Le cose che hai detto

di Crudelia 2_0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Le cose che hai detto quando avevi paura ***
Capitolo 2: *** II. Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato ***
Capitolo 3: *** III. Le cose che hai detto mentre stavi guidando (il calesse) ***
Capitolo 4: *** Le cose che hai dettosotto le stelle, disteso sull'erba ***
Capitolo 5: *** Le cose che hai detto piangendo ***
Capitolo 6: *** Le cose che non hai detto affatto ***
Capitolo 7: *** Le cose che hai detto all'una di notte ***



Capitolo 1
*** I. Le cose che hai detto quando avevi paura ***


Le cose che hai detto quando avevi paura
 
 
 
 
«Riuscirò a chiedergli scusa?»
Questa è la domanda che fa mentre la paura per la vita di suo fratello le stringe lo stomaco in una morsa.
Sono i sensi di colpa a farle tremare la voce, a rendere umidi i grandi occhi che lui continua a guardare con il malcelato desiderio di annegarci dentro. Perché, mentre suo fratello delira incosciente sul letto nella camera affianco, non sono gli anni che hanno passato separati durante i quali lui era impegnato con l'esercito francese, quello a cui pensa, ma gli ultimi mesi in cui sono stati vicini, quasi sotto lo stesso tetto, e lei non ha fatto altro che mettergli i bastoni tra le ruote.
Una sorella dovrebbe sostenere, al massimo dissuadere con dolcezza.
Lei non aveva fatto nulla di tutto ciò, con la sua cattiveria l'aveva solo spinto tra le braccia di quella donna che tutto era fuorché adeguata.
«Non avete nulla di cui scusarvi», ma è una bugia e lo sa anche lui. Perché anche con lui dovrebbe scusarsi, come lui dovrebbe scusarsi con lei, per tutta la sofferenza che le aveva e continua a procurarle.
Lei scuote la testa e stringe le labbra, per soffocare quel singhiozzo prepotente che vuole uscire dalla gabbia che è il suo petto, intrappolato tra costole e cuore forsennato.
«Avrete tutto il tempo per parlare, per dirgli ciò che desiderate» e non può impedirsi, Antonio, di alzare una mano e accarezzare con la punta delle dita la guancia ora bagnata da una lacrima sfuggita al controllo infrangibile della donna.
Lei sussulta, ma non si muove. Si limita a chiudere gli occhi, il petto che si alza in fretta tra le stecche del bustino.
«Ma anche se lo desidero-» deglutisce, sentendo la pressione nello stomaco, nel petto, nella testa aumentare ad ogni attimo in cui la sua pelle rimane a contatto con i polpastrelli caldi dell'uomo. «Ci sono cose che non possono essere dette»
È dai suoi occhi sa che ha capito. Tutti gli anni trascorsi tra loro, tutto il non detto trascorso tra loro è un muro invisibile tra i loro corpi che potrebbe infrangersi al sospiro di una parola sussurrata a fior di labbra.
Ma l'attimo passa e lui si congeda, lasciandola sola in un corridoio, con l'illusione delle sue mani ancora sul suo viso.
 
 
 
 
 
NdA: ecco la prima di una raccolta di flach fic Anna/Antonio. Loro sono la prima coppia su cui ho scritto, il mondo in cui mi ritiro quando non riesco più a scrivere nient’altro.
Questa flash è ambientata nella prima stagione, quando sparano a Fabrizio e Antonio viene chiamato ad estrarre i proiettile.
I vostri pareri sono sempre benvenuti,
 
Un abbraccio,
Crudelia

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Capitolo 2
*** II. Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato ***


Le cose che hai detto dopo che mi hai baciato
 
 
 
 
Baci. Ce n'erano stati molti, fra loro, quando ancora erano giovani e convinti di avere l'eternità davanti.
Baci ai quali lei non aveva dato peso, convinta di poterne avere tutta la vita, da lui.
Baci che non ricordava e che aveva rimpianto per anni, quando le labbra viscide di suo marito si imponevano con arrogante possesso.
 
Bacio. Uno solo, dato mentre lei stava cadendo a pezzi e lui, i pezzi, stava cercando di raccoglierli da quando era rimasto solo.
Un bacio salato, dal sapore di lacrime, capace di ridare ossigeno e il primo respiro dopo anni.
Un bacio che aveva desiderato, che le era mancato pur non sapendolo.
 
«Mi devi una spiegazione, non credi?»
Lui sospira, stanco. Ma a lei non interessa che sia notte, che sia appena tornato dalla visita di chissà quale contadino sfortunato, che casa sua sia invasa da donne in ansia per una lista, un complotto, una vita.
«Ho - ho sbagliato» non la guarda negli occhi mentre pronuncia quella frase, due parole balbettate che hanno il potere di far sprofondare il cuore che forse, forse, era tornato a battere.
Ci sono tante domande che le affollano la mente, così tante che le labbra rimangono cucite, incapaci di schiudersi sotto l'eco di quell'ammissione - uno sbaglio.
«Non avrei dovuto approfittarmi della tua - della vostra tristezza».
Questa volta la guarda, forse perché è la verità. Verità che con lui si è sempre confusa.
E lo odia per averla illusa, per la seconda volta.
Odia se stessa perché, come quando era giovane, ancora non ha imparato a non rispondere ai suoi occhi come se lui fosse un burattinaio e lei la sua bambola legata da fili invisibili.
Ma è quel voi a bruciare come uno schiaffo, quella forma di cortesia e rispetto che lui aveva sempre ignorato continuando a chiamarla per nome.
Sempre Anna, solo Anna.
Si volta e lascia la stanza. Può sentire il suo nome viaggiare leggero sulle labbra dell'uomo, ma questa volta non tornerà indietro.
 
