But it's fair to say, you will still haunt me

di _Trixie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (flechazo) ***
Capitolo 2: *** (mamihlapinatapei) ***
Capitolo 3: *** (oodal) ***
Capitolo 4: *** (dor) ***
Capitolo 5: *** (viraha) ***



Capitolo 1
*** (flechazo) ***


[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.] 


 
But it's fair to say, you will still haunt me
 

 
I
 

Flechazo (spagnolo) | Colpo di fulmine, amore a prima vista, una freccia scoccata da Cupido. È quel momento in cui vediamo una persona per la prima volta e capiamo che vorremmo averla al nostro fianco per tutta la vita.

 
La prima volta in cui la vide, a Rio venne da ridere. Nemmeno sapeva chi fosse o che faccia avesse quella figura incappucciata, con stivali dal tacco troppo alto per essere pratici durante una rapina e una pistola giocattolo tra le mani. Rio si mise a ridere non appena comparve nei filmati di sicurezza di uno dei negozi in cui riciclavano denaro, quel Fine & Frugal che avevano inserito da poco nel giro. Rio non avrebbe saputo descrivere bene cosa gli accadde, guardando quel filmato, fu solo cosciente di un improvviso moto di euforia che gli strinse il petto ed eruppe in una risata fragorosa, incontrollata, tanto improvvisa da coglierlo di sorpresa e disarmalo, impedendogli di reprimerla.
Lo avevano derubato in tre, tutte e tre donne, sicuramente principianti, ma spinte da una disperazione e da un sentimento di rivalsa in cui Rio, pur con fastidio, si riconobbe troppo facilmente. Era solo un ragazzino quando aveva deciso che, se doveva stare al mondo, ci sarebbe stato secondo le sue regola, e non aveva dimenticato come ci si sente a girare intorno e intorno a una giostra che non accenna a rallentare, sulla quale non puoi salire finché sono altri a manovrarla. Ma un giorno Rio aveva smesso di correre. E aveva iniziato a sparare. Ora poteva diventare lui il giostraio.
Solo, lei lo fece ridere. E lo fece anche infuriare. Perché aveva rubato a lui – ma questo lo poteva risolvere, Rio, era un territorio a lui familiare, quello delle rapine e dei soldi e dei debiti da ripagare. Con gli interessi, naturalmente. No, quello che lo faceva infuriare davvero era… Era l’incomprensibile e repentino cambiamento che Rio aveva percepito intorno a sé, dentro di sé, nel momento in cui i suoi occhi avevano individuato la figura di quella donna nel filmato. Era stato come ritrovare l’equilibrio dopo aver mancato un gradino, come accendere la luce dopo aver brancolato alla cieca in una stanza buia, come risolvere un problema che fino a pochi istanti prima era sembrato impossibile. E non era riuscito a tenersi tutto quanto dentro, perciò aveva riso.
E Rio si era ricordato di dove fosse – di chi lui fosse, lui era il fottuto giostraio – solo quando Mick, alle sue spalle, si era lasciato sfuggire uno sbuffo divertito. «Che puttane» aveva detto. Rio aveva smesso di ridere, si era accarezzato il mento con una mano, riflettendo brevemente. «Trovale» aveva ordinato, indicando le tre donne del filmato di sicurezza con un cenno del capo.
Mick non ci aveva messo molto a individuarle, sfruttando la rete di contatti che Rio aveva speso anni a costruire per tutta Detroit, così che nulla potesse succedere in quella città senza che lui venisse a saperlo. Aveva degli affari da proteggere, Rio, e non gli piacevano le sorprese. Affatto. Soprattutto se gli costavano soldi.  
Elizabeth Boland, si chiamava così quella donna, quella che sembrava la puttana al comando. Sposata, quattro figli, un cane. Un pessimo gusto in fatto di arredamento. E di uomini, a giudicare dalle foto che Rio osservò, incuriosito, dopo essersi introdotto in casa Boland. Era sicuro fosse lei, la donna che lo aveva fatto ridere in quel video – e che lo faceva infuriare tanto da offuscargli la mente, un solo pensiero fisso in testa, un’ossessione soffocante. Di starle vicino. Fisicamente vicino. Di toccarla.
Rivoleva i suoi soldi, si diceva Rio. Era solo questo, solo il desiderio che gli fosse restituito ciò che gli apparteneva.
La prima volta in cui la vide, in cui la vide davvero, Elizabeth portava un paio di jeans scuri e una camicia blu. E lo guardò dritto negli occhi. Era terrorizzata, certo, ma non provò a scappare nemmeno quando notò la pistola. E Rio non poté fare a meno di avvicinarsi a lei. Voleva provocarla. Voleva spaventarla ancora di più. Voleva allontanarla da sé.
Ma Elizabeth rimase lì. Il cuore tremante e il respiro strozzato.
E i passi di Rio si fecero pesanti e i passi di Rio si fecero inevitabili.
E ineluttabili come il fato.



