Fragmenta

di LeanhaunSidhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era stata una giornata dura, seguita da una notte anche peggiore. Gli incubi non le avevano dato pace per molte ore. Solo dopo che era rimasta sola lui aveva deciso di palesarsi nella sua stanza. Haldir arrivava sempre non visto, nel momento esatto in cui c'era davvero bisogno, anche se l'unica cosa che poteva era mostrare la sua silenziosa presenza. Lei ed il gigante bianco, uniti in quel loro modo peculiare, spesso non necessitavano di parole per comprendersi. Lui l'aveva squadrata fugace, mentre cercava di portarsi seduta sul letto e le offriva il braccio, che l'afferrasse per sollevarsi. I capelli le erano scivoalti davanti, mentre le dita esili, di bambina, si flettevano nello sforzo di aggrapparsi al metallo freddo ed accogliente, conosciuto. Quante volte Haldir l'aveva protetta nella sua stretta? Seleina conosceva le incisioni che coprivano gomito ed avambraccio, una per una. Avrebbe potuto tracciarne il contorno su un foglio bianco persino al buio. Tuttavia, c'erano segreti del gigante bianco che non le era dato comprendere. Domande su cui aveva il diritto di chiedere ma non di pretendere risposte. Eppure, ci provava ogni volta, come poteva, Quel giorno, Haldir era più ombroso del solito. Glielo leggeva nello sguardo più torvo, nei gesti più misurati. Forse, era solo in pena per lei: le sue crisi andavano peggiorando da un po' di tempo.

"In quante parti può spaccarsi un cuore, secondo voi?"

Per una frazione di secondo, le era parso sorpreso attraverso la tenda delle ciocche bionde ancora davanti al viso, mentre faceva leva sulle gambe malferme per tentare di alzarsi. Aveva riavviato i capelli, fissandolo eretta, in attesa di una risposta.

Haldir aveva esitato, misurando le parole nella matassa aggrovigliata dei suoi pensieri. Le aveva posto l'altra mano dietro la schiena, fino a che non raggiunse la finestra. Oltre il vetro, si scatenava una nuova tormenta. La neve vorticava allo schiocco delle sue dita. Un passatempo innocuo per uno come lui, un piccolo dono, per divertirla. Un cristallo di ghiaccio che si protendeva più vicino a loro pareva aver catturato la sua attenzione. Era una piccola esitazione. Pochi attimi, per trovare le giuste parole. Poi, l'aveva ricambiata sicuro.

"Per quante siano le parti, un cuore forte come il nostro deve continuare sempre a battere."

 

❄️❄️❄️

"Dite un po', mio Sire..."

Taka aveva stirato la ragnatela di rughe sul viso nel porre quella domanda apparentemente innocente. Eppure lei usava poche frasi a sottindere molti sensi, soprattutto da quando i suoi occhi si erano chiusi alla vista del mondo, aprendosi a quella delle dimensioni.

"... secondo voi, in quante parti può spezzarsi un cuore?"

Haldir aveva lasciato che il vento rinfrescante del prossimo inverno gli solleticasse le narici,senza voltarsi. Posare lo sguardo su di lei non era certo il modo migliore per avere davanti qualcosa di bello.

"Non ha importanza il numero. Per quante siano le parti in cui è scisso, un cuore deve continuare a battere."

Ne aveva percepita l'attenzione, focalizzata in un unico punto gelido lungo la spina dorsale. Sapeva benissimo che gli dava del lei per prenderlo in giro. Gli epiteti che rivolgeva ad entrambi, a lui ed il suo gemello, erano molto meno lusinghieri, sempre identici. L'ultimo era stato coppia di vecchi caproni. Probabilmente, nel suo sorriso gualcito ed affilato, Taka rimproverava loro di essere i primi a non aver la forza di seguire quel proposito. Haldir aveva deciso di non controbattere. Il silenzio era l'arma migliore, sia per l'indifferenza, sia quando si è in torto.

