Finché morte non ci separi

di Demy77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** cap. 1 ***
Capitolo 2: *** cap.2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***
Capitolo 4: *** cap. 4 ***
Capitolo 5: *** cap. 5 ***
Capitolo 6: *** cap. 6 ***
Capitolo 7: *** cap.9 ***
Capitolo 8: *** cap. 7 ***
Capitolo 9: *** cap.8 ***
Capitolo 10: *** cap. 10 ***
Capitolo 11: *** cap. 11 ***
Capitolo 12: *** cap. 12 ***
Capitolo 13: *** cap 13 ***
Capitolo 14: *** cap. 14 ***
Capitolo 15: *** cap. 15 ***
Capitolo 16: *** cap. 16 ***
Capitolo 17: *** cap. 17 ***
Capitolo 18: *** cap. 18 ***
Capitolo 19: *** cap. 19 ***
Capitolo 20: *** cap. 20 ***
Capitolo 21: *** cap. 21 ***
Capitolo 22: *** cap. 22 ***
Capitolo 23: *** cap. 23 ***
Capitolo 24: *** cap. 24 ***
Capitolo 25: *** cap. 25 ***
Capitolo 26: *** cap. 26 ***
Capitolo 27: *** cap. 27 ***
Capitolo 28: *** cap. 28 ***
Capitolo 29: *** cap. 29 ***
Capitolo 30: *** cap. 30 ***
Capitolo 31: *** cap. 31 ***
Capitolo 32: *** cap.32 ***
Capitolo 33: *** cap. 33 ***
Capitolo 34: *** cap.34 ***
Capitolo 35: *** cap 35 ***
Capitolo 36: *** cap. 36 ***
Capitolo 37: *** cap. 37 ***
Capitolo 38: *** cap. 38 ***
Capitolo 39: *** cap. 39 ***
Capitolo 40: *** cap. 40 ***



Capitolo 1
*** cap. 1 ***


In un nebbioso pomeriggio di fine ottobre, in una dimora un tempo fastosa ma ora in decadenza, due uomini discutevano del futuro dei loro figli sorseggiando un bicchierino di porto.
Joshua Poldark aveva quasi sessant’anni, era di media statura e di corporatura leggermente tarchiata, con i capelli grigi e mossi e due occhi scuri e penetranti. Era stato un bell’uomo in gioventù ed aveva infranto parecchi cuori, fino a quando aveva sposato Grace Vennor. Il loro matrimonio, allietato dalla nascita di due figli maschi, era stato molto felice, ma poi le disgrazie si erano abbattute su quella famiglia; prima era morta Grace e l’anno dopo anche il piccolo Claude, il figlio minore. Da quel momento Joshua era cambiato: inaridito dal dolore, aveva trascurato persino i suoi affari ed aveva trascinato le sue giornate tra bettole e postriboli, cercando invano, in mille donne diverse, ciò che la sua amata sposa non poteva più dargli.
Jonathan Chynoweth, il padrone di casa, era invece magro e allampanato, con i capelli color rame radi e sottilissimi, tanto da sembrare quasi calvo. Proveniva da una famiglia ricca, ma alcuni investimenti sbagliati lo avevano condotto sull’orlo della bancarotta. Sia lui che sua moglie erano consapevoli che la speranza di risollevare le proprie sorti economiche era legata alla prospettiva di maritare la loro unica figlia, Elizabeth, ad un giovane danaroso che fosse disposto ad accontentarsi delle uniche ricchezze che la fanciulla poteva portare in dote: un cognome prestigioso ed una bellezza notevole.
La ragione per cui Joshua aveva chiesto all’altro di riceverlo era proprio quella. Il figlio ventitreenne di Joshua, Ross, aveva combattuto per tre anni in Virginia con l’esercito inglese e gli aveva comunicato per lettera che sarebbe presto tornato a casa. Non erano mai andati troppo d’accordo, padre e figlio: Ross era caparbio e taciturno e Joshua, perso nel rimpianto della sua Grace, sentiva di avergli fatto spesso mancare la sua presenza ed il suo affetto. Aveva rispettato la sua scelta di arruolarsi, pensando che forse sarebbe stato il male minore, dato che il giovane si mostrava spesso insofferente alle regole e sembrava non aver ancora trovato il suo posto nel mondo; eppure sentiva ora di dover rimediare, riprendere a fare il padre e dare a quel ragazzo i giusti consigli, affinchè non perdesse la rotta come era capitato a lui. Rifacendosi alla sua esperienza personale, pensava che non vi fosse scelta migliore di un matrimonio per mettere definitivamente la testa a posto.
“In tutte le sue lettere Ross non faceva che chiedere di vostra figlia. Per quanto ho intuito, tra i due giovani non c’è stata alcuna promessa formale, ma si è creata, come dire… un’intesa speciale. Desidero che Ross si sposi, ed il fatto che il suo interesse vada già in una direzione ben precisa non può che rendermi felice. Io mi sono sposato per amore, e credo che l’amore sia una base di partenza ottima per un matrimonio riuscito.”
“Mi stupisce che siate venuto voi a parlarmene, senza aspettare il ritorno di vostro figlio… Non credo che possiamo stabilire nulla senza di lui” – rispose Jonathan, che non aveva nessuna intenzione di impegnare la sua parola senza avere qualche dato concreto da valutare.
“La ragione per cui ho anticipato la mia visita – spiegò Joshua – è molto semplice. Se Ross si sposa, è ovvio che dovrà stabilirsi con sua moglie a Nampara. Ebbene, la nostra tenuta necessita di alcuni interventi che ho sempre rimandato; capite bene che quando il ragazzo sarà qui sarà impaziente di sposarsi, e per questi lavori di ampliamento, con l’inverno che si approssima, ci vorranno almeno sei mesi ….dunque prima si comincia, meglio è.”
“Capisco, capisco – tagliò corto Jonathan, divenuto improvvisamente impaziente di udire cosa l’altro avesse da dirgli – allora ditemi, quali sono le prospettive di vostro figlio? Proseguirà la carriera militare?”
“No, no – lo contraddisse Joshua – Ross ha ottenuto il titolo di capitano per meriti conseguiti in battaglia, ma quella carriera non gli interessa affatto. Come voi ben sapete, la nostra è una famiglia perbene, almeno da un secolo si annovera un Poldark tra i magistrati o i governatori della contea… Ross è un gentiluomo rispettabile, con una discreta posizione… tra i nostri possedimenti, oltre alla fattoria e alla casa di Nampara, abbiamo tutte le terre che la circondano ed è nostra la collina che degrada fino a Hendrawna Beach. Possediamo poi una decina di cottage, sei dei quali già affittati; un altro sarà a breve occupato da un commilitone di Ross, un medico che, a quanto Ross mi ha scritto, partirà con lui ed intende stabilirsi qui in Cornovaglia… anche quella è una rendita importante, sapete. In più sono di mia proprietà due miniere, la Wheal Grace e la Wheal Leisure”.
“A quanto ne so io, nessuna delle due miniere è attiva ed i vostri affittuari sono minatori, il cui reddito dipende dalla fortuna delle estrazioni” – lo freddò Chynoweth.
“Le miniere non sono esaurite e possono essere riattivate già da domani, volendo, con un po’ di finanza fresca. I Martin, i Carter, i Daniels, gli Henshawe e gli altri miei affittuari non hanno mai mancato di versare una sola mensilità, e si tratta di una rendita rimarchevole, considerata complessivamente. E poi la terra, quella non tradisce mai.” – aggiunse Joshua, un po’ seccato di veder così sminuire le proprie sostanze.  
“Voglio essere franco con voi, Poldark. La terra che circonda Cusgarne ci dà appena di che vivere. Elizabeth ha una dote molto modesta. La casa in cui ci troviamo era ipotecata, l’ho dovuta vendere ai miei fratelli per pagare i debiti con le banche. Essi mi hanno consentito di continuare a viverci versando un canone di affitto di favore, altrimenti sarebbe stato al di là delle mie possibilità. Il tetto necessita di manutenzione, le finestre al piano superiore lasciano passare gli spifferi…. Con tutto il rispetto per l’amore, esso non dà da campare. Io e mia moglie preferiremmo per Elizabeth un marito con una posizione già affermata e più solida... voi capite…”
Joshua giocò la sua ultima carta. “Mio figlio è uno che sa lavorare sodo, ve lo assicuro. Si rimboccherà le maniche pur di non far mancare niente a vostra figlia. Quanto al resto, non dovete affatto preoccuparvi per la dote. Sono certo che Ross sposerebbe Elizabeth anche se non possedesse nulla oltre se stessa.”
Jonathan fece una smorfia. Da quel che affermava suo padre, quel Ross doveva essere davvero innamorato di sua figlia; con i tempi che correvano, giovani dal discreto lignaggio disposti ad accettare una fanciulla senza dote non erano numerosi; rispose dunque che prima di assumere qualsiasi impegno formale voleva discutere della faccenda con sua moglie e sua figlia; intanto, dovette giurare sul suo onore che non avrebbe preso accordi con nessun altro partito, prima che Ross fosse tornato.
Una settimana esatta dopo quell’ incontro Joshua tornò a Cusgarne, e non da solo: Ross, ancora con la divisa d’ordinanza indosso – non aveva voluto neppure passare da casa a cambiarsi, una volta sceso dalla diligenza che lo aveva riportato da Londra a Sawle – era ansioso di rivedere Elizabeth. Non lo aveva confessato apertamente a suo padre, ma durante quei tre anni erano stati il pensiero di lei e quella promessa di ritornare sano e salvo a dargli la forza per superare i patimenti della guerra. L’anellino d’argento che le aveva sfilato come pegno d’amore l’ultima volta che si erano visti era sempre stato al suo mignolo, anche quando imbracciava il fucile e faceva strage dei nemici. 
Appena lo vide arrivare, le gote di Elizabeth divennero dello stesso colore dell’abito porpora che quel giorno indossava.
Mentre i loro padri si ritiravano in salotto a discutere Ross avrebbe voluto abbracciarla, ma lo trattenne la presenza della madre di Elizabeth. Era una donna severa e, a differenza del marito, non aveva accolto di buon grado quella proposta di matrimonio. Pensava che sua figlia meritasse di meglio di quel giovanotto, che era sì di buona famiglia, ma aveva fama di idealista e di attaccabrighe. Si era ammorbidita solo a fronte delle preghiere e delle lacrime della figlia, che giurava e spergiurava che se non fosse stato Ross Poldark non avrebbe sposato nessun altro; in ogni caso, altri pretendenti non si erano fatti avanti ed il patrimonio dei Poldark non era poi così da disprezzare.
La signora Chynoweth stava dunque in mezzo a loro impalata come una statua; accennò un sorriso di circostanza appena Ross la salutò con un inchino e non potè fare a meno di notare che il ragazzo con altrettanta formale galanteria omaggiava Elizabeth, la quale rispose al saluto con un semplice cenno del capo, da fanciulla bene educata. Sorrise compiaciuta, perché aveva sempre insegnato a sua figlia che la forma era tutto e che non era ammissibile mostrare in pubblico le proprie emozioni; forse però la palpabile tensione tra i due giovani dovette commuoverla un po’, perché, con la scusa di sollecitare la domestica affinché servisse il tè, si allontanò per un attimo, lasciandoli soli.
Fu allora che Ross prese le mani di Elizabeth e gliele baciò con ardore.
“Ti ho aspettato tanto, Ross…” - mormorò la ragazza, mentre una lacrima furtiva le imperlava le lunghe ciglia.
“Quanto mi sei mancata, amore mio… non c’è stato attimo che non abbia pensato a te, mentre ero in Virginia! – replicò lui, senza staccare un attimo gli occhi da quelli di lei – sei ancora più bella di quanto ricordassi…”
Lei rise civettuola. “Anche tu” – rispose maliziosa.
“Nonostante questa?” – chiese lui, sfiorando con l’indice la cicatrice che dal margine dell’occhio sinistro scendeva giù, fin sotto lo zigomo.
“Cosa vuoi che mi importi di quel segno, Ross! Certo, mi addolora pensare a quello che hai dovuto sopportare, ai pericoli che hai corso in guerra, ma sono così felice che tu sia qui e non mi abbia dimenticato, che tutto il resto passa in secondo piano…”
“Non avrei mai potuto dimenticarti… se sono vivo è solo grazie a te ” – disse lui indicando l’anello che portava al dito.
“Ce l’hai ancora…”
“Non l’ho tolto neanche per un istante”- le bisbigliò, visto che la signora Chynoweth era nuovamente nelle vicinanze.
Quando rientrarono a Nampara quella sera, nessuno avrebbe potuto essere più felice di Ross. Durante la visita a Cusgarne, le due famiglie avevano raggiunto l’accordo ed era stata stabilita la data delle nozze:  Elizabeth e Ross si sarebbero sposati il prossimo 9 maggio, nella chiesetta di Sawle.

 

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Capitolo 2
*** cap.2 ***


Il giorno del matrimonio fece seguito ad un periodo estremamente convulso. Le cose da fare erano state tante: Nampara era stata ristrutturata per creare, di fianco alla biblioteca, un’ala laterale che potesse ospitare la giovane coppia una volta sposata; Ross aveva deciso che il suo futuro era nell’attività estrattiva e aveva lavorato sodo per far riaprire la Wheal Leisure, quella, tra le due miniere di proprietà del padre, che gli sembrava la più promettente. Non disponendo di sufficienti fondi aveva dovuto creare una società: suo padre possedeva il 50% delle quote in quanto proprietario del suolo, il restante 50% era suddiviso tra il capitano Henshawe (un affittuario di Joshua che era esperto nel settore, avendo diretto una miniera che da poco aveva chiuso i battenti); John Treneglos, figlio di un vecchio amico di Joshua e loro confinante; il dottor Choake, lo storico medico del luogo;  il banchiere Harris Pascoe e il suo socio Nat Pearce.  Tutti costoro avevano fornito del capitale grazie al quale, fin da metà gennaio, la Leisure era stata riaperta ed erano stati assunti, per cominciare, una decina di minatori. Erano state fatte delle esplosioni ma per il momento, in quei primi mesi di attività, non c’erano stati risultati particolarmente incoraggianti. Il capitano Henshawe aveva esaminato alcuni campioni estratti, ma se vi erano tracce di stagno erano davvero infinitesimali. L’unica speranza era raggiungere un livello ancora inferiore, ma ciò significava nuovi investimenti per acquistare la dinamite, senza la certezza di utili da distribuire ai soci.
Nonostante tutto, Ross era ottimista. Si reputava fortunato ad avere ottenuto la mano di Elizabeth e sentiva che la fortuna non lo avrebbe abbandonato. Per il momento, in attesa di miglior sorte nelle estrazioni, aveva acquistato un bue con il quale aveva fatto arare tutta la terra circostante Nampara. Oltre ai Paynter, Prudie e suo marito Jud, storici servitori della famiglia Poldark, aveva assunto il figlio dei Carter, Jim, affinchè desse una mano a Jud con la fattoria. Sebbene infatti fosse Joshua il padrone di tutto, suo padre non aveva mai avuto fiuto per gli affari e l’intraprendenza e la forza di volontà di Ross lo avevano convinto che era preferibile che cominciasse fin da subito a gestirli lui, senza dover aspettare di conseguire la sua eredità.
Durante quei mesi aveva incontrato Elizabeth almeno una volta alla settimana, sempre a Cusgarne. Era raro che la signora Chynoweth li lasciasse da soli, e la maggior parte delle volte si discuteva dei preparativi delle nozze, della modista, delle stoffe ordinate, dell’abito che ancora non era pronto, degli invitati al ricevimento che avevano confermato o meno la loro partecipazione. La preoccupazione maggiore della madre di Elizabeth sembrava essere la perfetta riuscita dell’evento.
La signora si era anche informata in merito ai lavori di ristrutturazione di Nampara e Ross ne aveva esaltato la riuscita, spiegando che grazie al lavoro duro di alcuni dei suoi più cari amici di infanzia, ora suoi affittuari – i fratelli Mark e Paul Daniels e Zacky Martin – era stato possibile edificare quella zona della casa in pochissimo tempo. Una mattina Ross, Elizabeth e sua madre erano andati a Truro per scegliere i mobili della camera da letto ed Elizabeth era impazzita per una deliziosa toilette con specchiera in legno, una spesa che Ross non aveva preventivato ma non si era sentito di negarle, visto il suo entusiasmo.
In alcune occasioni Ross aveva accennato di sfuggita ai suoi progetti nella miniera, ma le due donne si erano mostrate piuttosto annoiate dei particolari tecnici ed avevano affermato che si trattava di faccende da uomini, non abbastanza interessanti da farne argomento di conversazione in un salotto.
Ross avrebbe voluto rispondere che si annoiava altrettanto ad ascoltare discorsi frivoli e pettegolezzi su comuni conoscenti, ma si trattenne dal farlo e pensò che una volta sposati e sottratta Elizabeth alla influenza materna le cose sarebbero andate diversamente.
I mesi erano volati ed era finalmente giunto il giorno delle nozze. A celebrare era stato chiamato il reverendo  Osborne Whitworth, un lontano cugino della sposa, che si muoveva sull’altare borioso come un pavone e nonostante la giovane età aveva tenuto un’omelia talmente retorica che Ross non lo aveva quasi ascoltato. Per tutto il tempo della cerimonia, nonostante non fossero pensieri consoni al luogo sacro in cui si trovavano,  non aveva fatto altro che pensare a quando lui e sua moglie sarebbero stati soli in camera ed avrebbe finalmente potuto farla sua.
Poiché Nampara era troppo fuori mano per ospitare i tantissimi invitati che la signora Chynoweth aveva preteso, il banchetto nuziale si svolse a Trenwith, il palazzo che era la dimora storica della famiglia Poldark, attualmente abitata dallo zio di Ross, Charles, fratello maggiore di Joshua, che lì viveva con i due figli Verity e Francis ed una vecchia prozia di circa novant’anni, la zia Agatha. Era il proprietario di una miniera denominata Grambler, la più grande della zona, che impiegava circa cinquanta dipendenti.
Verity aveva un paio di anni più di Ross e gli era molto affezionata: era anche lei in procinto di sposarsi, con un ammiraglio parecchio più grande di lei, già vedovo con due figli. Dopo il matrimonio si sarebbe dovuta trasferire con il marito a Lisbona e questa notizia era stata un duro colpo per zia Agatha, che da sempre richiedeva la compagnia della “piccola Verity” ed il suo aiuto per qualsiasi cosa che la riguardasse. Benchè non mancasse a Trenwith la servitù, Verity era quella che doveva portarle il piatto in tavola, prepararle le pantofole, aiutarla a vestirsi o a fare il bagno. Trascorrevano interi pomeriggi a giocare a carte, passatempo che la zia adorava; inoltre Verity era la sola che tollerasse un’altra strana passione della vecchia Agatha, quella per i tarocchi. La decana dei Poldark riteneva di possedere un’innata abilità nel leggere i tarocchi ed ogni ospite che passava a trovarla doveva sottoporsi a questo curioso rituale.
Elizabeth non era mai stata a Trenwith e rimase molto colpita dalla sua magnificenza. Osservò compiaciuta i quadri di famiglia che adornavano il corridoio, che Ross le spiegava essere l’uno o l’altro dei suoi avi, pensando orgogliosa che ormai anche lei faceva parte di quella onorata famiglia.
Il banchetto, curato nei minimi particolari proprio da zia Agatha – che era una  buongustaia a dispetto della sua magrezza – attirò immediatamente la maggior parte degli astanti, che circondarono il grande tavolo ovale nel salone principale servendosi delle gustose pietanze che erano state imbandite.
In un  angolo della sala  , con in mano un bicchiere di liquore, si trovava invece Francis, il fratello di Verity, con il suo inseparabile e grande amico George Warleggan.
Francis era nato lo stesso anno di Ross, qualche mese dopo, ed avevano da sempre frequentato le stesse scuole e le stesse compagnie. I due ragazzi però non potevano essere più diversi, e non solo fisicamente. Da piccoli li chiamavano il Poldark biondo ed il Poldark bruno: Francis infatti aveva i capelli chiari e gli occhi azzurri, ma il suo aspetto angelico non corrispondeva affatto al suo carattere. Era infatti lui la vera pecora nera della famiglia: indolente, dissoluto, passava le sue giornate a bere e giocare a carte, sperperando le proprie rendite; lasciava che il padre si occupasse di tutti gli affari e ciò era continuo motivo di dissapori in famiglia; invano Verity lo pregava di mantenere un atteggiamento più rispettoso nei confronti del genitore, ma le discussioni erano all’ordine del giorno.
Lo zio Charles, che aveva molta stima di Ross e lo considerava più assennato e maturo del figlio, lo aveva pregato di parlare con Francis, ricordando come da bambino avesse un forte ascendente su di lui; Ross si era mostrato disponibile, ma quel colloquio aveva sortito l’effetto opposto, perché nonostante Ross non avesse affatto assunto un tono paternalistico Francis, sentendosi giudicato, si era offeso a morte con il cugino. Da quel momento aveva cercato di evitare ogni contatto con Ross, che del resto aveva frequentazioni molto diverse dalle sue.
Il migliore amico di Francis, George Warleggan, era un loro vecchio compagno di scuola che, nonostante le umili origini – suo nonno era un fabbro – aveva fatto fortuna ed era proprietario di una importante banca con sede a Truro. George spesso aiutava finanziariamente Francis quando subiva perdite consistenti al gioco, ma il suo aiuto non era ovviamente disinteressato. Sperava che, prima o poi, Francis avrebbe ereditato la fortuna di Charles e non sarebbe stato in grado di gestirla, in modo tale che sarebbe stato facile per lui a quel punto impossessarsi della Grambler e di Trenwith.
Discutendo con l’amico a proposito del matrimonio, Francis non potè fare a meno di notare con invidia che il cugino si era accaparrato quello che definì “un gustoso bocconcino”.
George fu d’accordo con lui: Elizabeth era bellissima, aveva classe ed eleganza e non si poteva non restare ammirati nel guardarla incedere nelle sale nel suo magnifico abito bianco. Prese in giro Francis, dicendo che, se ci avesse pensato prima, in sua assenza avrebbe potuto corteggiare la Chynoweth e trovarsi ora al posto di Ross.
“Il matrimonio non rientra nei miei obiettivi  – rispose Francis – mi perderei tutto il divertimento! Anche se, devo dire, quella Elizabeth mi intriga proprio… così eterea, controllata, sembra una creatura di un altro mondo… secondo me le donne che ostentano tanta compostezza sono le più disinibite sotto le lenzuola!”
George rise e rischiò di farsi andare di traverso il brandy.
“Sei terribile… bada che non ti senta tuo cugino fare commenti del genere su sua moglie! Da ragazzo era molto irascibile. Ricordi quando ruppe il naso a Jason Berry?”
“Ross non è certo una persona accondiscendente, lo so, però credo che sia lui a dover stare lontano dalla mia strada, se non vuole rogne” – concluse il Poldark biondo.
All’angolo opposto del salone, Charles e Joshua conversavano con il giudice Penvenen. Era il magistrato attualmente in carica al tribunale di Truro ed era anche un caro amico di entrambi.
“Ci tenevo ad essere presente, nonostante sia a lutto. Ho perduto mio fratello pochi giorni fa – raccontava il giudice – una disgrazia improvvisa… Sono appena tornato dal funerale, da Londra. Come se non bastassero tutti gli affari di cui occuparmi, ho dovuto assumere la tutela di mia nipote, la figlia del povero Arthur… Caroline è molto giovane, ha bisogno di chi la consigli ed amministri la sua eredità finchè non sarà maggiorenne…d’altra parte sono il suo unico parente rimasto in vita, non potevo abbandonarla….”
“La porterai a vivere con te a Killewarren, Ray?”- domandò lo zio di Ross.
“Oh, sarebbe una soluzione che mi renderebbe più tranquillo, ma non credo che Caroline sarebbe d’accordo! È una ragazza molto frivola, viziatissima da suo padre, e sono certo che qui in un piccolo centro morirebbe di noia!  Temo che dovrò sbrigarmi a trovarle un marito lì a Londra che la faccia rigare dritto e mi sollevi anche dall’incombenza della sua tutela!”
Intanto, Ross aveva appena presentato il suo amico Dwight Enys al dottor Choake. Anche Dwight era medico, ed era proprio lui ad aver ricucito la ferita che Ross si era procurato al viso in battaglia. Da lì era nata una bella amicizia e Dwight aveva espresso la volontà di seguire l’amico in Cornovaglia, una volta congedato dal fronte, in quanto non aveva più famiglia ed era molto interessato ad approfondire gli studi sulle malattie polmonari dei minatori. Stava appunto rispondendo alla domanda del più anziano collega che gli domandava ragione del suo trasferimento.
“Ho studiato medicina a Londra, poi mi sono arruolato come ufficiale medico. Ho trascorso gli ultimi due anni in Virginia, e lì ho conosciuto Ross. Ho deciso di trasferirmi qui perché è una zona ricca di miniere ed intendo approfondire degli studi sulle malattie polmonari in soggetti esposti alle esalazioni di polvere di carbone. Per ora sono stato assunto per controllare le condizioni dei lavoratori nella miniera di Ross e quella di suo zio. Spero poi di poter pubblicare i miei studi, quando avrò raccolto abbastanza materiale”.
“Mi sembra un po’ poco…Come vi manterrete con quel misero stipendio? – chiese Choake - Farete anche consulti privati?”
“Può darsi, ma non temete, non credo che vi sottrarrò clientela. Io rivolgerò le mie cure principalmente alla povera gente, che mi pagherà come e quando potrà”.
Choake restò sconvolto dalle strane idee del giovane collega. Lui e Ross Poldark sembravano proprio fatti della stessa pasta, pronti a partire in quarta con le proprie idee perdendo di vista le più basilari regole dell’economia. Il dottore infatti si stava quasi pentendo di aver dato fiducia all’impresa di Ross, che fino a quel momento non gli aveva dato profitti, ma solo perdite.
Mentre Ross brindava accanto alla porta finestra che dava sul giardino con gli amici di sempre, la madre aveva tratto Elizabeth in disparte.
“Ti rendi conto? Ci sono visconti e baronetti fra gli invitati, e tuo marito si intrattiene con dei pezzenti… hanno indossato l’abito della festa, ma sempre pezzenti restano” – disse alludendo a Zacky Martin ed ai fratelli Daniels.
“Non mi angustiate il giorno del matrimonio, madre! – la supplicò Elizabeth – sapete com’è fatto Ross… sono suoi amici d’infanzia e non me la sento di impedirgli di frequentarli!”
“Riparliamone quando ti obbligherà ad avere a che fare con le loro mogli… ah, figliola, Dio non voglia che tu abbia a pentirti della tua testardaggine! Tuo marito non è affatto un uomo docile, non sarà facile conviverci… non mostrarti remissiva, metti ben in chiaro quali sono le tue esigenze, ricordagli sempre quali sono i doveri che ha assunto nei tuoi confronti! ”
“Ross è un gentiluomo e non mi obbligherà mai a fare qualcosa di sgradito. Non avete visto come cerca di accontentarmi in tutto? Sicuramente qualche aspetto del suo carattere può migliorare, ma quale uomo non ha difetti? Quanto alle nostre amicizie, lo invoglierò a frequentare i Treneglos: sai che Ruth, la moglie di John, è la mia migliore amica, ed inoltre saremo vicini di casa, potremo vederci molto spesso”.
Le due donne furono interrotte dall’avvicinarsi di un invitato, che salutò entrambe profondendosi in complimenti per la bellezza ed eleganza della sposa.
“Vorrei avere il piacere di invitarvi per martedì prossimo ad un ricevimento che si terrà in casa mia, per festeggiare l’acquisto di un nuovo mercantile. Posso sperare in una risposta positiva?”
Elizabeth sorrise raggiante. Matthew Sanson era uno degli uomini più ricchi di Truro e si favoleggiava che casa sua fosse lussuosa come una reggia.
“Vi ringrazio, ne parlerò a mio marito appena… - stava cominciando a dire Elizabeth, ma un’occhiata di sua madre la raggelò.
“Il vostro invito ci onora, mister Sanson, e lo accettiamo con infinito piacere” – rispose la donna. Appena l’uomo si fu allontanato, per conversare con altri ospiti, la signora Chynoweth redarguì nuovamente la figlia: inviti in società provenienti da persone così in vista non potevano essere assolutamente rifiutati ed Elizabeth non poteva permettere a Ross di avere voce in capitolo sul punto. Correva voce che gli uomini di Nampara fossero piuttosto solitari, non abbastanza introdotti nel bel mondo, e questa era proprio una delle ragioni per cui la madre della sposa aveva osteggiato quell’unione.
Terminata la festa Ross, sua moglie e Joshua salirono a bordo di una carrozza e fecero ritorno a Nampara. Ad accoglierli Prudie e Jud, che abbozzarono un goffo inchino alla nuova signora di Nampara e le fecero strada verso il suo appartamento.
Ad Elizabeth, dopo aver trascorso ore negli ampi saloni di Trenwith illuminati da decine e decine di candelabri, Nampara sembrò cupa e molto piccola. La loro stanza da letto, edificata in fretta e furia nei mesi precedenti, era di stile sobrio, quasi rustico. Sia i tendaggi che i copriletti dovevano essere di seconda mano, per quanto Prudie avesse fatto del suo meglio per ripulire e sistemare.  L’unica consolazione della donna fu vedere troneggiare sulla parete di fronte all’ingresso la specchiera che aveva scelto a Truro. Vi si sedette davanti e ammirò il suo riflesso nello specchio mentre si liberava del velo. Ross le si avvicinò, le posò le mani sulle spalle e, scoprendogliene leggermente una, cominciò a depositare una serie di baci lungo la linea del collo.
Elizabeth fissò un’ultima volta i suoi lineamenti delicati, la pelle di porcellana ed il trucco ancora intatto e pensò che sua madre si sbagliava: Ross era pazzo di lei, e dopo quella notte sarebbero stati ancora più legati. Non sarebbe stato difficile ottenere da lui qualunque cosa desiderasse.

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Capitolo 3
*** cap.3 ***


Trascorso un mese dalle nozze, Elizabeth era già incinta. Zia Agatha aveva sentenziato che era la prima volta che un Poldark veniva concepito durante la prima notte o in luna di miele; la sua euforia però scemò quando, consultati i tarocchi, estrasse la carta degli amanti rovesciata, un cattivo presagio. Verity cercò di scherzarci su e di far notare alla zia quanto fossero innamorati e felici i due sposini: la zia replicò che i tarocchi non si erano mai sbagliati, Elizabeth e suo nipote non sarebbero mai stati felici insieme. Non ci fu modo di farle cambiare idea: per fortuna Verity riuscì a strappare alla vecchia la promessa di non riferire a nessuno il responso sfavorevole delle carte.
Ignaro delle preoccupazioni della zia, Ross era fuori di sé dalla gioia, anche se quella gravidanza giunta tanto repentinamente aveva finito per turbare l’armonia della coppia nei primi tempi di convivenza.
Elizabeth già a luglio aveva cominciato ad avvertire qualche disturbo:  nulla di grave, ma si era allarmata forse più del dovuto e ciò aveva gettato nel panico anche Ross. In più la donna manifestava il desiderio di essere seguita nella gravidanza solo dal dottor Choake, storico medico della sua famiglia, dichiarando di non fidarsi troppo del giovane dottor Enys, l’amico di suo marito.
Ross al contrario non riponeva fiducia in Choake: aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco nel trovarselo coinvolto nella società della miniera, ma non lo stimava affatto né come persona, né come medico. A suo avviso Choake aveva ingigantito i sintomi di sua moglie nel consigliarle assoluto riposo; Elizabeth aveva preso alla lettera la prescrizione e rifiutava anche qualunque momento di intimità per timore di fare del male al bambino, il che non era certo l’ideale per una coppia appena sposata.
Ross era a disagio per la situazione e, visto che Elizabeth per pudore non si sarebbe mai sognata di approfondire il tema con l’austero Choake, si era deciso a consultare informalmente l’amico Dwight. Questi aveva risposto che Elizabeth non doveva vivere la gravidanza come una malattia e che non vi era alcuna controindicazione ad avere rapporti intimi, anche man mano che i mesi passavano. Quando poi timidamente Ross aveva accennato alla cosa, Elizabeth aveva messo su il broncio perché parlando di quegli argomenti con Dwight senza consultarla l’aveva messa in imbarazzo.
Per fortuna però, le nausee del primo trimestre passarono presto, la signora Poldark si rasserenò, riprese l’intimità con suo marito e soprattutto ricominciò a voler uscire e frequentare gente.
Quasi tutti i pomeriggi andava a trovare Ruth Treneglos o Ruth veniva da lei. Almeno una volta a settimana chiedeva di essere accompagnata a Truro, o per fare una passeggiata, o per rivedere sua madre, o per andare dalla modista, visto che i vestiti iniziavano a starle stretti.
Ross era sempre disponibile ad accontentarla, anche se era un periodo cruciale per la Leisure. Le ultime esplosioni avevano consentito di trovare finalmente dello stagno, grazie al quale erano stati ripagati i primi investimenti ed anche i soci più diffidenti, Choake e Pearce, erano stati tacitati. Nel frattempo però le fonderie che acquistavano il materiale estratto avevano creato un cartello tra di loro e nel corso delle aste non si riusciva più a spuntare prezzi che consentissero un guadagno, oltre a coprire le spese.
Ross allora aveva avuto un’idea: far sì che tutte le miniere della zona creassero un consorzio ed acquistassero loro stesse una parte dei metalli da destinare a fonderie di fuori regione che fossero disposte a pagare di più. John Treneglos dichiarò che aveva un conoscente a Exeter che a sua volta poteva metterlo in contatto con una fonderia del Devon. Ross rispose che per il momento quella faccenda doveva rimanere segreta tra loro due e il capitano Henshawe, nell’attesa di verificare se quell’idea si poteva concretizzare.
Ross tendeva a raccontare poco a casa dei suoi problemi di lavoro. Poteva capitare che a cena ne discutesse con suo padre ed Elizabeth ascoltasse, ma di solito non si confidava direttamente con lei. Aveva capito che a sua moglie piaceva essere rassicurata che le cose andassero bene, che la loro routine proseguisse tranquilla e senza complicazioni; particolarmente ora, nel suo stato, non voleva allarmarla inutilmente. Le aveva quindi accennato molto in generale alla questione del consorzio, ma evidentemente John Treneglos non aveva fatto altrettanto con sua moglie, perché in uno dei loro incontri pomeridiani Ruth spiattellò ad Elizabeth per filo e per segno i progetti dei loro coniugi, che descrisse come un’attività rischiosa, da svolgere in assoluto segreto, all’insaputa addirittura degli altri loro tre soci.
Quando tornò a casa Elizabeth pretese di avere delle spiegazioni da Ross, il quale le rispose con molta pacatezza che Ruth aveva capito male, che John stava solo sondando il terreno per verificare la fattibilità della sua idea e che, ovviamente, il tutto doveva restare segreto per cogliere di sorpresa il cartello delle fonderie, che era rappresentato dalla famiglia Sanson.
Elizabeth allora biasimò suo marito perché, durante quella festa cui erano stati invitati a casa di Sanson subito dopo le loro nozze, Ross era stato piuttosto scontroso e non aveva cercato minimamente di ingraziarsi il padrone di casa, che pure si era mostrato interessato al mondo delle miniere ed aveva lodato Ross per il suo fiuto commerciale e la prontezza che aveva avuto nel costituire la società per far riaprire la Leisure.
Ross ribadì una volta per tutte ad Elizabeth che non amava quel genere di persone e che voleva farsi strada nella vita grazie alle sue sole forze e non a favoritismi, soprattutto da parte di chi aveva il profitto come unico dio.
Qualche volta, dopo discussioni simili, Ross si ritrovava a pensare che lui ed Elizabeth parevano parlare lingue completamente diverse. Sua moglie aveva una visione del mondo molto astratta, non aveva la minima idea delle condizioni in cui viveva la maggior parte della popolazione della Cornovaglia, o forse l’idea ce l’aveva, ma riteneva che fosse un dovere della politica o della Chiesa occuparsene e che nel frattempo la loro vita non dovesse essere sfiorata da quei problemi. Riteneva che le persone ricche dovessero frequentarsi fra di loro e sostenersi a vicenda; le istanze dei più deboli potevano essere ascoltate soltanto se non comportavano una rinuncia a privilegi ormai acquisiti da parte di chi era più fortunato.
Ross pensò che forse era colpa dei principi che le aveva inculcato sua madre, o dell’educazione femminile in generale: le ragazze di buona famiglia imparavano a leggere e a scrivere, ma la società chiedeva loro solo di essere brave donne di casa, spose ubbidienti, e non di esprimere un’opinione o di formarsi un proprio pensiero critico. Lui invece aveva viaggiato, aveva combattuto, si era reso conto di quanto fosse precaria la vita e quanto fugaci i beni materiali; per lui il valore di un uomo si misurava non sulla base delle ricchezze che possedeva, ma delle azioni che compiva. Piano piano, diceva a se stesso, avrebbe cercato di condividere le sue esperienze di vita con sua moglie e la avrebbe stimolata a riflettere di più sull’assurdità delle sue posizioni: ora però era giusto che stesse serena e si concentrasse solo sul bambino.
Chi non sopportava affatto Elizabeth era Prudie. Fin dal primo giorno tra la governante di casa Poldark e la padrona non era corso buon sangue. Prudie non ne poteva più dell’atteggiamento di Elizabeth: si sentiva osservata da lei con disprezzo, quasi fosse un cumulo di rifiuti, trattata come una schiava e criticata su tutto. Gli abiti non erano mai ben stirati, la casa non era abbastanza pulita, il giardino non era curato; guai se non accorreva subito quando la signora la cercava, cosa che spesso non era possibile perché qualcuno doveva pur andare nell’aia o nella stalla a nutrire gli animali!
Quando poi Elizabeth si era messa a riposo per ordine del medico, la situazione era precipitata. Era sempre a letto, non muoveva un passo, pretendeva che Prudie le portasse colazione, pranzo e cena in camera, che le porgesse qualsiasi oggetto di cui aveva bisogno, che la aiutasse a lavarsi o pettinarsi i capelli.
In cucina la cameriera dei Poldark non faceva che sfogarsi con il povero Jud, che saggiamente le consigliava di tacere “se non vuoi che ti rimpiazzino”.
Una sera, esasperata, la donna si lasciò scappare qualche commento poco lusinghiero sulla padrona con Joshua, e rimase stupita perchè questi, anziché zittirla ordinandole di stare al suo posto, laconicamente le rispose “Ti sarai resa conto che la moglie di Ross non è come la mia povera Grace…”
Ma neanche Jud aveva torto, perché dopo qualche tempo Ross comunicò a Prudie, non senza imbarazzo, che Elizabeth da quel momento avrebbe avuto a disposizione una cameriera personale; Prudie quindi avrebbe dovuto  occuparsi solo della cucina e della fattoria. La cameriera personale di Elizabeth, mrs Tabb, fu mandata ad alloggiare in uno dei cottage adiacenti a Nampara, il che comportò un lavoro supplementare per Jud e Jim per renderlo abitabile.
Della decisione di assumere un’altra domestica Joshua era stato informato da Ross prima di procedere; pur essendo perplesso, non aveva osato opporsi, per non creare dissapori tra suo figlio e sua nuora, tuttavia non poteva fare a meno di pensare che Elizabeth – che pure era tanto garbata, gentile, ben educata che lui stesso non aveva cuore di negarle nulla o di trattarla con asprezza -  pareva più concentrata su se stessa ed i propri bisogni che su quelli di suo figlio. E se era così ora, figurarsi quando sarebbe nato il bambino! Avrebbe voluto parlare con Ross, ma il loro rapporto non era mai stato così confidenziale da affrontare un argomento così personale e delicato, e poi in fondo i rapporti tra i due giovani sposi non erano affar suo: Ross era un uomo adulto, e se i capricci di sua moglie non lo infastidivano, perché avrebbe dovuto dolersene suo padre?
Elizabeth, dal canto suo, non dubitava minimamente di essere nel giusto. Quanto a Prudie, era normale che una dipendente che non eseguiva bene il proprio lavoro fosse sostituita. Trattava suo suocero con grande rispetto, in quanto padre di suo marito, ma riteneva che anche lui dovesse portarle altrettanto rispetto, soprattutto ora che portava in grembo il suo erede. E Ross? Ross doveva ringraziare il cielo per averla accanto, lei era una donna che chiunque gli avrebbe invidiato; era suo dovere amarla, rispettarla e proteggerla, così come lei doveva amarlo e rispettarlo, come avevano giurato dinanzi all’altare. Nel corso delle piccole discussioni che avevano avuto la giovane aveva cercato di smorzare subito ogni diverbio, dimostrandosi accomodante e comprensiva, ma in realtà non si era spostata di un millimetro dalle sue posizioni. Con il tempo, pensava, sarebbe riuscita a convincere Ross della bontà delle sue ragioni; inoltre aveva verificato che bastavano poche moine per essere accontentata dal marito in ogni richiesta.
Passarono i mesi, ed una sera di fine ottobre Joshua, in groppa al suo cavallo, si dirigeva verso casa. Aveva trascorso un’ottima serata a casa del reverendo Halse vincendo al gioco contro Cary Warleggan e questa era di per sé una notizia che lo rendeva allegro: neppure lui infatti, al pari di Ross, sopportava quei volgari arricchiti di George e suo zio Cary.
Ad un tratto fu affiancato da un altro cavaliere, che riconobbe subito come suo fratello Charles. I due si salutarono, ed il maggiore fece notare a Joshua che era da parecchio che lui e Ross non si vedevano a Trenwith e zia Agatha aveva chiesto loro notizie.
Il fratello minore ammise che vi mancavano da almeno tre settimane, dal matrimonio di Verity, e che effettivamente negli ultimi tempi, presi dalle rispettive faccende, avevano un po’ trascurato la zia, ma avrebbero presto rimediato; oltretutto, ella doveva sentirsi molto sola dopo il trasferimento della nipote prediletta.
“Ma la zia non è da sola! – esclamò Charles – Mi pare strano che la notizia non sia ancora giunta a tua nuora, dato che la sua amica, la moglie di Treneglos, sa sempre tutto di tutti! Eppure è un fatto di cui sta parlando tutto il circondario…Ho preso a servizio una ragazza per fare compagnia a zia Agatha”.
“E da quando in qua la servitù è oggetto di conversazione nei salotti delle signore dabbene?” – chiese Joshua divertito.
“Perché le circostanze in cui ci siamo incontrati sono molto singolari e c’è di che spettegolare! Mi sono imbattuto in questa ragazza alla fiera di Redruth: un gruppo di ragazzacci la stava malmenando per una disputa legata ad combattimento fra cani, avevano preso il suo e lei non voleva cederlo, l’avevano gettata in terra e la prendevano a calci, dinanzi ad una folla impassibile… Sono intervenuto, ho messo in fuga i ragazzi e soccorso la fanciulla… Avresti dovuto vederla, mi faceva una pena… denutrita, vestita di stracci, piena di cicatrici di cinghiate sulla schiena… l’ho portata in una locanda, le ho fatto mangiare una zuppa calda, e poi mi sono offerto di riaccompagnarla a casa. Chiamarla casa è una parola grossa… una capannuccia grande quanto la mia camera da letto, in cui vivevano in otto, lei, suo padre e sei fratelli maschi più piccoli… il padre fa il minatore, e a stento riesce a mantenerli, la madre è morta nel dare alla luce il figlio più piccolo… di fronte a quel quadro pietoso mi sono intenerito e ho chiesto a quell’uomo se potevo portare la ragazza a Trenwith per darle un lavoro. Da principio ha protestato dicendo che non aveva chi si occupasse della casa e dei marmocchi in sua assenza, ma quando gli ho detto che la paga sarebbe stata di 20 ghinee al mese per lui, oltre vitto e alloggio e qualche spicciolo dato direttamente in mano alla figlia, gli si è illuminato lo sguardo e ci siamo accordati! Così ho portato Demelza con me a Trenwith”.
“E zia Agatha che ne pensa?” - chiese Joshua.
“Questa è la parte più buffa di tutto il racconto. Non ci crederai, ma la zia stravede per lei. All’inizio, a vedere quella ragazzina così spaurita, silenziosa, stretta in un vestito troppo grande per lei, pensavo che ne avrebbe fatto un sol boccone. Invece l’ha presa a ben volere, le ha insegnato a leggere, a scrivere, a suonare la spinetta… è una ragazza molto intelligente e piena di buona volontà, apprende subito.”
“Ma quanti anni ha?” – chiese Joshua.
“Quasi diciassette. Per questo ti dico che non vorrei che le male lingue iniziassero a spettegolare. Potrebbero pensare che l’abbia assunta per un altro tipo di servigi… sono vedovo da tanti anni, mi capisci. E mi dispiacerebbe anche per Demelza, che è una ragazza onesta”.
“Il libertino in famiglia sono io! Non credo che si potrebbe pensare questo di te in giro, Charles, sei sempre stato un uomo integerrimo… quindi questa Demelza è anche carina, ne deduco”.
“All’inizio non ci avevo neanche fatto caso, ma quando poi zia Agatha l’ha fatta lavare, pettinare e vestire con abiti decenti, effettivamente sì, è graziosa. Ma la cosa più bella di lei è il carattere: sempre di buon umore, con una parola dolce per tutti… per certi versi è come se avesse portato il sole a Trenwith! E poi c’è la storia delle carte…”
“Le carte? – si stupì Joshua – non mi dire che presti fede alle stupidaggini di zia Agatha! Che avrebbero detto le carte?”
“Che quella ragazza ha un destino fortunato, e porterà fortuna alla nostra famiglia. Per questo zia Agatha non si separa un istante da lei! Ovviamente non credo ai tarocchi, Joshua, ma credo ai fatti … Grazie a Demelza la zia è rinata, ed io sono molto più tranquillo, sapendola in buone mani. Per il momento quindi la profezia funziona… ma perché non vieni a cena da noi, così lo vedrai con i tuoi occhi?” – propose Charles.
Joshua, molto incuriosito dalla storia che gli aveva narrato suo fratello, accettò. A Nampara, per quella sera, avrebbero dovuto fare a meno di lui.

 

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Capitolo 4
*** cap. 4 ***


Appena arrivati nel cortile di Trenwith, affidati i cavalli ad un domestico che li condusse nelle stalle, i due fratelli Poldark furono accolti dall’abbaiare di un cane di media taglia, un bastardino dal pelo fulvo.
“Buono, Garrick!” – tuonò Charles, e poi si avvicinò all’animale, carezzandogli vigorosamente la testa.
“E questo?” – domandò Joshua, mentre il cane lo annusava e gli si strofinava contro le gambe.
“Garrick è il cane che ha rischiato di fare una brutta fine alla fiera di Redruth! Demelza non avrebbe mai accettato di venire qui senza di lui” – rispose Charles, invitando con un gesto il fratello ad accomodarsi in casa.
Entrati nel salone, dove la tavola era già apparecchiata per la cena, Joshua notò accanto a zia Agatha, intenta a leggerle un libro, una ragazza magra, dai capelli rossi e ricci , tenuti alzati da una fascia color ocra, lo stesso del vestito che indossava. All’ingresso dei due uomini ella interruppe la lettura, si alzò in piedi, sorrise e diede la buona sera a Charles; questi spiegò chi fosse l’ospite ed invitò Demelza ad aggiungere un coperto a tavola per suo fratello, che si sarebbe fermato a cenare con loro. La ragazza rivolse un educato inchino a Joshua, poi sgattaiolò in cucina per eseguire l’ordine che le era stato impartito.
“Allora Joshua? – chiese la zia gongolando – cosa ne pensi di Demelza? Ho fatto un buon lavoro con lei?”
Il nipote rispose che l’aveva vista solo per pochi istanti, troppo poco per giudicare, tuttavia da quel che appariva non si sarebbe mai detto che quella fanciulla fosse stata, fino a poche settimane prima, una monella di Illugan.
Zia Agatha iniziò quindi a tessere le lodi di Demelza, raccontando entusiasta di come avesse preso il posto di Verity sostituendola egregiamente; trascorrevano insieme le giornate passeggiando nel giardino se il tempo lo permetteva, oppure giocando a carte, leggendo, ricamando, facendo musica, semplicemente chiacchierando. La ragazza era attenta, premurosa, gentile; aveva un talento naturale per il canto ed era stata attirata dalla spinetta che giaceva da anni abbandonata nello studio al piano terra, così la padrona le aveva insegnato a suonarla.
Dopo poco Demelza rientrò in sala con piatti, bicchieri e posate, apparecchiò anche per Joshua ed annunciò che la cuoca era quasi pronta per servire la cena. Prima che si ritirasse a cenare con gli altri domestici, zia Agatha volle dare una dimostrazione di quanto aveva appena detto, pertanto chiese a Demelza di mettersi a cantare dinanzi ai suoi nipoti. La ragazza, dopo essersi schernita per timidezza, viste le insistenze della padrona si schiarì la voce ed intonò le note di una melodiosa canzone, una dedica appassionata di una fanciulla innamorata alla sua anima gemella.
Joshua si commosse. Lui aveva conosciuto il vero amore, sapeva cosa fosse la gioia di due cuori che battono all’unisono, e da quando Grace non c’era più quel battito era andato perduto, la sua luce si era spenta…
“Hai scritto tu il testo della canzone?” – domandò a  Demelza.
“Sì, signore” – annuì la fanciulla.
Senza sapere bene perché, Joshua la guardò dritto negli occhi e le disse: “Sono parole molto profonde, hai un animo romantico. Qualunque cosa accada, non smettere mai di credere nel vero amore. È l’unica cosa che possa dare un senso alla vita”.
Demelza lo guardò stupita. Lesse sincerità negli occhi scuri dell’uomo, ma anche una grande sofferenza e si sentì in sintonia con lui, anche se lo aveva appena conosciuto. Non ebbero però modo di parlare ancora perché fu servita la cena e la ragazza, come suo dovere, si allontanò.
Solo una volta seduti a tavola Joshua parve accorgersi dell’assenza di Francis e chiese spiegazioni.
Charles scosse la testa sconsolato.
“E’ partito per Londra qualche giorno fa; ufficialmente, per affari. Pare che abbia in mente di impiegarsi nel settore della vendita di gioielli. Tramite i Warleggan ha conosciuto un mercante di gemme che gli ha proposto di entrare in società con lui; per meglio dire, dovrebbe occuparsi di vendere la merce, e così ottenere una percentuale sul venduto. Secondo voi riuscirà a combinare qualcosa di buono? Io sono molto scettico. Temo che andrà a finire come nella parabola del figliol prodigo: sperpererà tutti i suoi averi tra gioco e prostitute e poi tornerà a chiedere il mio perdono. La storia di sempre, insomma!”
Proprio negli stessi istanti in cui a Trenwith si svolgeva quella conversazione, Francis prendeva parte ad un elegante ricevimento a Londra.
Aveva indossato il suo miglior abito ed aveva cercato di fare colpo su danarosi gentiluomini e dame, riuscendo ad ottenere un paio di appuntamenti l’indomani per esibire la sua mercanzia; se tutto fosse andato per il verso giusto, pensava, si sarebbe finalmente sottratto all’influenza paterna e non avrebbe più dovuto occuparsi di quella maledetta polverosa miniera.
Si avvicinò ad un tavolo in cui si giocava alla roulette e notò, al centro, una graziosa fanciulla bionda, molto giovane, vestita con uno sgargiante abito rosso fuoco, che aveva davanti a sé un cospicuo numero di fiches e puntava con sicurezza cifre importanti. Francis rimase ad osservare vari giri e notò come la fanciulla fosse abile nel gioco ed anche piuttosto fortunata. Era attorniata da un gruppo di giovanotti, che la chiamavano “miss Penvenen”.  Il croupier decretò che quella sarebbe stata l’ultima puntata. La bionda, che aveva vinto ancora, raccolse il denaro in una borsetta di velluto e salutò gli astanti, dirigendosi in una saletta adiacente, dove si lasciò cadere mollemente su una poltrona.
Francis decise allora di farsi coraggio e, raggiuntala, le rivolse la parola.
“Permettete, miss Penvenen? – e continuò, visto che la ragazza lo scrutava perplessa – ho udito il vostro nome poco fa… non ci conosciamo, mi chiamo Francis Poldark e vengo dalla Cornovaglia. Mio padre è un grande amico del giudice Penvenen, che presumo sia vostro zio… ci ha detto della vostra recente perdita. Mi dispiace molto.”
“Ah, sì – rispose la fanciulla – lo zio Ray chiacchiera sempre troppo. Sono trascorsi diversi mesi dalla morte di mio padre, e come vedete ho ripreso la mia vita sociale, ed ho tolto anche il lutto. Non capisco che senso abbia vestirsi di nero: come se potesse riportare in vita le persone!”
“Questo è vero - rise Francis – a volte le convenzioni sono così stupide…”
Caroline chiese poi come mai Francis si trovasse nella Capitale ed egli illustrò la natura degli affari che ve lo avevano condotto; per sua sfortuna la giovane disse che non amava troppo i gioielli, ma preferiva abiti e cappellini. Era sfumato quindi il progetto di Francis di averla come cliente.
“Vi piace Londra, signor Poldark? O preferite vivere in Cornovaglia? Zio Ray mi vorrebbe lì per Natale” - chiese allora la giovane.
“Certamente i ricevimenti da noi sono più noiosi, gli abiti delle signore non sono così alla moda e ci sono pochi teatri e ritrovi – rispose con sincerità il giovane - Tuttavia ritengo che il Natale sia una festa da trascorrere in famiglia, dinanzi ad un camino acceso e ad una tavola riccamente imbandita... tutte cose che a Killewarren potrete trovare. Io stesso credo di rientrare a casa per le feste: potrei farvi compagnia, se lo vorrete.”
Caroline lo guardò beffarda e disse, con tono sprezzante: “Avete un’opinione molto elevata di voi stesso… saprete senz’altro che sono un’ereditiera e che ho una rendita annuale di oltre 100.000 sterline… sono abituata ad essere circondata di uomini che non vedono l’ora di mettere le mani sul mio patrimonio e che fanno i cascamorti, ne ho fin sopra i capelli! Mio zio anela a che mi sposi, ma se non ho trovato nessuno di mio gradimento a Londra, pensate forse che avrei miglior sorte in quell’angolo sperduto di mondo?”
“Non si può mai dire, miss Penvenen, la Cornovaglia non è un posto così orribile come credete… in ogni caso siete fuori strada, perché io per principio sono contrario al matrimonio. La mia offerta di farvi compagnia era assolutamente disinteressata. Se accetterete la proposta di vostro zio e verrete a Killewarren per Natale, chiedete pure di me. Abito nella tenuta di Trenwith”.
“Molto bene – concluse la giovane – Per me si è fatta ora di andare. Arrivederci signor Poldark.”
Francis le baciò la mano e la guardò andare via. Altro che gioielli… sposare quella donna, sarebbe stato un vero affare, si sarebbe sistemato per la vita! Certo che aveva un carattere davvero orribile…
***
Il giorno di Ognissanti, dopo aver accompagnato a Messa la signora Agatha, Demelza aveva ottenuto la giornata libera. Era una splendida giornata di sole, dalla temperatura mite, una vera e propria estate di San Martino in anticipo. Decise di spingersi fino alla spiaggia, passeggiò a piedi nudi sulla sabbia ammirando i riflessi dorati del sole sull’acqua. Non era la prima volta che vedeva il mare, ma quel giorno le appariva così invitante che sollevò i bordi dell’abito, fece alla meno peggio una sorta di nodo con le due balze laterali, in modo da tenere scoperti i polpacci, ed immerse le caviglie nell’acqua. Era fresca, ma non gelida: il calore accumulato nei mesi estivi si dissipava molto più lentamente nel mare rispetto alla terra. Fece un altro passo avanti e si crogiolò in quell’acqua trasparente. Cercò di alzare sopra il ginocchio i mutandoni che portava sotto il vestito e si bagnò ancora.
Inaspettatamente, da dietro gli scogli vide apparire un uomo che, con ampie bracciate, si riportava a nuoto verso la riva: evidentemente qualcuno tanto temerario da fare il bagno in autunno avanzato c’era! Prima che il nuotatore la vedesse in quella condizione sconveniente, Demelza ritornò sulla spiaggia, sciolse il vestito lasciando che la gonna le ricoprisse completamente le gambe e si riavvicinò al luogo dove aveva abbandonato le scarpe e le calze.
Fu solo allora che la giovane si accorse che poco distante da quel punto vi erano dei vestiti ammucchiati, che dovevano con ogni probabilità appartenere all’uomo che era in acqua. Non appena si girò, infatti, vide che un uomo a torso nudo avanzava a passo svelto nella sua direzione.
Non era certo la prima volta che vedeva un uomo senza camicia, ma di solito si trattava di minatori sudici dalle pance prominenti o di adolescenti scheletrici. Questo invece era un gentiluomo, perché aveva la pelle candida e liscia, spalle larghe e pettorali tonici; l’acqua gli faceva aderire i pantaloni alle gambe come una seconda pelle, rivelando dei quadricipiti possenti. Demelza avvampò ed istintivamente abbassò lo sguardo in terra, armeggiando con le calze, che però facevano fatica a scivolare, essendo i piedi ancora troppo umidi.
Si rese conto che non poteva fare nulla per evitare l’incontro con quell’uomo seminudo e cercò di comportarsi con naturalezza. Quando lo vide da vicino, si accorse che era proprio bello… aveva i capelli bruni e ricci, ed un paio di occhi scuri e profondi. Peccato per la cicatrice che gli segnava la guancia sinistra e che gli conferiva l’aspetto di un pirata!
“Vi ho spaventato? Siete fuggita quando mi avete visto!” – disse il bel giovane, frizionandosi vigorosamente la testa e le spalle con un telo.
“No, non mi sono spaventata, è che si è fatta ora di andare, devo arrivare fino a Trenwith prima che faccia buio” – gli rispose.
Udendo il nome della tenuta di famiglia, esclamò: “Ah, allora tu devi essere la famosa Demelza! Mio padre mi ha parlato di te e delle tue doti canore. Io sono Ross Poldark, il pronipote della signora Agatha”.
“Ah, il capitano Poldark! – esclamò Demelza – siete voi, e non io, ad essere famoso…”
“Addirittura? Cosa ti ha raccontato la zia di me?” – chiese Ross curioso, mentre si rivestiva.
“Che siete stato sempre un giovane scapestrato, testardo, ma dal buon cuore; che avete combattuto eroicamente in America e che siete tornato l’anno scorso; che avete una moglie bellissima che aspetta un bambino… ma non è solo da vostra zia che ho udito parlare di voi. Mio padre fa il minatore ad Illugan, e tutti sanno che siete diverso dagli altri padroni, avete molto a cuore le condizioni dei lavoratori e siete generoso con loro. Per questo ho detto che siete famoso qui in zona”.
“Faccio quel che mi è possibile – rispose semplicemente Ross – troppo poco rispetto a quello che andrebbe fatto. Ed anche la zia ha esagerato… tranne che per la bellezza di Elizabeth!”
“La signora Agatha è in collera con voi, sapete? Perché non venite mai a trovarla?” – lo rimproverò Demelza.
“Devo fare ammenda  – ammise Ross – l’ho trascurata molto nell’ultimo periodo”- ed era la verità, perché anche dopo che Joshua lo aveva pregato di visitare la vecchia prozia al più presto Ross aveva avuto dei giorni cruciali per la storia del consorzio e delle fonderie e non aveva mai trovato il tempo di recarsi a Trenwith - “però, pensandoci bene, potrei venire oggi. Non ho impegni questo pomeriggio.”
“Allora andiamo? O preferite venire più tardi a cavallo?” – aggiunse lei, perché il tratto da fare a piedi era abbastanza lungo.
“No no, mi fa piacere passeggiare, in una giornata così bella. Faremo il tragitto insieme” – concluse Ross, ormai pronto ad infilare gli stivali.
“Sarà una bella sorpresa per la padrona” – disse Demelza sorridendo felice; e così si incamminarono insieme alla volta di Trenwith.
Parlarono molto: delle condizioni di vita ad Illugan, dell’infanzia di Demelza, di come si gestisce una miniera, dei consigli che il dottor Enys aveva dato per chi aveva problemi ai polmoni dovuti alle esalazioni di carbone, delle erbe che Demelza raccoglieva quando suo padre aveva la tosse…
E parlarono ancora nei giorni successivi, perché Ross, per farsi perdonare dalla zia, fu più assiduo a Trenwith, e quando non veniva lui veniva suo padre. Entrambi erano così ben disposti nei suoi confronti che qualche volta zia Agatha consentiva a Demelza addirittura di rimanere presente, e si inseriva anche lei nella conversazione tra i Poldark.   
Un giorno , però, Ross si presentò a Trenwith con sua moglie. Era la prima occasione in cui Demelza vedeva la signora Poldark di Nampara: era davvero bellissima come le era stato riferito. Quel giorno Elizabeth indossava un cappottino viola scuro, un cappellino dello stesso colore e portava i capelli annodati in una coda morbida laterale; folti boccoli castani le scendevano dunque su una spalla. Nonostante fosse incinta, aveva il viso ancora magro, la pelle era uniforme e senza macchie. Aveva le mani bianche e curate e sembrava sprigionare una grazia ed eleganza tali che non si poteva non restare ammirati a guardarla.
Demelza, come faceva con tutti gli ospiti, la accolse con un sorriso ed un inchino, la aiutò a togliere il cappotto ed ingenuamente si complimentò per la sua bellezza. Poiché zia Agatha chiedeva ad Elizabeth, come era normale, notizie sulla gravidanza e su quando fosse prevista la nascita del bambino, ad un certo punto Demelza commentò ad alta voce, a proposito della pancia, che secondo la tradizione popolare quando la forma era arrotondata, come nel caso di Elizabeth, si era in attesa di un maschio…
Elizabeth continuò a parlare con Agatha senza degnare Demelza di uno sguardo. Tutti continuavano a parlare come se lei non ci fosse e come se non avesse detto nulla. Sembravano attori che recitavano un copione, non persone della stessa famiglia, ed Elizabeth era la prima attrice, la protagonista, quella su cui si concentrava l’attenzione di tutti.
La signora Agatha, con un cenno, fece comprendere a Demelza che non era il caso che restasse lì, e la ragazza si allontanò.
Sentì il bisogno di uscire in cortile, di abbracciare il suo Garrick. Sentiva gli occhi che le pungevano, le lacrime che erano sul punto di sgorgare, ed una grande frustrazione per come quella donna l’aveva fatta sentire, invisibile… Si era resa conto improvvisamente che, per quanto si sforzasse, per quanto la padrona fosse gentile e le avesse insegnato tante cose, non sarebbe mai stata una vera signora. Elizabeth lo era, quello era il genere di donna adatto a Ross. Che ragione c’era di pensare proprio a lui, in quel momento? Perché si sentiva così arrabbiata nel ricordare gli sguardi adoranti che Ross rivolgeva a sua moglie e la sua mancanza di cordialità, contrariamente al solito? A stento aveva risposto al suo saluto, non le aveva sorriso, non le aveva chiesto come stesse. Ma in fondo, perché avrebbe dovuto interessarsi dello stato d’animo di una sguattera? Che illusioni si era fatta, solo perchè avevano chiacchierato un po’ e la sua compagnia era gradevole? Qualunque cosa fosse quel sentimento che le agitava il cuore, era una sciocca fantasticheria che doveva immediatamente terminare.

 

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Capitolo 5
*** cap. 5 ***


Mancavano quattro giorni a Natale quando una diligenza proveniente da Londra scaricò tre passeggeri al bivio per Sawle: Francis Poldark, il giudice Penvenen e sua nipote Caroline. Per una fortunata combinazione avevano viaggiato insieme verso la Cornovaglia, essendo saliti sulla stessa carrozza nei pressi di Westminster. Francis ne aveva approfittato non solo per rivedere la graziosa diciottenne incontrata al ricevimento un paio di mesi prima, ma anche per magnificare con il vecchio amico di suo padre i risultati dei suoi affari commerciali, grazie ai quali aveva realizzato più che discreti guadagni. Sperava che ciò gli consentisse per il futuro di essere esentato dall’occuparsi dell’attività mineraria su cui si reggevano le fortune della sua famiglia, un settore che non lo aveva mai attirato.
Mentre la diligenza proseguiva il suo viaggio alla volta di altre località, una carrozza privata attendeva i Penvenen per condurli alla dimora del giudice, la tenuta di Killewarren, distante un miglio circa da Trenwith; Francis, che era di strada, approfittò del passaggio e nel congedarsi da Caroline e suo zio ribadì di essere a disposizione per qualsiasi esigenza la ragazza manifestasse nel corso del suo soggiorno in Cornovaglia.
Appena però fu sceso dalla carrozza il giudice mise subito in chiaro con la nipote che Francis Poldark, pur provenendo da una famiglia per bene e di vetusta tradizione, era un giovane poco raccomandabile, inaffidabile, scialacquatore, noto frequentatore di postriboli e case da gioco. Se mai quindi Caroline avesse avuto qualche velleità di frequentarlo, lo zio troncò sul nascere tale possibilità. “Più adatto a te sarebbe stato forse suo cugino Ross, con il suo temperamento sarebbe riuscito a domare le tue intemperanze, ma purtroppo è già sposato.” – concluse il giudice, parlando più a se stesso che alla nipote.
Prima di giungere alla loro tenuta la carrozza costeggiò la zona delle miniere e lo zio, alla vista delle ciminiere, mostrò a Caroline le caratteristiche costruzioni su cui si basava in larga parte l’economia del luogo. Dinanzi alla Wheal Leisure stazionava una lunga fila di minatori i quali attendevano ordinatamente il loro turno di essere visitati dal dott. Enys. Per poter pubblicare i suoi studi scientifici Dwight aveva infatti necessità di raccogliere dati e quindi svolgeva periodici controlli all’apparato respiratorio dei lavoranti.
“Che cos’è quella strana processione di poveracci, zio?” – domandò Caroline, incuriosita.
“Mia cara, quelli che tu definisci poveracci sono minatori; a Sawle la maggior parte degli abitanti fa il minatore o il pescatore. Quel giovane biondo che staziona sotto la tettoia con lo stetoscopio in mano è il dottor Enys, una gran brava persona. È il medico assunto dalle miniere dei Poldark (padre e zio di quel Francis che hai conosciuto), che così garantiscono un controllo sulle condizioni di salute dei loro lavoranti e, in definitiva, si assicurano migliori prestazioni , riducendo anche il rischio di incidenti sul lavoro. Aspetta, ora lo saluto”. Così il giudice stese un braccio, si sporse leggermente dalla carrozza e salutò a gran voce Dwight.
Il giovane medico si voltò e Caroline potè notare non solo che era molto giovane – probabilmente doveva avere solo sette, otto anni più di lei – ma aveva degli splendidi occhi azzurri, che si incrociarono con i suoi per pochi istanti, sufficienti per far comprendere che anche lui l’aveva notata ed era rimasto colpito dalla sua bellezza.  
Nel tardo pomeriggio, dopo che la cameriera ebbe sistemato i numerosi bauli che la ragazza aveva portato con sé per due sole settimane di permanenza, Caroline ebbe una brutta sorpresa. Horace, il suo adorato carlino, dopo aver vomitato appariva sofferente e sembrava respirasse a fatica.
Le sue urla isteriche avevano fatto accorrere lo zio nella sua stanza, e superati i primi attimi di panico la giovane lo aveva pregato di cercare un medico per occuparsi della sua preziosa bestiola. Lo zio, dopo aver riflettuto, pensò che la capricciosa nipote non avrebbe mai accettato di far curare Horace da uno qualunque dei suoi coloni - cui di solito egli si rivolgeva per rimedi empirici quando mucche, maiali o cavalli stavano male -; d’altra parte Thomas Choake non si sarebbe mai scomodato per il malessere di un cane; forse l’unica persona disponibile, non fosse altro che per bisogno dal punto di vista economico, era il dottor Enys.  Mandò allora un messo con un biglietto per Dwight in cui lo pregava di recarsi a casa sua per una questione della massima urgenza.
Notevole fu lo stupore del giovane medico quando scoprì che l’emergenza per la quale era stato contattato con tanta premura riguardava la bestiola e non gli abitanti della casa.
Benchè non fosse un veterinario accettò di prestare cure all’animale. Dwight palpò l’addome del cagnolino, gli guardò all’interno della bocca e concluse che doveva aver mangiato qualche alimento che gli aveva fatto male, ma in breve si sarebbe ripreso. Nel frattempo bisognava assicurarsi che bevesse, che non facesse sforzi e che fosse tenuto al caldo.
Terminata la visita, osservò meglio quella fanciulla che prestava mille cure e coccole al suo Horace. Era davvero molto bella, aveva lunghi capelli biondi, occhi azzurri, le labbra perfette messe in evidenza da un rossetto scarlatto ed un incantevole nasino all’insù. La dolcezza che Caroline rivolgeva al suo animale da compagnia era tuttavia l’opposto dell’atteggiamento che la ragazza riservava di solito agli esseri umani.
“Allora, il vostro onorario?” – domandò al giovane medico.
Dwight replicò che non intendeva richiedere alcun compenso, dato il tempo ridotto che aveva dedicato al consulto.
“Com’è possibile? – disse allora Caroline – se non pretendete nulla per il vostro intervento, devo desumere che esso non vale nulla… che voi non valete nulla!”
A quelle parole, il medico non ci vide più.
“Come osate offendermi in questo modo, se neppure mi conoscete? Evidentemente siete abituata a valutare tutto in termini monetari, e non riuscite ad apprezzare un gesto gratuito, generoso. Non sono uno specialista veterinario; se ho curato il vostro animale è per il rispetto che mi lega a vostro zio, altrimenti, se avessi saputo di cosa si trattava, non sarei neppure venuto.”.
“Avreste quindi lasciato senza cure la mia bestiola? Siete senza cuore, dottor Enys”.
“Continuate ad essere ingenerosa nei miei confronti, miss Penvenen. Data la mia professione, il dolore di ogni creatura vivente non mi lascia indifferente… lasciate però che vi dica che mi indigna pensare che voi sareste disposta a sborsare qualsiasi cifra per curare il vostro cagnolino, e che c’è gente che assiste impotente alla morte dei propri figli, perché non ha mezzi per curarli… proprio adesso è in corso un’epidemia di scorbuto nel distretto, sarebbe curabile se si potesse consumare tanta frutta, in particolare arance, ma quasi nessuno in zona può permettersi cibi così costosi.”.
“Volete farmi sentire in colpa perché ho una posizione agiata?  La povertà altrui non dipende da me e le malattie non sparirebbero, neppure se lo volessi.” – replicò la giovane. 
“Vi sbagliate – ribattè l’uomo – non volevo biasimare il vostro modo di vivere o la vostra ricchezza; intendevo solo dire che una società che consente a pochi di vivere nel lusso e a tanti di non avere neanche il minimo per sopravvivere non è una società giusta…”
“Forse avreste dovuto studiare filosofia, piuttosto che medicina, dottor Enys … va bene, credo sia inutile proseguire sull’argomento. Prendo atto della vostra decisione di rifiutare un compenso.; affinchè però non mi senta perennemente in debito con voi, posso in qualche modo, anche in forma non monetaria, esprimervi la mia gratitudine per aver curato Horace? Ad esempio invitandovi a restare a cena con noi questa sera?”
Dwight declinò educatamente l’invito dicendo che aveva delle visite da completare in paese, proprio a causa dell’epidemia in corso, ma rassicurò la fanciulla che non doveva affatto sentirsi in dovere di contraccambiare il suo gesto.
Mentre lo osservava dalla finestra andare via in groppa al suo cavallo, Caroline pensò che quell’uomo poteva rivelarsi un piacevole diversivo in quella noiosa campagna inglese…
Una settimana dopo il dottor Enys si vide consegnare a casa venti cassette cariche di arance.  Sorrise nel leggere sul biglietto la firma di colei che gliele aveva fatte recapitare. Immediatamente Dwight si fece aiutare dai fratelli Daniels per distribuire quella frutta, grazie alla quale si sarebbero potute salvare molte vite. Intinse la piuma d’oca nel calamaio e vergò poche righe di ringraziamento per la sua benefattrice. Non si sarebbe mai aspettato che dietro quell’apparente strafottenza la capricciosa miss Penvenen nascondesse un cuore d’oro.
***
Poco prima di Natale Charles Poldark aveva chiesto a Demelza che intenzioni avesse, se desiderava avere qualche giorno di libertà da trascorrere con la sua famiglia. La ragazza sapeva che la signora Agatha aveva organizzato un grande banchetto per il pranzo di Natale e che, essendoci tanti invitati, sarebbe stato necessario un aiuto in più per servire a tavola; inoltre la incuriosiva molto vedere come si festeggiava il Natale in una famiglia ricca. Rispose quindi che avrebbe preferito recarsi a casa sua a Illugan il giorno della vigilia, magari portando qualcosa da mangiare, poi avrebbe fatto rientro a Trenwith nel pomeriggio del 24. Charles le fece dono di un grosso tacchino arrosto e così anche la famiglia Carne potè avere un pasto degno del giorno di Natale.
Ogni volta però che tornava a casa, e non accadeva molto spesso, Demelza avvertiva la netta sensazione di non appartenere più a quel posto. Tom, suo padre, non era stato certo un genitore affettuoso di cui sentire la mancanza; voleva bene ai suoi fratelli, cui aveva fatto da mamma quando erano rimasti orfani, ma erano dei bambini senza istruzione cui la vita non poteva offrire prospettive molto diverse da quelle del loro padre. Lei invece aveva altre ambizioni: voleva trovare il suo posto nel mondo, che la facesse sentire libera e soddisfatta di sè. Per quale motivo considerare il suo destino già scritto? A Illugan era solo la figlia di Tom Carne, il minatore, a Trenwith poteva essere Demelza, una creatura nuova.
Per le feste era tornata a Trenwith anche Verity, accompagnata dal marito e dai due figli di prime nozze di lui, una femmina all’incirca dell’età di Demelza ed un maschio più piccolo. Verity era stata decisamente adorabile nei confronti di  Demelza: l’aveva ringraziata per le cure prestate alla cara prozia e soprattutto per la pazienza dimostrata nel sopportare le sue bizze! Demelza aveva risposto che non aveva mai conosciuto i suoi nonni e che fare compagnie alle persone anziane, apprendere tramite i loro racconti tanti aneddoti del passato le era sempre piaciuto e che la signora Agatha, pur con il suo carattere puntiglioso, era davvero adorabile!
Il giorno del ricevimento Demelza si svegliò molto presto, si lavò ed indossò la livrea scura che di solito portavano le altre due cameriere Mary e Berthe, con le quali avrebbe servito a tavola.
Tra gli invitati non c’erano solo parenti, cioè i Poldark di Nampara e quelli acquisiti di Verity, ma anche diversi amici: il dottor Choake e signora, il dottor Enys, George Warleggan, John e Ruth Treneglos, la signora Teague con una figlia ancora nubile, i signori Chynoweth.
Demelza si chiedeva per quale assurda ragione marito e moglie non fossero seduti di fianco a tavola. Ross era tra Ruth Treneglos e la signora Choake; Elizabeth tra Francis e George Warleggan. Anche gli altri coniugi erano divisi; Charles era a capotavola ed aveva a destra la signora Agatha e a sinistra Joshua.
Mentre si servivano le succulente pietanze preparate dai cuochi di Trenwith Demelza non potè fare a meno di cogliere qualche stralcio di  conversazione. Osservò che gli uomini erano decisamente più rumorosi, in particolare Charles era il più ciarliero, insieme al dottor Choake. Parlava soprattutto di politica o di vini, argomento di cui il medico pareva molto esperto! I giovani, ad esempio Ross e Dwight, parlavano più che altro sottovoce con le loro vicine di posto. Il dottor Enys ad esempio era stato messo accanto alla signorina Teague, una ragazza brufolosa e poco avvenente che sembrava voler fare a tutti i costi colpo su di lui; il dottorino doveva essere molto timido, pensò Demelza, perché pareva quasi in imbarazzo di fronte a tutte quelle attenzioni.
Chi appariva invece pienamente a suo agio era la moglie di Ross. Nonostante la gravidanza avanzata era sempre in forma smagliante e sembrava divertirsi molto alle battute di Francis e, in misura minore, di George. Parlava ora con l’uno, ora con l’altro, e rideva di gusto, senza quasi mai volgere lo sguardo verso Ross. Demelza notò che non aveva quasi toccato vino, probabilmente per la gravidanza, e che mangiava a piccoli bocconi, masticando piano e a bocca chiusa. Quindi era così che si doveva mangiare secondo il galateo… era evidente che nessuna delle persone seduta a quel tavolo aveva conosciuto la vera fame, quella che ti spinge a mangiare con voracità, senza nemmeno gustare i sapori dei cibi, grati di avere qualcosa da mettere sotto i denti per sopravvivere! Lei invece sapeva bene com’era quella sensazione…
Dopo una serie inesauribile di portate, dopo che gli ospiti ebbero magnificato tutto quanto offerto dai padroni di casa, mentre Mary e Berthe sparecchiavano e riportavano tutto nelle cucine, tutti gli ospiti si spostarono nella saletta adiacente in cui gli uomini avrebbero potuto fumare e bere liquori di fine pasto. Charles chiese quindi a Demelza di girare tra gli invitati con  il vassoio dei dolci. La ragazza eseguì il compito e lasciò che tutti si servissero in abbondanza. La signora Agatha si era seduta al suo tavolino ed aveva sequestrato la signora Choake e la signora Teague per giocare a carte. Verity si era seduta alla spinetta ed intonava melodie natalizie. Francis, Charles e Andrew Blamey fumavano, George cercava di attaccare bottone, senza troppo successo, con il dottor Enys e il dottor Choake. I genitori di Elizabeth avevano abbandonato il banchetto con la scusa di dover fare delle visite di cortesia prima di rientrare a Cusgarne. Le due coppie giovani, i Treneglos e i Poldark, si erano finalmente riunite ed accompagnavano con il canto la musica di Verity. Mancava solo il signor Joshua. Demelza lo trovò in sala da pranzo, accanto alla finestra che dava sul giardino, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Tutto bene, signore?” – chiese timidamente la fanciulla.
“Sì, sì, grazie cara. È solo che le feste riportano alla mente tanti ricordi di chi non c’è più. Grace amava molto questo scorcio del giardino.”
“Eravate molto innamorati?” – domandò Demelza.
“Moltissimo – replicò Joshua – ma non era solo questione di provare un sentimento l’uno per l’altra. Da quando ci siamo conosciuti era come se avessimo smesso di essere Joshua Poldark e Grace Vennor, ciascuno con le sue idee, i suoi desideri, la sua storia, ma come se fossimo rinati in un’entità nuova, come se agissimo all’unisono, l’uno completando l’altra. E’ difficile da spiegare a chi non lo ha vissuto!”
“Certo, posso solo intuire, signore -  aggiunse Demelza –e penso proprio che pochi sono così fortunati da conoscere un amore così profondo come quello che mi descrivete”.
“Hai ragione” – concluse l’uomo, scuotendo la testa amaramente. Era chiaro ciò a cui stava pensando, ma come poteva confidare le sue angustie alla cameriera della zia?  Era molto preoccupato per Ross, sentiva di essere stato troppo precipitoso circa un anno prima quando aveva combinato le nozze con Elizabeth...forse sarebbe stato meglio che i due giovani si frequentassero un po’ prima di sposarsi. Aveva la netta sensazione che tra i due ci fosse attrazione fisica ma poco collante; ad oltre sei mesi dal matrimonio non erano diventati una coppia, erano rimasti semplicemente Ross ed Elizabeth, lui troppo intento a recitare il ruolo di cavalier servente e lei una bambolina troppo presa da se stessa; non vi era alcun progetto condiviso, a parte forse quel bambino in arrivo; lui non coinvolgeva Elizabeth nella sua vita, lei teneva Ross al margine della sua. Non aveva mai visto negli occhi di suo figlio, quando guardava suo moglie, il bagliore che illuminava il suo sguardo quando Grace gli era accanto.
“Non siate pessimista, signor Joshua – gli disse Demelza – tra un paio di mesi nascerà il vostro nipotino,  potrete tenerlo sulle ginocchia, insegnargli a parlare e a camminare, raccontargli della signora Grace! Magari le assomiglierà, chi può dirlo?”
Joshua le sorrise: avrebbe voluto avere l’inguaribile ottimismo di quella ragazza. Guardandola allontanarsi con il suo vassoio ormai vuoto si ritrovò a pensare che aveva qualcosa in comune con la sua Grace: anche lei aveva una dolcezza capace di restituirgli in un attimo il buon umore. Sì, se si fossero conosciute, quella Demelza a Grace sarebbe piaciuta molto.

