Transformers: Armada- Mondi Intrecciati di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ''delicatezza'' della pioggia ***
Capitolo 2: *** Pioggia sull'asfalto ***
Capitolo 3: *** Pioggia in trasferta (forse) ***
Capitolo 4: *** Pioggia sul latte macchiato ***
Capitolo 5: *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 1) ***
Capitolo 6: *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 2) ***
Capitolo 7: *** Pioggia nella base degli Autorobot (purtroppo) ***
Capitolo 8: *** Pioggia velenosa (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Pioggia velenosa (parte 2) ***
Capitolo 10: *** SPECIALE- Pioggia... verde smeraldo! ***
Capitolo 11: *** Pioggia di ''quella donna è pazza!'' ***
Capitolo 12: *** Pioggia in uno strano Halloween ***
Capitolo 13: *** Pioggia acida ***
Capitolo 14: *** Pioggia in un freddo sabato sera ***
Capitolo 1 *** La ''delicatezza'' della pioggia ***
Allora...
Ho
scritto questa cosa. C'è di
mezzo un' OC completamente umana che doveva teoricamente restare
inutilizzata
(e difatti non so quale sarà il suo destino dopo aver
scritto questo. Ammetto
di star pubblicando più che altro per curiosità
di sentire SE avete
da dire qualcosa E cosa
è :'D) quindi non prendetela troppo sul serio, ok? Questa
è solo per divertimento ed è anche totalmente "a
braccio" -ma farò sì che abbia una sua coerenza,
non preoccupatevi.
La
fanfiction un po'più "seria" su questo cartoon la devo
ancora scrivere.
A
livello cronologico è
ambientata pochi giorni dopo il primissimo episodio di Transformers
Armada.
Nient'altro
da dire per ora.
1
LA
DELICATEZZA DELLA PIOGGIA
«Tu
non andrai da nessuna parte, Billy
O’Connell».
«Ma
ho già detto a Fred che avrei-»
«Non
mi interessa, sapevi
benissimo di essere in castigo».
Il
tredicenne deglutì rumorosamente, senza
tuttavia perdere il coraggio di guardare dritto in volto la cugina.
«Non puoi
tenermi qui contro la mia volontà, Rain!»
Per
essere cugini di secondo grado, i due
O’Connell si somigliavano più di tanti fratelli.
Entrambi erano provvisti di
capelli castani -di qualche tono più scuri nel caso di Rain-
pelle
chiarissima, lentiggini e occhi di un verde azzurro piuttosto tipico
per delle
persone di genia irlandese.
A
livello caratteriale però non si
somigliavano altrettanto: l’espressione inamovibile sul volto
delicato e simmetrico
della giovane donna non era frutto dei soli quattordici anni
d’età in più
rispetto a Billy.
«Hai
perfettamente ragione, non “posso”» disse
Rain, alzando gli occhi al soffitto «Sono obbligata, dal
momento che tu a
tredici anni suonati non hai ancora un briciolo di capacità
di discernimento.
Devo ricordarti cos’è successo poco tempo
fa?»
«Ancora
con quella storia?! Mi sembra che io e
Fred siamo usciti vivi e vegeti dalla montagna!»
Non
era stato un bel quarto d’ora per Billy e
per Fred.
Presi
dall’idea di seguire due compagni di
classe -Bradley “Rad” White e Carlos Lopez- in
esplorazioni ben poco
raccomandabili, avevano finito per perdersi nei cunicoli della montagna
che si
trovava relativamente a poca distanza dal centro abitato, e dopo essere
stati accecati
da un lampo di luce bianca erano anche rimasti coinvolti in un breve
terremoto
originato da chissà cosa.
Quale
santo li avesse aiutati a uscire
totalmente illesi da tutto ciò era un mistero,
così com’erano un mistero sia
quella luce, sia l’orma gigantesca che lui e Fred avevano
avvistato una volta
fuori dai cunicoli!
«Il
punto è che tu e il tuo amico non sareste
dovuti mai entrare lì dentro. Se non sei in grado di capire
una cosa così
semplice non puoi pretendere che ti lasci uscire. Vi siete avventurati
nelle
viscere di una montagna da soli, senza uno straccio di attrezzatura,
finendo
coinvolti in un terremoto, solo per vedere cosa facevano quegli altri
due
minorenni» gli ricordò Rain, sottolineando
quell’ultima parola con una smorfia
«alla tua età non ero una tale gobshite».
«Piantala
di darmi dell’idiota e di parlare in
quella lingua strana che non capisco!» sbottò il
ragazzino.
«Questa
“lingua strana” è la tua lingua, sei
nato in America ma hai radici irlandesi, e comunque la stai imparando
piuttosto
in fretta… non solo perché ormai sai
cos’è un gobshite.
Tornando al nostro
discorso, tu sei ancora in castigo, quindi oggi non uscirai. Non
c’è altro da
aggiungere».
«Non
hai il diritto di mettermi in punizione e
di farmi prediche, non sei mia madre!» protestò
Billy.
«Non
che a tua madre sia mai importato
abbastanza da esercitare questo diritto, in caso contrario non saresti
qui».
Billy
ammutolì, impietrito, e dopo aver
indietreggiato di qualche passo salì di corsa le scale che
portavano al piano
di sopra.
Rain
rimase in silenzio, limitandosi a
sospirare quando lo sentì sbattere la porta della sua stanza.
Appena
aveva finito la frase si era resa conto
che la sua classica mancanza di tatto aveva sconfinato pericolosamente
nella
stronzaggine, tra l’altro senza che lei lo volesse davvero.
Si
allontanò dalla porta principale e
raggiunse il salotto, andando a controllare la giara grande di Green
Grass,
ormai in fine. Per fortuna era stata abbastanza lungimirante da
procurarsi più
di una candela con quella fragranza, ormai era diventata un pezzo raro,
che
contribuiva non poco a distenderle i nervi quando ne aveva bisogno.
Come
in quel caso specifico.
“A
volte mi domando chi me l’abbia fatto fare”
pensò “Non ero obbligata. Se me ne fossi stata
buona e avessi chiamato i
servizi sociali ora non dovrei essere io a dover trattare
quotidianamente con
un minorenne gobshite, se ne occuperebbe
una qualsiasi casa
famiglia e…”
Sospirò
di nuovo.
Era
stato proprio quello il pensiero che
l’aveva spinta a prendere la sua decisione. Era vero che in
alcune case
famiglia che ospitavano ragazzi in situazioni difficili regnava un buon
clima,
ma arrivata a ventisette anni poteva dire di aver sentito anche tante
-troppe-
storie che dicevano l’esatto contrario, e quello era il
motivo che l’aveva
spinta a prendere con sé suo cugino.
La
storia di Billy era quella di tanti altri
ragazzini vittime dello stesso cliché: il padre se
n’era andato chissà dove
qualche anno prima, lasciandolo solo con una madre che non era capace
né di
stare senza un uomo né di badare al proprio figlio, come
aveva dimostrato il
fatto che si fosse perfino dimenticata di andare a prenderlo
all’uscita del
pronto soccorso una volta in cui si era slogato gravemente una gamba
facendo
sport.
Era
successo quasi un anno prima ed era stata
Rain, passata di lì per caso, a dare un passaggio a uno
sconsolato Billy che si
era rassegnato ad aspettare l’autobus sotto la pensilina, e
da lì era partito
tutto il resto.
Pur
avendo passato l’infanzia e buona parte
dell’adolescenza col nonno in Irlanda, Rain aveva raggiunto i
propri genitori
in America quando Billy aveva appena due anni, lo aveva visto crescere
e non le
aveva mai fatto nulla di male; dunque, una volta avuto un quadro chiaro
della
situazione, aveva assecondato il richiamo del sangue e
dell’ospitalità
irlandese, finendo per accogliere un ragazzino che la madre aveva
smollato via
volentieri, contribuendo a fargliene ottenere la tutela legale fin
troppo
facilmente.
La
casa molto grande e moderna di cui il nonno di
Rain aveva pagato la costruzione aveva fatto il resto, insieme al fatto
che la
giovane donna, grazie ai terreni lasciati in eredità da
suddetto nonno, godesse
di un’ottima rendita senza dover
muovere un dito.
Era
stato così che la vita di Rain era
diventata tutt’a un tratto più affollata, complice
un cugino a cui solo dopo un
paio di mesi era entrato in testa il concetto “Se hai
intenzione di portare in
casa il tuo amico devi notificarmelo con due giorni di anticipo in modo
che io
mi prepari spiritualmente ad avere a che fare con un preadolescente non
imparentato con me” e che al momento stava annegando nei
complessi per colpa
sua.
Si
diresse in cucina, preparò due cioccolate
calde all’americana -le era servito qualche anno per
abituarsi a quei beveroni-
e poi salì al piano di sopra per raggiungere la stanza di
Billy. Bussò alla
porta.
«Billy».
Nessuna
risposta. Bussò ancora.
«Rispetto
la tua privacy e per questo busso,
ma facendo valere la mia autorità di tutrice
legale entro lo stesso» lo
avvertì Rain, per poi entrare.
La
prima cosa che vide -oltre a un livello di
disordine ancora tutto sommato accettabile per la stanza di un
tredicenne- fu
che Billy si era rifugiato, seduto, sotto la coperta blu scuro del
letto.
Si
avvicinò senza dire un’altra parola,
così
come non ne giunsero da Billy, se non quando lei si sedette vicina a
lui.
«È
vero che non le importa. Non le è mai
importato» mormorò il ragazzino, sempre nascosto.
«Io
comunque non sono stata gentile a
ricordartelo».
«Già».
«Pur
non avendo intenzione di arrivare a
questi livelli».
«Ormai
dovrei sapere che sei delicata come un
carro armato in corsa, è colpa mia che me la
prendo» borbottò Billy.
«Delicata
come un carrarmato in corsa ci sta,
delicata come un carro armato stronzo in corsa invece ci sta un
po’meno. Non che
i carri armati parlino abbastanza da essere stronzi,
s’intende» aggiunse Rain
«C’è un bicchiere di cioccolata calda
sul tuo comodino».
«…
ci sono le codette di zucchero colorate
sopra?»
«Qualcuna».
A
quel punto il ragazzino si decise a uscire
da sotto la coperta e ad agguantare la cioccolata. Ne bevve qualche
sorso in
perfetto silenzio, prima di sollevare gli occhi sulla cugina.
«Perché mi hai
voluto qui?»
«Ne
abbiamo già parlato, Billy».
«Sei
giovane, sei bella, vivi in una casa con
la piscina e l’idromassaggio e puoi permetterti di campare di
rendita per tutta
la vita, non avevi alcun buon motivo per volermi qui, soprattutto
considerando
che detesti i minorenni e stai poco anche con la gente della tua
età. Chi te lo
ha fatto fare di prendere in casa un… un gobshite come
me,
eh?»
«Non
avrei lasciato che un cugino che ho
praticamente visto crescere e che non mi aveva mai rotto le scatole
andasse a
finire in una qualche casa famiglia. Sai bene che quella sarebbe stata
la fine
che avresti fatto, prima o poi, se io non ti avessi accolto
qui» disse Rain «E
comunque da quando hai imparato a usare i sottobicchieri e hai capito
che Icy
Blue Spruce è il sudore di Cthulhu fatto candela non sei poi
così male».
«Io
però non la trovo poi così malvaaa…
niente, come non detto».
«Bravo.
Ascolta, volevo dirti questa cosa:
posto che non intendo affatto annullare il tuo
castigo…»
«E
ti pareva» sbuffò Billy.
«Se
tu e Fred volete avvicinarvi alla coppia
di amici multietnica e politicamente corretta, perché non
provate un approccio
un po’più normale rispetto a rompere loro le
scatole e cercare seguirli ovunque
vadano come degli stalker imbranati? Non so come funzioni ora ma ai
miei tempi
bastava un “Ciao”».
«I-io
e Fred non vogliamo diventare amici di
quei due, ti pare?! Vogliamo solo sapere dove vanno!»
Rain
sollevò un sopracciglio. «E perché vi
interessa così tanto?»
«Perché…
eh…» Billy si grattò la testa
«Non lo
so, ok? Ma non è perché vorrei essere loro amico!
Giuro!»
«Se
le cose stanno così, finito lo studio
infilati nell’idromassaggio con il Necronomicon e un Virgin
Mule. È sicuramente
più utile che perdersi nelle montagne».
«È
solo che… oh insomma, se quei due sono
andati lì lo avranno fatto per un motivo!»
insistette il ragazzino «Ci
dev’essere qualcosa!»
«Cosa
vuoi che ci sia nelle viscere di una
montagna?» sospirò Rain «Ma poi, se
anche ci fosse qualcosa, perché ti dovrebbe
importare?»
«Se
scoprissi qualcosa magari… ecco…»
esitò
«Rain, tu ricordi quella compagna di classe a cui ero stato
assegnato per le
ripetizioni? Alexis?»
«Quella
col massimo dei voti in tutte le
materie? Quella da cui sei voluto andare nonostante ti avessi detto che
ero
disposta a cercare di infilarti personalmente un po’di
letteratura in testa?
Sì, ricordo. Ricordo anche che ha un cognome
asiatico...»
«Thi-Dang»
annuì Billy.
«Quindi
puoi pure togliertela dalla testa. Tu
non hai una media abbastanza alta e lei probabilmente si sente troppo
dotata
per i comuni mortali. Smentiscimi: in una scala da uno a dieci, quanto
se la
tira?»
«Fino
a qualche tempo fa avrei detto “nove”,
in effetti» ammise Billy «Ultimamente
però lo fa di meno, perché proprio da
dopo il giorno del terremoto ha iniziato a frequentare Rad e
Carl-»
«Ah
ecco» lo interruppe Rain «Quindi vuoi sia
diventare amico di questi due, sia cercare di coltivare un interesse
senza
speranza. Ti ripeto di lasciar perdere la ragazza perché
tanto non c'è trippa
per gatti, ma per riuscire nella prima di queste due cose un consiglio
te l’ho
già dato, sebbene non mi faccia molto felice
l’idea di te assieme a loro. Sono
sicuramente brave persone, non dico di no… ma non sono
granché furbi né i due
geni che si infilano nelle grotte, né chi ci sta insieme.
Tienilo a mente».
«Ooook»
annuì il ragazzino, poco convinto
«Quindi… mi fai uscire con Fred?»
«Ho
già detto di no, eejit!»
«In
Irlanda ci sono troppi modi di dare del
cretino alle persone, siete poco civili» si lagnò
Billy.
«Quest’estate
scoprirai meglio quanto siamo
poco civili, perché se riuscirai a passare l’anno
e non dovrai fare corsi vari
andremo proprio in Irlanda» lo informò Rain.
«Che?!»
esclamò il ragazzino, allibito «Per
quanto?!»
«Per
un po’, una settimana o due. È meno di
quanto vorrei ma temo sia necessario, perché più
restiamo lì più diventa alta
la possibilità che mio cugino Sebastian venga a sapere della
nostra presenza e
ci raggiunga. Non tengo particolarmente a rivederlo, i post con le
citazioni di
Oscar Wilde in cui mi tagga bastano e avanzano».
Billy
finì di bere la cioccolata. «Il cugino
Sebastian è quello che si è sposato pochissimi
anni fa?»
«No,
era il testimone di nozze. A sposarsi
pochissimi anni fa è stata un’altra mia cugina, ai
tempi ventenne come lui, che
nello stesso anno ha divorziato per andare a mettersi con un russo di
sessant’anni, sfigurato e povero. Tsk…
un’altra gobshite! Non
rimpiango di aver accampato il morbillo per evitare quel matrimonio, mi
sono
risparmiata un sacco di dramma inutile. Sai che non vado matta per i
drammi
inutili, vero?»
Billy
non fece in tempo a risponderle, perché
un grido degno di un barbaro preadolescente giunse a turbare la quiete
ritrovata.
«BIIIIIIILLY!»
Era
Fred, che evidentemente si era davvero
illuso che Billy potesse riuscire a convincere Rain a non tenerlo
più in
castigo.
«BIIIILLY!
BILLY- BILLY- BIIIIIILLY!»
«Il
tuo amico ha fatto un viaggio a vuoto… e
ora ho un minorenne che strilla davanti a casa mia»
commentò Rain, con
espressione a dir poco seccata.
«Ora
mi affaccio e gli dico che- no aspetta,
non andarci giù di carro armato stronzo, lo sai che
è in terapia!» si affrettò a
dire Billy, vedendo la cugina raggiungere la finestra e affacciarsi.
«Eeehm…
C-ciao, Rain!» balbettò Fred, rosso in
viso, vedendola.
Fred
aveva sperato fino all’ultimo di non
trovarsi obbligato a doverle parlare.
Le
poche volte che aveva a che fare con la
cugina di Billy rappresentavano sempre un brutto quarto d’ora
per lui: in parte
si mettevano di mezzo le sensazioni tipiche di un tredicenne timido di
fronte a
una donna di bell’aspetto, che lo facevano sentire ancor
più impacciato del
solito, e in parte c’era anche il fatto di aver capito
perfettamente -grazie a
quel che gli raccontava Billy, soprattutto- che quella donna era un
tipino
difficile e che lui, essendo un minorenne non imparentato con lei, non
era
gradito a prescindere.
«B-
Billy è in casa?»
«Sì».
«Eeee…
può uscire?» trovò la forza di
chiederle.
«No.
Addio».
Detto
ciò, la donna chiuse la finestra.
Fortunatamente
per Fred il confronto era stato
breve.
«Dubito
che il tuo amico avrà bisogno di mesi
di terapia in più solo per questo» disse Rain
«E quando deciderò che sia il
momento di lasciarti uscire di nuovo, vedi di stare fuori dai guai e
non fare lo
stalker, Billy O’Connell, altrimenti deciderò che
posso riuscire a sopportare
il cugino Sebastian e resteremo in Irlanda per qualche anno, invece che
per un
paio di settimane. Mi hai capita?»
Billy
annuì e, sapendo che probabilmente Rain
non scherzava affatto, era anche convinto.
Nessuno
dei due poteva sapere che da lì a poco
l’incontro con esseri provenienti da un posto un
po’più lontano dell’Irlanda,
lontano chissà quanti anni luce dalla Terra, avrebbe
impedito a entrambi di
tener fede alle loro parole.
Ciao
a tutti voi che siete arrivati qui in fondo!
Chi ha letto
"Occhi di Smeraldo" e relativi sequel potrebbe aver
riconosciuto qualcuno dei parenti cui Rain accenna :D
Vi ringrazio
per aver letto, se volete lasciare un commento sappiate
che sarò felice di rispondervi. Alla prossima!
Qui trovate
due (miei) disegni di Rain:
Link 1
Link 2
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Capitolo 2 *** Pioggia sull'asfalto ***
2
PIOGGIA
SULL'ASFALTO
“X
gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”
«Uno
che fa meno di quaranta miglia all’ora in una strada col
limite di sessantacinque è una stramaledetta piaga
umana» borbottò Rain, dopo aver
dato una veloce occhiata all’orologio attraverso gli occhiali
da sole dalle
lenti blu scuro.
“Go
hard, getting busy wit it
Damn right, and I'll do it again, 'cause I am right so I gots to win
I'm getting down, down like a nigga said ‘Freeze!’
But won't be the one ending up on his knees!”
Mentre
il sub woofer continuava a sparare a musica a tutto
volume, decise che si era definitivamente rotta le scatole.
Per
i suoi gusti si trovava dietro quel grosso -e a parer suo
lentissimo- camion rosso e blu già da troppo. Forse
l’autista aveva tempo da
perdere e voglia di fare una scampagnata, ma lei era di
tutt’altro avviso,
soprattutto perché mancava poco all’uscita di
Billy da scuola.
Curiosamente
quel giorno si era svegliata a un orario un
po’più decente del solito e, dopo aver completato
la sua routine mattutina e
aver visto che la bicicletta di suo cugino era nella rimessa, aveva
deciso di
andare a prenderlo.
In
quell’occasione intendeva anche comunicargli che il suo
castigo era finito: negli ultimi tempi Billy si era comportato come
doveva,
aveva studiato più del solito, aveva sempre usato i
sottobicchieri e aveva
avuto il buonsenso di evitare ulteriori proteste che avrebbero solo
allungato
ulteriormente la punizione.
“Credo
che apprezzerà il fatto di poter tornare a uscire
proprio durante il periodo in cui il centro di ricerche CosmoScoop
ospita il
luna park della scienza” pensò.
“First
we gonna rock, then we gonna roll
Then we let it pop, go, let it go!
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”
Entrata
in corsia di sorpasso premette sull’acceleratore,
spingendo la sua Porsche decappottabile a centoquarantaquattro
chilometri orari
-“I chilometri orari hanno molto più senso delle
miglia orarie. Americani bastian
contrario”, pensava sempre.
Superò
il camion con una sonora clacsonata e il braccio
destro ben sollevato, volto a mostrare un dito medio altrettanto
sollevato
all’autista che…
“Non
c’era?...”
Alla
velocità cui andava non aveva avuto modo di vedere bene
dentro l’abitacolo mentre gli era passata accanto,
né in seguito dagli
specchietti retrovisori, però per un attimo le era veramente
sembrato che alla
guida non ci fosse nessuno.
«Terremoti
completamente a caso, fasci di luce bianca, orme
gigantesche di chissà cosa e ora anche questo,
che… tsk» borbottò.
Era
impossibile, giusto? I veicoli normali non si guidavano
da soli.
Era
stato sicuramente dovuto a uno strano gioco di luci misto
alla velocità, nulla di più, così come
il terremoto era stato un semplice
fenomeno naturale, la luce bianca vista da suo cugino nella montagna
era stata
frutto della suggestione e l’orma di cui aveva parlato era
una strana
depressione del terreno- o semplicemente il lavoro di qualcuno che non
aveva
niente di meglio da fare.
Accelerò
ancor di più per mettere ulteriore distanza tra
sé e
il camion.
Complici
quegli strani pensieri, aveva appena deciso che le
risultava molto antipatico.
***
«Ma
se non c’è niente, perché andate
così spesso in direzione
della montagna?» insistette Billy.
Sembrava
proprio che, per quanto i rimproveri di Rain non
l’avessero lasciato indifferente, Billy perseverasse con quel
“rompimento di
scatole” dal quale era stato dissuaso. Sua cugina in fin dei
conti non era lì a
scuola, castigo o meno non poteva controllarlo
ventiquattr’ore su ventiquattro
e vederlo fare quel che non avrebbe dovuto.
Ma
poi, si chiedeva, perché “non avrebbe
dovuto”?
Non
intendeva andare nuovamente a infilarsi nella montagna,
aveva imparato almeno quella lezione, però non riusciva a
vedere davvero
qualcosa di male nella sua sete di risposte.
La
curiosità era qualcosa che lo rendeva uno spirito affine
ai due coetanei che stava tartassando con le sue domande, e forse era
proprio
dal fatto di essere affini che derivava la sua voglia malcelata e mal
espressa
di avvicinarsi a loro.
Billy
non era mai riuscito a farsi molti amici nei suoi
tredici anni di vita, complice forse la sua situazione familiare poco
stabile.
Parlava con alcuni dei suoi compagni di classe ma non aveva un legame
con
nessuno di loro, se non con Fred, che considerava un amico ma a cui
riservava
un trattamento più simile a quello di un subordinato.
Il
loro non era il rapporto più sano del mondo, ma non era
neppure così strano che una persona insicura traesse forza
dal prevaricare chi
era ancor più insicuro di lui- anche senza la vera
intenzione di fare del male.
«Voi
ci ritenete degli sfigati, no? Allora fatevi gli affari
vostri una buona volta, idioti!» sbottò Carlos.
«Ehi!
Il mio terapista dice che nessuno deve permettersi di
darmi dell’idiota!» protestò Fred.
«Beh
non è che comportandovi così ci spingiate a
chiamarvi in
un modo diverso, anche se volessimo farlo» ribatté
Rad, alzando gli occhi al
cielo.
«Invece
di lamentarvi dovreste ritenervi fortunati del fatto
che vi chiediamo delle vostre stramberie da stramboidi.
Quindiiii… cosa c’è su
quelle montagne?» tornò a chiedere Billy.
«Voi
due non avete proprio niente di meglio da fare se non
infastidire la gente?»
Sebbene
la frase non fosse stata incoraggiante e non lo fosse
stato nemmeno il tono, sia Billy che Fred si voltarono con un sorriso
in
direzione della voce femminile che li aveva apostrofati in quel modo-
per buoni
motivi, andava riconosciuto.
«Ciao
Alexis!» la salutarono in coro.
Alexis
sbuffò. «Sul serio, durante il pomeriggio fareste
meglio a studiare invece che tentare di seguirci. Non vi rendete conto
di
quanto siete snervanti?!»
«Io
in questi pomeriggi non vi ho seguiti» ribatté
Billy.
«Sì,
e hai mandato Fred l’imbranato a farlo al posto
tuo!»
esclamò Carlos, per poi rivolgersi a Fred «Se
pensi a una carriera da agente
segreto lascia perdere, amigo, sul serio».
Solo
a quel punto Billy notò che i suoi tre compagni di
classe quel giorno non avevano con sé la bici, lo skateboard
e la vespa con cui
si spostavano ultimamente. «Noto che oggi siete venuti a
piedi…»
Rad
fece spallucce. «Oggi ci hanno accompagnati e ci vengono
a prendere».
Con
una leggera amarezza, il ragazzino lentigginoso pensò che
nessuno veniva a prendere lui a scuola da tanto tempo. Più o
meno da quando suo
padre era andato via.
Non
che ne sentisse il bisogno, quasi tutti andavano a scuola
e tornavano a casa in perfetta autonomia, però…
“Back
in black I hit the sack
I've been too long I'm glad to be back!”
Sentendo
della musica paurosamente alta in avvicinamento,
svariati dei presenti si voltarono con aria un po’perplessa,
pensando che
probabilmente fossero i soliti ragazzi delle scuole superiori -non
troppo
lontane da lì- automuniti, a cui piaceva fare casino.
“Yes
I am let loose
From the noose
That's kept me hanging about!”
L’unico
veicolo in rapidissimo avvicinamento però si
rivelò
essere una cabrio biposto sportiva, bianchissima e immacolata, guidata
da
qualcuno che Billy non si sarebbe aspettato di vedere lì.
“Rain
si è svegliata abbastanza presto da riuscire a venirmi
a prendere dopo la colazione” che considerata l’ora
sarebbe stato più esatto
chiamare brunch “Il tai-chi, il bagno profumato e la scelta
della candela da
accendere oggi? In che mondo parallelo mi trovo?!”
“I
kept looking at the sky cause it's gettin' me high
Forget the hearse cause I'll never die
I got nine lives
Cat's eyes
Abusin' every one of them and runnin' wild
Cause I'm back!...”
Capì
di trovarsi nel solito mondo e non in un mondo parallelo
nel momento in cui Rain, avendo la strada del tutto libera,
parcheggiò sul lato
opposto della strada con un testacoda allucinante.
“YES
I'M BACK IN BLACK!”
La
vide sollevare gli occhiali da sole e fargli cenno di
raggiungerla.
Testacoda
o meno, l’amarezza provata un momento fa era
sparita del tutto.
«Oggi
anche io ho chi mi è venuto a prendere» disse
Billy,
per poi correre verso l’auto senza salutare nessuno.
«BILLYYYYY! Potresti
almeno
salutarmi!» strillò Fred.
«…cioè,
Billy ha una fidanzata così,
più grande di lui e che sa pure
guidare in quel modo?!» allibì Carlos, che non
aveva capito assolutamente
niente della situazione.
«Io
credo che sia la cugina di cui mi aveva vagamente
accennato ai tempi delle ripetizioni. È più
probabile» disse Alexis, senza
particolare entusiasmo.
«Sì
sì, è la cugina… ed è
tremenda!» disse Fred dopo aver
abbassato parecchio la voce «Ehm. C-ci si vede,
ragazzi» farfugliò,
allontanandosi alla svelta; non per paura di essere stato sentito,
semplicemente
perché non era molto abituato a parlare con gli altri se
vicino a lui non c’era
Billy.
Il
quale al momento aveva altro per la testa. «Rain!»
«Salta
su e allaccia immediatamente la cintura. Gli occhiali
da sole sono nel cruscotto».
Il
ragazzino obbedì velocemente, ben contento.
«Fatto!»
Rain
abbassò la musica a un livello che permetteva la
conversazione, diede gas e ripartì, senza manovre strane e a
una velocità un
pochino più contenuta rispetto a quella con cui era
arrivata. «Ho fatto più
tardi di quanto avrei voluto, mi sono trovata davanti un camion che
andava più
lento della morte per fame, se la morte per fame fosse una persona e
fosse
zoppa da entrambi i lati».
«Era
nei limiti?»
«Andava
meno di quaranta miglia all’ora in una strada col limite
di sessantacinque, roba da fucilazione immediata. Io che vado un
po’più veloce
di quanto dovrei magari sbaglio» riconobbe la donna
«Ma uno come quello
intralcia il traffico, la vita, l’Universo e tutto quanto!
Roba da revoca della
patente, a parer mio. Comunque, stavi infastidendo nuovamente i tuoi
compagni o
stavolta ti stavi comportando da persona normale?»
«Sono
stato normale. Normalissimo. Assolutamente» mentì
Billy
«Anche se… sai, continuano ad andare in direzione
della montagna. N-non che io
intenda seguirli ancora fin lì, ovviamente, ho capito che
non lo devo fare» si
affrettò ad aggiungere «Però non
capisco proprio il motivo».
Si
preparò a un discorso analogo all’ultimo che aveva
sentito
da lei a riguardo, con tanto di “Che ti importa di quel che
fanno?” ed
esposizione della realtà oggettiva concernente il suo metodo
di approccio del
tutto sbagliato.
Discorso
che invece non arrivò affatto.
«Non
lo capisco nemmeno io, sono sincera. Ragione ulteriore
per cui io ti darò questo avvertimento e tu lo ascolterai:
non cercare mai più
di seguirli, per quanto tu possa averne voglia, e possibilmente evita
di star
loro attorno. Se tieni a lui, consiglia lo stesso anche al tuo
amico».
«Sembri
ancor meno contenta all’idea di quanto già non
fossi
fino a poco tempo fa» osservò Billy, leggermente
inquietato dal tono della
cugina.
«Rimango
dell’idea che non siano cattivi ragazzi, però una
stranezza chiama l’altra. Se i genitori di quei tre sono
tanto felici all’idea
che i loro figli crepino giovani, schiacciati dai massi o da chissà
cos’altro,
fatti loro. Io però
la penso diversamente, dunque quando oggi pomeriggio uscirai te ne
andrai
dritto al luna park della scienza, dove le stranezze restano ancora a
un
livello umanamente accettabile».
«Posso
ricominciare a uscire? Sul serio?!» esultò Billy.
«Sì…
ma quel che ti ho detto sull’andare in Irlanda nel caso
tu faccia qualcuna delle tue stronzate resta valido, sia
chiaro».
«Puoi
continuare a fare l’irlandese burbera quanto vuoi ma
ormai dopo quasi un anno ho capito che in realtà sei gentile
e buona come il
pan-»
«Shut
your gob, ya eejit».
Billy
alzò le mani in segno di resa. «Ok, sto
zitt-»
«Eccolo!
È quello!» lo interruppe Rain, indicando la corsia
opposta «Il maledettissimo camion di prima!... AG
FUCK-THÙ, GOBSHITE!»
gridò, sollevando di nuovo braccio e
dito medio «E tu che hai da ridere?»
Billy
cercò di contenersi, inutilmente. «Niente,
niente!»
“E
di nuovo non sono riuscita a vedere se l’autista
c’era o
meno” pensò Rain.
Qualche
minuto dopo quel secondo incontro, il camion rosso e
blu la cui lentezza era stata così poco apprezzata si
fermò davanti alla scuola.
«Non
ci aspettavamo che venissi tu, Optimus» disse Rad, una
volta salito a bordo.
«Dato
che oggi è una giornata più tranquilla del solito
ho
pensato che una boccata d’aria avrebbe fatto bene anche a
me» rispose il
comandante degli Autorobot «Va tutto bene, ragazzi?»
«Alla
grande!» esclamò Carlos.
«Ottimo.
Si parte!»
Anche
con gli umani a bordo -a maggior ragione!- Optimus
mantenne sempre la velocità attorno ai sessanta chilometri
orari. Nessuno dei
ragazzini se ne lamentò ma, vedendo un’automobile
grigio chiarissimo superarlo,
nel cervello a transistor del cybertroniano balenò un
pensiero.
«Ragazzi,
avrei una domanda da farvi riguardo una cosa di voi
umani…»
«Di’
pure, Optimus» sorrise Alexis.
«Se
mentre sei in strada vieni sorpassato da un essere umano,
e questo essere umano lo fa suonando il clacson per poi sollevare un
braccio e
il dito medio verso di te, significa che ti sta insultando?
Perché ho
incontrato due volte una donna su un’automobile bianca che
andava molto oltre i
limiti di velocità che segnano i vostri cartelli…
e in entrambe le occasioni ha
fatto una cosa simile».
I
ragazzini si scambiarono un’occhiata, con la vaga
sensazione che Optimus avesse incrociato la cugina, a dir di Fred
“tremenda”,
di Billy.
«Beh»
avviò a dire Rad «Ecco, in
effetti…»
«Non
preoccuparti, Optimus» minimizzò Alexis
«Finché rispetti
i cartelli hai ragione tu, non farti problemi».
“Però
un po’più veloce ci potrebbe anche andare, sarebbe
più
divertente” pensò Carlos.
Il
pensiero in questione svanì com’era arrivato,
sostituito
dalla prospettiva di andare alla base. Chissà
cos’avrebbero fatto di bello,
quel giorno!
“O
beh, se mai ci fossero tempi morti possiamo sempre
andare al luna park”.
|
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Capitolo 3 *** Pioggia in trasferta (forse) ***
Questo
capitolo si svolge in pieno episodio 7 (almeno la prima parte).
Nient'altro da
dire :)
3
PIOGGIA
IN TRASFERTA (FORSE)
In
aria,
bloccato su quel gigantesco pallone di colore rosso, il giovane Billy
O’Connell
si chiese cosa avesse fatto di tanto male nella propria vita per
meritarsi una
cosa del genere.
“Quel
che hai fatto di male è non avermi dato retta, gobshite”.
Si
coprì la faccia con una mano.
Sentire
in testa la voce di Rain, presente solo nei suoi
pensieri, che gli ricordava impietosamente di chi era la colpa -ossia
sua, sua
e sua soltanto- non gli era certo d’aiuto.
«E
ora come facciamo a scendere?!» si lagnò Fred, a
ragion
veduta.
Tutto
era cominciato meno di un quarto d’ora prima, quando
avevano visto che Rad e Carlos erano anch’essi al luna park
della scienza
insieme a due robot alti quanto loro, più alcuni altri.
Inizialmente
Billy, impegnato a ordinare del cibo in uno
stand, non si era neppure accorto della cosa. Era stato Fred a
farglielo notare
-finendo a macchiare la sua povera giacca con le mani sporche di
ketchup. Se lo
avesse fatto a Rain, sarebbe finito decapitato seduta stante- e non ci
era
voluto molto perché Billy assecondasse l’amico
nell’idea di seguirli, tanto per
cambiare.
Era
stato così che avevano scoperto una cosa allucinante,
ossia che i due robottini in questione si trasformavano uno nella bici
di Rad e
uno nello skateboard di Carlos.
Lì
per lì erano rimasti di sasso, poi però era
scattata
subito una “febbre della cattura” più
intensa di quanto lo era stata la cara
vecchia febbre dell’oro nel 1848, in barba a tutti gli
avvertimenti possibili e
immaginabili.
All’anima
di “Fai meglio a stare loro lontano”, di
“Non ti
immischiare” e tutto il resto, Billy a quegli avvisi non
aveva pensato nemmeno
per un secondo: avevano davanti degli accidenti di robot alieni che
secondo lui
volevano conquistare e distruggere il pianeta, quindi naturalmente
andavano
presi prima di subito!
Con
una corda troppo corta e un retino per farfalle trafugati
dal retro di uno stand, per la precisione.
La
caccia ovviamente non era andata a buon fine, tutto quello
che avevano ottenuto era stato prima spaventare i robottini, poi
spaventarsi a
loro volta quando si erano trovati alle spalle quel grosso
“gigante testa
metallica” di colore giallo.
Era
stata la paura a renderli incapaci di ragionare al punto di
attaccarsi a uno dei robottini, che trasformatosi in un mini elicottero
aveva
cercato di volare via per allontanarsi, e poi di lasciarsi cadere sul
pallone.
Ora
si stavano pentendo di tutti i loro peccati…
«Mio
Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei
peccati, perché peccando ho meritato i tuoi
castighi…»
Nel
caso di Billy letteralmente. Non l’avrebbe mai detto, ma
sembrava che aver imparato le preghiere base della religione cattolica
-gli
erano state insegnate di recente per questioni puramente culturali-
avesse
avuto un’utilità.
«BILLY!»
tornò a strillare
Fred «Come scendiamo?!»
Solitamente
era Billy quello con le idee cosiddette
“brillanti”, però in
quell’occasione non si sentiva brillante, nemmeno un
po’.
Se mai il contrario. «Non lo so!» si
disperò «Non ne ho la minima
idea, ok?!»
Entrambi
erano talmente impegnati a compiangersi da non
accorgersi di nulla: né del fatto che il grosso robot giallo
di prima aveva
sparato contro il pallone usando uno dei cannoni del luna park,
né del fatto
che suddetto robot giallo si fosse lanciato in aria.
Se
ne accorsero solo quando il pallone esplose sotto i loro
sederi, facendoli urlare come invasati.
«Spero
che Hot Shot riesca a riacchiapparli in tempo!»
esclamò Rad.
Il
ragazzino sapeva benissimo di aver fatto una grande
stupidaggine portando i Minicon al luna park.
A
dirla tutta se n’era reso conto prima ancora di farlo,
perché anche il più deficiente tra i deficienti
avrebbe capito che portare
degli alieni in mezzo alla gente comune non era l’idea
migliore del mondo;
peccato che, nella loro ingenuità da tredicenni accompagnata
da un ottimismo
eccessivo, lui e Carlos avessero accantonato il buonsenso a favore di
uno stato
mentale comunemente chiamato “chissenefrega”.
Con
tutte le conseguenze del caso.
«Se
le cose andranno male sarà colpa vostra» gli
ricordò
Alexis, impietosa.
«Non
abbiamo detto noi a quei due di romperci le scatole!»
protestò Carlos «Quindi non abbiamo tutta la colpa
che dici!»
«Eccome
se l’avete!... oh, per fortuna Hot Shot li ha
presi»
sospirò la ragazzina, sollevata «Ma voi due siete
comunque in grossi guai!»
Nel
frattempo, sia Billy che Fred guardavano immobili il
robot che li aveva salvati. Il piccolo elicottero di prima si era
agganciato al
suo corpo e, grazie a esso, stava volando con loro due in mano.
Billy
in particolare iniziava a credere di stare sognando.
Volava,
stando in mano a un robot gigante sorridente.
Un.
Robot.
Gigante.
Sorridente.
Difficile
credere che fosse tutto reale, eppure era proprio
così.
“Quindi
è questo che si nasconde sulle montagne? Un gruppo di
robottoni e robottini che sono diventati amici di Rad, di Carlos e
anche di
Alexis?!” pensò il ragazzino.
Sapeva
di essere decisamente al di sotto dell’età legale
per
bere alcol, però avrebbe bevuto molto volentieri mezzo
bicchiere di whisky:
quale motivo migliore dell’incontro con un alieno gigante?
«M-meglio
che te le fai venire tu, le idee…»
riuscì a dire a
Fred una volta che il robot atterrò e li posò a
terra.
Fred
non rispose e, pochi istanti dopo, Billy sentì
distintamente del cicaleccio dietro di sé. Quello di bambini
più piccoli di lui
di almeno tre o quattro anni, tutti radunati attorno al robot giallo
per
ammirarlo.
«Sono
una forza!»
«No,
non sono solo una forza, sono fantastici!»
«Che
bello!»
«Come
vorrei avere braccia così possenti!»
«Quanto
sei forte!»
In
quel momento entrambi i ragazzini non seppero se invidiare
o meno quei bambini e la loro totale mancanza di paura.
Da
un lato era meglio per loro, che quantomeno non avevano
voglia di mettersi a bere alcol, ma dall’altro... davvero
avvicinarsi a giganti
del genere tanto a cuor leggero era una buona idea?
«Grazie
tante ragazzi!» sorrise il robot «E vi ringrazia
anche il mio amico Jolt» aggiunse, riferendosi al robottino
elicottero.
«Ancora
non ci credo» disse Billy a Fred.
«Svegliati
allora!»
Rad,
Carlos e Alexis: il terzetto al completo, tranquillo
quanto quei bambini.
«Ricordate:
nessuno deve sapere quello che avete visto» disse
Rad a Billy e Fred «Mi sono spiegato?»
Entrambi
annuirono.
«Perché
se lo raccontate non si sa che vi potrebbe
succedere!» li avvisò Carlos.
«Che
ci potrebbe succedere?» domandò Fred.
«Beh…
per esempio il nostro amico qui» Alexis indicò Hot
Shot
«potrebbe arrabbiarsi di brutto».
Sia
Billy che Fred tornarono di nuovo a guardare quella
creatura aliena, concludendo che l’idea di vedere arrabbiato
Gigante Testa
Metallica fosse qualcosa a cui non tenevano proprio.
«Te
lo prometto!» si affrettò a dire Billy
«Non diremo ad
anima viva quel che è successo!»
Se
non altro, nel vedere soddisfatta la propria curiosità,
quel pomeriggio lui e Fred avevano imparato una lezione:
“Attento a ciò che desideri”.
***
Parcheggiata
la bici e uscito dalla rimessa, Billy rovistò
nelle tasche alla ricerca delle chiavi di casa. Quando le
trovò ritenne un
miracolo che non fossero cadute in giro, con tutto quel che era
successo.
Fece
per inserire la chiave nella toppa, per poi decidere di
prendersi un altro momento per calmarsi un po’ di
più. L’agitazione per quel
che aveva visto prima non lo aveva ancora abbandonato, il che aumentava
il
rischio -già molto concreto- che Rain notasse qualcosa che
non andava.
Si
appoggiò alla ringhiera del portico, osservando con aria
assente il riflesso del sole sull’acqua cristallina della
piscina.
Fred
gli aveva detto più volte che se fosse stato al posto
suo difficilmente sarebbe uscito di casa, e al momento Billy
rimpiangeva di non
avergli dato retta: nel giardino, piuttosto esteso e pieno di piante,
c’era la
piscina, dentro casa c’era un idromassaggio, aveva a
disposizione una buona
quantità di libri, di consolle per i videogiochi -Rain aveva
avuto un periodo
da gamer-, una tv enorme ad alta definizione con tanto di home theater,
c’erano
perfino una stanza adibita a palestra e un biliardo, chi
gliel’aveva fatto fare
di andare a caccia di robot? Chi?!
«Eeeeeeejit!»
«AAAAH!»
gridò Billy, con un sobbalzo «S-sei tu!... mi hai
fatto prendere un colpo, brutto uccellaccio!»
Il
cacatua alzò la cresta e rispose con un fischio.
«Billy! Eejit!»
Molti
articoli su internet dicevano che i pappagalli parlanti
imparavano più che altro per osmosi, al di là
dell’addestramento vero e
proprio, dunque il fatto che il noventasette per cento delle parole e
delle
frasi conosciute da quell’uccello fossero insulti e
maledizioni in gaelico e
slang irlandese la diceva molto lunga sulla squisita gentilezza della
sua
padrona.
«Eejit! A
chonàc san ort! Eejit!»
“Scemo!
Ben ti sta! Scemo!”.
Billy
doveva ammettere di aver sentito di rado parole più
adatte al contesto.
«Il
brutto è che hai pure ragione, Dagon»
mormorò il
ragazzino.
Sentito
ciò il cacatua volò via, rientrando in casa
attraverso la portafinestra del piano superiore da cui era uscito, e
Billy si
decise ad entrare in casa.
«Sono
tornato» annunciò, senza particolare entusiasmo.
«Avevo
sentito sia te che Dagon» rispose Rain, sdraiata
sull’immenso divano nero posto davanti a un camino spento
altrettanto grosso,
alzando appena gli occhi dal libro che stava leggendo
«Com’è andata al luna
park?»
«Bene.
Benissimo. Alla gran… ehm, non mi sono macchiato io,
qui» si affrettò a dire, vedendo che Rain stava
fissando la macchia di ketchup
sulla sua giacca «È stato Fred, stava mangiando un
hot dog. Come al solito. Sai
che mangia sempre, anche se non dovrebbe».
«Sta
alla sua coscienza e ai genitori ricordarglielo, non a
noi due».
«Vero»
convenne Billy, togliendosi la giacca.
«Billy».
«S-sì?...»
«Ti
consiglio di iniziare entro
i prossimi dieci secondi a
dirmi quello che hai combinato, perché hai scritto in faccia
“So di meritarmi
sei mesi interi senza uscite, senza videogiochi, senza televisione e
senza
cellulare”».
Il
ragazzino indietreggiò. «No, no, ti sbagli, non ho
combinato nulla, non è successo nulla, te
l’assicuro! V-vado a mettere a bagno
la giacca, altrimenti la macchia si secca e poi rimane
l’alone, e tu non vuoi
che rimanga l’alone, vero?...»
«Cinque
minuti in più o in meno non fanno la differenza
ormai, quindi ora ti siederai e mi dirai in che razza di guaio ti sei
cacciato
stavolta… sempre per seguire quei tre,
immagino» disse Rain, sollevando
un sopracciglio.
«Sì»
confessò Billy, abbassando lo sguardo.
Se
fosse stato chiunque altro a parlargli si sarebbe
comportato diversamente, ma sapeva benissimo di essere in
torto… e ormai aveva
imparato da tempo che con Rain era completamente inutile ribattere.
«Sei
ancora più gobshite di
quanto pensassi.
Sei stato in castigo per giorni e giorni proprio a causa del guaio in
cui eri
finito seguendoli, oggi ti do la libera uscita e tu cosa fai? Fai
esattamente
la stessa cosa per la quale eri stato punito! Io non capisco proprio
come
ragioni, sempre se ragioni, s’intende, perché
comincio ad avere dei grossi
dubbi. Non riesco proprio a pensare a un motivo che sia uno per cui tu
possa
esserti andato nuovamente a infilare in chissà
cosa!»
«Mettimi
in castigo per sei mesi e facciamola finita! Tanto
se anche te lo dicessi tu non mi crederesti, per cui che ne parliamo a
fare?!»
«Dici
che non ti crederei? Mettimi alla prova» lo esortò
Rain.
“Ricordate:
nessuno deve sapere quello che avete visto”.
«Non
posso. Cioè… n-non è che non vorrei,
è che… non posso»
borbottò Billy, memore dell’avvertimento.
«Oh
sì che puoi» lo contraddisse Rain
«Di’, non è che quei
tre sono coinvolti in qualche traffico di droga o roba del genere? Il
fatto che
abbiano la tua età non significa niente, credimi,
è più plausibile di quanto si
pensi».
«Ma
no che non sono coinvolti in traffici di droga!»
sbuffò
Billy.
«Allora
cos’è?» insistette la donna
«Sappi che con questa
reticenza mi stai facendo alquanto innervosire, il che
significherà: niente
televisione, niente videogiochi, niente internet, niente cellulare,
niente
uscite, e niente gelato da qui fino alla fine delle scuole superiori -e
sappi
che non sto scherzando affatto. Oltre a tutto questo dovrai pulire casa
a fondo
tutti i giorni, occuparti di andare a fare la spesa, lavare i vestiti,
piegarli, stirarli e metterli in ordine di colore. Passerai anche due
ore al
giorno tutti i giorni chiuso nella tua stanza con cinque giare di Icy
Blue
Spruce accese…»
«A
me quella candela non disp… come non detto».
«E
da qui fino a sedici anni passerai le tue vacanze estive a
vendere limonata…»
«Vuoi
anche farmi fabbricare i limoni con le mie mani, già
che ci sei?!»
«Limonata
fatta con dei limoni che TU avrai
raccolto con
le tue mani» completò Rain «La cugina
Emerald ha parenti in Sicilia. Farti
fabbricare i limoni è impossibile, spedirti in Sicilia a
coglierli gratis
invece è molto fattibile, e ti giuro su quello che vuoi che
se non parli lo
faccio sul serio, Billy O’Connell».
«CI SONO
DEI ROBOT, OK?!»
esplose Billy
«Rad e compagnia vanno in giro con robot piccoli e robot
giganti che si
trasformano tutti in veicoli e si guidano da soli!»