"Piuttosto, perchè mi fai domande di cui conosci già la risposta, vecchia?"

Lei aveva battuto il bastone a terra, per scuotere il fango secco che era rimasto appiccicata lungo il sentiero.

"Per ricordare ad un amico decrepito che non è il solo a dover essere forte per tutti. Troverete il modo di ricondurre a noi persino il vostro gemello. Concedetevi pace o non giungerete alla fine di questa storia. Io lo so che avete fatto tutto il possibile."

Poi, lo aveva trapassato con le sue iridi vacue.

"Concedetevi pace."

Aveva ribadito, mostrando le spalle ricurve ed allontandosi con la sua andatura incerta.

"Vecchio caprone testardo."

Haldir aveva inarcato un sopracciglio. L'udito ancora non lo tradiva. Era in quelle rarissime e singolari premure che Taka, nonostante tutto, conservava la gentilezza rassicurante di una femmina. La simulava almeno.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


❄️❄️❄️

“Perdonatemi, mio signore...”

Death Mask era rimasto a bocca aperta e con la forchetta a mezz’aria, sotto lo sguardo lacrimevole della sua vissuta attendente. Alle altre case erano state destinate fanciulle aggraziate nel fiore degli anni. Per il proprio tempio, lui aveva scartato ogni candidata simile per un rubicondo donnone di mezza età. Aveva assistito per caso agli sguardi di fuoco con cui la principessina di Asgard inceneriva qualsiasi femmina di bell’aspetto che girasse troppo d’appresso a Zalaia. Lui non voleva proprio finire in una situazione del genere con Mnemosine per qualche procace ancella.

Caso volle che, per una volta, una sua scelta in buona fede fu ripagata. Il donnone in questione si era rivelata la migliore cuoca fra tutte le dodici case. Lui non era più andato a consumare un pasto alla mensa comune. Naturalmente suo figlio aveva subito fiutato l’arcano e nei giorni che passava al grande tempio, a pranzo e cena, lo seguiva a ruota, mangiava il doppio delle sue portate in metà del tempo. Due occhiate svenevoli alla cuoca, il boia, per poi sparire più veloce della luce il resto della giornata.

“Perdonatemi se disturbo il vostro pasto… ma oggi non si unisce a voi quel bel ragazzo che vi somiglia tanto?”

Death Mask aveva grugnito mentre ingoiava il boccone. Sapeva che Zalaia aveva da fare qualcosa circa la vita parallela che conduceva da umano ma francamente non ricordava. Così uso la parola magica: missione. I civili del Santuario sapevano di non poter ottenere dettagli in merito, pena la loro incolumità. Quella, invece di demordere, aveva però battuto le mani, rincarando la dose.

“Allora non è solo un allievo ma già un cavaliere! Buon sangue non mente.”

Il vino gli andò di traverso. La guardò da sotto in su. Ormai doveva capire dove quella ciabatta sarebbe andata a parare.

“Sapete, tra le attendenti del Santuario gira la voce che sarà presto il vostro successore.”

Death Mask aveva posato il bicchiere senza scomporsi, anche se dentro ululava.

“Prima dovrebbe passare a miglior vita quello attuale.”

Mise su il suo ghigno migliore mentre l’aria, in quella cucina assolata, divenne subito sospesa e inquietante.

“Vi piacerebbe che tirassi le cuoia.”

L’aveva vista sbiancare all’istante e balbettare una scusa, prima di sparire con una velocità che parecchie reclute le avrebbero invidiato.

Il cavaliere riprese serafico in mano le posate mentre quella si fiondava in cucina inciampando nei suoi stessi piedi. I fuochi fatui che lo avevano circondato sparivano tornando da dove erano esattamente venuti.

Se non fosse stato per la qualità del pranzo, ogni tanto gli solleticava alla mente il desiderio di arredare come una volta la quarta casa.

 ❄️❄️❄️

“Dì un po’...”

Zalaia si era girato con tutto il bicchiere verso Kiki. Aveva risposto con un verso alla sua affermazione.

