On Holiday

di evelyn80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A-A-Abbronzatissimo ***
Capitolo 2: *** Sul cucuzzolo della montagna ***
Capitolo 3: *** Carissima Venezia ***
Capitolo 4: *** I ragazzi di campagna ***



Capitolo 1
*** A-A-Abbronzatissimo ***


ON HOLIDAY



Estate: tempo di vacanze per antonomasia! Al mare, in montagna, in città o in campagna, i mesi di luglio e agosto sono da sempre fatti per godersi il meritato riposo dal lavoro.
E perché questo non dovrebbe valere anche per i nostri amati musicisti? Non hanno forse anche loro il diritto a una meritata vacanza?
Ecco cosa propongo: ogni partecipante, a turno, propone un prompt relativo a uno degli ambienti che ho elencato prima, nello stesso ordine: quindi il primo prompt sarà relativo al mare, il secondo alla montagna e così via, e ogni partecipante dovrà scrivere una breve storia in cui si racconta la vacanza dei nostri musicisti preferiti. Quindi, in totale ogni partecipante dovrà scrivere quattro storie, ambientate nei quattro luoghi di vacanza, con una scadenza di 15 giorni.
Ovviamente non ci corre dietro nessuno, e i 15 giorni di scadenza servono solo per comunicare il nuovo prompt!

 

 

 

A-A-Abbronzatissimo!


 

(Da sinistra a destra: Peter, Terry, James, Lee, Walter, Danny, Robert)




 

Prompt: catena

Location: mare

 

 

 

 

La spiaggia di Venice Beach, dove i ragazzi dei Chicago si erano dati appuntamento per staccare un po' dalla solita routine “prove, prove e ancora prove”, era particolarmente affollata quella mattina di metà luglio, complice il bel tempo e il caldo afoso che spingeva tutti alla ricerca di un po' di refrigerio. Per questo motivo impiegarono un bel po' di tempo a trovare uno spiazzo di sabbia abbastanza ampio da poterli ospitare comodamente tutti e sette.
«Ahi, cazzo, la rena scotta!», gridò Danny, iniziando a saltellare sul posto come una scimmia non appena si fu tolto i sandali di plastica. Visto che non aveva ancora steso il proprio asciugamano si buttò a pesce su quello di Lee, che aveva appena finito di sistemarlo meticolosamente, inondandoglielo di sabbia.
«E che diamine, però, Danny! Perché non ti butti sul tuo, di asciugamano?».
«Perché non l'ho ancora aperto», replicò tranquillo il batterista, facendogli un sorriso a trentadue denti.
«E ti sei tolto le ciabatte prima di farlo? Sei proprio un idiota!».
«Dai, non te la prendere», concluse Danny mentre spiegava il proprio telo da mare. «Non appena avrò fatto col mio ti aiuterò a risistemare il tuo, okay?».
Lee sbuffò, ma fece un secco cenno affermativo con la testa.
«Chi si offre volontario per spalmarmi la crema sulla schiena?», chiese Robert non appena finalmente tutti gli asciugamani furono stesi e tutti e sette i ragazzi furono seduti, sfilando la maglietta e rivelando il torso pallido e villoso.
«Io no!», esclamò subito Walter. «I tuoi peli mi fanno ribrezzo!».
«Perché non ci sei abituato», ribatté il tastierista, indicando il petto liscio del compagno di band. «Se tu fossi villoso come me, scopriresti subito i vantaggi della peluria».
«E cioè?», chiese il sassofonista inarcando le folte sopracciglia scure.
«Innanzi tutto tiene caldo in inverno, e poi attira le pupe come la carta moschicida», spiegò Robert strizzando l'occhio.
«Più che alla carta moschicida, io la paragonerei a uno zerbino. No, no, grazie. Preferisco il mio petto liscio: questo sì che attira le gallinelle, mica quella specie di lanugine che hai addosso!», concluse Walter, scuotendosi invisibili granelli di sabbia dai pettorali.
«Voi non capite proprio un cazzo!», esclamò Terry, che fino a quel momento era rimasto in silenzio a osservare la scena. «Sono i gioielli vistosi ad attirare le pollastrelle, come questo!». Così dicendo, il chitarrista sfilò la T-shirt mostrando a tutti un'enorme catena d'oro con appeso un lucchetto altrettanto gigantesco a mo' di ciondolo.
I suoi amici sgranarono gli occhi, fissando il suo vistoso monile dorato.
«Wow... ti sarà costato un occhio della testa!», commentò James, allungandosi sull'asciugamano per osservare più da vicino la catena dell'amico.
«Già...», aggiunse Peter, fissandolo con sguardo critico. «Non abbiamo il becco di un quattrino: Guercio ci passa a malapena i soldi per andare a fare la spesa una volta a settimana. Si può sapere come hai fatto a comprarti un catenaccio del genere?».
Terry si produsse nel suo sorriso equino e si chinò verso gli amici in tono cospiratorio.
«Ehi, ma non è mica una catena d'oro! È normalissimo acciaio. L'altro giorno sono andato dal ferramenta e me la sono comprata, insieme al lucchetto e a una bomboletta di vernice spray dorata. Una bella spruzzata d'oro e il gioco è fatto: un bel gioiello vistoso per conquistare le gallinelle a soli quattro dollari e novantacinque cent».
Danny scosse la testa. «Tu non sei mica normale! Come minimo quell'aggeggio peserà dieci chili, e stasera te ne andrai a casa con il torcicollo!».
«Ehi! Non sono mica un pappamolla come te! Stallone come mi ritrovo, potrei appendermela anche all'uccello quando ce l'ho in tiro e non mi si piegherebbe nemmeno di un millimetro!».
Gli altri ragazzi risero sguaiatamente per la sua millanteria.
«Perché non fai subito la prova e ce lo dimostri?», lo sfidò Robert, ironico.
«Beh, ora non ce l'ho mica in tiro», rispose il chitarrista stringendosi nelle spalle. «A guardarvi voi sei mi si ammoscia invece che venirmi duro!».
A questa frase fece seguito un'altra risata interrotta nuovamente da Robert, ancora alla ricerca di qualcuno che gli spalmasse la crema solare sulla schiena.
«Ho capito, lo farò io...», si sacrificò James. Si alzò in piedi e, per raggiungere l'amico che si trovava proprio dalla parte opposta della loro fila di teli, calpestò gli asciugamani di tutti, compreso quello di Lee che se lo ritrovò per la seconda volta invaso dalla sabbia.
«Insomma, volete piantarla di sporcare la mia roba!», strillò, alzandosi in piedi a sua volta per scuotere il telo. Una folata di vento improvvisa spinse la rena depositata sopra di esso proprio sulla testa di Peter, che aveva appena terminato di sistemarsi il caschetto.
Il bassista lanciò un grido acuto che fece voltare buona parte delle persone che li circondavano dalla loro parte.
«Scusatelo», intervenne subito Walter, rivolgendosi ai loro vicini alzando le mani in gesto da paciere. «Il nostro amico è allergico a tutto ciò che gli scompiglia i capelli».
Peter sbuffò per il disappunto e le persone attorno, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata dubbiosa, tornarono a concentrarsi sulle proprie attività.
Terry si stese supino, sistemando accuratamente la grossa catena sul petto per poi mettere le braccia sotto la testa a mo' di cuscino.
«Tu non ti spalmi la crema solare?», gli chiese Danny, seduto accanto a lui. Il chitarrista scrollò le spalle in un gesto di noncuranza e lui insisté: «Sei bianco come una mozzarella! Se non usi un po' di protezione stasera, oltre al torcicollo, ti ritroverai anche con un'ustione di secondo grado».
«Pappamolla», grugnì di nuovo Terry, e stavolta fu il batterista a stringersi nelle spalle.
«Sai che c'è? Arrangiati! Poi non venire a lamentarti che stai male».

 