A
quelle parole, nella mente di Rain ci fu un flash: l’orma
gigantesca di cui Billy le aveva parlato e il grosso camion rosso e blu
che le
era sembrato essere privo di autista.
Lo
stesso camion che quel giorno aveva incontrato due volte
lungo la stessa strada, quella che portava a scuola, la stessa scuola
dove
c’erano gli altri tre minorenni “strani”
non imparentati con lei.
Era
piuttosto sicura che Billy, per scampare a una punizione
come quella promessa, avrebbe inventato qualcosa di molto
più credibile;
dunque, forse, quella che lei aveva avuto a riguardo
dell’autista mancante non
era stata un’impressione.
Forse
c’erano davvero dei robot giganti che si trasformavano
in veicoli, e forse lei ne aveva mandato uno a fanculo.
Due
volte.
«Li
ho visti coi miei occhi! Li ho toccati! Ci ho più o meno
parlato! Sei contenta adesso che te l’ho detto?! Tanto non mi
crederai comunque
e mi spedirai lo stesso a raccogliere i limoni!» si
disperò Billy.
«Bene»
disse Rain, alzandosi dal divano «Vai di sopra e fai
le valigie».
«COSA?! Parli
sul
serio?! Vuoi davvero spedirmi in Sicilia?!»
La
donna scosse il capo. «No, Billy, non ti mando in Sicilia.
Ce ne andiamo in Irlanda entrambi. Andiamo di sopra, muoviti»
aggiunse,
afferrandogli una mano per trascinarlo con sé.
«Ma
io ho detto la verità, te lo giuro!»
«Infatti
se ce ne andiamo oggi stesso è proprio perché ti
credo» replicò Rain, mentre saliva le scale con
lui «Mi era parso che il camion
lento di oggi fosse senza autista, solo che fino a poco fa non lo
ritenevo
molto probabile».
«Quindi
tu forse hai mandato a quel paese uno di quei robot?!»
«Già.
Anche se uno che va così lento è troppo
rincoglionito
anche per capire di essere stato mandato a quel paese, dunque questo
potrebbe
essere un problema marginale rispetto al resto».
«Io
però non voglio andare via!» protestò
Billy, liberandosi
dalla sua presa «Sono nato e cresciuto qui, vado a scuola
qui, c’è Fred-»
«Ci
sono anche dei robot giganti, presumibilmente alieni,
dunque credo proprio che tutto quel c’è qui possa
essere destinato ad avere
vita breve. Nessuna invasione porta a qualcosa di buono per gli invasi,
Billy,
gli alieni non sono buoni e carini come ET, ficcatelo in
testa» ribatté Rain
«Se sono qui è perché sono interessati
a una qualche risorsa presente sul
pianeta, a schiavizzarci, o a schiavizzarci per avere le risorse in
questione
senza fatica, non ci sono altre opzioni».
«Carlos,
Rad e Alexis non mi sembrano molto schiavizzati!»
ribatté il ragazzino.
«Non
so per cosa stiano sfruttando i tuoi compagni di classe
e non voglio nemmeno saperlo, ma di sicuro quelli lì non
vengono in pace e non
vogliono fare del bene, motivo per cui non intendo lasciare che questa
faccenda
ci coinvolga oltre! Prendi le candele e tutto quello che non vuoi
lasciare qui,
io intanto prenoto il volo per l’Irlanda».
«Ascolta,
il gesto con cui si manda la gente a quel paese è
universale, anche un alieno rincoglionito avrebbe capito che non era un
complimento, eppure il camion non ti ha inseguita per fracassarti la
Porsche,
sbaglio?!»
«Come
se inseguirmi potesse avere una qualche utilità, lento
com’è!»
«Allora
mettiamola così: tu pensi davvero che se per
disgrazia volessero invaderci basterebbe rifugiarci in Irlanda?! Sono
venuti
qui dallo spazio, non ci metterebbero molto ad andare da qualunque
altra parte
del nostro mondo!» le fece notare Billy.
«Infatti
andarcene è solo la prima parte del piano, la
seconda consiste nel far evacuare la città e far saltare in
aria quella
maledetta montagna da cima a fondo con tutto quel che contiene. Io
ovviamente
non posso farlo, però conosco chi può.
La famiglia di
mia madre e di mio nonno ha gli agganci che servono, ed è da
qualche anno che
zio Howard ha il dente avvelenato verso i robot. Colpa del nuovo
“genero” russo
troppo sessantenne e troppo macchina, che vuoi farci».
«Non
puoi parlare sul serio!» impallidì Billy.
«Sono
serissima, il tizio in questione è davvero mezzo
macch-»
«Parlo del
far saltare in aria
la montagna, Rain!»
«Anche
qui sono serissima. Quei robot sono venuti ad
intralciare il traffico sul pianeta sbagliato».
«Ma
non è detto che siano cattivi per forza! Il robot gigante
di oggi ha salvato me e Fred nonostante avessimo... ecco,
sì, nonostante
avessimo infastidito uno dei robot piccoli» disse Billy
«Ci siamo ritrovati
sopra un pallone e lui ci ha tirati giù. Storia lunga.
Comunque, ci ha aiutati
e non ha chiesto in cambio niente, a parte il silenzio sulla sua
presenza qui».
«Vuole
il silenzio su una presenza non troppo silenziosa, se
lui e gli altri robot si trasformano allegramente in mezzo alla gente e
vanno a
salvare ragazzini innocenti dalle loro azioni deficienti»
commentò Rain «Al di
là di questo, forse hanno bisogno di tempo per i preparativi
dell’invasione…»
«O
forse cercano dell’altro e non vogliono affatto invaderci.
Non pensi che se fossero venuti qui per quello e avessero voluto
assicurarsi
che stessimo zitti ci avrebbero uccisi? Invece ci hanno aiutati e
nient’altro,
infatti sono qui a casa sano e salvo a parlare con te, e ti ripeto che
nessuno
mi ha chiesto di fare niente in cambio! Se quei robot volessero
sfruttare gli
umani in generale per qualcosa avrebbero coinvolto di più
anche me e Fred! Per
favore» la pregò «Capisco che tutta
questa faccenda ti sembri assurda, perché
in effetti è assurda, ma forse non c’è
bisogno di andarsene e cercare di uccidere
chi se ne sta per fatti propri E non
è venuto
qui a fare danni E non
ci ha
fatto niente di male!»
«Se
ne stanno per fatti propri fino a un certo punto, non
sono venuti qui a far danni solo per quanto ne sappiamo noi e non ci
hanno
fatto niente di male per ora.
Sii meno buono e
più realista, Billy».
«Non
potremmo aspettare? Potremmo andare via nel caso in cui
succeda qualcosa…»
«Ossia
troppo tardi. Meglio prevenire che curare».
«NON VOGLIO
ANDARE VIA!»
gridò Billy «Io
adesso sto bene, qui sto bene, non mi puoi chiedere di ricominciare
tutto da
capo un’altra volta, non lo voglio fare!»
Rain
capiva fin troppo bene quel che suo cugino intendeva
dirle. Sapeva che portarlo via avrebbe significato sradicarlo
completamente da
tutta quella che era attualmente la sua vita, la sua
quotidianità diventata
stabile da neppure un anno. Era un periodo che poteva sembrare lungo ma
che in
realtà era fin troppo breve, almeno per un tredicenne
proveniente da una
situazione come quella di Billy.
Lei
stessa ricordava che non era stato semplice lasciare
l’Irlanda per raggiungere i genitori, anche se lo aveva fatto
a sedici anni,
provenendo da una situazione familiare che lei aveva sempre reputato un
po’particolare ma anche molto agiata e tranquilla, e
soprattutto era stata una
decisione che non aveva preso per cause di forza maggiore. Un
po’indotta,
magari, ma non
forzata.
«So
cosa comporta per te e infatti io per prima non ne sono
felice, però questa degli alieni è una faccenda
strana di cui noi non sappiamo
praticamente niente. Ti hanno salvato ma non significa
granché. Il mio compito
in questo momento è cercare di tenere al sicuro entrambi.
Billy, io…» fece una
pausa «Sai che tra tre giorni c’è quel
battesimo a cui dobbiamo andare, giusto?»
«Quello
di cui non hai fatto che dire “Sarebbe meglio venire
rapiti dagli alieni piuttosto che andarci”?... ora che gli
alieni ci sono cosa
preferisci, invece?!»
«Se
gli alieni fossero un po’meno reali preferirei sempre il
rapimento. Quel che volevo dire è che hai tre giorni di
tempo per accettare
l’idea del trasferimento e salutare tutti quanti. Andremo via
dopo il
battesimo. Più di questo, e di prometterti che
rifletterò un po’di più sul
telefonare o meno a zio Howard, io non posso fare. Mi
dispiace».
Billy,
senza dire un’altra parola, andò a chiudersi in
camera
propria.
Rimasta
sola nel corridoio, Rain alzò gli occhi al soffitto.
“Ag
fuck-thù,
alieni lenti”.
|
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Capitolo 4 *** Pioggia sul latte macchiato ***
4
PIOGGIA
SUL LATTE MACCHIATO
Alexis andava
abbastanza spesso in quel bar al centro della cittadina,
dall’aria moderna e
pulita. Negli ultimi tempi si era recata lì un
po’meno spesso -“colpa” della
sua amicizia con gli Autorobot- ma restava un posto
tranquillo in cui si
trovava a proprio agio, soprattutto quando si trattava di scrivere al
pc gli
elaborati da dover consegnare a scuola.
Quella
infatti era la ragione per cui si trovava lì, con una
differenza: non riusciva a scrivere una riga in più di
quelle già fatte, perché
la sua attenzione era attirata da qualcos’altro.
Anzi,
da “qualcun’altra”.
Facendo
mente locale si era resa conto che quella non era
stata la prima volta in cui aveva visto lì la cugina di
Billy, solo che in
precedenza non aveva mai prestato attenzione alla cosa. In fin dei
conti perché
avrebbe dovuto? Era una cliente come un’altra e lei andava
lì per fare i compiti
quando non aveva voglia di farli in casa, non per badare alla gente che
entrava
e usciva.
Le
cose però erano cambiate: precisamente da quando Billy, un
paio di giorni prima, era venuto a scuola per l’ultima volta.
“Tra due giorni andrò via, andrò a
stare in Europa… no, non è per una vacanza.
Non so quando tornerò. Non so neppure se io e mia cugina
torneremo mai qui.
Questo è l’ultimo giorno che passerò in
questa scuola e l’unica occasione che
ho per salutare molti di voi”.
Di
norma Alexis non sarebbe stata a crucciarsi troppo sulla
questione, in fin dei conti Billy sarebbe andato in Europa, non in
guerra, e
comunque lei non lo considerava altro se non un semplice conoscente un
po’rompiscatole. Tuttavia il tempismo perfetto di quel
trasferimento improvviso,
annunciato il giorno immediatamente successivo a quello in cui Billy e
Fred
avevano scoperto il loro segreto, le era sembrato molto strano.
Se
a Rad e Carlos il pensiero non aveva sfiorato il cervello,
la sua prima ipotesi invece era stata che Billy avesse dato fiato alla
bocca e
avesse raccontato tutto quanto a Rain, con le possibili conseguenze del
caso.
Per
tale motivo, nel tentativo di scoprire informazioni su un
possibile “nemico”, aveva ritenuto opportuno fare
un paio di ricerche in rete.
Non
era servito spingersi oltre i social network per sapere
qualcosa in più. Il profilo di quella donna non era pubblico
ma non era nemmeno
troppo blindato, dunque Alexis aveva potuto risalire subito alle
parentele di
Rain -certune con un profilo non solo pubblico, di più-
scoprendone un paio che
avevano un certo peso, abbastanza da poter essere prese sul serio anche
parlando di alieni.
Alexis
sapeva di essere solo una ragazzina a cui, sentendola
parlare dei Transformers, nessuno avrebbe mai badato… ma
ciò non era applicabile
alla donna che aveva bellamente ignorato il cuore di cacao che il
barista aveva
fatto sul suo latte macchiato.
“A
me il cuore di cacao non lo ha mai fatto” pensò
Alexis.
Dal suo tavolo, a ben poca distanza da quello di Rain, poteva vederlo
bene.
Forse
doveva avvicinarsi, cercare di capire cosa sapeva e,
nel caso avesse scoperto di avere ragione, avrebbe potuto cercare di
farle
capire che i robot giganti presenti sulla Terra erano buoni. Magari
avrebbe
anche potuto mostrarle il simbolo degli Autorobot per essere ancor
più precisa.
Gli Autorobot non erano gente cui sparare a vista... ma per i
Decepticon era
valido il discorso contrario.
«I
tuoi genitori avrebbero dovuto insegnarti che in generale
è meglio evitare di fissare le persone. Non che questa sia
la lacuna peggiore».
Vedendosi
scoperta da Rain e sentendo quelle parole
abbastanza dure, la ragazzina arrossì violentemente. Di
solito gli adulti
avevano sempre una certa considerazione di lei ma quello sembrava un
caso perso
in partenza. «N-non la stavo fissando! E comunque nella mia
educazione non ci
sono lacune!»
«Dunque
mantenere lo sguardo puntato su una persona dal
momento in cui questa entra in un locale, senza distoglierlo in nessun
caso,
non sarebbe “fissare”. Strana teoria».
Così
come Alexis aveva riconosciuto Rain, anche quest’ultima
aveva riconosciuto Alexis.
Erano
entrambe clienti abituali e lei lo sapeva benissimo,
solo che ovviamente non si erano mai rivolte parola prima di allora.
Nessuna
delle due ne avrebbe avuto motivo e Rain, anche in quel frangente, lo
avrebbe
evitato volentieri… ma si era rassegnata all’idea
che, se non lo avesse fatto,
la ragazzina sarebbe comunque venuta a romperle le scatole.
Era
ufficiale: solo Icy Blue Spruce, le macchie sui vestiti e
gli alieni che non se ne stavano a casa propria erano peggio dei
minorenni non
imparentati con lei.
«Va
bene. Va bene» Alexis alzò le mani in segno di
resa
«Ammetto che la stavo guardando ma era solo perché
volevo parlarle e che non
sapevo bene come e quando avvicinarmi. Il mio nome è
Alexis…»
«La
compagna di classe di Billy, la stessa che tempo fa lo ha
aiutato con letteratura. Io so benissimo chi sei tu e viceversa. Vieni
al
dunque» sospirò Rain.
«Vorrei
sapere perché vuole portare Billy in Europa» disse
Alexis «La notizia del trasferimento mi ha stupita».
«Visto
e considerato che tu e Billy non siete neanche amici,
sai darmi almeno una valida ragione per cui dovrei
risponderti?»
“Non
avrei mai detto che qualcuno avrebbe potuto farmi
rimpiangere i momenti in cui io e gli altri ci troviamo in mezzo tra
Autorobot
e Decepticon che si sparano laser in faccia” pensò
la ragazzina. «Io e Billy
siamo amici, invece» mentì.
«Il
solo amico di mio cugino si chiama Fred, dunque a meno
che tu da ieri a oggi abbia cambiato nome, sesso, peso, colore di
capelli e
colore di occhi, direi che non siate amici» concluse Rain
«Non è di Billy che
ti importa» continuò, per poi dimezzare il latte
macchiato in un sorso «Invece
il suo benessere è la sola cosa che importi a me al
momento».
«Non
c’è niente qui che minacci il suo
benessere» ribatté
Alexis.
Rain
sollevò un sopracciglio. «Sei troppo giovane per
dire
qualcosa di diverso da questo».
«Il
fatto che sia giovane non vuol dire che sia stupida!»
«Difatti
non ti ho dato della stupida, stai facendo tutto da
sola. Vorrei finire il mio latte macchiato senza essere fissata o
infastidita,
dunque torna al tuo posto, o vai dove vuoi, e non tediarmi
oltre».
“Ma
chi si crede di essere questa qui?! Solo perché è
ricca!...” pensò Alexis. «Non
è affatto gentile, lo sa?!»
Rain
non si curò neppure di risponderle, limitandosi a
congedarla con un elegante cenno della mano, e quando Alexis
-più che
innervosita- si allontanò col portatile e tutto, andando a
sedersi dalla parte
opposta della sala, tornò a concentrarsi sul latte macchiato.
“Che
una persona non possa neanche bere qualcosa in pace
senza che arrivino ragazzetti pro-invasione aliena a rompere le
scatole, e
finisca anche per passare come la cattiva di turno, è
proprio il colmo”.
Aveva
capito il vero motivo per cui la ragazzina si era
avvicinata, ossia per capire se Billy aveva parlato o meno e, in tal
caso,
cercare di convincerla del fatto che non ci fosse nulla di male nella
presenza
di grossi alieni metallici sulla Terra, in modo da evitare loro
problemi.
Probabilmente
aveva fatto qualche ricerca sui social e aveva
notato certi suoi agganci poco nascosti, come quel suo zio Howard- che
lei non
apprezzava troppo ma che faceva molto comodo.
Mantenere
legami di comodità era qualcosa che le era stato insegnato
presto.
“Di
certi parenti più o meno megalomani si farebbe volentieri a
meno, garinίon,
ma dato che invece ci sono tanto vale tenerseli buoni,
finché torneranno utili…
e abbiamo usato la scusa dell’influenza per evitare il
compleanno di tuo zio
già l’anno scorso, dunque stavolta non abbiamo
scampo”.
Suo
nonno materno Dermot Lancaster era morto da sei anni, ma
c’erano dei momenti in cui la sua mancanza si faceva ancora
sentire piuttosto
forte.
Lui
continuava a vivere nei suoi ricordi, in ogni
atteggiamento che Rain aveva assimilato e fatto suo, in tutti gli
insegnamenti
che le aveva dato e -bando all’ipocrisia- anche in tutto
ciò che le aveva
lasciato in eredità sistemandola vita natural durante, ma
avrebbe preferito di
gran lunga che fosse stato ancora in vita, in quel momento
più che mai. Si era
offerta come figura di riferimento per Billy ma anche lei, in quel
periodo,
avrebbe voluto poter contare sulla propria.
“A
proposito di Billy, spero per lui che abbia fatto usare i
sottobicchieri al suo amico. Meglio che torni a casa a controllare di
persona”.
***
«Non
c’è proprio modo di convincerla a
restare?»
Billy
scosse il capo, sconsolato. «No, Fred, e oltre a questo
preferisce anche che io esca di casa il meno possibile. Infatti oggi
non mi ha
mandato a scuola e, considerando che hai anche dormito qui, sei in casa
nostra
da quasi un giorno e mezzo. Una cosa del genere in condizioni normali
non
esisterebbe proprio, un “minorenne non imparentato con
lei” in casa sua per
tutto questo tempo!...»
«Ma
perché ce l’ha con i minorenni non imparentati con
lei?»
chiese Fred, stiracchiandosi un po’ mentre si rilassava
nell’idromassaggio.
«So
che c’è un motivo preciso ma non so quale sia,
quindi non
ti posso rispondere».
Entrambi
bevvero dei sorsi di Pepsi direttamente dalle
rispettive lattine, poi Billy si voltò di lato a osservare
il cielo attraverso
la finestra.
«Se
fossi riuscito a mantenere il segreto non dovrei
andarmene».
«Potresti
sempre scappare di casa» disse Fred «Ci hai
pensato?»
«Lì
per lì sì, ci ho pensato» ammise Billy
«Però anche un eejit come
me può
arrivare a capire che Rain non merita una cosa del genere, se vuole
portarmi
via non è perché è brutta e
cattiva».
«Brutta
non è di sicur- EHI!»
protestò Fred,
quando l’altro gli schizzò l’acqua sul
viso.
«È
mia cugina, attento a quello che dici!»
«Non
è colpa mia se è bella come le lasagne di mia
madre!
Peccato solo che sia tremend-»
«Un’altra
parola e ti annego, Fred, sei avvisato» lo
minacciò
Billy «… non posso credere che tu
l’abbia paragonata a una lasagna, è una delle
cose più sceme che abbia mai sentito!»
«Ma
era un complimento!»
«Non
insistere oltre, se no apro la porta e lascio entrare il
pappagallo!»
Fred
si zittì immediatamente, memore dell’esperienza
della
notte passata che gli era bastata e avanzata.
Non
si era ancora capito come Dagon fosse riuscito a entrare
in una stanza chiusa, ma stava di fatto che alle tre e mezza di notte
era
volato sul comodino e si era messo a strillare insulti irripetibili
all’orecchio di Fred, il quale ovviamente si era svegliato
urlando, spaventato
a morte.
Gli
strilli di Fred avevano svegliato Billy, il quale si era
messo a urlare a sua volta, ed era stato allora che la situazione aveva
raggiunto l’apice dell’assurdità: Rain,
col suo pigiama da unicorno viola, era
piombata nella stanza armata di bazooka, pensando di essere sotto
attacco da
parte degli alieni.
La
faccenda era stata rapidamente chiarita e chiusa con una
sequela di improperi irlandesi, borbottati da Rain uno di fila
all’altro mentre
tornava nella propria stanza.
«Basta
che poi non entri anche lei col bazooka» disse Fred
«Ma
quale persona normale ha un bazooka in casa?!»
«So
che per la sua famiglia in Europa possedere armi da fuoco
di vario genere è una cosa molto comune. Mi ha detto che
iniziano presto a
imparare a usarle. Dovrebbe essere una specie di tradizione»
spiegò Billy «È
una stramberia, lo so».
«Puoi
dirlo forte. Già! Non potrebbe usare quell’affare
per
sparare agli alieni, se mai venissero a cercarci?»
«Beh…
immagino di sì… ma penso anche che preferisca
evitare
di mettersi in prima linea contro dei robot giganti, Fred».
«Immagini
bene».
Entrambi
i ragazzini sobbalzarono, non essendosi accorti né
della porta che si era aperta né di Rain che era entrata. A
giudicare dal
costume intero che indossava sembrava aver voglia di unirsi a loro,
cosa che
spinse Fred ad arrossire e abbassarsi, finendo a nascondere mezza
faccia sotto
l’acqua.
Quando
poi vide entrare anche il pappagallo, scomparve
direttamente sotto la superficie.
«Non
ha ancora capito che Dagon non ha voglia di ucciderlo»
disse Billy, facendo spallucce.
«Su
questo in realtà non garantisco»
replicò Rain, indicando
il cacatua che, col suo grosso becco, stava riuscendo a raggiungere la
testa di
Fred anche sotto il pelo dell’acqua «Comunque, ho
incontrato la tua compagna di
classe asiatica per metà ed educata per un quarto».
«L’hai
vista al bar? So che ci va spesso… o meglio, ci andava
spesso prima di iniziare ad andare in montagna».
«LASCIAMI
IN PACEEEEEE!»
strillò Fred al
pappagallo, nel riemergere «Cosa ti ho fatto?!»
«Già.
Purtroppo stavolta era seduta poco lontana dal mio tavolino
e ha avuto
la brillante pensata di disturbarmi» rispose Rain, ignorando
Fred e la sua
discussione con Dagon «Mi sono persa qualcosa e siete
diventati amiconi e/o si
è innamorata di te?»
«N-non
mi risulta» bofonchiò Billy
«Perché?»
«Allora
è come immaginavo, voleva capire se mi avessi parlato
o meno degli alieni. Mi ha chiesto i motivi del trasferimento con un
po’troppa
insistenza per i miei gusti. Tutto questo interesse improvviso proprio
in
questo momento mi sembrava strano. In ogni caso la conversazione
è durata poco»
concluse Rain, entrando nell’idromassaggio «Anche
se in certi casi il “poco”
non è mai abbastanza».
«Gobshite!
Ya maggot!»
esclamò Dagon,
schiaffeggiando Fred con le ali per poi fischiare «Aaaag
fuck-thù! Maggot!»
«Mi
pare che tu abbia fatto già abbastanza stanotte, Dagon,
quindi smetti di dargli del moccioso rompiscatole, appollaiati sul
davanzale
della finestra e piantala di fare chiasso. Il tuo biscottino
l’hai preso».
Forse
perché aveva compreso l’ordine di Rain, forse
semplicemente perché si era stufato, Dagon volò
ad appollaiarsi sul davanzale
senza infastidire più nessuno.
«Grazie…»
sospirò Fred «Non capisco proprio
perché ce l’abbia
con me. Ehm… i-io comunque tra un paio d’ore torno
a casa. Mezz’ora fa ha
chiamato mia madre».
«Allora
tu e Billy avete ancora un paio d’ore per
salutarvi».
«Eeeh…
a proposito, Rain, io so che domani abbiamo il
battesimo» disse Billy «E so che bisogna andarci,
però stavo pensando una cosa:
visto che è di pomeriggio, domani io e Fred non potremmo
fare un ultimo giro
nel parco qui vicino? Se vedessimo Rad e compagnia, una macchina gialla
o il
camion lento-»
«Scoppiasse,
almeno» borbottò la donna.
«Ci
allontaneremmo subito, giuro» continuò il
ragazzino
«Visto quel che ha comportato non andremmo a cercare guai di
nuovo. Un ultimo
giro» la supplicò «Solo
un’ultima volta! Tanto è qui vicino e quando
sarà ora
di iniziare a prepararmi per il battesimo tornerò a
casa…»
«Ti
verrò a prendere io, così risparmieremo
tempo» cedette Rain.
Non
era troppo contenta all’idea di far uscire di casa Billy,
ma la compassione verso di lui l’aveva spinta a concedergli
almeno un’ora
d’aria.
«Quindi
posso? Grazie!» esultò Billy «Vedrai che
non te ne
farò pentire! Non faremo gli scemi e non
succederà niente, vero Fred?»
«Sicuramente!»
Erano
sinceri, avrebbero impiegato tutta la buona volontà che
possedevano per non andare in cerca di guai.
Restava
solo da vedere se i guai avrebbero impiegato
altrettanta buona volontà per non andare a cercare loro.
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Capitolo 5 *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 1) ***
5
PIOGGIA
NEL VILLAGGIO FANTASMA
(PARTE 1)
«Si
crede chissà chi solo e soltanto perché ha i
soldi e il barista le fa i
cuoricini sul latte macchiato, ma in realtà se la tira sul
niente, e quando
dico “sul niente” significa proprio “sul
niente”! A poco servono i cuoricini
sul latte macchiato se poi non sei in grado di essere gentile con le
persone
nemmeno sotto tortura e no, quella lì non è
gentile, nemmeno un po’, è
arrogante, antipatica e soprattutto è spocchiosa, spocchiosa
e spocchiosa! Solo
perché è probabilmente è cresciuta con
la servitù non significa che siamo tutti
suoi schiavi, ok?! “Gne gne gne non tediarmi oltre gne gne
gne”, ma chi si
crede di essere?!»
Rad, affiancando Alexis sul sentiero sterrato che stavano percorrendo
in mezzo
a un boschetto, alzò gli occhi al cielo. Per quanta stima
avesse di lei -e ne
aveva tanta- cominciava a essere stufo di sentirla inveire contro la
cugina di
Billy. «Qualcuno che voleva bere il latte macchiato e non
aveva voglia di
chiacchiere immag-»
«Le dai anche ragione?!» sbottò Alexis
«Guarda che io mi sono messa a indagare
per il bene dei nostri amici, che poi è quel che avreste
dovuto fare anche tu e
Carlos, invece no, sono la sola che pensa alle cose
pratiche… e non vengo
nemmeno apprezzata!»
«Pensare alle cose pratiche non è che abbia fatto
granché stavolta, se non far
arrabbiare te e far dolere le orecchie a noi. Billy e la cugina se ne
vanno,
tanta voglia di mettersi in mezzo non ce l’hanno, dove sta il
problema?»
sospirò Carlos.
«Il problema sta nel fatto che se pensasse che i Transformers
sono pericolosi
potrebbe parlarne con qualcuno e metterli nei guai, ecco
dove» ribatté la
ragazzina «Ha chi potrebbe crederle e fare loro del
male!»
«Allora diciamole che gli Autorobot sono i buoni e che i
Decepticon sono i
cattivi, così almeno fa fare del male solo a loro e noi
siamo a posto!»
esclamò Carlos.
«Come se a una tipa del genere potesse interessare qualcosa
dei buoni e dei
cattivi, li farebbe colpire tutti a prescindere già solo
perché non sono di
questo pianeta» ribatté Alexis, azzeccandoci in
pieno.
«Lei e Billy comunque se ne vanno oggi, non possiamo fare
molto se non sperare
che non capiti nulla» disse Rad.
Speranza vana quella di Rad, infranta dal rumore delle pale di un
elicottero
che ormai avevano imparato a conoscere bene.
«Beeeene! Cosa abbiamo qui?!»
Quello che stava volando sopra di loro era Cyclonus, considerato anche
dagli
Autorobot il più casinista e svitato dei Decepticon.
«Via! Dividiamoci!» esclamò Rad.
Non sapevano cosa volesse, ma il fatto che fosse un Decepticon e li
avesse riconosciuti
era una ragione validissima per darsela a gambe, sperando di riuscire a
depistarlo… e lasciando che, imprevedibilmente, fossero
altri a pagarne il
prezzo.
Anche se non potevano saperlo.
***Parco poco distante dal boschetto***
«Altri due minuti?...»
«Mi sembra che tu abbia salutato il tuo amico più
che abbastanza, Billy, quindi
non farmi perdere altro tempo».
Per fortuna quelli che indossava Rain erano tacchi da giorno, dunque un
po’più
spessi e più bassi, altrimenti avrebbe avuto qualche
difficoltà a camminare sul
prato. Era stata costretta a scendere dall’auto dopo aver
notato che il clacson
non funzionava -“Devo farla rottamare, questa
macchina…”- e che il suo nuovo
cellulare era come impazzito.
“X Gon’Give It To Ya” era la sua
suoneria, ok, però il dispositivo aveva
iniziato a riprodurla senza un motivo apparente, perché
nessuno la stava
chiamando. Era stata costretta a togliere la batteria e metterlo,
assieme alle
chiavi dell’auto, nella borsetta che aveva addosso,
perché neppure spegnerlo
aveva funzionato: si era riacceso e aveva continuato a riprodurre la
canzone.
L’ennesima stramberia di una serie che non le stava piacendo
affatto e che
sicuramente non contribuiva a migliorare una giornata resa
già pessima dalla
cerimonia a cui lei e Billy avrebbero dovuto partecipare a breve.
«Va bene» si arrese Billy «Ci…
ci vediamo, Fred, vedrò di scriver- Fred? Mi
stai ascoltando sì o no?!»
In verità no, non lo stava ascoltando: aveva smesso di farlo
da quando Rain era
arrivata.
La sensazione che provava Fred nel vedere la cugina di Billy con quel
vestito
lungo di seta verde, con una gonna dall’aria leggera e
morbida, era molto
strana e molto bella allo stesso tempo.
Era strana perché si sentiva ancor più scemo di
quanto si sentisse di solito -e
percepiva anche il proprio volto andare a fuoco- e bella
perché, guardando
quella donna, avvertiva dentro di sé la nascita di una forza
assurda con la
quale era convinto di poter fare qualunque cosa, qualunque!
«Io lo so che sono un minorenne non imparentato con te e per
questa ragione mi
sopporti a stento, ma sappi che per te andrò in palestra,
diventerò forte come
Hulk, farò tornare gli alieni da dove sono venuti e quando
diventerò
maggiorenne ti chiederò di sposarmi».
«Ma sei diventato scemo o cosa?!» inveì
Billy, tirando una serie infinita di
schiaffi in testa all’amico.
«Non è colpa mia se ho capito di amarla come amo
gli spaghetti con le polpette
di mia nonna! O come il tacchino arrosto del Ringraziamento! O come la
angel
cake della mia prozia Annette!» protestò Fred,
tentando inutilmente di
proteggersi «Non puoi sconfiggere
l’amore!»
“Questa giornata peggiora ogni minuto di
più” pensò Rain, evitando di
rispondere per non dover infierire su un povero ragazzino che era
già in
terapia. «Billy. Macchina. Ora».
Il rumore dell’elicottero che avevano sentito volare a poca
distanza da lì -al
quale però fino a quel momento non avevano fatto
granché caso- divenne molto
più forte, e pochi secondi dopo lo videro svolazzare
rasoterra a neppure un
centinaio di metri da loro.
“Quelle pesti organiche mi hanno seminato ma non importa,
anche questi tre
vanno bene” pensò Cyclonus, osservando le nuove
prede “Gli Autorobot tanto sono
abbastanza idioti da dare via i Minicon anche per tre umani a caso,
ahahah”.
«Uuuh… che bell’elicottero»
disse Fred, osservandolo con ammirazione.
«Già, è bellissim-EHI!»
esclamò Billy, ritrovandosi improvvisamente un polso
stretto in una morsa assassina e a correre via, trascinato da Rain
«Che stai
facendo?!»
«GLI ELICOTTERI NON HANNO LE MANI, GOBSHITE!»
gridò Rain.
Il ragazzino impallidì, finendo quasi a inciampare nei
propri piedi. «Tu pensi
che sia-»
«Zitto e corri, Billy!»
Sentirono rumore di movimenti metallici, poi Fred urlò.
«AAAH! AIUTATEMIIII!»
«Fred!» esclamò Billy, cercando di
fermarsi e tornare indietro «Non possiamo
lasciarlo, Rain, ferma-»
«Il tuo amico è un morto che cammina, fattene una
ragione!» sbottò Rain «E se
non ti muovi finiremo come lui!»
I rumori dell’elicottero però si stavano
avvicinando a loro ogni secondo di
più, perché ovviamente per quanto potessero
essere veloci a correre -tacchi
permettendo- non potevano competere con un velivolo; fu così
che, nonostante
fossero quasi arrivati all’auto, i due O’Connell si
sentirono stringere in una
salda presa dalla quale non avrebbero mai potuto liberarsi.
«Presi!» rise Cyclonus.
«NO! Loro non
c’entrano, lasciali andare!» gridò Rad,
sbucando
fuori dal boschetto.
«Di’ agli Autorobot che se vogliono che restino in
vita devono darmi i
Minicon!» ribatté il Decepticon, tornando a salire
rapidamente di quota «Spero
che voi tre siate comodi, perché ci aspetta un bel
viaggetto» disse poi,
rivolto ai tre ostaggi.
«Lasciaci andareeeeee!»
strillò Fred.
«Io potrei anche farlo… ma voi organici tendete a
diventare frittatine quando
cadete da altezze del genere, quindi non so quanto ti conviene. Se
proprio ci
tieni però ti accontento, tanto ho altri due ostaggi da
portare a Megatron!»
Billy smise di divincolarsi. «Mega-chi?!»
«Io lo sapevo» borbottò Rain
«Dovevo farle esplodere quando potevo, a queste
orrende lattine schizzate fuori dall’ano rugginoso di non so
quale fottutissima
divinità rincoglionita e perversa con la mamma puttana a cui
piaceva scoparsi i
tubi di scappamento».
Non c’era proprio niente da ridere in quella situazione,
eppure Billy si
ritrovò a venire scosso da risate che cercava disperatamente
di mantenere
silenziose o mascherare con colpi di tosse, cosa che non era facile dal
momento
che Rain continuava imperterrita a borbottare e dare sfogo alla sua
vena creativa.
Era difficile credere a quali profanazioni potevano uscire dalla bocca
di
quella donna che, a guardarla, sembrava tanto a modo. Quando poi si
arrabbiava
sul serio e iniziava con i “frastimus”, una sorta
di maledizioni che aveva
imparato da uno dei suoi ex -un sardo diceva- e li mischiava col
gaelico
sembrava quasi una strega.
«Breith i bpoll cúng ort! Ti si furriri
sa domu crobetura a fundamentu e ti
‘ndi boghinti is parentis in pamentu!*»
Come in quel caso, per esempio: Billy aveva capito la prima parte in
cui aveva
augurato al rapitore di finire con l’essere ritrovato in una
bara, la seconda
in sardo però gli sfuggiva.
«Se non altro abbiamo evitato il battesimo» disse,
in un blando tentativo di
farla smettere prima che iniziasse a usare un volume più
alto.
Rain gli lanciò un’occhiataccia. «Quando
avevo chiesto un rapimento alieno non
facevo sul serio. È proprio vero che uno dovrebbe stare
attento a ciò che
desidera».
«In tutta la mia esistenza ho sentito di rado parole
più azzeccate. Volevi il rapimento?
Eccolo» rise Cyclonus «Dovrei farmi pagare il
servizio!»
Rain, pensando alla salute del cugino, riuscì eroicamente a
contenere lo
strabiliante profluvio di insulti e maledizioni multilingue che lottava
con
forza per uscire dalla sua bocca, ma chissà come entrambi i
ragazzini poterono
avvertirne distintamente l’aura potentissima.
“Perché ho improvvisamente voglia di insultare la
gente in irlandese, se io
l’irlandese non lo conosco nemmeno?!”
pensò Fred.
Da lì in avanti il viaggio proseguì in silenzio,
concludendosi in una specie di
villaggio fantasma in cui erano presenti altri due robot giganti in
quella che
era, presumibilmente, la loro forma base.
Due dei tre umani presenti avevano ne già visto un altro
mentre era in forma
non veicolare -Hot Shot, quando li aveva tirati giù dal
pallone aerostatico su
cui erano finiti- però era qualcosa cui erano ancora ben
lungi dall’abituarsi,
soprattutto perché questa volta sembravano avere pessime
intenzioni.
«Questi non sono i tre umani che vanno in giro con gli
Autorobot» fu la prima
cosa che disse Demolisher «Si può sapere che hai
combinato, Cyclonus?!»
«Gli altri sono riusciti a sfuggirmi ma questi andranno bene
lo stesso, sai
come sono fatti gli Autorobot» minimizzò
l’elicottero «E comunque il ciclista
mi ha visto portarli via. Non dovremo aspettare molto perché
arrivino qui con i
Minicon».
«Meglio per te che tu abbia ragione, altrimenti te la
facciamo pagare» lo
avvisò Starscream «Mettili là
dentro» indicò un edificio di legno a poca
distanza da loro «Muoviti».
Cyclonus obbedì, sollevando l’intero tetto e
mettendo gli ostaggi a terra.
«Fate i bravi, almeno potrete tenere le vostre teste
attaccate al collo… per
quel poco che servono, ahahahah!»
Quando il Decepticon ebbe rimesso il tetto al proprio posto, Billy e
Fred
iniziarono ad agitarsi più di prima.
«Perché ci hanno presi?! Cosa vogliono farci?!
Voglio andare da mia mamma!» si
disperò Fred.
«Zitto, così mi fai agitare più di
quanto già sia!» sbottò Billy,
mettendosi le
mani nei capelli «Ora che facciamo?»
«Quando Cyclonus, che d’ora in poi sarà
Bidone Parlante 1 o BP1 perché mi
rifiuto di dare un nome proprio a un oggetto, ci ha presi, io ho tenuto
stretta
la borsa» disse Rain, armeggiando con la chiusura della
suddetta «Quindi ho con
me il cellulare e posso usarlo, sperando che abbia smesso di fare il
matto».
Billy sollevò le sopracciglia, sorpreso. «Grande!
Ma chi chiamiamo?
Sinceramente non penso che la polizia ci crederebbe».
«Lo zio Howard però sì»
ribatté la donna, avvicinandosi a una spessa fessura
nelle travi di una parete di legno mentre sistemava la batteria
«Riaccendo il
telefono, gli mando un video di questi bidoni parlanti assieme alla
nostra
posizione ed ecco che in un quarto d’ora manderà
qualcuno a salvare noi e
occuparsi di loro».
«Sì! Salvaci zio Howard, chiunque tu
sia!» implorò Fred.
Rain chiuse il retro del telefono. “Spero che questi bastardi
possano provare
dolore” pensò.
“First we gonna rock, then we gonna roll
Then we let it pop, go, let it go!
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”
Niente da fare, il cellulare non collaborava. Non solo continuava a
riprodurre
la canzone ma non le permetteva di fare nessun’altra azione,
e comunque non
c’era campo.
«Ancora?! Va’ a vedere che il problema sono proprio
queste sputacchiere aliene
con le gambe e una qualche frequenza assurda che emettono.
Maledizione… niente
cavalleria, a quanto pare».
Rain sembrava tranquilla ma in realtà, da quando Cyclonus li
aveva presi, aveva
contato sugli aiuti esterni un po’più di quanto
avrebbe dovuto.
Aiuti che invece non sarebbero potuti arrivare.
Se si fosse trattato solo di lei, se a essere rapita fosse stata solo
lei, si
sarebbe preoccupata già meno; peccato che non fosse
così, perché con lei
c’erano anche Billy e il suo amico -che per lei poco contava-
dunque non poteva
certo mettersi a ideare… boh, non sapeva nemmeno lei cosa.
Ragion per cui la tensione e il nervosismo dentro di lei,
già a quel punto,
aumentarono in maniera esponenziale.
«Quindi non possono venire a salvarci? Ecco!» Fred
si accasciò a terra «Siamo
finiti! Ci faranno chissà cosa senza che io sia riuscito a
dimagrire e crescere
e sposarti!»
Billy gli diede una pacca sulla nuca.
«“Chissà cosa”? Cosa vuoi che
ci facciano
se non svuotarci il cervello, cretino?!»
“Mi auguro che quegli stolti di Autorobot arrivino presto,
perché le
chiacchiere di questi umani mi hanno già stufato”.
I tre terrestri non potevano saperlo, ma non erano soli in quel vecchio
magazzino stipato di ciarpame di ogni genere.
Sotto il mucchio più grande infatti era nascosto Megatron,
in attesa di
catturare chiunque gli Autorobot avessero mandato lì dentro
a salvare i tre
umani pensando che i Decepticon presenti non si sarebbero accorti,
troppo
distratti dalla battaglia che sicuramente ci sarebbe stata.
Il lato positivo era quello di essere piuttosto sicuro di portare a
compimento
il piano, il lato negativo invece…
«Ma non possono! Il mio cervello mi serve!»
protestò Fred.
«E il mio allora? Sono più intelligente di
te!» ribatté Billy.
«Dubito che questi gabinetti metallici dalle funzioni
intellettive alimentate a
sterco abbiano bisogno dei nostri cervelli, se hanno la tecnologia per
fare qui
e là da un capo all’altro della galassia o del
cosmo, quindi datevi una
calmata».
Appunto.
Non sapeva dire se fosse peggio l’imbecillità
completa dei due umani cretini o
l’arroganza immotivata di quel sacco di carne di sesso
femminile che in quel
breve lasso di tempo aveva paragonato tutti i cybertroniani a bidoni,
sputacchiere
e gabinetti; seccante, da un essere che per lui era alla stregua di un
animale.
«Da quel che ho capito ci hanno presi in modo da chiedere
questi “Minicon” ai
cosiddetti “Autorobot”, non vogliono svuotarci il
cervello» continuò Rain
«Immagino che noi tre siamo gente sfortunata finita in
quest’assurdità perché
quei barattoli di latta semoventi buoni solo per essere utilizzati dai
vagabondi come orinatoi non sono rimasti a fare gli alieni a casa
loro!»
«A casa loro in realtà saremmo noi gli alie-ehm,
come non detto» si arrese
Billy.
«Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui e allontanarci
abbastanza da poter
chiamare aiuto. Se troviamo una porta qualunque o delle travi marce, e
non
penso sia difficile dato che questo posto sta su per magia, possiamo
farcela»
disse la donna «Facciamoci strada in questi mucchi di roba e
diamo un’occhiata
in gir… che c’è?» chiese a
Billy, notando che la stava guardando in modo
strano.
«Niente, niente!» si schermì questi
«È tutto ok, adesso mi guardo in giro come
hai det-»
«Oh…ti si è rovinato il
vestito» notò Fred, realmente contrito
«C’è una
macchia grossa come la mia testa. Mi sa che l’ha fatta il
robot quando ci ha
presi».
«Non dovevi dirglielo, deficiente!» lo
aggredì Billy «Ti rendi conto di quello
che hai fatto?!»
Sebbene Rain non avesse dei veri e propri disturbi a livello clinico
era una
persona estremamente ordinata e precisa, e se c’era qualcosa
che odiava ancor
più di quanto odiasse Icy Blue Spruce -e fino a quel momento
forse anche più
degli alieni invasori- erano le macchie sui vestiti. Aveva una
tolleranza raso
terra per quelle sugli abiti altrui e, per quanto riguardava quelle sui
suoi,
non dovevano esistere in genere: se per disgrazia ne trovava una era
capace di
infuriarsi di brutto. Si narrava che al liceo avesse tirato un diretto
in
faccia a una tizia che aveva macchiato di proposito la sua maglietta.
Era chiaro, dunque, che con tali premesse e il contesto attuale il
rischio di
vederla trasformarsi in Super Saiyan diventasse praticamente una
certezza.
«C’è una macchia di olio»
disse lentamente Rain, guardando la gonna «Una
macchia di olio per motori o chissà quale altra schifezza
aliena sul mio
vestito. Che è di seta. Olio. Sulla seta».
“Rimane abbastanza tranquilla per un rapimento e fa tante
scene per una
macchia, è ridicolo” pensò Megatron
“A quanto pare le femmine sono assurde
indipendentemente dalla specie cui appart-”
«LOSCADH IS DÓ ORT!»
Le femmine erano assurde, ma a essere ancor più assurdo era
il fatto di essere
appena stato colpito con forza da un oggetto volante non meglio
identificato,
lanciatogli addosso dall’umana dopo aver sbraitato quella
frase
incomprensibile.
«GO MBRISE AN DIABHAL DO CHNÁMHA!»
Cosa che poi fece di nuovo.
Che quella svitata si fosse accorta della sua presenza lì
sotto? In tal caso
doveva avere un desiderio di morte molto potente.
«Ma che sta facendo?!» allibì Fred.
Billy, dopo un istante di immobilità, fece spallucce.
«Immagino che si stia
sfogando, mi sa che ne avrà per un po’. Quelli che
ha detto comunque sono
auguri di essere bruciato e ferito e di ritrovarsi con ossa fratturate
dal
diavolo».
“Averne per un po’?! Non se ne parla
proprio” pensò Megatron, inviando un
segnale al proprio Minicon “Leader One, intervieni!”
Si sentì un forte rumore e, subito dopo, un grosso bullone
cadde dal soffitto.
Rain per fortuna fu lesta a evitarlo, altrimenti l’avrebbe
presa in pieno.
«Rain!» esclamò Billy, correndo verso di
lei «Stai ben-»
«Questi cosi devono morire tutti»
sentenziò Rain, guardando il soffitto.
Sulle travi c’era un alieno robot versione mignon,
probabilmente nascosto lì
fin dall’inizio.
Notando ciò entrambi i ragazzini si avvicinarono di
più a Rain, in un naturale
istinto che li portava a cercare protezione da un adulto, mentre
l’alieno
raggiungeva il terreno con assoluta noncuranza.
Non trovando al momento particolari punti deboli nella struttura del
nemico,
Rain fu costretta a indietreggiare. «Billy, stai dietro di
me».
«Questo manda a monte i piani di fuga»
bisbigliò il ragazzino «Se ci vogliamo
provare dovremo distrarlo e cercare di atterrarlo in qualche
modo».
“Altre opzioni non ne vedo in effetti, ma devo pensare a come
fare. Più che
altro però… perché questo coso
è spuntato fuori solo adesso e non prima?” si
chiese la donna “Avrò fatto un po’ di
rumore ma dà meno problemi quello che lo
studio di un piano di fuga”.
Tutti e tre sentirono dei rumori provenire dall’esterno.
Sembrava che fosse
arrivato qualcuno, forse quegli “Autorobot” di cui
avevano parlato prima. Forse
era un bene, perché magari li avrebbero salvati, o forse no
perché a giudicare
dai passi metallici sempre di altri alieni si trattava, ma sarebbero
serviti
quantomeno da distrazione per i rapitori all’esterno della
loro prigione. Dover
pensare a un solo robot mignon era meglio di dover pensare a quattro
robot di
cui tre giganti.
Fu a quel punto che i due O’Connell udirono il rumore di
patatine masticate.
Ossia l’ultima cosa che si aspettassero in quel momento.
«Mi sono rimaste un po’di patatine» disse
Fred, tutto contento, per poi
rivolgersi al robot «Aaah… vuoi assaggiarne
una?»
«Ma che-» avviò a dire Billy, interrotto
dalla cugina.
«Non una parola».
Il robot sembrava curiosamente interessato e distratto dalle patatine
di Fred,
il quale pareva averle tirate fuori apposta nel tentativo di seguire il
piano
di Billy. Forse se l’alieno si fosse rilassato maggiormente
avrebbero potuto
sfruttare quel momento per fare qualcosa.
Allo stesso tempo però Rain riteneva fortemente improbabile
che potesse cascare
davvero in un tranello del genere.