“Com’è che Seleina non si è fatta più vedere al grande tempio? Voglio dire… te ogni mese qualche giorno lo passi qua. Lei puff...”

Aveva alzato le spalle allo schiocco di dita dell’altare, prima di mandare giù la birra e prendere parola.

“Probabilmente perché la mensa delle sacerdotesse non è neppure lontanamente paragonabile alla cucina della nuova attendente alla quarta.”

Il suo sorriso era svanito subito alla serietà dell’amico. Aveva schioccato la lingua, prima di pensarci un attimo e poi continuare.

“Taka la impegna parecchio.”

Aveva iniziato a girellare il bicchiere, sbuffando appena.

“Le figlie di Haldir non parlano con noi degli affari loro. Per quel poco che ne capisco Taka le sta insegnando la sua magia e la cosa affascina parecchio Seleina.

Quando parlano tra loro nella lingua antica dei domatori non c’è spazio per niente altro nelle loro menti. ”


 


 


 

❄️❄️❄️

L'odore delle lacrime è sempre salato, sempre uguale. Raschia olfatto e ricordi in maniera fastidiosa, inconfondibile. E' una nota dolorosa che si cerca di nascondere per non far soffrire chi ci è caro. Ad un fiuto allenato come il suo non sarebbe mai potuto passare sottotraccia. L'aveva imparato quando era cucciolo, troppo presto, nel sorriso tirato di sua madre, la prima volta che Sire Imuen l'aveva lodato per i suoi progressi e lui era rientrato a casa gonfio d'orgoglio. Avrebbe voluto raccontare come il suo pugno era andato a segno sconfiggendo l'avversario più grande, che lo infastidiva da tempo. Era entrato come una furia. Aveva sbattuto la porta e sua madre, che era di spalle, aveva sussultato. Lui l'aveva vista passare veloce una mano sugli occhi. Non aveva compreso. Allora erano lucidi i bei smeraldi che impreziosivano il volto di sua madre e in quel preciso istante tutto fu cristallino. Si era bloccato.

Mnemosine, sviando subito discorso e pensieri, gli aveva chiesto il motivo della sua entrata trionfale. Zalaia, però, era rimasto impietrito. Nella sua espressione ormai irrimediabilmente spenta aveva fatto capolino una maturità che ancora non doveva appartenergli. Cresceva in fretta ma sarebbe stato meglio con un dolore diverso: solo quello degli allenamenti. Non aveva voluto saperne di placarsi nel suo abbraccio. Le aveva passato le dita sotto le ciglia, la dove le lacrime pizzicavano piccole, ancora.

"Smettila di piangere per quello la, mamma. A te ci penso io. Perché stai ancora male per lui?"

Serio, aveva fissato sua madre, mentre lei sorrideva e piangeva insieme. Zalaia non avrebbe più dimenticato l'odore di quelle lacrime.

 

Seleina ravvivava il fuoco con gesti precisi. Aveva un modo diverso rispetto a Tabe, che prendeva la legna e la gettava nelle fiamme come qualcosa di poco conto e di cui sbarazzarsi presto. Seleina era misurata persino nel quotidiano. Più raffinata. I Dunedain avevano la leggerezza evanescente delle fate ma chiunque avrebbe osservato meglio e fosse stato capace di vedere oltre il velo non avrebbe potuto ignorare quella parte selvaggia che l'aspetto umano conteneva a fatica. Quella frenesia del cacciatore affamato che non ha tempo da perdere in faccende da poco conto. Perchè la fame è feroce e le prede scappano in fretta, anche se la tua natura ti permette di vivere secoli. Seleina pretendeva di essere Dunedain ma una sua parte restava sempre umana. Come nella futilità di quei piccoli gesti, quali allestire un giaciglio o custodire le fiamme. Sotto quelle spoglie da lupo ammansito, da qualche parte si celava ancora una raffinata principessa.