I musicisti riuscirono a rilassarsi, godendosi il sole, a malapena per dieci minuti. Alcuni ragazzini di età compresa tra i dieci e i quindici anni che stazionavano sotto alcuni ombrelloni lì vicino, infatti, ben presto decisero che quello era il momento migliore per disputare un'accanitissima partita di calcio.
Dopo alcuni passaggi il pallone, mancato dal portiere, andò a finire proprio dalla parte dei Chicago: sbatté sulla testa di Peter scompigliandogli il caschetto, rimbalzò sul sedere di Robert, si abbatté sulla rivista di enigmistica che Walter stava risolvendo e concluse la sua corsa sull'asciugamano di Lee, stazzonandoglielo.
Il trombettista lanciò uno sguardo inceneritore ai ragazzini prima di ributtargli il pallone, ma quelli non se ne accorsero neppure e ripresero subito a giocare.
Dopo altri pochi tiri, ecco che la palla andò di nuovo a finire verso i musicisti: sbatté per la seconda volta sulla testa di Peter scatenando la sua isteria, rimbalzò fino a finire in faccia a James e si arrestò tra le mani di Danny, che era stato lesto ad afferrarla prima che andasse a sbattere contro la sua lattina di birra.
«Questa è l'ultima volta che vi rilanciamo la palla. La prossima le faremo fare una brutta fine!», minacciò il batterista nel lanciare il pallone ai ragazzini.
Quelli si strinsero nelle spalle e ripresero a giocare. Ma, come se fosse stata dotata di vita propria e avesse avuto intenzione di farla finita, la sfera di plastica andò a infrangersi per la terza volta contro la testa di Peter. Il bassista si alzò in piedi di scatto, strappò la penna dalle mani di Walter e la conficcò nella palla più volte, pugnalandola a morte. Dopo di ché raggiunse a passo di marcia il primo bidone della spazzatura e ce la buttò dentro, tornando poi a sedersi sul proprio asciugamano risistemandosi i capelli con cura.
I ragazzini se la diedero a gambe, sparendo dalla loro vista. Robert e James risero per l'espressione risoluta di Peter, Walter si lamentò perché anche la sua penna si era irrimediabilmente rovinata e Danny si ritrovò a fissare Terry che, nonostante tutto il trambusto, si era addormentato e ora russava a bocca semiaperta, la grossa catena d'acciaio tinta in oro appoggiata sul petto enorme.
«Stasera sarà cotto come un'aragosta bollita», commentò, rivolgendosi a Lee seduto al suo fianco.
Il trombettista gli lanciò un'occhiata di sottecchi. «Se l'è voluta lui», replicò scrollando le spalle.
Dopo alcuni minuti, e dopo aver finito il suo maxi cruciverba con una penna di riserva, Walter si stiracchiò.
«Io ho sete, vado a comprarmi una Coca-Cola. Voi volete qualcosa?».
James prese il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloncini, che aveva ripiegato sotto la testa a mo' di cuscino, e gli allungò un po' di spiccioli.
«Prendine una anche per me, grazie!».
Robert e Lee presero una birra, mentre Danny e Peter si dichiararono a posto. Terry stava ancora dormendo della grossa, quindi pensarono bene di non disturbarlo.
Di nuovo seduto al suo posto, Walter aprì la sua lattina e ne scolò una buona metà prima di rimettersi a sfogliare la rivista di enigmistica, alla ricerca di un nuovo cruciverba che non fosse già stato scarabocchiato dai suoi amici. Ne scartò uno su cui James aveva scritto alcuni versi di una canzone che stava cercando di comporre e un altro su cui qualcuno, molto probabilmente Terry, aveva disegnato un enorme pisello con le ali.
Quando ne trovò uno intonso si sistemò a pancia in giù sul proprio telo e, prima di mettersi a leggere le definizioni, bevve un altro paio di sorsi per poi sistemare la lattina a una decina di centimetri di distanza dal bordo dell'asciugamano. Non fece in tempo a togliere le dita che una bambinetta di sei o sette anni, dai lunghi capelli castani raccolti in una treccia, si chinò e afferrò la lattina, la scolò del contenuto rimanente e la buttò in un sacchetto di plastica, già pieno per metà di altri contenitori in alluminio.
«Ehi, ma che...», borbottò, ma la bambina si era già allontanata, accompagnata da un altro bimbo e da una ragazzina di qualche anno più grande, anche loro con dei sacchetti pieni di lattine accartocciate.
«E che cazzo! Mi hanno fregato l'ultimo goccio di Coca-Cola», esalò il sassofonista, seguendo con lo sguardo la figuretta in costume rosa con i volant che ormai sbiadiva nella calura estiva.
Danny alzò lo sguardo su di lui e poi si voltò nella direzione in cui stava indicando.
«Ah, sì... credo che stiano raccogliendo le lattine vuote. Ho sentito dire che se le porti dove le riciclano poi te le rendono piene come ricompensa», spiegò il batterista.
«E proprio la mia dovevano prendere?», si lamentò Walter. «Ce n'era ancora un sorso!».
«Dai, fratello, non ti arrabbiare. Troppi zuccheri fanno male alla salute». Robert ammiccò nella sua direzione e scolò la propria birra.
Il sassofonista borbottò qualcosa – che sapeva tanto di imprecazione – in croato, poi si rimise a completare il suo cruciverba.


Il sole picchiava duro sulle teste dei sette ragazzi, che ben presto decisero di andare a fare un bagno per rinfrescarsi.
Non appena furono tutti in piedi, però, si accorsero che Terry non si era mosso: il chitarrista stava ancora dormendo come un ghiro, con il petto che iniziava ad assumergli una sfumatura fucsia.
«Sarà meglio svegliarlo, che dite?», chiese Peter, pungolandolo su un fianco con un piede.
«E farlo cominciare a rutteggiare e scorreggiare? Ma anche no, grazie!», rispose Lee fissando l'amico dormiente dall'alto in basso. I sei ragazzi si guardarono per un po', indecisi sul da farsi, poi si strinsero nelle spalle e saltellarono sulla spiaggia – bruciandosi le piante dei piedi – fino a raggiungere il bagnasciuga.
Una volta in acqua Robert, James e Danny iniziarono subito a schizzarsi l'un l'altro. Peter si tenne debitamente alla larga per evitare che gli bagnassero il caschetto di capelli, ma fu colto alla sprovvista da Walter che, dall'alto dei suoi due metri scarsi, lo afferrò per le spalle e gli fece lo sgambetto, facendolo finire tra le onde come una pera cotta.
Peter riemerse dalle acque balbettando e sputacchiando. «Tu... grandissimo pezzo di...», ma gli altri non gli lasciarono nemmeno il tempo di finire la frase, perché non appena avevano visto la scena si erano precipitati nella sua direzione e si erano accaniti contro di lui.
Il bassista tentò di difendersi come meglio poté ma era in nettissima inferiorità numerica, così decise di uscire dall'acqua – con grande difficoltà – e a tornare al suo asciugamano, infuriato e gocciolante. Ma non appena i suoi occhi si posarono su Terry corse di nuovo sul bagnasciuga.
«Ragazzi!», gridò concitato non appena raggiunse gli altri. «Venite a vedere, presto!».
I suoi amici lo seguirono correndo, la sabbia che gli scottava i piedi, e si arrestarono di botto alla vista dell'amico. Il petto di Terry aveva assunto tonalità violacee, addirittura più scure lungo il contorno della catena d'acciaio.
«Cazzo, io l'avevo detto che si sarebbe ustionato!», esclamò Danny chinandosi su di lui per scuoterlo. Nel farlo sfiorò il catenaccio e subito ritirò le dita, soffiandosi sui polpastrelli. «Merda! Quell'affare è incandescente! Terry, svegliati per l'amor di Dio!», gridò disperato, ma il chitarrista non si mosse: pareva svenuto.
«Non gli sarà mica preso un colpo di calore?», si chiese Lee, avvicinandosi per fissarlo da vicino a sua volta. «Va a finire che dobbiamo chiamare l'ambulanza».
«Per prima cosa dobbiamo cercare di svegliarlo a tutti i costi», suggerì Robert.
«Ci penso io!», esclamò James. Si guardò attorno freneticamente, individuò un bambino che giocava col suo secchiello, glielo chiese in prestito, corse a riempirlo e tornò da Terry, per poi buttargli il contenuto in faccia senza tanti complimenti.
Il chitarrista si svegliò di colpo ansimando, sorpreso per la secchiata d'acqua che lo aveva appena investito.
«Ehi, che cazzo fate?! Mi volete affogare?», esclamò mettendosi seduto.
«No, vogliamo salvarti la vita, idiota!», rispose Danny, indicando il suo petto. «Guarda come ti sei ridotto! Io te l'avevo detto che dovevi metterti la crema solare!».
Terry abbassò lo sguardo per fissarsi il torso, poi si strinse nelle spalle.
«Cazzate! Sono appena appena arrossato, ma...». Nel parlare, strinse le dita sulla catena che aveva al collo, ritirandole immediatamente con un'imprecazione. «Che cazzo! Scotta da morire!».
«Ma va?», commentò sarcastico Lee. «È una catena d'acciaio che sta prendendo il sole da ore. Non lo sai che l'acciaio è un ottimo conduttore di calore?».
«Aiutatemi a toglierla», implorò il chitarrista, tentando inutilmente di chiudere le dita sul metallo rovente.
Walter raccolse la sua maglietta e, usandola come una presina da cucina, riuscì a sfilargli la catena dal collo, tra i gridolini e i sobbalzi dell'amico ogni volta che l'acciaio lo sfiorava da qualche parte.
Non appena il grosso monile fai-da-te fu finito nella sabbia, James fissò il petto di Terry e scoppiò a ridere.
«Te la sarai anche tolta, quella catena, ma ce l'hai ancora stampata addosso!».
E, in effetti, sui pettorali viola del chitarrista spiccava il segno bianco, contornato di rosso scuro, del catenaccio col suo lucchetto.
«Forse è meglio se mi vado a bagnare un pochettino...», mormorò Terry, sfiorandosi la pelle arrossata e procurandosi un brivido che gli fece drizzare tutti i peli sul corpo.
«No, forse è meglio se te ne vai a casa!», esclamò Peter, le mani sui fianchi. «Se rimani un altro minuto al sole rischi davvero di rovinarti!».
Il chitarrista annuì. «Sì, forse hai ragione. Credo proprio che andrò a casa, non mi sento tanto bene...».
Danny scosse la testa. «Io te l'avevo detto che avresti dovuto metterti la crema solare! Andiamo, ti accompagno a casa».
«Grazie, fratello».
«Grazie fratello un cazzo! Così mi brucio la possibilità di conquistare qualche pollastrella!», sbottò il batterista, per poi addolcirsi nel vedere il volto sofferente dell'amico. «Ma la tua salute mi sta più a cuore, dopotutto».
«Danny...», mormorò Terry mentre i due camminavano lentamente verso il lungomare. «Mi fa male il collo...».
Il batterista fece roteare gli occhi. «E meno male che uno stallone come te poteva attaccarselo anche all'uccello, quel catenaccio».
Terry rise, ma il movimento lo fece rabbrividire. «Credo che non mi metterò quella catena addosso per un bel po'».
«Anche perché ce l'hai ancora, addosso», gli fece notare di nuovo Danny, indicando il segno pallido che aveva sul petto.
«Eh già. Direi proprio che basta con queste scemenze».
Il batterista scosse la testa. Sapeva già che il giorno dopo Terry avrebbe dimenticato la sua disavventura e avrebbe avuto un'altra trovata bislacca.

