempre preferiti agli altri, perché erano più affettuosi e gentili con lui. Scoprire un segreto del genere…
 
«Hai detto che quell’uomo vi ha chiesto di potere continuare le indagini, perché? Che altro c’è di sordido da scoprire? Non è abbastanza tutto quello che vi ha già detto?» Gli chiese.
 
«Sinceramente non glielo abbiamo chiesto. Capirai che non eravamo in vena di porgli altre domande e così ci siamo presi del tempo per rifletterci.»
 
Era giusto. Se poi fossero saltate fuori altre assurdità… Aveva bisogno di stare un po’ da solo per riflettere meglio e quindi si propose per preparare la cena. Mezz’ora dopo, davanti a un piatto di bavette al pesto, pane – suo padre ne era ghiotto e in casa sua non mancava mai di essere fresco – qualche formaggio trovato in frigo e due bottigliette di birra, Bruno riprese il discorso.
 
«Credo che dobbiate dargli l’ok» esordì «non fosse altro per mettere fine a tutta questa storia.»
 
«Forse. Non lo so. Ne parleremo domani da Elisa. Vedrai, resterai conquistato da tuo zio e dalle tue cugine.»
 
«Staremo a vedere. Senti, posso alloggiare da te per tutto il tempo che rimarrò qua in vacanza?» Buttò lì con nonchalance mentre si serviva di una generosa forchettata di pasta.
 
Vide suo padre fargli un largo sorriso spontaneo e annuire vistosamente, di riflesso sorrise anche lui.
Una credenza popolare recitava che i figli maschi fossero – per natura – più legati alle madri e, viceversa, le figlie femmine, ai padri. Non era vero. Lui amava suo padre e ci andava d’accordo come mai gli era accaduto con la madre, sempre piuttosto fredda e scostante. Gianna non era nata per quel ruolo e se ne era accorto presto. Aveva sofferto per il loro divorzio, ovvio, ma non più di tanto. Mentre suo padre Ernesto si impegnava a mantenere la famiglia e a non fare mancare nulla a entrambi, la madre non faceva altro che criticare. Mentre suo padre non parlava mai male della moglie, lei non perdeva occasione per cercare di denigrarlo ai suoi occhi.
Un giorno – in un impeto di rabbia durante un litigio – l’aveva sentita rinfacciare al marito di averlo sposato solo per i soldi dei suoi genitori con la speranza che, prima o poi, avesse smesso il lavoro di meccanico per seguire le loro orme. Ma non era mai successo. Suo padre amava quello che faceva e aveva trasmesso questa sua passione anche a lui che, nel tempo libero, passava in officina a dare una mano. Ovviamente, Gianna inorridiva al pensiero di un altro meccanico in famiglia. Che facesse pure. L’unica volta che l’aveva vista orgogliosa di lui, era stato il giorno che aveva annunciato la sua partecipazione al progetto Erasmus, con partenza per Londra. Sua madre voleva che poi andasse all’università e che scegliesse una facoltà dove poi avrebbe potuto guadagnare tanti soldi. Lui la vedeva solo come esperienza. Aveva già deciso cosa voleva fare della sua vita e quello prevedeva lavorare con suo padre, che reputava il migliore nel campo della meccanica.
 
«Mi chiedevo quando avresti tirato fuori l’argomento, figliolo. Il tuo bagaglio all’ingresso era un indizio già di suo, ma volevo sentirtelo dire e mi fa molto piacere ospitarti» gli rispose allungando una mano per scompigliargli i capelli.
 
«Grazie. Sai, sono passato a casa – dopotutto abito lì – ma non credo che a mamma abbia fatto piacere. Ci sono rimasto male anche se me l’aspettavo e poi – detta tra noi, papà – non mi va di abitare con lei e il suo toy boy stronzo.»
 
«Ehi, rispetto. È sempre tua madre, anche se ha fatto scelte di vita discutibili.»
 
«Lo so, ma avessi visto come mi ha guardato appena sono entrato in casa. È bastata un’occhiata storta del suo ciccio bello per farla decidere a mandarmi via. E quando le ho fatto notare che era diventata una stupida marionetta nelle mani di un coglione, lei… ha permesso che lui mi buttasse le valige fuori casa e mi sbattesse la porta in faccia. Così, non ci ho visto più. Sono rientrato, ho preso le chiavi del mio scooter, ho messo la valigia e lo zaino davanti a me e sono venuto subito qua.»
 
Bruno poteva ben vedere l’effetto che quella frase ebbe su suo padre. Solitamente era un bonaccione, sempre allegro e pacato, ma in quel momento era scuro in volto e picchiettava un dito sul tavolo, segno che era arrabbiatissimo. Poi disse una cosa che lo spiazzò e commosse.
Solo suo padre riusciva a farlo emozionare con poco. Lui, Bruno, era una copia più giovane del suo genitore e poteva già vantare un’altezza che andava quasi a rivaleggiare con la sua.
 
«Sai che questa è anche casa tua, non hai bisogno di chiedere il permesso per viverci. Per quanto mi riguarda potrai restare qua quanto vorrai, anche dopo che sarai tornato in Italia una volta finito l’Erasmus. Ora sei maggiorenne e puoi decidere tu dove abitare, possiamo dirlo anche al giudice per cambiare la tua collocazione in pianta stabile. Che ne pensi?»
 
Bruno dovette deglutire un paio di volte, prima di accettare la proposta senza incrinare la voce.
 
«E, ho deciso anche un’altra cosa che ti farà molto piacere, ne sono sicuro.»
 
«Davvero? Mi hai comprato un monolocale?» Azzardò lui guadagnandosi un’alzata di occhi al cielo.
 
«Ma… ma ti ho appena detto che voglio che vieni a vivere qui… e tu già ne approfitti, ti allarghi e vuoi abbandonarmi? Figlio ingrato!» Gli rispose rubandogli un pezzo di pane. «No, a casa tua ci penserai tu – quando avrai un lavoro stabile e potrai comprarla o affittarla e poi mantenerla – io alludevo ad altro. Ma non saprai nulla di più fino a lunedì mattina, quando verrai con me in officina. Sono sicuro che Antonio e il signor Fausto saranno felici di rivederti.»
 
E anche lui. E poi voleva vedere se c’era qualche motorino da sistemare.
 
«Papà, posso farti una domanda… personale?»
 
«Devo preoccuparmi?» Gli chiese inarcando un sopracciglio.
 
«Em… no, però sai, sono curioso» poi, vedendolo annuire, continuò «hai una relazione sentimentale? Lo dico perché, magari, trasferendomi qui potrei incontrarla qualche volta e non vorrei fare figuracce.»
 
Suo padre si era bloccato con un pezzo di formaggio in bocca e lo fissava allibito. Ma che cosa aveva chiesto mai di così scabroso? A lui non sarebbe dispiaciuto, anzi, si meritava di avere una donna accanto che lo facesse sentire felice e compreso.
 
«Ma… ma che dici. Non sono più il tipo da storielle, io. Ho altri pensieri per la testa. Primo tra tutti, questa storia dei tuoi nonni; poi l’officina che il signor Fausto vorrebbe rilevassi insieme ad Antonio; poi tua zia e l’impegno che ho con lei con il corso di cucina; poi ho promesso a Gemma di…»
 
«Fermo, fermo… Gemma? Chi sarebbe? E… e cos’è questa storia dell’officina e… ma che cavolo, papà, io vado all’estero per qualche mese e tu rivoluzioni la tua vita, incontri una donna e non mi dici niente?»
 
«Em… è solo un’amica, di tua zia e… anche mia, adesso, da poco.»
 
«Sì, sì, raccontalo a qualcun altro. Intanto sei diventato tutto rosso e hai le orecchie in fiamme» gli disse ridendo a crepapelle.
 
«Mi sa tanto che ho cambiato idea e non ti voglio più qua e anche la sorpresa che avevo in serbo per te… puff, volatilizzata!» Gli disse facendo aria in modo teatrale.
 
«Guarda che non ti credo e… aspetta, aspetta, hai detto sorpresa? Papà? Dove stai andando?»
 
In effetti Ernesto si era alzato e con un “Sono stanco, vado a letto, tanto ci pensi tu a pulire, giusto?” sparì in bagno da dove, dopo qualche minuto, uscì in pigiama, lo salutò e si chiuse in camera.
E così hai una tresca con questa Gemma. Puoi negare quanto vuoi, ma ce l’hai e io devo assolutamente conoscerla. Che tu lo voglia o meno, mio caro paparino!, si disse prima di alzarsi a sua volta e sparecchiare.
 
 
                                                                                                          &&&
 
 
Driiiiiiin. Driiiiiiin. Driiiiiiiiin.
Ma che cazz… ma che ore sono? Ernesto guardò la sveglia e quasi imprecò dalla rabbia. Era domenica mattina, l’unico giorno in cui poteva dormire e qualcuno – alle 7.00 di mattina per inciso – osava…
Driiiiiiin. Driiiiiiiii. Driiiiiiiiin.
… disturbarlo durante un sogno bellissimo e… e fin troppo reale, si disse poi alzando il lenzuolo e fissando la prova della sua eccitazione. Incredibile. Merito di Gemma che… no, meglio non pensarci.
Erano anni che non gli capitava una cosa del genere.
Però non poteva aprire la porta in quello stato e così – dopotutto, visto che era tutta colpa di suo figlio e delle sue parole – andò a svegliarlo, non senza ricevere qualche insulto, e l’obbligò a prendere il suo posto.
Dopo una lunga doccia fredda e mille e più pensieri per convincersi che era solo un sogno – anche se molto reale – uscì e si ritrovò davanti a un Bruno ancora addormentato che cercava di intrattenere il signor Brambilla senza collassare sul posto.
Suo figlio gli lanciò uno sguardo omicida prima di eclissarsi in camera. No, non era per nulla pentito di averlo svegliato.
 
«Giovanotto, era ancora a poltrire a letto? È giorno fatto e si è perso l’alba, anzi… vi siete persi l’alba.»
 
«Mattiniero come al solito, vedo. Buongiorno signor Brambilla, come sta?»
 
«Come vuoi che stia Ernesto» gli rispose passando al tu «sono tutto un dolore come al solito. Ed ecco perché sono qui. Ho finito l’Arnica e anche la Tachipirina 1000, per non parlare della Citrosidina per digerire.»
 
«Ma… ma se gliel’ho comprata l’altro giorno ed era quella nel barattolo grande. Che fa, la mangia come caramelle?»
 
«Fai poco lo spiritoso, tu. Arriverai alla mia età e allora dirai “Idelfonso Maria aveva ragione!”, e ti farai la scorta di medicine. Ah, e poi ho qui una piccola lista» disse aprendo il borsello che teneva legato al collo ed estraendo un foglio piegato «di quello che mi manca. Due cose che avevo dimenticato di dirti l’altro giorno e che sono urgenti.»
 
Lui la prese e lesse ad alta voce.
 
«Besaola un eto, bologna due eti, marmelata fragola, coso verde per… Walter?»
 
«Eh, tu non ce l’hai in bagno? Dove la fai la cacca, in un secchio? La donna delle pulizie l’ha finito ieri.»
 
Che bella la vecchiaia e il suo parlare senza filtri. Per poco non gli scoppiò a ridere in faccia, ma si trattenne e cercò di farsi più serio che poteva.
 
«Non mi dica che intendeva il cif per il water» e quando lui annuì, Ernesto continuò la lettura «tre biscoti quadrati Oro Sava, zuchero marone, quatro vafe bianchi e, per finire, pane morbido.»
 
«Giusto due cose, visto?» ribadì e poi gli mise davanti cento euro. «E questi sono i soldi» poi si alzò, prese il bastone che aveva appoggiato sul tavolo e si diresse alla porta da dove, prima di uscire, gli disse «ti aspetto per le 10.00 giovanotto.»
 
Idelfonso Maria Brambilla, che personaggio. Era particolare, ma lui lo adorava.
Certo, aveva un problema con lo scrivere le doppie, ma era comprensibile. Un giorno gli aveva raccontato che non aveva mai amato andare a scuola e che fece i primi tre anni delle elementari perché costretto dal padre. Ma lui non aveva mai amato studiare e così, alla fine, il genitore aveva desistito dal mandarcelo e l’aveva portato con lui a lavorare nei campi perché… “visto che non vuoi studiare, devi contribuire a mantenere la famiglia”, atteggiamento normale all’epoca.
Guardò l’ora, di nuovo, e sospirò. Era escluso che tornasse a dormire o non avrebbe fatto in tempo a fare le commissioni per il suo eccentrico vicino. Con un sospiro esagerato, si diresse in camera a prendere i vestiti e iniziò la giornata.

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Capitolo 8
*** La parola ai giovani ***


«E così i nostri nonni erano adepti di una setta!» Esordì Angela.
 
«Una setta che ha imposto loro l’abbandono di nostra madre, ti ricordo» le rispose Daniela.
 
«Mi sembra di stare dentro un incubo e di non riuscire a svegliarmi. Io non ci posso ancora credere eppure…» Bruno scosse la testa, sconsolato.
 
Da quando era tornato, Bruno aveva vissuto emozioni ambigue. La rabbia contro sua madre e il suo toy boy. L’angoscia di non trovare suo padre né a casa né al cellulare. La gioia di vederlo tornare e di conoscere sua zia di persona. Lo sconcerto nello scoprire la doppia vita dei suoi nonni. E ora, la più sconvolgente di tutti, il conoscere la famiglia di zia Elisa e scoprire di avere due cugine poco più grandi di lui. C’era di che impazzire.
Ricapitolando.
Aveva una zia, uno zio e due cugine gemelle che erano anche molto simpatiche. Gemelle sì, ma molto diverse tra loro. Angela aveva i capelli ricci e indomabili della madre, era sportiva e non amava cucinare. Daniela sfoggiava un bel taglio corto, aveva i capelli lisci rossicci ed era una maga in cucina… almeno a giudicare dalla lasagna che aveva preparato loro per pranzo. Una seconda mini teglia era stata fatta apposta per loro due, da portare via. Che grazia.
Avevano trascorso tutto il pomeriggio a conoscersi meglio e il tempo era trascorso troppo velocemente. Ora, si trovavano di ritorno da un’incursione in gelateria ed erano fermi a un semaforo con Angela alla guida, Daniela al suo fianco e lui dietro a guardia del fresco e appetitoso bottino.
 
«Per te, Bruno, deve essere ancora più dura, vero? Voglio dire, di noi tutti sei quello che li ha frequentati e – da quello che ci hai detto – gli eri anche molto affezionato. È stato come una sorta di tradimento per te, o sbaglio?» Gli chiese Angela, guardandolo brevemente dallo specchietto retrovisore.
 
«Hai fatto centro, nuova cugina» le rispose lui facendole ridacchiare entrambe «Purtroppo, non so se riuscirò mai a digerire questa notizia, ma ci spero. Adoravo soprattutto il nonno e pensare a quello che ha fatto, senza avere mai un ripensamento, mi fa stare male. Me ne farò una ragione, ma ormai la loro immagine è stata sporcata» sentenziò con un alzata di spalle.
 
«Com’erano?» Volle sapere Daniela. «Non che quelli che abbiamo non ci piacciano, anzi – credo che presto li conoscerai – ma siamo curiose.»
 
E lui raccontò tutto quello che aveva vissuto con loro. Non per far loro invidia, semmai per farglieli conoscere un po’ meglio ed esorcizzare lo schifo che era costretto a digerire.
 
«Grazie. Sai, mamma avrebbe sempre voluto conoscere i suoi genitori biologici, ma credo che mai – nemmeno per una volta – abbia sospettato che fossero benestanti e ambigui.»
 
«Ti credo, Angela. Papà ci è rimasto ancora più di merda di me e non si dà pace per non avere mai capito o, per lo meno, sospettato qualcosa.»
 
«E adesso cosa accadrà? A pranzo dicevano che sono intenzionati ad andare a trovare questo tizio, Dario, alla casa di riposo di Milano. Ma potrà mai dare loro tutte le risposte che cercano?» Chiese Daniela, sospirando.
 
Bella domanda. Tutto era in stallo al momento. Ma la speranza si diceva non morisse mai e quindi…
 
«Data l’età avanzata, ne dubito, ma potrebbe anche essere che ha una memoria di ferro. Certo che non ci voleva proprio per papà. Prima scopre dei genitori, poi anche di questo Dario che frequentava casa sua e che considerava come uno zio. Ce n’è abbastanza per impazzire, purtroppo.»
 
«Già. Sai, cugino, sono felice che tu sia tornato. Ci mancavi solo tu in questo quadretto strampalato che è diventata la nostra famiglia» gli disse Daniela. «Sono felice di averti potuto conoscere. È un po’ come avere qua davanti nostro zio da giovane, visto che gli assomigli tremendamente. Non lo pensi che tu, Angy?»
 
«Assolutamente. Conosco un paio di amiche che andrebbero pazze per te se ti vedessero. Mi chiedo come tu faccia a essere ancora single. Mistero! Ah, se non fossi tua cugina, ci avrei provato con te e non scherzo.» Rispose lei facendolo imbarazzare. «Per tornare alla questione somiglianza con lo zio… hai inconsapevolmente donato a nostra madre, la possibilità di conoscere suo fratello da giovane e, d’ora in poi, di vederlo crescere, come non ha mai potuto fare. È meravigliosa questa cosa.»
 
Sinceramente a quello non aveva pensato. La cosa, più che meravigliosa, per lui era un po’ inquietante, ma ci stava.
 
«Lo so, sono un figo pazzesco come mio padre. Potevate dirmelo anche senza fare tutti questi giri di parole» disse loro per sdrammatizzare la cosa.
 
Arrivati. Pensava di scendere subito e invece quelle si girarono a guardarlo – modello inquisizione – e poi gli scoppiarono a ridere in faccia. Cosa? Perché? La spiegazione non tardò ad arrivare. Da parte di Angela, e di chi sennò. Era lei la più spudorata delle due gemelle.
 
«Per arrivare ai livelli di figaggine dello zio, devi ancora farne di strada cuginetto. Ma per il momento prometti bene, anche se lui non se ne rende neanche conto di esserlo, a differenza tua. Devi lavorarci un po’ su. E poi sappi che dobbiamo tenerti buono perché potresti sempre servirci come meccanico di riserva, visto che vuoi seguire le orme di tuo padre, come hai detto a pranzo» e poi scese, seguita dalla sorella ridacchiante.
 
Recuperato il gelato, alzò gli occhi al cielo e si accodò a loro. Stava per entrare nel vialetto quando si accorse che le sorelle si erano fermare e fissavano una macchina in particolare nel parcheggio, mormorando tra loro.
 
«Qualche problema?» Chiese loro avvicinandosi. «Wow, non sapevo che vi piacevano le macchine un po’ datate, ma spettacolari come questa. Mi stupite.»
 
In effetti, non capitava tutti i giorni di vedere una Volkswagen Typ 1 del 1968 – meglio nota come Maggiolino – 1200 cv, color nero con le fiancate rosse e tettuccio apribile. Un sogno. Prese a girarle attorno, ammirando le rifiniture, rimanendo incantato dai cerchioni originali, sbirciando gli interni e sospirando.
 
«Cavoli, Bruno, poco poco ti sei innamorato» gli disse Daniela, mentre Angela gli rubava il gelato borbottando che rischiava di sciogliersi per poi sparire in casa.
 
«Puoi dire lo giuro, guarda. Amo quest’auto da sempre. Sai se il proprietario abita qua? Devo assolutamente conoscerlo e farci quattro chiacchiere e… e convincerlo a mostrarmi il motore. Il massimo sarebbe farci un giro, ma non posso chiedere troppo alla fortuna» le rispose tutto entusiasta.
 
