Buon compleanno

di evelyn80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Murales (Laudir De Oliveira) ***
Capitolo 2: *** Nervosismo (Terry Kath) ***
Capitolo 3: *** Cibo spazzatura (Walter Parazaider) ***
Capitolo 4: *** Tramonto (Jason Scheff) ***
Capitolo 5: *** Soddisfazione (Bill Champlin) ***
Capitolo 6: *** Memoria prodigiosa (Lou Pardini) ***
Capitolo 7: *** Incontro sfortunato (Chris Pinnick) ***
Capitolo 8: *** Trenta parrucche per me... posson bastare (Tris Imboden) ***
Capitolo 9: *** Il miglior regalo del mondo (Keith Howland) ***
Capitolo 10: *** Sì, viaggiare (James Pankow) ***
Capitolo 11: *** Ricordo di un amico (Danny Seraphine) ***
Capitolo 12: *** Rimpianto (Peter Cetera) ***
Capitolo 13: *** Il momento dell'addio (Dawayne Bailey) ***
Capitolo 14: *** Lezione di ca...pigliatura (Donnie Dacus) ***
Capitolo 15: *** Quel motivetto che mi piace tanto (Robert Lamm) ***
Capitolo 16: *** Rassegnazione (Lee Loughnane) ***



Capitolo 1
*** Murales (Laudir De Oliveira) ***


Murales (Laudir de Oliveira)


 








Il piccolo Laudir, dieci anni compiuti proprio quella mattina, stava tornando lentamente a casa, un pallone di stracci sotto il braccio. Aveva allungato molto la strada del ritorno e non soltanto perché non aveva nessuna di voglia di tornare alla sua baracca. Voleva passare davanti ai Murales prima di rinchiudersi tra quelle quattro mura spoglie. Ce n'era uno in particolare che gli piaceva moltissimo, nella lunga fila di dipinti dalla vernice scrostata e scolorita in alcuni punti. Ritraeva un suonatore di surdo che batteva con vigore con le mazze contro la pelle del tamburo.
Ogni volta che poteva, Laudir andava in quel piccolo vicolo della favela e si appoggiava con la schiena al muro di fronte, per restare ore e ore a contemplare quell'immagine rovinata dal tempo e dall'incuria.
Non sapeva chi l'avesse dipinto, né sapeva chi fosse il musicista ritratto in quell'immagine. Ma, in fondo al suo cuore di bambino, sapeva che un giorno sarebbe diventato un percussionista come lui.

 

Spazio autrice:

Benvenuti in questa nuova raccolta dedicata ai compleanni dei membri dei Chicago. Quest'anno ho deciso di includere nella raccolta non soltanto i membri fondatori, ma anche coloro che hanno militato nel gruppo negli anni successivi, come aggiunte o sostituzioni.
Il primo della lista è Laudir De Oliveira, nato il 6 gennaio 1940 a Rio de Janeiro. È stato membro ufficiale dei Chicago dal 1974 al 1981, anche se prima di essere ufficialmente ammesso nella band aveva già collaborato con loro alla realizzazione di due album come percussionista aggiuntivo. Purtroppo ci ha lasciato il 17 settembre del 2017, a causa di un infarto da cui è stato colto proprio mentre suonava nella sua Rio.
Per complicarmi la vita, altrimenti sarebbe stato tutto troppo facile, ho chiesto a Kim WinterNight e a sua sorella Soul Dolmayan di darmi un prompt per ogni compleanno. Loro hanno coinvolto anche la loro mamma, ed è stata proprio lei a darmi la prima parola, ovvero: “Murales”.
Grazie a questa parola ho scritto la mia prima kid-fic in assoluto. Ho immaginato un Laudir di 10 anni che torna a casa dopo una giornata trascorsa a giocare a pallone con gli amichetti e che, prima di rincasare, si ferma a guardare uno dei suoi murales preferiti, che ritrae un musicista intento a suonare il suo “surdo”, un tamburo tipico brasiliano utilizzato nel Samba, il ballo tipico dello Stato. E si sofferma proprio su quello perché il suo sogno nel cassetto è diventare percussionista.
Questo murale è frutto della mia fantasia, così come il fatto che Laudir sia nato e cresciuto in una favela. Non ho trovato molte notizie su di lui, così ho inventato di sana pianta il suo background.
Questo primo capitolo è piuttosto breve, poco più di una drabble in effetti. Credo che più o meno saranno così anche i prossimi capitoli, anche se tutto dipenderà dai prompt che mi verranno assegnati.
Auguri Laudir, ovunque tu sia!
Grazie per aver letto!

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Capitolo 2
*** Nervosismo (Terry Kath) ***


Nervosismo (Terry Kath)

 



 


Terry si guardò attentamente allo specchio, fissando il proprio riflesso con occhio critico e spalmando nervosamente la brillantina sui propri capelli per domare la banana alla Elvis. Quel giorno era il suo compleanno: avrebbe compiuto sedici anni, un traguardo importantissimo nella sua vita. Avrebbe potuto finalmente prendere la patente di guida; sua madre gli aveva promesso che gli avrebbe regalato un basso nuovo di zecca; e, soprattutto, quella sera, durante la festicciola che aveva organizzato in casa propria con i suoi amici, avrebbe potuto rivelare il suo amore a Jacklynn, la ragazza dei suoi sogni!
Era da un po' che le aveva messo gli occhi addosso, in classe, però non era mai riuscito a trovare il coraggio per dichiararsi. Ma questa era la volta buona, se lo sentiva.
Stava ancora tentando di sistemarsi i capelli alla perfezione quando Danny, il suo migliore amico – quasi un fratello – nonché suo compagno nella piccola band scolastica, lo raggiunse sulla porta del bagno. Quel giorno, all'uscita da scuola, Terry lo aveva invitato a mangiare a casa sua perché viveva dalla parte opposta della città, e non avrebbe potuto permettersi di fare due volte il lunghissimo tragitto in autobus.
Danny seguì per qualche istante i suoi movimenti frenetici, con un sorrisetto stampato sulle labbra.
«Non è che per caso sei nervoso?».
«Chi, io? Mai stato più tranquillo!», replicò Terry senza smettere di impiastricciarsi la testa. Poi si bloccò di colpo, emise un profondo sospiro e si voltò verso l'amico. «Ma chi voglio prendere in giro? Me la sto facendo sotto dalla paura! E se Jacki mi dicesse di no?».
Danny gli si accostò e gli diede una pacca sulla spalla. «Sarebbe una sciocca. Come si può dire di no a un tipo come te?».
I due amici si fissarono attraverso lo specchio e si sorrisero. In fondo al cuore sapevano entrambi che, anche se molte cose sarebbero passate, la loro amicizia sarebbe rimasta per sempre.