 

 

Spazio autrice:

Benvenuti su questa nuova raccolta, nata da una sfida che ho lanciato su EFP e che è stata raccolta da Kim Winternight e da Soul Mancini.
In cosa consiste questa sfida?
Come dice il titolo, “ON HOLIDAY”, dobbiamo scrivere quattro storie sui nostri artisti musicali preferiti (io ho scelto i Chicago, ovviamente), ognuna ambientata in uno dei luoghi classici delle vacanze (mare, montagna, città e campagna) e ognuna basata su quattro prompt diversi. Poiché siamo solo in tre a partecipare, il primo prompt (ovvero CATENA) ci è stato fornito dalla mamma di Kim e Soul, mentre per i prossimi ne daremo uno per ognuna.
Non ci sono scadenze fiscali da rispettare, ma i prompt verranno assegnati ogni 15 giorni.
Per questa prima storia, ho scelto di scrivere dei Chicago della fine degli anni '60, appena arrivati a Los Angeles da Chicago. Ecco perché ho citato nel testo il fatto che non facevano altro che provare e provare: per il primo anno e mezzo (prima che riuscissero a pubblicare il loro primo disco) i ragazzi, che vivevano tutti insieme in un appartamentino che gli aveva procurato James Guercio (il loro produttore), non facevano altro che provare giorno e notte e non avevano il becco di un quattrino, infatti i quattro che erano sposati (Peter, Danny, Walter e Terry) avevano dovuto lasciare le mogli a Chicago perché non avrebbero saputo come mantenerle. Quindi, le età dei ragazzi sono le seguenti: Robert e Peter 24 anni, Walter 23 anni, Terry e Lee 22 anni, James 21 anni e Danny 20 anni.
Walter bestemmia in croato perché croate sono le sue origini, e per mia licenza poetica quando è particolarmente arrabbiato o emozionato fa ricorso a quella lingua per esprimersi.
Sempre per mia licenza poetica, Peter è fissato con i propri capelli e la loro “messa in piega”, mentre Terry è solito rutteggiare e scorreggiare senza ritegno.
Per quanto riguarda la “Real Life Challenge” i riferimenti sono molteplici, come la sabbia che brucia, le scottature solari (che per me erano frequentissime), le partite a pallone con il mitico “Super Tele” (quelle palle di plastica che si bucavano solo a guardarle), le riviste di enigmistica per compagnia e, più importante di tutte, la raccolta delle lattine vuote sulla spiaggia. Ebbene sì: quando avevo sei o sette anni (quindi nel 1986/87) con i miei cugini andavamo in giro per la spiaggia a raccogliere le lattine vuote, perché poi loro le portavano a far riciclare e in cambio gli davano le lattine piene. Una volta, un tizio che stava bevendo la sua Coca-Cola, dopo aver bevuto l'ultimo sorso ha appoggiato la lattina davanti al proprio asciugamano e io, che stavo arrivando proprio in quel momento, l'ho afferrata lesta lesta, ho scolato l'ultimo goccio nella sabbia e l'ho messa nel mio sacchetto, sotto lo sguardo incredulo del tizio (e pure dei miei cugini che mi hanno sfottuto per mesi) XD. Quindi la bambinetta con la treccia e il costumino rosa con i volant che ha fregato la lattina a Walter sono io! Perdonami, Wally, non l'ho fatto apposta!
Per quanto riguarda la catena d'acciaio diventata incandescente sotto il sole, credo non ci sia bisogno di spiegazioni. Basta mettere le mani sul cofano di una macchina che è stata sotto il sole tutto il giorno per capire.
Infine, il titolo di questo primo capitolo è un chiaro riferimento alla canzone “Abbronzatissima” di Edoardo Vianello.
Grazie davvero a chi passerà a leggere, e ci vediamo con la prossima location: la montagna!

 

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Capitolo 2
*** Sul cucuzzolo della montagna ***


Sul cucuzzolo della montagna


 



(Da sinistra a destra: Lee, Danny, Terry [in alto], Robert, Walter, James [in basso], Peter)

 

 

Prompt: pesce


Location: montagna

 

 

L'aria sulle Montagne Rocciose era limpida e frizzante, proprio quello che ci voleva per rigenerarsi dopo quindici intensi giorni di registrazione al Caribou Ranch. I Chicago avevano preso in prestito due Pick-up appartenenti allo studio di Guercio e si erano recati al Winter Park Resort, un centro montano poco lontano da Nederland. *1)
Non appena arrivati, l'aria pungente di alta montagna aveva sferzato subito la loro pelle, facendoli rabbrividire.
«Cazzo, non pensavo che facesse così freddo!», esclamò Terry, battendosi freneticamente sulle braccia per riscaldarsi e correndo a recuperare il suo giaccone dal cassone del furgoncino.
«Siamo a 2800 metri di altitudine, idiota! Cosa ti aspettavi, il clima delle Maldive? Beh, dato la maglietta che indossi, si direbbe proprio di sì», replicò Lee indicando la T-shirt dell'amico, che aveva stampato un grosso pesce angelo giallo e blu sul davanti.
«Sempre meglio del tuo maglione di Aspen», borbottò il chitarrista mentre infilava il giubbotto, riferendosi al maglione di lana dell'amico.
«Almeno io sono in tema, e Aspen non è nemmeno troppo lontana da qui».
Terry scimmiottò l'espressione saccente di Lee, poi si accodò agli altri che si erano già avviati verso l'ingresso del parco che prometteva varie attrazioni divertenti: oltre a diverse seggiovie e un'ovovia che portava fino a 3500 metri di quota, vi si trovavano pure un campo da minigolf e una pista da bob su ruote.
«Cosa facciamo per prima cosa?», chiese James, sfregandosi le mani sia per la soddisfazione di essere riusciti a evadere dalla morsa di Guercio, sia per ridare calore alle dita intorpidite.
«Io direi di andare innanzi tutto sul bob», propose Robert, indicando l'arrivo della pista in questione, situato alla loro sinistra.
«No... troppa fila», si lamentò Peter, fissando la gran ressa di persone ammassate all'ingresso della seggiovia che portava alla partenza dell'attrazione.
«Perché non andiamo a giocare a minigolf?», suggerì invece Walter, che aveva tutta l'intenzione di rimanere, per quanto possibile, con i piedi per terra visto che soffriva di vertigini. *2)
«Che palle! Il minigolf è roba da mocciosi!», esclamò Danny. «Io propongo di prendere l'ovovia e andare fino al rifugio, così magari possiamo bere qualcosa di forte per scaldarci!».
«E io potrei mangiare qualcosa di ipercalorico», aggiunse Terry, sfregandosi lo stomaco e provocandosi così un rutto.
«Ma se hai appena finito di mangiare un taco enorme!», sbottò Lee, sventolandosi la mano davanti al volto per scacciare la puzza dei gas di scarico di Terry. «Senti? Aleggia ancora nell'aria».
Il chitarrista si strinse nelle spalle. «Quante storie... lo sai che se non mangio qualcosa almeno ogni mezz'ora poi vado in calo di zuccheri». *3)


Alla fine, la maggioranza dei ragazzi decise di iniziare con una discesa sul bob, per poi salire al rifugio in ovovia.
I sedili della seggiovia erano da tre posti, così i ragazzi si disposero in fila: James, Walter e Lee davanti, Peter e Robert a seguire e Terry e Danny per ultimi.
Quando venne il loro turno, Walter serrò le palpebre non appena i suoi piedi si staccarono da terra.
«Ehi, non dirmi che hai paura», commentò Lee, fissando di sottecchi il sassofonista.
«Chi... io? Noooo, figurati. È solo che mi è entrato un moscerino in un occhio».
«E allora perché li tieni chiusi entrambi?», chiese James, sinceramente incuriosito.
«Mi è entrato in tutti e due, va bene? E ora state zitti e lasciatemi in pace. Chiamatemi solo quando saremo arrivati in cima».
Due sedili dietro di loro, il vocione di Terry che cantava lo jodel a suon di rutti riecheggiava per tutta la vallata.
«Ehi, ragazzi, ascoltate questo!», gridò per farsi sentire dai suoi compagni che lo precedevano, per poi prodursi in un rutto lungo e modulato.
«Cazzo, fratello, ma come diamine fai a farli così potenti?», chiese Danny, che non sapeva se mettersi a ridere per le trovate dell'amico o fare finta di non conoscerlo per la vergogna.
«È tutta questione di diaframma», rispose il chitarrista stringendosi ancora una volta nelle spalle, in un gesto che gli era naturale.
Una volta giunti alla partenza della pista da bob videro che in realtà le corsie erano due, e che quindi potevano gareggiare a coppia. Nell'attesa che venisse il loro turno, iniziarono a formarsi le coppie che intendevano sfidarsi.
Naturalmente Terry era pronto a battere chiunque si fosse messo sulla sua strada.
«Non c'è storia: non gareggiate contro di me perché rischiate di perdere», gongolò il chitarrista, gonfiando il petto e facendo espandere il pesce angelo che aveva sulla T-shirt fino a fargli assumere le dimensioni di un pesce palla.
«Per forza!», replicò Robert mettendosi a ridere. «Tra la massa attirata dalla forza di gravità e le scorregge che ti fanno andare a reazione...».
«A proposito di questo», rispose subito Terry, per poi premersi la pancia e sganciare un peto a pernacchia che fece allontanare di qualche passo coloro che li seguivano nella fila.
Lee alzò il viso al cielo e fece roteare gli occhi. «Signore, ma cosa ho fatto io di male?».
«Secondo me dovremmo formare le coppie in base alla nostra stazza, per non avvantaggiare nessuno. Per esempio, Lee e Walt potrebbero gareggiare insieme, mentre io potrei scontrarmi con Jimmy».
«Ehi, io sono troppo minuto per fare a gara con Bobby», si lamentò subito Danny non appena capì che a lui sarebbe toccato il tastierista.
«Vuoi farla con me, allora?», chiese Terry.
«No, no, Bobby va benissimo», replicò il batterista. *4)
Quando finalmente venne il loro turno le coppie si apprestarono a partire. I primi furono Robert e Danny, che per cercare di vincere a tutti i costi per poco non saltò fuori dalla pista in cemento su una curva parabolica, finendo quindi per rallentare fino a passo di lumaca per lo spavento. Poi fu la volta di Lee e Walter, che arrivarono praticamente appaiati e decretarono che il loro era stato un pareggio. Seguirono Peter e James. Il bassista rimase in testa per buona parte della gara ma poi decise che il suo caschetto di capelli andava assolutamente risistemato sotto al cappello di lana che indossava e così il trombonista lo superò proprio all'ultima curva.
Per ultimo toccò a Terry, che aveva faticato non poco per accomodare la propria mole sul piccolo bob di plastica e che l'operatore aveva legato come un salame con la cintura di sicurezza del mezzo.
«Vi prego... liberatemi, o mi scoppierà lo stomaco...», ansimò una volta giunto in fondo alla pista, implorando l'addetto alla discesa di fare presto.