«Oh, se è per questo, è presto fatto. Potrai fare tutto quello che hai detto senza problemi» e quando lui fissò la cugina con sconcerto, quella continuò «sono sicura che Gemma sarà felice di accontentarti. Ama anche lei il suo Maggiolino ed è sempre felice e disponibile quando qualcuno glielo elogia.»
 
Gemma? Aveva sentito bene, Gemma? Che fosse… ohhh, ora sì che si sarebbe divertito da matti.
 
«Con Gemma intendi l’amica di tua madre?»
 
«Eh? La conosci di già?» L’interrogò lei con sconcerto.
 
«No, ma mio padre me ne parlava giusto ieri sera e nel farlo mi è diventato tutto bordeaux. Mi ha assicurato che è solo un’amica, ma non ci ho proprio creduto e poi si è eclissato in camera con una velocità impressionante. In pratica è scappato. Che tu sappia si frequentano?»
 
«Cosa? Non mi risulta, no. Però ammetto che è strano trovarla qua proprio oggi. In genere alla domenica non si muove da casa per ricaricare le pile. È una pasticcera e ha una piccola ditta di catering, fa dei dolci meravigliosi. Ti dirò, sarebbe bello se quei due si frequentassero, ma forse a te darebbe fastidio, è sempre tuo padre, per giunta divorziato da tua madre e…»
 
«E sarebbe ora che si desse da fare per trovare qualcuno con cui essere felice. Finora non è stato fortunato in amore. Forza, entriamo. Voglio incontrare questa pasticcera che tanto fa arrossire mio padre e che possiede questa meraviglia qua fuori. Dolci e auto, per quanto mi riguarda, io sono già ai suoi piedi e se mio padre non l’ha ancora fatto… è proprio un cretino» sentenziò divertito e intrigato.
 
E così dicendo, la precedette in casa.
 

 
                                                                      &&&
 

 
«Gemma, Gemma, mi stai pedinando, per caso?»
 
«Oh, ma per favore, Ernesto. Sono solo venuta a trovare un’amica, che ne sapevo che c’eri anche tu?» Gli rispose sedendosi davanti a lui.
 
«Fingo di crederci, ma sappi che non me la bevo.»
 
«Avrai anche un bel faccino, ma con me non funziona» gli disse di rimando.
 
Gli piaceva quella donna doveva ammetterlo e ritrovarsela lì era stata una bella sorpresa. Stava parlando con suo cognato in giardino – in attesa del gelato – quando il campanello aveva suonato ed Elisa, poco dopo, era comparsa con lei al seguito.
Dire che gli aveva fatto piacere era un eufemismo, ma non doveva mostrarsi toppo felice o la sua gemella non gli avrebbe dato più pace e poi ora c’era anche Bruno con lui e già aveva intuito il suo debole per quella donna, era un guaio.
Aveva giurato e spergiurato di non ricascarci più, ma Gemma l’aveva intrigato fin dal primo sguardo e ora che avevano costruito una bella amicizia non voleva rovinare tutto.
 
«Eh, sarà il fascino dei cinquantenni.»
 
«Che tipo che sei» gli rispose facendogli la linguaccia. «Pensa quello che vuoi, ma se credi che sia qua per te, sei fuori strada.»
 
«Ma ne sei proprio sicura?» Le rispose prima di scoppiare a ridere.
 
«Sì, perché avevo una piccola consegna extra da fare in zona – per un’anziana cliente che abita qualche via più in là e non ha un mezzo di trasporto – e mi sono detta: Oh, aspetta che faccio un salto da Elisa che è un po’ che non la vedo. Ed eccomi qua, molto semplice la cosa, no? Non tutte le donne cadono ai tuoi piedi, sai?»
 
«E per fortuna o il Signor Brambilla poi chi lo terrebbe più?» Rispose una voce per lui.
 
Ah, Bruno! E chi altri sennò. Altro che Idelfonso Maria. Già poteva sentire l’interrogatorio spietato che suo figlio gli avrebbe fatto in auto.
 
«Buon pomeriggio, io sono il figlio prediletto di quest’uomo qui che si definisce mio padre. Bruno, piacere.» Si presentò andando a stringerle la mano con forza, che lei ricambiò.
 
«E per forza, sei l’unico!» Lo riprese lui bonariamente, facendola ridere.
 
«Piacere mio, Gemma. Un’amica di…»
 
«Famiglia?» Concluse suo figlio per lei che annuì. «Posso farle una domanda spudorata? È lei la…»
 
Bruno, occhio a cosa dici o questa me la paghi e davvero la sorpresa te la puoi scordare!, pensò.
 
«… fiera proprietaria del Maggiolino qua fuori?» Concluse lui.
 
Fiuuu, pericolo scampato. A giudicare dall’occhiata che gli lanciò suo figlio, l’aveva fatto apposta a interrompere la frase a metà. Diabolico. Ma quando era diventato così?
 
«Em, sì, lo sono. Ti piace?»
 
«Lo amo. Posso fare lo sfacciato, ora? Sì? Perfetto. Potrei ammirarla meglio? Intendo dire dentro e poi darei anche una sbirciatina al motore se non le dispiace. Lo so che potrei apparire sfacciato, ma quando mi ricapita un’occasione del genere. Sa, sogno di vedere questa macchina dal vivo da anni.»
 
La reazione di Gemma – che in fondo non conosceva affatto suo figlio – lo sorprese non poco. Raggiunse la sua borsa e tornò in giardino con le chiavi che dondolavano dal suo dito, facendo letteralmente brillare gli occhi di Bruno.
 
«Davvero? Non sta scherzando signora?» Le disse lui con voce strozzata.
 
«Signorina e no, non scherzo mai sul mio Maggiolino. Dimmi, ti piacerebbe farci un giro?» E alla risposta affermativa di Bruno, gli sorrise. «Me lo tratterrai bene? Guarda che ci sono affezionata, l’ho salvato dallo sfascia carrozze anni fa e ci tengo moltissimo.»
 
«Devi considerarlo un onore, Bruno. Gemma ne è gelosissima e non permette a nessuno di guidarlo» s’intromise Elisa.
 
«Specialmente a te che a volte gratti quando cambi marcia e sobbalza tutto. Per non parlare delle tue avventure con la retro…»
 
«Balle, io sono brava a guidare, vero amore?» Chiese al marito che pareva più interessato a togliersi un immaginario pelo del gatto dal pantalone. «Vero, Ernesto?» Tentò anche con lui, inutilmente. Tu guarda, una Ballerina stava attraversando il giardino con grazia. «Vero, ragazze?» Provò infine con le figlie che, senza pietà, scossero la testa con veemenza.
 
Quella scenetta causò ilarità generale. Era vero, Elisa e la guida erano il classico binomio guai, ma non poteva certo dirglielo. Non dopo che stava bonariamente sgridando le figlie per avere mentito, mentre quelle se la ridevano sotto i baffi. Per fortuna ci pensò Bruno a riportare la calma.
 
«Il suo Maggiolino è in buone mani, Gemma. Glielo riporto tutto intero, promesso. E quando torno mi spiega come mai volevano triturarlo.»
 
«Va bene, lungi da me rovinare un sogno giovanile» gli rispose lei dopo averci riflettuto un po’.
 
«Lei è un mito, Gemma. Ecco perché piace tanto a mio padre!» Disse e poi corse fuori, dimentico del gelato e scusandosi con tutti per quel fuori programma.
 
Ehhh? Cosa aveva appena detto Bruno e davanti a tutti poi? Guardò Gemma che era diventata di tutti i colori e aveva spalancato gli occhi dalla sorpresa, ma che – ed era solo da ammirare – nonostante tutto, scoppiò a ridere.
 
«Ah, i ragazzi» sentenziò con una scrollata di spalle e poi cambiò argomento. «Vostra madre mi ha detto che siete andate a comprare del gelato. Spero per voi che abbiate incluso anche l’amarena o non potrò mai perdonarvi» disse infine rivolta alle gemelle, il riso nella voce.
 
«Ringrazia la golosità di Daniela che ha un debole per quel gusto e ne ha fatto mettere un po’ in una seconda vaschetta più piccola» le rispose Angela.
 
«Ben fatto, mia cara, proprio ben fatto» disse battendo il cinque con lei.
 
Poteva fingere indifferenza quanto voleva, ma Ernesto capiva che qualcosa era cambiato in Gemma, dopo la frase di quel disgraziato linguacciuto di suo figlio Bruno. Sulla via del ritorno gli avrebbe fatto un discorsetto, decise.
Ma quando lui tornò – entusiasta dal giro in auto e ansioso di scoprire la storia che stava dietro al suo acquisto – se ne dimenticò. Era bello averlo a casa, sorridente e vederlo in sintonia con la sua nuova famiglia e Gemma.
Quando di lì a un’ora Gemma se ne andò, lui volle accompagnarla all’auto, gesto che si attirò uno sguardo indagatore da parte di Elisa e uno più biricchino da parte di suo figlio.
 
«Grazie per avere assecondato Bruno» le disse davanti al Maggiolino «piace anche a me questa meraviglia a quattro ruote e capisco il debole di mio figlio. L’ho un po’ invidiato quando gli hai dato le chiavi.»
 
«Se vuoi farci un giro, non hai che da dirmelo e lo metto a tua disposizione» gli rispose, spiazzandolo.
 
«Non è escluso che lo faccia. Magari un giorno sentirai suonare il campanello di casa e sarò io, venuto a reclamare pegno.»
 
«Allora ti aspetto. A patto, però, che mi offri una cena come ringraziamento.»
 
Quello era scontato. Incredibile. Stava davvero pensando di accettare? Come amico, ovvio, che altro.
 
«Consideralo fatto» le rispose tutto sorridente.
 
Poi si chinò, le depose un bacio su entrambe le guance e le strizzò l’occhio. Gemma gli sorrise di riflesso, con gli occhi sgranati dalla sorpresa e arrossì lievemente. Cavoli, era nei guai. La salutò con la mano mentre lei andava via strombazzando, lasciandolo più confuso che mai sul marciapiede.
 
        

                                                                   &&&
 
 

 
«Ma non dovevamo andare a casa papà?»
 
«Più tardi. E io che pensavo di farti vedere in anticipo la tua sorpresa» gli rispose.
 
«Come? Oddio, davvero? Ci sto eccome. Ma… questa non è la strada per l’officina?»
 
«Quante domande. Per come hai messo in imbarazzo me e Gemma poco fa, non dovrei neanche sognarmi di portarti ora, ma voglio concludere in bellezza questa giornata fantastica.»
 
«Sì, hai ragione, zia Elisa ha davvero una bella famiglia, altro che quella che avevamo con mamma» sentenziò suo figlio. «Le mie cugine sono delle tipe toste e simpatiche, mi piacciono. Per quanto riguarda Gemma… mi piace anche lei, molto, ma non avrei mai detto che un tipo del genere ti potesse piacere tanto.»
 
Come? Ma che andava blaterando ora, Bruno. Decise di non ribattere, ma lo guardò di sottecchi e lui cedette, come sempre quando adottava quella tecnica. L’aveva chiamata Tecnica dell’interrogatorio muto e cavoli, faceva effetto ora sul diciannovenne Bruno, come sul bambino che aveva appena combinato una marachella. Sorrise.
 
«Formosa, bassina, schietta… al vedervi insieme sembrate bilanciarvi bene e formate una bella coppia. E vogliamo parlare del fatto che hai voluto a tutti i costi accompagnarla all’auto e sei tornato poco dopo tutto rosso?»
 
«Ma… ma non è vero e poi noi… noi non siamo una coppia. Siamo solo una coppia di amici, è diverso» rispose lui senza troppa convinzione, mentre parcheggiavano.
 
«Sì, sì e io che ho detto. Siete pur sempre una coppia. Imbranata, ma lo siete. Oh, guarda, siamo arrivati. Forza vecchietto, se non sei troppo stanco, trascina le tue gambe dentro quell’edificio e mostrami questa sorpresa che non sto più nella pelle.»
 
Da quando Bruno era diventato così dispotico e perspicace. Ah, che guaio, o forse no? Scese dall’auto e lo raggiunse. Poco dopo erano sul retro dell’officina, davanti a un telone bianco.
 
«Pronto?» E quando lui annuì frenetico, temporeggiò, piccola vendetta. «Non ho il rullo di tamburi, ma…»
 
«Papà… muoviti e smettila di tergiversare.»
 
E quando lui iniziò a spostare il telo e a rivelare cosa c’era sotto… sentì Bruno lanciare un urlo degno di Tarzan e lo vide iniziare a saltellare attorno al suo regalo, prima di abbracciarlo stretto senza smettere di ringraziarlo.
Era proprio la reazione che voleva, non poteva dirsi che soddisfatto.
 
 
 

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Capitolo 9
*** Forza, coraggio e cuore di pecora ***


«Oh, mio, Dio. Papà, ma come… dove hai trovato questa meraviglia!»
 
In effetti era stato un colpo di fortuna. Un suo cliente doveva liberarsene, e lui si era offerto di ritirarlo. Il prezzo era stato più che ragionevole e lui non ci aveva pensato due volte a comprarlo. Anche Antonio e il signor Fausto gli avevano fatto i complimenti per quell’affare. Certo, non era messo benissimo, necessitava di molto lavoro e cure – addirittura aveva la vernice che cadeva a pezzi ed era arrugginito in alcuni punti – ma Bruno aveva sempre avuto un debole per i furgoncini Volkswagen e così…
 
«Ho pensato che potesse piacerti e visto che hai dichiarato di volere seguire le mie orme… devi dimostrarmi di cosa sei capace. Un conto sono i motorini da aggiustare o revisionare, ma è ora di alzare la posta e fare sul serio. Vuoi o no lavorare con me? Bene, incomincia da questo. Ce la farai e come si dice… forza, coraggio e cuore di pecora.»
 
«Che c’entra la pecora adesso. Ok, sorvolo che è meglio. Dovrò farlo da solo? Ma sarà un lavoro enorme e non so proprio da dove iniziare. È messo proprio male» sentenziò suo figlio girando attorno al furgoncino con aria che voleva sembrare professionale «però è una sfida che intendo accettare. Dopo cosa ne farai?»
 
«Ahahah, possibile che tu non abbia ancora capito?» E allo sguardo interrogativo di Bruno continuò. «Hai un mese di tempo e se vorrai chiedermi aiuto, io sarò pronto a offrirtelo, ma una volta rimesso a nuovo e riverniciato… sarà tuo. Basta scooter, ok? La patente B l’hai presa prima di partire. È ora di passare a un mezzo diverso e più sicuro. Solo non mi scegliere una tinta imbarazzante, ok? È l’unica cosa che ti chieee…» e niente, travolto da un nuovo abbraccio del figlio non riuscì a finire la frase.
 
«Mio, mio, mio. Non ci posso credere. Allora credo proprio che lo farò di un bel rosa shocking, o giallo canarino, oppure… no, credo proprio che opterò per ricoprirlo di fiori» disse lui ridendo come un matto.
 
Dal rimanere sconvolto a tirargli un lieve pugno in testa, il passaggio fu breve. Se l’era cercata dopotutto.
 
«Ok, ok, la smetto, genitore degenere. È un regalo magnifico e inaspettato, grazie. Anche se c’è ancora tempo al mio compleanno.»
 
«Lo so, c’ero anch’io quel giorno» gli disse alzando gli occhi al cielo. «Se non ricordo male ti avevo promesso che a Erasmus finito, al tuo rientro avresti trovato una sorpresa come riconoscimento del tuo impegno all’estero. Ecco, ho solo anticipato un pochino i tempi. Quando tornerai in Italia in pianta stabile, inizierai a lavorarci. Ma, per il momento, ti conviene pensare al colore e agli interni come vuoi farli, così mi porterai le tue proposte e vedremo insieme se saranno fattibili. Io inizierò a procurarti qualche pezzo del motore originale e farò cromare i cerchioni, così li troverai già pronti all’uso.»
 
«Sei un mito, davvero.»
 
«Aspetta a dirlo quando inizierai a imprecare tra un lavoro e l’altro. Ti assicuro che mi odierai. Lo so, perché il mio primo lavoro serio e solitario – dopo qualche mese che ero qui – l’ho fatto restaurando una vecchia auto e precisamente una Giardinetta e non fu semplice. Antonio e il signor Fausto si sono fatti delle grasse risate alle mie spalle e io non facevo altro che fulminarli con gli occhi e mormorare parolacce al loro indirizzo. In più, quei simpaticoni, mi diedero quell’auto spinti dalla mia altezza, così avrei fatto doppiamente fatica a lavorare al motore.»
 
«Bè, allora devo dirti grazie per avermi risparmiato. La mia prima auto e sarò io a sistemarla, che emozione. Non vedo l’ora di iniziare.»
 
«Ehi, ehi, calma. Ho detto che sarà tua sì, ma a una condizione» gli disse guadagnandosi uno sguardo sconvolto «dovrà passare una revisione tripla. Mia, di Antonio e… del signor Fausto. Per lui sarà l’ultimo lavoro prima di ritirarsi, quindi vedi di mettercela tutta e di lasciargli un bel ricordo. Ha sempre avuto un debole per te e quando ti portavo in officina da piccolo, mi diceva sempre che promettevi bene data la tua curiosità su tutto ciò che era meccanico ed eri bravo con i piccoli lavoretti manuali che ti assegnava, ricordi?»
 
«Sì, benissimo, mi divertivo come un matto e…. che cosa hai detto? Tre revisioni positive? Oh, povero me. Ma ce la farò e poi ci sarai tu con me, a darmi una mano quindi nulla potrà andare storto.»
 
Bene, lui lo sperava. Ancora il signor Fausto non sapeva che lui e Antonio erano propensi a ritirare l’officina. Quando aveva detto all’amico del regalo per Bruno e della sua idea di farlo revisionare anche al loro capo…
 
 
«Mi sembra un’ottima idea. In questo modo concluderà la sua carriera in grande stile, sentendosi ancora utile. Allora siamo d’accordo? Accettiamo la sua proposta?»
 
«Sì, sono pronto. Pieno di paura per questa nuova avventura – che mai avrei pensato di intraprendere alla mia età – ma pronto e devo dire grazie a Gemma che mi ha fatto riflettere con poche e semplici domande.»
 

«Bene, era ora che arrivasse qualcuno a metterti un po’ di sale in zucca, amico. Devi farmela conoscere. Diventeremo soci e così sia» gli aveva detto prima di stappare due birre e brindare alla loro decisione.
 
 
Sorrise tra sé. La sua vita stava per subire un nuovo scossone. Certo che ne erano capitate di cose in poco tempo. Ora, per essere totalmente felice, restava solo di parlare con lo zio Dario e mettere la parola fine a quella brutta storia della setta. Ma per quello doveva aspettare ancora un paio di giorni, quando lui ed Elisa, sarebbero scesi a Milano per incontrarlo.
 
«Bene figliolo, se hai finito di girare attorno al pulmino, possiamo… ehi, ma dove sei finito?»
 
«Qua sotto, pà» urlò la sua voce e girando davanti vide le sue gambe lunghe emergere da sotto il parafango «stavo controllando una cosetta veloce e ora… uff, ho finito» gli disse poi, emergendo con un gran sorriso. «Stavi dicendo?»
 
«Tutto tuo padre, chissà che tipo è. Ah, ma sono io. Em, dicevo che possiamo andare a casa, ora» gli disse guadagnandosi un “Oh, povero me, guarda tu chi mi doveva capitare come padre” prima di seguirlo.
 
 

                                                                 &&&

 
 
Due giorni dopo, Martedì.

 
Era da dieci minuti che erano giunti a destinazione e ancora non si decidevano a scendere dalla macchina. Due cinquantenni terrorizzati da un vecchietto in RSA. Un vecchietto che – di lì a poco – avrebbe contribuito a dare loro delle risposte, o almeno così speravano.
 