 
 
 
 
NdA: seconda flashfic, si svolge durante quei giorni che Elisa, Anna ed Emilia hanno passato a casa di Ceppi prima di partire per cercare la lista. La immagino come la prima conversazione dopo il bacio in biblioteca, perché non penso che avrebbero ammesso subito i sentimenti fra loro, pur essendo così palesi.
 
Un abbraccio,
Crudelia

 

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Capitolo 3
*** III. Le cose che hai detto mentre stavi guidando (il calesse) ***


Le cose che hai detto mentre stavi guidando (il calesse)
 
 
 
Prova dolore.
Non fisico, non è mai dolore fisico, il suo. Ma si concretizza comunque tra stomaco e cuore, nel vuoto appena sotto le costole.
E fa male, pulsa. Un buco nero impossibile da ignorare.
Ma lui è lì, più in alto perché seduto sul calesse, e i suoi occhi hanno reso muto quello squarcio sanguinante mentre lei lo guarda con quel se che balla sulle labbra.
Se — se cosa?
 
Se potessi, annulleresti tutto ciò che è successo tra noi?
Se potessi tornare indietro faresti le stesse scelte?
Se non ci fossero queste stupide convenzioni sociali tra noi scenderesti da quel carro e mi daresti il bacio che la mia bocca ha dimenticato ricevere da te?
Se io non fossi io, se tu non fossi tu...
 
Ma lei è lei e lui è lui, e non ci sono se, non ci sono forse e non ci sono chissà a riempire lo spazio fra i loro occhi che vibra di parole non dette. Anche se la bocca di lui è piegata leggermente all'insù, un mezzo sorriso che vale più di tutti i discorsi.
Perché da troppo tempo lui non le sorride, guardandola con il blu dei suoi occhi annegato nel rimpianto e nella tristezza.
 
Se il nostro amore fosse sopravvissuto agli ostacoli, Antonio, mi guarderesti con quel sorriso ogni mattina, con i capelli stropicciati dal sonno e la camicia sgualcita dalle mie mani?
 
«Devo andare. Arrivederci, Anna».
E la dolcezza nella sua voce, anche se appena accennata, basta ad entrambi.
Lui se ne va e lei gli volta le spalle. Non vedrà mai gli occhi di lui che cercano la sua figura ancora una volta, girato sul calesse.
Ma Antonio lo fa  ̶   la cerca ancora una volta e si riempie gli occhi di lei fino alla volta successiva, finché, incontro dopo incontro, la distanza fra loro si riduce.
 
 
 
 
Note: questa volta sono rimasta così canon da non crederci. Sono i pensieri di Anna durante la puntata 19, quando Antonio è sul calesse e lei dice quel Se che lui non sente e che io non riesco a non pensarci ogni volta (Argh!)
A parte questo. Volevo scrivere qualcosa di angst, ma è uscito questo schizzo davvero davvero breve che non mi soddisfa per niente del tutto.
Spero a voi piaccia di più, intanto vi anticipo che per il prossimo capitolo ho una sorpresa per voi!
 
Un abbraccio,
Crudelia

 

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Capitolo 4
*** Le cose che hai dettosotto le stelle, disteso sull'erba ***


Le cose che hai detto sotto le stelle, disteso sull'erba
 
 
Faceva freddo sull’erba già bagnata di rugiada, ma era del tutto secondario. Un aspetto di poco conto, i brividi sulla colonna vertebrale, quando il braccio di suo cugino le cingeva le spalle per scaldarla. Ed era comodo, il suo petto, così tanto che quasi si sentiva in colpa.
 
Ma cos’era più grave, poi? Stare sdraiata sull’erba abbracciata ad un uomo, essere scappata dalla sua stanza in piena notte o rovinarsi con macchie d’erba la vestaglia di seta che aveva portato nuova da Parigi?
 
Per lei nulla di tutto questo. Ci avrebbe pensato la mattina dopo, quando un raffreddore avrebbe fatto preoccupare Antonio e sua madre l’avrebbe guardata con disapprovazione e sospetto. Perché avrebbe saputo, poco ma certo. Non c’era modo di nascondere qualcosa ad Anna Ristori.
Non che avesse qualcosa di cui vergognarsi. Stava solo guardando le stelle.
Di nascosto. In camicia da notte. Con suo cugino.
 
Un sorriso le nacque sulla bocca e voltò la testa per nasconderlo tra la spalla e il collo di Martino. Era così caldo, quell’angolo di pelle che aveva così vicino da potervi poggiare le labbra.
«Stai bene?», e per riflesso condizionato posò le sua labbra sulla fronte.
Emilia si sentì arrossire, le guance bollenti contro il resto del corpo gelido.
«Ho solo un po’ freddo», mormorò.
Martino si mosse fino a farla sedere, sorreggendola con le mani sulle sue spalle delicate. Emilia sentì i calli delle sue mani attraverso la stoffa sottile e rabbrividì ancora. Avrebbe desiderato quelle mani dappertutto, ma era troppo ben ammaestrata dalle regole del collegio francese per ammetterlo, perfino a se stessa.
«Perdonami, non ci avevo pensato», disse tenendo la voce bassa. Si sfilò la giacca e la posò sulle sue spalle, fermandosi con le mani sul colletto, chiudendo i lembi con delicatezza.
Emilia si sentì avvolgere dal suo profumo, dal suo calore. Quando era avvenuto quel cambiamento, quando suo cugino si era trasformato da adolescente troppo magro ad adulto responsabile ed affascinante?
Perché Emilia se n’era accorta di come lo guardavano le altre nobili quando l’accompagnava alla corte a Torino.
«Forse dovremmo rientrare», sussurrò. Prima che facciamo qualche sciocchezza, prima che io ti baci, fu quello che tacque.
«Vuoi rientrare?». Il lampo malizioso che gli attraversò lo sguardo lo rese quanto mai simile a suo padre, ed Emilia rivide davanti agli occhi gli incontri fra suo zio ed Elisa, quando entrambi fingevano, fallendo, di non voler sparire fra le braccia dell’atro.
«Dovere e volere sono due cose diverse», disse a fior di labbra, parlando fra sé. Lei avrebbe voluto rimanere, ma sapeva di dover rientrare.
Martino la guardò con un sorriso sbieco sulle labbra. Mosse i pollici sfiorandole la pelle del collo in lente carezze che la fecero sciogliere. Chiuse gli occhi, per imprimersi la sensazione addosso, stringendo la camicia sottile tra le mani.
Alcune cose non le dicevano, i libri.
«Sono al tuo servizio», ma la voce era troppo vicina, adesso. Emilia non osò aprire gli occhi, sentendo il fiato del cugino sulla bocca. Quanto era vicino, per sentirlo con tale intensità?
Ansimò, i pollici di lui si muovevano lenti. Dal mento alle clavicole, su e giù.
Emilia deglutì, cercando contegno.
Era sconveniente. Ogni gesto, ogni respiro, ogni pensiero era sconveniente.
«Non scherzare», esalò, ma fu quasi un gemito strozzato. Era fin troppo consapevole, a quel punto, quanto aperta fosse la vestaglia e quanto trasparente fosse la seta bianca che la copriva.
 