“Dovrebbe avere l’intelligenza di un frullatore
rotto, suvvia”.
Il robot, dopo una brevissima esitazione, tese una mano per farsi dare
le
patatine e iniziò ad avanzare.
“Va bene. Non so se per gli altri come lui valga lo stesso
discorso ma questo
qui ha effettivamente l’intelligenza di un frullatore
rotto” concluse Rain “Ora
se solo trovassi una giuntura a cui poter-”
«AAAH! Giù le mani dalle mie patatine!»
gridò Fred, avventandosi decisamente troppo
presto su Leader One e facendolo cadere a terra.
«Saltiamogli addosso!» esclamò Billy,
salvo venire prontamente bloccato.
«Tu trova una corda in questo ciarpame, se mai!»
Billy stava per eseguire l’ordine ma dal petto del Minicon
partì un raggio laser
abbastanza potente da bucare il tetto, ed era già tanto che
non avesse sfondato
direttamente la testa di Fred, il quale lasciò
immediatamente la presa e
indietreggiò come ad aver visto il diavolo.
Fuori dall’edificio i rumori aumentarono, sembrava essersi
scatenata una
battaglia ma, ancora una volta, a nessuno dei tre importava: al momento
avevano
occhi solo per il robot che si stava rialzando e che, anche senza veri
e propri
tratti facciali, dava l’idea di essersi piuttosto arrabbiato.
«M-ma guarda che io stavo solo scherzando eh!»
balbettò Fred.
«Gli sei saltato addosso troppo presto, adesso quello ci
ammazza!» strillò
Billy.
Parole che divennero ancor più veritiere quando videro una
piccola placca del
petto del robot scorrere di lato per iniziare a caricare un colpo laser
che di
certo sarebbe stato più potente del precedente.
“Devo fermarlo perché purtroppo questi tre mi
servono vivi” pensò Megatron “In
caso contrario però giuro che-”
Non concluse mai quel pensiero, perché esso venne spezzato
dal rumore di uno
sparo d’arma da fuoco, seguito dal clangore metallico di
un’esplosione e,
infine, istanti di totale e pesantissimo silenzio.
Un silenzio che in parte si impadronì anche del suo cervello.
Era successo qualcosa che non sarebbe dovuto mai succedere.
«M-ma che- ma da dove salta fuori la pistola?!»
«RAIN! LO HAI UCCISO!»
Non era previsto.
Leader One non era morto, però era gravemente danneggiato.
Sentiva ancora il
suo segnale, seppur debolissimo, e lo stava anche sentendo chiedere
flebilmente
aiuto nella propria lingua.
“Leader One?...”
Non doveva andare così.
Gli umani erano solo esseri dall’intelligenza inferiore,
troppo delicati per
costituire una minaccia definibile anche solo lieve. Lo aveva capito
guardando
i tre che stavano insieme agli Autorobot, aveva visto benissimo che
rispetto a
loro erano creature piccole e indifese, senza eccezione e in ogni caso.
Forse aveva commesso un errore di valutazione.
Con in mano la Glock 19 ancora fumante, rimasta fino a quel momento
nella
fondina nascosta sotto la morbida gonna del vestito, Rain si
avvicinò
all’alieno cui aveva appena sparato dritto nel petto quando
aveva visto la
placca scorrere abbastanza da lasciare quel punto scoperto.
«Per ucciderlo avrebbe dovuto essere vivo, Billy. Sparare a
questi aborti
metallici è come sparare a un frullatore, con la differenza
che i frullatori
non rapiscono le persone» disse la donna, con totale
freddezza «Ed emette
ancora quei suoi versi inconsulti, dunque oserei dire che sia
“vivo”. Rimedio
subito…»
* “possano ritrovarti in una tomba, che ti si rivolti la casa
dal tetto alle
fondamenta e che i parenti ti portino via senza bara”.
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Capitolo 6 *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 2) ***
6
Pioggia nel
villaggio fantasma
(parte 2)
“Non
posso lasciarle ammazzare il
mio Minicon. Questo rovina i piani… maledizione!”
pensò Megatron, rassegnato a
dover saltare fuori dal suo nascondiglio.
L’unica
parte buona di ciò sarebbe stata
potersi vendicare di ciò che quella insulsa femmina umana
aveva osato fare a un
essere che secondo lui le era nettamente superiore sotto tutti gli
aspetti, già
solo per il fatto di essere il suo partner. Oltre a questo, voleva
farle pagare
anche quel commento in aggiunta. Il più infimo cybertroniano
era molto più
evoluto di qualunque umano, più intelligente, più
resistente e con
un’aspettativa di vita -vita,
perché loro erano vivi- che i
terrestri si sognavano.
In
circostanze diverse sarebbero state solo
chiacchiere indegne della sua considerazione, che avrebbe reputato solo
frutto
dell’ignoranza e dell’arroganza di una creatura
inferiore cui era stato dato il
dono della parola; tuttavia danneggiando Leader One quella femmina
aveva
attirato la sua attenzione, e lui gliel’avrebbe fatto
rimpiangere.
«M-ma
sei sicura di volerlo uccidere?...»
balbettò Fred
«Cioè…»
Sebbene
entrambi i ragazzini non fossero
troppo sicuri che fosse necessario finirlo, Rain non aveva dubbi in
proposito
né intendeva ascoltare quelli di altri. Quegli alieni erano
qualcosa che recava
danno, bisognava agire di conseguenza.
Erano
passati diciassette anni da che suo
nonno le aveva fatto a questo riguardo un discorso che non aveva mai
dimenticato. Riusciva a rievocarlo in modo talmente chiaro che le
sembrava
quasi sentire la voce di Dermot Lancaster nell’orecchio, di
averlo davanti agli
occhi.
Era
primavera, e Rain aveva indosso
l’abitino color carta da zucchero che ai tempi era il suo
preferito.
In ginocchio sulla coperta da picnic sulla quale a breve avrebbe
consumato la
merenda assieme a suo nonno, stava dando a quest’ultimo la
massima attenzione.
«Lascia che ti spieghi questa cosa così come mio
padre la spiegò a me».
Nonno era in piedi, e aveva in mano tre mele rosse prese dal cesto che
si erano
portati dietro. Era curiosa di vedere cosa ne avrebbe fatto.
«Quel che è buono e utile per noi, lo
conserviamo» le disse, porgendole una
delle tre mele «Indipendentemente da quel che pensano gli
altri».
Rain prese il frutto. «Ha senso».
«Certo che lo ha. Quel che ci ostacola, invece, lo
allontaniamo» continuò nonno
Dermot, lanciando dietro di sé una delle due mele rimaste
«Così che fili tutto
liscio».
Lei annuì. Anche quello aveva senso.
«E quello che ci reca danno…»
Rain vide l’ultima mela venire lanciata in alto, rossa contro
l’azzurro del
cielo.
Sebbene fosse fisicamente impossibile, ebbe l’impressione di
vedere il
proiettile far esplodere il frutto prima di udire il suono del colpo
sparato da
suo nonno, molto ovattato dal silenziatore.
«Quello che ci reca danno, lo estirpiamo» concluse
lui «Anche questo ha senso,
per te?»
Rain, per nulla turbata -lei stessa aveva già iniziato ad
avere a che fare con
le armi da fuoco, per discutibile che potesse essere- lo
guardò dritto negli
occhi.
«Sì».
“I
genitori di oggi invece non sono in grado
di educare nemmeno un criceto” pensò la donna
“Provare pietà per questo coso
sarebbe come avere voglia di fare un funerale a un ventilatore quando
si rompe.
Insensato”.
Nel
petto gravemente danneggiato dell’alieno
riusciva a vedere parte di una componente bianca, luminosa: non sapeva
di
preciso cosa fosse ma lo riteneva comunque un bersaglio perfetto.
Stava
per premere il grilletto, determinata a
spegnere quella luce nel petto, quando…
«Non
ucciderlo!»
«Non
c’è bisogno!»
«Siamo
venuti a salvarvi!»
Tre
voci familiari spinsero lei, Fred e Billy
a guardare in alto, notando sulla travi la presenza di persone
conosciute.
Rad,
Carlos e Alexis erano lì, in piedi,
accompagnati dai loro tre Minicon e da una tensione che era visibile
sui loro volti.
Avevano
cercato i tre ostaggi con Laserbeak, e
questi era riuscito a trovarli in tempo da far sì che,
grazie al palmare di
Alexis cui era connesso, potessero assistesse alla scena che
c’era stata poco
prima.
Una
scena decisamente poco gradita.
A
nessuno dei tre, se non nei film, era mai
capitato di vedere un essere umano sparare a sangue freddo a qualcun
altro, e
secondo loro i Minicon non erano altro che povere creature innocenti -
nel caso
dei Minicon dei Decepticon, vittime di indottrinamento e spaventate -
che non
meritavano del male.
Potevano
arrivare a riconoscere che Rain
l’avesse fatto per difendersi, però
perché cercare di ucciderlo una volta
neutralizzata la minaccia?! Non riuscivano a capirlo, non riuscivano
proprio a
vedere le cose dal suo punto di vista e, in tutta onestà,
erano talmente
convinti del proprio che non volevano nemmeno provarci.
«Ragazzi!»
esclamò Billy, sollevato dalla loro
presenza e nel vederli scendere giù, anche se erano assieme
ai loro robot.
«Siamo
contenti di vedervi, non avete idea di
che momenti abbiamo passato» si lamentò Fred
«Ma quei costumi?...»
«Ve
lo spieghiamo dopo» disse Carlos «Ehm…
cugina di Billy, potresti abbassare la pistola? I nostri Minicon non
vogliono
ammazzare nessuno».
“Io
invece lo farei volentieri” pensò Rain,
con un’occhiata ai tre robot. Vedendo che due su tre avevano
gli occhi su uno
schermo, perfetto da colpire in caso di necessità, ritenne
di poter abbassare
leggermente la Glock. L’obiettivo principale era uscire dalla
catapecchia, al resto
avrebbe pensato in seguito. «Andiamo via da qui».
“D’accordo”
pensò Megatron “Posso uscire allo
scoperto e mettere in pratica il piano nonostante quel che è
successo a Leader
One”.
«Trasformazione!»
Dopo
un rumore sordo appena precedente il suo
ritorno alla forma base, le cianfrusaglie sotto cui era stato nascosto
fino a
quel momento schizzarono in aria con un gran baccano, occupando la sua
visuale
per qualche momento.
Poi
rise, dando una breve -...troppo breve-
occhiata alle facce esterrefatte e spaventate di quelli che a breve
sarebbero
diventati i suoi ostaggi, e mentre questi strillavano creò
attorno a loro una
barriera violacea.
“Alla
fine è andata bene lo stesso” pensò,
soddisfatto nonostante gli intoppi.
Ne
creò una anche attorno al ferito Leader
One, così da poterlo sollevare in aria ed evitare di
schiacciarlo senza volere.
Auspicava di poter concludere presto quella faccenda, in modo da
poterlo far
riparare presto e per bene.
«Meglio
di quanto mi aspettassi. Non solo ho
conquistato i Minicon, ma ho anche gli ostaggi! Che mossa
geniale!»
Mancava
solo che si desse una passa sulla
spalla da solo per quant’era soddisfatto all’idea,
peccato che quando gli
ostaggi vennero sollevati in aria e finirono in mano sua si accorse di
una cosa
fondamentale: ne mancavano due all’appello.
«Cosa?!
Dove sono andati a finire quei-»
Un
colpo d’arma da fuoco identico a quello che
aveva sentito in precedenza lo fece voltare di scatto, in tempo per
vedere i
due fuggiaschi accanto a una porta chiusa e arrugginita che fino a poco
tempo
prima era stata coperta da lui e dai vecchi oggetti.
«Non
si è aperta, Rain!» strillò Billy,
rimasto leggermente indietro rispetto a lei «Ci ha
visti!»
“Quando
diavolo sono riusciti ad arrivare là?!
Possibile che l’abbiano fatto in quell’attimo in
cui non ho visto nulla?!”
pensò il leader dei Decepticon, chinandosi verso di loro per
afferrarli.
Dopo
un altro sparo alla serratura, capendo di
non avere tempo per fare altro se voleva evitare a Billy di essere
preso, Rain
afferrò il cugino e sfondò la porta lanciandolo
contro di essa con tutta la
forza che aveva, facendolo finire fuori dall’edificio assieme
alla propria
borsa.
«CORRI!»
riuscì a gridare, appena prima
di essere stretta da una presa dalla quale, ne era consapevole, non
sarebbe mai
riuscita a sfuggire.
La
sua unica consolazione in quel momento fu
vedere Billy obbedire e basta, per una volta, e correre via con la sua
borsa.
Se
le cose fossero andate particolarmente male
e lei non fosse sopravvissuta a quella giornata assurda, sapeva che se
non
altro sarebbe stata vendicata.
Suo
zio, che Billy avrebbe potuto contattare
col cellulare una volta che i robot se ne fossero andati, era di larghe
vedute,
c’erano in giro delle orme giganti e dei segni di laser che
nessuno si curava
di nascondere, e soprattutto Billy sapeva dove si trovava il
nascondiglio dei
bidoni metallici “amici” dei suoi compagni di
classe: non dubitava che
potessero essere fatti parlare e potessero fornire
l’ubicazione del nascondiglio
di quelli che sembravano essere i loro avversari, così come
non dubitava che il
povero Billy, essendo suo parente, non sarebbe stato lasciato senza
assistenza.
A dirla tutta era probabile che avrebbe vissuto ancor più
riccamente.
«Non
credere che il ragazzino andrà lontano»
disse Megatron, stringendola nella sua mano destra «Dopo mi
occuperò anche di
lui. Hai avuto l’ardire di colpire chi non avresti
dovuto».
Il
cuore che batteva molto veloce e molto
forte, chissà se più per rabbia o per paura, era
l’unico segno a dimostrazione
del fatto che Rain non fosse solo particolarmente seccata, che invece
era tutto
ciò che suggeriva l’espressione del suo viso.
«E
voi alieni avete avuto la brillante idea di
rapire persone che non c’entravano nulla con le vostre beghe,
la conseguenza di
questo è colpa vostra» disse la donna
«Ve la state anche cavando con poco, per
ora».
Pareva
che la sfrontatezza e la follia di
quell’essere insulso fossero tali da arrivare a minacciarlo
pur essendo stretta
nella sua mano, ma le sarebbe passata presto. «Anche tu. Per
ora».
Intanto
Billy, che aveva obbedito ed era corso
via fino ad arrivare quasi al capo opposto del paesello fantasma
-allontanandosi così dal casino- si stava pentendo di tutti
i propri peccati
mentre macerava nel senso di colpa.
Nascosto
a riprendere fiato dietro uno degli
edifici fatiscenti, pensò di star per avere un infarto nel
momento in cui vide
il capannone venire divelto dal robot gigante da cui Rain
l’aveva fatto
fuggire; ma si sentì male soprattutto nel vedere, anche da
quella distanza, sua
cugina stretta saldamente nella mano destra di quel tizio.
Rain
avrebbe potuto riuscire a sfondare
la porta e scappare se non avesse pensato a far fuggire lui che invece
era
rimasto un po’ indietro, quel
“po’indietro” di troppo di chi non aveva
tutta la
prontezza di cui invece lei era provvista.
“Se
quel giorno non avessi seguito Rad e
Carlos nella montagna, se poi fossi stato loro lontano, se non avessi
rotto
loro le scatole al luna park della scienza… soprattutto
quest’ultima cosa… se
non l’avessi fatta non ci sarebbe stata l’idea di
trasferirsi in Irlanda,
quindi non avrei voluto passare con Fred quella che doveva essere
l’ultima
mattinata insieme, Rain non sarebbe venuta a prendermi e nessuno di noi
sarebbe
stato catturato perché nessuno di noi sarebbe stato
lì. Se Rain verrà
schiacciata da quel robot gigante la colpa sarà mia e
basta”.
E
il robot gigante in questione stava
guardando Optimus Prime, Hot Shot e Red Alert con
l’espressione di chi pensava
di avere la vittoria in tasca.
«Niente
male, vero?»
«Megatron!
Libera quei ragazzi, loro non
c’entrano niente!» esclamò Optimus,
arrabbiato e anche in ansia per le sorti
degli umani.
Optimus
riteneva Megatron malvagio e capace di
qualsiasi cosa per ottenere ciò che voleva, però
abbassarsi a rapire dei civili
umani era troppo perfino per lui. Quanto si doveva essere vigliacchi
per farsi
scudo con loro? Era ancor più carogna di quanto avesse mai
pensato.
«Io
pensavo di tenerli come animali domestici»
sogghignò il leader dei Decepticon.
“Animali
domestici sarete tu e tutti i tuoi
antenati, brutta scrofa cornuta frutto del parto anale di un camion che
trasportava i liquami di fogna che ti sono finiti nel
cervello” pensò Rain.
«Tu
sei pazzo!» sbottò Red Alert, che non
saltò
addosso a Megatron solo perché Optimus lo stava trattenendo
per un braccio.
«Buono,
Red Alert!»
Continuando
a osservare la scena da lontano, e
sentendo il robot cattivo ridere di gusto, Billy pensò solo
a quanto avrebbe
voluto poter fare qualcosa di concreto, cosa che invece non poteva,
già solo
perché il telefono di Rain non funzionava e non avrebbe
ripreso a farlo in
tempo in ogni caso. Se almeno avesse avuto
un’arma… ah, no, non avrebbe potuto
fare nulla lo stesso neppure se avesse avuto il bazooka di Rain: non
avrebbe
saputo usarlo.
Si
ripromise che se fossero usciti vivi da
tutto questo avrebbe insistito almeno per farsi insegnare a usare le
armi da
fuoco, come la sua famiglia in Europa aveva insegnato a lei. In fin dei
conti
coi fucili ad aria compressa del luna park non era un disastro completo.
Optimus
Prime strinse i pugni. «D’accordo»
cedette «Se lasci andare tutti gli ostaggi ti consegneremo
tutti i Minicon».
“Prevedibile.
Di certo pensa anche che li
lascerò andare davvero... a volte non capisco se ci sia o ci
faccia ma, sia
come sia, è tutto di guadagnato per il
sottoscritto” pensò Megatron. «Ora
sì
che ragioniamo. Sono perfettamente d’accordo!»
«Non
dargli ascolto, Optimus!» gridò Alexis.
«Se
glieli dai diventeranno imbattibili!»
esclamò Rad.
«Mi
dispiace» disse il comandante degli
Autorobot «Ma non permetterò che vi faccia del
male».
“Non
ci lascerà andare in ogni caso, gobshite”
pensò Rain, che impugnava ancora la pistola, cercando di
liberare dalla presa
di Megatron almeno le braccia.
I
ragazzini continuarono a strillare le loro
proteste, a urlare a Optimus di non accettare perché farlo
sarebbe stato un
suicidio e, vedendo Megatron aumentare l’intensità
di quel campo di forza viola
in cui li aveva rinchiusi fino a renderla dolorosa, Rain
pensò che fosse una
fortuna che né lei né Billy fossero lì
dentro.
Riuscì
a liberare il braccio sinistro.
«Hot
Shot, Red Alert, consegnate i vostri
Minicon a Megatron. È un ordine!»
Sapeva
che dare i Minicon ai Decepticon
avrebbe complicato le cose ma riteneva di non poter fare altrimenti.
Voleva
tirare fuori da quella faccenda tutti gli umani coinvolti e, a tal
proposito,
riteneva piuttosto allarmante che i Decepticon avessero deciso di
mettere in
mezzo persone a caso. Fino a quel momento aveva avuto
l’impressione che
cercassero semplicemente di recuperare i Minicon senza cercare
ostilità con gli
indigeni. C’era da sperare che dopo quella giornata
tornassero a seguire quella
linea.
«Sissignore»
si limitò a obbedire Red Alert,
per quanto fosse poco felice.
«Che
fregatura!» sbottò Hot Shot, obbedendo a
sua volta.
Una
volta che i Minicon vennero consegnati,
Optimus tornò a rivolgersi a Megatron. «Noi siamo
stati ai patti, ora libera
quei ragazzi!»
«Oh
no» sorrise sottilmente l’altro «Non ci
penso nemmeno».
«Cosa?!»
«Li
baratterò in futuro, qualora fosse
necessario».
“Appunto”
pensò Rain.
Riuscì
a liberare il braccio destro e puntò la
Glock verso l’occhio di quella che per lei era una
“brutta lattina cornuta”.
Dopo l’interno della bocca, gli occhi costituivano certamente
una delle parti
più delicate della sua faccia.
Sapeva
che purtroppo non gli avrebbe fatto
troppo male, al massimo gli avrebbe dato noia, ma si augurò
che le altre
lattine fossero in grado di riconoscere un diversivo quando ne vedevano
uno.
«ANIMALE
È QUELLA VACCA DI TUA SORELLA!»
urlò, sparando due colpi di fila dritti sul sensore ottico
destro del
transformer.
«Che
diav-» cercò di dire Megatron sollevando
la mano sinistra con l’intento di proteggersi, in un riflesso
del tutto
automatico.
Salvo
rendersi conto un istante dopo che così
facendo aveva lanciato via tutti gli ostaggi che c’erano
sopra -ed ecco che la
figuraccia da imbelle di turno era stata fatta.
«NO!...»
«Presi!»
esclamò Optimus, recuperandoli al volo
dopo uno scatto degno di un atleta «State bene?!»
«Sì,
ma-» avviò a dire Alexis, salvo
interrompersi per colpa del rumore di altri quattro spari.
«Ti
sparassero in culo un missile nucleare
diretto in un buco nero, grandissimo cornuto schifato anche dalla
propria
madre! AG FUCK -THÙ!»
strillò Rain, sparando a raffica «SHTATE!»
Fu
costretta a zittirsi quando Megatron
aumentò la stretta, decisissimo a stritolarla una volta per
tutte. Avrebbe
voluto fargliela pagare in modo più lento e doloroso ma in
quel momento non
aveva proprio voglia di tollerare oltre la sua esistenza tra i vivi.
Tanto
più visto che, in effetti, non sapeva
che fine avesse fatto la propria madre.
«SEI
MORTA, MALEDETTA PAZZA!» sbraitò.
E
l’avrebbe uccisa davvero, se Hot Shot non
avesse sfruttato la confusione generale per attaccarlo e colpire con un
calcio
il braccio destro.
L’impatto
gli fece perdere la presa su Rain,
che venne scagliata in aria e recuperata al volo dal giovane Autorobot,
che poi
tirò a Megatron un diretto in piena faccia.
Il
colpo -con una certa soddisfazione da parte
sia di Hot Shot che di Rain- fu tale non solo da farlo cadere, ma anche
da
farlo volare lontano di qualche metro.
«Gli
umani sono tutti salvi!» esclamò
l’Autorobot, correndo lontano da Megatron «Tu?
Tutto a posto?»
«Sì»
rispose Rain, decisamente indolenzita.
Probabilmente
il giorno dopo avrebbe avuto dei
lividi sulla maggior parte del corpo ma sapeva bene che, se davvero era
salva,
se l’era cavata con poco ed era già tanto che non
avesse nulla di rotto.
Perdere il controllo della lingua in quella posizione svantaggiata non
era
stata una grande idea.
Demolisher
e Starscream corsero subito al
capezzale del loro capo.
«Megatron,
mio signore, sei ferito?!» si
preoccupò Demolisher.
«Neanche
un graffio!» ribatté Megatron,
rialzandosi.
Non
gli servì molto tempo per capire che erano
in svantaggio. Gli Autorobot si erano ripresi i Minicon e si erano
immediatamente combinati con loro, e in tutto questo Leader One era
ferito,
Demolisher non aveva un Minicon, Starscream non si era portato dietro
il
proprio e Cyclonus, che era a terra da prima che lui uscisse dal
proprio
nascondiglio, si stava riprendendo solo ora che non serviva
più. Non aveva
ottenuto nulla di quel che voleva, non era neppure riuscito a uccidere
l’umana
pazza.
Una
disfatta completa.
«Cyclonus!
Non avrei mai dovuto fidarmi del
tuo piano scellerato!»
«Perdonami,
Megatron…»
«Affronteremo
il discorso alla base» concluse
questi, teletrasportandosi via insieme a tutti i propri uomini.
Per
Cyclonus e i Decepticon si prospettava un
brutto quarto d’ora, come sempre dopo una sconfitta, ma per
umani e Autorobot
quel brutto momento era finito.
«State
tutti bene? Tu, Fred?» chiese Rad al
ragazzino.
«Sì.
Grazie per essere venuti a salvarci, non
avrei mai pensato… insomma, io e Billy non vi abbiamo sempre
trattati bene»
disse Fred, con un po’di imbarazzo.
«Non
preoccuparti, amigo, è tutto
a posto» lo tranquillizzò Carlos «Non
saresti dovuto finire in mezzo a tutto
questo. Né tu, né Billy, né-»
«Dov’è
andata a finire Rain O’Connell?! Non
c’è!» si stupì Alexis,
guardandosi attorno.
«Io
l’avevo salvata e messa a terra! Era qui,
giuro!» esclamò Hot Shot.
«Con
la stretta che ha preso da Megatron non
può essere troppo lontana» disse Red Alert
«Già è tanto che cammini».
«E
anche Billy» aggiunse Fred «Anche lui
dovrebbe essere nei paraggi, Rain è riuscita a farlo uscire
prima che Megatron
la catturasse».
«Cerchiamoli.
Non possono essere lasciati in
giro da soli, non dopo oggi» disse Optimus «Credo
che per loro non sia molto
sicuro anche solo tornare a casa propria. Sarebbe meglio se stessero
nella base
per un po’».
«Perché?»
domandò ingenuamente Carlos «Noi stiamo
sempre in giro con voi e i Decepticon sembrano anche sapere
più o meno dove
abitiamo, però siamo sempre tornati a casa».
«Noi
non abbiamo mai tentato, quasi con
successo, di uccidere il Minicon di Megatron per poi insultarlo e
sparargli in
faccia» ribatté Rad.
«Ecco
chi c’era nell’altro campo di forza»
mormorò Optimus «Il Minicon ferito. Questo
è un altro motivo per cui lei e
chiunque viva con lei non possono essere lasciati scoperti».
«No,
Optimus, non vale neanche la pena
provarci» disse Alexis «Billy magari non
è male ma per lei tutti i transformers
sono solo invasori, senza distinzione! Non vi conosce, non vi considera
nemmeno
degli esseri viventi e sono convinta che se potesse farebbe tutto il
male
possibile anche a voi che l’avete salvata».
«Hai
detto bene, Alexis: non ci conosce»
affermò Optimus « Quando ci avrà
conosciuti meglio e si convincerà del fatto
che noi transformers non siamo tutti malvagi, le cose cambieranno. Una
possibilità non si nega a nessuno, per cui
cerchiamoli».
Si
divisero, intenzionati a trovarli prima
possibile e convinti che però non sarebbe stato troppo
difficile, perché quel
che restava del villaggio fantasma era un’area ristretta da
esplorare.
«Non
andremo a stare in una base aliena. Non
esiste» sibilò Rain, nascosta assieme a Billy in
una vecchia cantina interrata
che fino a prima della battaglia aveva avuto accanto una casa.
«Quello
cattivo ti ha quasi ammazzata!»
bisbigliò Billy «Potrebbe riprovarci,
Rain!»
«Eventualmente
farò in modo di avere in mano
il bazooka» replicò lei «Tu, in vacanza
in Sicilia per qualche tempo, non
dovrai preoccuparti di questi alieni. Se poi il bazooka non dovesse
bastare,
sono sicura che mio zio provvederà a te. Tu sei un mio
parente e lui in certe
cose è magnanimo, ancor di più da quando con sua
figlia non è in buoni
rapporti. Ha una villa immensa e non gli importa dei
sottobicchieri».
«Chi
se ne frega della villa e dei
sottobicchieri! Non ti lascio da sola!»
«Fosse
per me andremmo entrambi in Irlanda ma,
come hanno trovato i la cittadina dove abitano i tuoi compagni di
classe,
potrebbero trovare me in qualunque posto» disse Rain
«Non sappiamo quali
tecnologie abbiano a disposizione questi cosi. Io sono la tua tutrice
legale,
devo tenerti al sicuro».
«Non
pensi a come starei pensando ogni ora di
ogni giorno che potresti essere stata presa o direttamente uccisa da
quei tizi
di prima?! Rain, tu mi hai preso con te perché sapevi che
per me non c’era
nessuno, e io non voglio allontanarmi dalla sola persona a cui importa
di me al
punto di farsi catturare al posto mio» disse Billy, un
po’troppo ad alta voce
«Lo so che anche questi sono alieni ma non vogliono farci del
male. Avevano
accettato di dare via quei robottini per salvarci e ci lascerebbero
stare nella
loro base anche se sanno che li detesti a prescindere, li hai
sentit-»
L’ingresso
della cantina venne aperto con
violenza.
«TROVATI!»
gridò Carlos «Dai, uscite,
non c’è niente da temere! Gli Autorobot sono a
posto!»
“Tanto
ormai…” pensò Rain, uscendo dalla
cantina insieme a Billy.
I
tre robot cosiddetti “buoni” li raggiunsero
rapidamente e Rain, tra le altre cose, in quel momento notò
che i colori di
quello chiamato “Optimus” le risultavano familiari.
Non avrebbe saputo dire con
certezza in quale occasione li aveva visti, però era sicura
che fosse successo.
«State
bene?» chiese loro Optimus.
Billy,
un po’intimidito nonostante sapesse che
non era un cattivo, annuì.
«Sapete,
sentire un “Grazie” in tutto questo
sarebbe una cosa carina» disse Alexis.
«Giusto»
annuì Rain, e guardò Optimus «Grazie
per aver permesso che le vostre beghe aliene arrivassero qui a far
danno a cose
e persone, cosa che se non fosse successa ci avrebbe evitato di essere
rapiti e
il conseguente salvataggio. Qui sulla Terra avevamo tanto
bisogno
di altro disordine, i nostri problemi erano troppo pochi».
Non
era la risposta che si aspettavano,
nonostante Alexis li avesse preparati, e per qualche istante nessuno
aprì
bocca.
«Questo
è uno dei motivi per cui potresti
essere nei guai. Come Rad ha giustamente osservato, hai insultato
Megatron, hai
quasi ucciso il suo Minicon e gli hai sparato in faccia. Posso
assicurarti che
purtroppo porta rancore per molto meno, ragion per cui ritengo
opportuno che vi
trasferiate nella mia base per un po’» disse
Optimus «I Decepticon hanno armi
tali da poter schiacciare e conquistare qualunque cosa
nell’Universo, se non ci
sono ancora riusciti è solo grazie alla mia squadra. Non
è qualcosa che tu
possa gestire, soprattutto se tieni alla salute di chi vive con te. Ho
capito
che l’idea di un trasferimento non ti fa piacere e ho capito
che non hai una
grande opinione di noi ma spero che tu possa cambiare idea, quando ci
avrai
conosciuti meglio. A tal proposito, io sono Optimus Prime. Sono il
comandante
degli Autorobot» si presentò «Lui
è Hot Shot» lo indicò «E lui
è Red Alert».
«Io
sono Billy! Ehm… è un piacere conoscervi.
Nonostante tutto. Grazie per l’ospitalità!...
perché accettiamo, vero?»
aggiunse in un bisbiglio, rivolto a Rain.
La
donna sospirò e annuì, rassegnata al fatto
che per il momento forse era meglio accettare. «Io sono Rain.
Avrei fatto
volentieri a meno di fare la conoscenza di voi alieni ma, a quanto
pare, era
destino che andasse così».
«Puoi
smettere di essere antipatica almeno per
tre secondi?!» sbuffò Alexis.
«Sii
meno petulante e dammi dei “lei”. Sei
piccola, fastidiosa e ci conosciamo a malapena, non hai il permesso di
darmi
del “tu”».
«Ma
tu sei proprio sicuro che sia una buona
idea?» sussurrò Hot Shot a Optimus.
«Il
tempo mi darà ragione. Vedrai» disse
Prime, cercando di sembrare molto più fiducioso di quanto
(non) cominciasse a
sentirsi.
«Fastidiosa
a chi?!» si arrabbiò Alexis «Ma
come ti perm-ehi! Sto parlando con te!»
«Come
ci regoliamo per il nostro temporaneo
trasloco?» domandò Rain a Optimus, ignorandola.
Non
le piaceva quella situazione ma si sforzò
di pensare che forse poteva trarne qualcosa di buono. Conoscere meglio
alieni
invasori e alieni invasori ancora più odiosi le avrebbe
permesso di verificare
se le parole sulla loro potenza erano vere o meno e le avrebbe dato
modo di
capire se colpirli col bazooka sarebbe bastato.
«Passeremo
a casa vostra così che tu e Billy
possiate prendere il necessario».
«E
anche il pappagallo, se no da solo in casa
muore» aggiunse Billy «Un pappagallo è
un animale domestico» disse poi, a
beneficio degli alieni presenti.
«Oddio
il pappagallo no» si disperò Fred,
mettendosi le mani tra i capelli «Quel coso tremendo ce
l’ha con me!»
«Nessun
animale domestico verrà abbandonato,
portate pure anche lui» concesse Optimus «E ora
direi che sia il momento di
rientrare alla base. Trasformazione!» esclamò,
mostrando la sua forma
veicolare.
Billy
guardò Rain.
“Non
mandarlo a quel paese di nuovo, non
mandarlo a quel paese di nuovo anche se è il camion lento,
ti prego” pensò.
«Sì…
noi due ci siamo già incontrati» disse
Optimus a Rain, accorgendosi di come lo stava guardando «Non
so se ricordi».
«Il
camion lento che intralciava il traffico.
Indimenticabile».
Si
preannunciava una convivenza un
po’complicata.
Appena
un pochino.
Glossario:
ag
fuck-thù= vaffanculo
shtate=
merda
Perché
Rain è gentilissima xD
|
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Capitolo 7 *** Pioggia nella base degli Autorobot (purtroppo) ***
7
Pioggia
nella base degli
Autorobot (purtroppo)
Caro diario,
dopo aver conosciuto i Decepticon non avrei mai pensato di poter
sopportare
qualcuno meno di quanto sopporti loro, ma… NON LA SOPPORTO
PROPRIO QUELLA
SPOCCHIOSA, OK.
Sono passati quindici giorni dalla volta in cui i Decepticon ci avevano
presi
come ostaggi. Billy e sua cugina vivono qui nella base da allora.
Tra le prime cose che Rain ha fatto c’è stato fare
un interrogatorio ai nostri
amici Autorobot. Ha voluto sapere tutto di com’è
iniziata la guerra e perché,
dell’attuale situazione politica su Cybertron (ma che se ne
fa?), si è fatta
dire cosa ci fanno i Minicon sulla Terra e tutti i loro possibili usi
(“usi”,
nemmeno fossero chiavi inglesi!) e ha chiesto anche di quale tipo di
metallo
sono fatti loro e i transformers comuni.
Optimus ha risposto a tutto e l’ha voluta prendere come una
cosa positiva,
perché a suo dire tutte quelle domande significano che Rain
è interessata a
conoscerli, e spera che una volta fatto questo smetterà di
vederli come
invasori. Secondo me invece questo non succederà e se vuole
sapere di cosa sono
fatti è solo per poterli uccidere più
facilmente… anche perché una volta
risposto alle sue domande lei ha parlato con loro solo lo stretto
necessario, e
aveva sempre qualcosa da criticare. Come quando è arrivato
il nostro nuovo
amico Smokescreen: ha detto una cosa tipo “Un altro venuto a
infestare!”.
Comunque…
Optimus ha dato a lei e Billy un posto tutto per loro, un
po’come aveva fatto
con noi. Solo che noi il posto in questione non lo abbiamo riempito con
delle
candele in giara (QUANTE NE HA?!), dei vestiti di sartoria, dei fucili,
delle
pistole e un bazooka.
Quello a dir la verità lo ha tirato fuori dal bagagliaio
della Porsche,
maledicendo i tacchi per non essere riuscita a raggiungere
l’auto in tempo per
poterlo tirare fuori e sparare a Cyclonus.
Io sono ancora allibita, ma sono ancora più allibita
perché Billy a quanto pare
si è messo in testa di voler iniziare anche lui a usare le
armi da fuoco e lei
gli ha detto che a breve gli avrebbe insegnato volentieri.
Cioè: non gli
permette di venire in missione con me, Carlos e Rad (e Billy poverino
prova
sempre a chiederglielo) ma imparare a maneggiare armi invece va bene?!
Io non
so come ragiona.
E non so nemmeno come ragionino Rad e Carlos e Fred, a dirla tutta,
perché li
vedo abbastanza disposti a passare sopra a tutte queste cose col dire
“Magari
Oprimus ha ragione, diamole tempo, ma in fondo tutte quelle giare
colorate non
sono brutte, ma alla fine saper maneggiare le armi da fuoco
può fare comodo e
poi è fico, ma forse non sarebbe male se usassimo anche noi
i sottobicchieri”
HO CAPITO CHE AVETE GLI ORMONI A DUEMILA MA ANCHE BASTA EH. Non li ho
mai visti
fare così! No, va bene, a dire il vero Carlos si era
innamorato a prima vista
di un ologramma (genio…) e Fred chissà, ma anche
Rad che lascia correre no,
dai.
Ma al secondo posto tra le cose peggiori che ha portato
l’avere qui Rain, dopo
lei stessa, c’è sicuramente quel cacatua-
«EEEEEEJIT MAAAAAGGOTT!»
Alexis,
colta di sorpresa, cacciò uno strillo
ultrasonico e lasciò cadere a terra il diario. Il proverbio
che diceva “gente
trista nominata e vista” sembrava valere anche per gli
animali, purtroppo.
«Mi
hai fatto prendere un colpo, brutto
uccellaccio! Lasciami in pace!» gli intimò la
ragazzina «Vai via! Mostro!»
Dagon,
il cacatua carino e coccoloso quanto la
sua padrona, atterrò dritto sulla testa di Alexis e
iniziò a schiaffeggiarla
con le ali. Se avesse l’intento di fare proprio questo o
fosse piuttosto una
specie di rito di accoppiamento non era dato sapere, ma per Alexis era
un
motivo più che sufficiente per mettersi a strillare come
un’aquila.
«VAI
VIA! TOGLITI! STACCATIIIII!»
Il
rumore attirò l’attenzione di Optimus Prime
che, sempre pronto all’azione, irruppe nella stanza.
«Alexis! Cosa succede?!...
ah».
Dagon.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Appena
lo vide, il cacatua allargò al massimo
le piume che aveva sulla testa, smise di schiaffeggiare Alexis e si
mise a
soffiare contro di lui con una cattiveria impressionante. Era evidente
che lo
detestasse. Non che la cosa lo preoccupasse, ovviamente,
perché quel pappagallo
di “appena” sessanta centimetri non poteva fargli
alcun male, ma non gli
piaceva l’idea di essere destato dalla propria ricarica con
una serie di
strilli in cui veniva apostrofato con insulti irripetibili…
com’era successo
già undici volte.
Aveva
chiesto a Rain O’Connell di provvedere a
mettere in gabbia l’animale, però non aveva avuto
molto successo.
“Non
fa così con tutti, immagino che lo
avrai infastidito in qualche modo. Ma poi: un cosiddetto combattente
per la
libertà, oltretutto alieno e presente
illegalmente sul suolo terrestre,
vorrebbe imporre la prigionia a una creatura vivente indigena di questo
pianeta?”
Infatti
aveva ottenuto soltanto un tale stato
di tensione nel suo cervello a transistors da doversi rivolgere a Red
Alert per
farsi dare quello che in termini umani sarebbe stato definito
“un blando
calmante”.
E
non era stata la prima volta.
Soprattutto
come comandante degli Autorobot,
Optimus Prime si era trovato più volte a dover gestire
situazioni difficili. Le
innumerevoli battaglie su Cybertron, quella guerra contro Megatron che
dopo una
“tregua” di quattro milioni di anni era
ricominciata, le ricerche dei Minicon
in posti più o meno strani, quel periodo sulla Terra passato
in incognito…
nulla di così semplice come poteva sembrare, specialmente
per lui che doveva
gestire tutto, a cui tutti facevano domande e da cui tutti volevano
soluzioni.
Essere leader comportava onori e oneri, cosa che lui prendeva molto sul
serio e
che cercava di affrontare ogni giorno con la stessa energia e,
soprattutto,
senza venir meno alla propria etica. Era ritenuto, e si riteneva, un
cybertroniano
dall’elevatissima morale.
Eppure
tutto questo era diverso, più “facile”,
rispetto all’avere a che fare con Rain in quelle occasioni.
«SHTATE!»
esclamò Dagon, scendendo
finalmente dalla testa di Alexis.
«Se
penso che all’inizio mi era anche sembrato
carino…» bofonchiò la ragazzina
«Invece è proprio come la sua padrona e ci odia
altrettanto!»
«Proverò
a parlarle di nuovo» disse Optimus,
senza particolare entusiasmo «Forse stavolta
riuscirò a-»
«NO!»
strillò Alexis, vedendo Dagon
strappare l’ultima pagina del suo diario e volare fuori dalla
stanza «TORNA
QUI!»
Optimus
la guardò, un po’perplesso. «Prima
volevi che se ne andasse, hai cambiato idea?»
«No
è solo che su quel foglio c’è
scritto…
ecco, noi umani a volte scriviamo su dei diari quello che ci succede e
cosa ne
pensiamo, e su quella pagina c’è
scritto… oh insomma!» esclamò,
lanciandosi
all’inseguimento del volatile «Devo riuscire a
riprenderla senza che finisca in
mano a Rain! A proposito, sai dov’è al
momento?!»
«No
ma come ti ho detto volevo parlare con
lei, quindi devo andare a cercarla in ogni caso. Tu puoi pensare al
pappagallo.
Alexis…»
«Sì?»
«In
futuro ti consiglio di evitare di mettere
per iscritto cose che non vorresti fossero lette».
Dopo
aver annuito, lei tornò a inseguire il
pappagallo, e lui si fece animo e si mise in cerca di Rain.
La
missione di quel giorno era stata molto
rischiosa, era stato fortunato a non essere stato inghiottito dalla
lava dopo
essere caduto in un crepaccio, eppure gli sovvenne che in quel momento,
rispetto
al parlare con miss O’Connell, avrebbe preferito qualcosa del
genere.
Vide
Hot Shot svoltare l’angolo del corridoio.
«Hot Shot. Tutto bene? Hai l’aria
stranita».
«È
così. Appena uscito dall’area di tiro al
bersaglio mi sono trovato davanti Rain e suo cugino» disse il
giovane Autorobot
«Avevano dei fucili in mano e hanno chiesto di poter usare la
stanza per un
allenamento. Non ero molto convinto però lei ha detto che sa
quello che fa e…
sì beh, dopo la giornata di oggi non avevo voglia di
discuterci, signore».
«Capisco.
Vai pure, soldato».
Se
non altro ora sapeva dove trovarla, però
non aveva molta voglia di festeggiare per questo.
Si
diresse all’area di tiro al bersaglio, poco
lontano da lì, ma invece di entrarvi subito decise di
prendere altro tempo e
sfruttare la postazione di osservazione per dare un’occhiata
a quel che stavano
facendo lei e Billy.
«Sistema
meglio i piedi, così non sei
abbastanza stabile… ecco, bravo. Mi raccomando, ricordati
che non è un fucile
giocattolo e che devi tenere conto del rinculo…
cos’è che ti ho appena detto
sul rinculo?! Non puoi tenere il mirino appiccicato
all’occhio in quel
modo, eejit! Aspetta, ti aiuto a
riposizionarti per bene.
Ecco, ora ci sei. Spara».
Optimus
vide Billy sparare, salvo mancare il
bersaglio per non aver tenuto il fucile con tutta la forza necessaria.
Un
errore abbastanza comune per qualcuno che non era abituato ad avere a
che fare
con armi e che, secondo la sua modesta opinione, a
quell’età non avrebbe
nemmeno dovuto toccarle. Lui non avrebbe permesso a Rad, Carlos e
Alexis di
imparare a sparare se glielo avessero chiesto, quindi disapprovava dal
profondo
della Scintilla quel che stava facendo Rain.
«Devi
tenerlo più saldamente, Billy,
altrimenti non puoi combinare niente. E tu avresti voluto cominciare
con il
bazooka?...» sentì sospirare la donna.
«Quando
lo facevi tu sembrava facile. Perché a
te viene facile e a me no?»
«Perché
sono stata cresciuta con certe
tradizioni di famiglia e tu no. È normale che per te sia
così».
«Quindi
anche zia sa sparare? Mi sono accorto
di non avertelo mai domandato».
«È
l’unica cosa che quella buonanima di mio
nonno è riuscito a insegnare a mia madre Rhiannon,
sì» rispose lei, con
espressione neutra «Peccato che per il resto sia stato un
disastro. Spero di
poter fare con te un lavoro migliore di quello che mio nonno ha fatto
con lei,
anche se tu con quella parte della famiglia non hai legami di
sangue».
«Speriamo»
mormorò Billy, senza sapere bene
cosa dire.
«Che
tu voglia imparare a usare le armi è già
un ottimo inizio. Se devo essere onesta sono quasi commossa,
Billy» sorrise
Rain, arrivando quasi a sembrare una donna normale «Non
credevo che mi sarei
sentita così all’idea di poter trasmettere ad
altri quel che è stato insegnato
a me».
Billy
non disse nulla.
Doveva
ancora riprendersi dallo shock per quel
sorriso.
«Perché
non sei ancora in posizione, eejit?»
Addio
sorriso, era stato bello finché era
durato. «Mi faresti rivedere qual è?»
Rain
annuì, però appena sentì il rumore
della
porta scorrevole che si apriva lasciò perdere il fucile e si
mise in spalla il
bazooka. Era diventato il suo compagno più fidato, dopo il
pappagallo.
«Ciao,
Optimus!» esclamò Billy.
«Ciao,
Billy… noto che vi state dando ad
attività un po’rischiose».
«In
un ambiente fatto apposta assieme a
qualcuno che sa maneggiare le armi da fuoco da molto tempo. A proposito
di
attività rischiose, Optimus Prime, volevo giusto parlare con
te riguardo quelle
vostre missioni assurde».
In
quel momento, Optimus riuscì a prevedere
con estrema chiarezza che anche quella sera sarebbe dovuto tornare da
Red Alert
per colpa della tensione ai transistors.
Forse
esordire come aveva fatto era stato un
grosso errore.
«Mi
lascerai partecipare? Eh?» la pregò Billy,
speranzoso «Sono due settimane che te lo
chiedo…»
«Neanche
morta» fu la risposta secca di Rain.
Dal
modo in cui stava guardando Optimus, Billy
capì che era il caso di uscire dalla stanza e augurarsi che
sua cugina
decidesse di non usare il bazooka.
Sì,
sapeva che lo avrebbe fatto solo nel caso
in cui avesse visto Optimus tentare di attaccarla, cosa che
difficilmente
sarebbe successa, però l’espressione del suo viso
non prometteva niente di
buono.
«Non
solo mio cugino non verrà mai con voi,
Prime, ma quella di oggi è stata l’ultima
cosiddetta “missione” in cui vi siete
portati appresso il nugolo di minorenni».
“Appunto”
pensò Optimus “Anche questa volta
dovrò andare da Red Alert”.
Dover
soffocare il desiderio di averla
lasciata nelle mani di Megatron per lui era già una
sconfitta, anche se durò
per un brevissimo istante.
Nel
corso della propria vita Optimus non aveva
sempre avuto a che fare con persone gradevoli -a dirla tutta, avendo
Megatron
come costante spina nel fianco, avrebbe anche potuto dire di essere
abituato ad
avere a che fare col peggio del peggio- e in tutto ciò Rain
O’Connell era, dopo
la sua “nemesi”, la persona che minacciava
maggiormente di riuscire a tirar
fuori da lui i lati di cui andava meno fiero.
L’atteggiamento
di quella donna umana che,
avvolta in una maglia oversize blu scuro, lo stava guardando con
l’aria di chi
l’avrebbe fuso volentieri, per qualche ragione gli risultava
terribilmente
esasperante.
«Volendo
tralasciare per un attimo il fatto
che si trattava di una missione importante e delicata e non di una
“cosiddetta”, tu ritieni che noi Autorobot non
prendiamo sul serio la sicurezza
degli umani che sono dalla nostra parte, quando li portiamo con
noi?»
«Sfido
qualunque persona ragionevole a dire il
contrario» ribatté Rain.
«Dimmi
una sola volta in cui-»
«Una?
Magari per te fosse una sola!» lo
interruppe Rain «Da dove potrei cominciare? Ah, ma certo!
Dalla missione di
oggi, in cui hai portato tre ragazzini delle medie su
un’isola vulcanica che
poi ha eruttato».