 

NdA 
Ehi!
Il titolo della raccolta è tratto da una canzone, Tassellate (alt-j). Saranno cinque capitoli, ciascuno ispirato a una diversa "parola intraducibile" (qui il link alla challenge) e a pov alternato (Rio nel primo e nel terzo capitolo, Beth nel secondo e nel quarto, entrambi i pov nel quinto). 
Grazie per aver letto! 
A presto, 
T. <3 

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Capitolo 2
*** (mamihlapinatapei) ***


[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.] 


 
II
 


Mamihlapinatapei (yaghan) | Gioco di sguardi tra due persone che si piacciono, guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente ma che nessuno dei due vuole fare per primo.


 
Era il modo in cui lui la guardava. E Beth era sicura fosse solo nella sua testa, che si stesse immaginando tutto – eppure, non poteva fare a meno di irrigidirsi ogni volta che gli occhi di Rio si soffermavano su di lei. E non era come se Beth non ci avesse fatto il callo, ad essere guardata, anzi, no, ad essere squadrata, costantemente. Era il suo seno, di questo Beth era più che consapevole. Erano gli occhi di uomini che si fissavano su di lei tanto insistentemente da nausearla, occhi di uomini che pensavano che lei fosse al mondo per il loro piacere e niente più. O a volte erano solo gli occhi di adolescenti che subito distoglievano il viso, imbarazzanti, o di donne divise tra l’invidia, l’ammirazione o la compassione – e la scomodità e il problema di trovare reggiseni o vestiti che le andassero bene o poi sì, certo, le attenzioni non volute che attirava solo per essere così come era. E poi c’era Dean. Meglio. C’era stato Dean. Perché Dean non la guardava nemmeno più, ormai, come se lei non esistesse nemmeno. Beth era convinta che se le fosse cresciuta una seconda testa, dalla sera alla mattina, Dean non se ne sarebbe nemmeno accorto. E forse era meglio così. Forse era meglio di quando, dopo la nascita di Jane, Dean non faceva che guardarla, ancora e ancora, senza darle un attimo di respiro, dicendo che Beth poteva prendersi tutto il tempo che voleva per sentirsi di nuovo sé stessa, ma Beth gliela leggeva negli occhi, la falsità delle sue parole, l’offesa che Dean sentiva nel proprio ego ogni volta che Beth si copriva un po’ di più con l’accappatoio dopo la doccia o si assicurava di allacciare ogni singolo bottone del pigiama prima di infilarsi nel letto accanto a suo marito. E non voleva essere guardata, Beth. Non voleva essere guardata da Dean e non voleva essere guardata da perfetti sconosciuti.
E poi l’aveva guardata Rio. E all’inizio non ci aveva nemmeno fatto caso, Beth, la sua testa troppo distratta dallo scintillio d’oro della sua pistola, il suo cuore tutto preso da quell’impellente voglia di continuare a vivere che Beth non sentiva da tanto, troppo tempo, e che sembrava dovuto a Rio. Perché con lui sono sempre troppo vicina alla morte, si diceva Beth, ma era sempre meno vero a ogni nuovo sguardo di Rio.
Rio, che faceva scorrere gli occhi su di lei, senza tralasciare un solo centimetro, dai piedi fino alla sommità del capo. Rio, che si assicurava sempre che lei lo notasse, che lei vedesse il modo in cui sembrava registrare nella propria memoria ogni singolo dettaglio di lei. Rio, che si soffermava sempre un po’ troppo a lungo sul suo viso. I suoi occhi. Le sue labbra.
Voleva solo intimidirla, si diceva Beth. E lei era una povera stupida a permettere che il suo sguardo, i suoi occhi soltanto, le spezzassero il fiato, le facessero dischiudere le labbra, le scaldassero il petto. E forse all’inizio era stato davvero così, forse all’inizio aveva voluto davvero spaventarla. Ma Rio non aveva mai smesso di guardarla. E non si trattava tanto dell’idea di essere vista per quello che era, Beth non aveva certo bisogno di Rio – o di qualsiasi altro uomo, per legittimare la propria esistenza, no. Era piuttosto la concretezza dello sguardo di Rio, il modo in cui le faceva formicolare la pelle del viso come se le stesse scostando i capelli dalla fronte. Ed era quello che Rio provava a dirle con quello sguardo. A volte glielo urlava in silenzio e altre glielo sussurrava, talvolta erano parole sibilanti piene di rabbia e rancore e rifiuto e a volte erano dubbi e domande che avevano il peso di un tormento e per lei e per lui. E Beth tutto questo lo sapeva, lo sentiva, ma non riusciva a capirlo, non riusciva a comprenderlo.
E allora Beth lo guardava in risposta, anche se non capiva la domanda negli occhi di Rio. Lo guardava lo stesso e faceva scorrere gli occhi sulle linee dure del suo volto e pensava al contrasto che avrebbero fatto se le avesse accarezzate con le proprie labbra morbide. E lo guardava anche se sapeva che nemmeno Rio l’avrebbe capita, perché Beth non sapeva cosa volesse dirgli. Vattene. Rimani. Più vicino. Non posso volerti. Ho bisogno di respirare. Ho bisogno di-
E gli occhi di Beth cadevano sulle labbra di Rio. E l’angolo della bocca di Rio si sollevava appena.
Poi tornavano a guardarsi.
E non sapevano dove e non sapevano come, ma entrambi capivano di essersi persi, presi nel mezzo di un oceano troppo vasto per essere navigato, senza terra all’orizzonte. E resistere all’abisso nero delle sue acque che la chiamavano diventava sempre più difficile Beth ad ogni sguardo di Rio.