Una brezza fresca soffiò spostandole alcune ciocche di capelli davanti al viso, i grilli frinivano nei campi attorno alla tenuta. Ma c’erano solo loro due, nel prato, solo loro due nel mondo intero.
 
«Non scherzo. Farei qualsiasi cosa per te, Emilia»
Le scosto i capelli dietro l’orecchio, soffermandosi con la mano in una lunga carezza che trovò la sua fine sulla nuca della ragazza, immersa nei suoi ricci.
Emilia aprì gli occhi, trovando quelli dolorosamente azzurri del cugino troppo vicini.
L’aria le mancava e il cuore correva come impazzito, ma sapeva che non era uno degli attacchi che tanto spesso la coglievano da bambina.
Era Martino, erano i suoi capelli quasi argentei sotto la luce della luna, erano i suoi occhi simili a pozze d’acqua cristallina che invitavano ad immergersi, ad annegarci dentro.
 
Reclinò la testa indietro, appoggiandosi a quella mano solida e forte che la stava avvicinando ancora, come se i pochi centimetri che li separavano fossero in realtà infiniti.
«Dimmi che non lo vuoi e io mi fermerò».
Emilia gemette, un morbido gemito di gola che si perse nel vento d’estate. L’ultima possibilità per tirarsi indietro, per non compiere quella pazzia che il destino sembrava spingerli a compiere a forza.
«Una tua parola e mi fermerò». Lo disse sussurrando sulla sua pelle, Emilia sentì le labbra muoversi, soffici, tra il mento e la bocca. Una tentazione tanto forte che poteva essere un sogno.
 
Si sentì mancare il fiato e lo stomaco fare una capriola. Aveva gli occhi socchiusi, non riusciva ad abbandonarsi al piacere che avrebbe provato, alla mano che la sorreggeva, alle labbra che la torturavano con lievi baci fatti cadere sempre più vicini alle labbra.
Una dolce tortura che avrebbe voluto non finisse mai e al contempo non fosse mai iniziata. Come avrebbe fatto a vivere dopo aver conosciuto il sapore della sua bocca?
«Martino», esalò. Preghiera e supplica.
«Emilia», rispose lui, la voce deliziosamente roca vicino all'orecchio le mandò brividi di piacere lungo la schiena, una bolla calda e liquida cresceva nelle sue membra. «Amore mio», ancora un sussurro, ancora labbra trascinate verso la bocca.
Ma Emilia era capitolata al suono del suo nome, si era arresa di fronte a quel sussurro così carico di desiderio. Schiuse le labbra protendendosi in avanti, e la stoffa della camicia di Martino era ruvida sotto le sue dita fredde e tremanti.
La bocca di Martino trovò piano la sua, incontrandola con delicatezza. Le succhiò brevemente il labbro inferiore, ad occhi chiusi, gemendo nel fondo della gola per la difficoltà a trattenersi.
Si staccò poggiando la fronte sulla sua. I respiri si incontravano, i cuori battevano allo stesso ritmo.
Ma era troppo rimanere separati. Le mani si fecero più audaci, scendendo ad accarezzarle la vita e i fianchi sopra quella camiciola troppo sottile che lo faceva tremare se solo compiva lo sbaglio di far vagare gli occhi troppo in basso. Emilia rispose aggrappandosi alle sue spalle, schiacciando il petto contro il suo alla ricerca del suo calore e troppo innocente per accorgersi dell'effetto che i suoi seni, premuti contro la sua camicia, producevano.
«Emilia», gemette sul suo collo. Ed era lui a supplicare, ora. A supplicarla di smettere di far  vagare le mani sul suo petto, sul suo addome, sulla sua schiena.
Le baciò il collo ancora e ancora, sospingendola all'indietro con tutta la delicatezza di cui era capace. Sentiva il desiderio di lei pulsare vivo tra le gambe, ma non l'avrebbe mai violata, mai profanata per soddisfare l'istinto di un momento.
Trovò ancora la sua bocca e si perse in lei, respirando come se fosse la prima volta. Non erano importanti i pantaloni bagnati di rugiada, probabilmente irrimediabilmente macchiati, il mondo si era fermato nel momento in cui il suo palmo segnato da anni di allenamento impugnando una spada aveva incontrato la pelle morbida e soffice delle cosce di sua cugina.
Aveva già toccato fugacemente una donna, ma Emilia – oh, Emilia era il miele più dolce che avesse mai assaggiato.
Emilia sospirò, una mano persa tra i capelli della sua nuca. Martino si fermò all'altezza del suo sterno, poteva sentire il cuore battere furioso sotto le sue labbra.
Chiuse gli occhi, poggiandole la fronte sul petto. Cercò di riprendere fiato, ma era difficile, così avvolto dal suo profumo. Come aveva fatto a non accorgersi che sua cugina non era più l'adolescente presa dai libri ma una donna dagli occhi troppo profondi?
Fece leva con gli avambracci per terra per poter osservarla in viso. Era così bella, con le labbra gonfie di baci e le guance arrossate dall'imbarazzo. E cos'era quel sentimento che brillava nei suoi occhi?
«Perdonami», si costrinse a dire, la voce che grattava le corde vocali asciutte. Ma di cosa di stava scusando?
Per essersi fermato?
Per non essersi fermato?
Per aver iniziato o non aver mai iniziato prima?
La mano di Emilia lasciò la sua schiena per portarla alla sua guancia, e Martino non poté fermarsi dal baciarle il palmo, dita calde e morbide contro la ruvidezza della sua barba fatta con disattenzione. La guardò dall'alto mentre il suo pollice continuava la lenta carezza soffermandosi sulle sue labbra per poi fermarsi sul collo.
«Dobbiamo rientrare», disse con voce tremante. Anche se le sue mani dicevano altro, anche se i suoi occhi sognavano di non dover mai tornare indietro, che quella notte fosse infinita.
Si alzò senza indugiare oltre, perché sapeva che se avesse esitato non avrebbe mai più smesso di accarezzarla e baciarla e stringerla. Le porse una mano per aiutarla e le baciò il dorso quando fu davanti. La guardò negli occhi mentre la sua bocca si soffermava sulla pelle quasi trasparente, cogliendo l'amore che aleggiava nelle sue iridi e il modo in cui si morse il labbro inferiore.
Si chinò a raccogliere la giacca e la poggiò di nuovo sulle sue spalle, indugiando più del dovuto sul suo collo. E lei lo guardava con i grandi occhi tondi, colmi d'emozione, in attesa di un suo gesto.
Martino sospirò e chiuse gli occhi chiari per obbligarsi a non annegare nelle onde di alabastro dei suoi capelli.
 