«Quello
è un fenomeno naturale che non potevo
prevedere» replicò Optimus «Siamo andati
lì a cercare il Minicon, al massimo ci
aspettavamo che i Decepticon-»
«O
beh, se il massimo che vi aspettavate era
“solo” di coinvolgerli in una battaglia tra robot
giganti durante la quale
hanno rischiato di venire colpiti per sbaglio da un laser o di finire
schiacciati, di nuovo per sbaglio, allora scusami tanto»
disse la donna,
sarcastica.
«Gradirei
che non mi interrompessi ancora,
Rain. I ragazzi sono nostri amici, non permetterei mai che accada loro
del
male, sono stati loro a insistere nel volerci aiutare e hanno la pelle
molto
dura».
«E
io gradirei che ragionassi in modo sensato
per la prima volta da quando tu e i tuoi simili avete avuto la pessima
idea di
venire a infestare la Terra. Dici che sono tuoi amici? Allora
è bene che non
inizi mai a considerarmi tale, dato finora che hai portato questi
ragazzini in
mezzo alle tue allegre sparatorie con quel grandissimo
cornuto» alias Megatron
«Li hai portati in una foresta che poi è stata
incendiata, li hai portati
sottoterra dove sono finiti in mezzo a una frana, li hai portati nel
deserto e
sono stati risucchiati da una duna, li hai portati in una
città sottomarina
dove sono quasi annegati come dei topi e oggi hai concluso in bellezza
con
sull’isola vulcanica. Probabilmente non te ne sei accorto,
sebbene sia
lampante, ma noi esseri umani siamo fatti di carne, che non
è resistente quanto
il metallo di cui sei fatto tu! Gobshite!»
esclamò «E ti sconsiglio
di dire nuovamente che li hai portati perché “sono
stati loro a insistere”: se
pur essendo alto più di dieci metri non sei in grado di dire
di no e imporre un
minimo di autorità a degli eejit di
tredici anni, allora mi
chiedo come tu possa essere a capo di un esercito e di circa
metà del tuo
pianeta».
Complici
il suo grado e la sua reputazione,
Optimus non era molto abituato a essere contestato. La maggior parte
delle
persone attorno a lui solitamente tendevano a pensare che avesse sempre
ragione
e, se mai, le eventuali poche voci discordanti venivano presto convinte
dalla
maggioranza.
Se
prima di quel giorno gli avessero detto che
sarebbe stato brutalmente cazziato da una femmina umana di ventisette
anni non
ci avrebbe mai creduto.
«Tutta
questa sfiducia verso la mia autorità e
il mio concetto di sicurezza mi porta a chiedermi perché tu
e tuo cugino
continuiate ad accettare l’ospitalità che vi ho
offerto» rispose dunque, dopo
qualche secondo «E a rimanere qui, in quella che è
la mia base».
«Mi
hai detto che quella putredine metallica
in forma di stercorario da battaglia che tu chiami Megatron
può avercela con
me, il che è plausibile per il poco che ho capito di quel
coso» disse Rain,
incurante del fatto di star parlando con un altro
“coso” «E che tu e la tua
squadra siete quel che si frappone tra lui e la conquista
dell’Universo, con
tutto ciò che questo implica per me, incluso il non poterlo
gestire -in via
teorica. In due settimane non ho ancora avuto prove reali del
contrario. Questa
è la risposta alla tua domanda».
«Ed
è così, perché tu o
l’umanità in generale
non potete gestire i Decepticon da soli, che vi piaccia o meno. Penso
sia il
caso che tu lo tenga a mente».
«E
io penso che sia il caso che tu tenga a
mente che questa sarà pure la tua base, ma quello su cui tu
e tutti gli altri
“transformers” vi trovate è il mio
pianeta. Siete sulla Terra per riprendervi
quei cosetti che voi» lo
indicò «Avete fatto fuggire dal vostro pianeta
con la vostra guerra e che si sono
schiantati qui, e nel fare
questo avete portato qui i vostri casini»
lo indicò di nuovo
«Potenzialmente mortali, nei quali oltretutto avete lasciato
immischiare dei
ragazzini. Ricordatelo sempre, quando discuti con la sottoscritta e
pensi anche
di poter avere ragione. La sola presenza della tua specie su questo
pianeta ti
dà torto a prescindere».
«Non
sono stato io a iniziare la guerra e
tutto quel che ne è derivato, non siamo noi Autorobot gli
aggressori» disse
Optimus «Siamo stati, e anche dopo milioni di anni siamo
tuttora, costretti a
batterci per difendere la metà di Cybertron che ci
è rimasta ed evitare che i
Decepticon si espandano ulteriormente nell’Universo. Di cosa
vorresti farci, o
farmi, una colpa in tutto questo?»
«Lui
è colpevole perché l’ha iniziata, tu lo
sei perché in milioni di anni non sei stato capace di
finirla prima che
finissero coinvolti altri mondi» ribatté Rain,
assestando l’ennesima bastonata
verbale «Se devo dirtela tutta ho anche qualche dubbio sul
fatto che tu voglia
concluderla davvero, questa guerra, perché già
solo in queste due settimane hai
lasciato più volte che il cornuto si ritirasse quando invece
avresti potuto
finirlo. Quell’uccelletto metallico che hanno i ragazzini
trasmette tutto qui
alla base in 4k, dovresti saperlo».
«Non
hai pensato che magari avessi delle
ragioni personali che non ti riguardano, per decidere di agire come ho
fatto?»
«Spero
per te che siano delle ragioni
estremamente valide» disse Rain.
«Lo
sono» affermò Optimus.
«Premesso
che sei libero di interrompermi se
sbaglio: se queste ragioni fossero qualcosa tipo “Voglio
sconfiggerlo e
convincerlo ad accettare di vivere in pace perché ucciderlo
con le mie mani qui
e adesso andrebbe contro la mia etica personale” allora
avresti sulla coscienza
milioni, se non miliardi, di “vite”»
mimò le virgolette «Dei tuoi simili. Tu e
il cornuto siete in guerra da milioni di anni, così mi hai
detto qualche giorno
fa. A questo punto anche un coglione avrebbe capito di non poter
trovare un accordo.
Tieni più alla salute della tua razza, o a una morale che ha
condannato a morte
chissà quanta gente?»
Forse
Optimus avrebbe potuto risponderle in
tanti modi ma, messo davanti a certi fatti in maniera così
brutale, non gliene
venne in mente neppure uno.
Abbandonò
la stanza preda di un miscuglio tra
rabbia, dubbi su se stesso che inframmezzavano le immagini dei volti
dei
transformers che erano morti in quella guerra che lui “non
aveva voluto finire”
-era così per davvero? Aver deciso in passato di lasciare
che Megatron si
ritirasse più volte invece di finirlo lo rendeva davvero
responsabile, anche
solo in parte, di tutte quelle vite perse?- e una tensione tale addosso
da
temere che la testa gli sarebbe esplosa da un momento
all’altro. E in tutto ciò
non le aveva neppure parlato del pappagallo.
Non
che al momento gli importasse qualcosa:
era in condizioni tali che, nell’uscire, non si era neppure
accorto che Billy
era rimasto nei pressi a origliare.
“Povero
Optimus” pensò il ragazzino “Non
avrebbe meritato una predica così pesante, stavo quasi
iniziando a sentirmi in
colpa anche io per essere presente qui sulla Terra!”
«AG
FUCK THÙ, EEJIT!»
«TORNA QUI BRUTTO PENNUTO CHE NON SEI ALTRO!»
Gli
strilli di Alexis e di Dagon lo riscossero
al punto che riuscì perfino a evitare che il pappagallo
finisse in rotta di
collisione con la sua testa, finendo invece a posarsi sulla spalla di
Rain,
appena uscita.
«Cosa
sarebbe?» sbuffò la donna, togliendo il
foglio dalle zampe di Dagon.
Alexis
impietrì.
Billy
fece saettare lo sguardo da lei a sua
cugina, poi al foglio. Non sapeva cosa ci fosse scritto sopra ma
sicuramente
era qualcosa che Alexis non avrebbe mai voluto veder finire nelle mani
di Rain.
Dopo
una breve lettura, Rain agitò leggermente
il foglio. «Vuoi riattaccare la pagina al tuo diario o posso
usarla come parte
della lettiera di Dagon?»
«Io…io,
n-non…» balbettò Alexis, col viso
rosso come la maglietta a causa della vergogna per la pessima figura
fatta,
prima di correre via senza dire nient’altro.
«Direi
di poterla usare come parte della
lettiera» concluse Rain.
«Ma
che c’è scritto su quel foglio?» si
informò Billy.
Rain
fece spallucce. «Ingenuità mescolata a un
po’di invidia, nulla per cui valga la pena dire
alcunché. Avrà di meglio da
scrivere quando scoprirà di non poter più andare
a rischiare l’osso del collo
in giro con queste sottospecie di lavastoviglie che si sono montate la
testa.
Ho fatto bene a chiedere a Prime tutti quei dettagli sulla guerra, la
politica
eccetera. Più conosci il nemico, meglio puoi stroncarlo.
È un’altra delle cose
che dovrai imparare».
La
risposta di Billy fu una risatina nervosa.
[…]
«Red
Alert…»
«Dimmi,
Optimus».
«Tu
pensi che io sia una brava persona?»
Il
tecnico si voltò lentamente verso il
proprio leader. «In che senso?»
«In
generale. Pensi che io sia una brava
persona? Pensi che radunare i Minicon, sperare di sconfiggere Megatron
e
convincerlo che sarebbe meglio vivere in pace -risultato a cui finora
non siamo
mai arrivati- invece di cercare di ucciderlo e basta mi renda
responsabile
almeno quanto lui di tutte le morti che ci sono state finora?»
«Se
mi è permesso dire la mia, io penso che tu
ultimamente abbia iniziato a prendere un po’troppe di queste
medicine» disse
Red Alert, indicando i calmanti «Nessuno di noi dubita della
tua rettitudine,
Optimus, ci mancherebbe altro. Perché pensi certe cose?...
non dirmi che tutto
questo è colpa di Rain O’Connell».
«Potrei
dire che è così» ammise Optimus
«Abbiamo
avuto una conversazione abbastanza pesante. Rispondere a tutte le
domande che
mi ha fatto riguardo Cybertron e la guerra mi si è ritorto
contro».
«Non
c’è ragione di ascoltarla. Detesta noi e
tutto quel che ci riguarda, lo farebbe anche se fossimo venuti qui solo
in
vacanza. Alexis su questo aveva ragione» sospirò
Red Alert «Ricordi ancora la
sua “contentezza” quando è arrivato
Smokescreen, immagino. Lo ha guardato come
si guarda una pozza di energon esausto. In ogni caso, se ci odia tanto
potrebbe
anche andarsene».
«No»
disse Optimus «Se le facessi lasciare la
base e poi Megatron la uccidesse, il discorso della mia
responsabilità riguardo
certe morti diventerebbe vero. Per non parlare del fatto che verrebbe
coinvolto
anche Billy, che non ci odia per nulla. Quello è un bravo
ragazzino, come il
resto dei nostri amici. A proposito... temo che quella di oggi per loro
sia
stata l’ultima missione sul campo».
«Di
nuovo “colpa” di Rain?»
Optimus
sospirò, con aria estremamente stanca.
«Mi ha fatto notare che hanno rischiato di morire molte
volte. D’ora in poi
resteranno alla base. Forse è meglio
così».
«Saranno
piuttosto delusi».
«Grazie
a Laserbeak potranno rendersi utili
anche da qui. Cercherò di sottolinearlo quando glielo
comunicherò».
«Capisco.
Però Optimus, davvero, non lasciare
che ti faccia venire dei dubbi. È Megatron quello malvagio,
non tu».
«Grazie,
Red Alert».
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Capitolo 8 *** Pioggia velenosa (parte 1) ***
8
PIOGGIA
VELENOSA (PARTE 1)
«Dovremmo
cambiare strategia, e non
solo perché vorrei ridurre le volte in cui vengo a farti
visita, Red Alert».
«Cambiare
strategia riguardo cosa,
Optimus?» domandò Smokescreen.
«Rain.
Al momento, nonostante la protezione
che le offriamo, non ci stima. Per usare un eufemismo»
sospirò Optimus «Di
norma credo che mi rassegnerei semplicemente all’idea che non
ci consideri
neanche esseri viventi, perché un singolo essere umano e la
sua opinione non
possono intralciare la nostra missione. Tuttavia i ragazzi, o meglio
Alexis, mi
hanno riferito alcune cose che mi hanno dato da pensare riguardo certi
suoi,
come dire, “canali di comunicazione facilitati” con
alcune autorità terrestri.
Noi non sappiamo con precisione quanto siano avanzati davvero gli
umani in fatto di armi ma, soprattutto, siamo solo in
quattro.
L’ultima cosa che desidero è che noi e gli umani
iniziamo a intralciarci gli
uni con gli altri».
«Quindi
cosa suggerisci di fare? Io non
vedo molte possibilità di farle cambiare idea»
disse Hot Shot.
«Riguardo
questo discorso, Rad mi ha dato
un suggerimento che forse potrebbe essere utile: cercare di
“umanizzarci” più
possibile ai suoi occhi, in senso metaforico. Secondo lui aiuterebbe.
Ha detto
che questa strategia l’ha vista in quella scatola…
la televisione. Su un
programma che si chiama “Criminal Minds”».
«Ormai
è qui da un po’di tempo, le abbiamo
già parlato della nostra fazione, della nostra razza e di
Cybertron, se non ha
voluto capire prima non capirà nemmeno adesso. Sono un
po’scettico» ammise Red
Alert.
«Infatti
secondo Rad dovremmo parlare di
cose più personali» disse Optimus «E ho
anche un’idea di chi potrebbe fare un
tentativo. Tu che sei il più giovane di noi, Hot
Shot…»
«M-ma
perché, signore?! Io non sono un gran
conversatore, se dovesse sfociare in una discussione non
saprei… sì insomma,
con tutto il rispetto possibile, non sarebbe meglio che lo facesse
qualcuno più
qualificato?»
Optimus
guardò Red Alert, il quale gli
porse un cubetto di energon calmante. «Temo che in questo
caso le qualifiche
non contino. Sei anche il solo di noi che non sia stato insultato dal
suo
pappagallo quindi tu, per il bene della squadra, tenterai di conversare
con
Rain O’Connell e far migliorare, anche solo di poco, la sua
opinione. Desidero
che tu lo faccia il più presto possibile, appena ne avrai
occasione».
«Oh,
ragazzi…» sospirò Hot Shot, rassegnato
e
diretto verso l’ala di addestramento. Optimus aveva detto
“appena ne avrai
occasione”, quella era un’occasione.
Era
piuttosto sicuro di trovarla lì perché, se
riuscivano a convincere i ragazzini ad andare a letto prima delle dieci
di
sera, non era possibile fare altrettanto con una donna adulta; infatti,
pur
essendo passata da un pezzo la mezzanotte, Rain non era a dormire con
Billy.
A
dirla tutta era già tanto che ora si fidasse
a lasciare suo cugino da solo nella loro stanza, perché
inizialmente non
succedeva, ed era meglio non pensare alla volta in cui, verso le due
del
mattino, Optimus aveva dato una sbirciata!
Era
successo la seconda notte degli O’Connell
nella base: lui lo aveva fatto con la massima innocenza, solo per
verificare
che andasse tutto bene -lo faceva già da quando
c’erano solo Rad, Carlos e
Alexis- ma Rain, che non si era addormentata, gli aveva puntato il
bazooka in
faccia al grido di “Lo sapevo! Aspettavate solo il momento
buono, vero?!”.
Hot
Shot ricordò che Optimus in quel frangente
aveva dato la colpa di tale reazione allo shock per essersi trovata
rapita e
poi in pericolo di vita. Forse era così per davvero,
perché adesso Rain durante
la notte dormiva, però ormai erano tutti piuttosto sicuri
che perlopiù avesse
voglia di farli saltare in aria e basta.
Passando
davanti alla sala principale, Hot
Shot interruppe il proprio cammino. C’era luce lì
dentro, ma gli risultava che
a quell’ora non dovesse esserci nessuno…
«Non
ci credo, non ci credo oddio SÌ. ODDIO
SÌ! Tra poco non saranno più
in giro a infestare!»
Era
Rain e, incredibilmente, sembrava molto
felice… il che non prometteva proprio nulla di buono, ragion
per cui il giovane
Autorobot fu svelto a entrare per poter fermare qualsiasi processo
avesse messo
in moto.
«Cosa
stai-»
Si
interruppe bruscamente quando vide sul
monitor principale l’immagine di una delle candele in giara
di Rain. Faceva
parte di un articolo il cui titolo diceva “Yankee Candle
smette di produrre Icy
Blue Spruce”.
«Smettono
finalmente di produrre quella roba!
E oltre a questo intendono riprendere la produzione di
“Tobacco Flower”! Che
bella cosa» sentenziò, sfregandosi le mani, e si
voltò verso Hot Shot «A te
come va?»
Basito
dal fatto che lei gli avesse rivolto la
parola normalmente, Hot Shot rimase in silenzio per qualche secondo.
«Aah…
bene» disse poi «Quindi il fatto che smettano di
produrre quella cosa lì è una
notizia molto buona?»
«Tra
le migliori che abbia ricevuto in questi
giorni. Non ho mai capito cosa trovasse la gente in quel miscuglio di
odori
senza costrutto buono solo per essere usato contro gli
insetti» disse Rain,
andando a chiudere la scheda dell’articolo «Non sto
scherzando, quando la
sentono svengono o fuggono via».
«Dev’essere
terribile» la assecondò il
cybertroniano.
«Lo
è. Peccato che funzioni solo contro gli
insetti terrestri» disse la donna e, con disinvoltura,
rimosse una chiavetta
usb dal pc della base «In caso contrario avrebbe avuto
un’utilità maggiore. Non
avete ancora di dove si nasconda quel pezzo di merda frullatore
bastardo?»
«No,
non abbiamo ancora idea di dove si trovi
la base di Megatron. Magari l’avessimo…»
sospirò Hot Shot «Andrei subito a
distruggerla una volta per tutte, i Decepticon insieme a essa, e a
salvare
tutti i Minicon».
Rain
sollevò un sopracciglio. «Distruggerli,
mh? Non sconfiggerli, imprigionarli e tentare di farli
ragionare?»
«Forse
sarebbe stato meglio ma sinceramente
non credo che Megatron possa essere fatto ragionare, quindi purtroppo
immagino
che non ci sia molta scelta se non distruggerli, o comunque distruggere
almeno
lui. Sai, Rain…» “Devo tentare di
parlarci ora che è di buonumore per la
candela!” pensò «Se devo essere onesto
non pensavo che potessi avere un
approccio così clemente verso di loro».
«Infatti
non è il mio» disse lei «E se fossi
in te eviterei di parlare a Optimus Prime del tuo, di approccio. La
conversazione che abbiamo avuto appena ieri mi suggerisce che abbiate
idee
molto diverse e che forse al comando ci sia la persona
sbagliata».
«Optimus
Prime è un grande comandante!»
ribatté Hot Shot «Combatte per la
libertà e la giustizia su Cybertron e in
tutta la galassia, e non c’è nessuno che meriti la
posizione di leader più di
quanto la meriti lui!»
«La
sua aura da messia ha effetti notevoli su
voi macchine, non lo metto in dubbio. Mi chiedo se emani una qualche
frequenza
particolare che-»
«Se
noi seguiamo Optimus Prime non è per le
frequenze!» la interruppe l’Autorobot, esasperato
«Lo facciamo perché lo
riteniamo una persona capace, perché condividiamo i suoi
ideali e perché non
vogliamo che i Decepticon vincano. Siamo fatti per buona parte di
metallo ma
anche noi viviamo, anche noi pensiamo, amiamo, odiamo e soffriamo, e
quel
mostro di Megatron ha dato inizio a una guerra che ha devastato buona
parte del
nostro pianeta, della nostra casa. Tu vorresti che noi tornassimo
lì, giusto?
Bene, io per primo vorrei tornarci!» sputò fuori
Hot Shot, infervorato quanto
totalmente onesto «Sono affezionato alla Terra e ai ragazzi,
ma mi manca il mio
pianeta e vorrei solo vivere lì in santa pace! Tutti lo
vorremmo! Solo che non
possiamo farlo perché per colpa di un pazzo assetato di
potere ci siamo trovati
-e ci troviamo- a combattere qui e là per il cosmo, e
sarà così fino a quando
vivrà!»
«E
io non solo ti capisco, ma concordo
perfino» disse Rain, sorprendendosi per aver dato ragione a
un alieno. Però
ehi, aveva detto cose ragionevoli e poi… niente
più Icy Blue Spruce! Come
poter trovare la voglia di rispondere male? Impossibile.
«Lo
so che tu non- eh?... hai detto che
concordi?» allibì Hot Shot.
Lei
annuì. «Hai detto che Megaschifomadò va
distrutto e che vorresti tornare a casa tua e restarci, ovvio che
concordo!
Peccato che tu sia solo un soldato e che quindi quel che pensi non
conti
affatto. Tu e gli altri dovreste convincere Prime a finire il
lavoro» disse,
dirigendosi verso l’uscita della stanza «Avreste
potuto concludere il tutto
uccidendo il cornuto il giorno che mi hanno rapita, eravate in
vantaggio,
invece Prime ha lasciato che si ritirasse sia quella volta, sia in
altre
occasioni durante questi giorni. Ogni ritirata che gli permettete
significa
altro tempo perso e altre… vite…
di Autorobot perse. La tregua è
finita anche su Cybertron, giusto? Pensa a questo, la prossima volta
che vedi
il cornuto, e cerca di fare quel che il tuo comandante non ha voglia di
fare!
Buonanotte, Hot Shot».
Il
giovane cybertroniano riuscì a rispondere
solo un debole “…’notte!” nel
guardarla andarsene via.
Lui
e Rain non avevano discusso e non lo aveva
insultato, però si sentiva confuso come ad aver ricevuto una
botta in testa
dopo aver esagerato un po’con l’energon extra forte.
Rimase
lì in quello stato per mezz’ora buona,
trasalendo quando qualcuno pose una mano sulla sua spalla sinistra.
«Cosa,
chi-»
«Tutto
bene, Hot Shot?» gli domandò Optimus
Prime «Come mai qui a quest’ora?»
«Perché,
che ore sono?»
«Le
una e dieci del mattino. Hai un’aria
strana» osservò il comandante
«Cos’è successo?»
L’Autorobot
non rispose, se non con
un’occhiata confusa.
«Hot
Shot?...»
«Optimus…
c’è qualcosa che se mi è concesso ti
vorrei chiedere» esitò «Tu, di preciso,
cosa vuoi fare con Megatron? Nel senso…
non lo vedo molto incline ad accettare di vivere in pace un giorno, per
cui…
insomma, noi siamo qui per recuperare i Minicon, ma distruggerlo appena
possiamo non sarebbe una buona cosa per tutti?»
Optimus
rimase a fissarlo per qualche secondo,
poi giunse l’illuminazione. «Avrei dovuto
riconoscere i sintomi. Prova ad
andare a ricaricarti e, se così non passa, tra qualche ora
potrai sempre andare
da Red Alert. Basta che tu gli dica con chi hai parlato e ti
darà il calmante
che dà a me. Ho sbagliato a sperare che Rain ti maltrattasse
un po’meno
rispetto al sottoscritto».
«A
dir la verità non è che mi abbia
maltrattato, era anche di buonumore… a un certo punto si
è perfino riferita a
noi come “vivi”… però
sì, immagino che farò come hai detto tu,
perché mi sento
abbastanza confuso».
«Penso
sia la miglior cosa, Hot Shot. Se sei
riuscito a farle ammettere che siamo esseri viventi, puoi considerare
riuscita
la tua missione. Per quanto concerne il resto, però, non dar
retta a nulla di
quel che dice, perché ci sono cose che sono troppo al di
là di quel che la sua
mentalità può concepire. Non del tutto per colpa
sua: è solo un essere umano e
non è in circolazione da milioni di anni».
Hot
Shot annuì e, decisissimo ad andare in
ricarica e restarci fino all’ultimo secondo disponibile,
lasciò Optimus Prime
da solo.
Immaginando
quel che Rain doveva aver detto a
Hot Shot -certo un discorso analogo a quel che aveva fatto a lui- fu
costretto
nuovamente a soffocare sul nascere alcuni pensieri poco nobili. Aveva
capito di
non piacerle e poteva conviverci, non gli importava, a patto
però che questo
non portasse problemi con gli altri esseri umani o con la squadra.
“Come
può una creatura così piccola essere
anche così velenosa?”
Ma
soprattutto… perché suddetta creatura
velenosa era, a dir di Hot Shot, di buonumore?
E
cosa stava facendo lì, in quella sala
-avendo trovato Hot Shot fermo sul posto tendeva a presumere che lui e
Rain
avessero parlato lì- prima che il suo soldato la
interrompesse?
Quello
era il computer principale della base,
lì dentro c’era di tutto e di più, Fino
a quel momento non avevano avuto
problemi nel lasciarlo usare ai ragazzini, anzi, avevano anche
insegnato loro a
farlo per bene, ma forse permetterlo anche a lei era stato uno sbaglio.
Repentino,
si mise al computer per dare
un’occhiata a quel che c’era nel registro
attività delle ultime ore,
concentrandosi soprattutto su eventuali comunicazioni in entrata o in
uscita.
Di quelle non trovò traccia, c’erano soltanto siti
che riguardavano candele in
giara, automobili e cibo per pappagalli. Quando vide un download vi si
fiondò
subito, salvo scoprire che era un’immagine in anteprima di
un’automobile con
colori personalizzati.
“Nulla
di strano” pensò.
Ma
allora, continuò a domandarsi, perché Hot
Shot l’aveva trovata di buonumore?!
“Però
per comunicare con chicchessia avrebbe
potuto usare uno dei suoi dispositivi privati. Potrebbe aver concordato
qualunque cosa con chiunque”.
Perfino
con i Decepticon.
Ah,
ma no. Cos’andava a pensare? Se Rain li
detestava tutti a prescindere in quanto alieni, ai Decepticon e in
particolar
modo a Megatron riservava un disprezzo di tutt’altro livello.
Se avesse dovuto
scegliere tra allearsi con loro e macchiarsi i vestiti da sola, secondo
lui
avrebbe scelto la seconda opzione -il che era tutto dire, per quel che
sapeva
di lei.
“O
forse è quel che vuole farci credere per
poterci distruggere meglio. Forse ha trovato il modo di allearsi con
Megatron
quando i Decepticon l’hanno rapita, forse sono alleati da
ancora prima, forse
sta solo fingendo di essere un’umana e in realtà
è una Decepticon sotto mentite
spoglie, forse… dovrei andare in ricarica e basta,
perché non è possibile che
dopo milioni di anni a capo di mezzo pianeta mi riduca così
per colpa di un
essere umano poco amabile” concluse, spegnendo i computer e
decidendosi ad
andare a godersi un meritato riposo.
@@@
«Quindi
quel nuovo Minicon non si è ancora
svegliato?» domandò Carlos.
Rad
rispose con un cenno di diniego. «Né lui
né l’altro. Se intendi proporre di nuovo di
svegliarlo con un secchio di acqua
gelata, ti consiglio di non farti sentire da Alexis».
«Oddio,
no. Poi potrebbe venirle davvero
l’idea di svegliarmi in quel modo!»
esclamò Carlos, un po’spaventato.
«E
forse non sarebbe una brutta idea dal
momento che non ti sei ancora deciso a lasciare in pace quei due poveri
Minicon» disse Alexis, arrivata appena in tempo per sentire
quella parte del
discorso, facendo strillare Carlos «Invece di perdere tempo
qui, perché non vi
mettete a pulire un po’? Questo posto appartiene agli
Autorobot, non è la
vostra rimessa!»
«E
tu perché non metti in ordine?»
protestò
Carlos «Perché solo noi dobbiamo farlo?»
«Perché
le mie cose sono già perfettamente a
posto! Magari non in ordine di colore in una scala che va dal
più caldo al più
freddo come fa qualcuno, però
sono a posto».
«Uff,
ancora…» bofonchiò Rad, alzando gli
occhi al cielo.
«Hai
qualcosa da dire, Rad?!»
«In
effetti sì» ebbe l’ardire di rispondere
il
ragazzino «Non sarebbe ora che la smettessi di lanciare
frecciate su quello che
fa o non fa la cugina di Billy? Non ti darà mai
considerazione in ogni caso,
sei una minorenne non imparentata con lei» perfino Rad, per
bocca di Fred,
ormai aveva imparato «Quindi perché continui a
fissarti?»
«Io
non sono “fissata”! Capito?!»
sbottò
Alexis, arrabbiatissima «E della considerazione di quella
lì non mi importa
niente! Io la tengo d’occhio perché è
un nemico quasi quanto i Decepticon, non
per altro, se poi voi preferite passarci sopra solo perché
siete maschi non
sono io che sto sbagliando!»
«Che
vuol dire “solo perché siamo maschi”?!
Il
fatto che siamo maschi non vuol dire che siamo stupidi!»
dichiarò Carlos.
«No,
vuol dire solo che siete preda degli
ormoni, altrimenti non usereste i sottobicchieri come invece avete
iniziato a
fare tutte le volte che mangiate e bevete mentre
c’è lei, soprattutto tu,
Carlos!» aggiunse, e puntò l’indice
contro il petto del coetaneo «Ma tanto non
darà mai considerazione nemmeno a te!»
«Rad
ha ragione, sei veramente fissata con
lei! Di’, non è che in realtà quella
che è preda degli ormoni sei tu, amiga?!»
Alexis,
sentendo quella che riteneva totale
assurdità, rimase per un attimo a bocca aperta, salvo
mettersi a gridare subito
dopo. «MA CHE TI SALTA IN TESTA?! Ma
sei idiota?! Non mi piacciono
le ragazze e in ogni caso non mi piace lei! Ha
una personalità
e un atteggiamento terribili!»
Carlos
fece per risponderle, tuttavia si interruppe
sentendo una voce femminile in lontananza intonare una canzone in una
lingua
incomprensibile ma vagamente familiare, come se l’avesse
già sentita
utilizzare. Guardò gli altri, che avevano entrambi con
l’espressione perplessa
che aveva lui stesso sul viso. «Ma che succede in
corridoio?»
Rad
fece spallucce. «Andiamo a vedere, no?»
Alexis
non disse nulla, limitandosi a
seguirli.
Quando
uscirono in corridoio però il canto era
già finito, sostituito da una conversazione.
«…lo
so che forse non gradisci, però quando
prima sono andato a fare la spesa per tutti ho visto i
croissant
integrali con il miele e li ho presi, avevo dei soldi da parte,
l’ho fatto
perché so che stare qui non ti piace molto e che invece
questi ti piacciono
dato che li hai mangiati a colazione la volta in cui ho dormito a casa
tua e di
Billy e quindi ecco» concluse
Fred, riprendendo finalmente fiato
mentre porgeva a Rain un piccolo vassoio con sopra due croissant.
«Sì…
oggi è proprio una buona giornata» disse
la donna, prendendo il vassoio «Grazie, Frederick,
è stato un gesto molto
carino da parte tua. Però non posso lasciare che un
minorenne mi offra del
cibo, quindi» tirò fuori da una tasca dei jeans
una banconota da venti dollari
e la mise nel taschino della giacca di Fred «Ecco fatto. E,
se ti interessa
saperlo, Billy dovrebbe uscire dalla doccia a breve».
«Ah…
eh… sì… grazie. Ehm, oggi ti vedo
contenta» provò a dire Fred, incredulo
già solo per il fatto che lei avesse
accettato i croissant e stesse sorridendo, oltre che per i venti
dollari
-decisamente troppi- con cui l’aveva ripagato e per il fatto
che fino a poco
prima si aggirasse per la base cantarellando.
«Ho
i miei buoni motivi, te lo assicuro.
Buongiorno anche a voi!» esclamò Rain, notando la
presenza degli altri
ragazzini ma non i loro occhi sbarrati.
«’giorno»
rispose Rad, debolmente.
Il
solo pensiero che lui e gli altri avevano
in testa però era “Perché è
gentile?! Cosa sta succedendo?!”
«Ragazzi,
qui c’è qualcosa che non va»
mormorò
Alexis «Non mi piace, non mi piace
proprio…»
«Forse
per una volta si è svegliata bene e
basta» disse Carlos, poco convinto.
Pochi
momenti dopo, lo divenne ancor meno.
«Buongiorno,
ragazzi» li salutò Optimus, come
d’abitudine, quando svoltò l’angolo.
«Buongiorno,
Optimus!»
Un
silenzio tombale calò in tutto l’ambiente
quando Optimus Prime realizzò che era stata Rain a dargli il
buongiorno,
chiamandolo addirittura “Optimus” e non
“Prime”, né “Optimus
Prime”, e che
sulle labbra aveva perfino l’ombra di un sorriso; tutte
ragioni per cui il
leader degli Autorobot fece la sola che gli sembrasse sensata in quella
situazione assurda.
«A
tutti gli Autorobot: prendete tutti i
Minicon ed evacuate la base subito!»
ordinò, dando perfino
l’apparenza di essere completamente lucido mentre lo faceva,
e corse via dopo
aver afferrato Rad, Carlos e Alexis.
Nel
caos che si era scatenato all’improvviso,
col rumore di gente intenta a correre che risuonava ovunque assieme
all’allarme, Rain sollevò un sopracciglio.
«Pfff…
alieni» alzò gli occhi al soffitto «Li
tratto come gli invasori che sono e non va bene, faccio loro la grazia
di
salutarli in una giornata di buonumore e non va bene lo stesso, chi li
capisce
è bravo. O beh, pensiamo alle cose serie, ossia festeggiare
perché Icy Blue
Spruce non verrà prodotta mai più!»
Fred
sollevò le sopracciglia. «Quindi è per
la
candela che sei tanto felice?»
«Esatto,
è la ragione principale del mio stato
d’animo» annuì Rain
«L’ho saputo stanotte prima di andare a dormire. Ho
fatto
anche un bellissimo sogno in cui tutte le Icy Blue Spruce esistenti
venivano
appiccicate ai cybertroniani che conosciamo, che poi sono stati sparati
oltre
l’atmosfera terrestre e fatti esplodere. Una
meraviglia».
«Ma
cos’è tutto questo rumore?! Che
succede?!»
domandò Billy, arrivando trafelato e con i capelli ancora
mezzi bagnati.
«Rain
ha spaventato Optimus dandogli il buongiorno»
rispose Fred.
«Non
so se sia più assurdo lo spavento o il
“buongiorno”, nonostante sappia della
candela» commentò Billy, per poi indicare
i croissant «Quelli da dove vengono?... FRED!»
esclamò, appena
giunse l’illuminazione «Cosa ti avevo
detto?!»
«Ma-
ma- ma lei li ha apprezzatiiiiiii!»
tentò di difendersi Fred, costretto a scappare nel tentativo
di evitare la
vendetta di Billy per aver fatto “il carino” con
Rain.
L’allarme
smise di suonare, lasciando la base
nel silenzio.
«Come
possano pretendere di vincere una guerra
se si fanno spaventare da una cosa del genere non lo so
proprio» commentò la
donna.
«A
dirtela tutta è probabile che al posto di
Optimus avrei pensato che stessi per distruggere tutto» disse
Billy «O avessi
preparato un agguato con l’aiuto di chicchessia per farli
portare via e
rinchiudere da qualche parte».
«In
quel caso sarei stata di buonumore ma
avrei immaginato che agendo in quel modo avrei potuto
insospettirlo» ribatté
lei, facendo spallucce «Dunque avrei evitato. Puoi andare ad
apparecchiare per
la colazione e mettere questo in tavola?» disse, e porse il
vassoio a Billy.
«Va
bene» annuì e, preso il vassoio, si
lanciò
dietro a Fred...
.::
Nel frattempo… ::.
«Vedi
movimenti strani, Smokescreen?»
«Nessuno,
Optimus. Attorno alla montagna non
sta succedendo nulla, gli unici movimenti sono quelli degli
animali».
Avevano
utilizzato il vortice deformante per
raggiungere un luogo che fosse sia abbastanza lontano da evitare
problemi, sia
abbastanza vicino da poter tenere tutto sotto controllo, compito che
era stato
assegnato a Smokescreen. Oltre al lungo braccio, questi era anche
dotato di
un’ottima vista da lontano, forse proprio per consentirgli di
usare al meglio
la propria dotazione.
«Qualcuno
può ripetermi perché siamo scappati
via dalla base con tutti i Minicon? Perché io non sono
sicuro di aver capito
bene» disse Hot Shot, molto più che perplesso.
«Siamo
scappati perché quella strega ha
architettato qualcosa contro di voi! Ecco perché!»
esclamò Alexis «Per fortuna
io e Optimus lo abbiamo capito subito e forse scappando siamo riusciti
a
mandare a monte i suoi piani, altrimenti ora sareste morti o sareste
stati
presi e chiusi in un qualche laboratorio, o chissà che altro
di orribile!»
Hot
Shot tuttavia non era il solo a essere un
po’dubbioso riguardo quella faccenda. Sebbene fosse un
fervente lealista e
rispettasse ogni ordine del proprio comandante senza alcuna esitazione,
anche a
Red Alert suonava tutto un po’assurdo. «Non per
contestare la linea d’azione
attuale, Optimus, ma tu e i ragazzi siete proprio sicuri che avesse in
mente
qualcosa?»
«In
questo lasso di tempo ha cercato di
esasperarci, demolire il nostro morale e mettere in testa cose strane a
chi ha
avuto il dubbio piacere di parlare con lei un
po’più a lungo, e oggi era
stranamente gentile, presumo per farci abbassare la guardia»
disse Optimus,
piuttosto convinto «Deve avere per forza in mente qualcosa.
Il fatto che non ci
siano movimenti strani fuori dalla base poi non vuol dire niente,
potrebbe aver
fatto entrare chiunque col vortice deformante. Ci detesta ma ho
l’impressione
che, mentre spiegavamo ai ragazzi come utilizzare la tecnologia della
base,
fosse molto attenta. Il piano d’azione è il
seguente: aspetteremo un altro po’,
poi cercheremo di contattarla per capire cos’ha fatto e cosa
vuole di preciso.
Oltre al nostro annientamento, s’intende».
«Che
fosse molto attenta è un’impressione che
ho avuto anche io, però non credi che sarebbe stato poco
furbo trattarti
diversamente, se voleva davvero farti abbassare la guardia?»
obiettò il tecnico
«Non sarebbe stato meglio comportarsi come fa di
solito?»
«Non
mi è parso che quando i Decepticon
l’hanno rapita abbia dato sfoggio di notevole furbizia. Il
rischio di un
attacco c’era e non volevo assolutamente che qualcuno dei
presenti ci andasse
di mezzo. Forse avremmo dovuto portare via anche Fred e Billy,
rimpiango di non
averlo fatto. Non credo che lascerà far loro del male ma la
sua compagnia è
deleteria per quei due poveri ragazzi…».
.:
Nella base ::.
«Inutile
che fuggi, tanto adesso si va a fare
colazione, quindi ti prenderò a prescindere!»
L’inseguimento
non era destinato a durare a
lungo, già solo perché Fred non aveva ancora
fatto la seconda colazione e per
muoversi aveva costante bisogno di zuccheri -così diceva.
«E
se io non venissi a mangiare?!... nah, chi
voglio prendere in giro» sospirò Fred
«Ehi Billy…»
«Mh?»
«Dici
che dovremmo far sapere agli Autorobot
che sono a posto e che non c’è qualcuno che sta
meditando di ucciderli o di far
saltare tutto in aria?»
«Io
lo farei, però non so come. Non sappiamo
dove siano andati, ad avere Laserbeak è Rad e quando ho
chiesto ad Alexis il
numero di cellulare non me l’ha dato perché deve
aver pensato che volessi
provarci, come se potesse avere senso averglielo chiesto per quello,
dato che
ormai siamo tutti insieme tutti i giorni» sbuffò
Billy, mentre raggiungeva la
tavola assieme all’amico «Passami le stoviglie, per
favore».
Fred
obbedì, prendendo tre piatti, tre
bicchieri e tre sottobicchieri da un mobiletto nelle vicinanze.
«Sì, in effetti
non avrebbe avuto senso. Le ragazze a volte sono un
po’strane».
«Infatti
credo che la lascerò perdere»
disse Billy, tirando fuori da un frigorifero delle bottiglie di succo
di frutta
e del cibo «Anche se mi spiace
abbastanza…»
«A
perderci è lei. Quando avrai la tua laurea
magistrale, presa in una facoltà a tua scelta, verrai
sistemato a dovere e i
soldi non ti mancheranno» disse Rain, avvicinandosi a loro
con passo svelto.
«Devo
ancora finire le medie e già pensi alla
mia laurea magistrale!» gemette Billy «Niente
bazooka? Credevo che fossi andata
a prendere quello».
Lei
gli mostrò il cellulare, ossia quel che
era andata a prendere. «Niente alieni, niente
bazooka… al massimo lo recupererò
una volta finito di mangiare».
«Intanto
che ne dici se facciamo un brindisi
per dare l’addio alla candela cattiva?...» propose
Fred, poco intenzionato a
lasciar perdere l’idea di fare il carino nonostante le
minacce altrui.
«Questa
è una buona idea, Frederick. Però
credo che questa sia la giornata giusta per mettere in chiaro una cosa
una
volta per tutte: al di là del fatto che quattordici anni di
differenza siano
decisamente troppi e lo sarebbero anche se tu fossi maggiorenne e io
più
vecchia, nella mia vita c’è già
qualcuno» rivelò Rain «A un
oceano di
distanza, ma c’è. Dunque ti consiglio di rivolgere
la tua attenzione alle tue
coetanee single, magari evitando le mezze asiatiche».
Fred,
dopo un attimo di silenzio, sospirò. «In
realtà sapevo già di non avere
possibilità, però ogni tanto è bello
sognare.
Soprattutto perché io vivo più vicino!»
«L’importante
è che tu la smetta di fare il
cretino, se no ti faccio diventare la nuca viola a suon di
schiaffi!» lo
minacciò Billy, grato a Rain per il fatto di aver scelto di
gelare i bollenti
spiriti di Fred in un giorno in cui c’era meno rischio di
farlo finire di nuovo
in terapia -stavolta per colpa delle pene d’amore e un
rifiuto troppo rude.
«Ma
perché devi essere così manesco?!»
Alla
faccia della “compagnia deleteria” di cui
parlava Optimus -nonché dei battibecchi e delle lagne che
erano più per scherzo
che per altro- i due ragazzini erano decisamente tranquilli oltre che,
forse,
più affiatati di quanto fossero prima di essere rapiti e
venire a contatto con
gli alieni.
Rain
non era cieca, si era accorta
dell’evoluzione che c’era stata e che ora suo
cugino tendeva a essere un
po’meno “capetto” verso Fred, che a sua
volta era un po’meno “gregario”. Nulla
di male a parer suo, anzi, a dirla tutta cominciava quasi a pensare che
separare Billy da quel suo amico -lei, alla fine di quella follia, era
sempre
dell’idea di andare in Irlanda- potesse essere un vero
peccato.
Di
sicuro era sempre per colpa dell’entusiasmo
da addio alla candela ma mentre finiva il primo croissant per poi dare
l’assalto al secondo pensò che, se nel frattempo
non avesse cambiato idea,
qualcuno avrebbe potuto far piovere dal cielo un’eccezionale
offerta di lavoro
in Irlanda per il padre di Fred, il quale al momento lavorava al centro
di
ricerca spaziale di Lincoln. Per un valido ricercatore c’era
sempre posto in
ogni parte del mondo.
“Yeah,
yeah, yeah
Uh,
Yeah don't get it twisted
This
rap shit, is mine
Motherfucker,
it's not, a fucking, game
Fuck
what you heard
It's
what you hearin!...”
«Chi
è che chiama?» domandò Billy a Rain,
pur
senza avere particolare interesse.
Rain,
dopo aver dato un’occhiata allo schermo
e aver sentito il suo buonumore salutarla caramente, decise di
prendersi
qualche secondo di tempo per evitare di rispondere con qualche
bestemmia. Non
perché la domanda l’avesse infastidita o per una
chiamata sgradita, ma proprio
perché non c’era nessuno che le stesse telefonando.
Il
suo cellulare era impazzito. L’ultima e
unica volta che l’aveva fatto era stato poco più
di due settimane prima, quando
i Decepticon erano nelle vicinanze, dunque che il fenomeno si stesse
replicando
in quel momento poteva significare una cosa soltanto.
“Va’
a vedere che il buon Optimus sapeva
dell’attacco imminente e ci ha mollati qui, fingendo di
essersi allarmato per
il mio saluto, per liberarsi di noi in modo indiretto”
pensò Rain “Avrei capito
se avesse voluto togliere di mezzo me ma Billy e Fred sono
piccoli eejit come
gli altri tre. E lui dovrebbe essere quello bravo e buono? Come
facciano i suoi
sottoposti a essere così ciechi è un
mistero”.
“It's
what you hearin (Listen)
It's
what you hearin (Listen)
It's
what you hearin (Listen)!...”
«Rain…
n-non è che il tuo cellulare è
impazzito di nuovo, vero?» balbettò Billy
«Come due settimane fa con i
Decepticon?»
«Aspetta,
che vuoi dire?!» si allarmò Fred
«C’è Megatonno in giro?»
Nessuno
corresse Fred, il quale comunque non
aveva sbagliato nome di proposito.
L’allarme
della base tornò a suonare.
«Inutili
stramaledettissimi accrocchi pseudo
viventi di badili per spalare il letame» disse Rain, con
disprezzo assoluto
percepibile in ogni sillaba «Sono il fallimento
dell’evoluzione, la putredine
più abietta e inutile e assoluta, la feccia della galassia,
valgono meno delle
mosche e li ammazzerei tutti».
«Ma
allora c’è veramente in giro Megatonno!»
strillò Fred.
«Si
chiama Megatron, scemo!» esclamò Billy
«Rain, che facciamo?! Non possiamo nemmeno contattare gli
Autorobot-»
«I
quali probabilmente penserebbero a una
trappola in ogni caso» lo interruppe Rain «E il mio
cellulare è fuori servizio,
quindi inutile. La sala di controllo è qui di fianco e non
sento rumori di
passi, quindi andremo lì, guarderemo
dov’è o dove sono e vedremo cosa fare. Se
fossero lontani dal vortice deformante e/o dall’uscita della
base potremmo
andarcene, anche se… non vedo Dagon al
momento…» mormorò, dispiaciuta
all’idea
di perdere il cacatua ma conscia di dover pensare più che
altro a sé e Billy
«Ma è libero, la base è grande,
può essere che se la cavi».
Avrebbe
preferito di gran lunga sparare col
bazooka agli intrusi, però immaginava che con quello avrebbe
potuto colpirne
uno, forse due se riusciva a ricaricare in tempo, prima di rischiare
essere
schiacciata da uno degli altri.
Avrebbe
potuto tentare di farlo lo stesso,
però c’era Billy da mettere al sicuro, quello
veniva prima di tutto, anche del
suo odio verso quegli alieni.
«Se
invece fossero vicini all’uscita o al
vortice, dovremo cercare di attaccarli col sistema di sicurezza di
questo
postaccio» continuò «Sul quale
però non faccio troppo affidamento visto che a
quanto pare non è in grado nemmeno di bloccare teletrasporti
imprevisti!»
«Io
e Fred siamo stati abbastanza attenti
quando gli Autorobot ci hanno spiegato come funzionano le
cose» disse Billy
«Potremmo provarci. Andiamo nella sala di
controllo!»
Tutti
e tre si alzarono di scatto e corsero
via, pronti ad affrontare i guai -o almeno a provarci…
ignari che, nel
frattempo, il cellulare di Rain non fosse stato il solo oggetto
elettronico
terrestre presente nella base a “impazzire”.
La
porta della stanza degli O’Connell scorse
di lato, lasciando passare un gruppo di ben quaranta esseri pelosi di
piccola
stazza impegnati in un chiacchiericcio nonsense.
«Tutu-ttu-tu!
Tutu-ttu-tu! Buongiorno!»
«Buongiorno!»
«Me!
Affamato!»
«Affamato!»
«Me!
Mangiare!»
«Faccia!»
«Grande!
Divertimento!»
«Mostro!»
«Finito!»
«Uiiiii!
Che scherzo! Ancoraaaa!»
O
solo apparentemente nonsense e, in realtà,
molto minaccioso.
