AVVENTO

di Rosa Marina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Calore e Libertà -prologo- ***
Capitolo 2: *** Segreto e lealtà ***
Capitolo 3: *** Sogni e speranze ***
Capitolo 4: *** Legami ***
Capitolo 5: *** Incontro ***
Capitolo 6: *** Lacrime ***
Capitolo 7: *** Tre cuori ***



Capitolo 1
*** Calore e Libertà -prologo- ***


Quando, non sapeva nemmeno lei più quanti giorni prima, la signora Kiyomi la vide giungere, dal fumo della battaglia, cullando tra le braccia quel fagotto quasi fosse un bimbo, per un attimo si illuse che il suo sogno si fosse avverato. Solo nel momento in cui si rese conto che il tessuto era intriso di sangue che macchiava anche l’uniforme della nobile Mikasa comprese di cosa si trattava, tuttavia non disse nulla e come aveva promesso, fece tutto ciò che era in suo potere per permettere all’ultima discendente del clan Shogun della nazione di Hizuru di fare ritorno a Paradise Island.

Fu mentre si trovava rannicchiata nella cabina della nave degli Azumabito, che l’avrebbe ricondotta nella sua patria, che Mikasa ricordò tutto. Non fu un ricordo nitido di dove e quando accadde, ma le sensazioni provate in quei momenti erano più vivide che mai, obliate dal potere fondatore della grande progenitrice Ymir ed ora riaffiorate nella sua mente. La ragazza strinse a sé il fagotto che teneva in grembo, ciò che rimaneva del suo amato e che desiderava, con tutta sé stessa, riportare a casa.

«Eren...» pensò «...sento ancora il calore del tuo corpo...»

Avrebbe voluto che il tempo si fosse fermato lì, che tutto fosse finito in quell’istante, tra le braccia di Eren.

Lo sciabordio delle onde, il rumore di quel mare che era stato un sogno ormai lontano, sembrava la sua voce che le diceva «Mikasa… vorrei che tu vivessi con fiducia la vita che ti aspetta… vorrei saperti felice...».

Tornata a Paradise Island, la giovane Ackerman condusse per alcuni mesi una vita nascosta, nessuno era a conoscenza del suo ritorno. In segreto seppellì l’amato Eren nel luogo che aveva concordato con Armin, sotto l’albero dove da bambino amava riposarsi e sulla lapide vi incise una frase che parlava d’amore:

“Qui per sempre
Riposa in pace
Mio amatissimo
Mio Caro”

Era l’anno 854.

Mikasa rimase lontana dal Quartiere Generale e dalla Capitale. Ormai a Shiganshina non vi era più nessuno che potesse ricordarsi di lei, della bambina dal lucenti capelli corvini che picchiava tutti come un maschio. Saliva spesso sulla collina e lasciava spaziare lo sguardo oltre l’orizzonte. Ormai le mura erano crollate causando morte e distruzione ma dai molti cuori offerti per la libertà e dal molto sangue versato di troppe vittime innocenti pareva veramente poter nascere una nuova era di pace. Raccolse un fiore candido e fu felice nel sentirne il profumo

«Certe cose non sono cambiate da allora... l’erba è sempre verde, il sole brilla e il vento fruscia dolcemente fra gli alberi… soltanto il tuo volto e la tua voce non torneranno mai più...».

 

Quando il bambino nacque, Mikasa lo guardò con tenerezza ripensando a sua madre e al marchio che le aveva lasciato in eredità, ma quando il piccolo aprì gli occhi rivolgendole il suo primo sguardo, lei capì all’istante cosa doveva fare.

L’incredibile verde di quegli occhi parlava di una sola cosa: libertà.
 


Nota dell'autrice:
Ciao a tutti, ho da poco concluso la letture del manga deill'Attacco dei Giganti, compreso delle pagine aggintive che mi hanno ispirato questa fanfictions. sarà una serie divisa in tre storie di cui, quello che avete letto è il prologo, spero che mi seguirete fino alla fine di questa avventura.
Grazie!

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Capitolo 2
*** Segreto e lealtà ***


Le perdite dovute alla guerra erano state altissime ed avevano lasciato traumi e ferite in tutta la popolazione, molti bambini erano rimasti soli, senza una casa, mutilati, feriti, traumatizzati, denutriti e in quasi tutti loro si era spenta la luce dagli occhi, solo con tanto amore e al sicuro nell’orfanotrofio piano piano si stavano riprendendo. Quelli con il carattere più forte iniziarono a giocare quasi subito, giocavano alla guerra e i più grandi di loro parlavano dei Giganti. Alcuni ricevevano le visite di qualche vicina di casa amica dei loro genitori che li credeva morti durante quella che venne chiamata “la battaglia tra Terra e Cielo”.