Le baciò le mani ancora una volta, davanti alla porta della sua camera.
Erano risaliti in silenzio, attraversando gli spazi non illuminati dalle candele senza paura, con la disinvoltura di chi compie quella piccola ribellione da anni. E traevano forza dalle mani intrecciate, strette come se fosse l'ultima volta.
Avevano riso, altre volte, quando rientrare la notte era un'avventura, il non essere scoperti li faceva ridere e soffocare i sorrisi sotto le mani a coprire la bocca.
Ma non c'erano sorrisi, quella sera. Solo quella stretta di mano angosciante, tanto forte da premere le ossa, tanto intensa da trasformarsi in un peso allo stomaco.
E le baciava le mani, Martino, nel tentativo di rimandare i loro saluti, nel tentativo di essere più veloce delle ore, più veloce della notte che si trascinava stanca verso il giorno.
Emilia aveva le mani fredde e le dita tremavano. Martino non si era mai accorto della forma perfetta delle sue unghie.
Non avrebbe mai voluto lasciarla andare, e forse era stato uno stupido, ad aspettare tanto a lungo. Ma una carezza con le labbra sulle sue nocche bianche non avrebbe supplito a tutte le attenzioni che non le aveva rivolto.
O che le aveva rivolto, sì, ma mai in modo tanto esplicito da rendere chiara la sua posizione, i suoi sentimenti.
«Buonanotte, Emilia», sussurrò ancora contro le sue mani, incapace di lasciarla andare.
Lei si liberò con grazia, scivolando via come acqua fra le mani. Non rispose, e Martino non vide mai la consapevolezza nascere nei suoi occhi.
Fra i due, era sempre stata lei la più adulta.
 
 
 
Ancora un'altra notte, ancora una luna piena.
Nella campagna piemontese sembrava sempre così grossa, così vicina.
L'avrebbe vista allo stesso modo anche dalla caserma francese?
Impossibile, non ci sarebbe stata lei.
E quella domanda fatta con tristezza, quasi disperazione — ma non rabbia, non poteva mai essere arrabbiata, lei — faceva male.
«Perché aspettare, perché non ora?»*
Era sciocco e masochista farla aspettare, soprattutto dopo il bacio della notte prima. Aveva sentito tutto il suo amore sulla pelle, tutto il desiderio dei suoi baci, era impossibile che gli credesse.
Eppure era stata lei, anni prima, ad incoraggiarlo.
Se Rivombrosa è il tuo sogno lotta per lei.*
Ed era quello che stava facendo, arruolandosi come soldato.
Non aveva messo in conto di sentirsi così diviso, devastato.
Perché se era vero che il suo sogno era la tenuta per la quale suo padre aveva dato la vita, era altrettanto vero che sognava di baciare sua cugina alla luce del sole, ogni volta che lo desiderasse, senza remore.
Magari con un anello al dito.
Come spiegarle, quindi, che se le avesse — se si fosse — concesso quella promessa non sarebbe più stato in grado di lasciarla? Come avrebbe potuto superare le lunghe notti invernali sapendola ad uno stato di distanza, separati da giorni di viaggio?
Era egoista, ma l'unico modo per sopravvivere.
Era passato solo un giorno, dal loro bacio, e non aveva fatto altro che pensare alle sue labbra. Era meglio così, dunque, rinunciare prima di iniziare.
Egoista, appunto, di nuovo. Ma era meglio saperla lì, al sicuro da se stesso e da quell'amore che gli corrodeva lo stomaco e il cuore.
Un bacio in fronte fu tutto ciò che si concesse. Perché era chiaro, a quel punto, che fosse lui ad essere in completa balia degli occhi di lei.
 