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Capitolo 3
*** (oodal) ***


[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.] 



III



Oodal (tamil) | Quella finta rabbia che gli innamorati ostentano dopo un banale litigio, un grande amore mascherato da rabbia che può servire a ritrovarsi con più gioia quando si fa la pace.



 
Non lo sapeva nemmeno, il motivo per cui avevano litigato. In tutta onestà, non gliene fregava un cazzo di dove Elizabeth parcheggiasse quelle auto di merda. Solo- Rio serrò la mascella, gli occhi fissi su Elizabeth in piedi dall’altro lato della scrivania.
Era arrivato alla concessionaria dopo una giornata che Rio avrebbe voluto cancellare dalla propria memoria. Rhea lo aveva chiamato lamentandosi di quanto poco tempo passasse con Marcus, come se lui non facesse del suo meglio per essere presente nella vita di suo figlio quanto più possibile, come se Rhea non sapesse che lo faceva anche per Marcus, perché non fosse costretto a crescere come era cresciuto lui, e che se si teneva a distanza per qualche giorno era per proteggere entrambi, lei e Marcus. E quando la frustrazione per le accuse della sua ex aveva iniziato a sfumare, ecco Mick che lo informava che uno dei suoi ragazzi, uno di quelli nuovi, era morto accoltellato in una stupida rissa riguardo a una scommessa di poche centinaia di dollari. E così era andato da Elizabeth. Non che ce ne fosse davvero bisogno, il loro accorda funzionava. Ma voleva essere sicuro, voleva… Non lo sapeva nemmeno lui cosa voleva, era solo andato da Elizabeth. E non era come se avesse bisogno di un cazzo di motivo per andare da Elizabeth. Erano entrambi partner della concessionaria, no?
Ma, quando lo aveva visto nel suo ufficio, Elizabeth non gli aveva sorriso, no, gli aveva chiesto cosa ci facesse lì e aveva irrigidito lo sguardo in quel modo che indicava che era pronta a rispondere a tono, a gridare e scalciare persino se fosse stato necessario. E qualcosa era scattato in Rio. Ed era disarmante, quasi fastidioso, come Rio non potesse fare altro che reagire ad Elizabeth. Al suo tocco, al suo sguardo, alle sue parole, il solo esistere di Elizabeth era una provocazione per Rio. Perciò le aveva detto che stava sbagliando. Che le sue auto – le auto che valevano di più per quello che vi era nascosto dentro, dovevano essere parcheggiate dall’altro lato della concessionaria. E quando Elizabeth aveva chiesto perché, quando aveva iniziato a fare una domanda dopo l’altra, come faceva sempre, Rio non aveva saputo rispondere. Perché di sì. Perché lo dico io. Perché devi fare quello che ti dico.  
E se i riflessi di Rio fossero stati una frazione di secondo meno pronti, la targhetta con il nome di Elizabeth che venne lanciata nella sua direzione lo avrebbe sicuramente preso dritto in faccia. Avrebbe dovuto aspettarselo. Non era la prima volta che Elizabeth gli lanciava qualcosa in uno scatto d’ira. Avevano continuato a litigare e non si erano nemmeno preoccupati di tenere la voce bassa – era tardi, non c’era più nessuno lì, a parte loro.