«Forza e coraggio, fratello. È una cosa che va fatta. Dobbiamo solo scendere da qua ed entrare, che ci vuole?»
 
«Il coraggio?» Le rispose lui guardandola. «Ok, si va e che Dio ce la mandi buona. Anche se – chiedere aiuto a Lui per una cosa del genere – mi sembra un po’ blasfemo.»
 
«Ah, no. A me pare corretto invece. Chi potrebbe illuminare la mente e i ricordi di questo tuo zio Dario se non Lui? Dai, non indugiamo oltre. Come dicevo prima... forza, coraggio…»
 
«… e cuore di pecora» e quando sua sorella lo guardò con aria stranita, specificò «non chiedermi cosa significa, non lo so, ma era una cosa che lo zio diceva sempre e che mi è venuta in mente solo ora. Già che ci sono glielo chiedo.»
 
Altri cinque minuti dopo, vennero indirizzati dalla signora in guardiola, al reparto dove avrebbero trovato Dario Villa. Quinto piano, reparto coccinella, stanza 24.
Reparto coccinella? Ma chi diamine era che decretava quei nomi assurdi. A suo parere erano denigratori. Una persona arrivava a una veneranda età, necessita di aiuto e rispetto e si ritrovava alloggiata in un luogo che chiamava i reparti con i nomi degli insetti. Inconcepibile e inaccettabile.
Finalmente giunsero a destinazione. Un’OSS del reparto disse loro che potevano trovare Dario nell’aula di svago in fondo al reparto e fu davvero lì che lo videro, intento a leggere il giornale. Non si aspettava di scoprire che era sulla sedia a rotelle – l’investigatore aveva omesso quel particolare – ma data la sua patologia, era sensato. Il Parkinson non perdonava.
 
«Zio Dario?» Esordì lui sedendosi davanti a lui.
 
«Un attimo solo che finisco l’articolo, manca poco o se perdo il filo poi devo rileggerlo tutto» rispose lui, facendo esattamente quello che aveva detto.
 
Appena conclusa la lettura, Dario alzò lentamente lo sguardo dalla pagina e lo fissò per un minuto buono e poi – come se un fulmine l’avesse colpito – i suoi occhi si inumidirono mentre le sue labbra pronunciarono il suo nome. Ernesto si alzò e lo raggiunse, chiudendolo in un abbraccio e mormorandogli la sua gioia per averlo rivisto.
 
«Il mio piccolo nipotino è cresciuto» gli disse tra i singhiozzi.
 
«Giusto un pochino, zio» rispose lui lasciandolo libero «e ti ho portato una persona che vorrebbe tanto conoscerti» concluse indicando Elisa e facendole cenno di avvicinarsi.
 
«Oh, ma che bella donna, piacere» le disse stringendole la mano. «È tua moglie?» Gli chiese guardandolo.
 
«No, zio, io sono divorziato. Ho un figlio diciannovenne però. Lei è… è la mia gemella, Elisa.»
 
E lì, lo sguardo curioso di Dario si allarmò, mentre li fissava a turno.
 
«Scusa, sono diventato un po’ sordo nell’ultimo anno e temo di non avere sentito bene. Hai detto… gemella?»
 
«Sì, l’ho detto. Senti, possiamo parlare da soli per qualche minuto? C’è un posto dove non possiamo essere disturbati?» S’informò.
 
«Andiamo in camera mia, per fortuna mi hanno dato una singola abbastanza ampia. Ci sono anche due sedie e una poltrona di quelle comode comode che quando ti siedi ti ribalti.»
 
E così fecero. Informarono l’OSS di prima che avevano bisogno di tranquillità e poi la rassicurarono che non l’avrebbero fatto agitare.
 
«Ah, però, zio, è una reggia questa stanza» gli disse facendolo ridere una volta arrivati.
 
«Dopo un po’ che ci stai, diventa una prigione, anche se ampia. È tutto quello che ti rimane della tua libertà, il che è un bel controsenso, vero? Ma sono trattato bene e vedo mia figlia Roberta tutti i giorni, abita a solo un isolato da qua e viene a piedi. Sono stato io a chiedere di essere messo in questo posto, lei non ce la faceva più a seguirmi e la malattia peggiorava. Ma sedetevi pure.»
 
E così fecero. Gli parlarono un po’ delle loro famiglie e professioni, gli mostrarono le foto e Dario si commosse.
 
«Fammi capire bene. Tu sei un disastro ai fornelli e aiuti Elisa con il suo corso di cucina?» E quando lui annuì, Dario si rivolse a lei. «Non ha ancora incendiato niente, vero? No, perché mi ricordo che una volta, da piccolo, Ernesto quasi fece saltare per aria la cucina tentando di…»
 
«Ok, ok, zio, ha capito, non c’è bisogno di specificare e poi che ne sapevo io che non dovevo lasciare la padella con l’olio sul fornello acceso? Ho anche tentato di spegnere le fiamme con lo straccio» e poi disse a Elisa che lo fissava con aria sconvolta «avevo otto anni, per la miseria.»
 
«Ed è così che ti sei ustionato il braccio» gli ricordò lo zio, prendendoglielo e girandolo per mostrarlo alla sua gemella. Una bella cicatrice biancastra gli correva lungo tutto l’avambraccio. «Come immaginavo, c’è ancora. Era un vero discolo» le disse poi facendola ridere e poi divenne serio. «Ok, sono pronto. Chiedimi tutto quello che vuoi e non risparmiarti, ti meriti tutta la verità. Anzi, la meritate entrambi.»
 
E, il tono della conversazione mutò.
 
«Zio, per favore, parlaci de Il Cerchio Dorato
 
Ernesto pensò seriamente che lui stesse per mandarli via quando si incupì per poi girare il volto dall’altra parte. Guardò Elisa che, muta, si era avvicinata a Dario e gli aveva preso una mano tra le sue, sedendosi accanto a lui. Ernesto li raggiunse, imitando la gemella. Se fosse stato quel gesto a risvegliarlo dal suo stato non lo sapeva, ma funzionò perché il novantacinquenne Dario li fissò a turno e poi sospirò, prima di parlare.
 
«Sapete, sono contento che vi siate ritrovati, ci ho sempre sperato. Quella era una delle innumerevoli assurde regole che quella setta aveva e che mi hanno spinto ad andarmene. Questa scelta mi è costata anni di esilio, ma la mia vita era in pericolo. Ho dovuto rinunciare a tutto, anche al mio bel negozio di orefice. Ho perso l’amicizia dei vostri genitori – o almeno credevo che lo fosse – perché così come non hanno esitato ad abbandonare te, Elisa, hanno fatto anche con me. Ero diventato indesiderato.»
 
«Come hai fatto a farti abbindolare così?»
 
«Ero giovane, stupido e con grandi ideali di giustizia. Volevo fare qualcosa per cambiare il mondo che, per me, stava diventando troppo consumistico. Ho incontrato quello che poi scoprii essere il capo della setta a una fiera. Non so come, riuscì ad attirare la mia attenzione e così, in poco tempo, ne diventai un membro attivo. Con il mio lavoro avevo occasione di avere contatti anche con gente ricca, influente e mi misi d’impegno per reclutare quanta più gente possibile.»
 
«E due dei membri che riuscisti a portare con te, furono i nostri genitori.»
 
«Sì, e me ne sono pentito ogni giorno della mia nuova vita. Quello che non potevo immaginare è che loro diventassero importanti all’interno della setta e che risalissero la china fino ad arrivare a essere nominati vice. Ero talmente cieco che non gli impedii di compiere la loro più grande pazzia di sempre e questo, negli anni, mi ha distrutto. Erano così felici di aspettare due gemelli, ma quando ricevettero la notizia che eravate eterozigoti… cambiarono e non vollero sentire ragioni. Tu, Elisa, dovevi sparire. E così – grazie a uno degli adepti che era un ostetrico, di un secondo che era un medico legale e di un terzo, proprietario delle pompe funebri – decretarono la tua morte in sala operatoria e ti resero adottabile.»
 
Dio, quella notizia era molto peggio di quella che avevano sperato. I coniugi Roversi avevano pianificato tutto, non era stato un gesto post parto, ma era voluto e deciso a tavolino addirittura mesi prima della loro nascita. Ernesto si girò verso la gemella che, muta, fissava zio Dario e gli teneva la mano stringendola forte tra le sue.
 
«Ma qualcuno avrà assistito alla mia nascita, oltre all’ostetrico incriminato. Di sicuro ci sarà stato un team in sala parto. Com’è possibile che io sia sparita così e nessuno si sia opposto?» Gli chiese Elisa con fece ferma, ma dolce.
 
«Già, ma erano tutti complici e poi l’ospedale dove siete nati era stato scelto apposta. Diciamo che era ambiguo, sotto certi aspetti.»
 
Sempre peggio. I loro genitori ne uscivano malissimo. Allo schifo non sembrava esserci mai fine.
 
«Non… non ho parole. Non riesco a conciliare quello che mi dici con quello che ho vissuto. Non sembrano neanche le stesse persone» si prese un momento per calmarsi e poi riprese «non hai più saputo niente della setta, zio Dario?»
 
«No, niente, per fortuna. Anche se…» e poi sbiancò.
 
«Zio, stai bene? Devo chiamare qualcuno?»
 
«No, Ernesto, no. Anni dopo che mi trasferii a Belluno, mi stavo recando al lavoro – sai, dovevo mantenere un profilo basso e così mi convertii in magazziniere in un grande produttore di frutta e verdura – quando notai due personaggi che avevo già visto come adepti e così mi sono nascosto in un’edicola e li ho tenuti d’occhio. Stavano parlando con un tizio in giacca e cravatta. Ho avuto paura, lo ammetto. Per una settimana questi incontri si protrassero e allora mi convinsi che non poteva essere stato un caso. Andai alla polizia – che era già stata informata della mia storia dai loro colleghi lombardi – e li feci arrestare, dopo mesi di pedinamenti e, seppi poi, grazie all’opera di due agenti infiltrati. La nuova cellula che avevano creato fu smantellata. Non parlarono mai e così non seppi mai se stessero cercando me o se era un caso che erano arrivati proprio nella mia nuova città per proseguire il tutto. E non parlarono, perchè si tolsero la vita.»
 
Che la setta fosse pericolosa, l’investigatore gliel’aveva detto, ma non pensava che arrivasse a tanto. Zio Dario era stato fortunato. I suoi genitori sopravvissero perché non parlarono mai di tutta quella storia. A questo punto si chiedeva quanti altri avevano perso la vita per proteggere Il Cerchio Magico.
 
«Sono sicuro che da qualche parte, ci sarà sempre un piccolo distaccamento della setta» Dario interruppe le sue riflessioni.
 
Cosa? Stava scherzando, vero? Era una cosa terribile anche solo da pensare. Chissà quanti altri casi come loro c’erano in giro per l’Italia se zio Dario aveva ragione.
 
«Io sono potuto rientrare perché vecchio, malato e povero. Per proteggermi meglio, i poliziotti fecero in modo di simulare la mia morte e mi cambiarono identità. Non li ringrazierò mai abbastanza finché avrò vita e anche dopo, andrò a cercarli. Sono registrato qua a mio nome perché chi poteva conoscermi, è mancato a sua volta e le nuove generazioni non hanno interesse verso un ultra novantenne. È stato emozionante potere usare di nuovo la mia vera identità. E vedere voi due uniti, oggi, lo è ancora di più. Sono felice.»
 
«Anche noi, non sai quanto. Finalmente la nostra vita è completa e ti perdoniamo, vero Ernesto?» Sentenziò Elisa e lui annuì.
 
«Zio, il nostro investigatore che ti è venuto a trovare tempo fa, ha detto che aspetta il nostro via libera per continuare le indagini. Noi siamo disposti a darglielo. Tu cosa ne pensi?»
 
E fu a quel punto che zio Dario sbiancò e prese a scuotere la testa con decisione.
 
«Pensaci. Potrebbero saltare fuori altri casi come i nostri. E finalmente si farebbe chiarezza prima di annientarla per sempre, se davvero è ancora attiva.»
 
«Ernesto, non scherzare con il fuoco che ti bruci, è pericoloso. E dite anche a quel tipo di starne ben lontano. La setta conta membri influenti, oltre che imprenditori di spicco. Se riesce sempre a farla franca e spostarsi tra le regioni, un motivo c’è. Purtroppo, tra i membri vi sono anche giudici, avvocati, militari, politici… no. Dimenticatevi che esiste e vivete il vostro presente. Vi mettete tutti a rischio e per cosa? Per ottenere delle risposte oltre alle mie? Per vedere cadere i capi come mosche? Per riunire famiglie spezzate dalla loro follia? Non ne vale la pena. So che è dura, ma dimenticatevi di loro, non parlatene mai più dopo oggi. Chiuso, fine, stop.»
 
Forse zio Dario aveva ragione, decise lui e anche Elisa doveva essere d’accordo, visto lo sguardo che gli lanciò non vista dallo zio che aveva chinato il capo sconfortato.
 
«Ne hai ancora paura!» Sentenziò lui.
 
«E ne avrò per sempre, anche se è limitato il tempo che mi resta a meno che di non diventare un ultra centenario da record» cercò di scherzarci su. «Dovete dire al vostro uomo di distruggere eventuali altre notizie che ha raccolto mentre cercava te, Elisa. E dovete pretendere che lo faccia davanti a voi. Dissuadetelo dal continuare per il bene di tutti, anche il suo. Esaudite il desiderio di un vecchietto sulla sedia a rotelle.»
 
Ernesto vide che parlare della setta l’aveva provato molto e che lo zio si stava per addormentare, rischiando di cadere. Doveva averlo notato anche Elisa perché la vide uscire e tornare poco dopo con due OSS che lo misero a letto.
Prima di andarsene, Ernesto si sporse verso le spondine del letto e lo abbracciò brevemente. Lo zio lo trattenne per un braccio e cercò la sua mano, il respiro sempre più lento e gli occhi aperti a fatica. Poi porse quella libera a Elisa che si affrettò a prenderla dall’altra parte del letto e parlò.
 
«Sono felice che il bene abbia trionfato su tanto male assurdo e di avervi visto insieme. Col senno di poi, so che avrei dovuto parlare, ma non lo feci perché credevo veramente in tutte quelle sciocchezze. Mi dispiace immensamente. Siate quello che quei due sciocchi non vi hanno permesso di essere: una famiglia. Ora scusatemi, ma sono molto stanco. Vi rivedrò ancora? Sarebbe bellissimo. Oggi abbiamo parlato solo di questa brutta storia, ma ora voglio recuperare il tempo perso. Un ultimo consiglio vi lascio: abbiate forza, coraggio e cuore di pecora.»
 
Fecero appena in tempo ad annuire, che zio Dario si era già addormentato. Uscirono dalla struttura, più agitati di come ci erano entrati e raggiunsero l’auto.
 
 

                                                             &&&

 
 
Elisa era senza parole e con lei Ernesto. Come all’arrivo, trascorsero qualche minuto fermi nel parcheggio prima di partire.
Molti loro dubbi avevano ottenuto risposte, ma altri no e temeva che Dario avesse ragione. Affrontare un’organizzazione del genere era pericoloso, non solo per loro, ma per tutti quelli che ne sarebbero rimasti coinvolti di riflesso e lei non voleva accadesse.
Però… però…
 
«Che tipo! Arzillo e sveglio per la sua età, aveva ragione il Redaelli.»
 
«Sì, lo zio è sempre stato un personaggio, sono sollevato di sapere che tutto questo schifo non ha cambiato questo suo aspetto.»
 
«Ti sei dimenticato di chiedergli il significato di quello strano modo di dire.»
 
«Credo di averlo capito da me. Vuole dire che nella vita bisogna proseguire nonostante tutto, anche se si ha paura, per ottenere quello che si desidera.»
 
Sì, poteva starci come spiegazione ed era proprio quello che zio Dario aveva fatto per tutta la sua di vita. Un consiglio da non sottovalutare e seguire.
 
«Ernesto, senti» gli disse facendolo girare verso di sé «io sono contenta anche così, non mi servono altre risposte. Abbiamo fatto bene a venire qua e chiedere un suo consiglio in merito. Stavamo per commettere un errore madornale.»
 
«Lo so, ma… non riesco a lasciare andare così tutta questa storia.»
 
«Devi e io con te. Siamo insieme ora, hanno perso» gli disse con foga e poi aggiunse «però c’è una cosa che possiamo fare.»
 
E quando il gemello la guardò con aria sgomenta e chiese del tempo per riflettere in solitaria sulla sua idea tanto assurda quanto intrigante – prima di fare fronte unito e informare tutti – seppe di avere già vinto.

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Capitolo 10
*** Dolce sentimento ***


Un mese e mezzo dopo
 
«Tonyyy! Tonyyy, ma dove cazzo sei finito?»
 
Sparito. Eppure, lo aveva spedito in magazzino a prendere la frizione nuova che era arrivata qualche giorno prima, cosa c’era di così difficile? Aveva mandato lui perché non aveva idea dove l’amico l’avesse appoggiata e poi stava dando un occhiata al sotto scocca per vedere in che condizioni era messo il vecchia mini del professor Cazzaniga.
 
«Tonyyyy, insomma ti muovi? Vorrei cambiarla prima di sera.»
 
«Io ti vado bene lo stesso, Ernesto?» Esordì una voce alle sue spalle che, decisamente, non apparteneva ad Antonio.
 
Come? Ma chi… Ernesto si bloccò e si girò di scatto verso la voce femminile che aveva risposto al posto dell’amico e rimase di sasso. Tunica nera con scollo a v pronunciato a maniche corte con fiori stampati sopra, pantalone blu scuro, scarpe da ginnastica e un sorriso che illuminava tutta l’officina. Bellissima.
 
«Gemma! Che… che bella sorpresa, inaspettata» le disse recuperando lo straccio infilato nella tasca della tuta e pulendosi le mani come meglio poté.
 
«E bè, certo, se ti avvisavo che razza di sorpresa era?» Lo prese in giro lei e poi gli sorrise. «Buon compleanno!» Gli disse poi appoggiando la borsa di stoffa che aveva in mano ed estraendone una scatola con una piccola torta dentro.
 
«Oh, oh… grazie. Ma come fai a saperlo.»
 
«Ernesto, e va bene che il lavoro ti prende completamente, ma ti ricordo che hai una gemella, che è mia amica dalle superiori. Compleanno suo – ergo – compleanno tuo. È palese, no?» Lo prese in giro.
 
Già, ovvio. Che figura da cretinetti in vacanza. Che figur de merda. Che diamine gli prendeva ogni volta che era in compagnia di quella donna. Adesso ai sogni erotici su di lei si era aggiunto il cervello in gelatina, neanche fosse ancora un adolescente in preda agli ormoni impazziti. Aveva cinquant’anni cazzo. Cinquantuno!
 
«Oh, mio, Dio. Iron Man!»
 
Una deliziosa torta bianca con fragole tagliate ai lati e sopra, l’effige gelatinosa del suo super eroe Marvel preferito, gli venne alzata davanti agli occhi.
 