 

Spazio autrice:

Eccoci dunque al secondo compleanno. Questo è il turno di Terry Kath, nato a Chicago il 31 gennaio 1946. È stato uno dei membri fondatori dei Chicago, ed è stato il chitarrista del gruppo fino al giorno della sua prematura morte, avvenuta a Woodland Hills, un sobborgo di Los Angeles, il 23 gennaio 1978, a causa di un colpo di pistola che si è involontariamente auto-inflitto mentre giocava con le sue pistole a casa di un amico.
Anche stavolta, grazie al prompt gentilmente assegnatomi da Soul Dolmayan (il dialogo in corsivo che avete trovato nel testo), sono riuscita a scrivere una kid-fic, sempre che a sedici anni si possa ancora parlare di kid-fic. Nello specifico, ho raccontato un ipotetico momento in cui Terry si prepara per l'imminente festa di compleanno, in cui avrà intenzione di dichiarare il proprio amore a Jacklynn Goudie, quella che diventerà la sua fidanzata fino a quando Walter Parazaider non gliela porterà via.
Nella foto a inizio capitolo, tratta probabilmente da un annuario scolastico, si può vedere una bella immagine del giovane Terry, con la banana alla Elvis, la cui didascalia dice: “Solo tre cose lo rendono felice – chitarre, motociclette e Jacki”. Nel testo ho parlato di un basso perché all'inizio della sua carriera musicale Terry suonava proprio il basso.
Lui e Danny Seraphine, nonostante quest'ultimo sia di due anni più giovane, sono stati grandi amici sin dai tempi della scuola. Terry veniva da una famiglia benestante; mentre la famiglia di Danny, emigrati italiani, è sempre stata un po' più “indigente”, e sua madre si è sempre fatta in quattro per dargli il meglio. Per questo ho scritto che Danny abitava dalla parte opposta della città (a Little Italy) e che non avrebbe potuto permettersi il doppio tragitto in autobus.
Tanti auguri, Terry, ovunque tu ti trovi!
Grazie per aver letto.

 

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Capitolo 3
*** Cibo spazzatura (Walter Parazaider) ***


Cibo spazzatura (Walter Parazaider)

 

 


Walter sfilò il guantone da baseball dalla mano sinistra e prese il cartoccio unto pieno di patatine fritte, leccandosi le labbra. Era fantastico, per una volta, festeggiare il proprio compleanno mangiando schifezze. Si aggiustò il berretto sulla testa perché il sole non gli desse fastidio agli occhi e si lasciò cadere su una panchina davanti allo studio di registrazione. Che gli altri se ne stessero pure rinchiusi tra quelle quattro mura a fare la muffa davanti a quei microfoni polverosi: lui non aveva nessuna voglia di marcire là dentro, non quando il sole splendeva così luminoso e si poteva giocare a baseball per tutto il santo giorno.
Li aveva invitati a uscire con lui per rimpinzarsi di patatine, ma nessuno aveva accettato il suo invito, anzi! Danny si era messo addirittura a sbraitare qualcosa riguardo al fatto che doveva smetterla di leccare i francobolli! Ma lui non li leccava mica, i francobolli. Non le mandava mai a nessuno, le cartoline.
Scosse le spalle per lasciarsi scivolare di dosso le parole del batterista e immerse le dita tra le patatine calde e coperte d'olio: quella sì che era una vera goduria!
«Ah... il mio compleanno migliore!», esalò quando ebbe svuotato il cartoccio, per poi alzarsi e buttarlo in un cestino per l'immondizia.
Rimise il guantone da baseball e ricominciò a sbattersi la palla nella mano sinistra. PUNF... PUNF... PUNF...
Avrebbe continuato così per ore!

 

 

 

 

Spazio autrice:

Siamo arrivati al terzo compleanno, quello di Walter Parazaider, nato a Maywood (area metropolitana di Chicago) il 14 marzo 1945. È uno dei membri fondatori della band, e ne è stato il sassofonista fino al 2017, quando si è ritirato dalle scene a causa di problemi cardiaci ed è stato sostituito dal più giovane Ray Hermann.
Questa volta il prompt, “patatine fritte”, mi è stato gentilmente fornito da Kim Winternight, e ho deciso di riallacciarmi ad un fatto realmente accaduto per scrivere questa piccola flash.
Dovete sapere che agli inizi degli anni '70 (più o meno), Walter era talmente strafatto di LSD da essersi quasi ridotto il cervello in pappa. Danny Seraphine, nella sua autobiografia “Street Player – My Chicago story” racconta che il sassofonista si recava nello studio di registrazione vestito in tenuta da baseball, con tanto di cappellino, guantone e palla, e continuava a sbattersi ripetutamente la palla nel guanto, provocando un rumore insistente e fastidioso che snervava tutti quanti. Alla fine, Danny diede voce alla frustrazione di tutti, intimandogli di smetterla. Solo grazie all'intervento di Jacklynn, moglie di Walter, il sassofonista si convincerà a farsi ricoverare in ospedale, dove rimarrà per una ventina di giorni per disintossicarsi.
Ho quindi preso spunto da quel periodo per descrivere uno Walter venticinquenne, ma che si comporta come se avesse dodici anni, e quindi di certo non disdegna un bel cartoccio di patatine fritte belle unte. Il riferimento al “leccare i francobolli” deriva dal fatto che l'LSD spesso si presenta sotto forma di cartoncini colorati, separati l'uno dall'altro da una perforazione che li fa somigliare, appunto, a dei francobolli.
Tanti auguri, Walter!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 4
*** Tramonto (Jason Scheff) ***


Tramonto (Jason Scheff)


 


 

Jason socchiuse gli occhi, il sole rosso del tramonto che gli riscaldava la pelle del viso. Respirò a pieni polmoni l'aria salata dell'oceano e si godette alcuni minuti di silenzio, rotto soltanto dal rumore della risacca che gli lambiva i piedi. Gli piaceva moltissimo starsene lì, su quella spiaggia semi deserta, a godersi gli ultimi minuti di luce del giorno: lo faceva praticamente ogni volta che le condizioni del tempo glielo permettevano.
Ma quella sera aveva un motivo in più per sentirsi felice: suo papà era tornato a casa proprio quella mattina, dopo un lunghissimo ed estenuante tour per tutti gli Stati Uniti al seguito di Elvis Presley, giusto in tempo per festeggiare insieme il suo compleanno.
Jason sorrise al ricordo dell'abbraccio che gli aveva donato: il padre era esausto, desideroso soltanto di buttarsi sul letto per dormire tre giorni di fila, ma non aveva certo esitato a stringerlo tra le braccia quando gli si era gettato al collo.
«Sai, papà?», gli aveva detto, la faccia affondata nel petto del genitore. «Ti ho visto in televisione, l'altra sera! Sei più famoso di Elvis!».
Suo padre gli aveva scompigliato i lunghi capelli ricci e gli aveva risposto: «Un giorno tu sarai più famoso di me!».
Jason sorrise di nuovo nel ricordare quelle parole. E, davanti a quel sole al tramonto, rosso ed enorme, giurò a se stesso che sarebbe diventato davvero più famoso del suo papà.