Di nuovo tutti e sette con i piedi per terra, i ragazzi si diressero alla partenza dell'ovovia che li avrebbe portati al rifugio.
«Finalmente... non ci vedo più dalla fame!», esalò Terry mettendosi in coda per primo.
Nel frattempo – come spesso succede in alta montagna – il bel tempo aveva ceduto rapidamente il passo ad alcuni nuvoloni neri che minacciavano tempesta.
«Temo che stia per piovere», commentò Peter, alzando lo sguardo al cielo e stendendo la mano col palmo verso l'alto per captare qualche eventuale goccia.
«Bah, quante storie. È solo una nuvoletta», rispose il chitarrista, stringendosi per l'ennesima volta nelle spalle. *5)
Non fecero in tempo a salire sulla loro cabina che un fulmine, subito seguito dal boato del tuono, si abbatté su una delle vette circostanti. L'impianto rimase in funzione per un altro paio di secondi poi si arrestò, le porte della cabina ancora mezze aperte.
Walter, che era salito su quell'arnese con molta riluttanza, cominciò ad agitarsi sul sedile.
«Forse faremmo meglio a scendere prima che sia troppo tardi, non credete?».
Danny, che soffriva di claustrofobia – tenuta a bada solo per il fatto che la cabina era dotata di ampie vetrate – si trovò d'accordo con lui, mentre gli altri cinque insisterono per rimanere. *6)
«Che c'è, avete paura del temporale? Cucci cu...», li canzonò Terry grattandoli con le dita sotto il mento, come se fossero stati due cuccioli.
«Piantala, cretino!», sibilò Danny scacciando la sua grossa mano con uno scapaccione. Walt, invece, trasse un lungo sospiro e iniziò a biascicare qualcosa sottovoce.
Dopo un minuto l'impianto si rimise in funzione, e la cabina occupata dai Chicago lasciò la stazione di partenza oscillando debolmente. Il cielo era diventato plumbeo e le raffiche di vento spazzavano i fianchi della montagna. Alcuni escursionisti, saliti in ovovia e ridiscesi a piedi lungo il sentiero, si affrettavano a raggiungere il fondo valle.
Un altro lampo spazzò l'aria, accompagnato da un tuono tanto forte da far vibrare i vetri della cabina, e come successo poco prima l'impianto si arrestò di nuovo.
«Non mi piace...», mormorò Lee fissando le nuvole cupe. «Sta per scatenarsi una tempesta».
«Io ve l'avevo detto che stava per mettersi a piovere», replicò Peter incrociando le braccia sul petto, «ma voi non avete voluto darmi retta!».
«Che fifoni! Vi spaventate per così poco? Visto, la cabina è anche ripartita», disse Robert, mentre l'impianto rientrava in funzione.
Sobbalzando e dondolando appesa alla fune, la cabina percorse qualche centinaio di metri in salita. Ormai erano ad alcune decine di metri di altezza e la stazione di partenza era sparita, inghiottita dalla nebbia. Walter aveva alzato gli occhi al cielo, continuando a borbottare qualcosa di inintelligibile che sapeva tanto di litania.
Ad un tratto, nel bel mezzo della campata tra un pilone di sostegno e l'altro, un terzo lampo esplose sopra le loro teste, accompagnato da un roboante tuono. L'impianto si fermò di colpo e la cabina rimase a dondolare avanti e indietro, l'attacco metallico che cigolava sulla fune.
«Cazzo...», sibilò James, stringendo involontariamente le mani sulla similpelle del sedile. Tutti gli altri rimasero in silenzio, gli occhi puntati sulle nuvole scure, a parte il borbottio del sassofonista che andava avanti senza sosta.
Dopo pochi secondi, i ragazzi iniziarono a udire dei tonfi sordi sul tetto della cabina, prima molto distanziati, poi sempre più fitti.
«Inizia a piovere», disse Peter, accostando la faccia alla grossa vetrata.
«No, non è pioggia. È grandine», constatò Lee, indicando i grossi chicchi bianchi che impattavano con violenza sul terreno, rimbalzandovi.
La grandinata si fece sempre più violenta e, nel giro di pochi secondi, la cabina sembrò presa di mira da una mitragliatrice. Il rumore all'interno era talmente assordante che i ragazzi furono costretti a iniziare a urlare per riuscire a sentirsi.
«Ehi, guarda quelli come corrono!», esclamò Terry, indicando un gruppo di escursionisti che affrontavano il sentiero in discesa a rotta di collo, le braccia sopra la testa per ripararsi dai chicchi di grandine grossi come noci che cadevano dalle nuvole nere. «Forza, Taylor!», gridò, agitandosi tutto e facendo oscillare ancor più la cabina. *7)
Danny, che si guardava freneticamente attorno alla ricerca di un po' d'aria, gli si aggrappò come una cozza. «Smettila di dimenarti, o questo cazzo di aggeggio finirà per staccarsi dalla fune e ci schianteremo sulle rocce!».
A quelle parole, la litania di Walter crebbe di volume e si tramutò in una sfilza di bestemmie in croato.
«Kurak! Sranje! Proklet bio i kad sam te poslušao! Idi se jebi!». *8)
«Ma che cazzo stai dicendo?», gli chiese Robert, guardandolo come se fosse impazzito. Ma il sassofonista non gli prestò ascolto e continuò a inveire contro se stesso e i suoi amici come se non ci fosse stato un domani.
Per fortuna, dopo pochi minuti la burrasca iniziò ad allontanarsi. I chicchi di grandine si fecero sempre più radi fino a scomparire del tutto. Le nubi nere, spazzate dal vento, si dispersero in fretta lasciando spazio ad ampi sprazzi di sereno. La cabina si rimise in movimento con uno scrollone che fece trasalire Danny e sospirare Walter.
Il sassofonista, pallido e madido di sudore, si asciugò la fronte con la manica del giaccone e tentò di regolarizzare il respiro posandosi una mano sul petto, mentre i suoi compagni lo guardavano fisso.
«Tutto a posto, Wally?», chiese James osservandolo con attenzione, e lui si limitò a fare un cenno affermativo con la testa.
«Ehi, stiamo per arrivare!», esclamò Peter in tono allegro. La stazione di arrivo dell'ovovia, infatti, si stagliava a poche centinaia di metri da loro, il rifugio Lodge At Sunspot proprio al suo fianco.
«Pancia mia fatti capanna!», disse Terry fissandolo e sfregandosi lo stomaco. «Sei contento pesciolino, vero?», aggiunse, rivolto al disegno sulla sua T-shirt.


Finalmente a terra, i sette ragazzi percorsero i pochi metri che li separavano dall'ingresso del rifugio. Anche se il cielo era tornato quasi totalmente sereno, l'aria si era fatta molto più fredda a causa della grandinata e si sfioravano gli zero gradi centigradi.
Prima di entrare nella struttura di legno, James si fermò e raccolse uno dei chicchi di grandine che si erano depositati sulla terrazza.
«Ehi, fratelli, guardate qua! È enorme!».
Gli altri si voltarono a guardare: il chicco di ghiaccio che teneva in mano era grande quasi quanto una pallina da ping pong.
«Meno male che eravamo nella cabina. Ti immagini quei poveracci a piedi che se li sono beccati in testa?», commentò Robert prima di guidare gli altri all'interno.
Il locale era piuttosto affollato, visto che le persone vi si erano rifugiate per proteggersi dalla grandinata. I sette ragazzi si strinsero a fatica nell'unico tavolo – da quattro posti – rimasto libero.
«Voi cosa prendete?», chiese Peter consultando il menù.
«Io prendo le patatine al chili», ansimò Terry, già con l'acquolina in bocca.
Lee lesse la descrizione del piatto sul menù. «Una montagna di patatine dorate accompagnate dal nostro chili di bufalo, condite con formaggio fuso e panna acida... hai davvero intenzione di mangiare questa bomba chimica?!», esclamò storcendo il naso.
«Sì...», esalò il chitarrista, già pregustando il sapore del chili.
«Io credo che mi limiterò a una cioccolata calda», disse Walt, ancora in parte scosso dall'avventura appena vissuta sull'ovovia.
«Anch'io», si accodò Danny.
«E poi prendo anche il chili di bufalo», interloquì Terry, che non aveva ancora finito di scorrere la lista dei piatti a disposizione.
«Non so dove tu abbia intenzione di andare a cagare, domani...», commentò Robert dopo aver letto la descrizione del secondo piatto scelto dall'amico: "Teneri pezzi di bufalo cotti a fuoco lento con Jack Daniel's, fagioli neri, pomodori, aglio arrosto e una miscela di spezie, conditi con formaggio grattugiato, panna acida e serviti in una ciotola di pane”. *9)
«Al cesso, perché?».
«Allora credo che Guercio dovrà chiamare l'impresa di spurghi», concluse il tastierista, facendo scoppiare tutti a ridere.
«Io non penso solo a quello, ma anche ai gas di scarico che mollerà stanotte», aggiunse Danny, che con Terry divideva il cottage al Caribou Ranch.


Dopo che tutti ebbero consumato le proprie ordinazioni, il pesce angelo sulla T-shirt di Terry che ora sguazzava tra le macchie di sugo, i sette ragazzi si apprestarono a lasciare il rifugio per tornare a valle.
«Credo che me la farò a piedi», disse Walter fissando le cabine dell'ovovia. Anche se il cielo si era ormai rischiarato, non aveva nessuna intenzione di ripetere l'esperienza del pomeriggio.
«Vengo con te, fratello», si accodò Danny. Anche lui ne aveva avuto abbastanza di luoghi claustrofobici, per quel giorno.
«Sarà meglio che vi segua anch'io... devo digerire tutto quel chili che ho mangiato», esalò Terry mollando un rutto al termine della frase.
Così, mentre gli altri quattro salivano di nuovo sull'ovovia, sassofonista, batterista e chitarrista imboccarono il sentiero che portava a valle.
Il sole stava calando dietro le montagne e l'aria era pungente, ma i tre ragazzi si riscaldarono ben presto camminando.
«Di nuovo noi tre soli, come ai vecchi tempi, eh?», disse Walt, ricordando quando militavano insieme nella loro prima band, i “Jimmy Ford and the Executives”.
«Già, quando tu mi hai inchiappettato la ragazza... letteralmente parlando», replicò Terry in finto tono di rimprovero. Ormai aveva superato da tempo l'attrito che c'era stato tra lui e il sassofonista a causa di Jackie.
«Che poi io sapevo già tutto e non sapevo come fartelo sapere senza sputtanare Wally», aggiunse Danny sorridendo al ricordo. Erano passati almeno dieci anni, e in quel lasso di tempo da ragazzini erano diventati uomini. *10)
Continuarono a percorrere il sentiero a passo lento, parlando del passato, quando ad un tratto Terry si bloccò di colpo, piegandosi in due e premendosi entrambe le mani sulla pancia.
«Tutto bene, fratello?», gli chiese Danny non appena se ne accorse.
«Credo... credo di aver mangiato troppo chili».
«Non ce la fai a continuare?», domandò Walter, chinandosi per guardarlo in faccia.
Il volto del chitarrista si contrasse in una smorfia.
«No... io... mi sto cagando addosso!», esclamò, correndo in mezzo a un gruppo di cespugli e calandosi i pantaloni.
«Ahhhhhh», lo sentirono sospirare di soddisfazione gli altri due.
«Beh, almeno qualcosa di positivo c'è, in tutto questo», commentò Danny mettendosi sopravento per non lasciarsi investire dalla puzza delle feci di Terry.
«E cosa?», chiese Walter.
«Che Guercio non dovrà chiamare l'impresa di spurghi».
I tre scoppiarono a ridere, pure Terry ancora accucciato in mezzo ai cespugli. Questo era il bello della loro amicizia, e loro sapevano che non sarebbe mai finita.