«Hai detto che sei un suo fan e che avresti tanto desiderato una torta con la sua immagine e così…»
 
Ma non riuscì a finire la frase, perché Ernesto la vide scivolare su una pozza d’olio lì vicino e sbilanciarsi pericolosamente all’indietro, così fece l’unica cosa possibile, portò un braccio dietro di lei e uno alla sua vita e la sostenne. E Gemma fu salva. E anche la torta. Specialmente quella fantastica… torta.
Aveva sempre avuto quegli occhi così penetranti e di un verde così limpido che ci si poteva specchiare? E la pelle così morbida e calda? Sotto il suo sguardo aveva visto le gote di Gemma prendere fuoco e visto il suo respiro farsi più affrettato. La cosa gli faceva molto piacere e non voleva interrompere quel contatto.
La sollevò di qualche centimetro e l’adagiò su un tavolo mezzo libero che stazionava lì vicino, le prese la torta dalle mani e l’appoggiò lì accanto e poi… che qualcuno lo aiutasse stava per baciarla e lei non faceva nulla per impedirglielo, anzi. Le sue mani ora libere, gli risalirono lungo le braccia e andarono a intrecciarsi dietro il suo collo. Gemma gli sorrise con imbarazzo, poi si passò la punta della lingua sulle labbra ed Ernesto fu perduto.
Addio razionalità, benvenuta passione.
S’impossessò con fare famelico delle sue labbra che subito risposero al suo assalto e lo fecero impazzire. Gemma le schiuse leggermente e lui ne approfittò, invadendola con la lingua ed esplorandola nel profondo, gesto che fu subito ricambiato da quella bellezza.
Ernesto la baciò per un tempo che gli parve sia infinito che misero e smise solo quando le sue labbra reclamarono aria ed ebbero perso la sensibilità.
Si ritrasse lentamente e guardò Gemma negli occhi ancora appannati dalla passione. Il generoso seno di lei si muoveva contro di lui e lo fece impazzire, come le mani che gli aveva messo nei capelli e che li stavano tormentando in modo molto erotico.
Le sorrise e lei ricambiò. Ora era sicuro di essere arrossito a sua volta, si sentiva le orecchie in fiamme. Ernesto si schiarì la voce e tentò di parlare.
 
«Em… io… wow! Lo dico e lo confermo, il miglior bacio della mia vita.»
 
«Sssì, decisamente anche per me. Spettacolare» gli rispose con un voce roca che gli fece bollire il sangue nelle vene «dimmi perché ci abbiamo messo tanto» gli chiese poi.
 
«Perché siamo due stupidi» le rispose lui dandole lievi baci sul viso per poi sfiorare nuovamente le sue labbra.
 
Dio, erano così dolci e morbide. Avrebbe passato volentieri tutto il giorno a baciarla.
 
«Come facciamo per stasera?» E poi aggiunse quando lo vide fissarla con aria stralunata. «La cena di compleanno da Elisa. Quella è un mastino. Se anche solo le viene il sospetto che noi due… che noi…»
 
«Ci siamo baciati con molto trasporto e passione?»
 
«Sì, ecco. È stato bellissimo, per la cronaca e non mi dispiacerebbe rifarlo. Ma a Elisa basterebbe un solo sguardo a noi due per capire che le nascondiamo qualcosa. Perché… perché è impossibile per me dimenticarlo.»
 
Quelle parole, inutile dirlo, gli fecero molto piacere e lo galvanizzarono non poco.
 
«Ma tu non devi dimenticarlo, anzi. Confido che d’ora in poi ce ne saranno molti altri e non solo. E se Elisa lo scoprisse… bè, meglio così, almeno mi risparmia il compito di informarla. A mio rischio e pericolo s’intende. Il giorno stesso che ci siamo conosciuti e anche quando sei apparsa qui la prima volta, mi ha minacciato di farmela pagare cara se ti avessi fatta soffrire.»
 
«Quella piccola… intrigante»
 
«Già, un’intrigante che aveva già capito quello che io ho cercato sempre di negare fino a oggi» gli occhi di Gemma chiedevano spiegazioni e allora specificò «ovvero che mi hai colpito fin dal primo nostro… scontro e che voglio frequentarti, in barba a quello che mi sono sempre detto sul non farlo mai più. Sei tremendamente sexy, bella, intelligente e dolce che desidero conoscerti meglio. Desidero anche farti mia, ma forse è ancora troppo presto per questo, me ne rendo conto. Desidero essere il tuo uomo e che tu sia la mia donna. Solo mia. Allora, che dici, ti va l’idea di uscire con me come… amanti?»
 
 
                                                              ֎֎֎֎֎
 
 
A… amanti? Loro due? Oddio sì! Ma poteva rischiare di dirglielo? Insomma, erano amici e fino a quel momenti tra loro non c’era mai stato nulla. Nemmeno la settimana precedente quando Ernesto era passato per il famoso giro che gli aveva promesso sul suo Maggiolino Volkswagen.
E ora… Dio, l’aveva baciato e con che slancio. Lei era passata all’officina solo per dargli la torta, non si era aspettata un gesto del genere da parte sua e ora non riusciva a immaginarsi senza. Ernesto baciava benissimo. Era un uomo stupendo con un fisico stupendo e un anima ancora più stupenda e lei si era perdutamente innamorata di lui. Certo, all’inizio si era risentita per il suo commento non troppo carino sul suo lato b e l’aveva preso a male parole, ma poi si era riscattato e ora… aveva ricambiato il suo bacio e ne voleva altri.
Le aveva appena fatto una dichiarazione d’amore così appassionata e vera che sentì le lacrime salirle agli occhi, ma le ricacciò indietro. Non voleva essere fraintesa da lui.
Gemma si rese conto di essere stata in silenzio troppo a lungo e decise di rimediare, prima che lui travisasse la sua mancanza di reazione.
 
«Mi piacerebbe» gli confessò facendolo arrossire «devo essere pazza per volere una relazione alla mia età, ma è quello che desidero. Anche io mi sento irrimediabilmente attratta da te in tutti i sensi e non ti nascondo che mi piacerebbe essere tua… fisicamente. Sono pazza?»
 
«Allora lo siamo in due ed è bellissimo» le rispose spostando le mani sul suo corpo con fare sensuale e gentile e lei fremette a quel contatto, il respiro corto. «Morbida e reattiva. Non sai quanto vorrei essere altrove per esplorarti meglio, ma ti prometto che accadrà presto, mio amore.»
 
Poi Ernesto tornò a catturare le sue labbra, Gemma si strinse al suo corpo e si perse, o almeno lo fece fino a quando una voce non si intromise.
 
«Ah, em… io ti avrei anche portato la frizione che tanto desideravi, ma vedo che il tuo interesse si è spostato altrove.»
 
Ops. Beccati. Le scappò un sorrisetto e cercò di ricomporsi alla meglio. Fece per scendere, ma Ernesto si mise accanto a lei con una mano sul fianco per bloccarla e parlò con il nuovo venuto.
 
«Tony, alla buon’ora. Dove sei andato a recuperarla, in Canadà?»
 
«Ah, ah, ah. Non è spiritoso il nostro Ernesto, signorina…»
 
«Gemma» rispose lei prima che lui parlasse al suo posto «piacere di conoscerla, Tony.»
 
«Sarebbe Antonio, ma qui non badiamo alle formalità. E così lei è la famosa donna che ha fatto perdere la testa al mio futuro socio?»
 
«Tonyyy, molla la frizione e vattene. Non fare la comare, ora e poi, se non te ne sei reso conto, sei di troppo. Io e la signorina stavamo… parlando e tu ci hai interrotto proprio sul più bello» gli rispose Ernesto facendola ridere nell’immaginarsi l’amico vestito da vecchia pettegola.
 
«Ernesto non essere maleducato. È solo curioso. Lo sarei anch’io al suo posto» gli disse e poi si rivolse a Tony. «In realtà sono passata solo a fargli gli auguri e a portargli…» indicò il dolce accanto a lei.
 
«Tortaaaaa! Signor Fausto venga, si mangiaaa!» Urlò quello all’indirizzo di qualcuno che, al momento, mancava e non aveva mai visto.
 
Ma quante persone ancora erano nascoste lì dentro? Oddio, in quanti li avevano visti baciarsi e amoreggiare? Che imbarazzo. Ernesto la faceva tornare ragazzina e le annullava i neuroni a suon di parole dolci e baci. L’aveva già detto che baciava benissimo?
Per fortuna sua, solo due persone. Antonio e il famoso signor Fausto che tanto Ernesto adorava e rispettava.
 
«Torta? Ho sentito bene?» Esordì Fausto.
 
Era un ometto anziano, dall’aria stanca e con rughe marcate sul tutto il viso su dove spiccavano due grandi occhi grigi e ancora vivaci. A Gemma fu subito simpatico.
 
«Veramente sarebbe mia, ma sì dai, faccio un piccolo sforzo e la condivido con voi due. Voglio essere magnanimo, dato che oggi invecchio.»
 
«Troppo gentile, grazie» lo prese in giro Tony portandosi una mano sul cuore e fingendosi commosso e facendola ridere prima di rivolgersi all’anziano «sa, Signor Fausto, poco fa non mi sembrava così vecchio visto che l’ho beccato mentre se la spassava con la sua amichetta sul lavoro.»
 
«Davvero? Non è da te, Ernesto. Devi tenerci davvero molto a questa bella donna che, a quanto pare, ha catturato la tua attenzione. A proposito, signorina, incantato di conoscerla, finalmente» le disse stringendole la mano con vigore.
 
«Tonyyyyy! Pettegolo» lo riprese lui bonariamente. «Gemma non è la mia amichetta» e qui il suo cuore si fermò, fino a che lui riprese e anche i battiti, molto più accelerati ora «è la donna che intendo frequentare ufficialmente.»
 
«Oh, mio… mi metti in imbarazzo così, Ernesto. Non so che dire, davvero» intervenne lei
 
«Allora lo faccio io. E io dico che era ora uscissi dalla clausura dopo la fine del tuo matrimonio con quella megera di Gianna» intervenne Fausto che si guadagnò occhiate sbalordite da parte dei due meccanici. «Lo era, non fate finta di non saperlo. Non ho mai detto nulla perché ti vedevo innamorato e poi per rispetto alla nuova vita che avevate creato, il mio figlioccio, Bruno. Ma ora… sei rinsavito e ti sei messo al fianco una bella donna – che si vede chiaramente quanto è innamorata di te – e che ti ha portato una torta. Ernesto, non mi risulta che la tua ex l’abbia mai fatto, o sbaglio?»
 
Oddio, che imbarazzo. E adesso che faccio, che dico? Elisa mi aveva detto qualcosa sull’ex moglie di Ernesto, ma non che fosse una tale insensibile. E Bruno è un così bravo ragazzo, che sono felice abbia preso dal padre il suo carattere., pensò.
 
«Una torta che spero vi piaccia.»
 
«Certo che ci piacerà. Ha le fragole e io le adoro, per non parlare poi di Tony qua sopra. Non capisco perché non ci hai messo me e il mio sguardo ammaliatore. Io sono più bello, vero Gemma? Anche di Ernesto lo sono, vero? Hai visto che occhi magnetici che mi ritrovo? Blu come il mare profondo. E il fisico? Sono o non sono un adone?» S’intromise Antonio piegando le braccia come i culturisti.
 
«Ma sentitelo come si pavoneggia» gli disse Ernesto dandogli una manata sulla schiena mentre tutti ridevano «Adone… piuf! Mi spiace, amico, ma perdi su tutti i fronti con lui e con me e poi… ti ricordo che hai una moglie e se ti sentisse fare il cascamorto con la mia Gemma… sai cosa ti accadrebbe, vero? E io rincarerei la dose come minimo.»
 
«La smettete di battibeccare voi due? Siete peggio dei bambini dell’asilo che bisticciano. Io voglio mangiare la torta» intervenne il signor Fausto «e al macero la dieta per una volta. Signorina, li perdoni. Me ne taglierebbe una fetta, se non lo è di disturbo? Se il sapore è buono come bella ne è la vista, l’autorizzo a passare da noi tutte le volte che vuole.»
 
Quell’uomo era adorabile e si vedeva benissimo che teneva ai suoi due lavoranti. Tutti e tre formavano una famiglia anomala, ma molto unita. Era bellissimo.
Finalmente era riuscita a confessare il suo amore a Ernesto e stentava ancora a credere che fosse corrisposto. Mesi passati a guardarlo da lontano, ad ammirarlo, a capirlo, a sospirare per lui. Mesi in cui un sentimento nuovo e del tutto inaspettato le aveva sconvolto la vita piano piano e si era insidiato nel suo cuore con forza fino a impossessarsene totalmente. Mesi in cui era diventato un tormento anche solo parlarci per telefono. E ora… ora era suo. Non sapeva cosa l’avesse spinta a fargli quella torta speciale quella mattina – visto che per quella sera stessa ne aveva pronta una più grande e “anonima” da portare alla festa a casa di Elisa – ma sapeva che voleva donargli qualcosa di speciale. Il ricordo della loro conversazione sui super eroi Marvel era rientrato di prepotenza nella sua testa e da lì a realizzare un piccolo desiderio culinario di Ernesto, il passo era stato breve.
Meno male aveva portato un pacco di piatti di carta riciclata e delle forchette extra, presumendo che Ernesto l’avesse mangiata in officina con i suoi colleghi, una volta che lei fosse andata via. E invece era lì con loro. La prima fetta andò al signor Fausto, in quanto era il più anziano lì dentro, poi a Tony che la reclamava a gran voce come un bimbo goloso e la terza a lui che – con suo sommo stupore – la divise con lei, un boccone alla volta. Era un gesto così innocente eppure… era anche così erotico che si ritrovò ad arrossire come non mai.
 
«Bene. Tony» esordì il principale dopo aver riposto il suo piatto sul tavolo «direi che dovrai lavorare tu oggi sull’auto del professore, visto che Ernesto è esonerato dal lavoro. Finisci la torta e inizia, deve essere pronta per lunedì sera che viene a ritirarla e quindi vai di olio di gomito. Buona giornata signorina e grazie per questo delizioso intramezzo che ho molto apprezzato» poi tornò in ufficio, ma non prima di avere fatto l’occhiolino al festeggiato.
 
L’annunciò stupì lei quanto Ernesto, ma non l’amico che li salutò con battutine maliziose e si diresse laddove prima aveva trovato Ernesto.
Lo guardò. Era davvero bellissimo. Forse doveva averlo fatto con insistenza perché lui si girò e le sorrise, prima di travolgerla con un nuovo bacio che le fece tremare le gambe.
 
«Dammi cinque minuti e poi sarò tutto tuo per il resto della giornata. Passi da me? Così poi passiamo da te a prendere la torta che ci hai fatto e andiamo insieme alla festa, anche se preferirei di gran lunga stare con te per tutto il fine settimana, visto che oggi è venerdì.»
 
«Ti aspetto qui. E chi ti dice che una volta tornati non possiamo farlo? Raramente prendo ordini per il fine settimana e questo che sta arrivando, è libero.»
 
«Se l’avessimo programmato, poco, ma sicuro, sarebbe saltato tutto e invece… hai reso questa giornata speciale in tutti i sensi. Il più bel compleanno di tutta la mia vita, grazie mio amore» le disse prima di sfiorarle brevemente le labbra.
 
«Ti piace proprio chiamarmi così, vero?»
 
«Sì, Gemma, lo adoro a dire il vero, come adoro avere qualcuno a cui dirlo all’infinito, finalmente. Torno presto tu non scappare nel frattempo, ok?»
 
«Non vado da nessuna parte» gli rispose.
 
Mentre lo guardava allontanarsi per andare a cambiarsi, il suo cuore impazzì. Lo amava, Dio mio, lo amava davvero tanto. Andava per i cinquanta tre anni ed era la prima volta che poteva dirsi davvero innamorata.
 
 
                                                            ֎֎֎֎֎
 
 
«Sei nervosa, mio amore?»
 
«Sì. Non fraintendermi ora, caro, ma questa non è più una semplice festa di compleanno. Non appena varcheremo quella soglia, tua sorella capirà e allora…»
 
«Allora, dopo averci fatto il terzo grado e lanciato qualche urlo, sarà contenta per noi. Minaccerà me come al solito e compatirà te cercando di farti capire che sei impazzita. Siamo adulti, Gemma, se vogliamo stare insieme possiamo farlo senza problemi e senza il suo permesso.»
 
Poi, Ernesto l’aiutò a scendere dall’auto e la baciò con foga proprio lì, nel parcheggio antistante la villetta della sua gemella, con il rischio di essere scoperti prima del tempo.

 
«E Bruno? Come al prenderà? Insomma, tra due settimane sarà qui e verrà a stare da te. Mi odierà, vero? In fondo ho sedotto suo padre e…»
 
«Lui l’aveva capito prima di me e lasciami dire che lo conosco molto bene, tanto da dirti con assoluta certezza che ne sarà felice. E poi, sedotto? Se è per quello ci ha pensato il tuo culone a farlo, prima di te e delle tue parole stizzite che mi hai lanciato» poi, prima che lei potesse replicare, aggiunse «culone che io amo alla follia e che si adatta bene alle mie mani quando faccio così.»
 
E alle parole, fece seguire i fatti stringendoglielo e aderendola meglio a lui. Sentì Gemma sussultare dalla sorpresa, ma non si sottrasse al suo tocco.
Quella giornata era stata perfetta sotto ogni punto di vista.
Prima la sorpresa all’officina con conseguente bacio sconvolgente e dichiarazione d’amore. Dio, doveva essere davvero impazzito. Poi, l’arrivo al suo appartamento dove avevano passato tutto il pomeriggio a pomiciare sul divano come due ragazzini. Le risate e le chiacchiere si erano sprecate e quando Gemma gli aveva confidato di avere subito adorato suo figlio che reputava molto sensibile e intelligente, lui si era sciolto, da bravo padre orgoglioso qual era.
E ora erano lì, in procinto di andare alla festa del suo primo compleanno congiunto con Elisa e avrebbero dato scandalo. Sì, ok, l’attenzione doveva essere rivolta ai gemelli ritrovati quella sera, ma cosa poteva farci lui se era coinciso anche con il primo giorno della sua vita da innamorato cotto?
Dopo avere dato un ultimo bacio a Gemma, la prese per mano, si diresse alla porta e suonò il campanello. Subito dei passi affrettati seguiti dalla voce squillante di sua sorella, li raggiunsero.
La porta si spalancò, Elisa lo travolse in un abbraccio caloroso, seguito da un bacio sulla guancia e poi si bloccò. Ernesto capì che la gemella si era accorta della sua mano intrecciata stretta a quella di Gemma quando lanciò un urlò, seguito da un…
 
«Oh, cazzo. Voi due andate a letto insieme per caso?»
 
… che li lasciò entrambi a bocca letteralmente aperta. Cosa?

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Capitolo 11
*** Attimi di passione ***


Come, come? Ma Elisa era impazzita del tutto? Oddio, quanto lo avrebbe voluto – fare l’amore con il suo aitante fidanzato – ma si rendeva conto che era ancora troppo presto. Gemma era innamorata persa di Ernesto e si era ritrovata spesso a fantasticare su di lui, ma da quando avevano fatto il passo successivo e aveva sentito la sua tonicità sotto le mani e sperimentato le magie che sapevano compiere le sue labbra… doveva ammettere che quel pensiero era diventato più pressante che mai.
 
«Em… no» le rispose titubante «che ti viene in mente?»
 
«Non so… quelle mani così unite, salde e il vostro rossore – chiaro segno di eccitazione sessuale – stanno lanciando un segnale luminoso con su scritto “ci abbiamo dato dentro come ricci tutto il giorno e non abbiamo ancora finito, quindi vediamo di concludere in fretta questa festa che abbiamo di meglio da fare.”»
 
Gemma era sconvolta. Le stava per rispondere per le rime quando fu anticipata da Ernesto e, suo malgrado, si ritrovò a sorridere dell’espressione che comparve in volto alla sua amica una volta che il gemello ebbe finito e ad arrossire violentemente per i pensieri che le vennero a seguito di quelle parole.
 