 

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Capitolo 6
*** cap. 6 ***


Il figlio di Ross ed Elizabeth venne alla luce a Nampara nelle prime ore del 14 febbraio 1785, nel corso di una eclissi totale di luna. Le doglie erano iniziate parecchie ore prima e la partoriente era stata assistita dalla fida signora Tabb e dal dottor Choake; a Prudie era stato consentito soltanto di fare capolino ogni tanto per portare biancheria pulita e ritirare quella sporca di sangue.
Joshua e Ross avevano aspettato in sala da pranzo, dinanzi al camino, ed il padre aveva confortato Ross raccontandogli delle due volte in cui aveva scavato un solco nel corridoio dinanzi alla camera di Grace prima che partorisse.
Finalmente, poco dopo l’una di notte, la signora Tabb ammise Ross nella stanza e gli mostrò, avvolto nelle fasce, un neonato di sesso maschile, un frugoletto dai capelli scuri che piangeva a pieni polmoni, con il viso rosso come un peperone.
Al settimo cielo per la gioia, Ross riuscì solo a dare un bacio sulla fronte ad una Elizabeth stremata che chiese di rimanere sola per poter riposare un po’.
Per desiderio della madre al bambino fu imposto il nome di Valentine, perché era nato nel giorno di San Valentino.
Appena si fece giorno Jud fu mandato a Trenwith per dare il lieto annuncio ai parenti di Ross.
“Valentine: nessuno nella nostra famiglia si chiama così. E poi è nato in una notte di luna nera: non ne verrà fuori nulla di buono!” – aveva bofonchiato zia Agatha alla notizia, subendo i rimbrotti di Demelza per aver detto una cosa tanto sgradevole nei confronti di un bambino appena nato.
Che fosse colpa della luna o meno, pochi mesi dopo la nascita di Valentine si scatenò davvero una serie di sciagure per la famiglia Poldark.
Una sera di fine marzo il cavallo di Joshua tornò a Nampara senza cavaliere. Jud e Ross presero delle lanterne, salirono a cavallo e girarono in lungo e in largo alla ricerca di Joshua. Alla fine, dopo lungo peregrinare, lo trovarono senza vita nel bosco che divideva Nampara da Trenwith. Secondo Dwight, che fu chiamato ad esaminare il cadavere, con tutta probabilità era stato sbalzato da cavallo all’improvviso, forse a causa di un sasso o di una radice, gli si era fratturato il collo ed era morto sul colpo.
Benchè fosse stato un padre spesso sfuggente, la morte di Joshua lasciò Ross con un grande senso di frustrazione. Provava rimpianto per il tempo perduto, per tutti gli anni in cui non era stato capace di stare accanto a quell’uomo consumato dal dolore per la morte della moglie, anni in cui lui stesso aveva rischiato di perdersi e di finire sulla forca; poi, tornato in patria, per la prima volta si era reso conto di quanto suo padre lo stimasse ed appoggiasse in tutte le sue iniziative. Il destino beffardo aveva voluto che proprio adesso che la sua vita era stata coronata dalla nascita di un figlio suo padre non potesse gioirne insieme a lui.
Qualche giorno dopo il funerale Ross si recò da Harris Pascoe per formalizzare la pubblicazione del testamento; ebbe tuttavia un’amara sorpresa quando scoprì che, sebbene fosse unico erede di tutte le sostanze del padre, costui lo aveva lasciato in un mare di debiti. Nampara era stata ipotecata per pagare i lavori di ristrutturazione dell’anno prima e c’era da pagare una somma ingente con gli interessi entro un mese. Joshua infatti aveva dilapidato ogni suo risparmio ben prima che Ross tornasse dall’America ed i proventi degli affitti erano appena sufficienti per gestire le spese correnti.
Pascoe fu molto chiaro: o entro un mese si reperiva la somma necessaria a saldare il debito con la banca, oppure si doveva presentare una nuova richiesta di prestito con dilazione; ma, esaminando i conti della Leisure, Ross si rese conto che non sarebbe riuscito a guadagnare quella somma entro così breve tempo. D’altra parte, la miniera non stava rendendo quanto sperato, il progetto del consorzio per la fonderia si era arenato ed un nuovo ostacolo si era frapposto sulla sua strada: Pearce e Choake avevano venduto le proprie quote a George Warleggan. Il banchiere le aveva rilevate non tanto perchè fosse interessato al settore minerario, ma perché fin dai tempi della scuola nutriva una profonda invidia per Ross e non vedeva l’ora di potergli mettere i bastoni fra le ruote. Con George in società non sarebbe mai stato possibile attuare scelte rischiose, anzi era certo che alla prima difficoltà avrebbe trovato il modo di farlo chiudere.
Dopo aver riflettuto per giorni Ross decise che l’unica via di uscita era vendere le sue quote nella Leisure per riaprire la Wheal  Grace. Lì sarebbe stato unico proprietario e non avrebbe dovuto rendere conto delle sue scelte a nessuno. George si sarebbe sicuramente fatto allettare dalla prospettiva di essere il socio di maggioranza ed avrebbe acquistato le sue quote ad un giusto prezzo.  Certo, vendere le quote di una miniera che rendeva abbastanza per aprirne una chiusa da anni era un vero azzardo; eppure Ross non aveva dimenticato ciò che raccontavano i vecchi minatori di suo padre quando era piccolo: se si fosse scavato giù in fondo, fino ad arrivare al filone della vecchia miniera Trevorgie lì adiacente, si sarebbe trovato tantissimo rame.
“Lasciate che vi dica che non è affatto una condotta prudente da parte vostra, tanto più ora che avete una moglie ed un figlio a cui pensare.” – gli disse il banchiere Pascoe quando Ross gli comunicò le sue intenzioni.
“Dovrei forse lasciare quella moglie e quel figlio senza un tetto sulla testa? – replicò Ross – nella Grace sarò l’unico a percepire i profitti, mentre con la Leisure dovrei dividerli con altri.”
“Ma non avete certezza che la Grace vi darà i profitti sperati. E poi non avete risolto il problema dei debiti. Perché non riscattate l’ipoteca su Nampara, prima di lanciarvi in quest’avventura rischiosa? ”
“E di cosa potrei vivere, dopo aver riscattato la casa? Dove troverei il denaro per riaprire la miniera? Devo fare questo tentativo, caro Harris. La casa sarebbe comunque persa. E poi nemmeno con la Leisure ho mai avuto certezze, con le miniere è sempre così. Taglierò le spese nel frattempo, il più possibile.”
E così Ross, cedute le quote della Wheal Leisure e reinvestito il capitale nell’acquisto di una pompa per aspirare l’acqua dai livelli più bassi, riaprì la Wheal Grace, portandosi dietro i collaboratori di fiducia: Zacky Martin,  i fratelli Daniels, il capitano Henshawe. Dovette licenziare Jim Carter e la signora Tabb, con sommo dispiacere di Elizabeth, per poter mantenere almeno la balia.
Jud e Prudie accettarono di restare a lavorare a salario ridotto, non dimentichi dei favori ricevuti dal vecchio padrone nel corso degli anni, a dispetto della loro pigrizia. Tutti i mobili della camera da letto di Joshua furono venduti al mercato di Truro, insieme ai suoi abiti migliori e ad un paio di orologi da taschino. Furono ceduti ai possidenti vicini quasi tutti gli animali della fattoria, mantenendo soltanto quelli indispensabili.
Grazie a questi accorgimenti Ross riuscì a racimolare quanto necessario per affrontare con serenità quella primavera, in attesa che la Grace riprendesse a funzionare a pieno regime. Era naturale però che Elizabeth covasse dentro di sé un profondo rancore per aver dovuto rinunciare quasi del tutto ad una vita sociale decente, non potendosi permettere vestiti nuovi né qualsiasi gioiello o orpello superfluo. Aveva smesso anche di frequentare Ruth Treneglos, per la vergogna legata alle disastrose condizioni economiche in cui la sua famiglia si trovava. Neppure la nascita di Valentine riusciva a darle serenità: dopo il primo mese di felicità e di piena armonia con suo marito, la morte del suocero aveva fatto piombare Ross in una situazione davvero complicata, rendendolo il più delle volte distratto ed intrattabile; in più la donna aveva perduto il latte, Valentine aveva cominciato a non crescere ed era stato necessario ingaggiare una balia.
Ma le disgrazie per i Poldark non erano affatto finite: a giugno morì anche lo zio Charles; a differenza di Joshua nel suo letto, per un colpo apoplettico.  
Francis dovette rientrare in fretta e furia da Londra e prendere in mano le redini degli affari di famiglia. In realtà egli si limitò a delegare ogni attività al capitano della Grambler, il signor Foster, raccomandando che gli fosse trasmesso mensilmente un rendiconto. Il capitano cercò di spiegargli che spesso si rendevano necessarie delle decisioni molto rapide, al che Francis, consultatosi con l’amico George, rispose che avrebbe rilasciato una ampia delega al signor Warleggan per provvedere in sua assenza. George però, che a sua volta aveva le mani in pasta nella Leisure, non aveva alcuna intenzione di far prosperare la Grambler. Oltretutto anche le attività commerciali di Francis a Londra avevano subito un ristagno e dalla Cornovaglia pervenivano continue richieste di spese urgenti per la miniera. Alla fine Francis si rese conto che ciò che guadagnava dalla vendita dei gioielli bastava appena per mantenersi a Londra e decise di rientrare a Trenwith.
Anche se Charles era stato più oculato del fratello Joshua e non aveva lasciato debiti , Francis doveva fronteggiare parecchie difficoltà. Oltre al personale di casa ed alla manutenzione ordinaria della grande tenuta di famiglia, le spese mensili per i salari dei minatori e dei fittavoli erano elevate ed era necessario compilare dei registri per tenere sotto controllo entrate ed uscite. Bastava una piccola variazione per mettere a rischio il gioco di equilibri che Charles aveva sino a quel momento gestito egregiamente. In più Francis, non avendo mai seguito le orme paterne, non era in grado di sincerarsi della veridicità delle informazioni che gli fornivano i vari sottoposti e temeva che gonfiassero i conti per approfittarsi della sua inesperienza e frodarlo.
Tempo una settimana dal suo rientro a casa il Poldark biondo era già stufo delle responsabilità e soprattutto era ben intenzionato a tagliare le spese della miniera e della casa onde non rinunciare ai propri piaceri e svaghi. Non si era mai privato di nulla quando era suo padre a reggere i cordoni della borsa, figuriamoci ora che era lui il padrone di tutto.  
Dopo un mese aveva ripreso ad indebitarsi pesantemente perdendo al gioco. George Warleggan decise che era giunto il momento di passare all’attacco: comunicò a Francis che non avrebbe potuto più finanziarlo, anzi era il caso di cominciare a saldare i debiti, altrimenti la sua banca avrebbe chiesto soddisfazione mettendo all’asta la proprietà. Ne nacque una furiosa lite e la fine di un’amicizia ventennale.
Trascorsi due giorni a meditare sul da farsi, Francis decise che non avrebbe ceduto a quel ricatto e che avrebbe continuato a giocare: prima o poi la dea bendata si sarebbe girata dalla sua parte ed avrebbe potuto ripagare i suoi debiti. In zona tuttavia la notizia delle sue cattive condizioni finanziarie si era diffusa e nessuno era disposto a giocare senza vedere prima il denaro sul tavolo o senza adeguate garanzie. Una sera, ad un tavolo, sfidò Matthew Sanson, l’uomo più ricco del circondario: era l’unico disposto a puntare le cifre importanti cui Francis ambiva. Visto che non aveva analoga possibilità, Francis decise di offrire come garanzia l’atto di proprietà della Grambler. Dopo un paio di mani fortunate per il giovane Poldark, la buona sorte lo abbandonò e a fine serata, verso la mezzanotte, l’atto di proprietà della miniera era nelle mani di Sanson. Da quel momento era diventato lui il padrone della storica miniera.
Francis tornò a casa completamente ubriaco. Non aveva avuto altra scelta che annegare nell’alcol la propria disperazione. Non solo non aveva risolto il problema dei debiti, ma per colpa del suo dannato vizio aveva dovuto rinunciare all’attività più remunerativa per la famiglia. Senza la Grambler non avrebbero potuto continuare a mantenere il solito tenore di vita, Warleggan avrebbe chiamato gli ufficiali giudiziari per pignorare Trenwith e Dio solo sa dove lui e zia Agatha avrebbero potuto trovare riparo….
Avanzò barcollando fino alla propria camera, quando, nel corridoio, si imbattè nella dama di compagnia di sua zia.
“Siete voi, signor Francis. Ho sentito dei rumori, mi avete spaventato a quest’ora… “- disse Demelza.
“Sì, sono proprio io, devo forse dare conto a te di che ore sono? E come mai tu sei ancora in piedi?” – le rispose sgarbatamente.
“Non riuscivo a dormire con questo caldo; non dovete rendermi conto di nulla, solo mi chiedevo… avete cenato? Posso portarvi qualcosa?”
“No, non ho cenato. Portami qualcosa di freddo e veloce. Formaggio, un po’ di frutta. E anche una bottiglia di porto”.
Demelza eseguì gli ordini, e dopo poco raggiunse Francis in camera.  
“Vi ho portato un bicchierino di porto ed anche una brocca d’acqua fresca. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere”.
“Veramente ti avevo chiesto una bottiglia intera di porto, non solo un bicchierino.”
“E’ vero, però…”
“Però cosa? – le rispose piantandole minaccioso gli occhi in viso – sono ubriaco? Altro alcol mi avrebbe fatto male? E tu chi sei per dirlo? Sei forse mia madre, o il mio medico?”
Demelza scosse la testa, a testa bassa, incapace di replicare.  Dopo un po’ riprese la parola e chiese: “Se non avete bisogno di altro, posso andare?”
“Perché tanta fretta? Resta a farmi compagnia! Ti racconterò una storia davvero interessante. C’era una volta un ragazzo, figlio di un uomo molto ricco, che lo aveva sempre considerato un buono a nulla. Quando quell’uomo morì il figlio divenne il padrone di tutta la sua fortuna. Finalmente, pensava, non avrò più problemi di soldi – perché il padre lo teneva sempre a corto di denaro, è ovvio, non fidandosi di lui – e potrò permettermi tutti i divertimenti e lussi che voglio. Non fu così che andò però: quel giovane fu tradito da un amico, un banchiere che negli anni gli aveva fatto credito puntando al momento in cui avrebbe percepito l’eredità, e si ritrovò così pieno di debiti da saldare. L’unico modo per trovare denaro era tentare la fortuna, continuando a giocare a carte; ma la fortuna gli aveva voltato le spalle. Così, una sera, quel giovane puntò al gioco e perse la miniera di famiglia: gran bell’affare! Forse suo padre aveva ragione nel considerarlo un buono  a nulla!”
Demelza, intuendo il messaggio che quella storia nascondeva, non si potè trattenere dal dire: “Giuda, avete perso al gioco la Grambler? Come avete potuto farlo? La signorina Agatha ne morirà quando lo saprà!”
“Eh già, la cara vecchia zia Agatha ne morirà! Una bocca in meno da sfamare ed uno stipendio in meno da pagare, il tuo!”
“Come potete dire questo? Siete una persona orribile!”
“Taci, sguattera! – le intimò Francis – ricordati che sono sempre il tuo padrone, tu dipendi da me, nel bene e nel male!”
“Sono una vostra dipendente, è vero, ma non potete impedirmi di pensare o di avere una mia opinione. Per me ciò che avete fatto è sbagliato, non avete pensato alle conseguenze del vostro agire, che non ricadranno solo su di voi, ma anche su quella povera vecchia, che ama questa casa e questa famiglia più della sua vita…non potrà sopportare il disonore di vedersi scacciata da qui come una miserabile!”
“Non è ancora detta l’ultima. Qui dentro ci sono una marea di mobili e cianfrusaglie inutili: può darsi che Sanson le accetti in cambio della miniera; oppure qualche pezzo di terra: ci ragionerò domani mattina. Adesso porta via questa roba – disse indicando a Demelza il vassoio che aveva portato con il cibo – e vattene”.
Demelza si avvicinò al tavolo e fece per prendere il vassoio. Fu allora che Francis la guardò più attentamente, illuminata dalla luce del candelabro. Non aveva mai fatto caso a quanto fosse carina quella ragazza. In più, avvicinandosi, lo aveva investito con il suo profumo: un profumo di fiori ed erbe selvatiche, forse acuito dai fumi dell’alcol.
“Aspetta un attimo – la bloccò prendendola per i polsi – ripensandoci, non c’è bisogno che te ne vada…”
“Lasciatemi, per favore”- cercò di divincolarsi lei.
“Sta’ calma, non voglio farti del male…”- rispose lui, carezzandola con il dorso della mano.
“Lasciatemi, vi ho detto!” – replicò Demelza, sentendosi inondare dal suo alito vinoso, ormai fin troppo vicino. Cercò di scappare, ma Francis si frappose fra lei e la porta e la chiuse a chiave.
“Dove credevi di andare? Hai dimenticato cosa ti ho detto prima, a proposito del fatto che sono il tuo padrone? Adesso vedremo quanto sei brava ad eseguire i miei ordini!”- concluse, umettandosi le labbra con un gesto osceno.

 

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Capitolo 7
*** cap.9 ***


Gli sembrò più magra di quando l’aveva vista l’ultima volta, il viso più sciupato; i capelli, più lunghi del solito, erano annodati in una folta treccia che le ricadeva sulla schiena; uno spesso scialle di lana grigia la avvolgeva, proteggendola dai primi freddi autunnali; ma la cosa che stupì di più Ross fu che Demelza non pareva più la ragazzina sorridente e spensierata che aveva conosciuto tempo prima: suo malgrado, era diventata una donna, e quella consapevolezza lo colpì come un pugno allo stomaco.
Aveva pensato tante volte a cosa le avrebbe detto rivedendola ed ora che era lì davanti a lui sembrava non trovare le parole adatte. Non voleva compatirla, non voleva metterla in imbarazzo facendo riferimento a quanto accaduto con suo cugino; in realtà non sapeva minimamente come comportarsi….non aveva mai avuto difficoltà a relazionarsi con lei, ma adesso Demelza stava in piedi, rigida, distante; non v’era più sul suo viso traccia di quello sguardo cristallino o di quel sorriso aperto e spontaneo che travolgeva chiunque la incontrasse. Eppure era lì, aveva fatto un passo verso di lui cercandolo e Ross pensò che non poteva sprecare quell’occasione rimuginando troppo.
“Come stai? Mi fa piacere vederti. Ti ho cercato tanto in questi mesi.” – le disse soltanto, invitandola con un gesto ad entrare nel suo ufficio, dove avrebbero potuto parlare con tranquillità senza essere disturbati.
“Non c’è bisogno di entrare, possiamo parlare qui fuori, tanto sarò breve. Sono venuta a cercarvi a proposito di questa – disse Demelza, sventolando la busta della lettera di zia Agatha – qui dice che vostra zia vive con voi a Nampara e che vorrebbe rivedermi”.
“E’ così – confermò Ross – sai quanto ti era affezionata. In questi mesi è stata molto afflitta per le tue sorti. Mi incaricò di cercarti appena … appena andasti via. Da quando si è trasferita da noi a Nampara la vedo sempre più triste ed annoiata, benchè cerchiamo di risollevarle il morale. È comprensibile, alla sua età ha subito uno stravolgimento delle proprie abitudini e..”
Demelza lo interruppe. “Vostra zia è stata sempre molto cara. Non avrei mai voluto lasciarla, se fosse dipeso da me. Sono venuta appunto a chiedervi se posso passare a salutarla”.
“Certo, certo, quando vuoi, oggi stesso magari! – esclamò Ross – anche se presumo che ti vorrebbe accanto più a lungo del tempo di un tè…”
Demelza sorrise. Nella lettera la signora Agatha la pregava di ritornare ad occuparsi di lei, dipingendo quasi come un inferno la vita a Nampara in compagnia di Elizabeth. Ricordava quanto poco la signora Agatha stimasse la moglie di suo nipote e quella accorata lettera gliene aveva dato la conferma, benchè, conoscendola, la prozia di Ross aveva certamente drammatizzato. Tuttavia, lasciò cadere nel nulla quell’allusione di Ross: aveva già dovuto cedere svelando dove fosse nascosta e dichiarandosi disponibile a rivedere la sua antica padrona, non avrebbe ceduto quanto al resto.
“Non credo sia opportuno presentarmi a casa vostra senza un preavviso. Dite alla signora Agatha che, se per lei va bene, verrò a Nampara domani in primo pomeriggio”- rispose la fanciulla, liquidando rapidamente la questione ed allontanandosi immediatamente. Ross dovette prendere atto della sua posizione e per il momento decise che non era il caso di insistere.
Indescrivibile fu la gioia di zia Agatha nel rivedere la sua antica protetta. Restarono fino a pomeriggio inoltrato a chiacchierare, chiuse nella stanza della anziana signora, suscitando il malcontento di Elizabeth: la sposa di Ross era consapevole che sarebbe stata certamente bersaglio di maldicenze da parte della decana dei Poldark ed era preoccupata delle conseguenze che quella visita poteva avere. La contentezza di Ross le dava ai nervi, soprattutto perché era stata molto chiara con lui, dicendo che non avrebbe gradito che cercasse Demelza e men che meno la portasse in casa loro, una domestica ricevuta come un’ospite di riguardo. Egli invece aveva agito di testa sua, come al solito. L’illusione della fase pre matrimoniale di poter controllare il marito a suo piacimento come un burattino semplicemente sbattendo le ciglia era miseramente crollata e la realtà non corrispondeva affatto alle aspettative della bella Chynoweth.
I timori di Elizabeth si concretizzarono al termine della visita: Ross si offrì di riaccompagnare Demelza a Sawle, dato che stava per imbrunire ed il tragitto non era breve.
La ragazza cercò di schernirsi, ma zia Agatha insistette così tanto che Demelza fu costretta ad accettare.
Elizabeth si morse la lingua, ma non fece commenti. Non poteva dare spettacolo davanti a quella sguattera, ma al ritorno Ross l’avrebbe sentita.
Ross aiutò Demelza a salire a cavallo, facendola sedere di lato davanti a sé, strinse le briglie e le promise che avrebbe tenuto un’andatura tranquilla, visto che lei non era abituata a cavalcare. Nel corso del tragitto, come da precedenti accordi con zia Agatha, Ross completò l’opera di convincimento di Demelza affinchè riprendesse a lavorare per la zia. Quando la signora glielo aveva domandato Demelza aveva risposto che molte cose erano cambiate nel frattempo e che, pur essendo eternamente grata al signor Charles per averle dato  l’opportunità di quel lavoro intendeva lasciarsi il passato alle spalle.
Quando ebbe ripetuto lo stesso discorso a Ross il capitano replicò che comprendeva il suo stato d’animo, tuttavia era un peccato che avesse abbandonato un lavoro che amava e che svolgeva con passione e dedizione encomiabili. Aggiunse che la zia aveva un carattere umorale, difficilmente adattabile, non aveva feeling con Elizabeth (che comunque non poteva dedicarle molto tempo, dovendo occuparsi del bambino) e che lo addolorava il pensiero che non fosse serena nei suoi ultimi anni di vita.
“Se accettassi di tornare a lavorare per lei potresti alloggiare in uno dei miei cottage, avresti i tuoi spazi e del tempo libero per te. Sempre che, ovviamente, tu non abbia già trovato un altro impiego.” – aggiunse poi.
Demelza raccontò che era stata fino a quel momento ospite della sua amica Rosina e che per ricompensarla la stava aiutando nei suoi lavori di sartoria. Si trattava, tuttavia, di una situazione precaria perché entro fine dell’anno Rosina avrebbe dovuto lasciare la casa di Sawle per trasferirsi a Redruth, dove risiedeva il suo futuro marito, e lei non aveva ancora deciso se rimanere a Sawle oppure provare a trasferirsi altrove.
Ross allora colse la palla al balzo per introdurre l’argomento della paga che doveva ancora ricevere e che la zia lo aveva incaricato di consegnarle.
A queste parole Demelza si irrigidì. “Sono andata via da Trenwith di mia volontà, consapevole di quelle che sarebbero state le conseguenze! Non siete in debito con me, né voi né vostra zia! Soprattutto non voglio che vi sentiate in dovere di risarcirmi per quello che è successo…”
“Nel modo più assoluto, non è quella la ragione – si affrettò a precisare Ross, visto che era stata lei ad accennare all’increscioso argomento – ci interessa solo che tu abbia ciò che è giusto. Sono già stato da tuo padre e gli ho versato quanto pattuito per tre mesi di lavoro, ma manca la quota da dare a te…”
“A proposito di mio padre: vi pregherei di non cercarlo più e di non fargli sapere che mi avete visto. Non vorrei essere tenuta a dargli troppe spiegazioni sulle mie scelte di vita” – disse Demelza.
Si lasciarono con la promessa che Demelza avrebbe seriamente pensato a quell’offerta di lavoro. Trascorse qualche altro giorno. Benché non fossero stati questi i suoi progetti iniziali, la ragazza riflettè che era da sciocchi precludersi una possibilità solo per una questione di principio; che la dolorosa ferita che le era stata inferta non si sarebbe rimarginata annullando se stessa o scappando in eterno; che, in definitiva, la signora Poldark non meritava di trascorrere in ambasce i suoi ultimi anni di vita, come temeva Ross, alle prese con una nipote acquisita poco amorevole e con lui che non era mai in casa.
Decise che avrebbe accettato uno stipendio più basso rispetto a quello che Charles Poldark versava a suo padre, ma lo avrebbe percepito per intero lei. Aveva quasi 19 anni ormai e non vi era motivo che suo padre esercitasse pretese sui suoi guadagni. Tra l’altro le era giunta voce che si fosse risposato con una vedova di Illugan, dunque non aveva più nemmeno la scusa di doversi sobbarcare da solo la cura della casa e dei sei figli.
Si presentò alla Wheal Grace e contrattò con Ross le condizioni di assunzione.
La reazione di Elizabeth quando apprese che Demelza aveva accettato il lavoro e si sarebbe presentata a prendere servizio l’indomani fu pessima. Cominciò ad alzare la voce e puntare i piedi, recriminando il fatto che per ragioni economiche aveva dovuto rinunciare alla signora  Tabb ed ora i soldi per assumere Demelza c’erano! Ross replicò che la Tabb era stata licenziata in un momento critico in cui dovevano tagliare le spese superflue, ma fortunatamente ora le loro finanze erano più floride. Del resto sua moglie non aveva più manifestato l’esigenza di una cameriera personale; Prudie aveva imparato a stirare in maniera decente ed Elizabeth stessa non usciva quasi più per occasioni formali. La balia veniva convocata sempre meno ora che Valentine era stato svezzato; inoltre Ross aggiunse che Demelza avrebbe potuto occuparsi anche di Valentine e dare un aiuto in casa, come già faceva a Trenwith, consentendo ad Elizabeth di dedicare più tempo a se stessa e riprendere l’agognata vita sociale che tanto le mancava.   
Non si sbagliava. La presenza di Demelza a Nampara fu un toccasana per tutti. Zia Agatha rifiorì, la casa assunse un’aria più ordinata ed accogliente, la cucina di Prudie migliorò nettamente grazie ad alcune ricette che Demelza le insegnò; persino Jud si ammansì e sull’esempio della rossa, sempre allegra e volenterosa, cominciò a borbottare di meno e lavorare di più. Elizabeth riprese a frequentare Ruth Teague e non ebbe più da ridire né sulla pulizia né sullo stato del suo guardaroba.
Fu grazie a Demelza che ci si accorse che il piccolo Valentine aveva problemi alle gambe. Sebbene Elizabeth di primo acchito rifiutasse sdegnosamente l’idea, Demelza dichiarò che aveva cresciuto sei fratelli più piccoli ed era assolutamente certa che Valentine avesse qualcosa che non andava. “Non dovrebbe trascinare così le gambe, vedete? Dovrebbe andare a gattoni. Perché non lo fate visitare al dottor Enys?”
Fu invece convocato il dottor Choake, che applicò al bambino una rigida e fastidiosa struttura, una sorta di armatura che gli stringeva le anche, provocandogli terribili crisi di pianto e lacerazioni della pelle. Elizabeth era in crisi perché il suo bambino non era perfetto come da aspettative; zia Agatha senza farsi sentire dalla madre lo chiamava “il piccolo storpio”, suscitando l’ira di Demelza, che invece provava pietà per lui e non trovava giusto deriderlo; Ross era preoccupato per suo figlio ed alla prima occasione, temendo che Choake avesse preso un’altra delle sue cantonate, interpellò Dwight.
L’amico medico fu più ottimista di Choake: spesso nei neonati si riscontrava quel problema alle anche, ma intervenendo tempestivamente non ci sarebbero stati problemi futuri. Purtroppo la trazione delle gambine tramite l’apparecchio suggerito da Choake era necessaria e doveva durare svariati mesi, onde evitare che il bambino imparasse a camminare in una posizione scorretta. 
L’effetto benefico della presenza di Demelza a Nampara toccò anche Ross. La riacquistata serenità della zia, la distensione dei rapporti tra Elizabeth e la servitù, la speranza che suo figlio potesse camminare e correre, in futuro, come tutti gli altri bambini, gli riempirono il cuore di gioia. Tutto ciò era stato possibile grazie a Demelza. Anche il suo rapporto con Elizabeth migliorò: superato un iniziale periodo di diffidenza, di gelosia quasi, nei confronti di Demelza, che con la sua dolcezza aveva conquistato l’affetto del bambino come di tutti gli altri abitanti della casa, la moglie di Ross fu sempre più spesso disponibile ad affidare Valentine a Demelza. I due sposi ne approfittarono per trascorrere sempre più momenti insieme, riprendendo a frequentare gli amici e talvolta anche la famiglia di Elizabeth. Non era una vita del tutto congeniale a Ross, ma si era reso conto, dopo un anno e mezzo di matrimonio, che se voleva andare d’accordo con sua moglie doveva venirle incontro. Notò infatti che Elizabeth, vedendosi accontentata, aveva ritrovato il sorriso e quella dolcezza che lo aveva fatto innamorare.
Una sera furono invitati ad un ricevimento per festeggiare il matrimonio del vicario Whitworth, il cugino di Elizabeth che aveva officiato le loro nozze. Osborne era imparentato per parte di madre con il visconte Godolphin, uno degli uomini più in vista della contea. Elizabeth sottolineò a Ross che era importantissimo prendere parte a quel ricevimento: innanzitutto era ora che il nome dei Poldark venisse associato a prudenza e lungimiranza negli affari, allontanando dalla figura di Ross l’infamia dell’accusa di bancarotta a carico di Francis. Inoltre, con Ray Penvenen ormai inabile, era necessario designare il nuovo giudice del Tribunale di Truro; Charles Poldark aveva ricoperto a lungo quella carica e lo stesso era accaduto con il padre della signora Agatha. Ogni famiglia rispettabile annoverava almeno un magistrato nella sua storia ed era tempo che Ross non si limitasse al modesto ruolo di fattore e proprietario di miniere ma che conquistasse il ruolo che gli competeva per nascita.
Ross come al solito non era d’accordo con quei discorsi, che gli sapevano tanto di arrivismo; tuttavia accontentò Elizabeth ed accettò di accompagnarla alla festa, sopportando la fatica di abbigliarsi come un pinguino pur di non farla sfigurare.
Mentre sua moglie tesseva abilmente la tela delle relazioni con sir Bassett, lord Falmouth ed il visconte Godolphin egli si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Gli sembrava di essere un oggetto in vendita al mercato e che sua moglie fosse il banditore che ne esaltava le qualità davanti al pubblico. Fece ampi sorrisi e si trattenne da ogni intemperanza, pensando che forse non tutto il male veniva per nuocere: nuove alleanze politiche potevano significare nuovi finanziatori, nuove assunzioni di minatori e, magari, se le cose fossero andate per il verso giusto con gli scavi, avrebbe potuto riscattare la Grambler e rendere così giustizia alla memoria di suo zio Charles. Di fare il magistrato, però, non aveva la minima intenzione: si sentiva indegno di giudicare altri uomini ed anche se Elizabeth ne sarebbe rimasta delusa, sicuramente altri candidati non sarebbero mancati.
Ad un certo punto però, stanco di dover fingere di essere a suo agio e divertirsi preferì eclissarsi e si appartò in una biblioteca. Estrasse un libro a caso da uno scaffale, cosicchè, se fosse stato sorpreso, avrebbe trovato la scusa di essere interessato alla lettura, e si lasciò cadere su una poltrona. Era molto stanco: controllò l’orologio nel taschino ed era mezzanotte inoltrata. Si ritrovò a pensare a Valentine, che a quell’ora doveva essere addormentato, con Demelza che probabilmente si era assopita sulla poltrona accanto al suo lettino, con Garrick ai piedi ed il camino acceso che esalava gli ultimi bagliori. Sorrise a quell’immagine. Era curioso, ma Demelza era capace di suscitare serenità anche solo pensando a lei. Da quando lavorava a casa sua avevano avuto varie volte occasione di conversare; quella stessa sera ad esempio, in attesa che Elizabeth fosse pronta, Demelza gli aveva tenuto compagnia in cortile finchè non era arrivata la carrozza. Doveva ammettere che gli piaceva parlare con quella ragazza: era curiosa, empatica, sincera; quando era con lei non doveva indossare maschere, ma essere semplicemente se stesso. La governante di sua zia sembrava avere l’abilità di tirare fuori il meglio dalle persone. Demelza aveva compreso che Ross non era del tutto entusiasta della prospettiva di partecipare alla festa, ma lo aveva spronato ad andare facendogli notare gli aspetti positivi derivanti dalla frequentazione dei suoi pari: avrebbe potuto ad esempio convincere anche gli altri padroni ad assumere il dottor Enys quale medico delle miniere per tutelare la salute dei lavoratori, oppure invogliare altri soci ad unirsi alla sua impresa. “altrimenti, se vi annoiate troppo, mettetevi a sbadigliare e date la colpa a Valentine che non vi fa dormire!” – aveva concluso Demelza, facendolo scoppiare a ridere.   
Era davvero una fortuna che, nonostante la violenza subita, Demelza non serbasse rancore ed avesse riacquistato il consueto buonumore. Ross si rese conto di esserle molto affezionato e che, ora come ora, non sarebbe riuscito a fare a meno della sua presenza.

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Capitolo 8
*** cap. 7 ***


Il primo settembre 1785 iniziò come una giornata da incorniciare per Ross. Alle prime luci dell’alba si era recato alla Wheal Grace con i suoi fidatissimi uomini ed era sceso nelle profondità della terra per verificare se tutti i suoi sforzi degli ultimi mesi avevano avuto senso. La pompa acquistata con il denaro di Warleggan aveva prosciugato tutta l’acqua che aveva invaso i livelli più bassi della vecchia miniera che ora, finalmente, potevano essere esplorati. Armati di lanterne , secchi e scalpelli Ross, Henshawe, Zacky e i due Daniels si diressero verso i cunicoli più ad ovest, in direzione della vecchia Trevorgie, lavorando per ore. Verso le otto del mattino risalirono in superficie ed analizzarono alla luce del giorno i campioni di roccia che avevano prelevato. Con grande sollievo di tutti, la maggioranza dei campioni conteneva tracce di stagno, e di solito la presenza dello stagno precedeva e preannunciava quella del più ambito rame. Mentre i minatori tornavano a scavare pieni di entusiasmo per la scoperta, Ross rientrò a casa per cambiarsi e ripulirsi dalla polvere, ripromettendosi poi, dopo aver fatto il bagno, di andare a Trenwith a trovare zia Agatha, che non vedeva da un po’, per recare anche a lei la lieta notizia.
Erano quasi le dieci del mattino quando giunse in un cortile di Trenwith insolitamente silenzioso. Legò il cavallo ad un gancio nella stalla, poiché nessuno dei domestici gli era venuto incontro, e bussò alla porta. Dopo qualche minuto di attesa gli venne ad aprire Berthe, che lo accompagnò in un piccolo salotto dove si trovava la prozia. La donna era seduta in poltrona, in completo ozio, e teneva le mani in grembo, immobile come una statua. Ross la salutò con giovialità chiedendole come stesse; aggiunse poi che aveva grandi notizie dalla Wheal Grace: forse aveva trovato un grosso filone di stagno e se le sue speranze fossero state confermate avrebbe potuto assumere nuovi operai.
La donna non sembrò quasi accorgersi della sua presenza e dei suoi discorsi e rimase a fissare un punto indefinito della stanza, persa dietro chissà quali pensieri.
“Zia, va tutto bene?” – le chiese Ross inginocchiandosi di fronte a lei e stringendo le mani ossute fra le sue, senza ottenere ancora una risposta. Meravigliato da quell’ostinato silenzio, il giovane si guardò intorno e solo in quel momento realizzò che c’era qualche altra cosa che non andava, oltre al mutismo di zia Agatha.
“Dov’è Demelza, zia?” – domandò.
All’udire quel nome la vecchia parve riscuotersi dal suo torpore e girò lo sguardo verso Ross, fissandolo smarrita. I suoi occhi cerulei si riempirono di lacrime ed il labbro inferiore cominciò a tremolare, senza tuttavia che la povera vecchia riuscisse a profferire parola. Fu solo dopo ripetute insistenze del nipote che la prozia si decise a rivelare ciò che la angustiava.
Pochi minuti dopo, Ross percorreva a quattro a quattro i gradini della scala che conduceva al piano superiore.
Come una furia, irruppe nella stanza da letto del cugino, che si era appena alzato e si stava vestendo, lo afferrò per il bavero della camicia e lo spinse contro la parete urlandogli: “Miserabile, che cosa hai fatto?”
Francis si liberò dalla presa e spinse via con forza il cugino, il quale rischiò di perdere l’equilibrio e andò a sbattere contro un tavolino rotondo, che cadde in terra con un tonfo.
“Come osi entrare nella mia stanza senza bussare, aggredendomi in questo modo? Che diavolo ti prende, Ross?”
“Non avrei mai creduto che fossi capace di scendere tanto in basso! – esclamò Ross al colmo dello sdegno - E’ una vera fortuna che mio padre e il tuo siano morti e che sia stata loro risparmiata questa vergogna! Quella povera ragazza….”
“Aahh, ti riferisci a quello! – rispose lui sogghignando – vedo che la vecchia ha vuotato il sacco… Ebbene, riconosco che la cosa mi sia un po’ sfuggita di mano, ma è stata lei a costringermi… io volevo solo divertirmi un po’, ma quella strega ha fatto la schizzinosa, mi ha urlato contro, costringendomi a serrarle la bocca per non svegliare tutta la casa: allora mi ha morso la mano a sangue, quasi staccandomi un dito - disse, mostrando i segni al cugino – e mentre io mi ero ritratto, dolorante, mi ha preso a pugni e calci e mi ha persino sputato in faccia! A quel punto, dopo un’offesa simile, non potevo lasciarla andare come se niente fosse! Diciamo che ho dovuto prendere con le cattive ciò che non mi dava con le buone!”
“Mio Dio, risparmiami i particolari… – disse Ross, sconvolto– non ti rendi nemmeno conto della gravità di ciò che hai fatto!”
“Mio caro cugino, noto con disappunto che sei diventato moralista! Solo perché la tua Prudie è grassa come un bue non vuol dire che non puoi provare a metterti nei miei panni!  Non sono né il primo né l’ultimo padrone che cerca di trarre diletto dalla compagnia di cameriere giovani ed avvenenti e tu lo sai.”
“Un conto è intrattenersi piacevolmente con una donna consenziente, un conto è  prenderla contro la sua volontà! – replicò Ross - Fosse stata anche una prostituta , sarebbe stata una violenza! Non hai pensato che Demelza potrebbe denunciarti per ciò che hai fatto?”
“Non farmi ridere! – rispose l’altro – è andata via da una settimana e non è ancora successo nulla. Ci provasse, a denunciarmi! E’ la sua parola contro la mia! Figuriamoci se zia Agatha, l’unica che ha percepito qualcosa, testimonierebbe contro di me, ponendo a rischio il buon nome dei Poldark! E poi non ricordi il figlio dei Cutten, Philip? Due anni fa, tu forse eri ancora in Virginia, fu sottoposto a processo per un caso analogo, e sai quale fu la sentenza emessa dal caro buon giudice Penvenen? Lui assolto, e la serva condannata per calunnia!”
“Sei uno sconsiderato, Francis… non hai neppure pensato che adesso per colpa tua la zia è da sola? Dovrai trovarle un’altra governante!”
“No, non me lo posso permettere. Come saprai, la Grambler non è più di mia proprietà e ho dovuto contenere le spese… anzi è una vera fortuna che Demelza se ne sia andata prima che dovessi licenziarla io! Se ci tieni tanto alla zia, portala a casa tua, le farà compagnia la tua cara mogliettina!”
“Ne deduco che non sei disponibile nemmeno a risarcire Demelza per la perdita del lavoro…”
“Certamente no! Non le spetta nulla. E’ lei che ha voluto andar via all’improvviso!”
“Santo Cielo, non pensi che se ha rinunciato al suo lavoro è per non essere costretta più a rivederti? Come fai ad essere così insensibile?” – esclamò Ross spazientito.
Francis si strinse nelle spalle. Continuare quella conversazione era del tutto inutile: a Ross non restò che tornare di sotto, dalla zia, con un nulla di fatto.
La vecchia Agatha in cuor suo era consapevole che il nipote più maturo non sarebbe mai riuscito a far ragionare quello scapestrato di Francis, pertanto non fu sorpresa quando Ross le riferì l’esito della discussione. La donna era profondamente turbata per la sorte di Demelza, ma sapendo che Ross a sua volta non navigava in buone acque, nonostante quanto le aveva riferito quella mattina sui progressi alla Grace, si sfilò dal dito un anello di pregiata fattura e glielo fece stringere in pugno.
“Era di mia madre….Vendilo, e il ricavato dallo a Demelza. Cercala, Ross, e dille che mi dispiace tanto per quanto accaduto…”
Ross tentò di convincere la zia a riprendere il suo gioiello, ma non ci fu verso. Decise allora di mantenere la promessa fatta. Si ripropose da principio di cercare Demelza a Illugan, a casa di suo padre, anche se era improbabile che si trovasse lì: nessuno della sua famiglia era venuto da Francis a reclamare giustizia. Per prudenza chiede a Jud di accompagnarlo: nel caso ci fosse stato da usare le mani, l’ aiuto di un uomo forte e abituato alle risse avrebbe avuto il suo peso.
Demelza però, come previsto, non era ad Illugan ed il signor Carne non aveva idea di dove fosse, non la vedeva da settimane. L’unico suo cruccio era che da due mesi a quella parte non aveva ricevuto il salario. “Mio zio è morto a giugno… possibile che mio cugino non vi abbia ancora pagato?” – domandò Ross.
“Assolutamente no – replicò il minatore – vostro zio mi faceva giungere il denaro all’emporio di Martin, qui in paese, ed io ogni volta gli firmavo una ricevuta. Negli ultimi mesi non è venuto nessuno… chiedete a Martin se non mi credete”.
Ross verificò e constatò che l’ultimo versamento risaliva effettivamente al mese di maggio. Ritornò pertanto da Carne e gli consegnò le ghinee spettanti per i tre mesi mancanti, lasciandogli però intendere che Demelza aveva lasciato il lavoro e pregandolo, se l’avesse vista, di mandarla alla Wheal Grace a chiedere di lui.
Quella sera, a cena, Ross fu particolarmente silenzioso. Aveva cercato di acquisire informazioni su Demelza a Sawle, ma anche lì nessuno sapeva nulla di quella ragazza magra dai capelli rossi e del suo cane dal pelo fulvo. Si chiedeva che fine potesse aver fatto e gli rincresceva molto pensare a quanto dovesse sentirsi umiliata e sola per colpa di quella bestia di suo cugino.
Dopo cena Ross ed Elizabeth si ritirarono nella loro camera da letto, che era diventata, dopo la dipartita di Joshua, quella padronale al piano superiore. Elizabeth aveva notato qualcosa di strano nel marito quella sera e le sembrò molto insolito perché al mattino, quando lo aveva visto uscire per recarsi a Trenwith, era affettuoso ed addirittura euforico, tanto che le aveva promesso di accompagnarla l’indomani a Truro per acquistare degli abiti nuovi. Cercò allora di indagare e gli chiese se fosse così pensieroso per  problemi sorti alla miniera, oppure per qualche inconveniente accaduto a Trenwith.
Ross pensò che Elizabeth era sua moglie, la compagna con cui aveva scelto di dividere la sua vita: con chi avrebbe dovuto condividere il peso di quel malessere, se non con lei? Le raccontò allora, in maniera edulcorata, per non turbarla troppo, cosa fosse accaduto fra suo cugino e Demelza.
“E’ terribile” – commentò Elizabeth al termine del racconto, mettendosi a sedere sul letto come se stesse per svenire da un momento all’altro.
“Già è terribile, e purtroppo non sono riuscito a trovare quella ragazza da nessuna parte” – aggiunse Ross.
“Che la ragazza sia scomparsa è l’unica parte positiva della vicenda. Che ragione c’è di parlarle, Ross? Non è preferibile lasciare le cose come stanno, per evitare ogni scandalo, e soprattutto perché farti coinvolgere tu, che non c’entri nulla?”
Ross la guardò stupefatto, come se non avesse compreso bene le sue parole.
“Elizabeth, quella ragazza è stata abusata da mio cugino e ha perso il suo lavoro, non ha di cosa vivere… e tu pensi agli scandali?”
“A cosa dovrei pensare se non alla reputazione dei Poldark, visto che ne ho sposato uno? A volte, Ross, ho l’impressione che non ti interessi nulla della nostra famiglia, del modo in cui siamo considerati in società, dei rapporti con le altre famiglie del nostro rango, come se provassi quasi fastidio ad appartenere a questo mondo!”
“E’ così infatti… io mi sento un privilegiato e non voglio che il cognome che porto sia un mezzo per opprimere e sfruttare gli altri… io e te non siamo responsabili della condotta di Francis,  hai ragione, ma il vero scandalo sarebbe mostrarsi indifferenti rispetto alle sorti di una persona innocente che sta pagando per colpe non sue.. noi saremmo suoi complici se facessimo altrettanto! Se mio cugino è troppo egoista dal capirlo ed assumersi le proprie responsabilità , io mi sento in dovere di fare qualcosa per rimediare, anche per una promessa che ho fatto a zia Agatha!”
Elizabeth emise una risatina isterica. “Come sei ingenuo, Ross! Tu e tua zia state facendo passare questa Demelza per una vittima, ma non dimenticare che è una ragazza molto sveglia; non ricordi come si intrometteva nei nostri discorsi, come ci scrutava curiosa, pronta a carpire ogni nostro gesto, quando eravamo a Trenwith? Non mi dire che non lo hai notato! Per quanto le condizioni di Francis non siano attualmente floride, è pur sempre proprietario di una enorme tenuta e dei terreni che la circondano! Può darsi che sia stata la ragazza ad approfittare delle condizioni in cui si trovava Francis quella sera, per trarne vantaggio!”
“Non è affatto quello che zia Agatha mi ha riferito e Francis mi ha confermato: Demelza non era consenziente! E poi non capisco cosa intendi con “trarre vantaggio” – aggiunse Ross.
Elizabeth fece un sorriso furbo e proseguì: “Non mi meraviglierei se tra qualche mese Demelza si ripresentasse in stato di gravidanza e ricattasse tuo cugino dicendo che il figlio è suo! Magari in questo momento è in compagnia di un altro uomo e si sta nascondendo proprio per mettere a punto il suo piano! Quello sì che sarebbe un vero scandalo! Credo che non potrei più mettere il naso fuori di casa dalla vergogna! Ripensandoci, forse non è un male che tu la cerchi: devi farle capire che deve allontanarsi per sempre da qui. Bisogna darle dei soldi, se necessario, purché tenga la bocca chiusa!”
“Non riesco a credere che tu, che pure sei una donna, non mostri un minimo di solidarietà nei confronti di un’altra donna e sei capace di pensare tanto male di Demelza, una ragazza onesta, una lavoratrice, dipingendola come una volgare approfittatrice! E poi non tollero che in un frangente come questo tu sia capace di pensare solo a te stessa e di preoccuparti delle misere conseguenze di un fatto così increscioso sulla tua quotidianità! – esclamò Ross adirato , poi aggiunse :  perdonami, ma mi è passato il sonno. Vado a prendere un po’ d’aria”, e così dicendo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.  
Elizabeth fece una smorfia di disappunto. Ross era testardo come un mulo e rischiava di essere trascinato nel baratro per colpa dell’avventatezza del cugino. Bisognava cercare a tutti i costi di evitarlo.

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Capitolo 9
*** cap.8 ***


Nello stesso periodo dello scontro tra Ross e Francis un evento inaspettato aveva colpito una nota famiglia appartenente al medesimo loro ambiente: il giudice Ray Penvenen aveva avuto un ictus cerebrale e, pur essendo sopravvissuto, aveva perso l’uso della parola ed il movimento di metà del corpo. Tale tragico avvenimento aveva indotto la giovane nipote Caroline a trasferirsi da Londra a Killewarren per assistere lo zio ammalato. Nonostante la prima diagnosi fatta dal dottor Choake Caroline aveva voluto consultare anche il dottor Enys, che aveva tanto apprezzato durante il suo primo soggiorno in Cornovaglia. Purtroppo Dwight aveva confermato che lo zio Ray aveva ben poche possibilità di pieno recupero, ma si era detto disponibile a visitare periodicamente l’ammalato per fargli eseguire degli esercizi che favorissero la sua ripresa.
Quando Dwight arrivava a Killewarren Caroline si sedeva al capezzale dello zio e seguiva attentamente l’operato del medico per coglierne ogni eventuale piccolo progresso. Era molto triste constatare che un uomo così forte ed intelligente ora fosse fragile come un bambino, impossibilitato ad esprimersi con la parola , pur essendo rimasto lucido e consapevole della sua menomazione. Dwight notò che Caroline, a dispetto dell’apparente frivolezza ed aridità di sentimenti, era seriamente preoccupata per la salute dello zio. Di giorno in giorno tra i due si consolidò un rapporto di stima reciproca e persino di confidenza: Caroline cercò di sapere qualcosa di più del passato di Dwight e della vita che attualmente conduceva; Dwight a sua volta si informò dei progetti della giovane ereditiera: sarebbe rimasta a Killewarren o avrebbe fatto presto ritorno nella Capitale? Caroline gli rispose che nessuno dei pretendenti che lo zio le aveva proposto era stato di suo gradimento e che ne aveva abbastanza delle continue proposte di matrimonio che le pervenivano in ogni ricevimento cui prendeva parte a Londra; voleva quindi approfittare della malattia dello zio per immergersi per qualche tempo nella monotona vita della provincia inglese, senza pensare a nozze, doti e quant’altro.
Non aveva neanche terminato di parlare di pretendenti asfissianti che un domestico le annunciò che il sig. Francis Poldark era venuto a farle visita.
Francis, la cui situazione economica diveniva ogni giorno più disastrosa, aveva pensato che l’unica ancora di salvezza per tirarsi fuori dalle difficoltà poteva essere il matrimonio con la ricca signorina Penvenen. Avendo saputo che si trovava a casa dello zio aveva deciso di approfittarne per farle la corte. Appena la fanciulla entrò in salotto il giovane la salutò ossequiosamente e le porse un pacco, una scatola di forma ovale decorata da un grande fiocco di raso giallo.
“Se ben ricordo non gradite i gioielli, pertanto vi ho portato un omaggio di altro genere”.
Caroline aprì la scatola e vi trovò dei bon bon ricoperti di cioccolato di varie qualità, bianco e nero.
“Volete prendermi per la gola, signor Poldark?” – scherzò lei.
“Perché no? Del resto non avete problemi di linea, vi trovo in splendida forma… e chiamatemi pure Francis, vi prego. Vostro zio come sta?”
Caroline, memore degli avvertimenti che lo zio le aveva fatto tempo prima sul conto di quella persona, si limitò a fornire qualche scarna informazione sulla situazione del malato, conversò educatamente con il suo ospite del più e del meno, come si conveniva secondo le buone maniere, ma non diede alcuna speranza al Poldark biondo in merito a nuove occasioni di incontro fra di loro. Le fu facile addurre la scusa che a causa delle condizioni dello zio Ray non avrebbe potuto facilmente ricambiare quella visita, sia perché non era dell’umore giusto per fare vita sociale, sia perché si sentiva più tranquilla nel seguire da vicino la convalescenza dello sfortunato zio. Anche quel tentativo dunque si concluse per Francis con un nulla di fatto.
Del resto, i suoi progetti di ricevere Caroline a Trenwith sarebbero stati destinati a franare comunque: a fine settembre gli fu notificato un ordine di comparizione in tribunale per bancarotta, cui egli si sottrasse; il giorno in cui però gli ufficiali giudiziari vennero a prelevarlo per condurlo forzatamente alla prigione di Bodmin, saliti al piano superiore dell’abitazione trovarono soltanto un corpo penzolante da una corda appesa al soffitto: Francis Poldark, vistili arrivare dalla finestra, si era tolto la vita pur di non subire quell’onta.
George Warleggan, in qualità di suo principale creditore, ottenne che Trenwith venisse subito messa all’asta. Ross non aveva la quantità di denaro necessaria per acquistarla e così fu proprio la famiglia del perfido banchiere ad accaparrarsi la proprietà dell’antica dimora dei Poldark. A zia Agatha fu concesso di restarvi ad abitare, ma dietro pagamento di un affitto di importo tale che la prozia di Ross non poteva permetterselo. Così zia Agatha dovette abbandonare la casa in cui era nata e vissuta per quasi un secolo e venne accolta da Ross a Nampara. Fu fatta alloggiare nella stanza nuova costruita accanto alla biblioteca, la prima ad aver ospitato gli sposi.
Oltre alla vergogna conseguente all’accusa di bancarotta ed al suicidio di Francis – fatti che inevitabilmente avevano posto la famiglia Poldark sulla bocca di tutti nella contea – Elizabeth era ora costretta a sopportare la convivenza con la zia di Ross, che reputava una vecchia bizzarra che non le aveva mai dimostrato simpatia e non perdeva occasione di punzecchiarla. Ogni tanto ad esempio bofonchiava, all’indirizzo di Valentine, commenti sgradevoli legati alla sua nascita, alla “luna nera”: come se fossero colpa del suo povero bambino tutte le disgrazie che si erano abbattute sul casato di Ross in quei mesi! In presenza della zia del marito Elizabeth si controllava, come buona educazione imponeva, per rispetto dell’età, ma quando era a quattr’occhi con Ross non perdeva occasione per lamentarsi della situazione. Più volte aveva suggerito di allontanarsi per qualche tempo da Nampara, solo loro due e Valentine, per recarsi a Londra o in qualsiasi altro posto, lasciando la zia alle cure di Prudie. Così, diceva Elizabeth, avrebbe potuto distrarsi, riprendere a vedere gente, anziché sentirsi prigioniera fra le mura di Nampara oppure giudicata ogni qual volta metteva piede in città per delle commissioni. Ross, pur rendendosi conto che la moglie stava vivendo un momento complicato, non poteva accontentare il suo desiderio perché la miniera necessitava di una attenta vigilanza da parte sua, soprattutto ora che si stava per aggredire il filone della vecchia Trevorgie; inoltre – ma questo argomento aveva deciso di non toccarlo più con sua moglie, dopo la discussione delle settimane precedenti – in cuor suo non aveva abbandonato la speranza di ritrovare Demelza. Ora che Francis era morto e che la casa in cui la violenza era avvenuta non era più di proprietà dei Poldark si augurava che la ragazza prima o poi si rifacesse viva e lui potesse così dare compimento alla promessa di aiutarla.
Ciò che Ross non sapeva era che Demelza era più vicina di quanto pensasse.
A Sawle abitava una giovane sarta di nome Rosina Hoblyn, una paziente del dottor Enys, colpita fin da bambina da una leggera zoppia alla gamba sinistra. Poiché la sua famiglia era molto povera nessun medico l’aveva mai curata ed il problema fisico della ragazza era andato via via peggiorando. Quando Dwight era arrivato in zona aveva preso Rosina a ben volere, le aveva preparato degli unguenti per alleviare i dolori all’anca e quando passava da Sawle si fermava sempre per un saluto e per chiedere come stesse. Ormai per tutti Rosina era “la paziente preferita del dottor Enys”, ma non c’era alcuna malizia nel rapporto tra il giovane dottore e la fanciulla bionda.
Una mattina Rosina stava stendendo le lenzuola nel cortile antistante la sua casa, quando il dottor Enys, che passava per il suo consueto giro di visite in paese, si fermò a salutarla.
“Hai preso un cane, Rosina?” – chiese Dwight riferendosi al bastardino che gli aveva abbaiato contro appena si era avvicinato alla fanciulla.
“E’ di una mia amica, ma in questo periodo me ne sto occupando io  – rispose Rosina – volete entrare?”
Dwight era entrato, aveva accettato una tazza di punch ed aveva conversato con Rosina a proposito della gamba, che le dava ancora qualche fastidio quando camminava, nonostante l’unguento. Dwight le aveva detto di stendere la gamba sulla panca; la ragazza pudicamente aveva sollevato la gonna fino alla coscia ed il dottore l’aveva toccata in alcuni punti con i polpastrelli, chiedendole quali sensazioni provasse di volta in volta. Dopo aver individuato il punto maggiormente dolorante Dwight aggiunto mezzo cucchiaino di polvere all’unguento già preparato ed aveva detto a Rosina di applicarlo due volte al giorno, in seguito sarebbe passato a verificare l’esito.
Appena il medico se ne fu andato, Rosina aprì la porta della stanza adiacente a quella in cui Dwight l’aveva visitata. Vi erano due lettini affiancati, e su uno dei due era seduta una ragazza dai capelli rossi, intenta ad orlare una blusa.
“Come ti senti oggi?” – le domandò Rosina.
“Al solito” – rispose la rossa in un soffio.
“Dovresti farti visitare dal dottor Enys. E’ tanto bravo e disponibile, sai…”
“Rosina, non ho bisogno del medico per farmi dire che cosa ho. E’ una cosa che non va capita, ma solo accettata.”
La ragazza bionda guardò l’amica con uno sguardo di compatimento.
“Ho sentito dire in paese che il capitano Ross Poldark ti sta cercando per mare e per terra. Forse lui potrebbe aiutarti, Demelza… sai che mi fa piacere ospitarti, ma per quanto pensi che potrai continuare a nasconderti? Mi aiuti con il lavoro, è vero, ma le commissioni che ricevo sono a malapena sufficienti per mantenere due persone! Tra qualche mese poi…”
Demelza la interruppe.
“Tra qualche mese ci penserò! Per adesso non mi sento ancora pronta ad incontrare nessuno. Voglio rimanere qui tranquilla, come ho fatto finora. Abbi pazienza soltanto un altro po’ di tempo, te ne prego. Poi troverò una soluzione diversa, te lo prometto”.
Rosina si limitò a sorridere ed abbracciare l’amica. Avrebbe voluto oggettivamente fare di più per lei, ma come poteva contrastare la sua volontà?
Nel frattempo Dwight aveva impiegato tutta la mattina per le visite in paese e, dopo aver consumato un frugale pasto in una osteria, si era diretto alla Wheal Grace, dove aveva trovato Ross nel suo ufficio che analizzava come al solito le mappe della miniera.
I due uomini iniziarono a discutere delle ultime novità sulla situazione della Grambler, che già prima del suicidio del cugino era stata quasi condotta alla rovina da Sanson dopo averla vinta al gioco. Dapprima aveva licenziato Dwight ritenendo non essenziali i suoi servigi e dopo di lui almeno dieci operai, che tuttavia erano stati dopo poco riassunti da Ross, che aveva bisogno di manodopera per gli scavi da eseguire verso il filone principale della ex Trevorgie. Era un vero peccato che un’attività fiorente come la Grambler fosse portata allo sfascio per i capricci di un ricco possidente che non capiva nulla di miniere!
Passarono poi a discutere della prozia di Ross e della situazione difficile con Elizabeth a Nampara. Dwight avrebbe voluto aiutare l’amico, ma i suoi rapporti con Elizabeth non erano così cordiali da fare da mediatore. Parlando della zia Ross affrontò nuovamente l’argomento Demelza. Aveva già raccontato a Dwight per sommi capi del gesto abietto compiuto da Francis a danno della ragazza e gli aveva chiesto aiuto per trovarla spargendo la voce a Sawle, ma senza alcun risultato. Quel giorno Ross ribadì che avrebbe tanto voluto ritrovare la ragazza e sperava che il tempo e la tragica morte del suo aggressore avessero in parte mitigato il suo dolore. Aggiunse che gli sembrava davvero impossibile che lei e Garrick fossero svaniti nel nulla da un giorno all’altro e che nessuno fosse stato in grado di riferire notizie utili a distanza di più di un mese dalla loro sparizione.
Dwight fece allora mente locale: quando era stato invitato a Trenwith per Natale aveva notato un cane in giardino dal pelo chiaro, un cane molto simile a quello che aveva visto quella mattina da Rosina Hoblyn. “E’ di una mia amica…me ne sto occupando io…” , questo gli aveva detto Rosina.
“Ross, forse so dov’è Demelza! – esclamò il giovane medico – o almeno, so chi può aiutarci a ritrovarla… lascia fare a me!”
Ross lo fissò sbalordito. Quale intuizione aveva avuto Dwight? Volle che l’amico lo mettesse subito al corrente delle sue elucubrazioni. Appena ascoltò l’ipotesi di Dwight Ross ebbe la certezza che Demelza fosse a Sawle, nascosta in casa di questa Rosina: suo zio Charles infatti aveva sempre detto che Demelza non si separava mai da Garrick ed aveva accettato di venire a lavorare a Trenwith solo a condizione di portare il cane con sé. Mentre Ross avrebbe voluto immediatamente affrontare Rosina, Dwight lo dissuase. Piombare a Sawle all’improvviso sarebbe stato controproducente; se Demelza era stata nascosta tutto quel tempo significava che non voleva essere trovata e vedendosi cercata con tanta insistenza avrebbe potuto reagire male o addirittura scappare. Era invece preferibile che tornasse lui solo da Rosina, il giorno dopo, in modo da convincerla a rivelare dove fosse Demelza. 
Ross fu in ansia fino a quando, l’indomani in primo pomeriggio, vide apparire Dwight alla miniera.
“Ebbene?” – gli chiese, mal celando la propria agitazione.
“Ho due notizie per te, una buona e una cattiva. Demelza è da Rosina, ma non ho parlato direttamente con lei. Per il momento non vuole vedere nessuno, ha chiesto un altro po’ di tempo per riflettere. Ha aggiunto, per tramite di Rosina, che è grata dell’interessamento ma non intende accettare alcun aiuto da parte tua.” – riferì Dwight.
“Non avrei immaginato che potesse essere così testarda, maledizione! – sbottò Ross –mia zia è una persona anziana, ogni giorno che passa è sempre più in pena! Come posso dirle che so dov’è Demelza ma non sono in grado di riportarla da lei?”
“Ascolta, Ross, bisogna essere pazienti. Quella ragazza ha subito un trauma ed è normale che non voglia avere a che fare né con te né con tua zia, sebbene non siate direttamente responsabili di quanto le è successo. Perché non chiedi a tua zia di scrivere una lettera? Io la farò recapitare a Demelza tramite Rosina: magari le sue parole le toccheranno il cuore… non perdiamo le speranze!”
Ross riconobbe che quella di Dwight era un’ottima idea. Quella sera stessa, senza che Elizabeth ne fosse messa al corrente - per evitare inutili polemiche - chiese alla zia di scrivere un biglietto per Demelza e Dwight si incaricò della consegna.
Passò qualche giorno, finché un pomeriggio, mentre si trovava nel suo ufficio alla Grace, alcuni minatori che all’esterno stavano setacciando il materiale raccolto quella mattina vennero a chiamare Ross dicendo che c’era una ragazza che voleva parlare con lui. Ross li seguì fuori e l’allegro scodinzolio di Garrick gli fece intuire che era riuscito nel suo scopo e che a breve avrebbe rivisto la persona che aveva cercato con tanta perseveranza.

 

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Capitolo 10
*** cap. 10 ***


“Ah! Finalmente soli!”- esclamò Prudie, assestando un colpo di mannaia ad un coniglio in procinto di essere disossato. Demelza, che al capo opposto del tavolo della cucina preparava alacremente un impasto, sorrise guardando una carrozza che si allontanava dal cortile di Nampara. Quel giorno, era domenica, i padroni erano stati invitati a pranzo a casa Chynoweth e così Ross, sua moglie, sua zia e Valentine erano partiti per Cusgarne di buon’ora.
“Non capisco perché diavolo state lavorando se non c’è nessuno a darci ordini!”- farfugliò Jud, trangugiando l’ennesimo sorso di gin.
“Chiudi il becco, idiota! – lo zittì sgarbatamente sua moglie brandendo pericolosamente il coltellaccio – Pensi che stasera mangeranno aria? E’ una sorpresa per il signor Ross! La ragazza ha trovato un vecchio quaderno di ricette della signora Grace e vogliamo preparare per cena il pasticcio di carne che piaceva tanto al signor Joshua, che Dio lo abbia in gloria! Anzi, renditi utile andando nell’orto a prendermi un paio di carote!”
Jud si alzò di malavoglia trascinando i piedi e sparì borbottando.
“Una intera giornata senza dover sopportare quella smorfiosa della signora Elizabeth tra i piedi: e quando ci ricapita una fortuna come questa?” – continuò Prudie, che quella mattina era molto ciarliera.
“Con me la signora non si comporta tanto male. All’inizio si vedeva che era diffidente, mi sopportava a fatica, ma adesso le cose vanno meglio, cerchiamo di comportarci civilmente l’una con l’altra” – commentò Demelza.
“Anche con me le cose sono migliorate rispetto agli inizi, ma non la sopporto lo stesso! Chi si crede di essere, la regina? Avresti dovuto vederla l’anno scorso, con tutto quello che c’è da fare in casa pretendeva che stessi le ore in camera sua a spazzolarle i capelli o a darle il belletto! Mi avrebbe licenziato se non fosse stato per padron Joshua e padron Ross! Quel pover’uomo non comprende che cattivo affare ha fatto sposandola! Forse le cose tra loro vanno molto bene in camera da letto, perché non li vedo andare molto d’accordo per il resto!”
Demelza tacque, ma era un pensiero che aveva fatto anche lei molte volte. Già da quando lavorava a Trenwith si era accorta che il signor Ross era diverso quando era in compagnia di sua moglie: controllato, formale, come se dovesse nascondere la sua vera natura quando c’era lei. Adesso che lavorava a casa loro si era resa conto ancora meglio di quanto quella coppia paresse male assortita. Non li aveva mai visti giocare insieme o divertirsi con Valentine, lo facevano sempre separatamente. Quando Ross rincasava la sera Elizabeth non gli andava mai incontro, pretendeva sempre che fosse lui ad andarla ad omaggiare. Non discutevano mai di come fosse andata la giornata; Elizabeth si limitava a fare delle richieste al marito: se poteva acquistare questo o quello, se poteva andare a Truro, oppure gli parlava degli inviti che aveva ricevuto, degli incontri che aveva fatto, di pettegolezzi sulle famiglie importanti. In generale non sembrava vi fosse grande calore ed entusiasmo tra di loro, tranne quando Ross si trasformava nel ruolo di cavalier servente: allora sì che sua moglie ritrovava il sorriso e sembrava la più docile ed affettuosa delle spose.
Demelza sobbalzò alla frase che Prudie aggiunse poco dopo: “Sembra quasi che ti interessi più tu che lei della casa e del padrone! Devi stare molto attenta, ragazza, perché se la signora se ne accorge...”
La ragazza dai capelli rossi aveva sempre avuto un debole per il capitano Poldark, e come biasimarla? Era un uomo attraente, affascinante, sempre pronto a battersi per le proprie idee, aveva sentimenti nobili e si era adoperato molto per aiutarla; eppure Demelza sapeva benissimo qual era il suo posto e non si era mai sognata di superare i confini tra di loro. Le piaceva, era vero, le batteva il cuore quando la guardava fisso negli occhi, ma aveva sempre messo a tacere quelle sensazioni, anche perché Ross non era un uomo libero. Lei sognava l’amore vero, desiderava avere un giorno un marito con cui condividere tutto e non un uomo con cui vivere solo fugaci attimi di passione.
Da quando era arrivata a Nampara Demelza aveva dato una sua impronta alla casa. Fiori freschi ogni mattina, si occupava spesso di cambiare le tende, le tovaglie, i drappi sulle poltrone; aveva apportato dei piccoli cambiamenti spostando qualche piccolo mobile o soprammobile: modifiche quasi insignificanti, che però denotavano una grande attenzione e cura per quella casa, che invece ad Elizabeth era sempre andata stretta, poiché abituata a dimore più spaziose e sontuose.
Demelza era affascinata dal mondo delle miniere, forse perché suo padre vi lavorava, ed appena vedeva Ross nello studio, ricurvo sulle mappe, si avvicinava e lo scrutava incuriosita. Molte volte avevano avuto conversazioni sull’argomento; una volta addirittura Ross aveva riso della fortuna della ragazza, perché aveva indicato un punto a caso sulla mappa ed il giorno successivo i suoi dipendenti alla Grace avevano trovato, proprio in quella zona, un filone di rame! Così, scherzando, le aveva detto che se il suo intuito avesse continuato a dare frutti simili avrebbe potuto farla diventare sua socia! Le mappe erano un perfetto termometro dell’umore di Ross: dal modo in cui egli le studiava Demelza riusciva a comprendere se era sereno o aveva qualche grattacapo. In questo ultimo caso la ragazza cercava sempre il modo, o tramite una parola o un gesto gentile, di tirargli su il morale. Nulla di sconveniente era mai avvenuto alla presenza di Elizabeth, Demelza era sempre discreta e rispettosa, ma ora le parole di Prudie le davano da pensare: probabilmente doveva essere più cauta, perché la moglie di Ross avrebbe potuto essere infastidita dal sorgere di un legame speciale tra lei e il padrone, anche se di natura innocente.
Le due domestiche lavorarono con impegno ed in breve il pasticcio di carne, avvolto nell’impasto e decorato da Demelza con i ritagli di pasta residui, fu pronto per andare in forno. Quando i padroni rincasarono un appetitoso profumino aveva invaso la casa, ed appena la gustosa pietanza fu portata in tavola Ross lanciò uno sguardo furbo a Demelza: “Chi dobbiamo ringraziare per questa meraviglia?”, ben sapendo che non poteva essere opera di Prudie. “E’ stato un lavoro di squadra” – gli rispose Demelza con un sorriso.
“Ottimo, davvero”- commentò Ross dopo averlo assaggiato, e zia Agatha ne chiese una seconda porzione, rammentando con malinconia le serate insieme a Joshua e Grace, l’artefice di quel piatto.
“E’ molto buono, ma troppo pesante per il mio stomaco. Non riesco a finirlo” – disse invece Elizabeth, e quanto lasciato nel piatto finì in cucina e poi in pancia di Garrick .
Zia Agatha commentò che non era affatto un problema, così il giorno successivo lei e Ross avrebbero potuto gustarne una porzione più abbondante. Aggiunse poi qualcosa a proposito degli stomaci delicati delle ragazze giovani e consigliò alla moglie del pronipote di farsi dare qualche preparato dal dottor Choake, per non fare la fine della moglie del cugino William Alfred, che era morta di ulcera.
Prudie aveva riso sotto i baffi per quell’ennesimo colpo basso alla signora Elizabeth, la quale da parte sua sembrava però aver fatto il callo alle battutine acide della prozia, alle quali non reagiva minimamente.
La mattina successiva il capitano Poldark si recò come sempre alla Grace molto presto. Pochi minuti dopo aver udito gli zoccoli di Seamus scalpitare sul selciato Demelza, che era ancora nel cottage intenta a prepararsi, udì bussare alla sua porta. Con enorme sorpresa si trovò davanti la signora Elizabeth, avvolta in un mantello.
“Posso entrare? Devo parlarti senza che nessuno ci ascolti”. Demelza la fece accomodare. Elizabeth si slacciò il mantello, senza però sfilarlo dalle spalle, e si sedette su una delle modeste sedie dell’abitazione. 
“Innanzitutto voglio precisare che il contenuto di questa conversazione dovrà rimanere riservata. Non dovrai farne parola né ad Agatha, né a Ross né a nessun altro”.
Demelza annuì poco convinta, non sapendo ancora di cosa si trattasse.
“Quanto vuoi per andare via?”
“Prego?”
“Non far finta di non capire. Voglio sapere quanto denaro vuoi, in cambio di sparire per sempre”.
Demelza ammutolì per la sorpresa, poi domandò:  “Perché volete che me ne vada da casa vostra?”
“Non solo da casa mia. Dalla Cornovaglia, se possibile.”
“Non credo di aver commesso qualcosa di così grave…” – tentò di dire Demelza, ma Elizabeth la stoppò.
“Credo che tu non ti sia comportata in maniera onesta con noi. L’altro giorno, quando uno dei cavalli si è imbizzarrito e rischiava di venirti addosso, ho notato che ti sei portata subito le mani al ventre. Aspetti un figlio, non è vero?”
Demelza annuì in silenzio. Che senso avrebbe avuto negare ciò che di lì a pochi mesi sarebbe stato evidente?
“Lo sapevo! E’ in questo modo che sei riuscita a convincere mio marito ad assumerti, allora!” – disse Elizabeth, livida di rabbia.
“Veramente vostro marito non ne sa niente. Io stessa ne ho avuto conferma solo da poche settimane. Prima avevo soltanto un sospetto” – rispose Demelza contro voglia.
“E’ di Francis?”- domandò insinuante Elizabeth.
“Non credo sia cosa che vi riguardi! ” – disse Demelza piantandosi di fronte alla padrona con le braccia ai fianchi.
“Ti sbagli invece, credo proprio che mi riguardi – rispose Elizabeth pronunciando le parole con molta più calma della sua interlocutrice - Dimentichi che Francis Poldark era cugino di primo grado di mio marito: Ross tiene molto a questi sentimentalismi… il sangue, il casato… Se scoprisse che il figlio è di Francis si sentirebbe in dovere di aiutarti… ma se questa notizia si divulgasse in giro sarebbe una tragedia per noi, uno scandalo di proporzioni inaudite, te ne rendi conto?”
Visto che Demelza non replicava, Elizabeth continuò : “Immagino che tu intenda tenere il bambino, altrimenti te ne saresti già sbarazzata. Certo sarebbe stato l’ideale per tutti, anche per te… crescere il figlio del tuo aggressore, il frutto di uno stupro… fare i conti ogni giorno della tua vita con quella violenza, senza poter mai dimenticare…
Demelza la fulminò con lo sguardo.
“Come vi permettete di intromettervi in una questione così personale? Cosa sapete voi di quello che ho passato, di quello che ho provato quando ho scoperto di essere incinta, di quello che provo ora? Come osate darmi consigli su cosa dovrei fare con questa creatura? E’ vero, all’inizio ho ragionato come voi: ho pensato che questo figlio fosse una maledizione, una punizione mandata da Dio per tormentarmi tutta la vita! Il primo impulso è stato quello di abortire: forse mi ha trattenuto la paura, derivante dai racconti uditi al villaggio, di tante donne che assumendo sostanze per interrompere la gravidanza erano morte, o non erano riuscite più ad avere figli… Poi però ho pensato che questo bambino non ha chiesto di venire al mondo, eppure esiste: ha carne, ossa, sangue, come me e come voi…. Se lo uccidessi, cambierebbe qualcosa di quello che è stato? Mi risparmierebbe forse il dolore e l’umiliazione di essere presa da un uomo contro la mia volontà? Sarebbe soltanto la seconda vittima di quell’essere spregevole. Il bambino non ha colpa di nulla; e se non lo difendo per prima io che sono sua madre, chi lo farà?”
Elizabeth rimase un attimo in silenzio, ma non sembrò eccessivamente commossa da quella confessione. “Se queste sono le tue intenzioni devi andartene. Appena Ross saprà la notizia si farà strane idee, si sentirà responsabile in qualche modo del futuro di questa creatura. In questo momento non ci possiamo permettere di essere additati in società come persone che accolgono in casa loro il figlio bastardo di un cugino e di una serva… “
“Ascoltatemi bene signora Poldark: non ho intenzione di usare mio figlio come arma di ricatto nei confronti di vostro marito o di nessun altro. Se avessi voluto rovinare Francis Poldark avrei parlato a tempo debito, quando era in vita: non medito vendetta e vi assicuro che seppure Francis non fosse morto e Trenwith non fosse andata perduta, non avrei accampato alcun diritto sui suoi beni per mio figlio!”
“C’è anche un’altra ragione per cui devi andartene – aggiunse Elizabeth – pensi forse che io sia stupida? Che non mi sia accorta della maniera in cui guardi Ross, ed in cui lui guarda te?”
“Signora, vi assicuro che….”
“Non giurare e spergiurare, non servirebbe a nulla! – la interruppe Elizabeth - so bene che non oseresti mai sedurlo, e lui stesso non si abbasserebbe mai al tuo livello - aggiunse con malignità per ferirla – tuttavia la tua presenza, il modo in cui fomenti certe sue sciocche idee sulla miniera, sulla gente che Ross frequenta, come il dottor Enys, oppure su Valentine e la sua educazione… rischiano di mettermi in cattiva luce e di farmi perdere ascendente su Ross, e questo non deve accadere. La tua presenza in casa nostra, almeno da parte mia, non è più gradita” – concluse.
“La signora Agatha ha bisogno di me – ribatté Demelza – resto per lei, non certo per voi o il signor Ross. Se lo ritenete, d’ora in poi mi occuperò solo della signora e non scambierò più una sola parola con vostro marito. Vi ripeto che non dovete preoccuparvi per mio figlio: se la salute me lo consente lavorerò fino al parto, e nessuno saprà mai chi è suo padre”.
“Per miss Agatha non devi preoccuparti. Quando te ne sarai andata convincerò mio marito a riassumere mrs Tabb; è una persona capace e fidata, che si occuperà anche di lei. Quando deve nascere il bambino?”
“A maggio” – rispose Demelza.
“Siamo a novembre: dunque, tempo un mese, qualcosa inizierà a vedersi – rifletté Elizabeth – ascoltami, facciamo un patto: tra una settimana esatta tornerò qui con del denaro sufficiente a consentire a te e tuo figlio una certa tranquillità per i primi tempi, in attesa che ti procuri un lavoro. A Ross e sua zia dirai che hai ricevuto un’occasione migliore, inventa qualcosa, anche una vecchia zia morente da assistere! Anzi, sai che ti dico? Lascerai una lettera, così non potranno né convincerti a restare, né tu rischierai di tradirti!”
“E se non fossi d’accordo?” – domandò Demelza.
Elizabeth increspò le labbra carnose in un sorriso beffardo.
“Sai bene che se non accetti la mia proposta troverò lo stesso il modo di scacciarti, e potrebbe essere più penoso per te. Non ti conviene metterti contro di me.” Così dicendo, la moglie di Ross si strinse nel mantello ed uscì dalla modesta dimora di Demelza, la quale rimase sola con i suoi pensieri, sentendosi impotente di fronte alle minacce di quella donna che aveva dimostrato, finalmente, la sua vera natura.

 

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Capitolo 11
*** cap. 11 ***


Poco dopo il colloquio avuto con Demelza, Elizabeth annunciò che si sarebbe recata a Truro in carrozza insieme all’amica Ruth Treneglos e che non era necessario attenderla per pranzo.
Demelza fu strana tutta la mattina, e sia Prudie che miss Agatha le chiesero se stesse bene. Più volte la ragazza rispose che era solo molto stanca perché la notte precedente, a causa di un incubo, non aveva riposato a sufficienza.
Aveva riflettuto sulle parole di Elizabeth; appena era andata via le era montata una rabbia indicibile ed aveva pensato che doveva subito rivelare a Ross e sua zia l’infame ricatto subito; a mente fredda però aveva ragionato che sarebbe stato del tutto inutile.
Sarebbe stata la sua parola contro quella della signora: come avrebbero mai potuto crederle? E poi, seppure le avessero creduto, avrebbe avuto senso mettere Ross contro sua moglie? Avevano un figlio piccolo e la situazione tra di loro era già abbastanza difficile! Lei non ne avrebbe guadagnato nulla. Come avrebbe potuto continuare a lavorare in casa loro dopo aver formulato un’accusa così grave contro la padrona? Se doveva in ogni caso perdere il lavoro, tanto valeva non far soffrire inutilmente nessuno.
Demelza era turbata anche per un altro motivo: l’acredine con cui Elizabeth le aveva parlato e la determinazione mostrata nel perseguire i propri obiettivi le rendevano evidente che quella donna non si sarebbe fermata davanti a nulla. E se avesse trovato il modo di fare del male a lei e al bambino che portava in grembo? Rimanere in quella casa non era affatto sicuro, davvero le conveniva sparire per qualche tempo. Ma dove poteva andare, da sola ed incinta? Non aveva nessuno a cui chiedere aiuto. La stessa signora Agatha, che certamente le avrebbe creduto e l’avrebbe sostenuta, avrebbe brigato per mettere Ross contro sua moglie, e lei questo non lo voleva. L’unica soluzione era cercare di far ragionare la moglie di Ross, trovare con lei un compromesso, magari prendendo tempo.
Intanto, mentre Demelza si arrovellava, Elizabeth era arrivata a Truro insieme a Ruth Treneglos. Le due amiche avevano effettuato acquisti dalla sarta di fiducia, poi si erano separate, dandosi appuntamento ad ora di pranzo in un caffè, perché Elizabeth doveva incontrare una persona che era parte fondamentale nel suo piano di allontanare Demelza.
Elizabeth non disponeva di fondi propri e non poteva certo chiedere a suo marito, o al banchiere di fiducia di suo marito, i soldi necessari per allontanare la giovane dai capelli rossi.
Si era allora decisa a chiedere un prestito alla banca Warleggan; sapeva però che le banche non fanno prestiti a fondo perduto, e lei era impossibilitata a fornire garanzie, che avrebbero dovuto necessariamente coinvolgere Ross. Aveva pensato per questo di avere un primo colloquio informale con George Warleggan.
Quando la presenza della signora Poldark gli fu annunciata da uno dei suoi impiegati George rimase molto sorpreso. Pensava fosse naturale essere inviso a quella famiglia, per la maniera in cui aveva tradito Francis chiedendogli l’immediato rientro dai prestiti ed aveva indirettamente fatto cadere il disonore su di loro, con l’accusa di bancarotta; egli era poi colui che si era impossessato della storica tenuta di famiglia, dalla quale senza pietà aveva costretto la vecchia Agatha ad allontanarsi.
Elizabeth tuttavia non pareva affatto risentita nel momento in cui George la fece accomodare nel suo ufficio. Il banchiere cercò di comportarsi con nonchalance e le chiese in cosa potesse esserle utile. 
Elizabeth andò subito dritta al punto e gli disse che necessitava di una somma, da ottenere in maniera riservata e confidenziale, senza che il marito ne sapesse nulla. Tenne anche a precisare che non nutriva alcun rancore nei confronti di George, che aveva agito come oculato affarista nei rapporti con Francis, anche se questo aveva significato sacrificare la loro amicizia. Affermò che anche lei, al suo posto, si sarebbe comportata allo stesso modo e che Francis, in fondo, aveva avuto quel che meritava.
George era assolutamente ammaliato dalla bellezza di Elizabeth e non gli sembrava vero essere suo complice in un affare misterioso di cui il marito non era al corrente. George non sopportava Ross fin da quando erano ragazzi e se c’era occasione di danneggiarlo, grazie ad uno scottante segreto che poteva legarlo a sua moglie, doveva coglierla al volo. Restava però un piccolo problema: la banca non poteva concedere prestiti senza garanzia di restituzione. Elizabeth non possedeva beni immobili, le proprietà dei genitori erano ampiamente ipotecate, restava solo la possibilità che Ross facesse da garante, ma la donna lo aveva a priori escluso.
Quando cercò di spiegarglielo, Elizabeth rispose che comprendeva perfettamente la situazione, tuttavia sperava che potessero trovare un accordo di tipo diverso…
Conscia dell’ascendente che aveva sempre avuto su Warleggan, grazie alla sua bellezza, e della profonda ambizione del banchiere la moglie di Ross fece a George una proposta che non poteva rifiutare.
“Come sapete mio cugino Osborne Whitworth è imparentato con il visconte Godolphin, mentre mio padre è un buon amico di lord Falmouth; saprete anche che da qualche tempo è vacante la carica di magistrato di Truro. Bene, avevano pensato a mio marito per quell’incarico, ma lui è un idealista, un sentimentale, preso esclusivamente da quelle dannate polverose miniere, e non c’è verso di farlo ragionare. Ha rifiutato assolutamente di accettare la nomina, nonostante gli sforzi da me profusi. Certamente è interesse di tutti che venga scelto come giudice una persona equilibrata e dall’etica rigorosa, ma al tempo stesso determinata a punire con severità i crimini che sempre più spesso affliggono la nostra contea: stavo dunque pensando… perché non voi, George? In cambio di questo piccolo prestito, potrei adoperarmi con le mie conoscenze per farvi designare in sostituzione del giudice Penvenen…”
George credette di aver inteso male. Elizabeth Chynoweth avrebbe segnalato lui, il nipote di un fabbro, per la carica di magistrato del distretto? Quello sì che sarebbe stato un balzo nella scala sociale, un lasciapassare importantissimo anche per eventuali altre carriere future, come quella politica! In fin dei conti, quella che Elizabeth gli chiedeva era una somma modesta, che non avrebbe certo posto in difficoltà le finanze della banca. E poi, seppure non fosse riuscita nella sua promessa di raccomandarlo con quei notabili, non era un male che una donna affascinante come quella fosse in debito con lui… così Elizabeth uscì dalla Banca Warleggan soddisfatta, con in mano la somma che aveva richiesto, mentre George gongolava alla prospettiva di vedersi presto in toga seduto sugli scranni del tribunale.
Quando Elizabeth rientrò  a casa, Demelza cercò di evitarla; lo stesso fece con Ross, non scambiando con lui neppure una parola. Non poté però fare a meno di udire – anche perché Elizabeth, in una maniera talmente falsa da sembrare affettata, aveva fatto in modo che tutti sentissero – che la signora Poldark comunicava al marito il sospetto di essere nuovamente in dolce attesa. A quanto Demelza riuscì a comprendere, Ross non sembrò al settimo cielo, la sua reazione fu piuttosto tiepida, e cautamente consigliò alla moglie di farsi visitare presto da un medico per averne la conferma.
Dopo che la signora Agatha si era messa a letto ed aveva aiutato, come di consueto, Prudie a rigovernare la cucina, Demelza aveva salutato tutti e si era ritirata dirigendosi verso il suo cottage. Mentre rimuginava ancora sulle parole di Elizabeth si imbattè nel dottor Enys, che abitava a poca distanza. Il medico teneva gli occhi al cielo, scrutando le stelle prima di andare a letto, approfittando di una notte sgombra da nubi: mostrò così a Demelza l’Orsa Minore e la stella polare e spiegò che essa veniva utilizzata dai naviganti per orientarsi di notte, prima che venisse inventata la bussola, in quanto indicava il nord.
Demelza osservò affascinata la costellazione e constatò con rammarico quante cose ignorasse, non avendo potuto frequentare la scuola; si sentì improvvisamente triste pensando che probabilmente anche il suo bambino, maschio o femmina che fosse, avrebbe patito lo stesso destino.
“C’è qualcosa che non va, mia cara? Sai, forse noi medici siamo un po’ come i sacerdoti: curando il corpo, alla fine impariamo a curare anche l’anima, e noi come loro dobbiamo custodire i segreti che ci vengono rivelati…”
Demelza guardò il giovane medico, i suoi limpidi occhi chiari ed il sorriso cordiale, e si sentì tentata di rivelargli tutto. La sua amica Rosina aveva grandissima stima del dottor Enys e lei stessa ne aveva apprezzato la serietà e cortesia. Si trattava tuttavia del migliore amico del capitano Poldark e dirlo a lui equivaleva a dirlo a Ross.
Con una frase di circostanza Demelza si trasse d’impaccio e diede la buonanotte al dottor Enys.
Poco dopo però tornò sui suoi passi ed intercettò il medico sull’uscio di casa. “Giuda, potete giurarmi che non farete parola con nessuno, in particolare con il capitano Poldark, di ciò che vi dirò?”- disse la ragazza a bassa voce.
“Certamente” – promise il medico, e la invitò ad entrare in casa per parlare con tranquillità. Demelza gli riferì allora tutto il dialogo con la moglie di Ross avvenuto quella mattina stessa.
Dopo aver ascoltato le parole di Demelza, Dwight iniziò a camminare nervosamente per la stanza come se fosse sul punto di scoppiare, perdendo la sua proverbiale calma. Come aveva potuto Elizabeth compiere un sopruso simile? Disse che Ross doveva essere immediatamente informato della cosa.
Man mano però che Demelza gli esponeva le sue conclusioni sul perché fosse inutile riferire tutto a Ross, tanto più se era vera la notizia della seconda gravidanza, Dwight dovette convenire che la ragazza aveva ragione, che la scelta di opporsi al ricatto di Elizabeth sarebbe stata controproducente. Non tollerava però che Demelza venisse scacciata in malo modo nelle sue condizioni; aveva bisogno di un posto sicuro dove stare, e possibilmente anche di un lavoro. Gli venne un’idea e si riservò qualche giorno di tempo per verificarne la fattibilità.
Un paio di sere dopo Dwight andò a trovare Demelza al cottage. Era raggiante e le disse che aveva trovato una soluzione per lei, però doveva lasciare immediatamente Nampara. “So che per te sarà difficile, ma non devi accettare il denaro della signora Elizabeth, significherebbe accettare le sue condizioni. Devi andartene tu prima. Domani lascerai una lettera per miss Agatha e verrai qui come ogni sera. Io sarò ad attenderti per condurti  alla tua futura destinazione.”
“Che sarebbe?” – chiese Demelza curiosa.
“Lo scoprirai domani” – rispose Dwight con un sorriso furbo.
Andò proprio tutto come avevano organizzato: Demelza, con il cuore a pezzi, scrisse un breve messaggio di commiato per miss Agatha, in cui disse che le dispiaceva sparire nuovamente ma aveva le sue buone ragioni e che sperava un giorno di potergliele spiegarle di persona; nel frattempo li pregava di rispettare la sua volontà e non cercarla assolutamente.
 Si recò a casa, prese l’involto che aveva preparato fin dal mattino, legò al guinzaglio il fedele Garrick e sul retro della casa, come da accordi, trovò Dwight. “Non preoccuparti, andremo a cavallo solo per un breve tratto, poi troveremo un calesse ad attenderci. Nelle tue condizioni non è molto prudente cavalcare!”. Il dottore aveva pensato proprio a tutto. A qualche centinaio di metri da Nampara, in direzione del bivio per Sawle, trovarono un calesse; Dwight legò il suo cavallo insieme all’altro a cassetta e salì con la ragazza a bordo, raccomandando al cocchiere di tenere un’andatura regolare. Dopo qualche chilometro si trovarono davanti un enorme cancello ed imboccarono un ampio viale circondato da uno splendido giardino. Sebbene non fosse grande come il parco di Trenwith, Demelza non aveva mai visto un roseto così bello, e pensò che con i colori del giorno sarebbe stato spettacolare! Giunti all’ingresso principale del palazzo trovarono in piedi ad attenderli una graziosa fanciulla bionda, avvolta in un mantello bordeaux con un cappello in tinta, con in braccio un carlino dal pelo chiaro che non appena vide Garrick cominciò ad abbaiare, per mettere subito in chiaro con il nuovo arrivato chi fosse il padrone.
“Questo potrebbe essere un problema! – esclamò la dama bionda con un sorriso impertinente – non mi avevate parlato di cani, dottor Enys!”
“Mi sarà sfuggito, miss Penvenen. Demelza è molto affezionata al suo cagnolino e non lo avrebbe mai lasciato. Sono sicura che andrete molto d’accordo, sotto questo aspetto” – rispose lui, prestandosi allo scherzo.
Mentre le padrone acquietavano i cani, Dwight aiutò il cocchiere a slegare il suo cavallo. Quando arrivò, le due donne si erano già presentate e conversavano come vecchie amiche.
“Lavorerai qui a Killewarren almeno fino a quando tuo figlio non sarà nato. Lo zio di miss Caroline è allettato, potrai occuparti di lui, oppure dare una mano al giardiniere, mr Thompson… Ross mi ha detto che adori fiori e piante e che hai il cosiddetto pollice verde!”- disse Dwight.  
Demelza era contentissima, quel posto le piaceva e miss Caroline era molto diversa dalle dame che aveva finora conosciuto. Prima che Dwight andasse via Demelza gli si avvicinò e gli sussurrò: “Miss Caroline cosa sa di me?”
“L’essenziale – rispose il medico – che aspetti un figlio e che lavoravi per miss Agatha Poldark a Nampara. Se vorrai, sarai tu a raccontarle di più. Miss Caroline è una persona fidata, puoi stare tranquilla, non ti tradirà. Ha dato istruzioni precise anche a tutto il resto della servitù. Nessuno saprà che sei qui.”
Demelza ringraziò ancora il dottor Enys e fu accompagnata da miss Caroline in persona a visitare la sua stanza, una camera piccola ma accogliente, arredata con una graziosa tappezzeria fiorata che Demelza adorò da subito.
Mentre la giovane iniziava la sua nuova vita a Killewarren, a Nampara si scopriva la sua fuga, suscitando reazioni diverse.
La prozia Agatha cominciò ad accusare tutti gli altri dicendo che era colpa loro che Demelza fosse andata via: Jud e Prudie perché la sfruttavano per i lavori più pesanti, Elizabeth perché ne era gelosa, Ross perché era sempre preso dalle miniere e non si interessava di ciò che accadeva in casa sua.
I Paynter dissero che alla ragazza in fondo si erano affezionati e non avevano nulla a che vedere con la sua partenza, anzi ne erano dispiaciuti.
Elizabeth respinse sdegnosa ogni accusa ed affermò che Demelza era una serva capace e lei non l’avrebbe mai mandata via; evidentemente però aveva ragione fin dall’inizio a ritenerla inaffidabile, visto come si era comportata. In cuor suo tuttavia era felicissima: la cameriera era andata via di sua volontà senza dover sprecare nemmeno uno scellino! Meglio così: avrebbe fatto un uso più proficuo del denaro di George.
Ross cercò prima di calmare la zia, poi di capire: domandò se nei giorni precedenti fosse successo qualcosa, se Demelza avesse detto o fatto qualcosa di strano, e Prudie gli rispose che nei giorni precedenti era stata un po’ più cupa e silenziosa, ma null’altro.
Rilesse più e più volte quel biglietto, si recò al cottage lasciato vuoto da Demelza, inseguendo qualche indizio, qualche appiglio; si arrese poi all’evidenza, a quella categorica richiesta della ragazza di non essere cercata.
Mise a tacere con fermezza le inutili polemiche della zia ed incaricò sua moglie di scrivere una lettera alla signora Tabb, per vedere se era disponibile a lavorare di nuovo da loro, almeno per qualche ora al giorno. Prese poi il suo cavallo, Seamus, e galoppò lungo la scogliera, mentre il vento novembrino gli sferzava il volto.
Non riusciva a smettere di pensare alla ragazza e a dove potesse essere. Forse la zia aveva ragione: credeva di essersi messo a posto la coscienza dandole quel lavoro, ma poi non si era preoccupato di altro; eppure aveva avuto la sensazione che Demelza fosse a suo agio lì a Nampara, fino a quel momento.
Il pensiero che non l’avrebbe rivista mai più gli fece improvvisamente male. Era una sensazione strana, quasi come quella che provava in battaglia, in Virginia, all’idea che quel giorno poteva essere l’ultimo e che avrebbe perduto per sempre la sua Elizabeth.
Elizabeth…la donna dei suoi sogni, colei che aveva sposato e gli aveva dato un figlio, e forse ne attendeva un altro… non poteva credere che avesse qualcosa a che fare con la sparizione di Demelza. I sospetti di zia Agatha avevano sfiorato anche lui, ma li aveva rapidamente messi a tacere.
Eppure, ciò che la sua mente non voleva capire era chiaro al suo cuore….
Quella notte, dopo aver fatto l’amore con sua moglie, ebbe la netta sensazione di non essere felice, di voler essere altrove, che quella vita per cui aveva lottato a lungo e con convinzione era in realtà tutta un’illusione.
In un anno e mezzo di matrimonio non si era mai sentito compreso da Elizabeth come aveva fatto invece Demelza in quelle poche settimane.
Mentre quella donna bellissima che tutta la contea gli invidiava gli riposava a fianco, Ross si sentì profondamente in colpa, ma non riusciva a smettere di pensare ad un’altra…il ricordo di Demelza si riaffacciava prepotente alla sua mente e si rese conto che forse era un bene che se ne fosse andata. Se l’avesse avuta intorno ogni giorno, avrebbe faticato a nascondere i sentimenti che iniziava a provare per lei.