 

Spazio autrice:

Siamo giunti al quarto compleanno, quello di Jason Scheff, nato a San Diego (California) il 16 aprile 1962. È stato bassista dei Chicago dal novembre del 1985 – subentrando al membro fondatore Peter Cetera – fino all'ottobre del 2016, quando ha lasciato la band a causa di motivi famigliari non ben specificati (qualcuno ha ipotizzato motivi di salute della moglie). È stato sostituito prima da Jeff Coffey e poi da Brett Simons. A parte i membri fondatori ancora attivi, Jason è stato il musicista più longevo all'interno della band: ben 31 anni di presenza.
Questa volta il prompt, gentilmente fornitomi dalla mamma di Kim e Soul, era “tramonto”, e io ho immaginato un giovanissimo Jason seduto sulla spiaggia a godersi gli ultimi raggi di sole al tramonto, felice per il ritorno a casa del padre, giunto giusto in tempo per festeggiare il suo compleanno.
Dovete sapere, infatti, che Jason è figlio d'arte. Suo padre, Jerry Scheff, ha collaborato per moltissimi anni con Elvis Presley e con tantissimi altri artisti, tra cui pure i The Doors di Jim Morrison.
In occasione dell'uscita dell'album dei Chicago “The Stone of Sisyphus”, in cui è presente una canzone di Jason dedicata a suo padre e intitolata “Bigger Than Elvis”, Jason ha dichiarato che una sera vide suo padre in televisione suonare il basso per Elvis Presley, e ai suoi occhi di bambino il padre era più famoso di Elvis, appunto. Mi sono quindi ispirata a questo episodio per dedicare questa breve flash al bassista più longevo della band.
Tanti auguri, Jason!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 5
*** Soddisfazione (Bill Champlin) ***


Soddisfazione (Bill Champlin)

 


 

Barricato dietro le sue tastiere, Bill scosse i lunghi capelli castani venati di grigio e si guardò attorno, soddisfatto. I suoi compagni di band, ognuno davanti al proprio microfono nella sala di registrazione, erano pronti a iniziare i lavori sul loro prossimo album in studio.
Prese la bottiglia di plastica rossa davanti a sé e tirò giù un paio di sorsate d'acqua per schiarirsi la voce: anche questa volta sarebbe stato lui a cantare la maggior parte delle canzoni, alla faccia di quel bellimbusto di Robert. E poco contava che fossero testi composti per loro da altri: l'importante era che la sua voce fosse la principale.
Stava pian piano diventando il frontman dei Chicago. Anche durante i concerti, dove oltre alle tastiere suonava anche la chitarra proprio al centro del palco. Era lui a cantare i pezzi più belli della band, lui a coinvolgere il pubblico con i cori, lui a dirigere ogni cosa.
Era lui l'unico protagonista!
Posò la bottiglia accanto alle tastiere con attenzione quasi maniacale e fece scrocchiare le dita.
Quel giorno era il suo compleanno, e non avrebbe voluto un regalo migliore: la leadership della band.

 

 

 

Spazio autrice:

Siamo arrivati al quinto compleanno, quello di Bill Champlin, nato a Oakland (California) il 21 maggio 1947. È stato tastierista, chitarrista e cantante della band dal 1981 – quando ne è entrato a far parte per sostituire Robert durante il suo periodo sabbatico di disintossicazione dalla cocaina – fino al 2009, quando ha lasciato i Chicago per continuare la sua carriera sia come solista, sia con l'altro suo gruppo di cui era frontman (i “Sons of Champlin”), venendo sostituito da Lou Pardini. È rimasto con la band, quindi, per la bellezza di 28 anni.
Mentre nei primi tempi la sua presenza è stata “discreta”, mano a mano che gli anni passavano si è fatto largo nella gerarchia della band, arrivando quasi a surclassare Robert che da tutti gli altri era riconosciuto come leader del gruppo, anche se solo a carattere ufficioso perché in realtà la band non ha mai voluto un frontman.
Vero è che Bill cantava la maggior parte delle canzoni del gruppo (soprattutto le ballate anni '80 e '90 che gli propinavano i loro produttori e che tanto hanno contraddistinto e “segnato” i Chicago, rovinando di un bel po' la loro fama) lasciando un segno indelebile del suo passaggio.
Il prompt che avevo questa volta, datomi da Soul Mancini, era “bottiglia”, quindi ho immaginato Bill in sala di registrazione, soddisfatto di se stesso per i risultati ottenuti all'interno della band, che sorseggia un po' di acqua prima di iniziare a cantare.
Chiedo infinitamente scusa se il prompt appare veramente poco, ma Bill non è mai stato uno dei miei musicisti preferiti della band e credo che in questa piccola flash si sia capito.
Gli faccio comunque tantissimi auguri di buon compleanno.
Auguri Bill!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 6
*** Memoria prodigiosa (Lou Pardini) ***


Memoria prodigiosa (Lou Pardini)


 

 

Lou si grattò rapidamente la testa e rimise in ordine i vari spartiti che aveva sparsi davanti, sul tavolo su cui stava poggiata anche la sua tastiera. Prese poi il primo della lista e iniziò a scorrere le note con gli occhi, muovendo allo stesso tempo in fretta le dita sul piano del tavolo prima e sui tasti subito dopo.
Entrare in una band come i Chicago, che vantava ben quarantadue anni di attività, era una bella sfida, anche e soprattutto a causa della vastissima discografia che aveva prodotto nel corso di tutto quel tempo; ma Lou non aveva paura di fallire. Fin da piccolo aveva sempre avuto la straordinaria capacità di saper ripetere “a orecchio” le canzoni che sentiva passare in radio, e per questo i suoi amici lo avevano sempre invidiato.
E quando Lee Loughnane gli aveva telefonato per chiedergli se poteva interessargli prendere il posto di Bill Champlin nella band, lui non aveva esitato nemmeno un secondo.
«Beh, dovrai imparare un sacco di brani; questo lo sai, vero?», aveva chiesto il trombettista.
Lou lo sapeva benissimo, ma non si era spaventato: lui aveva la testa come un computer, quando si trattava di musica.
E poco importava che quel giorno fosse il suo compleanno: lo avrebbe passato così, a mandare a mente le canzoni più belle della band che amava.

 

 

 

Spazio autrice:

Siamo già arrivati al sesto compleanno, quello di Lou Pardini, nato a Omaha (Nebraska) il 5 giugno 1952. È entrato a far parte della band nel 2009, prendendo il posto di Bill Champlin, e la sua permanenza nel gruppo perdura fino ai giorni nostri.
Stando a quanto lui stesso ha dichiarato, sin da piccolo ha avuto una grandissima predisposizione per la musica: imparava “a orecchio” le canzoni che sentiva passare in radio e persino a scuola, spesso, nel bel mezzo delle lezioni saliva in piedi sul banco e le interrompeva esibendosi in manifestazioni canore.
E sempre stando a quanto è riportato nel sito ufficiale della band, è stato Lee a invitarlo a unirsi ai Chicago, e lui ha esitato solo per mezzo secondo.
Quando Kim Winternight, quindi, mi ha fornito il prompt “la testa come un computer”, ho pensato subito a questa sua straordinaria capacità, pensando anche al fatto che, appunto, lui è entrato nella band dopo ben 42 anni di attività di quest'ultima, con una produzione di brani immensa, che lui ha dovuto per forza imparare per suonare nei concerti. Quindi, in questo caso, una “testa come un computer” fa davvero comodo!
Tantissimi auguri, Lou!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 7
*** Incontro sfortunato (Chris Pinnick) ***


Incontro sfortunato (Chris Pinnick)


 


 

 