«A parte che un cartello del genere sarebbe un poco ingombrante da portare in giro, ma vuoi farci entrare o dobbiamo farci gli auguri qua sulla porta e poi salutarti velocemente per essere liberi di andare a seguire il tuo consiglio? Ti confesso, sorella, che non vedo l’ora.»
 
Quindi anche lui voleva… e aveva pensato spesso a… oh, mio, Dio. Lo guardò con la coda dell’occhio e sentì la sua stretta intensificarsi. Sì, anche Ernesto la desiderava e quella rivelazione le accelerò i battiti del cuore, tanto che aveva paura potessero essere uditi da lui.
 
«Oook, ho esagerato e mi scuso, ma cavoli… se non lo avete ancora fatto, siete sulla buona strada miei cari» insistette ancora l’amica distogliendola da quei pensieri inopportuni.
 
«Elisa!» sbottarono insieme, entrambi imbarazzatissimi.
 
«E io sono felicissima per voi, finalmente» concluse abbracciandoli velocemente e poi «ok, passiamo alle cose più urgenti ora… c’è una torta di là che ci aspetta e se non volete che la mangi tutta io…»
 
Poi Gemma si ritrovò a seguire l’amica, la mano ancora più salda in quella di Ernesto che le sorrise e fece l’occhiolino. Prova superata.
 
«Ehilà, gente, i neo piccioncini sono arrivati e ora, finalmente, si mangia!» Dichiarò con voce tonante una volta raggiunta la sala.
 
E niente, la parola discrezione non faceva parte del vocabolario di Elisa. Bè, poco male, presto o tardi si sarebbe saputo. Gemma si sentì preda di un improvviso panico. Non era troppo presto per farsi vedere in giro come coppia? Eh, forse, ma ora era decisamente troppo tardi se doveva dare retta ai fischi e alle battutine che avevano accompagnato il loro ingresso.
C’erano proprio tutti. La famiglia di Elisa, i genitori adottivi di lei, la sua amica Mara col marito Giulio, e gli amici di Ernesto che aveva intravisto, ma che ancora non aveva conosciuto ufficialmente, a parte Antonio quella mattina stessa in officina.
 
«Io lo sapevo» esordì Mara «tra voi due c’è stata chimica fin da subito. Altro che culona e gran cafone
 
«A dire il vero, fino a stamattina…» provò a dire lei, ma fu subito interrotta da Antonio, anzi, Tony.
 
«Posso testimoniare che, effettivamente, questi due sono stati travolti dalla passione sul tavolo degli attrezzi e che – una volta scoperti da me e dal capo – hanno cercato di minimizzare la cosa, fallendo penosamente.»
 
A quelle parole dell’amico, tutti scoppiarono a ridere mentre sia lei che Ernesto diventavano di tutti i colori. Oh, questa poi. Fu ancora una volta lui a trarla in salvo e Gemma decise che, una volta rimasti soli, gli avrebbe dimostrato il suo ringraziamento in un modo veramente speciale e privato.
 
«Ehi, ma questa è una festa di compleanno o un agguato? E andiamo dai, non esagerate adesso. E, per la cronaca… Gemma, posso?» Le chiese prima di proseguire e quando lei annuì colpita da tanta delicatezza, disse. «Sì, ci amiamo e sì, ci siamo messi insieme stamattina. Il più bel regalo di compleanno di sempre, oserei dire. Soddisfatti? Perché ora accantonerei la cosa e tornerei a festeggiare il vero motivo per cui siamo tutti qui. Il nostro primo compleanno, Elisa. Nostro. Mi spiace non ci sia Bruno, ma tornerà in pianta stabile tra una settimana e allora rimedieremo con una seconda festa, in famiglia. E ora, cara sorella e cari tutti, anche io ho fame e quella enorme torta lì mi sta chiamando.»
 
E da lì in poi, tutto fu più facile. Sì, le battutine al loro indirizzo non scemarono del tutto, ma furono surclassate dagli aneddoti sull’infanzia e sulla vita di entrambi i fratelli, prima di ritrovarsi. Ernesto parlò dei genitori, della sua passione per i motori che tanto li faceva impazzire e di Bruno, tralasciando la setta e la sua ex moglie. Elisa dell’amore per la cucina e delle marachelle che la vedevano coinvolta con le sue due amiche storiche che confermarono e rincararono la dose, oltre a qualche aneddoto spassoso sulle sue gemelle che – vedendosi coinvolte – la pregarono di smetterla di imbarazzale, inutilmente. 
Gemma si trovò subito in sintonia con gli amici di Ernesto, in modo particolare con Claudio che la fece ridere fino alle lacrime con le sue battute.
Finì tutto in un baleno e presto si ritrovò a essere accompagnata a casa da Ernesto. Doveva chiedergli di restare? Doveva mandarlo via? Improvvisamente tutto il coraggio che aveva evaporò come neve al sole. Pensava di essere più coraggiosa e farsi audace con lui una volta soli, ma… non era da lei un atteggiamento del genere e non voleva dargli l’impressione sbagliata. Quel giorno erano già successe tante cose belle e non voleva rovinare tutto con uno stupido impulso sessuale a lungo represso.
 
«Gemma» la chiamò lui distogliendola dai suoi pensieri e quando lo guardò stralunata, riprese «Gemma, ci sei ancora? Non hai sentito una parola di quello che ho detto, vero?»
 
«Cosa? Oh, scusa, no io… ero sovrappensiero.»
 
«Gemma, lo so da me che è troppo presto per fare un certo passo e ti confesso che l’ho lasciato intendere solo per dare una lezione a Elisa e alla sua lingua lunga. Non ti nascondo che mi piacerebbe, eccome, ma non ora. Sogno di vedere quelle tue fantastiche curve al naturale già da molto tempo, ma non voglio correre e rovinare tutto per la fretta. Capisci?»
 
Capiva? Oh, sì, lei capiva benissimo e il fatto che fosse stato lui a parlarne, glielo faceva amare ancora di più.
 
«Hai ragione. Siamo adulti e anche se piacerebbe immensamente anche a me, è meglio aspettare. Allora… non sali neanche per un caffè?» Lo provocò con un sorriso malandrino mentre gli toccava una coscia con fare deliberatamente sensuale.
 
«Mio amore, sei sulla buona strada per farmi mandare al macero tutte le mie belle parole e i buoni propositi.» Le rispose con voce roca facendola ridere apertamente. «Circe, Circe, dei miei stivali, sappi che resisterti è veramente dura, ma devo farlo. In cambio, però, ti ordino di darmi un bacio e che sia da manuale, non un contentino.»
 
E lei lo accontentò, tre volte. Una era troppo poca, due… bè, lei non amava i numeri pari e tre era noto per essere il numero perfetto quindi… e lui non protestò. Neanche. Una. Volta. Anzi, Ernesto le lasciò campo libero al primo bacio, ma poi… prese il controllo della situazione finendo per sedurla e farle rimpiangere la decisione di andarci piano. Era mancato davvero poco per fare una pazzia, lì, in auto, nel parcheggio sotto casa sua e dare scandalo. Come due ragazzini in preda agli ormoni.
Appena entrò in casa, si tolse le scarpe, abbandonò borsa e vestiti in giro per casa e si andò a fare una lunga doccia.
 
 
                                                                                                         ֎֎֎֎֎
 
 
Ernesto era, ufficialmente, uno sciocco. Aveva avuto l’occasione perfetta per andare oltre con Gemma e l’aveva buttata via. Razionalmente sapeva dal principio che era meglio andarci piano e non rovinare tutto, ma una parte ben specifica del suo corpo non la pensava così e l’aveva ben chiarito durante tutto il viaggio di ritorno a casa e anche durante tutta la notte.
Ebbe un sonno così agitato che al mattino si alzò con un tremendo mal di testa e un’ora prima della sveglia che, essendo domenica, non avrebbe comunque suonato. Dannazione. Se non era il signor Brambilla a buttarlo giù dal letto erano le immagini sensuali di Gemma nuda e appagata che lo tormentavano.
Driiiiin Driiiiiin Driiiiiiiiiiiin.
Ecco, appunto. Il campanello.
 
«Arrivo Signor Brambilla, mi dia un attimo» urlò all’indirizzo della porta chiusa.
 
Driiiin Driiiiin Driiiiiiiiiiin.
 
«Mi sa che la sua sordità è peggiorata» borbottò a bassa voce e poi aggiunse urlando e correndo alla porta «eccomiii.»
 
Ma quando l’aprì con un colpo secco, fu lui a rimanerci, quasi. Cosa? Ma… ma come?
 
«Gemma? Ma che… che fai qui a quest’ora?» Le domandò in preda alla confusione.
 
Oddio, era mezzo nudo e spettinato e aveva delle tremende occhiaie e… era già passato in bagno? Sì. Aveva lavato i denti? Sì, per fortuna. Si era fatto la doccia? No.
 
«Pre… prego, entra» balbettò cercando di darsi una sistemata alla chioma con le mani «non ti aspettavo così presto.»
 
Lei entrò di corsa, improvvisamene timida, mantenendo lo sguardo al pavimento. Che le stava succedendo? Non fece in tempo a chiederglielo che lei parlò.
 
«Ho… ho fatto una cosa stupida. Ho seguito uno stupido impulso del momento, che mi era sembrato così giusto e… e niente, ora mi sento stupida.»
 
«Ah, sì? E sei venuta fino a qui all’alba per parlamene? Lusingato. Che hai combinato di così stupido da non potere aspettare?»
 
«Bè, non c’è un modo facile per dirtelo e, in tutta onestà, non ce la farei neanche quindi… credo sia meglio mostrartelo.»
 
E poi si aprì lo spolverino rosso e lo fece cadere a terra con una scrollata di spalle. Ernesto non sapeva cosa dire, cosa fare. Si sentiva come in un film porno dove l’attore principale fantasticava sulla bella protagonista e questa gli si presentava davanti…
 
«Ernesto, ti prego, non restartene lì muto. Io… io lo so da me di non essere questo gran che, ma almeno pensavo che…»
 
«Nuda! Sei… wow, sei nuda.»
 
«Sì, questo lo so da me. Te l’ho detto che era una cosa stupida e ora me ne vado. Mi sono già umiliata abbastanza e forse ho rovinato tutto, vero? Il fatto è che ci ho pensato tutta la notte e mi sembrava una cosa così giusta da fare. Lo so, dopo tutti i bei discorsi di ieri…» fece per abbassarsi a prendere l’indumento quando il braccio le venne bloccato dalla presa salda di Ernesto e lo fissò rossa in volto.
 
«Non mi sembra di avere protestato, ho detto wow! E questa non è una cosa stupida che hai fatto, è l’incarnazione umana dei miei sogni, finalmente. So che ti ho detto ieri, ma cavoli Gemma, tu sì che sai come eccitare un uomo e fargli perdere la ragione.»
 
«Io… ho, ho cinquantadue anni, quasi cinquanta tre a dire il vero e… e certe cose non dovrei neanche pensarle, figurarsi farle» blaterò. «Insomma, dai, non sono più una giovincella che gioca a sedurre il suo uomo e non mi sono mai tirata niente per sembrare più giovane e…»
 
«Hai finito di parlare? Perché io ho smesso di ascoltarti veramente quando hai aperto la cintura. Il mio cervello è partito per i Caraibi e ora il mio corpo già pregusta il tuo quindi…» la trasse a sé con un braccio «ora lo accontento.»
 
E poi Ernesto lasciò parlare veramente il suo corpo che venerò quello morbido e reattivo di Gemma senza trattenersi. Cavoli, erano ancora in piedi, appoggiati alla porta e non andava affatto bene.
 
«Gemma, aggrappati a me, sto per farti conoscere la mia stanza e il mio letto comodissimo, anche se sfatto dopo le lunghe ore insonni. Non credo di avere le forze per prenderti qua, a meno che non vuoi che mi blocchi sul più bello.»
 
E lei lo fece e quando gli chiese se doveva stringersi di più a lui, Ernesto per poco non impazzì seriamente e, la risposta inequivocabile e fisica, la percepì anche lei che arrossì ancora di più e gli affondò il viso nella spalla.
 
«Dio, come sei bella» le disse una volta che l’ebbe fatta sdraiare per poi sovrastarla avendo cura di non schiacciarla. Fu allora che si ricordò di un piccolo particolare. «Preservativi! Ah, sì, ci sono, per fortuna. In bagno, dannazione. Em… li ho presi ieri sera tornando a casa. Lo so, lo so, non…»
 
«Parli sempre così tanto quando sei nervoso?» Gli domandò ridendo e poi aggiunse qualcosa che lo bloccò all’istante. «Non servono, in realtà. Dì grazie alla mia menopausa e non osare neanche scendere da qui.»
 
«Grazie menopausa di Gemma» disse lui in automatico facendola ridere.
 
Poi riprese a baciarla e toccarla ovunque con dolcezza, indugiando su alcune zone che aveva capito essere più ricettive e quando, finalmente, stava per darle piacere con le labbra laddove poi l’avrebbe fatta sua quando…
Driiiiiiiiiiiiiiiiiiin Driiiiiiiiiiiiiiiiiin
No, oh, no, col cavolo che sarebbe sceso ad aprire. Che rompessero pure il campanello, ma niente e nessuno l’avrebbe smosso da lì.
 
«Ehi, tesoro mio, potrebbe essere importante.»
 
«Si fotta chiunque sta suonando. Sono impegnato» le rispose con voce roca. «Lo sai, tu, quanti sogni erotici mi hai fatto fare? Quante docce fredde ho dovuto farmi al mattino o alla sera dopo che eravamo usciti insieme? Quante volte mi sono svegliato con l’alzabandiera al vento? Eh, lo sai? No, lo so io e morire se ti lascio qui ad aspettarmi.»
 
La risata incredula e genuina di Gemma lo calmò e riprese da dove si era interrotto fino a quando… driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
 
«Ma… ma insistono e credo che dovresti proprio andare» e quando lui la guardò con sguardo alla ma non dire cazzate, aggiunse «io non scappo. Sono dove voglio essere e poi mi dici tu dove andrei in questo stato?»
 
«Non si sa mai. Non voglio rischiare che un altro uomo ti veda così e… no, no e poi ancora no. Visto? Ha smesso» aggiunse poi quando quel fastidioso suono si bloccò. «Dove eravamo rimasti, piccola dea rossa?»
 
La ritrovata affinità durò pochissimo, poiché per la terza volta il campanello riprese e lui non ci vide più.
 
«Adesso basta, ma alla domenica non dorme più nessuno da queste parti?» Sibilò, poi aggiunse guardando la sua amata negli occhi «ti prometto che mi libero del signor Brambilla e torno subito da te. Dammi due minuti. Lo scandalizzo e poi torno» la baciò un’ultima volta con passione e scese di malavoglia.
 
Poi, mentre Gemma rideva, si rimise i boxer e si fiondò nuovamente alla porta, la spalancò con rabbia e inveì contro quello che credeva essere il suo vicino guastafeste e rompiscatole.
 
«Senta, Brambilla, come vede sono piacevolmente occupato di là, non le pare di esagerare con…»
 
«Ma dai e quindi alla fine hai trovato una poveraccia che ti vuole? Lo sa che lì sotto è tutto fumo e niente arrosto? Forse è meglio che entri e glielo dica io, così le risparmio un’umiliante sorpresa.»
 
Gianna? Che cazzo ci faceva lì la sua ex moglie e per giunta a quell’ora?

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Capitolo 12
*** Una trappola per Ernesto? ***


«Che cazzo ci fai qua!»
 
«Oh, anche a me non fa piacere averti di nuovo davanti, men che meno in questo stato pietoso, ma cause di forze maggiore mi hanno costretta a passare qua. Dimmi, hai messo su peso?»
 
La sua ex fece per entrare, ma lui le bloccò il passaggio. Col cazzo che sarebbe entrata in casa sua. Ehi, un momento…
 
«Come diamine sai dove abito.»
 
«Ah, sì, credo sia scritto sui documenti del divorzio» poi fece ancora per scansarlo, ma lui s’impuntò. «Ma insomma, hai paura che la tua bella, vedendomi, scappi?»
 
«Nessuno ti ha invitata a entrare, Gianna. Se hai qualcosa da dirmi, puoi farlo benissimo anche da qui e vedi di fare in fretta.»
 
Tipico di lei, cercare di imporre la sua volontà con la forza, ma se pensava di avere ancora un qualche tipo di potere su di lui, si sbagliava di grosso.
 
«Non è un argomento da affrontare sulla porta, questo» insistette ancora la sua ex. «No, davvero, hai paura che possa farla fuggire di corsa? Sei serio? Ma pensi davvero che una che abbia il coraggio di stare con te, lo faccia?»
 
Si meritava una risposta piccata, ma la voce di Gemma proveniente dall’interno lo bloccò e galvanizzò.
 
«Amore dai, non fare il maleducato, non si lasciano le persone in attesa sulla porta, specie a un orario così inusuale e fastidioso» disse raggiungendolo e abbracciandolo alla vita e poi aggiunse guardando la sua ex. «Entri pure. Vuole un caffè? O forse un cappuccino. O un tè verde, sa, per sgonfiarsi. Io, personalmente, amo il latte con il cacao e i biscotti, stavo per andare a farlo proprio ora. Il movimento – in qualunque posizione lo si faccia – mette fame. Anche per lei è così?»
 
Bang. Colpita e affondata. Gemma era un genio Con una frase aveva steso l’ego di Gianna che non era riuscita a replicare niente di piccato se non un “grazie, un caffè senza zucchero lo prendo volentieri”, prima di seguirla. Come poteva non amarla. Gemma di nome e di fatto.
Si prese del tempo per mangiarsela con gli occhi e che Gianna guardasse pure.
Gemma aveva indossato l’unica camicia che lui possedeva – comprata per andare in tribunale alla firma del divorzio e mai più messa – che la copriva fino alle cosce e poi… oh, ma erano i suoi boxer quelli? Davvero? Sexy da morire. Chi l’avrebbe mai detto che i suoi indumenti su Gemma, la rendessero ancora più desiderabile? Non si era pettinata e con le labbra gonfie per i baci che le aveva dato, era una visione. Non vedeva l’ora che la megera se ne andasse per riprendere da dove erano stati interrotti, con nuove fantasie piccanti da esaudire.
 
«Oh, che maleducata» riprese lei bloccandosi a metà sala e chinandosi «lascio i pezzi in giro» disse poi prendendo il suo spolverino rosso e drappeggiandolo sul braccio «ammetto che alla mia età saltare addosso a un uomo come ho fatto ieri sera è… bè, inusuale, ma non sono riuscita a trattenermi.»
 
E poi lo guardò come se volesse riproporre la scena solo per la sua ex e la sua libido schizzò alle stelle. Ieri sera è? Furbastra. Cercò di risponderle con quello che voleva essere un sorriso di ringraziamento, ma dato il rossore che le invase il volto, era certo di avere sbagliato. Oh, bè, poco male.
 
«E dunque, che vuoi? Vedi da te che sono con una donna straordinaria – che a quanto pare non se l’è data a gambe vedendoti, il che è segno di grande intelligenza e maturità – e che ci stai rovinando la mattina» apostrofò l’ex moglie.
 
«Non ho intenzione di parlare se prima questa… donna, non se ne va. Non sono affari suoi quello che devo dirti» rispose lei guardando con disgusto l’altra.
 
«Decido io chi resta di diritto e chi va e tu rientri nella seconda categoria. Ti ricordo che è grazie a Gemma se sei entrata. Parla. Non ho segreti con lei.»
 
«Ehi, ehi, niente liti prima di colazione» intervenne Gemma con voce tranquilla. «Spero le piaccia forte e nero.»
 
Lui cercò di protestare, ma lei gli chiuse la bocca con un bacio rapido, prima di sparire in cucina.
 