E poi c’era stato il silenzio, interrotto solo dal respiro pesante di Elizabeth, che lo fissava, i capelli in disordine a causa della foga.
«Che problemi hai, esattamente?» domandò infine Elizabeth, il tono tagliente.
Rio si strinse nelle spalle. Nessuno. Troppi. Tu. Tu sei il mio problema.
E Rio abbassò gli occhi sulla scrivania – Elizabeth seguì immediatamente il suo sguardo e stava ancora guardando la scrivania, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di Rio, quando lui lo riportò su di lei.
E anche lei doveva aver avuto una giornata pesante. Rio non aveva bisogno di farle domande per saperlo. Gli bastava guardarla. Era la curva delle spalle, la tensione del collo, le occhiaie sul volto.
Elizabeth sospirò, riuscì infine a spostare di nuovo lo sguardo su di lui, incrociò le braccia al petto. «È il mio reparto» gli ricordò. «Io non ti dico come gestire il tuo reparto, tu non mi dici come gestire il mio».
Rio fece un passo verso di lei. Non avrebbe fatto la differenza, dirle o meno cosa fare con il suo reparto. Elizabeth avrebbe comunque fatto come cazzo voleva e lo sapevano entrambi.
Per questo lei era un suo problema.
Per questo era andato da lei dopo una giornata pesante.
Per questo lei lo faceva sempre incazzare così tanto.
Rio fece un altro passo verso di lei ed era il modo in cui Elizabeth lo osservava, il mento proteso in avanti, rifiutandosi di cedere terreno, anche solo di un soffio, anche solo per un istante.
Ancora un passo e il volto di Rio fu tanto vicino a quello di Elizabeth da poter sentire il suo respiro sulla pelle e il calore del suo corpo.
Teneva le mani della tasca della giacca, Rio. Le teneva lì, perché altrimenti non sarebbe riuscito a non toccare Elizabeth. A scostarle i capelli del viso, a spingerla contro la scrivania, sulla scrivania, a scoparla lì, in quello che era stato l’ufficio di quel coglione di suo marito, e sentirla sciogliersi sotto di lui, perché i gemiti di Elizabeth nel suo orecchio portassero via tutta la tensione che stringeva la schiena di Rio in una morsa dolorosa.
Rio fece un cenno del capo. Un assenso. Un ultimo sguardo di Elizabeth prima di lasciare l’ufficio.
Ed era così furioso, Rio, per la giornata di merda che aveva avuto.
E per aver cercato il sorriso di Elizabeth.
 

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Capitolo 4
*** (dor) ***



[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.]

 
IV
 


Dor (romeno) | Attendere con trepidazione lo squillo del telefono, guardare continuamente l’orologio in attesa di un appuntamento, avere l’impressione che il tempo che ci separa dalla persona che amiamo non passi mai. È il desiderio misto a gioia e malinconia di rivedere al più presto le persone di cui sentiamo la mancanza.