Zalaia le aveva afferrato il polso, impedendole di continuare a svolgere il suo compito. Si era specchiato nei suoi occhi sorpresi, nel suo disappunto.

"Fino a quando continuerai a nascondermi le cose?"

Le chiese monocorde, anche un po' scocciato: Seleina non era poi troppo diversa da sua madre, nel cercare di dissimulare le proprie lacrime.

Le aveva passato l'indice sulle ciglia.

"Mi sono accorto che fai la veglia al morto* ogni notte..."

Aveva ricevuto una scusa balbettata e la sua schiena. Con lui, Seleina aveva abbassato presto le difese, iniziando a mostrare una fragilità che le altre femmine del clan non esternavano mai.

"Lo sai che non sono forte come te. Non te l'ho mai nascosto."

Zalaia aveva annuito, sollevandole il viso. Non gli piaceva che lo tenesse basso. Non con lui.

Non riuscì a decifrare le sue palpebre serrate, le labbra strette.

"Passerà."

Le ripeté, carezzandole il viso.

"Anche io starei male se succedesse a Sire Imuen quello che è successo al tuo Maestro. Ma la morte è la morte e bisogna accettarla. Fa parte della vita."

Seleina aveva fissato enigmatica un punto alle sue spalle. Forse le stelle che facevano capolino oltre le sue chiome rosse, dopo la sua armatura.

"Eppure certe vite sono dure a spezzarsi. In un certo senso, godono a prendersi gioco persino della morte."

Aveva intrecciato le dita tra i suoi capelli ribelli, privandolo dell'elmo, godendo del profilo volitivo del suo volto.

Lo baciò a fior di labbra, prima di separarsi da lui e inginocchiarsi di nuovo davanti al fuoco, allungando lentamente i palmi aperti per godere meglio del tepore delle fiamme. Da lì alzò lo sguardo al firmamento silenzioso che li sovrastava, sospirando. Il vento era freddo e dolce quella notte. Spirava leggero tra la stoffa e la pelle, come un abbraccio.

❄️❄️❄️

Il rumore dei suoi passi leggeri si mescolava alla terra profumata di pioggia e all'erba umida. Avanzò lentamente, quasi timoroso di disturbarne l'ostinato silenzio.

L'aveva vista sobbalzare, accorgersi tardi della sua presenza, quando ormai era appresso, seduto al suo fianco: abbastanza vicino, da poter allungare il braccio e sfiorarle la spalla, se avesse voluto; abbastanza lontano, per non travalicare certi confini invisibili, che da soli si erano imposti.

 

"Come stai?"

 

L'Ariete studiò ogni sua minima reazione, attento a non perderne neppure un particolare.

 

Seleina aveva alzato le spalle, a mimare che neppure lei stessa ne avesse un'idea precisa. La mano, senza fretta, aveva abbandonato i fili verdi tra cui si era nascosta, come a trovare ristoro. Tenue, si era posata sulla maschera. Le unghie, ormai lunghissime anche quando era umana, avevano striduto leggermente sulla porcellana bianca prima di trovare un appiglio stabile. Una pressione fievole. Poi la copertura venne rimossa.

 

"Sono stanca."

 

Ammise suo malgrado. Non chiarì se dell'assenza di chi si ama o del perdurare di uno stato di cose che mal si accetta.

Si stese in terra coi capelli sparsi tutt'intorno. Le dita diafane a schermare la luce del sole che picchiava sugli occhi, simili a zaffiri, non più di Haldir ma di Cristal. Del Cigno. Del suo vero padre, del paladino della dea bambina. Il tatuaggio faceva capolino tra le bende che cingevano il braccio. Ci aveva provato ad adeguarsi al Santuario, dopotutto. Tentava e ritentava ogni momento. Falliva. Ogni volta più miseramente. Accade sempre così quando le persone non assecondano la propria inclinazione e volere.