«Non è fantastica?» Chiese alla sua ex.
 
«Se lo dici tu, io vedo solo che è piccola e grassa» rispose lei senza premurarsi di abbassare la voce.
 
Gemma non diede segno di avere sentito, ma lui doveva difenderla dal veleno di Gianna. Non poteva permettere a nessuno di offenderla, soprattutto in casa sua.
 
«È morbida e perfetta, sì e l’amo anche per questo. Oltre che per la sua personalità altruista e la sua risata contagiosa. Vedi, lei è così, spontanea e vera a differenza di qualcuno qua davanti a me» le rispose facendola sbuffare. «E ora parla e poi vedi di sparire prima che io abbia finito di dire la parola addio.»
 
Qualche minuto dopo, Gemma rientrò con un vassoio con sopra la tazzina per Gianna e le loro tazze, dei biscotti sfusi su un piatto e il rimanente del pacchetto sotto braccio, ma, invece di sedersi con loro, recuperò la sua e fece per dirigersi verso la camera.
 
«Gemma, non devi andartene perché c’è lei» le disse trattenendola per la mano e facendola girare verso di lui.
 
«Ha ragione lei, amore, non sono cose che devono interessarmi. Sicuramente vorrà parlati di Bruno e capisco da me che è un argomento delicato e privato. Ti aspetto in camera, così riprendiamo il discorso di prima» subito dopo gli scompigliò i capelli e lo baciò con più lentezza e passione. Poi guardò la sua ex e disse «Piacere di averla conosciuta, Gianna, mi spiace solo in queste condizioni» e se ne andò.
 
Per qualche minuto nessuno dei due fiatò, ed Ernesto fu tentato di trascinare per un braccio quella donna fuori di lì seduta stante e fiondarsi in camera dove avrebbe dimostrato a Gemma tutta la sua riconoscenza per essere stata… semplicemente se stessa.
 
«È vero? Vuoi parlarmi di Bruno?» Le chiese inzuppando un biscotto nel suo cappuccio e mangiandolo in un boccone.
 
Sapeva che quell’ atteggiamento urtava Gianna, ma non gliene importava nulla.
 
«Come sai, la settimana prossima rientrerà in Italia» esordì e quando lui annuì, continuò «bene, questa storia che vuole trasferire la sua residenza da te, non mi va giù. Specie ora che so chi ospiti a casa tua.»
 
«Bruno conosce Gemma e la stima molto, inoltre so che approva la nostra unione e ne è felice. È un ragazzo adulto e vaccinato, non è stupido e sappi che, a differenza tua, io, non gliela sbandiero sotto il naso e nemmeno lo umilio o sminuisco davanti a lei.»
 
«Ma come ti permetti…» saltò su lei, ma lui la bloccò.
 
«Cos’è, la verità fa male? Non sono io ad averlo sbattuto fuori casa di punto in bianco l’ultima volta che è tornato. Anzi, non l’hai fatto tu, ma il tuo giovane fidanzatino, una sua occhiata e Bruno si è ritrovato in mezzo a una strada. Meno male è riuscito a recuperare lo scooter. Hai il coraggio di negare?»
 
 
                                                                                                               ֎֎֎֎֎
 
 
Ma come si permetteva quel… quel… di giudicarla.
 
«Non parlare male di Scheggia.»
 
«Uh, che nome carino. Indica la velocità delle sue prestazioni che tanto ammiri?»
 
«Senti tu, non sono venuta qui per sentirlo insultare gratuitamente. Volevo solo che sapessi che io mi opporrò a questa vostra decisione. Non mi porterai via Bruno.»
 
«Ah, no? Lascia che ti dica come la vedo io. Bruno è maggiorenne e può decidere da solo cosa preferisce e tu non puoi opporti al suo volere. Tu odi perdere quello che lui rappresenta per te, ovvero – e qui dimmi se sbaglio – l’assegno mensile per il suo mantenimento. Assegno che è stato sospeso dal giudice in quanto Bruno – al momento della firma del nostro divorzio – risiedeva già a Londra e che verrà riattivato quando rimetterà piede in terra italica. Ora che sta per farlo… dinnnng, i tuoi occhi sono entrati in modalità Paperone e hai capito di avere commesso uno sbaglio a mandarlo via. Niente Bruno a casa tua, niente soldi. Casa tua, tze, casa mia, che fino a ora ti ho concesso di usare, anche se nostro figlio non vi risiedeva. Sono stato molto magnanimo con te, non trovi?»
 
«Magnanimo? Magnanimo?» Urlò lei. «Ma se è una catapecchia quella che tu chiami casa.»
 
«Allora vattene, dopotutto Bruno non vi risiederà più e tu perdi il diritto di abitazione. Trovati una reggia se preferisci. Non sarà difficile, per me, trovare qualcuno che vorrà vivere in quella catapecchia di 120mt quadrati su tre piani. Potrei affittarla o venderla senza problemi, ma questo sarà solo affare mio.»
 
«Tu… viscido… approfittatore di povere donne in disgrazia.»
 
«Parli di te? Stai facendo tutto da sola e comunque, hai quarantasette anni Gianna, rimboccati le maniche e vai a lavorare.»
 
Ma come osava. Come osava umiliarla così.
 
«È per vendetta che lo fai, vero? Perché io ti ho umiliato preferendoti uno più giovane. In realtà mi ami ancora, ma non vuoi ammettere che ti manco e allora te la spassi con la grassona.»
 
«Non so a chi ti riferisci. Non ho visto nessuna grassona nei paraggi. Se stai cercando di farmi cadere in qualche trappola per il tuo solito tornaconto, hai sbagliato a capire. E, ti prego, spegni il registratore del telefono. Idea tua, del tizio che ti scopi – e me ne stupirei assai – o del tuo avvocato? Sono curioso.»
 
Cosa? Come aveva fatto a capire che lo stava registrando. Era vero, il suo avvocato le aveva suggerito quella mossa. L’aveva messa in guardia sul rischio che correva ora che suo figlio le aveva detto che non sarebbe più rientrato a casa, ma che si sarebbe trasferito dal padre in pianta stabile. Niente assegno, niente casa. Il suo, era stato escluso in sede di separazione in quanto Ernesto aveva dimostrato che era avvenuta per colpa sua. Fino a quel momento aveva tirato avanti con i suoi risparmi, ma ora stavano finendo e lei non poteva lavorare, non poteva. Gianna non si sarebbe mai abbassata a tanto. Stava per rispondergli per le rime quando lui la precedette e continuò, facendola sbiancare...
 
«Ah, e ti avviso che non sarebbe comunque valido in sede legale. Sai, ho i miei dubbi che il giudice ti abbia dato il permesso di registrare questa conversazione e quindi hai commesso un reato, doppio, perché non mi hai nemmeno chiesto il permesso prima di iniziare. Errore, grave errore» le disse scuotendo ironicamente la testa prima di svuotare la sua tazza e pulirsi la bocca col braccio. «Ah, il profumo della disperazione, ti fa prendere decisioni avventate, vero?»
 
Dio, il suo ex era proprio un burino. Lo aveva sposato solo perché era di famiglia ricca e pensava di potere fare la bella vita con lui, ma così non era stato. Il meccanico. Ecco cosa amava fare. Tornava a casa sempre in condizioni penose e il peggio era che Bruno aveva ereditato non solo il suo fisico, ma anche la sua passione.
Aveva capito di essere stata ingannata pochi mesi dopo il matrimonio, quando lui si era rifiutato di spendere qualche milioncino di Lire per passare un mese a Dubai, preferendogli una settimana in un agriturismo, non si ricordava più neanche dove. Aveva iniziato a tradirlo dopo la nascita di Bruno. Era sempre stata brava a nascondere i suoi amanti e lui era troppo impegnato col lavoro o preso dal figlio, per accorgersene. Un solo errore. Un incontro casuale col suo attuale compagno – dannazione al suo orologio che si era fermato e non se ne era accorta – ed era andato tutto a puttane. La cosa assurda era che lui se ne era accorto già da un po’ e aveva raccolto delle prove per accusarla in tribunale, prove legali che il giudice aveva ritenuto valide.
 
«Non avrai mai Bruno e neanche la mia casa, sappilo» gli disse alzandosi di scatto.
 
«Tze, errori tre e quattro. E, visto che stai ancora registrando, chiedi conferma anche al tuo avvocato. A proposito, buongiorno signor Piazza, vedo che lavora ancora per la mia ex moglie, come sta?» Disse poi rivolto all’uomo. Poi tornò a concentrarsi su di lei. «Ti ripeto che nostro figlio è maggiorenne e sceglie lui. Ti ripeto anche che la casa è mia e mi è permesso tornarmene in possesso, cosa che ho intenzione di fare quanto prima. Buona giornata, ex moglie, e buona ricerca» le disse poi accompagnandola alla porta.
 
«Tu… la cosa non finisce qui, sappilo» urlò «avrai presto mie notizie e ti pentirai di tutto Di avermi portato via mio figlio, la mia casa e di… di…»
 
E poi, mentre stava per uscire, un bastone le piombò in faccia all’improvviso e le vennero le lacrime agli occhi per il dolore. Ma che cazzo… riuscì a visualizzare un vecchietto che si faceva strada nell’appartamento del suo ex. Cosa? E chi era adesso quello lì?
 
«Oh, Ernesto, proprio te cercavo. Che coincidenza fosse già aperta la porta. Ho bisogno della spesa settimanale, hai tempo?»
 
«Lei, bifolco rincitrullito» apostrofò l’uomo col cappello di lana e la vestaglia «stia attento a come muove quel bastone. Mi ha fatto male, sa?»
 
«Ernesto, caro ragazzo, hai detto qualcosa?»
 
«Io? No, veramente…» iniziò lui, ma lei lo bloccò.
 
«Sono stata io a parlare, vecchio. Mi ha preso in pieno in faccia, lo sa?»
 
«Uh, davvero? Può dimostrare che è stato il mio bastone a calare sulla sua testa, poco fa? Ha qualche foto che lo prova? E poi lei chi è? Non l’ho mai vista da queste parti.»
 
«Non importa chi sono, mi chieda subito scusa.»
 
«A una persona così maleducata con gli anziani che neanche si identifica? Se l’ho colpita, non l’ho fatto apposta. Sono vecchio, mezzo cieco e mezzo sordo, mica scemo. Se c’è qualcuno che deve scusarsi per la sua maleducazione quella è lei. Urlava così forte che persino io l’ho sentita poco fa minacciare Ernesto e anche Bruno, che considero come la mia famiglia. Cafona! Se ne vada e lasci in pace questi due cari ragazzi dal cuore d’oro» le disse prima di sbattere il bastone a terra più volte con fare minaccioso.
 
Quel tizio era svitato e pazzo. Ernesto lo stava guardando con un sorriso accondiscendente e… stupito? Era meglio togliere il disturbo e dopo un’ultima occhiataccia al suo ex, se ne andò.
 
«Se n’è andata? Ma chi era? Sicuramente una meretrice per andare in giro a quest’ora.»
 
«Ahahah, lei e le sue meretrici» sentì rispondergli «allora, questa spesa?»
 
Meretrice? A lei? Inaudito. Era andata a trovare Ernesto convinta di spuntarla e metterlo al palo e invece ci era finita lei. Burino sì, ma era sempre stato intelligente. Aveva voluto fare un azzardo, ma era finito male. Furbo lui, aveva iniziato a frequentare qualcuno solo dopo il divorzio e aveva convinto suo figlio a voltarle le spalle. E ora era lei a rischiare tutto. Che guaio. E aveva rimediato anche una bastonata in faccia da un vecchiaccio malefico. Neanche da lì poteva ricavarci soldi, quell’uomo non aveva ammesso di averlo fatto e non si era nemmeno identificato. No – a dispetto delle sue parole – era pronta a scommettere che nemmeno lui era stupido e che l’avesse presa in giro per tutto il tempo. Quella donna poi… l’aveva trattata con cortesia e gentilezza e non aveva preso le parti del suo amante, anzi, una volta intuito cosa volesse dal suo ex, si era defilata in un batter d’occhio, dannazione.
Doveva trovare qualcosa che giocasse a suo favore o veramente rischiava di finire sotto i ponti e Scheggia l’avrebbe lasciata. E lei senza di lui e la droga che le regalava giornalmente – e che iniziava a non bastarle più – non avrebbe più potuto vivere.
Doveva dire al suo avvocato di avviare delle indagini su Ernesto, era impossibile che non avesse uno scheletro nascosto su cui far leva per distruggerlo. Ne andava della sua vita e della sua sanità mentale.
 
 
                                                                                                              ֎֎֎֎֎
 
 
«Signor Brambilla, posso presentarle una persona?»
 
«Ma non è appena uscita? Gran maleducata, a proposito.»
 
«Lo è, ma non è colei che tengo farle conoscere. Quella là era la mia ex moglie che mi ha teso un agguato stamattina, pensando di farmi fesso. A proposito, è stato una forza, lasci che la ringrazi, non mi sono mai divertito tanto come poco fa. Ahahah.»
 
«Dovere, mio caro ragazzo, dovere. Allora… chi vuoi che conosca?»
 
«La donna che amo e che frequento.»
 
«Sei circondato da donne, Ernesto. La bruna riccioluta, la castana antipatica…»
 
«La riccioluta è la mia gemella, quante volte glielo devo dire. Quella di poco fa non la conti neanche, ma questa… oh, sì, lei sì.»
 
E poi, lasciando un attonito Brambilla da solo per qualche minuto, andò da Gemma, la baciò, le spiegò la situazione e le diede un paio dei suoi pantaloni a cui dovette fare i risvoltini.
Quella mattina iniziata così bene stava lentamente peggiorando e si sentiva in colpa nei confronti di Gemma che era arrivata lì pronta per lui e ora si ritrovava catapultata in situazioni che sfuggivano al suo controllo. Doveva odiarlo e non l’avrebbe biasimata se fosse scappata per poi fare dietrofront sulla loro neonata relazione. Ma lei lo sorprese ancora una volta quando si lisciò i capelli con le dita, gli sorrise e, prendendolo per mano, accettò di conoscere anche il suo vicino rompiscatole, ma tempestivo.
 
«Gemma, ti presento il signor…» ma lui lo precedette.
 
«Idelfonso Maria Brambilla, mia cara, per servirla. Bella donna, Ernesto e ha uno sguardo limpido e dolce. Lei mi piace. Piacere di conoscerla» e poi le fece il baciamano.
 
Eh? Questa poi. Quando si riprese, Ernesto guardò Gemma che era leggermente arrossita e si stava scusando per il suo abbigliamento poco consono mentre l’altro fingeva di non farci caso. Li lasciò parlare per qualche minuto, intanto che si dedicava a lavare le tazze della colazione e poi li raggiunse al tavolo.
 
«Bene, signor Brambilla, mi dia questa lista.»

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Capitolo 13
*** Sentimenti ***


«Ma sei sicuro che non dovevamo avvisare?»
 
«Sicurissimo. Papà ama le sorprese e il mio rientro anticipato lo manderà in visibilio.»
 
«Certo, ma ammetterai che questa non è una semplice sorpresa. Andiamo Bruno, gli prenderà un colpo, due volte! E… e se è in dolce compagnia della sua innamorata e li troviamo in una situazione… come dire, piccante? Come l’hai chiamata lei? Ah, sì, Gemma. Un nome prezioso, non c’è che dire.»
 
«Ahahah, è vero, lo è di nome e di fatto. Lei è la salvezza e il riscatto di mio padre e io sono felicissimo che si frequentino. Lui se la merita una così, dopo quella stronza insensibile di mia madre.»
 
«Ehi, rispetto, ricordati che tu sei qui anche grazie a lei. Può avere agito in maniera sconsiderata, ma…»
 
«È pur sempre mia madre» concluse lui sospirando pesantemente. «Dio, Luca, parli come mio padre, ma ricordati che il titolo va meritato e lei non si è mai comportata come tale, mai» gli disse prima di fargli la linguaccia. «Oh, eccoci qua. Pago io il taxi, tu intanto occupati dei bagagli che non sono pochi.»
 
«In teoria sarebbe il suo lavoro» replicò quello indicando il tassista.
 
«Vero, ma non mi risulta che le tue mani siano rotte, in più sei anche riposato dal volo e dall’arrivo fino qui bello comodo, quindi risparmia un lavoro a questo gentile signore che sicuramente starà sgobbando da stamattina presto e datti una mossa che i bagagli non hanno le gambe.»
 
«Agli ordini… mio despota» gli rispose alzando gli occhi al cielo, poi gli fece un sorriso impertinente. «Io li tolgo da lì, ma tu mi aiuti a trascinarli all’appartamento di tuo padre, sappilo. Non sono il tuo facchino io» borbottò prima di fargli l’occhiolino e scendere.
 
Ah, quel ragazzo l’avrebbe mandato dritto al manicomio. No, decisamente Luca non era il suo facchino.
 
«Lo scusi, è tanto buono quanto ingenuo, a volte. Quanto le devo signore?»
 
«Ah, ad averceli di clienti come lei, il mio lavoro sarebbe meno stressante, mi creda. Offro io, per ripagarla della gentilezza gratuita.»
 
«Ma… ma è sicuro? Non stiamo parlando di dieci euro.»
 
«Sicurissimo. E ora scenda e aiuti quel poveretto del suo amico che lo vedo un attimino in difficoltà, è quasi comico» gli consigliò, ridacchiando.
 
Bruno ringraziò l’uomo e si affrettò appresso a un Luca affaticato che a momenti cadeva sull’asfalto con la sua valigia addosso.
 
«Non mi sembrava così ingombrante quando l’hai chiusa a Londra. Ma che ci hai nascosto dentro, un cadavere?» Lo affrontò lui quando gliela tolse di mano senza difficoltà.
 
«Oddio, come hai fatto a scoprirmi» lo rimbeccò fingendosi sorpreso. «In realtà sono solo alcuni regali che ho comprato per la mia nuova famiglia, mio padre, Gemma e non solo. E ritieniti fortunato che l’indiano con tanto di copricapo piumoso, non ho potuto portarlo con me.»
 
«Per fortuna quell’orrore di un metro e mezzo che hai messo all’ingresso, ha smesso di tormentare i miei incubi. Augh» disse e Bruno sbuffò. «Era odioso e sono felice di non rivederlo mai più, tu e i tuoi dubbi gusti sull’arredamento. Allora, dobbiamo rimanere qua nel parcheggio o…»
 
«Ehi, voi due. Questo non è un Motel, cosa sono tutte quelle valige. Ingombrano il passaggio, toglietele subito da lì. Questo è il parcheggio di una palazzina rispettabile.»
 
Ed eccolo lì, quasi quasi se lo aspettava prima ancora che scendesse dal taxi. Era in ritardo. Bruno sorrise a quell’ometto che li stava raggiungendo di corsa – più o meno, vista la sua andatura – con l’immancabile tenuta notturna che amava sfoggiare a tutte le ore, nascosta sotto una vestaglia che aveva visto anni migliori, un berretto di lana dell’800 come minimo e un bastone che ticchettava in modo sinistro sull’acciottolato. Fece cenno a Luca di tacere, ma in realtà non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che il suo amico era rimasto a bocca aperta incerto tra il ridere e il fuggire.
 
«Signor Brambilla, come sta? Sempre in formissima vedo. Si ricorda di me?»
 
«Dovrei?» Rispose l’anziano dopo averlo guardato da vicino attraverso le lenti sporche degli occhiali. «Ah, sì, il figlio di Ernesto. Sei la sua copia sputata, sai? Ti avrei riconosciuto da un chilometro di distanza senza problemi, ma sai… da vicino faccio fatica e questi occhiali…» disse togliendoseli e agitandoli, poi guardò di fianco a lui e disse puntandogli addosso il bastone «lui invece non so chi sia.»
 