 
 
 
*frasi riprese dalla serie, potrebbero essere sbagliate, è da un po’ che non la riguardo.
 
NdA: ed ecco questa nuova storia! Emilia e Martino sono una coppia che doro alla follia, ho dovuto interrompere il capitolo perché mi stava prendendo troppo la mano e rischiava di diventare una storia a parte, troppo lunga.
 Mi sono resa conto che i miei aggiornamenti sono lunghissimi, ma ditemi voi: se vi fa piacere sarò più veloce (in soldoni, recensite per favoreee).
Un abbraccio e alla prossima,
Crudelia
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Le cose che hai detto piangendo ***


Le cose che hai detto mentre stavi piangendo
 
 
È l'incredulità che blocca le parole. Si ferma al centro della gola e fa bruciare la trachea.
Le frasi che vorrei dirti rimangono incastrate, ma in fondo so che nulla di quello che potrei dirti ti darebbe sollievo.
Cosa ne so io, ricca donna di campagna, del dolore che si prova quando la vita di uomo scivola via dalle mani senza che tutto l'impegno e la conoscenza possano fare nulla?
Niente, appunto. Perché io prego Dio e tu la scienza.
Ma siamo soli adesso, nudi delle nostre credenze e il tuo dolore invisibile e immenso.
«Non ce l'ho fatta», hai detto con voce strozzata, prima che le lacrime bagnassero i tuoi occhi e le tue guance.
Lacrime che le mie mani non possono scacciare, che i miei baci non possono asciugare.
«Non è colpa tua», ti sussurro sulla schiena stringendoti tra le braccia.
Ci penserò domani, a ricordarti che sei il medico migliore.
Ci penserò domani, a ricordarti che un'infezione, a quel livello, non poteva essere curata.
Adesso ci siamo solo io e te. Io e te e il tuo dolore, che provo a toglierti dalle spalle con la forza del mio amore.
 
 
 
 
Le cose che hai detto mentre io stavo piangendo
 
 
Mi fa male lo stomaco, e il cuore. Il cuore è strizzato in una morsa rovente che mai, mai era stata così terribile.
In tutti gli anni con Alvise, in tutti gli anni separata da Antonio.
Ma per lei, che avrei dato la vita, il mio cuore si spezza un po' di più.
Dovrebbe essere felice, ora.
Dovrebbe essere felicissima, domani.
Invece piange, convinta che io non sappia e troppo orgogliosa per confessare ciò che il suo cuore desidera.
So cosa significa sposare un uomo che non si ama, e vorrei che mia figlia non provasse questo tormento. Ma cosa posso fare, io, se questa è stata la sua scelta?
«Non ce l'ho fatta», sussurro con le spalle appoggiate alla porta della nostra camera, mentre le lacrime che sento premere dietro le palpebre finalmente rotolano sulle guance.
Non ce l'ho fatta a spiegarle che il dovere non è tutto, a volte.
Non ce l'ho fatta ad insegnarle che per l'amore bisogna lottare, se necessario.
Non ce l'ho fatta a dissuaderla da un matrimonio che sarà una disfatta, e lo sappiamo entrambe.
Non ce l'ho fatta ad impedirle di compiere i miei stessi errori.
«Non è colpa tua», bisbigli sui miei capelli circondandomi con le braccia.
E sul tuo petto posso lasciarmi andare, affondare le unghie nella tua schiena e permettere al mio dolore di fluire libero.
Sono stata una madre sola per troppi anni, con te al mio fianco posso condividere anche questo.
 
 
 
 
NdA: è la prima volta in assoluto che scrivo in prima persona, e devo dire che ancora sono convinta di preferire la terza, o la seconda. In ogni caso questa scelta è fatta per evidenziare la differenza tra "mentre stavi piangendo" e "mentre io stavo piangendo".
La prima scena è ambientata in un momento imprecisato durante o dopo la seconda stagione, quando Anna e Antonio sono una coppia fissa. La seconda è ambientata prima del matrimonio di Emilia: non sappiamo nella serie se Anna e Antonio sono ancora vivi, viene solo detto che Elisa è morta quando Agnese era ancora una bambina. Quindi ho fatto questa scelta, immaginando che Anna capisse fin troppo bene la figlia, ma non potesse fare nulla per aiutarla.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un abbraccio,
Crudelia

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Capitolo 6
*** Le cose che non hai detto affatto ***


Note: è passato decisamente troppo tempo dall'ultimo aggiornamento, e sono imperdonabile. Per farmi perdonare tre prompt al prezzo di uno, angst, ovviamente.
 Come sempre ogni parere è sempre più che gradito, o anche, se voleste, qualche suggerimento o richiesta per il futuro.
Un abbraccio,
Crudelia
 
 
 