 

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Capitolo 12
*** cap. 12 ***


Trascorsero i giorni e le settimane, novembre lasciò il posto a dicembre e la povera Prudie cercò di onorare il periodo di Natale come avrebbe fatto “la ragazza” (si era sempre rifiutata di chiamare Demelza per nome, chissà perché). Decorò, a modo suo, la sala da pranzo con rametti di vischio ed agrifoglio, cercò di replicare – con non molto successo, in verità - le ricette di Natale della signora Grace e collaborò pazientemente con la signora Tabb, che aveva ripreso il suo posto di governante a Nampara e faceva compagnia alla signora Agatha, oltre ad occuparsi all’occorrenza, quando la madre non c’era, del piccolo Valentine.
Ross aveva assunto nuovamente anche Jim Carter per occuparsi dell’orto e della fattoria; non tanto perché ve ne fosse la necessità, ma perché il giovane doveva mantenere sia la giovane moglie Jinny ed il loro bambino che la madre vedova e tre sorelle minori.
Zacky Martin, suocero di Jim e braccio destro di Ross alla miniera, non la smetteva di profondersi in ringraziamenti. “E’ una vera fortuna che tu lo abbia ripreso a lavorare con te, Ross. Sappiamo entrambi che il ragazzo in passato ha avuto problemi con la caccia di frodo… e non è affatto il momento di rischiare di finire alla sbarra! Hai saputo chi è il nuovo giudice del distretto?”
Era George Warleggan naturalmente, ma Ross non poteva immaginare che egli avesse ottenuto quel prestigioso incarico grazie ai buoni uffici di sua moglie. D’altra parte, Elizabeth si sbagliava se pensava che con quel favore, pur di un certo peso, avesse chiuso i suoi conti con George. No, il banchiere non si accontentava di quello, in cambio del suo silenzio sul prestito. A George interessava altro da quella donna, e mirava ad ottenerlo con qualsiasi mezzo, non sapendo se lo eccitava maggiormente la prospettiva di stringere un legame più stretto con lei o quella di fare allo stesso tempo un torto a Ross Poldark.
Per ringraziarla del suo interessamento per la nomina George ebbe la brillante idea di invitare Elizabeth in casa sua per un tè, loro due da soli. George era proprietario di una lussuosa dimora proprio al centro di Truro, a due passi dalla banca Warleggan. Elizabeth accettò; a Ross disse che quel pomeriggio sarebbe andata a comprare un nuovo manicotto di pelliccia, da sfoggiare in occasione del ricevimento organizzato per Natale a casa dei Treneglos.
Trascorse un piacevole pomeriggio in compagnia del banchiere. Nonostante le sue umili origini George aveva appreso le arti della buona conversazione, era affabile e cortese. Gli argomenti che toccava erano quelli che maggiormente stuzzicavano la curiosità di Elizabeth: i pettegolezzi. Grazie alla sua attività il banchiere conosceva il portafogli di tutti gli uomini più in vista del distretto; fingendo ritrosia, rivelò “in via assolutamente confidenziale, sia chiaro” quali investimenti immobiliari aveva effettuato sir Basset, a quanto ammontasse la dote della figlia di sir Vendom, che stava per sposare un avvocato di Londra già vedovo e con un figlio, mentre l’ammiraglio Princeton aveva dovuto ritirare una cospicua somma a causa di una misteriosa malattia al fegato che lo aveva colpito e per la quale stava consultando i migliori medici, poverino….
Ad Elizabeth non pareva vero apprendere notizie così ghiotte. In più George era un ottimo adulatore, sapeva usare le parole giuste per lusingare una donna e, cosa che non guastava, la spogliava con gli occhi.  Elizabeth adorava piacere agli uomini ed essere al centro dell’attenzione. Ross aveva smesso da tempo di guardarla in quel modo.  In particolare, Elizabeth aveva dovuto constatare con rammarico che da quando se ne era andata quella sguattera Ross non la cercava più; i rapporti intimi tra di loro si erano diradati, e non valeva neppure la scusa della possibile gravidanza, che tra l’altro si era rivelata un falso allarme. Si era quindi solo illusa che, mettendo alla porta Demelza, il suo matrimonio ne avrebbe tratto giovamento.
Anche Elizabeth, come suo marito, alla fine si era resa conto che la loro non era una unione che funzionava. Il Ross che aveva idealizzato, l’eroe di guerra che era ritornato innamorato di lei alla follia, era in realtà un uomo cocciuto e testardo con cui aveva poco in comune. Aveva adorato l’idea di essere al centro dei suoi pensieri per tre anni, la inorgogliva essere la regina del cuore di un uomo tanto audace e coraggioso, ed era stato per quello forse che aveva accettato le nozze con tanto entusiasmo. Passati però i primi momenti di euforia e di passione era emerso chiaramente che ciò che a lei interessava – la ricchezza, il potere, i divertimenti, le frequentazioni giuste – non erano priorità per Ross e se voleva, doveva conquistarseli da sé, senza la sua collaborazione. L’unico vantaggio che derivava dall’essere la moglie di Ross Poldark era il rispetto in società per via del suo buon nome, che le apriva qualche porta, ma non tutte quelle che avrebbe voluto varcare. Elizabeth aveva scoperto che in quella fine del secolo contava quasi più il denaro del blasone. Era stato il primo infatti, in assenza del secondo, a rendere George Warleggan un uomo temuto e rispettato che era inserito nel bel mondo più e meglio di Ross.
Prima di quel pomeriggio Elizabeth non si era mai chiesta come sarebbe stato trovarsi tra le braccia di un altro uomo che non fosse suo marito, ma doveva ammettere con se stessa che George Warleggan la affascinava parecchio…..
Intanto anche a Killewarren i mesi erano trascorsi e Demelza viveva la sua nuova vita dividendosi tra la cura del giardino e l’assistenza al povero giudice Penvenen. Come sempre, svolgeva i propri compiti con cura e dedizione, la gravidanza cominciava a poco a poco a rendersi evidente e la giovane era tutto sommato contenta di aver trovato, grazie al dottor Enys, quella sistemazione tranquilla.
Al principio Caroline aveva sospettato che la giovane fosse rimasta incinta di Ross Poldark e che fosse stata mandata via da Nampara proprio per quel motivo. Quando però Demelza le raccontò che il suo termine scadeva a maggio e che lavorava a Nampara da metà ottobre i conti non le tornarono. La stuzzicava il mistero che c’era dietro la storia di quella ragazza: Dwight era stato così sibillino, e in tono serio le aveva detto che non poteva assolutamente rivelare di più, per volere di Demelza. Decise quindi di non fare altre domande e di aspettare che fosse la domestica a raccontare qualcosa in più di sé.
Non era stato certo per pura filantropia che miss Penvenen aveva accettato di accogliere in casa sua quella ragazza incinta. Se non fosse stato Dwight Enys a chiederglielo, non lo avrebbe mai fatto. Il giovane medico l’aveva colpita al cuore fin dal primo istante, anche se non osava confessarglielo, e rendergli un favore era, al momento, il massimo gesto di amicizia che Caroline poteva concedergli senza compromettersi.
Ben presto però si rese conto che non le dispiaceva l’idea di avere una persona della sua età nella casa, sebbene fosse una domestica; lei era sempre sola, lì nella tenuta dello zio, e conduceva – per sua scelta - una vita ritirata ben diversa dalle allegre brigate londinesi cui era stata sempre abituata.
Fu così che Caroline iniziò a scambiare qualche parola con Demelza e le due ragazze impararono a conoscersi: scoprirono di essere nate nello stesso anno, lo stesso giorno del mese, a due mesi di distanza; entrambe avevano perduto la madre quando avevano nove anni, ma le somiglianze finivano lì, perché mentre una aveva dovuto tirare su sei fratelli più piccoli con un padre ubriacone e manesco, l’altra non aveva fratelli o sorelle ed era stata la prediletta del padre, viziata fino al punto di ottenere con uno schiocco di dita tutto ciò che desiderava. Una era una domestica che solo grazie alla generosità della famiglia Poldark era riuscita a risollevarsi dalla sua miseria; l’altra era una ricchissima ereditiera che conduceva però una vita monotona e triste.
Caroline a Demelza piaceva. Era una donna irriverente e molto sicura di sè, ma dal cuore buono in fondo, e come lei non sopportava le ingiustizie e la falsità. Aveva avuto tanti beni materiali dalla vita, ma non aveva mai conosciuto relazioni di amore e di amicizia davvero disinteressate: Demelza trovava che non ci fosse nulla da invidiarle, anche se provava un tuffo al cuore ogni volta che apriva il suo guardaroba! Miss Caroline le aveva regalato alcuni abiti smessi (erano in ottime condizioni, ma non li indossava più perché passati di moda!) e soleva ripetere che sperava che il bambino fosse una femmina, per poterla riempire di trine e di pizzi.
Anche a Caroline piaceva Demelza. Era silenziosa, discreta, umile ma niente affatto stupida: aveva una profonda sensibilità e sapeva sempre trovare le parole giuste per risollevare il buon umore delle persone. Persino lo zio Ray, con tutte le sue menomazioni, aveva imparato ad abbozzare una leggera smorfia , quasi un sorriso, quando Demelza gli parlava.
Con il passare del tempo quelle due donne così diverse riuscirono a trovare un’affinità incredibile. Settimana dopo settimana anche la confidenza tra loro aumentò e Demelza finì per svelare alla signorina la verità sulla paternità del suo bambino. Caroline si mostrò disgustata al pensiero che Francis Poldark le avesse fatto la corte dopo aver posto in essere un atto così ignobile e manifestò a Demelza tutta la sua solidarietà. Apprezzò molto la decisione della ragazza di non chiedere nulla ai Poldark e prendere le distanze da loro e garantì a Demelza che le avrebbe offerto tutto il suo appoggio.  
Dwight si recava a Killewarren all’incirca una volta a settimana per prestare le cure al vecchio giudice. La sua posizione nella faccenda era la più delicata: da un lato aveva dovuto sorbirsi gli sfoghi dell’amico Ross alla sparizione di Demelza facendo bene attenzione a non tradire il suo segreto, dall’altro doveva tenere Demelza al corrente di ciò che stava avvenendo agli abitanti di Nampara. Si era reso conto che la giovane domestica nutriva molta curiosità su tale argomento e trovava sempre una scusa affinchè il discorso cadesse in tema. Come stava la signora Agatha? Chi si occupava di lei ora? E Valentine, aveva imparato a stare in piedi da solo, nonostante l’armatura alle gambe? Jud e Prudie continuavano a beccarsi? Il capitano e sua moglie stavano bene? Era vero che aspettavano un altro figlio?
Dwight non frequentava troppo Nampara, sia per questioni di tempo sia perché Elizabeth non richiedeva le sue cure professionali. Una volta Ross gli aveva chiesto di visitare la zia per una brutta tosse e lo aveva invitato a fermarsi per cena. Era stata l’unica occasione in cui aveva visto tutti i componenti della famiglia; per il resto era Ross che ogni tanto gli dava notizie.
Rispose a Demelza che stavano tutti bene, che Valentine non camminava ancora e che la signora Agatha sembrava piuttosto rassegnata alla sua scomparsa, tanto che non aveva parlato più di lei. Anche Ross gli era parso  affranto per la sua scomparsa solo per i primi tempi, poi non aveva più affrontato il tema. E no, Elizabeth si era sbagliata, non era in attesa del secondo figlio.
Demelza parve un po’ delusa, ma poi comprese che, come la sua vita doveva andare avanti senza di loro, così anche per i Poldark era preferibile dimenticarla.
Fu così che Caroline si accorse che Demelza mutava atteggiamento quando si parlava di Ross Poldark, anche se cercava di non darlo a vedere. Era chiaro che quell’uomo le interessava.
Caroline non ci aveva mai parlato, lo aveva visto solo qualche volta di sfuggita a Truro presso la banca Pascoe, ove si serviva lei stessa. Aveva notato che era un bell’uomo, nonostante la cicatrice che gli deturpava il volto; da voci sentite in giro, un po’ dallo zio, un po’ da Dwight, un po’ da altri se lo era figurato come una sorta di scavezzacollo impulsivo, un Robin Hood sempre pronto ad aiutare i più deboli anche a dispetto del proprio tornaconto, e dentro di sé aveva concluso che era chiaro come mai lui e Dwight andassero così d’accordo.
Ross Poldark non era il padre del figlio di Demelza, ma qualcosa tra loro doveva essere accaduto. Caroline cercò in un’occasione di sondare il terreno con Enys, ma il medico era l’uomo più riservato e meno incline ai pettegolezzi che si potesse immaginare , quindi la giovane ereditiera non riuscì a soddisfare la sua curiosità.
Un giorno, parlando con Demelza, Caroline le aveva raccontato per sommi capi le sue vicissitudini da quando era defunto il padre, come tutti ambissero alla sua mano per impossessarsi della sua dote, e per quella ragione ella pareva abbastanza disillusa dall’amore.
“Il matrimonio è un contratto – soleva ripetere miss Penvenen – e, come tutti gli accordi, può funzionare solo se c’è volontà di entrambe le parti. Ognuno dei due deve trarne un vantaggio, altrimenti sono guai!”
Demelza non era d’accordo con quella visione; eppure Caroline l’aveva fatta riflettere che tra i ceti più alti funzionava proprio così. D’altra parte, anche tra la povera gente ci si sposava in un certo senso per convenienza, per non restare da soli, per dividere i pesi e le fatiche di ogni giorno… l’amore, quella forza romantica che ti fa battere il cuore e vivere sulle nuvole, era per Caroline una bella favola che poteva abbindolare solo gli sciocchi.
“Tu che hai vissuto da loro… come ti sembrano ad esempio Ross Poldark e sua moglie? Una coppia innamorata o che sta insieme solo per convenienza?” – gettò lì la domanda Caroline.
Demelza si strinse nelle spalle. “So che il signor Joshua, il padre del capitano Ross, era molto innamorato di sua moglie Grace e non ha più avuto pace dopo che l’ha persa. Sia lui, che la signora Agatha e Prudie, mi hanno sempre fatto intendere che il capitano Ross e sua moglie si sono sposati per amore, ma in realtà non danno l’immagine di una coppia realmente felice… non so dirvi di più”.
“Vedi? E’ proprio come ti dicevo! – affermò trionfante la bionda – l’amore non basta, perché dopo un po’ finisce! Quella coppia ha creduto alle favole e non ha ponderato bene i termini dell’accordo! Apparse le prime difficoltà, è finito anche l’amore.”
“L’amore vero non finisce” – sentenziò Demelza – può darsi che tra di loro non ci sia mai stato…”
“Anche se ci fosse stato, senza una solida base sarebbe naufragato” – continuò Caroline imperterrita.
“Quindi voi credete che sia impossibile sposarsi solo per amore?  Vi siete sempre lamentata della corte asfissiante di uomini interessati a voi solo per il denaro. Se invece, per ipotesi, vi capitasse di innamorarvi di un uomo perbene che non aspira alla vostra eredità, che vive del suo onesto lavoro, che non fa parte del vostro ambiente ma preferisce circondarsi di gente del popolo; sareste capace di sfidare le convenzioni pur di stare con lui? Arrivereste a sposarlo?”
Caroline torse le labbra in una smorfia e massaggiò nervosa il pelo del piccolo Horace, perché aveva capito che Demelza alludeva a qualcosa di preciso. Sembrò sul punto di arrabbiarsi con lei, ma non lo fece.
“Bisognerebbe vedere se quell’uomo sarebbe a sua volta disposto a rinunciare alla sua professione pur di stare con me. Come ti ho detto tante volte, il matrimonio è un contratto, in cui ognuno dei due cede qualcosa all’altro: la libertà di vivere come meglio crede.”
“Perché dovrebbe rinunciare lui, non potreste rinunciare voi a qualcosa?” – continuò l’altra.
“Ah, basta con questi discorsi! – esclamò Caroline piccata – solo perché ti ho offerto la mia ospitalità e la mia amicizia non posso consentirti di prenderti codeste libertà con me!”
“Perdonatemi, miss Penvenen - si scusò Demelza abbassando il capo– ho esagerato, è vero, ma proprio perché vi reputo una persona amica mi dispiace vedervi rinunciare alla felicità! Perché non provate nemmeno a parlare con il dottor Enys? Sono sicuro che anche lui condivide i vostri sentimenti, ma è troppo timido per osare corteggiarvi!”
Caroline aggrottò la fronte. Quella ragazza era una strega, aveva scoperto il suo segreto!
“Non essere sciocca, Demelza, come puoi pensare che nutra dell’affetto per il dottor Enys? Gli sono grata per ciò che fa per mio zio, tutto qui”.
“Non credo proprio – scosse la testa la rossa – ho visto lo sguardo sognante che gli rivolgete quando lui non vi sta osservando!”
“Non meno sognante di quello tuo quando si nomina il capitano Ross Poldark! – replicò prontamente Caroline – cos’è allora, quando si tratta di te il discorso di andare contro le convenzioni e di lottare per l’amore vero non vale più?”
“C’è una bella differenza – rispose amaramente Demelza –Dwight Enys è un uomo libero, non così Ross Poldark! Per questo motivo ho giurato a me stessa di non pensare a lui, anche se il cuore a volte mi gioca dei brutti scherzi e mi conduce nella sua direzione… la mia felicità sta nel sapere che sta bene, per questo ogni tanto domando di lui al dottor Enys…Non c’è nient’altro da dire, anche se lui mi amasse non ci sarebbe futuro per noi…Ma voi invece…”
“Basta, Demelza – la fermò la padrona – ti prego di non affrontare più questo argomento. Se quello fra te e Ross Poldark è un amore impossibile, non meno impossibile è il mio, per ragioni che non posso spiegarti e che al momento non capiresti. Ti ordino di non fare parola con nessuno, e meno che mai con Dwight Enys, della conversazione che abbiamo appena avuto. Hai inteso?”
“Sì, miss Caroline”.
Se Demelza era giunta alla conclusione di dover reprimere i propri sentimenti, a non diversa conclusione era giunto Ross. Da quando Demelza se ne era andata aveva messo a tacere la confusione che albergava nel suo cuore, mettendo da parte le due donne che gliel’avevano procurata, Elizabeth e Demelza, e si era concentrato sul terzo soggetto di genere femminile cui dedicava la sua esistenza: la “Grace”.
Cercava di trascorrervi più tempo possibile, onde evitare di doversi intrattenere più del dovuto con sua moglie. Fu così che il suo banchiere Harris Pascoe, che doveva consegnargli alcuni documenti da firmare, andò a trovarlo nel suo ufficio alla miniera anziché a Nampara.
Ross accolse con calore il vecchio amico di suo padre e, intinta la piuma nel calamaio, vergò rapidamente la propria firma sui documenti, di cui già conosceva il contenuto: Pascoe gli aveva consigliato di ridurre l’ipoteca su Nampara, restituendo parte del finanziamento ottenuto dalla banca l’anno prima. in tal modo anche il tasso di interesse sarebbe calato ed entro i prossimi sei mesi avrebbe potuto estinguere il debito del tutto.
Il bonario uomo d’affari raccolse in una cartellina di pelle i fogli e disse a Ross che si era meravigliato di non vederlo da tempo a Truro, mentre invece vi aveva incontrato più e più volte sua moglie.
Ross, ridendo, alluse alle pressanti esigenze femminili in tema di stoffe, scarpe e borsette nuove.
Pascoe rise a sua volta, ma aggiunse un commento che destò non poca sorpresa in Ross.
“Capisco, capisco! Non vi nascondo che ero rimasto un po’ perplesso in quanto almeno due o tre volte ho visto la vostra signora nei pressi della banca Warleggan; anzi, per meglio dire, una volta sono sicuro di averla vista uscire proprio dalla dimora di George Warleggan! Mi è parso molto strano; mi aveva addirittura sfiorato il sospetto che voi aveste intenzione di fare qualche investimento con loro… poi però mi avete scritto per la questione dell’ipoteca ed ho pensato che fosse stato solo uno sciocco dubbio da parte mia! Del resto sono anni che gestisco le finanze della vostra famiglia e sapete che ho sempre curato i vostri interessi economici in maniera oculata e disinteressata…”
Ross tranquillizzò il banchiere sulla stima che nutriva nei suoi confronti e precisò che giammai aveva avuto a che fare con Warleggan, e neppure sua moglie; o Pascoe si era sbagliato, oppure Elizabeth doveva aver accompagnato l’amica Ruth dai Warleggan, per qualche ragione che egli ignorava. Il dubbio però aveva ormai sfiorato anche lui: dopo che il banchiere se ne fu andato, Ross decise che avrebbe chiesto ad Elizabeth delucidazioni su quella faccenda.

 

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Capitolo 13
*** cap 13 ***


Mentre ritornava a casa in sella a Seamus, Ross si sentiva ancora rimbombare nelle orecchie le parole di Harris Pascoe, parole pronunciate senza malizia che tuttavia avevano gettato un’ombra su sua moglie, dipingendo una Elizabeth diversa da quella che immaginava. Sapeva che ella aveva delle idee non sempre coincidenti con le sue, ma mai e poi mai avrebbe pensato che potesse nascondergli qualcosa o, peggio ancora, mentirgli. Che cosa poteva avere a che fare poi con quel farabutto di George?
Aperta la porta di casa, se la trovò davanti, radiosa e sorridente, mentre reggeva sotto le ascelle Valentine che muoveva in avanti le gambette tentando i primi incerti passi.
“Hai visto, papà, come è bravo Valentine?” – gli disse accogliendolo, e Ross le sorrise, tendendo le braccia verso il figlio. Per un istante ebbe la sensazione che potessero ancora essere una famiglia felice, solo volendolo…
Il tarlo del dubbio non lo aveva però abbandonato, così dopo cena, quando si ritirarono in camera da letto, Ross decise che avrebbe posto ad Elizabeth quelle famose domande. Non dovette neppure girare troppo intorno all’argomento perché fu sua moglie, rappresentandogli l’ennesimo bisogno di recarsi a Truro l’indomani, che gli diede lo spunto per parlare.
Quando Ross le chiese in maniera diretta come mai si recasse così frequentemente a Truro e come mai qualcuno l’avesse vista più volte nei pressi della banca Warleggan, se non addirittura uscire dal palazzo di George, Elizabeth sbattè le ciglia da cerbiatta e recitò la parte dell’innocentina. Si era recata molto spesso dalla modista, di recente, era andata a trovare degli amici di famiglia oppure aveva accompagnato Ruth a fare delle commissioni… una volta era accaduto che lei e l’amica avessero incontrato George Warleggan in strada, che le aveva invitate a prendere un tè a casa sua (cosa che non doveva sorprendere, perché Ruth era la moglie di John Treneglos, socio di George alla Leisure). Ruth aveva però un altro impegno, così aveva accettato lei sola, per non essere scortese con un uomo che ormai era molto potente nel distretto… Ross andò su tutte le furie dicendo che non doveva avere nulla a che fare con quell’uomo che era stato la rovina della sua famiglia, ma Elizabeth replicò che la colpa di tutto era di Francis, che era stato troppo debole e poco previdente, al contrario di George che tutto sommato aveva agito da buon affarista, curando i propri interessi…
“Andando oltre l’amicizia, fino al punto di portare un uomo alla rovina, dopo avergli fatto credito incondizionato per anni?” – sbottò Ross.
“Capisco che tu voglia difendere tuo cugino, Ross, ma non credo che si possa attribuire a Warleggan l’intera responsabilità della sua sventura. Vedi perché non te ne ho parlato prima? Avresti reagito esattamente in questo modo, accusandomi di non essere dalla tua parte! A dire il vero non trovo nulla di male ad intrattenere rapporti cordiali con George Warleggan, anzi il giudice Warleggan, dato il suo ruolo! Sarebbe ora che voi superaste gli screzi del passato e che tornaste ad avere rapporti civili, per il bene di tutti!”
“No, grazie – replicò Ross – e ti invito caldamente a non accettare più alcun invito a casa di quell’uomo. Anzi, d’ora in poi ti farai accompagnare da Jud ogni volta che andrai a Truro.”
“Non credevo saresti mai stato capace di proibirmi qualcosa e di impormi la presenza di quel servo sciatto e maleducato! – frignò Elizabeth – è talmente umiliante vedere che non ti fidi di tua moglie! Come abbiamo potuto arrivare a questo punto, Ross?”
“Sei stata tu a volerlo – rispose lui, ormai indifferente alle sue lacrime da coccodrillo ed alle sue moine – mi sembrava che avessimo promesso di essere sempre sinceri l’uno con l’altra, invece mi hai taciuto un fatto molto grave!”
“Santo Cielo, stiamo parlando di un tè a casa Warleggan e non di una congiura ai tuoi danni! Come puoi essere così intransigente quando tu stesso non mi metti a parte dei tuoi pensieri e della tua vita fuori di questa casa? Credi forse di non avere nulla da rimproverarti? Di essere stato sempre leale e sincero nei miei confronti? ”
Era sul punto di accennare al rapporto tra suo marito e quella dannata sguattera, ma si morse la lingua. Nominare Demelza in quel momento non avrebbe fatto altro che gettare su di sé ulteriori sospetti sulla sua sparizione. Elizabeth era irritatissima per quella discussione. Non aveva affatto intenzione di rinunciare alla compagnia di Warleggan e fu così che escogitò uno stratagemma.
Tra Nampara e Trenwith, un tempo appartenenti allo stesso antenato di Ross, vi era un bosco che confinava sia con le terre ora di proprietà di Ross che con quelle che un tempo appartenevano a Charles Poldark. I fratelli Poldark non avevano mai effettuato una formale ricognizione del confine ed avevano a lungo lasciato libero accesso ai fittavoli di percorrere il sentiero che univa le due tenute, anziché fare il giro lungo per la strada carrabile. Dopo che George aveva riscattato Trenwith aveva fatto installare una recinzione ai margini del parco e sbarrato quel vecchio passaggio. Poiché però il bosco non apparteneva né a Ross né a George Elizabeth pensò che nessuno poteva impedirle di cavalcare da quelle parti, arrivando addirittura a spingersi fino alla recinzione creata da George Warleggan; e se anche lui avesse deciso di andare a cavallo in quel bosco e si fossero casualmente incontrati, che male ci sarebbe stato? Trattandosi poi di una zona interdetta al passaggio ormai da mesi non vi sarebbe stato neppure il rischio di incontrare qualche ficcanaso come Pascoe che facesse la spia a Ross. Dopo uno scambio di corrispondenza con George si decise quindi che il prossimo incontro fra i due sarebbe avvenuto nei dintorni di Trenwith il sabato successivo. Il banchiere infatti ogni due settimane circa si recava a Trenwith, ove aveva mantenuto alcuni domestici, e vi trascorreva un paio di giorni. Aveva intenzione di rivenderla ma non aveva trovato ancora degli interessati e così, in attesa di un acquirente, ne usufruiva lui, soprattutto quando aveva bisogno di staccarsi dal clima frenetico di una città come Truro e dalle beghe della banca e del tribunale. Avvenuto l’incontro clandestino con le modalità che la moglie di Ross aveva suggerito, George la informò che aveva intenzione di organizzare un magnifico ricevimento proprio lì a Trenwith due settimane dopo. Elizabeth, consapevole che Ross non avrebbe mai accettato di parteciparvi, suggerì che si desse alla serata una connotazione benefica: George avrebbe offerto la cena, ma in cambio i vari partecipanti, ovviamente scelti tra la crème della società cornica, avrebbero dovuto versare del denaro in beneficenza. La finalità della colletta poteva essere quella di sostenere i figli dei minatori, ad esempio. Da un lato infatti George era proprietario della Leisure e quindi si poteva giustificare il suo interesse per quel mondo, dall’altro Ross come capitano della Grace non poteva a sua volta esimersi dal contribuire… e se proprio non avesse voluto mettere piede a Trenwith, avrebbe avuto lei una scusa per andare alla festa!
George non mancò di recapitare l’invito anche alla nipote di Ray Penvenen. Non aveva mai incontrato la signorina Caroline, ma in quanto successore dello zio al Tribunale era doveroso, per una questione di rispetto, includere anche lei nella lista degli invitati.
Caroline accettò di parteciparvi. Erano sei mesi che viveva a Killewarren quasi come una reclusa e, spronata anche da Demelza - che sembrava più emozionata che mai, come se alla festa dovesse andare lei - decise che avrebbe risposto positivamente all’invito del giovane banchiere. Il tema della serata, la salute dei figli dei minatori, stava molto a cuore al dottor Enys, che era stato a sua volta invitato da George: i fondi raccolti sarebbero stati consegnati a lui ed al reverendo Halse per allestire una sorta di ambulatorio gratuito nei pressi dei locali della parrocchia. Demelza colse la palla al balzo per fare da Cupido tra Caroline e Dwight: “Dottor Enys, visto che andate anche voi alla festa e che miss Penvenen non ha un cavaliere, perché non la accompagnate? La proteggerete da possibili pretendenti fastidiosi!” Caroline le scagliò un’occhiataccia; Dwight arrossì ma rispose che era un’ottima idea e che sarebbe stato lieto di scortare la bella ereditiera.
Demelza era giunta ormai al sesto mese di gravidanza, ma si sentiva piena di energie e forte come un leone. Da qualche settimana aveva iniziato a percepire i movimenti del suo piccolo, dapprima lievissimi come un battito d’ali o un guizzo di un pesciolino, poi man mano più netti. Si era ormai convinta che fosse una femmina, ed in ciò veniva pienamente sostenuta da Caroline, che non solo si prefigurava già gli abitini sfarzosi che avrebbe potuto regalarle, ma si vedeva già come madrina di battesimo, pronta a fare qualche discorsetto alla figlioccia, appena avesse raggiunto l’età della ragione, per metterla in guardia dagli uomini… Demelza rideva di gusto a quei discorsi, ma non le dispiaceva l’idea di crescere sua figlia a Killewarren, tra donne, sempre che la signorina Caroline non fosse riuscita a far capitolare il dottor Enys prima o poi!
Caroline indossò per la festa un abito verde bosco acquistato l’anno prima a Londra, con un cappellino in tinta; si disse che, anche se non proprio all’ultima moda, sarebbe stato certamente all’avanguardia, perché la moda di città impiegava del tempo ad arrivare nelle campagne! Poiché Dwight aveva confermato la presenza anche di Ross e sua moglie alla festa, Caroline promise a Demelza che sarebbe stata i suoi occhi e le sue orecchie e le avrebbe riferito tutto per filo e per segno. Nelle ultime settimane infatti la cameriera aveva fatto cadere anche l’ultimo segreto ed aveva rivelato a Caroline del vile ricatto di Elizabeth, che l’aveva costretta ad abbandonare Nampara. La nobildonna, che non tollerava quel sopruso, aveva giurato a se stessa che avrebbe trovato il modo di vendicare quel torto.
Demelza si rabbuiò pensando al luogo in cui si svolgeva la festa, sia perché era quello in cui aveva subito la vergognosa violenza di Francis, sia immaginando la sofferenza di Ross nel dovervi rimettere piede ora che apparteneva ad un altro proprietario…
Elizabeth invece non era stata neppure sfiorata da tale pensiero. Era una casa dopotutto, non era mai appartenuta a Ross, era inutile indulgere a sentimentalismi: se ne era impossessato chi era più abile e fortunato. Forse, se Ross non avesse sprecato tempo e risorse aiutando quattro miserabili e reinvestendo tutti i suoi utili nella Grace, avrebbe potuto mettere da parte del denaro e riscattare lui stesso Trenwith! Onore dunque a George, che era stato più bravo!
Ross non era proprio dello stato d’animo per prendere parte a quel ricevimento. Ci sarebbero stati anche i suoi suoceri, che non si erano visti a Nampara benchè qualche giorno prima Valentine avesse compiuto un anno, il che la diceva lunga sulle priorità della signora Chynoweth. Era però un male necessario, vi era una buona causa da sostenere, e poi la sua assenza avrebbe dato modo a George di sparlare di lui dipingendolo come un uomo immaturo e permaloso, e ciò voleva evitarlo assolutamente.
Si agghindò di mala voglia, indossando il suo abito migliore, di velluto blu scuro; dovette ammettere che faceva un ottimo effetto al fianco di sua moglie, che indossava invece un abito di un azzurro intenso ed una mantella blu con cappuccio bordata di pelliccia. La signora Tabb aveva dovuto impiegare quasi un’ora per arricciarle i capelli e sistemarle l’acconciatura, tanto che la povera zia Agatha si era assopita in poltrona, non avendo nessuno che le facesse compagnia.
“Siete indubbiamente la dama più affascinante della serata” – le sussurrò George appena vi fu occasione di restare per un attimo da soli, di fianco al buffet. Ross invece aveva deciso di annegare i suoi dispiaceri dando fondo alle riserve di porto di Warleggan. Si sarebbe ubriacato, se non si fosse avvicinato Dwight Enys che voleva presentargli finalmente Caroline Penvenen. La bionda disse al capitano che aveva udito molto parlare di lui e Ross replicò altrettanto, ricordando affettuosamente il giudice Ray, carissimo amico di suo padre e di suo zio. In quel mentre si avvicinò Elizabeth, e le due donne scambiarono giusto qualche parola, provando da subito una reciproca antipatia l’una per l’altra.
Fu una vera fortuna che la signora Chynoweth avesse preso parte alla festa, perché a distanza di circa un mese la madre di Elizabeth si ammalò gravemente. Il dottor Choake non fu in grado di formulare una esatta diagnosi, comunque si trattava di un morbo molto simile a quello che aveva colpito Ray Penvenen; la donna infatti, dopo una sincope, era rimasta incapace di parlare, di espletare le funzioni corporee ed era insomma poco più di un vegetale, costretta a trascorrere le giornate a letto senza neppure riconoscere chi le fosse intorno.
Fu un colpo molto duro per Elizabeth, che era figlia unica ed era sempre stata molto legata a sua madre; ritenne che fosse suo dovere trasferirsi a Cusgarne e si portò dietro Valentine e la signora Tabb, anche per aiutare suo padre, che dopo la malattia della moglie sembrava più incapace del solito a gestire con oculatezza le proprie scarse finanze.
George Warleggan si calò come un avvoltoio sulla incresciosa situazione. Promise ad Elizabeth e suo padre che avrebbe assicurato alla signora Chynoweth tutte le cure necessarie, interpellando anche medici della Capitale se necessario, senza badare a spese; insinuò che la sincera devozione che lo legava ad Elizabeth e la riconoscenza che ella gli avrebbe riservato valevano più di tutto il denaro che avrebbe potuto spendere per quel motivo. Il signor Chynoweth era un uomo debole, pauroso, afflitto da sempre dalla penuria di denaro e non si pose neppure il problema se quella palese offerta di sostegno economico potesse costituire un’offesa all’onore di suo genero, il quale, poverino, aveva cercato di fare del suo meglio e si era privato anche dell’essenziale pur di consegnare a sua moglie delle somme per le necessità più impellenti della suocera. Gli effetti di quelle elargizioni impreviste non tardarono a farsi notare: Ross non riuscì a rispettare la scadenza per il pagamento della rata alla banca di Pascoe; dovette vendere gli animali migliori della fattoria per pagare il salario dei domestici; non poté acquistare le travi in legno con cui avrebbe dovuto armare i livelli più bassi della Grace, in cui stavano scavando in quel mese e fu così che la famiglia Poldark fu colpita dall’ennesima disgrazia….
Fu verso i primi di aprile, una mattina, che il dottor Enys non si presentò a Killewarren, saltando il suo appuntamento con il signor Penvenen. Al suo posto arrivò un messo che comunicò a Caroline che il dottore era impedito a causa di un crollo che era avvenuto alla Wheal Grace, dove era stato convocato d’urgenza.
Era presente anche Demelza, e non le sfuggì quell’accenno alla miniera di Ross.
“E’ qualcosa di grave?” – domandò al latore del messaggio di Dwight.
“Non vi so dire, signorina, parlano di almeno una decina di dispersi… pare che lo stesso capitano Poldark fosse sceso in profondità questa mattina, proprio dove c’è stato il crollo!”
Demelza dovette sedersi e Caroline le versò un sorso di cordiale, dopo che l’uomo fu andato via.
“Devo andare alla Grace.”- annunciò poco dopo.
“Nel tuo stato? Dopo essere stata nascosta tutti questi mesi, così che tutti scoprano dove sei?” – la rimproverò Caroline.
“Cosa volete che me ne importi? – rispose Demelza con gli occhi lucidi - Non capite che potrei non rivederlo mai più? Se gli fosse accaduto qualcosa, se non riuscissero a ritrovarlo, lì nel sottosuolo…”
Caroline le strinse le mani. Comprendeva che in quel frangente i sentimenti che la rossa provava per Ross Poldark faticavano ad essere trattenuti. Probabilmente anche lei avrebbe agito allo stesso modo, al suo posto. E poi c’era un fattore positivo: Dwight Enys aveva raccontato, la settimana precedente, che Elizabeth aveva lasciato Nampara e dunque non vi era pericolo di incontrarla.
“Verrò con te”- disse la padrona a Demelza, e diede ordine che preparassero la carrozza.
Quando giunsero alla Grace, le due donne si trovarono dinanzi uno scenario di grande desolazione. Vi erano almeno un paio di cadaveri, circondati da gente che piangeva; il dottor Enys, in maniche di camicia, si aggirava tra le barelle dando indicazioni ad alcune donne del villaggio che erano accorse su come prestare le prime cure ai superstiti; alcuni minatori più fortunati, che avevano ferite superficiali, erano seduti a terra accovacciati e si fasciavano chi la testa, chi la gamba, chi il costato. Demelza scese dalla carrozza e si unì subito al gruppo di donne, chiedendo come potesse dare una mano. Anche miss Caroline discese dalla carrozza e cercò di avvicinare Dwight per avere notizie di Ross Poldark. Il medico si stupì di vedere lei e Demelza lì, ma non ebbe il tempo di biasimarle per la loro imprudenza, perché Zacky Martin e Paul Daniels emersero dalla miniera portando in spalla un altro ferito, che pareva in gravi condizioni…
La chioma ricciuta e scura non dava adito a dubbi: ben presto si formò un capannello di gente, perché tutti erano in pena per le sorti del capitano Poldark, e speravano che non fosse per lui troppo tardi.
Dwight gli tastò il polso, lo liberò della camicia per verificare se avesse subito danni alle costole e per fortuna non ve ne erano, cercò di liberargli le vie aeree, perché forse aveva respirato troppa polvere, restando sepolto a lungo…il medico lottò a lungo e cercò di rianimarlo, apparentemente senza successo, finchè dei colpi di tosse decretarono che Ross Poldark era ancora saldamente aggrappato alla vita…
Un boato di applausi risuonò sulla collina. Ancora semincosciente, Ross aprì gli occhi cercando di riabituarsi alla luce ed ebbe la sensazione che un angelo dai capelli rossi gli stesse tenendo la mano….poi perse di nuovo i sensi.

 

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Capitolo 14
*** cap. 14 ***


Quando riaprì gli occhi, Ross non era più disteso sul prato antistante la Wheal Grace ma nel suo letto, a Nampara. Qualcuno gli aveva ripulito il viso e spazzolato i capelli per rimuovere la polvere, lo aveva rivestito con una camicia linda e adagiato tra morbidi cuscini e lenzuola odorose di bucato. La zia Agatha era appollaiata come un vecchio gufo su una seggiola e lo scrutava appoggiata al suo fido bastone. C’era anche l’amico Dwight, che armeggiava con dei flaconi di medicinale.
“Allora, nipote – lo apostrofò la prozia vedendolo di nuovo cosciente – il dottorino sostiene che hai salvato la pelle per un soffio! Del resto noi Poldark la vendiamo cara, la pelle!” Ross sorrise. Benchè gli dolessero ancora molto la testa ed il costato Dwight lo rassicurò sulle sue condizioni di salute: era stato davvero molto fortunato, perché con un paio di giorni di riposo sarebbe tornato l’uomo di sempre. Gli porse da bere un bicchierino con un liquido biancastro per lenire i dolori alle ossa e Ross, obbedì, trangugiando con una smorfia di disgusto quell’amara medicina.
La prima cosa che fece il giovane capitano fu informarsi da Dwight sulle condizioni dei suoi operai. Purtroppo il bilancio di quella giornata alla Grace si era chiuso con tre morti: un padre di famiglia di circa 50 anni e due ragazzi poco più che ventenni. Gli altri feriti, una decina all’incirca, non erano in pericolo di vita e si sarebbero rimessi in poco tempo. Ross non riusciva a perdonarsi per aver dato ordine che si procedesse con gli scavi pur senza armatura, nonostante Henshawe lo avesse dissuaso, e sentiva di dover portare sulla coscienza il peso di quelle morti. Oltre al dolore per le perdite di vite umane vi era da ragionare sulle operazioni da compiere per rendere di nuovo agibile la miniera, di certo non semplici e non veloci… questa volta Ross doveva agire con mille cautele, per evitare danni peggiori: probabilmente occorreva noleggiare un escavatore meccanico per poter sgombrare in piena sicurezza il terreno franato. Intendeva risarcire le famiglie delle vittime, ma come avrebbe potuto fare quello e contemporaneamente riaprire la miniera, senza denaro?
Quando confidò tali preoccupazioni all’amico medico, Dwight lo rassicurò: almeno per quello non doveva preoccuparsi, era già stata trovata una soluzione.
“Miss Caroline Penvenen si è offerta di farti un prestito” – gli disse.
“Miss Caroline? – esclamò Ross stupito – ma se ci conosciamo appena! “
Il giovane medico  guardò di sottecchi la decana dei Poldark. Come spiegare a Ross ciò che faticava a comprendere lui stesso? Quando Caroline – dopo la festa a Trenwith avevano infatti stabilito di darsi del “tu” – si era offerta di risarcire le famiglie dei minatori defunti e di finanziare la riapertura della Grace Dwight si era altrettanto meravigliato ed aveva usato le stesse parole di Ross: “Ma se lo conosci appena!”
“Conosco te, conosco Demelza, e questo mi basta. – aveva risposto la bionda – Ross Poldark è una persona cui tenete molto, e ciò che fa per la gente di questo posto è importante e degno di tutto il mio rispetto. È un uomo onesto e coraggioso che non meritava una simile sfortuna. Se ho la possibilità di aiutarlo a rialzarsi, perché tirarmi indietro? I soldi di certo non mi mancano: consideralo un prestito, me li restituirà quando potrà”.
Mentre Ross continuava ad interrogarsi sul misterioso motivo per cui miss Penvenen avesse deciso di sostenerlo economicamente, al piano di sotto Prudie stava sottoponendo Demelza ad un serrato interrogatorio. Dove era stata in quei mesi? Era per la gravidanza che era andata via? Il figlio era del signor Ross? (“A me puoi dirlo! Sarò muta come un pesce!”) Era stata la signora a mandarla via, per quella ragione? E adesso, perché era ritornata?
Demelza non aveva alcuna voglia di parlare di sé, di suo figlio, delle ragioni per cui se ne era andata e poi era riapparsa all’improvviso. Si limitò a dire che il padre del bambino non era qualcuno che Prudie conoscesse e che nessuno di Nampara aveva influito sulla sua decisione di andare via. Spiegò che nei mesi precedenti era stata a servizio di miss Penvenen a Killewarren e, avendo avuto notizia del grave incidente alla Grace, aveva sentito il dovere di intervenire per dare una mano ai feriti. Quando poi aveva visto il signor Ross in quelle condizioni aveva deciso di seguire il dottor Enys a Nampara per essere certa che si riprendesse.  
Senza comprendere il desiderio di riservatezza di Demelza, Prudie continuò a commentare che se avesse voluto era il momento giusto per ritornare a Nampara, dato che la signora Elizabeth si era trasferita a casa di suo padre e che la signora Agatha era rimasta da sola. “Anche il padrone è rimasto da solo, la tua presenza gli sarebbe di compagnia…” – insinuò con fare allusivo.
In realtà Elizabeth era stata informata da Dwight, tramite un messaggio, dell’incidente di Ross e sarebbe tornata a Nampara il giorno successivo, il tempo di organizzare il viaggio.
Demelza sospirò e non rispose… molte cose erano cambiate e ritornare a Nampara non era nei suoi progetti…
Al piano superiore, intanto, la vecchia Agatha offriva la sua personale spiegazione dell’inaspettato aiuto di miss Caroline a Ross, ripercorrendo tutta la genealogia dei Poldark e dei Penvenen ed i vari rapporti fra i membri delle due famiglie nel corso del secolo, rammentando la profonda amicizia che aveva legato suo padre al nonno di Caroline e poi i nipoti Charles e Joshua al giudice Ray … Secondo la donna era naturale, tra persone appartenenti allo stesso rango, intendersi e venirsi incontro nel momento del bisogno.
Ross non rispose. Stava pensando che anche Elizabeth era del suo stesso rango, eppure non era così facile intendersi con lei. Chissà cosa avrebbe pensato sua moglie a proposito della tragedia della Grace… si sarebbe allarmata più per la sua salute sua e dei suoi dipendenti o per il disastro economico che ne derivava? Probabilmente la seconda opzione, e non c’era neppure da darle tutti i torti… Elizabeth era stata cresciuta da figlia unica di una famiglia rinomata, come una principessa, con tutti i relativi privilegi; non si poteva pretendere che sapesse adattarsi ad una vita di ristrettezze, non era capace né di lavorare né di fare economia; le sue mani bianche e delicate erano fatte per suonare l’arpa o per reggere un grazioso ombrellino da sole, ma non per sporcarsi nell’orto o nella stalla, per togliere le lische ai pesci o rammendare abiti… Elizabeth era una donna di classe e sarebbe morta di vergogna a dover barattare al mercato o al banco dei pegni abiti e gioielli, eppure quella sarebbe stata la loro sorte, nonostante l’aiuto di Caroline Penvenen, se ci fossero stati ritardi nel rimettere in funzione la Wheal Grace, tenendo conto anche dei bisogni immediati di sua suocera…
Intanto Miss Agatha continuava il suo panegirico dei Penvenen. Solo persone di un certo rango potevano essere capaci di gesti talmente nobili e disinteressati! E non ci si doveva stupire, perché la generosità era un privilegio delle persone istruite e per bene! Del resto un gentiluomo come Ross avrebbe certamente trovato il modo di ricambiare il bel gesto della bionda dama. “Non come certa gente del popolino, nei cui confronti ogni gesto di magnanimità e generosità va completamente sprecato!” – affermò la vecchia, fissando insistentemente il medico, che le ricambiò un’occhiataccia.
Quando aveva rivisto Demelza, stranamente miss Agatha aveva avuto una pessima reazione. Probabilmente la prozia di Ross era profondamente offesa con la ragazza per averla lasciata di punto in bianco e neppure vederla in quello stato, in attesa di un suo discendente, aveva smosso il suo cuore. La rossa stavolta non poteva contarla tra i suoi alleati.
Se non fosse stato per il fermo intervento di Dwight la ragazza non avrebbe neppure potuto mettere piede in casa; il medico aveva lodato la dedizione con cui Demelza lo aveva aiutato con i feriti ed aveva dato precise istruzioni affinchè aiutasse Prudie a sistemare Ross in camera. Nel frattempo aveva discusso con miss Agatha: tutti avevano visto Demelza alla miniera ed era dunque chiaro che non aveva alcun senso tenere la cosa nascosta a Ross, che presto o tardi sarebbe venuto a conoscenza della sua riapparizione. Perché era così contraria a che il nipote la vedesse?
“Le carte me lo avevano rivelato! Una donna falsa e mentitrice sarebbe ritornata tra noi dopo molto tempo! Non c’è da fidarsi di quella ragazza! E non mi importa se il bambino che aspetta è un Poldark! Il suo sangue senz’altro rovinerà la purezza del nostro!”
Per prendere tempo Dwight aveva allora chiesto a Demelza di attendere al piano di sotto, non tanto per superare la ostilità dell’arcigna signora, ma perché la scelta di come comportarsi con Demelza doveva essere di Ross e bisognava preparare il terreno.
Interrompendo le sue farneticazioni, con molta pacatezza Dwight disse a miss Agatha che il suo paziente doveva riposare e che per tale ragione l’avrebbe accompagnata in camera sua. La vecchia intuì cosa sarebbe accaduto di lì a poco e lanciò i suoi soliti strali, raccomandando al nipote di non farsi abbindolare e rimproverando Enys di approfittarsi della debolezza del nipote, conseguente all’infortunio, per riempirgli la testa di sciocchezze. Ross rimase piuttosto frastornato e non capì cosa stesse succedendo. Dwight scosse la testa come per dirgli di non farci caso, prima che la porta si chiudesse alle spalle sue e di Agatha. Dopo pochi minuti l’amico medico risalì in camera di Ross e gli spiegò che sua zia era molto arrabbiata perché quando lo aveva riportato a casa dalla Grace non era da solo, c’era Demelza con lui.
Al sentire il nome della ragazza Ross sobbalzò e pretese di sapere tutto: dove si trovava ora, dov’era stata in quei mesi, e Dwight gli disse semplicemente che era ritornata perché aveva sentito dell’incidente ed era preoccupata per lui; per il resto avrebbero potuto spiegarsi direttamente, se lui avesse acconsentito a parlarle. Ross naturalmente rispose di sì e Demelza, che attendeva immediatamente fuori la porta, fu invitata da Dwight ad entrare, un attimo prima di allontanarsi con discrezione per lasciarli parlare liberamente.
Lo stato interessante di Demelza, chiaramente non occultabile, fu la prima cosa che colpì Ross. Le chiese di avvicinarsi, e di sedersi di fianco al letto, sulla sedia dove prima era seduta la zia Agatha. La ragazza obbedì.
“E’ dunque questo il motivo per cui sei andata via? – le chiese lui molto deluso – perché? Pensavi forse che ti avrei mandata via? Che ti avrei costretto a fare qualcosa che non volevi? Eppure pensavo di averti fatto capire che ero disposto ad aiutarti in ogni modo, pur di fare ammenda al comportamento di mio cugino! E se questa ne è la conseguenza… anche di essa mi sarei fatto carico!”  
“Sapevate che avevo accettato di tornare, la prima volta che veniste a cercarmi, solo per la signora Agatha, non certo perché voi poteste “fare ammenda”, come dite. Vi ho sempre detto molto chiaramente che non avete alcun debito con me. Andarmene è stata una mia scelta, sulla quale non ha influito nessuno, volevo non essere di peso a nessuno  – mentì la ragazza – sono riuscita a trovare un lavoro presso la famiglia Penvenen ed intendo continuare a lavorare lì, reggendomi sulle mie sole forze, come ho sempre fatto. Se non fosse accaduto quell’incidente alla miniera, non avreste mai più sentito parlare di me. È solo che… quando ho sentito che era crollato tutto, che voi stesso eravate in pericolo… ho pensato che le mie ragioni fossero meno importanti della salvezza di tante altre persone che potevano avere bisogno di aiuto”.
Ross fremette. Anche se non glielo aveva confessato apertamente Demelza era tornata per lui. Provava forse la stessa sensazione che sentiva lui in quel momento? Com’era possibile che quella ragazza, solo standogli accanto, fosse in grado di fargli dimenticare completamente il suo amore perfetto ed intoccabile per Elizabeth? Il cuore gli palpitava nel petto, ma la ragione gli diceva che non poteva cambiare le cose e nulla poteva offrire alla rossa, se non una disinteressata amicizia.  
Le prese una mano e le parlò dolcemente.
“Ti sono grato, Demelza, per aver voluto prestare il tuo aiuto oggi alla Grace. Sono contento di averti rivisto e di sapere che stai bene. Continuerò a rispettare, come ho fatto nei mesi scorsi, il tuo bisogno di stare da sola e non ti farò alcuna forma di pressione: sei libera di vivere la tua vita come credi. Ricorda, però, che tuo figlio ha il mio stesso sangue; è un Poldark anche lui, e non potrai impedirmi di prendermene cura fino all’ultimo dei miei giorni!”
Poi le ruotò delicatamente il polso e portò alle labbra la mano di lei che teneva stretta tra la sua, deponendovi un delicato bacio.
“Se solo ci fossimo conosciuti prima, qualche anno fa… forse le cose sarebbero andate diversamente…” – concluse Ross.
Demelza sapeva molto bene che tra di loro non poteva esserci nulla, ma ricevere quel baciamano, quelle parole che suonavano come una sorta di addio, fu un colpo abbastanza duro per il suo cuore innamorato.
Discese di sotto, salutò frettolosamente Prudie ed il dottor Enys e andò via, tuffandosi in lacrime nella carrozza, ove la accolsero le braccia amiche di miss Caroline.   
La mattina dopo fu la volta di un’altra carrozza che si fermò a Nampara per far discendere la padrona di casa, Elizabeth. La giovane donna si precipitò al capezzale del marito, lo abbracciò, lo baciò con trasporto, e gli disse che era stata molto in pena per lui dopo aver ricevuto il messaggio del dottor Enys. Ross le raccontò per filo e per segno cosa fosse accaduto, tralasciando solo l’incontro con Demelza, e si mostrò molto mortificato per il danno che le loro finanze avrebbero subito, in particolare con riguardo alle cure di cui necessitava la signora Chynoweth…
“Oh, di questo non devi preoccuparti, mio caro! – finse Elizabeth – vedi, mio padre ha ottenuto un aiuto economico da una lontana cugina che un tempo mio nonno aveva beneficato, per cui da ora in poi le medicine e le visite della mamma saranno pagate con quei fondi! Vedrai che riuscirai a risollevarti ancora una volta! Se ne hai bisogno, non farti scrupolo di vendere qualcuno dei miei gioielli, o dei miei abiti, per pagare i salari ai tuoi minatori! Ne ho talmente tanti che uno in più o in meno non lo noterò neppure!” – concluse, pensando a quelli che in cambio le avrebbe donato Warleggan.
Ross rimase favorevolmente stupito da tanta comprensione manifestata da sua moglie e la strinse a sua volta in un caldo abbraccio.
I tarocchi di zia Agatha non si erano sbagliati: una donna bugiarda e manipolatrice era tornata a Nampara, ma non era certo di Demelza che si trattava.  

 

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Capitolo 15
*** cap. 15 ***


Appena fu in condizioni di rimettersi in piedi la prima cosa che fece Ross fu recarsi alla Wheal Grace per saggiare con i propri occhi l’entità dei danni verificatisi dopo il crollo. Zacky e gli altri avevano provato a ripristinare i livelli più superficiali della miniera, ora accessibili ma già interamente sfruttati. Per sgomberare quelli sottostanti Henshawe aveva preso contatti con il capitano della Wheal Plenty, che poteva concedere a noleggio un escavatore di tipo meccanico: una volta ottenuto il prestito di miss Penvenen, sarebbe stato possibile ripulire gli strati più bassi in una settimana abbondante di lavoro e sperare in tal modo di riprendere le estrazioni e ripianare le perdite dovute al fermo delle attività.
Immediatamente dopo questa ispezione Ross volle porgere le sue condoglianze alle famiglie dei minatori defunti; in tutte e tre le case trovò grande rassegnazione e gratitudine nei suoi confronti, nessuno gli addossava la colpa dell’accaduto: era il padrone, ma aveva rischiato di perdere la vita lui stesso nell’incidente, che era stato solo una tragica fatalità.
Il passo successivo fu andare a Killewarren per ringraziare di persona miss Caroline per il suo supporto. Ross vi si recò anche con la segreta speranza di rivedere Demelza ed informarsi sul suo stato di salute; non solo però non la incontrò, ma quando accennò a lei miss Caroline gli riferì che era fuori casa quel giorno per una commissione da svolgere per suo conto. Terminata la visita Ross ebbe il sospetto che fosse stata la cameriera a non volersi far trovare.
Nei giorni successivi iniziò a rimuginare sugli eventi accaduti nei mesi precedenti. Com’era possibile che Demelza, che non conosceva affatto miss Penvenen, fosse finita proprio al suo servizio dopo aver lasciato Nampara? A quello che gli risultava, Ray Penvenen aveva una dimora piena di domestici: per quale ragione sua nipote avrebbe dovuto incrementare la servitù assumendo una ragazza incinta? La spiegazione offerta da miss Caroline sul prestito in denaro lo aveva poi lasciato molto perplesso; la giovane donna aveva detto soltanto che suo zio, prima della sua malattia, aveva sempre elogiato la famiglia Poldark e le aveva raccontato della grande amicizia che aveva sempre legato le loro stirpi; inoltre la sua attività estrattiva era importante per l’economia del luogo. In un certo senso era il ragionamento di zia Agatha, tuttavia vi era qualcosa che non convinceva Ross.
Ad un tratto l’uomo ebbe un’intuizione. Chi era stato a parlargli del prestito subito dopo l’incidente, chi era stato a fargli rivedere Demelza quel giorno, nonostante le bizze di zia Agatha? Dwight Enys. Il giovane medico frequentava Killewarren e conosceva anche Demelza piuttosto bene. L’anello di congiunzione fra Caroline e Demelza doveva per forza essere stato Dwight, perché lei non avrebbe potuto organizzare tutto da sola all’improvviso, e non sarebbe stata così incosciente da mettere in pericolo il suo bambino andandosene allo sbaraglio senza una meta. Se dunque era stato il suo amico medico ad aiutare Demelza ad andare via da Nampara, glielo aveva consapevolmente tenuto nascosto pur conoscendo la sua inquietudine per la scomparsa della ragazza.  Non se la sentiva di biasimarlo, evidentemente aveva una ragione seria per mantenere il segreto; ma era solo il rispetto della volontà di Demelza o c’era dell’altro? Ross continuava ad interrogarsi senza trovare risposta; prepotentemente però gli ritornavano alle mente i discorsi di Elizabeth, che più e più volte aveva paventato una gravidanza come conseguenza possibile della violenza di Francis e come gravissima onta che avrebbe colpito la loro famiglia. Un figlio illegittimo di un Poldark messo al mondo da una serva nella visione di Elizabeth era quanto di peggio potesse accadere, un vero e proprio incubo.
Possibile che sua moglie avesse intuito qualcosa sulla condizione di Demelza e l’avesse indotta o, peggio, obbligata ad andare via? Eppure Prudie gli aveva detto che quando la ragazza era andata via non le aveva confidato nulla del suo stato ; e se non lo sapevano Prudie e sua zia, figuriamoci Elizabeth che con Demelza scambiava sì e no qualche parola!
Il dubbio lo aveva ormai sfiorato, ma Ross decise di pazientare, anche perché Elizabeth era tornata a Cusgarne ed aveva tutto il tempo di appurare il fatto senza coinvolgerla direttamente.
Nel frattempo a Killewarren Demelza era entrata nel suo ultimo mese di gravidanza e cominciava a sentirsi sempre più stanca ed affaticata. Non volendo tuttavia essere di peso, non si sottraeva ai propri doveri e Caroline, per venirle incontro, l’aveva spronata ad abbandonare i compiti più faticosi in giardino, cosicchè la ragazza si intratteneva sempre più spesso con l’ammalato facendogli compagnia, il che consentiva a Caroline maggiore libertà. Nel corso di uno di tali pomeriggi il vecchio giudice chiese a Demelza di portargli un pezzo di carta e con grande fatica e lentezza egli prese a scrivere delle lettere. Il messaggio che ne risultò alla fine era composto da un nome e da un cognome: Unwin Trevanaunce. Demelza chiese all’uomo chi fosse: un suo amico, un conoscente? A gesti e muovendo faticosamente il labiale, scrivendo ciò che non riusciva ad esprimere in altro modo, Demelza riuscì a comprendere che lo zio voleva che Caroline sposasse questo tale. Allarmata, la cameriera chiese al padrone se avesse già parlato con la nipote e se fosse convinto che Caroline avrebbe accettato; non potendo tradire il suo segreto tentò di accennare al fatto che miss Penvenen non meritava di vedersi costretta in una unione infelice, e propose allo zio di far scegliere lei e farle sposare chi desiderasse. L’anziano zio però, picchiettando sul foglio contenente il nome scritto espresse a gesti il concetto che Unwin era il meglio che Caroline potesse desiderare e parve a Demelza estremamente convinto della bontà della sua proposta.
Nei giorni successivi Demelza apprese dalla bocca di Caroline che lo zio si era deciso a parlarle del matrimonio. Peccato che questo tale Unwin, rampollo di un’ottima famiglia originaria di Falmouth,  fosse un ragazzetto timoroso e mediocre che a Caroline non piaceva per niente, ed era furibonda perché lo zio lo aveva invitato per cena, insieme ai di lui genitori, una di quelle sere. Demelza consigliò alla dama di essere sincera con suo zio e di non partire sconfitta in partenza, ritenendolo irremovibile nella sua decisione. In fondo le nozze erano le sue e lo zio non poteva imporle nulla. Caroline rispose che lo zio era ancora il suo tutore ed era colui che doveva prestare consenso alle nozze; lei avrebbe potuto forse esimersi dallo sposare Unwin, ma lo zio non avrebbe mai accettato Dwight Enys e le avrebbe proposto altri pretendenti, uno dei quali prima o poi lo avrebbe dovuto scegliere; pertanto Unwin o un altro sarebbe stato indifferente, alla fine.
Demelza ribattè che non comprendeva cosa ci potesse essere di così grave nello sposare un uomo come il dottor Enys.
Caroline replicò che la sua eredità ammontava a milioni di sterline e che, morto lo zio Ray senza figli, avrebbe ereditato anche Killewarren e  l’intero patrimonio di lui; Dwight era una persona perbene, ma la sua posizione economica non era florida; egli era un onesto medico di campagna ma piuttosto squattrinato e la posizione e le sostanze di lei lo avrebbero sopraffatto, se si fossero sposati. Agli occhi dell’opinione pubblica sarebbe stato un cacciatore di dote, e ciò lo avrebbe pregiudicato anche nella professione; nessuno avrebbe creduto alla storia del vero amore e lei, Caroline, non poteva dare scandalo contrastando la volontà dello zio né rinunciare al suo patrimonio, perché questa scelta avrebbe messo in difficoltà anche Dwight, che si sarebbe sentito umiliato nel non poterla mantenere secondo il tenore di vita cui era abituata.
Demelza non riusciva a capire quel genere di discorsi e soprattutto contestava a Caroline il fatto di ragionare troppo per preconcetti, senza aver neppure confessato i suoi sentimenti a Dwight e senza conoscere la sua opinione in proposito.
Caroline sulle prime manifestò un atteggiamento di chiusura nei confronti di Demelza e rifiutò di parlare ancora dell’argomento. Accettò di prendere parte alla cena con i Trevanaunce quasi rassegnata, perché le dispiaceva smorzare l’entusiasmo dello zio Ray che già la vedeva felicemente accasata con quel bellimbusto di Unwin. Sapeva che avrebbe dovuto assumere una decisione definitiva a breve ed era angustiata per tale ragione.
Fu ancora una volta Demelza a risolvere la situazione mettendoci lo zampino. Era una splendida giornata di fine aprile, tiepida e serena. Le due donne ne avevano approfittato per recarsi ai margini del giardino di Killewarren, dove si trovava un laghetto in cui nuotava un gruppetto di candidi cigni. Caroline aveva in braccio il fedele Horace, mentre Demelza raccoglieva fiori. Mentre erano intente a chiacchierare furono raggiunte dal dottor Enys, che era arrivato benchè non fosse giorno abituale delle sue visite a Ray Penvenen. L’uomo si scusò del mancato preavviso, ma per un imprevisto doveva recarsi a Penzance il giorno successivo dove si sarebbe trattenuto alcuni giorni; non voleva quindi trascurare il suo paziente ed aveva intenzione di visitarlo prima della partenza.
Demelza si allontanò con la scusa di mettere i fiori raccolti in un vaso e lasciò soli i due giovani seduti sulla panchina prospiciente l’ameno specchio d’acqua.
“Come stai? – le chiese il medico – Demelza giorni fa mi ha detto che sei parecchio agitata in questo periodo…”
“Demelza parla sempre troppo!” – sbottò Caroline, senza aggiungere altro.
Dwight comprese che l’aria non era delle migliori e che miss Penvenen  non era affatto di buon umore. Sorrise, perché ormai aveva imparato a conoscerla. Era meglio far sbollire quella rabbia ed aspettare tempi migliori per conversare del suo stato d’animo.
“Dicono che i cigni siano monogami” – disse ad un tratto il giovane, osservando gli animali che placidamente nuotavano nel laghetto.
“Come dici, scusa?” – chiese la bionda ereditiera.
“Ho sentito dire che i cigni si accoppiano per la vita; scelto il proprio partner gli restano fedeli per sempre!” – precisò Dwight.
“Mi sembra molto insolito – commentò Caroline – peccato che Demelza si sia allontanata, è un argomento che le interesserebbe molto! E’ lei che ha tutte queste idee romantiche sull’amore, sul matrimonio, sulla lealtà nei rapporti umani.”
“E lo trovi sbagliato?” – proseguì il medico.
“Non lo trovo sbagliato, anzi un po’ invidio la sua visione candida delle cose del mondo; devo però constatare che, fino a questo momento, questo modo di pensare non l’ha condotta a nulla di buono.”
“Perché affermi questo? Sta a noi trarre il buono da tutto ciò che ci accade, anche dalle avversità  – filosofeggiò Dwight- e per ora mi pare che Demelza se la stia cavando egregiamente. Ha dimostrato molto più coraggio lei di tante altre persone, che restano ferme ed arroccate nelle loro posizioni, mentre la vita scorre, facendosi trascinare dagli eventi senza avere la possibilità di scegliere ciò che le renderebbe davvero felici”.
“Secondo voi c’è sempre la possibilità di scegliere, dottor Enys?” Quando voleva canzonarlo, Caroline riprendeva infatti a dargli del voi.
Dwight rifletté un attimo.
“Forse mi sono espresso male. Avrei dovuto dire che a volte c’è la possibilità, ma non c’è la volontà di scegliere. Ci si crogiola nella sofferenza, ritenendola ineluttabile, quando uno sforzo di volontà consentirebbe agli eventi di prendere una piega diversa…”
Caroline lo guardò. Enys era stranamente enigmatico quella mattina. Possibile che avesse intenzione di dirle qualcosa? Forse lo zio Ray aveva lasciato trapelare anche con il medico la sua intenzione di maritarla ad Unwin? Cercò di darsi un tono e proseguì.
“Come mai questi discorsi esistenziali stamattina, dottor Enys? Vi trovo più pesante e noioso del solito! Trovo quasi più interessanti le vostre elucubrazioni sui cigni, ed è quanto dire!”
Dwight si irrigidì. A volte non c’era proprio verso di ragionare con quella ragazza. Ogni tanto, però, meritava che qualcuno la strigliasse a dovere.
“Molto bene, Caroline – fece l’uomo, alzandosi per andarsene - visto che mi trovi così tedioso, andrò subito a visitare tuo zio, che sarà una compagnia più amabile di te quest’oggi!” Spazientito, si volse verso di lei e aggiunse: “E’ mai possibile che non riesci a mettere da parte, neanche per una volta, il tuo cinismo e la tua arroganza? Sei così presa da te stessa che non ti accorgi nemmeno di chi ti è intorno ed ha a cuore solo il tuo bene!”
Caroline restò basita da quella reazione, che sicuramente era segno di quanto Dwight tenesse a lei. Si fece coraggio. Forse Demelza aveva ragione, dopo tutto.
“Aspetta!” – gli disse trattenendolo per un braccio.
Appena ebbe la sua attenzione, Caroline riprese il tono di sempre. “Non andatevene, dottor Enys. Devo chiedervi un consiglio professionale; o meglio, non direttamente per me, ma per lo zio Ray.  Ultimamente, sapete, lo zio ha manifestato una certa preoccupazione per le mie sorti ed è tornato alla carica con la storia del matrimonio. Ora nelle sue grazie c’è un tale Unwin Trevanaunce e lo zio vorrebbe che lo sposassi. È stato qui a cena qualche sera fa, sembrerebbe già tutto organizzato fra lo zio e il padre di Unwin. Occorre solo il mio sì.”
Caroline fece una pausa, cercando di cogliere qualche reazione di gelosia nel giovane, che, se l’aveva avuta, aveva parato il colpo piuttosto bene.
Poi continuò: “Poiché a me questo Unwin non piace affatto, vorrei sapere, sulla base delle condizioni di salute dello zio, come pensate che potrebbe reagire se gli dicessi che in realtà è un altro l’uomo che amo? Se gli dicessi che quest’uomo non appartiene al nostro ambiente, non è ricco, è soltanto un medico di paese, ma è un uomo buono, gentile e generoso; che io lo stimo, lo ammiro e non riesco ad immaginare nessun altro al mio fianco come marito; che, se potessi averlo, gli sarei fedele per la vita, come uno di questi graziosi cigni; pensate che lo coglierebbe un colpo apoplettico o potrebbe sopravvivere alla notizia?”
La bionda sbattè le ciglia e fissò dritto Dwight, i cui occhi azzurri sembravano più lucenti che mai, mentre un leggero rossore animava le sue guance.
“Io credo, miss Penvenen – rispose reggendo il suo gioco – che più che della salute di vostro zio bisognerebbe preoccuparsi di quella del giovane medico allo scoprire di essere oggetto di una così intensa passione da parte vostra … non so se il poveretto potrebbe sopravvivere all’emozione!”
“Immaginiamo che sopravviva… secondo voi, questo vostro collega potrebbe ricambiare il mio amore?”- aggiunse Caroline vezzosa.
“Ricambiarvi? – esclamò Dwight - Egli, se non è uno stupido, non potrebbe che ringraziare il cielo di tanta fortuna! Quanto a vostro zio, se fossi in voi gli farei capire che quell’uomo forse non ha un alto lignaggio e ricchezze da sbandierare ai quattro venti – e neppure vorrebbe mettere mano alle vostre, sempre che voi vi accontentiate di vivere con quello che la sua professione può garantire - ma se accettaste di sposarlo dedicherebbe ogni attimo della sua esistenza allo scopo di rendervi felice…”
Lasciando scendere Horace dal suo grembo, Caroline si avvicinò al giovane medico e si strinse al suo petto, sussurrandogli emozionata: “Oh, Dwight caro…”
Lui la abbracciò, le sollevò il mento tra le dita e depositò sulle sue labbra un tenero bacio….mentre Demelza, che osservava da lontano, sorrideva soddisfatta.

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Capitolo 16
*** cap. 16 ***


Dwight non ebbe molto tempo per godersi il nascente idillio con miss Penvenen. Appena ritornato dal viaggio a Penzance fu convocato d’urgenza a Nampara perché la zia di Ross stava molto male: i suoi polmoni avevano improvvisamente ceduto, faticava a respirare e non si alimentava da giorni.
Fu subito chiaro a tutti che la ultranovantenne decana dei Poldark non sarebbe riuscita a superare quella crisi; si poteva solo sperare che si spegnesse senza inutili sofferenze.  
Un giorno, era l’8 maggio 1786, zia Agatha chiese a Ross di portarle l’anello che gli aveva dato mesi prima, quando gli aveva chiesto di cercare Demelza. Ross se ne era quasi dimenticato, ma sì, lo aveva ancora, non lo aveva venduto come avrebbe voluto la zia, perché dapprima non era riuscito a trovare Demelza e, quando poi era riapparsa, la ragazza aveva rifiutato ogni aiuto economico. Così Ross non aveva più pensato a quel gioiello, che era rimasto chiuso tutto quel tempo in un cassetto del suo scrittoio.
“Portami l’anello, e manda Jud a chiamarla” – sussurrò zia Agatha.
“Demelza? – chiese Ross incredulo, visto come l’aveva trattata l’ultima volta. Avuta conferma di aver capito bene, assecondò quello che pareva essere l’ultimo desiderio di sua zia, e raccomandò a Jud di far capire a Demelza la gravità della situazione, affinchè non rifiutasse di accorrere a Nampara.
Il servo di Ross andò di corsa a Killewarren, a cavallo, ed in fretta e furia Demelza si preparò per seguirlo con la carrozza messa a disposizione da Miss Caroline.
Arrivati a destinazione, Demelza non perse tempo ed un Ross affranto, ringraziandola per essere arrivata prontamente, la accompagnò nella stanza dell’ammalata.
Demelza rimase colpita nel vederla. Era sempre stata una donna magra, scheletrica, pallida, ma distesa in quel letto, bianca come le federe dei cuscini, con gli occhi chiusi, Agatha Poldark pareva già appartenere al mondo dei più.
Ross scosse lievemente la zia per palesarle la presenza di Demelza, e la prozia la invitò a sedersi, con un fil di voce, ma conservando intatto il suo tipico tono autoritario. Chiese poi a Ross di lasciarle da sole. Ross e Demelza si guardarono per un attimo; l’uomo le rivolse un timido sorriso di incoraggiamento: benchè la vecchia Agatha fosse stata molto sgradevole l’ultima volta che si erano viste aveva l’impressione che fosse ben disposta questa volta. In ogni caso decise di attendere fuori della porta, perché non avrebbe consentito che la zia strapazzasse quella povera ragazza, nelle sue condizioni.
Demelza, cui ogni movimento era reso difficoltoso dalla pancia, si lasciò andare sulla sedia accanto al letto e rimase in ascolto. La vecchia Agatha fissò Demelza con i suoi occhi cerulei, ancora ardenti a dispetto del decadimento delle sue condizioni generali, e le parlò: “Non ho più tempo. Questa è l’ultima occasione per dirti ciò che devo. Cerca di non interrompermi, ragazza.”
Demelza annuì, certa che non avrebbe osato interromperla, anche perché temeva che non riuscisse ad arrivare alla fine del discorso senza soffocare.
“Ho passato tutta la vita a cercare di scoprire il futuro nelle carte, e le carte non mi hanno mai deluso, tranne una volta: quando tu arrivasti mi predissero un futuro luminoso per la nostra famiglia, che tu ci avresti portato fortuna; invece nell’arco di un anno sono morti i miei due nipoti, Francis si è tolto la vita, abbiamo perduto Trenwith; Ross non va d’accordo con sua moglie ed è ad un passo dalla bancarotta, il loro figlio è uno storpio che Dio solo sa se riuscirà a camminare… io sto per morire… eppure i tarocchi non sbagliano….allora, mi sono detta, c’è un’unica spiegazione… il bambino! – disse, puntando il dito ossuto verso la pancia di Demelza - Il bambino segnerà la rinascita dei Poldark!”
Demelza restò in silenzio, come promesso, anche se i vaneggiamenti di quella povera donna che le attribuivano responsabilità non sue non le erano affatto graditi.
Agatha prese fiato dopo la breve pausa e continuò: “Da quando sei andata via i tarocchi hanno iniziato a darmi segnali ambigui. Da tempo mi avevano rivelato che la moglie di Ross non era la persona giusta per lui, ma la piccola Verity mi ha impedito di dirglielo! Negli ultimi mesi le carte hanno cominciato ad indicarmi la presenza di un inganno, una minaccia da parte di una donna, ed ho pensato che fossi tu, perché sei tornata proprio il giorno in cui quel cattivo presagio era apparso, legato alla figura della morte! Ma da quando Elizabeth è tornata a Cusgarne e non abbiamo sentito più parlare di te, dopo l’incidente di mio nipote, quel responso si ripeteva…! Allora ho pensato che forse ero stata io ad interpretare male: era Elizabeth la donna menzognera che doveva ritornare a Nampara! La torre e la ruota apparivano sempre contrapposte; mi è sorto allora un sospetto, ma per comprendere tutto c’è una cosa importante che devo sapere, e devi dirmela adesso: Elizabeth ha cercato in qualche modo di impedire la nascita del tuo bambino? È stata lei a minacciarti e a costringerti ad andare via?”
Demelza ci pensò su un attimo. In fondo quella donna stava per morire, il segreto sarebbe morto con lei e conoscere la verità avrebbe potuto forse aiutarla a morire più serena: così rispose affermativamente, rivelandole quale era stato il ricatto di Elizabeth.
L’anziana donna chiuse gli occhi, una smorfia di rabbia apparve sul suo viso smunto, ma poi trionfante esclamò che finalmente il senso di tutto era chiaro. Tese la mano verso Demelza e rovesciò nel suo palmo l’anello di famiglia.
“Ascoltami bene: devi tenere quella donna lontana da tua figlia a qualsiasi costo! Il giorno del suo battesimo consegnerai alla bambina questo anello da parte mia: era di mia madre, e prima di lei di mia nonna e della mia bisnonna. Lei sarà la prima femmina dei Poldark di nuova generazione –  si spera non l’unica! – : ricordale che dovrà portare alto il nome della nostra famiglia, sempre!”
Demelza guardò sbigottita il prezioso monile ed avrebbe voluto rifiutarlo, ma la vecchia glielo aveva stretto nel pugno cingendolo con la sua mano e quel gesto valeva come una muta promessa, che non ammetteva repliche, di portare a compimento il suo ultimo desiderio.
Gli occhi le si inumidirono; accarezzò il volto di zia Agatha, le baciò la mano e le disse che avrebbe eseguito la sua volontà, pur essendo assalita, in cuor suo, da una serie di dubbi.
Si domandò come facesse la donna ad affermare con tanta sicurezza che il bambino che portava in grembo era una femmina, e come avrebbe potuto quella creatura portare alto il nome dei Poldark visto che avrebbe avuto il suo cognome, Carne. Si trattenne tuttavia dall’esternare qualsiasi perplessità che potesse scalfire la serenità che ora era dipinta sul volto della vecchia, come se un peso le fosse stato tolto dal cuore.
“Bisogna mettere Ross in guardia da Elizabeth!” – mormorò poi la vecchia Agatha, parlando forse più a se stessa che a Demelza. Ella si chiese come avrebbe reagito il capitano Poldark a quel monito fondato sui tarocchi; poi realizzò che per mettere in cattiva luce la moglie di suo nipote Agatha non avrebbe esitato a rivelargli anche la parte che riguardava lei, e sussultò….
“Vi prego, non dite nulla a Ross di quanto vi ho confidato oggi! Avete detto che devo proteggere il mio bambino dalla signora Elizabeth; cercate allora di non attirare l’attenzione su di me, così che non cerchi vendetta! Lasciamo che vostro nipote sia libero di capire da solo se può fidarsi o meno di sua moglie….”- la supplicò.
“Hai ragione – convenne l’anziana donna – ma, quando non ci sarò più, ricordati di non lasciar fare troppo al destino… verrà il momento in cui dovrai saper tirare fuori unghie e denti, piccola mia!”
Quella sera stessa zia Agatha spirò. Ross dovette organizzare in fretta e furia le esequie, cui non prese parte Elizabeth: trovando il pretesto di un improvviso aggravamento delle condizioni di sua madre evitò di compiere l’ennesima ipocrisia, visto che non aveva mai potuto soffrire quella vecchia bisbetica.
Trascorsa una settimana, Ross si recò al cimitero di Sawle per prendere accordi con un marmista per le misure della lapide. Aveva deciso di sacrificare parte dei risparmi messi da parte per le famiglie dei minatori: è vero che anch’essi avevano le loro esigenze, ma sentiva il dovere morale di  tributare quell’onore alla zia, anziché lasciarla riposare in una tomba anonima.
Sul cumulo di terra nuda che provvisoriamente ricopriva la fossa e sul quale il reverendo Odgers aveva  fatto apporre una modesta croce in legno vi era un mazzo di freschissime rose bianche.
Ross non tardò ad immaginare chi potesse essere l’artefice di quell’atto pietoso; infatti poco dopo, lungo la strada che conduceva alla sua miniera, incontrò Demelza. La salutò, la ringraziò per il gesto gentile che aveva usato alla memoria di sua zia e, sceso da cavallo, le si unì per un tratto, chiedendole dove fosse diretta e come mai fosse a piedi.
Demelza spiegò che era arrivata al cimitero in carrozza insieme a Caroline, ma che poi si erano date appuntamento alla Wheal Grace in quanto miss Penvenen era andata a cavalcare con il dottor Enys.
“C’è qualcosa che dovrei sapere?” – chiese Ross in tono scherzoso.
“Forse…” – alluse Demelza, domandandosi come mai gli uomini fossero così sprovveduti rispetto alle questioni di cuore.
Poiché anche Ross era diretto alla miniera, benchè fosse ormai tardo pomeriggio ed i lavoranti probabilmente già tutti a casa, fu felice che la ragazza gli tenesse compagnia lungo il percorso.
Dopo le domande di rito su come proseguiva la gravidanza e quanto tempo mancava al parto, fu Demelza ad informarsi su come stesse Ross. Il giovane rispose tristemente che non era facile accettare di aver perso, in poco più di un anno, tutti i membri della sua famiglia: suo padre, suo zio, suo cugino ed ora anche la vecchia prozia.
“Non siete rimasto solo però. Avete vostra moglie, vostro figlio. Sono loro la vostra famiglia ora! –gli rispose d’istinto Demelza.
Altrettanto istintivamente Ross le fece una confidenza che in altre circostanze gli sarebbe sembrata assurda, ma, chissà perché, quando era vicino a quella ragazza si sentiva a contatto con la parte più vera di se stesso.
“Ho amato moltissimo Elizabeth. Il suo pensiero era l’unica cosa che mi infondesse speranza mentre ero sui campi di battaglia in Virginia. Quando ci siamo sposati ho pensato che sarebbe stato il coronamento di un meraviglioso sogno d’amore. Ed anche lei mi amava, ne sono certo… ma qualcosa non è andato come volevamo. Forse la nostra era solo un’illusione: il sogno di due ragazzini, un amore ideale che si è frantumato di fronte alle mille difficoltà della vita quotidiana. Non posso negare di volerle ancora bene, è pur sempre la madre di mio figlio, ma c’è qualcosa che mi impedisce di essere davvero felice con lei…”
Ross tacque. Forse si era spinto troppo in là con quella confessione, forse era ingiusto gravare Demelza di quel peso: lui avrebbe dovuto darle protezione e sostegno, mentre in quel momento era il contrario, stava chiedendo a lei, in un certo senso, una parola di aiuto per andare avanti.
Demelza lo fissò con uno sguardo serio.
“Una volta vostro padre mi disse che incontrare il vero amore è una fortuna rara nella vita. Mi state dicendo che vi siete reso conto di non far parte di quei pochi eletti? Che vi siete… pentito della vostra scelta?”
Ross stava per rispondere che sì, si era pentito, avrebbe voluto tornare indietro mille volte, ma non ebbe il tempo di spiegare le sue ragioni perché dovette sorreggere Demelza, che si era piegata in due all’improvviso a causa di una fitta lancinante alla bassa schiena.
“Che cosa ti succede?” – gridò Ross.
“Non lo so, io…. “- balbettò Demelza cercando di capire cosa le stesse accadendo.
“Ce la fai a camminare o vuoi sederti un attimo?” – le domandò preoccupato.
Demelza rispose che ce la faceva e proseguì il cammino con cautela, appoggiandosi al braccio di Ross. Dopo circa due minuti, mentre erano quasi giunti in vista della miniera, una ulteriore fitta all’addome la indusse a sedersi nel bel mezzo del sentiero.
In fondo, bastava fermarsi un attimo a respirare e passava tutto. Era normale avere contrazioni all’ultimo mese di gravidanza. Le era già capitato anche a Killewarren, sebbene dovesse riconoscere che non erano mai state così intense e così frequenti.
“Sei sicura di stare bene? Bisogna cercare il dottor Enys…”- disse Ross, già pronto a balzare in sella a Seamus per mettersi alla ricerca del giovane medico.
“No, non mi lasciate qui da sola!  - lo pregò la ragazza - Siamo quasi arrivati alla Grace, basterà che mi stenda un po’, di solito il riposo funziona”.
Ross la aiutò lentamente a rimettersi in piedi e la rimproverò per essersi sottoposta a quello sforzo nelle sue condizioni, anche se il tragitto tra cimitero e miniera era piuttosto breve. Demelza però non aveva perso il suo ottimismo: si accarezzò la pancia, implorò mentalmente il suo bambino di fare il bravo e di non metterla in imbarazzo proprio mentre era con il capitano Poldark, e si rimise in cammino. Dopo pochi passi, però, un fiotto di liquido caldo le colò lungo le gambe, formando una pozza tra i suoi piedi: la ragazza guardò Ross con sgomento e fu subito chiaro ad entrambi che Demelza aveva appena rotto le membrane.