 
Beth non si considerava una persona impaziente. E non poteva nemmeno permettersi di esserlo, non con quattro figli e… Beh, con un marito come Dean, Beth di pazienza ne doveva avere molta. Troppa, secondo Annie. E Ruby. Beth scosse la testa, si schiarì la gola. E d’accordo, forse Annie e Ruby non avevano del tutto torto, solo… Non voleva pensarci. Non voleva mai pensare a Dean. O a quella barzelletta che era ormai il loro matrimonio.
Con un sospiro, Beth guardò fuori dalla porta del bagno, nella sua camera da letto, in direzione della sveglia sul comodino. Le undici e trentaquattro minuti. Era ancora presto. Tornò di fronte allo specchio, guardò il proprio riflesso. E arrossì violentemente, all’improvviso, il ricordo delle mani di Rio su di lei in quel bagno e del modo in cui le aveva baciato il collo e morso il lobo dell’orecchio e come l’aveva-
Si era tenuto il suo tanga. Non ci aveva nemmeno fatto caso, Beth, mentre usciva dal bagno di quel locale su gambe tremanti, il cuore che non voleva smetterla di battere irregolare nel suo petto, il rumore sordo del sangue nelle orecchie. E solo quando si era seduta in auto accanto a Dean si era accorta che Rio aveva tenuto il suo tanga – e aveva cercato di abbassare l’orlo del vestito per coprirsi e le sue dita avevano sfiorato le sue gambe lì, dove Rio l’aveva toccata poco prima, dove Rio aveva stretto e graffiato.
Beth respirò a fondo, cercando di pensare ad altro. Si sporse di nuovo verso la porta che dava sulla sua camera, controllò la sveglia sul comodino. Le undici e trentacinque minuti. Avevano un appuntamento quella sera. No, non un appuntamento. Un incontro, sì. Un incontro d’affari, lei e Rio. Doveva consegnarle la sua percentuale e Beth aveva preferito il parco, di notte, per evitare che sorgessero domande scomode tra i suoi dipendenti alla concessionaria.
Beth stese il mascara sulle ciglia dell’occhio destro, con attenzione. Di nuovo, controllò l’ora. Le undici e trentasei. Stese il mascara anche sull’altro occhio, lo sguardo fisso sul suo riflesso – e il suo petto premuto contro la schiena, il modo in cui l’aveva spinta contro il muro e- infastidita, Beth lasciò cadere il mascara nel lavandino, mordendosi il labbro inferiore.
Le undici e trentasette. Diventava insostenibile, a volte. La presa che lui aveva su di lei. Il modo in cui Beth non poteva smettere, per quanto ci provasse, di pensare a lui. Il modo in cui la sua mente tornava a Rio ancora e ancora, per quanto cercasse di allontanarsene, per quanto provasse a liberarsi di lui e del controllo che aveva su di lei.
Beth si mise il rossetto. Le undici e trentotto. E non era una persona impaziente. Solo… Voleva la sua percentuale. Voleva la sua metà. I suoi soldi. E voleva…
Beth chiuse gli occhi.
No. Non lo voleva. Era successo. Ed era successo una sola volta e non sarebbe successo mai più. Non poteva succedere di nuovo.
Le undici e trentanove.
Un ultimo sguardo al proprio riflesso nello specchio – e i denti di Rio sul suo collo, la mano di Rio tra le sue gambe, no, dannazione, Beth la doveva smettere. Uscì dal bagno e poi dalla sua camera da letto, attraverso la portafinestra che dava sul giardino. Prese l’auto, imponendosi di non sbattere la portiera solo per non svegliare i bambini – o Dean, e arrivò in anticipo al parco dell’appuntam- dell’incontro. Guardandosi intorno nel parcheggio vuoto notò la mancanza della jeep nera di Rio, ma decise comunque di raggiungere la loro panchina – le undici e quarantaquattro, incapace di rimanere ferma, senza fare nulla. E probabilmente avrebbe aspettato a lungo, conoscendo Rio e l’abitudine che aveva di non presentarsi mai all’orario stabilito, sempre al momento meno opportuno.
Perciò rimase a bocca aperta quando lo vide, da lontano, seduto su una panchina. Le undici e quarantacinque. Rio le fece un cenno di saluto con il capo e Beth sorrise.
E sperò di essere ancora abbastanza lontana da lui perché non lo notasse, perché Rio non notasse nulla, non l’improvvisa leggerezza dei suoi passi, non l’ingiustificata luce nei suoi occhi, non il sospiro di contentezza che le sfuggì nel vederlo.
Non poteva saperlo, Rio, di come riuscisse a tenerla legata a sé.
 