 

 

Spazio autrice:

Benvenuti sul secondo capitolo della raccolta partecipante alla mia sfida. Questa volta la location era la montagna e il prompt (suggerito da mio figlio XD) era PESCE. Siccome non sapevo letteralmente che pesci prendere, ho sfruttato il prompt facendolo diventare il disegno sulla T-shirt indossata da Terry Kath, così ho avuto anche modo di citare l'ormai famosissimo maglione di Aspen/Cortina posseduto da Lee Loughnane (un maglione con ricamato sopra uno sciatore che Lee era solito indossare da giovanissimo).
Questa volta la storia è ambientata nel 1973, epoca della pubblicazione del primo album registrato dai ragazzi al Caribou Ranch. Sebbene a quell'album abbia partecipato anche Laudir de Oliveira, al tempo il percussionista non era ancora diventato un membro ufficiale della band e quindi non l'ho citato e non compare nemmeno nella foto che ho scelto come banner. A proposito... avete notato Peter che guarda in su con la mano rivolta col palmo verso l'alto per controllare se sta per piovere? XD
Visto che stavolta ho fatto parecchi riferimenti alla biografia dei Chicago e alle mie varie story line, ho fatto ricorso alle note numerate per aiutare la giudice della Challenge a raccapezzarsi.
Per quanto riguarda la “Real Life Challenge”, lo spunto che ho preso è quello dell'avventura in ovovia. Praticamente ho vissuto la stessa esperienza che hanno passato i Chicago XD.
Nel 1994 siamo stati in vacanza con il camper e siamo passati anche da Madonna di Campiglio. Quando abbiamo preso l'ovovia, ecco che il cielo si è rannuvolato tutto d'un tratto e si è scatenata una violenta grandinata. I fulmini avevano fatto fermare la cabina (esattamente come raccontato nel testo: fermata ancora con le porte semiaperte, poi ripartita, poi fermata di nuovo, poi ripartita e infine fermata a metà della campata), le persone che scendevano lungo il sentiero correvano riparandosi la testa con le mani e mio papà li incitava citando Pietro Mennea (il famoso duecentometrista italiano). Mentre io bestemmiavo come una turca dalla paura! XD. Mio padre mi ha pure ripreso con la telecamera in quell'occasione e sono stata perculata per anni XD.
Poi, quando la tempesta (durata pochissimo per fortuna) è passata e siamo arrivati al rifugio, abbiamo visto che i chicchi di grandine che erano caduti erano davvero grandi come noci.
Il titolo della shot, questa volta, è un riferimento alla canzone “Sul cucuzzolo” di Edoardo Vianello, scritta per Rita Pavone.
Prima di lasciarvi alle note numerate, vi lascio i link delle storie di Kim Winternight e Soul Mancini che partecipano alla mia sfida.

Kim: "Who wants to come with me and melt in the sun?" sui System of a Down

Soul: "Chi sa correre sulla sabbia?" sui Nothing But Thieves

Alla prossima location: la città d'arte!

 

*1) Il Caribou Ranch era lo studio di registrazione di James Guercio, il produttore dei Chicago. La band ha registrato lì ben 5 album: Chicago VI – VII – VIII – X – XI. È situato a pochi chilometri di distanza dalla cittadina di Nederland, sulle Montagne Rocciose, in Colorado. Il Winter Park Resort è un centro estivo e invernale poco distante. Non so se esistesse già nel 1973 (periodo in cui è ambientata la shot): mi sono presa la libertà di farlo esistere con le stesse attrazioni attuali.

*2) Il fatto che Walter soffra di vertigini è una mia licenza poetica. Ho ripreso quanto raccontato in questa mia shot: "Montagne russe e vertigini non vanno d'accordo". La shot appena citata si svolge cronologicamente dopo questa, quindi qui i suoi amici non sanno ancora di questa sua paura.

*3) L'enorme appetito di Terry è storia vera. Nell'ultima biografia della band che ho letto è scritto chiaramente che al chitarrista piaceva molto mangiare, anche se ciò gli ha sempre dato problemi con le ragazze, che lo snobbavano per via della sua stazza, soprattutto negli ultimi periodi della sua vita in cui era ingrassato fino a raggiungere i 136 chilogrammi di peso. Il fatto che emetta così spesso rutti e peti, invece, è una mia licenza poetica.

*4) Lee, Walter e Robert erano piuttosto magri e superavano il metro e novanta di altezza. Peter e James erano leggermente più robusti ed erano alti intorno al metro e ottanta. Anche Terry era alto circa un metro e ottanta ma, come detto prima, la sua stazza è sempre stata notevole. Danny, invece era il più piccolo e minuto di tutti: era magro come un chiodo ed era alto circa un metro e settantacinque.

*5) Forse la giudice della Challenge coglierà il riferimento alla battuta di Gimli ne "Il Signore degli Anelli". XD

*6) Anche la claustrofobia di Danny è una mia licenza poetica. Ho ripreso quanto raccontato in questa mia shot: "Ascensori e parrucchini". Anche in questo caso, la shot appena citata si svolge cronologicamente dopo questa, quindi qui nessuno è a conoscenza della fobia del batterista.

*7) Robert Taylor è stato un velocista statunitense. Alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972 ha conquistato la medaglia d'argento nei 100 metri piani e la medaglia d'oro nella staffetta 4x100, facendo registrare il record mondiale. Terry fa quindi il suo nome per riferirsi agli escursionisti che corrono sul sentiero.

*8) Per mia licenza poetica, poiché Walter è di origini croate, quando è particolarmente emozionato tende a ricorrere alla sua lingua d'origine. Alla lettera, la frase significa: "Cazzo! Merda! Accidenti a me e a quando vi ho dato ascolto! Andate a 'fanculo!".

*9) Il "Lodge At Sunspot" è il nome del rifugio che si trova accanto alla stazione di arrivo dell'ovovia del Winter Park Resort. La descrizione dei piatti scelti da Terry l'ho presa direttamente dal suo menù.

*10) Terry, Danny e Wally si conoscevano già da prima di fondare i Chicago, visto che suonavano insieme nei "Jimmy Ford and the Executives", la band studentesca citata nel testo. A quel tempo Terry era fidanzato con Jacklyn Goodie, ma poiché i due non andavano più tanto d'accordo, Walter ne approfittò per soffiargliela. Pentito della bastardata che aveva fatto nei confronti dell'amico, Walt si confidò con Danny, che gli suggerì di mettere le cose in chiaro. L'attrito tra i due amici durò molto poco, in quanto Terry dichiarò che la loro amicizia non poteva certo essere intaccata da una pollastrella qualsiasi. La pollastrella in questione, però, non era proprio una qualsiasi, perché ha sposato Walter ed è tutt'ora al suo fianco, dopo ben 55 anni di matrimonio.

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Capitolo 3
*** Carissima Venezia ***


Carissima Venezia

 



 

Prompt: taxi

 

Location: città

 

 