Chiunque
avesse mai pensato che i Furby
fossero creature demoniache e non giocattoli per bambini, sentendo
tutto ciò e
guardandoli marciare verso l’ignoto -o forse verso i
Decepticon?- si sarebbe
senz’altro convinto di avere ragione…
Se
ve lo state chiedendo, sì, sono parole
prese dal vero dizionario dei Furby. Le ho messe in italiano e non in
furbish,
ma non cambia il significato xD
|
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Capitolo 9 *** Pioggia velenosa (parte 2) ***
9
PIOGGIA
VELENOSA (PARTE 2)
«Avevate
detto di
aver captato i loro segnali in questo posto, come sarebbe a dire che
“Non ci
sono più”?!... sapevo che non dovevo affidare
questo lavoro a un buono a nulla
come te, Cyclonus!»
I
Decepticon, guidati dal Minicon Sonar e
grazie alla triangolazione finale effettuata da Cyclonus, erano
riusciti a
trovare la base degli Autorobot e avevano usato il vortice deformante
per
teletrasportarvisi dentro, precisamente in un lungo corridoio privo di
qualunque stanza ai lati.
Il
loro intento era di far sì che Sonar si
riunisse ai suoi due “fratelli”, così da
dar vita a un’arma potentissima
chiamata Spada Stellare che, Megatron ne era convinto, una volta nelle
sue mani
lo avrebbe portato a stravincere senza che gli Autorobot avessero
possibilità
di scampo.
Peccato
solo che quella base non ci fosse
alcun segno della presenza degli Autorobot e tantomeno dei Minicon:
Sonar,
confuso quanto loro, diceva che non erano più lì.
«Ma
la base l’ho trovata! Ci siamo dentro!»
protestò l’elicottero.
«Cosa
ce ne facciamo della base se non ci sono
dentro i Minicon che cerchiamo e non c’è neppure
Optimus Prime da distruggere?!
Idiota!» inveì Megatron «Sono sicuro che
sia colpa tua, ti hanno avvistato
sopra la loro base e se ne sono andati!»
«Un
comportamento del genere mi sembra un
po’strano» disse Starscream «Questa
è la loro base, non sarebbe stato più
sensato restare qui a difenderla?»
«Lo
sarebbe stato, sì» ammise il comandante
«Ma va’ a sapere cosa passa per la testa di quegli
stupidi Autorobot».
«Quindi
ora che facciamo? Andiamo a cercarli?»
domandò Demolisher.
«Ma
già che siamo qui approfittiamone per
distruggere tutto, no?! Ye-eeeeh!» esclamò
Cyclonus, mettendosi a sparare
all’impazzata contro il soffitto.
«Falla
finita, potrebbe essere tutta una
trappola!» sbottò Starscream, guardandosi attorno.
«Uuuh,
quanto la fai lunga» sbuffò il mech
«Abbiamo capito che sei il noioso del gruppo, non
c’è bisogno di fare di tutto
per ricordarlo!»
«Siete
degli ufficiali Decepticon o dei
bambini? Fatela finita entrambi!» intimò loro
Megatron «Perché sono destinato a
essere circondato di incapaci o di gente a cui non hanno montato il
cervello?!»
– Perché
ogni capo ha i sottoposti che
si merita, pezzente imbecille cornuto… un momento… –
–
Fred! IDIOTA! Togli i gomiti da
quel pulsante! –
– SCUSATEEEEEE! –
Dopo
ciò calò il silenzio, e i tre ufficiali
Decepticon evitarono accuratamente di guardare Megatron. La sorpresa di
essere
spiati attraverso il sistema di sorveglianza della base era stata
rapidamente
accantonata.
«Benissimo»
disse il leader dei Decepticon
«Dopotutto sembra che essere venuto qui possa essere utile a
qualcosa. Sebbene
Prime e i Minicon restino le mie priorità, dare una lezione
definitiva a certi
stupidi umani con la lingua troppo lunga è nella mia lista
di cose da fare. Non
ho dimenticato quel che è successo due settimane fa,
soprattutto il fatto che
il mio Minicon è stato quasi ucciso».
– Dato
che parli di lezione
definitiva credo di non peggiorare la mia situazione se dico di essere
molto
dispiaciuta. Per il “quasi”. –
Comunicazione
troncata.
«Non
sarà una morte veloce» concluse Megatron.
«…ed
ecco. Mi vuole morta in ogni caso, se non
altro mi sono tolta un sassolino dalla scarpa» disse Rain,
dopo aver troncato
la comunicazione.
Lei,
Billy e Fred erano al centro di comando.
Dopo aver localizzato i Decepticon all’interno della base e
aver visto che
purtroppo erano vicini sia al vortice deformante, sia
all’unica uscita
-“Quanto gobshite si
deve essere per non averne fatta una
d’emergenza?!”- stavano cercando di attivare il
sistema di difesa.
«Eppure
ho fatto tutto giusto!» esclamò Billy,
pestando furiosamente sui tasti «Ho
controllato…»
Peccato
che non stessero avendo molto
successo, perché le funzioni di sistema stavano venendo
bloccate man mano
dall’esterno. Secondo Rain potevano essere solo due le
ragioni: la prima era
che gli Autorobot stessero tentando di proteggere le informazioni
contenute
nella base, la seconda era che volessero semplicemente facilitare il
lavoro ai
Decepticon, e una cosa non escludeva necessariamente l’altra.
Secondo lei, nel
dare l’ordine di bloccare i sistemi, Prime aveva sicuramente
usato la prima
opzione come scusa.
«”Impossibile
attivare vortice deformante”,
assurdo!» strillò Fred, notando
l’ennesima funzione bloccata.
Erano
chiusi in una base di cui non potevano
usare i sistemi di difesa né, ormai, quelli di
comunicazione, il cellulare di
Rain era impazzito come l’altra volta e quelli di Billy e
Fred non avevano
numeri utili: una meraviglia. La sola cosa decente consisteva nel fatto
che
Rain fosse riuscita a correre in camera sua per prendere la Glock da
mettere
alla cintura, sebbene fosse inutile, il beneamato bazooka e un paio di
munizioni.
«Meno
assurdo di quanto tu pensi. Credo
che qualcuno, dopo averci mollati
qui da soli, non
voglia che ci difendiamo» disse Rain «La buona
notizia è che la base è grande e
abbiamo tempo di pensare a dove nasconderci, quella cattiva
è che difficilmente
riceveremo aiuti prima che ci trovino lo stesso. Una volta gli
Autorobot hanno
detto che possiedono dei sensori che avvertono il calore dei nostri
corpi».
«Quindi
è per quello che Hot Shot mi trovava
sempre quando giocavamo a nascondino!» si stupì
Fred.
«Non
aveva bisogno di quello, tu sei una
frana!» sbuffò Billy «Rain, quindi che
facciamo? Quello ti vuole uccidere,
l’hai sentito!»
«Al
momento possiamo solo restare fermi ad
aspettare un qualche sviluppo».
«Io
non capisco come fai a essere così calma
in un momento del genere, cioè, anche due settimane fa lo
eri abbastanza ma lì
inizialmente non avevano intenzione di ucciderci!»
«Ti
faccio questa domanda, Billy: se ora mi
mettessi a strillare e correre in tondo, secondo te cosa otterrei oltre
ad
attirare qui quella putredine che vediamo sullo schermo?»
«Niente?»
rispose Fred al posto dell’amico.
«Esatto»
annuì Rain «Proprio niente».
Tornarono
a osservare gli schermi.
– Sono
solo tre umani, non c’è rischio
di finire in qualche trappola, possiamo dividerci senza problemi.
Potete fare
danni e volontà e se trovate i ragazzini umani potete farne
quel che volete,
prenderli, ucciderli, non mi interessa. Se invece trovate la femmina
prima del
sottoscritto, prendetela e portatemela subito. Sono stato chiaro? –
– Ma
Megatron, hai dimenticato che
possono sentirci? –
– Se
non fossero impotenti avrebbero
già fatto qualcosa, Demolisher, non essere vigliacco. Io
vado da questa parte –
gli umani lo videro indicare davanti a sé
– Voi andate in quella
direzione e sparpagliatevi – stavolta
indicò la direzione opposta
– Ci ritroveremo a breve. –
Videro
i Decepticon dividersi. Billy e Fred si
appiccicarono uno all’altro come delle alghe, più
nel panico di quanto fossero
prima.
«Oddio
ci vengono a prendere!» strillò Fred.
Billy
guardò Rain. «Adesso che facciamo?!»
«Che
si siano divisi è un bene e anche le
direzioni che stanno prendendo potrebbero avvantaggiarci. Da quel che
vedo,
BP2» “Bidone Parlante 2”, alias
Starscream «è sulla strada per arrivare
qui, ma BP4» alias Demolisher «Si sta perdendo per
strada, e BP1» alias
Cyclonus «Sta andando verso un vortice deformante che non
funziona in ogni
caso. Dunque noi adesso andiamo lì»
indicò uno schermo «Verso l’unica
uscita».
«Ossia
dove sta andando Megatron! Non possiamo
andare da quella parte, finiremmo dritti in mano sua!»
«Il
corridoio che porta all’uscita è libero e
a giudicare dalle strade che hanno preso non incontreremo ostacoli. Se
io
andassi avanti e il cornuto mi vedesse credo che non si metterebbe a
cercare anche
voi due. Io lo distrarrò, voi andrete fuori dalla base e vi
allontanerete
abbastanza da far tornare a funzionare questo»
concluse Rain,
porgendo a Billy il proprio cellulare
«C’è una nota per te. Se entro un quarto
d’ora non mi vedrai fuori dalla base, aprila e fai tutto quel
che c’è scritto».
«Non
posso lasciare che rischi di nuovo l’osso
del collo per cercare di mettermi al sicuro, è
già successo una volta di troppo
e non voglio che accada due volte in un mese!»
protestò Billy.
«Se
si salvano due persone su tre è comunque
un successo. Non verrai lasciato solo, non ti preoccupare»
ribatté Rain,
spingendo Billy e Fred fuori dalla stanza.
«Sai
benissimo che non è per quel-»
«Silenzio»
gli intimò la donna «Meno rumore
facciamo, meglio è».
Come
Rain aveva previsto e soprattutto
sperato, giunsero senza intoppi fino al corridoio di cui lei aveva
parlato.
«Voi
restate indietro. Muovetevi quando
sentite il bazooka, siate veloci e state attenti. Ci vediamo
dall’altra part-
Billy, lasciami» gli ingiunse Rain, pur capendo perfettamente
cosa gli stesse
passando per la testa.
Billy
la trattenne ancora. «Non puoi andare!
Non voglio che tu vada!»
«Nemmeno
io voglio…» mormorò Fred, tirando su
col naso.
Neppure
Rain lo avrebbe voluto.
Lei
avrebbe voluto continuare a vivere
tranquilla con il suo pappagallo, le sue candele e suo cugino, avrebbe
voluto
tornare nella sua casa in Irlanda e magari far sì che la
relazione a distanza
col suo fidanzato diventasse, come dire, un po’meno a
distanza.
Non
aveva certo preventivato di morire a
ventisette anni -perché a dirla tutta pensava di avere ben
poche speranze di
riuscire a sopravvivere- per colpa di un robot gigante che
gliel’aveva giurata,
e poco importava che non avesse chiesto lei di essere coinvolta e che
fosse
stato lui a rapirla dando inizio a tutto.
Di
una cosa comunque era sicura: avrebbe
tentato di vedere cara la pelle e, se Billy si fosse salvato, non
sarebbe stato
invano.
«Ha
detto che non sarà una morte veloce, se
non mi calpesta o colpisce in pieno con il laser ho delle
possibilità. Non c’è
molto altro da fare per cui, Billy, ricordati quel che ho detto
riguardo la
nota. E mi raccomando…» si sfilò dalla
presa del cugino «Usate sempre i
sottobicchieri».
Avrebbe
potuto dire tante cose ma quella era stata
la prima a balenarle in mente, nonostante la situazione.
Corse
in fondo al corridoio, il cui sbocco era
leggermente a destra rispetto all’uscita della base, e
affacciandovisi vide
immediatamente il cybertroniano che più odiava tra tutti
quelli che conosceva,
il solo in grado di superare Optimus nella sua classifica. Insieme a
lui c’era
anche un Minicon ma Rain non gli diede peso.
Lo
vide intento a osservare l’uscita, ghignare
e sollevare il cannone che aveva su un fianco, e concluse che doveva
aver deciso
di rendere inagibile quella via di fuga; una cosa che lei,
nell’ottica di
lasciar fuggire cugino e amico, non poteva permettergli.
Muovendosi
verso destra in modo svelto e
silenzioso, in modo da prepararsi alla fuga che sarebbe seguita, Rain
si trovò
a pensare che non lo ricordava così tanto grosso. Era una
donna combattiva
e aveva in mano un bazooka con cui aveva minacciato
più volte Prime e
compagnia, eppure fu costretta ad accantonare la sgradevole sensazione
di
essere abbastanza… inerme, in
confronto a quel coso.
Il
che la fece solo arrabbiare di più.
Il
colpo di bazooka che sparò l’attimo dopo
colpì in pieno la spalla destra del transformer che, colto
totalmente di
sorpresa, non era riuscito a spostarsi in tempo.
«COSA?!
TU!-»
Ne
conseguì un’esplosione che, pur non
danneggiando la parte al punto di far cadere il braccio, lo rese
pressoché
inservibile. Ringhiando come una bestia feroce ferita e digrignando i
denti,
Megatron si rese conto di poter muovere a malapena le dita e, dopo aver
fatto
scendere Sonar, si lanciò all’inseguimento della
femmina umana che si era data
alla fuga subito dopo aver sparato.
Non
che fosse un problema: lui aveva le gambe
molto più lunghe.
«Tu
non hai idea di quello che hai fatto! Hai
commesso il più grosso errore della tua miserabile esistenza
e non la passerai
liscia!»
“Con
questo se non altro ho liberato il passo
a Billy. Credo di poterlo considerare salvo” pensò
Rain, rendendosi conto di
quanto fosse complicato cercare di ricaricare un bazooka mentre si era
di
corsa.
Seppur
malamente, perché usare con la mano
sinistra un cannone che stava a destra non era la cosa più
comoda del mondo,
Megatron riuscì a prendere la mira e sparare un colpo
davanti a Rain, a poca
distanza da lei.
La
donna riuscì a scartare di lato, imprecando
violentemente in gaelico, tuttavia non riuscì a evitare le
onde d’urto del
colpo. Finì a terra, il bazooka insieme a lei, e il
proiettile appena caricato
esplose inutilmente contro una parete.
“Maledizione!...”
Si
riparò il volto dai detriti e i frammenti
che ne conseguirono, recuperò il bazooka, lo
caricò con l’ultimo proiettile che
le restava e cercò di rialzarsi in piedi, salvo trovarsi a
sibilare di dolore:
doveva essere caduta male, o così suggerivano le fitte alla
caviglia sinistra.
Per un attimo barcollò perfino e, quando sollevò
gli occhi, incrociò lo sguardo
soddisfatto del suo inseguitore.
Le
sue mani agirono prima che il cervello
potesse metterci becco, ed ecco che l’ultimo colpo che Rain
poteva sparare finì
dritto contro il soffitto.
«Mancato»
commentò Megatron.
«Gobshite»
replicò lei.
Il
soffitto sopra a Megatron esplose e parte
crollò addosso a lui mentre Rain, sapendo di offrire uno
spettacolo piuttosto
miserevole in quel momento, cercò di allontanarsi il
più possibile con una
corsa zoppicante.
Sapeva
che la mossa che aveva fatto non
avrebbe fermato il suo nemico -che, aspettandoselo, si sarebbe di certo
spostato qualora lei avesse tentato di sparargli direttamente-
però sperava di
poter riuscire a guadagnare abbastanza tempo per scappare e ritardare
quel che
aveva iniziato sempre più a sembrarle inevitabile.
I
rumori dietro di lei suggerivano che
Megatron si fosse sbarazzato di ciò che gli era crollato
addosso e che avesse
ripreso a seguirla. Non stava neppure correndo, contrariamente a quanto
tentava
di fare lei; probabilmente si era reso conto di avere la vittoria in
tasca e,
se non l’aveva già raggiunta, era solo per il
gusto di vederla affannarsi
inutilmente ancora un po’.
«Avevo
iniziato ad aspettarmi qualcosa di
meglio» lo sentì dire.
Arrivata
a una deviazione, Rain imboccò la
strada a destra. Non ci aveva riflettuto sopra, l’aveva fatto
solo perché era
la più vicina e sapeva che neppure questo sarebbe servito a
qualcosa. Non
sarebbe servito neanche infilarsi in qualsiasi stanza eventualmente
presente
lungo la strada.
«Dov’è
tutta la spavalderia di due settimane
fa? Quando eravamo faccia a faccia mi avevi detto che me la stavo
cavando con
poco, "per ora”. Chi osa parlare così dovrebbe
avere valide ragioni, invece
scommetto che ti sei rintanata qui per tutto questo tempo»
infierì lui,
continuando ad avanzare «Terrorizzata, sperando che gli altri
“bidoni parlanti”
riuscissero a proteggerti dal sottoscritto. Peccato che Prime sia un
incapace e
che quel che tu puoi fare da sola sia tutto qui».
«Per
tua fortuna, direi. Ti fa più male aver
riconosciuto di essere un bidone parlante o il braccio che non puoi
muovere?»
Megatron
fece una smorfia irritata. «Le
chiacchiere sono tutto quel che ti resta e lo sai. Infatti non stai
più
scappando».
Rain
si era fermata. Aveva capito di aver
imboccato la direzione sbagliata, una che non l’avrebbe
condotta in qualsiasi
corridoio ma che era semplicemente senza uscita. Proseguendo avrebbe
trovato
solo una stanza della base in cui c’era un po’di
ciarpame e nella quale sarebbe
stato perfettamente inutile entrare.
Estrasse
la Glock dalla fondina, immaginando
correttamente che quel gesto non avrebbe allarmato il suo avversario:
in fin
dei conti non solo non gli avrebbe fatto nulla ma… non era
per lui.
Era
una scelta ardua da compiere e infatti le
tremava leggermente la mano, ma non avrebbe mai lasciato a quel cornuto
la
soddisfazione di ucciderla.
«Puoi
provare a spararmi anche con quella, se
ne hai tanta voglia» disse il leader dei Decepticon, dopo una
risata «Abbiamo
tempo. A non averne invece sono gli altri due ragazzini, immagino che
ormai i
miei uomini li abbiano presi».
«Erano
dietro di me e sono usciti appena ti
sei messo a inseguirmi, shtate. Non sai
nemmeno riconoscere un
diversivo, se il Minicon era tuo non c’è da
stupirsi che fosse intelligente
quanto un frullatore rotto e che tu in milioni di anni non sia ancora
riuscito
a battere quello pseudo messia pacifista sulla pelle altrui che
è Prime. In un
modo o nell’altro si pentirà di aver lasciato me e
gli altri qui dentro. Non
finisce qui».
“A
quanto pare condividiamo almeno l’opinione
su Prime. Questo però non cambia niente e io ho ascoltato
abbastanza deliri”
pensò Megatron, chinandosi con l’intento di
afferrarla.
Fu
allora che accadde l’imprevisto.
«Tutu-ttu-tu!
Tutu-ttu-tu! Buongiorno!»
«Buongiorno!»
«Me!
Affamato!»
«Affamato!»
«Affamato!
Affamato!»
«Me!
Mangiare!»
«TEEEEEEEEE!»
Dall’unica
stanza a lato del corridoio,
Megatron e Rain videro uscire dei piccoli esseri strani e chiassosi che
si
stavano avvicinando loro molto velocemente e cicalecciando.
Man
mano che la distanza si riduceva, Rain
comprese con enorme sorpresa che si trattava nientemeno che della sua
collezione di Furby.
Come
potevano essere lì?! E perché erano
così
tanto… vivi?
Lo
stupore però passò quando concluse che
potevano essere impazziti come il suo cellulare, era perfettamente
logico.
«Cosa
sono quegli affari?!»
Sentendo
quell’esclamazione, Rain diede
un’occhiata a Megatron: se prima era tranquillo e
soddisfatto, in quel momento
sembrava alquanto inquieto e preda di una tensione crescente.
Aveva
perfino iniziato a indietreggiare,
seppur molto lentamente, ma si sveltì quando i Furby
arrivarono a due metri da
loro.
La
donna non riusciva a spiegare in modo
razionale un simile comportamento, non aveva alcun senso. A meno
che…
“Non
ditemi che questo cornuto di non so
quanti metri ha la fobia dei Furby, vi prego”
pensò Rain, guardando con
tranquillità la piccola armata di Furby circondarla con una
specie di strano
balletto.
Megatron
fece altri due passi indietro.
Lui
era uno che non temeva nulla, né
cybertroniani né mostri. Sarebbe stato capace di andare
all’assalto di un
nemico apparentemente impossibile da uccidere, di attaccare un demonio
transformer grosso quanto un pianeta, di ridere di fronte a una
divinità che ne
mangiava un’altra e anche di peggio senza fare una piega,
tanto era sicuro di
sé stesso e delle proprie capacità.
Ma…
«Tutu-ttu-tu!
Tutu-ttu-tu!»
«Tutu-ttu-tu!
Tutu-ttu-tu!»
C’era
qualcosa di terribilmente sbagliato in
quegli affarini, dei dettagli che non riusciva a mettere a fuoco ma
facevano un
effetto strano se incrociati con la sua programmazione, un effetto che
gli
stava urlando a gran voce di girare sui tacchi e lasciare che fosse
quella
donna pazza a essere… cosa? Divorata? Non lo sapeva neppure
lui.
«Tutu-ttu-tu!
Tutu… ttu…»
«Tttu…»
«Tttu».
Le
voci fastidiose di quei cosi iniziarono a
diventare più profonde e distorte, i movimenti del loro
balletto sempre più
scoordinati, fino a fermarsi del tutto.
Poi
si voltarono tutti simultaneamente verso
di lui, dando l’impressione di fissarlo coi loro sguardi
vacui come quelli di
un cadavere.
«Iä!
Iä! Cthulhu fhtagn!»
Dopo
quell’esclamazione corale, i mostriciattoli
fecero una specie di balzello verso di lui, cosa che lo fece
indietreggiare
ancora.
«State
lontani da me! Altrimenti-»
«Iä!
Iä! Cthulhu fhtagn!»
«Iä!
Iä! CthuLHU FHTAGN!»
«Iä!
Iä! CTHULHU FHTAGN!!»
Le
voci divennero ancor più distorte di prima,
alzandosi d’intensità a ogni ripetizione di quella
cantilena fino a diventare
un urlo unico, accompagnato dal suono di balzelli in avanti che erano
diventati
continui, una serie costante di rumori molto simili a “Tekeli-li!
Tekeli-li!”
«Iä!
Iä! CTHULHU FHTAGN!» urlarono i
Furby, facendo pensare che sarebbero esplosi da un momento
all’altro.
Rain
crollò in ginocchio e alzò le braccia
verso il soffitto, con gli occhi rovesciati all’indietro a
mostrarne solo la
parte bianca.
«Ph’nglui
mglw’nafh Cthulhu R’lyeh
wgah’nagl fhtagn».
In
tutta la vita non avrebbe mai pensato di
poter recitare, con un vero motivo per farlo, la litania ritualistica
del
grande Cthulhu in qualsiasi posto diverso dai raduni per appassionati
di H. P.
Lovecraft; se ciò, assieme all'altrui fobia dei Furby,
l’avesse salvata dalla
morte, probabilmente avrebbe iniziato a credere veramente
nell’esistenza delle
mostruose divinità che lo scrittore aveva inserito nei
propri racconti.
I
Furby emisero un grido inintelligibile, più
forte di tutti gli altri, che convinse definitivamente Megatron a
ritirarsi.
Non avrebbe avuto la soddisfazione di ucciderla lentamente, non in
quell’occasione, ma era esasperato da quella faccenda e non
vedeva l’ora di
mettere quanta più distanza possibile tra se stesso e
quei cosi. Si
allontanò ancora, senza togliere loro gli occhi di dosso.
«Stavolta
hai avuto fortuna, strega pazza, ma
quei cosi non ci saranno sempre e la prossima non-»
Avrebbe
voluto dire “non andrà così”
ma venne
strattonato e sbattuto contro il muro da un pugno di
un’eccezionale potenza che
gli risultava piuttosto familiare.
«Non
sei il benvenuto nella mia base,
Megatron! Vai via da qui!»
Rain
sollevò un sopracciglio, di nuovo
circondata da Furby che continuavano a salmodiare inneggiando a Cthulhu
-a un
volume ragionevole, però.
"Prime...
ma tu guarda".
In
teoria avrebbe dovuto essere felice di
vedere Optimus, in pratica si chiedeva solo:
“Cos’aveva mandato a monte il suo
piano di lasciarla morire lì dentro?”
.::
Poco prima ::.
«Siamo
usciti, ce l’abbiamo fatta!» esclamò
Fred «Eeee abbiamo anche salvato un Minicon, mi
sa…»
Quando
Billy e Fred si erano trovati davanti
Sonar e gli avevano detto di scappare con loro, il Minicon non aveva
impiegato
molto a dire di sì. Benché i Decepticon non gli
avessero fatto del male in
alcun modo, preferiva cercare di riunirsi ai suoi due fratelli senza
essere
nelle mani di Megatron.
«Ma
ora il punto è-»
«Chi
se ne importa del Minicon!» sbottò Billy,
arrabbiato quanto preoccupato a morte per il destino della cugina
«Rain è
ancora là dentro e non intendo limitarmi ad allontanarmi e
aspettare! Dobbiamo
cercare di far sapere agli Autorobot cosa sta succedendo!»
Se
lei fosse morta non avrebbe mai smesso di
sentirsi in colpa, lo sapeva per certo, sia per essersi dovuto lasciar
salvare
un’altra volta sia per non aver imparato a usare un bazooka
in tempo utile. Se
non altro avrebbero potuto battersi insieme, pensava Billy, e
invece…
«A-anche
io lo vorrei, però come li troviamo?»
gli domandò Fred «Sono fuggiti via, non abbiamo i
numeri degli altri e poi Rain
sembra dare per scontato che non ci avrebbero aiutati, non ci ha
neanche detto
di fare un tentativo… forse… forse parlava degli
Autorobot quando diceva che
non volevano che ci difend-»
«E DI
NUOVO CHI SE NE IMPORTA!
LEI NON È INFALLIBILE!» gridò
Billy «Tutto credo ma non che gli Autorobot
ci vogliano morti, va bene?! Solo che… non so come
fare…»
Fred,
notando un movimento veloce in aria a
poca distanza da loro, socchiuse gli occhi.
«Billy… Billy! Billy, guarda! È
Laserbeak!» strillò.
Una
speranza.
Forse
Rain poteva essere salvata.
Intanto
gli Autorobot, piuttosto tesi come i
tre ragazzini che erano con loro, stavano ancora a distanza.
Vedendo
Billy e Fred uscire dalla base molto
agitati, per di più con un Minicon mai visto prima, avevano
ritenuto opportuno
mandare lì Laserbeak per dare un’occhiata
più da vicino e cercare di capire
cosa stava succedendo, perché la situazione era abbastanza
confusa.
«Sì…
parlo io» disse Rad «Billy, Fred, qui è
Rad. Dove avete preso quel Minicon e cosa sta succedendo lì
dentr-»
– I
Decepticon hanno attaccato la
base, Rain ha affrontato Megatron per farci fuggire! –
lo interruppe
Billy – Gli ha sparato ma non
può farcela da sola e se anche se la
facesse ci sono gli altri tre! Ha bisogno d’aiuto, dovete
sbrigarvi, Megatron
la ammazzerà! –
«E
se fosse una trappola? Se si fossero
alleati lei, i Decepticon e chissà chi altro e stessero
cercando di attirarci
nella base?» ipotizzò Alexis «E
se-»
– E
se la piantassi di fare la
paranoica e di sputare veleno su mia cugina?! Cazzo se aveva ragione
quando mi
diceva di lasciarti perdere! –
«COOOOOSA?! Come
ti permetti?!» si
infuriò Alexis «Non è colpa mia se si
comporta da pazza, prima era-»
– Ehm.
Era contenta per la candela – disse
Fred – Quella che non producono
più. Era di buonumore per quello. –
«La
candela» ripeté Optimus.
«In
effetti ne ha parlato anche a me ieri
sera» disse piano Hot Shot «Della
candela… quindi è probabile che sia davvero
così?»
«I
Decepticon però non sapevano dov’era la
nostra base, come l’hanno trovata se non è stata
lei a dar loro le coordinate?»
domandò Rad.
«Il
Minicon che è con Billy e Fred è nuovo,
forse è l’ultimo di quelli che compongono la Spada
Stellare. Ci hanno trovati
così» disse Red Alert «Usando i segnali
degli altri due Minicon, solo che noi
abbiamo evacuato la base appena in tempo per evitarli. Peccato
che…»
«Che
tra questo e l’averti fatto bloccare il
sistema abbiamo rischiato la vita di tre civili umani, e che una la
stia
rischiando ancora» completò la frase Optimus.
Prime
in parte si giustificava ancora, perché
come avrebbe potuto evitare di pensare male di fronte allo strano
comportamento
di Rain?! Era stata gentile e lei non era mai gentile, infatti non era
stato il
solo a pensare male!
D’altra
parte però si rimproverava per
l’impulsività della sua decisione, totalmente
sbagliata e con possibili
conseguenze che avrebbero cozzato duramente contro la sua morale. Era
un leader
e un essere con milioni di anni di età, avrebbe dovuto
valutare meglio la
situazione.
«Hot
Shot, tu che hai con te gli altri due
Minicon vai a prendere il terzo» ordinò
«La Spada Stellare ci servirà contro i
Decepticon. Red Alert, fai ripartire il sistema e il vortice
deformante.
Torniamo dentro!»
«Sissignore!»
– Quindi volete
aiutarci?
Non ci avete lasciato senza difese per cercare di, ecco…
uccidere Rain e forse
anche noi? –
«Assolutamente
no, non pensateci neppure»
affermò Optimus, stupito per quel che aveva sentito.
“Difficilmente
un pensiero del genere potrebbe
venire davvero da Fred”.
Entrando
nel vortice deformante, Optimus pensò
che se Rain fosse sopravvissuta forse sarebbero venuti tempi duri.
.::
Ora ::.
«Rain!
Tutto bene?!»
“E
cosa ci fanno qui quei giocattoli che erano
nella sua stanza?!” si chiese Optimus, sorpreso ma non
spaventato dalla
presenza dei Furby.
Era
solo una delle cose che in seguito avrebbe
dovuto chiarire con lei, perché anche il fatto che Megatron
si stesse
allontanando lasciandola illesa era molto strano, tanto più
visti gli evidenti
segni di lotta trovati lungo la strada che aveva percorso per arrivare
lì.
«Sto
bene» rispose la donna «Non grazie a te».
«Ne
parliamo dop-»
Un
diretto in faccia da parte di Megatron
interruppe Optimus, che venne poi preso, sbattuto a terra e colpito con
una
cannonata.
«Già
che sei qui, Prime, ti consiglio di darmi
i Minicon della Spada Stellare. Altrimenti…»
Prime,
seppur dolorante, si rialzò di scatto,
assestando una testata all’avversario. «Non li
avrai mai, Megatron! Tutti e tre
sono già in mano a qualcuno molto più meritevole
di te!»
«E
quel qualcuno sono io!» esclamò Hot Shot,
irrompendo sulla scena con un salto teatrale e la Spada Stellare
sguainata.
Avrebbe
fatto meglio a tacere dato che,
proprio sentendolo, Megatron riuscì a evitare il colpo e
perfino a farlo volare
contro il muro con calcio all’altezza dell’addome.
«Quella Spada appartiene a
me! A Megatron! Non sei all’altezza di
quell’arma!»
«Disse
il genio che si è fatto danneggiare un
braccio da me» commentò Rain ad alta voce.
«Taci,
strega!» sbraitò Megatron «Tu
e io prima o poi regoleremo i conti!»
«PUOI
SCORDARTELO!» urlò Hot Shot,
tornando all’attacco con un fendente.
Stavolta
non mancò il bersaglio, e parte di
una delle corna di Megatron venne tagliata via, andando a conficcarsi
nel
pavimento metallico come se fosse stato fatto di burro.
«Demolisher!
Starscream! Cyclonus! Dove siete
andati a finire, maledetti incapaci?!» cercò di
contattarli Megatron, senza
ricevere risposta.
«Ci
siamo occupati di Cyclonus appena tornati,
Demolisher è stato neutralizzato da Smokescreen e a
Starscream ha pensato Red
Alert» lo informò Optimus, che aveva appena
ricevuto la notizia via comm-link
«Sei solo. Arrenditi e vattene da qui una buona
volta!»
«“Vattene”?
Non esiste. Hot Shot! Eejit!
Ficcagli nel petto quella maledetta spada! Uccidilo!»
esclamò Rain «La guerra
finirà, potrai tornare a casa e vivere tranquillo! Uccidilo!
FALLO! »
«Decepticon…»
avviò a dire Megatron.
Hot
Shot sollevò la Spada.
Ricordò
quello che aveva detto a Rain quella
notte. Lui voleva vivere in pace, tutti volevano vivere in pace, ma
finché
Megatron fosse stato in vita non sarebbe stato possibile. Erano
Autorobot e non
dovevano uccidere a meno che fosse strettamente necessario
-così diceva il loro
codice e lui di solito lo rispettava- ma forse uccidere Megatron lo
era. Era
necessario per concludere quella faccenda una volta per tutte,
così da poter
tornare a casa a ricostruire.
Cosa
c’era di sbagliato nel suo desiderio?
«Hot
Shot! Fermo!»
La
mano del giovane Autorobot, al richiamo di
Optimus, si fermò a mezz’aria.
«…ritirata»
concluse Megatron,
teletrasportandosi via col vortice deformante.
«Maledizione!»
sbottò Rain.
L’aveva
scampata e ne era felice, oltre che
ancora incredula per le dinamiche con cui era successo, però
era soddisfatta
solo a metà. Guardando i Furby, tornati a essere immobili,
pensò che sarebbe
sempre stato così fino a quando quel cornuto non
l’avesse pagata per davvero.
Quando
cercò di alzarsi in piedi notò subito
che ovviamente le condizioni caviglia erano peggiorate un
po’, e si augurò che
tornasse presto a posto.
«Non
è onorevole colpire un nemico che si sta
ritirando, Hot Shot» disse Optimus, pacato quanto deciso
«Non è il modo in cui
agisce un Autorobot».
«Sì…
io… hai ragione, Optimus. Mi sono
lasciato trascinare. Ma giuro che d’ora in poi
userò la Spada Stellare solo nel
rispetto delle regole, per fare del bene e per proteggere
l’Universo».
«Bravo.
Sono i metodi che usiamo a renderci
migliori dei nostri nemici» continuò Optimus
«Se ci abbassassimo al loro
livello cosa rimarrebbe?»
«Rimarrebbero
una guerra vinta e la pace che
dici di volere, perché i Decepticon non si aspetterebbero un
comportamento meno
“onorevole” del solito» disse Rain,
avvicinandosi a loro con passo claudicante
«Solo che qui il buonsenso non sta di casa e sono tutti
quanti a pagarne le
spese».
«Mi
dispiace di non essere arrivato prima»
disse Hot Shot, decidendo comunque di non darle ascolto «Non
avevamo idea di
cosa stesse succedendo… io all’inizio non avevo
idea neppure di quale fosse il
motivo dell’evacuazione…»
«Il
tuo capo mi vuole morta. Non so cosa ti
abbia detto ma in realtà è questo».
«Tu
sei ferita e sicuramente sconvolta per
l’accaduto» disse Optimus, cercando di mantenere la
calma «Cosa di cui mi
rincresce e sono disposto a prendermi la colpa, perché se
fossi stato meno
impulsivo non sarebbe successo, però ti chiedo di riflettere
un secondo: se
veramente ti avessi voluta morta non pensi che avrei potuto lasciar
fare
Megatron, invece di salvarti? O che avrei potuto provvedere io stesso e
dare la
colpa a lui?»
Rain,
indicando Optimus con un cenno del capo,
si rivolse a Hot Shot. «Capisci quali sono le idee al di
là delle belle
chiacchiere?»
“Primus,
ti prego, dammi la forza e la
pazienza” pensò Optimus. «Rain, io non
voglio il male di alcun essere umano,
neppure il tuo, che tu ci creda o meno. Non avevo e non ho in mente
alcun piano
contro di te e nessuno di noi sapeva dell’attacco dei
Decepticon, posso
giurartelo sulla mia stessa vita se vuoi. Io sto ospitando te e Billy
nella
base proprio per tenervi al sicuro…»
«Non
più» ribatté Rain «Io e Billy
torniamo a
casa, se il tuo “tenerci al sicuro” è
questo allora è perfettamente inutile
vivere qui».
«Non
credo sia una buona idea» disse Optimus,
nonostante l’idea di non averla più nella base
tutto il giorno e tutti i giorni
fosse suo malgrado fonte di gaudio e tripudio, quasi al punto di
mettersi a
fare il trenino che gli umani facevano a… come lo
chiamavano? “Capodanno”.
«Me
ne vado ugualmente».
«Possiamo
sempre fare in modo che tu possa
mandarci un SOS in caso di bisogno, col vortice deformante faremmo in
un
attimo. Arriverei sul posto per primo, contaci!» disse Hot
Shot «Non vedo l’ora
di vedere la Spada Stellare di nuovo in azione!»
«Potrei
pensarci su» concesse Rain, conscia di
non essere a posto fisicamente «Ogni altro accesso non
autorizzato però sarà
trattato come un’invasione, sia chiaro».
Optimus
si lasciò sfuggire un sospiro. «In
ogni caso, prima dovremmo parlare di quel che è successo qui
dentro prima che
arrivassimo. Il blocco del sistema a un certo punto ha staccato anche
quello di
sorveglianza…»
«Potevi
pensarci prima».
L’arrivo
dei ragazzini e del resto degli
Autorobot tutti in blocco impedì a Optimus di risponderle, e
alla fine lo
stesso Prime concluse che forse era meglio così: avrebbe
rischiato di essere
meno gentile di quanto fosse la propria natura.
Avrebbe
scoperto cos’era successo in un modo o
nell’altro, forse qualche telecamera aveva fatto in tempo a
registrare qualcosa
di utile prima di spegnersi, o forse sarebbe tornato
sull’argomento dopo un
po’di tempo.
«Rain!
Stai bene?!» corse da lei Billy,
indescrivibilmente sollevato nel vederla viva «Che ti ha
fatto Megatron?! Mi
dispiace di averti lasciata qui dentro, avrei dovuto aiutarti, non
avrei dovuto
fuggire, giuro che imparerò a usare il bazooka anche
io!»
«E
io pure!» aggiunse Fred «Sono tanto
contento di vedere che sei viva!... eeehi! Ma
quello non è un
corno di Megatonno? Glielo hai staccato tu?!»
«No, è stato
Hot Shot. Io gli ho
solo rotto un braccio…»
Rad,
rivolgendosi ad Alexis, fece spallucce.
«Dopotutto non era in combutta con nessuno, visto?»
«Pare
di no… ma non sono convinta lo stesso, e
Billy non mi ha ancora chiesto scusa!» sbuffò
«Gliela posso far passare solo
perché so che era preoccupato».
«Ovvio
che lo fosse. Vive con lei e le è
affezionato» le ricordò Rad.
«AAAAAAH!»
urlò Carlos, accortosi del
gruppo di Furby immobili, correndo a rifugiarsi dietro Alexis
«Quei cosi no,
eh! I Furby no! Quello che avevo da piccolo parla ancora nonostante gli
abbia
tolto le batterie, sono bestie del demonio, una volta ne ho sognato uno
gigante
che sparava laser dagli occhi!»
Billy,
che una volta notata la caviglia di
Rain aveva voluto farle da appoggio, la vide schioccare leggermente le
dita con
aria pensierosa.
Non
ebbe il coraggio di chiedere cosa le
passasse per la testa, non in quel momento.
«Quindi
torniamo a casa?» le domandò.
«Sì.
È molto meglio così…
però» indicò il
mezzo corno di Megatron «Quello lì viene con
noi!»
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Capitolo 10 *** SPECIALE- Pioggia... verde smeraldo! ***
SPECIALE
PIOGGIA…
VERDE SMERALDO!
Capitolo
un
po'crossover con una certa serie di fanfiction ambientate in "Ultimate
Muscle" questo
speciale è
dedicato più che altro a chi le conosce anche solo un po',
però dovrebbe
risultare carino anche per chi invece non le conosce.
Vi
consiglio vivamente di iniziare a leggere
quando sapete di avere abbastanza tempo a disposizione,
perché è lunghetto.
Buona lettura!
Alexis,
desiderosa di dedicarsi allo studio
qualche ora senza ragazzi chiassosi attorno, era uscita di casa con
l’intento
di andare alla solita caffetteria. Ormai solo qualche decina di metri
di
distanza la separava dalla sua destinazione finale, e se non si fosse
trovata
davanti quella ragazza l’avrebbe
raggiunta già da un po’.
“Mi
pare di averla già vista, però non ricordo
assolutamente dove…”
Seduta
sullo schienale della panchina accanto
alla fermata del bus, la persona in questione stava fumando
svogliatamente una
sigaretta dopo aver bevuto qualche sorso da una bottiglietta di
plastica che
aveva in mano. Il luogo dove si trovava e il borsone che aveva con
sé la
classificavano come straniera agli occhi di Alexis, nonostante la
sensazione di
familiarità.
«Noi
due ci conosciamo?»
Inizialmente,
colta di sorpresa, Alexis non
rispose alla ragazza, dandosi della scema per essersi trovata a fissare
la
gente un’altra volta -e sì che
l’esperienza con Rain avrebbe dovuto bastarle
per farle passare la voglia.
«Ah
ehm sì, no, io… scusami, non è mia
abitudine fissare le persone, è solo… che bei
capelli che hai!» esclamò.
Era
stata la prima cosa a saltarle in mente e
in fondo non diceva una bugia. Le piacevano le meches verde smeraldo
sui
capelli corvini di quella ragazza, lo stesso verde del suo borsone,
della sua
felpa leggera e, come notò poco dopo, anche dei suoi occhi.
Di tutto
l’abbigliamento si salvavano dalla febbre del verde solo le
scarpe e gli
shorts, entrambi neri.
«Grazie!
Li ho colorati la prima volta quando
avevo circa la tua età, tredici/quattordici anni insomma. Da
quel momento in
poi li ho tenuti sempre così» sorrise la ragazza,
spegnendo la cicca sulla
panchina «Senti una cosa, tu sei del posto? Sto cercando una
persona che abita
qui a Lincoln, ossia mia cugina, ma non so dove stia di casa di preciso
e dato
che questa è una cittadina piuttosto piccola magari potresti
dirmi se sai
qualcosa… dopo aver mangiato però»
aggiunse, portandosi una mano allo stomaco
«Non mangio niente da quando sono partita
dall’Argentina».
«Ma
è un viaggio bello lungo…» si
stupì
Alexis.
«Se
ci aggiungi i plurimillanta scali
che ho fatto diventa pure peggio!» esclamò
l’altra «Erano bei tempi quelli dove
avevo una compagnia aeronautica, cazzo».
«Avevi
una che?»
«C’è
un posto dove si mangia?»
«Una
caffetteria. Là» disse Alexis,
indicandola «Ci stavo andando, prima di…
questo».
«Possiamo
andarci in due, così mentre
eventualmente mi dici dove posso trovare mia cugina ti offro qualcosa,
ok? Ok.
Comunque mi chiamo Emerald» disse la forestiera, porgendo la
mano destra ad
Alexis dopo essersi alzata dalla panchina.
In
ciò la ragazzina notò che Emerald, oltre ad
essere magra, pur essendo adulta era un po’ più
bassa di lei. Strinse la mano.
«Alexis. Sicura di volermi offrire qualcosa? Non è
detto che riesca a esserti
utile».
Emerald
fece spallucce. «Eventualmente saresti
in grado di consigliarmi un albergo decente?... sì? A
posto».
Nel
raggiungere la caffetteria, ad Alexis
venne in mente un dettaglio. «Non che non voglia darti una
mano ma, ora che ci
penso, tu non hai il numero di questa cugina sul cellulare?»
«Sì,
però non ho il cellulare perché quel
vecchio porcello che non è altro si è mosso
quando gliel’ho lanciato contro,
giustamente mica poteva fare una cosa buona e restare fermo!»
sbuffò Emerald
«Quindi si è rotto!»
«Ehm…
vecchio porcello?»
«Te
lo dico ora e cerca di tenerlo a mente per
il futuro: se quando crescerai inizieranno a ronzarti attorno degli
strani
wrestlers sessantenni mezzi robot con indosso tutine aderenti, disponi
una
trappola per pantegane e poi datti alla fuga! Ecco!»
esclamò Emerald, bevendo
qualche altro sorso dalla bottiglietta di plastica.
Ora
che Alexis era più vicina e poteva
sentirne l’odore, notò che forse suddetta
bottiglia non conteneva acqua, ma
roba alcolica molto forte. «Forse… non
è un po’presto per quella? Sei anche a
stomaco vuoto».
«Arriva
anche tu a venticinque anni e ne
riparliamo» replicò Emerald, mentre entravano in
caffetteria «Chissà se si è
reso utile e ha almeno risistemato casa, quella pantegana
psicotica…»
Il
discorso per Alexis stava prendendo una
piega sempre più preoccupante, sembrava che Emerald nel suo
essere brilla
stesse accennando a un qualche tipo di violenza domestica o roba del
genere.
Alexis aveva solo tredici anni ma nelle scuole c’erano
associazioni di
femministe che iniziavano a parlare presto di certi argomenti, e una
delle cose
che ripetevano più spesso era che bisognava tenersi lontane
da certi tipi di
uomo e aiutare le persone vittime di violenza a denunciare.
«Ma
quest’uomo di cui parli ti ha fatto del
male? Avete litigato?»
«Di
sicuro ci ho litigato, solo che non
ricordo il motivo. Eravamo stati in giro per locali e avevo bevuto due
o tre
bottiglie di tequila, poi ricordo che siamo tornati a casa abbiamo
cominciato a
discutere di non so cosa spaccando mezzo salotto come al solito, io
dovrei
avergli sparato ma non penso di averlo colpito e poi boh,
l’ultimo ricordo che
ho è aver urlato che andavo da mia cugina. Mi sono
risvegliata nell’aereo…»
“Forse
è lui che avrebbe bisogno di aiuto, non
lei” pensò Alexis, attonita da quel racconto.
«E
mi sono detta “Vabbè, tanto ormai ci
sono”!» continuò Emerald «E
comunque non è un male starmene per un po’ in un
posto tranquillo. Scommetto che non succede granché qua in
giro, neh?»
“A
parte una guerra tra robot giganti
provenienti dallo Spazio no, non succede niente”
sospirò Alexis. «Forse per te
potrebbe essere un po’noioso, Emerald…»
Nel
dire ad alta voce il nome di quella
ragazza, ad Alexis suonò in testa un campanello, specie
accostando il nome a un
dettaglio del racconto, il “dovrei avergli sparato”.
«…
e due di quelli! E quattro di questi! E
tutto quel vassoio» disse Emerald, rivolta al ragazzo al
banco dei dolci «E
alla figliola… tu che vuoi?»
«Un
milkshake» disse Alexis.
«Un
milkshake, grazie!»
«Con
tutto questo cibo sarà una bella festa»
commentò il ragazzo del banco, servendole.
«No
no, sono per me. Ho fame!» dichiarò lei,
vuotando la bottiglietta di plastica con due sorsi dopo aver pagato in
contanti.
Alexis
le si avvicinò ulteriormente. «Emerald,
non vorrei sbagliarmi ma ho iniziato a pensare che forse…
per caso la cugina
che cerchi si chiama Rain O’Connell?»
«EH! Proprio!»
esclamò Emerald «La
conosci? Sai dove sta?»
«Lì
all’ingresso, ha appena girato sui tacchi»
disse Alexis, indicandola e sorridendo con una certa
quantità di “maligna”
soddisfazione.
Ebbe
quasi l’impressione di sentire un insulto
irlandese risuonare nel proprio cervello, però in quel
momento non avrebbe
potuto importarle meno.
«RAAAAAAAAAINNNNNNN!»
strillò Emerald.
Lentamente,
senza troppo entusiasmo, Rain si
voltò, pensando che era proprio vero quel che diceva suo
nonno riguardo il
fatto che le disgrazie non arrivavano mai da sole -robot giganti,
ragazzine
petulanti nella caffetteria e ora questo!-.
Poi
però penso anche al fatto che i parenti
non si potessero scegliere e cercò di farsi animo: secondo
lei la cugina
Emerald non aveva tutte le rotelle a posto, questo già solo
per aver divorziato
da un trentenne del tutto umano per stare con uno strano lottatore
sessantenne
sovietico mezzo macchina, ma in fondo non era nemmeno il familiare che
le stava
più sulle scatole.