 

Quel giorno Historia stava guardando la sua piccola Ymir, mentre giocava spensierata rincorrendo gli altri bimbi dell’orfanotrofio. Era una splendida giornata di sole e dovette ripararsi gli occhi con la mano quando vide una figura famigliare giungere verso di lei.

«Mi… Mikasa!» esclamò con gioia alzandosi in piedi per correrle incontro, le era giunta voce che fosse l’unica del Corpo di Ricerca ad essere tornata sull’isola di Paradise ma dal termine dell’ultima battaglia non l’aveva ancora rivista. Aveva i capelli un po' più lunghi di come la ricordava e teneva tra le braccia un bambino addormentato, che doveva essere nato da pochi giorni.

«Oh Mikasa, sono così felice di rivederti, del 104 mo Corpo Cadetti ormai, qui a Paradise siamo rimaste solo noi due…»

«Si, ha ragione...», rispose la ragazza con dolcezza. «Anche io sono felice di vedere che stai bene Historia.»

La fanciulla guardò con tenerezza il bimbo che dormiva tra le braccia di Mikasa, aveva un piccolo ciuffo di capelli proprio al centro della fronte, corvini come quelli di lei: «che bel bambino, è tuo... ?»

La giovane Regina pensò che la sua vecchia amica avesse iniziato una relazione con un suo connazionale orientale decidendo di dare un erede alla dinastia degli Azumabito (egoisticamente pensò anche che questa poteva essere una buona cosa per il nuovo scenario politico che si stava delineando a Paradise Island), ma quando vide la fasciatura sul polso di Mikasa il suo sorriso si affievolì.

In quel momento il bimbo si svegliò e sgranando gli occhi li rivolse verso Historia. Quell’intensa sfumatura di verde era inconfondibile. La Regina rivolse a Mikasa uno sguardo attonito «non sarà…?!»

La giovane Ackerman la guardò intensamente, gli occhi grigi erano uno specchio che rifletteva lo sguardo confuso di Historia.

«Questo è un bambino senza nome...» disse dopo un breve momento di tensione, «...ti prego di accoglierlo nel tuo orfanotrofio». Concluse ponendolo tra le braccia della Regina di Paradise.

 

Fu allora che lo specchio che fino a quel momento aveva celato le intenzioni di Mikasa si infranse e Historia comprese. Capì le intenzioni dell’amica, non voleva che sulle spalle di quel bambino innocente pesasse alcun fardello che fosse la discendenza degli Azumabito, il sangue degli Ackerman o il nome Jeagher, perché, in cuor suo ne era certa, anche se Mikasa non lo aveva detto, quel bambino era il figlio di Eren Jeagher.

«Certo un erede di Eren sarebbe prezioso in questo momento che vede il popolo di Paradise Island unito al grido di Sasagheyo innalzato dagli Jeagheristi e il nascente culto del Salvatore di Paradise» 

Si sorprese a pensare la Regina mentre apriva la bocca per indagare sul neonato e fare alla giovane Ackerman ulteriori domande, ma lo sguardo freddo e risoluto della ragazza la fece desistere. Arrossì imbarazzata ed abbassò gli occhi.

Decise, per il momento di rispettare il volere dell’amica ed accogliere il bambino come un orfano senza nome, anche perché sapeva bene che Mikasa avrebbe protetto il figlio di Eren ad ogni costo.

 

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Capitolo 3
*** Sogni e speranze ***


La restaurazione di Paradise Island, al termine del conflitto conosciuto come la battaglia tra Terra e Cielo, fu l’occasione per gli abitanti dell’isola di poter iniziare un proficuo dialogo diplomatico con quella minima percentuale di umanità che era sopravvissuta alla marcia della morte. Per poco più di un anno regnò una pace costruttiva che vedeva ogni singolo essere umano sopravvissuto impegnarsi per ricostruire ciò che era stato devastato dalla guerra. Con il tempo si riunirono le famiglie, si saldarono nuove unioni, i villaggi vennero ricostruiti più moderni, ai carri e cavalli si sostituirono automobili e treni e gli spostamenti tra un paese e l’altro divennero più fluidi e semplici. Il cielo venne solcato da dirigibili e mongolfiere panoramiche. L’abbattimento delle mura portò gli abitanti ad espandere i loro territori e venne costruito un porto in riva al mare chiamato “New Shiganshina” in onore del distretto in cui tutto ebbe inizio. Il vecchio distretto di Shiganshina, quello che aveva visto i natali di Eren, Mikasa e Armin manteneva invece l’aspetto tetro di un villaggio fantasma dove risiedevano pochi anziani abitanti nei racconti dei quali ancora riecheggiavano i terribili momenti in cui il Gigante Colossale e quello Corazzato abbatterono le Sacre Mura.