Quando Jack Goudie disse ai Chicago che potevano godersi un giorno libero prima di spostarsi in Germania dopo la data di Verona, loro non si fecero certo pregare: corsero in stazione e comprarono un biglietto per il primo treno per Venezia. *1)
Una volta usciti dal terminal la prima cosa che li colpì fu la vista del Canal Grande che si snodava davanti a loro, ingombro di imbarcazioni di ogni genere: dalle piccole ed eleganti gondole ai goffi e rumorosi vaporetti. Rimasero a fissare quel traffico caotico ma allo stesso tempo organizzato per alcuni minuti, le bocche atteggiate in una “O” di stupore, prima di riscuotersi dalla loro contemplazione mistica.
«Allora, dove andiamo?», chiese James, la piantina della città dispiegata davanti al viso.
Tutti gli altri si strinsero attorno a lui.
«Io direi di andare subito in Piazza San Marco», disse Peter, indicando col dito il punto sulla carta. «Non si può venire qui senza visitarla».
«Ma è dalla parte opposta della città!», si lamentò Terry, che già ansimava per la fatica di doversi portar dietro tutta la sua considerevole mole. «Io non ci arriverò mai, a piedi!».
«A parte il fatto che ti farebbe bene smaltire tutta quella molenda che ti sei sbafato ieri sera...», cominciò Lee.
«Polenta, non molenda», lo corresse Danny, fiero del suo italiano, beccandosi un'occhiataccia da parte del trombettista. *2)
«Quello che è... Comunque, stavo dicendo che non è necessario andarci a piedi. Possiamo sempre prendere un taxi, no?».
Terry si guardò teatralmente attorno. «Un taxi? E come? Non vedi che non ci sono strade, qui? Secondo te come fa una macchina a galleggiare sull'acqua?».
Lee si sbatté una mano sulla faccia. «Il canale è la strada, idiota! Non vedi che le barche circolano come se fossero automobili? Guarda», aggiunse, indicando un piccolo e veloce motoscafo che stava attraccando al molo proprio di fronte a loro, «quello è un taxi!».
Il chitarrista fissò l'imbarcazione, che in effetti portava la scritta “taxi” in giallo appiccicata sul vetro della cabina passeggeri, ed emise un lungo sospiro di comprensione.
«Ahhhhhhhhhhhhhh, ora ho capito».
Tutti d'accordo, i ragazzi si diressero verso il motoscafo il cui proprietario, non appena li vide arrivare, si sfregò le mani per la soddisfazione: otto polli da spennare non erano mica roba da poco!
«Buongiorno ragazzi! Dove vi porto di bello?», chiese in italiano con un sorriso smagliante.
In sette si guardarono l'un l'altro, incerti, perché non avevano capito niente di ciò che il tassista aveva detto.
«Ci penso io», disse Danny, facendosi avanti e mettendosi a parlare nel suo buffo italiano, spesso inframmezzato da espressioni dialettali siciliane e qualche bestemmia vagante.
La trattativa andò avanti a lungo. Il tassista proponeva un giro completo della città, con tanto di sosta alle isole di Murano, Burano e Torcello, visita guidata a una fabbrica del vetro, visita guidata a un laboratorio artigianale di ricamo, sosta in uno dei migliori ristoranti per il pranzo e passeggiata in Piazza San Marco con annessa foto ricordo con i piccioni, il tutto alla modica cifra di 500.000 lire. Danny, invece, controbatteva con un semplice tragitto fino a Piazza San Marco con eventuale ritorno a piedi. *3)
«Si può sapere cosa vi state dicendo?!», sbottò ad un tratto Robert, stanco di sentire quel botta e risposta in sicilian-veneziano.
Il batterista spiegò cosa stava proponendo il tassista e Terry subito si illuminò.
«Sì, io voglio andare a vedere il laboratorio di ricamo! E poi voglio andare a mangiare nel miglior ristorante di Venezia!». *4)
«E ti pareva...», borbottò Lee incrociando le braccia sul petto.
«Anche a me piacerebbe andare a vedere la fabbrica del vetro», aggiunse Laudir, che fino a quel momento non aveva spiccicato una parola.
«Siete sicuri che riusciremo a vedere tutto in un giorno? Torcello è lontanissima», commentò James, girando la piantina della città su se stessa nel tentativo di calcolare le distanze.
Danny tradusse la domanda di James al tassista che annuì di rimando: per 500.000 lire avrebbe corso anche la ventiquattr'ore di Le Mans in metà tempo.
I ragazzi si consultarono tra di loro.
«500.000 lire sono tante, fratelli. Io con me ho solo pochi spiccioli», disse Danny, spulciando il proprio portafogli.
«Quant'è in dollari?», chiese Robert, controllando le proprie banconote.
James tirò fuori dal suo borsello una piccola calcolatrice tascabile e si mise a fare i calcoli.
«E da quando in qua tu te ne vai in giro con la calcolatrice in tasca?», gli chiese Walter, fissando l'amico con le sopracciglia aggrottate.
«Da sempre. Sono un tipo previdente, io!», replicò il trombonista. «Sono circa 566 dollari, spicciolo più spicciolo meno». *5)
Di solito, quando viaggiavano in tour era sempre Jack a tenere la cassa, e i ragazzi avevano solo poche banconote nei portafogli. Mettendo insieme tutto ciò che avevano arrivarono a poco meno di 350 dollari, quindi Danny diede il via alla seconda trattativa, stavolta dettata dall'ammontare di denaro. Per quella cifra, il tassista proponeva la sosta al ristorante e in Piazza San Marco, ma niente isole. Il batterista controbatteva con Murano e Burano, per accontentare Terry e Laudir, e la visita di Piazza San Marco senza foto con i piccioni.
Alla fine Danny la spuntò: lui e il tassista si strinsero la mano per suggellare il loro accordo, le banconote passarono di mano e sparirono rapidamente in una saccoccia, i ragazzi salirono a bordo del taxi e la visita di Venezia poté avere inizio.

 


Ovviamente il tassista, per quella cifra così risicata, non si sognò neanche lontanamente di far percorrere il Canal Grande a quegli otto squattrinati, e diresse il motoscafo verso il più ampio Canale della Giudecca, da dove i ragazzi poterono ammirare solo la Chiesa del Redentore e la Chiesa di San Giorgio, per poi puntare dritto a tutta velocità verso l'isola di Murano. Quando vi arrivarono, i Chicago avevano tutti lo stomaco scombussolato per lo sciabordio dell'imbarcazione. Il tassista li fece scendere al molo principale dell'isola e diede loro delle sommarie indicazioni per raggiungere la più vicina fabbrica del vetro.
Dopo aver assistito alla realizzazione di un piccolo vaso in vetro soffiato, cosa che li affascinò tutti, i ragazzi si ritrovarono in un negozietto pieno zeppo di fragilissimi souvenir sistemati su eleganti scaffali. Subito Lee afferrò Terry per un braccio e lo bloccò.
«Per l'amor del cielo, muoviti piano e con attenzione. Se per disgrazia fai cadere qualcosa ci toccherà lavare i pavimenti per tutto il resto della nostra vita, visto quanto costa questa roba!».
Il chitarrista lo guardò offeso. «Ehi, ma per chi mi hai preso?».
«Per ciò che sei: un elefante in un negozio di cristallerie!».
Terry sbuffò ma si mosse più piano che poté, trattenendo persino il respiro, per riuscire a lasciare il negozio senza sfiorare nemmeno uno scaffale con la sua pancia prominente.
Di nuovo fuori, i ragazzi raggiunsero il taxi: la seconda tappa prevista era l'isola di Burano e i suoi merletti. Ma non appena partiti James, cartina alla mano, si rese subito conto che il motoscafo stava andando dalla parte sbagliata.
«Ehi, stiamo andando verso il centro, non verso Burano!», esclamò rivolto al tassista, indicando col dito e sbatacchiandogli la mappa dritta in faccia. Il conducente non capì, o finse di non capire, così Danny fu costretto a intervenire.
«Sta dicendo che a Murano ci abbiamo messo troppo, e che per i soldi che gli abbiamo dato non può sprecare altro tempo per portarci fino a Burano», spiegò agli altri.
«Ma cos'è, un vampiro? Gli abbiamo dato 350 dollari! Cosa vuole, il nostro sangue?», sbottò Robert, incrociando le braccia sul petto.
Anche Terry si fece avanti, puntandosi i pugni sui fianchi.
«Ehi, amico! Io voglio vedere i merletti!», grugnì col suo vocione da baritono, fissando il tassista con sguardo truce. L'uomo sembrò comprendere improvvisamente l'inglese e, seppure a malincuore, fece inversione a U e diresse verso l'isola in questione.
I ragazzi si divertirono un sacco a gironzolare per le piccole stradine dell'isola, soprattutto nel guardare Terry che lanciava gridolini estasiati alla vista dei complicatissimi ricami ad ago esposti fuori dalle porte dei piccoli negozietti. Ad un tratto si fermò persino a osservare una vecchina che ricamava alacremente un leone di San Marco, chinandosi sul merletto per osservare attentamente i suoi movimenti. La donnina non si scompose alla sua presenza e continuò a lavorare imperterrita in silenzio. Il chitarrista sarebbe rimasto lì per ore se il tassista non fosse corso a richiamarli: avevano già perso quasi un'ora e dovevano tornare a Piazza San Marco per la loro ultima tappa.

 


Giunti infine al loro capolinea, dopo che il tassista si fu dileguato, gli otto ragazzi si incamminarono col naso all'insù per ammirare l'imponenza del campanile di San Marco e la maestosità della basilica con i suoi cavalli di bronzo sulla facciata. L'enorme piazza, affollata di turisti, li accolse con i suoi caffè e i suoi piccioni, che svolazzarono attorno a loro scompigliandogli i capelli. Peter si portò subito le mani al caschetto per mantenere la perfezione della sua messa in piega, facendo sghignazzare tutti gli altri.
Fatti pochi passi, furono avvicinati da un venditore di granturco. Per 200 lire avrebbero potuto comprare un sacchettino di mangime per fare la classica foto con i piccioni di Venezia. Terry e Danny si lanciarono un'occhiata d'intesa e, frugatisi a lungo nelle tasche alla ricerca degli ultimi spiccioli, coinvolgendo anche Laudir e Walter, riuscirono ad acquistare una confezione di mais.
Con nonchalance Terry si avvicinò a Peter, intento a fotografare con la sua Polaroid la facciata della basilica, e gli depose qualche chicco di granturco sulla testa. I piccioni, che erano sempre all'erta, seguirono attentamente le sue mosse e non appena videro i grani sulla testa dell'uomo biondo si precipitarono a decine su di lui, contendendosi il mangime e beccando inesorabilmente i capelli di Peter.
Il bassista iniziò a urlare come un ossesso, agitando le braccia e le mani per scacciare gli uccelli al punto da lasciarsi sfuggire di mano la macchina fotografica. Terry gli lanciò contro un'altra manciata di mais e altri piccioni andarono ad aggiungersi ai primi, trasformando Peter in una sorta di trespolo umano strillante.
«Certo che sei proprio uno stronzo!», esclamò Robert, tenendosi la pancia per il gran ridere alla vista dell'amico che correva a destra e a sinistra per la piazza inseguito da uno stormo di piccioni.
«Già!», concordò Lee, le braccia incrociate. «Ma almeno stavolta non sono stato io a essere preso di mira».
«Che c'è, sei geloso per caso, buco del culo?», ghignò Terry. *6)
Il trombettista non fece in tempo a negare che già una manciata di mais, seguita da un altro stormo di piccioni, gli finì dritto in faccia.
«Ti odio, Terrence!», gridò mettendosi a correre pure lui, mentre gli altri sei scoppiavano a ridere come matti.
Placato il trambusto e la fame dei piccioni, i ragazzi decisero che era ora di raggiungere la stazione per riprendere il treno e tornare a Verona. Ovviamente non avevano più il becco di un quattrino, così furono costretti a farsela a piedi da Piazza San Marco e non poterono nemmeno fermarsi a mangiare un boccone, con gran disappunto di Terry che, fatti pochi passi al seguito di James che li guidava con la cartina alla mano, iniziò a lamentarsi per la fame e l'inevitabile calo di zuccheri.
«Uffa, ma quanto manca ancora?», chiese il chitarrista con tono lamentoso.
James si fermò e gli indicò il punto in cui si trovavano sulla mappa, poche decine di metri fuori da Piazza San Marco.
«Siamo appena partiti. Ti conviene chiudere il becco e risparmiare il fiato per camminare».
Si rimisero in marcia in fila indiana, il trombonista in testa seguito da Walter che, essendo il più alto di tutti, riusciva a vedere per primo i cartelli di indicazione per la stazione. Seguivano Robert, Laudir, Danny e Terry. Per ultimi, scostati dagli altri, Lee e Peter, coperti di cacche di piccione, camminavano fianco a fianco borbottando tra loro bestemmie e minacce nei confronti del chitarrista.
La passeggiata fu molto lunga, e l'unico punto che destò il loro interesse fu l'attraversamento del Ponte di Rialto: si fermarono sulla sua sommità a contemplare il traffico di imbarcazioni che scorreva sotto di loro, un mormorio di ammirazione che gli sfuggiva dalle labbra.
«Certo che Venezia è proprio una città romantica, vero?», sospirò James una volta raggiunta di nuovo la stazione.
«E anche carissima», sbottò Danny. «Non so se ci avete fatto caso, ma pure per andare ai cessi pubblici bisognava pagare!».
«Avresti potuto pisciare alle gambe di Lee», ridacchiò Terry. «Tanto, escremento più escremento meno...».
Il trombettista sibilò qualcosa di incomprensibile, coperto dalle risate degli altri. Ma quando entrarono nella stazione e fecero per salire sul treno, il controllore li fermò.
«Dove credete di andare?».
«A Verona», rispose Danny, biascicando il suo italiano.
«Allora dovete comprare il biglietto. Quello che avete è di sola andata».
«Fratelli, mi sa che siamo nella merda», mormorò il batterista non appena l'uomo si fu allontanato, spiegando cos'era successo.
«Cazzo, e ora che si fa?», chiese Walter, preoccupato.
«Dobbiamo andare a un telefono pubblico, chiamare il nostro albergo e farci mandare qualcuno a prenderci», rispose James alzando le spalle.
«Chi di voi ha una monetina?», chiese Robert.
Gli altri scossero la testa.
«Le uniche che avevo le ho date a Terry per comprare il granturco», disse il sassofonista, imitato da Laudir.
«E allora, come ce ne procuriamo qualcuna?», chiese Peter, che moriva dalla voglia di farsi una doccia.
«Io un'idea ce l'avrei...», ghignò Terry.
Bastò che bassista e trombettista si mettessero seduti in un angolo della stazione tendendo la mano: erano talmente sporchi e malmessi che non fu difficile per loro farsi passare per due senzatetto, e il cuore generoso degli italiani fece il resto.