 

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Capitolo 17
*** cap. 17 ***


“C’era molta gente, dunque?” – chiese Elizabeth, tamponando delicatamente le labbra con un tovagliolo dopo aver sorbito il tè fumante che la cameriera aveva appena servito.
“Sì, parecchia. Sir Bodrugan, sir Bassett, lady Smith, i Treneglos, i Sanson, Pascoe, Pearce, Choake e tanti altri; per non contare la pletora dei pezzenti di cui Ross abitualmente si circonda. Non avrei mai creduto che quella vecchia strega di sua zia godesse di tanto rispetto! Ricordo ancora l’atteggiamento classista che mi riservava ogni volta che mi recavo a Trenwith a trovare Francis! Ed ora la sua casa appartiene a me, il nipote del fabbro che tanto disprezzava, ah ah ah!” – sghignazzò George.
“Qualcuno ha malignato sul fatto che non fossi presente alle esequie?” – domandò la donna, preoccupata come sempre di non scalfire la sua perfetta immagine agli occhi del mondo.
“Non ho colto nessun pettegolezzo in proposito. Del resto non dovete sentirvi in colpa, anche Ross vi sta trascurando. Da quanto tempo non viene a Cusgarne, da quando tempo non visita suo figlio? Si può dire che Valentine veda più spesso me che suo padre!”
“In realtà, da quando mi sono trasferita qui l’accordo era che fossi io a spostarmi; ma sapete com’è, mi sono resa conto che l’ambiente in cui sono sempre vissuta, con la servitù che conosco da anni – oltre ovviamente alla vostra gradevole compagnia, di cui mi fate frequentemente dono – mi è più congeniale… a Nampara non mi sono mai sentita veramente a casa mia!” – gli confessò Elizabeth.
“Ah, a proposito del funerale, sapete anche chi era presente? Miss Penvenen! Non mi avete poi spiegato per quale motivo ha deciso di finanziare vostro marito.”
“Non lo so esattamente, credo sia una questione di antica amicizia fra le due famiglie in forza della quale si è sentita in dovere di intervenire. È un prestito che prima o poi però Ross dovrà restituire”.
George si sentì pungere dall’invidia per le comuni prestigiose origini dei Poldark e dei Penvenen, ben diverse dalle sue. Aggiunse:  “Ho trovato curioso che miss Caroline fosse accompagnata, al funerale, da una dama di compagnia in evidente stato di gravidanza, che pareva molto affranta. Mi è parso un volto conosciuto... possibile che si trattasse di una delle sguattere che serviva il pranzo di Natale a Trenwith quando ci riunimmo lì un paio di anni fa?”
Elizabeth sobbalzò  : “Demelza??? – esclamò – parlate di una donna dai capelli rossi e ricci?”
“Esattamente” – fu la risposta.
“Quell’intrigante! Quell’arrivista! E chissà che tramite la sua nuova padrona non trovi il modo di riavvicinarsi a Ross e mettermi ancora i bastoni fra le ruote!” – pensò Elizabeth tra sé e sé. Poi valutò che poteva coinvolgere il suo nuovo amico George Warleggan in un piano per liberarsi di Demelza, anche se per il momento non era opportuno rivelargli la vera ragione per cui provava tanto astio verso quella fanciulla.
***
Dopo qualche attimo di panico, Ross e Demelza decisero che il primo obiettivo era arrivare alla Wheal Grace: nel suo ufficio Ross aveva una brandina e una coperta che utilizzava quando voleva riposare durante le lunghe giornate alla miniera, che potevano essere utili in quella circostanza. Dopo un tragitto che sembrò infinitamente lungo giunsero finalmente a destinazione. Ross aiutò Demelza, sempre in preda ai dolori, a distendersi sulla brandina e cercò nelle vicinanze qualche anima viva che potesse andare in cerca di aiuto. Demelza era stata infatti categorica: non voleva essere lasciata da sola neppure per un attimo.
Per fortuna c’erano dei ragazzini che giocavano nei dintorni: Ross li chiamò e chiese loro di correre a Nampara, dietro ricompensa, chiedendo di Prudie Paynter. I monelli scattarono come lepri, ma Ross dubitava che la sua pigra e corpulenta cameriera sarebbe stata in grado di accorrere a piedi alla Grace in tempi compatibili con le esigenze di Demelza. Ma dove diavolo era finito Dwight? Il romanzetto con Miss Caroline gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo?
Quando rientrò nell’ufficio Demelza era seduta sulla brandina, sulla quale si puntellava con le mani, e Ross notò dei pezzi di stoffa – probabilmente il sottogonna della ragazza – stesi sul giaciglio sotto di lei e macchiati di sangue.
La ragazza si scusò per il disagio che stava causando in quel luogo, certo non adatto per dare alla luce un bambino, ma Ross le sorrise e, per stemperare la tensione, disse che quello era l’ultimo dei problemi.
Poiché in quell’istante la giovane fu colta dall’ennesima contrazione, Ross commentò: “Fa davvero tanto male?” Demelza non rispose, e lui si rese conto di aver fatto una domanda molto sciocca. Era ovvio che una donna che sta per partorire provasse dolore, solo che era una situazione nuova e molto imbarazzante per lui. Non sapeva in che modo aiutarla, avrebbe preferito essere lontano mille miglia pur di non assistere impotente ad una sofferenza che non sapeva come gestire, oltretutto in un ruolo ambiguo: non era il padre del bambino, non era propriamente un amico della madre, non era nemmeno più il suo padrone …  in quel momento risultava poi impossibile non pensare che Demelza stava patendo tutto quel dolore a causa di una violenza e che se era sola, senza un compagno e senza una casa era tutta colpa di Francis Poldark, suo cugino. In fondo un legame che giustificava la sua presenza lì c’era: la parentela alla lontana con la creatura che stava per nascere; senza contare il profondo affetto che Ross sentiva di nutrire per Demelza e che probabilmente non era un segreto neppure per la ragazza.
Lei parve leggergli nel pensiero. “Per adesso non c’è niente che possiate fare. Speriamo che arrivi presto qualcuno …” – mormorò preoccupata.
“Quanto tempo potrebbe volerci secondo te, prima che nasca?” – chiese Ross, allarmato all’idea di dover collaborare in qualche maniera al parto. Non solo non ne sarebbe stato capace, ma era del tutto fuori luogo, imbarazzante per lui e per lei. Non si era mai visto un uomo, che non fosse un medico, aiutare una donna a partorire!
“Non lo so, è il mio primo figlio! Dalla rottura delle acque può passare anche un giorno intero, ma visto che ho già i dolori del travaglio credo che non ci vorrà molto… forse qualche ora!”
Ross si rincuorò. In un’ora Dwight, o almeno Prudie, sarebbero arrivati.
Più volte cercò di convincere Demelza a restare momentaneamente sola: lui sarebbe volato con Seamus in cerca di qualcuno che potesse aiutarla. Gli era venuto in mente che la signora Martin, la moglie di Zacky, non solo aveva avuto sei figli ma aveva aiutato tante donne gravide a partorire e casa sua era poco oltre Nampara, a circa un miglio da lì.
Demelza però era irremovibile, non voleva restare da sola. “La vostra presenza, anche se non potete fare nulla, mi rincuora” - disse a Ross.  L’uomo si arrese e cominciò a fare la spola tra l’ufficio e l’esterno; prima si mise di vedetta per verificare se all’orizzonte appariva qualcuno; poi andò al pozzo e intinse nell’acqua pulita il suo fazzoletto, con il quale rinfrescò Demelza, detergendole il viso dal sudore. La ragazza era in preda a dolori incalzanti, sempre più insopportabili. Con l’imbrunire che si avvicinava, Dwight che pareva scomparso nel nulla, l’atteggiamento di Ross -premuroso ma certamente poco pratico rispetto alla situazione che si stava prospettando - Demelza ebbe un crollo psicologico: cominciò a singhiozzare, a dire che sarebbero morte entrambe, lei e la creatura. Ross le si inginocchiò accanto, la prese per mano e la tranquillizzò dicendo le non sarebbe accaduto nulla di grave, anzi avrebbe messo al mondo un bambino forte e sano. In fondo era dalla notte dei tempi che le donne partorivano, anche da sole e nelle caverne. Il parto era un evento naturale, lei era giovane e in salute e l’indomani, stringendo suo figlio tra le braccia, avrebbe dimenticato quei momenti drammatici.
“Non mi lasciare, Ross” – sussurrò la giovane tra le lacrime, dimenticando ogni formalità e distanza tra di loro, nel momento in cui la colse una contrazione più forte delle altre.
“Sono qui con te, non vado via” – rispose lui, accarezzandole i capelli teneramente. Era sconvolto dal fatto che un essere umano potesse soffrire così tanto. Del travaglio di Elizabeth non sapeva nulla, era stato ammesso ad entrare in camera a cose fatte, dunque non aveva neppure un termine di paragone per sapere se le cose stavano procedendo per il verso giusto. Aveva dovuto pronunciare parole rassicuranti per calmare Demelza, ma in realtà non aveva la più pallida idea se davvero stava andando tutto bene.
Le contrazioni sembrarono attutirsi tutto ad un tratto. Demelza sollevò la schiena dal giaciglio, sostenuta da Ross, e si appoggiò sulle sue spalle respirando profondamente ed approfittando di quel sostegno per recuperare fiato.
“Può darsi che sia venuto il momento di spingere, ma come faccio ad esserne sicura?”. Era una domanda che rivolgeva più a se stessa che a Ross.
“Ora basta, vado a prendere Prudie di forza e la porto qui!” – sbottò Ross.
Mentre Demelza cercava per l’ennesima volta di dissuaderlo, facendogli notare che era il momento peggiore per abbandonarla, Ross sentì lo scalpitio di un cavallo e si affacciò all’esterno. Era Dwight, finalmente!
Il medico ebbe giusto il tempo di togliersi la giacca, tirare su le maniche della camicia  e lavarsi gli avambracci, perché Ross lo trascinò letteralmente all’interno dell’ufficio, maledicendolo per essere arrivato solo in quel momento.
Dwight si giustificò dicendo che non poteva immaginare che Demelza sarebbe andata in travaglio così all’improvviso. Il cavallo di Miss Penvenen aveva perduto un ferro, avevano dovuto cercare un maniscalco e poi riattaccare il cavallo alla carrozza con cui doveva venire a riprendere Demelza come avevano prestabilito.
Intanto il medico prestava le prime cure a Demelza. “Buon Dio, ci siamo! – disse alla ragazza  – prendi fiato e spingi con tutta la forza che hai!”
Ross pensò che era davvero di troppo e con discrezione si allontanò. Restò fuori ad aspettare miss Penvenen, e l’attesa fu brevissima. Il capitano le corse incontro e le spiegò cos’era accaduto durante la loro assenza. A differenza di Ross, Caroline si precipitò senza remore all’interno dell’ufficio.  Ross , fermo sulla soglia, poteva udire dall’interno i gemiti della partoriente intervallati dalla voce di Dwight che la lodava e la incoraggiava. Ad un tratto Ross udì che le voci di Caroline e Dwight si facevano sempre più concitate, segno che si era giunti al momento decisivo: pochi istanti dopo infatti i vagiti di un neonato si sostituirono alle voci degli adulti. Timidamente Ross si affacciò dall’uscio e vide miss Caroline staccare una mantellina dal suo abito e porgerla a Dwight che delicatamente vi avvolse il neonato. “E’ una femmina” – disse il dottore appena lo vide arrivare.
“Demelza come sta?” – chiese Ross avvicinandosi.
“Bene, ma non abbiamo ancora finito – rispose Dwight guardando la giovane madre– un ultimo sforzo, mia cara. Manca la placenta. Uno di voi due deve occuparsi della piccola, per il momento” – aggiunse rivolto a Caroline e Ross.
Caroline si tirò subito indietro. “Non mi intendo di marmocchi urlanti. Voi siete già padre, Ross, mi sembrate senz’altro più capace di me.” Senza neanche il tempo di proferire una parola, Ross si ritrovò con la neonata in braccio. Dal pregiato tessuto color cobalto che Dwight gli aveva passato spuntava una testolina chiara. Ross non ricordava che un bambino appena nato fosse tanto piccolo, rosso, umido: quando gli avevano mostrato Valentine era già ripulito e rivestito con panni morbidi ed eleganti, eppure la figlia di Demelza gli sembrò perfetta, con il suo visetto rotondo, il naso piccolo e delicato come una bambola di porcellana, la boccuccia lievemente socchiusa. Con suo grande stupore, dopo i primi strilli per annunciare al mondo il suo arrivo la piccola giaceva tranquilla e beata tra le sue braccia, come addormentata.
Impegnato com’era a prendersi cura della bambina e a cogliere ogni suo eventuale sospiro Ross non si avvide neppure di ciò che gli avveniva intorno. Si rese conto che tutto era finito solo dopo che vide Dwight uscire, ripulire alla meglio le tracce di quanto appena avvenuto e battergli una pacca sulla spalla, congratulandosi per il sangue freddo dimostrato fino al suo arrivo.
Solo allora ebbe il coraggio di avvicinarsi a Demelza. Aveva il viso stanco per lo sforzo appena compiuto, ma era sorridente, serena. Caroline era al suo fianco; le due donne stavano chiacchierando e Ross sentì Caroline dire a Demelza che ora che stava per diventare la madrina di sua figlia era giunto il momento di abbandonare ogni formalità fra di loro e di essere chiamata non più “signorina”, ma semplicemente per nome.  
Ross si chinò verso di lei, e le porse l’involto con la bambina che aveva appena partorito: “Ecco tua figlia, Demelza. Cosa ti avevo detto? È una bambina sana e bellissima”.
Demelza se la strinse al petto e la baciò sulla fronte, mentre Caroline le chiedeva come intendeva chiamarla.
“Julia…. – rispose la ragazza – anzi, per non dimenticare in quali avventurose circostanze è nata, Julia Grace… sempre che non vi dispiaccia, capitano Poldark.” – disse a Ross.
“Tutt’altro – rispose lui – è un onore per me, e sono sicuro che se mio padre fosse in vita direbbe lo stesso.”
Trafelata, in quel momento arrivò Prudie. Il suo padrone la canzonò: “Ti sembra questa l’ora di arrivare? Quando è già tutto finito e il tuo aiuto non occorre più”?
La donna si rese conto di quanto era appena accaduto in quella stanza e con tenerezza si avvicinò a Demelza ed alla sua piccola, mormorando “Ragazza….”
Poi rivolse a Ross un’occhiataccia.
“Non occorre il mio aiuto? E chi pensate rimedierà a questo sfacelo? Non vorrete certo che i vostri lavoranti domani mattina immaginino cosa è successo!” - e così dicendo si armò di una scopa , con la quale si mise a ramazzare con foga.
“Julia ha compiuto un miracolo oggi” – disse Ross facendo l’occhiolino a Demelza, riferendosi all’insolito zelo della sua governante.
Dwight, Ross e Caroline aiutarono poi Demelza ad alzarsi e fecero sistemare la puerpera e la neonata in carrozza. A Killewarren Caroline avrebbe dato disposizioni affinchè madre e figlia avessero tutto il necessario e Dwight promise che sarebbe passato l’indomani mattina per sincerarsi dello stato di salute di entrambe.
Ross rimase con Prudie alla miniera ed attese che la donna finisse di riordinare. Era stato un pomeriggio di grandi emozioni per lui. Se quando era nato Valentine si era sentito orgogliosissimo di essere diventato padre, il momento in cui aveva tenuto Julia appena nata tra le braccia, dopo tutta la paura e la tensione che aveva condiviso con sua madre negli attimi immediatamente precedenti la sua nascita, non lo avrebbe dimenticato mai. Era come se prendersi cura di Demelza e della sua bambina avesse smosso qualche corda nel suo cuore che neppure immaginava di avere.

 

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Capitolo 18
*** cap. 18 ***


La sorte non era stata generosa con Tom Carne: la sua prima moglie era morta nel dare alla luce il loro settimo figlio, il misero salario percepito come minatore era appena sufficiente a sostentare la numerosa nidiata e l’uomo, dedito all’ubriachezza, spesso sfogava la sua rabbia in famiglia. Molti anni dopo però aveva conosciuto una vedova di religione metodista, si era  risposato e grazie alla donna aveva abbandonato ogni dissolutezza. Non solo Tom aveva cambiato vita seguendo i dettami della Bibbia, ma sulla spinta di lei era diventato predicatore. Ogni giovedì teneva i suoi sermoni in un prato appena fuori Illugan; vi si radunavano di solito una trentina di persone, a volte anche di più.
Nonostante non fosse un uomo particolarmente istruito, Tom aveva una discreta parlantina e metteva molta enfasi nei suoi discorsi, impegnandosi con convinzione nella sua missione di riportare tante pecorelle smarrite sulla retta via, proprio come era accaduto a lui.
Anche quel giorno, come ogni giovedì, aveva tenuto la sua predica, soffermandosi in particolare sul brano del Vangelo che invitava a vegliare e pregare, perché lo spirito è forte, ma la carne debole. Al termine del sermone notò un uomo che non aveva mai visto prima di allora – robusto, ben vestito, con lunghe basette rossicce – che lo squadrava da capo a piedi.
Il resto dei fedeli si era allontanato e Tom era rimasto solo con i due figli maggiori, Sam e Drake, che avevano rispettivamente diciotto e sedici anni, a riordinare i libri e gli altri oggetti del culto. Poiché lo sconosciuto continuava a restare lì impalato il metodista gli chiese, non avendolo mai visto prima di allora, come mai fosse lì e se aveva qualche chiarimento da chiedere in merito al sermone.
L’altro non rispose e si limitò ad un risolino sarcastico.  Il vecchio Tom Carne non avrebbe perso tempo a prendere a pugni quel pallone gonfiato, ma il nuovo Tom Carne si armò di pazienza e ripetè nuovamente la domanda. L’altro si decise finalmente a parlare e disse: “Mi stavo solo chiedendo come mai una persona come voi sia capace di scagliarsi con tanto fervore contro i vizi altrui, senza prima cercare di correggere quelli di casa propria…”
“Cosa intendete dire? – rispose Carne – forse voi non lo sapete poiché siete nuovo qui, ma non ho mai nascosto di aver trascorso numerosi anni nel peccato, prima che la grazia del Signore mi toccasse e mi inducesse a cambiare vita…”
Lo sconosciuto scosse la testa. “Non mi riferivo a voi, ma a vostra figlia. Siete il padre di Demelza Carne, giusto?”
Tom confermò, ma aggiunse che era quasi un anno che non aveva notizie della sua primogenita.
“Ah, ora comprendo! Evidentemente vostra figlia non ha voluto darvi un dispiacere informandovi degli ultimi avvenimenti scandalosi che la riguardano… come definireste una donna che genera un figlio senza essere sposata? E che concupisce un uomo coniugato, inducendolo così a commettere adulterio?”
Tom, Sam e Drake sgranarono gli occhi per la sorpresa. Il predicatore vacillò per un attimo, poi chiese all’altro chi fosse e come si chiamasse.
“il mio nome non è importante: consideratemi semplicemente un amico. Vi consiglio di fare un giro, quando avrete tempo, dalle parti della tenuta di Killewarren. È lì che vostra figlia ha trovato riparo, ospite di una ricca dama di nome Caroline Penvenen, dissoluta al pari suo. Dicono che non riesca a trovare marito perché incapace di accontentarsi di un solo uomo… voi mi capite…magari è il caso di portare vostra nipote lontano da quel luogo di perdizione, prima che sia troppo tardi…”
Tom Carne si carezzò la barba meditabondo. Demelza aveva avuto una figlia e per di più induceva in tentazione un uomo sposato! Forse il demonio intendeva colpire lui in questo modo, ma non avrebbe ceduto ed avrebbe usato ogni mezzo per riportare la grazia divina ove regnava il peccato.
***
A Killewarren intanto era passato un mese dalla nascita di Julia Grace.  
La bambina aveva ereditato dal padre solo il colore dei capelli, biondi come il grano, ma i suoi lineamenti delicati erano identici a quelli di Demelza. Era una neonata tranquilla, cresceva a vista d’occhio ed era amata e coccolata da tutti, in particolare dalla madrina Caroline, che benchè non fosse stata dotata dalla natura di un profondo senso materno non perdeva occasione per vezzeggiare la figlioccia.
Nell’arco di quel mese Ross era passato da Killewarren varie volte. Dopo che aveva appreso della relazione segreta tra Caroline e Dwight ed il suo amico medico gli aveva confidato delle difficoltà con lo zio della ragazza, Ross aveva provato ad intercedere in suo favore con il vecchio giudice. In realtà non si era esposto in maniera palese perché dissuaso dai due innamorati, tuttavia - forte dell’antico affetto che Ray provava per il figlio del suo vecchio amico Joshua e giovandosi del suo innato carisma, che gli aveva sempre conferito grande capacità di persuasione - aveva avuto più di un colloquio con il signor Penvenen e lo aveva convinto a non far sposare Caroline con Unwin Trevanaunce, lasciando che fosse lei a decidere il momento giusto per maritarsi. Era ancora prematuro introdurre l’argomento Dwight, ma per il momento un primo risultato era stato ottenuto e Caroline poteva tirare un sospiro di sollievo.
In occasione di tali visite al padrone di casa Ross aveva chiesto anche di Demelza e di Julia; più Ross però cercava di avvicinarsi a loro, più Demelza lo teneva a distanza. Non che le dispiacesse la sua vicinanza, tutt’altro; dopo l’esperienza delle doglie vissuta insieme a lui Demelza si era resa conto di quanto desiderio avesse della compagnia di Ross, anzi aveva avuto l’ennesima conferma che era l’unico uomo che avrebbe voluto avere accanto a sé per sempre.
Il pensiero di una vita insieme, lui, lei e Julia, era qualcosa di troppo ardito anche solo da immaginare, eppure spesso la sua mente vi indugiava. Quante volte, mentre conversavano del più e del meno, avrebbe voluto gettargli le braccia al collo ed unire le labbra alle sue in un bacio appassionato; ma a cosa sarebbe servito, se entrambi sapevano che una storia d’amore tra di loro non era possibile? Ross era un uomo sposato, aveva assunto un impegno davanti a Dio e davanti agli uomini, aveva delle responsabilità come marito e come padre alle quali non poteva sottrarsi.
Demelza sapeva, perché lui glielo aveva confessato, che Ross non era felice con sua moglie, ma non per questo poteva ambire a prendere il posto di Elizabeth. Il divorzio non esisteva e per quanto quella donna fosse altezzosa, piena di sé e poco attenta ai bisogni di Ross non poteva essere da lui ripudiata solo perché si era reso conto della loro incompatibilità caratteriale.
Ross ne era consapevole al pari di Demelza e viveva il suo stesso tormento interiore, con l’aggravante di sapersi il principale responsabile di un giogo dal quale non poteva liberarsi.
In occasione del loro primo incontro dopo la nascita di Julia Demelza aveva cercato subito di ristabilire le distanze, scusandosi con Ross per aver perso il controllo quel giorno alla Grace dandogli del tu, ma lui le aveva fatto capire che gradiva quel tipo di confidenza e, con un ampio giro di parole, tirando in ballo la loro comune amicizia con Dwight e Caroline, le aveva detto che gli avrebbe fatto piacere essere considerato da lei un amico ed altrettanto poter fare con lei. La giovane però aveva rotto l’incanto rispondendogli che avevano una posizione troppo diversa per poter essere amici, aggiungendo che Elizabeth non avrebbe mai approvato quel tipo di legame tra di loro. Ross aveva istintivamente cercato di replicare, ma in fin dei conti ciò che Demelza affermava era ovvio: essere amico della donna che aveva scoperto di amare era un modo per non perderla, ma non poteva mancare di rispetto a sua moglie trattando Demelza come una loro pari. Elizabeth era come una presenza ingombrante che aleggiava tra di loro in ogni istante e che non poteva essere dimenticata solo in virtù della loro evidente complicità.
Nel frattempo la moglie di Ross sembrava ottenere un trionfo dopo l’altro. Innanzitutto George, il cui aiuto era stato da lei sollecitato per risolvere una volta per tutte la faccenda di Demelza, aveva avuto la brillante idea di mandare un proprio scagnozzo, Tom Harris, a cercare il bigotto Tom Carne allo scopo di trovare un inconsapevole alleato; in tale modo i due complici avrebbero trovato il modo di molestare la fanciulla senza esporsi in prima persona. Inoltre Elizabeth aveva trovato un ottimo pretesto per allontanare Ross dalla Cornovaglia e da Demelza: i medici di Londra che assistevano sua madre le avevano prospettato l’esistenza di una cura sperimentale per le gambe di Valentine, con buone probabilità di successo, che comportava però la necessità di trasferirsi per almeno tre o quattro mesi a Londra.
Quando Elizabeth ne parlò a suo marito egli non ne fu entusiasta, perché lasciare la miniera – che solo allora iniziava a riprendersi – per vari mesi, quando c’era il debito da ripagare a Caroline e l’ipoteca sulla casa da riscattare non era affatto prudente; tuttavia la salute di suo figlio veniva prima di tutto e così, dopo essersi consultato con Dwight, diede - sebbene a malincuore - tutte le disposizioni per la gestione della miniera in sua assenza. Durante il periodo di permanenza londinese la madre di Elizabeth sarebbe stata con loro, ed in tal modo avrebbero potuto risparmiare sulle parcelle dei dottori che venivano appositamente dalla Capitale per curarla. Anche per l’aspetto economico Ross non poté obiettare nulla perché, sempre a sua insaputa, George si era offerto di pagare anche le cure di Valentine, contrabbandate da Elizabeth sempre come generoso dono di una lontana parente dei Chynoweth. L’unica spesa imprevista era quella dell’alloggio a Londra, ma grazie alle conoscenze di George era stato possibile trovare un grazioso appartamentino a buon mercato. Elizabeth aveva insistito affinchè Ross fosse presente a Londra durante tutto il tempo della cura di Valentine, facendo leva sui suoi sensi di colpa per non essere stato molto presente nella vita del bambino fino a quel momento; inaspettatamente non aveva dovuto faticare molto per ottenere il risultato voluto. Anche Ross, dopo l’ultima conversazione avuta con Demelza, riteneva che allontanarsi fosse l’unica soluzione per cercare di trovare un equilibrio e non ferire i sentimenti della ragazza. Sperava che, rimasto finalmente solo con sua moglie in un contesto diverso, avrebbe potuto parlarle a cuore aperto, farla riflettere sull’insuccesso della loro unione e cercare insieme a lei una possibile soluzione, magari una separazione discreta e senza scandali, come quella che di fatto si era realizzata da quando lei era rimasta a vivere a Cusgarne.
Non poteva però partire senza nemmeno salutare Demelza, così verso la fine del mese di giugno Ross si recò nuovamente a Killewarren. Demelza si trovava con Julia in giardino, sulla panchina antistante il laghetto dei cigni in cui Caroline e Dwight si erano dichiarati. Ross le spiegò il motivo per cui si trasferiva a Londra e Demelza si disse contenta che Valentine avesse una speranza di poter camminare autonomamente come tutti gli altri bambini. Ross confermò che aveva accettato di partire solo nell’interesse di Valentine: sentiva di averlo trascurato e di non essere stato un buon padre per lui. Demelza lo rassicurò dicendo che, per quanto aveva constatato a Nampara, egli era stato sempre un padre amorevole per Valentine ed era certo che quei mesi insieme a Londra avrebbero cementato il loro rapporto; in realtà si sentiva morire al pensiero che non lo avrebbe più visto per mesi e mesi.
Venne il triste momento dell’addio, e Ross chiese di poter prendere un’ultima volta in braccio la piccola Julia; dopo averla depositata nella culla girò le spalle per andare via, ma dopo qualche passo si voltò, restò fermo per un istante a guardare Demelza, che si sforzava di non piangere, e non resistette più: in due balzi la raggiunse e la strinse tra le braccia. Demelza restò interdetta, ma si lasciò avvolgere dal calore di quel gesto inatteso. Il volto leggermente ispido di Ross era vicino, troppo vicino al suo e Demelza sentiva che sarebbe bastato un lieve movimento di uno dei due affinchè le loro labbra si incontrassero: un contatto dal quale poi sarebbe stato troppo difficile staccarsi… fu così, per evitare ogni tentazione, che la ragazza voltò il viso all’esterno, appoggiando la guancia sinistra sulla spalla di lui, abbracciandolo a sua volta, mentre Ross respirava a fondo il profumo dei suoi capelli, ad occhi chiusi. Era il massimo che potessero concedersi, un abbraccio da buoni amici; si lasciarono così, con Demelza che gli augurava buona fortuna e Ross che raccomandava alla fanciulla di avere cura di sé e di sua figlia. 
Mentre Ross si accingeva a trascorrere l’estate a Londra un’altra persona aveva compiuto il tragitto inverso. Qualche giorno prima che Ross desse addio a Demelza era arrivato in visita a Killewarren un vecchio amico di infanzia di Caroline, o, per meglio dire, il suo migliore amico e compagno di giochi fin da quando erano bambini.
Hugh Armitage era un giovane, promettente tenente della marina inglese, dalle nobili origini: suo padre era un colonnello dell’esercito, scomparso circa tre anni prima, mentre sua madre era una Boscawen, sorella di uno dei lord più influenti del parlamento che avrebbe volentieri coinvolto il nipote nella carriera politica. Hugh e Caroline, entrambi rimasti orfani di madre da piccoli, erano cresciuti fianco a fianco ed avevano una solida amicizia pur essendo di carattere diverso; Caroline era estroversa e materialista, mentre Hugh era più chiuso e solitario, amante della lettura, della poesia e della musica.
Da quando Caroline aveva lasciato Londra il giovane amico le aveva scritto spesso promettendole una visita, sempre rimandata per un impegno o per l’altro; finalmente si era deciso a trascorrere del tempo in Cornovaglia anche su parere del suo medico, in quanto aveva iniziato a soffrire di strani mal di testa ed un periodo di riposo in campagna non poteva che giovargli.
Quando Hugh arrivò a Killewarren, Caroline gli presentò Demelza come una cara amica e Julia come la sua figlioccia, senza aggiungere null’altro sulla sua storia. Hugh era una persona discreta e non fece domande; del resto Demelza, vissuta per quasi due anni prima con i Poldark e poi con i Penvenen e dotata di una naturale eleganza e grazia nei modi, non era immediatamente individuabile come una ragazza del popolo.
Durante i primi giorni di soggiorno Demelza non osava disturbare l’ospite di Caroline, ma poi con il passare del tempo si rese conto di quanto fosse cortese e disponibile. Spesso portava Julia a passeggiare in giardino e trovava Hugh sulla famosa panchina a leggere, il quale non si mostrava affatto infastidito dalla piccola, anzi le faceva mille moine e si interessava dei suoi progressi; piano piano i due giovani iniziarono a parlare delle loro passioni, Demelza quella del canto e Hugh quella per la poesia; Demelza promise di fargli ascoltare la sua voce a condizione che Hugh le mostrasse qualche poesia. Hugh rispose che ultimamente stava componendo meno a causa di fastidiosissimi mal di testa che gli annebbiavano anche la vista; le cure prescrittegli non avevano dato grossi esiti e, su consiglio di Caroline, voleva chiedere un consulto anche al dottor Enys.
Un pomeriggio, mentre Caroline, Hugh e Demelza erano in giardino con Julia un maggiordomo visibilmente turbato venne ad annunciare che all’ingresso vi era un uomo che chiedeva di Demelza asserendo di essere suo padre.
Le due donne si guardarono incredule; Caroline prese Demelza in disparte e le chiese quali fossero le sue intenzioni, se incontrarlo o meno. La rossa rispose che se suo padre aveva scoperto dove viveva, anche a fronte di un rifiuto non si sarebbe arreso e sarebbe ritornato alla carica; tanto valeva accettare di vederlo subito.  Prese con sé Julia e Garrick e percorse il viale di ingresso fino al cancello di Killewarren.
Tom Carne era vestito tutto di nero, con un cappello da metodista, e appena vide sua figlia puntò il dito contro Julia dicendo: “E’ questa, dunque, la figlia del peccato!” Garrick ringhiò, mentre Demelza con grande flemma rispose: “Buongiorno anche a voi, padre!”
L’uomo la guardò in cagnesco. “Non sono qui per una visita di cortesia – disse – ma nel tentativo di salvare la tua anima. Mi hanno detto che da tempo vivi nel peccato, e questa creatura ne è la prova! E’ vero che è figlia di un uomo sposato? Che ti sei resa responsabile di adulterio e fornicazione?”
“Né l’uno né l’altra, padre – rispose stancamente Demelza – e se permettete devo rendere conto di ciò che faccio solo alla mia coscienza, e non a voi. Trovo insolito che vi preoccupiate all’improvviso di me, considerata la maniera in cui mi avete sempre trattato…”
“Ti chiedo perdono, figlia mia – rispose l’uomo mettendosi in ginocchio e scoppiando in lacrime – sono stato manchevole nei tuoi confronti, forse è a causa dei miei peccati e del mio cattivo esempio che hai imboccato questa via di perdizione, ma intendo rimediare… vieni a vivere con me e la tua nuova madre, abbraccia la nostra fede e lascia che il Signore ti parli! Sei ancora in tempo, figliola!”
Demelza credeva in Dio, ma non condivideva la visione integralista del padre e della sua nuova moglie, pertanto rifiutò la proposta dicendo che si trovava bene nel luogo in cui era attualmente.
Tom Carne iniziò allora ad insultare Caroline chiamandola Messalina, Demelza la difese ed i toni della conversazione si alzarono; alla fine la ragazza non ne poté più ed invitò l’uomo ad andarsene. Il padre ribadì che Demelza doveva immediatamente abbandonare la via del peccato, altrimenti, non potendo consentire che sua nipote venisse educata in maniera non conforme alla Bibbia, l’avrebbe presa con sé, portandola via a sua madre.
“Non osate poggiare un dito su mia figlia, o giuro che non rispondo di me!” – rispose fieramente Demelza.
Mentre l’uomo insisteva e cercava di strattonare Demelza, attirati dalle sue urla, dal pianto di Julia e dai latrati di Garrick arrivarono Hugh e Caroline. Il giovane tenente chiese cosa stesse accadendo; Demelza, spaventata, si rifugiò tra le braccia di Caroline con la sua bambina mentre Hugh, tirata fuori la sua pistola, invitava Tom Carne a lasciare quella proprietà e a tornare solo qualora non fosse così alterato.
Grazie al provvidenziale intervento di Hugh Tom Carne se ne andò, ma giurò di ritornare, e non da solo, pur di dare attuazione alle sue minacce.  
“Torniamo in casa, mia cara, ti farò preparare un infuso di camomilla” - disse Caroline a Demelza, ancora tremante – e grazie a te, Hugh, per essere intervenuto”.
Il giovane biondo ripose l’arma nella fondina. “Non mi piace doverla usare, ma in questo caso era necessario. Credo però che la mia arma da sola non sia sufficiente a fronteggiare una folla inferocita, e se devo combattere vorrei capire prima di che tipo di battaglia si tratta. Pertanto, signore, volete avere la bontà di raccontarmi tutto dall’inizio?”
Demelza e Caroline si guardarono.
“Devi metterti comodo, Hugh, perché sarà una storia lunga.” – concluse Caroline, mentre il tenente scortava le due donne verso casa.

 

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Capitolo 19
*** cap. 19 ***


Londra, Ottobre 1786
Elizabeth picchiettò nervosamente con il piede sul pavimento. Era in attesa dalla modista da quasi un’ora e nessuno era ancora venuto a servirla. Si trattava di una boutique esclusiva, gestita da una sarta di origine francese, Madame Foret; la moglie di Ross aveva assoluta urgenza di abiti più pesanti dal momento che la permanenza a Londra si stava prolungando oltre il previsto e i vestiti che aveva portato con sé, e pure quelli di Valentine, non erano adatti per il clima londinese che cominciava a farsi più rigido.
Si trovavano nella Capitale da quattro mesi e le cure per Valentine, che stavano dando ottimi risultati, dovevano proseguire per almeno un altro mese ancora. Il piccolo, a poco più di un anno e mezzo di età, aveva ormai imparato a camminare bene da solo e vi era solo da rafforzare la muscolatura delle gambe, dal momento che si stancava facilmente quando il tragitto diventava più lungo del solito.
Complessivamente poteva dirsi soddisfatta del risultato di quella trasferta a Londra, anche se i rapporti con Ross continuavano ad essere piuttosto burrascosi: il marito aveva avuto addirittura l’ardire di proporle una separazione di fatto, ma era una cosa inconcepibile! Che aveva detto il prete sull’altare? “Ora siete marito e moglie, finché morte non vi separi!”. Una separazione sarebbe stata un vero scandalo, estremamente pregiudizievole per la sua immagine agli occhi del mondo. Elizabeth aveva dovuto ammettere con Ross che la loro vita coniugale non era idilliaca, ma aveva attribuito a lui tutta la colpa, perché era sempre stato preso da tutto tranne che da sua moglie: la miniera, i suoi parenti, i problemi economici degli amici, la povertà della gente della Cornovaglia, quell’insulsa servetta. A proposito di Demelza, tramite Ruth (che le aveva fatto giungere di nascosto una missiva di Warleggan) Elizabeth era venuta a sapere che non si trovava più a Killewarren da vari mesi: era sparita per ignota destinazione dopo la prima visita di Tom Carne, ma in fondo ciò poteva dirsi un bene. Anche se Ross continuava ad ignorarla ed a umiliarla, rifiutando addirittura ogni intimità, aveva almeno la soddisfazione di saperlo separato per sempre da quella donnaccia.
Finalmente la sarta fece capolino nella bottega, profondendosi in scuse per l’attesa. “Tra due giorni c’è un evento molto importante, il matrimonio del tenente Armitage… abbiamo dovuto consegnare l’abito alla sposa ed agli invitati… torno or ora da casa di miss Penvenen, una delle mie migliori clienti”.
All’udire il nome della benefattrice di Ross Elizabeth aguzzò le orecchie. Disse che non conosceva questo tenente Armitage, ma che Caroline era una cara amica di famiglia: quando avrebbe avuto luogo dunque questa cerimonia? Madame Foret iniziò a prenderle le misure ed intanto raccontava: “Tra due giorni, alle 10, alla chiesa di St. Andrew. Miss Penvenen sarà tra gli invitati. Il tenente Armitage è uno dei suoi più cari amici, uno dei nobili più in vista della nostra città. Suo zio è lord Boscawen, membro del Parlamento, e suo padre era un colonnello dell’esercito. È un giovane talmente a modo, educato, galante, e- cosa che non guasta! – ha anche un aspetto molto gradevole!”
“E la sposa?” – domandò Elizabeth.
“Anche la sposa è molto graziosa, una fanciulla delicata, ben fatta, nonostante abbia partorito da poco – spiegò la sarta – è una vedova di origine irlandese, nessuno di noi la conosceva prima d’ora. Povera ragazza, pare che il suo primo marito sia morto mentre era in attesa del loro bambino! Il tenente Armitage l’ha conosciuta da poco, è stato amore a prima vista e hanno deciso subito di sposarsi! Invece lo zio, il lord deputato, è su tutte le furie perché la ragazza non appartiene ad una famiglia rinomata; in verità Hugh Armitage ha mantenuto il più stretto riserbo sulle origini della sua futura sposa, e lei stessa, quando le ho provato l’abito, ha parlato pochissimo… tra l’altro non mi è sembrato che avesse un accento irlandese, ma più simile a quello delle vostre zone…”
Quanto la sarta aveva appena riferito era più che sufficiente per far sorgere nella moglie di Ross un atroce sospetto, ma poi pensò che non tutto il male veniva per nuocere: avrebbe cercato di sfruttare la situazione ancora una volta a suo vantaggio.
***
Demelza sfiorò il tessuto dell’abito da sposa color avorio che giaceva sul letto. Aveva scelto un abito molto semplice, impreziosito solo da qualche ricamo nel corpetto: non voleva rinnegare se stessa solo perché stava per sposare un uomo importante. Nonostante Hugh l’avesse tranquillizzata sul fatto che nessuno dei suoi parenti avrebbe osato ostacolare le loro nozze e la stessa Caroline le avesse più volte ripetuto le stesse parole, Demelza era ancora molto agitata. Era più che probabile che fosse considerata una arrivista, prima dallo zio di Hugh e poi da tutti gli altri, e sarebbe stato ancora peggio quando non avrebbe più avuto Hugh a sostenerla….
Hugh era stato molto premuroso con lei dopo l’irruzione di suo padre a Killewarren, aveva ascoltato tutta la sua storia con attenzione e dopo aver riflettuto, con l’obiettività tipica di un terzo finora estraneo alle vicende, aveva dichiarato che per Demelza e sua figlia la cosa più opportuna era allontanarsi da Killewarren e rifarsi una vita altrove. Tom Carne era un uomo niente affatto ragionevole ed era probabile che anche Elizabeth Poldark – che la temeva a tal punto da averla ricattata  - non sarebbe rimasta inerte ed avrebbe continuato a tormentarla.  Lui e Caroline avevano quindi proposto che Demelza si trasferisse a Londra a casa di Hugh, in attesa di trovare un’occupazione e magari una sistemazione autonoma per sé e Julia. Demelza era ancora spaventata per il colloquio avuto con suo padre; lasciare la Cornovaglia non la entusiasmava, ma il timore che quell’uomo tornasse era più forte di tutto e si era detta quindi d’accordo a seguire Hugh a Londra. Si era deciso di attendere che Hugh fosse visitato da Dwight e poi sarebbero partiti insieme alla volta della capitale.
Qualche giorno dopo, però, tutto era cambiato…
Demelza aveva ancora vivida davanti agli occhi, come accaduta il giorno prima, la conversazione avuta con Hugh, quando lui le aveva proposto di sposarla.
Stranamente un pomeriggio  il giovane aveva chiesto che la raggiungesse nella sua camera. Lo aveva trovato in poltrona, accanto alla finestra, con un raggio di sole che gli illuminava i capelli ed un libro chiuso sulle ginocchia.
“Siediti – le aveva detto- leggeresti per me?”
Demelza si era stupita a quella richiesta. Aveva preso il libro, un’opera del poeta Milton, ed aveva iniziato a leggere. Terminata la prima poesia, Hugh a bruciapelo le aveva detto: “A breve non sarò più in grado di leggere da solo. Il dottor Enys ha detto che presto diventerò cieco”.
“E’ terribile! Che cosa posso fare per voi?”
“Tu non puoi fare niente per me, ma sono io che posso fare qualcosa per te. Demelza, vuoi sposarmi?” – le aveva chiesto prendendole la mano.
“Che cosa dite? Io…vi conosco appena, come potremmo… cosa penserebbero di noi…”
“Demelza, non soltanto sto per diventare cieco, ma mi rimane non più di un anno da vivere. Ho una malattia incurabile, il dottor Enys è stato molto chiaro in proposito. Non potrò più lavorare, non potrò viaggiare, non posso aspirare ad una vita serena con una sposa devota ed innamorata. Mi piacerebbe  soltanto avere qualcuno che si prenda cura di me e renda meno triste il mio viaggio su questa Terra per i mesi che mi restano. Perché non tu? Tu e tua figlia avete bisogno di un riparo sicuro, io ho bisogno di una compagnia amorevole che mi aiuti a combattere la solitudine e lo sconforto. Si tratta di bisogni che coincidono. Inoltre… comprendi bene che una volta morto i miei beni andrebbero in eredità a dei lontani cugini che non ho mai frequentato, a stento sanno della mia esistenza e non hanno certo bisogno di diventare più ricchi di quanto già non siano; al contrario, quel denaro potrebbe essere utile a te e tua figlia  per garantirvi un tenore di vita dignitoso”.
“Ma ionon voglio il vostro denaro, quello che serve a mia figlia voglio guadagnarlo onestamente, non così… e poi io non vi amo…” - aveva confessato candidamente Demelza.
“Forse non mi sono spiegato bene. Nemmeno io ti amo, sebbene ritengo che non avrei difficoltà con il tempo ad innamorarmi di te. Sei dolce, premurosa, attenta e sono sicura che mi assisteresti come la più amorevole delle spose … non escludo che anche tu potresti innamorarti di me, conoscendomi meglio… in ogni caso io non pretendo che tu sia per me una moglie a tutti gli effetti… Dopo tutto quello che hai passato, non ti forzerei mai a fare qualcosa contro la tua volontà. Se tu non vuoi, non condivideremo la stessa camera. Saremo marito e moglie agli occhi del mondo, una volta morto sarai la mia erede universale, e questo mi basta. Non stai rubando nulla, perché sono io ad offrirtelo, e lo faccio con piacere, perché sei una persona buona ed onesta. Se accetti, tutto quello che verrà dopo tra di noi sarà un di più… promettimi che ci penserai”.
Demelza aveva pensato per giorni e giorni a quella proposta, si era tormentata, divisa tra il pensiero di offendere o dare un dispiacere a quella persona così generosa e sfortunata e quello di agire contro la sua coscienza ed il suo più profondo sentire. Aveva pensato anche a Ross, a cosa avrebbe pensato di lei… ma lui era lontano, aveva la sua vita e la sua famiglia e non avrebbe mai potuto darle l’opportunità che aveva ora con Hugh. Aveva chiesto a Hugh del tempo per pensarci prima di dargli una risposta, ed erano trascorsi un paio di mesi, durante i quali era stata ospite in casa sua a Londra. Agli inizi di settembre, convinta anche da Caroline, Demelza aveva infine accettato la proposta di matrimonio. L’unica condizione per far sì che le nozze fossero accettate dal severo zio di Hugh era far credere a tutti che Demelza fosse una giovane vedova amica di Caroline proveniente dall’Irlanda, onde evitare troppo indiscrete domande sul suo passato.
Demelza si avvicinava dunque a quelle nozze con sentimenti contrastanti: profonda gratitudine per un uomo retto che aveva imparato a stimare ed apprezzare giorno dopo giorno, rimpianto per aver accettato una soluzione di compromesso che solo apparentemente sembrava accontentare tutti. Hugh forse non sarebbe morto da solo, ma non avrebbe mai goduto dell’amore di una donna e del calore di una famiglia sua. L’amore che lei provava per Ross era troppo forte per pensare che potesse essere soppiantato dall’affetto di natura fraterna che sentiva per il giovane amico di Caroline. Provava vergogna a pensare che un giorno i beni della famiglia Armitage sarebbero giunti in mano sua, la figlia di un minatore di Illugan, madre di una figlia illegittima. Nulla era giusto di ciò che stava accadendo, eppure Demelza sentiva di non avere la forza di contrastare la volontà dello sfortunato tenente. Se quello era il suo destino, avrebbe cercato con ogni mezzo in suo potere di rendere la vita di Hugh, per i mesi che gli restavano, piena di gioia e pace, in modo da sentirsi meno immeritevole dei benefici derivanti da quell’unione. Hugh dal canto suo era sempre il solito: gentile, paziente, comprensivo. Era proprio vero che, se le circostanze fossero state diverse, Demelza non avrebbe fatto fatica a provare per lui un sentimento più forte dell’amicizia, ma per il momento il suo cuore apparteneva totalmente ad un altro.  
***
Il giorno previsto per le nozze, un sabato, era una giornata tiepida e soleggiata. Elizabeth aveva fatto colazione e poi aveva insistito con Ross per accompagnare lei e Valentine a fare una passeggiata lungo il Tamigi. Ross aveva obiettato che forse Valentine si sarebbe stancato troppo a camminare a piedi lungo il fiume, allora Elizabeth aveva proposto di prendere a nolo una carrozza e di recarsi in collina, in una zona molto graziosa di cui le aveva parlato la sarta qualche giorno prima. Ross aveva acconsentito e così, intorno alle 11 del mattino, la famiglia Poldark giunse nei pressi della chiesa di St. Andrew.
Quando scesero dalla carrozza, le campane risuonavano a festa ed un nutrito gruppo di persone ben vestite attendevano festanti sul sagrato della chiesa una coppia di novelli sposi.
“Oh, guarda, un matrimonio! Ripensandoci, la sarta mi aveva detto che oggi si sposa il tenente Armitage, un ragazzo molto affascinante e di ottima famiglia!” – disse Elizabeth, senza aggiungere altro.
Ross aveva risposto con uno sguardo di sufficienza. Gli eventi mondani non gli erano mai interessati più di tanto, meno che mai quelli di Londra che riguardavano persone che neppure conosceva.
Elizabeth tuttavia lo aveva preso sotto braccio e lo aveva trascinato tra la folla, con Valentine per la manina. Sebbene seccato, Ross rivolse lo sguardo verso la sommità delle scale antistanti l’edificio religioso, dal quale uscirono sorridenti un giovane tenente della Marina nella sua sfavillante uniforme d’ordinanza ed una radiosa sposa dai capelli rossi, raccolti dietro la nuca, in cui Ross non faticò a riconoscere Demelza.
Mentre, accolti dal fragoroso applauso degli invitati, gli sposi si scambiavano un tenero e pudico bacio, Ross incredulo fissava la scena a bocca aperta, mentre Elizabeth, gongolante come non mai, sputava fuori la sua acida sentenza.
“Possibile? E’ quell’intrigante di Demelza Carne! Lo avevo detto io, che era solo un’arrampicatrice sociale che puntava a conquistare un uomo dal nobile lignaggio! Prima ci ha provato con tuo cugino Francis, poi ha fatto la gatta morta con te – non provare a negarlo, Ross! – ed ora finalmente è riuscita nel suo scopo… spero che adesso tu abbia aperto gli occhi, marito mio, rendendoti conto di che persona è quella donna! Per fortuna ha preso una strada che le impedirà di incrociare ulteriormente la nostra e di nuocerci….e questo è l’importante!”
Nonostante tutto, Ross non riusciva a distogliere lo sguardo da Demelza. Gli sembrava incredibile vederla sorridente per mano ad un altro uomo. Benchè la scena gli provocasse un indubbio dolore sentiva quasi il bisogno di crogiolarsi in esso, quasi fosse un modo per trattenere ed imprimere in sé il ricordo di lei, prima di farlo svanire per sempre.
“Andiamo a porgere i nostri auguri agli sposi, Elizabeth” – propose allora Ross, suscitando sorpresa nella donna. Preoccupata che suo marito potesse fare una scenata, Elizabeth suggerì che forse non era il caso di dare questa soddisfazione a quella sguattera, ma Ross si sfilò dal suo braccio ed in pochi passi fu in vista della coppia.
Con un braccio, mentre camminava, urtò Caroline Penvenen, che lo riconobbe e lo chiamò per nome, senza riuscire a trattenerlo; ella lo seguì immediatamente subodorando un pericolo, ma intanto Ross era già di fronte a Demelza e la fissava con occhi ardenti.
Demelza sostenne il suo sguardo solo per un istante; poi lo abbassò, travolta dall’emozione, mentre Ross, con estremo autocontrollo, le prendeva la mano e vi deponeva un galante e lieve bacio.
“Permettetemi di congratularmi, signora Armitage, e di augurare a voi e vostro marito una vita insieme lunga e felice”.
Demelza, molto imbarazzata, presentò a suo marito il capitano Ross Poldark di Nampara.
Hugh, che aveva una vaga conoscenza dell’infatuazione per Ross della donna che aveva appena sposato, con altrettanto autocontrollo ringraziò l’uomo del gentile omaggio, ma con fermezza aggiunse: “Ora, se volete scusarci, io e mia moglie dobbiamo prenderci cura dei nostri ospiti. Se volete unirvi ai festeggiamenti, vi attendiamo a palazzo Armitage, Kensington Street, al numero 15”.
Con formale cortesia Ross declinò l’invito, adducendo il pretesto di un improrogabile impegno familiare. Guardò Demelza e Hugh andare via, non prima che miss Penvenen gli rivolgesse un’occhiata di rimprovero, che egli ignorò, prima di ricongiungersi a sua moglie e Valentine, senza ulteriormente commentare l’accaduto.
Kensington Street numero 15… non ci sarebbe andato certo quel giorno, ma quell’indirizzo gli si era stampato a fuoco nella mente e sarebbe stato difficile dimenticarlo.

 

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Capitolo 20
*** cap. 20 ***


Dopo l’incontro con Demelza presso la chiesa di St. Andrew Ross era stato di umore nero tutto il giorno. Elizabeth aspettava pazientemente ed in silenzio che l’ira del marito sbollisse, al fine di poter raccogliere i frutti della sua maligna trovata. Aveva messo Ross di fronte al fatto compiuto del matrimonio di Hugh e Demelza, che doveva costituire la prova finale della slealtà della loro ex domestica. Ross era stato fin troppo calmo con gli Armitage, aveva porto educatamente le sue congratulazioni e non aveva dato motivo di farla vergognare in pubblico; doveva però essere furioso per essere stato preso in giro dalla ragazza, per essersi illuso di aver fatto romanticamente breccia nel suo cuore, mentre lei mirava unicamente al denaro e a migliorare la propria posizione. Elizabeth era tremendamente invidiosa per la sorte di Demelza, ma ciò che le interessava in quel momento era aver vinto la battaglia mettendola definitivamente fuori gioco.
Non dovette neppure attendere troppo perché quella sera, in camera da letto, Ross ammirò il suo splendido corpo come da tempo non faceva, la strinse tra le braccia e la fece sua. L’ardore dei primi giorni di vita insieme sembrava magicamente ritrovato.
In realtà, ciò che Elizabeth non poteva immaginare era che il desiderio mostrato quella notte da Ross non era altro che la manifestazione esteriore del tormento che aveva in corpo. L’opinione che aveva di sua moglie non era affatto mutata; Ross aveva solo provato per qualche ora a dimenticare che quella stessa notte - almeno in base a quanto poteva presumere -Demelza e Hugh stavano consumando il loro matrimonio. Il pensiero che un altro uomo stesse facendo l’amore con Demelza, la donna che si era reso conto di amare al di là di ogni buon senso , gli stava facendo perdere il lume della ragione.
Al mattino, quando Elizabeth gli svegliò, le chiome castane morbidamente discinte sui cuscini, Ross era già vestito e stava riempendo un baule.
“Cosa stai facendo, Ross?” – gli chiese con gli occhi ancora impastati di sonno.
“Torno a Nampara – rispose lui serio - ma solo per qualche giorno. Darò istruzioni a Henshawe e Zacky per la miniera, e poi tornerò qui a Londra. Ma non per molto”- aggiunse.
“Che cosa vuol dire non per molto? Mi spieghi che cosa sta succedendo?” – sbottò lei, mettendosi seduta.
“Succede che ho deciso di arruolarmi di nuovo. In fondo sono passati solo tre anni da quando mi sono congedato, non ho neanche trent’anni e posso ancora servire il mio Paese come capitano di fanteria.  Vado a riprendere la mia vecchia uniforme, poi mi recherò al comando dell’esercito qui a Londra e chiederò di essere inviato in Portogallo, dove è di stanza il mio vecchio reggimento”.
Elizabeth lo fissò, sperando di aver capito male. “Sei forse impazzito, Ross? Arruolarti? Non ti bastano le tue miniere e le tue terre? E poi, soprattutto, che cos’è questa decisione così repentina, non avremmo dovuto discuterne prima insieme?”
Ross scoppiò a ridere.
“Discuterne insieme? Quando tra di noi non c’è mai stato dialogo? Suvvia, Elizabeth! Credi che sia un completo imbecille, che non mi sia reso conto che sapevi benissimo cosa avremmo trovato lì a st. Andrew? Che non abbia capito che sei stata tu a mandare via Demelza da casa nostra, sospettando che tramasse chissà cosa ai tuoi danni? Non fare la santarella, è evidente che sei stata tu! Se prima ne avevo solo un sospetto, ieri ne ho avuto la certezza! Sono mesi e mesi che non sei sincera con me, ed ora pretendi sincerità?”
“Non nego né l’una né l’altra cosa – rispose Elizabeth, sentendosi ormai alle strette - ma devi ammettere che ci avevo visto giusto fin dall’inizio. Se non ti avessi mostrato con i tuoi occhi di che pasta è fatta quella donna, tu non mi avresti mai creduto, mi avresti accusato di essere invidiosa e prevenuta!”
“Non mutare le carte in tavola, Elizabeth – disse Ross – non voglio discutere di come Demelza si sia comportata, stiamo parlando del fatto che tu non mi hai mai rispettato, mi hai tenuto nascosto cose importanti e hai preso decisioni al posto mio! Ad esempio, potevi consultarti con me prima di scacciarla da Nampara, raccontandomi dei tuoi dubbi; potevi dirmi di aver scoperto che Demelza stava per sposarsi il giorno stesso che sei andata dalla modista, non a cose fatte, fingendo che fossimo finiti lì per caso…”
“Pensavi forse di riuscire ad impedire queste nozze, se lo avessi saputo prima?” – commentò Elizabeth con un certo sarcasmo.
“Non ne sono sicuro; non lo sapremo mai, grazie al tuo comportamento” - replicò Ross.
“La tua decisione di imbracciare nuovamente le armi è dettata quindi dalla rabbia perché quella pezzente ha sposato Armitage? O dal rancore nei miei confronti per aver cercato di difendere il mio matrimonio?” – commentò allora lei inviperita.
Ross non rispose. Sua moglie aveva ragione, era una decisione poco ponderata, presa per fuggire da entrambe le donne che aveva amato e liberarsi da una condizione che ormai gli stava stretta.
“E la miniera? - proseguì Elizabeth - Sembrava che non potessi vivere senza la tua Grace, ed ora te ne vai in Portogallo, dal quale tornerai, nella migliore delle ipotesi, una o due volte all’anno!”
“Anche in questi mesi mi hai costretto a stare lontano dalla Grace, ed è filato tutto per il verso giusto. I miei uomini sono assolutamente affidabili, la paga dell’esercito sarà un’entrata in più, anche se non cospicua , e poi ci sarai tu a curare i miei interessi”.
“Io in che senso?” – domandò la giovane.
“Sei mia moglie, giusto? Hai detto poco fa che hai agito al solo fine di salvare il nostro matrimonio, inoltre non hai accettato la mia proposta di separarci, qualche settimana fa; evidentemente questa unione ti interessa ancora! Essere sposati però comporta non solo onori, anche oneri: nella buona e nella cattiva sorte, così ha detto il reverendo quando ci ha sposati! Se vuoi essere una vera compagna di vita per me, devi condividere tutto ciò che è la mia vita: quando io non ci sono ti occuperai dei miei affari: discuterai con Henshawe della miniera, con gli affittuari dei contratti, con Pascoe delle questioni bancarie; prenderai le decisioni più immediate, impartirai tutti gli ordini a Jud e Prudie per la gestione di Nampara… è ora che tu la smetta di recitare il ruolo della damina di porcellana, devi assumerti tutte le responsabilità del tuo ruolo, saperti anche sporcare le mani, se necessario!”
“E se a me non stesse bene questa tua decisione?” – disse Elizabeth fulminandolo con lo sguardo.
Ross ricambiò l’occhiata penetrante. “In tal caso, mia cara, ti lascio libera di tornare a Cusgarne da tuo padre, ma dovrai abbandonare anche ogni pretesa sulla mia vita e sui miei beni!”
“Sei un essere spregevole, Ross Poldark!” – esclamò la donna, lanciandogli contro un guanciale.
“Ho avuto un’ottima maestra negli ultimi due anni!” – concluse il marito, schivando il colpo con il suo miglior sguardo da canaglia.
***
Nella carrozza che conduceva gli sposi a palazzo Armitage dove si sarebbe svolto il banchetto nuziale, Demelza tormentava nervosamente la stoffa della gonna.
“Una sposa imbronciata non è  esattamente ciò che gli invitati si aspettano – le disse Hugh accarezzandole dolcemente una mano – preferisci che mandi via tutti, adducendo un malessere?”
Demelza scosse la testa. “No, Hugh. Anzi, ti chiedo scusa. Il fatto è che non mi aspettavo di incontrare Ross Poldark in questo modo, mi sento tutta... scombussolata. Quando saremo a casa per il ricevimento prometto però di farmi tornare il sorriso!”
Hugh le sorrise. “Non devi essere costretta a fingere. Io e te sappiamo bene quali premesse ci sono alla base delle nostre nozze. Già avevo intuito, dai tuoi racconti, che tu avessi un interesse particolare per quell’uomo. Quello che non sapevo fino ad oggi è che anche lui nutre un certo interesse per te, altrimenti non avrebbe reagito in quel modo. Ha usato una affettata cortesia, al momento degli auguri, ma ho avuto l’impressione che se avesse potuto mi avrebbe fulminato! ”
“Tra me e Ross ci sono sempre stati molti sottintesi, Hugh – gli confessò Demelza -  non è mai stato esplicito, ma le parole non servivano perché entrambi sapevamo che non avevamo alcun futuro… Io non sono pentita della scelta che ho fatto sposandoti. Quello che mi ha turbato è lo sconcerto che ho letto sul suo viso. Non vorrei che pensasse male di me, che si facesse un’idea sbagliata… lui non conosce le motivazioni che mi hanno spinto ad accettare la tua proposta.”
Hugh la guardò serio. “Non credo che tu debba giustificarti con Ross Poldark per le tue scelte. Vi era stata qualche promessa tra di voi? Lui si è forse giustificato con te per essere rimasto al fianco di sua moglie quando si è accorto di provare qualcosa per te?”
“No, ma..”
“Se Poldark pensa male di te vuol dire che è un imbecille!  Non sei una persona superficiale, lo dimostra il fatto che non hai fatto nulla per portarlo via a sua moglie, anche se i sentimenti vi avrebbero potuto indurre in quella direzione. Hai anteposto sempre il bene degli altri al tuo, non hai mai preteso un risarcimento da parte della sua famiglia, da cui avevi ricevuto tanto danno. Voglio essere molto franco con te su di un punto: ormai sei mia moglie, e non potrei mai permettere che Ross Poldark venisse a soffiarmi la sposa sotto il naso! Così come tu hai rispettato i diritti di Elizabeth Poldark, così quell’uomo dovrà rispettare i miei. Per quanto affetto provo per te, non potrei mai sostenerti se adottassi condotte indegne della moglie di un Boscawen... Vorrei quindi che mi promettessi di essere sempre sincera con me, come lo sei stata oggi, e semmai dovessi accorgerti, in futuro, che la vita accanto a me è diventata un fardello troppo gravoso, me lo comunicassi subito, in modo da trovare una soluzione dignitosa per tutti.  Posso avere la tua parola d’onore che sarà così?”
“Te lo prometto, Hugh” – rispose lei, conscia che quel giuramento era il minimo che poteva assicurare a quel giovane generoso.
Quella sera, dopo che gli invitati furono andati via, Hugh mostrò a Demelza le stanze in cui avrebbero dormito: due camere comunicanti, separate da una porta con un chiavistello che si azionava dal lato di Demelza: in tal modo la servitù non avrebbe potuto sapere se e quando, durante la notte, i due sposi condividevano il talamo, evitando l’insorgere di fastidiosi ed inutili pettegolezzi sulla loro intimità.
Così Demelza iniziò la sua nuova vita da donna sposata. Trascorreva le giornate accompagnando Hugh in lungo e largo per la città; lui le faceva da cicerone mostrandole gli angoli più belli e panoramici di Londra, le impartiva nozioni di storia inglese, le declamava poesie o suonava il pianoforte, accompagnando il canto di lei. Quando poi il mal di testa non gli dava tregua era la rossa che gli leggeva qualcosa in camera o semplicemente lo vegliava, accarezzandogli il capo.
Hugh amava molto Julia Grace ed ogni sera, subito dopo cena, raccontava alla bambina delle favole. Pur essendo molto piccola infatti egli aveva il desiderio che imparasse a conoscere la sua voce, dato che, a causa della malattia, temeva che non avrebbe potuto coltivare quella abitudine a lungo.
Il tenente avrebbe voluto adottare la piccola e darle il suo cognome, ma su questo Demelza si era opposta fermamente. Non era prudente rendere noto che la bambina non portava il cognome del presunto primo marito di Demelza, ma il suo, Carne. Julia sarebbe stata per Hugh come una figlia per il poco tempo che gli rimaneva da vivere ed alla sua morte si sarebbe giovata delle sue fortune, ma non era necessario che si chiamasse Armitage di fronte al resto del mondo.
***
Come aveva detto a sua moglie, Ross trascorse la settimana successiva a Nampara.
Informò della decisione che aveva assunto di arruolarsi nuovamente sia l’amico banchiere Harris Pascoe che gli amici di sempre, alla Grace, ed i suoi servi storici, i Paynter. Benchè tutti arricciassero il naso o apertamente tentassero di dissuaderlo, Ross non solo si mostrò irremovibile, ma neppure intese dare troppe spiegazioni sulle motivazioni che lo avevano spinto a tanto.
Evitò in ogni modo di incontrare Dwight Enys; gli seccava dover affrontare l’argomento Demelza, ed era anche piuttosto risentito per il fatto che né lui né Caroline si erano presi la briga di informarlo delle nozze di lei; eppure Dwight conosceva il suo indirizzo londinese perché si erano scambiati qualche lettera a proposito dei progressi nella deambulazione di Valentine. 
In ogni caso non aveva più senso discuterne. Si era deciso ad entrare a far parte dell’esercito e niente e nessuno gli avrebbero fatto cambiare idea.
Dal punto di vista burocratico non vi fu nessun ostacolo: fu sufficiente firmare una richiesta che avrebbe dovuto essere esaminata entro un paio di settimane dal Comando generale di Sua Maestà. Ross ritornò quindi all’alloggio di Londra, ove trovò una Elizabeth piccata ma piuttosto rassegnata, che si disse disponibile a rientrare a Nampara con figlio e suocera, sperando che quell’atteggiamento insolitamente docile da parte sua spingesse Ross a ritornare sui suoi passi. Il dado invece era tratto, e così alla bella Chynoweth non restò che organizzare la partenza e soggiacere alle condizioni che Ross aveva imposto per continuare ad essere una coppia.
Ross salutò con trasporto il figlioletto e gli promise – non sapendo fino a che punto vi avrebbe prestato fede – che si sarebbero rivisti molto presto.
Si era giunti intanto al 20 di novembre e Ross, che si recava quotidianamente all’ufficio preposto al rilascio del documento, finalmente ottenne la risposta che aspettava. Si incamminò a piedi verso casa con il suo destino fra le mani, una lettera con sigillo in ceralacca che avrebbe dovuto presentare al suo arrivo in Portogallo.
L’indomani mattina presto sarebbe andato ad acquistare il biglietto per la nave, poi, giusto il tempo di radunare i bagagli, avrebbe lasciato l’Inghilterra.
Ad un tratto il ricordo di Demelza gli affiorò alla mente. Erano passate più di tre settimane da quando l’aveva vista, sposa raggiante di un uomo giovane, ricco ed affascinante … era quello il motivo principale che lo spingeva a partire, ma sapeva che qualsiasi sforzo per dimenticarla sarebbe stato vano, anche se si fosse recato in capo al mondo. Quella donna gli era entrata nell’anima, e Ross pensò che forse soltanto affrontandola, sentendosi dire dalla sua viva voce che non lo aveva mai amato o che comunque un altro lo aveva soppiantato nel cuore, avrebbe trovato la forza di strapparla via dal suo.
Chiese ad un passante indicazioni e si rese conto che Kensington Street non era troppo distante dal luogo in cui si trovava. Percorse un’infinita serie di viali alberati che parevano tutti uguali, finchè non giunse nei pressi di una graziosa costruzione dalla facciata ocra e la base formata da lastre di pietra serena, circondata da un cancello grigio, cui si accedeva da una scalinata centrale. Ross pensò che Palazzo Armitage nella sua semplicità si addiceva alla sua nuova padrona, ma si chiese cosa Demelza avesse fatto di Garrick, visto che il palazzo non disponeva di un giardino ma soltanto di qualche sparuta aiuola.
Si era fatto quasi buio e Ross valutò che non poteva certo presentarsi dall’ingresso principale. Doveva parlare a Demelza da sola, senza la presenza di quel damerino del marito. Era un’impresa quasi impossibile, ma in fondo non aveva nulla da perdere.
Con circospezione fece il giro del palazzo. Sul retro vi era un albero di sicomoro, i cui rami più alti sfioravano i vetri dei balconi del primo piano. A novembre avanzato trovare una finestra aperta sarebbe stato un vero colpo di fortuna, ma anche tale difficoltà non sarebbe stata di ostacolo.
Attese che si facesse completamente buio. Per sua fortuna la zona non era molto frequentata, e nessuno notò l’agile capitano arrampicarsi sull’albero, piombare su un balcone e rompere un vetro con la mano guantata, per poi dall’esterno girare la maniglia, aprire la finestra ed introdursi nella stanza di soppiatto, come un ladro.

 

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Capitolo 21
*** cap. 21 ***


Si creò un varco tra il ricco tendaggio ed un piacevole tepore lo avvolse. Si trovava in quella che aveva tutta l’aria di essere una camera da letto; un camino acceso diffondeva i suoi bagliori e varie candele illuminavano l’ambiente.
Poco distante dalla finestra da cui era entrato notò una culla, al cui interno, visibilmente cresciuta da quando l’aveva vista l’ultima volta, dormiva la piccola Julia, la testa e le manine che spuntavano dall’orlo di una copertina di lana di pregiata fattura. Ross si sentì in colpa per aver rotto il vetro, ma per fortuna nessuno spiffero giungeva in direzione della piccola, che continuava a riposare indisturbata, protetta dal freddo dell’esterno sia dalle tende che dalla calotta che  circondava la culla. 
Ross si chiese dove potesse essere la madre della bambina; poi udì delle voci e delle risate provenienti da un locale attiguo, separato da quello in cui lui era entrato da uno spiraglio di porta aperta.
Decise di nascondersi dietro la tenda. Solo se Demelza fosse entrata sola avrebbe agito; altrimenti avrebbe dovuto desistere dai suoi propositi.
Dopo un po’, dalla porta semiaperta fece capolino la donna che aspettava; sbarrò la porta di intermezzo con un chiavistello, spense un paio di candele, così che la stanza rimase illuminata solo da un paio di luci soffuse; infine si avvicinò alla culla, si sincerò che la piccola fosse tranquilla e le rivolse un tenero sorriso, prima di andare, probabilmente, a sua volta a dormire.
Ross pensò che non aveva molto tempo per agire. Appena Demelza si voltò, dando le spalle al balcone da cui lui era entrato, con un balzo uscì allo scoperto, la afferrò da dietro e con la mano destra le serrò la bocca affinchè non gridasse.
Dopo un rapidissimo tentativo di divincolarsi Ross fece girare la ragazza verso di sé così che scoprisse l’identità del suo misterioso assalitore; a quel punto allo sgomento iniziale fece seguito semplicemente un grande stupore.
“Che cosa ci fai qui? Come sei entrato?”-  gli sussurrò Demelza non appena messa in condizione di poter parlare.
“Dalla finestra, come un ladro” – le rispose, indicando i frammenti di vetro sul pavimento.
“E ti sembra questo il modo? Che cosa sei venuto a fare qui? Vattene via, prima che ti scoprano!”
“Dovevo parlarti”.
“Non mi sembra il luogo né l’ora adatta. Ti prego, va’ via, torna domani dall’ingresso principale, come si conviene alle persone civili”.
“Sei diventata molto attenta alla forma, da quando sei la signora Armitage… - commentò Ross con sarcasmo -  Non avevo altra scelta. La mia non è una visita di cortesia, non potevo entrare dal portone di casa, farmi annunciare e fare salotto con tuo marito. E’ con te che devo parlare, e non ci saranno altre occasioni, visto che domani parto per il Portogallo” –disse, sventolandole sotto il naso la lettera del comando militare.
Demelza restò interdetta e cominciò a balbettare qualcosa in cerca di spiegazioni; ma Ross la freddò: “Le domande le faccio io. Perché lo hai sposato?” – le chiese senza mezzi termini.
“Non credo sia affar tuo, Ross.”
“Invece sì, o puoi negare che fra noi ci fosse… qualcosa?”
“Qualsiasi cosa ci fosse, sappiamo entrambi che non aveva futuro. Cerca di accettare che io abbia sposato Hugh, come io ho sempre accettato che tu fossi sposato con un’altra donna.”
“E’ una cosa molto diversa! – esclamò Ross, rischiando di svegliare Julia o che qualcuno lo sentisse. Poi abbassò il tono della voce e continuò – io ero già sposato con Elizabeth quando ci siamo conosciuti e so che quel vincolo è indissolubile, ma stavo cercando un compromesso con mia moglie, perché è evidente che non siamo felici insieme… e questo l’ho capito anche grazie a te! Sarebbe stato certamente complicato, ma se tu mi avessi aspettato, una soluzione per stare insieme l’avrei trovata! Invece, quattro mesi dopo la mia partenza, ecco che ti ritrovo sopra un altare con un abito da sposa!”
“Mi rendo conto che la mia decisione improvvisa ti abbia lasciato di stucco, ma vorrei che fosse ben chiaro che non ho inteso fare un torto a te sposando Hugh. Sono successe varie cose di cui non sei informato in questi ultimi mesi. Mio padre era venuto a cercarmi a Killewarren, voleva portarmi via mia figlia, Hugh mi ha offerto aiuto e protezione. Sono dovuta venire a vivere qui a Londra a casa sua e poi…”
“Ti sei innamorata di lui?” – le domandò interrompendola.
“No” – rispose di getto lei.
“Allora lui di te! Ti sei lasciata convincere a sposare un uomo che non ami, perché? Per gratitudine? Per interesse? Ti ha forse costretto?” – la incalzò Ross.
“Non mi ha costretto nessuno, Ross… Per quello che hai di più caro, ti scongiuro, vattene! Hugh è nella stanza accanto, solo quella porta ci separa, potrebbe sentirci e non voglio che ti scopra qui. E poi non fa bene a nessuno di noi due continuare questa conversazione”.
Ross la fissò con occhi di bragia. “Forse perché fa male sentirsi dire la verità… la verità è che noi ci amiamo, ma tu hai fatto una scelta che ci ha ulteriormente separati per sempre… puoi forse negare di provare qualcosa per me?”.
“Ross, non ha alcun senso discuterne, ormai!”- esclamò Demelza spazientita.
“Per me ne ha! – sibilò lui, ad un palmo dal suo viso– se ami me, perché hai sposato lui? Se non ti ha costretto, quale è stata la dannata ragione per cui lo hai fatto?”
“Ho avuto i miei motivi, e questo deve bastarti! Ribadisco, se volessi darti delle spiegazioni non lo farei certo in questo momento, nella mia camera da letto, in cui ti sei furtivamente introdotto, con mio marito a due passi, mentre sei così alterato e carico di risentimento che non riusciresti neppure ad ascoltare il mio punto di vista!”
“Non sono in me, hai perfettamente ragione – rispose Ross, stringendole un avambraccio – ma come posso restare lucido pensando a te fra le braccia di un altro?”
Demelza volse lo sguardo , non riuscendo a sostenere il suo e gli disse: “Smettila di tormentarmi! Quello che Hugh mi ha offerto, tu  non avresti mai potuto darmelo! Pensi che avrei dovuto crescere mia figlia da sola, senza un padre, per tutta la vita, aspettando che tu nel frattempo decidessi che cosa fare con tua moglie e Valentine?”
“Posso darti anche io quello che ti ha dato Armitage, a meno che non sia un anello al dito l’unica cosa che ti interessa! Vieni via con me; in Portogallo nessuno ci conosce, potremo essere finalmente felici insieme!”
Demelza scosse la testa. “Distruggendo la vita di chi ci circonda? Io non posso. Hugh ha bisogno di me, gli ho fatto una promessa, intendo rispettarla!”
“Anche io ho bisogno di te!”
“Non fare il bambino, Ross. Sono sua moglie e continuerò ad esserlo, finché morte non ci separi!”
“Ma tu ami me! Perché mi resisti?” – continuò Ross imperterrito.
Demelza, spazientita come se avesse dovuto spiegare un concetto elementare ad un bambino, ribadì che la realtà non poteva essere cambiata ma solo accettata e lo pregò per l’ennesima volta di andarsene, minacciando altrimenti di far intervenire Hugh, informandolo della sua presenza lì.
“Brava, vallo a chiamare, fatti difendere dal tuo principe azzurro! – esclamò Ross in tono di scherno – ma sappi che né tu né lui potrete impedirmi di fare questo!”
Detto ciò, improvvisamente la afferrò e calamitò le sue labbra in un impetuoso bacio.
Demelza sentì le gambe vacillare come se stesse perdendo l’equilibrio, come se un’ondata la stesse trascinando in mare aperto senza poter resistere alla sua forza. Non era così che aveva immaginato il loro primo bacio, e non poteva dire che le piacesse. Era un bacio disperato, disordinato e prepotente, che sembrava le volesse succhiare via anche l’anima.
Con tutta la forza che aveva lo spinse via da sé, furiosa, ma lui le afferrò i polsi, la spinse contro la parete e premette nuovamente la bocca sulla sua, fino a farle perdere il fiato.  
Intrappolata contro il muro, con il petto di lui che schiacciava il suo, le braccia immobilizzate lungo i fianchi dalla sua stretta possente e quel bacio mozzafiato che non le lasciava respiro Demelza provò sensazioni simili a quelle di più di un anno prima, quando Francis l’aveva presa contro la sua volontà.
Le urla, i calci, i morsi, i pugni, gli sputi: era stato tutto inutile, quel mostro non si era fermato, l’aveva gettata in terra, l’aveva sovrastata col suo peso e l’aveva riempita di schiaffi, incurante delle sue lacrime; forse, nonostante tutto, Dio in quel momento aveva avuto pietà di lei, perché aveva perso i sensi e così le era stato risparmiato il ricordo della parte più umiliante della violenza. Ricordava solo di essersi risvegliata sul pavimento, coi vestiti laceri, le gambe sporche di sangue e quel porco, completamente ubriaco, che russava sul letto, incurante del dolore che le aveva provocato.
Benchè l’intenzione di Ross non fosse certo quella di usarle violenza, quei terribili ricordi che si erano improvvisamente riaffacciati nella sua memoria ebbero un effetto dirompente. Demelza, esclamando: “Non puoi farmi questo!” scoppiò a piangere e si rannicchiò per terra di fianco al suo letto, con le ginocchia piegate vicino al petto ed il volto nascosto verso il basso.
Ross per un attimo non capì. Demelza singhiozzava disperata e lui non comprendeva come avesse potuto essere in grado di scatenare una simile reazione. Non intendeva farle del male, solo porla di fronte alla irresistibile forza dei loro sentimenti reciproci. Temette davvero di vedere entrare Hugh nella stanza da un momento all’altro e già si vide duellare con lui nell’alba londinese. Perché diamine Demelza era così sconvolta?
Poi ripensò alla frase che gli aveva detto, ed ebbe un’illuminazione. Come aveva potuto essere così idiota da baciarla a forza, dopo quello che le aveva fatto suo cugino?
“Ti chiedo perdono, sono stato un perfetto imbecille. Non avrei mai dovuto farlo” – le sussurrò inginocchiandosi per terra accanto a lei, tentando maldestramente di rimediare.
Senza nemmeno alzare lo sguardo, Demelza gli chiese nuovamente di andare via e di lasciarla in pace.
“Non me ne vado lasciandoti in questo stato – disse lui– tanto più sapendo che potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo!”
Demelza alzò il viso e lo guardò, ricordando che Ross aveva parlato di un imminente viaggio in Portogallo senza aggiungere altro. “Vai da tua cugina Verity?” – gli domandò.
Ross scosse la testa. “No. Mi sono arruolato di nuovo. Il mio vecchio reggimento presta servizio nei pressi di Lisbona.”
Gli occhi della ragazza, già rossi e gonfi per il pianto, si rabbuiarono.
“Perché, Ross? Solo perché ho sposato Hugh? Ti sembra un motivo sufficiente per abbandonare la tua casa, la tua terra e rischiare la vita? Non farlo, ti prego, non ne vale la pena!”
“Non si può tornare indietro, Demelza. Su questo documento c’è la firma di Sua Maestà, se non andassi sarei un disertore e mi fucilerebbero. Poi lo hai visto anche tu, non posso restare qui, non sopporto l’idea di te e Hugh insieme, il solo pensiero mi fa perdere il lume della ragione! Rischio di commettere qualche sciocchezza e renderti infelice come poco fa, e ti assicuro che era l’ultima delle mie intenzioni.” – disse, asciugandole con i pollici le ultime due lacrime che le imperlavano le ciglia.
Demelza non respinse quel gesto affettuoso e gli spiegò che non era colpa sua, ma di quanto aveva dovuto subire in passato. Non ne avevano mai parlato apertamente e Ross  preferiva non sapere nulla dei particolari, essendo già abbastanza indignato per la condotta di suo cugino. In quel momento si preoccupò solo di assicurarle la sua vicinanza discreta e lasciò che Demelza si tranquillizzasse, discutendo finalmente in tono pacato.
Non vi era altro da aggiungere, era il momento dell’addio. Demelza non ne era affatto contenta; avrebbe voluto che ci fosse il tempo di aggiustare tutto, dimenticare quello che era successo poco prima e tornare a quel rapporto amicale in cui potevano contare l’uno sull’altra. Non voleva che Ross andasse via così, con tutto ancora irrisolto ed in sospeso tra loro. Si sentì in dovere di comunicargli qualcosa che potesse calmare il tumulto interiore che stava vivendo e che in fondo era la risposta che era venuto a cercare quella notte.  
“Hugh ha un male incurabile, gli resta poco da vivere. Alla sua morte il suo patrimonio passerà a Julia. Mi ha chiesto di sposarlo per dare un futuro a me e mia figlia. Non ha preteso nulla in cambio. Il nostro è un matrimonio bianco, Hugh non mi ha mai sfiorato; questa è la mia stanza da letto, lui dorme in quella di fianco. Siamo marito e moglie solo sulla carta.”
Ross la fissò sbalordito. Tutta quella rabbia, quella frustrazione, per nulla! Armitage aveva dimostrato di essere un uomo di onore, nobile e generoso, e lui lo aveva mal giudicato senza conoscere la sua storia. Comprese anche le ragioni di Demelza, la sua onestà ed il rispetto che portava al marito. Era stato uno sciocco impulsivo come al solito, ed aveva rovinato tutto.
Si scusò ancora, il capo abbassato per la mortificazione. Non c’era null’altro da dire, era giunto il momento di andare via davvero, e chissà per quanto tempo: forse per sempre. Avrebbe tanto voluto abbracciarla e baciarla ancora, ma non sapeva come lei avrebbe reagito.
Riprese il tricorno che aveva gettato in un angolo e le volse un ultimo triste sguardo, dirigendosi verso il balcone da cui era entrato.
Fu allora che accadde l’impensabile. “Aspetta”. Demelza si alzò e lo raggiunse. Gli prese una mano e lo attirò verso di sé, sfiorandogli il viso con la guancia. Chiuse gli occhi e lasciò che lui la baciasse, ma senza la foga di prima: teneramente, una serie di baci sulle labbra, sul viso, sul collo, sfiorando la sua pelle come se fosse stata di cristallo.
Si baciarono ancora, con maggiore urgenza, assaporando l’una il sapore dell’altro. Le loro dita scorrevano rapide fra i capelli, dietro la nuca, dietro le scapole, sui fianchi. Ben presto fu chiaro ad entrambi che non sarebbe stato possibile smettere.
“Lasciati amare”.
“Non possiamo, Ross.”
“Sì che possiamo….”
Le obiezioni della rossa ebbero vita breve. Si ritrovarono sul letto, gli abiti sparsi in terra, il loro ansimare come unico rumore di sottofondo, soffocato per non inquietare il sonno di quella creatura innocente. Il fuoco della passione divampò più ardente dei ciocchi nel camino, che era quasi spento del tutto.
“Non avrei mai creduto che potesse essere così bello”- bisbigliò poco dopo Demelza, stretta a lui fra le lenzuola.
“Nemmeno io”.
Poiché Demelza lo guardava come se avesse pronunciato un’eresia, Ross sentì il bisogno di spiegarsi.
“Non è mai stato così, con nessun’altra prima di te. Comincio a capire cosa intendeva dire mio padre a proposito del vero amore”.
“Siamo due adulteri, Ross. Mi sento terribilmente in colpa. Non credo che riuscirò a guardare Hugh in faccia, domattina”- dichiarò mestamente Demelza, staccandosi a malincuore dal suo caldo abbraccio.
“Abbiamo solo seguito il nostro cuore”- cercò di consolarla lui.
“Abbiamo lasciato ardere un fuoco che ha generato dietro di sè solo un mucchio di cenere. Il mio cuore è devastato: per Hugh che ho tradito in maniera ignobile nella sua stessa casa, per te che sei stato mio senza appartenermi davvero e che non so quando rivedrò…”
“Tornerò. Dopo stanotte, non ne ho il minimo dubbio, amore mio. Non appena Armitage sarà morto…”
“Giuda, Ross, come puoi essere così cinico?” – si lamentò lei.
“Scusami, non intendevo essere inopportuno! Quando sarai libera, puoi star certa che non rinuncerò a te, accada quel che accada!”
“E con Elizabeth, come farai?”
Ross si incupì. “Mi inventerò qualcosa. Dopo tutto anche lei dovrà arrendersi davanti alla forza del sentimento che mi unisce a te. Non è colpa sua né di nessuno di noi due”.
Omnia vincit amor et nos cedamus amori” – pensò Demelza: era  latino, aveva letto questa frase con Hugh qualche giorno prima e gliene aveva chiesto la traduzione. Era proprio vero che l’amore vince tutto e che bisogna arrendersi alla forza dell’amore? Tra le braccia di Ross tutto sembrava possibile, ma fra qualche ora la luce del giorno avrebbe riportato entrambi ad una realtà ben diversa dal sogno d’amore di cui quella notte avevano avuto un dolce assaggio.
 