In pochi mesi, i geniali tecnici degli Azumabito costruirono una nave che aveva lo scopo di trasportare passeggeri paradisiani dall’isola al Continente, la chiamarono “Rose Marine” e sulla bandiera campeggiava l’antico simbolo della nobile casata dello Shogun di Hizuru.

Il giorno del varo al fianco della regina Historia e dei giovani ufficiali dei corpi di Gendarmeria e Guarnigione, sopravvissuti all’ultima battaglia, si sarebbero trovati anche i leader delle nazioni che desideravano sedere al tavolo della pace con il rinato Impero Eldiano. Anche Mikasa Ackerman era stata invitata a presenziare alla cerimonia del varo, come ultima discendente del clan orientale del quale faceva parte sua madre.

Prima di recarsi al porto però aveva deciso di passare a salutare il bimbo senza nome che aveva affidato, appena nato, alle cure della Regina, ormai era cresciuto e sfoggiava una serica chioma corvina con una folta frangetta che malcelava gli incredibili occhi verdi. Correva sempre incontro sorridente alla giovane donna che veniva a trovarlo ogni settimana, tendendole le braccia felice. Fu lo stesso anche quel giorno, proprio mentre la signora Kiyomi sopraggiungeva in quel luogo, era arrivata qualche ora prima della cerimonia per poter colloquiare in privato con la nobile Mikasa. Voleva proporle nuovamente di convolare a nozze con un suo connazionale per parte di madre. Tra gli appartenenti al loro clan vi erano molti buoni partiti e in questo modo, Mikasa avrebbe contribuito a dare nuovo lustro alla sua casata, ormai era passato del tempo dalla morte di quasi tutti i suoi compagni, la guerra era terminata e la fanciulla avrebbe potuto guardare avanti e pensare di fondare una nuova famiglia, fine ultimo per ogni donna. Tuttavia la nobile Mikasa aveva sempre rifiutato ma la signora Kiyomi sperava che ormai i tempi fossero maturi.

Quando vide la ragazza inginocchiarsi per accogliere tra le braccia il bimbo dai capelli corvini, come i suoi, congiunse le mani al petto estasiata mentre sentì una lacrima solcargli le guance, che il suo desiderio si fosse finalmente avverato?

Il sorriso le si congelò sul volto in una smorfia quando però vide il polso della ragazza ben fasciato e l’antico stemma degli Azumabito ancora sigillato nella carne dell’unica persona che tuttora lo portava impresso.

«Allora quel bimbo, nonostante la somiglianza non è veramente suo figlio...» pensò amareggiata mentre Mikasa si alzava rivolgendole un contenuto gesto di saluto e allontanando il piccolo da sé perché tornasse a giocare con gli altri bambini.

 

Il varo della nave fu un successo e aprì nuovi canali diplomatici fra Paradise Island e il Continente. Alcuni giorni dopo, quando Mikasa si recò all’orfanotrofio per la consueta visita settimanale, trovò ad attenderla Historia, con un sorriso raggiante. La Regina le disse tutto d’un fiato che le trattative per permettere ai loro amici e compagni d’armi di tornare sull’isola erano andate a buon fine e che tra qualche mese, proprio in occasione della ricorrenza del termine della guerra una delegazione di pace guidata da Armin Arlert e tra i cui membri vi erano anche Jean Kirstein e Connie Springer avrebbe approdato al porto di New Shiganshina, battendo bandiera azzurra, colore simbolo dello stesso mare che bagnava le due nazioni in guerra da sempre.

A quella notizia gli occhi di Mikasa si illuminarono.

«Eren…» pensò «Armin sta tornando… tutti stanno finalmente tornando a casa...»

 

 

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Capitolo 4
*** Legami ***


«Paradise Island, è apparsa all’orizzonte!»