Le cose che hai detto quando non c’era spazio fra noi due  
 
Martino ha sedici anni quando vede sua cugina per la prima volta, quando la vede sul serio. 
Non ha ancora perso del tutto l'interesse per le faccende che Elisa chiama, prendendolo bonariamente in giro, "affari per farsi uomo", ma sta iniziando finalmente a capire che c'è di più. Di più oltre alla tenuta, l'allenamento con la spada, qualcosa oltre i doveri e l'onore che vanno di pari passo con l'affetto per sua sorella ed Elisa, che è sua madre in tutto ciò che conta. 
Emilia è quel qualcosa di più, e lo capisce così all'improvviso che la rivelazione cade piatta nel caldo pomeriggio estivo. 
Lei se ne sta seduta lì, sulla panchina sotto l'albero, a leggere uno di quei romanzi che la zia guarda sempre con una punta di disapprovazione ma non le impedisce mai di esplorare. Ha i capelli raccolti in una lunga ciocca poggiata sulla spalla e il sole le bagna la pelle bianca facendola splendere. È bella in un modo semplice e puro che lo colpisce vicino al cuore. 
Martino si ferma a metà di un passo, indeciso tra il proseguire e rimanere immobile a guardarla, fermo a metà sulla strada tra l'essere un uomo o un ragazzo, fermo a metà tra il desiderio di baciarle la mano come una nobildonna o tirarle la gonna come un bambino dispettoso. 
Emette un verso di gola, Emilia alza lo sguardo e lo stomaco gli precipita sotto i piedi.  
Martino capisce in quell'istante cos'è il qualcosa di più che stava cercando. Lo trova negli occhi grandi di sua cugina, nel modo in cui il suo mondo si infrange quando incontra gli angoli sollevati in un sorriso della sua bocca. 
Si siede sulla panchina al suo fianco con meno grazia di quanta vorrebbe, ma è forse colpa sua se gli tremano le ginocchia? 
Emilia è così vicina che attraverso le gonne sente la morbidezza della sua coscia, e quasi gli scappa un altro gemito. Profuma di lavanda, l'odore è così intenso che quasi gli inebria la mente. Si deve appoggiare pesantemente allo schienale della panchina: sta sudando sotto la camicia, il colletto lo sta soffocando e nella sua pancia continuano a succedere cose strane, come se tutti i suoi organi avessero deciso di ballare e ballare e ballare. 
Emilia chiude il libro con delicatezza e Martino si trova affascinato dalle sue mani. 
«Martino, che succede?», chiede lei, e la piega di preoccupazione tra le sue sopracciglia è adorabile. 
Succede che ho capito che sei il di più, pensa. La sua bocca quasi lo tradisce aprendosi di volontà propria. 
Invece Martino non si arrende, non a parole ma con il corpo, e preme la sua gamba con forza contro quella di lei.  
«Niente», si limita a rispondere, ma fra loro non c'è spazio.  
 
 
 
  Le cose che hai detto quando c’erano troppi chilometri fra noi due
 
«Allora, che ne pensi?», chiede lei prendendolo sottobraccio. 
Martino spia il mezzo sorriso che le illumina il volto e si sente morire un po' di più. 
Penso che non sia l'uomo giusto per te, pensa. Ma anche così sa di mentire a se stesso, ciò che pensa è che lei dovrebbe sposare lui
«L'ho conosciuto appena», non si sbilancia. 
Lei fa una risatina, colpendogli leggermente la spalla con la propria — Martino si chiede se l'ha sentito anche lei, il suo cuore che si crepa. 
«Attento, Martino, sembra che tu stia parlando pensando che io non ti conosca», lo redarguisce. 
«Forse è così», sospira amareggiato, non può impedirselo. «Io in Francia, tu a Firenze. Chi può dire che ci conosciamo ancora con così tanti chilometri fra di noi?». 
Lei si ferma e lo costringe a fare altrettanto. Non sorride più adesso. 
«Non mi sono ancora trasferita». Come se fosse quello, il problema. 
«Lo farai stanotte, che differenza fa?». 
Emilia lascia il suo braccio e fa un passo indietro, come scottata. È ferita dalle sue parole, Martino lo legge nei suoi occhi — ma che diritto ha, lei, di sentirsi ferita quando è stata la prima a spezzargli il cuore? 
«Fulvio mi ama e io sosterrò il suo lavoro, che sia a Firenze o dall'altra parte del mondo», lo sfida. 
Alza il mento, orgogliosa, e Martino si chiede se lei sappia l'effetto che gli fa, se lei sappia quanto sarebbe facile baciarla, in quel modo. 
«Ma certo», asserisce, sarcastico. O forse disgustato. Da lei o da se stesso o da qull'omuncolo del suo futuro marito non sa dirlo. 
«Sei ingiusto e dovresti essere felice per me». Vorrebbe essere arrabbiata, lo sa, ma la voce le esce spezzata e lei sussulta. 
Si volta e fa appena due passi prima che lui la fermi afferrandola per un polso. La presa è morbida e delicata e lei potrebbe liberarsene senza fatica, ma non lo fa. 
«Cosa?», chiede, e questa volta c'è rabbia e orgoglio e Martino non può fare a meno di ricordare sua zia, e il modo in cui ha sempre rimesso al posto giusto chiunque avesse osato parlarle con meno che deferenza. 
Eppure Martino si perde nei suoi occhi e le parole gli restano incastrate in gola. 
«Niente», sussurra. 
Emilia lo lascia e si allontana e Martino la guarda mentre aumenta la distanza fra loro. Sono pochi passi, quel pomeriggio, diventeranno un matrimonio il giorno dopo e la notte, quando un altro uomo la farà sua. E prima che il sole tramonti due volte lei sarà a Firenze e fra loro ci saranno chilometri.  
 
 
 