 

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Capitolo 22
*** cap. 22 ***


Quando Demelza aprì gli occhi il sole era ormai alto nel cielo. La culla di Julia era vuota, segno che qualche domestica era venuta a prenderla badando di non disturbare il sonno materno. L’aveva allattata di mattina presto, l’aveva cullata e fatta riaddormentare, ma evidentemente poi era crollata dalla stanchezza, dopo una notte gravida di emozioni  in cui aveva riposato ben poco.
Dopo un ultimo bacio sulla soglia del balcone Ross era andato via con il favore delle tenebre, seguendo la stessa strada dalla quale era arrivato; Demelza lo aveva visto scivolare tra i rami del sicomoro e dileguarsi rapidamente nella notte. Era tornata tra le lenzuola, che ancora recavano il profumo della sua pelle, mentre il cuore le batteva come un tamburo impazzito. Aveva fatto l’amore con lui: le sue mani e la sua bocca l’avevano marchiata ovunque, come una lingua di fuoco incandescente. Non esisteva un angolo del suo corpo che Ross non avesse esplorato. Demelza non riusciva a credere che si potesse provare qualcosa di simile a quello che aveva vissuto nelle ore precedenti tra le sue braccia. E non si era trattato di puro piacere fisico: si era realizzata una fusione tra due anime ancora più perfetta di quanto avesse mai potuto immaginare nei suoi sogni.
Un pensiero, però, la angustiava. Per quel poco che sapeva di certe cose, era certa che Ross non avesse usato alcuna forma di cautela; Demelza allattava ancora e dopo il parto non le era ritornato il ciclo mensile, per cui non sapeva se in quei giorni fosse fertile o meno. C’era qualcuno che diceva che non si poteva restare incinte mentre si allattava, tuttavia tante donne, tra cui sua madre, avevano messo al mondo figli ad un anno di distanza l’uno dall’altro, segno che evidentemente era possibile. Se fosse rimasta incinta dopo quella notte, sarebbe stata davvero una tragedia. Ross lontano, al fronte oltre Manica, e poi…. Hugh. Come doveva comportarsi con lui? Bisognava innanzitutto dargli qualche spiegazione convincente per il vetro rotto della finestra. Quanto al resto, Demelza pensò che una mezza verità fosse preferibile ad una bugia completa: in fondo che rimanesse incinta era solo una possibilità remota, non poteva avere tanta sfortuna.
Dopo essersi alzata confessò quindi al marito della visita notturna di Ross Poldark, e la motivò con il fatto che l’uomo voleva avere da lei spiegazioni sulle sue nozze repentine. Raccontò a Hugh che gli aveva brevemente riferito come si erano conosciuti ed avevano deciso di sposarsi, gli disse che Ross le aveva dichiarato il suo amore e proposto di seguirlo in Portogallo, ma lei si era rifiutata. Malgrado tutto il capitano aveva compreso le sue esigenze e se ne era andato. Hugh scrutò sua moglie poco convinto. Un uomo talmente sfacciato da entrare di notte nella sua camera da letto danneggiando l’altrui proprietà se ne era andato così, sconfitto e senza pretendere nulla? Demelza si colorò di un rosso più intenso dei suoi capelli, ma mantenne la calma. Rispose che Ross aveva insistito molto, ma quando aveva compreso la verità dei suoi rapporti con Hugh si era acquietato ed aveva detto che un domani, qualora fosse stata libera, non avrebbe rinunciato a lei, ma per ora rispettava la sacralità del vincolo coniugale. Del resto anche lui era avvinto dallo stesso legame e non era stato difficile convincerlo ad andarsene. Hugh parve crederle e di Ross Poldark da quel momento non si parlò più.
Il giovane capitano intanto, intabarrato nel suo cappotto, con il tricorno calcato fino agli occhi, era rientrato a casa, si era gettato sul letto ed aveva riposato quel paio di ore che restava della notte. Di buon mattino, sotto il cappotto scuro aveva indossato la sua uniforme scarlatta e, radunati i bagagli, si era imbarcato su di un battello lungo il Tamigi; giunto poi al mare aveva traversato il Canale della Manica fino a Calais e di lì aveva preso la nave diretta in Portogallo.
Il suo stato d’animo quella mattina era ben diverso da quello di Demelza. L’impresa notturna, dagli esiti più favorevoli di quanto avesse mai potuto sperare, lo aveva galvanizzato. Era da sempre abituato ad affrontare e sfidare il pericolo, ma questa era stata senz’altro una delle sue avventure più elettrizzanti. Entrare in casa d’altri e rubare una donna al marito che dormiva dall’altro capo della parete era qualcosa di talmente ardito che probabilmente neanche suo padre, grande libertino, avrebbe mai osato fare. I suoi sensi erano ancora scossi dall’adrenalina: Demelza si era rivelata un’amante appassionata, benchè creatura inesperta, ed averla iniziata ai piaceri della carne rendeva il tutto ancora più esaltante. Ripensava alla sua pelle di seta, a come l’aveva sentita fremere sotto i suoi tocchi, al gusto dei suoi baci dalle mille sfumature: teneri, profondi, sensuali. Dopo aver amato Demelza, improvvisamente era come se Elizabeth e tutto ciò che ella aveva rappresentato in passato fosse evaporato come una bolla di sapone, come se mai fosse esistito altro amore nella sua vita. Demelza era la donna che d’ora in poi voleva accanto, l’altra metà della mela, l’unica che aveva incatenato il suo cuore e poteva renderlo davvero felice.
Tornare in Cornovaglia sano e salvo adesso era la sua unica priorità. La ferma sarebbe durata un anno, Elizabeth ed Armitage, seppure sopravvissuto, non erano un problema ai suoi occhi: avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non rinunciare a Demelza.
Intanto in Cornovaglia, alla Wheal Grace, il capitano Henshawe e Zacky Martin, il più esperto tra i minatori, avevano preso atto dei cambiamenti apportati da Ross alla gestione dei suoi affari ed erano costretti a recarsi quotidianamente a Nampara per prendere disposizioni dalla signora Elizabeth o aggiornarla sulla situazione degli scavi. Quest’ultima, inviperita nei confronti di Ross per la maniera in cui l’aveva trattata, umiliandola, la notte del matrimonio degli Armitage, intendeva fargliela pagare, ma non certo causando il suo dissesto sul piano finanziario. Poiché non ne capiva nulla di miniere si era consultata con George Warleggan che le aveva spiegato gli aspetti salienti dell’attività; cosa che, in verità, aveva fatto anche Ross prima di partire, sebbene la prospettiva di suo marito fosse estremamente diversa da quella del banchiere. Per George l’aspetto principale da curare era che i costi fossero coperti dagli investimenti, che questi ultimi fossero retti da un criterio di estrema prudenza e che gli utili venissero spesi solo in parte. Elizabeth finse di rimettersi per ogni scelta ordinaria al capitano Henshawe, visto che Ross aveva grande fiducia in lui, e per il resto pretese che ogni operazione straordinaria, nonché il versamento delle paghe ai lavoratori, passasse per le sue mani. Ottenne così il risultato di affamare sempre più i dipendenti e tenere per sé le quote più cospicue dei guadagni, sperperandoli solitamente in acquisto di beni voluttuari: era la sua maniera di vendicarsi di Ross. Trascorso un mese, però, la donna ricevette la prima ramanzina del banchiere Pascoe: gli utili della miniera dovevano essere accantonati per saldare il debito con miss Caroline. Elizabeth si rese conto che Ross non era stato tanto sprovveduto quanto sembrava nell’affidarle i propri affari: la procura che le aveva firmato era molto limitata e Ross aveva posto dei vincoli stretti all’utilizzo del proprio patrimonio personale, richiedendo per lo smobilizzo di fondi depositati in banca sempre il parere favorevole per iscritto di Pascoe. Fu una vera fortuna, perché nei mesi successivi alla Grace venne trovato un ricchissimo filone di rame rosso, di qualità pregiatissima, che rese in breve tempo Ross il proprietario di miniera più ricco della contea. Pascoe provvide con quei guadagni a riscattare l’ipoteca su Nampara e a rimborsare il prestito di miss Caroline. Henshawe pretese che i lavoratori beneficiassero di un salario minimo , anche se Elizabeth si oppose a nuove assunzioni, e dovette cedere soltanto per la paga del dottor Enys, che fu raddoppiata a fronte di un impegno orario maggiorato. Tale investimento però diede ottimi frutti in quanto i minatori, meglio curati e meglio pagati, iniziarono ad estrarre a ritmi più intensi, consolidando così le finanze dei Poldark.
Nel frattempo Elizabeth aveva deciso che, essendo Ross lontano, non aveva alcun senso vedere Warleggan di nascosto. Anche se qualche lingua lunga avesse parlato, cosa avrebbe potuto fare lui dall’altro capo dell’Europa? Avrebbe forse potuto porle dei veti? E fu così che la moglie di Ross iniziò a recarsi spesso a Trenwith ed in alcune occasioni, dopo aver partecipato a delle feste, vi trascorse anche la notte. Fu durante una di queste sere, dopo qualche bicchierino di porto di troppo, che Elizabeth non riuscì ad arginare la corte sempre più pressante di George e si risvegliò al mattino con il biondo banchiere di fianco, nel suo stesso letto.
Poco prima di Natale, si accorse di essere incinta. Il bambino non poteva essere di Ross, perché dopo l’ultima notte trascorsa insieme, la sera delle nozze di Demelza a metà di ottobre, a novembre aveva avuto il ciclo. Il figlio che attendeva era dunque per forza di Warleggan. Decise di non dirgli nulla: in fondo non era raro che i bambini nascessero dopo sette oppure otto mesi di gravidanza. Questo bambino, per risultare figlio legittimo, doveva vedere la luce non oltre il mese di luglio; qualche stratagemma per anticipare il parto lo avrebbe trovato. In tal modo, Ross avrebbe creduto alla frottola ed Elizabeth avrebbe avuto la sua peggiore vendetta nei suoi confronti.
Intanto, mentre le condizioni della signora Chynoweth rimanevano invariate, il giudice Penvenen ebbe un netto miglioramento, tanto che si cominciò a diffondere la voce che il dottor Enys fosse capace di compiere miracoli. Lo zio di Caroline cominciò a muovere qualche piccolo passo nella sua stanza con il bastone oppure appoggiandosi alla nipote ed il suo modo di esprimersi migliorò tanto da poter essere compreso anche al di fuori della ristretta cerchia di chi viveva in casa con lui. Il giudice Ray era talmente felice e grato a Dwight Enys che acconsentì alle sue nozze con Caroline, che nel corso dei mesi non aveva avuto più voglia di celare i propri sentimenti ed aveva rivelato al suo tutore di chi fosse realmente innamorata. Per evitare però che il ricco gentiluomo cambiasse idea all’improvviso i due innamorati, trascorso il tempo minimo per le pubblicazioni, celebrarono le nozze nella chiesetta di Sawle, alla presenza soltanto di due testimoni, rimandando i festeggiamenti ufficiali a Londra, dopo l’anno nuovo.
Ross non tornò a casa per Natale. Si era arruolato da pochissimi giorni ed il primo congedo avrebbe potuto prenderlo non prima di aprile o maggio. Fece in modo di far arrivare una lettera di auguri per i due anni di Valentine a febbraio, e la lettera che gli giunse in risposta da Nampara gli comunicò una notizia inaspettata che fece crollare in un attimo tutti i suoi progetti: Elizabeth aspettava un altro figlio. Quella notte scellerata di metà ottobre aveva dato frutto ed ora abbandonare Elizabeth incinta, o con un figlio di pochi mesi a carico oltre Valentine, sarebbe stato un atto meschino e disonorevole. Nemmeno le notizie lusinghiere sulle estrazioni del pregiato rame rosso, giuntegli circa un mese prima da Henshawe sempre tramite lettera, furono in grado di restituirgli il sorriso. A quanto pareva, Elizabeth aveva trovato il modo di tenerlo ancora legato a sé.
A differenza di Elizabeth, Demelza non poteva vantarsi di aspettare un figlio da Ross. La loro folle notte d’amore non aveva portato conseguenze e la giovane poteva continuare a ricoprire in società il ruolo della devota sposa del tenente Armitage, senza che né lui né altri potessero sospettare della sua infedeltà. La salute di Hugh, tutto sommato, reggeva, anche se la vista era sempre più affaticata. Settimana dopo settimana Hugh iniziava ad essere completamente dipendente da Demelza per coltivare le sue passioni: la lettura, la scrittura, la musica. Verso Natale gli venne l’idea, prima di diventare cieco del tutto, di realizzare un ritratto di sua moglie. Non era mai stato un grande disegnatore, eppure aveva uno stile particolare e sul suo taccuino amava fare degli schizzi di qualsiasi cosa lo colpisse. Già prima di sposarsi aveva fatto un veloce schizzo di Demelza e quando lei aveva insistito affinchè glielo mostrasse l’aveva amabilmente presa in giro dicendole di non aspettarsi una monna Lisa ritratta da Leonardo! Demelza non amava mettersi in posa ed era da sempre poco convinta della sua bellezza: il colore della sua chioma ramata era singolare, aveva begli occhi chiari e simpatiche lentiggini sul naso, ma si reputava al massimo una graziosa ragazza di campagna che non poteva competere con dame avvenenti quali ad esempio la sua rivale, Elizabeth Chynoweth. Accondiscese però ai desideri di suo marito, come faceva sempre, e lasciò che lui la ritraesse per qualche ora al giorno. Hugh però era sempre insoddisfatto del risultato, diceva che il suo tratto non rendeva giustizia alla bellezza di lei, e così ricominciava ogni giorno da capo, in una eterna tela di Penelope.
A gennaio Dwight e Caroline si trasferirono per qualche settimana nella dimora londinese di lei, nello stesso isolato degli Armitage, e così le due amiche si rividero dopo mesi. Demelza gioì nell’apprendere delle nozze dei suoi cari amici e protettori, che avevano tenuto segrete fino all’ultimo, e che sarebbero state comunque ripetute lì a Londra a beneficio dei numerosi invitati che lo zio Ray aveva preteso. Il dottor Enys era stato ormai accettato a pieno titolo in famiglia, era divenuto famoso in tutta la Cornovaglia grazie all’esito delle cure del vecchio giudice, il quale sperava – grazie a certe sue conoscenze londinesi – di far pubblicare al giovane medico i suoi studi sulle malattie respiratorie e così fargli ottenere una prestigiosa cattedra all’università, cosicchè anche la nipote si convincesse a tornare a vivere a Londra, nell’ambiente che da sempre le era più congeniale.
Caroline raccontò a Demelza,  per un lasso di tempo che parve interminabile, tutto ciò che era accaduto in Cornovaglia da ottobre in avanti. La rossa la tempestava di domande riguardanti non solo lei e Dwight; Caroline allora le riferì delle fortunate estrazioni alla Grace e dell’incremento di lavoro e di stipendio per Dwight, del prestito che era stato ormai rimborsato e quindi delle ottime prospettive per le finanze di Ross Poldark. Demelza moriva dalla voglia di confidarle che cosa era accaduto fra di loro un paio di mesi prima, ma desistette quando Caroline, appena la rossa le domandò che novità ci fossero a Nampara, rispose seria “Ce n’è una che non ti piacerà…”.
Caroline comprese che Demelza fosse rimasta male alla notizia della gravidanza di Elizabeth dati i suoi sentimenti per Ross, ma non poteva certo immaginare fino a che punto si fosse spinta la loro relazione e soprattutto quali rassicurazioni il capitano avesse fatto a Demelza circa la pregressa disaffezione nei confronti di sua moglie. Peccato però che ella ora aspettasse un figlio… a Demelza balenò per un attimo l’idea che il bambino fosse di un altro uomo, ma poi riflettè che Elizabeth non sarebbe stata così sciocca da ingannare Ross su questo aspetto, considerata l’epoca prevista per il parto, esattamente nove mesi dopo che c’era stato il loro addio.
La delusione era indubbiamente profonda. Aveva idealizzato Ross, aveva creduto che fosse sincero invece non era molto diverso da tutti gli altri uomini. Le aveva fatto credere che tra lui ed Elizabeth non ci fosse nulla da mesi, invece ora lei stava per dargli il secondo figlio. In queste condizioni, anche se Hugh fosse passato a miglior vita, non avrebbe mai accettato che Ross abbandonasse la sua famiglia legittima per lei.
Per un paio di giorni Demelza fu di umore scuro e si sottrasse alle richieste di Hugh di fargli da modella. Una sera però suo marito bussò alla porta che separava le loro camere da letto e pretese qualche spiegazione al suo comportamento. L’aveva forse offesa? Aveva forse fatto qualcosa che le aveva recato disgusto o fastidio?
“Ma no, Hugh, tu non c’entri nulla…”, Demelza si trattenne dall’aggiungere spiegazioni. Hugh era un uomo buono e comprensivo, ma non intendeva rivelargli proprio tutto di sé.  
“Demelza, siamo sposati da tre mesi ormai e vivi in casa mia da più di sei. Lo capisco quando c’è qualcosa che non va in te. Sei così trasparente…”- le disse facendole una lieve carezza.
Poiché Hugh, seppur con il suo consueto garbo, insisteva, Demelza si arrese a confidargli che la ragione del suo malumore stava nella notizia della nuova gravidanza di Elizabeth, che Caroline le aveva comunicato durante la sua visita pochi giorni prima.
“I tuoi sentimenti per Ross Poldark non sono un segreto per me – commentò Hugh – e posso comprendere che sia una grande delusione, soprattutto alla luce del vostro incontro di un paio di mesi fa, quando, mi sembra di capire, ti ha giurato amore eterno dichiarando che, se potesse, avrebbe lasciato sua moglie per stare con te. Mi addolora che tu soffra per una situazione di cui non hai colpe… noi uomini a volte sappiamo essere grandemente incoerenti”.
Demelza tirò in su con il naso. Hugh aveva ragione, non era credibile che un uomo sposato con una donna così bella condividesse il suo stesso letto restando indifferente al suo fascino… non tutti erano come Hugh!
Il tenente sorrise. “Forse stai sopravvalutando anche me… io non sono migliore degli altri uomini. E, per inciso, anche per me è difficile resistere al tuo fascino, vivendoti accanto. Non sai quante volte avrei desiderato darti un bacio, in questi mesi – un bacio vero intendo, non quelli a fior di labbra che a volte ci scambiamo - o ricevere da te qualcosa di più dell’affetto e della devozione che mi dimostri.”
Demelza lo guardò sorpresa. Hugh continuò.
“Ti avevo detto, prima di sposarci, che non sarebbe stato difficile innamorarmi di te. Ebbene, è successo! Io ti amo, Demelza, e so bene di non poter ambire ad occupare nel tuo cuore il posto che è di Ross Poldark, tuttavia… se solo potessi concedere a me, mendicante alla tavola del tuo amore, una briciola di quello che provi per quell’uomo…non toglieresti nulla a lui, ma daresti una gioia a me, prima di addormentarmi per sempre e non vedere più la luce del sole.”
“Hugh, mi sembrava di essere stata molto chiara su questo punto. Io ti voglio bene, davvero, ma non posso fare ciò che non sento, e soprattutto non posso farlo per pietà:  non sarebbe giusto né per me né per te! Tu meriti una donna che ti ami con sincerità e con tutta se stessa, non le briciole!”- disse Demelza.
“Sai bene che non succederà. Non potrò mai più godere dell’amore di una donna, se non sarai tu. Lascia che ti mostri una cosa” – e così dicendo tirò fuori dalla tasca della veste da camera il suo taccuino, lo aprì a metà e glielo mostrò.
Demelza lo prese, e vide se stessa ritratta in una posa simile alla Venere del Botticelli, completamente nuda.
“Ma tu non mi hai mai…”
“Visto nuda? Infatti. E’ tutto frutto della mia fantasia. Una sciocca fantasia che non diventerà mai realtà. Sono un uomo di parola, Demelza: non ti costringerò mai a fare qualcosa che non vuoi. Dimentica ciò che ti ho detto stanotte, non voglio che quello che ti ho confidato cambi i rapporti tra di noi, che tu sia meno spontanea e libera di comportarti come credi nei miei confronti. Del resto il vero amore è sempre gratuito e non conosce contraccambio. Continuerò ad amarti in silenzio, come ho fatto fino ad ora.”
“Oh, Hugh! Come pensi che possa tornare tutto come prima? Io non immaginavo quello che tu provassi! Non voglio farti soffrire!”- esclamò Demelza e cominciò a singhiozzare sulla sua spalla.
Hugh era lì, affettuoso, premuroso, attento. La stava consolando con dolcezza, senza nulla pretendere in cambio, ripetendole che la lasciava libera di comportarsi come volesse. Hugh era lì a prendersi cura di lei e di Julia, mentre Ross era in Portogallo, era stato capace solo di fuggire davanti alle difficoltà, di fare vaghe promesse ed ora aspettava un figlio da un’altra donna.
Si asciugò gli occhi e fissò intensamente gli occhi color nocciola di Hugh. Lasciò scivolare la vestaglia dalle spalle, e offrì alla vista del marito le sue forme, debolmente coperte dalla sottile camicia da notte di seta rosa.
“Sei sicura di volerlo davvero?” – le domandò Hugh, che pure non riusciva a distogliere lo sguardo da lei.
Cosa voleva davvero? Bella domanda! Voleva Ross, ma forse voleva anche Hugh, che la faceva sentire bella e desiderata come una regina, o forse voleva solo smettere di pensare e di soffrire! Aveva pochissimo tempo per prendere una decisione, che in un senso o nell’altro le avrebbe cambiato la vita…
 

 

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Capitolo 23
*** cap. 23 ***


Nampara, maggio 1787
Elizabeth strinse tra le dita affusolate una boccetta di vetro marrone. Era riuscita a procurarsela una settimana prima a Londra, dove si era recata con la scusa di dover incontrare i medici di sua madre. Si era fatta accompagnare da Emily, una fidata cameriera di Cusgarne che al momento opportuno era stata mandata con un pretesto a spedire una lettera, mentre lei si recava di nascosto nel quartiere malfamato ove si trovava la bottega di un sedicente dottore. Più che uno studio medico, quel luogo aveva tutto l’aspetto di un tugurio malsano che una signora dabbene non avrebbe mai dovuto frequentare. Eppure, non c’erano altre soluzioni al suo problema. La moglie di Ross ripose la fiala in un cassetto, lo chiuse a chiave e si infilò la chiave al collo, attaccata ad un cordoncino di seta viola.
Si accarezzò la pancia, quella pancia troppo piccola che non cresceva rapidamente quanto avrebbe voluto e che già aveva attirato qualche sgradito commento tra le pettegole dame di Truro e dintorni. “Possibile? Siete già al settimo mese? Siete troppo magra, Elizabeth, state mangiando a sufficienza?”
Se il parto non fosse avvenuto entro luglio, l’infedeltà sarebbe stata non un sospetto ma una matematica certezza e la sua reputazione sarebbe stata rovinata per sempre.
Si chiese se il suo bambino o bambina l’avrebbe mai perdonata per ciò che aveva progettato di fare.
Rivide se stessa scivolare rapida tra marciapiedi ricolmi di ubriachi e mendicanti, avvolta in un lungo soprabito nero con cappuccio. Rivide l’antro del dottor Chester, la sua barbetta unta ed il suo fare mellifluo.
“In cosa posso esservi utile, signora?”
“Provengo da Truro. Alcuni amici mi hanno fatto il vostro nome come garanzia di assoluta discrezione. So che è impossibile trovare altrove i vostri medicamenti”.
“Ed è così, ve lo assicuro. Parlate pure, vi ascolto”
“Come potete vedere, sono incinta. Il bambino dovrebbe nascere ad agosto, ma, per motivi che non posso spiegarvi, è necessario che veda la luce entro il mese di luglio”. “Volete che nasca vivo?”
“Naturalmente! E che nasca sano! E’ una cosa possibile?”
“E’ possibile, certo, ma alterare il corso della natura non è mai esente da rischi.”

L’uomo aveva armeggiato per qualche minuto in un armadietto e ne aveva tratto una boccetta di vetro.
“Dovete assumerne 15 gocce al giorno in un po’ d’acqua, almeno 15 giorni prima della data in cui volete che avvenga il parto. Il farmaco vi provocherà le doglie, tuttavia saranno più dolorose di quelle di un parto normale… avete già avuto figli?”
“Sì, ho un figlio”.
“Meglio così, il vostro utero reagirà in maniera più pronta ed efficace. Devo però raccomandarvi di informare il medico che vi assisterà per il parto qualora notaste qualsiasi sintomo inconsueto... se accadesse, dovete mostrargli subito il preparato, senza dirgli chi ve lo ha dato. Se non lo farete, la vostra vita potrebbe essere in serio pericolo. Sono stato chiaro?”
“Non potreste darmi voi un … antidoto, nel caso ce ne fosse bisogno?”
“Mia cara signora, non vi sto vendendo un veleno che abbia bisogno di un antidoto! Si tratta semplicemente di un farmaco che stimola l’utero a contrarsi… di per sé non è nocivo, ma bisogna vedere come il vostro organismo reagirà ad esso”.
“In altre occasioni In cui è stato utilizzato, è andato tutto come prestabilito?”
“Signora, questo non è un rimedio di uso molto comune, e come vi accennavo ogni organismo è diverso da un altro. In ogni caso si tratta di effetti collaterali che qualsiasi medico chirurgo saprebbe fronteggiare. Ciò che conta, come vi dicevo, è intervenire rapidamente. La cosa più probabile è che non sia necessario agire in alcun modo, ed è ciò che mi auguro per voi
”.
In cambio di un bel mucchio di sterline Elizabeth si era dunque procurata un mezzo per accelerare il parto. L’esito della gravidanza secondo i suoi desideri non era però l’unica sua preoccupazione, in quanto aveva dovuto fronteggiare i sospetti di George. Fin dal primo momento il banchiere le aveva domandato insistentemente se era assolutamente certa della paternità del figlio che portava in grembo. Egli continuava a ripetere che non si poteva escludere che fosse lui il padre della creatura, poiché era trascorso troppo poco tempo tra l’ultima volta che Elizabeth aveva avuto rapporti con suo marito e quando avevano dormito insieme a Trenwith. Elizabeth lo aveva trattato in malo modo, gli aveva intimato di non fare parola con nessuno di quello che era accaduto fra di loro, anzi di dimenticarlo per sempre. Il figlio che aspettava era di Ross, non aveva alcun dubbio in proposito, era già incinta quando aveva giaciuto insieme a lui. Warleggan era furioso, aveva detto che non gli importava nulla di rovinare la sua nomea, ma se c’era una minima possibilità che il figlio fosse suo non avrebbe mai tollerato che fosse allevato da Ross Poldark. Disse ad Elizabeth che voleva farla visitare da un medico di sua fiducia per avere una risposta chiara sull’epoca del concepimento. Elizabeth si mostrò mortalmente offesa, si ricompose nel suo ruolo di dama integerrima e gli disse chiaro e tondo che aveva commesso un tremendo errore, che per fortuna non aveva avuto conseguenze, a causa dei fumi dell’alcol, che nessuna donna poteva confondersi su certe cose ed il solo fatto che egli dubitasse della sua parola era disdicevole. Per forza di cose dopo questo dialogo Elizabeth aveva dovuto prendere le distanze da Warleggan e così aveva perduto anche il suo più devoto amico. Del resto la casa di Cusgarne era stata oggetto delle migliorie necessarie, la signora Chynoweth si stava lentamente spegnendo senza che nulla ci fosse più da fare nonostante le costose cure, dunque il denaro del banchiere non serviva più, e così George poteva essere accantonato.
Ora Elizabeth mirava soltanto a riconquistare Ross, non certo per amore, ma per quel malinteso desiderio di possesso per cui riteneva giusto e lecito tenerlo legato ancora a sé, benché avessero smesso di amarsi.

Londra, Maggio 1787
A bordo di una carrozza, tra le vie di quartieri rinomati e ben frequentati, due coppie eleganti conversavano allegramente mentre si recavano ad un ricevimento. Era una serata di gala organizzata dal visconte di Braddington, proprietario di un palazzo situato nei pressi di Westminster. Giunti a destinazione, i due uomini scesero dalla carrozza, strinsero le mani guantate delle loro dame per agevolarne la discesa e percorsero la scalinata di ingresso dell’ampia dimora illuminata a giorno. I maggiordomi all’ingresso annunciarono con voce squillante i loro nomi: “Il tenente Hugh Armitage e signora; il dottor Dwight Enys e lady Caroline Penvenen”
Al braccio dei loro mariti Demelza e Caroline fecero il loro ingresso nella sala già gremita. Entrambe conoscevano parecchi ospiti, e per quelli che a Demelza erano ancora sconosciuti provvedeva l’amica a fare le dovute presentazioni. Caroline sapeva che Demelza non amava troppo quelle occasioni mondane perché si sentiva in imbarazzo e temeva sempre di pronunciare qualche parola fuori posto; in realtà erano timori immotivati, perché la sua innata grazia e l’abilità a restare in silenzio quando l’argomento non era nelle sue corde l’avevano sempre tenuta immune dalle brutte figure. Mentre le due donne si intrattenevano con la viscontessa ringraziandola per l’invito ricevuto, Hugh e Dwight si allontanarono a braccetto per salutare lo zio di Hugh, lord Boscawen, ed alcuni suoi colleghi parlamentari. Entrambi non amavano parlare di politica, ma in serate come quelle dovevano fare buon viso a cattivo gioco.
“Il capitano Ross Poldark” – annunciò poco dopo il maggiordomo all’ingresso, e Dwight si girò di scatto. Era proprio il suo più caro amico, reduce dalle campagne militari in Portogallo! Non aspettava certo di incontrarlo, non avendo ricevuto sue notizie da mesi. Aveva una bella cera, benchè sembrasse zoppicare leggermente ad una gamba. Dwight gli fece un cenno di saluto da lontano con una mano, si scusò con gli altri ospiti e si avvicinò a Ross. Una energica stretta di mano ed un abbraccio fraterno suggellarono il loro incontro, cancellando in un secondo i rancori dei mesi precedenti.
Il giovane medico si interessò subito al problema fisico che aveva notato nell’amico e Ross gli spiegò che si era trattato di un colpo di baionetta, piuttosto superficiale, che gli avevano medicato alla meglio e che talvolta gli dava ancora qualche fastidio: un’ottima scusa per non ballare, aveva concluso irriverente il capitano. Dwight gli chiese come mai fosse tornato in patria e quali fossero i suoi progetti futuri; Ross raccontò che intendeva trasferirsi in un altro reggimento di fanteria, questa volta in Irlanda; in tale modo sarebbe stato più vicino a casa. Con il pretesto del periodo di convalescenza che gli spettava aveva dunque intenzione di recarsi al comando generale per presentare domanda di trasferimento. Dwight pensò che fosse una soluzione ragionevole, data la gravidanza di Elizabeth, ma né lui né Ross affrontarono direttamente l’argomento. Il capitano era sul punto di domandargli altro, ma vennero interrotti proprio in quel momento dall’arrivo di Hugh.
“Capitano Poldark! Che sorpresa!”- lo apostrofò il marito di Demelza chinando il capo verso di lui in cenno di saluto. Altrettanto fece Ross, pronunciando a sua volta titolo e cognome dell’altro e chiedendogli come stesse. “Molto meglio di quanto potessi sperare qualche mese fa – rispose Hugh – i miei mal di testa mi stanno concedendo un periodo di tregua. Voi invece? Siete stato ferito ad una gamba?”
Ross ripetè il resoconto che aveva fatto a Dwight a proposito del suo incidente in battaglia. Armitage non si contenne dal fare una battutina, alludendo alla sua impresa del precedente autunno: “Vorrà dire che per un po’ sarete costretto ad astenervi dalle attività pericolose, tipo arrampicarsi sugli alberi per introdursi in casa d’altri…”
Ross incassò il colpo, e non sapendo cosa e quanto di quella sera Demelza avesse riferito al marito replicò genericamente: “In presenza di motivi validi per farlo non sarebbe certo questo graffietto a dissuadermi! Se volete scusarmi, vado in cerca del padrone di casa per rendergli omaggio”. E così dicendo si allontanò.
Percorse le varie sale, dispensando saluti a destra e a manca; benché non fosse londinese di nascita la sua fama, da quando era impiegato nell’esercito, si era piuttosto diffusa, soprattutto per aver salvato la vita al proprio colonnello durante un’imboscata. Era proprio quella la ragione per cui il visconte, cugino di primo grado del colonnello, lo aveva invitato al ricevimento. Come spesso gli accadeva in occasioni simili, le dame lo guardavano di sottecchi chiedendosi chi fosse quel bell’uomo dai capelli scuri e dal fisico prestante; le ragazze più giovani speravano di essere da lui invitate a danzare, ma poi qualche arcigna zitella o qualche padre geloso facevano crollare ogni speranza precisando che il capitano Poldark era già sposato e che non amava ballare.
Ross educatamente salutava tutti, sorrideva, dispensava complimenti ed intervallava i convenevoli con numerose soste davanti ai vassoi dei liquori. Il suo sguardo vigile però scrutava volti ed ambienti nel tentativo di incontrare al più presto Demelza e parlarle in assenza di suo marito.
Dopo aver vagato negli ampi saloni, finalmente intravide lei e Caroline nella posizione più vantaggiosa possibile: in un piccolo gazebo all’aperto, da sole e lontane dagli altri ospiti. Con una falcata, per quanto la gamba glielo consentiva, le raggiunse e salutò con un perfetto baciamano sia lady Penvenen che “la signora Armitage”, calcando la voce su quel cognome , pur essendo ben chiaro dallo sguardo che le indirizzava che considerava Demelza cosa propria.
La rossa, sorpresa da quell’incontro inatteso ed imbarazzata dalla presenza di Caroline, cui certo non era sfuggita quell’occhiata maliziosa, cercò di mantenere l’autocontrollo, ma Ross non perse tempo e sussurrò a Caroline di trovare il modo di tenere Hugh il più lontano possibile da quel gazebo perché aveva necessità di conferire a quattr’occhi con Demelza.
La bionda si rese immediatamente conto della pericolosità della situazione che si era venuta a creare, ma sapeva che quando Ross Poldark aveva in mente qualcosa non era possibile tenergli testa. Così, con la scusa di andare a prendere qualcosa da bere, si allontanò lasciandoli soli in giardino.
Demelza si vide persa senza il sostegno dell’amica. I modi di Ross la irritavano e non aveva alcuna voglia di parlare con lui. Gli diede la schiena, cercando di stargli lontana il più possibile. Lui la seguì, le cinse le spalle, avvicinò le labbra al suo collo sottile e ne sfiorò il contorno, sussurrandole: “Non sai quanto ti ho pensato e quanto ti ho desiderato in questi mesi…” ma Demelza bruscamente lo allontanò e, rispondendogli “Hai fatto male!” andò a sedersi su una panchina.
“Perché mi tratti così? Non negare che anche per te è stato lo stesso!” “Smettila Ross, quello che c’è stato fra di noi è stato un tremendo sbaglio! Siamo sposati con altre persone e dobbiamo dimenticare quella notte!”
“Io non potrei mai! Per me dopo quella notte con te non esiste altro al mondo!”
“Nemmeno tua moglie e vostro figlio in arrivo?”
A quelle parole Ross comprese la ragione del risentimento di Demelza, e, seppure contrariato, cominciò a spiegare: “Posso comprendere il tuo disappunto, ma io non ti ho mentito! Tra me ed Elizabeth è tutto finito da tempo! Quello che è accaduto… si è trattato di una sola, maledetta volta, la notte in cui tu ti eri sposata… ero pazzo di dolore e gelosia, non sapevo come sfogare il demone che avevo in corpo, e così …. Sono stato un idiota, lo so, ma ti giuro che erano mesi che non toccavo Elizabeth! Il bambino non ha colpa di nulla, ma io sarò franco con lei: non torneremo mai ad essere una coppia ed una vera famiglia, perché sei tu l’unica che amo!”
“A me non interessa come siano andate le cose, non mi devi alcuna spiegazione. Anzi, a dirla tutta, le tue parole sono vergognose e ti fanno scendere molto nella mia considerazione! Evidentemente questo è il modo con cui voi Poldark trattate le donne!”- esclamò Demelza.
“Sei ingiusta, non puoi paragonarmi a mio cugino, io non ho usato alcuna violenza!” – rispose piccato Ross.
“Questo è da vedere! E non è violenza forse lasciare tua moglie da sola, mentre sei qui ad una stupida festa invece di starle vicino? Pensi forse di comparire a Nampara solo il giorno dal parto, salutare tuo figlio appena nato ed andartene via subito, lasciando ad Elizabeth un mucchio di ghinee per le spese? Sono sei mesi che non vedi Valentine, è un bambino ancora piccolo, come credi che possa vivere senza un padre? Il tuo primo pensiero, anziché correre a Nampara ad abbracciarlo, è stato venire a cercare me e darmi il tormento?”
“Come fai a dire questo, dopo quello che c’è stato fra di noi? – replicò Ross sedendosi accanto a lei e prendendole una mano - Io e te siamo fatti l’uno per l’altra, non mi importa nulla di Elizabeth, non posso fingere di provare nei suoi confronti qualcosa che non esiste!”
“E’ la madre dei tuoi figli, che ti piaccia o no, hai dei doveri verso di lei!”- ribatté la rossa sfuggendo al suo tocco.
“E non sai quanto me ne pento… – mormorò Ross – ma non voglio che questa sia una ragione che ci divide. Il bambino che sta per nascere non cambia ciò che provo per te e non sposta neppure quanto ti ho detto a novembre. Voglio che tu sappia che mi trasferirò a breve con un nuovo reggimento in Irlanda. Perché non vieni con me? Sì, so già di tuo marito e di come la pensi, vuoi stargli vicino fino all’ultimo istante, non intendo impedirtelo. Potreste venire entrambi, con la scusa di seguire le proprietà del tuo presunto primo marito defunto; non avevi finto forse di essere irlandese? Una volta che Hugh sarà morto ci stabiliremo lì per sempre, se vorrai.”
“Così, secondo te, io dovrei dire a Hugh: Mio caro, ci trasferiamo in Irlanda perché voglio seguire il mio amante, anzi sbrigati a tirare le cuoia così che possa essere felice con lui!”
“Demelza, io non intendevo…”
“Ascolta Ross, te lo dico una volta per tutte: non devi cercarmi più, devi dimenticarmi! Devi vivere la tua vita come se io non ci fossi!”
Mentre Ross cercava di obiettare, insistendo sui soliti argomenti della profondità del loro legame e della inconsistenza di quello con Elizabeth, Demelza lo freddò: “Ora basta, Ross, è bene che tu sappia che la mia relazione con Hugh è cambiata da quando te ne sei andato!”
“Cosa vuoi dire?”- chiese lui, quasi temendo di udire la risposta.
Demelza tacque per un istante, inspirò profondamente e gli disse, gli occhi fissi nei suoi: “Che forse in questo stesso momento sto portando in grembo un figlio suo”.
Fu come se un velo all’improvviso fosse calato sui begli occhi del capitano, facendoli sprofondare nel buio. La delusione per aver ancora una volta affidato le sue speranze ad una donna, il disprezzo per colei che credeva onesta e sincera, il dispiacere per non essere stato in grado di lasciare il segno nel cuore di lei, come era accaduto a lui, presero il sopravvento. Che senso avrebbe avuto chiedere come era accaduto, quando, perché? Armitage aveva vinto, Demelza non era mai stata sua se non per quella effimera notte di autunno.
Ross non aggiunse nulla, volse lo sguardo via da lei e le voltò le spalle senza neppure salutarla. Si incrociò con Caroline, la quale stava venendo ad avvisarli di fare presto, ché Hugh reclamava la presenza di sua moglie.
La giovane trovò Demelza sulla stessa panchina, con il viso tra le mani, che piangeva a dirotto.
“Che cosa gli hai detto? E’ andato via come una furia…”
“Che forse sto aspettando un figlio da Hugh.” – rispose la rossa tra i singhiozzi.
“Santo Cielo, e la ragione per inventare una bugia del genere?” – domandò Caroline allibita.
“Dovevo trovare il modo di farmi odiare, disprezzare, allontanarlo per sempre da me, e farlo tornare con sua moglie!” – esclamò Demelza tra le lacrime.
Caroline la strinse forte a sé, incurante delle macchie di trucco che colavano sull’elegante abito rosso che indossava. Mentre accarezzava la schiena dell’amica con lievi carezze circolari, la bionda commentò: “Devo proprio suggerire al dottor Enys di approfondire i suoi studi sul cervello, anziché sui polmoni. Forse potrebbe scoprire per quale oscuro motivo una persona che mi ha fatto per mesi la predica sull’importanza di lottare per il vero amore, dopo aver scoperto di essere pienamente ricambiata all’improvviso getti tutto all’aria, spedendo il suo innamorato dritto fra le braccia della donna che le ha rovinato la vita! Adducendo, poi, di essere incinta di un uomo con cui non ha mai avuto intimità! O sbaglio?”
Demelza fece di no con la testa. Caroline non sbagliava. Qualche mese prima era stata sul punto di concedersi a Hugh, ma nel momento clou si era tirata indietro. Gli approcci amorosi di suo marito non facevano che riportarle alla mente le sensazioni vissute con Ross, ma le mani di Hugh, le sue labbra, il suo profumo non erano quelli di Ross e lei si era resa conto subito che non poteva costringere il suo corpo ed il suo cuore ad andare in una direzione diversa. Sebbene mortificata, aveva fermato Hugh, il quale probabilmente aveva capito che cosa era accaduto davvero fra sua moglie e Ross, ma non glielo aveva fatto pesare troppo. Con il suo consueto buon carattere aveva accolto baci e carezze di Demelza come un dono prezioso ed aveva accettato l’idea che non avrebbero mai condiviso nulla di più profondo.
Caroline spronò Demelza a ridarsi un tono per poter comparire nuovamente in pubblico; oramai Ross era di certo andato via e non c’era timore di rincontrarlo. La bionda comprese che era il momento di manifestare a Demelza sostegno e vicinanza senza esprimere giudizi. Si ripromise tuttavia di parlare con suo marito di quanto accaduto perché, ora più che mai, era il caso che Dwight andasse al più presto a fare un bel discorsetto al suo amico Ross Poldark.

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Capitolo 24
*** cap. 24 ***


“Il capitano Poldark è nella sua stanza?”
La governante della pensione in cui Ross alloggiava rispose al dottor Enys non solamente che l’ospite era in casa, ma che da due giorni non metteva piede fuori della stanza, i vassoi del pranzo e della cena erano stati restituiti quasi intatti ed in compenso era stato fatto largo consumo di bottiglie di gin, una dietro l’altra. La donna aggiunse che era stata sul punto di chiamare un medico, ma da dietro l’uscio il capitano Poldark le aveva risposto di non preoccuparsi perché stava benissimo.
Dwight bussò alla porta un paio di volte palesando la sua presenza ed attese pazientemente che Ross si alzasse per aprire.
Appena entrato, il tanfo di chiuso e di liquore gli colpì le narici. Il giovane medico spalancò imposte e finestre e spronò Ross ad alzarsi dal letto, sequestrando l’ultima bottiglia di gin già aperta, sebbene fossero appena le dieci del mattino. Ordinò alla padrona della locanda di portare dell’acqua bollente per il bagno e pretese che Ross si lavasse e si radesse, rendendosi finalmente presentabile. Quando ebbe terminato le sue abluzioni e si fu rivestito, chiese alla padrona che gli servissero una colazione abbondante, a base di pane tostato, uova e formaggio.
Mentre l’amico si rifocillava Dwight non mancò di fargli una ramanzina. Alla sua età, ridursi così per una donna? Dopo il bagno gli aveva esaminato la ferita al polpaccio. La cicatrice aveva un aspetto piuttosto disomogeneo, ma non vi era traccia di infezione.
“Parliamoci chiaro, Ross: non è una ferita invalidante, tuttavia il muscolo è stato tranciato e nel rimarginarsi si è irrimediabilmente accorciato. La gamba non tornerà esattamente come prima. Sai come funzionano certe cose… ungendo un po’ certi funzionari potresti ottenere il congedo illimitato. E sarebbe proprio ora di porre termine a questa follia! Diamine, sei un proprietario terriero ed un gestore di miniere, non un soldato! Sei abbastanza ricco da ritirarti a vita privata; perché non ritorni in te, smetti di pensare a Elizabeth e Demelza e ti concentri su ciò che ti interessa veramente?” - e nel dire ciò Dwight passò a raccontargli di quello che era accaduto nei mesi di sua assenza, i difficili rapporti tra Henshawe e sua moglie, la diffidenza dei minatori nei confronti della signora di Nampara e soprattutto le peggiorate condizioni di vita di tutti i lavoranti della zona di Truro e Sawle, a causa del rincaro del prezzo del grano.
“La Leisure e la Grambler stanno per chiudere, anche perché sono state messe in ginocchio dalla estrazione del rame rosso dalla tua miniera. Possibile che non ti sia venuta neppure la curiosità di vedere questo famoso materiale, dopo che hai tanto lottato per riaprire la Wheal Grace? Ti rendi conto che con i guadagni realizzati negli ultimi sei mesi potresti acquistare le quote delle altre due miniere, dando una speranza ai tanti minatori del luogo che rimarranno disoccupati? Se la Grace, la Leisure e la Grambler appartenessero allo stesso proprietario non si porrebbe un problema di concorrenza, ma da ciascuna si potrebbe estrarre un minerale diverso per poi venderlo al prezzo migliore sul mercato… io credo di poterti assicurare il mio apporto professionale anche per le altre due miniere, poiché, anche se Caroline si sta nuovamente beando della vita londinese, non farebbe difficoltà a seguirmi a Killewarren almeno sei mesi all’anno. Pensaci Ross, sul serio!”
La Grambler e la Leisure… le due storiche miniere appartenenti rispettivamente a suo zio Charles e a suo padre… mandate in malora da Francis, da George Warleggan e da Matthew Sanson, uomini dediti esclusivamente ai loro interessi. Si poteva porre fine ad una terribile ingiustizia, se fossero ritornate ad appartenere alla famiglia Poldark come un tempo.
Inseguendo un pensiero che apparentemente non aveva alcun nesso logico con quello di cui stavano discutendo, Ross mormorò: “E’ stato il compleanno di Julia pochi giorni fa. Le avevo comprato una bambola, ma non credo sia il caso di fargliela recapitare, per come si sono messe le cose tra sua madre e me.”
“Perché no, invece? - esclamò Dwight – possiamo andare a fare una visita a casa Armitage anche subito. Non temere, Demelza e Caroline sono andate a fare una visita di condoglianze fuori città e non torneranno che nel pomeriggio. Io ho appuntamento con Hugh per una visita a mezzogiorno, non c’è alcun problema se mi accompagni. Tu non lo conosci, ma Hugh è una cara persona e non avrà nulla da obiettare! E neanche Demelza, te lo assicuro. Lei stravede per sua figlia e sa bene quanto sia speciale il tuo legame con la piccola. Potrebbe essere l’occasione giusta per ricucire lo strappo avvenuto alla festa!”
Dopo varie insistenze, Ross si convinse ad unirsi a Dwight ed insieme, sulla carrozza che aveva condotto l’amico al proprio alloggio, si diressero in Kensington Street, dove giunsero poco prima di mezzogiorno.
Dwight suonò alla porta ed il maggiordomo lo accolse come uno di casa. Il medico presentò Ross e spiegò che era un amico sia suo che della signora Demelza ed aveva portato un piccolo omaggio da consegnare a Julia Grace in occasione del suo primo compleanno. Chiese all’uomo di farsi annunciare al padrone e nel frattempo di mandare a chiamare la bambina. Ross e Dwight si accomodarono in un elegante salotto e poco dopo furono raggiunti da una cameriera in livrea scura che portava in braccio la figlia di Demelza. Quanto era cresciuta! Aveva i capelli biondi che formavano morbidi boccoli sulle spalle, i lineamenti delicati sempre più somiglianti a quelli della madre;  indossava un grazioso abito color pesca e delle scarpine di stoffa dello stesso colore. La cameriera la fece scendere in terra, ma non era ancora in grado di camminare da sola. A passo malfermo, sorretta dalla mano della domestica, Julia si accostò ai due uomini e Dwight le parlò dolcemente: “Julia, questo signore è un amico della tua mamma e di zia Caroline. Ti ha portato un regalo per il tuo compleanno! Lo sai che ti ha preso in braccio quando eri piccola piccola, appena nata? Tu non puoi ricordarti di lui, ma lui si ricorda di te e ti vuole molto bene…”
Julia sgranò gli occhi ed osservò con curiosità l’uomo bruno che le tendeva un involto sorridendole. Guardò poi Dwight, come per avere un cenno di incoraggiamento, e sia lui che la domestica la invogliarono ad aprire il pacco per vedere cosa vi fosse contenuto.
Appoggiata al divano su cui i due uomini erano seduti, anzi con una mano sul ginocchio di Dwight ed una sul divano, Julia aspettò buona buona che la cameriera, Molly, scartasse il regalo, senza perdere un dettaglio con i suoi vigili occhietti. Appena la bambola fu alla sua portata Julia la prese e si accovacciò sul pavimento, cominciando a toccarle gli occhi, il naso, la bocca, mormorando “bii..baa”.
“Che cosa sta dicendo?” – chiese Ross.
“Credo che voglia dire bimba” – spiegò la domestica – “bimba, Julia? Vogliamo dare un nome alla bimba?”
Julia, tutta presa dal nuovo gioco, parve ignorare la proposta, ma dopo un po’ disse “Olli”.
“Molly? Vuoi chiamarla Molly come me?”
“Che bella idea! – esclamò Dwight – e vogliamo anche dire grazie al mio amico Ross che te l’ha regalata? Cosa ne dici?”
Sia Molly che Dwight ripeterono varie volte grazie, come si fa con i bambini per insegnare loro a parlare. Alla fine Julia emise un suono che poteva vagamente somigliare ad un grazie, ma la gioia più grande per Ross fu vedere che la piccola gli sorrideva  e che con fiducia, sollevatasi di nuovo in piedi con l’aiuto di Molly,  si avvicinava a lui per mostrargli orgogliosa la sua bambola. Poi, inaspettatamente, la bambina strinse il giocattolo tra le braccia e barcollando mosse due passi da sola, fino a raggiungere Dwight all’altro capo del divano. “Buon Dio, ha camminato da sola! Non lo aveva mai fatto prima!” – esclamò Molly. I tre adulti cominciarono quindi a compiere vari esperimenti, tendendo le braccia verso la piccola, che continuò a tenersi in equilibrio da sola per qualche passo andando ora verso l’uno, ora verso l’altro.
Molly commentò che la signora Demelza sarebbe stata felicissima al suo rientro di scoprire questa bella novità.
Nel frattempo tornò il maggiordomo, che accompagnò Dwight dal padrone che lo attendeva in camera sua. Durante la visita Ross si intrattenne ancora in salotto con Molly e Julia che giocavano, stupendosi di quanto la bambina fosse vispa ed intelligente, oltre che dolcissima.
Dopo poco però lo stesso maggiordomo venne a chiamarlo dicendogli che il tenente Armitage intendeva riceverlo in camera sua. Ross se ne stupì molto, ma non poté compiere la scortesia di negarsi al padrone di casa. Il maggiordomo lo accompagnò al piano superiore, ove si trovavano le stanze da letto, e Ross venne introdotto in quella di Hugh, che notò essere identica a quella di Demelza, con la stessa disposizione dei letti e del mobilio e lo stesso stile nell’arredamento.
Hugh era seduto sul letto, in veste da camera, ed aveva un viso piuttosto sofferente rispetto alla sera della festa. L’ammalato chiese a Dwight di lasciarli soli e a Ross di prendere posto su una poltroncina che il medico aveva occupato fino a pochi minuti prima.
La curiosità di Ross fu presto soddisfatta in quanto il tenente Armitage iniziò a parlare.
“Sono contento, capitano, che siate venuto in casa mia oggi, perché era da molto che avevo intenzione di avere un colloquio con voi. Un colloquio assolutamente amichevole, sia ben chiaro. Ci crediate o no, io non nutro alcun risentimento nei vostri confronti”.
Ross gli sorrise: “Se è per questo, neanche io verso di voi, tenente. Confesso di avervi odiato quando vi vidi con Demelza sul sagrato della chiesa il giorno delle nozze, ma poi il mio stato d’animo è mutato. Demelza mi ha spiegato la situazione tra di voi e….”
“Mi avete compatito” – lo interruppe Hugh.
“Non direi compatito. Per certi versi vi ho ammirato, ma anche profondamente invidiato, e tale sentimento si è accresciuto dopo il mio recente ritorno in Inghilterra. Del resto, tenente, come potrei non invidiarvi, visto che possedete tutto ciò che desidero?”
Hugh scoppiò a ridere: “Lo credete davvero? Forse sono io a dover invidiare voi per la stessa ragione! Avete la salute, il vigore, la possibilità di fare progetti per il futuro… tutte cose che a me sono precluse! Inoltre avete una donna che vi ama al punto di raccontarvi un mucchio di menzogne pur di allontanarvi da lei, per il vostro bene; una donna che vi ama profondamente e disperatamente, da molto prima che faceste irruzione in casa nostra”.
Ross ammutolì. Dunque non era vero che Demelza aspettava un figlio e che i rapporti con suo marito erano mutati? Dopo qualche attimo di silenzio domandò al padrone di casa: “Perché mi state dicendo tutto ciò?”
“Quando il proprio destino è segnato, capitano, si guardano le cose da una prospettiva diversa. Io non mi sento in competizione con voi, come invece credo sia accaduto a voi con me. Volevo solo che sapeste che non avete perduto Demelza per causa mia e che non dovete provare invidia nei miei confronti per il fatto che ho sposato la donna che amate. Demelza ama voi, e questa è la ragione per cui non riesce ad amare me, che pure le ho dichiarato la vera natura dei miei sentimenti. E’ vero, io vivo con lei, posso godere quotidianamente della sua compagnia, dei suoi sorrisi, della sua dolcezza; condividiamo tanti bei momenti felici, ma entrambi sappiamo che questa felicità non sarà mai completa, e non solo perché a me manca il tempo necessario. Ma se io non posso essere felice, non è detto che non dobbiate esserlo neppure voi.”
Hugh fece una pausa e deglutì un sorso d’acqua da un bicchiere che era sul comodino.
“A Demelza non l’ho detto, ma ho quasi perduto l’uso dell’occhio destro, sapete? Dwight me lo ha appena confermato”.
“Sono dolente” – biascicò Ross imbarazzato.
“Non vi addolorate, è già tanto come sia sopravvissuto finora! Il mio destino era scritto da tempo. L’unica cosa che desidero è che questi ultimi mesi che mi restano siano sereni, voglio ricordare solo le cose belle e non quelle spiacevoli. E voglio che anche Demelza sia tranquilla. Per questo ci tenevo a parlarvi. Mi ha raccontato per sommi capi cosa è successo l’altra notte dai Braddington; naturalmente è convinta di essere nel giusto, ma sta soffrendo terribilmente. Pensa che voi ora la odiate e la disprezziate.”
“Non è così, non potrei mai odiarla, anche se, devo ammetterlo, le cose che mi ha detto mi hanno ferito profondamente” - disse Ross.
“Posso chiedervi quali sono le vostre future intenzioni?” – chiese Hugh.
Ross si guardò la punta degli stivali, piuttosto imbarazzato.
“Questa mattina io e Dwight ne abbiamo parlato a lungo. Credo che Demelza non abbia tutti i torti. La cosa più ragionevole è abbandonare la carriera militare e tornare in Cornovaglia; mia moglie è in procinto di partorire, devo starle vicino e discutere con lei della nostra situazione… ma già so che Elizabeth è irragionevole, non ho molte speranze che rinsavisca. Quanto a Demelza… io la amo, so che lei mi ricambia, ma gli ostacoli che ci dividono al momento paiono insormontabili, quanto meno da parte sua”.
“Capisco perfettamente – commentò Hugh - Forse, se posso permettermi, avete commesso l’errore di dare Demelza per scontata, rischiando di perderla per sempre. L’impressione che ho avuto io, da quel poco che mia moglie mi ha confidato, è che tra voi due sia nata quasi subito una forte attrazione, vissuta con sensi di colpa da entrambe le parti. Quando a quella passione è stato dato libero sfogo voi avete pensato che si trattasse di un punto di arrivo, mentre era solo un punto di partenza. “
“E’ così - ammise Ross – Con Demelza ho commesso lo stesso errore di quattro anni fa, quando tornai dal Nuovo Mondo. Credevo di conoscere Elizabeth in profondità, che il sentimento che ci legava fosse più forte di tutto, invece mi sono portato in casa una estranea. Tra me e Demelza c’è stata da subito complicità, poi è subentrata la passione, ma a volte ho l’impressione di non averla compresa davvero fino in fondo”.
“So bene che i consigli non richiesti sono i meno graditi, capitano Poldark, ma poiché ho a cuore il bene di Demelza vorrei dirvi cosa penso della situazione: fate poi della mia opinione l’uso che ritenete”.
“Parlate pure, vi ascolto” – lo incitò Ross.
“Demelza è una donna semplice: una ragazza del popolo, che ha puntato a migliorare se stessa senza mai scavalcare gli altri, incapace di provare rabbia o invidia per chi è stato più fortunato di lei. Per lei vostra moglie ed i vostri figli sono sacri. I suoi valori sono semplici, ma non negoziabili. L’unica volta in cui ha sacrificato la sua libertà, sposando un uomo che non amava, lo ha fatto per il bene di sua figlia, ma non transigerebbe sui suoi principi per amore di un uomo, neanche se si tratta di voi. Per questo vi consiglio, anche quando io non ci sarò più, di non farle pressioni. Lasciatela libera di scegliere le forme ed i momenti più opportuni per riallacciare un contatto con voi. E non rincorrete troppo la felicità: forse sarà lei a trovare un modo inaspettato di raggiungervi! Ah, un’ultima cosa: non lasciate Londra senza chiarirvi con Demelza. Se lo ritenete, potete aspettare che rientri; nel frattempo sarete mio ospite a pranzo”.
“Vi ringrazio molto dell’invito, ma credo che le lascerò un biglietto, così che possa mettermi in viaggio con la prima diligenza utile” – rispose Ross.
Salutò Hugh con una vigorosa stretta di mano, ringraziandolo ed esprimendogli tutta la sua stima. Ross era sicuro che pochi uomini sarebbero stati capaci di comportarsi allo stesso modo di Armitage: quell’uomo aveva una grande statura morale e meritava tutto il suo rispetto.
Quel pomeriggio Demelza trovò dunque sullo scrittoio in camera sua, in bella vista, una lettera inaspettata, che lesse avidamente con il cuore gonfio di emozione.
“Cara Demelza,
quando leggerai questa lettera sarò in viaggio verso Nampara. Ritorno a casa, alla mia miniera, alle mie terre, alla mia famiglia. Mi farò carico dei miei doveri di padre e di marito, ai quali mi hai richiamato la scorsa notte. Faccio ciò che è giusto e corretto, sebbene non corrisponda ai desideri più profondi del mio cuore. Spero, in tal modo, di essere nuovamente meritevole della tua stima.
Sappi che hai avuto un ruolo determinante in questa scelta; in fondo sei sempre stata la più ragionevole di noi due. Non posso accontentarti, però, in tutto quello che mi hai chiesto l’altra sera: non posso essere lo sposo affettuoso e sincero che Elizabeth vorrebbe accanto, e non puoi chiedermi neppure di dimenticarti, perché sarebbe più semplice strapparmi il cuore dal petto.
Abbi cura di te e di Julia: so che Hugh vi proteggerà più e meglio di come potrei fare io. Nel frattempo, cercherò di impegnarmi in qualcosa che renda più sopportabile la tua assenza, augurandomi che questo tra noi sia solo un arrivederci e non un definitivo addio.
Tuo, Ross”.

 

 

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Capitolo 25
*** cap. 25 ***


~~Ross giunse in Cornovaglia in piena notte. Dato che non vi era stato tempo per un preavviso e non c’era nessuno che potesse accompagnarlo fino a Nampara con l’ingombrante bagaglio che aveva al seguito, decise di fermarsi per una notte in una locanda a Truro; ne avrebbe approfittato, il giorno successivo, per parlare con Pascoe del progetto di acquisto della Wheal Leisure e della Grambler. Il suo banchiere, molto sorpreso ma anche sollevato nel rivederlo sul suolo natio, gli confermò quanto già riferitogli da Dwight: le sue finanze gli consentivano senz’altro un simile investimento, tenendo conto dei risparmi accumulati nei mesi precedenti e delle rendite mensili che derivavano dagli affitti e dai terreni, oltre che dai notevoli introiti della Wheal Grace.
La notizia del suo ritorno – evidentemente qualcuno lo aveva riconosciuto in giro per Truro quella mattina e non aveva perso tempo a spargere la voce a Sawle – arrivò a Nampara prima di lui, cosicchè, quando mise piede nel cortile di casa sua, trovò un piccolo corteo ad attenderlo: i Paynter con in braccio il piccolo Valentine, i fratelli Daniels, Jim Carter e le sue sorelle, Zacky Martin, sua moglie e sua figlia Jinny, il capitano Henshawe, John Treneglos, in una parola gli amici di sempre.
Elizabeth lo attendeva di sopra, in camera da letto. Non intendeva dargli la soddisfazione di un benvenuto in grande stile in mezzo a tutti quei bifolchi, John escluso naturalmente. Trovò la scusa di non aver creduto a quelle voci che lo davano di ritorno così all’improvviso, e trattò il marito con un certo distacco; del resto neppure Ross aveva voglia di smancerie. Le chiese come si sentisse, ed Elizabeth rispose che stava bene. In un certo senso era la verità, perché a differenza della prima gravidanza, in cui si riguardava in una maniera esagerata, tendeva ora ad affaticarsi volutamente, attraverso lunghe passeggiate e frequenti viaggi in carrozza, sperando che quegli eccessi agevolassero il parto prematuro senza bisogno di ricorrere all’intruglio di Chester. Ciò nonostante, le energie la accompagnavano ed il suo aspetto era fresco e gradevole come quello di un tempo. Ross spiegò brevemente alla moglie i suoi progetti futuri e le comunicò che aveva deciso di essere più presente in famiglia, ora che essa si stava per allargare, specificando però che nulla cambiava nei loro rapporti: avrebbe amato il figlio che stava per nascere, il bambino e Valentine sarebbero stati sempre la sua priorità, ma di essere una coppia loro due… non se ne parlava. A dimostrazione della sua ferma volontà in tal senso, si fece spostare nella camera che un tempo era stata di zia Agatha, ed alle lamentele di Elizabeth per i commenti che la servitù avrebbe fatto in proposito replicò che la gamba gli doleva ancora ed evitare di dover percorrere la scala più volte al giorno era preferibile, e che comunque delle reazioni della gente di casa se ne infischiava.
Prima che il sole tramontasse Ross fece la sua apparizione alla Grace. Fu salutato come un Messia redivivo, ricevette centinaia di strette di mano dagli operai e dalle loro mogli, mentre i bambini gli saltavano intorno festosi. Ross non perse tempo ad infilarsi nei cunicoli per saggiare di persona lo stato degli scavi. Pensò che era stato davvero un pazzo ad abbandonare quella vita, per cosa poi? Rischiare la pelle in terra straniera, abbandonando la sua gente… per fortuna però era rinsavito. Esaminò i campioni di rame rosso come un bambino che abbia scoperto un tesoro: non aveva mai visto nulla di simile, eppure bazzicava tra le miniere da quando era poco più grandicello di Valentine. Neppure suo padre Joshua aveva mai estratto materiale di simile purezza: la sua caparbietà nel voler riaprire la Wheal Grace aveva dato frutti insperati.
Aveva chiesto a Prudie di accompagnarlo alla miniera portando anche Valentine. Il piccolo da principio aveva avuto qualche difficoltà nel riconoscerlo, ma poi Ross lo aveva abbracciato forte sussurrandogli che aveva sentito molto la sua mancanza e non lo avrebbe lasciato mai più da solo, ed il bambino, rassicurato, gli aveva stretto le braccia al collo chiamandolo papà. Ross aveva deciso che avrebbe recuperato il tempo perduto e che Valentine avrebbe dovuto conoscere il mondo delle miniere fin dalla tenera età, proprio come Joshua aveva fatto con lui.
Il giorno successivo partì a capofitto con il progetto del riscatto delle miniere. Con Matthew Sanson l’impresa fu semplice: quell’uomo aveva vinto la Grambler al gioco e non aveva mai davvero avuto interesse per il mondo delle miniere. In quei due anni aveva capito che se avesse voluto far fruttare la miniera avrebbe dovuto investirci denaro, ma poiché non aveva intenzione di spendere i suoi preziosi capitali in un’attività di cui non gli importava nulla aveva badato unicamente a contenere le spese. L’offerta di Ross gli consentiva quindi un immediato guadagno, liberandosi da una serie di grattacapi. Da buon affarista provò a gonfiare il prezzo, ma Ross, numeri alla mano, gli dimostrò quale fosse il reale valore di mercato della Grambler ed alla fine il capitano riuscì a spuntarla ad un prezzo onesto.  Due giorni dopo, formalizzata la vendita, Ross aveva in mano l’atto di proprietà della Grambler. Richiamò come capitano il sig. Foster, uomo esperto e già di fiducia dello zio Charles, e gli affiancò Zachy Martin per istruire le squadre di minatori. Prima però volle che tutti i lavoranti si sottoponessero ad una visita di idoneità con il dottor Enys; fu facile così distinguere chi aveva i polmoni sani ed era adatto a svolgere i lavori in profondità e chi invece poteva soltanto lavorare in superficie. Un mese dopo l’acquisto, Ross con la Grambler dava lavoro ad oltre 50 famiglie.
Per la Leisure la faccenda fu più complicata. Ross chiese un appuntamento a George Warleggan, cui apparteneva ora quasi la totalità delle quote, ma questi, ricevutolo presso la sua banca a Truro, rispose che non intendeva vendere; in alternativa, disse che era disposto a permutare le sue quote in cambio della intera proprietà della Wheal Grace. Ross gli rispose che era un accordo folle dal punto di vista commerciale, perché l’intera Leisure non valeva nemmeno un quinto della Grace; Warleggan replicò che la Leisure aveva per lui un valore strategico per diversificare i suoi investimenti, che non voleva essere tagliato fuori dal settore minerario e riteneva non conveniente che in unico uomo fosse concentrata la proprietà delle miniere più importanti della contea; mentì dicendo che c’erano ottime prospettive nelle estrazioni alla Wheal Leisure, essendo stato scoperto un nuovo filone di stagno, aggiunse che quindi la cifra che Ross offriva era scandalosamente bassa e mai l’avrebbe accettata.
Ross comprese che George sarebbe stato un osso duro, e per il momento decise di soprassedere. In fondo la Grambler meritava la massima attenzione ed era anche più prudente differire nel tempo l’acquisto dell’altra miniera. Non voleva infatti creare aspettative troppo grandi nella popolazione senza avere qualche informazione in più sul reale andamento delle estrazioni alla Leisure.
Warleggan intanto non perse tempo a volgere la situazione a suo vantaggio. Il giorno dopo si recò a casa dei Treneglos e chiese a Ruth di procurargli un incontro segreto con Elizabeth. La donna non potè sottrarsi – nella zona tra Sawle e Truro tutti, bene o male, erano indebitati con la banca Warleggan, o comunque non potevano inimicarsi apertamente uno dei magistrati della contea – e così dovette ingannare l’amica, ben sapendo che ella non aveva più piacere nel frequentare George, pur ignara del reale motivo per cui i loro rapporti si fossero diradati.  Ruth dunque la invitò a bere un tè a casa sua, senza specificare che anche il banchiere sarebbe stato presente.
Appena fu a tu per tu con Elizabeth  George le riferì del colloquio avuto con Ross e del suo obiettivo di acquistare la Leisure; le disse che Ross era un uomo testardo e mai avrebbe demorso, tuttavia egli non era disposto a vendere al prezzo che Ross offriva e soprattutto non voleva accontentarlo facilmente; disse che se Ross avesse insistito, come prevedibile, sarebbe stato costretto a chiedergli di rientrare prima di tutte le spese che aveva sostenuto a causa di Elizabeth in quegli anni: il prestito iniziale per scacciare Demelza, le cure della signora Chynoweth, la ristrutturazione di Cusgarne. George ebbe l’ardire di mostrare addirittura i conti che aveva tenuto, l’elenco dettagliato di tutti gli esborsi e delle date in cui ciò era avvenuto: o Elizabeth pensava che avrebbe ripagato quei debiti andando a letto una volta sola con lui?
Elizabeth, furente, gli ricordò che era stato eletto magistrato grazie ai suoi buoni uffici; George prontamente le rispose che nell’elenco delle spese da rimborsare non aveva inserito i gioielli ed i vestiti che le aveva più volte donato e neppure i balocchi per Valentine: quello era stato il suo modo di sdebitarsi per l’interessamento alla sua causa, non tutto il resto; che, ora che da parte della bella Chynoweth vi era ostilità nei suoi confronti, egli non intendeva rinunciare alla restituzione di quella notevole quantità di danaro.
Elizabeth lo sfidò dicendo che egli non avrebbe avuto nessuna convenienza a raccontare a Ross quali erano stati i loro trascorsi, ma George rispose che del loro rapporto personale avrebbe taciuto, giustificando i prestiti solo con la sua attività di banchiere. Vuotando il sacco lui non aveva nulla da perdere, Ross non avrebbe mai potuto biasimarlo per aver svolto il suo lavoro; era lei l’unica a rischiare, perché si era esposta senza consultare suo marito; anzi, George era al sicuro da ogni sospetto e si era dimostrato addirittura leale perché aveva atteso, per chiedere il rimborso dei prestiti, che le condizioni finanziarie di Poldark fossero tornate solide.
Alla fine Elizabeth, esausta, chiese che cosa George pretendesse in cambio del silenzio con Ross e della definitiva tacitazione dei debiti.
“La verità sul bambino – rispose il biondo banchiere – voglio sapere se è davvero figlio mio, perché non credo affatto a quello che mi hai raccontato finora”.
Elizabeth non aveva altra strada che continuare a sostenere la sua versione. Nessuno, nemmeno Warleggan doveva conoscere la verità.
“Molto bene – disse l’uomo dopo aver udito per l’ennesima volta che il bambino era di Ross - quindi, se è come affermi, dovresti partorire verso metà luglio, giusto?”
“E’ così infatti”-  gli confermò Elizabeth.
“A volte, però, le gravidanze durano meno di nove mesi – insinuò il banchiere con fare sinistro – neppure se il bambino nascesse a luglio potrei escludere con certezza di non esserne il padre… e poi, conoscendoti, sono convinto che avrai già preso le tue precauzioni per far sì che il parto avvenga non oltre luglio.”
Per un attimo calò il silenzio. Elizabeth cercò di non darlo a vedere, ma era molto turbata e non sapeva come replicare. George proseguì.
“Non hai pensato che, nonostante tutto, potresti mettere al mondo un bambino identico a me? Valentine è la copia sputata di Ross; e se invece questo bambino nascesse biondo, con gli occhi verdi, come lo giustificheresti con tuo marito? Non ti rendi conto di quanto sia stupido da parte tua negare la realtà? Partorendo prima del tempo metteresti a repentaglio la salute tua e di tuo figlio, ma non saresti immune dal rischio che Ross scopra la tua infedeltà! Ed io ti ho detto e ripetuto che non tollero che un figlio mio venga cresciuto da quel bellimbusto. Devi dirmi la verità, Elizabeth, perché io sono l’unico che possa aiutarti in questo frangente!”
Elizabeth aveva sussultato alle parole di George. Era vero, non aveva considerato la faccenda della possibile somiglianza del bambino al suo vero padre; tuttavia, non poteva confessarlo a quel demonio. Ripeté che vi era un’unica verità e che George si ostinava a non ascoltarla.
George allora replicò che non credeva che Elizabeth potesse essere talmente irragionevole. Aggiunse che era fin troppo comodo per lei continuare ad essere la moglie integerrima di Ross Poldark tenendolo all’oscuro della possibile paternità del bambino e dei debiti contratti a sua insaputa; lei non era disposta a rinunciare a nulla mentre a lui, George, non rimaneva che un pugno di mosche in mano.
“Non posso tacere sia sui debiti che sul bambino – disse – e se io devo convivere con questo atroce dubbio per colpa della tua reticenza, voglio che ne sopporti il peso anche Ross. Gli dirò tutto; può anche sfidarmi a duello, non mi importa; l’importante è che tu paghi per averci ingannati ed usati entrambi”.
Elizabeth si vide con le spalle al muro. Non poteva sapere quale fosse la soluzione di Warleggan al problema del parto, ma visto che Ross era ormai indifferente alle sue moine, mentre qualche altra speranza poteva averla con George, cercò di lusingarlo.
Gli promise che, una volta nato il bambino, avrebbe ripreso a frequentarlo e gli fece capire che era disponibile ad essere la sua amante, pur dovendo essere molto più prudenti rispetto al passato. George non poteva rovinarla, in virtù di ciò che c’era stato e poteva ancora esserci tra di loro.
George scosse la testa: quelle rassicurazioni verbali non gli bastavano, gli serviva qualcosa di concreto. Avrebbe taciuto ad una condizione: che Elizabeth gli consegnasse il bambino che stava per nascere.
All’incredulità della donna George rispose illustrandole un piano su cui probabilmente meditava da mesi.
“A fine giugno ti trasferirai a Cusgarne, con la scusa di non allontanarti da tua madre che sta peggiorando. Sarai assistita da medici di mia fiducia provenienti da Londra, che ti vigileranno costantemente ed impediranno che tu commetta qualche sciocchezza. Se entro luglio avrai partorito per le vie naturali un bambino forte e sano, vorrà dire che era vero che il figlio era di tuo marito, e tornerai a casa con la promessa del mio silenzio eterno; ma se ciò non dovesse accadere… si dirà che il bambino è nato, ma non è sopravvissuto al parto; che, non potendo essere sepolto in terra consacrata perché non battezzato, il feto è stato seppellito in un angolo del giardino di Cusgarne, con una croce sopra; i medici diranno che hai subito una forte crisi di nervi per cui non puoi vedere nessuno; quand’anche Ross o qualcun altro verranno a trovarti, ti troveranno distesa nel letto, in penombra, coperta dalle lenzuola e sotto sedativi, incapace di articolare parola. Nessuno si accorgerà che sei ancora incinta. I medici diranno che ti occorre almeno un mese di assoluto riposo. Nel corso di quel mese, a tempo debito darai alla luce mio figlio; dopo che il bambino sarà nato me lo consegnerai. Lo porterò da certe suore cattoliche a Londra, dove sarà cresciuto ed allevato con amore. Finanzierò l’istituto affinché riceva il miglior trattamento, e quando sarà abbastanza grande lo adotterò e diverrà erede della mia fortuna”.
“Ed io invece? Dovrei rinunciare a mio figlio senza battere ciglio?”- replicò Elizabeth indignata.
George sogghignò. “Purtroppo non sei in grado di dettare tu le condizioni. Le alternative sono queste, prendere o lasciare. Il bambino potrai vederlo insieme alle dame di carità, facendo visita all’orfanotrofio di tanto in tanto. Sempre che tu non preferisca lasciare un marito che non ti ama e vivere con me e nostro figlio, anche lontano dalla Cornovaglia se vuoi. E poi non fissarmi in quel modo, non hai nulla da temere! Hai giurato e spergiurato che il figlio è di Poldark, dunque non dovresti correre alcun pericolo che il bambino sia separato da te e finisca in un orfanotrofio!”.
George sapeva benissimo che quella del disonore di fronte al mondo era l’unica strada che Elizabeth non avrebbe mai percorso; non si meravigliò pertanto del fatto che la donna aderisse alla sua soluzione del parto a Cusgarne e che, con spavalderia, gli confermasse che non aveva nulla da temere e che i fatti le avrebbero dato ragione, mentre lui si sarebbe pentito del suo orribile comportamento.
Rimasta sola però, Elizabeth scoppiò in lacrime. Un medico di campagna come Choake poteva essere ingannato facilmente, ma i più istruiti medici della capitale avrebbero capito immediatamente che la sua gravidanza non aveva termine a metà luglio. Non la atterriva tanto raggirare nuovamente Ross e fingere che il bambino fosse morto, ma l’atroce progetto di George di sottrarre un figlio a sua madre e farlo crescere come un trovatello. Come avrebbe potuto convivere tutta la vita con quel terribile segreto? Magari George si sarebbe trovato moglie e dopo cinque o sei anni avrebbe portato l’orfanello a vivere a casa sua; lei sarebbe stata costretta ad incontrarlo per strada senza potergli rivelare di essere la sua vera madre…..
Meditò e meditò sulla questione; alla fine pensò che l’unica via di uscita fosse anticipare il parto rispetto ai suoi progetti iniziali. Il 15 giugno cominciò ad assumere il farmaco di Chester, 15 gocce al giorno, di nascosto. Il 29 giugno al mattino Elizabeth si svegliò in un lago di sangue. Jud corse a chiamare il dottor Choake a casa sua, ma ovviamente il primo ad arrivare fu Dwight, allertato da Ross. Il dottor Enys la visitò, disse che bisognava praticare un taglio cesareo e che non c’era tempo da perdere. Era sconcertato perché non comprendeva cosa avesse potuto procurare quella emorragia improvvisa all’ottavo mese di gravidanza, senza alcuna contrazione uterina e senza alcuna avvisaglia nei giorni precedenti, a quanto riferiva Elizabeth. Quest’ultima era molto spaventata, ma si guardò bene dal rivelare cosa avesse provocato l’emorragia. Dwight le fece bere parecchio whisky e le somministrò degli oppiacei, ma ciò non le poté risparmiare del tutto il dolore lancinante nel momento in cui le venne tagliato il ventre. Rinvenne solo qualche ora dopo, e la prima cosa che vide fu la parrucca grigia del dottor Choake, che sedeva accanto al suo letto. La ferita verticale dall’ombelico al pube le doleva molto, tanto che chiese le venissero dati ancora altri oppiacei.
“Dov’è il bambino?” – domandò Elizabeth guardandosi intorno.
Choake la scrutò attraverso gli occhiali. Tacque per un tempo che a Elizabeth parve infinito. “Era una femmina; è nata morta, purtroppo. Mi dispiace tanto.” – disse infine.
“Non ci credo, fatemela vedere!” – urlò Elizabeth agitandosi.
“Calmatevi, signora – le disse Choake ponendole paternamente le mani sulle spalle – non c’è niente da vedere, la creatura è stata già seppellita in un angolo del giardino, se ne è occupato il signor Paynter. Era già morta quando l’abbiamo estratta, non c’è stato nulla da fare. Se vi può in qualche modo consolare, io ed il dottor Enys dubitiamo che la creatura, se anche fosse stata viva, avrebbe mai potuto sopravvivere fuori dal grembo materno… ecco, vedete… il collega ed io abbiamo il sospetto che il parto sia avvenuto con largo anticipo, per motivi che non riusciamo ancora a spiegarci!”
Elizabeth fissò il medico con gli occhi sbarrati. Sua figlia era morta, nulla era andato secondo i suoi piani e probabilmente avrebbe dovuto dare varie spiegazioni a molti. Si lasciò cadere sui cuscini con il volto rigato di lacrime, incapace di emettere alcun suono e desiderosa di sprofondare anch’ella sotto terra, come la sua bambina.