Chris aveva ormai perso il conto delle volte in cui aveva maledetto quell'incontro con i membri dei Chicago negli ultimi cinque anni. Cinquanta volte? Cento? Duecento? Mille?
All'inizio, aveva creduto che entrare a far parte di una delle band più famose degli Stati Uniti d'America avrebbe giovato moltissimo alla sua carriera: un bel salto di qualità trasformarsi da “musicista di sessione” a chitarrista dei Chicago! Ma quando aveva scoperto che il suo inserimento nell'organico della band era stato solo di facciata, e che la sua funzione era solo di tappabuchi in attesa di un musicista che avesse più presenza, aveva capito di averlo preso là dove non batte mai il sole. Non avrebbe mai raggiunto la notorietà tanto sperata.
Relegato sul fondo dello stage, illuminato da un misero occhio di bue solamente durante i suoi assoli – che non dovevano durare troppo a lungo per non oscurare Peter, ovviamente – Chris rimuginava dentro di sé l'ennesima maledizione da lanciare non solo contro gli altri musicisti, ma pure contro se stesso.
“Accidenti a me e a quando mi sono lasciato prendere dalla voglia di diventare famoso!”, pensò.
E, mentre il riflettore lo illuminava a malapena durante l'esecuzione di “Stay the Night”, prese la sua decisione definitiva: quello sarebbe stato l'ultimo concerto.
Si era trovato un regalo di compleanno perfetto: avrebbe lasciato il gruppo quella sera stessa. E al diavolo tutto, pure i Chicago!

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci al settimo compleanno, quello di Chris Pinnick, nato a Van Nuys (California) il 23 luglio 1953. È stato il terzo chitarrista della band, dopo Donnie Dacus e prima di Dawayne Bailey, dal 1980 al 1985.
Chiamato come “session musician” (il “musicista di sessione” citato nel testo) per la realizzazione dell'album Chicago XIV del 1980, Chris è stato in seguito inserito nell'organico della band, citato anche sulle copertine degli album. Peccato, però, che la sua posizione sullo stage fosse relegata sullo sfondo, sempre al buio e illuminato solo in occasione dei suoi miseri assoli. In questo periodo, infatti, Peter Cetera stava diventando il frontman della band e tutti i riflettori erano per lui. E, come ha dichiarato lo stesso Chris, non è mai stato un membro effettivo del gruppo.
Stando a quanto riportato sulla biografia della band scritta da Ben Joseph, nonostante Chris fosse un chitarrista di talento e dallo stile molto simile a quello di Terry Kath (primo chitarrista del gruppo scomparso prematuramente), poiché era grasso e non particolarmente prestante veniva sempre relegato sul fondo dello stage e a meno che non suonasse un assolo non si sapeva nemmeno che ci fosse, perché non era nemmeno illuminato, e questa cosa lo ha sempre fatto soffrire. Inoltre, ogni volta che il gruppo faceva una sessione fotografica lui veniva sempre escluso perché grasso e brutto.
Nel 1985 lascerà la band, e Peter Cetera con lui. A partire da quel momento, il gruppo tornerà con la classica formazione senza un frontman prevalente.
Il prompt, fornitomi dalla mamma di Kim e Soul, era “incontro” e io ho pensato subito a Chris che maledice il suo primo incontro con i Chicago, da cui non ha ottenuto quello che sperava.
Mi è sempre dispiaciuto moltissimo per lui, perché secondo me non è stato valorizzato come meritava.
Tanti auguri, Chris!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 8
*** Trenta parrucche per me... posson bastare (Tris Imboden) ***


Trenta parrucche per me... posson bastare (Tris Imboden)

 

 


 

Tris fissò soddisfatto il suo ultimo acquisto, proprio in occasione del suo compleanno: una parrucca dai capelli color biondo dorato, tagliati a caschetto, decisamente molto più naturale rispetto a tutte le altre che aveva posseduto fino a quel momento.
Le aveva contate, e quella era la numero trenta.
Ne aveva di tutti i tipi: bionde, more, lunghe, corte, con la frangia o senza, con le ciocche raccolte in un codino oppure sciolte. In occasione di ogni concerto si piazzava davanti allo specchio e se le provava tutte, per poi decidere quale sarebbe stata più intonata all'outfit che aveva scelto per la serata.
Certo, il pubblico doveva essersi accorto per forza che i suoi capelli erano finti: ogni sera sfoggiava un look e un colore diverso; e Robert stesso gli aveva suggerito di smetterla di indossare parrucche perché si vedeva da lontano un miglio che si trattava di capelli acrilici.
Ma a lui non importava poi molto: l'importante era avere dei capelli in testa. Era rimasto calvo da giovanissimo, e aveva sempre sofferto per questa sua condizione. I suoi amici lo prendevano in giro, chiamandolo “voglia di ginocchio” per via della sua testa completamente liscia come una palla da biliardo, e non era certo una cosa piacevole da sentirsi dire.
E poi, quando mai si era vista una rock star calva?
«Ho deciso, da ora in avanti userò solo te, mia carissima numero trenta», sussurrò con dolcezza alla parrucca prima di indossarla con cura.

 

Spazio autrice:

Ed eccoci subito con l'ottavo compleanno, quello di Tris Imboden, nato in California il 27 luglio 1951. È stato batterista dei Chicago dal 1990 (subentrando a Danny Seraphine) fino al 2018, quando ha deciso di lasciare la band per stare più vicino alla sua famiglia.
Per quanto ho potuto leggere e vedere, sin da quando si è unito ai Chicago Tris è sempre stato completamente calvo ed era solito indossare delle parrucche bruttissime, della serie che si vedeva da lontano un chilometro che erano capelli finti; e pure Robert Lamm, come riportato nella biografia non ufficiale di James Pankow, ha dichiarato che le sue parrucche erano orrende.
Inoltre, ne ha cambiate moltissime nel corso della sua carriera musicale, e visto che il prompt che mi ha dato Soul Mancini era il numero 30, ho deciso che questo fosse proprio il numero delle parrucche che possedeva XD.
L'espressione “voglia di ginocchio” che ho usato nel testo, è tipica della mia zona (non so se si usa anche in altre parti d'Italia) e di solito viene usata per indicare appunto chi è completamente calvo: “Quel tizio ha una voglia di ginocchio in testa”.
Il titolo, invece, è un chiaro riferimento alla canzone di Battisti “Dieci ragazze”.
Mi dispiace tantissimo che abbia lasciato la band, è un batterista davvero in gamba.
Tantissimi auguri, Tris!
Grazie per aver letto.