 

 

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Benvenuti al terzo capitolo della raccolta partecipante alla mia stessa sfida. Questa volta la location era la città e il prompt, suggerito da Kim WinterNight, era TAXI. E per quanto sembri facile, all'inizio non avevo proprio idea di come utilizzarlo. Poi mi sono ricordata che, per riallacciarmi alla “Real Life Challenge”, quando i miei genitori andarono a Venezia durante il loro viaggio di nozze, furono (come i Chicago) presi in consegna da un tassista che fece fare loro il giro panoramico della città, li portò alle isole di Murano, Burano e Torcello, alla fabbrica del vetro e perfino indicò loro un ristorante in cui mangiare, e ovviamente furono spennati vivi perché Venezia è da sempre una città molto cara anche se bellissima, lo devo ammettere. Qualche anno fa ho avuto l'occasione di girarne una buona parte a piedi e ho visto monumenti stupendi. Anche il fatto che i bagni pubblici siano a pagamento è vero (quanto meno al giorno d'oggi: due euro per una pipì XD) e un tempo (ora non più) in Piazza San Marco si trovavano proprio i venditori di granturco per richiamare i piccioni e farsi la foto con loro (ebbene sì, da piccola l'ho fatta pure io, anche se per fortuna mi sono scampata le cacche).
Questa volta, invece di inserire come banner una foto del gruppo, ho deciso di usare una creazione molto fantasiosa che ho trovato su Pinterest, che rappresenta il centro storico di Venezia con il corso del Canal Grande modificato per formare il logo della band.
Il titolo invece, ha una doppia interpretazione, che credo siano comprensibilissime XD.
Tanto per la cronaca, questa shot è ambientata l'1 settembre 1977. Il giorno prima i Chicago hanno tenuto un concerto all'Arena di Verona, e il successivo in Germania si terrà il 3 settembre, quindi li ho immaginati alle prese con un giorno di riposo. Ed è per questo che, stavolta, compare anche Laudir: a quell'epoca era membro ufficiale della band.
Vi ricordo inoltre di andare a dare un'occhiata alle storie di Kim WinterNight e Soul Dolmayan che partecipano a questa sfida!
Vi lascio ora alle note numerate per aiutare la giudice della Challenge.
*1) Jack Goudie, cognato di Walter Parazaider, era il manager della band durante i tour. Come già detto sopra, il 31 agosto 1977 la band tenne un concerto all'Arena di Verona.
*2) In questo periodo della sua vita, pochi mesi prima di morire, Terry aveva raggiunto il ragguardevole peso di 136 Kg. Era consapevole di dover dimagrire, ma gli piaceva troppo mangiare. Danny ha origini italiane, che io ho ipotizzato siciliane in quanto sua nonna lo chiamava “Dannuzzo”.
*3) 500.000 lire nel 1977 era una cifra enorme, corrispondente a circa 2.000 euro attuali (ho fatto il calcolo qui: https://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/05/17/calcola-potere-dacquisto-lire-ed-euro-dal-1860-2015/?refresh_ce=1).
*4) In una delle mie story line ricorrenti (chiamata “Uncinetto!AU”), Terry ha una grandissima passione per l'uncinetto e il ricamo, che poi diventerà il suo hobby abituale in vecchiaia (quella vecchiaia che non vivrà mai, purtroppo).
*5) Secondo la mia story line James è un tipo preciso, che porta sempre con sé nel suo borsello un quadernino su cui annota tutto. È quindi logico che possa avere con sé anche una calcolatrice. Il cambio lire/dollari riportato nel testo è reale, in quanto sono andata a cercarmi quanto valeva il dollaro rispetto alla lira in quel periodo.
*6) “Buco del culo” è un soprannome che ho coniato io per Lee, facendolo pronunciare a Terry, perché il trombettista insieme a Walter e James (la sezione fiati) si erano rinominati “Hole in the Ass Gang”.

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Capitolo 4
*** I ragazzi di campagna ***


I ragazzi di campagna


 

(Dall'alto verso il basso e da sinistra verso destra:
Lee, Terry, Peter, Walter, Danny, James, Robert, Laudir)

 

 

Prompt: ghiaccio

Location: campagna

 

 

 

James, gli occhi rossi e il naso gocciolante, si raddrizzò a fatica appoggiandosi al manico del forcone.
«Mi ricordate, per favore, per quale motivo siamo qui a spaccarci la schiena?», ansimò tra uno starnuto e l'altro. «Maledetta allergia del cazzo!».
«Perché Guercio ritiene che l'aria di campagna possa far bene ai nostri polmoni», rispose tranquillo Walter, finendo di spargere il fieno per le mucche nella mangiatoia.
«E allora perché dobbiamo lavorare, cazzo?», insisté il trombonista, senza riuscire a smettere di starnutire.
«Perché il lavoro nobilita l'uomo, non lo sapevi?», si intromise Lee, appena entrato nella stalla con stivaloni di gomma ai piedi e un rastrello in mano. «Ma poi, scusa, se sapevi di essere allergico al fieno per quale motivo ti sei messo a dar da mangiare agli animali? Non potevi fare qualcos'altro?», aggiunse nel vedere James stravolto dagli starnuti.
«E cosa? Qui, ovunque tu giri la testa, non c'è altro che fieno, fieno e ancora fieno!».
«Magari potresti spalare la merda delle vacche: ne fanno a quintali».
«A parte che il fieno lo trovi anche nella loro merda... poi quello dovrebbe essere compito tuo, visto che tanto ci sei abituato». Lee lo guardò aggrottando le sopracciglia e James continuò. «Chi è che, in quel cazzo di film di Guercio, se ne stava seduto in mezzo alla merda dei maiali?».
Lee storse il naso al ricordo. «Non farmici pensare. Ho continuato a puzzare per giorni!».
«Beh, tu almeno hai anche avuto la tua battuta, mentre io non ho fatto altro che stare zitto e prendermi un pugno in faccia», borbottò Walter appoggiando il proprio forcone alla rastrelliera di fianco alla porta della stalla e scuotendosi i fili di paglia dai pantaloni. «Usciamo, dai, che qui abbiamo finito». *1)
Una volta fuori, gli starnuti di James si placarono almeno in parte.
«Dove sono gli altri?», chiese guardandosi attorno.
«Robert e Peter sono a riparare il recinto del pollaio, mentre Terry, Danny e Laudir sono andati a raccogliere gli avocado», rispose il trombettista, indicando rispettivamente alla sua destra e dritto davanti a sé mentre parlava.
«Andiamo a vedere cosa combinano?», propose Walter.
Gli altri due annuirono, e si avviarono verso la piantagione di avocado.

 