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Capitolo 26
*** cap. 26 ***


~~Il sole era da poco calato sull’orizzonte e, in lontananza, spandeva ancora nel cielo i suoi bagliori rosati. Ross era seduto per terra nei pressi del luogo in cui Jud, ore prima, aveva pietosamente seppellito la bambina di Elizabeth. Il servo aveva ricoperto la buca con delle pietre per evitare che animali selvatici facessero scempio del corpicino, poi vi aveva gettato sopra un cumulo di terra su cui aveva infilato due rametti di legno intrecciati a mo’ di croce. Prudie aveva osservato il lavoro a distanza, soffiandosi di tanto in tanto il naso per occultare qualche lacrima, e, a differenza del solito, non aveva trovato nessun motivo per criticare l’opera del marito. Alla fine aveva posato sulla tomba un mazzetto di margherite di campo, si era fatta il segno della croce ed era tornata con la sua andatura barcollante in cucina, subito seguita da Jud.
Era stata una giornata talmente frenetica che quello era il primo istante in cui Ross si fermava a meditare sull’accaduto, ed i pensieri che gli affollavano la mente non erano certo dei più piacevoli.
Spesso, nel corso dei mesi precedenti, aveva maledetto la notte trascorsa con Elizabeth e si era trovato più volte a desiderare che quel figlio, per un motivo o per un altro, non vedesse la luce. Ora però che la creatura giaceva senza vita nella nuda terra Ross si vergognava di averlo pensato e si sentiva in colpa come se fosse responsabile in prima persona della morte della bambina. In fondo la sua lussuria era stata la causa di quella tragedia e delle sofferenze patite da Elizabeth, che non era ancora fuori pericolo, come Dwight gli aveva fatto intuire.
L’urgenza di provvedere alle cure della partoriente non aveva dato modo a Ross di discutere molto con i medici delle cause del parto anticipato e della morte del feto; né egli aveva ritenuto di formulare specifiche domande in proposito, trattandosi di eventi piuttosto frequenti all’epoca. Aveva accettato il fatto che la bambina fosse nata morta come un evento ineluttabile, comune purtroppo a tante famiglie, ricche o povere che fossero, e si era preoccupato più che altro che ad Elizabeth venisse fornita l’assistenza necessaria.
Choake era andato via da pochissimo, adducendo che la moglie aveva organizzato per quella sera una cena con numerosi invitati illustri, cui sarebbe stato disdicevole non prendere parte; Dwight si era offerto dunque di trascorrere la notte accanto ad Elizabeth al posto del più anziano collega. Ross non aveva ancora messo piede nella camera di sua moglie e stava cercando di rimandare il più possibile quel momento. Immaginava che per Elizabeth dovesse essere ancora più doloroso che per lui aver perso la bambina; nonostante tutto, egli non riusciva a piangere, perché era difficile figurarsi la bambina morta come una figlia e provare affetto per un esserino  visto per un solo istante, avvolto in un telo bianco tra le braccia di Dwight; per quanto si sforzasse, non riusciva a provare affetto per quella sfortunata creatura, ma solo pietà.
Ripensò con un brivido a Julia appena nata, a quanto aveva rischiato Demelza in quel frangente, sola con lui in una miniera durante il travaglio. L’emozione provata tenendo Julia neonata in braccio si sovrapponeva all’assenza di sentimenti per la figlia partorita da Elizabeth e ciò tormentava ulteriormente Ross, che si domandava che razza di uomo fosse diventato, ossessionato da tutto ciò che riguardava Demelza ma freddo e distaccato nei riguardi dei membri della sua stessa famiglia.
A riscuoterlo dai suoi non lieti pensieri arrivò Prudie, che era un tipo pratico e non aveva dimenticato che la vita doveva andare avanti, dopo tutto. Piantandosi davanti a lui con le mani sui fianchi gli disse: “Padron Ross, è quasi ora di cena; di solito ricevo indicazioni dalla padrona, ma stasera non è il caso di disturbarla…cosa devo preparare per Valentine?”
Ross pensò che era stato via così a lungo che non sapeva neppure quali fossero i cibi che suo figlio preferiva o detestava. “Decidi tu, Prudie… qualcosa che sia di suo gradimento. Non è il caso di fargli fare le bizze per mangiare, dopo una giornata come questa.” – le rispose.
“Ho del brodo di gallina – borbottò la donna – potrei fargli una minestra; e per voi invece pane d’orzo e coniglio in umido, va bene?”.
Ross le fece un cenno di assenso con la testa; la cena era l’ultimo dei suoi problemi. Restò lì immobile finchè non imbrunì, e poi ritornò stancamente in casa.
Nel frattempo, al piano superiore Dwight assisteva Elizabeth, che aveva ripreso a lamentarsi per i dolori. Le era salita la febbre; il medico le aveva appoggiato dei panni bagnati sulla fronte per fargliela calare e di tanto in tanto li immergeva nell’acqua del catino, li strizzava e tornava a posizionarli sul viso della paziente. Non era la prima volta che aveva dovuto procedere ad un taglio cesareo e non era neppure la prima volta che un neonato era nato morto; tuttavia c’era qualcosa di strano in quella vicenda che non convinceva né lui né Choake.
Dwight Enys era di indole timida e pacata, ma quando si trattava della sua professione mostrava grande grinta e non esitava ad affrontare argomenti anche sgradevoli, pur di trovare la cura migliore. Elizabeth non si era ancora ripresa del tutto, era sofferente e provata, ma era necessario quanto prima intavolare con lei un discorso serio sull’accaduto.
Dapprima Dwight, scusandosi per causarle imbarazzo, le rappresentò l’esigenza di controllare le sue perdite, in quanto bisognava essere certi che l’emorragia si fosse fermata; anche la ferita doveva essere costantemente monitorata, per scongiurare il rischio di setticemia. Elizabeth non aveva pronunciato una parola, ma aveva consentito al giovane medico di ispezionare ciò che doveva.
Dwight si chiese quale tempesta interiore si celasse dietro l’atteggiamento remissivo della donna. Il dubbio che il decorso della gravidanza non fosse stato del tutto naturale non lo abbandonava e se Elizabeth aveva assunto qualche preparato per abortire o per anticipare la data del parto gli effetti potevano manifestarsi ancora nei giorni successivi. Si fece coraggio e pregò la moglie di Ross di dirgli la verità. Specificò che, pur essendo Ross un suo carissimo amico, non gli avrebbe rivelato nulla di quanto fosse stato detto in quella stanza: “Da oltre venti secoli noi medici siamo vincolati dal giuramento di Ippocrate: non è possibile comunicare ad alcuno i segreti appresi durante l’esercizio della nostra professione. Ma se, nonostante tutto, non vi fidate delle mie parole, parlatene con il dottor Choake con cui siete più in confidenza; ma, per l’amor del cielo, non tacete! Vostra figlia è morta senza che potessimo fare nulla per lei, ma voi potete ancora essere salvata!”
Nonostante le insistenze del medico Elizabeth rimase immobile e tenne gli occhi chiusi, come se non avesse udito le sue parole; nell’impossibilità di instaurare un dialogo, a Dwight non restò che desistere e vegliare l’ammalata per la notte, sperando che non sorgessero complicazioni.
Intanto, tra gli ospiti della cena a casa Choake vi era anche Cary Warleggan, e la sfortunata sorte della signora Poldark fu uno degli argomenti di conversazione della serata. Fu facile quindi per il nipote George apprendere in anteprima quali tragici eventi si erano verificati a Nampara. Il giorno successivo il banchiere piombò senza preavviso a casa del medico e lo tempestò di domande riguardanti Elizabeth e la bambina, suscitando grande sconcerto nel dottore. Che cosa importava a Warleggan di che colore avesse i capelli la neonata, l’epoca di gestazione della signora Poldark e le ragioni per cui il parto era avvenuto in anticipo? George gli aveva chiesto se secondo lui, che aveva esaminato il corpo della bambina, la gravidanza poteva avere avuto inizio a novembre anziché ad ottobre. Choake gli aveva riso in faccia: il capitano Poldark a novembre era già partito per il Portogallo! George però non rideva: aveva alzato un sopracciglio e lo aveva fissato con uno sguardo eloquente, così Choake all’improvviso aveva compreso le ragioni di tutto quell’interesse del banchiere. Era sbalordito, perché mai avrebbe dubitato dell’integrità della signora Poldark; tuttavia la confessione di Warleggan – accompagnata però dalla minaccia a non rivelare ad alcuno il contenuto di quella conversazione – consentiva di spiegare razionalmente quanto era successo il giorno prima. Evidentemente la signora Elizabeth aveva assunto qualche intruglio per accelerare le doglie un mese abbondante prima della data presunta del parto, ma qualcosa era andato storto ed aveva così causato la morte del feto, che doveva essere figlio di George Warleggan e non di Ross Poldark. Ah, se avesse potuto raccontare tutto a sua moglie Polly! Uno scandalo di simile portata sarebbe stato in un attimo sulla bocca di tutti.
Ancora interdetto, Choake confermò che era possibile che il bambino fosse nato prima del tempo, perché non aveva affatto l’aspetto di un neonato a termine: non aveva capelli, non aveva unghie ed era di dimensioni molto ridotte. George lo incalzò chiedendo se era possibile che il parto improvviso fosse stato determinato da cause non naturali. Choake si limitò a rispondere che lui ed Enys non avevano conferito con la signora Poldark e non potevano sapere se avesse assunto qualche preparato, ma quel che era certo è che Elizabeth non aveva le doglie nel momento in cui si era sottoposta alle loro cure e gli aborti spontanei a quello stato di gestazione erano molto rari.
George passeggiava nervosamente per la stanza.  Choake gli chiese che cosa intendesse fare: aveva avuto la conferma dei suoi sospetti di paternità, ma oramai la neonata era morta e la signora Elizabeth rischiava di fare la stessa fine, che senso aveva rivangare quegli eventi dolorosi? Gli suggerì di dimenticare, per il bene di tutti; cosa che lui stesso avrebbe fatto, non parlando ad alcuno di quanto confidatogli. L’unica sua premura, disse, sarebbe stata quella di ritornare a Nampara per convincere Elizabeth a rivelargli quale strano medicamento avesse assunto per accelerare le doglie, per fornirle i dovuti rimedi.
George, però, non era affatto dello stesso parere di Choake; quella donna bugiarda e manipolatrice lo aveva ingannato, aveva causato la morte di sua figlia nonostante l’aiuto che le aveva offerto per tirarsi fuori dall’impaccio: non avrebbe trovato pace fino a che non si fosse vendicato. Disse a Choake che avrebbe atteso che la donna si riprendesse, poi l’avrebbe affrontata; lei ed anche suo marito. Choake lo pregò di ponderare bene la decisione, per non rovinare due famiglie: quella di Ross e la sua, la cui reputazione di magistrato sarebbe stata macchiata inesorabilmente se fosse stato reso noto che aveva sedotto una donna sposata. George però non sembrava sentire ragioni e lasciò la casa del medico in preda ad una rabbia cieca.
Nei giorni successivi sia Dwight che Choake tentarono invano di farsi dire da Elizabeth che prodotto aveva assunto; la paziente però fingeva di non comprendere di cosa stessero parlando e negava qualsiasi accusa. Alla fine i due medici dovettero lasciar perdere, anche considerando che le condizioni della paziente si erano stabilizzate e non vi erano nel suo organismo segni allarmanti che facessero pensare ad un andamento non naturale del dopo parto.
Ignaro di quanto George tramava alle sue spalle, Ross aveva visitato Elizabeth ed era stato sollevato nel sapere che era ormai fuori pericolo. Le aveva parlato pochissimo, intuendo la sua scarsa voglia di conversare del doloroso accaduto, e le aveva manifestato la sua premura più che altro assicurandole assistenza materiale da parte di Prudie. Per cercare di tirarla su le aveva parlato di Valentine e l’aveva spronata a rimettersi in forze perché il bambino voleva vederla. Cinque giorni dopo il tragico parto Ross glielo aveva portato in stanza ed era stato molto commovente vedere madre e bambino abbracciati sul letto. Dwight aveva detto che tempo una settimana Elizabeth avrebbe potuto alzarsi, e così fu: in breve Elizabeth si levò dal letto e cominciò a stare seduta in poltrona. Aveva ancora due cerchi neri intorno agli occhi ed un eccessivo pallore sul volto, ma aveva ripreso ad alimentarsi a sufficienza e diceva di sentirsi piuttosto in forze. Parlava molto poco, limitandosi più che altro a rispondere alle altrui domande sul suo stato di salute. Della bambina nessuno osava parlare. Elizabeth accettava di trascorrere del tempo con Valentine ma tendeva ad allontanarlo presto, dicendo che il bambino la stancava. Rifiutava di ricevere visite dall’esterno ed aveva chiesto di non far trapelare notizie, se non molto generiche, sul suo stato di salute.
Ross la aveva assecondata, ritenendo che quei comportamenti fossero normali conseguenze di quanto aveva patito. Lo stesso Dwight gli aveva confermato che il desiderio di solitudine era necessario per elaborare il lutto dopo un evento così grave, e che la pazienza era la cura migliore per ritrovare la Elizabeth di un tempo.
Un giorno Ross tornò a casa dalla miniera prima del tempo, perché era troppo caldo per lavorare ed aveva dato il pomeriggio libero a tutti. Qualcuno ne aveva approfittato per andare a fare un bagno in mare; era tanto caldo che Valentine si trovava in cortile immerso in un catino pieno d’acqua e giocava a spruzzarsi con le sorelle di Jim Carter, tre ragazzine fra i nove e i tredici anni, sotto l’occhio vigile di Prudie. Mentre Jud riportava Seamus nella stalla, la donna andò incontro a Ross sotto il portico e gli disse che aveva bisogno di parlargli a proposito della padrona.
“Non sta bene?” – chiese il capitano allarmato.
“No, credo di no…. Cioè, fisicamente sta bene, ma si è comportata in modo alquanto strano oggi …. Ah, Giuda, non so come spiegarvi, andate a controllare voi stesso!” – aveva tagliato corto la domestica.
Ross salì le scale che conducevano alla camera da letto di Elizabeth e la trovò seduta in poltrona davanti alla finestra. Aveva indossato un grazioso abito di lino azzurro, si era addirittura data del belletto, perché aveva le guance più colorite del solito, ritrovando il gradevole aspetto di qualche mese prima. Teneva tra le braccia un fagotto, una sorta di cuscino avvolto in un lenzuolo ricamato, che le ricadeva sulle ginocchia.
“Ross, mio caro” – gli disse vedendolo entrare.
“Come stai?” – le domandò il marito.
“Molto bene” – fu la secca risposta.
Avvicinandosi a sua moglie, Ross notò come unico particolare fuori posto un candido seno che sbucava fuori dal corsetto, che non aveva potuto notare prima in quanto la visuale era coperta dal cuscino. Gli parve molto strano, ed azzardò una domanda in proposito.
“Che domanda sciocca mi fai, Ross! Sto allattando Ursula, non lo vedi?”- gli rispose Elizabeth.
Ross fissò l’involto che Elizabeth teneva tra le braccia, poggiato sull’avambraccio, proprio come un bambino appena nato. “Ursula?” – riuscì solo a dire.
“Ursula, certo, nostra figlia! Spero che il nome che ho scelto non ti dispiaccia, era quello di mia nonna materna, cui ero molto affezionata. Ah, bisognerà sentire il reverendo Odgers per organizzare il battesimo. Puoi occupartene domani stesso, mio caro? Avrei pensato ai Treneglos come padrini. In fondo Ruth è la mia più cara amica, tua madre è morta e la mia è come se lo fosse, per cui non vedo chi altri potrebbe farlo!”
Elizabeth sembrava aver ritrovato di colpo la loquacità smarrita da quasi un mese.
Ross la fissava sbalordito. “Elizabeth… la bambina che hai partorito è….” – mormorò.
“Adorabile, assolutamente adorabile! Credo che somigli a me, e mi sembra anche giusto, visto che Valentine è identico a te. E quanta fretta ha di crescere, vista la foga con cui beve il suo latte questa piccolina!” Elizabeth continuava a vezzeggiare la bambina immaginaria; tutto ad un tratto rimise a posto il seno nel corsetto e propose a Ross di prenderla in braccio anche lui. L’uomo non sapeva cosa rispondere. Elizabeth aveva evidentemente perduto il senno; temeva tuttavia, non assecondandola e mettendola di fronte alla dura realtà per cui la neonata era morta, di scatenare una reazione ancora peggiore per il suo equilibrio psichico. Doveva consultarsi con Dwight al più presto su come comportarsi; nel frattempo, non trovò di meglio da fare che fingere a sua volta, prendendo in braccio l’involto come se fosse una bambina vera, mentre Elizabeth lo osservava, increspando le labbra in un sorriso soddisfatto.
 

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Capitolo 27
*** cap. 27 ***


Dwight Enys e il dottor Choake, interpellati sul caso della signora Poldark, manifestarono opinioni contrastanti sul da farsi. L’unico aspetto su cui concordavano era che la causa dei comportamenti di Elizabeth era psicologica e non derivava da qualche danno cerebrale subito durante il parto o per effetto dell’assunzione di qualche sostanza;  per il resto, uno, il più giovane, riteneva che con il tempo i disturbi potevano cessare, l’altro invece che erano ormai irreversibili. Anche per il trattamento della paziente i pareri differivano; Ross però decise di seguire i consigli di Dwight, che consistevano nell’affrontare con pazienza e dolcezza i disagi di Elizabeth e sperare che recuperasse la sanità mentale. Ella andava avvicinata gradualmente alla verità circa la morte della bambina e nel frattempo andava amorevolmente sostenuta. Ci sarebbe voluto comunque tempo, molto tempo, per ottenere qualche risultato; nel frattempo Ross pretese che Elizabeth non parlasse mai della bambina in presenza di Valentine (“per non farlo ingelosire”, questa era stata la giustificazione data a sua moglie) e che il bambino, per prudenza, non fosse mai lasciato da solo con la madre.
Nonostante Ross avesse chiesto a tutti il massimo riserbo sulle condizioni di Elizabeth, una sera in osteria Jud Paynter, complice qualche bicchiere di gin di troppo, si lasciò sfuggire che la signora Poldark era impazzita e credeva che sua figlia fosse viva; parole che furono prontamente intercettate da Tom Harris, lo scagnozzo di Warleggan, anche lui lì alla ricerca di qualche ora di svago in compagnia di amici.
Fu così che il banchiere venne informato della situazione.
“Non credo affatto alla subitanea pazzia di Elizabeth – fu il lapidario commento di George rivolto a suo zio Cary appena Harris li ebbe lasciati, ritornando alle sue mansioni – sarà l’ennesima trovata per cavarsi fuori d’impaccio! Recitare la parte della demente è l’unica soluzione per lei, al momento!”
Lo zio obiettò che, se era davvero una menzogna, non era una trovata molto furba da parte della donna, visto che rischiava di essere internata in un manicomio…
“Non è così, zio – lo smentì il nipote - Il nobile e magnanimo Ross Poldark non consentirà mai che la sua delicata e tenera sposa sia chiusa in un luogo simile…. Le garantirà assistenza continua e, semmai fosse proprio ingestibile, la terrà rinchiusa da qualche altra parte, che so, a Cusgarne magari… proprio il posto che Elizabeth preferisce in assoluto! Ti assicuro che fingersi pazza è la via d’uscita a tutti i problemi di quella donna. Chi avrà il coraggio di colpevolizzarla per l’accaduto, quando avrò raccontato tutto a Ross?”
George infatti non si era rassegnato e rimaneva dell’ idea che Ross dovesse essere messo al corrente di tutto ciò di cui era finora restato ignaro. A nulla valevano i tentativi di dissuasione da parte dello zio, che temeva ripercussioni di quella vicenda privata sugli affari di famiglia e sul buon nome che, faticosamente, due generazioni che discendevano da un umile fabbro avevano cercato di costruirsi nella società cornica.
Qualche giorno dopo George inviò Tom Harris alla Wheal Grace. Doveva riferire a Ross Poldark che il suo padrone intendeva incontrarlo per discutere della miniera Leisure “ammesso che vi interessi ancora”, queste erano state le parole con cui lo sgherro di Warleggan aveva concluso il suo discorso.
Ross in quel momento aveva effettivamente altri pensieri per la testa, che avevano messo in secondo piano le sue prospettive di espansione commerciale. Accettò comunque di prendere parte a quel colloquio, se non altro per la curiosità di sentire cosa George avesse da dirgli.
George aveva indicato Trenwith come luogo per l’incontro; l’ennesima provocazione nei confronti di chi a quella tenuta era particolarmente legato ed ora doveva entrare come ospite, per giunta non particolarmente gradito.
Ricevette Ross nello studio al pian terreno che un tempo era stato dello zio Charles. I ritratti degli avi Poldark che un tempo tappezzavano le pareti erano stati staccati ed ammassati in un angolo della stanza, rivelando dei riquadri più chiari sulla tappezzeria che nel complesso conferivano alla stanza un’impressione di incuria; George era stravaccato in poltrona e fumava voluttuosamente un sigaro, attendendo borioso il suo ospite.
“Perdona se non sono venuto ad accoglierti all’ingresso, ma ho pensato che conoscessi la strada” – gli disse con fare malevolo.
“La conosco bene, dato che questa casa è appartenuta alla mia famiglia per secoli – replicò Ross – ma non sono venuto per litigare su fatti sui quali siamo e saremo sempre in disaccordo; suppongo che tu mi abbia convocato per qualcosa di più interessante che rievocare il passato.”
“E’ così” – confermò il biondo banchiere. Si strinsero la mano guardandosi con diffidenza e si accomodarono sul sofà. Ross rifiutò il liquore che il padrone di casa gli offriva e questi ebbe modo di entrare subito in argomento.
“Mesi fa mi avevi offerto una cifra per acquistare le mie quote della Wheal Leisure ed io l’avevo reputata troppo bassa; ci ho ripensato, ed ora credo che potrebbe essere un importo accettabile. Questi – disse mostrandogli un plico – sono i documenti contabili della miniera dell’ultimo trimestre. Sono stati accumulati dei debiti ingenti, ed i ricavi non sono stati del tutto soddisfacenti. Esamina il tutto con tranquillità, non ho nulla da nascondere: è giusto che tu sia completamente conscio di ciò che stai acquistando”.
Ross sfogliò i documenti e gli sembrarono in ordine; la situazione rappresentata non era molto dissimile da quella che George gli aveva dipinto. Lo guardò di sottecchi, meravigliato, chiedendosi in quale momento sarebbe arrivata la stoccata che, in effetti, non tardò ad arrivare.
George precisò che era disposto alla cessione delle quote della Leisure al prezzo proposto da Ross mesi addietro, ma vi erano ulteriori questioni economiche da risolvere, senza le quali non era disposto a concludere l’affare della miniera. Tirò fuori dunque quei medesimi conteggi che aveva mostrato ad Elizabeth in precedenza e spiegò a Ross che da oltre due anni elargiva prestiti a sua moglie, con la promessa di futura restituzione; poiché però gli era giunta voce che Elizabeth aveva seri problemi di salute, aveva pensato che dovesse ora discuterne direttamente con suo marito.
Ross diede una rapida scorsa agli ulteriori documenti che Warleggan gli mostrava e da subito apparve molto stupito: che ragione c’era per Elizabeth di contrarre prestiti così ingenti? Per quale ragione aveva fatto ricorso al banchiere, senza dirgli nulla?
George ridacchiò. “Non vorrei mettere il dito nella piaga, Ross, ma credo che il tuo matrimonio non sia stato improntato sulla fiducia reciproca. La prima somma Elizabeth venne a chiedermela per allontanare da Nampara una servetta per cui tu avevi preso una sbandata, quella rossa di Illugan che poi ha sposato il tenente Armitage. Come puoi comprendere, Elizabeth mi venne a chiedere il denaro in via riservata, chiedendomi di mantenere la massima discrezione. Successivamente ebbe necessità di alcune somme per sue esigenze personali, dato che tu navigavi in pessime acque; poi intervenne la malattia di sua madre, ed Elizabeth era molto angosciata perché tu non avresti potuto pagare le cure, per la medesima ragione; mi offrii dunque io di aiutarla, pur di non vedere il suo viso angelico sfigurato dal dolore e dalle lacrime. In quel periodo Elizabeth si sentiva molto trascurata da te, nonostante Demelza Carne fosse sparita dalla circolazione; io e tua moglie ci vedevamo spesso, ed ella evidentemente trovava in me quell’attenzione e quella comprensione che da te non riceveva. Mi confidò le preoccupazioni per la decadenza della dimora avita, Cusgarne, e provvidi anche alle necessità più urgenti per il rifacimento del tetto e delle grondaie ed il restauro di alcuni soffitti, il tutto sempre a tua insaputa. Elizabeth mi diceva che non avresti mai approvato la nostra amicizia e che non dovevo accennarti a questi prestiti; sarebbe stato suo padre a restituirmi il denaro. Ma sai com’è, il signor Chynoweth non è mai stato un grande affarista e la disgrazia della moglie lo ha gettato nella disperazione più cupa: il pover’uomo mi ha fatto capire più volte che non può restituire se non una minima parte del prestito. Di conseguenza non rimani che tu per saldare il debito, mio caro. Ti accontenterò con la Leisure se tu mi restituisci quanto la mia banca ha anticipato per conto di Elizabeth”.
Ross non sapeva se essere più arrabbiato con se stesso, per avere avuto la verità a portata di mano e non essersi accorto di nulla, o con George per il modo in cui si burlava impietosamente di lui. Aveva avuto per bocca del banchiere la conferma che era stata Elizabeth ad ordire trame contro Demelza, facendo sì che abbandonasse Nampara, e con tutta probabilità c’era lei anche dietro le minacce avanzate da Tom Carne; in sintesi, se Demelza ora era sposata con Hugh bisognava ringraziare di tutto Elizabeth! E con che faccia tosta gli aveva detto che le cure della madre erano state pagate da una lontana parente! Al tempo stesso Ross pensò che Elizabeth non sarebbe stata talmente sconsiderata da contrarre prestiti ad oltranza sapendo che il marito, prima o poi, l’avrebbe scoperta; evidentemente anche Warleggan aveva giocato sporco, rassicurando la donna che non avrebbe mai chiesto indietro quelle somme. Se però le cose erano andate così voleva dire che la relazione fra di loro non era così innocente….
Con sdegno esplicitò il suo ragionamento a George, il quale sorrise, come se non attendesse altro.
“In effetti devo ammettere che per tua moglie ho avuto sempre un debole, Ross. E’ talmente affascinante ed elegante, una donna di classe, la dama perfetta che qualunque uomo vorrebbe al suo fianco, oserei dire. Ma posso assicurarti che il nostro legame si è sempre mantenuto nei limiti di un’affettuosa amicizia, almeno fino a quando…”
“Fino a quando cosa? Continua!” – gli intimò Poldark.
“Fino a quando tu non l’hai umiliata abbandonandola per trasferirti in Portogallo e le hai dato ad intendere che al tuo ritorno vi sareste separati. Avevo intuito da tempo che il vostro non fosse un matrimonio felice, ma fu solo in quel momento che Elizabeth mi confidò apertamente come l’avevi trattata a Londra e mi disse che non aveva più intenzione di nascondere la sua frequentazione con me, dato che non aveva nulla da rimproverarsi, a differenza tua. Da allora è stata più….disponibile nei miei confronti”.
“Vuoi dire che siete diventati amanti?” – sibilò Ross.
“No, non direi. Elizabeth si divertiva a flirtare con me; è una donna molto consapevole del suo fascino e adora essere ammirata, era facile stuzzicarla sotto questo aspetto, e forse contava sulle sue moine per tenermi sulle spine e richiedermi sempre altro denaro. Però, visto che ci tieni a saperlo, una volta è successo, l’ho avuta nel mio letto! È stato dopo una serata danzante qui a Trenwith, nel mese di novembre….”
“Brutto bastardo!” – ruggì Ross, senza dargli in tempo di concludere, afferrando George per il bavero e facendolo alzare in piedi, anzi sollevandolo quasi per aria, tanta era la sua veemenza.
“Lasciami andare e modera i toni, ti ricordo che sei in casa mia, Poldark! – sbottò l’altro, divincolandosi con uno strattone – Mi basta un attimo per chiamare Harris e farti cacciare fuori a pedate! Sono andato a letto con tua moglie, ma non mi sono certo approfittato di lei. È una donna adulta, era perfettamente consenziente; mi sono limitato ad accettare ciò che lei mi ha consentito di prendere. E non accetto lezioni di moralità proprio da te; anche tu hai tradito Elizabeth, e con una insulsa cameriera, per giunta!”
“Non le sono mai stato infedele, sono state tutte farneticazioni di Elizabeth – rispose Ross, che con riferimento al periodo in cui Demelza prestava servizio a Nampara non mentiva – e comunque la tua condotta è ingiustificabile. Elizabeth era pur sempre mia moglie e i nostri problemi coniugali non erano e non sono affar tuo. Sei davvero un vigliacco, oltretutto, a raccontarmi tutte queste cose ora che Elizabeth non può nemmeno difendersi o discolparsi….” – concluse amaramente.
George, che sapeva a cosa Ross alludeva, gongolò. “Già, anche di questo ti vorrei parlare, e faresti bene ad ascoltarmi tenendo a bada il tuo spirito ribelle e sfrontato finchè non avrò concluso il discorso! Quando Elizabeth diede notizia ufficiale della gravidanza mi sono subito premurato di parlarle, perché il nostro rapporto era avvenuto poco tempo prima, in epoca compatibile. Lei ha giurato e spergiurato più volte che il figlio era tuo e che ne era assolutamente certa, ma non le ho mai creduto. Caso strano, in paese si vociferava sul fatto che la sua pancia era troppo piccola rispetto al mese di gestazione in cui diceva di essere. Qualche mese fa l’ho messa con le spalle al muro, l’ho ammonita a non fare imbrogli per anticipare il parto e le ho proposto di partorire in segreto a Cusgarne, fingendo che la bambina fosse morta ed attendendo poi il termine naturale per dare alla luce il figlio concepito con me; perché vedi, seppure Elizabeth diceva il contrario, io sono sempre stato convinto che il figlio fosse mio; altrimenti, sapendo di essere già incinta, non sarebbe venuta a letto con me! Il nostro accordo prevedeva che alla fine di giugno Elizabeth si trasferisse a Cusgarne e fosse monitorata da medici di mia fiducia; se avesse partorito a luglio un feto di nove mesi, sarebbe tornata a Nampara e non le avrei più dato noie; altrimenti avrebbe dovuto seguire le mie regole, che prevedevano che fossi io ad allevare il bambino”. George glissò a proposito dell’inserimento del neonato in orfanotrofio che aveva tanto indignato Elizabeth.
“E non credi che dei tuoi sospetti avrei avuto il diritto di venire a conoscenza prima? Ti rendi conto che se me ne avessi parlato al mio ritorno la bambina forse sarebbe ancora viva?” – disse Ross.
“Può darsi che tu abbia ragione, con il senno di poi, ma sai com’è fatta Elizabeth, per lei l’onore e l’apparenza sono tutto… ho cercato una soluzione che potesse accontentare anche lei. Se avessi saputo cosa quella strega aveva in mente… sono sicuro che ha assunto qualche brodaglia per procurarsi le doglie in anticipo, solo che non ha funzionato nel senso da lei voluto! Ross, quella donna ci ha ingannati entrambi, e credo che ci stia ingannando ancora!”
George, nonostante la incredulità di Ross, passò a spiegargli che non credeva affatto alla improvvisa pazzia di Elizabeth e secondo lui quella simulazione serviva a proteggerla dalle conseguenze dannose del suo comportamento, che Elizabeth non poteva non prefigurarsi.
“Elizabeth sapeva benissimo che, morta la creatura e dopo essere stato buggerato in merito al nostro ultimo accordo, non avrei avuto alcuna remora a vuotare il sacco. Considera anche i dubbi dei medici sulle circostanze del parto, tutte le prove sono contro di lei; non avrebbe potuto esimersi dall’affrontarti, darti delle spiegazioni, come del resto anche a me; tu avresti avuto tutti i motivi per metterla alla porta e forse, con un buon avvocato, addirittura trovare i presupposti per ripudiarla e porre fine al vostro matrimonio! Avresti cuore di farlo, invece, nei confronti di una povera malata di mente? Pensaci bene, Ross, Elizabeth ha trovato la soluzione ai suoi problemi, tenendoti vincolato a sé per sempre!”
I ragionamenti di Warleggan, per quanto dolorosi, non erano privi di un senso logico; Ross tuttavia osservò che lui, e non George, aveva assistito al comportamento di Elizabeth e che era inimmaginabile che fosse tutta una finzione…possibile poi che neppure Enys e Choake se ne fossero accorti?
George replicò che una malattia mentale non era come una malattia fisica, che ha sintomi oggettivi. Non doveva essere particolarmente difficile fingere di avere una allucinazione – la presenza di una neonata viva – e mostrarsi lucida per tutto il resto. Gli fece allora una proposta.
“Perché non cerchiamo un modo per smascherare Elizabeth e svelare il suo inganno? E’ nell’interesse di tutti e due, entrambi potremmo acquisirne dei vantaggi: io la mia vendetta… tu la tua libertà!”
Ross lo fissò e pensò che non era tanto quella strana alleanza tra lui e Warleggan, a spaventarlo, ma le conseguenze che ne  sarebbero derivate, se George avesse visto giusto.

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Capitolo 28
*** cap. 28 ***


Dopo che Ross aveva lasciato Londra per fare ritorno a Nampara, Hugh e Demelza avevano deciso di partire per un lungo viaggio. Lo zio di Hugh, il deputato, possedeva una villa in campagna nello Yorkshire dove si recava piuttosto di rado. Era il luogo ideale per trascorrere un periodo di riposo, lontani dalla frenetica e a volte troppo rumorosa capitale. Demelza si preoccupava che il tragitto fosse troppo stancante per Hugh, ma suo marito l’aveva persuasa che trascorrere l’estate in un luogo ameno, allontanandosi dalla routine di Londra, sarebbe stato il regalo più bello per lui. Egli sapeva di non avere molto tempo a disposizione e conservare il ricordo di un viaggio fatto insieme significava molto per lui; inoltre anche Demelza, una volta rimasta sola, avrebbe potuto farne tesoro nella sua memoria.
Trascorsero nello Yorkshire tutta l’estate. La tenuta non era molto grande, ma dotata di servitù a sufficienza che si occupava di soddisfare tutte le esigenze di chi vi era ospitato. Vi era una bambinaia che si prendeva cura di Julia, Garrick aveva ampi prati su cui scorrazzare, mentre Demelza scortava Hugh in lunghe passeggiate nel parco. Imparò anche a cavalcare, sebbene suo marito, prossimo alla cecità, non fosse in grado di fare altrettanto.
La governante aveva fatto preparare per gli sposi un’unica camera da letto e gli Armitage, per non alimentare inutili pettegolezzi tra le cameriere, dovettero fare buon viso a cattivo gioco e condividerla. La cosa non disturbava più di tanto Demelza, anche perché il calo di vista di Hugh le dava pensiero ed essere presente per qualsiasi necessità egli potesse manifestare nel corso della notte la tranquillizzava.
Giorno dopo giorno Demelza si rese conto di non essere mai stata così felice. Anche se poteva apparire il contrario, Hugh vegliava su di lei: si sentiva protetta, considerata, suo marito la riempiva di attenzioni e si assicurava che avesse a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno. Quando l’aveva sposata egli l’aveva allontanata da una situazione difficile e potenzialmente pericolosa, ma non si era limitato a quello. Hugh aveva portato alla luce una nuova Demelza, più libera e più consapevole del proprio valore. Il contatto con la natura di quei giorni l’aveva ricondotta alla libertà dell’infanzia ad Illugan, quando poteva correre scalza sui prati, emozionarsi per un’alba o un tramonto, gioire per un animale che aveva partorito i propri cuccioli; eppure Demelza si rendeva conto di essere cambiata. Non era più la ragazzina cenciosa raccolta un tempo da Charles Poldark; era una donna forte, ora, capace di gestire una dimora elegante, di prendere parte a ricevimenti senza sfigurare, di trattare alla pari un marito dalle origini ben più blasonate delle sue. Hugh non l’aveva mai trattata come una persona inferiore, ma aveva cercato di discutere e ragionare insieme a lei per assumere di comune accordo le scelte migliori per la loro famiglia. A Demelza piaceva quel senso di complicità e condivisione, nessuno l’aveva mai fatta sentire importante come quel ragazzo così dolce e così sfortunato che l’aveva presa in moglie. Benché il suo cuore appartenesse a Ross Poldark, si rese conto che esistevano varie forme di felicità e che la vita al fianco di Hugh era quanto di meglio potesse desiderare in quel momento.
Hugh era solito ripetere che sperava di arrivare vivo ad ottobre per poter festeggiare il loro primo anniversario di nozze; Demelza pregava con tutto il cuore che questo desiderio si esaudisse. Non sopportava l’idea che un giorno avrebbe dovuto andare avanti senza la tenerezza ed il sostegno di Hugh. Nonostante le premesse che erano alla base della loro unione, si erano rivelati una coppia molto affiatata. Appena aveva conosciuto Ross egli si era impadronito del suo cuore e non lo aveva mai più lasciato, ma Demelza sentiva a volte il bisogno di prendere le distanze da quella passione bruciante, che la faceva sentire viva ma al tempo stesso la caricava di preoccupazioni ed inquietudine. Se Ross era il fuoco, Hugh era come l’acqua. La vita accanto a lui scorreva placida, rinfrancante, sembrava una favola o un sogno meraviglioso dal quale Demelza mai avrebbe voluto destarsi.
Verso la fine di luglio Demelza ricevette da Caroline la lettera, spedita circa un mese prima, in cui le comunicava che Elizabeth, dopo un parto cesareo, aveva dato alla luce una bambina nata morta. Demelza la lesse ad alta voce in presenza di Hugh e, quando ebbe terminato, il marito le chiese se intendeva scrivere a Ross per esprimergli la loro vicinanza. Demelza scosse la testa: forse il galateo, tra persone di un certo rango, imponeva una simile formalità, ma a parer suo la solidarietà per fatti del genere si esprimeva con gesti e parole, guardandosi negli occhi; lei, almeno, non sarebbe stata capace di esprimersi altrimenti. Hugh le propose allora, se lo desiderava, di tornare in Cornovaglia per un breve periodo; Demelza rifiutò, disse che non lo avrebbe mai lasciato da solo. Le dispiaceva per Ross, ma non poteva trascurare Hugh, soprattutto ora che stava peggiorando e diveniva ogni giorno più fragile. Si domandò, in cuor suo, se quella disgrazia avrebbe mutato le cose tra Ross e sua moglie e si augurò che, dopotutto, lui fosse capace di trovare la forza per superare quel tremendo dolore. Rispose alla lettera di Caroline manifestando il suo dispiacere per l’accaduto e la pregò di riferire a Ross che sia lei che Hugh avevano appreso della sua perdita e ne erano molto addolorati.
Il mese successivo Demelza ricevette una seconda lettera, con la quale Caroline la informava degli sviluppi di Elizabeth. La lettera era piuttosto dettagliata sui comportamenti della donna, su ciò che Dwight ne pensava, sui consigli dati a Ross, ma era chiaro che si trattava di un terreno in cui la medicina dell’epoca procedeva a tentoni e nessuna certezza vi poteva essere sulla guarigione e sui suoi tempi.
Hugh provò compassione nei confronti della sorte dei Poldark; Demelza ne fu sconvolta e comprese che in quelle condizioni Ross non avrebbe mai abbandonato Elizabeth. Si rese conto che - anche una volta morto Hugh - un loro futuro insieme appariva sempre più incerto, ma forse non era un male. Suo padre avrebbe detto che attraverso la pazzia di Elizabeth Poldark stava scontando i suoi peccati; lei non credeva nelle punizioni divine, ma era innegabile che il destino stesse imponendo a lei e a Ross una strada ben diversa da quella che avrebbero desiderato.  
Intanto, mentre si avvicinava il tempo di fare rientro a Londra, Hugh appariva sempre più affaticato. Ormai anche le passeggiate nel parco prevedevano lunghe soste e si accorciavano di giorno in giorno. Demelza era preoccupata, lo spronava a farsi visitare dal medico del paese, ma Hugh diceva che non era necessario, non voleva prolungare la sua pena facendosi ripetere per l’ennesima volta ciò che sapeva benissimo. Dwight gli aveva dato dei medicamenti per lenire il dolore alla testa, ma gli aveva anche predetto che nella fase terminale della malattia non sarebbero stati sufficienti. D’altra parte, rientrare in fretta e furia a Londra in quelle condizioni poteva rivelarsi fatale.
Un pomeriggio di fine agosto Hugh decise che era giunto il momento di affrontare con sua moglie una questione molto seria.
Scelse il loro angolo preferito nel parco, si sedettero sull’erba e le comunicò che aveva fatto testamento, istituendo Julia quale sua erede universale; naturalmente Demelza, fino alla maggiore età della bambina, avrebbe gestito il suo patrimonio. Demelza non era sorpresa, sapeva benissimo che lo scopo delle loro nozze era assicurare una successione a Hugh, ma odiava dover affrontare quell’argomento. Hugh aggiunse che su suggerimento del suo legale, per evitare che lo zio  parlamentare impugnasse il testamento, aveva attribuito a lui le sue proprietà immobiliari, eccetto la casa di Londra, che sarebbe rimasta a Julia insieme al denaro: una quantità considerevole che avrebbe consentito loro di vivere di rendita per un bel numero di anni. Demelza singhiozzò stringendosi a suo marito, disse che poteva lasciare allo zio William anche la casa, perché lei non avrebbe mai vissuto a Londra senza di lui.
A tale proposito Hugh colse la palla al balzo: gli interessava sapere quali sarebbero stati i progetti di Demelza dopo la sua morte. Aveva sempre immaginato che Ross Poldark sarebbe tornato alla carica, che prima o poi avrebbe trovato un modo per sposare Demelza, ed in ogni caso si sarebbe preso cura di lei e di Julia, ma la mutata situazione di Elizabeth rendeva tutto più complicato….
Demelza non rispose. Non le interessava la ricchezza, si sarebbe adattata a vivere in una casa più piccola e si sarebbe data da fare in qualche modo, pur senza necessariamente tornare a servizio di qualcuno;  la realtà era che si sentiva un pesce fuor d’acqua. Non voleva vivere a Londra senza Hugh, ma non si sentiva nemmeno a suo agio a tornare in Cornovaglia con i nuovi abiti da lady. La verità è che senza Hugh si sentiva persa….e non voleva dipendere da Ross, in alcun modo. Disse a Hugh che, se il destino aveva deciso così, c’era solo da rassegnarsi:  in fondo, in cuor suo aveva sempre saputo che tra lei e Ross non poteva esserci un lieto fine.
“Promettimi che metterai sempre Julia al primo posto, qualunque sia la decisione che prenderai” – disse Hugh. Demelza rispose che non vi era bisogno di chiederlo, era sua madre e quella bambina era ciò che di più caro aveva al mondo.
Qualche giorno dopo Hugh perse completamente la vista. L’angoscia di Demelza cresceva di ora in ora; convinse Hugh a chiamare il medico, più per scrupolo di coscienza che per una vera necessità. Il medico lo visitò e concluse che non c’era più nulla da fare, gli restava da vivere una settimana o poco più.
Quella notte Demelza non riuscì a prendere sonno. La morte aveva aleggiato sempre sulla loro vita, ma come un presagio lontano. Adesso che stava per accadere l’irreparabile, la donna sentiva come non mai di non essere pronta. Avrebbe voluto avere Dwight accanto, Caroline, ma poi rifletté che dovunque fosse capitato e chiunque avesse al suo fianco nessuno avrebbe potuto condividere a pieno il suo fardello. Il suo compito era stato da sempre quello di alleviare la sofferenza di Hugh, accompagnarlo per un tratto di strada e rendere felice i suoi ultimi istanti. Solo quello le restava da fare. Gli si avvicinò, facendo aderire il suo corpo a quello del marito sotto le lenzuola. Neppure Hugh dormiva, perché la strinse teneramente a sé. Demelza scoppiò in lacrime, non riuscendo a trattenere l’emozione. Gli chiese perdono per non essere stata la moglie che lui desiderava, per non essere in grado di dargli forza in quel momento, anzi, sentiva che lo gravava del peso della sua tristezza.
“Le tue lacrime contano tanto per me, perché mi fanno capire quanto mi vuoi bene”- la rincuorò lui.
“Ma certo che ti voglio bene! – singhiozzò Demelza – io ti amo, Hugh!”
Hugh tacque per un secondo, e l’aria restò immobile come se i due stessero trattenendo anche il respiro.
“Per una volta, mi piacerebbe fingere che fosse vero, in ogni senso”- disse infine l’uomo.
“Allora, lasciamo che sia vero…” – sussurrò Demelza.
Fu così che accadde tra di loro ciò che mai era accaduto a Londra, l’epilogo naturale dell’intimità sempre più stretta che avevano vissuto in quel luogo. Demelza non si sentì in colpa nei confronti di Ross: lui era da sempre il suo grande amore, ma non aveva mentito, amava anche Hugh, sebbene in maniera completamente diversa. Quella notte d’amore fu un immenso dono per Hugh, che pochi giorni dopo, come aveva sentenziato il dottore, spirò, amorevolmente assistito da sua moglie.
Nel frattempo, anche in Cornovaglia l’estate volgeva al termine e Ross dopo il colloquio con Warleggan aveva preso tempo, senza stringere alcun patto con lui. Lo ripugnava l’idea di avere a che fare con quell’uomo per scopi subdoli; d’accordo, Elizabeth era stata sleale nei suoi confronti, forse al punto di attribuirgli una paternità non sua, ma metterla alla gogna non sarebbe servita a riportare in vita la bambina o cambiare il passato.
Il punto era che Ross non era così sicuro che Elizabeth mentisse. George aveva le sue ferme convinzioni, ma a differenza sua non l’aveva vista comportarsi nella vita di tutti i giorni.
Quando non si trastullava con la bambina immaginaria, poteva capitare che Elizabeth scendesse al piano di sotto, in biblioteca o in sala da pranzo; in quelle occasioni la conversazione si spostava su argomenti ordinari, e la sposa di Ross appariva normale, quella di sempre; ad un tratto però, improvvisamente, le sue guance si rigavano di lacrime, cui ella non sapeva dare alcuna spiegazione; era come se il suo animo si rendesse conto della verità, ma non avesse la forza di accettarla fino in fondo. Si chiudeva quindi nel suo silenzio, ergeva un muro impenetrabile, fino a quando non ritornava nella sua stanza, “da Ursula”. Come poteva Elizabeth fingere fino a quel punto, si chiedeva Ross?
Warleggan, dal canto suo, aveva deciso di pazientare. Si suol dire che la vendetta è un piatto da gustare freddo: non aveva fretta, avrebbe atteso. Se Poldark non voleva collaborare, avrebbe smascherato Elizabeth da solo. Per toglierselo di torno Ross gli aveva promesso che avrebbe saldato la metà del debito contratto da Elizabeth, il resto lo avrebbe pagato a rate entro due anni, quindi un primo risultato George lo aveva ottenuto. Se poi quell’imbecille era tanto cocciuto che neppure la scoperta dell’infedeltà di sua moglie lo tangeva, neppure il sospetto che ella era stata disposta a fargli crescere come suo un figlio bastardo, peggio per lui. Perdonare Elizabeth era una scelta di Ross; ma lui, George, non l’avrebbe perdonata mai, e doveva escogitare un modo efficace per svelare il suo inganno. Voleva togliersi la soddisfazione di vederla umiliata, derisa, lei che aveva avuto la presunzione di ingannarlo e di sfuggire al suo ricatto, credendosi più furba. Doveva sfruttare bene la sua occasione, perché, senza la collaborazione di Poldark, fallita la prima non ne avrebbe avuto una seconda.
L’occasione favorevole giunse a settembre. Poco prima del solstizio d’estate un’antica tradizione locale prevedeva che ogni famiglia che possedeva terre, padroni o fittavoli, accendesse un grande falò per propiziare il nuovo raccolto, che rimaneva acceso fino a sera e diveniva l’occasione per divertirsi con canti e balli in compagnia. Il reverendo Odgers aveva deciso di attrarre questa festa di origine pagana nell’alveo della religione e, d’accordo con il vicario Whitworth, aveva previsto di compiere in quella medesima giornata dell’anno un giro di tutte le famiglie, con il pretesto di benedire i lavoranti prima dell’inizio del duro inverno ed avvicinare in tal modo tante persone radunate, ben più numerose di quelle che la domenica venivano ad ascoltare i sermoni.
Conoscendo questa tradizione, qualche giorno prima Warleggan si recò dal reverendo e gli mise a disposizione la propria carrozza per compiere più rapidamente il giro; inoltre - ben sapendo che il religioso aveva moglie e sei figli e non navigava certo nell’oro, percependo solo la misera rendita della parrocchia - gli fece una cospicua offerta. In cambio, però, gli pose due condizioni: lui stesso lo avrebbe accompagnato durante le benedizioni; Nampara doveva essere l’ultima tappa della giornata.
“Come desiderate, signore.” – rispose Odgers , non potendo negare nulla a chi era stato così generoso nei suoi confronti.
“Devo chiedervi un’ultima cosa -  aggiunse George – so che la signora Poldark si è gravemente ammalata di nervi; non so quanto voi sappiate in proposito, ma ho sentito dire che immagina che sua figlia sia viva e se ne prenda cura come se fosse una bambina vera…”
Odgers annuì. “Purtroppo è così. Il capitano Poldark il mese scorso mi ha pregato di assecondarlo e fingere di battezzare la bambina; naturalmente alla funzione erano presenti solo lui, la signora Elizabeth, i Paynter e gli Enys… mi sono prestato a questa messinscena solo per le insistenze del dottor Enys, che afferma che la paziente non deve essere contrariata, altrimenti ci potrebbero essere danni irreparabili.  Vedete, è una situazione estremamente spiacevole.”
“Capisco – commentò George – ebbene, so che Ross intende mantenere stretto riserbo sulle condizioni di sua moglie, ma io sono molto affezionato alla signora Elizabeth, le sono stato vicino soprattutto nel periodo in cui Ross era al fronte. Avrei piacere di poterla salutare personalmente quando vi recherete a Nampara; sapendo quanto mi avete appena detto, la asseconderò anche io ed userò molto tatto, potete stare tranquillo. Vorrei solo che voi mi aiutaste a rimanere per qualche minuto da solo con lei… sapete, Ross è geloso del rapporto di amicizia che esiste fra me ed Elizabeth, benchè non ne abbia alcun motivo.”
Odgers parve dubbioso. Warleggan era un uomo potente cui non si poteva dire di no, ma lui non era un uomo di azione ed assumere una qualsiasi iniziativa in casa di altri gli sembrava una enormità. Cominciò a balbettare qualcosa a proposito del fatto che non sapeva in che modo, come avrebbe potuto…
George lo interruppe. “Sul come non dovete preoccuparvi. Ho già pensato a tutto io…”.
Ed iniziò ad illustrargli il suo piano.

 

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Capitolo 29
*** cap. 29 ***


“Siete stato molto gentile ad invitarmi a restare per cena, capitano Poldark” – disse Odgers. Il piano prestabilito con Warleggan fino a quel momento aveva funzionato: il reverendo aveva terminato con Nampara il suo tradizionale giro di benedizioni, vi era giunto quando il sole era ormai tramontato e Ross, da padrone di casa che conosceva le buone maniere, non aveva potuto esimersi da quell’invito.
Ross rispose che un vero piacere poterlo ospitare.  Aggiunse che avrebbe dovuto accontentarsi di una cena semplice, ben sapendo che le virtù culinarie di Prudie non erano eccelse. Conoscendola, in quel momento Ross immaginò che stesse bofonchiando in cucina, tormentando Jud perché le desse una mano e maledicendo il padrone per aver aggiunto un commensale senza preavviso.
Odgers rispose che non si aspettava nulla di diverso: egli non era un palato esigente, ma un modesto prelato di campagna abituato a cene molto frugali, a differenza del suo superiore, il vicario Whitworth. Appena ebbe parlato si morse la lingua, ricordando che Osborne Whitworth era un cugino della signora Poldark. Ross ignorò l’allusione come se non avesse udito, ma il reverendo disse a se stesso che doveva restare calmo e tenere a freno la lingua. Non era il caso di farsi scappare parole sconvenienti; l’uomo era molto nervoso perché sentiva di stare ingannando colui che lo aveva con tanta gentilezza invitato a fermarsi a cena. In quegli stessi momenti probabilmente George Warleggan stava parlando con la signora Elizabeth, che era rimasta fuori in cortile; Odgers sperò che vi riuscisse senza intoppi, per il bene di tutti.
Il ruolo di Odgers era stato fondamentale nell’ottenere che Elizabeth si trattenesse in cortile mentre tutti gli altri erano in casa. La tradizione voleva che il fuoco venisse spento a notte fonda, e che vi fosse sempre qualcuno della famiglia a tenerlo vivo. Il reverendo, dopo essere stato invitato a fermarsi per cena, aveva chiesto di poter discorrere con Ross di alcune questioni inerenti la parrocchia. I Poldark erano da sempre tra i suoi finanziatori; la chiesetta di Sawle e l’adiacente cimitero erano ubicati proprio su un terreno un tempo di proprietà del bisnonno paterno di Ross, donato generosamente alla Chiesa. Il reverendo e il padrone di casa si accomodarono in biblioteca, mentre Valentine giocava sul tappeto con degli animaletti di stoffa. Odgers aveva portato con sé alcuni documenti, progetti di rifacimento del tetto della chiesa, lamentandosi delle spese eccessive che erano state preventivate. Nonostante le offerte generose di tanti parrocchiani era impensabile riuscire a trovare tutta la somma in breve tempo; nell’anno precedente molte famiglie avevano chiesto aiuto economico perché non riuscivano a sfamare i loro figli, tuttavia anche la casa di Dio meritava la sua attenzione...
Ross non era insensibile né ai bisogni dei poveri né alle necessità della Chiesa, pur non essendo mai stato un fedele particolarmente devoto. Ciò che non sopportava, però, era l’atteggiamento di certi ministri di culto; non tanto il povero Odgers, che alla fine era un povero diavolo che si limitava ed eseguire ordini emanati dall’alto, ma il suo superiore, il vicario Osborne Whitworth. Era un uomo talmente vanesio e frivolo che Ross si domandava spesso per quale ragione avesse scelto di abbracciare quel ministero. Egli non faceva altro che sollecitare il popolo a fare elemosina ma era certo che, di suo, non avrebbe sborsato neanche un penny per fare la carità ad un moribondo.
Fu per tale ragione che Ross, con tono un po’ polemico, sottolineò che non si potevano pretendere offerte sempre dai soliti noti; ciascuno dei cittadini benestanti dei dintorni doveva fare la sua parte. Anche George Warleggan, per esempio, che avendo acquistato Trenwith faceva ora parte della parrocchia a tutti gli effetti.
Il reverendo sobbalzò. “Il sig. Warleggan è già tra i nostri benefattori, capitano – biascicò – proprio pochi giorni fa mi ha fatto un’offerta molto generosa…”. Ed era la verità.
Nel frattempo, Elizabeth era rimasta seduta intorno al grande falò acceso in cortile. Cullava tra le braccia una bambola di cera, ritrovata in una soffitta a Cusgarne, che aveva sostituito l’ammasso di stoffa dei primi giorni in cui si era ripresa dopo il parto. Adesso, almeno da lontano, le fattezze della sua bambina immaginaria erano più verosimili.  
George, per non destare sospetti, aveva disposto che la carrozza con cui aveva accompagnato il reverendo rimanesse lungo il sentiero che conduceva a Nampara, in una posizione che non la rendeva visibile dalla casa. Era poi disceso a piedi, aveva percorso un breve tratto e si era acquattato dietro dei cespugli. Da quella posizione aveva seguito la scena svoltasi in cortile, la benedizione del prete al cospetto di tutta la famiglia e la servitù ed infine i domestici che si recavano verso la cucina entrando dalla porta di servizio e Ross e Odgers, con il piccolo Valentine, che entravano dal portone principale diretti in biblioteca.
Aspettò qualche minuto, infine a passo deciso attraversò tutto il cortile finché Elizabeth se lo trovò davanti all’improvviso, senza avere il tempo di reagire.
“Bentrovata Elizabeth, come state?” – le disse soltanto, come se fossero due conoscenti che non si vedevano da tanto tempo.
La donna parve sorpresa, ma ebbe una reazione composta come al solito; gli rispose, con un certo sussiego, che stava bene.
“Sono così sollevato nel sentirlo– aggiunse il banchiere – mi erano giunte delle voci allarmanti sul vostro stato di salute… vi trovo invece in splendida forma, voi e la vostra bambina.” E puntò con il dito la bambola che Elizabeth teneva tra le braccia.
Elizabeth non rispose. George la fissava senza perdere un solo movimento del suo viso, cercando di coglierne le reazioni. Pareva stupita, ma non turbata. Sorrise, infine, all’indirizzo della sua bambina immaginaria.
“Ursula è la mia gioia e la mia consolazione” – disse.
“Non ne dubito. Dovreste portarla più in spesso in giro. Perché nascondere una bambina così graziosa? Ross ne sarà orgoglioso. Ci siamo visti spesso negli ultimi tempi, io e vostro marito. Abbiamo discusso di tante cose e raggiunto un accordo molto vantaggioso per entrambi”.
Elizabeth non mostrava alcun tipo di reazione: teneva lo sguardo chino verso il basso, in contemplazione della sua Ursula, facendole un mucchio di  moine e sorrisetti. Pareva quasi non fare caso alla presenza di Warleggan e alle sue parole.
George non aveva né tempo né pazienza. Quella era la sua occasione e non poteva sprecarla. Si avvicinò alla sposa di Ross e si chinò verso il suo orecchio per sussurrarle qualcosa.
“Ross sa tutto, Elizabeth. Tutto dei debiti, tutto di quello che c’è stato tra noi due, tutto della gravidanza. È per questo motivo che hai inscenato questa farsa, non è vero?”. Poiché la donna continuava ad ignorarlo, George l’afferrò per un polso e la costrinse a guardarlo; cosa che Elizabeth fece, ma sgranando gli occhi come una cerbiatta impaurita.
“Non capisco proprio di cosa state parlando, George.”
“Certo, come no! – sghignazzò l’uomo – se tuo marito è un idiota, sappi che io non mi lascio incantare dalle tue bugie. Ti sei presa gioco di me già troppo a lungo; il dado è tratto, Elizabeth, e adesso tutti capiranno chi sei veramente!”
Fu un attimo. Warleggan le strappò l’involto con la bambola dalle braccia e lo gettò nel bel mezzo del falò. Il tessuto prese fuoco all’istante , le fiamme crepitarono, mentre alti sbuffi di fumo si innalzavano verso il cielo.
“NOOOO!” – urlò la donna; rimase poi immobile, in piedi, a fissare le fiamme che avvolgevano il fagotto che poco prima aveva in braccio.
Warleggan ghignò soddisfatto, pensando che aveva avuto la prova di cui aveva bisogno. Pregustando il momento in cui avrebbe esposto Elizabeth al pubblico ludibrio la sfidò: “Allora, Elizabeth? Lasciate che la vostra bambina bruci, senza fare nulla?”
Per tutta la sua vita George non avrebbe mai più dimenticato lo sguardo che Elizabeth gli rivolse, prima di lanciarsi tra le fiamme. Protese le braccia verso l’involto ormai bruciacchiato, ma nel tentativo di afferrare la coperta che avvolgeva la bambola generò un movimento d’aria che alimentò ancora più le fiamme; il suo ricco abito si incendiò ed in breve tempo venne lei stessa avvolta dal fuoco mentre, afferrata la bambola, la teneva stretta al petto.
George osservava la scena con orrore, incapace di muovere un passo. All’inizio aveva avuto l’istinto di tendere una mano e trarre Elizabeth fuori da quell’inferno, ma le fiamme erano divampate intorno a lei con tale celerità che in un attimo era diventata una torcia umana e chiunque si fosse avvicinato al fuoco avrebbe subito la stessa sorte. Gridò il suo nome, spronandola a venire fuori; ma Elizabeth non si muoveva.
Le sue urla disperate non mancarono di allertare la gente di casa.
Il primo ad arrivare in cortile fu Ross: appena capì cosa stava succedendo si tolse la giacca ed era sul punto di gettarsi tra le fiamme per tirare fuori sua moglie, ma Jud, che gli era venuto dietro, lo trattenne facendogli notare che rischiava di ustionarsi senza ottenere alcun risultato; allora si precipitò alla pompa dell’acqua e azionò freneticamente la leva, cercando di riempire un secchio, mentre urlava a Jud di portare una coperta bagnata attingendo l’acqua dalla cucina. Odgers a sua volta si era riversato in cortile e, impallidito, chiese a Warleggan cosa fosse accaduto. Solo in quel momento Ross si accorse di George e notò che Odgers non era meravigliato nel saperlo a Nampara; ma non era il momento delle recriminazioni, la priorità era agire rapidamente per salvare Elizabeth. Intanto Prudie aveva preso Valentine e lo aveva portato con sé in cucina, cercando di allontanarlo sia da quella scena drammatica che dalle grida disperate di Elizabeth. Riempito il primo secchio, Ross lo rovesciò addosso a sua moglie, mentre Jud completò l’opera con una coperta intrisa di acqua che gettò intorno alla padrona, traendola finalmente fuori dalle fiamme. Alla fine, qualche secchio d’acqua dopo, il fuoco era stato spento, ma non era sparito l’odore di bruciato. La bambola di cera si era liquefatta, il tessuto che lo avvolgeva era in più punti incenerito così come il vestito di Elizabeth, che giaceva in terra completamente ustionata.
Odgers e George, anche per trarsi fuori da una situazione imbarazzante senza dover dare troppe spiegazioni, si precipitarono con la carrozza a chiamare il dottor Enys; ma quando questi arrivò a Nampara non poté che constatare ciò che era chiaro a tutti: Elizabeth non avrebbe potuto sopravvivere.
Alle tre del mattino successivo Elizabeth Poldark, nata Chynoweth, tra indicibili sofferenze rese l’anima al Creatore.
Due giorni dopo si celebrarono le esequie. Il corteo funebre era talmente lungo che formava un unico cordone tra la cappella ed il bivio per Sawle. Dopo la sepoltura era scoppiato un tremendo acquazzone, e tante persone si erano dileguate senza neppure il tempo di porgere le condoglianze al capitano Poldark e all’anziano signor Chynoweth, che dopo quella tragedia che aveva coinvolto la sua unica figlia pareva più stanco e curvo del solito. Ross pensò amaramente che se fosse piovuto il giorno della disgrazia Elizabeth sarebbe stata ancora viva. Dopo aver messo a disposizione del suocero una carrozza per rientrare a Cusgarne, Ross fu accompagnato a casa da Zacky Martin e sua moglie, i fratelli Daniels e dall’amico Dwight con Caroline. Si fermarono a lungo a Nampara, cercando di portare consolazione ad un’anima provata da una perdita così tragica; Ross apprezzava la loro vicinanza e l’affetto che gli dimostravano, ma sapeva che nessuna parola, per quanto profonda e sincera, poteva dargli conforto.
Rimasto solo, salì in quella che un tempo era stata la loro alcova. Prudie aveva riordinato la camera, ma la presenza di Elizabeth vi aleggiava ancora. Sulla toeletta che avevano scelto insieme prima del matrimonio campeggiavano i suoi profumi e i suoi belletti; tra le setole della spazzola, ancora qualche capello castano arrotolato. Qualcuno avrebbe poi dovuto occuparsi  di svuotare gli armadi; Ross pensò che poteva donare gli abiti di Elizabeth e le sue scarpe alla parrocchia, la stoffa era in buone condizioni e vi si potevano ricavare vestiti più sobri per le donne del villaggio.
Quante morti, in quei quattro anni. Suo padre, suo zio, suo cugino, la sua prozia, la neonata ed ora Elizabeth. Da quando era ritornato in Cornovaglia, ad ottobre 1783, nella sua famiglia non vi erano stati che lutti e sciagure.  Ross pensò che forse sarebbe stato meglio che fosse morto in battaglia, che non fosse mai tornato dalla Virginia. In quattro anni era stato capace di distruggere la vita di quella fanciulla, un tempo adorata; se solo non avesse affrettato talmente le nozze….se avesse cercato di conoscere meglio Elizabeth, prima di sposarla… se non avessero avuto un figlio così presto… se fosse stato capace di comprendere meglio i suoi bisogni… se non avesse pensato solo a se stesso… se non si fosse innamorato di Demelza… se non avesse umiliato Elizabeth quella notte a Londra… se non l’avesse spinta tra le braccia di Warleggan… se le avesse parlato con sincerità, dopo la discussione avuta con George…. Erano tanti se che ora pesavano come macigni: Ross si sentiva responsabile della sorte di Elizabeth, per non averla protetta e difesa come avrebbe dovuto, anche da Warleggan. Non gli era ancora ben chiaro se fosse stato lui a spingerla nel fuoco, se l’avesse istigata a togliersi la vita, o se si era trattato solo di una tragica fatalità; l’unica certezza era che Elizabeth era morta e, qualsiasi errore avesse commesso nel corso dell’esistenza, l’aveva scontato. Loro due invece, lui e George, accomunati da un terribile segreto che non potevano rivelare ad alcuno, erano vivi, ma condannati a coesistere per l’eternità con un dilaniante senso di colpa.

 

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Capitolo 30
*** cap. 30 ***


“Una bella notizia è proprio quello che ci voleva, dopo tanti giorni di amarezza”- esclamò Demelza stringendo in un abbraccio sincero Caroline, che le aveva appena comunicato di essere in attesa di un bambino. Le due amiche si rivedevano per la prima volta a distanza di tre mesi dalla morte di Hugh.
Dopo il tristissimo evento Demelza era tornata a Londra, aveva organizzato il funerale e disbrigato le pratiche burocratiche per la sepoltura del marito; aveva poi incontrato l’esecutore testamentario insieme allo zio di Hugh. Quest’ultimo, dato il generoso lascito assegnatogli dal nipote, non aveva avuto nulla da obiettare sul trattamento riservato alla piccola Julia; così, in breve tempo, tutte le questioni connesse all’eredità erano state risolte in maniera civile.
La servitù della dimora londinese dopo la morte del padrone si era stretta affettuosamente intorno alla vedova; Demelza aveva cercato di non apportare troppi cambiamenti per il personale, pur prendendo in mano le redini della gestione della casa. Con il trascorrere dei giorni la sensazione di smarrimento e solitudine aveva ceduto il posto alla consapevolezza del suo nuovo ruolo: era la vedova di un gentiluomo, la tutrice di una piccola ereditiera, la padrona di quel lussuoso palazzo. Anche il suo aspetto era, in un certo qual modo, cambiato. Gli abiti neri di foggia molto semplice che aveva scelto per il lutto, i capelli tenuti sempre raccolti, il trucco leggero conferivano a Demelza delle sembianze più mature, ed era maturata davvero dopo la scomparsa del tenente Armitage, più di quanto fosse mai accaduto prima. Non aveva perduto la sua innata semplicità e buona disposizione verso il prossimo, ma aveva acquistato sicurezza in se stessa e coscienza del suo valore.
Caroline era tornata a Londra per trascorrervi l’ultimo Natale all’insegna della mondanità, rivedendo i vecchi amici, prima che il pargolo Enys la distogliesse per lungo tempo dalla vita sociale. Quel viaggio però era anche un pretesto per riabbracciare la cara Demelza, con la quale aveva mantenuto un costante rapporto epistolare, condividendo pensieri e riflessioni sui dolorosi avvenimenti che, per un atroce scherzo del destino, pochi mesi prima avevano reso vedovi - quasi in contemporanea - sia lei che Ross.  Vedersi dal vivo era tuttavia ben diverso, e la giovane Penvenen sentiva il bisogno di confortare Demelza della perdita del marito, che prima di tutto era stato un suo carissimo amico di infanzia, di cui serbava nel cuore indelebili ricordi. 
Demelza era stata informata da Caroline tramite lettera anche della morte di Elizabeth. Ne era rimasta sconvolta, addolorata, con il cuore stretto dall’angoscia per Valentine e per Ross. Era accaduto così repentinamente, e proprio mentre lei stava affrontando tutte le difficoltà conseguenti alla dipartita di Hugh… non era riuscita a trovare né il tempo né la forza per un viaggio in Cornovaglia. Aveva scritto una lettera a Ross, cordiale, affettuosa, ma non eccessivamente intima. Gli aveva comunicato tutto il suo dispiacere per la terribile perdita; non aveva aggiunto nulla di più, nulla che desse a Ross speranza su una loro intimità più profonda, per la quale la giovane non si sentiva ancora pronta. Era giusto che ciascuno dei due facesse decantare il dolore nella propria anima prima di un riavvicinamento; anzi, in realtà le sembrava che il modo orribile in cui Elizabeth era morta fosse un segno di malaugurio che aleggiava sulla loro possibile unione.
Ross, a sua volta, aveva appreso della morte di Hugh tramite Caroline. Nella lettera in risposta alle condoglianze di Demelza aveva grandemente elogiato la figura di Hugh, il suo coraggio e la sua dignità. Aveva concluso ribadendo la sua disponibilità per qualsiasi necessità lei e sua figlia dovessero manifestare.
Era naturale che, dopo aver condiviso la gioia per la notizia della gravidanza di Caroline, la conversazione delle due amiche fosse monopolizzata dai drammatici eventi che erano accaduti nei mesi precedenti.
Innanzitutto Demelza si informò sullo stato d’animo di Ross. Caroline rispose che era tanto provato da quel lutto, benché il suo non fosse stato un matrimonio felice. L’ultima volta che erano andati a fargli visita lei e Dwight lo avevano trovato inquieto, nervoso, completamente assorbito dal lavoro e dalle preoccupazioni per Valentine. Il bambino era molto legato ad Elizabeth e Ross sentiva come responsabilità primaria quella di stargli accanto, di fargli percepire meno quella inevitabile mancanza. Nonostante avessero cercato di non far trapelare troppi particolari sulla morte della madre, il bambino aveva capito che era stata colpa di un incendio ed aveva capito anche che la mamma non stava troppo bene dopo la morte della sua sorellina. La mente infantile di Valentine aveva colto i dati essenziali della vicenda, ma li elaborava a modo suo: la mamma era andata via per sempre, aveva raggiunto in cielo la sua sorellina, quindi non gli aveva voluto bene abbastanza da restare con lui; c’era il papà, è vero, ma anche lui lo lasciava solo ogni tanto, quando usciva per i suoi affari, e Prudie non era certo bella e profumata come la sua mamma. Capitava così che il bambino si nascondesse in qualche angolo della casa, con i suoi pupazzetti ad inventare storie; era spesso silenzioso con gli adulti ed a volte preferiva restarsene in completa solitudine, guardando malinconicamente fuori della finestra.
Caroline si domandava se la decisione di Demelza di restare a vivere a Londra fosse definitiva. Cercò di indagare se tra le sue prospettive ci fosse quella di un ritorno in Cornovaglia, anche facendo leva sui bisogni di quel povero orfano, che Demelza aveva accudito da piccolo ed ora avrebbe avuto tanto bisogno di un’affettuosa presenza femminile.
“Mi rendo conto che si tratta di un argomento delicato per te, Demelza, ma dovresti pensarci… Qui a Londra hai conosciuto molte persone, ma si tratta di rapporti di mera convenienza, in fondo sei sola… Lì potresti farmi compagnia, assistermi durante la gravidanza, darmi tanti consigli sulla maternità, essere presente al momento del parto… sai bene quanto mi trovi  impreparata in materia!” – esclamò la bionda ereditiera.
Demelza sorrise. Rispose che era molto combattuta: da un lato aveva desiderio di ritornare nella terra natia, dall’altro la spaventava dover affrontare certi fantasmi del passato. Si riferiva a suo padre, sicuramente, ma anche a Ross, pensò Caroline. Conoscendo Demelza, non era il tipo da entrare con prepotenza nella vita di lui soppiantando la defunta moglie come se mai fosse esistita….
“Sai, ho fatto un sogno strano la notte scorsa – confidò Demelza all’amica- mi trovavo in strada, nei pressi del Parlamento; ad un certo punto mi è apparso Hugh, era proprio di fronte a me. Mi è venuto incontro e mi ha chiesto quando mi sarei trasferita “a casa di Julia”. Io gli ho risposto che eravamo tornate da tempo a casa di Julia, cioè nella casa di Londra, e lui ha scosso la testa sorridendo. Io allora gli ho chiesto spiegazioni, e mi ha risposto: “intendo la vera casa di Julia , quella che è sua per nascita”. Poi mi ha sorriso ed è svanito davanti ai miei occhi; immediatamente dopo mi sono svegliata”.
“La casa che è sua per nascita… forse Trenwith?” – suggerì Caroline.
“Anch’io ho pensato questo – annuì Demelza – forse Hugh mi è apparso in sogno per farmi capire che dovrei trovare il modo di acquistare Trenwith, per Julia. Sappiamo bene che era la casa di suo padre, di suo nonno e dei suoi avi…. Per ragioni di sangue quella è casa sua. Potrei mettere in vendita questo palazzo, con il ricavato riuscirei sicuramente a reperire le risorse sufficienti. Solo che…”
“Solo che cosa?” – la incalzò Caroline.
“Da un lato quella casa mi evoca tristi ricordi, non so se riuscirei a viverci, dopo tutto… e poi non vorrei urtare la suscettibilità di Ross. In fondo è stata casa della sua famiglia, io ci ho lavorato da cameriera e ci ritornerei da padrona…”
“Ross non è così meschino. Su questo punto non credo ti ostacolerebbe. Piuttosto, sareste vicini di casa… ci hai pensato? Intendo dire, che tipo di relazione vorresti avere con lui? Se i vostri sentimenti sono immutati, sta’ pur certa che lui non si accontenterà di essere solo un tuo confinante…”
Demelza ribadì a Caroline quello che era il suo pensiero. Aveva amato molto Ross, ma anche Hugh le aveva toccato il cuore. Era ancora troppo scossa dagli ultimi avvenimenti per pensare con serenità ad una nuova relazione. Lo stesso, probabilmente, doveva dirsi per Ross, la cui priorità in quel momento era il bene del figlioletto, che sarebbe stato turbato dall’ingresso repentino di una nuova donna nella vita del padre.
Caroline le fece notare che non poteva interpretare i desideri di Ross senza avere un colloquio con lui e che dopo tutto quello che c’era stato tra di loro sarebbe stato un bene affrontare l’argomento. Demelza replicò che sapeva bene che quel confronto, presto o tardi, ci sarebbe stato, ma al momento non se la sentiva di costruire il proprio futuro sulle macerie del matrimonio di Ross, conclusosi in maniera così tragica.
“In ogni caso, per l’acquisto di Trenwith bisogna prima parlarne con George Warleggan. In passato era intenzionato a  vendere, ma bisogna conoscere quali sono le sue condizioni. Ammesso che l’affare possa andare in porto, prima di concluderlo vorrei chiedere a Ross come regolarmi, anche con sua cugina Verity – disse la rossa – se riscatto l’intera proprietà, dovrei rimborsare la quota che era della signora Verity…“
Caroline replicò che probabilmente la cugina di Ross non aveva alcuna pretesa su Trenwith, essendosi trasferita da molti anni altrove; inoltre la casa era stata perduta per effetto della dissennata gestione del fratello, che aveva travolto anche la sua parte di eredità. Aggiunse poi : “Non credo che dovrai parlare della questione con George Warleggan, ma con suo zio Cary. Vedi, non ti ho raccontato proprio tutto riguardo alla fine di Elizabeth…”
Ciò che Demelza ancora non sapeva, e che Caroline provvide a raccontarle, è che George aveva patito serie conseguenze dopo la morte di Elizabeth.
Sulle prime sembrava non aver accusato il colpo. Era fuggito da codardo insieme al reverendo Odgers, rifugiandosi in carrozza e correndo all’impazzata verso Killewarren, aveva interrotto la cena di Dwight pregandolo di recarsi di corsa a Nampara, poi aveva fatto ritorno a Trenwith, senza sincerarsi delle condizioni della donna che si era gettata nel fuoco a causa sua. Si era chiuso in camera, aveva chiuso la porta a chiave ed era crollato sui guanciali, scoppiando a piangere disperatamente.
Non riusciva a togliersi dalla testa il momento immediatamente precedente la corsa di Elizabeth tra le fiamme: quello sguardo così triste, così disperato, ma anche così rassegnato che gli aveva rivolto… allora la donna non fingeva, era davvero impazzita! Lui si era preso gioco di lei, le aveva sottratto in una maniera insensibile e crudele l’unico scopo che la teneva in vita, dandole il colpo di grazia! Le sue intenzioni non erano cattive, George solo cercava delle risposte che potessero lenire il dolore che gli straziava il petto: la bambina che era morta era anche figlia sua. George, a dispetto di tutto, aveva amato intensamente Elizabeth; ma l’amore non ricambiato e la delusione a volte inducono a compiere gesti estremi…Non voleva farle del male, solo far sì che la donna si assumesse le sue responsabilità per l’accaduto. Invece Elizabeth era morta a causa sua, ed in che maniera orribile! Arsa viva come una strega sul rogo, senza che né lui né Ross potessero tenderle una mano di aiuto.
Dopo aver trascorso una notte insonne, il mattino seguente George aveva inviato Tom Harris in giro a prendere informazioni e così avuto la conferma di ciò che già sospettava: Elizabeth non era sopravvissuta. Era stato per giorni e giorni chiuso in camera, senza mangiare, senza dormire, rifiutando qualsiasi contatto umano; suo zio, preoccupatissimo, aveva mandato a chiamare il dottor Enys, ma George lo aveva mandato via urlando a gran voce che non aveva bisogno di nessun medico perché non era malato.
Il peggio è che Ross aveva lasciato correre, non aveva voluto indagare sul suo ruolo nella vicenda, non gli aveva chiesto né per quale motivo si trovasse a Nampara né cosa avesse detto ad Elizabeth e per quale motivo ella fosse finita tra le fiamme. Non sapeva se si trattava di una decisione definitiva o semplicemente Ross fosse preso da altri pensieri in quel momento; eppure lo tormentava il pensiero che in fondo Poldark aveva avuto ragione, a differenza sua, sulla pazzia di Elizabeth. Il suo antico rivale gli era sempre stato davanti in tutto, a scuola come nella vita: per censo, per brillantezza di spirito, nella considerazione dei più. Il fatto stesso che Ross non cercasse vendetta, comprendendo che in quella vicenda non c’erano vincitori ma soltanto vinti, era un ulteriore segno della sua superiorità; tanta generosità e sensibilità, doti in cui Warleggan era carente, non potevano che fargli ribollire il sangue. Forse avrebbe preferito che Ross lo sfidasse a duello e lo uccidesse, una buona volta, per smettere di soffrire in quel modo.
Qualche giorno dopo lo trovarono in una vasca da bagno colma d’acqua, con i polsi tagliati: George aveva tentato il suicidio. Riuscirono a salvarlo in tempo, ma Enys disse che per la sua incolumità doveva essere ricoverato per qualche tempo in una casa di cura per malati mentali.
Fu così che Demelza, per parlare di Trenwith, dovette scrivere una missiva a Cary Warleggan, che si occupava degli affari del nipote nelle more della sua guarigione. Quella casa si era rivelata maledetta, non erano riusciti a trovare nessun acquirente in quei due anni, così Cary pensò che non era il caso di fare troppo gli schizzinosi; benchè considerasse con estremo snobismo la vedova di Armitage,  una semplice sguattera di paese, quando Demelza, ad anno nuovo, si presentò in banca a Truro e gli offrì il doppio del prezzo che all’epoca era stato versato per acquistarla all’asta, lo zio di George non ci pensò su due volte. Fu così che Julia Carne diventò unica proprietaria della storica dimora dei Poldark. 
Trovandosi a Truro per la stipula, Demelza aveva deciso di alloggiare per una notte in una locanda. Non aveva condotto Julia con sé, affidandola per qualche giorno alle cure della bambinaia a Londra. Il giorno successivo voleva recarsi a Trenwith e dare disposizioni alla servitù in vista del suo trasloco, che intendeva attuare il mese successivo; probabilmente avrebbe dovuto incontrare anche Ross, e questo la metteva in grande agitazione. In ogni caso, pensò la rossa, la decisione di tornare in Cornovaglia era presa e non si poteva mutare idea; c’era però ancora una questione da risolvere: suo padre.
Era andata via dalla Cornovaglia a causa sua, e nonostante lui aveva deciso di tornare. Sentiva che, se voleva che la permanenza sua e di sua figlia a Trenwith fosse serena, vi erano alcuni aspetti da mettere in chiaro con il predicatore Carne.
Così Demelza si recò a Illugan. Superò l’imbarazzo nel sentirsi osservata dai suoi vecchi compaesani mentre scendeva dalla carrozza nel suo lungo ed elegante abito scuro e bussò alla porta della casa di suo padre.
L’uomo, trovandosela inaspettatamente dinanzi, restò a bocca aperta, ma poi dovette cedere alla richiesta della giovane di farla entrare. Vi erano tre dei suoi fratelli più piccoli in casa, e la bambina che Tom Carne aveva generato con la seconda moglie. Quest’ultima prese la piccola in braccio ed invitò anche i tre figliastri a lasciare padre e figlia soli, comprendendo l’importanza del dialogo che stavano per avere. Lanciò uno sguardo poco confortante a Demelza, che tuttavia non si lasciò intimidire. Suo padre era cocciuto ed irragionevole, ma questa volta avrebbe dovuto ascoltarla.