«Ciao,
Emerald» la salutò «Come mai
q-»
«Minchia
quanto sei diventata alta, s-shei venti
centimetri più di me eeeh!» farfugliò
Emerald, ormai brilla, misurando
l’altezza con una mano.
«In
dodici anni si cresce» disse Rain,
lapidaria «Di solito».
«Su
Instagram si capiva l’altezza… ma non si
capiva! Capisci quello che intendo?!»
«Capisco
che sei ubriaca marcia alle quattro
del pomeriggio e non posso lasciarti qui»
“Purtroppo!” aggiunse mentalmente
«Andiamo in macchina, muoviti».
«Aspè
devo prendere i miei vassoi di roba!
Ecco, ora possiamo anda-» ne fece quasi cadere uno, salvato
per miracolo da
Rain.
«Muoviti»
ripeté la donna, già spazientita.
«Oook… sci vediamo,
eh!»
esclamò Emerald, salutando Alexis con la mano libera.
«Spera
di no, Emerald, è meglio» sospirò Rain,
trascinandola fuori dalla caffetteria.
«Come
sarebbe?!» protestò Alexis, venendo
totalmente ignorata come al solito.
Ringraziando
il cielo che la sua nuova auto
sportiva fosse da quattro posti, Rain buttò sui sedili
posteriori il borsone di
Emerald e la spinse quasi di forza sul sedile del passeggero,
intimandole di
allacciarsi la cintura. Capì di dover provvedere lei quando
ricevette in
risposta una risata beota, e per un attimo desiderò che
Emerald fosse un
Minicon e non fosse imparentata con lei, così avrebbe potuto
spararle senza
sentirsi in colpa.
@@@
«Quindi
non sai ancora nulla del motivo per
cui Rain ha liberato quello spazio in giardino?»
Billy
scosse la testa. «No, Fred, non ne ho
idea. So solo che forse c’entra qualcosa Megatron».
«Non
sei spaventato all’idea che possa venire
qui? Non preferiresti tornare nella base degli Autorobot?»
Billy
si immerse meglio nella vasca
idromassaggio, poi sospirò. «Mi pare che ci
abbiano raggiunti anche lì dentro,
quindi tanto vale starsene a casa e chiamare aiuto se serve. Red Alert
ha detto
di aver potenziato i recettori Laserbeak per sentire tutti i nostri SOS
da ogni
parte del mondo… se fosse vero funzionerebbe anche
dall’Irlanda…»
«Rain
ha parlato di nuovo di andarsene?!»
«La
sua idea è sempre quella» confermò
Billy
«Alla fine di tutta questa storia ce ne andremo. È
già un miracolo che mi
permetta di passare qualche pomeriggio con te e Carlos nella
base».
«Con
lei presente però!»
«Sempre
meglio di niente».
Fred
rimase in silenzio a riflettere per
qualche secondo. «Ehi, forse ho capito cosa vuole mettere in
quello spazio in
giardino! Ha voluto portare via il pezzo di corno di Megatron, no?
Quello che
Hot Shot gli ha tagliato via. Vorrà metterci
quello!»
Era
stata una richiesta un po’ strana quella
di Rain, giustificata col dire di volerlo come trofeo
-“perché anche se glielo
ha staccato Hot Shot noi lo abbiamo attaccato per primi!”- ma
era stata
accontentata senza troppe storie, probabilmente perché gli
Autorobot erano
tanto felici di non averla più lì ventiquattro
ore su ventiquattro che un mezzo
corno in più o in meno non faceva differenza.
«Non
credo, Fred! Non so dove lo abbia messo
ma so per certo che il mattino dopo essere tornati qui non
c’era più traccia
del pezzo di corno».
«Non
le hai chiesto che fine ha fatto?»
«Nah,
non mi interessav-»
Del
trambusto proveniente dal piano inferiore
interruppe il loro discorso.
«…
IL MARSHUPIOH! Ridammelo!»
«Tu
ora ti sdrai sul divano e aspettiamo che
ti passi la sbronza, poi forse se ne riparla. Col cazzo che ti lascio
tenere la
pistola mentre sei ubriaca!»
I
due ragazzini si scambiarono un’occhiata
allarmata, che lo divenne ancor di più sentendo il rumore e
gli strilli
aumentare.
«Dici
che dovremmo andare a vedere?» domandò
Fred.
«Non
so… sembra sia con un altro essere umano,
Rain dovrebbe cavarsela…»
Il
trambusto divenne un putiferio quando si
aggiunse il rumore di cocci rotti.
La
cosa non prometteva bene, e non migliorò
quando si aggiunsero anche gli insulti di Dagon, che si era messo a
urlare “shtate”.
«Andiamo
a vedere» concluse Billy, decidendosi
a uscire dalla vasca, seguito a ruota da Fred.
Quando
raggiunsero le scale e si affacciarono
sul piano inferiore, videro una poltrona rovesciata, il tavolino del
salotto
che aveva fatto la stessa fine, vari suppellettili a terra
più o meno rotte e
varie piantine -un tempo nei loro vasi- giacere sul pavimento. Come se
tutto
ciò non fosse stato sufficiente c’era una tizia
mai vista, sporca di terriccio,
che stava lottando contro il pappagallo.
«NON
SHEI L’UCCELLO PIÙ GROSSO
CHE HO VISTO, CAPITO?!!» strillò
suddetta tizia, cercando senza troppo
successo di liberarsi del pappagallo.
«SHATE!
SHATE!»
«Ma
Rain che fine ha fatto?!» si allarmò Fred
«Non è che quella l’ha uccisa?! Billy!
Di’ qualcosa!»
«Ora
che la guardo meglio… non vorrei dire
un’idiozia ma mi sa che quella potrebbe essere Emerald, la
cugina di Rain. Ho
visto delle foto» disse Billy.
«Cosa?!
Ma allora perché le sta distruggendo
casa?!»
«Questo
dovremmo chiederlo a Rain quando-»
Stava
per dire “quando sapremo
dov’è”, ma
proprio in quel momento Rain sfruttò la distrazione data da
Dagon e assaltò
Emerald alle spalle, premendole un fazzoletto contro naso e bocca.
«Vai
a dormire, gobshite»
sibilò
la donna, faticando più di un mulo per cercare di tenere
ferma Emerald nei
pochi secondi che servivano al cloroformio per fare effetto.
Quando
finalmente la cugina perse i sensi, la
lasciò cadere sul pavimento senza alcuna premura.
«Gobshite»
ripeté Dagon.
«Proprio»
confermò Rain.
Solo
allora Billy si decise a scendere le
scale. «Rain! Stai bene?!»
«Io
sto una meraviglia» rispose la donna
«Invece le piante con cui ho tentato di tramortirla dopo che
ha iniziato a fare
danni stanno un po’meno bene, vanno interrate di nuovo. In
ogni caso, vi
presento mia cugina Emerald J. V. P. Lancaster, alias la prova che
quando un
periodo inizia nel modo sbagliato può solo
peggiorare».
«Se…
se posso chiedere, perché ha fatto tutto
questo?» si azzardò a chiedere Fred.
«Perché
è una schizzata ubriaca» rispose Rain,
serissima.
Billy
si chinò a osservare Emerald più da
vicino. «Ma perché è qui? E
soprattutto, Rain, perché cavolo hai del
cloroformio in casa?!»
«Il
cloroformio ce l’ho perché non si sa mai.
Quanto al perché è qui, in macchina ha biascicato
qualcosa di un litigio con
sparatoria tra lei e un “sorcio in calzamaglia” o
qualcosa del genere, quindi è
probabile che abbia preso l’aereo dopo aver assunto non so
quali sostanze che
le hanno causato allucinazioni» si schiarì la voce
«Questo, Billy, è un ottimo
motivo per evitare le droghe e il troppo alcol. L’alternativa
la vedi
addormentata sul pavimento!»
Stava
per tirare fuori il cellulare da una
tasca quando sentì bussare alla porta d’ingresso.
«Già
ti avviso, oggi non vai da nessuna parte,
perché nel mio stato attuale se per disgrazia vedessi uno di
quegli
stramaledetti robot sarei capace di sparargli subito» disse
Rain, andando ad
aprire la porta «Quindi ora dico ai tuoi amici che-»
Si
interruppe.
“Ma
che diavolo?!...”
Aveva
pensato di trovarsi davanti dei
ragazzini, però quel che aveva davanti era
tutt’altro che un ragazzino.
«Buon
pomeriggio. Mi scuso per essere piombato
qui senza preavviso…»
Quello
che aveva davanti era un uomo adulto e
muscoloso che superava abbondantemente i due metri d’altezza.
Era vestito con
una calzamaglia grigia, stivali blu, una giacchetta dello stesso colore
e una maschera
di metallo sul volto che lasciava vedere unicamente gli occhi.
Poteva
essere solo tre cose: un pazzo, uno
scappato da un circo o un lottatore -i lottatori avevano spesso strani
costumi-
e Rain, ricordando con chi si era accompagnata Emerald, concluse che
probabilmente si trattava dell’ultima opzione.
«Sono
Nikolai Volkoff, il compagno di sua
cugina Emerald. Aveva manifestato l’intenzione di venire qui
e-» l’espressione
del lottatore, dopo aver sbirciato dietro Rain, divenne prima sorpresa,
poi esasperata
«Quella deficiente ha continuato a bere?! Non ci
credo!» sospirò nervosamente,
trattenendo chissà quanti improperi «A quanto pare
sono arrivato tardi, mi
spiace per il disastro, se crede sia opportuno mi offro di pagare per
le
pulizie».
Rain
sollevò un sopracciglio. Suo zio Howard
diceva peste e corna di quel tipo perché era vecchio, era
russo e in parte
robot, però sembrava più savio di Emerald. Era
anche abbastanza teso, forse per
la situazione o forse perché sapeva di non essere riuscito
ad attirarsi molte
simpatie tra Lancaster e affini.
«Non
si preoccupi. Piuttosto, sicuro di essere
il suo compagno e non il suo sponsor degli alcolisti anonimi?»
«Credo
che questo ruolo sarebbe stato ancora
più esasperante di quello che ho» disse il russo
«Il che è tutto dire. Senta,
immagino che avrà sentito diverse cose poco gentili sul
sottoscritto, però le
assicuro che non sono né una bestia feroce né una
macchina assassina, voglio
solo riportare a casa quella puttanella ubriac- ehm, Emerald, tutto
qui. A
proposito, lei dov’è?»
«Addormentata
sul pavimento. Ho usato del
cloroformio, credo che ne avrà per un
po’».
Nikolai,
alias il wrestler conosciuto
come Warsman, non si fece particolari
domande. Solo il cielo sapeva
quanto avrebbe fatto comodo anche a lui avere un po’di
cloroformio ogni tanto,
e comunque non intendeva mettersi a questionare troppo con una cugina
di
Emerald che non sembrava aver voglia di sparargli.
«Capisco».
Billy
e Fred, che stavano ascoltando la
conversazione, avevano facce attonite come quando avevano scoperto
l’esistenza
dei cybertroniani. Quello era stato assurdo ma questo, secondo loro,
non era da
meno.
«Nell’attesa
che Emerald si riprenda e possa
portarsela via posso offrirle un caffè? Uno vero, non la
brodaglia tipica americana»
specificò Rain, mentre col cellulare cercava il numero di
un’impresa di
pulizie.
Warsman
ebbe un attimo di esitazione nel
rispondere, poi scrollò leggermente le spalle.
«Accetto con piacere».
Casa
venne ripulita in meno di un’ora, dunque
a Rain e Warsman non restava altro da fare se non aspettare che Emerald
si
riprendesse. Nell’attesa diedero l’assalto ai
vassoi di paste da lei comprati,
ed entrambi lo fecero con gusto e un po’di vendicativa
soddisfazione.
«Ha
detto che è un wrestler, ma quindi è come
quelli in TV che fanno cose atletiche ma si prendono a botte solo per
finta o
vi prendete a botte sul serio?» domandò Fred al
russo.
Inizialmente,
vedendolo, lui e Billy avevano
quasi ceduto alla voglia di tornare di corsa al piano superiore, ma la
curiosità innata aveva avuto la meglio alla svelta,
persuadendoli a restare
dov’erano e mettersi a fare domande.
«Ormai
sono un ex wrestler,
ragazzo, ma ti assicuro che le botte che davo e prendevo erano molto
reali».
«Ma
quindi vi facevate molto male?»
«Certo
che si facevano male, scemo!» sospirò
Billy «Se erano botte vere se ne facevano per forza!
Piuttosto, è vero che è un
mezzo robot?»
Vedendo
l’occhiata di Rain capì che forse
avrebbe dovuto evitare quella domanda, però era troppo tardi.
«Ho
molte componenti meccaniche. A livello
biologico sono definibile un mezzo robot come dici tu»
confermò Warsman, dopo
qualche secondo «Però io mi ritengo un uomo. Un
uomo con abilità molto
particolari, magari, ma sempre tale, indipendentemente da come possa
pensarla
qualcun altro».
Rain
mangiò un altro pasticcino. Sebbene la
relazione tra lui e la cugina le facesse storcere il naso, ormai era
più che
altro per via della differenza d’età: la
“bestia delle steppe” -come suo zio
Howard, padre di Emerald, definiva Warsman- era più educata
di sua cugina… e,
riguardo all’essere mezzo robot, quantomeno era un mezzo
robot terrestre.
Un
robot che invece di portare
danni in casa di altri si era offerto di pagare per ripulire quelli
portati
dalla sua compagna, e che poi se ne sarebbe andato insieme a lei.
Rispetto
ai cybertroniani era un netto
miglioramento.
«Al
mondo c’è di peggio rispetto a un uomo mezzo
robot» disse Rain «Gruppi di robot giganti alieni
che si trasformano in mezzi
di locomozione, per esempio, e che portano qui la loro guerra civile.
Quelli sì
che sono una croce».
A
Billy e Fred andarono di traverso i
pasticcini e iniziarono a tossire, guadagnandosi un’occhiata
da parte di
Warsman.
Era
sollevato dal fatto di essere stato
accolto con cortesia però, se c’era qualcosa che
negli anni aveva imparato
molto più che bene, era che Emerald e tutto il suo parentado
tendevano ad
attirare un cumulo abnorme di guai.
Non
sapeva se i robot giganti guerrafondai in
questione ci fossero davvero oppure no ma, nel dubbio, pensò
che fosse il caso
di tornare in Argentina con Emerald ancor prima del
prima possibile.
«Sì,
immagino che sarebbero un po’una seccatura»
disse il russo, voltandosi nel sentire Emerald mugugnare
«Finalmente».
«Si
sta già svegliando?» si stupì Rain.
«Nulla
di cui stupirsi, dovrebbe sapere che
sua cugina ha certa una tempra. Vale anche per il
cloroformio» disse Warsman.
Emerald
aprì gli occhi e, bofonchiando
improperi, iniziò a massaggiarsi le tempie. «Ma
dove cavolo sono?...»
«Nel
salotto in cui hai fatto danni poco fa»
disse Rain.
«Ma
tu chi sei? Ah, no, sì, lo so chi sei…
ciao, Rain…»
“Ciao
un corno” pensò la donna.
«Alla
buonora, razza di idiota alcolizzata che
non sei altro!» sbottò Warsman, rivolto a Emerald
«Ti rendi conto che hai fatto
un disastro nel salotto di tua cugina?!»
«Sorcio?»
Emerald aggrottò la fronte «Tu che
ci fai qui?»
«Una
vacanza al mare!»
«Qui
non c’è il mare, genio»
sbuffò la
Lancaster, stiracchiandosi.
«Ma
no, davvero?!... renditi conto che sono
dovuto venire qui dall’Argentina per colpa tua! Sei salita in
aereo ubriaca e
hai bevuto di nuovo!»
«Eh
no, allora quando gli ho sparato non lo
avevo preso, ricordavo bene» disse Emerald tra sé
e sé.
Warsman
si alzò dal divano. «Sentimi
bene, TU-»
«Non
azzardatevi a mettervi a discutere e
distruggermi casa» li avvertì Rain
«Altrimenti prendo il bazooka e vi sparo,
così se non altro sarò io a
spaccare le mie cose! E non sto
scherzando!»
«Sì
ma stai calma… io tutto questo disordine
qui nel salotto non lo vedo» commentò Emerald
«Sei sempre quella dei
sottobicchieri, neh?»
«Magari
non lo vedi perché nel frattempo ho
fatto ripulire il disastro. Selvaggia».
«Snob».
«Naturale
che a una selvaggia sembri “snob” la
normalità» replicò Rain.
“Ti
prego fa’ che non finiscano a litigare
un’altra volta!” pensò Billy, facendo
saettare lo sguardo da una all’altra.
«Ora
ricordo perché non sono mai venuta a
trovarti neppure una volta in dodici anni» disse Emerald,
innervosita «Hai
ancora la scopa nel culo e la vita noiosa che avevi a quei
tempi!»
«Se
l’alternativa è essere un’alcolizzata
che
spara al suo compagno e prende un aereo per andare a rompere
l’anima alla
povera gente, con annessa fila infinita di figure di merda delle quali
immagino
ti importi poco essendo la selvaggia che sei, allora mi tengo
volentieri la
vita noiosa. Ora vi accompagno all’aeroporto, prima tornate
in Argentina meglio
è».
Un
discorso che valeva sia per sé stessa, sia
per Emerald e il suo compagno: con la sua tendenza a combinare disastri
non era
difficile immaginare Emerald finire chissà come in mezzo ai
transformers,
magari la fazione più detestabile delle due. Sebbene sua
cugina fosse una
rompiscatole voleva cercare di evitarle un rapimento, se poteva.
«Sono
d’accordo. Ma come mi è saltata in mente
la brillante idea di venire qui?!» borbottò
Emerald, riappropriandosi del
marsupio. Il borsone era ancora in macchina.
«Cosa
ti sia saltato in mente è quello che mi
chiedo anche io ogni volta che ti viene un’idea qualsiasi,
perché non ce n’è
nessuna che abbia un minimo di senso» disse Warsman.
«Io
perlomeno ho un cervello che mi consente
di averle, le idee!» ribatté Emerald.
«E
con che risultati!»
I
due, sempre battibeccando, uscirono di casa.
Rain
fece un lungo sospiro. «Ci vediamo tra
poco, Billy».
«Mi
chiedo perché non li lasci andare da
soli…»
«Perché
io, con la mia velocità, arrivo
all’aeroporto molto prima di qualunque corriera»
disse Rain «L’ho detto prima
ma ti avviso di nuovo: se chiunque frequenti la base viene a chiamarti,
la
risposta è “no”».
Detto
questo raggiunse la coppietta, fece
salire Emerald sul sedile del passeggero della decappottabile e Warsman
sul
sedile posteriore.
«La
ringrazio per il passaggio» disse questi,
allacciandosi la cintura.
«Ne
gioviamo tutti» fu la risposta di Rain
mentre metteva in moto l’auto e partiva.
«Tutti
tranne la tua simpatia» commentò
Emerald «Dovresti provare a fare qualcosa di divertente ogni
tanto. Hai un
fidanzato o sbaglio? Vai da lui e usalo!»
Una
brusca frenata avrebbe fatto battere la
testa di Emerald contro il vetro, se non fosse stato per i suoi
riflessi da
lottatrice addestrata. La costituzione apparentemente delicata, nel
tempo,
aveva tratto in inganno molti sprovveduti.
«E
tu hai una cintura» disse Rain «Usala».
«A
te manca qualche rotella» concluse Emerald,
allacciandosi però la cintura.
Il
viaggio procedette relativamente tranquillo
per i primi sette minuti, frecciate parentali a parte, e infatti
nonostante la
velocità su strada tipica di Lancaster e affini -molto oltre
il limite- Warsman
avrebbe potuto perfino dire di starsi rilassando. Quando Emerald,
durante un
altro battibecco, si mise a infastidire Rain cambiando a caso la musica
e finì
nella cartella dell’hardbass, si sarebbe anche potuto
azzardare a dire che lo
stava gradendo un po’.
Solo
che in seguito, poco dopo essere giunti
nella parte di Lincoln dove gli edifici iniziavano a diradarsi in
favore di
strade costruite tra gli ammassi rocciosi tipici della zona, il rumore
prolungato prodotto da un mezzo pesante dietro di loro lo spinse a dare
un’occhiata allo specchietto retrovisore.
“Un
carro armato verde e viola… non l’avevo
intravisto poco fa, nel tunnel di un pezzo di strada ancora in
costruzione?”
pensò.
«Una
volta i tank li coloravano in modo un
po’più sobrio» commentò il
russo.
Si
inquietò quando vide le spalle di Rain
irrigidirsi leggermente.
«C’è
un motivo particolare per cui ha fatto
quest’affermazione?» gli domandò la
donna.
«Mi
sa che è per il tank verde e viola che è a
varie decine di metri dietro a noi» disse Emerald, dopo
essersi voltata a
guardare.
«Verde
e viola» ripeté Rain.
«Non
è esattamente bellis-»
«Ci
mancava solo lui oggi, MALEDETTISSIMO
CORNUTO!» sbraitò Rain, interrompendo la
cugina «Fa’ che diventi più grande
io o più piccolo lui e ti giuro che lo scuoio! Lo scuoio
anche se non ha la
pelle!... e va bene» concluse, agguantando il volante con
più forza «Voi due
tenetevi forte, dobbiamo provare a seminarlo, in caso contrario
potremmo avere
qualche problema».
Senza
dare a Emerald e Warsman neanche il
tempo di dire “Ok”, Rain premette
sull’acceleratore arrivando a sfiorare i
centosessanta chilometri orari. Non era raccomandabile su quel tipo di
strada
ma era sempre meglio dell’alternativa.
«Si
può sapere chi c’è in quel coso e
perché
ti insegue?!» gridò Emerald, abituata a quel tipo
di velocità ma incredula di
trovarsi inseguita da qualcuno in un carro armato che ce
l’aveva con sua
cugina, quella con la “vita noiosa”.
«SOS,
il cornuto ci attacca, avete l’occasione
di localizzarmi e rendervi utili per una volta nella vostra
esistenza» disse
Rain, ignorando Emerald e auspicando che Laserbeak potesse davvero
sentirla.
«Credo
che la domanda vera sia se a inseguirla
è qualcuno nel tank o il tank stesso»
asserì Warsman, memore di quel che Rain
aveva detto sui robot giganti guerrafondai che diventavano mezzi di
trasporto.
«Ma
che vai blaterando, Sorcio?!... e quanto
va veloce quel coso?!» aggiunse Emerald, notando che il tank
aveva accorciato
le distanze nonostante l’accelerazione.
«Troppo.
In questo momento vorrei che ci fosse
Prime al posto suo» borbottò Rain «Con
la sua lentezza non avremmo problemi a
scappare».
“E
spero che si muova ad arrivare, per una
volta che deve” pensò.
La
fitta serie di curve strette fatte a una
velocità che ormai aveva quasi toccato i centottanta
chilometri all’ora le fece
ringraziare il cielo per aver deciso di non portarsi appresso Billy.
Notò
che ormai avevano lasciato Lincoln, non
c’erano più edifici, solo strade e montagne, e se
da un lato era positivo
perché gli Autorobot avrebbero potuto muoversi
più agevolmente, dall’altro…
«QUELLO
SCHIZZATO PARANOICO STA ABBASSANDO
IL CANNONE!» urlò Emerald.
Appunto.
Rain
fu costretta a spostarsi sull’altra
corsia per evitare il colpo di cannone laser che si abbatté
sulla strada,
riducendo quel tratto in pezzi.
«Io
prima o poi gli faccio MALE a
quella blatta castrata furbyfobica!» strillò Rain.
«Miss
O’Connell, quello che ci sta inseguendo
è uno di quegli alieni di cui parlava oppure no?!»
tornò a incalzare Warsman.
«Quali
alieni?!» si stupì Emerald.
«Ne
ho accennato mentre tu dormivi. Purtroppo
sì» confermò Rain, costretta a cambiare
nuovamente corsia per evitare un altro
colpo «Mi sono trovata in mezzo ai loro casini quando lo
stronzo dietro a noi
ha fatto rapire me, Billy e il suo amico, che per inciso non
c’entravamo
niente. Anche questo è un motivo per cui non ero felice di
avervi qua, avevo
temuto che poteste finire coinvolti anche voi. Ho provato a chiedere
aiuto ma
ancora non si vede nessuno… e comincio a pensare che
nonostante le chiacchiere
sul proteggere tutti, quelli che dovrebbero occuparsi del tizio qui
dietro non
si faran-» fu costretta a zigzagare tra due colpi
«Non si faranno vedere
proprio».
Lo
sguardo della donna cadde alla sua
sinistra. C’erano due metà, che ancora non si
toccavano, di una strada
sopraelevata un po’in discesa e ancora in costruzione. Decise
di raggiungerle
e, dopo una sterzata improvvisa, schiacciò il pedale
dell’acceleratore fino in
fondo.
«Vuoi
cercare di saltare dall’altra parte?»
domandò Emerald a Rain, con una calma quasi assurda in
quella situazione.
«Potrebbe
servirci per seminarlo. Auguriamoci
di farcela».
Warsman
si inserì nella conversazione. «Dai
calcoli che ho fatto» grazie al suo cervello-computer
«Potremmo farcela. Non
rallenti per nessun motivo, ormai possiamo solo saltare!»
Rain
lo sapeva benissimo, però non disse nulla
e strinse il volante con più forza percorrendo a
velocità folle i pochi metri
che mancavano al salto.
La
sensazione che provò quando l’auto
abbandonò la strada, restando sospesa in aria per quei brevi
istanti a sfidare
la forza di gravità a suon di voglia di vivere, ignoranza e
hardbass prima di
atterrare dall’altra parte, fu indescrivibile, ma non in modo
piacevole.
Non
per lei, almeno, perché Emerald invece
aveva fatto uno strillo fin troppo divertito.
“Selvaggia”
pensò Rain.
L’automobile,
nuova e resistente, resse bene
il colpo dell’atterraggio, tanto che la donna poté
farla ripartire a razzo dopo
meno di tre secondi. Più distanza riusciva a mettere tra
loro e Megatron,
meglio era.
«Non
pensavo che in un posto così potessero
succedere certe cose» disse Emerald, eccessivamente
entusiasta «Mi sa che devo
rimangiarmi quello che ho detto sulla vita noiosa, ti diverti come una
matta
qua! Altro che candele in giara e sottobicchieri!»
«Io
non mi diverto affatto! Se non altro
dovrebbe essere finita cos-»
L’automobile
sobbalzò. Qualcosa di molto
pesante doveva essere appena atterrato sulla strada, e tutti e tre
temevano di
sapere cosa fosse.
Emerald
e Warsman erano più che abituati alle
stranezze ma sentire un carro armato fare una risata malvagia faceva un
certo
effetto.
«Un
carro armato super pesante che salta da
una parte all’altra di una strada in costruzione…
sicura che sia alieno e non
sia solo un true slav?» domandò Emerald a Rain.
«Non
ti rispondo nemmeno! Piuttosto, sei in
grado di usare un bazooka?»
«Ma
per chi mi hai presa?! Sono una Lancaster,
ovvio che so usare un bazooka!»
«Nikolai,
cortesemente, so che siamo in
movimento ma pensa di riuscire a dare a Emerald il mio bazooka?
È sotto il
sedile posteriore» disse Rain «È
già carico ma ci sono anche delle munizioni in
più. Può distruggere tutto il sedile se serve a
fare prima, tanto i soldi per
ripararlo li ho».
Pensando
a quanto fosse peculiare il concetto
di normalità per certe persone, Warsman tirò
fuori gli artigli di entrambe le
mani e distrusse parte del sedile posteriore, tirando fuori il bazooka.
«Eccolo».
«Oooooh,
questo è un pistolone come quelli che
piacciono a me» disse Emerald, agguantando l’arma
dopo essersi voltata verso il
compagno «Altro che il poco che vedo da an-»
«Spara
alla strada e non perdere tempo!» la
interruppe seccamente il russo.
«Non
è meglio sparargli nel cannone? Perché
alla strada?! Non c’è paragone!»
«Allora
non ti sei ancora svegliata del tutto…
spara alla strada! Fallo e basta!»
Emerald,
una volta tanto, decise di dare ascolto
al proprio compagno, sparando a un punto della sopraelevata a poca
distanza dal
loro inseguitore.
«“Prendi
questo, brutto figlio di puttana”!»
esclamò Emerald, come fosse stata in un film
d’azione americano di serie Z.
Il
colpo ottenne l’effetto sperato da Warsman
perché, dopo un’esplosione, il tratto di
sopraelevata su cui si trovava il
carro armato precipitò con gran fragore assieme a tutto quel
che c’era sopra.
Rain,
impegnata a guidare e quindi
impossibilitata a voltarsi, assistette alla caduta di Megatron grazie
allo
specchietto retrovisore. La cosa minacciava di farla sorridere.
«Bel colpo,
Emerald».
«Senza
dubbio!... adesso ho capito perché mi
hai fatta sparare alla strada» disse la ragazza a Warsman.
«Ci
saresti potuta arrivare anche da sola, se
non ti fossi fissata col cannone!»
«In
quel modo gli avrei fatto più male»
ribatté Emerald, notando che la sopraelevata era finita ed
erano sbucati in una
parte di strada che si snodava nel deserto «Rain, da
quant’è che questo coso è
qui? E ho capito bene, ce ne sono altri?»
«Di
questi grossi ce ne sono otto ed è
possibile che ne arrivino altri in futuro. Lo dico perché so
della loro
presenza sul pianeta da sole tre settimane e in questo lasso di tempo
è
arrivato l’ottavo, che se non altro sta con i
“buoni”, alias quelli che
avrebbero dovuto darci una mano. Esseri inutili».
«Se
sanno cosa pensi di loro ci credo che non
ti hanno cagata di striscio» commentò Emerald
«Di’ ma tu in tutto questo non
hai chiesto aiuto a…» pensando al padre,
perché era a lui che si riferiva, si
incupì un po’ «A…
sì, beh, a chi te lo può dare?»
Rain
non fece in tempo a rispondere, perché il
rumore dei passi di qualcosa di enorme che si stava avvicinando di
corsa fece
voltare Emerald e Warsman, che si trovarono davanti per la prima volta
un
cybertroniano trasformato.
«Pensavate
che bastasse così poco per
liberarvi di me?!»
Sembrava
proprio che Megatron non avesse la
minima intenzione di lasciar perdere, complice anche la caduta subita.
«Invece
di rompere le palle a noi torna dalla
moglie, che le corna ce l’hai già grosseeeEEEEEEE!»
strillò
Emerald, riferendosi alle corna dentellate del transformer
«Rain, quello ce
l’ha una moglie?»
Per
un breve attimo, sentendo parlare di corna
da parte della moglie, Megatron ebbe qualcosa di simile a una
sensazione di
dejà-vu.
Il
che era strano, perché lui non aveva una
moglie.
Rain
fece una smorfia. «Ma chi lo vuole a quel
mentecatto?»
“Ma
tacete una buona volta, brutte lavascale!”
pensò il transformer, mirando all’auto col cannone.
«Lei
pensi a guidare e tu, Emerald, spara
invece di fare domande idiote!» sbottò Warsman,
passandole una delle munizioni.
«Se
ti sbrigassi a passarmele lo farei anch-eeeeeeh!»
strillò Emerald, costretta ad aggrapparsi al sedile per
colpa di una sterzata
di Rain, fatta per evitare un colpo di Megatron che si era avvicinato
fin
troppo «Ingoia questo, stronzo!»
La
giovane Lancaster sparò al nemico mirando
dritto al petto, tuttavia il razzo venne intercettato da un colpo laser
di
Megatron, diventato abbastanza avvezzo ad avere chi gli sparava addosso
grazie
a milioni e milioni di anni in guerra.
«Dovete
fare di meglio» commentò, dopo una
risata «Non che ci si possa aspettare qualcosa di
più da dei piccoli umani
insolenti».
«Non
lo abbiamo seminato, non arrivano aiuti,
se noi continuiamo a fuggire lui continuerà a inseguirci
finché non finirà la
benzina e non riusciamo a colpirlo. Servirebbe qualcosa per
distrarlo… se
avessi un furby saremmo a cavallo» borbottò Rain.
«Miss
O’Connell, riuscirebbe ad avvicinarsi a
quel tizio e a fare un testacoda davanti a lui senza che
l’auto venga colpita?»
le domandò Warsman, a sorpresa «Penso di poterlo
distrarre io mentre Emerald
spara».
Rain
diede un’occhiata alla cugina. «Devo
farmi domande?»
«Nah».
«E
allora andiamo» concluse, facendo
un’inversione a U per poi dirigersi verso Megatron a tutta
velocità.
Non
aveva idea di cos’avesse in mente Nikolai
Volkoff, ma aveva anche l’impressione che le cose non
potessero peggiorare, per
cui tanto valeva fare un tentativo e sperare di non morire in modo
troppo
doloroso.
«Vi
siete arresi, finalmente, avete capito di
non avere speranze di scamparla! Ottimo, così risparmiamo
tempo» ghignò
Megatron «E ora a noi!»
Nessuno
dei colpi che sparò in rapida
successione tuttavia andò a segno, e l’automobile
si avvicinava sempre più e a
una velocità sempre più assurda.
La
musica hardbass in cui Emerald era
incappata prima, e che era stata sfondo dell’intera azione,
pompava ancora
nelle casse dell’automobile sportiva.
«Miss
O’Connell, si prepari al testacoda… e
già che c’è alzi il volume!»
@@@
Nel
tunnel in cui Warsman aveva intravisto
Megatron prima dell’attacco, la battaglia tra Autorobot e
Decepticon era
durissima e assolutamente a sfavore di questi ultimi: Hot Shot aveva
ancora la
Spada Stellare ben salda in mano, cosa che aveva causato ai Decepticon
sconfitte su sconfitte in quella settimana, Megatron era sparito
chissà dove a
fare chissà cosa -alla faccia del “Sistemo una
cosa e torno subito”. Che avesse
voluto togliersi di torno sapendo che per colpa della Spada avrebbero
perso?,
iniziavano a chiedersi- e, come se il resto non fosse bastato, il
segnale di un
Minicon attivo che avevano captato era stato solo un falso allarme. Non
c’era
proprio niente in quel posto, avevano scavato per nulla e le stavano
anche
prendendo, le cose non sarebbero potute andare peggio.
«Ma
dov’è andato a finire Megatron?! Ci ha
mollati qui!» esclamò Cyclonus, nascosto dietro
dei pezzi di roccia crollati a
terra per colpa della battaglia.
«Parla
di meno e spara di più!» lo rintuzzò
Demolisher, cercando di mettere in pratica quel che aveva detto col
solo
risultato di venire colpito in pieno da Smokescreen «Aiuto,
Megatron!...»
«Non
abbiamo bisogno di lui, possiamo fare da
soli se vi decidete a combinare qualcosa di serio!»
dichiarò Starscream, con la
propria spada in mano, lanciandosi contro Hot Shot
«Forza!»
Hot
Shot, con una sicurezza data più che altro
dalla Spada Stellare, parò l’affondo di Starscream
senza sforzo alcuno e con un
sorrisetto. «Però sei testardo, eh? Non avete
ancora capito che non potete più
fare nulla contro di noi? Non avreste potuto nemmeno se ci fosse stato
Megatron!» affermò il giovane Autorobot,
incrociando la propria lama con quella
dell’avversario «Arrendetevi e basta!»
Nonostante
il bailamme, a Optimus Prime non
sfuggì il fatto che ci fosse una comunicazione in entrata da
parte della base.
«Ragazzi, cosa succede?»
“Megatron
non può essere entrato nuovamente.
Ora c’è una protezione che glielo
impedisce” pensò.
– Qui
alla base è tutto ok –
disse Carlos – Ma abbiamo
ricevuto in ritardo un SOS da parte di
Rain, Megatron la stava attaccando! –
«Cosa?!»
trasecolò Optimus.
Ecco
spiegata l’assenza di Megatron, come
sempre abilissimo a mettere in pratica tutto quel che poteva ingrossare
le
spine che Optimus aveva già nel fianco, perché se
fosse sopravvissuta
all’assalto si sarebbe incattivita ancora di più,
e se fosse morta… no, non
poteva permettersi neppure di pensare a qualcosa del genere come un
fatto
positivo. Andava contro la sua etica e comunque era possibile che
quella donna
avesse progettato chissà cosa in caso di morte prematura.
– Forse
l’avremmo sentito in tempo se qualcuno non
fosse riuscito a danneggiare Laserbeak usandolo come GoPro e riuscendo
a
caderci sopra…–
– Rad,
evita, mi sembra di sentire
Alexis! Per fortuna non è ancora
arrivata… –
«Avete
idea di dove si trovi Rain al
momento?!»
– A
relativamente poca distanza da
voi, ti invio subito le coordinate. Siete riusciti a prendere il
Minicon? –
«Non
c’erano Minicon da prendere» replicò
Optimus «Autorobot! Ritiriamoci dalla battaglia, è
inutile restare qui, c’è
bisogno di noi da un’altra parte!»
@@@
«…
e già che c’è alzi il volume!»
Rain
lo accontentò senza fare storie,
preparandosi al testacoda dopo aver evitato l’ennesimo colpo.
La distanza
rispetto a Megatron diminuiva sempre di più, se questi
avesse fatto due passi
avrebbe potuto raggiungerli e cercare di polverizzarli sotto un piede.
«ADESSO!»
urlò il russo.
La
donna obbedì ancora una volta, lanciandosi
nel testacoda più folle e rischioso della sua intera
esistenza. Il rumore
dell’azione coprì quello dell’hardbass,
riuscì perfino a sentire la puzza di
gomma bruciata e per un attimo temette che avrebbe perso il controllo
della
vettura, tuttavia riuscì a rimanere salda al volante e,
quando l’auto si fermò
e alzò lo sguardo, la scena che vide fu incredibile.
Nonostante
fosse controluce poteva distinguere
bene la figura del lottatore che, sfruttando la spinta del testacoda,
aveva
compiuto un salto impossibile destinato a farlo atterrare dritto in
faccia a
Megatron.
«è un
pazzo» disse.
«è un
russo!» esclamò Emerald, con
un’espressione quasi orgogliosa.
Rain
riuscì perfino a distinguere, tra i
tanti, il suono del respiro di Volkoff: un suono pesante, artificiale,
che di
umano non aveva proprio nulla.
«KO~HO!~»
Quando
poi lo vide affondare gli artigli
-aveva degli artigli!- nel volto del
nemico, penetrandolo come se
fosse stato di burro mentre cercava di raggiungere gli occhi e al
contempo
evitare di essere colpito e scagliato via, capì
perché suo zio Howard lo
definiva una macchina assassina e una bestia. Se riusciva a danneggiare
uno
come Megatron, solo il cielo sapeva cos’avrebbe potuto fare a
qualcosa di più
piccolo e meno metallico.
In
ogni caso, concluse, la natura di Nikolai
Volkoff non contava nulla in quel caso: uomo, bestia o macchina
assassina,
importava solo che fosse dalla sua parte.
E
che fosse terrestre, anche quello.
«Che
cosa diavolo sei?!» sbaritò il leader dei
Decepticon, cercando inutilmente di togliersi dalla faccia
quel… coso.
Non
sapeva bene come identificarlo, i suoi
sistemi suggerivano che fosse un robot e che allo stesso tempo non lo
fosse, ma
quel che importava era che gli stesse massacrando la faccia senza che
lui
riuscisse a liberarsene. Quel mostriciattolo sgusciava tra le sue dita
con
impressionante facilità, e rischiare di darsi un pugno da
solo non era il caso.
«POR-CE-LLO!
POR-CE-LLO! POR-CE-LLO!»
strillò Emerald, nemmeno fosse stata allo stadio e incurante
della sillabazione
errata.
«MUOVI QUELLE
CHIAPPE SECCHE E SPARA,
IDIOTA!» urlò Warsman, cercando di
raggiungere l’occhio sinistro del
transformer.
«MEGLIO
SECCHE CHE MOSCEEEEEE!»
Rain
sollevò un sopracciglio ma non disse
nulla: ci aveva rinunciato.
Si
sentì il rumore di un colpo di bazooka che
partiva, di nuovo diretto verso il petto di Megatron, che
però riuscì a
evitarlo per pura fortuna nel cercare di togliersi di dosso Warsman.
Tutti quei
movimenti lo portarono più vicino all’auto, che
Rain fu costretta a far
scattare di lato per evitare di finire calpestata.
«Mira
dove puoi colpirlo meglio e gli fai più
male!» esclamò la donna, cercando di non farsi
accecare dalla polvere «Lascia
perdere il petto, è protetto troppo bene»
sterzò a sinistra, evitando
nuovamente di essere schiacciata.
«Allora
devo puntare dentro il cannone,
ho capito» disse Emerald, ricaricando il bazooka.
«Cannone
un corno, punta all’inguine!» esclamò
Rain «Prendiamo due piccioni con una fava atterrandolo e
impedendogli di
riprodursi, l’Universo ringrazierà».
Il
tentativo di Megatron di calciare via
l’auto stavolta fu più deciso, e lo spostamento
d’aria fece perdere a Rain il
controllo dell’auto per qualche secondo.
Fu
proprio in quel momento che il leader dei
Decepticon riuscì ad afferrare Warsman e strapparselo via
dal volto. Quella creatura
era riuscita a danneggiare uno dei suoi sensori ottici, ma
l’avrebbe pagata
cara assieme alle due donne. Strinse la metà superiore del
russo con la mano
sinistra e quella inferiore con la destra, decisissimo a romperlo in
due senza
tanti complimenti.
«Qualunque
cosa tu sia, hai voluto combattere
qualcuno di troppo potente per te!» ringhiò, e nel
frattempo sollevò una gamba
per cercare nuovamente di schiacciare l’auto.
«Porcello!
NO!» strillò Emerald,
decidendosi sparare e basta nonostante la visibilità ridotta.
Il
clangore metallico che sentirono fu seguito
da una violenta esplosione. Vedendo il transformer in procinto di
schiantarsi
su di loro e avendo ripreso il controllo, Rain mise la retromarcia e
cercò di
togliersi di mezzo il prima possibile. Notò solo a stento
che in tutto ciò
qualcosa di grosso era caduto -o saltato- sui sedili posteriori
dell’automobile.
«Ora
posso aggiungere “battaglia contro un
robot gigante” al mio curriculum» disse Warsman,
alias il “qualcosa di grosso”
«Anche se non ci tenevo particolarm- ahio! Puttanella
manesca!»
«Ti
sei fatto prendere e ti ha quasi rotto in
due, ti rendi conto?!» lo rimproverò Emerald,
arrabbiata per la preoccupazione
avuta.
Una
volta riusciti a mettersi in salvo
poterono assistere allo schianto finale del possente transformer sul
terreno.
“Ma
dove l’ha colpito Emerald?!” si chiese
Rain.
Le
fu tutto chiaro quando la polvere iniziò a
depositarsi.
Una
volta Rain aveva augurato a Megatron che
gli sparassero un razzo dritto nel posteriore e, che dire, sembrava che
Emerald
fosse riuscita a fare qualcosa di simile colpendolo tra la fine di una
“natica”
robotica destra e l’attaccatura della gamba.
L’esplosione però aveva
danneggiato anche un po’ tutto quel che c’era
attorno, quindi doveva sicuramente
star provando un certo dolore.
«Ben
ti sta» sentenziò Rain.
Si
irrigidì nuovamente sentendo passi pesanti
di più persone, ergo alieni, in avvicinamento. Non erano
ancora in vista ma non
mancava troppo ormai, quindi decise di ingranare la marcia e filare via
a tutta
birra, lasciando dietro di sé Megatron e chiunque altro
fosse in arrivo.
«Forse
che l’abbiamo scampata. Complimenti per
il sangue freddo e per… beh, tutto quanto. Mi pare che
stiate bene entrambi,
giusto? Mi spiace che siate finiti in mezzo a questo casino ma tornando
in
Argentina credo che non dovreste avere problemi».
«Tu
però devi cercare aiuto o cercare di
cambiare i rapporti con chi te lo dovrebbe dare, altrimenti andrai a
finire
peggio che male» disse Emerald «Sei un
po’snob ma non ti voglio morta».
«Quando
sono venuto qui avevo immaginato tutto
eccetto questo. Sembra che Lancaster e affini siano destinati a essere
sempre
in mezzo a qualcosa» osservò Warsman
«Cerchi di restare in vita, Miss
O’Connell».
Ci
avrebbe provato.
Quello
era poco ma sicuro.
@@@
«Credo
che siamo arrivati tardi».
Subito
dopo quell’uscita, Optimus si diede da
solo del “Capitan Ovvio”. Erano arrivati tardi
eccome, e purtroppo era stato
Megatron ad aver avuto la peggio.
Quello
di Optimus poteva sembrare un pensiero
strano dal momento che era venuto lì per battersi con lui e
salvare Rain, ma
diventava meno strano pensando che Rain, dopo quell’episodio,
avrebbe
considerato lui e gli Autorobot ancor più inutili di quanto
li considerasse
già.
Salvandola
eroicamente dal nemico avrebbe
dimostrato che non era così, avrebbe dimostrato che lui e
gli Autorobot erano
elementi indispensabili alla salvaguardia dell’Universo
intero, che non
volevano il male di alcun terrestre e anzi erano prontissimi a
intervenire in
sua difesa in qualunque momento e che quindi era proprio necessario che
tra loro ci fosse pace e non ci fossero intralci di alcuna natura da
parte del
resto dell'umanità.
Peccato
che ormai non potesse fare nulla di
tutto ciò, perché Rain lo aveva atterrato
sparandogli in un punto delicato e
particolarmente soggetto a possibili danni.
«Quei
maledetti… quei dannati, me la
pagheranno, me la pagheranno tutti e tre, lei per prima!»
ringhiò Megatron, che
vedendo gli Autorobot aveva comunque tentato di alzarsi e rimanere
dignitosamente in piedi -con un minimo di successo, va detto:
barcollava ma non
mollava.
«Non
pensarci neppure, Megatron! Non c’è
ragione di mettersi a litigare con gli umani, siamo noi Autorobot i
tuoi
nemici, e ora ritirati, non hai più nulla da fare
qui!» gli intimò Optimus, che
però aveva in mente tutt’altro.
“Tutti
e tre? Rain quindi non era da sola?!
Poveri Billy e Fred, se erano con lei dev’essere stata
un’esperienza orrib… un
momento… se lei era alla guida significa che è
stato Billy a sparare a
Megatron?! Non mi risulta che sappia usare un bazooka, non ancora, e
Fred
tantomeno. Ma poi” notò i danni sul volto di
Megatron “Come hanno fatto a
ridurgli il volto così?!”
«Decido
io quali sono i miei nemici, Prime» ribatté
Megatron, prima di aggiungere con riluttanza
«Decepticon… ritirata».
Mentre
il teletrasporto faceva il proprio
dovere, concluse che ai propri uomini avrebbe detto di essersela vista
da solo
con tutti gli Autorobot in quel breve lasso di tempo. Loro erano in
quattro e
Hot Shot aveva anche la Spada Stellare, la storia era abbastanza
credibile. Già
che c’era avrebbe sbraitato contro tutti quanti per non
essere giunti
immediatamente sul posto e non aver partecipato al
combattimento che non
c’era stato. Era più dignitoso della
verità, alias essere stato ridotto in
quel modo da due femmine umane e un mostriciattolo non meglio
identificato.
«Andato
via senza combattere… beh, era già
ridotto male di suo» osservò poi Smokescreen
«Certo che Rain è veramente
tremenda».
«Se
l’ha attaccata lui, se l’è cercata!
Peccato non avergliele potute suonare anche io» rimpianse Hot
Shot, mulinando
la Spada Stellare. Da quando ce l’aveva era talmente sicuro
di sé da cadere, a
volte, nell’arroganza.
«Hot
Shot… avere la Spada Stellare non ti
rende imbattibile, ricordalo. Può essere che un giorno
Megatron pensi a un modo
per strappartela di mano. Resta sempre un nemico pericoloso»
disse Optimus.
«Talmente
pericoloso che Rain lo ha sistemato
sparandogli a una chiappa, ma dai! Comincio a non capire
com’è possibile che
non abbiamo già vinto, voglio dire, tra questo e la
Spada-»
«Hot
Shot, potremmo iniziare a pensare che
possedere quell’arma ti faccia più danni di quanti
benefici porta» lo
interruppe Red Alert «E comunque Rain non era da sola,
è una questione che va
approfondita».
«Sono
d’accordo. Torniamo alla base!»