 Le cose che non hai detto affatto
 
Non riesce a smettere di pensare a lei sotto il suo stesso tetto — dorme con suo marito? si chiede.  
È un pensiero stupido ed inutile, soprattutto perché gli fa male il petto ogni volta che ci si sofferma, ma non può evitarlo. Forse perché è leggermente brillo e l'unica cosa sensata da fare sarebbe ritirarsi nella sua stanza e sperare di non svegliarsi con il mal di testa la mattina dopo. 
Eppure sta lì, seduto sulla poltrona migliore della biblioteca a contemplare neanche lui sa bene che cosa. Il fuoco non è mai stato acceso e Dorina è passata tempo prima a spegnere le candele. Martino se n'è tenuta una affianco per fingere di leggere, ora è quasi del tutto consumata, simbolo della notte che avanza.  
Il libro se ne sta abbandonato sul tavolino vicino con le pagine all'ingiù, anche lui sembra arreso. Il titolo è una scritta in latino che si è sbiadita nel tempo e non ricorda neanche l'argomento, potrebbe essere una commedia quanto un trattato di economia. 
Sta accarezzando un angolo consunto sulla copertina quando con la coda dell'occhio vede un movimento alla porta. Per un attimo pensa che sia troppo ubriaco e se la stia immaginando, ma quando strizza gli occhi lei è ancora lì e la luce della candela che tiene in mano tremola e ondeggia in un modo troppo realistico per essere un sogno. 
«Pensavo avessero dimenticato una candela», si giustifica, stringendosi nello scialle. 
Martino vorrebbe rispondere, invece gli occhi gli scivolano lungo il corpo. 
Non la vedeva dal suo matrimonio, una circostanza che continua a ricordare come infelice, finché non si è presentata quella sera e si sono abbracciati e lui l'ha dovuta guardare durante tutta la cena mentre parlava della sua vita e sorrideva e toccava fugacemente il braccio del marito per attirare la sua attenzione. 
Per Martino è tutto troppo, troppo, troppo. Sente il desiderio di prendere a pugni Fulvio e baciare Emilia fino a toglierle il fiato — come può continuare a vivere senza conoscere il sapore delle sue labbra?
«Non volevo disturbarti, prenderò solo un libro», dice Emilia e lui ritorna al momento presente e alla visione di sua cugina in camicia da notte e capelli sciolti. 
Ha la gola secca, lo stomaco stretto e il cuore impazzito. 
«Non mi disturbi mai», gli scappa dalla bocca. Emilia esita a metà di un passo, ma si riprende e si avvicina agli scaffali. 
Se ancora nutre dei dubbi, Martino capisce in quel momento che non è un'allucinazione. Nei suoi sogni, lei si arrenderebbe alle sue parole e scapperebbero lontano, loro due soli. 
Sogni, appunto. 
Le dita sottili di Emilia corrono lungo le costole dei libri. Sembra un gesto casuale, ma Martino sa che libro sta cercando, lo sa con la stessa dolorosa chiarezza con cui sa che lei non è sua.  
«Ho sempre amato questo posto», confessa la donna in un mezzo sussurro. 
A Martino tornano in mente tutte le volte in cui sua zia li ha trovati lì dentro, Emilia che leggeva ad alta voce un nuovo libro e lui che la ascoltava rapito, attratto più dal suono della sua voce che dal racconto — adesso si chiede se sua zia non avesse sospettato qualcosa, se il collegio francese non fosse stato scelto solo per l'istruzione di Emilia ma per tenerla lontana da lui. 
Forse ha bevuto troppo, o forse non abbastanza. 
Quando Emilia sfila il sottile libricino azzurro il suo cuore salta un battito e poi ne recupera due in rapida sequenza. Non ha ricordi felici di quel periodo, se non lei. Non era forse fuggito dalle grinfie di quella marchesa per andarla a trovare? 
Già allora avrebbe dovuto capirlo, che l'amava.  
«Trovato, torno nella mia stanza. Buonanotte». 
Ha i piedi nudi, si accorge. Dio, come può pensare di presentarsi davanti a lui in quel modo e pensare che la sua immagine non lo tormenterà per il resto dei suoi giorni? 
«Emilia», la richiama, anche se lei è già alla porta.  
Si accorge che è appena la seconda volta che apre bocca da quando lei è apparsa, non è stato in grado di fare altro che seguirla con lo sguardo. 
Si alza dalla poltrona su gambe sorprendentemente ferme e la raggiunge in due rapidi passi. La candela fa risplendere i suoi occhi grandi di una luce calda e ambrata. Vorrebbe annegarci dentro, guardarli da più vicino, più vicino, più vicino... 
Sente il suo respiro sulle labbra, affannoso — sente anche lei lo stesso desiderio bruciante di scomparire nelle braccia dell'altro. 
«Emilia», dice ancora. Ma è una supplica, se ne accorge da solo. 
«Sì?», gli respira sulla bocca. E forse lei vorrebbe solo che lui si dimostrasse abbastanza audace, che fosse abbastanza coraggioso da chiederle di lasciare tutto e tutti e fuggire con lui. Forse lei lo farebbe, se lui glielo chiedesse. Come lui farebbe ogni cosa se fosse lei a porgere la domanda. 
Metterebbe il mondo ai suoi piedi, se potesse. Le metterebbe la luna tra le mani se avesse la certezza che il loro amore potrebbe essere abbastanza da abbattere le convenzioni sociali e le regole della nobiltà e i giudizi dei popolani. 
Gli piace pensare che la storia di suo padre e di Elisa gli abbia insegnato qualcosa, ma una parte di lui sa che non farebbe mai un gesto tanto eclatante — non esporrà mai Emilia alla condanna pubblica, alla ghignante accusa che sia una donna di facili costumi per abbandonare il marito e fuggire con un altro uomo. 
Una ciocca di capelli nerissimi le sfiora la guancia. Martino la sposta con quanta più tenerezza possibile, sperando che lei colga le scuse non dette nella carezza goffa delle sue dita grandi e callose. 
«Niente», dice infine, anche se la voce gli esce roca e spezzata. 
Lei chiude gli occhi. Chiude il sipario sul loro momento e chiude l'anima ai sentimenti. 
È sempre stata più forte di lui, Emilia. Sempre più capace a tenersi sul lato giusto della linea. 
Mentre lei gli scivola dalle braccia anche Martino chiude gli occhi, e già si pente di ciò che non ha detto. 
 