 

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Capitolo 31
*** cap. 31 ***


“Immagino che siate sorpreso di vedermi.” – fu la prima frase che Demelza pronunciò per rompere l’imbarazzante silenzio che si era venuto a creare nella stanza una volta rimasti soli.
Suo padre alzò il mento come per scrutarla meglio, quasi facesse fatica a rintracciare sua figlia nella elegante dama che gli si parava di fronte. Spostò un paio di seggiole dal tavolo, ne spolverò il sedile con la mano - come se volesse sincerarsi che non vi fossero sporco o briciole - e ne porse una a Demelza, facendole cenno di sedersi. Lui fece altrettanto. “Non mi sarei mai aspettato di rivederti qui, dal momento che sei diventata una persona così importante - le rispose calcando la voce su quella parola – come puoi vedere, noi invece siamo rimasti gente semplice, ma in pace con la nostra coscienza e con Dio….”
“E cosa vi fare pensare che io invece non lo sia?” – sbottò la ragazza. Si era ripromessa di non cogliere le provocazioni, ma sapeva ancor prima di arrivare che discutere con quell’uomo non sarebbe stato facile.
Suo padre fece un risolino. “Dovrei essere contento per te, vedendoti risollevata dalla miseria in cui sei nata e vissuta; invece sono profondamente amareggiato! Sostieni di essere in pace con la tua coscienza e con Nostro Signore, ma a che prezzo hai ottenuto tutto ciò che possiedi ora, figlia mia? Hai dovuto vendere il tuo corpo in cambio del denaro e di una posizione… e già in precedenza eri sprofondata nel peccato, fornicando e generando una figlia nella colpa! Se tu fossi venuta qui perché pentita, con il desiderio di redimerti, non potrei che gioirne; in caso contrario, devo chiederti di abbandonare questa casa, povera ma onorata, una volta per tutte!”
Demelza lo guardò con un misto di rabbia e compatimento. Alla fine decise che l’unica arma per ottenere il risultato che si prefiggeva era la chiarezza, per quanto penoso le fosse rievocare certe vicende.
“Non avete capito proprio nulla di me, padre – disse la rossa – siete capace solo di accusarmi per partito preso. La vostra sentenza nei miei confronti è già emessa e forse nulla che io dirò vi farà cambiare idea. Se sono venuta oggi non è perché pretendo che voi comprendiate le mie scelte o per essere accettata; il vostro affetto non l’ho mai avuto e non desidero recuperarlo neppure ora. Sono venuta perché ho deciso di tornare a vivere in Cornovaglia, e poiché l’ultima volta che ci siamo visti, a Killewarren, mi minacciaste di portarmi via la mia bambina ritenendomi una madre indegna, desidererei che fossero ben chiari tra di noi alcuni punti”.
E così Demelza spiegò a suo padre che non aveva commesso alcun adulterio e che Julia, la nipote che non aveva neanche voluto conoscere, non era figlia di un uomo sposato come gli avevano erroneamente riferito. Gli raccontò che quella creatura era stata concepita a seguito di uno stupro e che solo dopo del tempo si era accorta di aspettare un bambino ed aveva deciso di farlo nascere, nonostante tutto.
L’uomo trasalì. “Ti hanno usato violenza? E perché non hai raccontato niente a nessuno? Chi è stato a commettere un simile abominio?”
Demelza frenò l’impeto di duo padre. “Non importa chi sia stato, era una persona di passaggio da queste parti, che non conoscevo e che non ha mai saputo dell’esistenza di Julia. A chi avrei dovuto raccontare qualcosa, a voi? Ma se non vi è mai importato nulla di me… quando me ne sono andata a lavorare provaste sollievo all’avere una bocca in meno da sfamare, vi importava solo che il signor Poldark vi inviasse la quota mensile del mio salario! Avete forse dimenticato che quando ero bambina mi prendevate a cinghiate quando la cena non era pronta, oppure la casa non era abbastanza pulita, o i miei fratellini avevano rotto qualcosa? Io non ho dimenticato, ne porto ancora i segni… non fingete allora di provare pietà per me! L’umiliazione subita per colpa del mio aggressore non è molto diversa da quella ricevuta mille volte in questa casa da voi!”
L’uomo si torse le mani, si strappò i capelli e, inginocchiatosi, implorò perdono dalla figlia, adducendo a sua discolpa il fatto che un tizio che pareva molto bene informato era venuto a raccontargli che sua figlia aveva concupito un uomo sposato ed in conseguenza di questa relazione illegittima era rimasta incinta. Demelza comprese, dalla descrizione che le fece il padre, che quell’uomo era Tom Harris, lo sgherro di George Warleggan, e si domandò che diamine avesse a che fare il banchiere con le sue vicende personali.
Nel frattempo, poiché Tom Carne la aveva offesa con insinuazioni malevole anche a proposito delle sue nozze con Hugh, Demelza tenne a precisare che non aveva nulla di cui vergognarsi: il tenente Armitage le era venuto in soccorso dopo le sue assurde minacce di portarle via Julia, le aveva offerto aiuto e con estrema generosità, sapendo di essere condannato a morire a causa di un male incurabile, le aveva proposto il matrimonio senza pretendere niente in cambio. Non sapeva se il predicatore le avrebbe creduto, comunque gli raccontò una piccola bugia, dichiarando che lei e Hugh avevano vissuto come fratello e sorella fino all’ultimo giorno della loro convivenza. Nascose anche il legame che c’era stato fra lei e Ross Poldark, pur ritenendo che a Sawle doveva esserci stato qualche pettegolezzo in proposito, che poteva essere giunto a suo padre.
Gli spiegò dunque che Julia aveva ereditato la fortuna di Hugh in maniera del tutto lecita, che lei, sua madre, mai aveva rinunciato alla propria dignità ed al proprio onore in cambio di denaro e della posizione sociale che ora occupavano. Aggiunse che il motivo per cui era tornata a Illugan non era rivangare il passato, ma cercare con suo padre una sorta di tregua; gli comunicò che aveva acquistato la tenuta di Trenwith ed aveva intenzione di andarci ad abitare con Julia, desiderava una vita tranquilla ed ora che aveva mezzi adeguati per difendersi non avrebbe tollerato molestie di alcun tipo da parte del genitore. Aggiunse che, se non era possibile dimenticare tutto ciò che c’era stato in passato, se era impensabile una rappacificazione tra di loro, potevano almeno provare a rispettarsi reciprocamente, senza invadere l’uno la vita dell’altra.
Tom Carne si mostrò contrito; disse che era stato il demonio, apparsogli sotto le sembianze di quel tale Harris, ad offuscargli la mente e a creare una frattura insanabile fra sé e Demelza; riconobbe che era stato ingiusto ad accusarla senza sentire le sue ragioni e le comunicò che intendeva rimediare.  Disse che era contento nel sapere che avrebbe abitato a poca distanza da Illugan e chiese a sua figlia se, con il tempo, sempre se non si vergognava troppo di loro, gli avrebbe fatto avere dei contatti con Julia Grace.
Demelza rispose che la bambina era ancora molto piccola, che per lei sarebbe stato già un grosso cambiamento abbandonare la città in cui era vissuta per un anno ed adattarsi alla vita di Trenwith; non si mostrò refrattaria rispetto alla proposta di suo padre, disse che con il tempo forse avrebbe portato sua figlia a conoscere suo nonno e gli zii, purché nessuno di loro mettesse bocca nei suoi metodi educativi o pretendesse di imporre il loro credo alla bambina.
Tom Carne parve sincero quando accompagnò sua figlia alla porta. Si scusò ancor con lei per il suo comportamento passato e recente, la pregò nuovamente di pensare alla proposta che le aveva fatto riguardo alla nipotina e le giurò che non si sarebbe mai più intromesso con arroganza nella sua vita.  Demelza gli fece un ultimo cenno di saluto dalla carrozza con la mano e pensò che tutto sommato fosse andata meno peggio del previsto.
Il giorno seguente, come prestabilito, Demelza fece tappa a Trenwith. Lungo il tragitto osservò i camini fumanti delle miniere e pensò che forse Ross era alla Wheal Grace… gli aveva scritto qualche settimana prima a proposito della sua intenzione di acquistare Trenwith e, come Caroline aveva previsto, il capitano non aveva avuto nulla da obiettare, anzi si era detto lieto che la casa giungesse in mano sua, dopo che la precedente proprietà non aveva mostrato alcun rispetto per la storia della sua famiglia.
Una volta lì Demelza scoprì che George Warleggan aveva licenziato gran parte della servitù che vi lavorava quando lei era a servizio alla tenuta, il che rendeva meno imbarazzante avere rapporti con il personale. Solo qualcuno si ricordava di lei, in particolare il buon vecchio giardiniere con cui aveva condiviso la passione per il verde nelle ore serene in cui accudiva la signora Agatha. George non si era minimamente curato del giardino ed il buon uomo, con i fondi ristretti che il vecchio padrone gli metteva a disposizione, aveva fatto quello che poteva per non far perire le piante più belle. Ora che era arrivata la nuova padrona, conoscendo il suo amore per il giardinaggio, l’uomo si lanciò in progetti ambiziosi, quale un nuovo pergolato di rose, ninfee per il laghetto, una nuovissima varietà di camelia color corallo che aveva visto un giorno al mercato. Demelza sorrise all’entusiasmo del vecchio e per la prima volta toccò con mano cosa voleva dire essere la padrona di quel luogo: poteva farne ciò che voleva. Per un attimo le mancò il fiato.
All’interno della casa, a parte far sparire ogni traccia delle vestigia dei Poldark, George non aveva apportato grossi cambiamenti: il mobilio era quello di un tempo, la suddivisione delle stanze era immutata. Per prima cosa Demelza diede ordine ai domestici di riappendere nel salone i quadri che ritraevano gli antenati dei Poldark, primo fra tutti quello del suo benefattore, il signor Charles, e di sua moglie Mary.
Ad un tratto, mentre scrutava il cortile da una finestra del primo piano, vide apparire al margine del cancello di ingresso un cavallo nero; il suo cavaliere, dalla inconfondibile chioma riccia e scura, con un balzo scese da cavallo, facendo roteare le falde del cappotto scuro che indossava, ed affidò l’animale alle cure dello stalliere.
Che cosa ci faceva Ross lì? Chi lo aveva informato del suo arrivo? Perché era chiaro che non aveva altri motivi per presentarsi a Trenwith se non per lei.
Con il cuore in subbuglio Demelza scese al piano terra. Rivedersi dopo tanti mesi fu un’emozione per entrambi; Ross la salutò con un sobrio baciamano e le spiegò che aveva incontrato il notaio Pearce a cena la sera prima dai Treneglos, che gli aveva dato conferma della avvenuta stipula dell’atto quella stessa mattina. “Ho immaginato che la nuova proprietaria volesse ispezionare subito la tenuta, e così ho deciso di fare un giro da queste parti anche io. Mi mancava troppo questo posto, in cui ultimamente non ero ben accetto…”
Demelza sorrise. “Da ora in poi sarà diverso! – disse; poi, rabbuiandosi un po’, aggiunse: “Sei sicuro, Ross, che non ti secchi che questa casa ora sia mia… cioè di Julia?”
Ross scosse la testa. “Tua figlia è una Poldark – le sussurrò – e questa casa non potrebbe essere in mani migliori. Allora? – aggiunse cambiando tono – che progetti hai? Quando vi trasferirete?”
Demelza gli spiegò che intendeva aspettare almeno un mese; la casa doveva essere ben rinfrescata, vi erano parecchi ambienti in cui non si facevano pulizie da tempo, perché Warleggan non le aveva mai utilizzate; inoltre stava pensando che era una dimora davvero troppo grande per due persone sole; le era quindi venuta l’idea di adibire tre grandi sale al piano terra ad aule scolastiche a beneficio dei bambini del villaggio. Avrebbe potuto lei stessa occuparsi gratuitamente dell’istruzione di quei bambini, mentre i loro padri lavoravano alle miniere… Discussero degli aspetti tecnici per rendere fattibile il progetto e Ross raccontò a Demelza che da qualche tempo aveva acquistato anche la proprietà della Wheal Leisure ed aveva toccato con mano quanta miseria vi fosse tra i minatori, anche se era riuscito ad assumerne parecchi.
Ross le propose di fare un giro della casa, anche per darle qualche consiglio sui lavori da compiere per renderla abitabile. Man mano che perlustravano le stanze Demelza raccontò a Ross del colloquio avuto con suo padre a proposito di Tom Harris e si mostrò meravigliata della intromissione di Warleggan nella propria vita privata, dato che si conoscevano a malapena.
Fu allora che Ross si decise a raccontarle del legame tra George ed Elizabeth, sviluppatosi a sua insaputa, e degli intrighi che avevano coinvolto sua moglie, fino alla sua tragica morte. Mise Demelza al corrente, in particolare, dei sospetti circa la paternità della creatura che Elizabeth aveva partorito senza vita.
Demelza ascoltava incredula le parole di Ross. Per quanto Elizabeth le fosse apparsa sempre come una donna algida e presuntuosa non riusciva a comprendere come avesse potuto convivere con quei terribili segreti, ingannando sia l’uomo che amava sia George. Supponeva che la morte di sua figlia avesse distrutto il suo fragile equilibrio mentale, e che le bugie le si fossero ritorte contro in maniera implacabile. Nonostante tutto, malgrado il fatto che Elizabeth avesse tramato anche contro di lei con la complicità del suo potente amante, non riusciva a non provare pietà per la sua sorte infelice.
Ross le disse pure che non aveva cercato vendetta nei confronti di George e che sentiva di aver fatto la scelta giusta, poiché era stata la stessa coscienza di lui a ribellarsi, facendolo impazzire. Secondo Dwight la sua guarigione non era neppure certa; in fondo, Warleggan aveva ricevuto la sua giusta punizione ed era solo da compatire.  
Ciò che stupì molto Demelza fu la rassegnazione con cui Ross le aveva raccontato quegli avvenimenti. Le sembrava molto diverso dall’uomo irruento e sanguigno che aveva conosciuto.  
“Mi meraviglio che, nonostante tutto ciò che George ti aveva raccontato, tu abbia deciso di non abbandonare Elizabeth …” – gli disse.
Ross increspò le labbra in un sorriso amaro. “Cosa avrei dovuto fare? Se Elizabeth era arrivata al culmine della disperazione, tanto da fare ciò che ha fatto, era anche colpa mia… Non credo di essere stato mai un buon marito per lei. In memoria del sentimento che ci aveva legati mi sono preso cura di lei finché ho potuto… ma non sono riuscito a difenderla da tutto, come ben sai.”
“Deve essere stato terribile per te” – mormorò Demelza accarezzandogli una mano.
“Anche per te affrontare la morte di Hugh, immagino, benché vi fossi preparata”.
Demelza si sentì in imbarazzo a parlare di Hugh con Ross, visto ciò che aveva provato per lui negli ultimi tempi in Yorkshire; si limitò ad annuire vagamente.
Intanto, percorrendo il corridoio del piano superiore, erano giunti davanti a quella che un tempo era stata la stanza di Francis. Demelza si paralizzò improvvisamente.
“Non ce la faccio ad entrare” – disse a Ross.
“Ci sono io con te” – la tranquillizzò l’uomo prendendola per mano. Fu lui a premere la maniglia e a spalancare la porta, scortando la rossa all’interno. Demelza respirò a fondo. Osservò la stanza in penombra e le parve che nulla fosse cambiato da quella calda serata di agosto in cui il figlio del suo padrone, completamente ubriaco, l’aveva scaraventata in terra e le aveva usato la più vile delle violenze. Chiuse gli occhi e tremò al ricordo del fiato di lui sul collo e di quelle mani predatrici sul corpo. Furono altre mani, però, quelle che la strinsero in un delicato abbraccio impedendole di crollare. Ross le baciò teneramente la fronte e la tenne stretta a sé finché Demelza non riacquistò la calma. “Non hai idea di cosa avrei dato per evitare che tu patissi tutto questo. Non possiamo cambiare il passato, purtroppo, ma ti prometto che farò di tutto perché tu non soffra ancora” – le disse.
“Grazie…” – gli sussurrò Demelza, sfilandosi lentamente dal suo abbraccio, ma senza staccare gli occhi da lui.
“Sai cosa ti dico? Questa camera deve completamente cambiare destinazione. Cosa ne dici di trasformarla in una nursery, o in una grande stanza dei giochi tutta colorata? Se tu me lo consenti, in tua assenza, farò cambiare la tappezzeria, portare via i mobili e comprare una piccola libreria e qualche cassapanca da riempire di giocattoli! Julia ne sarà contenta, non trovi?”
Era ammirevole il modo in cui Ross cercava di cancellare il brutto ricordo vissuto da Demelza e di creare nuovi ricordi felici da associare a quel posto.
“Sì Ross, sono d’accordo: ti do il permesso di realizzare una grande stanza dei giochi dalle pareti colorate, esattamente qui dove ci troviamo ora. Ad una condizione però: quando la inaugureremo, dovrà essere presente anche Valentine” – gli rispose.
Il capitano fece un ampio sorriso, ed anche i suoi occhi scuri tornarono a brillare di nuova luce.
“Puoi contarci” – le replicò, arrivando a sentire nel cuore, dopo tanto tempo, un barlume di felicità.

 

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Capitolo 32
*** cap.32 ***


“A mio avviso Ross sta commettendo un grosso errore”.
John Treneglos alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e scrutò sua moglie Ruth, la quale si era appena avventurata in una accalorata discussione sui rapporti tra il loro vicino di casa e la vedova Armitage, che da circa tre mesi abitava la tenuta di Trenwith insieme alla sua bambina.
Alle orecchie di Ruth erano giunte certe voci che davano Ross Poldark quale intimo amico di Demelza Armitage: si scambiavano reciproche visite, i loro bambini giocavano spesso insieme; erano entrambi vedovi di giovane età e per tale ragione qualcuno asseriva che fra di loro non vi fosse una semplice amicizia e che Ross stesse corteggiando la donna. Ruth riteneva attendibile questa notizia - riferitale da una delle sue sorelle, che a sua volta l’aveva appresa tramite pettegolezzi fra domestiche - e stava appunto commentando con il marito l’inopportunità di questa scelta.
John fece spallucce: per carattere era un uomo mite che non amava immischiarsi negli affari altrui, ed in ogni caso non intendeva polemizzare con la moglie. Il suo pensiero era che Ross avesse tutto il diritto di rifarsi una vita, dopo essere rimasto vedovo; d’altra parte, se lo avesse espresso apertamente avrebbe potuto offendere sua moglie, perché equivaleva ad affermare che, a parità di condizioni, lui stesso non avrebbe esitato a consolarsi presto della scomparsa della defunta sposa. Naturale poi che Ruth, che era stata la migliore amica di Elizabeth, provasse disagio nel vederla così rapidamente rimpiazzata da un’altra donna. Per questi motivi John tacque, ma la moglie non era paga di quello scambio di vedute così  breve e, anticipando le obiezioni del marito, proseguì.
“Non nego che Ross abbia il diritto di rifarsi una vita, dopo tutto è ancora molto giovane, attraente, ha un bambino piccolo che necessita di una presenza femminile in casa… ma quella donna! Ti rendi conto? Ha servito come domestica nella casa di cui ora è padrona! Suo padre è un ex minatore, divenuto ora una specie di fanatico predicatore metodista! Mi chiedo come possa entrare a far parte del nostro ambiente senza procurare imbarazzo a chi ne fa parte.”
“In realtà faceva la dama di compagnia a Trenwith, ed era molto giovane, con il tempo avrebbe potuto diventare governante...”- cercò di addolcire la pillola John.
“Era pur sempre una cameriera, John! Non ricordi che al pranzo di Natale cui fummo invitati dai Poldark serviva a tavola? In ogni caso, anche se si è ripulita sposando un gentiluomo, non è una donna di classe, non è istruita… e poi c’è qualcosa di molto disdicevole nel suo passato. Elizabeth mi aveva raccontato che non era una persona affidabile, era molto leggera, si comportava da svergognata quando Ross era in casa ed aveva abbandonato casa loro perché rimasta incinta…”
“Di Ross?” – trasalì il marito.
“Certo che no! Elizabeth me lo avrebbe detto! E poi Ross ha tanti difetti, ma non è il genere di uomo che non si assume le proprie responsabilità: non avrebbe mai abbandonato quella creatura al suo destino. Quella donna era rimasta incinta di qualcun altro, non so chi fosse, fatto sta che per un periodo sparì dalla circolazione. Pare che sia stata salvata dalla strada da Caroline Penvenen, che la ospitò in casa sua in cambio di assistenza a suo zio, il giudice. Lì conobbe il tenente Armitage, un caro amico d’infanzia di miss Caroline. Probabile che con le sue moine sia riuscita ad incantarlo, fatto sta che lui la sposò ed accettò in casa sua anche la bambina. La scorsa estate il tenente è morto, e ha lasciato tutto alla moglie o alla piccola bastarda, mia sorella non ha saputo precisare… dopo qualche mese – pensa che sfrontata! – ha deciso di acquistare il palazzo in cui lavorò da domestica! Miss Agatha si starà rivoltando nella tomba!”
“A quel che Ross mi diceva, miss Agatha adorava quella ragazza” – commentò John.
Ruth arricciò il naso. Detestava che il marito la contraddicesse.
“E’ un gesto, tra l’altro, molto offensivo nei confronti di Ross. Per quanto le finanze del tuo amico si siano risollevate, quella donna ora possiede la sua dimora di famiglia ed è senz’altro più ricca di lui” – disse.
“Almeno non la si potrà accusare di volersi arricchire alle sue spalle! - commentò con una certa ironia Treneglos – comunque, mia cara, non ho capito bene se è solo Ross a corteggiarla o lei ricambia le sue attenzioni. La tua fonte cosa afferma in proposito?”
“A me è stato detto solo che trascorrono molto tempo insieme”.
“Non è detto che ci sia qualcosa di male. Anche noi siamo vicini di casa di Ross e talvolta ci frequentiamo.”
“Ma è diverso, caro! Da quanti anni i Treneglos e i Poldark sono confinanti? Tu e Ross siete stati soci, i vostri padri erano amici, io ed Elizabeth eravamo amiche… questa donna non conosce nessuno, e, caso strano, la prima persona con cui lega è il vedovo di Elizabeth, che riposi in pace!”
“Si conoscevano già, non dimenticarlo: la vedova Armitage lavorava a Nampara un tempo, dopo che miss Agatha era stata sloggiata da Trenwith… credo che non dovresti giudicare male quella donna per partito preso, Ruth. Bisogna darle tempo. Quali frequentazioni dovrebbe avere? In fondo è ancora a lutto, non ti aspetterai che organizzi un ballo di benvenuto a Trenwith! Magari con la bella stagione ci inviterà tutti per un tè”.
“E noi non ci andremo! – rispose con sdegno Ruth – non sono così disperata da accettare l’invito di una ex cameriera”.
I pettegolezzi giunti alle orecchie di Ruth Treneglos contenevano un fondo di verità. Era vero che da quando Demelza era giunta a Trenwith aveva frequentato abbastanza spesso Ross; ufficialmente ciò era accaduto perché lui sperava che Valentine, attraverso il contatto con la piccola Julia Grace, di un anno più piccola, ritrovasse la spensieratezza perduta. Demelza era stata presentata al bambino come una tata che aveva badato a lui quando era piccolo, di cui Valentine ovviamente non ricordava nulla, ma che era entrata con gentilezza a far parte della sua vita. Valentine aveva accolto Julia con un po’ di diffidenza, ma poi Demelza era stata capace di coinvolgere entrambi in nuovi, divertenti giochi, soprattutto di esplorazione a contatto con la natura, e si era creato un certo feeling tra lei ed il figlio di Ross. Spesso, se il tempo non era eccessivamente rigido, giocavano in cortile con Garrick, o si avventuravano in passeggiate nel bosco, fino a Nampara. Se faceva troppo freddo restavano a giocare in casa davanti ad una tazza di cioccolata calda.
Era stato buffo, la prima volta in cui Demelza era entrata a Nampara come vedova Armitage, perché Jud e Prudie le avevano fatto un inchino. Demelza era scoppiata a ridere. “Prudie, Jud, non mi riconoscete? Sono io, Demelza!”
L’uomo era rimasto in silenzio, lasciando parlare sua moglie, come sempre.
“Soltanto perché ci conosciamo non vuol dire che non dobbiamo usare le buone maniere. Adesso siete una signora, non più la ragazza che era a servizio qui…. se volete vivere bene da queste parti, è saggio che cominciate a farvi trattare come si conviene soprattutto da chi già vi conosceva!”
Non vi era nulla di offensivo nelle parole di Prudie, anzi la governante di Ross  intendeva essere premurosa nei confronti di Demelza. Conosceva bene le malelingue del posto; in cuor suo sperava che il signore e la ragazza si mettessero insieme, perché quella rossa le era sempre andata a genio e ricordava bene quanto quei due faticassero a nascondere i loro reciproci sentimenti quando era ancora viva la signora Elizabeth. Al tempo stesso padron Ross era un bocconcino troppo succulento per le ragazze nubili di buona famiglia del circondario ed era chiaro che chi si fosse vista scalzata dalla figlia di un minatore di Illugan, ex cameriera, per giunta ragazza madre, non avrebbe esitato a riversarle addosso un fiume di fango.
Questo lo capivano benissimo anche i diretti interessati. Ross non corteggiava apertamente Demelza, anche perché ogni volta che cercava uno spiraglio per affrontare il tema notava che lei restava sulla difensiva o diveniva improvvisamente distante. Non volendo forzare la mano, anche facendo memoria dei consigli di Armitage sul punto, il capitano si ritirava in buon ordine, accontentandosi di poter godere della compagnia di Demelza e di vigilare sul benessere suo e di Julia Grace.
Demelza, dal canto suo, era frenata da tutta una serie di scrupoli che passavano dalla troppo recente vedovanza al timore della reazione della gente, non tanto per sé quanto per Ross. Lei, sulla bocca di tutti, era già finita per aver avuto una figlia fuori dal matrimonio, per aver sposato un uomo d’alto lignaggio e per esserne ora l’agiata vedova. Forse, come diceva Prudie, occorreva del tempo affinchè chi l’aveva conosciuta in una certa veste si abituasse alla sua nuova posizione e l’accettasse. Solo allora avrebbe potuto pensare con serenità ad un futuro come coppia per sé e Ross.
In realtà il capitano non era l’unica persona del vicinato che Demelza frequentava. Oltre a Caroline e Dwight, che spesso andava a trovare a Killewarren, aveva fatto conoscenza con un anziano signore, sir Hugh Bodrugan, vedovo da molti anni; un tipo eccentrico che aveva da sempre una folle attrazione per le donne dai capelli rossi. Sir Hugh aveva incontrato Demelza una volta durante una passeggiata, le aveva raccontato dei suoi trascorsi con Charles Poldark e dopo un paio di discorsi di buon vicinato l’aveva invitata a casa sua a bere un tè. Dopo alcuni rifiuti, poiché il vecchio diventava sempre più insistente Demelza aveva accettato; sir Hugh le aveva mostrato la sua tenuta, il suo allevamento di mucche in particolare, e si era lamentato del fatto che una serie di bestie presentava un problema alla coda che neppure il dottor Choake era stato in grado di risolvere. Demelza gli aveva suggerito di fare un impacco con un particolare tipo di erbe che cresceva nel giardino di Trenwith ed il giorno seguente gliene aveva fatto recapitare un cesto. La cura aveva avuto effetti miracolosi, cosicchè la passione di Bodrugan per Demelza era divenuta smisurata.
Quando lo aveva raccontato a Ross ne avevano riso insieme, e lui in tono scherzoso le aveva chiesto se avesse motivo di essere geloso di sir Hugh; Demelza aveva risposto che avrebbe saputo tenerlo a bada. Quel piccolo episodio divertente era valso a mettere in luce il fatto che i sentimenti di Ross erano immutati ma che era capace di pazientare, cosa che Demelza apprezzava molto.
Man mano che trascorreva il tempo, però, la ritrosia della rossa diventava piuttosto frustrante per Ross. Sapeva benissimo che sir Hugh non aveva alcuna speranza, ma il fatto stesso che un altro uomo osasse fare pensieri arditi sulla donna che amava gli risultava intollerabile. Bodrugan era anziano, ma c’erano molti altri giovani scapoli nella contea, e Demelza era una bellissima, giovane vedova. Pur essendo convinto che lei lo amasse ancora, un cieco timore a volte lo assaliva: le donne erano spesso capaci di scelte bizzarre, e già in passato Demelza aveva messo a tacere i suoi sentimenti per non dare scandalo e non pregiudicare la vita di Ross. Avrebbe gradito che almeno in privato, quando erano da soli, Demelza manifestasse più apertamente ciò che provava per lui. Decise di confidare le sue pene a Dwight, pregandolo di indagare, tramite Caroline, sulle ragioni per cui Demelza fosse così restia a lasciarsi andare. Dwight, senza neppure bisogno di consultare Caroline, rispose che per Demelza non doveva essere facile ritornare nel mondo in cui era cresciuta in un ruolo così diverso e che la paura di commettere passi falsi – tenendo conto soprattutto dell’esito disastroso del primo matrimonio di Ross – doveva essere predominante rispetto al desiderio di trascorrere la vita insieme a lui. Ross queste cose la intuiva, ma sentirsele ribadire dalla voce dell’amico affossava le sue già flebili speranze.
Agli inizi di maggio Ross ricevette un invito da parte del reverendo Odgers a recarsi in chiesa da lui, a suo dire per una questione “delicata e di estrema importanza”. Non aveva molto piacere a rivedere il prete, che gli ricordava il giorno della morte di Elizabeth e la subdola macchinazione per farla incontrare con George a sua insaputa; temette che il reverendo premesse per una nuova donazione per la sua chiesa, ma con sua grande sorpresa scoprì che non era per questioni finanziarie che era stato convocato. In sagrestia, seduta insieme al reverendo, era presente Demelza. Per un istante Ross non credette ai suoi occhi: possibile che Demelza avesse intenzione di fissare la data per il matrimonio? Il sogno ad occhi aperti però finì presto, perché emerse chiaramente che anche Demelza era stata convocata dal sacerdote e non aveva la minima idea della ragione per cui si trovava lì.
Il reverendo pareva più nervoso del solito. Fece un breve preambolo spiegando che il giorno prima era stato al capezzale di un tale mister Johnson di Sawle, cui aveva impartito l’estrema unzione, e che infatti la notte stessa aveva reso l’anima al Creatore. Ross disse che non aveva idea di chi fosse quell’uomo e Odgers rispose che lavorava come becchino, e che era uno dei due che erano stati chiamati a Trenwith per seppellire il cugino Francis quando c’era stata la disgrazia. Johnson in punto di morte, pentitosi dei peccati commessi, aveva raccontato al sacerdote che il giorno in cui erano andati a comporre la salma di Francis, mentre lo staccavano dal cappio al quale si era appeso gli era caduto un foglio dalla giacca; il suo collega lo aveva raccolto e lo aveva poggiato sulla scrivania. Quando però il collega si era distratto, Johnson aveva preso il foglio e se lo era infilato in tasca. L’uomo non era in grado di leggere e aveva soltanto riconosciuto la firma di Francis in calce. Pensando che fosse un testamento, o comunque una lettera in cui Francis prendeva congedo dalla famiglia spiegando le ragioni del suo gesto, aveva deciso di farlo sparire per vendetta, perché a causa del fallimento della Grambler i suoi tre fratelli avevano perso il lavoro. Johnson non sapeva spiegare perché non lo avesse distrutto subito; giunto ora al termine del pellegrinaggio terreno aveva deciso di consegnare quel documento ad un sacerdote affinché ponesse rimedio al suo gesto improvvido.
“Mi perdonerete se l’ho letto, capitano” – mormorò Odgers srotolando il foglio dinanzi agli occhi di Ross e Demelza che, fianco a fianco, ne diedero avida lettura.
2 ottobre 1785
Quando troverete questa lettera sarò certamente già morto… so che stanno per arrivare gli ufficiali giudiziari per arrestarmi, ma io non voglio finire a Bodmin, preferisco togliermi la vita. Per la mia famiglia, dopo quello che sono stato capace di combinare negli ultimi tempi, sarà una liberazione. Ho cercato tutta la vita di convincere mio padre che non fossi un buono a nulla, invece devo riconoscere che non si sbagliava: sono stato la rovina della famiglia Poldark.
Ho commesso molti peccati in vita mia, tutti quelli del decalogo suppongo, omicidio a parte; anzi, anche l’omicidio, considerando che sto per togliermi la vita! So bene che finirò all’inferno, non avendo neppure il tempo di trovare un prete da cui farmi dare l’assoluzione.
Per quello che è possibile, vorrei chiedere perdono a zia Agatha e a Verity per averle messe nella difficile condizione di trovarsi senza casa, ed anche a mio cugino Ross che dovrà prendersi cura di loro a causa della mia sconsideratezza. Sebbene non costituisca una giustificazione, parte delle mie colpe è consistita nel fidarmi troppo di colui che ritenevo un amico: George Warleggan. Se esiste una giustizia, anche non su questa terra, quell’uomo dovrà pagare per il male che mi ha fatto.
Non ho nessun bene materiale di cui dover disporre e nessuna sposa che possa piangermi, né figli. So bene che saranno pochi a conservare un buon ricordo di me. A tale proposito, un pensiero terribile mi rimorde la coscienza: ho compiuto un gesto ignobile nei confronti di una giovane che lavorava in casa nostra, questa estate. La sua unica colpa è stata entrare nella mia stanza quando ero troppo ubriaco e disperato per fermare i miei istinti. Ho rubato l’innocenza di Demelza, la dama di compagnia di zia Agatha, una ragazza buona ed onesta che non lo meritava; ho lasciato che andasse via di casa e ho schernito mio cugino Ross che mi incitava a farmi carico delle conseguenze delle mie azioni. Prego Dio che non ve ne siano state e che Ross e mia zia riescano a ritrovare quella ragazza sana e salva. Qualunque cosa le fosse accaduta a causa del mio comportamento, non riuscirei a sopportarlo, perché sono stato io l’unico responsabile di ciò che è successo. Possa Iddio avere pietà di me peccatore!
Francis Poldark
Demelza prese un fazzoletto per soffiare il naso e nascondere le lacrime che cominciavano a cadere copiose. Anche Ross era commosso dalla lettura degli ultimi pensieri in vita dello scapestrato cugino. Odgers ripiegò il foglio e lo consegnò a Ross. “Al di là dell’aspetto umano e religioso, capitano, poiché ci dà la prova del pentimento del vostro sfortunato parente, penso che la lettera sia di estrema importanza: per questo ho voluto convocarvi entrambi. Voi e la signora Demelza dovreste mostrare la lettera al notaio Pearce. Chissà che non si possa trarne una prova per riconoscere Julia come figlia di Francis Poldark, mettendo a tacere tante lingue biforcute che gettano veleno ai danni di quella povera creatura.”
“Nel modo più assoluto, no! – disse Demelza alzandosi in piedi e lasciando di stucco i due uomini – Non fraintendetemi: sono lieta che Francis abbia provato vergogna di ciò che aveva fatto e provo sollievo al pensiero che intendeva chiedermi perdono e si preoccupava della mia sorte, ma non voglio che Julia assuma il cognome di un padre che non ha mai conosciuto e che non sapeva neppure della sua esistenza. Anche Hugh, mio marito, intendeva riconoscerla come sua, e non ho mai voluto. Il cognome di Julia resterà il mio, Carne.”
“Ma, Demelza, prova a riflettere…” – tentò di dire Ross, ottenendo soltanto il risultato di far irrigidire ancora di più la donna. La rincorse fuori della chiesa, dove si era precipitata piantando in asso lui ed il parroco di Sawle, ma quando giunse fuori era già salita in carrozza. Ross poté solamente seguirla con lo sguardo andare via, provando per l’ennesima volta la frustrazione di sentirla lontana da sé, fisicamente e con il cuore.

 

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Capitolo 33
*** cap. 33 ***


Quando Ross rientrò in sacrestia il reverendo Odgers era profondamente mortificato. Si scusò per aver preso – lui di solito così timoroso e cauto – quell’iniziativa che doveva aver inquietato Demelza, vista la maniera in cui era fuggita. Ross cercò di minimizzare, anzi disse al reverendo che aveva fatto bene ad organizzare quell’incontro e che era normale che la signora fosse turbata; si fece consegnare la lettera di Francis, se la mise in tasca e si fece giurare da Odgers che avrebbe mantenuto la massima discrezione sul suo contenuto. Salì poi in sella a Seamus e cavalcò a spron battuto fino a Truro. Arrivato lì si recò allo studio del notaio Pearce e gli mostrò la carta. La risposta del legale fu che quella lettera – in cui non si ipotizzava neppure che un figlio potesse essere in arrivo – dal punto di vista giuridico non aveva alcun valore per un riconoscimento postumo di Julia. Dopo il colloquio con Pearce, mentre faceva ritorno a Nampara Ross pensò irritato che il battibecco con Demelza era sorto per nulla. Rifletteva intanto su come comportarsi con lei.  Doveva andare a parlarle? Lasciare che sbollisse la rabbia e fosse lei a cercarlo? Se la rossa avesse saputo che aveva cercato Pearce senza nemmeno consultarla si sarebbero creati ulteriori dissapori tra di loro. D’altra parte Ross era impulsivo per natura; aveva cercato a lungo di moderare quel tratto del suo carattere, ma adesso era stanco di usare tatto e diplomazia. La questione del cognome della bambina nascondeva un problema più grande. Ross quella donna la voleva, e non solo come amica. Era inutile fingere che gli bastasse starle vicino e assicurarle protezione; la amava con tutto se stesso, voleva sposarla e che anche la bambina facesse parte della sua famiglia. Julia, in una maniera o l’altra, avrebbe dovuto chiamarsi Poldark. Ross era anche disposto a riconoscerla, se la lettera di Francis non aveva valore legale: ma come avrebbe accettato la cosa Demelza? Il giovane capitano cominciava ad essere infastidito da quell’atteggiamento prudente, a tratti sfuggente, della ragazza, che da quando era tornata in Cornovaglia non gli aveva più parlato di amore, come se nulla fosse cambiato. Ross non capiva se ciò dipendeva da semplici scrupoli o da un vero e proprio ripensamento; in ogni caso, era stanco di vivere nel dubbio. Se i progetti di vita di Demelza non includevano lui, era giusto che glielo dicesse chiaro e tondo una volta per tutte.
La prospettiva di tornare a Nampara e trascorrere una notte insonne ad arrovellarsi sull’accaduto non lo allettava. Sebbene fosse molto tardi l’istinto lo portò a svoltare in direzione di Trenwith. La notte era piuttosto scura ed il vento gli sferzava il volto, mentre galoppava nel bosco. Giunto nei pressi della casa rallentò l’andatura e cercò di scorgere, a distanza, se vi fossero finestre accese. Ross notò solo una luce fioca nei pressi dell’ingresso di servizio: forse qualche domestico era ancora nelle cucine. Dovevano essere le dieci di sera, non era certo orario per visite; forse era il caso di tornare l’indomani per parlare con Demelza, se non voleva mettere in allarme tutta la casa. Mentre Ross rifletteva sul da farsi un rumore sordo squarciò l’aria e l’uomo sentì un tremendo bruciore alla spalla destra. Istintivamente se la toccò con la mano opposta, che ritrasse sporca di sangue; cadde in ginocchio dal dolore, realizzando che era appena stato ferito da un’arma da fuoco. Mentre si lamentava accasciato al suolo sentì avvicinarsi gli zoccoli di un cavallo ed in breve un uomo vestito con una giubba rossa e bianca gli fu di fianco.
“Capitano Poldark, siete voi! Maledizione! Che ci fate qui a quest’ora?”
“Mc Neil…”- rantolò Ross, mentre l’altro gli tamponava la ferita con un fazzoletto. L’uomo che aveva sparato, di origine scozzese, era da qualche mese il nuovo capitano delle guardie della contea. Aveva una trentina d’anni - all’incirca l’età di Ross - gli occhi verdi, i capelli scuri legati in un codino ed un paio di baffetti che gli conferivano un aspetto sornione. Si era messo in evidenza nella guerra americana, al pari di Ross, che però apparteneva ad un diverso battaglione. Al ritorno in Inghilterra il re lo aveva insignito, per meriti in battaglia, del titolo di capitano; successivamente si era stabilito in Cornovaglia ed aveva assunto l’incarico di tutelare l’ordine pubblico nella zona di Sawle e dintorni.
“Ho sparato temendo si trattasse di un malintenzionato – cercò di giustificarsi Mc Neil - Eravate acquattato tra le fronde, osservando la casa con fare circospetto; nel buio non vi ho riconosciuto, chi poteva mai andare a pensare… Abbiamo avuto parecchi assalti di briganti da queste parti, nei giorni scorsi, e stiamo facendo delle ronde… la signora Armitage vive sola, in una ricca dimora, ed è la preda ideale per questi delinquenti. Mi sono sentito in dovere di assicurarle personalmente protezione. Ma ora venite dentro, bisogna curare la ferita. Non dovrebbe essere profonda, ma va estratto il proiettile, altrimenti si infetterà”.
Mc Neil bussò con forza all’uscio di servizio e con l’aiuto di un paio di domestici portò Ross all’interno della tenuta. Una cameriera andò a chiamare Demelza, la quale era già in camera da letto al piano di sopra. Nel corridoio, benchè fosse provato dal dolore alla spalla, Ross colse una parte del dialogo tra Mc Neil e Demelza e comprese che la padrona di casa era irritata con lo scozzese, le cui intenzioni nei suoi confronti andavano ben oltre l’assolvimento di doveri di polizia. “Potevate ucciderlo, vi rendete conto? Se questo è il sostegno che volete offrirmi, ne faccio volentieri a meno…- gli diceva la donna, mentre l’altro balbettava inutili scuse – vi ho detto e ripetuto in varie occasioni che questa casa è sicura: abbiamo porte e finestre al piano terra che di notte vengono sprangate ed una marea di domestici in grado di difendermi. Piuttosto, se volete davvero rendervi utile, andate a chiamare il dottor Enys a Killewarren: non c’è tempo da perdere. Nel frattempo cercherò di tenere pulita la ferita. Non è il caso di riportare il capitano Poldark a Nampara nelle sue condizioni, resterà qui per questa notte.”
Fu così che Ross, sopra una lettiga improvvisata, fu portato al piano superiore, nella camera degli ospiti di fianco a quella di Demelza. Due camerieri gli tolsero giacca, stivali e pantaloni, lo adagiarono con cautela sui guanciali mentre la padrona di casa dava istruzioni per far bollire l’acqua e preparare delle pezzuole di lino per pulire la ferita. Quando Ross la vide entrare era in veste da camera, con i capelli legati in una treccia, evidentemente pronta per coricarsi. “Mi spiace arrecarti tanto disturbo…” – le sussurrò.
Lei gli si avvicinò e gli carezzò la fronte, asciugandogli il sudore con un panno. “Quale disturbo… Dwight sarà qui a momenti e si prenderà cura di te. Quell’imbecille! Se penso che poteva ammazzarti…- disse riferendosi a Mc Neil – ma perché ti trovavi a Trenwith a quest’ora, Ross?”
“Volevo parlarti, ma adesso non sono in condizioni di discutere…” – concluse lui sofferente, mentre lei annuiva con il capo e provava a scoprirgli la spalla per esaminare meglio lo squarcio causato dallo sparo.
“Sarà necessario toglierti la camicia per farti medicare – gli disse Demelza – pensi di farcela?”
Ross, pur a fatica, annuì, e Demelza gli slacciò la camicia, cercando delicatamente di sfilare prima la manica sinistra e poi quella destra, passando dal capo. La donna provò poi a detergere con i panni strizzati nell’acqua bollente i grumi di sangue dalla spalla ferita, mentre il torace dell’uomo sussultava ritmicamente, sia per la reazione al dolore che per l’affanno crescente nel respirare.
Per fortuna Dwight, arrivato poco dopo, sentenziò che il proiettile non era andato in profondità e non aveva leso alcun osso. Demelza coraggiosamente volle essere presente alle operazioni di estrazione della pallottola, ma prima congedò bruscamente Mc Neil, dicendogli che aveva già fatto abbastanza danni per quella sera ed invitandolo a non girare più armato di notte nei pressi della sua abitazione. Verso mezzanotte Dwight terminò la fasciatura alla spalla di Ross, raccolse tutti i suoi ferri e tornò a Killewarren, poiché Demelza gli promise che si sarebbe presa cura lei sul ferito, ancora intontito sotto gli effetti del laudano.
Il mattino dopo, quando Ross aprì gli occhi, scorse la rossa coricata di fianco a lui. Doveva essersi addormentata dopo averlo vegliato tutta la notte. Era così bella alla tenue luce del mattino… con la mano sinistra le sfiorò una guancia, ma la lievissima rotazione del busto che aveva dovuto compiere per quel gesto gli provocò un gemito di dolore alla spalla ferita. Demelza si riscosse dal sonno e si preoccupò di saggiare la temperatura della fronte del ferito e di chiedere come si sentisse. Ross rispose che stava bene, non aveva febbre, solo la gola secca, e per questo le chiese un bicchiere d’acqua. Mentre Demelza provvedeva a versargli da bere gli spiegò che Dwight aveva garantito che sarebbe stato di ritorno in mattinata per controllare che la fasciatura fosse pulita; lo informò che già la notte prima aveva mandato un messaggio ai Paynter per tranquillizzarli circa il suo mancato ritorno a Nampara ed aggiunse che era opportuno che Ross restasse a Trenwith fino a quando non sarebbe stato in grado di muoversi.
“Del resto tu sei abituata a prenderti cura di invalidi” – commentò Ross con una battuta infelice, alla quale Demelza reagì male. “Non capisco per quale motivo devi offendere la memoria di Hugh, ed indirettamente anche me”.
“Hai ragione. Nessuno osi macchiare il ricordo del tuo perfetto primo marito! Mi domando se vuoi farmi pagare più il fatto di non essere come lui o il fatto di essere cugino di Francis”.
Demelza rispose che Ross era ingiusto e si augurava che quelle farneticazioni fossero solo frutto della sofferenza per la ferita e non di una meditazione più profonda.
Ross colse la palla al balzo per dirle che era venuto a discutere proprio di quello la notte precedente. Le disse che i sentimenti che provava per lei non erano un mistero già da quando erano in vita Elizabeth e Hugh, che la amava e desiderava passare la vita insieme a lei. Adesso che entrambi erano liberi e nient’altro era di ostacolo alla loro unione era stupito del fatto che lei non avesse più nemmeno sfiorato l’argomento.
“Ieri poi, con Odgers, hai avuto una reazione eccessiva all’idea che Julia potesse assumere il cognome Poldark. Che cos’è che ti dà più fastidio? Pensare che è il cognome dell’uomo che ti ha rovinato la vita? Rifiuteresti quel cognome anche se fossi io a darglielo? Io sono diverso da mio cugino, Demelza… non potrei mai farti del male, e sarei felice di poter trattare Julia come una figlia! Quanto a Hugh, non ho mai nascosto di esserne geloso, sia per quello che c’è stato tra voi, sia perché, nonostante sia morto, tu continui a venerarlo come un santo! Io non sono perfetto, Demelza, sono quello che sono: un uomo pieno di difetti e contraddizioni, ma che ti ama da impazzire e sarebbe capace di dare la vita per te!”
 “Non ti ho mai paragonato a Francis – rispose lei - e neppure a Hugh. Ti ho sempre apprezzato per ciò che sei e conosci quali sono i miei sentimenti per te, Ross. Ci sono vari motivi per cui non ti ho incoraggiato da quando ci siamo ritrovati; ho preferito non parlartene pensando che non li avresti capiti fino in fondo, né condivisi”.
“Potrei almeno provarci, se me ne rendessi partecipe” – la incoraggiò Ross.
Demelza si sedette sul bordo del letto ed iniziò a parlare.
“Sei stato tu stesso a dirmi che hai deciso di sposare Elizabeth di impulso appena tornato dalla guerra pensando che fosse la donna della tua vita, il tuo unico, perfetto ed intoccabile amore: nonostante il sentimento così forte che vi legava sappiamo entrambi com’è andata a finire. Aspetta, non interrompermi – fece lei, vedendo che Ross smaniava per intervenire nel discorso e porre obiezioni – Adesso dici di essere innamorato di me, ma quanto possiamo dire di conoscerci davvero, Ross? Siamo certi che fra di noi funzionerà e che l’amore che ci lega non si spegnerà come un fuoco fatuo alla prima difficoltà? Siamo molto diversi, proveniamo da ambienti diversi, ed anche se ora sono una persona agiata, se fossi tua moglie ti creerei una miriade di problemi; sono una donna chiacchierata, mentre tu appartieni ad una delle famiglie più illustri del luogo. Quanto a Julia, so bene che un domani, fra una quindicina d’anni, quando sarà in età da marito, un cognome onorato potrebbe assicurarle un futuro migliore, ma su quali basi dovrebbe chiamarsi Poldark? Non voglio che sappia in quali circostanze è stata concepita, quella notizia non deve trapelare, e non voglio neppure che tu la riconosca come tua figlia: significherebbe confessare un adulterio mai avvenuto, e non è giusto né per Elizabeth, né per te ed il tuo buon nome”.
“D’accordo, lasciamo fuori la questione di Julia per un attimo – riprese Ross – ma trovo assurdo che tu paragoni la nostra situazione e quella tra me ed Elizabeth. Quando decisi di sposarla ero un giovane scapestrato ed impulsivo, innamorato di un’idea più che di una persona, che in fin dei conti non avevo mai conosciuto davvero. Io e te non ci siamo mai frequentati in veste ufficiale, per dire così, ma ci conosciamo da tanto… tre, quattro anni? Mi sembra un tempo sufficiente a capire una persona, il suo modo di vivere e di pensare. Se vuoi attendere che si compia un anno dal lutto, come si conviene, posso capirlo, ma non trovare altre scuse, perché dell’apparenza e delle opinioni della gente non mi è mai importato nulla. Sposarti per me non sarebbe motivo di scandalo o di vergogna, ma un onore immenso. L’unica cosa da capire – il resto sono dettagli insignificanti – è se tu mi ami al punto di accettare di diventare mia moglie”.
Demelza non rispose subito.  “Prima di dare una risposta a questa domanda c’è dell’altro che hai il diritto di sapere ….”
Un tocco alla porta interruppe quella conversazione. Il maggiordomo venne ad avvisare Demelza che erano arrivati gli operai per i lavori alla scuola ed era richiesta la sua presenza al piano inferiore.
Ross le lanciò uno sguardo accorato, ma non si poteva fare diversamente. Demelza doveva dedicarsi alle sue incombenze di padrona di casa, e dare le dovute attenzioni anche a Julia, che non vedeva dalla sera prima. Nonostante quindi la rossa gli avesse promesso di tornare il prima possibile, Ross non la rivide per molte ore. Fu il povero Dwight, oltre a medicarlo, a dover raccogliere il suo sfogo. Il medico consigliò all’amico di pazientare, ma Ross era arrabbiato, deluso e stanco. Il suo sesto senso gli suggeriva che la titubanza di Demelza avesse qualcosa a che fare con Armitage. Dwight gli somministrò dell’altro laudano, così da calmare sia lo stato d’animo che il dolore per la ferita.
Quando Demelza rientrò nella camera di Ross era ora di cena; recava infatti lei stessa un vassoio con un piatto di minestra calda. Aiutò l’uomo a mettersi seduto sul letto e lo imboccò, dato che il suo braccio destro era fuori uso. Riuscì anche a smorzare con un sorriso le resistenze di Ross, che recitava la parte dell’offeso e dichiarava con orgoglio di voler fare da solo, servendosi della mano sinistra.
Appena ebbe finito gli asciugò delicatamente le labbra con un tovagliolo, lo ripose sul comodino e lo fissò negli occhi. “Hai ragione a pretendere una spiegazione, Ross. Voglio essere completamente sincera con te, poi potrai fare le tue valutazioni.”
“Ti ascolto”.
Demelza fece un sospiro. “Mi sono innamorata di te appena ti ho conosciuto. Era come se una forza irrazionale mi calamitasse verso di te, e più cercavo di allontanarmi più mi spingeva nuovamente nella tua direzione. Ma è inutile che ti ripeta queste cose, considerato che ne hai avuto una dimostrazione evidente la notte che ti intrufolasti in camera mia a Londra”.
“Cosa è cambiato da allora?” – saltò subito al sodo Ross.
“Nel periodo in cui ho vissuto con Hugh – proseguì Demelza – in un primo momento ho provato una profonda gratitudine nei suoi confronti, dell’affetto sincero, fraterno; anche queste sono cose di cui sei già al corrente… man mano però che vivevo accanto a lui scoprivo un nuovo modo di relazionarmi con un uomo. Un modo che mi piaceva… fino ad allora avevo conosciuto l’amore solo attraverso la passione che provavo per te, ricambiata, ma Hugh mi ha fatto sentire per la prima volta nella vita meritevole di  attenzioni, tenerezze, considerazione per ciò che sono… in breve, mi ha fatto sentire amata.
“Anche io avrei potuto darti tutto questo, se solo…”
“Lasciami finire! Ecco perché dico che non avresti capito! Il fatto è che in un certo qual modo mi sono ritrovata a provare qualcosa per Hugh, un certo non so che, cui non so dare un nome, di intensità diversa da ciò che provavo per te, ma sufficiente a farmi dubitare di me stessa… perché vedi, avevo sempre creduto che nella vita potesse esistere un unico vero e grande amore. Quando Elizabeth è morta, e anche Hugh, ho immaginato che mi avresti fatto questa proposta, ma sapendo quanto avevi già sofferto a causa di un matrimonio sbagliato ho cercato di prendere del tempo , volevo capire se potevo essere davvero capace di renderti felice come meriti. Per questo ho cercato di non illuderti troppo, negli ultimi mesi, con l’unico risultato di apparirti fredda e scostante”.
“Demelza – disse Ross prendendole le mani fra le sue  – Io ho amato molto Elizabeth, tu hai amato Hugh, forse più di quanto avessi sinora immaginato; questi sentimenti fanno parte di noi, ma nel passato: a me interessa il presente. Non chiederti se sei capace di amarmi: amami e basta! Nessun rapporto è privo di momenti di sofferenza e difficoltà; io non voglio vivere un amore da favola, chiedo solo di trascorrere la vita accanto a te, ognuno con le sue imperfezioni, abbandonando le paure e mettendo in gioco il nostro cuore giorno dopo giorno. Tu sei disposta a farlo? Solo questa è la risposta che devi darmi.”
Demelza gli strinse a sua volta le mani. “Ross caro! – esclamò - C’è un’ultima cosa che stavo cercando di dirti. I dubbi di cui ti parlavo, sulla nostra storia, mi hanno accompagnato a lungo; ma quando ieri notte ti ho visto ferito, quando ho pensato che se Mc Neil avesse mirato un po’ più a destra il colpo di pistola avrebbe potuto attingerti al cuore, che avrei potuto perderti, io… io finalmente ho capito che….”
“Che cosa?” – domandò Ross.
Mentre due lacrime le rigavano il viso, Demelza rispose: “Che Hugh ha potuto sfiorare il mio cuore, ma tu, e soltanto tu, l’hai sempre posseduto. Io ti amo, Ross Poldark, e se sei disposto a scommettere su noi due, allora lo farò anch’io… non vedo l’ora di diventare tua moglie!”
“Oh, Demelza… mi hai reso talmente felice!” – disse Ross, ghermendola con il braccio sano ed attirandola a sé, mentre le loro labbra si univano in un bacio da troppo tempo anelato da entrambi, che ogni istante diveniva più esigente, tanto era il desiderio che avevano l’una dell’altro.
“Sei crudele – le sussurrò tra un bacio e l’altro– proprio adesso che non posso muovermi….”
“Tu no, Ross. Ma io sì….” – gli rispose maliziosa, mentre il suo uomo le affondava le dita nella chioma ramata, pregustando l’estasi che di lì a poco, ne era certo, sarebbe arrivata.

 

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Capitolo 34
*** cap.34 ***


La luce del mattino li sorprese addormentati l’uno di fianco all’altra, le gambe nude intrecciate fra le lenzuola, la testa di Demelza poggiata sulla spalla illesa di Ross, la mano di lui sul fianco di lei come a sancirne il possesso. Uno spiraglio di luce che filtrava dal balcone interruppe il riposo dei due innamorati; appena i loro occhi si furono riabituati al chiarore del giorno si guardarono e sorrisero felici.
“Allora non è stato un sogno” – sussurrò Ross percorrendo il contorno delle labbra di lei con un dito.
“No, Ross. È tutto vero!” – rispose Demelza baciandolo con dolcezza.
Dopo essersi beati di reciproche tenerezze, Demelza si stiracchiò dicendo che era ormai ora di alzarsi. Allungò un braccio per riprendere i propri abiti, lasciati sul comodino la sera prima, ma Ross cercò di sfilare via con un gesto rapido il lenzuolo che la ricopriva. Demelza tirò le coltri a sé ribellandosi. “Girati, Ross, non voglio che mi guardi. Mi vergogno, e poi non sta bene fare certe cose quando è giorno”.
“E questo chi lo dice? – protestò Ross – tu sei bellissima, ed io voglio poterti guardare in ogni istante, amare in ogni istante.”
“Non mi trovo affatto bella. Se guardassi la mia pelle alla luce del mattino scopriresti che non è bianca e liscia come quella delle gentildonne che non hanno mai fatto altro nella vita che ricamare e suonare l’arpa; sulla mia schiena troveresti  le cicatrici lasciate dalle cinghiate di mio padre quando ero bambina. Inoltre non amo stare a letto fino a tardi ad oziare quando c’è tanto da fare in casa.” – concluse Demelza.
Ross la strinse a sé e le disse: “Ascoltami bene: nessuna dama potrà mai eguagliare ciò che tu rappresenti per me. Credo di essermi innamorato di te dal primo istante, quando eri solo la dama di compagnia di zia Agatha, e ciò che mi ha colpito non era tanto l’aspetto esteriore, ma quello che hai dentro. Ti ammiro per ciò che sei e ciò che fai, amo ogni cosa di te, anche le tue cicatrici e la tua storia, perché se non ci fossero state non saresti ciò che sei adesso. Non voglio sentire più dalle tue labbra queste insicurezze. Ti voglio esattamente come sei, e non chiedo altro che svegliarmi accanto a te tutti i giorni d’ora in poi. Anzi, come ci vogliamo organizzare: ti trasferisci tu a Nampara o io qui a Trenwith?”
Demelza raffreddò l’entusiasmo di Ross. “Non corriamo troppo – gli disse, recuperando nel frattempo qualche indumento per ricoprirsi – non possiamo iniziare a convivere da un giorno all’altro, bisogna far abituare i bambini con gradualità a questo cambiamento. E poi per le nozze voglio aspettare almeno il prossimo autunno. Elizabeth e Hugh sono morti da meno di un anno…”
“D’accordo, ma non voglio dover fingere che tra di noi non ci sia nulla - rispose lui - Voglio ufficializzare la nostra relazione in pubblico, presentarti come mia promessa sposa e poterti venire a trovare ogni volta che lo desidero. Di giorno e di notte”.
Demelza arrossì. Aveva la sensazione che le potesse scoppiare il cuore di gioia. Ross era così bello, innamorato, passionale, che le faceva mancare il fiato. Anche lei non desiderava altro che averlo accanto per sempre; tuttavia, mentre si rivestiva, gli disse che desiderava rendere partecipi della loro felicità Dwight e Caroline, i loro più cari amici, e solo dopo anche tutti gli altri. Per il come ed il quando, ne avrebbero riparlato con calma.
Ross la attirò a sé per un ultimo bacio, poi scoppiò a ridere. “Se penso che di tutto questo devo ringraziare Mc Neil…” suscitando a sua volta le risa di Demelza.
“Mi spieghi esattamente che cosa vuole da te? – le chiese Ross – è un altro lumacone che ti fa la corte?”
“Credo che Mc Neil sia molto convinto del fascino dell’uniforme e delle sue doti amatorie - rispose la rossa - È il tipico uomo che ritiene di poter avere tutte le donne ai suoi piedi, ma il suo modo di fare con me non attacca. Credo di avergli fatto capire in tutti i modi che non aveva speranze da quel punto di vista, ma come hai potuto constatare continuava a gironzolarmi intorno con la scusa delle ronde notturne. Dopo che ti ha ridotto in questo stato ho abbandonato ogni diplomazia e l’ho trattato in maniera davvero pessima… penso che abbia capito, finalmente, e spero che non si faccia vedere più nei dintorni!”
“Un altro innamorato cui hai spezzato il cuore , dopo sir Hugh Bodrugan – a queste parole Demelza rise di gusto– cielo, non vedo l’ora di poter dire a tutti che sei mia, solo mia. Sai quante invidie attirerò….Vieni qui  “- e la baciò con passione.
“Sì, Ross, sono solo tua, per sempre” – gli rispose.
Mentre Demelza si dedicava alle incombenze giornaliere a Ross fu servito da una cameriera il vassoio con la colazione. Mangiò con appetito, rinvigorito dal chiarimento con Demelza e dalla notte appena trascorsa in sua compagnia.
In mattinata ricevette la visita di Jud, venuto a sincerarsi delle condizioni del padrone. Il servitore gli raccontò che tutti i suoi amici della miniera, Zachy e i Daniels in testa, oltre a parecchia gente del villaggio erano pronti ad armarsi di mazze e forconi per dare una bella lezione al capitano Mc Neil, ma Ross gli ordinò di non commettere sciocchezze, si era trattato solo di un incidente. Gli chiese piuttosto come stesse Valentine e Jud gli rispose che era tutto sotto controllo: Prudie gli aveva raccontato che il papà era andato a Truro per lavoro e che sarebbe tornato presto.
“La signora Demelza mi ha proposto di portarlo qui tra qualche giorno, appena potrete alzarvi in piedi. Mi ha dato anche dei biscotti da portare a Nampara. È una ragazza d’oro, non capisco che diavolo state aspettando a sposarla!”
Ross rimproverò il suo domestico rammentandogli che non doveva impicciarsi di affari che non lo riguardavano; in cuor suo però era felice come una pasqua per come si erano messe le cose con Demelza. Rispettò il suo desiderio di riservatezza: avrebbero comunicato insieme a Prudie e Jud, al momento opportuno, quale piega aveva preso il loro rapporto. 
Nel pomeriggio ricevette invece la visita degli Enys. Caroline, con il pancione di otto mesi ormai ben evidente, appena seppe cosa era accaduto si congratulò con i suoi migliori amici, conservando la sua solita vena ironica.
“Era ora! Avevo scommesso con Dwight che vi sareste fidanzati prima della nascita del nostro bambino, ma stavo seriamente perdendo le speranze! Quella testona della mia amica, così brava a consigliare gli altri  a seguire il loro cuore, quando si è trattato di lei stessa ha osservato i tempi di gestazione di un elefante!”
Dwight sorseggiava un bicchierino di porto in silenzio, ridendo sotto i baffi. Dal primo momento in cui aveva medicato Ross ferito e percepito l’apprensione di Demelza per il suo amico aveva capito che non le sarebbe stato più possibile soffocare i sentimenti che nutriva per Ross; conoscendo bene le difficoltà che entrambi avevano dovuto affrontare in passato, non poteva esserne più lieto.
Caroline aggiunse che pretendeva che l’annuncio ufficiale del loro fidanzamento venisse fatto a Killewarren, nel corso di un ricevimento che si offrì di organizzare per la fine del mese: non troppo in là, per evitare che il marmocchio li costringesse a cambiare programma.
Ross era al settimo cielo; Demelza, più titubante, disse che occorreva spiegare tutto ai bambini e che in ogni caso avrebbe gradito divulgare la notizia soltanto ai conoscenti più stretti, senza annunci in pompa magna, tanto la notizia si sarebbe comunque diffusa nei dintorni grazie ai pettegolezzi della gente.
Ross trascorse altri due giorni a Trenwith prima di essere in grado di rialzarsi, ed ovviamente due notti in cui Demelza rimase a dormire al suo fianco. Dopo essere stati travolti dalla passione in maniera quasi inaspettata la rossa però mise in chiaro con il suo compagno che non era prudente che quei loro incontri notturni producessero subito frutti: se già era complicato gestire i commenti che sarebbero conseguiti alla notizia del loro fidanzamento, ancor più lo sarebbe stato se Demelza fosse rimasta incinta prima del tempo. Una seconda gravidanza senza essere sposata avrebbe costituito la conferma che si trattava di una donna di facili costumi, incapace di tenere a freno i propri istinti ed indegna del casato dei Poldark. Inaspettatamente Ross si dimostrò coscienzioso: era completamente d’accordo, non avrebbe mai voluto che Demelza si venisse a trovare in una simile situazione. Promise che avrebbe tenuto a freno i suoi ardori il più possibile, e per il resto si poteva chiedere consiglio a Dwight su qualche metodo empirico per evitare gravidanze indesiderate.   
Arrivò la metà di maggio; essendosi Ross ristabilito, per festeggiare il secondo compleanno di Julia si decise di organizzare una merenda sulla spiaggia di Hendrawna.
Il calesse di Ross, guidato da Jud, aveva condotto sulla spiaggia Ross, Demelza, i due bambini e Prudie, la quale stese un paio di vecchie tovaglie sulla sabbia e vi sistemò sopra un grosso cesto carico di vivande, preparate direttamente da Demelza e dalle sue cuoche a Trenwith.
Ross aveva ancora la spalla fasciata, sebbene non gli facesse più male; dopo aver passeggiato sulla riva tenendo per mano suo figlio , mentre Demelza faceva altrettanto con Julia, lasciarono che i bambini giocassero da soli, sotto lo sguardo vigile di Prudie, mentre loro due si rilassavano sulla spiaggia, assaporando le squisite pietanze realizzate con la collaborazione di Demelza .
Valentine era insolitamente euforico: correva avanti e indietro sulla battigia, raccoglieva ora una conchiglia, ora un sasso, ora un pezzetto di legno trasportato dalla marea e periodicamente tornava da Ross gridandogli: “papà, papà, guarda!” e gli mostrava il suo fantastico reperto. Dopo che questo rituale andava avanti da un po’ Julia cominciò a trotterellare dietro a Valentine; lo osservava scavare tra la sabbia, correre da suo padre e riceverne le lodi. Allora cominciò ad imitarlo, mettendo le manine tra la sabbia e cercando anche lei qualcosa di interessante da portare a sua madre per farglielo ammirare. Demelza però, quando le veniva portato un sassolino o una conchiglia, si limitava a ringraziare e a sorridere con dolcezza; Ross era molto più attivo: faceva progetti di costruzioni insieme a Valentine e gli dava istruzioni, chiedendo di portargli pezzi di legno o sassi di determinate dimensioni, richieste che erano sempre più difficili, tanto che Valentine e Prudie dovevano spingersi in punti sempre più lontani per trovare quelle cose…. Dopo essere rimasta in silenzio ad osservarli anche Julia decise di prendere parte al gioco. Andò a raccogliere dei sassi e dei legnetti, facendosi aiutare da Prudie per trasportarli nelle falde del grembiule, poi corse dove era seduto Ross con sua madre, prese i suoi tesori e li pose sulla sabbia proprio accanto a lui. Lo tirò per la manica per attirare la sua attenzione e ripeté a sua volta ciò che aveva sentito tante volte dire da Valentine: “papà, papà, guadda!”. Poiché nessuno le rispondeva lo ripeté nuovamente, più forte: Guadda qua, papà!”
Tutti rimasero in silenzio. Ross guardò Demelza imbambolato, mentre Valentine, più rapido degli adulti, spinse Julia di lato, allontanandola da Ross e, puntandole contro il dito indice con fare minaccioso le disse: “Non è papà tuo. È solo mio!”
La bambina, che aveva ripetuto innocentemente e senza malizia ciò che aveva sentito dire dal compagno di giochi, vedendosi trattata in quella maniera brusca scoppiò a piangere; Ross allora alzò la voce e mortificò Valentine, rimproverandolo per come si era comportato; Demelza cercava di consolare sua figlia ed anche Valentine, che nel frattempo era scoppiato in lacrime per la ramanzina del padre.
Mentre entrambi i bambini frignavano per rabbia e per stanchezza, mentre Ross e Demelza, impreparati di fronte ad una situazione che non sapevano come fronteggiare, cercavano di parlare ciascuno con il rispettivo figlio, Prudie tolse tutti dall’imbarazzo: afferrò i due bambini per un braccio, si chinò alla loro altezza, li fissò negli occhi e con tono deciso disse:
“Adesso basta capricci, tutti e due! Statemi bene a sentire: Valentine non ha più la mamma, mentre Julia non ha il papà. Non sarebbe bello forse vivere tutti insieme come una vera famiglia? Signorino, dico a te, che sei il più grande: il tuo papà vuole molto bene alla sua mamma, e la signora Demelza ne vuole a lui! Che male c’è se anche Julia chiama padron Ross papà? Sta togliendo qualcosa a te? Tuo padre non ti vorrà meno bene per questo! E a te non piacerebbe avere una mamma bella e dolce come la signora Demelza , che ti legga le favole la sera, prima di andare a fare la nanna?”
“Io una mamma ce l’avevo già…” – rispose Valentine incupendosi.
Fu Demelza che intervenne a quel punto.
“Valentine, io non voglio prendere il posto della tua mamma. Lei sarà sempre presente nel tuo cuore e nei tuoi ricordi, ma, se tu me lo permetterai, ti starò accanto e mi prenderò cura di te come farebbe Elizabeth se fosse viva”.
“Anche Julia aveva un papà – aggiunse Ross – ma è volato in cielo prima che lei nascesse e così non lo ha mai conosciuto. Ti ho spiegato che a volte le persone grandi muoiono… è successo al papà di Julia e alla tua mamma, sono morti molto presto, anche se erano giovani.  Se io e Demelza ci sposiamo, saremo tutti parte di un’unica grande famiglia, e voi avrete un papà e una mamma, come tutti gli altri bambini”.
Valentine guardò suo padre, tirando in su con il naso che ancora gli colava dal pianto. Guardò poi Julia, che probabilmente non aveva compreso molto di quel discorso. Lui, però, una cosa importante l’aveva capita. Quella bambina non sapeva nemmeno cosa fosse un papà, forse per quello aveva voluto prendere in prestito il suo. Valentine aveva ancora paura che arrivasse qualcuno a portargli via i suoi affetti, come era accaduto con Elizabeth, ma pensò che non sarebbe stata quella piccoletta dai capelli biondi e gli occhi verdi a farlo. In fondo anche lei avrebbe dovuto condividere la sua mamma con un altro bambino. Poteva essere bello, come aveva detto Prudie: bastava solo provare. Si avvicinò a Julia e la prese per mano, poi si fermarono tutti e due davanti a Ross.
“Scusa, Julia, per averti urlato prima – disse Valentine, lasciando che suo padre sentisse – hai trovato dei bei sassetti. Se vuoi, puoi costruire una miniera con me e papà. Il mio papà, che adesso è un po’ anche il tuo.”
Julia annuì e prese per mano Ross e Valentine, mentre Prudie si asciugava gli occhi con il grembiule. Demelza quasi non riusciva a vedere la scena, tanto aveva gli occhi offuscati dalle lacrime. Prima di dedicarsi ai bambini Ross le depositò un bacio sulla fronte e le sussurrò: “Hai visto? A volte le difficoltà sembrano più grandi di quelle che sono …”
Demelza sorrise. Strinse Prudie in un sincero abbraccio; le sue parole, così semplici e dirette, avevano sciolto il primo nodo. Rimase ad osservare Ross e i bambini giocare, poi si unì a loro, alla sua famiglia. Sembrava strano dirlo, anche solo immaginarlo, ma quello sarebbero stati d’ora in poi: una vera famiglia.

 

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Capitolo 35
*** cap 35 ***


Pochi giorni dopo la gita in spiaggia Ross andò a trovare Demelza e la pregò di accompagnarlo alla Wheal Leisure, perché aveva bisogno di un consiglio. La donna acconsentì, sebbene quella richiesta la meravigliasse molto: che cosa poteva saperne lei del funzionamento di una miniera? La sua competenza sull’argomento si limitava ad aver avuto un padre minatore e ad aver partorito alla Wheal Grace! In ogni caso, si fece sellare il cavallo e seguì Ross fino alla vecchia miniera di Joshua Poldark, quella di cui il figlio era riuscito a rientrare in possesso sottraendola a Warleggan prima che questi perdesse il lume della ragione.
Appena giunti lì Ross e Demelza furono accolti da Zacky Martin, che Ross aveva promosso capitano in considerazione della lunga esperienza maturata alla Grace. Zacky era un uomo riservato, di poche parole, cui  bastò un solo sguardo per capire che la signora in visita doveva avere un posto molto speciale nel cuore di Ross. In realtà non era la prima volta che la vedeva, sapeva bene chi fosse e si ricordava quanto fosse allarmata il giorno in cui c’era stato il crollo che aveva rischiato di uccidere Ross alla Wheal Grace. Quella rossa aveva un sorriso franco ed una innata gentilezza verso il prossimo; accanto a lei il suo vecchio amico e datore di lavoro era sereno come quasi mai lo aveva visto prima; tanto fu sufficiente perché Zacky esprimesse in cuor suo un giudizio ampiamente positivo sull’accompagnatrice di Ross.
Zacky srotolò sul tavolo la mappa della miniera ed illustrò a Ross e Demelza le difficoltà che si erano manifestate durante gli ultimi scavi. In particolare nella zona più ad ovest, che confinava con altra proprietà, era stato impossibile proseguire perché gli strati più bassi erano completamente invasi dall’acqua. Era probabile che vi fosse una falda acquifera sotterranea che, essendo la miniera adiacente inattiva, si era via via alimentata nel corso degli anni fino a sconfinare appunto in direzione della Leisure. Zacky era dell’opinione che si dovesse prendere a noleggio una pompa, aspirare il grosso dell’acqua e fare una ispezione accurata per verificare se la zona liberata dall’acqua era ricca o meno di materiale. La pompa però era un marchingegno molto costoso e nulla assicurava che una volta sostenuti i costi per il noleggio lo stagno estratto avrebbe ripagato le spese. Del resto era proprio questa la la ragione per cui Warleggan non vi  aveva mai investito denaro e si era accontentato dell’estrazione negli strati superficiali.
Ross aveva un’altra opinione, che passò ad esporre a Zacky e Demelza: una possibile soluzione alternativa per aggirare il problema consisteva nello scavare un cunicolo laterale, verso la miniera confinante, creare un collegamento con i cunicoli di quella, provare a far defluire il corso dell’acqua o drenarla mediante l’immissione di terreno proveniente da quella parte.  Questa soluzione però presentava due ordini di rischi: quello statico, perché si sarebbero indebolite le fondamenta della Leisure scavando un cunicolo ulteriore, e quello legale, perché si sarebbe andati ad invadere una proprietà altrui senza autorizzazione. Purtroppo, spiegò Ross, non era possibile contattare i proprietari della miniera Cattler e chiedere loro il permesso di accedere dal loro lato, in quanto da anni la miniera era chiusa, gli eredi dei vecchi proprietari risiedevano fuori della Cornovaglia, nessuno li conosceva e non avevano lasciato recapiti.
Demelza si rese conto che Ross non desiderava un consiglio, ma condividere una preoccupazione con la donna che amava: e non era forse anche questo, l’amore? Visto che era stata consultata, volle comunque esprimere la sua opinione: gli attuali proprietari della miniera Cattler non si erano mai curati di quei beni e neppure sarebbero mai venuti a sapere dello scavo, che comunque non avrebbe arrecato loro alcun danno, perchè la miniera era inutilizzata: dunque, perché preoccuparsi? Zacky spiegò che in teoria era così, ma in pratica chiunque avrebbe potuto accusare Ross di violazione della altrui proprietà privata sollecitando un intervento delle guardie; gli scavi non sarebbero certo stati completati in una sola giornata, non potevano passare inosservati, e le invidie umane rappresentavano un fattore imponderabile. “Per quanto Ross sia benvoluto in zona, signora, è sempre meglio non rischiare” – sentenziò Zacky.
Demelza domandò come fosse possibile che nessuno della zona avesse contatti con i proprietari della vecchia Wheal Cattler. Ross rispose che la miniera era chiusa da ben prima che lui nascesse e né suo padre né suo zio avevano mai incontrato gli eredi dell’ultimo proprietario. Demelza, considerata l’età di Joshua e Charles, pensò che l’unico confinante del luogo che potesse fornire notizie in proposito fosse sir Bodrugan. “Andrò a parlare con sir Hugh – disse, mentre Ross le scagliava un’occhiataccia, al pensiero di quel vecchio satiro che concupiva la sua donna – e cercherò di appurare qualcosa”. Salutò Zacky, che ricambiò il saluto con deferenza, ammiratissimo dell’intraprendenza ed intelligenza di quella ragazza. Eh sì, questa volta il capitano Poldark aveva al suo fianco una compagna degna di questo nome!
Uscita all’aperto per recuperare il suo cavallo Demelza rischiò quasi di scontrarsi con un giovane minatore che trasportava un secchio di frammenti di roccia. All’atto di scambiarsi un cenno di reciproche scuse Demelza incrociò gli occhi verdi del giovane ricoperto di fuliggine, scoprendo inaspettatamente che lo conosceva.
“Sam??? Sei proprio tu? Lavori qui?”
“Sì – le rispose il maggiore dei suoi fratelli – lavoro qui da un paio di settimane. Ho dovuto farlo, perché nostro padre sta molto male e non ho trovato nessun impiego ad Illugan. Sapevo che Poldark stava assumendo gente, e così… Drake invece sta lavorando come garzone presso la bottega di un fabbro a Sawle, e Robert e Simon presso un ciabattino di Illugan. Tutti dobbiamo darci da fare in questo frangente”.
Demelza gli domandò quanto gravi fossero le condizioni di Tom Carne ed il fratello le rispose che il padre aveva una tosse che gli squassava il petto e che derivava, probabilmente, dai lunghi anni di esposizione alle esalazioni di carbone. Demelza gli chiese se un medico lo aveva visitato e Sam rispose che era noto che il dottor Choake non accettava di curare gratis la povera gente. Demelza si infuriò: perché non l’avevano cercata, per lei il denaro non era un problema! Aggiunse anche che si fidava più del dottor Enys che di Thomas Choake, Dwight era un suo caro amico e non avrebbe preteso alcun compenso.
Mentre discutevano sopraggiunse Ross; Demelza gli presentò suo fratello, cui disse di aspettarsi molto presto una visita del dottor Enys. Quando riferì a Ross l’esito di quel colloquio Demelza era molto turbata, e lui ne comprese bene la ragione. “Cosa pensi che dovrei fare, Ross?” – gli domandò.
“Quello che il cuore ti suggerisce; ma, conoscendoti, credo che se non andassi a trovare tuo padre e poi accadesse l’irreparabile non ti daresti pace” – le rispose stringendole forte le mani fra le sue. Avrebbe voluto tanto abbracciarla, ma sapeva bene che Demelza non avrebbe gradito quel gesto dinanzi a tutti i suoi lavoranti, Sam in primis.
La aiutò a salire in sella e la vide andare via a cavallo. Demelza tornò a Trenwith con uno struggimento nel cuore. Aveva sempre teso a rimandare quel momento, ma se suo padre era davvero in gravi condizioni era giunta l’ora di condurre la piccola Julia verso le sue origini finora sconosciute.
Il giorno dopo una piccola comitiva composta da Dwight, Ross, Demelza e Julia, a bordo del calesse di Ross - per evitare di utilizzare la carrozza e dare nell’occhio nel piccolo borgo - si mise in viaggio verso Illugan.
Giunti nei pressi della casupola dei Carne Ross disse che sarebbe rimasto ad attendere poco distante, apparendogli più complicato giustificare la sua presenza rispetto a stare in disparte in attesa che avessero concluso la visita. Dwight, Demelza e la bambina bussarono alla porta e furono ricevuti dalla moglie del predicatore. Sam doveva aver riferito del colloquio avuto con la sorella il giorno precedente, perché la donna non si mostrò troppo stupita di quell’arrivo, pur manifestando una certa diffidenza e quasi fastidio per quell’irruzione. Accompagnò il medico al capezzale del marito mentre Julia, attaccata alla gonna della mamma, osservava con circospezione quella casa buia, disadorna, poco pulita, con persone vestite molto più miseramente di quelle che era abituata ad avere intorno. In attesa che il dottore visitasse il malato, che si trovava nell’unica stanza più interna dell’abitazione, Demelza si trattenne accanto al focolare, dove la sua sorellastra – una bambina poco più grande di Julia – rimestava in una ciotola con un cucchiaio di legno.
“Come ti chiami?” - le domandò, riflettendo che non conosceva neppure il suo nome.
“Faith” – rispose la bambina, chiudendosi poi in un ostinato mutismo, nonostante i tentativi di Demelza di instaurare un dialogo.
“Non è abituata a dare confidenza agli estranei” - spiegò sua madre  rientrando in cucina.
“Ma io non sono propriamente un’estranea, e potreste spiegarglielo” – soggiunse Demelza.
“Avete scelto di esserlo, fino a poco tempo fa – disse la donna – e forse sarebbe meglio per tutti se continuassimo a condurre vite separate. Noi siamo gente semplice, e non vorrei che la vostra presenza inculcasse strane idee agli abitanti di questa casa… è noto che il demone del denaro e del lusso può condurre alla rovina le giovani menti. I vostri fratelli si stanno impegnando duramente per sostentare la famiglia, hanno compreso il valore del sudore e della fatica; non vorrei che si rammollissero pensando alla vostra ricchezza come mezzo più semplice per risolvere i problemi. Sam mi ha riferito che vi siete offerta di pagare le cure di Tom… vi siete presentata con quel dottore, ma non ce ne era alcun bisogno… non mi piace sentirmi in debito.”
“Non c’è nessun debito, signora, si tratta di mio padre – aggiunse Demelza risentita - Volete forse impedirmi di venirlo a trovare?”
“Questo no – rispose la matrigna scuotendo la testa – visitare gli ammalati è un’opera di carità, e penso che vedervi potrebbe essere di conforto al mio povero marito. Vorrei solo che non vi faceste strane idee sui rapporti da mantenere con noi. Capite bene che sarà impossibile per noi frequentare casa vostra, e per tale ragione sarebbe prudente fare altrettanto, visto che casa nostra è ormai inadeguata ad accogliere una persona del vostro rango!”
Demelza avrebbe voluto replicare che lei era una di loro ed il suo nuovo status non aveva modificato le sue convinzioni ed i suoi valori, né pensava di voler comprare l’affetto dei propri fratelli con il denaro; ma mentre la matrigna esponeva le sue convinzioni Julia e Faith, incuranti di quei discorsi, avevano preso a giocare insieme con del pentolame, fingendo di cucinare della zuppa d’avena e di dar da mangiare a dei pupazzetti di stoffa. Zia e nipote, ignare del legame che le univa, si trastullavano con quei miseri oggetti e si divertivano come due monelle qualsiasi della loro età.
“Spiegatelo a loro che è meglio non frequentarci” – disse Demelza volgendo lo sguardo verso le due bambine; poi, ritenendo inutile continuare la conversazione, piantò in asso la matrigna, dirigendosi verso la stanza del padre.
Al capezzale dell’uomo vi erano Sam e Drake, il primo ed il quarto dei suoi fratelli maschi. Dwight aveva terminato la visita e disse che Tom non era in fin di vita, ma che d’ora in poi avrebbe dovuto curare molto di più l’alimentazione, evitare sforzi e stravizi e riposare il più possibile. I fratelli, soprattutto Sam, reagirono con orgoglioso sdegno all’offerta di aiuto economico da parte di Demelza per l’acquisto di generi alimentari: ce l’avrebbero fatta da soli, come avevano fatto sempre fino a quel momento. A nulla valsero le obiezioni di Demelza, sostenuta anche da Dwight, che cercava di far riflettere i due giovani sulla necessità di mettere da parte l’orgoglio, visto che si trattava della salute del loro padre e che Demelza voleva offrire il suo contributo, senza per questo volerli offendere.
Prima di andare via Demelza portò Julia nella stanza del padre, e per un attimo il nonno carezzò la testa della bambina, che vedeva per la prima volta. Julia però scoppiò in lacrime, sia per la brutta cera del vecchio che per le caratteristiche poco confortevoli dell’ambiente in cui era stata appena introdotta. Solo Drake mostrò un po’ di empatia verso la bambina, facendole dei buffetti sulla guancia e cercando di distrarla con una trottola del loro fratello più piccolo, che giaceva dimenticata in un angolo della stanza.
Non essendovi ragione di trattenersi più a lungo, Demelza scambiò un rapido saluto con suo padre, augurandogli di rimettersi quanto prima, altrettanto rapidamente salutò i suoi fratelli e la matrigna e si lasciò alle spalle la sua vecchia casa, delusa dal complessivo esito di quell’incontro. Rimase rabbuiata per tutto il viaggio di ritorno. Julia le si era addormentata sulle ginocchia, ed aveva la scusa, per non parlare, di non voler disturbare il suo sonno; Dwight si era limitato a riferire a Ross in che condizioni aveva trovato Tom Carne, ma era stato piuttosto avaro di parole sulle reazioni delle persone che erano in casa; dalla ruga che aggrottava la fronte di Demelza Ross aveva compreso che non era andato tutto secondo le sue aspettative. Evitò, per il momento, di investigare più a fondo. Dopo aver accompagnato Dwight a Killewarren, passando nei pressi della tenuta di sir Bodrugan Demelza si ricordò dell’impegno che aveva assunto con Ross e disse che la mattina dopo non avrebbe mancato di portarlo a termine.
“Mi dispiace che tu debba sobbarcarti questo ingrato compito, tanto più dopo la giornata di oggi. Dall’aspetto del tuo viso desumo che non sia stata un’impresa facile” – accennò Ross.
“Già – gli confermò la donna, ed il fatto di essere rimasti soli la invogliò a più ampie confidenze – è stato peggio di quanto mi aspettassi! Il bello è che posso rimproverare solo me stessa… oh, Ross! Sono così amareggiata! Certe volte mi sembra di non sapere più chi sono, chi voglio essere, qual è il mio posto nel mondo!”
“Il tuo posto nel mondo è accanto a me – la rassicurò lui donandole uno dei suoi sguardi profondi e carezzevoli – e mi auguro che Demelza Poldark possa essere più lieta di quanto oggi non sia Demelza Armitage... o Demelza Carne, se preferisci”.
“Demelza Carne non esiste più – sospirò la rossa – quanto a Demelza Armitage… non è la vera me stessa, anche se fa male sentirselo ricordare, come è accaduto oggi! La verità – aggiunse – è che non appartengo più alla mia famiglia: ha ragione la mia matrigna, si è scavato un baratro troppo profondo tra le nostre esistenze; non perché io li disprezzi, ma perché non posso fingere di essere ancora uguale a loro. D’altra parte, non appartengo neppure alla tua classe e a quella di Hugh; sarò sempre guardata, sia dai notabili che dalla gente del popolo, come colei che ha usurpato un ruolo che non le compete. Per gli uni non sarò mai all’altezza, per gli altri sarò una rinnegata… E poi, diciamoci le cose come stanno: posso vestire abiti eleganti, disporre di denaro, avere della servitù cui dare ordini, ma non mi sento a mio agio, mi sembra di recitare un ruolo che non mi si addice…”
“Ascolta, amore mio – disse Ross fermando per un attimo il carro – quando diventerai mia moglie, non mi importa se vestirai abiti eleganti o inviterai le amiche per il tè o organizzerai eventi di beneficenza. Per conto mio, puoi metterti indosso abiti semplici ed un grembiule, chiuderti nella cucina di Nampara con Prudie, dedicarti alla casa ed alla fattoria, se ti aggrada. Voglio solo che tu sia felice… non mi importa di quello che la gente penserà di te, di noi. Se vorrai avere rapporti con i tuoi parenti di Illugan, li avrai, altrimenti, ognuno per la sua strada. Tuo fratello Sam è un ragazzo sveglio ed intelligente, si farà strada alla Leisure, vedrai. Possiamo aiutare anche gli altri tuoi fratelli, se non sono così sciocchi ed orgogliosi da rifiutare per partito preso. La ricchezza non è un male se utilizzata a fin di bene, checché ne dica tuo padre, o sua moglie. E tieni bene a mente ciò che sto per dirti: qualunque scelta tu faccia, dovunque deciderai di vivere, chiunque deciderai di avere come amico, sarai sempre la Demelza sorridente, gentile, capace di dispensare amore intorno a sè, come hai sempre fatto. Questa consapevolezza deve guidarti in ogni scelta, Demelza”.
Demelza gli sorrise malinconica. “Non tutti apprezzano il mio modo di amare, Ross. La moglie di mio padre è stata piuttosto severa con me oggi”.
Ross osservò che era naturale provare diffidenza e, perché no, anche invidia nei confronti di chi era riuscita ad elevarsi dalla miseria. Bisognava anche comprendere che per quella donna non fosse facile accettare che Julia avesse un destino più roseo rispetto a quello della sua bambina, che non aveva alcuna colpa per essere nata in una famiglia indigente.
Demelza concordò con Ross: aveva avuto una reazione infantile nel sentirsi offesa senza mettersi nei panni dell’altra donna. Gli raccontò anche di come Julia e Faith avevano giocato serenamente, a dispetto dei dubbi degli adulti. “I bambini, nella loro semplicità, hanno tanto da insegnarci, Ross”.
Quando giunsero nel cortile di Trenwith aveva il cuore molto più  leggero.
Si diedero appuntamento all’indomani; Ross sollevò Julia dalle gambe di sua madre ed aiutò Demelza a prenderla in braccio per portarla in casa. Mentre gliela porgeva affinchè se la accomodasse bene sulla spalla, Ross intrappolò le labbra della rossa fra le sue in un lungo bacio, poi le sussurrò: “Se qualcun altro può non gradire, sappi che io apprezzo molto il tuo modo di amare…”
“Ed io apprezzo molto il modo in cui mi fai sentire amata…” – gli rispose lei.
“Abituati, perché è ciò che intendo fare d’ora in avanti…”
“Detto così, pare quasi una minaccia!” - rise lei.
“E non dare troppa confidenza a sir Hugh domani!” – le raccomandò prima di risalire a bordo del calesse in direzione Nampara.
Demelza sorrise ancora, e lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava sul sentiero tra i boschi. Ross era decisamente una delle poche certezze della sua vita in quel determinato momento.