Il
viaggio di ritorno fu abbastanza rapido e
per un pezzo tutto quel che si poteva sentire erano i rumori dei loro
motori e
i borbottii di Hot Shot. Poi a Optimus venne un’idea, ossia
quella di
contattare Billy e Fred per sapere dov’erano e come stavano.
Forse i loro
cellulari funzionavano e, soprattutto, contrariamente a Rain gli
avrebbero
risposto. Tentò prima con Billy.
«Billy,
qui è Optimus Prime. Va tutto bene,
ovunque ti trovi?»
– Sì sì,
qui a casa tutto
bene. Perché? Ehm… se stai per dirmi che dovrei
venire alla base ti avviso che
non posso, prima di uscire Rain mi ha detto di non muovermi da qui.
–
– Ehi
Optimus, ci sono anche io! È
successo qualcosa? –
Billy
e Fred erano in casa di Rain ed erano
tranquillissimi, dunque non erano loro ad averla aiutata contro
Megatron. In
parte ne fu sollevato ma… allora chi era stato? Chi altri
sapeva della loro
esistenza per colpa delle azioni scriteriate di Megatron?!
Un
interrogativo che continuò a perseguitarlo
anche giunto alla base, dove captò la conversazione di
Alexis, arrivata sul
posto da meno di un minuto.
«…
non sarà snob come sua cugina ma anche
Emerald è completamente fuori di testa, chissà
cosa staranno combinando lei e
Rain adesso!... oh, ciao Optimus!» sorrise la ragazzina,
vedendolo avvicinarsi
«I ragazzi mi hanno accennato detto che eravate in missione,
com’è andata?»
«Nulla
di fatto, i Decepticon cercavano un
Minicon che non c’era. Piuttosto, di cosa stavi parlando? Mi
è sembrato che
c’entrassero dei parenti di Rain».
«Ho
conosciuto sua cugina che è arrivata in
città e la cercava… una pazza che beve troppo e
ha sparato al suo compagno, da
quel che ho capito! Non c’è nessuno di normale in
quella famiglia, è una cosa
incredibile!» esclamò Alexis, senza avere tutti i
torti.
«Ed
ecco la seconda dei tre» disse Optimus.
«Eh?»
«Megatron
ha attaccato Rain e altre due
persone. L’SOS è arrivato in ritardo, ha avuto la
peggio…»
Alexis
guardò male Rad e Carlos. «Perché non
me l’avete detto, voi due?!»
«Ci
abbiamo provato ma hai fatto mettere due
parole in fila per miracolo, amiga!»
«Sì
beh… un po’ mi dispiace per Billy, se lei
ha avuto la peggio ed è in ospedale ora non ha nessuno a
occuparsi di lui,
poverino» sospirò Alexis.
«Temo
che tu abbia frainteso: ad avere la
peggio è stato Megatron. Lo abbiamo trovato ferito lungo la
strada».
I
ragazzini, ammutoliti, si scambiarono
occhiate.
«Ma
Billy e Fred…» avviò a dire Carlos.
«Non
erano con lei. Credo che io e Rain
dovremo avere una lunga conversazione
sull’accaduto» disse Optimus, senza alcun
entusiasmo «Principalmente riguardo il mantenimento del
nostro segreto. Se
risponde, forse è meglio togliersi subito il
pensiero».
Provò
a contattarla. Sapeva dei suoi problemi
col cellulare, però ormai i Decepticon non erano
più in giro, quindi avrebbe
dovuto ricevere tranquillamente la chiamata.
– Sì?
Chi è?
Era
scocciata ma, come Optimus immaginava,
sembrava star bene. «Rain, qui è Optimus Prime.
Abbiamo ricevuto il tuo SOS in
ritardo e non abbiamo fatto in tempo a intervenire, spero che vada
tutto bene.
In ogni caso credo che dovremo parlare di chi c’era con te,
dato che-»
– Salvatore
e difensore del nulla, tu
e le tue chiacchiere siete talmente inutili che non valete neanche i
miei
insulti.
Detto
questo, Optimus sentì Rain terminare la
chiamata.
«Poteva
andare peggio… forse» disse il mech.
In
futuro avrebbe scoperto di avere ragione,
ma in quel momento non ne era poi così convinto.
Intanto,
in piedi su una roccia nel deserto
che era stato teatro della battaglia tra Megatron e i tre umani,
Scavenger
lasciava che il vento accarezzasse la sua vecchia cappa marrone scuro.
«Pare
che tutto sommato sappiano difendersi,
questi umani…»
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Capitolo 11 *** Pioggia di ''quella donna è pazza!'' ***
10
PIOGGIA
DI “QUELLA DONNA È PAZZA!”
«Non
lo ha ancora mandato
via, Billy?»
«Pare
di no, Fred! Questo è un record di permanenza aliena in
giardino!»
«Beh
ragazzi mi sa che è un bene che almeno Hot Shot ci
riesca…»
Billy,
Fred e Carlos erano tutti quanti nella piscina di
Rain. Al momento però non nuotavano, intenti piuttosto a
osservare una
conversazione che, per gli standard di Rain con gli alieni, era
piuttosto
tranquilla.
Hot
Shot aveva accompagnato lì Carlos, che Billy, dopo aver
chiesto il permesso a Rain con tre giorni d’anticipo, aveva
invitato a casa
propria. L’invito in verità era stato esteso anche
a Rad, tuttavia questi aveva
rifiutato per colpa del dentista: togliere due denti del giudizio non
era un’idea
gradevole ma era necessario, aveva detto.
C’era
solo da domandarsi se fosse vero o se quella del
dentista fosse una scusa per non lasciare “da sola”
-per modo di dire, data la
presenza di Autorobot e Minicon- Alexis, che non era stata invitata
affatto. Benché
Billy la considerasse un’amica e fosse disposto a vederla a
scuola e nella
base, le sue insinuazioni riguardo Rain -fatte mentre lei se la stava
vedendo
con Megatron- avevano fatto sì che il ragazzino concludesse
che non fosse
necessario frequentarla anche al di fuori di quei due contesti.
Non
si era ancora scusato con lei per quel “Cazzo se aveva
ragione quando mi aveva detto di lasciarti perdere!” e non
aveva intenzione di
farlo a breve.
«Dicevo»
riprese Carlos «È un bene che ci riesca,
considerando
quel che è successo con Optimus di recente».
Billy
fece un sospiro. «Sai che non le è molto
simpatico»
tanto per usare un eufemismo «E lei ha esagerato ma venire
qui senza avvisare,
imboccare il viale e arrivare a pochi metri da casa non è
stata l’idea migliore
che Optimus potesse avere!»
Era
stato un momento tragicomico e un po’pericoloso.
Optimus
Prime si era presentato a casa di Rain con
l’intenzione di farsi dare i dettagli degli scontri con
Megatron -ce ne era
stato un altro dopo quello nella base- una volta per tutte.
Peccato
che Prime fosse immemore dell’avvertimento riguardo
il fatto che ogni accesso non autorizzato sarebbe stato visto e
trattato come
un’invasione e che Rain, invece, non fosse altrettanto
immemore.
La
conseguenza logica di ciò era che Optimus avesse rischiato
beccarsi un colpo di bazooka o più, e se non era andata
così era stato solo
perché quando Rain aveva iniziato il countdown
-“Hai cinque secondi per fare
retromarcia e andare via dal mio giardino. Quattro.
Tre…”- aveva capito che gli
avrebbe sparato davvero.
Rain
in seguito aveva detto che, per come la pensava, era già
stata gentile a fare il countdown e non sparargli direttamente; quanto
a
Optimus, al suo ritorno nella base degli Autorobot tutti quanti avevano
sentito
risuonare un potente “Quella donna è
pazza!”, esclamato con un tono che fino a
quel momento aveva usato soltanto per Megatron.
Ed
era proprio a quell’episodio che Hot Shot aveva appena
accennato.
«…
e insomma, credevo che ormai fosse chiaro che Optimus non vuole
farti nulla» concluse Hot Shot.
Il
giardino attorno alla casa di Rain era grande, e quando
suo nonno Dermot aveva fatto costruire quella casa per lei aveva scelto
un
punto in periferia, senza altri edifici intorno, così da
garantirle la massima
privacy; una comodità per Hot Shot, che grazie a questo
aveva potuto tornare
alla propria forma base e sedersi quando si era reso conto che lui e
Rain
avrebbero addirittura avuto una conversazione.
«Tu
hai avvertito per tempo del fatto che saresti venuto qui
ad accompagnare il minorenne non imparentato con me, il tuo comandante
avrebbe
potuto fare la stessa cosa invece di permettersi di entrare come se
fosse stata
casa sua» ribatté Rain «Ma torniamo a
noi: hai detto che ci sono due nuovi
alieni in giro?»
«Sì»
annuì l’Autorobot «Uno è
Sideways, vive nella nostra
base. Non lo avevamo mai visto prima ma ha detto di essere qui
perché ha
l’animo da vagabondo…»
«Nient’altro?»
Hot
Shot scosse la testa. «Sembra a posto e Optimus ha
approvato».
«E
a voi sta bene il fatto che un tizio sconosciuto, il quale
ha motivato la sua presenza qui con l’ “animo da
vagabondo”, giri libero in una
base militare? Sul serio?»
All’improvviso
non sembrava più una scelta così sensata.
«Beh… non ci ha fatto niente, ci ha dato una mano
con un Minicon… ammetto che
sì, magari il fatto che un vagabondo si faccia coinvolgere
in una guerra è un
po’strano, anche qualcuno degli altri infatti la pensa
così, però noi Autorobot
diamo una possibilità a tutti, la nostra politica
è questa. In ogni caso finché
ho con me la Spada Stellare non c’è niente da
temere da parte di nessuno!
Almeno credo».
«Non
sei molto convinto».
«Non
è per Sideways. È per
l’altro» disse, cupo, il
transformer «Si chiama Scavenger. È un mercenario
che sta con i Decepticon ed
è… è riuscito a prendermi a pugni un
paio di volte. Nonostante la Spada. Ma
d’altra parte è stato il maestro di Optimus Prime,
era ovvio che non potesse
fare schifo in battaglia, e infatti anche Megatron sembra avere un
certo
rispetto per-»
«Le
cose sono due» lo interruppe Rain «O ci sono in
giro due
spie, una da una parte e una dall’altra, o ci sono in giro
una spia E un altro
problema che è collegato al vostro capo, tanto per
cambiare».
Ignorando
il commento riguardo Optimus -sapeva che lei non
avrebbe mai smesso di farne- Hot Shot rimase concentrato
sull’argomento
principale. «Quindi dici che Sideways è una
spia?»
“Non
che lei si fidi di chiunque di noi…” aggiunse
mentalmente.
«Quella
dell’ animo da vagabondo è una scusa che non avrei
tirato
fuori neppure io dopo due bottiglie di whisky» disse la donna
«E la cosa
peggiore è che ha funzionato. In ogni caso cerca di non
farti rubare la Spada
da lui o da quell’altro, non ci servono altri
problemi».
«A
questo proposito, Rain, nella base si è parlato di una
cosa... dato quel che ti è successo con
Megatron…»
Lei
sollevò un sopracciglio.
Qualunque
cosa fosse, difficilmente le sarebbe piaciuta.
«Non
sei la sua priorità ma ormai è indubbio che
cerchi di
farti del male ogni volta che ne ha l’occasione e che
sarà così per un pezzo.
Megatron non è il tipo che molla quando si intestardisce su
qualcosa o qualcuno
e abbiamo visto che gli SOS non sempre arrivano in tempo,
quindi… ecco, Optimus
pensa che, dal momento che i Minicon di Rad, Alexis e Carlos vivono con
lor-»
«No».
“Appunto,
lo immaginavo” pensò Hot Shot. «Avere
qui un
Minicon sarebbe solo per sicurezza e non darebbe fastidio, voglio dire,
gli
altri ragazzi riescono a nasconderli senza difficoltà ai
loro creatori, ehm,
genitori».
«Vi
tollero a malapena sul pianeta, figurati se voglio un
alieno in casa».
«Su,
non è vero che ci tolleri a malapena! D’accordo,
magari
è così per qualcuno di noi» si
corresse, pensando a Optimus «O forse la maggior
parte di noi… però io sono
seduto nel tuo
giardino, stiamo parlando e non hai vicino il bazooka!»
Rain
indicò una parte del giardino con un cenno del capo.
«Non ne ho bisogno».
Ecco,
sì: quella cosa grossa non meglio definita che era nel
giardino di Rain, nascosta sotto un telo, era un altro mistero.
Inizialmente
avevano pensato che potesse essere il mezzo corno di Megatron ma non
era così.
La sola cosa intuibile era che fosse un’arma di qualche
genere da usare in caso
di un attacco dei Decepticon.
«E
ora tu vai via».
«Oh,
e dai! Non fare così» sbuffò Hot Shot
«Il fatto che ti
stia abituando a noi non è una brutta cosa!»
«Invece
lo è. Ero abituata alla mia vita tranquilla e adesso
è tutto diverso» ribatté Rain
«Mi ritrovo a farmi aggiornare sull’andamento di
una guerra tra alieni, a farlo è un alieno seduto nel mio
giardino e, peggio di
tutto il resto, non mi sembra nemmeno una cosa troppo strana. E poi, se
proprio
era destino, avrei preferito finire da sola in tutto
ciò» aggiunse guardando
Billy, che era tornato a tuffarsi in piscina insieme agli altri due
ragazzini.
«Sono
bravo a combattere e non mi dispiace farlo ma credimi,
io per primo odio questa guerra» disse Hot Shot «Ed
è una guerra della mia
specie. È ovvio che per te che ti sei trovata coinvolta per
caso sia peggio. I
ragazzi l’hanno presa un
po’meglio…»
«I
ragazzi hanno tredici anni e sono cresciuti in tempo di
pace. Vedono tutto questo solo come “stare con dei robot
parlanti giganti che
combattono tra loro ed essere coinvolti in avventure ad alto tasso
adrenalinico
in giro per il mondo”, si sentono come se stessero vivendo in
un film di
fantascienza e lo trovano fantastico rispetto al solito casa- scuola-
parco-
sala giochi» replicò Rain «Invece un
adulto può e deve capire i rischi e le
conseguenze di tutto questo, ed è quel che faccio».
«Io
infatti non credo che tu sia pazza o malvagia» “Ok,
forse
un po’pazza lo è ma c’è di
peggio” pensò Hot Shot «Ti sei trovata
in mezzo a
questa storia e tieni molto a Billy. Hai messo la sua vita prima della
tua per
due volte, non è una cosa insignificante».
«Tu
hai idea di quel che significa essere responsabile di
qualcuno? Non parlo di un rapporto di coppia, tra commilitoni o di
semplice
amicizia, ti parlo di qualcuno di cui devi prenderti cura, che devi
tenere al
sicuro. Non sono sicuro che tu o chiunque dei tuoi compagni possiate
capire».
«So
cosa vuol dire tutto questo» affermò
l’Autorobot «E so
anche cosa si prova quando nonostante tutto non si è
all’altezza del compito.
La rabbia, il dolore, un senso di colpa che ti divora e può
distruggerti se non
c’è qualcosa o qualcuno che ti aiuta a venirne
fuori» esitò, tornando a puntare
su Rain lo sguardo che appena prima aveva distolto «Il suo
nome era Wheel Jack».
Dopo
ciò il transformer non disse altro. Non era piacevole
parlarne e rievocare quel ricordo, riteneva che quel che aveva detto
fosse
sufficiente.
Quanto
a Rain, per un breve attimo si intravide sul suo viso
un’espressione che era un miscuglio tra sorpresa e
perplessità. Aveva già
accettato l’idea che anche quelle macchine potessero
“provare” qualcosa ma, in
quel particolare momento, Hot Shot le sembrò piuttosto umano.
Meno
di un secondo dopo però i suoi pensieri tornarono in
carreggiata: l’abilità dei cybertroniani di
provare reali sentimenti ed
emozioni non li rendeva meno dannosi. Si concesse solo di concludere
che forse
in realtà il problema di fondo con gli Autorobot non
riguardava davvero tutti
gli ufficiali, quanto piuttosto il comandante.
«Mi
dispiace per la tua perdita. Se capisci questo però
dovresti anche capire cos’è che mi rende
diffidente o mi manda in bestia nei
vostri confronti. Io mi preoccupo dei rischi e delle conseguenze che
possono
riguardare Billy e gli altri» dei quali, in
realtà, non le importava
altrettanto «Cosa che voi, per colpa di una leadership che
lascia il tempo che
trova, non fate. Se non a chiacchiere».
«Faremo
tutto quel che possiamo per tenervi al sicuro
davvero, Rain, hai la mia parola e ti assicuro che vale»
affermò Hot Shot
«Della leadership di Optimus invece abbiamo già
parlato una volta… non te ne
faccio una colpa ma le tue opinioni su questo argomento sono frutto di
un
pregiudizio che non ti permette di capire bene certe
dinamiche».
«E
l’opinione che hai espresso da “non te ne faccio
una
colpa” in poi non viene da te, riconosco il tono
paternalistico. È vero, non
stimo il tuo comandante, per usare un eufemismo» ammise Rain
«Ma non lo faccio
per motivi irrazionali. Optimus Prime ha dato mostra di un’
irresponsabilità e
di una superficialità che in un leader non dovrebbero
esserci. La sua
arrampicata sugli specchi quando gli ho fatto notare che portare degli
umani in
missioni pericolose era stata una brutta idea, il suo confuso approccio
alla guerra e le sue politiche di accoglienza sconsiderate fanno
sì che lui non
abbia il mio rispetto, non abbia la mia fiducia e che dubiti di chi lo
ritiene
un esempio da imitare. Ricorda le mie parole…»
– …quando
salterà fuori
che avete accolto una spia nella vostra base. –
– Optimus
Prime è un buon leader, fa sempre del suo meglio e questo
è
quanto. È tempo che io vada. Tu e Billy avete intenzione di
farvi rivedere al
quartier generale? –
– Presumo
che Billy tornerà presto a scalpitare per farlo. –
– Riguardo
al Minicon…–
– Ho detto
di no, eejit! –
Optimus
decise di aver già sentito abbastanza. Spense lo
schermo e rimase immobile in quell’ambiente freddo e quieto,
immerso nei suoi
pensieri.
In
seguito all’attacco dei Decepticon in cui tre civili umani
avevano rischiato la vita si era ripromesso di approcciarsi in modo
più
razionale a qualsiasi cosa provenisse da Rain, dunque non era partito
con
l’intento di spiare le conversazioni altrui: aveva preso in
prestito Laserbeak
solo perché Hot Shot stava tardando a tornare e lui voleva
verificare che
nessuno gli avesse sparato un razzo in faccia -cosa che non sembrava
destinata
a succedere.
“Ormai,
più che detestare tutti noi in quanto alieni, detesta
me in quanto… me stesso” pensò
“Il bello è che dovrei perfino gioire del
miglioramento”.
Di
tutto aveva voglia, tranne che di gioire. Aveva immaginato
che Rain con quel che era accaduto si sarebbe invelenita ancor di
più, quindi
le sue parole non avrebbero dovuto né sorprenderlo
né tangerlo minimamente,
eppure non era così.
I
tempi in cui c’era stato qualcuno di grado superiore o pari
a lui erano passati da un pezzo, la fama che si era guadagnato come
difensore
della libertà dalla minaccia del malvagio Megatron faceva
sì che fossero in
pochi a sentirsi abbastanza qualificati per contraddirlo, e due degli
ufficiali
nella base erano stati assemblati come Autorobot, fatti e vissuti per
combattere sotto il suo comando.
Si
era abituato a sentirsi fare domande del tipo “Come ci
muoviamo? Cosa facciamo?”,
si era abituato a portare il peso della leadership nel bene e nel male,
gioendo
per le vittorie del gruppo e ritenendosi il principale responsabile in
caso di
sconfitta, ma si era disabituato a essere messo in discussione, al
“Perché ci
muoviamo così? Perché lo
facciamo?
Ha davvero senso?”.
“Non
è un mio soldato e non è la sola persona che mi
odia,
c’è un intero esercito di persone a
farlo” alias i Decepticon “Non dovrei darle
peso”.
Si
ripeteva questo ma pensava a una cosa: i Decepticon
avevano più di un motivo per odiarlo, già solo
perché diversi di loro non erano
nati naturalmente ma, come nel caso degli Autorobot più
giovani, erano stati
assemblati apposta per combattere i nemici.
Rain
invece, che ora consentiva a Hot Shot di sedersi nel suo
giardino, che motivi aveva per detestarlo se non il pensare per davvero
tutte
quelle cose? Se non il ritenerlo per davvero irresponsabile,
sconsiderato,
superficiale e confuso a causa di certe scelte?
“Basta.
Non comincerò ad attaccare un nemico che si sta ritirando
o finirlo quando è a terra solo perché lei pensa
che non farlo renda ‘confuso’
il mio approccio alla guerra, non comincerò a pensare male
di chi non conosco e
a negargli aiuto e accoglienza solo perché lei ritiene
sconsiderato quel che
faccio ora!” si convinse Optimus, stringendo i pugni
“Io sono disposto a
concedere fiducia e più di una possibilità a chi
mostra di desiderarla, io non
mi accanisco sui nemici e questi sono i valori che voglio trasmettere
ai miei
uomini. Le mie intenzioni sono buone, se lei la pensa in un altro modo
è perché
non ha i mezzi per comprenderle” concluse
“Già che c’è potrebbe
mettersi
d’accordo con Megatron e provare a dargli una mano, se
detesta le mie idee e
ama quelle opposte”.
Si
rese conto di quel che aveva appena pensato: quella donna
pazza alleata con quel mech pazzo. Pessimo quadretto.
Non
poteva sapere che nella base dei Decepticon, per assurdo
che potesse sembrare, c’era qualcuno che stava per iniziare a
pensare a un’idea
all’apparenza molto simile.
.: Luna, base
dei Decepticon :.
«Ti
vedo pensieroso, Megatron. Qualcosa ti turba?»
L’atmosfera
nella base dei Decepticon era a dir poco
opprimente. Non la peggiore in cui Scavenger fosse vissuto nel corso
della sua
lunga vita ma neppure piacevole, soprattutto se c’era di
mezzo anche un leader
lunatico e permaloso.
Benché
l’età di Scavenger, la sua abilità e la
sua fama lo
tenessero al sicuro dagli scatti d’ira di Megatron, il
veterano non vedeva
l’ora di concludere la sua missione da spia e lasciare quel
postaccio per
riunirsi a Optimus Prime sulla Terra.
«Finché
non avrò la Spada Stellare nelle mie mani ci sarà
sempre qualcosa che “mi turba”. Se dovessi usare
una metafora direi che c’è un
serbatoio che perde a cui è stata messa una sottospecie di
toppa, ma che
continua a perdere lo stesso».
«Hai
la prospettiva di impadronirti dello Scudo Stellare,
Megatron» gli ricordò Scavenger «Hai
già trovato il primo dei tre Minicon che
lo compongono».
«Me
ne faccio molto di una “prospettiva” quando
dall’altra
parte c’è la Spada Stellare che danneggia i miei
soldati a ogni battaglia!»
sbottò il leader dei Decepticon «Dal tuo arrivo in
poi è stato dimostrato che
non è imbattibile ma resta sempre un problema».
«Lo
hai detto tu stesso: chi possiede la Spada Stellare non è
imbattibile... e le cose andrebbero meglio se la squadra agisse come
tale e
fosse più concentrata sugli obiettivi, invece di perdere
tempo e salute in
futili scaramucce».
Riuscendo
non si sa come a mantenere l’autocontrollo nel
sentire il mercenario contestare la sua leadership, Megatron fece una
smorfia
irritata. «Farò in modo di mettere un
po’più di disciplina in quelle teste
dure. Ordinerò a Cyclonus di tenere a freno la lingua, a
Demolisher di prestare
attenzione a quello che fa ed evitare le sue solite scene da imbranato
e a
Starscream… il delirio di onnipotenza dovuto al nuovo
Minicon gli è passato da
un pezzo ma qualcosa si trova sempre, come per esempio il fatto che non
stia
dando il massimo e mi aspetti molto di più dal mio
comandante in seconda!»
Scavenger
si trattenne dal sospirare. «Tutto giusto, ma io
non mi riferivo solo ai tuoi uomini».
«Ah
no?»
«No,
Megatron. Parlavo anche di te».
«Quando
siamo in battaglia è ovvio che io cerchi il conflitto
principalmente con Optimus Prime, è il mio diretto
avversario, siamo nemici
giurati, non sono scaramucce, dovresti riuscire a capirlo anche senza
che te lo
dica io. L’odio tra me e Optimus Prime è una cosa
seria!»
«Infatti
su questo non ho nulla da dire».
«Allora
piantala di parlare per enigmi, sii chiaro e magari
anche veloce, perché mi sto innervosendo!» lo
avvertì Megatron «Di cosa stai
parlando?!»
«Del
fatto che lo stesso essere umano ti abbia sparato più
volte».
Silenzio.
«Non
so a cosa ti riferisci. Non sono mai stato ferito da
alcun umano».
“Dovrebbero
chiamarti Gnorritron, non Megatron” pensò
Scavenger. «Sicuro? Ho dato un’occhiata ai report
medici…»
«Cos’è
che hai fatto?!»
«E
ho scoperto che a danneggiarti il braccio tempo addietro è
stata la stessa arma che ti ha danneggiato altrove qualche
tempo
dopo, precisamente il giorno stesso che sono arrivato qui. Mi sono
perso il
primo scontro ma ho assistito all’altro»
rivelò il veterano.
«Dal
momento che hai avuto queste allucinazioni da ubriaco
faresti molto meglio a evitare l’energon extra forte per un
po’, in caso
contrario la tua salute potrebbe iniziare a risentirne».
Da
opprimente che era, l’atmosfera divenne piuttosto tesa. A
Megatron non piaceva sentir parlare dei suoi fallimenti, ancor
più se erano
fallimenti di cui non voleva che si sapessero i dettagli.
Scavenger
scrollò le spalle. «Colpa mia. Credevo che avesse
smesso di bruciarti, ormai!»
«Fuori».
Guardando
Scavenger uscire dalla stanza, Megatron dovette
compiere uno sforzo mastodontico per non cedere all’impulso
di sparargli una
volte per tutte. Lo rispettava perché era in gamba e
perché sapeva quel che
faceva ma in realtà avrebbe solo voluto che lui e la sua
sfacciataggine si
togliessero di torno: era dal giorno del suo arrivo che non risparmiava
a
nessuno commenti sarcastici.
Peccato
che al momento purtroppo ne avesse bisogno. Se non
fosse stato così, se ci fosse stato qualcun altro disposto a
togliere di mezzo
gli Autorobot -soprattutto Hot Shot, quello con la Spada Stellare-
così da
lasciare a lui il campo libero per combattere contro il solo con cui
volesse
farlo davvero, Optimus Prime, non avrebbe dovuto sopportare quel
vecchio
bastardo di un mercenario.
“Sarebbe
bello ma non c’è nessuno che possa fare meglio di
quanto faccia Scavenger” sbuffò “Forse
potrebbe farlo solo qualcuno che abbia
accesso alla base degli Autorobot, perché li attaccherebbe
dall’interno.
Qualcuno che loro non ritengono una minaccia seria e non penserebbero
mai possa
lavorare per me, qualcuno che li detesti
abbastanza…”
Un
campanello risuonò nella sua testa.
C’era
qualcuno che corrispondeva in pieno al profilo.
“Va’
a vedere che quella strega umana pazza potrebbe perfino
essermi utile”.
Avrebbe
potuto proporle uno scambio: lei, avendo l’accesso
alla base degli Autorobot e una loro relativa fiducia, avrebbe potuto
trovare
il modo di toglierli di torno, magari anche di prendere la Spada
Stellare, così
che restasse solo Prime di cui occuparsi; in cambio lui, Megatron, le
avrebbe
perdonato tutti gli affronti subiti e avrebbe lasciato la Terra fuori
dai suoi
futuri piani di conquista.
Inutile
dire che era una mezza bugia. Quel piccolo e stupido
pianeta acquoso in non gli interessava, ma non era intenzionato a
rinunciare
alla propria vendetta verso di lei: glielo avrebbe solo fatto credere,
l’avrebbe usata e l’avrebbe uccisa ridendo della
sua stupidità.
Era
perfetto, assolutamente perfetto.
“Contattarla
non sarà difficile. Basta cercare il segnale del
suo dispositivo di comunicazione, che essendo stato vicino a me
più volte mi è
conosciuto”.
Era
lo stesso sistema che usavano anche gli Autorobot e non
faticò a metterlo in pratica: meno di due minuti dopo, il
telefono di Rain
stava già squillando.
– Sentimi
bene- –
– Ma dai
Rain, non potremmo prenderne uno anche noi? –
– Ho detto
di no e sono al telefono, quindi non interrompermi!... E tu
invece sentimi bene: so che sei un Autorobot perché non
è comparso il numero,
quindi dimmi quale sei, cosa vuoi e poi non rompetemi più le
palle per tutta la
giornata! –
“Questa
donna diventa sempre più schizzata ogni volta che ho
a che fare con lei” pensò Megatron.
«Gli
Autorobot sono il motivo per cui stiamo parlando.
Riconosci la mia voce? Sono quello a cui hai sparato due
volte».
– Ma
va’ a cagare. –
Seguì
il rumore della comunicazione interrotta.
Megatron
rimase immobile per oltre mezzo minuto.
«Io
l’ammazzo» dichiarò «Farlo non
è tra le mie priorità, ma
prima o poi l’ammazzo».
Poi
si disse che magari non aveva capito o aveva pensato a
uno scherzo. In caso contrario, per reagire in quel modo avrebbe dovuto
essere
ancor più pazza di quanto già fosse.
Tentò
di chiamarla di nuovo.
– Chi sei- cosa
vuoi- falla corta. –
«Sono
sempre io. Hai sparato due volte anche ad altri di
recente?!»
– Rain ma
allora era lui davvero?! –
– Pensavo di
no ma pare di sì. –
“Come
immaginavo, non aveva capito, non poteva essere
altrimenti” pensò Megatron. «Ora che
abbiamo chiarito-»
– Si
può sapere che diavolo vuoi, lurido verme delle terre
unte?! –
Per
un attimo fu Megatron a trovarsi sul punto di chiudere la
comunicazione ma, sfruttando le ultime stille di autocontrollo rimasto
e
immaginando come si sarebbe vendicato in futuro, riuscì a
evitare di farlo.
«Piantala
di fare l’insolente, brutta mocciosa che non sei
altro» le intimò «Abbiamo dei nemici in
comune, io ho del lavoro per te e tu
hai molto di cui farti perdonare, quindi ascoltami bene: tu che hai
accesso
alla loro base, fai in modo di neutralizzare tutti gli Autorobot tranne
Prime.
Lui è mio. Se lo farai ti concederò la grazia di
passare sopra a tutto quel che
è successo tra me e te. Non mi interesserò mai al
tuo pianeta, non ti verrò a
cercare, non toccherò né te né il
ragazzino».
– Da dove
chiami? –
«Non
è affar tuo. Allora? È la sola occasione che hai
di
sopravvivere, quindi pensa bene alla tua risposta e fallo
velocemente».
– La ragione
per cui la base di Prime è ancora lì sta tutta
nel fatto che
disprezzo te molto più di quanto mi infastidiscono tutti i
suoi ufficiali messi
insieme. Non mi alleerei con te nemmeno se parlassi sul serio riguardo
il
“concedermi la grazia”… e anche se
detestassi Prime più di quanto detesti te,
non mi metterei con uno così disperato da chiedere aiuto a
chi gli ha sparato
due volte. Non vali neanche gli esplosivi che faranno saltare in aria
la tua
base, con te dentro, il giorno in cui verrà localizzata. –
«Parole
grosse per qualcuno così piccolo e che ha rischiato
di morire più volte per mano mia» disse il leader
dei Decepticon in un basso
ringhio «Hai fatto la tua scelta».
Non
le diede tempo di rispondere: chiuse la comunicazione e,
dopo aver urlato un "Quella donna è pazza!", finalmente
diede sfogo a
tutta l’ira e la frustrazione accumulate sparando un colpo di
cannone contro la
parete di fronte a lui.
L’esplosione
fu potente al punto di distruggerne oltre la
metà, e tutto quel rumore richiamò
l’attenzione degli altri Decepticon. Il solo
a non presentarsi fu Scavenger.
«Megatron!
Cosa è successo?» si allarmò Demolisher
«Stai
bene?»
«Sto
magnificamente, ma dati i vostri ultimi fallimenti
ritengo opportuna una sessione di addestramento!»
esclamò, mettendo di nuovo
mano al cannone che aveva sul fianco.
Cyclonus,
ben sapendo che quando Megatron parlava in quel
modo intendeva un tipo di addestramento in cui lui li inseguiva per
colpirli e
loro facevano molto meglio
a non farsi
prendere, indietreggiò velocemente. «Cosa?! Ma non
bastano i combattimenti
contro gli Autorobot?»
«Chi
sarà la mia prima vittima?! Fatevi sotto,
cordardi!»
sbraitò il mech, vedendoli iniziare a correre e disperdersi
per la base.
Doveva
necessariamente concentrarsi su uno, e la scelta
ricadde su…
«STARSCREEEEEEAM!»
«E
ci risiamo» sbuffò il seeker, cercando di darsela
a gambe
più in fretta possibile.
Se
fosse sopravvissuto a quella giornata, non sarebbe più
andato a controllare a cosa fossero dovute le esplosioni nei posti in
cui si
trovava Megatron.
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Capitolo 12 *** Pioggia in uno strano Halloween ***
11
PIOGGIA
IN UNO STRANO
HALLOWEEN
Piccolo
avviso: ci sono delle guest
star in giro, chi ha letto qualcuna delle altre mie fanfiction le
riconoscerà
sicuramente.
Buona
lettura e buon Halloween a tutti!
«Quindi
sei sicura che posso andare?»
«Potrei
quasi dire che devi, Billy, se non
vuoi sentirti dire che sei troppo solitario, che sei un asociale, che
devi
uscire di più e tutto il resto di queste cagate atomiche
dette da persone che
dovrebbero pensare per sé».
«Eh-»
«Fermo
con la faccia. Vuoi un buon trucco da
vampiro oppure no?»
Billy
non rispose, limitandosi a stare fermo
come gli era stato detto.
La
luce aranciata tipica dell’ inizio del
tramonto tingeva di colori caldi il bagno marmoreo nel quale Rain si
stava
dedicando al trucco di Billy, il quale guardava con aria assente la
poca
polvere presente in aria venire illuminata dai raggi che filtravano
dalla
finestra.
Nella
mente del ragazzino nacque un pensiero:
per quanto potesse essere un po’una seccatura sentire tutti
quei “su con la
testa”, “giù”,
“voltati”, “fermo”,
“ho detto fermo, eejit!”,
prima
di allora non ricordava di aver mai avuto qualcuno che gli desse una
mano a
prepararsi per Halloween. Aveva sempre dovuto arrangiarsi da solo con
un
lenzuolo bucato malamente all’altezza degli occhi, una
tristezza rispetto alla
maggior parte dei bambini di Lincoln. Quella era una cittadina popolata
perlopiù di tranquille famiglie abbastanza benestanti e,
sebbene una volta
tornata single la madre di Billy non fosse diventata una senzatetto,
l’incuria
che gli aveva riservato avrebbe potuto lasciarlo pensare.
«Tra
l’altro non capisco cosa siano questi
mezzi ripensamenti, sembravi felice di andare alla festa»
disse Rain «E dopo,
per una volta, tu e Fred non girerete da soli a fare quel vostro
“dolcetto o
scherzetto”. Non che la cosa mi rallegri più di
tanto sapendo chi sono gli
altri tre… ma stasera se non altro farete quel che fanno qui
i ragazzini
normali quando è Halloween, senza alieni di mezzo».
«Infatti
sono contento, è solo… vuoi veramente
passare da sola la sera del tuo compleanno? Quest’anno non
viene nemmeno Sven».
Ragnar
Sven Iverson, alias il fidanzato di
Rain, alias una persona che lei al momento non sapeva se volere molto
vicino o
molto a distanza; non per lui, ma per colpa degli alieni, tanto per
cambiare.
Per
tale ragione già dalla settimana prima
aveva fatto sapere a Sven che, a causa di un progetto scolastico in cui
erano
coinvolti anche genitori e tutori, sarebbe stata impegnata per vari
giorni,
incluso il trentuno ottobre.
«Se
venisse qui partirebbe subito una
battaglia tra robot in giardino, dato il tempismo che hanno»
commentò la donna,
con tono sprezzante.
«Già…
però potresti dire di sì a quei tuoi
amici che questa sera arriveranno in città in ogni
caso… “Siamo di passaggio a
Lincoln, ci fermiamo per stanotte e qui in città
c’è una festa, possiamo venire
a prenderti”, il messaggio non diceva
così?»
«Primo:
più che amici li definirei conoscenti
stretti. Secondo: il fatto che sia il mio compleanno non significa che
debba
stare in compagnia per forza».
«Eppure
sembrava che ci stessi pensando, prima
della telefonata di zia Rhia- va bene, va bene, hai ragione, se davvero
non
vuoi stare con nessuno non sei obbligata a farlo,
d’accordo» si arrese Billy.
La
telefonata tra Rain e sua madre Rhiannon
era iniziata in modo abbastanza normale: “grazie per gli
auguri”, due
chiacchiere di circostanza, tutto molto civile -così aveva
sentito, dato che
Rain aveva il vivavoce.
Peccato
che fosse degenerata rapidamente nel
momento in cui Rain aveva commesso la leggerezza di dire “No,
quest’anno Sven
non viene perché-”.
Rain
doveva aver sentito spesso il discorso
che era venuto fuori dopo sul fatto che stesse troppo da sola, che
rischiasse
di perdere anche il fidanzato se avesse continuato così e
che quello non fosse
un comportamento normale per una ventisettenne; in ogni caso, alla
prima pausa
di Rhiannon fatta per riprendere fiato, Rain aveva risposto con un
“Non prendo
lezioni da qualcuno che sta parlando al telefono con l’unica
cosa buona che sia
riuscita a fare in vita sua” e aveva riattaccato.
«Non
è per quello. Celebrerò il Samhain come
ho sempre fatto e poi andrò a dormire, niente di
più, niente di meno» disse
Rain.
«Meglio
così! Anche perché se lasciassi
perdere l’uscita per quel motivo faresti un dispetto solo a
te stessa, non a… a
lei… ehm… parlando del Samhain, anche
l’anno scorso non ho visto come lo
celebri» disse Billy, decidendo saggiamente di cambiare
argomento.
«Come
mia nonna voleva che fosse celebrato.
Non l’ho conosciuta ma dai racconti del nonno so che era un
tipo particolare.
Il trentuno ottobre, quando calava il sole, lei accendeva un grosso
fuoco che
durava tutta la notte. Serviva a guidare gli spiriti»
spiegò Rain «Poi metteva
vicino a esso delle cotolette, del grog e un bel po’di
biscotti…»
«Seh,
magari sempre per i fantasmi! Mi prendi
in giro?!»
Rain
scosse la testa. «Te l’ho detto che era
un tipo particolare. E comunque no, non erano per i fantasmi, erano per
Samhain. Di solito è nota come una festività o,
se viene personificata, lo si
fa dandole sembianze mostruose, ma secondo mia nonna era una donna di
bell’aspetto con i capelli ricci rossi e una claymore in
mano. A volte poteva
manifestarsi anche come una gatta o una civetta. Non farti domande, ti
racconto
le cose per come le so».
«Tu
ci credi?»
Lei
fece spallucce. La risposta sincera
sarebbe stata "Sì e no, non si sa mai". «Non
sarebbe tanto più
assurdo di quel che negli ultimi tempi vediamo quasi tutti i giorni e-
ma che
idiota!» esclamò improvvisamente Rain, dopo aver
ricordato una cosa
fondamentale «Billy, qui abbiamo finito. Io adesso devo
andare».
«Andare
dove?»
«Le
cotolette se possibile devono essere di un
animale che hanno cacciato le persone che accendono il falò.
Sarei dovuta
andare prima però tra una cosa e l’altra mi
è passato di mente. Conto di
rientrare presto ma se così non fosse ci rivediamo stasera
quando torni a
casa».
Billy
alzò gli occhi al soffitto.
«Probabilmente Samhain preferirebbe hamburger e patatine! Con
tutto il rispetto
ma a me sembra solo uno spreco di tempo e di cibo».
«Nessuno
di noi il mattino dopo ha mai trovato
il cibo e il grog dove li aveva lasciati. Tu di’quel che
vuoi».
Billy,
perplesso, la guardò uscire dal bagno.
Per lui era incredibile quanto Rain potesse diventare poco
“pratica” quando si
trattava di seguire le tradizioni di famiglia, o meglio, le tradizioni
che
venivano da suo nonno. Ormai la conosceva abbastanza bene da aver
capito che
tutto quel che veniva da lui era, per Rain, intoccabile e sacro.
Pur
non essendo la persona più acuta del mondo
-se mai il contrario- a volte si era trovato a domandarsi se questo
fosse
positivo e, soprattutto, perché i genitori avessero smollato
al nonno la
propria figlia; poi però aveva finito col pensare ai propri,
di genitori, e
aveva concluso il ragionamento con un “Mah”. A
volte gli adulti agivano secondo
ragioni che la ragione non conosceva.
Cacciò
uno strillo quando, voltatosi verso la
finestra a causa di un’ombra improvvisa, vide una civetta
appollaiata sul
davanzale.
«Mi
hai fatto prendere un colpo!»
Il
rapace stridette. Billy per un attimo ebbe
l’impressione che gli stesse ridendo in faccia.
«V-vai
via! Torna a casa… tua… tsk»
sbuffò,
vedendo la civetta volare via.
Gli
sovvenne un pensiero.
“Samhain…
una donna di bell’aspetto con i
capelli ricci rossi e una claymore in mano… a volte poteva
manifestarsi anche
come una gatta o una civetta”.
«Nah»
concluse con una scrollata di spalle.
.: Base
degli Autorobot :.
Fin
dal primo pomeriggio gli Autorobot avevano
avuto modo di osservare un certo fermento nei ragazzini, sentimento che
si era
ben presto tradotto nel riempire la loro base con finti e veri ortaggi
di
colore arancio denominati “zucche”, ghirlande
rappresentanti mammiferi volanti
chiamati “pipistrelli”, adesivi a forma di aracnidi
poggiati su filamenti
prodotti delle proprie secrezioni -le cosiddette
“ragnatele”- finti bulbi
oculari umani, finte dita amputate, sangue finto in ogni dove; in
pratica la
scena di un massacro in un posto abbandonato invaso da animali e
vegetazione.
«Ragazzi…»
esordì Optimus «Premesso che trovo
l’entusiasmo giovanile apprezzabile in ogni caso, non credete
di esservi fatti
prendere un po’troppo la mano?»
«Dici?»
si stupì Carlos, rovesciando sul
pavimento un secchio da tre litri pieno di sangue finto.
«Non
preoccuparti, Optimus, domani i ragazzi
puliranno tutto!» lo tranquillizzò Alexis.
«Ehi!
Come sarebbe “i ragazzi puliranno”?
Anche tu hai decorato la base!» protestò Rad.
«Io
però ero contraria all’idea del sangue
finto! Voi avete voluto metterlo lo stesso, voi lo pulite: molto
semplice
direi» replicò la ragazzina.
«Ma
guarda un po’questa!...»
«“Questa”
si chiama Alexis, Carlos!»
«Potreste
ricordarmi come intendete passare la
serata?» domandò loro Optimus, decidendo di
sorvolare sulle decorazioni «In
cosa consistono i festeggiamenti di questo Hallo…
Halloe?»
«Halloween!»
esclamò Carlos «La notte dei
mostri e delle streghe, in cui la gente va in giro travestita quando fa
buio,
va di casa in casa, dice dolcetto o scherzetto, si fa dare i dolcetti e
se li
mangia!»
«In
verità la festa di Halloween ha radici un
po’più profonde. Nei tempi antichi si
chiamava “Samhain” ed era una festa
importante che aveva a che fare con l’onorare le anime delle
persone morte, gli
spiriti fatati e con il cambio di stagione. Una volta per noi umani non
era
raro morire per colpa di una stagione particolarmente fredda»
spiegò
rapidamente Rad «Quindi questa festa era fatta anche con la
speranza che…
insomma, che non fosse l’ultima. Credo che ci sia qualche
inesattezza nella
spiegazione ma il concetto è questo».
«Trovo
curioso che una ricorrenza del genere
sia diventata un semplice divertimento, ma capisco».
«E
io aggiungo che ci sono persone che si
ostinano ancora a celebrare Samhain invece di Halloween. A proposito,
Carlos,
Billy alla fine viene con noi oppure no?» domandò
Alexis «Fino a ieri diceva di
sì, stamattina sembrava quasi aver cambiato idea!»
«Non
era sicuro di voler lasciare Rain da sola
la sera del suo compleanno, era indeciso per quello ma alla fine
sì, viene con
noi» confermò il ragazzino.
«Vero!
Mi ero dimenticata, e sì che la data
sui social l’avevo vista. Nata nel giorno dei mostri e delle
streghe, e quando
se no? La data perfetta» commentò Alexis.
«Quasi.
Se fosse davvero una strega credo che
sarei morto da un pezzo per colpa di una sua maledizione, invece sono
ancora
vivo».
Optimus
lo aveva detto scherzando -in parte-
ma nessuno rise.
Decise
quindi di cambiare argomento e chiedere
ai ragazzi di essere più precisi riguardo i loro programmi.
«Tra
poco andiamo a fare un po’di dolcetto o scherzetto
in giro con Billy e Fred. Loro poi tornano a casa, o meglio Billy torna
a casa
e Fred va da lui, ma noi invece torniamo qui a festeggiare con voi, a
mangiare
i dolci che avremo preso e a guardare gli horror!»
esclamò Carlos «Hot Shot ha
anche detto che si vuole travestire da mostro!»
«Mi
fa piacere che Hot Shot sia così
entusiasta e una festa ogni tanto fa bene al morale delle truppe, ma
è sempre
un ufficiale Autorobot e forse arrivare a travestirsi da mostro
è un
po’eccess-»
Una
figura ammantata di nero entrò
improvvisamente nella stanza.
«FONO
LA NOTTE! FONO L’OFCURITÀ!»
esclamò Hot Shot, aprendo il mantello nero a mo’di
ali di pipistrello «…certo
che con queFti denti lunghi finti parlare
è piuttoFto...
difficile…»
Hot
Shot guardò Optimus.
Optimus
guardò Hot Shot.
«Questo
è senza dubbio un ottimo esempio per
dimostrare la volontà e la capacità di adeguarci
agli usi e costumi del luogo»
disse Prime, per poi concedersi addirittura una breve e calda risata,
seguito a
ruota dai ragazzini.
«Il
coFtume è fatto tanto male?»
domandò Hot Shot, imbarazzato.
«No,
va benissimo! E adesso che ci penso
sarebbe ora che anche noi indossassimo i nostri» aggiunse Rad.
“Ho
fatto bene a disattivare l’allarme per il
nuovo Minicon prima che iniziasse a suonare” pensò
Sideways, in ascolto fuori
dalla porta “Ora sto fingendo di aiutare gli Autorobot, poi
fingerò di aiutare
i Decepticon… ma non vedo l’ora di accumulare
sufficiente odio e di riunire
tutti i nove Minicon che servono per risvegliare il mio signore e
padrone:
Unicron. Con gentaglia simile in giro l’estinzione quasi
totale di noi
cybertroniani è auspicabile”.
Se
fosse stata la voglia di vendetta per
qualche torto subito, la brama di potere o piuttosto la misantropia a
spingere
Sideways a diventare discepolo di Unicron, non era dato sapere; in
compenso,
pur fingendo il contrario, era certo che trovasse i propri simili
stupidi e gli
umani fastidiosi. Per sembrare amichevole si era perfino abbassato a
far fare
delle corse a quattro degli umani più giovani, un sacrificio
grande quanto
quello di non sparare all’umana più vecchia.
Quest’ultima
aveva impedito a uno dei
ragazzini, alias il cugino, di salire su di lui. In virtù
del mantenere la
facciata di bravo ragazzo aveva provato a tranquillizzarla sul fatto
che fosse
tutto perfettamente sicuro, ma tutto quel che aveva ottenuto erano
stati una
breve occhiata infastidita e un “Non ho chiesto la tua
opinione e non rivolgere
la parola a me e Billy. Mai più”.
Simpatica
quanto la ruggine cosmica ma per
fortuna aveva elaborato un piano per sottrarre a Hot Shot la Spada
Stellare e
andarsene via, e l’avrebbe messo in pratica molto presto.