Quando Annie entrò nella cabina della nave pronunciando quella frase, il cuore di Armin ebbe un sussulto ed iniziò a battere fortissimo. Troppo grande era l’emozione al pensiero di rivedere la sua patria, di incontrare Mikasa, di poter pregare con lei sulla tomba del loro amato Eren. Aveva trascorso gli ultimi anni a Marley, in terra straniera e un tempo nemica, assieme a Connie e Jean e per quanto avesse, in qualche modo imparato ad amare quei luoghi il desiderio di tornare a casa non lo aveva mai lasciato. Ottenere ciò non era stato però facile a causa del complicato scenario politico che si era sviluppato tra Paradise Island e il Continente al termine del sanguinoso conflitto che aveva posto fine al potere dei Giganti. Ora gli Eldiani potevano contare sulle sole forze umane che rimanevano loro in campo.

Sapeva che a Paradise il nascente movimento degli Jeagheristi era diventato sempre più forte grazie anche al sostegno di ciò che restava degli adepti dell’antico Credo delle Mura che avevano sostituito la vecchia religione con il nuovo “Culto del Salvatore di Paradise Eren Jeagher”. Come se non bastasse la corsa agli armamenti e la militarizzazione di Paradise Island rendevano i rapporti diplomatici con il Continente ancora molto delicati. Tuttavia, nonostante l’affacciarsi nella nuova era fosse iniziato con uno scenario tanto drammatico, grazie alla fine diplomazia della Regina Historia, a tre anni dal termine della guerra, lui e i suoi amici e compagni d’armi potevano finalmente fare ritorno in patria. Ignorò i timori espressi da Pieck che, terminato di punzecchiare Jean per il suo continuare a pettinarsi nervosamente i capelli, ironizzava sulla buona riuscita della missione e sul fatto che sarebbero stati affondati prima di toccare terra. Anche Annie pareva tesa e solo Connie conveniva con lui sul fatto di avere fiducia nella loro Regina, la lealtà di Historia la conoscevano molto bene.

Armin, tuttavia, con il cuore in subbuglio, diede poco peso a quella discussione liquidandola con un banale «vedrai che le cose andranno bene», rivolto ad Annie, prima di correre a prua per vedere Paradise Island avvicinarsi. I suoi compagni di viaggio lo seguirono e quando la verde Isola apparve ai loro occhi rimasero come incantati a guardarla mentre il vento scompigliava loro i capelli e gli spruzzi di acqua salata si confondevano con le loro lacrime. Erano tutti Eldiani. Per chi era nato a Marley e aveva subito il giogo dell’oppressione quell’Isola, un tempo considerata abitata dai demoni, appariva ora come la Terra Promessa mentre per altri era il luogo dove riposavano tanti compagni che avevano donato il loro cuore per la libertà. In particolare per Armin, era la patria dove avrebbe potuto finalmente riunirsi a coloro che più amava. Proprio mentre era coinvolto da questo pensiero, vide un fiero uccello dalle piume bianche, solcare il cielo.

«Eren...» pensò istintivamente quando sentì la morbidezza di una piuma posarglisi sulla mano. Alzò gli occhi e seguì con lo sguardo il volo dell’animale che si dirigeva verso Paradise Island come a volerlo precedere.

Quello stesso giorno di tre anni prima il suo amico e compagno d’armi Eren Jeagher aveva perso la vita per mano sua e di Mikasa Ackerman durante quella che passò alla storia come la battaglia fra Terra e Cielo.

 

Mentre, dalla nave che lo avrebbe ricondotto in Patria, Armin contemplava la verdeggiante Paradise Isaland con le lacrime agli occhi, Mikasa si era recata sotto l’albero sulla collina per portare, come faceva ogni anno, un fiore sulla tomba di Eren. Si sedette vicino alla lapide del suo innamorato e guardò l’orizzonte oltre quelle mura che non esistevano più. Sapeva che Eren aveva sempre desiderato di poter contemplare quello splendido paesaggio libero dalle mura, dalla cima di quella collina e per questo motivo lo aveva sepolto lì.

Non aveva mai detto a nessuno di quel luogo, Paradise Island si stava velocemente modernizzando, ma Shiganshina rimaneva ancora un posto tranquillo e poco emancipato, “il distretto della morte” lo chiamava la gente e pochi venivano ad abitarvi.

«Eren...» disse rivolgendosi alla gelida pietra «...presto saranno tutti qui… sei felice?»

 

Mikasa piangeva di rado, solo quando una forte emozione la soffocava e scoppiare in lacrime era l’unico modo per darvi sfogo e in quel momento il dolore era troppo intenso. Quando le lacrime iniziarono a bagnarle le guance e si abbandonò contro l’albero consapevole che, per quanto cercasse di essere forte, Eren le mancava moltissimo, sentì qualcuno avvolgerla nella sciarpa rossa che continuava sempre ad indossare in ricordo del suo amato. Aprì gli occhi alla sensazione che Eren fosse li con lei, e vide uno splendido uccello bianco che con il becco le sistemava la sciarpa proprio come era solito fare lui.