«Luca Cazzaniga, piacere mio» intervenne lui allungandogli una mano che quello non prese, diffidente come al solito fino all’estremo.
 
«Idelfonso Maria Brambilla» si presentò riducendo gli occhi a due fessure. «Tuo padre non c’è, ragazzo, è uscito poco fa con la rossa e formosa Gemma. Ah, avessi avuto qualche anno in meno… Hai la chiave?» Gli chiese guardandolo. «Ehi, quelli sono miei, che fa?» Sbottò poi contro Luca.
 
«Glieli ridò subito, si fidi» rispose Luca con calma mentre estraeva dal borsello a tracolla un set di pulizia per occhiali «questo prodotto è una bomba, parola mia. Vede i miei come sono puliti? Glielo regalo, tanto ne ho la scorta in valigia.»
 
«Il tuo amico sta bene, Bruno? Mi sembra un tipo strano.»
 
Detto da uno che lo era davvero poi… era quasi comico.
 
«È solo un maniaco della pulizia, un po’ invadente a volte. Potevi chiederglielo prima e che cavolo» lo riprese.
 
Ma Luca lo ignorò e sistemò gli occhiali puliti sul naso del signor Brambilla che spalancò gli occhi dallo stupore e poi gli mise in mano il pacchettino che gli aveva promesso.
 
«Ah, però, la ringrazio ora sì che ci vedo benissimo» sentenziò mentre lui gli sorrideva soddisfatto. «Allora, questa chiave, ce l’hai o no?»
 
«Sì, eccola» rispose estraendola dalla tasca. «Ho voluto fare a papà una sorpresa tornando prima e avevo messo in conto che avrei potuto non trovarlo. Mi raccomando non gli dica niente quando lo vede rientrare, vorrei tanto vedere la sua faccia stupita.»
 
«Sarò muto come un pesce» rispose quello. «Da quando gli hai detto che saresti venuto a vivere da lui, Ernesto cammina a un metro da terra. Puoi scommetterci che sarà felicissimo di averti qui. Ma lui si aspettava solo te, dove dormirà l’occhialuto qua, in salotto?» Chiese poi guardando Luca.
 
Già, dove? Lui un’idea ce l’aveva, ma non prevedeva il salotto. Certo, suo padre era un uomo senza pregiudizi e moderno – cosa rara per quelli della sua età – ma preferiva comunque andarci cauto.
 
«Una soluzione la troveremo di sicuro. Bene, noi entriamo che siamo stanchi dal viaggio e abbiamo bisogno di rimetterci in sesto prima che torni papà. A presto signor Brambilla.»
 
«Puoi giurarci, caro ragazzo. Domani mattina arriverò puntuale con la lista della spesa» l’informò prima di andarsene, questa volta con più calma, agitando il bastone al loro indirizzo.
 
Il che voleva dire… un’altra levataccia domenicale. Ma cos’aveva quell’ometto contro il poltrire a letto nell’unico giorno libero?
 
«E niente, il solito rompiscatole della domenica mattina. Giuro che – anche se il più delle volte mi fa tenerezza – lo strozzerei volentieri a mani nude al posto di mio padre, che è troppo buono e non ce la fa a mandarlo a quel paese. Alle 7.00 sarà già attaccato al campanello, ma ti rendi conto?» Si lamentò.
 
«Guarda che domani è sabato, siamo in anticipo» gli ricordò Luca. «Sei un pochino sfasato e pure lui a quanto pare o si è semplicemente confuso, dopotutto ha una certa età. Che tipo strano, però ha ragione, sei sicuro su tuo padre? E se non mi volesse tra i piedi e mi cacciasse in malo modo? E se reagisse male quando… l’hai sentito il vecchietto, no? Lui è convinto che tu…»
 
«Ah, quanti “e se…” inutili. Tranquillizzati. E ora dimmi, hai fame? Io sì e penso che ne avrà anche papà al rientro. Ti lascio il bagno, mentre cucino qualcosa. Ho il sospetto che con Gemma in giro, il frigo sia pieno e non abbia più l’eco. Preparerò qualcosa per quattro, non si sa mai.»
 
Prese le valige e fece strada a un Luca dubbioso che lo seguì in silenzio. Poteva capire le sue paure. Nel momento in cui si era aperto con i suoi genitori, quelli l’avevano ripudiato – anche se lui sperava fosse momentanea la cosa, se pur tremenda e anche ingiusta – e ora temeva la stessa sorte anche lì. Ma se c’era una cosa di cui Bruno era sicuro, era l’assoluto amore di suo padre per lui e il fatto che non sapesse neanche cosa fosse il pregiudizio, talmente era ben disposto verso tutti e tutto. Non vedeva l’ora che rientrasse.
 
 
                                                                                         ֎֎֎֎֎  
 
 
«Davvero non volete rimanere a cena con noi? Stasera ci sono le lasagne al pesto e le verdure impanate al forno, ah… e come dimenticare la torta di carote e amaretti per dolce.»
 
«Ed ecco spiegata la mia pancia» intervenne un rassegnato Giuseppe.
 
«Oh, caro, ancora a pensare alle parole del signor Brambilla. Sono passati mesi, è ora di archiviarle e tirarle fuori solo per riderci su con gli amici o tra di noi» gli rispose Elisa picchiettandola con nonchalance.
 
Quei due erano una forza. Erano stati i primi a farlo ricredere sull’amore e proprio per quello, aveva potuto aprirsi con Gemma e dichiararsi.
 
«Elisa, Elisa, tu vuoi proprio farmi salire il diabete che al momento non ho» le disse Ernesto. «Grazie per l’offerta assai tentatrice, ma dobbiamo declinare, vero Gemma?»
 
«Sì, grazie, ma davvero non possiamo. Volevamo andare al cinema e poi a cena fuori» gli diede man forte la sua fidanzata.
 
Fidanzata! Alla sua età non pensava più di dovere usare ancora quella parola e invece… com’era stana la vita. Con la sua ex moglie non aveva mai potuto uscire tutta la giornata a divertirsi come amava fare con Gemma. Ora si stava riscattando.
 
«Infatti. Non sono abituato ad avere un giorno libero in settimana, ma Tony ha detto che per oggi c’erano pochi lavori da finire e che ci avrebbe pensato lui all’officina e così ne ho approfittato. Meno male che Gemma era libera e mi ha tenuto compagnia o mi sarei annoiato a morte» disse e quella arrossì.
 
«Immagino e ne sono felice» disse sua sorella. «Però domenica vi voglio qua con Bruno a pranzo, se non ricordo male rientra in mattinata, vero? Sarà stanco e affamato e tu – anche se sei migliorato ai fornelli – non vorrai certo avvelenarlo, no? Lascia a fare a zia Elisa e vedrai che ti ringrazierà a vita. E poi le ragazze non vedono l’ora di rivederlo.»
 
«La tua fiducia nella mia cucina mi scalda il cuore, sorella» le disse facendola ridere. «Accetto l’invito e anche la mia pancia. Sono così emozionato, mi è mancato molto e vederlo tornare in pianta stabile in Italia mi fa stare più tranquillo. Mi raccomando Elisa, non cucinare come tuo solito una montagna di roba.»
 
«Promesso» disse, ma lui ormai la conosceva e non ci cascò. «Scusa se te lo chiedo, Ernesto, ma… Gianna? Non si è più fatta viva con le sue assurde richieste? E se si facesse trovare all’aeroporto?»
 
Improbabile, ma possibile. Non ci aveva pensato. Oddio, sarebbe stata una tragedia per lui, ma ancora di più per Bruno. E poi… no, quella era una stronza nata, ma non gli avrebbe mai fatto una carognata del genere. No, vero? Con lei, però, era meglio stare pronti a tutto.
 
«La saluterò, augurandomi non faccia una delle sue scenate. Per fortuna mi è capitato un figlio intelligente e confido nella sua scelta. E comunque, anche se dovesse seguire lei, sta per certa che verrà a casa nel giro di un’ora a volere stare larghi. Purtroppo, le sue azioni – o meglio, le sue non azioni – del passato la penalizzano e Bruno non gliela farà passare liscia. Di certo non dopo l’ultimo trattamento ricevuto con tanto di porta sbattuta in faccia.»
 
«Che persona pessima, meno male sei rinsavito e te ne sei liberato» sentenziò sua sorella con enfasi.
 
«Elisa, smettila di intrometterti dove non devi e salutali che hanno un appuntamento galante e tu glielo stai posticipando» la riprese bonariamente Beppe. «No, niente ma, non sono affari tuoi e un giorno, se vorrà, sarà Ernesto a parlartene, di sua spontanea volontà. Fino ad allora, trattieni la tua morbosa curiosità» aggiunse quando la vide aprire la bocca per replicare.
 
Ernesto ringraziò mentalmente suo cognato e si sentì un po’ in colpa perché non aveva mai approfondito molto il discorso ex moglie con sua sorella Elisa e ora, giustamente, lei era arrivata al limite e chiedeva di sapere tutto. Un giorno non lontano l’avrebbe accontentata.
 
«Se prometti di fare la brava e non chiedermi più nulla, ti assicuro che a breve la tua curiosità verrà ripagata» le sussurrò mentre l’abbracciava per congedarsi. «E ora lasciaci andare che ho in mente una seratina romantica con la dolce Gemma, che non prevede la tua presenza.»
 
Poi, prima che lei potesse replicare con una delle sue battutine a doppio senso, prese per mano la sua innamorata che ridacchiò deliziata da quella fuga e si precipitò nel parcheggio dove li attendeva la sua auto.
Gemma stava ancora ridendo quando arrivarono, ma la risata le morì in gola quando Ernesto l’appoggiò alla portiera e prese possesso delle sue labbra con foga.
 
«Mh, a cosa devo questo assalto hot improvviso?» Gli chiese una volta libera dal bacio che le aveva lasciato le labbra eroticamente gonfie e tentatrici.
 
«Al fatto che ti amo, a che altro» le rispose lui. «Non devono esserci per forza altre ragioni. E ora – prima che perda del tutto il senno e ti faccia mia sul sedile posteriore – sali e andiamo al cinema.»
 
«Dobbiamo proprio? Io passerei direttamente alla cena e al… dopo cena, da me. Sai, vivo da sola, nessun vicino novantenne impiccione… solo noi due e visto che questo fine settimana sono libera, pensavo che anche domani noi…»
 
Dio mio, quella benedetta donna voleva ucciderlo. Ma sarebbe stata una morte dolce e perfetta. Ucciso dalla lussuria. Si sarebbe spianato la strada verso i piani bassi, ma pazienza, se quella era la punizione per avere passato ore facendo l’amore con Gemma ne sarebbe valsa la pena.
 
«Questa proposta mi piace molto di più» le disse «ma ora togliamoci da qui. Credo che mia sorella abbia un radar interno impostato su di me e se si attiva e scopre che siamo ancora qua…»
 
«Ehi, ti ricordo che sei tu che mi hai bloccata mentre stavo per salire in auto. A quest’ora potevamo essere già a metà strada, sai?»
 
«Dannazione, hai ragione. Rimediamo subito, sali che…» le aprì la portiera, infilò una mano in tasca per prendere le chiavi e sbiancò «oh, no. Non è possibile» disse mentre ripercorreva mentalmente gli ultimi gesti fatti prima di uscire di casa.
 
«Cosa? Caro, stai bene?» Gli chiese una Gemma preoccupata.
 
«Em, non proprio. Mio amore, dobbiamo cambiare sede per il nostro incontro, anche se questo significa incorrere nel signor Brambilla. Ma… noi scapperemo da lui prima che possa raggiungerci, te lo posso assicurare.»
 
Poi le spiegò cos’era successo e lei, per tutta risposta, gli scoppiò a ridere in faccia. Non era divertente. Per una sera che stava andando tutto nel verso giusto… ecco che si dimenticava le chiavi di casa sul mobiletto all’ingresso.
 
«Bene, allora non ci resta che andare da te. È consolante sapere di non essere l’unica svampita nella nostra coppia» gli confessò, poi gli diede un bacio a fior di labbra e salì in auto.
 
Sì, quella Gemma era veramente speciale e lui non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo. Così la raggiunse, l’attirò a sé e le fece capire quanto l’amasse.
 
«Sei sicura che non vuoi collaudare il sedile posteriore?» Le propose «Possiamo sempre appartarci da qualche parte e poi…»
 
«Come dei ragazzini in preda agli ormoni dici?» Gli rispose ridacchiando. «Mh, sarebbe interessante, ma per le mie ossa credo sia meglio un bel materasso sai… ho una certa età io.»
 
«Solo anagrafica, perché ti assicuro che in quanto al resto non hai nulla da invidiare alle trentenni. Dimentichi che ti ho già visto nuda e da allora non ti tolgo più dalla mente mentre ti slacci quello spolverino rosso e lo lasci cadere per terra davanti a me. Il solo pensiero mi eccita da morire e credo sia ora di concludere quello che avevamo iniziato.»
 
L’aveva lasciata senza parole. Gemma era arrossita vistosamente e gli aveva fatto un timido sorriso, poi gli aveva chiesto di mettere in moto e di non perdere altro tempo prezioso a chiacchierare di sciocchezze. Ordine che lui aveva eseguito molto volentieri.
 
 
                                                                                          ֎֎֎֎֎
 
Fu un miracolo se arrivarono vivi e vegeti a casa di Ernesto che aveva guidato come se fosse inseguito da un branco di dinosauri. Gemma tirò un sospiro di sollievo. Le aveva fatto perdere dieci anni di vita.
 
«Ricordami di andare ad accendere un mega cero in chiesa, domenica. Devo ringraziarlo per non averci fatto fare incidenti.»
 
«Ahahah, ehi, ringrazia la mia bravura al volante, piuttosto. E ora… dove eravamo rimasti?» Le disse attirandola a sé.
 
«Prima non dovevamo scappare dal signor Brambilla?» Gli ricordò, divincolandosi e scendendo dall’auto.
 
Ernesto la raggiunse in un baleno, ridacchiando le prese la mano e la trascinò verso la palazzina. Ma che cos…?
E adesso cos’era quella luce che proveniva da casa di Ernesto? Ladri? No, non si era mai sentito di ladri che “lavoravano” con le luci accese. E allora che diamine stava succedendo lì dentro. Doveva avvisarlo subito, prima che fosse troppo tardi.
 
«Caro, senti… forse è meglio se…»
 
Ma lui non le diede modo di continuare la frase che l’appoggiò al portone e la baciò con foga. Dio, quell’uomo era una forza della natura quando desiderava qualcosa. E in quel preciso momento voleva… lei. Sentimento decisamente ricambiato, ma… ci ritentò.
 
«Ernesto, è decisamente meglio se…»
 
«Continuiamo in casa? Sì, hai ragione. Quello che ho intenzione di farti non prevede spettatori.»
 
«O… Ok, ma vedi… questo non credo sia poss…»
 
Un nuovo bacio la zittì e le fece perdere la ragione per un momento. Ci mancava solo di entrare in ascensore e… smarrirla del tutto. Cazzo se ci sapeva fare. Mentre le porte si chiudevano, l’assalto di Ernesto alla sua virtù continuò e… cavoli, si era ricordato del punto sensibile sulla spalla.
Calma, Gemma, ragiona se ancora ci riesci. Devi avvisare Ernesto che qualcosa non torna in casa sua e devi farlo… ades… oh, cazzo, sono fregata. Dio mio, gli piace giocare sporco.
Sì, perché ormai quell’uomo conosceva tutti i suoi punti deboli e sapeva usarli a suo vantaggio, sempre. Mentre la sua bocca scendeva a baciarle la cavità tra i seni, Gemma cercò di fare funzionare il suo cervello quel poco che bastava per… oh… per che cosa? Non lo ricordava più.
Bloccò l’ascensore con sommo sconcerto di Ernesto che la fissò con occhi appannati dal desiderio.
Gemma riportò quelle labbra sulle sue e gli fece capire che lo desiderava anche lei, intrecciando la lingua alla sua ed emettendo suoni inarticolati, mentre gli si strusciava addosso e… assumeva il controllo della situazione. Per poco.
 
«Se non la smetti subito, credo che ti prenderò qui dentro e addio letto» le sussurrò.
 
«Dobbiamo fermarci, Ernesto.»
 
Ecco, l’aveva detto. Dannazione. Succedeva sempre qualcosa che li bloccava sul più bello. Forse sarebbe stato meglio accettare la proposta di appartarsi in auto da qualche parte. Già, ma con la fortuna che si ritrovava, sicuramente sarebbero stati sorpresi da qualche poliziotto e trascinati in cella per atti osceni in luogo pubblico.
Sospirando rassegnata, allungò la mano e rimise in funzione l’ascensore che presto arrivò a destinazione, dopotutto erano solo due piani.
 
«Gemma, mio amore, che diamine hai fatto?» Le chiese il suo esterrefatto fidanzato che sperava tanto, dopo questa carognata, non diventasse ex.
 
«Bè, io…» iniziò, ma subito un profumino le venne in aiuto «ho fame.»
 
«Sì, anch’io, ma di te» ribatté lui sempre più confuso e poi aggiunse. «Oh, wow, che delizia, non so cos’è, ma è venuta fame anche a me. Chi starà cucinando a quest’ora?» Chiese annusando l’aria e poi si bloccò colpito da una rivelazione improvvisa. «E che mi cada un fulmine in testa se questo profumo paradisiaco non proviene da… casa mia? Ma che…»
 
E fu così che Gemma venne mollata in ascensore da un Ernesto affamato e curioso che solo in quel momento si ricordò di non avere chiuso la porta a chiave.
Ehi, un momento, un ladro cecato che era aveva doti culinarie? Impossibile. Spinta dalla curiosità, corse in casa e finì addosso alla sua schiena. Ahia.
 
«Cavoli, ho visto le stelle» disse massaggiandosi il naso «ma perché ti sei…»
 
Ma non concluse la frase, perché la risposta era davanti ai suoi occhi sotto forma di due ragazzi che ballavano abbracciati stretti sulle note della bellissima musica jazz di Louis Amstrong, mentre la tavola dietro di loro era stata apparecchiata per quattro persone. Eh?
 
«Papà!» Esordì, il più alto dei due, Bruno, accorgendosi di lui e lasciando l’amico per correre ad abbracciare Ernesto. «Sorpresaaaaa!»
 
E lo era per davvero.

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Capitolo 14
*** Nuove coppie e vecchi rancori ***


Sorpresaaa? Ernesto non sapeva se Bruno si riferisse al fatto che fosse rientrato due giorni prima senza avvisarlo o al fatto di averlo trovato abbracciato a uno sconosciuto mentre ballavano in casa sua.
 
«Eccome se lo è. Me l’hai fatta, figliolo» gli disse prima di dargli un secondo abbraccio «e lui chi è?» Gli chiese infine indicando il nuovo arrivato con la testa.
 
«Luca. Il mio coinquilino a Londra e… papà, forse è meglio parlarne a cena.»
 
«Ottima proposta» intervenne Gemma «con la pancia piena si ragiona meglio e io ho una fame… a meno che non fosse per il signor Brambilla il quarto coperto a tavola.»
 
«Eh? Ah, no, è assolutamente prenotato per te» gli rispose Bruno lasciando suo padre per dirigersi da lei per abbracciarla. «Quel simpatico vecchietto ci ha braccato appena arrivati e ci ha informato che eravate usciti insieme e così… ho deciso di prepararvi qualcosa nel caso foste tornati.»
 
«Tu?» Gli chiese Ernesto sinceramente impressionato.
 
«Noi, a dire il vero» specificò suo figlio guardando Luca e facendogli l’occhiolino «ma sì, cosa credi... io me la cavo ai fornelli.»
 