 

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Capitolo 9
*** Il miglior regalo del mondo (Keith Howland) ***


Il miglior regalo del mondo (Keith Howland)

 



 

 

Al suono del campanello, Keith corse alla porta con un enorme sorriso stampato in faccia. Non vedeva Jason da cinque anni ormai, da quando il bassista aveva lasciato la band ed era tornato nella sua San Diego; e non vedeva l'ora di poter abbracciare di nuovo l'amico ed ex amante e poter ricordare insieme il loro passato nei Chicago.
«Keith, vecchio mio, come stai?», esordì Jason stringendolo tra le braccia. «Hai messo su un po' di pancetta, a quanto vedo», aggiunse, dandogli un paio di pacche sul ventre arrotondato dall'età e dalla buona tavola. «Oggi arrivi a quota 57, giusto?», concluse, seguendo l'amico dentro casa fino a raggiungere la veranda sul retro.
«Eh già», rispose Keith, dandosi a sua volta un paio di colpetti sulla pancia. «Tu, invece, non sei cambiato di una virgola».
Si misero seduti su due sedie di vimini e brindarono con due bottiglie di birra che il chitarrista aveva appena estratto dal frigo. Era felicissimo di aver invitato Jason – solo lui – per festeggiare il suo compleanno: aveva un bisogno quasi fisico di vederlo di nuovo, di sapere come se la passava, e di fargli sapere che, nonostante tutto, continuava a pensare a lui tutti i giorni.
«Prima che mi dimentichi...», disse ad un tratto Jason interrompendo il flusso dei suoi pensieri, frugandosi nella tasca dei pantaloni. «Questo te lo manda Tris».
Keith allungò la mano e prese la scatolina che il bassista gli porgeva. Al suo interno c'era un ciondolino d'oro raffigurante una chitarra elettrica.
«Che bello, grazie! È stato molto carino da parte sua mandarmi un regalino. Più tardi lo chiamerò per ringraziarlo».
Richiuse la scatoletta e la posò sul pavimento della veranda, lasciando cadere di nuovo un silenzio imbarazzato che si protrasse per alcuni minuti. Ora che lo aveva di nuovo davanti, non riusciva a spiccicare nemmeno una parola. Fu di nuovo Jason a interromperlo.
«Non crederai mica che mi sia dimenticato di farti un regalo, vero?».
Keith alzò lo sguardo dalla bottiglia che stringeva ancora tra le dita e con sorpresa si ritrovò il viso del bassista a pochi centimetri dal suo.
«Non dovevi disturbarti...», iniziò, ma Jason lo bloccò posando le proprie labbra sulle sue.
«Tanti auguri, tesoro...», esalò non appena il bacio si interruppe.
Keith rimase a fissarlo incredulo: dopo tutto quel tempo, tutto quello che era successo, nonostante fosse cambiato così tanto...
«Non ho mai smesso di amarti, sai?», disse ancora il bassista, fissandolo negli occhi.
«Neanche io», fu costretto ad ammettere il chitarrista. E quando Jason lo baciò di nuovo, stavolta facendo scontrare le loro lingue, Keith pensò che quello sarebbe stato il suo compleanno migliore da un po' di tempo a quella parte.
 

 

Spazio autrice:

Benvenuti al nono compleanno, quello di Keith Howland, nato a Silver Spring (Maryland) il 14 agosto 1964. È il chitarrista dei Chicago dal 1995, quando è subentrato a Dawayne Bailey.
Questa volta mi sono attenuta strettamente alla mia story line, in cui lui e Jason Scheff (bassista dei Chicago dal 1985 al 2016) sono amanti. Immagino che questo breve spezzone possa mettervi curiosità su ciò che possa essere successo tra loro due nel frattempo, visto che nelle uniche due shot in cui loro sono i protagonisti è tutto rose e fiori. Prima o poi scriverò ancora su di loro e chiarirò il mistero, promesso XD.
Il prompt, lasciatomi da Kim Winternight, era la frase “Prima che mi dimentichi” e io l'ho fatta pronunciare a Jason.
Altre piccole informazioni:
- Keith è davvero ingrassato moltissimo negli ultimi anni. Da giovane era un figurino, mentre ultimamente ha messo su qualche chilo. Jason, invece, nonostante sia invecchiato, ha mantenuto il suo bel fisico ed è ancora un bell'uomo.
- San Diego è la città natale di Jason, quindi ho immaginato che quando ha lasciato la band sia tornato a vivere laggiù.
- Il Tris nominato nella flash è Tris Imboden, batterista dei Chicago dal 1990 al 2018, protagonista del compleanno precedente.
Tantissimi auguri, Keith!
Grazie per essere passati da qui!

 

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Capitolo 10
*** Sì, viaggiare (James Pankow) ***


Sì, viaggiare (James Pankow)


 

 

 

James si mise seduto sulla propria valigia, saltellandoci sopra nella speranza di riuscire a chiuderla, ma senza alcun risultato. Allora si alzò e ne aprì il coperchio, osservando sconsolato il guazzabuglio di abiti e biancheria gettati al suo interno alla rinfusa. Ma proprio il giorno del suo compleanno dovevano partire per un nuovo tour europeo?
Il trombonista amava viaggiare e vedere posti nuovi, era sempre stata la sua passione, ma ora stavano davvero esagerando: quei concerti infiniti iniziavano ad andargli stretti. Capiva anche le esigenze di Robert e Lee, che avendo svariate mogli e figli da mantenere dovevano cercare di guadagnare il più possibile, ma per questo mica potevano rimetterci tutti, no?
Al prossimo viaggio che devo fare, giuro che mi compro un baule!”, pensò James, seccato, mettendosi di nuovo a spingere il coperchio della valigia con tutte le proprie forze per chiuderlo. Alla fine, frustrato da tutti i vani tentativi fatti fino a quel momento, la rovesciò sul letto svuotandola del contenuto in un solo colpo.
«Okay, ricominciamo da capo... e forse stavolta farò meglio a piegarle, queste camicie”, esalò fissando gli indumenti tutti spiegazzati.

 

 

Spazio autrice:

Eccoci già al decimo compleanno, quello di James Pankow, nato a Saint Louis (Missouri) il 20 agosto 1947. È il trombonista e uno dei membri fondatori della band tutt'ora in attività.
Il prompt che avevo, datomi dalla mamma di Kim e Soul, era “viaggiare”, e io l'ho sfruttato facendo riferimento ai numerosissimi tour infiniti che i membri della band hanno dovuto affrontare, specie negli anni passati. I principali fautori di tutti questi viaggi erano proprio Robert e Lee, che (come riportato nella biografia non ufficiale di James) avendo vari divorzi alle spalle erano costretti a sborsare cospicui assegni di mantenimento e per questo avevano bisogno di incassare il più possibile, anche se agli altri membri della band tutti questi concerti non andavano molto a genio. Molti di loro infatti erano stanchi e volevano passare più tempo con le proprie famiglie.
Il titolo della flash è un chiaro riferimento alla omonima canzone di Lucio Battisti.
Tanti auguri, James!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 11
*** Ricordo di un amico (Danny Seraphine) ***


Ricordo di un amico (Danny Seraphine)

 


 