«Grazie… Eren», pensò mentre stringeva a sé la sciarpa e seguiva con lo sguardo lo splendido animale che si librava libero nel cielo azzurro.

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Capitolo 5
*** Incontro ***


Armin, Connie e Jean avrebbero voluto correre ad abbracciare le loro amiche e compagne d’armi appena varcarono la Sala del Consiglio dove si sarebbero tenuti i saluti formali e tutti i proforma dovuti alla loro visita diplomatica, tuttavia la situazione impose loro un doveroso contegno. La Regina di Paradise Island, Historia Reiss li accolse solennemente, portava i biondi capelli raccolti e indossava l’alta uniforme militare propria del Comandante Supremo dell’esercito paradisiano. Anche così era bellissima come la ricordavano.

Quando giunsero poche ore prima al porto di New Shiganshina, non mancarono di notare la bandiera che vi sventolava. Ricordava quella del Corpo di Ricerca con due ali incrociate una bianca e una nera, su campo verde. Alle ali però erano stati aggiunti due fucili anch’essi incrociati e questo particolare li turbò non poco. Avevano saputo, dalle lettere che Historia regolarmente spediva loro, di quello che stava accadendo nell’Isola, ma quei fucili (armi ideate per uccidere esseri umani) uniti alle “Ali della libertà” non presagivano certo una pace mondiale facile e duratura. Furono scortati al Quartiere Generale nella Capitale da un nutrito gruppo di appartenenti alla Gendarmeria Centrale, giovanissimi ed armati fino ai denti. Lungo il percorso, cordoni di soldati contenevano la folla che al loro passaggio sbraitava convulsa, chi (piccoli gruppi isolati) inneggiando il loro ritorno come eroi, chi (la maggioranza) vomitando loro addosso insulti di ogni tipo per aver tramato contro il loro leader Eren Jeager. Ormai la voce che l’eroe di Paradise fosse caduto si era diffusa causando sgomento nella popolazione che senza la protezione del Gigante Fondatore, ora si sentiva indifesa e impaurita, anche se c’era chi diffondeva il messaggio (i più fanatici) che Eren Jeager prima di cadere avesse condotto alla morte migliaia di nemici di Eldia e liberato il suo popolo dall’oppressione di Marley.

Lo stesso stemma, che avevano veduto sulla bandiera al porto, campeggiava anche in un drappo alle spalle della Regina, che li salutò, portando il pugno al petto, con un solenne «Shinzou wo Sasageyo!» seguita da tutti i presenti. Nella stanza si trovavano oltre alla sovrana anche gli alti Ufficiali dell’esercito, i rappresentanti del Clero e del popolo.

Mossi più dalla nostalgia che dall’istinto, i tre ragazzi risposero all’unisono al medesimo saluto.

Toccava ad Armin parlare con sua Maestà in quanto era lui il portavoce del gruppo di Ambasciatori di Pace venuti dal Continente, non riuscì però ad evitare di scambiarsi un intenso sguardo con Mikasa, che si trovava,pochi passi indietro, al fianco di Historia. Indossava l’uniforme degli ufficiali del Corpo di Ricerca e il ragazzo notò che ora portava di nuovo i capelli lunghi, come quando era bambina, raccolti però in una coda di cavallo come voleva il regolamento militare. Notò anche la presenza di Hitch Dreyse che vestiva l’uniforme del Comandante del Corpo di Gendarmeria e quando la vide scambiarsi un sorrisetto d’intesa con Annie, chiaramente rivolto a lui, oltre che sentirsi in lieve imbarazzo, provò un piacevole senso di sollievo e, circondato da volti amici, sentì le spalle rilassarsi. Avevano tutti gli occhi lucidi e avrebbero voluto dirsi molte cose ma l’austerità della situazione li costrinse ad un dialogo pacato e formale anche se e in più di un’occasione sia Armin che Historia, i soli a parlare, dovettero deglutire e fermarsi per impedire all’emozione di incrinare loro la voce.

L’ incontro si protrasse per parecchie ore, vi erano presenti anche molti giornalisti che non mancarono di fare domande e scattare foto per la prima pagina dei più importanti giornali. Quando finalmente la riunione ebbe termine era ormai quasi il tramonto e il programma prevedeva che la Regina e gli Ufficiali si congedassero dalla delegazione Marleyana. L’incontro era esclusivamente formale e diplomatico e non prevedeva un momento di convivialità o una cena insieme.