«Ahem, se seguito passo passo… sì, te la cavi, altrimenti… è un miracolo se non mandi a fuoco la cucina ogni volta che ci provi» gli rispose quello.
 
A quell’uscita del ragazzo, sia lui che Gemma risero di gusto, mentre Bruno alzava gli occhi al cielo e sbuffava sonoramente.
 
«Tale padre, tale figlio. Mai detto fu più azzeccato a questo punto» s’intromise Gemma provocando una sua flebile protesta. «Bruno, sono felicissima di rivederti tra noi. Ci credi se ti dico che tuo padre mi ha parlato così tanto di te in questo ultimo mese che le mie orecchie hanno iniziato a sanguinare? Era su di giri come non mai per il tuo ritorno.»
 
«Ah, il solito logorroico. Bruno di qua, Bruno di là…» gli rispose lui. «A proposito Gemma, ma come sei in tiro stasera, stai benissimo. Scusa se ho rovinato il tuo appuntamento con papà.»
 
«Non ti preoccupare, ci rifaremo. Vero, caro?» Gli chiese guardandolo.
 
Ernesto si limitò ad annuire ancora in fase di shock. Suo figlio era a casa e aveva portato un amico con sé. Amico! Non poteva crederci. Ecco perché glissava tutte le sue domande sulla sua vita amorosa. Si diresse con lui e Gemma al tavolo dove Luca – che non sapeva più dove guardare dall’imbarazzo – li aspettava.
 
«Em, piacere e benvenuto a casa Roversi… Luca, giusto?» Esordì e lo vide sorridergli timidamente.
 
«Sì, signore, Luca» gli rispose con voce tremante.
 
«Signore. Piuf. A me» disse lui lasciandolo a bocca aperta. «Gemma, sono così vecchio?» Chiese poi alla fidanzata che ridacchiò.
 
«Praticamente un Matusalemme» gli rispose lei facendolo ridere di gusto. «Ma un Matusalemme molto giovanile e biricchino» aggiunse infine facendolo arrossire un po’.
 
«Appunto. Niente formalismi qui, chiamami Ernesto» gli disse «dunque… da quanto stai con mio figlio?» Gli chiese a bruciapelo.
 
E adesso perché non fiatava più nessuno? Che aveva detto di male?  Dopotutto non era scemo e ci vedeva benissimo, quei due erano amici assai speciali e quindi era inutile girarci attorno.
 
«Bè, non c’è che dire caro, tatto pari a zero» lo riprese Gemma che poi si rivolse ai due ragazzi rimasti pietrificati. «Scusatelo, a volte è un po’ troppo diretto, soprattutto quando non sa come affrontare un discorso delicato e importante. Come questo, appunto. Ma tu dovresti saperlo meglio di me, vero Bruno?»
 
Suo figlio annuì e arrossì vistosamente portandosi accanto a Luca che, stranamente, sembrava a disagio.
 
«Che senso ha girarci attorno» le rispose lui «è molto meglio la schiettezza in certi casi. Non ho intenzione di passare la cena a mezze frasi e mezze parole, rovinandomela. Quindi ora ci sediamo e ne parliamo senza imbarazzi vari, ok? Sono disposto a posticipare solo se la cena rischia di rovinarsi.»
 
«Sign… Ernesto» si corresse in fretta Luca «ho improvvisato con quello che ho trovato in casa. Spaghetti con tutte le verdure che c’erano nel cassetto, mozzarelle in carrozza con aggiunta di qualche acciuga, patate al forno e… bè, poco fa è cotta una semplicissima torta allo yogurt. Niente di speciale insomma.»
 
Cavoli! Quel ragazzo poteva fare concorrenza a Elisa. Davvero in casa sua c’erano tanti ingredienti da tirare fuori dal nulla dei piatti del genere? Non ne aveva idea. Probabilmente lui si sarebbe limitato a guardarli per poi richiudere il frigo e ripiegare su una scatoletta di tonno.
 
«Mangiamo!» Ordinò raggiungendo il tavolo e scostando una sedia per Gemma. «Dopotutto ho fame e non ragiono bene a stomaco vuoto. Bruno, dovresti venire anche tu a lezione da tua zia con me. Sebbene ora l’affianchi, mi diverto anche a fare la parte dell’allievo maldestro e divertente. E allora, venite qui o restate tutti lì a fissarmi?»
 
Una Gemma sorridente lo raggiunse e, dopo avere portato in tavola il cibo, anche i due ragazzi si unirono a loro.
 
«Parola mia, Luca, sei un mago ai fornelli» esordì lui dopo avere attaccato la pasta con una generosa forchettata che spazzolò subito. «Ti devo fare conoscere mia sorella, la conquisteresti con un piatto del genere. Sei un cuoco anche tu?» S’informò infine.
 
«No, per me è una passione e mi rilassa molto cucinare, specie quando sono agitato.»
 
«Bene, allora vedrò di farti rimanere tale per tutto il tempo che soggiornerai qua» gli disse facendolo sbalordire. «Oh, andiamo, è ovvio che ti tratterrai con noi per qualche giorno e… ehi, non è il caso di piangere ora, non vorrai che ti butti in mezzo alla strada. Ci vedo bene e quelle valige vicino al divano parlano da sole. Però dovrai accontentarti del divano letto» gli disse poi vedendolo commuoversi. «Qualche sbaciucchiamento ci sta, ma il resto ve lo scordate, almeno se ci sono io nei paraggi. Ora… non so a che punto siete con l’intimità, ma preferisco portarmi avanti e quindi trattenetevi, ok?» Concluse infine guardando entrambi.
 
«Em, papà» intervenne Bruno «è esattamente quello che hanno fatto i suoi in videochiamata, appena hanno saputo della sua omosessualità e da allora sono spariti. Sono passati quattro mesi. Io ero lì, li ho visti sbiancare mentre cercava di presentarmi a loro e poi l’hanno chiamato con così tanti epiteti discriminatori che mi sono vergognato io per loro» l’informò con voce dura.
 
«Bè, qui non si discrimina nessuno. Fossi matto» sentenziò lui sbattendo un pugno sul tavolo. «E tu, figliolo, avevi paura a dirmelo prima? Cosa pensavi, che fossi come quei due trogloditi? Scusa, Luca, ma non mi è venuto in mente un termine più gentile per definirli» aggiunse poi facendolo sorridere tra le lacrime.
 
«Io… grazie Ernesto. Io… non ho intenzione di fermarmi qui per molto. Posso mantenermi, sono un web designer e ho una mia partita iva. Guadagno bene con i siti internet e ho intenzione di trovare un appartamento non troppo distante da voi. Sa, non sono più abituato a vivere da solo e così…»
 
«Il tempo che ti serve. Vorrà dire che i miei appuntamenti romantici con Gemma si sposteranno a casa sua più del previsto. Che ne pensi, cara?»
 
«Io dico che mi sta bene» gli rispose lei che zitta zitta aveva continuato a mangiare senza perdersi una parola. «E dico anche che trogloditi è un termine troppo generoso per definire quelle due persone che si definiscono tuoi genitori, Luca. Cambiando argomento… tu non lo puoi sapere, ma io ho una ditta di catering e voglio assolutamente la ricetta di questa pasta per inserirla nel menù, te la pago guarda, ma deve essere mia» sentenziò infine riportando la conversazione sul tranquillo
 
«Ecco, ben detto, mio amore» la spalleggiò Ernesto. «E ora, ti ho fatto una domanda poco fa, Bruno. Perché hai taciuto con me, con tuo padre? E già che ci sono te ne aggiungo un’altra. Come vi siete conosciuti? Parla o ti scateno dietro il signor Brambilla fino a che non avrai confessato» disse facendo ridere tutti. «Ah, e poi… come lo dirai a tua madre? Ma in fin dei conti che m’importa, non mi perderei quella scena per niente al mondo. Ahahah.»
 
 
                                                                                         ֎֎֎֎֎
 
 
E lui avrebbe accettato di buon grado la presenza di suo padre, in quel caso. Sapeva anche lui che glielo doveva rivelare a sua madre Gianna, non poteva rimandare ancora e prima affrontava l’argomento con lei, meglio era.
Vedere suo padre così ben disposto l’aveva galvanizzato e rincuorato. Non che avesse dei dubbi su di lui, sulla sua reazione, ma aveva sempre avuto quell’angolino di timore che lo aveva frenato per così tanto tempo dallo svelarsi. Era sciocco, lo sapeva bene, ma non era una cosa facile da dire.
 
«Ti sei addormentato? Vuoi un aiutino da casa?» Lo incalzò Ernesto.
 
«Ok, ok, parlo. Dio, pà, come sei diventato logorroico» disse facendolo sbuffare. «Ci siamo conosciuti quando il mio ex coinquilino ha deciso di andarsene di punto in bianco lasciandomi un biglietto sul tavolo in cucina. Ero alla disperata ricerca di un sostituto per dividere l’affitto ed ecco che un bel giorno – quando avevo iniziato a perdere le speranze – si presenta Luca. E… ding, è scattato qualcosa che mi ha impedito di mandarlo via e dargli una possibilità. Dopo un mese, cercando di non fargli scoprire l’attrazione che provavo per lui, una sera sono rientrato dal corso e mi aveva preparato la cena, durante la quale mi ha svelato di ricambiarmi totalmente e… e bè, il resto è storia, come si dice.»
 
«Ma… ma davvero a lei sta bene?» Intervenne Luca. «Insomma, io ho ventidue anni, mentre lui diciannove e…»
 
«E dove sta il problema? Siete entrambi maggiorenni, no? Voglio svelarti un segreto… io amo mio figlio e voglio vederlo e saperlo felice. Se lui lo è con te, a me sta bene. Vedo che è ricambiato e la cosa mi piace. Non mi importa se non mi darà mai dei nipotini. È gay, e allora? Che dire, le sue cugine se ne faranno una ragione, visto che volevano piazzarlo con qualche loro amica.»
 
«Oh, cavoli, me ne ero dimenticato» disse lui rabbrividendo «aspettavano il mio ritorno per organizzarmi qualche incontro al buio. Oh, mi fanno quasi pena adesso, quasi» rise poi, trascinando tutti con sé.
 
«Sai, Elisa e famiglia ci aspettano a pranzo domenica e no, non serve avvisare di aggiungere un posto in più, fidati. Ci sarà così tanto cibo che sarà un miracolo se riusciremo ad alzarci da tavola. Una bocca in più in aiuto non guasterebbe» gli rispose suo padre. «Ora, vogliamo proseguire con la cena?»
 
E così fecero. La cena continuò con suo padre che raccontava aneddoti imbarazzanti sulla vita del piccolo Bruno, che però ebbero il potere di alleggerire il clima.
Questo fino a che… ecco, fino a che sua madre non gli telefonò e tutta l’allegria svanì dal suo volto. Sospirò e suo padre se ne accorse.
 
«Io sono qui, figliolo» gli disse semplicemente e lui lo ringraziò con un cenno della testa.
 
Si fece coraggio e prese la chiamata.
 
«Non pensavo ti ricordassi ancora il mio numero. Buonasera madre, di cos’hai bisogno questa volta?» Le chiese con il solito tono annoiato che usava con lei mentre lasciava il gruppetto per dirigersi in camera sua.
 
 
                                                                                         ֎֎֎֎֎
 
 
Bisogno. Lei. Oh, per carità.
Certo, aveva bisogno che suo figlio cambiasse idea e tornasse a vivere con lei per non perdere la casa.
Aveva bisogno che Bruno le riferisse tutto quello che sapeva su quella grassona che aveva conquistato il suo ex marito e che si era permessa di umiliarla davanti a lui con poche frasi.
 
«Volevo solo chiederti l’ora precisa in cui atterrerà il tuo volo, caro» disse cercando di mostrarsi entusiasta «sai, vorrei venire a prenderti e passare una giornata insieme, come ai vecchi tempi. Mi mancano molto.»
 
«Mi chiedo come faccia a mancarti qualcosa che non abbiamo mai avuto. Ma, bugie a parte, cosa vuoi, veramente, da me? Tu non mi chiami per sapere del volo, ammettilo. Non te ne frega un cazzo. Tu hai in mente qualcosa» l’accusò senza mezzi termini.
 
«Oh, caro, come puoi parlare così a tua madre. Io ti voglio bene, lo sai. Ok, a modo mio, ma te ne voglio. Desidero passare qualche ora con te. È un crimine, forse?»
 
«No, non lo è» ammise facendola gongolare, ma poi aggiunse «è una follia. E comunque, domenica sono già occupato, vado dalla zia. Anzi, no… andiamo dalla zia. Non vuoi sapere chi viene con noi?»
 
«Oh, non credere che non lo sappia che tuo padre si trastulla con una grassona alta come uno gnomo. Vuole giocare alla famiglia felice, vero? Vuole sostituirmi con lei in famiglia.»
 
«Ahahah, Gianna, sei uno spasso. Se non sapessi che sei meschina e finta potrei anche credere alla tua gelosia. Ma ti ricordo che ti sei auto eliminata dalla nostra vita anni fa e ti devo dire che è la scelta migliore che tu abbia fatto.»
 
Quello era un colpo basso. Vita. Lui, quella che avevano vissuto, la chiamava vita. Aveva spostato Ernesto forte del suo retaggio benestante, per poi ritrovarsi con un marito che odiava esserlo e preferiva sporcarsi con il grasso delle automobili e fare una vita modesta. Si era chiesta molte volte cosa non andasse in quell’uomo, ma alla fine aveva desistito. E così… s’era data agli amanti, tanti. Fino a che non aveva incontrato il suo Scheggia e, con lui, quel pizzico di adrenalina che da tempo non aveva più nel suo matrimonio.
 
«Bè, in ogni caso non devo chiederti il permesso per vederti. Sono tua madre, è normale che voglia frequentarti. E… sì, hai ragione, ho in mente qualcosa, ovvero scusarmi con te per quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti, però anche tu, dovevi proprio provocare Scheggia in quel modo…»
 
«Senti, se mi hai telefonato solo per…»
 
«No, no» si affrettò a rispondergli «volevo anche chiederti di tornare a casa, mi manchi tesoro e…»
 
«E niente, madre. Forse ti sei scordata di quello che mi ha detto il tuo amichetto tossico e… scusa un attimo. Arrivo subito» Gianna sentì suo figlio interrompersi e poi riprendere rivolto a qualcuno «non vi azzardate a tagliare quella meraviglia senza di me.»
 
«Oh, non potremmo mai. Fai pure con calma, la torta non scappa e noi nemmeno. Buona continuazione.»
 
Era una voce di donna quella? Che diamine…ehi, un momento. Lei la conosceva quella voce. Sì, eccome. La consapevolezza di essere stata presa in giro così da Bruno, unita alla rabbia l’invasero e – mollata la facciata buonista – in lei si risvegliò l’odio verso quell’uomo che era stato suo marito un tempo.
 
«Dove sei, Bruno? Non a Londra, vero? Sei a casa di tuo padre, vero? E c’è anche quella troia, vero?»
 
«Gianna, Gianna, Gianna, cara madre mia» iniziò lui senza scomporsi «a quanto pare non c’è bisogno che ti scomodi a passare a prendermi all’aeroporto. Sì, sono in Italia. Sì, sono da papà. Sì, c’è anche quella donna fantastica che frequenta ora e che non ti permetto di insultare oltre. Sì, penso anch’io che dovremmo incontrarci, ma ti avviso fin da ora che non tornerò a casa né ora né mai, perché non la considero più tale. Ti va bene domenica sera? Fammi sapere dove preferisci, per me venire lì o vederti qui è la stessa cosa. Ora ti saluto, c’è una fantastica torta allo yogurt che mi aspetta.»
 
E poi, senza attendere risposta, suo figlio interruppe la chiamata.
 
«Ma come si permette quel… quel…aaarghhh!»
 
«Problemi con quel tuo strambo e ingrato figlio?» Le chiese il suo compagno mentre lo raggiungeva sul divano.
 
«Ah, puoi giurarci. Quell’essere è nato per infastidirmi e basta» rispose lei al suo nuovo compagno. «Riesci a crederci? Mi ha sbattuto il telefono in faccia. E sai dove si trova ora?»
 
«A Londra in procinto di partire?» Azzardò lui.
 
«No, è rientrato prima e senza dirmelo. È da quel buono a nulla di suo padre e con loro c’è anche quella puttana a cui si accompagna adesso. Giocano alla famiglia felice. Ma prima o poi piangeranno, tutti.»
 
«Si direbbe che sei gelosa di loro» constatò Scheggia.
 
«Assolutamente no. Non sopporto di essere presa in giro.»
 
E non sopportava neppure di essere stata messa in secondo piano da suo figlio che, evidentemente, preferiva la compagnia di quella tizia alla sua. Inconcepibile.
La voglia di raggiungere l’allegra combriccola le passò per la testa. Per un minuto buono. Ma poi desistette. Forse poteva pedinare il gruppo fino a casa della ritrovata gemella di Ernesto – che per inciso non aveva mai visto prima – e affrontarli lì. Ma no, troppo scontato.
Aspettare la sera della domenica? No, decise, avrebbe visto suo figlio quella mattina presto a casa del suo ex e pazienza se li avesse buttati giù dal letto all’alba.
Bruno voleva la guerra? E l’avrebbe avuta.
Dannazione. Se almeno avesse scovato qualcosa di compromettente su Ernesto e quella strana, nuova situazione che da qualche mese l’aveva coinvolto… e invece niente.
 
«Ah, quasi dimenticavo» Scheggia, al secolo Ivano, si alzò di scatto e tornò poco dopo con un fogliettino in mano «mentre eri fuori, stamattina, ha chiamato il tuo avvocato.»
 
«Cooosa? E me lo dici solo adesso?» Lo riprese lei.
 
«Sì, chi credi che sia, il tuo segretario?» Rimbottò lui. «Cazzo, pollastrella, avevo qua i miei amici e ci stavamo sballando di brutto quando siamo stati interrotti dal telefono. Eh, questa roba nuova si spaccia che è una bellezza e il capo ci ha dato un generoso extra.»
 
«Immagino» sicuramente qualche bustina da tenere come pagamento principale, altre da spacciare gratis e pochi soldi, l’extra, appunto. «E, da quello che vedo, non hai ancora smesso di darci dentro. Dunque, questo messaggio?»
 
Lui glielo allungò non senza fatica – visto che la droga stava già entrando in circolo – e poi collassò sul divano, in preda a qualche viaggio mistico.
Beato lui che non ha problemi con ex mogli o figli, pensò. Abbassò lo sguardo sul foglietto e subito dopo lanciò un urlo e scoppiò a ridere.
Oh, era arrivata l’ora di pagare il suo debito.
Guardò Scheggia. Quando stava messo così, potevano volerci ore prima che tornasse in sé e quella nuova droga doveva essere proprio forte per averlo ridotto così in poco tempo. Si ripromise di provarla al suo rientro.
Prese le chiavi dell’auto, la borsa e uscì di corsa. Aveva un certo avvocato da andare a trovare. I debiti, dopotutto, andavano pagati e l’avvocato Piazza le aveva reso un enorme servizio.
Com’era quel detto? Do ut des – dare per avere – lui l’aveva aiutata e lei gli doveva il pattuito. E poi, se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe anche ottenuto un bel gruzzolo.
Sì, lei, Gianna, aveva un disperato bisogno di denaro. Denaro che lui, il caro avvocato, poteva darle in abbondanza. Doveva solo… assecondarlo.
Poi… poi avrebbe dato il via ai festeggiamenti anticipati per la disfatta di quell’idiota che pensava di essere più furbo di lei. La sua vendetta era appena iniziata. 

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