 

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Capitolo 36
*** cap. 36 ***


“Signora Armitage! – pigolò Sir Hugh battendo le mani – che piacere vedervi! A che debbo l’onore di questa visita?”
Demelza si accomodò sul sofà sfoggiando il più radioso dei suoi sorrisi e porse a sir Hugh un cestino colmo di more, spiegando che si trattava di primizie colte dal suo giardiniere di cui intendeva fare dono ad un caro vicino di casa.
L’uomo, che era golosissimo, piluccò alcuni frutti, succhiandosi avidamente le punte delle dita imbrattate di viola e, magnificandone il sapore, fece il gesto di imboccare Demelza affinchè ne assaggiasse lei stessa.
“Oh, non posso accettare! – si schernì la rossa– il dottor Enys mi ha assolutamente vietato di mangiarne. Sapete com’è, questo frutto mi provoca dei fastidiosissimi sfoghi sulla pelle…”
“Per carità! Una pelle chiara e delicata come la vostra…” - rispose lo scapolo, approfittando dell’argomento per sfiorare con una morbosa carezza il dorso della mano di Demelza.
Se non fosse stato così invadente con le sue attenzioni inopportune, sir Bodrugan sarebbe stato davvero un buon amico. Era un uomo intelligente, che non si limitava alle apparenze: fin dal primo momento era stato in grado di riconoscere il valore di Demelza senza badare alle sue origini. Una volta le aveva confidato di non essersi mai sposato perché non sopportava l’idea di condividere la vita con una donna capace di fare solo da soprammobile. Lui amava parlare di caccia, della sua fattoria, degli animali e delle colture dell’orto, e in Demelza aveva trovato una interlocutrice ideale; con pazienza lei sopportava i suoi discorsi logorroici, perché a sua volta amava la natura ed era estasiata dagli ampi spazi ben curati della tenuta di sir Hugh, per cui lo accompagnava volentieri in giri di ispezione durante i quali la rossa trovava sempre qualche utile suggerimento da dare al padrone di casa.
Anche le idee politiche di sir Hugh non erano da disprezzare. Una volta avevano avuto di che discutere perché lui si lamentava della caccia di frodo che subiva nella sua tenuta, in particolare di fagiani. Demelza gli aveva fatto osservare che se qualcuno si arrischiava a rubare selvaggina nella terra di un gentiluomo forse agiva per fame e disperazione; sir Hugh aveva però ribattuto che non poteva essere lui a farsi carico del problema della fame e della disoccupazione nella contea, semmai il re o la chiesa. Ne era nata un’animata discussione e Bodrugan aveva rivelato un cinismo minore di quello che la sua precedente affermazione lasciava intendere. Per lui il re avrebbe dovuto personalmente visitare quelle terre e rendersi conto della miseria del popolo, adottando misure che garantissero a tutti un minimo per sopravvivere, facendo cessare le sperequazioni che avevano consentito a gente come Cary Warleggan e suo nipote di acquisire un potere finanziario quasi assoluto, mentre altri non avevano neppure di che sfamarsi. Insomma, sir Hugh era un adulatore, amava le belle donne, ma nel caso di Demelza aveva dimostrato di essere in grado di stimarla non solo per la sua avvenenza, ma per ciò che era, senza pregiudizi.
“Mi fa proprio piacere che siate venuta a trovarmi – commentò sir Hugh quella mattina– sono sempre così solo in questa grande casa! Come immagino siate voi nella vostra… dovremmo vederci più spesso, non credete?”
Demelza piegò le labbra in un sorriso di circostanza, perché non intendeva dargli false speranze; poi, memore dello scopo di quella visita, accennò alla cavalcata fatta il giorno prima fino alla Wheal Leisure e – senza dare ad intendere le mire di Ross e che fosse lui stesso ad averla mandata in avanscoperta – gli chiese se conosceva la storia della Wheal Cattler, essendo rimasta molto meravigliata dal sapere che era una miniera inattiva da decenni.
Sir Bodrugan, scavando nella memoria, rispose che il proprietario di un tempo, un uomo parecchio più vecchio di lui, si chiamava Richard Thompson ed aveva sposato, gli sembrava, una sorella o cugina della madre del capitano Poldark. Un’epidemia di tifo aveva portato via all’improvviso sia la moglie che il loro unico bambino. Da allora Thompson aveva perso la voglia di vivere, aveva chiuso la miniera e si era trasferito a Bath, città di cui era originaria la sua famiglia. Quando era morto, una trentina di anni prima all’incirca, la miniera era passata in eredità ad un nipote, probabilmente un figlio di suo fratello, che a quanto sir Hugh ricordava era venuto un’unica volta a Truro e dopo aver verificato la modestia del lascito se ne era completamente disinteressato.
“Io non so dirvi altro – concluse sir Hugh – ma sicuramente più informato di me è lord Falmouth. Era il padrino di Richard Thompson, se non erro, e a quanto ne so tenne lui tutti i rapporti con l’erede. Si diceva addirittura che si fosse fatto rilasciare una procura per le questioni legate alla Cattler, non potendo l’erede Thompson seguire tutto da Bath. A quanto pare, egli era intenzionato a vendere, ma nessuno era talmente sconsiderato da investire in una miniera che non aveva fatto registrare profitti nemmeno quando era stata attiva. Così nulla è cambiato, da allora… e nulla cambierà, perché se si fosse trattato di un buon affare, ne sono certo, quella volpe di Falmouth avrebbe già agito!”
Quando Demelza raccontò a Ross l’esito di quel colloquio il capitano rimuginò perplesso sull’ultima affermazione di sir Hugh. Anche lui era convinto che un uomo scaltro come lord Falmouth non si sarebbe assunto la responsabilità di una proprietà in disarmo, che non rendeva affatto.
Intanto si avvicinava la data del ricevimento che Caroline aveva organizzato per dare l’annuncio ufficiale del fidanzamento di Ross e Demelza.
Nonostante quest’ultima avesse pregato Caroline di non fare le cose in grande, Killewarren accolse, in quella serata di fine maggio, una ventina di persone oltre ai padroni di casa : Ross e Demelza, Sir Hugh Bodrugan, il banchiere Pascoe e sua figlia, il notaio Pearce, i Treneglos,  i Choake, i Tonkin, il capitano mc Neil, Sir Bassett e signora, il giudice Halse e sua moglie, lord Falmouth.
L’ottima cena fu degustata nel grande salone. Ross era seduto a tavola fra la signora Choake e la giovane Pascoe, mentre Demelza, nella fila opposta, tra Mc Neil e John Treneglos. Quest’ultimo doveva subire ogni tanto gli sguardi in cagnesco della moglie, tremendamente offesa dalla presenza al suo stesso tavolo di quella che riteneva una donnaccia e che ignorava sarebbe stata invitata dagli Enys.
Così, terminata la cena, poco prima che i musicisti iniziassero a suonare, quando Caroline prese la parola comunicando agli astanti la notizia che Demelza Carne - una ragazza adorabile, che era entrata per caso nella sua vita ed era diventata la sua più cara amica - ed il capitano Poldark stavano per sposarsi, Ruth trasecolò. Mentre gli altri commensali si congratulavano con i due fidanzati Ruth restò in silenzio, ma il suo volto era fin troppo eloquente. Avrebbe voluto esprimere a voce il suo disappunto, ma avrebbe dato scandalo in casa d’altri, e per questo si trattenne. Dopo poco però, nonostante il parere contrario del marito (che era la prudenza fatta persona), Ruth decise che doveva dirne quattro a Ross, soprattutto in memoria della cara Elizabeth, anche se sapeva che non sarebbe servito ad impedire quella sciagurata unione. Proprio mentre Ruth prendeva in disparte Ross per esprimergli tutto il suo sdegno Demelza fu avvicinata da sir Hugh in compagnia di lord Falmouth.
Era la prima volta che Demelza lo incontrava: si trattava di un uomo di circa sessant’anni, piuttosto basso, con il volto rugoso ed i capelli grigi legati in un codino secondo la moda tipica del diciottesimo secolo. La cosa più notevole era però il suo sguardo: due occhi scuri guizzanti come furetti e taglienti come lame di un rasoio. Sir Hugh fece le dovute presentazioni e Demelza chinò il capo in cenno di omaggio al potente gentiluomo. Sir Hugh spiegò a lord Falmouth che proprio qualche giorno prima aveva conversato con Demelza a proposito della Cattler e che quindi, casualmente, avevano fatto il suo nome; lord Falmouth commentò che era davvero curioso che una dama si interessasse di argomenti così noiosi; Bodrugan aggiunse che la signora Armitage era una donna fuori dal comune e che era un bene che avesse tali interessi, visto che la fortuna del suo futuro marito si reggeva proprio sull’attività estrattiva! Proprio in quel mentre sopraggiunse il capitano mc Neil che voleva conferire con sir Hugh a proposito delle indagini che stava svolgendo sulla caccia di frodo. I due si allontanarono per continuare a discutere di quella questione riservata, e così Demelza rimase sola con lord Falmouth.
Da quando aveva sposato Hugh Armitage Demelza aveva fatto l’abitudine a serate di gala e a conversazioni con persone di riguardo; eppure la maniera in cui lord Falmouth la osservava, squadrandola da capo a piedi, la metteva molto a disagio. I suoi occhi acuti sembravano voler scandagliare in fondo all’animo della rossa; non era uno sguardo concupiscente come quello di sir Bodrugan, ma era ugualmente imbarazzante. Il gentiluomo intercettò un cameriere che sfilava con un vassoio di bicchierini di brandy e se ne servì, mentre Demelza rispose che non gradiva alcool.
“Mi accompagnereste in giardino? – propose Falmouth – è una così bella serata per godere la frescura della sera…”
Demelza non si poté esimere, altrimenti sarebbe stata scortese; recuperò la sua stola in modo da proteggersi dalla brezza e seguì l’uomo in giardino. Lord Falmouth le disse che sir Hugh gli aveva parlato molto bene di lei e del suo intuito in botanica; le raccontò di una specie particolare di magnolia che cresceva nella sua tenuta a Truro, che arrivava dall’Asia minore e che gli era stata donata da un ambasciatore nel corso di un viaggio diplomatico.
“Vi aspetto prossimamente a palazzo Boscawen, insieme al capitano Poldark, per ammirarla di persona… così potremo anche discutere delle questioni riguardanti la Cattler” – concluse con uno sguardo furbo.
Demelza sobbalzò. Era chiaro che l’uomo, ben più astuto di sir Bodrugan, aveva mangiato la foglia.
“Perché quella faccia meravigliata? Presumo che il vostro interesse per quella miniera esaurita abbia qualcosa a che vedere con il fatto che il vostro futuro marito ha una proprietà a confine … o sbaglio?”
“Siete un uomo troppo intelligente per nascondervi qualcosa, milord – ammise la rossa - Ebbene sì, il mio interesse si lega ad una questione di cui Ross mi ha reso partecipe e che riguarda la Wheal Leisure” – e gli accennò, dal punto di vista tecnico, alle difficoltà che si erano manifestate nella miniera di Ross.
Falmouth soppesò attentamente le parole di Demelza, continuando a passeggiare con le mani conserte dietro la schiena.
“Molto bene – esclamò quando la ragazza ebbe terminato -  comprendo che avere il mio consenso, quale procuratore generale del signor Thompson, per effettuare quello scavo sarebbe di estrema utilità per il capitano Poldark… ma gli affari sono affari, ed ogni transazione commerciale ha un costo… il caro, vecchio principio per cui nessuno fa niente per niente”.
Demelza improvvisamente si pentì di aver parlato. Era stata molto sincera; e se invece Ross non avesse voluto scoprire subito le sue carte? La sua linguaccia poteva compromettere la buona riuscita dell’affare?
Lord Falmouth parve leggerle nel pensiero, perché si affrettò a rassicurarla.
“Il costo cui facevo riferimento, mia cara signora, non è una somma di denaro. Non è mio costume fare speculazioni: il mio rappresentato, il sig. Thompson, sa bene che la sua eredità non vale nulla, e nulla si aspetta di realizzare. Vi chiederete certamente per quale motivo non abbia deciso di dismetterla anni fa; chiamatelo, se volete, sesto senso, ma sentivo che un bel giorno quell’ammasso di pietre e fango mi sarebbe tornato utile! Quello che io vorrei ottenere da Ross Poldark in cambio dell’appoggio incondizionato per tutto ciò che egli intende realizzare alla Wheal Leisure è la risposta affermativa ad una proposta che gli ho fatto l’anno scorso, di cui immagino voi non siate al corrente….”
No, Demelza non ne era al corrente. A maggio dell’anno precedente Ross era tornato dal Portogallo, si erano visti per breve tempo a Londra e poi non aveva saputo più nulla di lui, se non che Elizabeth era morta, a settembre. Si erano riavvicinati ad inizio dell’anno nuovo, quando lei si era trasferita a Trenwith, ma Ross non aveva mai nominato Lord Falmouth, e neppure aveva accennato a qualche questione in sospeso fra di loro pochi giorni prima, dopo che Demelza era stata a casa di sir Hugh.
L’uomo allora le spiegò che era stato per anni membro del Parlamento eletto per il distretto di Truro. Si era occupato di politica fin dalla gioventù, ma l’età non gli consentiva più di ricoprire quella carica; la battaglia politica vissuta in prima persona era snervante, faticosa, richiedeva energie che egli sentiva di non poter garantire; non intendeva uscire dall’agone politico, questo mai, ma preferiva gestire il potere da dietro le quinte. Non aveva avuto figli ed il giovane figlio della sorella, un ammiraglio della Marina che aveva individuato quale suo successore nella carriera parlamentare, era venuto a mancare improvvisamente poco più di un anno prima.
“Mi sono quindi guardato intorno ed ho cercato di individuare un candidato che potesse degnamente sostituirmi: dopo accurata riflessione avevo individuato Ross Poldark. È un uomo di buona famiglia, intelligente, sveglio, spregiudicato al punto giusto, e, cosa più importante, è un uomo capace di attirare su di sé il consenso dei grandi elettori. Non esiste al momento, in tutta la contea, una persona più adatta di lui all’incarico. Eppure il vostro fidanzato è testardo come un mulo: quando l’ho convocato per discuterne a casa mia ha rifiutato con fermezza sollevando un mucchio di obiezioni: problemi con la giustizia in gioventù (che probabilmente non ricorda neppure il magistrato che lo condannò), la gestione delle terre e delle miniere, la gravidanza di sua moglie (che dopo poco, purtroppo, finì come sappiamo) e mille altre scuse che neppure ricordo. Adesso però è tutto cambiato: ho voi come alleata”.
“Se Ross era così fermamente contrario, cosa vi fa credere che io riesca a convincerlo? State pur certo che non lo farà solo per i lavori alla Cattler, troverà un altro modo per aggirare il problema.” – obiettò Demelza.
Gli occhi di Falmouth si ridussero ad una fessura. “Sono d’accordo con voi, non cederà solo per la miniera. Ma la miniera può essere lo spunto per ridiscutere la cosa… soprattutto se a farlo ragionare non ci sarà un vecchio burbero ed autoritario come me, ma una fanciulla graziosa ed intelligente come voi. Ognuno ha il proprio punto debole, signora, e credo di essere nel giusto se dico che voi rappresentate il punto debole del capitano Poldark. Deve avere molto a cuore le vostre opinioni, per avervi coinvolto nella questione della Leisure. Sta a voi mostrargli i lati positivi della faccenda!”
“Che sarebbero?” – chiese Demelza, seccata dell’arroganza di quell’uomo.
“Signora, così offendete le vostre capacità intellettive… chi meglio di voi - avendo conosciuto sia la fame, la miseria, il divario sociale che le incombenze e responsabilità che gravano sulle classi più abbienti – può comprendere l’importanza di avere nei ruoli che contano persone capaci di farsi portavoce delle esigenze sia dei nobili che di chi è meno fortunato? Il vostro cocciuto compagno ha tutti i requisiti per svolgere un buon lavoro per il nostro paese, e se potrà contare sul vostro appoggio, oltre al fatto di poter risolvere il problema che lo affligge alla Leisure, perché non dovrebbe accettare? Tenete presente che anche sir Bassett si sta muovendo per trovare un candidato, e addirittura mi è giunta voce che vorrebbe puntare su Cary Warleggan… rendetevi conto in che mani rischiamo di cadere!”  
Demelza non aggiunse altro. Falmouth era un politico fino al midollo, e sul piano dialettico non c’era modo di tenergli testa. Le stava affidando un compito non da poco, volgendo a proprio vantaggio una situazione spinosa per Ross. Non sapeva quale sarebbe stata la sua reazione alla proposta di Falmouth, ma Demelza era certa  che avrebbe dovuto agire con diplomazia, evitando di parlargliene quella stessa sera. Rientrando dal giardino lo vide infatti, scuro in volto, seduto in poltrona a sorseggiare un brandy dopo il colloquio avuto con Ruth Treneglos.
“Tutto bene?” – gli chiese. Lui, fingendo, assentì. Non era il caso di rivelarle le sgradevoli considerazioni sul suo conto espresse dalla migliore amica di Elizabeth. Ross avrebbe avuto tanta voglia di sbattere in faccia a Ruth che Julia non aveva usurpato proprio nulla e che nelle sue vene scorreva il sangue dei Poldark, ma si era trattenuto in quanto non poteva tradire il segreto di Demelza. Per la prima volta aveva toccato con mano cosa volesse dire sfidare le convenzioni del tempo sposando una ex dama di compagnia.
D’altra parte anche Demelza non gli rivelò l’argomento del colloquio avuto con lord Falmouth. Era rimasta d’accordo con l’uomo che avrebbe accettato l’invito a palazzo conducendovi anche Ross, lì lord Falmouth avrebbe avanzato la sua proposta e Demelza avrebbe dovuto usare le parole giuste per perorare la causa di Falmouth, convincendo Ross ad accettare la candidatura al Parlamento. Non si sentiva a suo agio nei panni della stratega e non era nemmeno sicura di riuscire a mentire a Ross circa le intenzioni del lord fino al giorno in cui si sarebbero visti. Quella però era la loro serata, e non era il caso di sprecarla con pensieri funesti. Trascinò Ross nel ballo, benchè non rientrasse nelle sue passioni, incurante degli sguardi malevoli  di Ruth e della moglie del dottor Choake. Erano felici, e non c’era motivo di nasconderlo.
Osservandoli da lontano, lord Falmouth pensò che il suo intuito non aveva sbagliato neanche quella volta: grazie a quella donna avrebbe avuto Poldark in pugno.

 

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Capitolo 37
*** cap. 37 ***


Lord Falmouth e Demelza avevano sottovalutato la perspicacia di Ross. Quando lei gli riferì dell’invito del gentiluomo, Ross le domandò se per caso durante la passeggiata in giardino aveva accennato a Falmouth alla questione della Wheal Cattler. Demelza, che già si sentiva abbastanza in colpa per l’accordo sottobanco con il lord, gli disse la verità: era stato sir Bodrugan ad avergliene parlato, non lei.
“Allora è probabile che Falmouth voglia approfittare della situazione per convincermi a fare qualcosa che mi ha proposto tempo fa ma che io non ho la minima intenzione di accettare! – disse Ross, e poi concluse, amaramente – Andrò a parlare con il signor Smith di Redruth per il noleggio della pompa; per una volta seguiremo la teoria di Zacky, sperando di aver fortuna…”
“Non essere così precipitoso, Ross – replicò Demelza – non potresti ascoltare prima cosa ha da dirti lord Falmouth?”
Ross la scrutò sospettoso. “Possibile che Falmouth non ti abbia anticipato proprio nulla? Come ha giustificato questo invito a casa sua? Un altro cornish rimasto folgorato dalla tua bellezza?”
Demelza, piuttosto infastidita dal tono che Ross aveva usato, gli spiegò che Sir Bodrugan, nel presentarla, aveva dipinto Demelza come una grande appassionata di botanica ed il lord l’aveva invitata a casa sua convinto che avrebbe apprezzato una particolare magnolia che si trovava nel parco della villa, donatagli dall’ambasciatore di un paese orientale. “Immagino che abbia ritenuto sconveniente invitare solo me e quindi ci ha convocati entrambi” – concluse la ragazza.
Ross scosse la testa, rispose che Falmouth era troppo astuto e che anche un lattante avrebbe compreso che dietro questo improvviso invito si celavano altre mire. 
Demelza cercò di deviare la conversazione su argomenti meno scivolosi. Disse che era preoccupata per i costi crescenti di gestione di Trenwith: aveva acquistato la casa insieme alle piantagioni di orzo che la circondavano, ma non riusciva con il solo ricavato delle coltivazioni a pagare sia i salariati dei campi che il personale a servizio. Ai tempi di Charles Poldark era la Grambler che finanziava Trenwith e Demelza sapeva che era impossibile far quadrare diversamente i conti, ma non voleva rischiare di intaccare il capitale ereditato da Julia, che costituiva una riserva per il suo futuro. Una volta sposati, sarebbe stato poi del tutto antieconomico tenere aperta la dimora senza nessuno che vi abitava, ma, d’altra parte, chiuderla licenziando tutti i domestici avrebbe significato condannarla all’usura e al degrado.
Ross propose alla fidanzata di cederle la Grambler, ma Demelza rifiutò: aveva già ottenuto tanto dal suo primo marito e non voleva finire sulla bocca di tutti per avere ricevuto donazioni generose anche dal secondo. L’unica soluzione poteva essere quella di affittare l’intera struttura, ma né a Ross né a Demelza veniva in mente qualche famiglia della zona abbastanza ricca da potersi permettere una dimora simile. Demelza disse che, a malincuore, avrebbe licenziato due cameriere e lo stalliere, avrebbe aiutato lei stessa la cuoca e si sarebbe occupata a tempo pieno di Julia, riducendo al minimo l’uso della carrozza e spostandosi a cavallo. Questa volta fu Ross a dire a lei di non essere frettolosa: non poteva privarsi all’improvviso di tutti quei servitori ed era disdicevole che si occupasse lei stessa delle faccende domestiche: volente o nolente era una dama ora, e doveva adeguarsi a certe convenzioni se non voleva divenire oggetto di sgradevoli pettegolezzi. Una volta sposata e trasferitasi a Nampara sarebbe stato più facile giustificare la riduzione di personale a Trenwith, senza suscitare malumori o commenti malevoli.
Demelza gli sorrise fingendo di sentirsi rincuorata dalle sue parole, ma in realtà piccole crepe rischiavano di incrinare la sua felicità. Quelle difficoltà economiche, quei piccoli segreti fra di loro, il velato accenno di Ross al suo provenire da un mondo diverso da quello di lord Falmouth le ricordavano che la vita che stava conducendo non era esattamente in linea con i suoi desideri. Mille volte avrebbe preferito tornare ad essere la ragazza di Illugan che passeggiava nel parco di Trenwith sotto braccio alla vecchia signora Agatha, anziché la nuova proprietaria della villa, in procinto di sposare il nipote della padrona!
Il venerdì successivo, il giorno del famoso invito a casa Falmouth, Ross e Demelza si misero in viaggio verso Truro in primo pomeriggio, dopo aver affidato i bambini alle cure di Prudie. L’invito era per l’ora del tè, ma non potevano escludere di doversi trattenere più a lungo e nel frattempo i bambini si sarebbero fatti compagnia a vicenda.
Appena arrivati, i lacchè aiutarono gli ospiti a scendere dalla carrozza e li scortarono dal loro anfitrione. Lord Falmouth li accolse con grandi cerimonie, come si conveniva a persone di riguardo. Paradossalmente, Demelza era più avvezza di Ross a simili formalismi, che al capitano procuravano l’orticaria fin da quando era ragazzo.
Per fortuna Falmouth era abbastanza furbo da rendersene conto e cercò di mettere gli ospiti a loro agio, creando un’atmosfera piacevole e rilassata. Dopo aver sorbito il tè, accompagnato da gustosi pasticcini, guidò gli ospiti nel vasto parco che circondava il palazzo e mostrò a Demelza le famose piante esotiche, ricevendone entusiasti complimenti. Nel frattempo quel vecchio demonio cominciò ad interrogarla:  disse che gli risultava che il giardino di Trenwith fosse curatissimo, ma immaginava dovesse essere molto costoso; chiese poi se dopo le nozze sarebbe rimasta a vivere lì oppure avrebbe seguito Ross a Nampara; Demelza rimase sul vago ma il lord, quasi che avesse la facoltà di leggerle nel pensiero, replicò che, nel caso si fossero decisi per Nampara, era un vero peccato lasciare vuota una simile dimora, vanificando tutti gli sforzi fatti per abbellirla; “ma certamente - concluse facendo balenare un lampo scaltro fra le ciglia – starete meditando sull’opportunità di un suo utilizzo alternativo”.
Con Ross invece lord Falmouth cominciò a discorrere delle ultime misure adottate dal governo di Londra per combattere il contrabbando; parlò di ciò che stava accadendo oltre Manica, del fermento che animava le classi borghesi in Francia, scontente dell’operato di re Luigi XVI. Ross chiese a Falmouth se temeva che sarebbe accaduto qualcosa di simile anche nel loro regno, ma il lord rispose che gli inglesi non avrebbero mai potuto fare a meno della monarchia, era nel loro sangue, per quanto i sovrani non fossero immuni da errori; il problema vero, a suo avviso, non era la forma di governo adottata da un paese, ma che fossero gli uomini migliori ad occuparsi di politica. Così il lord finalmente accennò al vero scopo per cui aveva convocato Ross: gli fece intuire, in pratica, che era disposto a dargli carta bianca con i lavori in miniera, anzi, era disposto a fornirgli la mappa della Cattler, ove era delineata la esatta posizione di tutti i cunicoli (che sarebbe stata un immenso aiuto per ciò che Ross voleva realizzare alla Leisure) a condizione che Poldark fosse disposto a rivalutare la sua proposta di intraprendere la carriera politica.
“Vi ringrazio molto per la stima, lord Falmouth – rispose Ross declinando la proposta – ma, come vi ho già detto mesi fa, fare il parlamentare non rientra nei miei interessi, tanto più ora che sto per sposarmi. Non è affatto nei miei progetti trasferirmi a Londra lasciando sola Demelza con due bambini piccoli, oltre al fatto che sarebbe impossibile occuparsi a distanza di ben tre miniere e di Nampara. Riguardo al resto, forse siete stato informato male: è vero che intendo procedere a dei lavori negli strati sottostanti la Leisure, ma essi non toccheranno minimamente la Cattler. Il mio capitano Zacky Martin ha già preso contatti con un tale di Redruth per il noleggio di una pompa per aspirare l’acqua”.
Falmouth guardò per un attimo Demelza sperando che la rossa fosse in grado di fargli da sponda come avevano prestabilito. Fu lui però a parlare per primo.
“Caro capitano, avrete certamente letto Aristotele e dovreste sapere che impegnarsi in politica per il bene comune significa rinunciare a qualcosa dei propri interessi e delle proprie aspirazioni… il punto nodale della faccenda è che voi - sebbene stentiate a riconoscerlo – siete tra i pochi uomini della nostra regione che riassumono il carisma necessario per trovare il consenso degli elettori e le capacità per svolgere l’incarico di parlamentare. Indipendentemente dallo scambio di natura commerciale che vi propongo - che costituisce semplicemente un vantaggio in più per la vostra già fiorente attività estrattiva - ritengo che rappresentare la comunità per cui tanto avete fatto e continuate a fare sia un vero e proprio dovere civico al quale non dovreste sottrarvi … certo, non nego che ci saranno dei disagi, ma sono certo che con l’aiuto della vostra futura sposa li potrete superare agevolmente. Non è così, signora Demelza? Qual è la vostra opinione in merito?”
Demelza si torse le mani imbarazzata. “Io non so se Ross sia la persona adatta per fare politica, lord Falmouth: in questo mi fido del vostro giudizio e della vostra esperienza. Posso solo dire che io lo sosterrò in ogni decisione che vorrà assumere.  Se deciderà di accettare la vostra proposta, sono disposta a seguirlo a Londra, città dove ho già vissuto e che conosco bene; se preferisse trasferirsi da solo, rimarrei qui a supervisionare la gestione delle miniere con l’aiuto dei suoi validi capitani, come è già accaduto quando Ross era arruolato in Portogallo; sono certa poi che voi stesso vigilereste sul progetto che coinvolge la Wheal Cattler e che vi riguarda molto da vicino. Comunque, Ross – disse rivolgendosi a lui– mi pare opportuno che tu non dia subito una risposta al nostro ospite e che ti riservi di pensarci con calma. Si tratta di un impegno gravoso, ma che potrebbe apportare alla tua vita vantaggi di non poco conto”.
Falmouth annuì e lodò la ragionevolezza di Demelza, spronando Ross a farsi guidare nella sua scelta da analogo buon senso.
Si congedarono dunque con educazione da Falmouth, e ritornarono alla carrozza, ma Ross era di umore nero. Mentre Demelza stava per salire a bordo Ross diede indicazioni ai lacchè di staccare Seamus dal cocchio in quanto desiderava tornare a Nampara da solo, cavalcando.
Demelza tornò sui suoi passi, affiancò il cavallo di cui Ross reggeva le briglie, pronto a salire in sella, e gli chiese spiegazioni del suo comportamento.
“Mi chiedi anche perché? – sibilò il giovane – L’invito di oggi faceva parte di un piano, vero? Tu eri al corrente di tutto, sapevi quello che Falmouth mi avrebbe proposto e ti sei offerta di aiutarlo! Ti ringrazio di avermi fatto fare la figura dell’idiota!”
“Cerca di non dare spettacolo, Falmouth ci sta guardando dalla finestra – sussurrò Demelza – non è questo né il luogo né il modo per discuterne. Ti assicuro che io non c’entro nulla, ma trovo che il lord non ti abbia chiesto nulla di impossibile. Si tratterebbe di un giusto compromesso per ottenere un risultato importante per la Wheal Leisure. E poi Falmouth ha ragione, chi altri in zona potrebbe ricoprire quel ruolo se non tu?”
“Lascia perdere! – concluse Ross montando in sella al cavallo con un balzo e piantandola lì in asso senza aggiungere altro. A Demelza non restò che salire in carrozza, sperando che Falmouth non avesse colto la reale natura di quel dissidio.
Ross sbollì la rabbia insieme a Seamus cavalcando per ore. Nonostante avesse impiegato molto meno della carrozza a rientrare da Truro, si era attardato in una lunga galoppata sulla spiaggia così, quando giunse nel cortile di casa sua, vide che era stato preceduto dalla carrozza di Demelza. Visto che si era fatto buio, Prudie aveva preparato la cena per i bambini e poi, avendoli visti stanchi, li aveva messi a dormire nello stesso lettino, uno di fianco all’altra.
Quando Ross entrò in casa Demelza era in piedi, al centro della sala. “Sono venuta a riprendere Julia”- gli disse soltanto.
Appena comprese che Julia stava dormendo, Ross le suggerì di non svegliarla e di fermarsi lei stessa a dormire a Nampara. “Dirò a Prudie di prepararmi un giaciglio in biblioteca…” – aggiunse il padrone di casa, facendo intuire che avrebbe ceduto il letto a Demelza.
La rossa rispose freddamente che non era il caso e che Julia si sarebbe riaddormentata una volta a Trenwith. Approfittando del fatto che Prudie si era allontanata Demelza aggiunse: “Ross, siamo ancora in tempo per tornare indietro ed annullare tutto.” Si riferiva, ovviamente, alle loro nozze. Aveva riflettuto molto e la maniera in cui Ross l’aveva trattata, rifiutando ogni confronto ed accusandola di non capire nulla l’aveva ferita profondamente.
Ross non rispose, ma seguì Prudie in camera di Valentine e dopo poco la domestica ritornò, senza Julia, andandosi a rintanare a testa bassa in cucina.
Demelza protestò contro la prepotenza di Ross, che pretendeva sempre di imporre sugli altri la sua volontà; fece il gesto di avviarsi lei stessa in camera per portare via sua figlia, come aveva stabilito, ma Ross la trattenne cingendole la vita.
“Ti chiedo perdono per come mi sono comportato– le sussurrò all’orecchio– ho sbagliato, non è colpa tua, ma ero furibondo per come Falmouth ti ha usato per raggiungere i suoi scopi… quell’uomo è furbo, ha capito che per amore tuo sarei disposto a fare qualsiasi cosa… e non mi piace mostrarmi debole di fronte agli avversari!”
“E’ preferibile avere lord Falmouth come alleato che come avversario…penso che questo lo comprenda anche tu!” – replicò la rossa sciogliendosi dal suo abbraccio.
“Demelza, lord Falmouth ed io abbiamo idee politiche troppo diverse! – sbottò Ross - quand’anche riuscisse a farmi eleggere per il distretto di Truro, mi costringerebbe a portare avanti battaglie in cui non credo, soprattutto per conservare i privilegi dei nobili a danno della povera gente; ed io non ho intenzione di farmi manovrare da lui come un burattino!”
Demelza replicò che avrebbe potuto mettere in chiaro da subito con Falmouth quali leggi avrebbe sostenuto e fino a che punto era disposto a mediare, ma Ross ribattè che Westminster non era un posto per lui, ma solo un trampolino di lancio per chi ambiva ad incarichi più prestigiosi; egli non era capace di tessere trame, non gli piaceva la vita mondana ed in Parlamento si sarebbe sentito come un pesce fuor d’acqua.
Demelza lo fece riflettere sul fatto che non tutti i parlamentari erano interessati al potere come lord Falmouth oppure lo zio di Hugh Armitage; una volta a Westminster Ross avrebbe potuto trovare altri deputati onesti ed idealisti come lui ed effettivamente avrebbe potuto usare la sua carica per tentare di cambiare le cose “per la tua gente, per noi, i nostri figli e quelli che verranno…”
Ross proseguì con le sue obiezioni: quando era partito per il Portogallo lo aveva fatto perché non amava più Elizabeth e non voleva vedersela intorno, ma abbandonare le miniere era stato devastante. Ora la prospettiva era diversa: stava per sposare la donna che amava, le proprietà rendevano, la Cornovaglia era casa loro, non Londra, e pur avendo fiducia nelle capacità di gestione di Demelza non intendeva lasciarla sola gravandola di eccessive preoccupazioni. E se fosse arrivato un bambino? Perché doveva stravolgere la sua vita solo per darla vinta a Falmouth?
“Ross, non si tratta di fare un piacere a Falmouth ma di decidere cosa è meglio per noi. Le proprietà stanno fruttando, grazie a Dio, hai dei validi collaboratori alle miniere, inoltre l’impegno in Parlamento non è continuativo, ci sono lunghi mesi di pausa. A me non importa vivere a Londra o in Cornovaglia, l’importante è essere insieme. Ti assicuro che non ho agito alle tue spalle, ma sono davvero convinta che quella di Falmouth possa essere una buona idea! ”
Ross la strinse nuovamente tra le braccia. “Ti prometto che ci penserò seriamente, senza farmi guidare dall’orgoglio e dalla mia solita testardaggine. Però non voglio più sentire assurdità come quella di mandare a monte il matrimonio! Non capisci che tu sei l’unica cosa che mi importa davvero in questa vita?”
Il bacio che stava per suggellare la ritrovata armonia fu interrotto da un brusco picchiare alla porta di ingresso. Prudie sbucò dalla cucina maledicendo chi osava disturbare a quell’ora, andò ad aprire e tornò dopo poco, trafelata, gridando: “Padron Ross, era un servitore da Killewarren! La signora Caroline ha le doglie, sta per partorire!”
Ross e Demelza si scambiarono uno sguardo di intesa.  Fortuna che la carrozza attendeva ancora fuori… quella lunga giornata non era ancora conclusa.

 

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Capitolo 38
*** cap. 38 ***


Settembre 1788
“Non ne posso più!” – sbuffò Caroline, spostando da un seno all’altro la neonata che stava allattando. Demelza, che sedeva di fronte a lei nel giardino di Killewarren, la rimproverò con un’occhiataccia, ma l’amica ribattè che loro due non sarebbero mai andate d’accordo su quel punto. Demelza aveva un innato senso materno, era dolce e paziente, mentre Caroline… già era tanto che avesse messo al mondo un figlio! Sarah Caroline Enys era nata circa tre mesi prima; una bambolina bionda estremamente graziosa che aveva subito conquistato il cuore di papà Dwight, ma che - per come la vedeva Caroline - sarebbe rimasta per sempre figlia unica.
“Sei peggio di una sanguisuga – borbottò fra i denti per non farsi sentire da Demelza, rivolgendosi alla bambina – spero che quando sarai grande terrai conto dei sacrifici cui tua madre si è sottoposta a causa tua! Stanotte non ho chiuso occhio ed ho un aspetto orribile! Sopporto tutto solo perché hai un faccino adorabile e tuo padre è pazzo di te... sappilo!”
“Vedrai che da ora in poi andrà meglio – la rassicurò Demelza – gli orari diventeranno più regolari e dormirete meglio!”
“Voglio sperare! In che condizioni mi presenterò, altrimenti, alle nozze dell’anno?” – scherzò Caroline. Le nozze di Ross e Demelza si sarebbero tenute infatti due giorni dopo.
“Sai bene che si tratterà di una cerimonia molto informale, una festa all’aperto sul prato antistante la cappella di Sawle. In tal modo si noteranno meno le differenze di estrazione sociale tra i vari invitati… Ognuno si intratterrà con chi preferisce, berrà quanto vuole e mangerà quanto vuole. Ti immagini, se no, mio padre seduto a tavola accanto a Lord Falmouth? ”
Caroline rise, immaginando la scena. Il reverendo Carne per fortuna si era rimesso in salute e sia lui che un paio dei suoi figli avevano assicurato la loro presenza al matrimonio.
“Lord Falmouth sta dando tregua a Ross, almeno questa settimana?” – chiese Caroline.
“Macchè! – esclamò Demelza – Abbiamo dovuto invitare al matrimonio parecchi dei “papaveri” di cui si circonda il lord, gente importante che dovrebbe propiziare l’elezione di Ross. Secondo Falmouth è fondamentale far conoscere il vero volto del suo candidato mostrandolo in una ricorrenza così personale … anche se la campagna elettorale entrerà nel vivo solo a novembre.”
“Povero amico mio!- concluse Caroline – sei mesi fa, se mi avessero raccontato che Ross avrebbe accettato di candidarsi al Parlamento, mi sarei fatta una grossa risata…”
“Sai bene come sono andate le cose – rispose Demelza – Ross è stato a lungo incerto, ma alla fine ha accettato la proposta di Falmouth ed è riuscito a fargli digerire le sue condizioni. Hanno stabilito che discuteranno insieme le proposte di legge più importanti che riguardano la nostra regione, ma Ross conserverà un suo ambito di manovra sia per le alleanze da stringere che per le battaglie da sostenere. E poi in cambio Lord Falmouth ci ha dato una grande mano sia con la miniera che con Trenwith!”
Caroline annuì. I lavori alla Leisure erano stati portati a termine con successo, era stato scoperto un altro filone di stagno negli strati più profondi e Ross aveva assunto altri dieci operai. Se Ross fosse stato eletto, lui e Demelza avrebbero vissuto a Londra, per consentire a Ross di partecipare alle sedute di Westminster nel periodo invernale; in estate sarebbero tornati a Nampara. In ogni caso la dimora di Trenwith sarebbe rimasta inutilizzata; così Demelza aveva chiesto aiuto a Lord Falmouth e quel genio aveva tirato fuori dalla sua lampada una soluzione incredibile: Trenwith sarebbe stata trasformata in un albergo di lusso, tranne il piano inferiore che sarebbe rimasto adibito a scuola, nel rispetto del progetto iniziale di Demelza. In tal modo Ross, anche durante la pausa estiva, avrebbe continuato a tenere contatti con gli eletti di altri distretti senza interrompere l’attività politica ed avrebbe favorito la conoscenza di quelle zone da parte di chi viveva abitualmente nella parte nord del paese. Attirare in Cornovaglia famiglie in vista di altre regioni dell’Inghilterra, o anche della Scozia e del Galles, avrebbe poi favorito l’economia locale, l’artigianato in particolare.
Se poi Ross non fosse stato eletto – ipotesi che lord Falmouth riteneva assolutamente improbabile, dato che era lui il suo principale sponsor- sarebbe stato comunque utile approfittare delle conoscenze del lord per affittare la dimora a nobili, annoiati della vita in città, che desideravano trascorrere un periodo di vacanza godendo del più mite clima del sud. Ancora, affermava il lungimirante Falmouth, dati gli eventi in corso nella vicina Francia, non si poteva escludere un massiccio esodo in Inghilterra di nobili francesi, che in Cornovaglia - ed a Trenwith in particolare - avrebbero trovato degna accoglienza.
Proprio mentre le due amiche discutevano dello strano sodalizio che si era venuto a creare tra Falmouth e i Poldark apparve Ross, con il più smagliante dei suoi sorrisi in volto. Percorse tutto il vialetto, salutò Caroline con un galante baciamano e la neonata con una lieve carezza sulla testolina, poi si scusò con la padrona di casa, ma era venuto a sottrarle la compagnia della sua gradita ospite. Vi era una cosa importante che doveva assolutamente mostrare alla sua fidanzata prima del matrimonio. Demelza non aspettava l’arrivo di Ross a Killewarren e tutto quel mistero la insospettì parecchio, ma davanti a Caroline non disse nulla. Quando furono da soli in carrozza gli chiese però quale esigenza improvvisa si celasse dietro la sua improvvisa apparizione. Ross ricominciò a spiegare che la loro meta era Nampara e disse che gli dispiaceva aver interrotto quella visita ma era essenziale fare presto, perché si doveva approfittare dell’assenza sia di Jud, che era andato per una commissione a Truro, che di Prudie, che aveva portato Valentine con sé nelle stalle, essendo imminente il parto di un vitellino…
“Rooss! – lo rimproverò Demelza – avevamo promesso di cercare di essere casti fino alle nozze!” – e dentro di sé la rossa ripensò a quante volte avevano già trasgredito il loro impegno, non ultima la notte precedente, quando Ross l’aveva portata a fare un romantico giro in barca notturno e, a seguire, una passeggiata a Hendrawna Beach, conclusasi con la luna che faceva da silenziosa testimone alle loro appassionate effusioni, mentre erano nascosti in un anfratto delle grotte che circondavano la spiaggia.
Ross scosse la testa. “Hai frainteso, mia cara, il motivo è un altro, del tutto innocente… sebbene, ripensandoci, la tua idea non sia così malvagia!”
Risero di gusto, come accadeva sempre più spesso negli ultimi tempi. L’affare siglato con Falmouth aveva cementato ancora di più la loro complicità di coppia; avevano cominciato a progettare seriamente la loro vita in comune e ciascuno cercava di smussare gli aspetti più spigolosi del carattere dell’altro. I loro momenti di confronto non erano sempre tranquilli, ma di solito i malumori di Ross si stemperavano di fronte alla logica stringente di Demelza e la tenerezza di lui riusciva a curare tutte le insicurezze e le paure di lei, che ogni tanto rischiavano di spegnere la sua solarità.
Giunti finalmente a Nampara Ross trascinò, letteralmente, Demelza al piano di sopra, in camera da letto, e trasse fuori dal cassetto dello scrittoio, precedentemente chiuso a chiave, una pergamena arrotolata.  
“Ecco qui. Vorrei che leggessi e poi mi dicessi cosa ne pensi.”- le disse Ross porgendole il foglio.
Demelza srotolò con cautela la pergamena, che aveva tutta l’aria di un documento ufficiale con tanto di bollo finale e ceralacca, e fu colpita subito da una frase al centro del foglio, vergata in caratteri in corsivo molto più grandi del resto dello scritto: Julia Grace Poldark Carne.
“Di che si tratta, Ross?” – gli domandò senza neppure alzare gli occhi dal foglio, mentre intanto scorrevano sotto i suoi occhi formule tipiche di un atto pubblico: “Addì 19 settembre 1788, nel ventottesimo anno di regno di Sua Maestà Giorgio III, dinanzi al sottoscritto notaio John Arthur Pearce della contea di Truro è comparso il capitano Ross Vennor Poldark di Nampara, nato il sedicesimo giorno del mese di dicembre dell’anno 1760…”
“E’ un atto tramite il quale intendo adottare Julia – spiegò Ross - per essere efficace però è necessaria anche la tua firma in calce”– aggiunse, mostrando alla donna una riga vuota nella parte inferiore destra del documento.
A fronte dello sguardo smarrito di Demelza, che continuava a fissare il foglio senza dire nulla, Ross proseguì: “So che ne abbiamo già parlato e che tu eri contraria, ma in fondo quando ti ho proposto di dare a Julia il mio cognome tu volevi evitare che si pensasse che la bambina fosse mia figlia biologica; in questo modo invece risulta chiaramente il contrario, proprio come volevi tu… Demelza, io considero Julia davvero come figlia mia, e desidero che abbia gli stessi diritti di Valentine e degli altri nostri figli che nasceranno; una volta sposati faremo tutti parte di un’unica famiglia. Il notaio mi ha detto che è molto usuale che un coniuge adotti i figli già nati dell’altro, per farli entrare nella linea di successione… ma nel nostro caso non lo faccio solo per quello! Non sono il vero padre di Julia, lo sappiamo bene, ma ero presente alla sua nascita, sono stato il primo a tenerla fra le braccia dopo Dwight… ero presente quando ha mosso i suoi primi passi, quando con la massima naturalezza mi ha chiamato papà… e quante volte si è addormentata mentre le leggevo una favola!  E poi, scusa se insisto, ma Julia è una Poldark, anche se questo lo sappiamo solo io, te e poche altre persone fidate… il sangue non è acqua, ed io sento davvero un legame speciale con quella bambina, non solo perché è figlia della donna che amo… ne ho discusso anche con mia cugina Verity, e lei è d’accordo con me… Permettimi di diventare suo padre anche dinanzi alla legge!”
“Ross, non so cosa dire…. – disse Demelza - Sai bene la gioia e l’emozione che ho provato quando Julia ti ha chiamato la prima volta papà, e credo che non esista al mondo uomo più degno di te per farle da padre … Comprendo anche che questa soluzione sarebbe la più giusta per lei, nel rispetto della legge e delle sue radici … ma Julia, come ti ho ricordato più volte, ha già avuto la fortuna di ereditare una fortuna da Hugh, e non trovo giusto che goda di una posizione economica più vantaggiosa rispetto agli altri tuoi figli…Consentimi allora di vincolare le rendite di Trenwith a beneficio di Nampara e delle miniere. Hai detto che siamo una vera famiglia, per cui faremo proprio così, d’ora in poi tutto apparterrà a tutti. Dopo il matrimonio andremo insieme a Truro dal notaio Pearce, io firmerò questo documento valido per l’adozione e discuteremo anche dell’altra questione. Julia rimarrà proprietaria di Trenwith ma i frutti saranno a disposizione tua, per l’uso che riterrai più opportuno. Pearce troverà la formula giuridica più adatta”.
Ross approvò la soluzione di Demelza, se serviva a farle accettare con più serenità l’adozione, anche se a suo avviso non ve ne era alcun bisogno. Lui era ricco, grazie a Dio, e Hugh aveva disposto delle sue sostanze in favore di Julia pur immaginando che Demelza si sarebbe risposata.
“La vera fortuna di Julia sarà avere due genitori e dei fratelli che la amano – disse Ross abbracciando la sua promessa sposa – e tu devi smettere di pensare che tu e tua figlia non meritate ciò che avete!”
Demelza si strinse a lui, felice. Solo in quel momento parve accorgersi che la camera in cui si trovavano era profondamente mutata rispetto all’epoca in cui lei abitava in quella casa come dama di compagnia della signora Agatha e Ross era sposato con Elizabeth….
Al posto della specchiera voluta da Elizabeth vi era una più sobria cassettiera, sormontata da uno specchio ovale con una delicata cornice dorata. Nell’angolo di fianco alla finestra vi era un catino con una brocca smaltata con decori floreali, appoggiati sopra uno sgabello basso.  Sulla destra vi era lo scrittoio di Ross, un paio di poltrone di velluto, e sulla parete opposta un armadio a due ante. Al centro della stanza poi, al posto del precedente letto di ottone vi era un sontuoso letto con baldacchino in legno,  con drappi di organza di colore chiaro. Ai piedi del letto vi era una cassapanca, sempre di legno, con serratura e cardini dorati.
“Ross… questa stanza….” – mormorò Demelza guardandosi intorno disorientata.
“Ho apportato dei cambiamenti, come vedi. Ho venduto tutti i mobili e ne ho acquistati di nuovi: spero siano di tuo gradimento. Avrebbe dovuto essere una sorpresa da scoprire dopodomani; sono stato uno sciocco a farti entrare qui senza pensarci, ma mi premeva risolvere la questione di Julia senza quegli impiccioni dei Paynter fra i piedi. Fra due giorni inizieremo una nuova vita insieme: mi sembrava il minimo lasciarmi il passato alle spalle, arredamento compreso!”
“Oh, Ross…” – riuscì a dire Demelza, mentre il cuore le scoppiava di felicità per l’ennesima delicatezza che il suo amato aveva voluto usarle, accantonando tutto ciò che in quella casa ricordava la sua precedente unione. Si baciarono, consci che a breve quella sarebbe stata la loro alcova, in cui avrebbero potuto vivere momenti di intensa passione senza più nascondersi e senza dover rubare tempo ad altre occupazioni. Eppure, Ross e Demelza sapevano bene che non era solo attrazione fisica la tensione che si creava quando i loro sguardi si incrociavano o i loro corpi si sfioravano; era come se il Creatore si fosse divertito a plasmare le loro anime della stessa materia, a lanciarle separatamente nel mondo ed a lasciare poi che si ritrovassero e, una volta ricongiunte, producessero un identico ed inestinguibile fuoco.
Si staccarono ansanti, proprio mentre dal piano di sotto una voce infantile chiamava a gran voce: “Papààààà!”
Ross e Demelza risero. Raccogliere le impressioni di Valentine sulla nascita del vitellino aveva la priorità su ogni altra faccenda.
“Eccoci!” – esclamarono in coro, mentre scendevano le scale, assaporando il gusto semplice della quotidianità familiare in cui erano in procinto di immergersi.  
 

 

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Capitolo 39
*** cap. 39 ***


Nelle prime ore del mattino del 23 settembre, il giorno in cui Ross e Demelza dovevano sposarsi, era caduta una pioggerellina fine, lenta, che sembrava non dovesse finire mai.
A fronte di questo inatteso buongiorno Mary, la cameriera, aveva manifestato il suo disappunto.
“Signora, piove!” – esclamò porgendo a Demelza il vassoio con la colazione: una tazza di caffè e del pane tostato con marmellata. La rossa guardò fuori della finestra, ma pensò che un temporale estivo non sarebbe bastato a rovinare il suo grande giorno. Sbocconcellò in fretta il pane e sorseggiò la bevanda calda: c’era tanto da fare, da organizzare, bisognava impartire  le prime istruzioni della giornata, soprattutto per quanto riguardava la gestione di Julia. Non avrebbe potuto, ovviamente, occuparsene lei, soprattutto durante la cerimonia in chiesa. Da  Londra era arrivata Molly, la sua vecchia tata, che avrebbe seguito la bambina per l’intera giornata.
Demelza aveva scelto per sé un abito azzurro chiaro, di linea molto sobria: era una vedova, non aveva alcun senso indossare un abito bianco. Anche per l’acconciatura aveva optato per la semplicità: avrebbe tenuto i capelli sciolti sulle spalle, con alcune ciocche intrecciate sul capo con dei fiorellini freschi.
In occasione del matrimonio era arrivata da Redruth la sua vecchia amica Rosina Hoblyn, che con suo marito ed il loro bambino di circa un anno e mezzo erano ospiti a Trenwith. Rosina era un’ottima sarta, fu dunque lei ad occuparsi dei preparativi quella mattina. Aveva cucito l’abito a pennello per Demelza e non appena la vide riflessa nello specchio batté le mani, decretando che non occorreva nessun ritocco, le calzava perfettamente. Julia invece avrebbe indossato un abitino bianco di pizzo con una fascia rosa alla vita, un regalo di zia Caroline nonostante le insistenze di Demelza affinchè non venissero commessi sprechi.
La rossa si rimirò allo specchio provando una comprensibile emozione. La sua vita stava per cambiare per l’ennesima volta: avrebbe lasciato Trenwith da Demelza Armitage, sarebbe entrata in chiesa come Demelza Carne e al termine della cerimonia sarebbe stata per tutti Demelza Poldark.
Eppure, non sarebbe stata la firma su di un pezzo di carta a cambiare il suo cuore. Lei, in fondo, era appartenuta a Ross fin dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, a dispetto delle difficoltà e degli ostacoli che si erano frapposti sul loro cammino. Ora, finalmente, potevano vivere il loro sentimento alla luce del sole, senza più remore, senza il timore di ferire altre persone o di procurare uno scandalo.
Nel frattempo, aveva smesso di piovere ed un bel sole settembrino aveva fatto capolino tra le nuvole, facendo ben sperare per il resto della giornata.
Il corteo della sposa – composto da Demelza, Julia Grace, Rosina e la sua famiglia ed una rappresentanza della servitù di Trenwith – prese posto sulla carrozza e si avviò verso la cappella di Sawle.
Appena imboccata la via del paese Demelza notò frotte di bambini che correvano gioiosi inseguendo la carrozza e nugoli di persone radunate agli angoli delle strade, sempre più numerose man mano che ci si avvicinava alla chiesa, incuriosite dal matrimonio tra il discendente di una nobile stirpe e una modesta ragazza di Illugan che per una serie di casi fortunati si era trasformata in dama.
Giunti nei pressi della chiesa, il marito di Rosina ed il maggiordomo di Trenwith scesero per primi dalla carrozza per agevolare la discesa di tutti gli altri. Demelza, stringendo in mano il suo bouquet di fiordalisi, mise a tacere con un bel respiro profondo il battito accelerato del suo cuore e si avvicinò all’entrata della cappella, dispensando sorrisi a tutti coloro che applaudivano e lanciavano petali di fiori al suo passaggio.
Sulla soglia, il reverendo Odgers la attendeva insieme allo sposo.
Fu allora che Demelza lo vide: Ross, ritto nel suo abito scuro, tradiva il nervosismo tormentando i polsini della preziosa camicia che indossava per l’occasione. Demelza pensò che era bello come il sole, come la prima volta che lo aveva visto, mentre usciva seminudo dalle acque della riviera cornica. La differenza era che questa volta era vestito, ma aveva gli stessi ricci bruni e disordinati a celargli la cicatrice sul viso, gli occhi scuri e profondi, le labbra increspate in un sorriso emozionato, quasi timido. Ross la prese per mano ed insieme si avviarono all’altare, mentre la folla all’esterno li osservava ammirati. Percorsero il breve tratto della navata accolti da sorrisi di gente festosa, tranne qualche volto più arcigno, come quello della moglie del dottor Choake e di Ruth Treneglos, che non avevano voluto mancare all’evento sebbene disapprovassero il matrimonio: la curiosità, però, aveva avuto la meglio.
La piccola cappella traboccava di invitati. Nelle prime file avevano preso posto la cugina Verity con suo marito Andrew, gli Enys, Ray Penvenen, sir Bodrugan e lord Falmouth. Era presente anche lo zio di Hugh, il deputato, che si era seduto proprio accanto a Lord Falmouth, con altri due parlamentari di altri distretti. Immediatamente dietro erano seduti il banchiere Pascoe e il notaio Pearce con le loro rispettive famiglie, il capitano mc Neil, sir Bassett con sua moglie e tutti gli altri notabili della contea, dai Choake ai Treneglos e molti altri. Il padre di Demelza con i fratelli Sam e Drake aveva preso posto a metà navata; i metodisti di solito non erano ben accetti durante le celebrazioni dal reverendo Odgers, che però per quella volta aveva fatto un’eccezione.  Appena dietro vi erano i capitani delle tre miniere di Ross: Zacky Martin con sua moglie ed i loro quattro figli, il capitano Henshawe e signora ed il signor Foster, che invece era scapolo. Un po’ più avanti, nel banco di fianco ai Carne, erano seduti Jud e Prudie tirati a lucido con Valentine, insieme a Molly con la piccola Julia e gli altri amici di Demelza. Dietro i Carne vi erano i più cari amici di infanzia di Ross, come i due fratelli Daniels. Nell’ultima fila e in piedi, all’ingresso, vi erano poi tantissimi dipendenti ed affittuari di Ross.
La cerimonia si svolse senza troppi sussulti: entrambi gli sposi erano in seconde nozze ed il reverendo Odgers cercò di essere breve, rimarcando l’importanza dell’unione matrimoniale come fondamento di ogni famiglia cristiana. Dopo lo scambio delle promesse, l’anello infilato al dito della sposa  e la benedizione finale la coppia potè godere il proprio momento di gloria ricevendo l’abbraccio delle persone care.
Dopo mille strette di mano e saluti, mentre i bambini, già stufi, scorrazzavano all’aperto sull’erba che, per fortuna, il sole era riuscito ad asciugare, venne il momento di spostarsi nel prato adiacente per i festeggiamenti.
Demelza scoprì che gli amici e dipendenti di Ross, accortisi della pioggia mattutina, avevano montato in tutta fretta una struttura in legno con una tettoia, sotto la quale almeno le donne e i bambini avrebbero potuto ripararsi in caso di pioggia. Visto che era tornato il sole, erano stati portati lì sotto dei tavolini di legno e delle sedie impagliate, per chi voleva godere più comodamente il rinfresco. Demelza si intenerì: quelle persone si erano probabilmente alzate all’alba ed avevano lavorato per ore per assicurarsi che il loro giorno speciale fosse privo di intoppi. Pensare che lei e Ross fossero così benvoluti da persone semplici e di cuore era un toccasana per lo spirito.
Notò che Verity stava chiacchierando con Julia. Lei era una delle poche persone a conoscere la verità sulla paternità della bambina e provava una grande tenerezza nei confronti di quella sua nipotina di sangue. Demelza però le aveva raccomandato di tenere un contegno prudente in pubblico perché la piccola, nonostante i due anni e mezzo di età, aveva notato che la zia Verity si era commossa troppo quando l’aveva vista la prima volta e per questa ragione aveva chiesto alla mamma come mai la zia piangeva tanto e come mai l’avesse abbracciata così forte. Soprattutto, era necessario che la cugina di Ross non facesse differenze fra Julia e Valentine. Verity sembrava aver dato retto a Demelza, perché quel giorno dispensava le sue attenzioni in maniera uguale ad entrambi i bambini, tenendoli sulle ginocchia e porgendo loro gli ottimi pasticcini serviti al rinfresco.
Mentre lord Falmouth non aveva perso tempo a sequestrare lo sposo trascinandolo dai suoi amici ed era ora completamente immerso, con somma gioia di Ross, in una animata discussione politica, Demelza raggiunse suo padre. L’uomo si era ristabilito in salute ed i loro rapporti erano divenuti cordiali. Chiacchierarono dei progetti di Demelza, di come pensava di organizzare la sua vita a Nampara, mentre suo padre la aggiornò sulla condizione lavorativa dei suoi fratelli. Sam continuava a lavorare per Ross alla Leisure, mentre Drake era riuscito ad aprire una bottega di fabbro a Sawle e gli affari andavano piuttosto bene. Demelza notò che le ragazze del posto gettavano sguardi languidi all’indirizzo dei due fratelli, che in effetti crescendo erano divenuti due bei giovanotti. In particolare Sam era stato letteralmente monopolizzato da Emma, la figlia di Tholly Tregirls, un vecchio amico di Joshua Poldark, che a differenza sua non aveva mai messo la testa a posto, sebbene avesse passato da un bel pezzo la cinquantina. Tholly guidava il gruppo degli invitati più chiassosi, si era circondato di botti di gin e boccali di birra ed era lui l’incaricato di mescere agli altri bicchiere su bicchiere, intonando brindisi in onore degli sposi che avrebbero rischiato di tramutarsi in oscenità fuori luogo, se non fosse stato per il morigerato controllo di Zacky Martin. O forse era la presenza dello “scozzese”, ossia di Mc Neil, a trattenere Tholly: sapeva bene che il capitano delle guardie al primo sgarro sarebbe stato pronto ad arrestarlo per ubriachezza molesta, o, peggio, se avesse esagerato scatenando una rissa come suo solito.
I ragazzi del paese intanto avevano preso a fare musica e ballare; Demelza, ricordando qualche matrimonio cui aveva assistito da fanciulla, si tolse le scarpe, si sfilò anche le calze che arrotolò nelle scarpe e prese a ballare in cerchio a piedi nudi sul prato. L’allegria di quel ballo popolare fu tale da coinvolgere tutti: così anche Verity seguì l’esempio di Demelza, e con lei anche Dwight e Caroline, il che era davvero il colmo, mentre la tata Molly reggeva in braccio la piccola Sarah! Mentre il cerchio si rompeva per dare vita a dei giri in coppia, Demelza fu finalmente raggiunta da Ross, che riuscì a bisbigliarle all’orecchio:  “Non vedo l’ora che se ne vadano tutti per restare da solo con te!” , e poi le coppie si scompigliarono di nuovo , Ross finì con Jinny Martin e Demelza con Mark Daniels, Caroline con Drake e Dwight con Rosina,  e tutti ridevano, ridevano, ridevano… in attesa del prossimo cambio di cavalieri e dame, che avrebbe dato vita ad altre coppie improbabili.
Lord Falmouth osservava la scena ridacchiando soddisfatto. “Osservate, Rogers – si trattava di un noto avvocato di Truro, con cui aveva discusso fino a poco fa delle imminenti elezioni – è proprio come vi dicevo. Quale altro uomo riuscirebbe a mescolarsi tra il popolo, senza abbassarsi a quel livello? Vedete con quale eleganza Poldark e sua moglie, con i loro amici e parenti, volteggiano fra quei pezzenti? Si divertono, ma senza essere sguaiati; egli conserva la sua compostezza, la sua eleganza, e loro lo ammirano, lo rispettano, guardano a lui come un leader; lo sentono come uno di loro, ma al tempo stesso riconoscono la sua superiorità… un candidato forte, capace, carismatico, che sia aperto alle istanze di tutti ma ci tuteli da derive populiste… questo è ciò cui io punto, e per questa ragione vi chiedo di sostenere Ross Poldark alle prossime elezioni!”
Ore dopo, quando l’alcol scorso a fiumi era finito, le gambe erano troppo stanche per reggersi ancora in piedi ed il sole era calato da un pezzo, Verity si avvicinò a Ross e Demelza.
“I bambini sono stanchissimi – disse– che ne pensate se li porto con me a dormire a Trenwith, per questa notte? Ce ne occuperemo io e Molly… Voi potete tornare a Nampara con i Paynter, e domani mattina li venite a riprendere, con calma…magari potremo pranzare insieme, prima della partenza mia e di Andrew per Lisbona.”
Demelza e Ross si scambiarono un’occhiata. Un lieve rossore sulle guance di Verity tradiva il vero scopo di quella proposta: la cugina di Ross voleva regalare loro un po’ di intimità per la prima notte insieme. Fu così che i genitori salutarono i bambini – che dopo qualche piccola resistenza accolsero con gioia l’iniziativa della zia Verity – e si avviarono a Nampara a bordo del calesse di Jud. I due servitori, già pigri per natura e provati dalla giornata intensa e dagli stravizi alimentari cui si erano lasciati andare, salutarono i padroni e si ritirarono nella loro stanza al pianterreno, promettendo che si sarebbero alzati di buon’ora il giorno dopo per sistemare a dovere la casa e la cucina, anche se, precisò Prudie, il grosso era stato già fatto, in onore della nuova padrona.
Demelza e Ross salirono al piano di sopra, e mentre lui si privava dei gemelli ai polsini e dell’orologio da taschino appoggiandoli sulla scrivania si scambiarono qualche impressione sulla giornata appena trascorsa. Demelza si disse contenta e molto orgogliosa di lui, per l’ammirazione che tutti provavano nei suoi confronti. Ross fece una delle sue battute per sdrammatizzare e le raccontò dell’exploit di lord Falmouth che aveva dato il meglio di sé davanti agli elettori, giovandosi anche del sostegno dello zio di Hugh, che in effetti aveva tranquillizzato molto Ross sulla natura dei suoi futuri impegni, se fosse stato eletto. “Lord Boscawen è un uomo che sa il fatto suo, ma tutto sommato, se lo si sa prendere, è una persona ragionevole. Penso che sarà un buon alleato a Westminster”- commentò sua moglie. Si era seduta sul letto, emozionata come se fosse la prima volta tra di loro… e in fondo lo era, la prima volta da sposati.
“A cosa pensi?” – le chiese Ross vedendola indugiare silenziosa sul bordo del letto.
“A tuo padre” – rispose lei in sincerità, scatenando in Ross una risata per quella risposta così insolita.
“Non sto scherzando – disse Demelza – mi sono ricordata che tuo padre, una volta, mi disse che a dispetto di tutto non avrei mai dovuto smettere di credere nell’amore vero. E adesso eccomi qui, in casa tua, che ora è casa nostra… mi sento il cuore scoppiare nel petto… un tempo non osavo sperare in tanta felicità!”
“Mio padre ti voleva molto bene – le rispose Ross avvicinandosi e carezzandole il viso – lui e zia Agatha avevano capito tutto, molto prima di noi…ti amo, Demelza!”
Stava per chinarsi verso di lei per baciarla, ma ebbe un sussulto. “Maledizione! Ho dimenticato una cosa!” – esclamò Ross afferrando sua moglie per un polso e trascinandola fuori della stanza.
“Ma che c’è, Ross? Dove mi porti?” – gli chiese mentre lo seguiva a forza.
Appena fuori dell’uscio, Ross si fermò e sollevò sua moglie in braccio. Tenendola così, varcò nuovamente la soglia della camera e la adagiò sul letto, scostando con il braccio le cortine del baldacchino, mentre Demelza protestava, in verità senza troppa convinzione, per quell’inutile sceneggiata.
“Le tradizioni vanno rispettate – le sussurrò Ross all’orecchio – benvenuta a Nampara, signora Poldark”.
Demelza sorrise e lo baciò, attirandolo a sé sulle coltri. Signora Poldark… le due parole insieme suonavano proprio bene. Doveva abituarsi al suo nuovo ruolo e non c’era maniera migliore di iniziare se non compiacere il proprio marito.

 

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Capitolo 40
*** cap. 40 ***


Cornovaglia, 14 luglio 1789
Dopo l’ultimo cambio di cavalli effettuato alla stazione di posta la diligenza proveniente da Londra procedeva spedita in direzione di Truro. A bordo, due dei tre passeggeri presenti discutevano animatamente.
“Vi ripeto che dalla Francia stanno giungendo notizie molto allarmanti. Ho un informatore in loco che mi invia settimanalmente dei dispacci. Il popolo è in fermento, Re Luigi XVI non è stato in grado di gestire la faccenda dell’assemblea nazionale, truppe straniere circondano Parigi. Ricorderete bene che la regina Maria Antonietta è un’austriaca. Se il popolo riuscisse ad avere la meglio, pensate che le altre monarchie europee starebbero a guardare? Come pensa Pitt di regolarsi in proposito?”
Ross guardò Lord Falmouth spazientito. Il nobile, accompagnato dal suo fedele segretario – un uomo basso e pelato, dall’aspetto simile ad un topo, che parlava solo se direttamente interrogato – aveva soggiornato a Londra proprio in concomitanza con la chiusura dei lavori parlamentari prima della pausa estiva e non aveva trovato di meglio che accompagnare durante il viaggio di ritorno in Cornovaglia il “suo” candidato, quello che circa otto mesi prima era riuscito a far eleggere a Westminster, in modo da essere informato sulle ultime questioni discusse in assemblea.
“Cosa volete che vi dica? In questi mesi il Primo Ministro ha avuto altre questioni da affrontare: la malattia di sua maestà, le tasse, le colonie, la questione della schiavitù… in Parlamento di politica estera si è discusso ben poco. In ogni caso sono persuaso che Pitt cercherà strenuamente di tenersi fuori dal conflitto francese, finché gli sarà possibile.”
“Magari, magari! – esclamò il lord – certi aneliti di libertà sono sempre pericolosi….non vorrei che il contagio riformista si estendesse anche da noi”.
Ross sospirò. “Se non ve ne siete accorto, milord, la nostra è una monarchia costituzionale già da diversi secoli. La storia inglese è ben diversa da quella dei nostri vicini oltre Manica e non credo che il nostro beneamato re Giorgio, a differenza di Luigi XVI, rischi a breve di perdere trono e collo!”
Lord Falmouth bofonchiò qualcosa a proposito del fatto che non vi erano proprio i presupposti per scherzare e continuò nelle sue interminabili disquisizioni sull’utilità delle leggi portate all’esame del Parlamento, esponendo a suo avviso quali, a settembre, avrebbero dovuto assolutamente essere approvate e quali no.
Ad un tratto Ross tirò fuori il braccio dal finestrino, battè con forza sulla parete della diligenza e subito il cocchiere tirò al petto le redini, l’andatura dei cavalli rallentò, finchè il veicolo si fermò completamente.
“Ma cosa fate, Poldark?”
“Siamo al bivio per Sawle, eccellenza. Io sono arrivato” – rispose il giovane bruno, caricandosi sulla spalla la sacca da viaggio e preparandosi alla discesa.
“Ma non abbiamo finito il nostro discorso!” – si lamentò Falmouth, mentre l’ometto simile ad un topo fissava alternativamente l’uno e l’altro, chiedendosi chi l’avrebbe spuntata in quella disputa.
“Sono dolente, milord, verrò a trovarvi a palazzo uno di questi giorni. Sono tre mesi che non vedo mia moglie e sta per compiersi per lei il tempo del parto. Appena la situazione in famiglia si sarà assestata mi dedicherò con piacere alle vostre questioni politiche. Poi l’avete detto voi stesso: la situazione in Francia è in continua evoluzione, sarà dunque preferibile vederci quando il quadro sarà più chiaro. Buona serata anche a voi, Rogers!” – disse Ross ormai sceso dalla diligenza, agitando la mano in aria in segno di saluto.
Falmouth e Rogers lo guardarono togliersi la giacca, scorciarsi le maniche della camicia e poi andare via di buon passo, con la sacca in spalla e la giacca annodata alla vita. Mentre la diligenza riprendeva il suo cammino, Rogers soffocò un risolino: non era comune vedere qualcuno in grado di contraddire il suo padrone.
Lord Falmouth, però, non pareva per nulla contrariato.
“Era tutto calcolato, Rogers. Sapevo bene di che pasta fosse fatto Poldark quando gli ho servito il seggio di Westminster su di un piatto d’argento. Non vi era assolutamente nulla di urgente di cui discutere oggi. Volevo mettere alla prova il suo temperamento e, come avete visto, le sue doti diplomatiche stanno nettamente migliorando rispetto agli inizi. Mi ha dato il ben servito con eleganza, avete visto? Con il contentino di una promessa di vederci presto, ha messo bene in chiaro quali sono le sue priorità… ed anche questa è una dote in politica, sapete? Ah, Rogers, quel Poldark mi piace sempre di più….è il figlio che non ho mai avuto! Domani mattina ricordatemi di passare dal gioielliere. Voglio fare un dono al suo erede in arrivo!”
Ross intanto proseguiva a piedi in direzione di Nampara. I sentieri arsi dal sole, i prati fioriti, la immancabile brezza proveniente dalle scogliere, odori, colori e suoni, tutto lo faceva sentire a casa… Londra era movimentata, rumorosa, inebriante, ma l’unico posto dove poteva essere veramente se stesso era fra le mura di quella piccola tenuta a due piani che suo padre aveva costruito per la sua adorata Grace e dove ora, molti anni dopo, era tornata ad abitare una coppia unita da un sentimento forte e profondo.
Trascorsi due mesi dal matrimonio, quasi in concomitanza delle elezioni, Demelza era rimasta incinta e così i progetti di trasferirsi insieme a Londra erano durati ben poco. Ross si sentiva più tranquillo nel saperla a Nampara, con Dwight che poteva seguirla nella gravidanza, e così Demelza lo aveva accompagnato a Londra soltanto per l’insediamento ufficiale a Westminster e dopo un paio di settimane era tornata in Cornovaglia. Ross era riuscito a ritagliarsi tutti i momenti di pausa possibile dalle sedute parlamentari e così, almeno ogni due mesi, era riuscito a tornare a Nampara; negli ultimi tempi tuttavia la politica lo aveva trattenuto a Londra e così mancava da casa da metà aprile. Si sentiva molto in colpa per non essere stato accanto a sua moglie durante la gravidanza. In verità si scrivevano tutte le settimane e Demelza non faceva che rassicurarlo sul suo stato di salute, tuttavia una vocina interiore tormentava Ross impedendogli di vivere con totale serenità quella fase della sua vita.
Appena la sagoma di Nampara giunse alla sua portata Ross cominciò a udire delle voci infantili e quando fu più vicino alla casa notò due testoline, una riccia e bruna e l’altra più liscia e bionda, che si rincorrevano nel cortile con il buon vecchio Garrick, il cane di Demelza. Fu Valentine il primo a scorgere suo padre al di là del muretto di cinta e gli corse incontro gridando “papà!”, subito imitato da Julia. Ross, inginocchiatosi, abbracciò i due figli, carezzò la bestiola che gli strofinava il muso sui calzoni e chiese ai bambini dove fosse Demelza.
“La mamma è di sopra, con lo zio Dwight e Prudie” – rispose Valentine con semplicità.
Ross  ebbe un fremito, ma cercò di non darlo a vedere. “Con lo zio Dwight… Ma perché, la mamma non sta bene?”
“Sì, credo di sì – replicò il bambino – ci hanno solo detto di stare a giocare qui , che non si poteva entrare in casa, che ci avrebbero chiamato loro quando potevamo tornare…”
“E vi hanno mandato qui tutti e due da soli?”
“Non siamo da soli. C’è anche Jud.” – rispose Julia, indicando con il dito un angolo poco distante del cortile, dove, seduto sopra una sedia di vimini, il servo dai capelli color paglia ronfava sonoramente.
In due balzi Ross fu da Jud, gli diede una strattonata e lo sollevò in piedi tirandolo per il bavero della camicia. Il servo si riscosse dal torpore, sgranò gli occhi e volse la faccia rubiconda verso il padrone.
“Ah, siete voi, padron Ross, ben tornato…. Non pensavo sareste arrivato proprio oggi!”
“Lo vedo bene… Che diavolo sta succedendo? – sussurrò per non allarmare i bambini – e perché ti sei addormentato lasciandoli soli all’aperto, incosciente?”
“Ma, niente… vostra moglie ha le doglie e sono andato di corsa a Killewarren a chiamare il dottor Enys... stamattina invece ho falciato tutto il fieno insieme a Jim… un pover’uomo non può avere nemmeno un cedimento, dopo non essersi riposato un attimo tutto il giorno? I bambini sono abituati a stare in cortile, e poi c’era Garrick a fare buona guardia.”
Ross era troppo preoccupato per Demelza per strigliare Jud come meritava. Gli sembrava troppo presto per le doglie, e domandò al servo da quanto tempo fossero di sopra.
“Sarà stato poco dopo pranzo…“ – rifletté il servo grattandosi la testa.
“Ma se è quasi il crepuscolo! – esclamò Ross –tutto questo tempo, buon Dio?” e senza attendere una risposta si precipitò al piano di sopra, raccomandando a Jud, se gli era cara la pelle, di intrattenere i bambini.
Proprio mentre stava per franare contro la maniglia della porta Dwight la aprì,  precedendolo.
“Ross, amico mio, sei tornato! Che gioia vederti!” – esclamò il medico abbracciandolo con trasporto.
“Come sta Demelza?” – chiese Ross senza perdersi in convenevoli.
“Tutto bene, sta riposando. È stato un parto abbastanza faticoso, per il momento direi di non affaticarla – disse Dwight, mostrando a Ross la testa ramata di sua moglie adagiata serenamente tra i guanciali – caro mio, sei di nuovo papà! Sei arrivato con perfetto tempismo, direi!”
Ross si affacciò con cautela posando un piede dopo l’altro nella camera da letto, immersa nel silenzio. Prudie era accanto al letto e ripiegava dei teli bianchi.
Mantenendo un tono di voce basso, Ross domandò come mai Demelza aveva anticipato il parto, che era previsto inizialmente per fine mese.
“Può capitare, Ross, soprattutto … in certi casi. Non vi era nulla che non andasse, te l’assicuro. Tutto è andato come doveva, stai tranquillo” – gli rispose Dwight.
“Quindi anche il bambino sta bene… a proposito, è un maschio o una femmina?” – domandò Ross emozionato.
Al padrone di casa non sfuggì l’occhiata furtiva che Dwight e Prudie si scambiarono prima che la più lunga di lingua dei due gli desse una risposta.
“Tanti auguri, padron Ross! Ecco, venite voi stesso ad ammirare il frutto delle vostre prodezze notturne!”
L’ampio sorriso di Dwight, a dispetto del tono beffardo della governante, incoraggiò Ross ad avvicinarsi alla culla, e con sua enorme sorpresa vi trovò due neonati: uno dai capelli più chiari, del colore di quelli di Julia, ed un altro dai capelli più scuri, che dormivano placidamente l’uno accanto all’altro.
“Ma sono due!” – esclamò Ross incredulo.
“Un maschio e una femmina – annuì l’amico medico – in ottima salute entrambi; ma proprio perché erano gemelli il parto è avvenuto un po’ prima del tempo ed è stato più lungo del previsto; nonostante Demelza sia stata bravissima, questo va detto!”
Ross fissava la culla incapace di pronunciare verbo; in compenso Prudie tenne a precisare che sarebbe stato presto necessario un altro aiuto in casa, , visto che Jud era come se non ci fosse, perché lei certo non poteva occuparsi da sola della cucina, delle pulizie e della fattoria con quattro marmocchi tra i piedi.
Ross la liquidò dicendo che ne avrebbero parlato con calma insieme alla signora, e le raccomandò di tornare di sotto e preparare la cena per i bambini; senza dire nulla, per il momento, in modo che Demelza avesse ancora un’ora di tregua prima di essere assalita dai figli con il legittimo desiderio di conoscere i fratellini.
Guardò verso Dwight smarrito. Era già padre di due figli, e vedersene arrivare altri due insieme non era cosa cui fosse preparato.
“Non devi preoccuparti, Ross – lo rincuorò l’amico – i gemelli richiedono spesso cure particolari, ma i vostri sono ben sviluppati, hanno un buon peso e sembrano di indole molto tranquilla… hanno pianto nel vedere la luce, come è naturale, ma Demelza li ha tenuti un po’ stretti sul seno e si sono subito acquietati. Sarà un po’ più faticoso, ma sono sicuro che ce la farete! Ah, per qualsiasi cosa, non esitare a interpellarmi. Intanto passerò con Caroline e Sarah per un saluto nella giornata di domani, d’accordo?”
Ross strinse con calore la mano di Dwight e lo accompagnò alla porta; poi tornò di sopra, si sedette in poltrona e, ancora un po’ intontito da quella novità inaspettata, attese che Demelza si svegliasse.
Dopo circa una quarantina di minuti il neonato biondo - che Ross aveva appreso da Prudie essere quello di sesso femminile – iniziò ad agitarsi, disturbando anche il fratello che le giaceva accanto. Si svegliò anche Demelza, vuoi per istinto materno vuoi perché aveva riposato abbastanza,  e si illuminò nel vedere che suo marito era accanto a lei. Dopo essersi baciati e abbracciati con l’intensità che il momento richiedeva Demelza pregò Ross di prendere i bambini dalla culla e di portarglieli a letto. Ross eseguì, sollevando i bambini uno alla volta, ed osservò ammaliato i dolci gesti di Demelza: le delicate carezze, le parole sussurrate, i teneri baci sulla fronte dei neonati; infine, poiché entrambi frignavano, la rossa si denudò quel tanto che bastava ed offrì le forme rese piene dalla maternità ai due bambini per la prima volta.
Se a Ross fosse stato possibile immortalare la felicità, avrebbe scelto esattamente quel momento. La donna che amava gli aveva appena partorito due figli belli e sani, erano nella pace della loro camera da letto e tutto il resto non contava. Avrebbe voluto bloccare il tempo e rimanere per sempre con quella tenera immagine davanti agli occhi.
Era rimasto in silenzio per non rompere l’incanto, ma Demelza aveva voglia di recuperare il tempo perduto, e cominciò a discutere di tante cose: come chiamare i gemelli – Demelza propose Jeremy per il maschio e Clowance per la femmina, trovando l’assenso di Ross, che rise di gusto pensando a tutte le volte che Jud avrebbe storpiato il nome di quella povera creatura - come dare la notizia a Valentine e Julia, come gestire gli umori di Prudie, che aveva già messo le mani avanti lamentandosi per l’aggravio di lavoro che i gemelli avrebbero comportato.
“Come se dovesse tirarli su lei! – esclamò Demelza divertita – a proposito, Ross, se non avessi latte a sufficienza come faremo?” Il marito la tranquillizzò dicendo che se necessario avrebbero assunto una balia. Parlarono anche di Falmouth e di come Ross se ne era liberato in maniera garbata ma ferma; Demelza gli accennò anche a qualche piccolo inconveniente di cui il capitano Henshawe voleva parlargli alla miniera, ma Ross concluse che la priorità erano lei e i gemelli, al lavoro avrebbe pensato poi. Disse che si sentiva già abbastanza mortificato per non essere stato presente nel corso della gravidanza e nemmeno al momento del parto, a differenza di quanto era invece accaduto con Julia.
“Sei così bella – le disse all’improvviso con gli occhi che luccicavano – e sono così felice che quasi non mi sento geloso a doverti dividere con questi due birbantelli!”
Demelza sorrise, ma si fece all’improvviso seria.
“Ross, devo dirti una cosa molto importante su cui ho riflettuto negli ultimi giorni. Darti un figlio fino a un paio di anni fa mi pareva un sogno impossibile da realizzare, invece adesso ne stringo due tra le braccia… mi sento scoppiare di gioia, non ho altro da desiderare, e leggo nel tuo sguardo che per te è lo stesso… ma noi avevamo già due figli, ricordi?”
Ross capì cosa sua moglie voleva intendere. Jeremy e Clowance erano frutto del loro amore, ma Valentine e Julia meritavano di essere amati del medesimo amore, senza distinzioni. I bambini non avevano colpa degli errori commessi dagli adulti nel passato. Si sentì improvvisamente misero, di fronte alla grandezza d’animo di sua moglie.
“Certo, mia cara. Eravamo genitori di due bambini, oggi ne sono arrivati altri due: questo è tutto! Ti prometto che per il mio cuore saranno tutti ugualmente cari.” – le disse, stringendole una mano fra le sue.
Terminata la poppata, approfittando del fatto che i neonati a stomaco pieno sarebbero stati più tranquilli, Ross si spostò in cucina per la cena ed informò Valentine e Julia della bella novità. I bambini, esultando di avere ciascuno un nuovo compagno di giochi dello stesso sesso, chiesero di vedere subito la mamma e i fratellini e così Ross li accompagnò in camera da letto, in un tripudio di saltelli, abbracci, baci e risate. Nonostante gli sforzi per tenerli quieti, Julia e Valentine erano così eccitati che eccezionalmente i genitori permisero loro di addormentarsi nel lettone, prima di riportarli nei rispettivi letti.
Anche Jeremy e Clowance dormivano sereni nella loro culla. Mancava poco alla mezzanotte, e Ross spense l’ultima candela. Demelza gli si accoccolò tra le braccia, e lui la strinse con dolcezza, ben sapendo che per la passione avrebbero dovuto attendere un bel po’.
Assaporò le sue labbra e le trattenne delicatamente fra le sue. Avrebbe voluto dirle tante cose, ma dopo le emozioni di quella giornata qualsiasi parola era inadeguata. La amava immensamente, ogni giorno di più, come non credeva fosse possibile nella vita.
“Saremo sempre così felici, Ross?” – gli sussurrò Demelza nel buio.
“Sempre e per sempre. Finché morte non ci separi!”– le rispose Ross.
“No – lo contraddisse lei - fino all’ultimo dei nostri respiri ed anche oltre, amore mio”.
Ross pensò che sua moglie aveva ragione. Un sentimento così forte sarebbe sopravvissuto oltre il tempo e lo spazio. E così, stretti l’uno all’altra, si addormentarono.

 

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