Il gruppo giunto dal Continente venne affidato alle cure di alcuni giovani Cadetti che li condussero in un alloggio sicuro e ben protetto, riservato esclusivamente a loro. Cenarono tutti insieme serviti da giovanissime reclute serie e silenziose. Terminata la cena Annie e Piech si ritirarono nella loro stanza mentre i ragazzi rimasero alzati ancora un po' per parlare, tuttavia la stanchezza del viaggio e le troppe emozioni li costrinsero a raggiungere presto il loro alloggio e a coricarsi. Armin dovette attendere l’indomani prima di poter riabbracciare Mikasa.

 

 

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Capitolo 6
*** Lacrime ***


Non era ancora sorto il sole quando Armin, Jean, Connie, Annie, Rainer e Piech si trovarono nella piazza d’armi del Quartier Generale, ancor prima che il picchetto reale compisse il rito dell’alzabandiera. Avevano già fatto colazione e indossavano abiti meno formali di quelli del giorno prima (nella notte erano giunti a destinazione anche i loro bagagli). Per loro oggi sarebbe stata una giornata libera da impegni burocratici, infatti, appena si furono svegliati, le giovanissime reclute addette al loro servizio furono molto zelanti nel comunicare loro che avevano il permesso di spostarsi abbastanza liberamente e senza scorta anche se, per ora, solo all’interno della Capitale poichè i territori esterni non erano ancora abbastanza sicuri. Questo rattristò molto Armin, impaziente di tornare sulla collina a Shiganshina.

Attesero con rispetto il momento dell’alzabandiera al quale parteciparono con composta solennità tenendo il pugno stretto sul cuore, la bandiera verde con il nuovo stemma che li aveva così turbati al loro arrivo, illuminata dal sole nascente in un luogo a loro famigliare e caro, sembrava meno inquietante di quando l’avevano vista sventolare sul porto. Fortunatamente le nefaste previsioni di Piech furono smentite e Armin Jean e Connie potevano finalmente rivedere sorgere l’alba calpestando la terra della loro patria.

Per prima cosa, quel giorno, decisero di recarsi all’orfanotrofio reale dove grazie ad una soffiata di Hitch che non aveva resistito alla tentazione di salutare la sua cara amica e (più o meno) compagna d’armi Annie Leonhart appena si fosse alzata dal letto, avevano saputo si trovavano sia Historia che Mikasa. Decisero di andare da loro tutti insieme e travolti dai troppi ricordi, Armin Jean e Connie optarono per una sfrenata galoppata fino a destinazione (non si fidavano troppo dei nuovi mezzi di locuzione) seguiti dagli altri, leggermente meno entusiasti. Le parole non possono in alcun modo descrivere quello che provarono i tre amici nel cavalcare fianco a fianco mentre gli alberi e i campi correvano indietro come nubi risucchiate dal vento e la strada si snodava lungo un lucente corso d’acqua evocando così tanti momenti passati.

 

Giunsero in vista della loro meta quando la giornata era ormai aperta e un caldo sole illuminava un limpido cielo azzurro. Nell’aria si sentiva il profumo dei fiori.

Quando arrivarono all’orfanotrofio furono accolti da un bel giovane alto e prestante che indossava stivali da stalliere e portava una vanga sulla spalla, seguito di corsa da una bimbetta biondissima di almeno tre anni.

«Benvenuti!» disse rivolgendo loro un largo sorriso, aggiunse poi volgendosi alla bambina

«Ymir… tesoro, vai a chiamare la mamma^^»

«Si papà!» rispose prontamente lei, simulando di mettersi sull’attenti, poi corse via.

Mentre il giovanotto, che era evidentemente il marito di Historia, conversò cordialmente con loro per qualche minuto, Reiner lo scrutava di sbieco a braccia conserte con Jean che gli batteva la mano sulla schiena come a dire “fattene una ragione” e Annie che lo guardava alzando le spalle per rimarcare il concetto.

Poco dopo giunse Historia correndo, vestiva in borghese e portava i capelli sciolti, allargò le mani piangendo e si gettò letteralmente tra le braccia dei suoi amici e compagni d’armi che, spiazzati da tanto inatteso entusiasmo, quasi non si cozzarono le teste per giungere a sostenerla. Connie scoppiò a piangere rumorosamente aggrappato alla camicia della ragazza con Jean che spingeva per farlo in là. Armin, in preda alle lacrime, teneva il volto affondato tra i capelli dell’amica e solo quando alzò lo sguardo per asciugarsi gli occhi vide in lontananza Mikasa che stava china, intenta a parlare con un bimbo bruno che poteva avere non più di due anni, evidentemente non si era resa conto del loro arrivo. Si allontanò da Historia per correre da lei.