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Capitolo 7
*** Le cose che hai detto all'una di notte ***


Le cose che hai detto all'una di notte



«Lo sai che puoi rimanere», dice. E lui la ignora, come sempre.
Anna è combattuta tra il divertimento e la tristezza: la lascia sola ogni volta, come se ormai non lo sapessero tutti che lui è suo, che il loro rapporto si è spinto oltre l'innocenza, che non c'è nulla che lui possa fare per farle recuperare la reputazione persa.
Antonio non la guarda, ma si infila con gesti goffi la camicia nei pantaloni. Prova a legare i lacci e fa un pessimo risultato.
Questa volta Anna sorride davvero. È incredibile pensare che un uomo così intelligente non riesca a legarsi i lacci di lino nel modo giusto al primo tentativo.
«Io sono più brava», ridacchia ed è ricompensata da uno sguardo di rimprovero di Antonio, tutto sopracciglia corrugate e occhi blu.
« Potresti aiutare allora», sbuffa burbero, legandosi i capelli e recuperando la giacca che è finita sul tappeto.
Anna si stira esageratamente sulle lenzuola e geme di disappunto. Lo sguardo di Antonio le finisce addosso e lei si sente calda dappertutto. Inarca la schiena un po' di più e allunga bene le gambe.
Gli occhi di Antonio diventano più scuri, ma poi si distolgono.
«Potresti rimanere con me», afferma seria, abbandonando il gioco. Potrebbe alzarsi e parlarne, ma vuole farne un atto di principio e rimane nuda sulle coperte, con le pelle coperta di brividi e dei segni della sua bocca.
«Ne abbiamo già parlato», risponde Antonio, seduto sul bordo del letto a infilarsi gli stivali.
Anna attira la sua attenzione toccandogli la coscia con il piede. «Non devi dare adito alle chiacchiere della marchesa di Roncaglio».
Antonio arrossisce e Anna sa di aver centrato il punto, ancora. «Non mi interessa cosa pensano gli altri», insiste.
Antonio continua a non guardarla, ma le stringe delicatamente la caviglia tra le dita. «Devo visitare i miei pazienti», bisbiglia, ma non la lascia andare. Le sue dita le scaldano la pelle con qualcosa di più del semplice calore umano. Non vuole andare, lo sanno entrambi. Diventa ogni volta più difficile separarsi dopo una notte d'amore. Anna lo sa che i suoi baci si fanno sempre più disperati, che stringe le sue spalle affondandoci le unghie, che si abbandona all'amplesso fin quasi alle lacrime, ma ogni volta che lo vede andar via il suo cuore si stringe nel timore che possa essere l'ultima.
Antonio le sta accarezzando la pelle con la punta delle dita, ora, ma Anna non dice nulla. Sta iniziando a sentire la gola stretta, ma c'è un limite a quanto sia disposta implorare, a quanto sia disposta a lottare per mettersi, se non prima, allo stesso piano del suo lavoro.
Antonio lo sa e la sua mano si ferma sul ginocchio. È un limite, fisico ed emotivo: potrebbe ritrarsi e andarsene e continuare a fingere che la loro sia una relazione in sordina oppure avanzare, arrendersi al suo corpo e amarla di nuovo. E questa volta rimanere davvero, svegliarsi bagnati dal sole e guardarsi con gli occhi piccoli e luminosi.
Anna lo guarda negli occhi e aspetta, ma anche questa volta non cambia nulla. Antonio se ne va e lei rimane nuda e al freddo in un letto che sa di lui.
 
 
La sera è fresca ma pesante, la notte ha piovuto, ma non è sufficiente a scacciare l'estate e il caldo del pomeriggio.
Antonio torna alla casa sul lago e si meraviglia sempre del colore che il sole morente dipinge sull'acqua. Vorrebbe che Anna fosse con lui a vederli, ma Anna è a Torino, a Palazzo Radicati. Se l'immagina seduta su uno dei bassi divanetti, circondata dalla luce arancione, mentre si dedica ad una delle sue attività serali. Forse sta ricamando, forse sta leggendo un libro. Forse si sta occupando della sua corrispondenza, magari sta scrivendo a lui.
Amtonio scuote la testa: sa che sono solo desideri, i suoi. Anna si dedica alla corrispondenza al mattino, ed è piuttosto certo che non riceverà sue lettere per un po'. Finché non sarà lui a tornare da lei, almeno.
Vorrebbe non conoscerla così bene da saperlo, vorrebbe odiare quel suo orgoglio che invece gliela rende solo più cara. Vorrebbe anche avere la forza di resisterle, invece si trova a desiderarla come un malato desidera la sua malattia. È quasi malato, il modo in cui non riesce a starle lontano. Si sente ridicolo, a volte, ma se c'è lei non riesce a toglierle gli occhi di dosso, non riesce a non pensare alle sue labbra, alla grandezza dei suoi occhi, al sapore preciso della sua bocca e all'odore segreto del suo corpo. Non riesce a non adorare il modo in cui stringe le labbra quando si arrabbia, come muove le mani quando si innervosisce, come sorride quando è felice.
Si sente perso senza di lei.
Esita sulla soglia. Potrebbe sellare un cavallo e arriverebbe ancora a Torino prima che la notte sia troppo inoltrata. Potrebbe ancora andare da lei e presentarsi sporco e infangato a rovinarle i tappeti.  Lei lo ignorerà o gli manderà uno di quegli sguardi di dolce rimprovero che lo fanno sciogliere, gli sorriderà o gli parlerà con lo stesso sdegno che gli ha riservato per anni.
Non può saperlo, è sempre un tiro di dadi, con la sua Anna.
La sua ombra si allunga oltre la soglia, il sole va a dormire e l'aria si raffredda. Antonio chiude la porta ed entra in casa, la cena è fredda sul tavolo di legno duro, i brividi impietosi sulla sua pelle.





Note
Finferò che non siano secoli che non aggiorno, ma no, non sono morta. La vita vera è solo molto faticosa e impegnativa. venendo a noi: odio la seconda stagione e per me non esiste, ma vogliamo davvero dimenticare che Antonio è stato l'amante di Anna? No, non vogliamo, quindi eccoci qui.

Se qualcuno ancora legge e vuole darmi il suo parere è sempre gradito. Vi leggo sempre.
Un abbraccio,
Crudelia

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