Mu aveva posato l'elmo alla propria destra. Aveva trattenuto un attimo il fiato mentre lei si sfilava la maschera e, per un secondo, il cuore aveva accelerato i battiti. Uno solo. Poi era tornato alla realtà e non ne aveva sentito più il bisogno. Anche lui puntò il viso verso le nubi bianche che tagliavano quel cielo terso di fine estate. In realtà aveva osservato ogni particolare del viso di lei e sarebbe pure arrossito se fosse stato colto in flagrante ma Seleina era meno ricettiva in quella forma e lui aveva imparato ad essere un po' meno ligio alle regole se non correva il rischio di essere scoperto.

"Non riesci proprio a fartene una ragione."

La canzonò dolcemente, riferendosi al suo attaccamento al Maestro e al suo clan, quello a cui non vedeva l'ora di tornare.

"Hai l'aria di chi non dorme da tempo'."

Continuò, riferendosi alle occhiaie che le sciupavano il viso. Non si stupì che avesse perso il sonno dal giorno esatto che era arrivata al Santuario.

"Così rischi di rendere meno in allenamento."

Ricordava con una certa meraviglia il modo in cui dominava l'acqua e la sua maestria con le armi. Chissà se era diventata più veloce e imprevedibile, più salda nella difesa o efficace nell'attacco.

"Per quanto tu possa essere forte negli altri giorni, hai comunque solo il cosmo quando sei umana. Anche il resto del branco ne beneficerebbe, se tu imparassi finalmente a servirtene come si deve."

La osservò sbuffare. Doveva essere la milionesima persona ad aver intavolato quel discorso.

"Io credo che tu sia dotata almeno quanto Zalaia."

Quel nome uscì con fin troppa naturalezza dalla sua bocca. Seleina stessa lo guardò di sbieco, come se avesse proferito la più grande delle assurdità. Mu arrossì appena. Non avrebbe dovuto incespicare su un argomento così scomodo. Forse, solo lui lo riteneva tale.

"Io e Zalaia siamo dotati in modo diverso, anche quando siamo umani. Non esiste solo il cosmo a questo mondo, cavaliere, o non solo come lo intendete voi del Santuario."

Mu si era perso nel suo sguardo di nuovo deciso. Non si era mai accorto di come potesse diventare persino vivace, pizzicando le corde giuste. Sorrise, conscio di aver scoperto un aspetto che fino ad allora aveva ignorato.

"E quando Cristal ti ha spedito qui in Grecia perché non gli hai esposto certi argomenti interessanti?"

Non si aspettava la tristezza che la investì a quel punto.

"L'ho fatto. Ma mio padre non mi ascolta. E' una vita che parliamo senza ascoltarci."

Seleina aveva raccolto la maschera.

"A mio padre serve che io mi nasconda qui sotto. E' più facile che cercare di comprendere il mostro che ci vive sotto."


 

❄️❄️❄️

Seleina si era girata di lato. Aveva calciato via la coperta, prima di alzarsi stizzita e decidere di mettere definitivamente i piedi a terra. Per quella notte, non c'era ormai più verso di chiudere occhio. Si girò verso le compagne di stanza, inarcando un sopracciglio. Una di loro russava così forte che Tabe a confronto poteva quasi definirsi silenzioso.

Come se fosse stato quello il problema della sua mancanza di sonno...

A piedi nudi, sgattaiolò verso l'esterno della camera. Sbucò nel corridoio centrale. I suoi piedi silenziosi si confusero nei respiri addormentati della notte. Dalla finestra del corridoio centrale soffiava una brezza fresca e piacevole. Per le altre era più un vento che avrebbe gelato le ossa e causato qualche starnuto. Lei, però, era diventata tutt'uno col gelo. Quel soffio calmo sulla pelle era ristoratore. Alzò le iridi verso le stelle. Fluida, si mise a sedere all'angolo della finestra, una gamba dentro e una fuori, coi piedi a penzolare nel vuoto, quasi fossero stati privi di peso. Appoggiò la nuca al muro e sospirò. Solo gli dei sapevano quanto avesse davvero bisogno di qualche ora di sonno. Come scivolava però tra le braccia di Morfeo, quegli incubi facevano capolino. Acceleravano il respiro, fino a togliere il fiato. Se non stava attenta, rischiava di trovarsi davanti agli occhi quelle immagini anche da sveglia.