«Mikasa… Mikasa!» gridò per attirare la sua attenzione.

Al suono della voce famigliare, lei si voltò all’istante e contemporaneamente fece lo stesso anche il bambino. Armin si sentì vacillare. Il verde di quegli occhi era inconfondibile.

Non ci fu bisogno d’altro, solo che Mikasa rispondesse con un impercettibile assenso alla sua muta domanda prima che i suoi occhi grigi si riempissero di lacrime.

«Armin...»

L’istante dopo erano a terra in ginocchio stretti l’uno all’altra con il piccolo in mezzo, sconvolti da un pianto convulso e liberatorio che sapeva di troppo tempo trascorso lontani a condividere lo stesso immenso dolore. Inevitabilmente ricordarono l’ultima volta che erano stati tutti e tre insieme sul campo di battaglia, quando entrambi si strinsero a ciò che rimaneva del loro amato Eren.

Rimasero abbracciati così per lunghi istanti e piansero…. piansero finché non ebbero esaurito le lacrime, asciugandosele reciprocamente con le mani mentre tra i singhiozzi non smettevano di ripetere i loro nomi.

 

Mikasa si ricompose per prima, si alzò asciugandosi gli occhi per andare a salutare anche gli altri che si erano avvicinati pur restando in disparte. Jean le prese le mani tra le sue e Connie appoggiò la fronte alla sua spalla. Annie la salutò con una stretta di mano commentando sul fatto che indossava di nuovo la sua sciarpa rossa mentre Reiner e Piech le rivolsero un cordiale sorriso. La ragazza poi cercò con lo sguardo se ci fosse qualcun altro ma rimanendo delusa guardò Armin e gli altri con evidente fare interrogativo indicando con il gesto della mano una persona di bassa statura.

I sopravvissuti del 104mo Corpo Cadetti, si rivolsero uno sguardo d’intesa senza nascondere vari sorrisetti più o meno imbarazzati difronte al chiaro riferimento della ragazza, poi Armin prese la parola.

«Lui... » disse cercando di mantenere un atteggiamento serio difronte a Jean e Connie che misuravano con la mano le loro reciproche altezze «...ci raggiungerà con la prossima nave… quando avremo consolidato la nostra alleanza».

«Capisco...» disse di rimando Mikasa guardando pensierosa il bambino senza nome che ora era corso a giocare con la piccola Ymir. Si chiedeva se, una volta che fosse tornato, sarebbe stato giusto tacere anche a lui l’esistenza del piccolo, dal momento che era anche un suo parente.

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Capitolo 7
*** Tre cuori ***


A quattro anni dalla fine della guerra, il giorno dell’anniversario del termine del conflitto che coincideva anche con la morte del loro amato Eren, finalmente Mikasa ed Armin poterono tornare insieme all’albero sulla collina.

Ci volle un anno prima che l’opera di urbanizzazione raggiungesse anche i distretti più esterni alla Capitale e che il rinnovato Corpo di Guarnigione, capitanato dalla giovane e promettente Rico Brzenska, riuscisse a rendere sicuri quasi tutti i territori. In molti villaggi infatti ancora depredavano bande di sciacalli e i luoghi più impervi davano rifugio a sacche di resistenza animate da coloro che non volevano un’alleanza con la Terraferma.

Per la durata di tutti quei mesi, ad Armin fu impossibile raggiungere l’albero sulla collina di Shiganscina e solo quando la situazione divenne più sicura, la Regina Historia concesse alla delegazione giunta dal Continente di potersi muovere liberamente in tutto il territorio di Paradise Island grazie ad uno speciale documento che conferiva loro protezione e totale immunità diplomatica.

Durante il periodo trascorso dopo il suo ritorno a casa il ragazzo, seguendo l’esempio di Mikasa e spinto dalla nostalgia, si era lasciato crescere un pò i capelli ricordando i giorni in cui da bambini lui e l’amica correvano insieme ad Eren con il vento sul viso e il cuore pieno di sogni rivolti al futuro.

 

Come ogni anno, quel giorno, il quarto anniversario dalla morte del suo amato, Mikasa Ackerman si recò sulla sua tomba, sotto l’albero della loro collina a portargli un fiore, questa volta però non era sola, Armin Arlert la accompagnava ed avevano, di comune accordo, deciso di portare con loro anche il bimbo senza nome che entrambi sapevano essere il figlio del loro compianto Eren.