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Capitolo 5
*** (viraha) ***


[Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.]

 
V


 
Viraha (hindi) | La consapevolezza dell’amore che arriva nel momento della separazione, rendersi conto di amare una persona soltanto poco prima della sua partenza o di una separazione inevitabile.


 
Sapeva quello che Elizabeth avrebbe fatto ancora prima che lei gliela puntasse al petto. Lo aveva capito nel momento esatto in cui il corpo di Elizabeth si era orientato nella sua direzione, la sua pistola tra le mani. Lo aveva capito, Rio. Ma non aveva voluto crederci. Era una bugia, certo, Elizabeth stava mentendo. Ed era così brava a mentire, la sua Elizabeth, così brava che spesso persino lui ci cascava e finiva con il credere alle sue puttanate. Come in quel momento. Ma mentiva, Elizabeth. Di certo, stava mentendo. Non voleva davvero sparargli. Non dopo quello che avevano fatto. No. Non gli avrebbe sparato. Non poteva sparargli, Elizabeth.
Rio non poteva essere l’unico ad averla sentita, quell’inevitabilità tra loro.
Non dopo quel pomeriggio nel suo letto. Non dopo il modo in cui Elizabeth era venuta tra le sue braccia, lasciando graffi sulla sua schiena e l’eco del suo nome nelle orecchie.
Anche se lo aveva sbattuto fuori a calci. Anzi, proprio perché lo aveva sbattuto fuori a calci Rio era convinto che anche Elizabeth si fosse resa conto di quello che avevano fatto e che non c’era più modo di tornare indietro, che non sarebbero più riusciti a prendersi per il culo, che erano entrambi nella merda, d’accordo, certo, ma almeno c’erano dentro insieme.
Elizabeth non gli avrebbe sparato.
No.
E, per un istante, dopo aver sentito il primo colpo di pistola risuonargli nelle orecchie – cancellati i gemiti di Elizabeth, Rio si chiese come fosse possibile che quel bastardo di merda di Turner fosse riuscito a mettere le mani su una pistola.
Ancora un colpo. Un terzo.
Ed era Elizabeth.
Dio, era Elizabeth.
Elizabeth, a cui aveva dato la propria pistola tra le mani. Elizabeth, davanti alla quale era disarmato. Elizabeth, alle cui stronzate aveva creduto ancora e ancora.
E forse in tutta quella merda Rio c’era sempre stato da solo.
Senza Elizabeth.
Non riusciva più a respirare, Rio.

 
*


Beth non sapeva che cosa avrebbe fatto fino a quando non lo fece.
E come aveva potuto farle questo, Rio?
Come dannazione aveva potuto metterla di nuovo in quella posizione, darle una pistola tra le mani, costringerla, obbligarla – decidere per lei?
Era stanca, Beth. Era incredibilmente stanca.
Era stanca di… Era stanca di sentirsi così inesorabilmente legata a lui, da tutto quello che Rio era. Era stanca di sentirsi impotente, in balia di Rio e delle sue parole e del suo tocco. Voleva liberarsene. Voleva che Rio scomparisse dalla sua vita.
Voleva tornare a respirare.
Il primo colpo la spaventò. E non credeva di essere stata lei a sparare. Non poteva. Eppure, Rio barcollava, una mano sul cuore, un’infinita incredulità negli occhi, la stessa che provava Beth.
E poi rabbia, rabbia cieca negli occhi di Rio.
E Beth sapeva che non c’erano più alternative, non dopo quello che aveva fatto. Era inevitabile. Lei o lui.
Non si preoccupò nemmeno di mirare, Beth, quando sparò gli altri due colpi.
E fu solo quando il corpo di Rio cadde a terra che Beth capì.
Non avrebbe più respirato.
Non Rio, non Beth.
Non avrebbero più respirato.
Beth lanciò uno sguardo nella sua direzione e il sangue che scivolava dagli angoli della bocca di Rio e i suoi singulti strozzati e – ridicolo – per un attimo Beth credette che a Rio venisse da ridere.
Ma lo sapeva che non riusciva più a respirare, Rio.
E Beth con lui.


 

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