Si concentrò invece sul soffio del vento: l'aria, come l'acqua, era un elemento a cui era affine.

Se si fosse lasciata cullare senza permettere alle anime dell'aria di prendere il sopravvento, forse avrebbe finito addirittura per rilassarsi.

Quando si rese conto che, pure se il patto era sciolto, riusciva ancora a vederle, li per li non ci aveva creduto. Addirittura, aveva temuto che qualcosa fosse andato storto. Ma Taka era stata chiara: quella era una sua particolarità. Una capacità che aveva sicuramente ereditato dalla sua antenata, quella per cui tutto era iniziato con Haldir.

 

"Come avrebbe potuto altrimenti, una semplice umana, attirare l'interesse di uno curioso come il nostro Signore e legarlo con un patto tanto potente? Rifletti, bambina, e sbrigati a liberarti di quell'ingenuità che ti rende preda degli sberleffi di quelli come mio figlio."

 

Del campo le mancava tutto, persino i rimproveri di Taka.

Intonò mentalmente una delle melodie delle creature dell'aria, iniziando a dondolare il piede al ritmo. Che era capace di danzare bene quasi quanto una delle normali figlie di Haldir l'aveva scoperto da poco. Una sera in cui Zalaia aveva cominciato a suonare il violino e qualche femmina aveva iniziato a girargli attorno, agitandogli i seni prosperosi sotto al naso al tempo di musica. E lei se l'era presa, per sommo diletto di Zalaia. La gelosia l'aveva spinta fin dove mai lei stessa avrebbe creduto possibile: a lasciare il tavolo degli anziani per correre vicino ai suonatori. A stabilire possesso e distanze. Col sorriso baldanzoso di Zalaia che vibrava mentre agitava l'archetto e lei che era avanzata come ipnotizzata in mezzo alle altre femmine. Non avrebbe potuto fermarle con le armi, perché non erano guerriere del suo rango. Non sarebbe stato giusto. Le dita contratte dalla rabbia avevano abbandonato la posa insicura del pugno per sciogliersi nelle note. Poi le braccia fino ai gomiti: ogni parte del suo intero corpo. Liquefatta nella musica. Fino a che gli occhi di Zalaia, rapaci, erano tornati solo per lei, e non per prenderla in giro. Predatori. Lui aveva lasciato il violino per raggiungerla. Seleina non si era sottratta alle sue braccia esigenti. Ci si era fusa dentro, prima di aggrapparsi alla sua spalla e fissarlo intensamente come mai prima d'allora era stata capace.

"Tu sei mio."

Aveva esalato al suo orecchio, mentre il sorriso furfante di lui si allargava. Era suo e non lo avrebbe diviso con nessuna.

La musica, però, che fino ad allora aveva accompagnato le loro parole come un abbraccio delicato si era spenta all'istante. Nel nero della notte c'erano solo loro e presto il volto di Zalaia era impallidito fino a sfumare. Le tenebre avevano sfavillato e l'aria le era mancata nei polmoni, riarsa. Aveva sentito il fuoco bruciare ogni sua cellula. Il suo grido si era confusa in quello del volto ustionato che la ricambiava. Gridavano con la stessa intensità, con lo stesso terrore.

Seleina si era svegliata urlando. Una compagna le aveva appoggiato una pezza fredda alla fronte e lei l'aveva scacciata impaurita. Era la prima volta che non riusciva a nascondere agli altri i suoi incubi.




Note
Torno per scherzo, perchè ho voglia di tornare. Stralci separati che stanno trovando la loro posizione. Pezzi che cercano la loro strada in un intreccio nuovo. Per togliere la ruggine, forse per iniziare a tracciare un nuovo cammino... chi lo sa. Per chi c'è, ci rivedremo qua

 

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