Al suono del campanello, Danny posò il quotidiano sul tavolinetto da fumo davanti a lui e si alzò in piedi di scatto. Fissò l'orologio che aveva al polso: erano le 23:15. Chi mai poteva essere a quell'ora?
Si diresse a passo rapido verso la porta d'ingresso, il campanello che squillava per la seconda volta.
«Arrivo!», esclamò, incapace di contenere la sua curiosità. Quel giorno era il suo settantatreesimo compleanno e, a parte la telefonata di Peter, non aveva sentito nessun altro dei suoi vecchi compagni di band: che fosse qualcuno di loro giunto a trovarlo così all'improvviso, anche se a quell'ora tarda?
Fuori dalla porta, però, non c'era ad attenderlo uno dei suoi vecchi amici, anche se il volto che si ritrovò davanti gliene ricordava moltissimo uno in particolare. Sui gradini d'ingresso della sua villetta c'era Michelle Kath.
Nel vedere la figlia del suo vecchio amico e compagno di band, passato a miglior vita quando lei era ancora una neonata, Danny si sentì stringere il cuore nel petto. Lui e Camelia, la vedova di Terry, erano rimasti in buoni rapporti e di tanto in tanto si sentivano per telefono. Qualche volta si erano pure dati appuntamento per vedersi di persona, e ad alcuni di questi aveva partecipato anche Michelle, ma erano passati anni dall'ultima volta in cui l'aveva vista.
«Michelle, tesoro, entra!», esclamò quando finalmente riuscì a riscuotersi dalle sue riminiscenze, facendosi da parte per lasciarla passare. La donna gli rispose con un sorriso ed entrò nella villetta da scapolo di Danny, seguendo poi il padrone di casa fino in salotto.
«A cosa devo la tua graditissima visita?», le chiese non appena si furono accomodati e le ebbe offerto da bere.
«Ecco... di sicuro mi prenderai per una pazza», mormorò Michelle, abbassando lo sguardo imbarazzata, «visto che ti sono piombata tra capo e collo a quest'ora. Ma dovevo fare assolutamente una cosa».
Frugò nella propria borsetta e ne trasse un sacchettino di velluto blu scuro chiuso da un nastrino di cuoio. Poi allungò il braccio destro e lo porse al batterista che la fissava con un sorriso aperto e solare.
«Che cos'è?».
«Aprilo», replicò Michelle, osservandolo mentre lui scioglieva il nodo che chiudeva il nastrino e si lasciava scivolare sul palmo della mano un bracciale d'oro a maglia marina.
A Danny si formò un groppo in gola nel riconoscere quel monile: lo aveva regalato lui stesso a Terry poco prima che morisse, e il chitarrista non aveva mai fatto in tempo a indossarlo perché, aveva sostenuto all'epoca, voleva conservarlo per le occasioni speciali.
«Qualche notte fa ho sognato papà che mi diceva di portarti questo bracciale per il tuo compleanno», disse Michelle, e la sua voce giunse a Danny come lontana anni luce, perso com'era nel ricordo del suo migliore amico e del suo enorme sorriso equino. «Non sapevo nemmeno che esistesse. Poi ho chiesto a mamma, e lei mi ha detto che glielo avevi regalato proprio tu poco prima che morisse».
Danny si riscosse, lo sguardo annebbiato dal passato. «Sì, è così».
«Non credi che sia pazza, vero?».
«Certo che no! Perché dovrei pensare una cosa del genere?», replicò il batterista.
«Perché ho sognato papà che mi parlava di un oggetto di cui ero completamente all'oscuro».
Danny scosse il capo prima di rivelarle il suo più grande segreto.
«Io sogno tuo padre molto spesso, e la maggior parte delle volte mi parla di cose che non so ma che il giorno dopo scopro essere vere. Sai, secondo me lui ci osserva ancora, dovunque si trovi», concluse con lo sguardo perso nel vuoto.
Michelle annuì: in fondo al cuore, ne era sempre stata convinta anche lei.

 

 

Spazio autrice:


Benvenuti all'undicesimo compleanno, quello di Danny Seraphine, nato a Chicago il 28 agosto 1948. È stato membro fondatore e batterista dei Chicago fino al maggio del 1990, quando è stato licenziato e sostituito con Tris Imboden.
Il prompt lasciatomi da Soul Dolmayan, “bracciale”, mi ha subito ispirato questa brevissima shot (è il capitolo più lungo che ho scritto finora, ho superato pure le 500 parole) riallacciandomi indirettamente alla mia serie intitolata “Voci dall'aldilà”, in cui appunto la protagonista è l'anima di Terry Kath in Purgatorio che, quando ne ha l'occasione, si “affaccia sull'aldiqua” per vedere cosa fanno i suoi amici. Io personalmente sogno spesso persone che non ci sono più, e lo vedo come un modo per poter parlare ancora con loro.
Così ho immaginato questo bracciale a maglia marina (un tipo di maglia simile alle maglie della catena di un'ancora, per questo si chiama marina) che Danny aveva regalato a Terry e che il suo migliore amico (lui e Danny erano legatissimi nella realtà, e il batterista è rimasto in contatto con sua moglie e sua figlia) decide di fargli riavere come regalo di compleanno tramite la figlia. Michelle Kath è la figlia del chitarrista, appunto, che alla sua morte non aveva ancora due anni.
Tantissimi auguri, Danny!
Grazie per aver letto!

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Capitolo 12
*** Rimpianto (Peter Cetera) ***


Rimpianto (Peter Cetera)

 


 

Peter si fissò nello specchio dopo essersi fatto la barba. Era invecchiato moltissimo negli ultimi tempi, come se gli ultimi anni trascorsi gli fossero crollati addosso all'improvviso senza lasciargli nemmeno il tempo di respirare.
Aveva avuto tutto dalla vita: il successo – prima con i Chicago e poi come solista; belle donne; due figlie meravigliose che lo amavano con tutto il cuore. Eppure, non si sentiva bene con se stesso. C'era qualcosa che continuava a turbarlo, una cosa che gli aveva lasciato l'amaro in bocca per una vita intera anche se non voleva ammetterlo.
Robert Lamm.
Robert, che gli aveva rubato il cuore per poi strapparglielo dal petto.
Robert, che lo aveva usato per poi buttarlo via come una bambola vecchia.
Robert, che dopo tutti quegli anni lo aveva chiamato al telefono per chiedergli di partecipare alla cerimonia di accesso alla Hall Of Fame, e al quale aveva risposto di andarsene a quel paese.
Eppure, in fondo al suo cuore non avrebbe voluto rifiutare quella richiesta di pace. Avrebbe voluto gridargli di correre da lui, implorarlo di stringerlo forte a sé e di amarlo come aveva fatto un tempo, anche se lo aveva deluso.
Ma non ci era riuscito e la sua vita andava avanti, ricca e piena di miseria al tempo stesso.
E forse la colpa di tutto ciò non andava ricercata in Robert, ma in lui stesso. Lui aveva concesso al tastierista di trattarlo come un oggetto, lui gli aveva consentito di farne ciò che voleva. E sempre lui aveva permesso che Robert lo lasciasse per non mettere a repentaglio la propria reputazione di uomo perbene.
Forse il motivo per cui la tua vita non è bella sei soltanto tu”, pensò Peter fissando la propria immagine riflessa. E tutto ciò che poteva fare era andare avanti.