Terry addentò l'ennesimo frutto pescandolo dal cesto che teneva sottobraccio, mentre alzava lo sguardo tra le fronde a osservare i movimenti dei suoi due compagni di lavoro: Danny e Laudir erano arrampicati come due scimmie sull'albero di avocado che il chitarrista aveva di fronte, ed erano intenti a raccogliere i frutti verde scuro che poi passavano all'amico a terra.
«Ehi, Danny, ce n'è uno lì davanti a te», biascicò con la bocca piena, indicando un avocado particolarmente grosso che penzolava da uno dei rami più alti.
«Perché non te lo vai a prendere da solo? Noi fatichiamo e tu non fai altro che ingozzarti come un maiale!», replicò il batterista, piccato.
«Lo sai che se non mangio ogni mezz'ora vado in calo di zuccheri. E poi, io e gli alberi non abbiamo un buon rapporto», rispose Terry, ricordandosi di quando, qualche Natale prima, aveva tentato di addobbare il proprio abete arrampicandocisi sopra e rimanendo incastrato tra i rami.
«Peccato che gli abacate di zuccheri ne abbiano pochissimi, amigo», si intromise Laudir, ridendo. «Inventa un'altra scusa, la prossima volta».
«La prossima volta dirò a Guercio di venirci lui, in campagna a fare il contadino! Non gli basta più rinchiuderci in alta montagna nel suo cazzo di ranch? Ora pure braccianti ci vuol far diventare!», sbuffò il chitarrista, lanciando lontano il grosso seme dell'avocado che aveva appena finito di divorare.
«L'aria salubre di campagna fa bene ai vostri polmoni», scimmiottò Danny, imitando la voce del loro produttore.
«A parte il fatto che a me i polmoni per suonare non servono, quest'aria è salubre un corno!», esclamò Laudir traendo un grosso respiro. «Si sente solo cheiro de merda!».
«E noi siamo pure lontani dalle stalle. Ti immagini quei tre poveri disgraziati che ci devono sgobbare dentro?», rise Danny, aggrappandosi forte al proprio ramo per non perdere l'equilibrio.
«Stai parlando di noi, per caso?».
La voce profonda di Walter li fece voltare.
«Ehi, buchi di culo, che ci fate qui?», esclamò Terry, afferrando un altro avocado e addentandolo, impiastricciandosi tutta la faccia.
«Abbiamo finito con la merda, e allora abbiamo deciso di venire a vedere come ve la passavate», rispose James, prendendo anche lui un frutto dal cesto che il chitarrista teneva in mano e mordendolo avidamente. «Fosse mai che mi facesse bene all'allergia...», commentò sottovoce.
«Ehi! Noi, con quelli, dobbiamo farci il guacamole!», brontolò Danny nel vedere che un altro degli avocado che aveva raccolto con tanta dedizione stava facendo una brutta fine.
«Puoi sempre raccoglierne altri, no?», replicò Jimmy, muovendo lo sguardo all'intorno e indicando le decine e decine di alberi carichi di frutta che li circondavano.
«Mica mi pagano per fare la scimmia». Il batterista finì di raccogliere le ultime drupe presenti sulla pianta, poi si lasciò cadere a terra con un sospiro. «Cristo, non mi sento più le gambe...».
Laudir lo imitò subito dopo e i sei ragazzi si raggrupparono in circolo.
«Ora basta, ne ho abbastanza di raccogliere frutta!», disse Terry, posando a terra il cestino e stirandosi.
«Ma se tu non hai fatto altro che abbuffarti?». Danny lanciò un'occhiataccia all'amico, che si strinse nelle spalle.
«È un lavoro anche quello».
«Perché non andiamo a prenderci qualcosa da bere?», propose Laudir, sfregando le mani sui pantaloni per pulirsele.
«Mi sembra un'ottima idea. Una Coca con tanto ghiaccio è proprio quello che ci vuole», concluse Walter, e tutti e sei i ragazzi si diressero verso la casa padronale.

 

Una volta adeguatamente provvisti di bibite, i ragazzi andarono in cerca di Robert e Peter, ancora intenti a riparare il recinto del pollaio: Peter teneva le assi in posizione e Robert batteva con il martello sui chiodi per fissarle al loro posto. Ma, ogni volta che il tastierista alzava il martello, il bassista spostava la mano destra per paura di essere colpito.
«La vuoi smettere di togliere la mano? Ogni volta l'asse si sposta e sono costretto a risistemarla!», sbraitò Robert, agitando il martello sopra la testa.
«Non è colpa mia se hai la mira di un ubriaco! Già per tre volte ho rischiato di ritrovarmi con un dito in meno, e a me le dita servono!».
«Allora reggila con la faccia! Tanto, anche se ti colpisco sulla mandibola, quella ce l'hai già disintegrata! Danno più, danno meno...». Robert concluse la frase facendo spallucce, mentre il viso di Peter diventava rosso per la furia.
«Perché non facciamo al contrario? Io uso il martello e tu reggi!».
«Meglio di no», replicò il tastierista. «Prima che ti sei sistemato i capelli, scosso le mani, preso la mira e sistemato i capelli per la seconda volta, passano almeno dieci minuti buoni».
Peter fece per replicare, ma fu interrotto dal vocione da basso di Terry, appena arrivato vicino a loro in compagnia degli altri cinque.
«Ehi, ragazzi, calma. Siete peggio dei miei vicini di casa, che non fanno altro che litigare dalla mattina alla sera».
«Ma non avete ancora finito?», chiese Lee, fissando le numerose assi ancora a terra, pronte per essere fissate. «Noi abbiamo ripulito tutta la stalla, e loro», indicò il chitarrista, Danny e Laudir, «hanno finito di raccogliere gli avocado, mentre voi siete ancora all'inizio».
«Vuoi farlo tu al posto nostro?», chiese Robert in tono cupo puntandosi le mani sui fianchi, il martello che oscillava minacciosamente tra le sue dita.
«Non vedo perché dovrei», replicò Lee mettendosi nella stessa posa del tastierista. «Io il mio lavoro l'ho finito. Siete stati voi a scegliere di fare questo!», aggiunse, indicando la catasta di tavole in legno.
«Io un'idea su come risolvere la situazione ce l'avrei», disse James, asciugandosi i folti baffi con il dorso della mano dopo aver preso un sorso di Coca-Cola. «Visto che è stato Guercio a obbligarci a venire qui, senza neanche interpellarci, dovrebbe essere lui a sgobbare al posto nostro».
«Peccato che Guercio sia a palle all'aria su una spiaggia di Malibù», commentò Walter scuotendo la testa. Scolò il suo bicchiere, lasciando che i cubetti di ghiaccio non ancora totalmente sciolti tintinnassero contro il vetro, e spostò con decisione Peter di lato. «Fatti da parte, ci penso io a tenere le assi».
Si chinò ad afferrarne una e fece cenno a Robert di darsi da fare col martello. Il tastierista afferrò un lungo chiodo, fece sporgere la lingua tra i denti e prese la mira, assestando un vigoroso colpo.
Il cortile della fattoria fu spazzato dall'urlo disumano lanciato dal sassofonista.
«AAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!».*2)
Invece di colpire la testa del chiodo, Robert aveva centrato in pieno il pollice destro di Walter, la cui unghia stava già diventando violacea.
«Visto, che avevo ragione? Hai la mira di un ubriaco», commentò Peter, mentre Walter saltellava come un pazzo tenendosi stretto il dito ferito. James gli andò dietro, porgendogli il bicchiere che il sassofonista aveva vuotato poco prima e in cui permaneva ancora un residuo di ghiaccio, facendogli mettere il pollice al fresco.
Robert fece spallucce. «È stato lui che ha mosso la mano. Se fosse stato fermo non lo avrei colpito».
Walter si voltò verso di lui, guardandolo con aria truce.
«Nisam se pomaknuo, kretenu jedan! Vi niste u mogućnosti koristiti čekić!», sbraitò in croato, la sua lingua natìa, lasciando interdetti tutti gli altri.
«Ovvero?», si azzardò a chiedere Terry col suo sorriso equino stampato in faccia.
«Ho detto che io non mi sono mosso, e che Bobby non sa usare il martello!», tradusse il sassofonista, continuando a tenere il dito ficcato tra i cubetti di ghiaccio.
«Il tutto condito da qualche bestemmia, immagino», commentò Danny, rovesciando il proprio ghiaccio nel bicchiere di Walter, che lo ringraziò.
«Certo, è chiaro. Sfiderei chiunque a non chiamarlo "testa di cazzo"!».
Robert borbottò qualcosa, poi lasciò cadere il martello e se ne andò per i fatti suoi. Gli altri sette rimasero a fissare il recinto incompiuto e le galline che razzolavano poco lontano.
«E ora che facciamo?», chiese Laudir. «Lo finiamo noi?».
Terry si strinse nelle spalle. «Ma lasciamole libere, povere pollastrelle. Tanto, che cosa vuoi che possa succedergli?».



La mattina dopo, la fattoria non fu svegliata dal consueto canto del gallo. Quando il fattore andò a controllare, scoprì che le galline, riuscite a sfuggire dal recinto non riparato, erano state divorate dai coyote durante la notte.

 

 

Spazio autrice:

Sembra incredibile ma ci sono riuscita! Nonostante il Covid, l'isolamento, la mancanza di ispirazione, la location in campagna che non mi aiutava, il prompt non proprio semplicissimo lasciato da Soul Mancini, “GHIACCIO”, sono riuscita a portare a termine la mia stessa sfida. In ritardo, è vero, ma noi tre partecipanti ci eravamo accordate su questo, visto che anche loro erano impegnate e non avrebbero potuto scrivere.
Mi sono divertita tantissimo a scrivere questo ultimo capitolo, ambientato più o meno nello stesso periodo del precedente, visto che anche qui appare Laudir de Oliveira. E anche se stavolta non sono riuscita a inserire nulla per la “Real Life Challenge” sono comunque soddisfatta del risultato.
Per chi ha già letto le mie storie precedenti, sarà stato facile ritrovare elementi già inseriti in passato, come l'allergia al fieno di James (mia licenza poetica) o la proverbiale fame di Terry (questa del tutto reale XD); la mania per i propri capelli di Peter e le frasi in croato di Walter, che quando è in preda a emozioni forti è solito ricorrere alla sua lingua d'origine per esprimersi (anche queste sono entrambe mie licenze poetiche). Per non parlare dell'accenno alla mia fic “Io ce l'ho più grosso” in cui il chitarrista rimane incastrato nel suo stesso abete mentre tenta di addobbarlo per Natale.
Non mi resta che ringraziare fino all'infinito Kim Winternight e Soul Mancini per aver accettato la mia sfida, per aver partecipato con tanto entusiasmo e grinta e, soprattutto, per avermi assecondato come sempre XD. Siete grandissime, ragazze!
Infine, il titolo è un chiarissimo riferimento al film “Il ragazzo di campagna” del 1984, interpretato da Renato Pozzetto.
Vi lascio alle due note numerate nel testo.
*1) Nel 1973, Guercio produsse e diresse il suo unico film: “Electra Glide in Blue”, che narra la storia di un poliziotto della stradale che sogna di passare alla sezione omicidi. Quattro dei sette membri dei Chicago ebbero una particina nel film: Peter Cetera interpreta un motociclista; Terry Kath è colui che, alla fine del film, uccide il protagonista con un colpo di fucile; Lee Loughnane e Walter Parazaider impersonano due hippy. Il primo è anche il guardiano dei maiali, e nella sua scena appare seduto su una lamiera in mezzo alla cacca dei suini; il secondo, invece, si becca un pugno in faccia da parte del detective che sta cercando il motociclista/Peter. Lee pronuncia una battuta, rivolgendosi al protagonista informandolo che si trova in mezzo alla cacca dei maiali; mentre Walter non dice niente, le prende e basta.
*2) Ho immaginato questo urlo come quelli che è solito lanciare il gatto Tom nei cartoni animati di Tom & Jerry. Potete sentirne uno a questo link, al minuto 7:05. https://www.youtube.com/watch?v=CUIXOCwD2yA
Spero di aver fatto divertire!

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