Durante gli ultimi mesi anche il distretto di Shiganshina, nonostante il tetro soprannome, stava inevitabilmente cominciando a ripopolarsi di gente per lo più rude e diffidente, timorosa verso gli estranei e con negli occhi lo sguardo di chi, in tenera età, aveva visto l’inferno. Tuttavia, la tomba del loro amato Eren rimaneva un luogo ancora fuori mano e per nulla frequentato. Solo raramente e in pochi salivano lassù e se a qualcuno capitava di vedere la lapide pensava ad una vecchia pietra commemorativa posta, chissà quanto tempo prima, da qualche innamorato che era poi morto in guerra o, nella migliore delle ipotesi l’aveva dimenticata. Quello era un terreno ormai incolto ed abbandonato da tempo e la gente non vi prestava troppa importanza. Nessuno vi andava più a raccogliere legna ed i bambini rimanevano a giocare al sicuro vicino alle abitazioni, solo per Mikasa ed Armin era il luogo più caro di tutta l’Isola. Quel giorno, per non rischiare di dare troppo nell’occhio i due ragazzi decisero di vestirsi come un’umile famiglia di contadini di Shiganshina e di giungere al distretto alle prime luci dell’alba.

Raggiunsero la sommità della collina quando il sole stava sorgendo.

 

Per quanto desiderasse, con tutto sé stesso, correre a piangere sulla tomba del suo amico, Armin aveva deciso di rimanere in disparte per lasciare Mikasa sola con Eren mentre deponeva sulla sua lapide la rosa che aveva colto per lui, ma la ragazza gli fece cenno di avvicinarsi e mano nella mano, i due giovani posarono il fiore sulla tomba del loro affetto più caro. Avrebbero ripetuto quel gesto ogni anno fino alla fine dei loro giorni.

Il ragazzo pianse a lungo, in silenzio, mentre parlava mentalmente con il suo amico Eren. Aveva passato gli anni lontano da casa tormentato al pensiero di rivedere Mikasa, soffriva all’idea che l’amica a lui tanto cara avesse perduto il suo unico amore convinta che quest’ultimo la odiasse ma allo stesso tempo, conoscendo i reali sentimenti di Eren, voleva essere leale al suo amico che gli aveva chiesto di non rivelarli mai a Mikasa.

In realtà non era certo che Eren non avesse in qualche modo raggiunto la ragazza per parlarle e spiegarle tutto come aveva fatto con lui, (e in cuor suo si augurava che fosse veramente così) perché al termine della battaglia la giovane si era allontanata con quella sua imperscrutabile espressione sul volto e da allora non l’aveva più rivista, né aveva avuto particolari notizie da parte sua (non sarebbe stato prudente) al di fuori delle lettere di Historia che lo rassicurava sul fatto che l’amica stava bene.

 

Ora Mikasa era inginocchiata di fianco a lui, difronte alla tomba di Eren e teneva il bimbo stretto a sé quando Armin si girò a guardarlo. Il piccolo stava allungando le manine verso la lapide quasi avesse istintivamente capito che lì si trovava suo padre. Spinto dall’emozione Armin si strinse alla ragazza mentre tra l’aria limpida e la luce splendente del sole i ricordi di tanti momenti sereni, prigionieri tra il profumo dell’erba, ripresero vita.

Per loro fu come tornare bambini, i lunghi capelli neri di Mikasa mossi dal vento, quelli biondi di Armin che brillavano al sole e quegli occhi, gli occhi di Eren dall’incredibile sfumatura di verde che racchiudeva in sè il colore delle sconfinate praterie e l’infinito del mare.

 

A quattro anni dal termine della guerra passata alla storia come la battaglia fra Terra e Cielo, sotto l’albero sulla verdeggiante collina di Shiganshina, tre cuori, eternamente uniti, battevano nuovamente all’unisono.

 

Nota dell’autrice

Con questo capitolo che mi ha fatto emozionare moltissimo mentre lo scrivevo (se fosse cartaceo vi sarebbero impresse le gocce delle mie lacrime) in cui ho voluto riunire i cuori dei tre protagonisti sotto l’albero sulla collina si conclude il primo libro di questa trilogia. Prossimamente su queste pagine potrete leggere cosa il destino avrà in serbo per gli eroi di Paradise Island . Ringrazio, intanto, tutti coloro che mi hanno seguita fin qui e vi do appuntamento alla prossima storia.

Ciao a tutti!

 

 

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