 

 

Spazio autrice:

Siamo infine giunti al dodicesimo compleanno, quello di Peter Cetera, nato a Chicago il 13 settembre 1944, bassista della band da poco dopo la sua formazione (Peter non è un membro fondatore, anche se l'hanno reclutato quasi subito) fino alla metà del 1985, quando abbandonerà i Chicago per seguire la carriera solista e verrà sostituito da Jason Scheff.
Il prompt lasciatomi da Kim è la frase scritta in corsivo, pensata dallo stesso Peter: “Forse il motivo per cui la tua vita non è bella sei soltanto tu”. Questa frase mi ha permesso di riallacciarmi alla mia story line in cui Peter Cetera e Robert Lamm, il tastierista della band, sono amanti. I due, dopo essersi lasciati malamente alla soglia dei quarant'anni, non hanno mai smesso di amarsi, nonostante le difficoltà, ma si ritroveranno soltanto in vecchiaia. Quindi questa flash può collocarsi temporalmente prima della mia ultima storia su di loro: “Il nostro orgoglio maledetto”.
Tantissimi auguri, Peter!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 13
*** Il momento dell'addio (Dawayne Bailey) ***


Il momento dell'addio (Dawayne Bailey)

 

 

Dawayne rialzò la testa dal baule, raddrizzando la sua consueta bandana che gli era scivolata sulla fronte. Era tutta la mattina che stava raccogliendo le proprie cose dalla sala prove. I Chicago – e Walter in particolare – il giorno prima gli avevano dato il benservito e lui non poteva fare altro che recuperare la sua roba e andarsene a cercare fortuna altrove.
Sapeva che prima o poi sarebbe successo: a Walter non era mai andata giù la sua relazione con Felicia, più giovane di lui di ventidue anni.
La ragazza, da sempre uno spirito libero, aveva cercato più e più volte di convincere il padre a lasciarli provare: lei era innamoratissima di Dawayne, e lui la adorava e la considerava la sua musa ispiratrice. Ma il sassofonista aveva sempre scosso il capo, risoluto. «Finché vivrai sotto il mio stesso tetto sarò io a comandare», le aveva sibilato con voce cupa.
Dawayne scosse il capo per scacciare il ricordo di quella serata, che era finita malissimo. Lui aveva cercato di difendere Felicia, e Walter l'aveva minacciato pesantemente: «O te ne vai da solo, o ti mando fuori da casa mia a calci in culo!».
Il rumore della porta che si apriva distolse il chitarrista dai propri pensieri. Si voltò appena in tempo per veder apparire sulla soglia della sala prove la sua giovane fidanzata.
«Felicia, tesoro!», esclamò Dawayne andandole incontro. «Se tuo padre ti becca qui ti scorticherà viva. Anzi, ci scorticherà entrambi!».
Lei si strinse nelle spalle. «Ho diciannove anni, quindi sono maggiorenne e faccio come cavolo mi pare! Non potevo certo lasciarti andar via senza nemmeno salutarti!».
Dawayne la strinse tra le braccia e la baciò delicatamente sulle labbra, per poi serrarla a sé. Lei si crogiolò nel suo calore per qualche minuto prima di aggiungere: «Mi chiamerai, non è vero?».
«Tutti i giorni».
«E mi scriverai, anche?».
«Certamente, ogni volta che potrò. E ti manderò delle cartoline».
Felicia sorrise. Dawayne si sciolse dall'abbraccio e finì di raccogliere le sue cose, per poi chiudere il coperchio del baule.
«Allora... devo dirti addio», sospirò, dopo aver fissato a lungo la ragazza in silenzio.
«Non addio, Dawayne, ma solo... arrivederci!».
Il chitarrista le lanciò uno sguardo sorpreso e Felicia spiegò. «Anche se forse non ci vedremo più, le nostre anime sono legate per la vita. E le anime gemelle, prima o poi, si ritrovano sempre!».
Dawayne sorrise con calore e la strinse a sé per l'ultima volta.


 

Spazio autrice:

Eccoci al tredicesimo compleanno, quello di Dawayne Bailey, nato a Manhattan (Kansas) il 03 ottobre 1954. È stato chitarrista della band dal 1986 al 1995 ed è presente nell'album dei Chicago “Stone of Sisyphus”, quello considerato forse il migliore della band nei tempi moderni, registrato negli anni novanta anche se pubblicato più di dieci anni dopo. La canzone che da il titolo all'album è di sua composizione, ed è l'unica in cui lo si sente cantare. Lui e Felicia Parazaider (la figlia minore di Walter) erano fidanzati anche se tra loro correvano più di vent'anni di differenza di età. Lei all'epoca era una poetessa, e Dawayne aveva utilizzato il testo di una sua poesia per comporre, insieme a James Pankow, una canzone inserita proprio nella versione originale di “Stone of Sisyphus”. Nella rimasterizzazione dell'album questa canzone è poi scomparsa.
Come potrete immaginare, Walter non è mai stato contento del rapporto che correva tra lui e sua figlia, e molto verosimilmente questa è stata una delle cause principali del suo allontanamento, oltre al fatto che l'immagine di Dawayne non corrispondeva per niente ai canoni della band. Mentre tutti gli altri avevano la “faccia pulita”, lui al termine dei concerti se ne andava in giro a rompere le chitarre o a suonarle con la lingua.
Il prompt per questo compleanno, lasciatomi dalla mamma di Kim e Soul, era “arrivederci!” contenuto in un dialogo, e io l'ho fatto pronunciare a Felicia nel momento del loro ultimo saluto.
Tanti auguri, Dawayne!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 14
*** Lezione di ca...pigliatura (Donnie Dacus) ***


Lezione di ca...pigliatura (Donnie Dacus)

 


 

Rinchiusi già da due ore in uno degli sgabuzzini della sala prove, Donnie fissava Peter a occhi sgranati.
«Ma sei sicuro che lo scuotere così tanto i miei capelli faccia parte della lezione di canto?».
«Certo, sicurissimo! Non lo sai che anche l'occhio vuole la sua parte? E visto che hai dei capelli bellissimi non vedo per quale motivo non dovresti metterli in mostra».
Il chitarrista si rese conto che l'occhiata di Peter, rivolta alla sua capigliatura, mostrava un pizzico di gelosia, come se avesse voluto avere lui i suoi lunghi capelli biondi e ricci. Non che quelli del bassista fossero brutti, visto che anche i suoi erano lunghi e biondi, però Donnie aveva proprio l'impressione che Peter avesse voglia di fargli lo scalpo.
«Dunque, ricominciamo», esordì il bassista distogliendolo dai suoi pensieri. «Respira profondamente con il diaframma e apri bene la gola quando butti fuori l'aria».
Donnie eseguì i suoi ordini e sparò un do maggiore.
«Ecco, e ora scuoti la testa così». Peter si mise a far ondeggiare il capo, facendo andare la sua chioma di qua e di là.
Il chitarrista lo imitò e i propri capelli ricci gli finirono praticamente ovunque, perfino in bocca. Fu costretto a sputacchiare per toglierseli dalla lingua.
«No, no, così non va bene!», protestò Peter scuotendo la testa con vigore. «Vuoi o non vuoi essere tu a cantare Love was new?».
«Certo che voglio cantarla io, ma non credo che per farlo sia necessario scrollare così i capelli. Forse è meglio se mi faccio dare lezioni di canto da qualcun altro, qualcuno che scuota meno la testa».
Peter incrociò le braccia sul petto. «E allora arrangiati, ma poi non venire a lamentarti con me!», esclamò, per poi lasciare lo sgabuzzino con aria offesa.
Donnie lo guardò abbandonare la piccola stanza e sospirò di sollievo. Ora poteva finalmente dedicarsi a esercitare la propria voce.

 

 

Spazio autrice:

Ormai siamo quasi alla fine con i compleanni dei Chicago, siamo arrivati al terzultimo, quello di Donnie Dacus, nato a Pasadena (Texas) il 12 ottobre 1951. È stato il primo chitarrista, di una lunga serie, a sostituire il compianto Terry Kath, e ha militato nella band per soli due anni, dal 1978 al 1980. Fu allontanato con la scusa che stava prendendo troppo spazio sul palco e che i Chicago non volevano un frontman unico. La stessa cosa che poi qualche anno dopo succederà con Peter Cetera.
Questa volta il prompt, lasciatomi da Kim Winternight, era “lezione di canto”. Spero di non aver scritto delle castronerie in merito, sono andata a informarmi su internet per quanto riguarda il metodo di respirazione e l'apertura della gola XD.
Durante uno dei nostri vaneggi quotidiani tra me e Kim è stata immaginata la scena di Peter che, capelli al vento, dà lezioni di canto e di “capigliatura” a Donnie; e visto che Kim mi ha pregato di ispirarmi a questa situazione ho tirato fuori la scenetta che avete appena letto, rifacendomi anche al fatto che sulla rimasterizzazione dell'album “Chicago Hot Streets” (il primo in cui compare Donnie), è presente la stessa canzone, “Love was new”, cantata sia da Robert, che ne è l'autore, sia da Donnie. Sono di parte, ma secondo me la versione cantata da Bobby è di gran lunga la migliore. Senza nulla togliere a Donnie, ovviamente, che sempre secondo il mio modesto parere è un chitarrista di tutto rispetto e avrebbero forse fatto bene a tenerselo.
Tanti auguri, Donnie!
Grazie per aver letto!

 

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Capitolo 15
*** Quel motivetto che mi piace tanto (Robert Lamm) ***


 

Quel motivetto che mi piace tanto (Robert Lamm)
 

 


 

Con la penna ficcata di traverso in bocca, Robert strimpellò alcune note sulla propria tastiera. Le ripeté un paio di volte, poi si tolse la penna dalle labbra e le annotò sul foglio pentagrammato che aveva appoggiato di fianco a sé sul tavolo.
Continuò così ancora per una decina di minuti, poi provò a suonare tutta di fila la piccola composizione che aveva appena creato. Al termine dell'esecuzione aggrottò le sopracciglia, appallottolò il foglio e lo gettò nel cestino della carta straccia, mancandolo clamorosamente. La pallina di carta rotolò sul pavimento fino a fermarsi in mezzo ad altre palle simili, mute testimoni della sua frustrazione.
«Che palle!», esclamò. «Non riesco a buttare giù uno straccio di roba decente, oggi!».
«Tutto bene?», gli chiese Peter, appena entrato nella stanza, sentendolo lamentarsi.
«No, per niente! Non ho neanche fatto colazione, stamattina!».
«E perché?».
«Perché mi sono alzato dal letto con un cazzo di motivetto stampato in testa. Mi piaceva, e quindi sono corso qui per metterlo nero su bianco prima di dimenticarmelo, ma tutti i miei tentativi si sono rivelati delle cagate pazzesche!», sbraitò Robert, prendendo un nuovo foglio pentagrammato e scarabocchiandoci sopra un paio di note.
Peter andò a recuperare una delle tante palline di carta ammucchiate attorno al cestino e la srotolò, esaminando attentamente le note che vi erano state annotate sopra.
«A me non sembrano poi così male», commentò il bassista. «Vuoi che ti dia una mano?».
Robert alzò lo sguardo su di lui, inarcando un sopracciglio con fare malizioso.
«Perché no?».
Peter rispose al suo sguardo e si accomodò accanto a lui.
Forse non avrebbero combinato un granché, come composizione, pensò Robert, ma di sicuro si sarebbero divertiti.

 

 

Spazio autrice:

Eccoci subito al penultimo compleanno, quello di Robert Lamm, nato a Brooklyn (New York) il 13 ottobre 1944. È tastierista e membro fondatore della band, ancora in attività insieme agli altri due veterani James Pankow e Lee Loughnane.
Il prompt, lasciatomi da Soul Mancini, era la frase “Non ho neanche fatto colazione stamattina!”, che avete trovato in corsivo nel testo.
Mi sono quindi ispirata a un video di Bobby giovanissimo al Caribou Ranch, che era appunto intento a comporre, seduto a un tavolo davanti alla sua tastiera, strimpellando note che poi annotava su un foglio pentagrammato. Di conseguenza la Lammetera (mia coppia slash Robert Lamm/Peter Cetera) è saltata fuori da sola, ed era inevitabile che Peter arrivasse a dare una mano al suo bello. Quanto possano progredire con la composizione non lo so; certo è che, come pensa anche Robert, si divertiranno moltissimo XD.
Infine, il titolo di questa flash è un omaggio all'omonima canzone di Pippo Barzizza.
Tanti auguri, Robert!
Grazie per aver letto.

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Capitolo 16
*** Rassegnazione (Lee Loughnane) ***


Rassegnazione (Lee Loughnane)

 




 

Lee sbatté la porta del camerino dietro di sé, facendo sobbalzare Walt e Jimmy.
«Basta, non ce la faccio più! Non sono riuscito a trovare uno straccio di nuovo nome per la nostra Gang, e voi non mi siete stati di nessun aiuto! Non mi resta che rassegnarmi a essere chiamato buco del culo per tutto il resto della mia vita!», sbottò, esasperato dall'ennesima presa in giro di Terry, che ridacchiava ancora mentre si allontanava lungo il corridoio.
«Non vorrai arrenderti proprio ora?», disse James, cercando di rimanere serio ma con scarsi risultati. «E poi, non è vero che non ti abbiamo aiutato: io ti avevo proposto “Orifice between the Buttocks Gang”».
Il trombettista strinse gli occhi, riducendoli a due fessure.
«E ti sembra un aiuto valido? Te l'ho già detto: significa la stessa cosa, solo in termini più eleganti!».
«Lee ha ragione», ammise Walter. «Non dev'essere piacevole sentirsi chiamare di continuo buco del culo».
Il trombettista guardò l'amico con riconoscenza, ma ormai aveva preso la sua decisione: si sarebbe arreso alle prese in giro di Terry. E forse, vedendo che non si arrabbiava più, il chitarrista avrebbe smesso, prima o poi.

 

 

Spazio autrice:

Siamo arrivati all'ultimo compleanno del 2021, quello di Lee Loughnane, nato a Elmwood Park (Illinois) il 21 ottobre 1946. È il trombettista dei Chicago e anche lui, come Robert e James, è uno dei membri fondatori della band ancora in attività. Anzi, ultimamente tutte le iniziative sono partite proprio da lui, quindi possiamo dire che è il più attivo di tutti.
Il prompt che mi era stato assegnato dalla mamma di Kim e Soul era “arrenderti”, e io l'ho sfruttato riallacciandomi ad altre due drabble contenute nella mia raccolta “Seven Brothers”: "Soprannomi sgraditi" e "Nomignoli alternativi" .
Nella mia story line, visto che i tre fiati dei Chicago si erano auto-nominati Hole in the Ass Gang (questo nella realtà), Terry non fa che prendere in giro Lee chiamandolo “buco del culo”. Il trombettista, ormai esasperato, decide di arrendersi ai suoi motteggi, nella speranza che prima o poi finiscano.
Tanti auguri, Lee!
Grazie a tutti per avermi seguito in questa lunghissima raccolta, e soprattutto a Kim, a Soul e alla loro mamma che mi hanno fornito tutti i prompt, uno più azzeccato dell'altro. Grazie davvero di cuore!

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