***
Se
nel momento in cui Rain era partita da casa
dopo aver acceso il falò il tramonto era iniziato da poco,
adesso era in quella
fase intermedia nella quale gli ultimi raggi del sole agonizzavano nel
perdere
la loro battaglia quotidiana contro la notte.
La
visibilità ridotta non lo rendeva il
momento migliore per girare in un bosco da sola -anche se era armata e
conosceva bene il posto- e lei, non avendo ancora trovato una preda con
cui
fare le cotolette, aveva iniziato a pensare se se non avesse risolto la
faccenda entro un quarto d’ora sarebbe stata costretta a dare
retta a Billy,
sperando che Samhain apprezzasse hamburger e patatine. C’era
un orario preciso
in cui il cibo andava messo davanti al fuoco e il tempo stringeva
già da un
po’.
“Colpa
mia che l’ho dimenticato… e colpa anche
di chi non si limita agli auguri” pensò.
Sembrava
proprio che sua madre non riuscisse a
capire che passare molto tempo da sola non implicasse anche sentirsi
soli o
avere qualche problema, e il fatto che Rain pensasse che quelle
chiacchiere
nascessero da un’ “apprensione” reale e
non dalla volontà di romperle le
scatole non cambiava il fatto che i suoi genitori avessero perso da
tempo ogni
diritto di metterci bocca. Anzi, secondo Rain non l’avevano
mai avuto, e se suo
padre l’aveva capito da un pezzo avrebbe potuto riuscirci
anche sua madre.
Trasalì
quando sentì qualcosa di peloso
strusciarsi sulle sue gambe e puntò il fucile verso terra,
salvo trattenersi
dal premere il grilletto quando notò che si trattava di un
gatto. Probabilmente
era una femmina dal momento che le sembrava di distinguere tre colori
sul suo
manto.
«Mi
sa che Samhain dovrà accontentarsi davvero
dell’hamburger» sospirò la donna.
«E
le patatine, cailín gleoite,
non dimenticare le patatine» disse la gatta.
Irrigidita
per lo stupore, Rain sgranò gli
occhi. «Ma cos-»
Ebbe
a malapena il tempo di stupirsi per il
fatto che quell’animale avesse parlato: l’istante
successivo un “qualcosa” di
metallico la investì facendola quasi cadere a terra, per poi
nascondersi dietro
di lei quando ciò non accadde.
«Ma
che diav- un COSO!» alias un
Minicon in fuga «Levati di torno!»
Rumori
di passi pesanti in avvicinamento.
«Mi
sa che sta arrivando compagnia» tornò a
farsi sentire la gatta.
«Devo
cominciare a dubitare della mia sanità
mentale» mormorò Rain.
Non
bastavano gli alieni, ora ci si mettevano
anche le allucinazioni di bestiole che parlavano gaelico chiamandola
“bella
figliola”.
Sapeva
che avrebbe dovuto darsi una mossa ma
c’era un gatto parlante, porca miseria!
«Hai
un alieno attaccato alla gamba e ti
stupisci di me? Sono anni che mangio le tue cotolette! E quelle di tua
madre! E
quelle dei tuoi trisavoli!... e tu sei quella che le cucina
peggio, cailín
gleoite, devo dirtelo».
«Ag
fuck-thù».
I
passi pesanti si erano fermati ma per il
momento nessuno dei tre si era reso conto di essere osservato.
Demolisher,
perché di lui si trattava, nel
regolare certe frequenze per poter captare segnali utili il modo
più efficace
si era imbattuto in una serie terrestre chiamata “Sabrina,
vita da strega”. Non
stimava i terrestri, li riteneva una specie troppo delicata e poco
avanzata,
eppure aveva visto quarantadue degli oltre centosessanta episodi
disponibili;
abbastanza da aver imparato che le femmine umane che facevano parlare i
propri
gatti erano sicuramente delle streghe in grado di lanciare incantesimi
terribili.
Dunque,
visto che lui e Megatron -anch’egli in
giro per il bosco- erano piuttosto convinti che quello fosse il secondo
Minicon
dello Scudo Stellare, era meglio cercare di approcciarsi con un
po’di cautela
per averlo senza ritrovarsi trasformato in qualche creatura anfibia.
«E-ehm…
strega umana di sesso femminile!»
esordì dopo qualche esitazione, uscendo allo scoperto
«Non ho intenzioni
dannose nei confronti tuoi e del tuo famiglio, quindi dammi quel
Minicon, così
io tornerò nella mia base e tu a fare le tue cose da
strega!»
“Ma
che va blaterando?!” pensò Rain.
Era
una cosa buona che non l’avesse attaccata
subito, oltre a scappare non avrebbe potuto fare molto altro avendo con
sé solo
un semplice fucile ed essendo uscita di casa, a quanto pareva, senza
cellulare.
Solo… strega? “Famiglio”?!
Giunse
l’illuminazione. Quel Decepticon doveva
aver visto troppa tv.
Con
essa giunse anche la consapevolezza che o
erano in due a essere pazzi, o non era la sola a sentire la gatta (o
forse a
quel punto avrebbe dovuto chiamarla Samhain? Che follia!).
Alle
possibili cause di ciò avrebbe pensato in
seguito, in quel frangente era meglio cogliere l’occasione.
«Oppure
io non ti do proprio nulla, me ne vado
e tu finirai distrutto da una maledizione di ruggine se non mi lasci in
pace»
lo minacciò Rain, iniziando ad allontanarsi assieme al
Minicon e alla gatta.
Era meglio ritrovare l’auto e tornare a casa prima possibile
«Tanto che ci sei,
dimmi dov’è la tua base…»
«DEMOLISHER!»
tuonò Megatron, facendosi
largo tra gli alberi «Hai ritrovato quel dannato Minicon
sì o no?... TU! Torna
subito qui, maledetta strega!» sbraitò, vedendo
Rain e il Minicon darsi alla
fuga in mezzo ai cespugli «Possibile che quella lì
sia sempre in mezzo?!»
«A-attento
Megatron! Quella lì è una strega
per davvero! Le streghe della Terra parlano con i gatti e lei parlava
con la
gatta che è…» abbassò lo
sguardo verso il suolo «Era qui un attimo fa! Lo
giuro!»
«Se
fosse davvero una strega saremmo tutti
morti da un pezzo per colpa di una sua maledizione, cosa che invece non
è.
Idiota!» sbottò, senza sapere di aver ripetuto
quasi parola per parola quel che
aveva detto Optimus quello stesso giorno «Troviamola, lei e
il Minicon non
possono essere andati troppo lontani!»
Detto
questo si lanciò all’inseguimento senza
perdere ulteriore tempo, schiacciando massi, abbattendo alberi
e
distruggendo cespugli lungo tutta la strada.
«È
inutile che vi nascondiate, vi troverò
prima o poi, e più tempo mi ci vorrà per farlo
peggiore sarà la fine che farai
tu, pazza arrogante!... chi avrebbe mai pensato che gli esseri umani
potessero
essere così fastidiosi?!»
Un
fischio tale e quale a quello che avrebbe
potuto fare un soldato a una femme terrena con un bel bagagliaio
attirò la sua
attenzione.
Soprattutto
quando si rese conto che proveniva
dalla sua spalla.
«Ehilà, asal
meatailt! Spero
che il grosso cannone che hai sul fianco non serva a compensare
qualcosa. A
proposito, voi ce l’avete il cannone? Intendo quello in mezzo
alle gambe!»
Era
un animale volatile terrestre notturno i
cui simili aveva avuto occasione di vedere altre volte nel corso delle
varie
missioni di caccia ai Minicon, con una differenza sostanziale: gli
altri non
parlavano.
Né
lo avevano mezzo molestato.
Cercò
di scacciarsi di dosso la civetta con un
gesto nervoso. «Cosa diavolo sei tu?!Un alieno mutaforma? Non
so perché sei qui
e non mi interessa» disse, per nulla impressionato
all’idea. Nella vita aveva
visto di peggio «Togliti di mezzo e non ti
intromettere!»
«Sì
ma il cannone lo avete o no?» insistette
la civetta, volandogli davanti al volto a testa in giù.
«PIANTALA!»
ringhiò il Decpeticon, cercando
senza successo di spararle.
«Se
io fossi più grossa o tu fossi più piccolo
mi divertirei a scoprirlo, asal meatailt,
peccato che non sia il
momento giusto. Abbiamo entrambi altro da fare: tu devi renderti conto
che le
tue “prede” sono fuggite in volo, io devo andare a
mangiare. O beh. Addio»
concluse la civetta, scomparendo in mezzo agli alberi.
Rimasto
solo, Megatron tacque per qualche
secondo.
Poi…
«COSA?! Come
avrebbero fatto ad
andarsene via in volo?! Ah, già, quel Minicon poteva volare,
se lei gli si è
attaccata… maledizione!» sbraitò
«Ritirata!»
Ormai
era inutile restare lì, ma anche se
aveva perso quel Minicon non intendeva rinunciare all’idea di
avere, un giorno,
Spada e Scudo Stellare per sé. Col tempo, si disse, avrebbe
ottenuto tutto: le
sue armi, la sua vittoria e le sue vendette.
***
«Puoi
anche smetterla di parlarmi con quei
tuoi versi senza senso, non riesco a capirti. Per fortuna almeno questo
verrà
risolto presto e verrai portato insieme al resto degli alieni come
te».
Grazie
al Minicon, Rain era riuscita a uscire
dal bosco e tornare all’automobile. Ciò oltre ad
averla salvata dai Decepticon
-i quali non l’avevano lasciata in pace nemmeno il giorno del
suo compleanno-
le aveva anche permesso di passare a prendere l’hamburger con
le patatine, e al
momento era davanti al falò assieme al piccolo robot, che le
parlò di nuovo.
«La
gatta sta bene sicuramente, sempre che
fosse davvero lì e non ci fosse un
“qualcosa” nel bosco, forse alieno
anch'esso, ad alterare le mie onde cerebrali e i segnali nei vostri
circui…»
Rain si interruppe «Stavolta invece ho capito quel che hai
detto. Le cose sono
due: o è un residuo di quel che c’era nel bosco o
è un segno che sto passando
troppo tempo con voi cosi e staccare per una serata mi farebbe solo
bene».
Guardò
il cellulare. Il messaggio inviatole da
quei due conoscenti stretti era ancora lì, il suo
“Vi farò sapere” in risposta
era ancora lì ed era in tempo per scrivere un “Va
bene, vengo con voi”.
«Forse
dovrei…»
«Sì, cailín
gleoite, forse
dovresti! Se continui a inimicarti i robot giganti non è
detto che avrai molte
altre occasioni di festeggiare».
Nel
sentire quella voce -quella della gatta!-
vicina a un orecchio il sobbalzo istintivo con annessi passi indietro
di Rain
la fece quasi inciampare e finire nel fuoco. Venne però
salvata da una donna che,
seppur indossasse una felpa nera molto comune, con quei capelli ricci
rossi,
quella pelle chiarissima e gli occhi aranciati somigliava terribilmente
alla
figura di cui lei stessa aveva parlato a Billy nel pomeriggio.
«Sei
coraggiosa ma sei solo una mortale» le
ricordò la donna, delicata e ferma nel prenderle una mano e
attirarla verso di
sé allontanandola dalle fiamme.
«E
tu sei una visione di Samhain frutto
dell’effetto di un “qualcosa” nel bosco,
non so cosa, e niente di più» ribatté
Rain, scostandosi un po’.
Samhain
fece spallucce. «Se ti piace restare
in bilico tra il credere e il non credere sei libera di farlo. Tanto io
sono
qui solo per il mio cibo e il mio grog. A proposito del cibo, se
l’anno
prossimo sarai ancora viva mi piacerebbero delle costine di maiale
grigliate. E
le patatine fritte».
«Senti
un-»
Un
rumore svariati metri più in là, quello di
un vortice deformante che si apriva, la spinse a voltarsi.
«Fono
il Conte DRAAACULA!»
esclamò Hot Shot, aprendo il mantello da vampiro che in
tutto quel lasso di
tempo non si era ancora tolto.
La
reazione di Rain fu un’alzata di
sopracciglio.
«O
beh, perlomeno tu non mi hai riso in
faccia. Quando Billy ha contattato la base dicendo che gli avevi fatto
sapere
di aver trovato un Minicon stentavo a crederci.
Com’è successo?!»
«Ero
nel bosco. C’erano anche Megatron e un
Bidone Parlante dei suoi, e…»
Si
voltò.
Samahin,
se mai c’era stata davvero, non c’era
più... esattamente come non c'erano più cibo e
grog. Data la presenza di Hot
Shot fu costretta ad accantonare il dubbio amletico "Li ho messi
davvero
vicino al fuoco oppure ho solo creduto di averlo fatto?".
«…e
siamo riusciti ad andarcene anche grazie
al fatto che questo coso qui vola» completò la
frase Rain, indicando il Minicon
con un cenno «Non farmi dire altro, ho già
bestemmiato abbastanza lungo la via
del ritorno per non essere riuscita a stare in pace nemmeno
oggi».
«Capisco.
So che per voi umani l’anniversario
della nostra nascita è un giorno di festa… e-ehi,
non guardarmi in quel modo! Sono
venuto a saperlo dai ragazzi, non volevo farmi gli affari
tuoi» si difese Hot
Shot, notando l’occhiata poco incoraggiante.
Rain
sospirò e si mise a sedere accanto al
falò. «Prendi il mini alieno e vai».
«Un
attimo, ti ho portato una cosa. Quando un
umano festeggia il compleanno gli si fa un regalo, giusto?»
Un
attrezzo da lavoro alieno molto somigliante
a una chiave inglese.
Una
chiave inglese grande.
Troppo
grande.
«Non
c’era molto di meglio in giro e non puoi
usarla come facciamo noi ma come panchina sì! Ho visto usare
come panchine cose
ancora più strane nel vostro Internet. Oppure puoi metterla
dove vuoi. Oppure
puoi buttarla via, visto che… forse non è stata
una grande idea, a te non
piacciono le cose aliene».
«Vero»
disse Rain, dopo una breve esitazione
«Però potrebbe effettivamente servire,
quindi… grazie» altra pausa «A dirla
tutta se la prossima volta mi portassi dei pezzi di Decepticon
affettati con la
tua spada sarebbe anche meglio».
«Lo
farò. Lo trovo un po’macabro, ma lo
farò!»
Incredulo
per essere stato ringraziato ma
anche soddisfatto, l’Autorobot se ne andò insieme
al Minicon, lasciando sola
Rain che, guardando il falò, digitava messaggi sul cellulare.
***
«Non
mangiare tutti i tuoi dolci già adesso
perché se ti aspetti che ti dia i miei sbagli di
grosso!»
«Ma Biiiillly! Tu
ne hai
presi un sacco più di me!»
Letteralmente,
dato che Billy era stato
costretto a procurarsi un sacco più grosso per portare tutti
i dolcetti. Il
costume da vampiro e il trucco, ben fatti entrambi, avevano avuto
successo.
«Ti
andrà meglio il prossimo anno. RAAAAIN! Siamo
a casa!» gridò Billy appena prima di aprire la
porta.
«Non
è che dormiva e così l’abbiamo
svegliata?»
«Nah.
Sono le undici e tre quarti e di norma è
difficile che vada a dormire prima di mezzanotte e mezza, tanto anche
così si
fa minimo dieci o undici ore di sonno… certo che fa una
bella vita» sospirò
Billy «Se fossi stato al suo posto oltre ad alzarmi tardi
sarei stato sempre in
giro per il mondo in posti di lusso, sarebbe stato
fichissimo».
«Però
se avesse fatto così non vivresti qui»
gli fece notare Fred.
«Eh…
sì, è vero».
Quando
finalmente entrarono rimasero attoniti,
perché sul divano era seduta una strega celtica o qualcosa
di simile.
«Noto
che la caccia ai dolcetti è andata bene.
Io tra cinque minuti dovrei uscire».
Entrambi
i ragazzini pensarono che se Alexis
avesse visto Rain in quel momento si sarebbe convinta che fosse una
strega per
davvero. Era bella e sottilmente inquietante con quell’abito
rosso e nero
decorato di ricami e piume, i vari medaglioni color oro brunito, il
copricapo
di piume nere -che erano le stesse del bastone di legno poggiato
accanto a lei-
e quel trucco nero sugli occhi a mo’di maschera. Di sicuro
sembrava prontissima
per lanciare sortilegi in gaelico a qualcuno.
«Non
è che partecipi a sabba di streghe
celtiche e non me l’hai mai detto?»
scherzò Billy.
«Figurati.
Ho messo questo costume una volta
all’Università e poi mai più».
«Quindi
hai deciso di andare con quei tuoi
conoscenti stretti. Sono contento» sorrise il ragazzino.
«S-spero
che tu ti diverta…» farfugliò Fred.
«Me
lo auguro! L’ultima volta che ci siamo
visti, il villaggio vacanze dov’eravamo è andato a
fuoco poco dopo che era
stato avvistato in giro un serpente. Magari avremo più
fortuna stavolta. Andate
pure, ragazzi, e ricordate…»
«“A
letto a un’ora decente e usate i
sottobicchieri”, sì, lo so» disse Billy,
alzando gli occhi al soffitto mentre
saliva le scale per andare di sopra assieme a Fred.
Rain
rimase sola ma non dovette aspettare
molto: il campanello dell’ingresso suonò meno di
due minuti dopo. Sicuramente
erano i due conoscenti stretti che aspettava.
“Andrà
tutto bene” si disse la donna “Lui ha
qualche peculiarità ma lei è così di
classe che compensa tutto, anche il fatto
che le manchi il braccio sinistro. Con la protesi nemmeno si
nota”.
Aprì
la porta. «Buonasera a tutti e due,
Nefertari e… Zachary…»
Mentre
parlava si rese conto che quest’ultimo
la stava salutando con la protesi di Nefertari, staccata dalla sua
posizione
abituale.
E
che probabilmente aveva suonato il
campanello sempre con quella.
«Come
mummia è perfetta visto? Oltre a essere
egiziana perde anche i pezzi!» esclamò Zachary,
zombie albino, occhialuto e dal
sorriso sornione la cui sedia a rotelle era stata mascherata da
catafalco «Ciao
Rain! Sei una strega tanto carina!»
«Ti
trovo bene, Rain. Buon Halloween e
soprattutto buon compleanno» disse Nefertari
«Abbiamo un regalo per te».
Il
vestito da mummia di Nefertari era molto
attillato e non aveva tasche, dunque fu Zachary a tirare fuori dal
“catafalco”
le giare piccole dell’intera collezione di Halloween di
Yankee Candle.
La
giornata di Rain passò così da
“pessima” a
“tutto sommato non male”.
«Grazie!
Non avevo ancora avuto modo di
metterci mano. Mi avete risollevato la giornata, sappiatelo»
disse, posando le
giare in casa chiudendo la porta dietro di sé dopo essere
uscita.
«Seccature
varie?» indagò Zachary, mentre si
dirigevano all’auto dove l’autista li aspettava per
partire.
«Qualcuna.
Però non voglio pensarci oltre… e
stasera spero che non prenda fuoco nulla».
«O
che non ci sia un serpente anche lì»
aggiunse Zachary.
«Se
anche ce ne fossero quindici non andrebbe
di nuovo a tutto fuoco, Rain, te lo assicuro» sorrise
Nefertari, sistemando una
ciocca fuori posto dei suoi lunghi capelli scuri «Non si
può avere sfortuna due
volte di fila. Andiamo».
“Sì…
passare del tempo con gente più normale
di quella che ho intorno ultimamente non può farmi che
bene” concluse Rain.
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Capitolo 13 *** Pioggia acida ***
«Perché?!
Sideways… sei sempre stato un Decepticon, fin
dall’inizio… e mi hai ingannato per tutto questo
tempo!»
Crollato in ginocchio sul brullo suolo lunare, Hot Shot
stava sperimentando la sgradevolissima sensazione di chi commette un
errore
irreparabile. Da che aveva avuto in mano la Spada Stellare aveva
creduto di
essere il più grande transformer dell’Universo,
fino ad allora non c’erano
stati chissà quali fatti a dimostrargli il contrario; in
quel momento invece stava
scoprendo di essere sì “il più
grande”… ma il più grande imbecille.
«Come ho potuto essere così stupido?! Avrei dovuto
immaginarlo…»
Così si sentiva: la creatura più inetta mai
esistita.
Nell’ultima missione per il recupero dell’ennesimo
Minicon
aveva finito con l’essere trasportato assieme a Sideways
nella base dei
Decepticon, capendo con sorpresa che era locata sulla Luna.
Poco dopo aveva
scoperto che non era stato casuale: il finto Minicon e il relativo
segnale che
aveva attirato sul posto lui e i Decepticon erano stati entrambi creati
da
Sideways, il quale pareva aver previsto tutto, inclusa la ritirata dei
Decepticon.
Anche allora lui, Hot Shot, non aveva avuto sospetti, perché
nei giorni passati aveva avuto con Sideways una conversazione riguardo
una
simile prospettiva.
“Giorno fortunato per te, sfortunato per loro”,
aveva detto Sideways.
“Attaccarli direttamente e farla finita una volta per
tutte”, aveva aggiunto.
Quando se n’era parlato gli era sembrata una buona idea,
perché Sideways non aveva fatto altro se non premere tasti
che già c’erano. Se
non fosse stato per l’influenza dei suoi compagni e
soprattutto di Optimus, Hot
Shot avrebbe affondato la Spada Stellare nel petto di Megatron
già della volta
in cui questi si era azzardato a invadere la loro base. Aveva un
temperamento
impulsivo e il pensiero -magari nemmeno errato, per quanto molti
cercassero di
convincerlo di sì e cercasse di convincersene lui stesso-
che la fine della guerra valeva
bene la distruzione di qualche Decepticon.
Quella creata da Sideways gli era sembrata la situazione
perfetta per mettere in pratica l’idea, peccato che si fosse
rivelata
una trappola, che il suo nuovo compagno di squadra si fosse rivelato
una spia e
che ora la Spada Stellare fosse nelle mani di Starscream.
«Ammirate il transformer più potente
dell’Universo!» esclamò
il seeker, brandendo con fierezza l’arma appena conquistata
«La Spada Stellare
è finalmente nelle mani del suo vero padrone!»
Tutto quel che Hot Shot riusciva a fare era stare fermo lì,
circondato dai Decepticon, a guardare le proprie sicurezze andare in
pezzi. La
Spada gli aveva dato una scarica di fiducia in se stesso e una
sensazione di
invincibilità che non aveva mai provato prima, senza di essa
si sentiva come se
stesse affrontando i nemici senza l’armatura addosso, anzi,
peggio.
«Era una trappola e non me ne sono accorto»
ripeté, ancora
sconvolto «Non mi sono accorto di
niente…»
Cos’avrebbero pensato di lui i suoi compagni, che negli
ultimi tempi si erano appoggiati molto a lui durante le battaglie?
Cos’avrebbero pensato di lui i ragazzini, i quali
più che
mai erano stati entusiasti di lui e dei suoi successi?
Cos’avrebbe pensato Rain, che aveva avvertito
l’intera
squadra e lui, in particolare, più volte?
E cos’avrebbe pensato Optimus Prime, che gli aveva permesso
di usare la Spada Stellare quando invece essendo il leader avrebbe
avuto il
diritto di reclamarla per sé?
«Per questo non meriti di possedere la Spada
Stellare»
infierì Megatron, sparando contro di lui due colpi al laser
che lo presero di striscio.
Nello spostarsi, l’Autorobot finì tra i piedi di
Demolisher,
il quale iniziò a prenderlo a calci senza esitare neanche un
istante.
«Devi ancora riprenderti dallo shock, vero?» lo
dileggiò il
Decepticon «Lascia che ti dia una mano a ritornare alla
realtà!»
«Lasciamene un pezzo!» esclamò Cyclonus,
raggiungendo il
compagno di squadra per poter partecipare a sua volta.
Megatron rise. «Il piccolo Autorobot merita uno speciale
trattamento alla Decepticon!»
Hot Shot non riuscì a dargli torto, pensava che Megatron
avesse azzeccato la parola giusta: “merita”.
In condizioni normali avrebbe
cercato di difendersi, avrebbe cercato di scappare e se non ce
l’avesse fatta
avrebbe cercato di vendere cara la pelle metallica, ma in quel momento
sentiva
di meritare ogni calcio, ogni colpo, perfino la morte se Megatron alla
fine
avesse deciso così.
Uno stupido che aveva fatto finire la Spada Stellare nelle
mani dei Decepticon non aveva il diritto di cercare di scamparla.
“Sciocco d’un ragazzo!” pensò
Scavenger, osservando la scena
da una certa distanza.
Da quando il mercenario era arrivato sulla Terra aveva avuto
modo di valutare tutti quanti, Hot Shot incluso.
Gli era sembrato promettente e
ne aveva avuto conferma dopo che lo aveva provocato più
volte proprio per verificare
quella teoria, tanto che una volta conclusa la missione tra i
Decepticon
avrebbe gradito addestrarlo, ma se Megatron lo avesse ucciso quel
giorno non
avrebbe potuto.
“C’è di buono che sembra essere preso da
tutt’altro”.
Lo scambio di battute che stava avvenendo tra Megatron e
Starscream, infatti, lo faceva sospettare che difficilmente
quest’ultimo
avrebbe mantenuto a lungo il possesso sulla Spada Stellare.
Era difficile
mantenere il possesso su qualcosa che Megatron voleva, ed era ancora
più difficile
se si era dei Decepticon.
«Megatron!»
Il leader dei Decepticon si voltò nella sua direzione.
«Scavenger. Avrei voglia di chiederti dov’eri
finito ma mi hai colto in un
momento di particolare buonumore».
Scavenger indicò Hot Shot, che stava ancora venendo
picchiato, con un cenno del capo. «Intendi lasciarlo
andare?»
«Direi di no. Anzi! Starscream, vai a porre fine alle
sofferenze di quell’infelice» ordinò
Megatron.
Il seeker sogghignò. «Con piacere».
«Non c’è bisogno di
eliminarlo» si fece sentire nuovamente
Scavenger «Lasciamolo in vita. Lasciamo che torni sconfitto
alla sua base,
ricorderà a lungo l’umiliazione che ha ricevuto.
Se morisse adesso soffrirebbe
meno, e tu non volevi fargliela pagare per averti strappato la Spada
dalle
mani, Megatron?»
Il mech fece una smorfia, non amava mai ricordare sconfitte
e fallimenti, ma forse il vecchio mercenario balordo dalla lingua
troppo lunga
poteva avere ragione e, in ogni caso, quel che contava davvero era che
gli
Autorobot avessero perso la Spada Stellare. Si preannunciavano solo
vittorie
facili in futuro.
«Non hai tutti i torti» concluse Megatron,
aggiungendo per
buona misura la sua solita risata «Sia. Cyclonus, Demolisher,
ammorbiditelo un
altro po’ e poi rispeditelo nella sua base col vortice
deformante. Ricordati,
stolto ragazzino: questo è quello che succede a tirare
troppo la corda con i
Decepticon!»
***
Nella base terrestre, sdraiato sulla cuccetta
dell’infermeria, Hot Shot fissava il soffitto senza dire una
parola. Attaccato
ormai da qualche ora a dei macchinari ronzanti con molteplici cavi, le
uniche
cose cui riusciva a pensare erano il fallimento e il momento in cui,
ripresosi,
avrebbe dovuto raccontare la storia completa.
Tutto quel che era riuscito a dire quando era tornato alla
base, capace a stento di reggersi in piedi, era stato che Sideways lo
aveva
tradito. Quale fine avesse fatto la Spada Stellare, Optimus e i suoi
compagni
lo avevano immaginato da soli.
Non sapeva ancora dire se fosse stata peggio la
preoccupazione sui loro volti o quella mista a delusione sul viso dei
quattro
umani presenti. Di certo si erano aspettati che lui e Sideways
mettessero la
base dei Decepticon a ferro e fuoco, non di vederlo tornare massacrato
e
disarmato.
La vergogna era tale che si sentiva morire, a dirla tutta
quasi lo desiderava. Scavenger ci aveva visto giusto nel dire che
eliminandolo
l’avrebbero fatto soffrire di meno, però non aveva
neanche la forza di
arrabbiarsi e odiarlo.
La porta dell’infermeria scorse di lato. I passi che sentiva
erano leggeri, quindi non si trattava di Red Alert o uno degli altri,
non erano
metallici, quindi non si trattava di un Minicon, ed erano di una
persona sola,
dunque non si trattava dei ragazzini, i quali viaggiavano sempre almeno
in
coppia.
Poteva trattarsi di una sola persona, alias Rain, e il
desiderio di essere morto divenne più potente.
«Dillo: quando distribuivano il cervello, tu hai capito
fardello, e hai detto “No grazie”! Cosa ti avevo
detto? “Sideways è una spia,
non ti devi fidare, non gli devi dare retta, non gli devi dare
confidenza,
cerca di non perdere la Spada”, e tu cos’hai
fatto?! Ag fuck-thù!»
«Non so cosa tu abbia detto ma merito tutti gli insulti che
vuoi dirmi. Sono colpevole verso tutti quanti per quel che è
successo» riuscì a
dire l’Autorobot «E sono doppiamente colpevole
verso di te. Ci avevi avvertiti,
mi avevi avvertito, e io non ti ho ascoltata».
Con sua sorpresa, vide che Rain si era arrampicata sulla
cuccetta e che in quel momento si stava arrampicando anche sopra il suo
petto. Il
bazooka non sembrava impicciarle in quell’operazione.
Doverla guardare in faccia non avrebbe reso le cose più
semplici.
«Tutto vero, ma lascia perdere le ovvietà e le
cose che già
so» disse la donna, in piedi all’altezza della sua
Scintilla «Piuttosto dimmi
quelle che non so. Chi ha la spada ora?»
«Starscream» mormorò Hot Shot.
«Avrei scommesso sul cornuto. Non so se sia meglio o peggio
così ma è irrilevante, Bidone Parlante Due non se
la terrà a lungo, quindi
passiamo alle cose serie. Quando sei stato teleportato via, i
Decepticon si
stavano ritirando. Da ciò consegue che tu sia stato nella
loro base, quindi,
Hot Shot, ora dimmi dove si trova».
«Rain-»
«Shut your gob, ya
bleedin’ muppet. Ti sei fidato di una spia, non mi
hai dato retta e hai
fatto un disastro ma non è irreparabile, dimmi dove si
nascondono quelle
maledette larve di ruggine e tutto quanto andrà a
posto».
Passi affrettati interruppero Hot Shot poco prima che si
arrendesse all’idea di risponderle.
«Sapevo che eri qui, nell’ultimo posto dove saresti
dovuta
essere!» fu la prima cosa che disse Optimus Prime entrando
nella stanza «Hot
Shot necessita di riposo, non dovrebbe essere una cosa difficile da
comprendere
neppure per te, Rain».
«Se sei qui per ammettere che io avevo ragione riguardo
Sideways e scusarti, sappi che non lo stai facendo bene. Quel che
è successo è
anche colpa tua» lo accusò Rain, per nulla
intimorita «Ti avevo detto che era
una spia, era palese. “Animo da vagabondo”! Ma per
piacere! Quale idiota
avrebbe potuto cascarci? Solo tu! Tu, che apri la porta della tua base
a cani e
porci per far vedere che sei bravo e buono, hai voluto lasciar entrare
un
nemico e questi sono i risultati».
«Quel che è fatto è fatto, e in ogni
caso se dessi retta a
te non dovrei fidarmi neppure di me stesso. Su Sideways avevi ragione
ma, come
dite voi terrestri, anche un orologio rotto segna l’ora
giusta due volte al
giorno» ribatté Optimus, cercando di mantenere la
calma quanto più possibile.
«Infatti no, non dovresti fidarti di te stesso,
perché mi
sembra che tu non faccia altro se non auto sabotaggi. Poteva andare
anche peggio. Molto peggio!» aggiunse la donna
«Avrebbero potuto ucciderlo o, se
Megaschifomadò fosse stato un minimo più sveglio,
avrebbe potuto tenerlo come
ostaggio e farsi consegnare tutti i cosetti» alias i Minicon
«Sia quelli che
già avete, sia quelli futuri. Sono abbastanza convinta che
avresti ceduto».
«Avrebbe potuto ma non è accaduto, Rain, quindi
stai parlando
del nulla» replicò il comandante.
«Se non è accaduto dobbiamo solo ringraziare gli
Dèi Esterni
per il fatto che quel grandissimo cornuto sia un deficiente di prima
categoria,
di certo non la tua saggezza. Torno a rivolgermi a te, Hot Shot: dove si trova la base dei Decepticon?»
«Basta così» concluse Optimus
«Hot Shot ha bisogno di
riposo, come ho detto quando sono entrato. Puoi lasciare
l’infermeria sulle tue
gambe o protestare inutilmente quando ti scorterò fuori di
persona, a te la
scelta, ma non tollererò che continui. Non hai avuto un
briciolo di compassione
neanche per un ferito, ti rendi conto?»
«Può parlare e può ascoltarmi, non vedo
il problema» ribatté
Rain, decidendo comunque di scendere dal petto di Hot Shot e dalla
cuccetta.
«Il problema è proprio che tu non veda il
problema».
«Di problemi ne vedo molti, primo tra tutti un certo
comandante che non saprebbe riconoscere le spie neanche se andassero in
giro
con un cartello con su scritto “SPIA”, e non
è neanche il peggio, ma parlare con
te è come farlo col muro, con la differenza che i muri sono
più utili. Non
credere che finisca qui, Hot Shot: dopo quel che hai combinato, una
risposta me
la devi».
Quando Optimus sentì la porta aprirsi e chiudersi,
andò
velocemente a digitare il codice per sigillarla.
«Almeno non ci sarà il rischio che rientri per
continuare a
discutere» disse «È l’ultima
cosa di cui abbiamo bisogno. Non dovrei sentirmi
allibito eppure lo sono: non le è importato che fossi in
terapia intensiva, e
sei quello che odia di meno!»
«Non ne sono più sicuro ormai, se ora mi odiasse
più di
quanto odia Megatron le darei ragione. Darei ragione a tutti voi se
faceste la
stessa cosa. Optimus… signore… la colpa di questo
fallimento è solo mia. Se
solo potessi tornare indietro, se solo ci fosse un modo per-»
«Tornare indietro è qualcosa di impossibile e un
modo per
riprendere la Spada Stellare, o gestire la situazione, si
può trovare. La sola
cosa che non devi assolutamente fare» si avvicinò
a Hot Shot e abbassò la voce
«È dire a uno qualunque degli umani dove si trova
la base dei Decepticon».
«È sulla luna» disse Hot Shot
«Cosa che spiega anche
il vortice deformante a corto raggio. Ma perché non posso
parlarne anche solo
con i ragazzi?»
Optimus fece un lungo sospiro. «I ragazzi parlano tra loro,
tra loro c’è Billy, Billy vive con Rain
O’Connell. Questa è la ragione. Non so
cosa potrebbe e vorrebbe fare di preciso una volta a conoscenza della
posizione
della base di Megatron ma ormai la conosco abbastanza da sapere che
qualunque
cosa sia andrebbe contro tutti i miei principi, i nostri
principi. Se chiunque di loro di chiederà qualcosa,
di’ di
non aver capito dove ti trovavi, al massimo di’che era un
terreno molto brullo,
ma niente di più. Questo è un ordine e anche un
favore personale, Hot Shot».
«Sissignore» rispose il giovane Autorobot che,
vedendo
Optimus non intenzionato a biasimarlo troppo per l’accaduto,
avrebbe detto di
sì a qualunque cosa.
«Bene. Ora riposa, nessuno verrà più a
disturbarti».
Uscito dall’infermeria si stupì di non trovare
Rain a
tentare di origliare.
“Probabilmente ha capito che sarebbe stato inutile o ha
notato che era riuscita a innervosirmi abbas- no, di quello non le
è mai
importato” sospirò di nuovo, camminando lungo il
corridoio “Il tradimento di
Sideways, e soprattutto la perdita della Spada Stellare, sono un duro
colpo.
D’ora in avanti sarà difficile riuscire a impedire
che i Minicon cadano nelle
mani di Megatron, purtroppo è un dato di fatto. Questa non
me, anzi non ‘ce’,
la dovevi fare, Hot Shot… la speranza più
concreta che abbiamo ora è quella di
riuscire a riunire i Minicon dello Scudo Stellare. Anche il fatto che
la
missione di Scavenger tra i Decepticon stia per terminare è
positivo”.
«Allora dov’è?»
Optimus, vedendo Rain e sentendo la sua voce dopo aver
girato l’angolo, quasi sobbalzò.
«Dov’è cosa?»
«Non hai bisogno di fare il finto tonto, e chi vuol
intendere intenda. Dici che Hot Shot ha bisogno di riposo, quindi lo
chiedo
direttamente a te: dov’è la base dei Bidoni
Parlanti?»
«Sfortunatamente Hot Shot non è stato in grado di
capirlo,
essendo impegnato con tutt’altro. Ha saputo dirmi soltanto
che era su un
terreno molto brullo».
«Hai la fama di uno che non mente mai, così mi
dicono. Ho sempre pensato che
fosse immeritata».
Non gli aveva creduto.
Ovvio che no.
«Non ho altro da dirti, Rain, che ti piaccia o meno. A dirla
tutta dovresti smetterla di interessarti alla posizione della base di
Megatron,
non è la tua guerra».
«Lo è diventata da quando io e Billy siamo stati
rapiti,
perfino tu dovresti arrivare a capirlo».
«Come tu dovresti capire che non puoi ridurre il tutto a una
semplice questione personale» replicò Optimus,
avvertendo l’ormai familiare
tensione ai transistors «E non puoi muoverti solo in funzione
di essa».
«Disse quello che, proprio per una questione personale, non si muove affatto. Se tu facessi il
tuo dovere, se tu l’avessi fatto milioni di anni fa, ora
saresti in pace su
Cybertron. Non ci saremmo neanche incontrati, ci pensi? Sarebbe stato
fantastico».
«Sì, su questo hai ragione» disse.
Ammutolì.
Non poteva credere di averlo detto davvero, non poteva
credere di aver lasciato intendere di provare mal sopportazione a tali
livelli
verso qualcuno, verso un essere umano, quando non riusciva ad ammettere
nemmeno
a se stesso di provare reali e profondi sentimenti negativi verso
chicchessia,
anche verso Megatron, che pure era il suo nemico giurato.
«Nel detestarci allora siamo d’accordo»
disse Rain.
«Io non intendevo… io non volevo, non... io non ti
detesto.
Non sarebbe onorevole in genere» dichiarò Optimus
«Tantomeno lo sarebbe con
qualcuno tanto più debole di me. Non ti detesto.
No».
Lei alzò gli occhi al soffitto. «Credo che
riusciresti a
ragionare molto meglio se ammettessi il contrario. Tu e io non ci
spariamo
addosso ma ci detestiamo. Tu e Megatron vi detestate. Ora probabilmente
stai
detestando anche te stesso per non riuscire a evitare tutto questo, che
è del
tutto normale. Scendi dal piedistallo su cui ti hanno messo e al quale
ti sei
appiccicato, per una volta».
«Non sono su alcun piedistallo, ritengo semplicemente che il
leader degli Autorobot debba essere superiore a certe cose e non
intendo
cambiare opinione. Ora sii gentile e torna insieme ai
ragazzi».
Rain sollevò un sopracciglio. «Mi chiedo
cos’altro debba
succedere perché tu capisca che è il caso di
cambiare approccio o di lasciar
fare a chi ne ha già uno diverso dal tuo. Aver perso la
Spada Stellare è un
problema».
«Lo risolveremo o lo gestiremo come facciamo con qualunque
altro».
«Ora sì che mi sento tranquilla».
Ci fu una breve pausa di silenzio.
«Non sarà per mano mia o dei miei
soldati» disse Optimus
Prime «Ma se continuerai così arriverà
un giorno in cui il tuo atteggiamento ti
darà più di qualche problema. Avendo attirato
l’attenzione di Megatron avresti
dovuto già capirlo, eppure insisti, come se potessi
permetterti questo e altro.
Forse sei abituata al fatto che di solito sia così ma
dovresti cercare di
riportare tutto alla giusta misura, per Billy, se non per te
stessa».
«Se non fosse per quel “non sarà per
mano mia o dei miei
soldati” potrei anche prenderla come una velata minaccia ma,
dato che non lo è
e che sei così gentile nel preoccuparti
per me e per mio cugino, ti tranquillizzo dicendo che non hai motivo di
stare in
pensiero. Non per noi due».
Optimus non rispose, lei non aggiunse altro e, con sollievo
di entrambi, andarono ognuno per la propria strada.
***
“Non è giusto. Non è per nulla
giusto”.
“Sono stato io a fare l’accordo con Sideways, a
ricattare
quel povero idiota e tutto il resto, Starscream l’ha solo
raccolta. Non la merita”.
“La Spada Stellare spettava a me! Sono io il capo, sono io
che dovrei averla”.
Quei pensieri
vorticavano nel processore di Megatron da quando aveva visto il seeker
mettere
le mani attorno all’elsa di quell’arma leggendaria.
Non poteva fare nulla per
contrastarli e non voleva neppure farlo, perché era
convintissimo che fossero
giusti.
Non si rendeva neanche conto di quanto alcuni di essi potessero
risultare infantili, come d’altra parte non si rendeva conto
di quanto le sue
reazioni e lui stesso potessero risultarlo in certi frangenti.
“Starscream è anche soggetto a deliri di
onnipotenza più o meno lunghi
quando ottiene un potenziamento. Quando ha ottenuto quel Minicon, in
quella
maledetta foresta, ha tirato un colpo di cannone che ha rischiato di
danneggiare anche chi non doveva. Non dovrei permettergli di tenere con
sé un’arma
come la Spada Stellare, non è il soggetto adatto. Tutto e
tutti sarebbero più
al sicuro, se fosse in mano mia”.
Magari non era stupido, non del tutto -o comunque non peggio
del suo nemico giurato- e c’erano delle occasioni in cui era
in grado di
mostrare una maturità più consona alla sua
età, alle sue responsabilità e al suo
grado.
“E se anche così non
fosse, voglio averla e basta”.
Peccato che l’occasione attuale non fosse una di esse.
“Posso ordinargli di cedermela. È un mio soldato,
è tenuto a
obbedire” pensò “Se non dovesse farlo
potrei subito accusarlo di alto
tradimento e finirei per averla comunque tra le mie mani”.
A meno che Starscream decidesse di sfidarlo prima.
Non era nella sua élite senza ragione, era un giovane in
gamba e lui, sotto sotto, lo sapeva perfettamente.
“Non cambia nulla. Posso batterlo anche mentre dormo, e con
una mano sola!”
Però non poteva fare a meno di pensare anche
“tutto vero, ma
se per un colpo di sfortuna andasse storto qualcosa?”. La
sorte non era stata
sua amica negli ultimi tempi, come dimostrava l’essersi fatto
ferire per due
volte da degli esseri umani.
Ecco, sì: andare a fare una visitina a certi umani una volta
impadronitosi della Spada Stellare era sicuramente nella sua lista di
cose da
fare.
“Una cosa per volta. Prima pianificherò qualcosa
per avere quel
che è mio di diritto, alias la Spada”
pensò “E poi… non dovrò far
altro che
scegliere l’ordine con cui mettere in pratica tutto quel che
ho in mente”.
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Capitolo 14 *** Pioggia in un freddo sabato sera ***
10
PIOGGIA
IN UN FREDDO SABATO SERA
“Moon river, wider
than a mile
I'm crossing you
in
style some day…”
Non era un bel
momento per gli Autorobot, Optimus lo sapeva.
I Decepticon si erano impadroniti della Spada Stellare, cosa che aveva
portato
e stava portando a svariati Minicon persi e compagni di squadra feriti
in
battaglia, e sebbene stessero cercando di trovare l’ultimo
Minicon dello Scudo
Stellare non erano ancora riusciti nell’impresa. Il morale di
tutti quanti era
a terra nonostante i suoi tentativi di risollevarlo…
“Le
parole senza i
fatti sono inutili, e i fatti ve li trovate addosso sotto forma di
tagli. O vi
riprendete la Spada, che senza certe
scelte avventate sarebbe ancora qua, o trovate lo Scudo:
altro non c’è”.
Tentativi che
Rain O’Connell smontava senza pietà alcuna.
L’avvertimento
riguardo il fatto che il suo atteggiamento un giorno avrebbe potuto
portarle
problemi -avvertimento che ora, nel ripensarci, suonava come una velata
minaccia a lui stesso che aveva detto quelle parole- l’aveva
solo invelenita
ancora di più, il che era tutto dire. L’unica cosa
buona era che lei e Billy
frequentassero la base limitatamente, ma quel poco era più
che abbastanza.
“You,
dream maker, you
heart breaker
Wherever you're
goin',
I'm goin' your way…”
Erano quelli i
motivi che, nei momenti liberi, quel giorno e
i precedenti lo avevano spinto a cercare conforto fuori dalla base.
Inizialmente era stato solo un andarsene fuori, appunto, ma un bel
giovedì sera
il suo peregrinare l’aveva portato a passare vicino a un
“lounge bar”
-l’insegna recitava così- dal cui interno aveva
sentito una voce femminile
cantare un brano terrestre a lui sconosciuto.
“Two
drifters, off to
see the world…”
L’estensione
vocale della cantante non era nulla di
speciale, ma non era quello il punto. Ciò che
l’aveva indotto prima a
rallentare e poi a trovare un posto nel parcheggio era il fatto che la
voce di
quella donna fosse quanto di più tranquillizzante avesse
sentito da svariati
millenni a quella parte; se fosse per una frequenza che risuonava in
modo
particolare nel suo processore o simili Optimus non avrebbe saputo
dirlo, ma di
sicuro era ciò di cui in quel momento aveva avuto bisogno.
“There's
such a lot of
world to see…”
Inizialmente
combattuto, specie perché conscio del fatto che
la cantante fosse un essere umano e che sarebbe stato il caso di
evitare il più
possibile ogni contatto con gli indigeni, poco dopo aveva concluso che
non
c’era assolutamente niente di sbagliato in quel che stava
facendo. In fin dei
conti era solo rimasto fuori dal
locale a fare quel che altri esseri umani stavano facendo dentro di
esso, senza
un approccio vero e proprio con l’artista in questione, ed
era rimasto fino
alla fine dell’esibizione.
“We're
after the same
rainbow's end…”
In seguito
l’aveva anche vista uscire insieme a un gruppo di
colleghi e andare verso un’automobile molto piccola e
compatta di colore verde
scuro. L’aveva riconosciuta dalla voce, ovviamente, molto
calma anche nel
parlare; Optimus non si intendeva molto di terrestri ma aveva notato
l’eleganza
generale di quella persona ed era stato lieto di sentirla salutare gli
altri
lasciando intendere che si sarebbero rivisti quello stesso
finesettimana. In
quello stesso frangente aveva anche colto il suo nome:
“Rhiannon”.
“Waitin'
'round the
bend,
My huckleberry
friend…”
Da quel
momento in poi, se non c’era del lavoro da fare alla
base, se non c’erano dei Minicon da recuperare o i Decepticon
a fare danni in
giro per la Terra, il parcheggio di quel lounge bar era diventato un
appuntamento fisso per Optimus tanto il giovedì sera quanto
i weekend, anche
con temporali forti come quello dell’attuale sabato. I suoi
recettori audio gli
permettevano di escludere il rumore della pioggia e concentrarsi sui
suoni che
gli interessavano, dunque in tal senso non aveva problemi a godersi
l’esibizione.
“Moon
river…”
Sapendo di
essere arrivato alla canzone finale, Optimus fece
un brevissimo e inudibile sospiro e ringraziò mentalmente
Rhiannon per i blandi
calmanti che, grazie al suo lavoro, lui non
aveva dovuto assumere.
“And
me…”
La vide uscire
dal locale poco dopo, con una mano che
aggiustava brevemente i capelli biondo grano e l’altra a
sorreggere un
dispositivo di comunicazione terrestre noto ai più come
“cellulare”. Non aveva
un’aria particolarmente felice, contrariamente alle altre
sere.
«…
da quant’è che quella scarpata minacciava di
franare? Mai
che si siano degnati di mettere quantomeno una rete di contenimento.
Sì. Sì,
infatti... raggiungo il B&B qui vicino, non ti preoccupare.
Allora ci
vediamo domattina, strada sbloccata permettendo. Sì,
guiderò piano… il tuo piano, non il mio piano, sì.
Sì. Anche io. A domani» disse, concludendo
così la
chiamata «D’altra parte con un temporale del genere
era praticamente
inevitabile» commentò poi, dirigendosi verso la
propria automobile.
Optimus Prime
accese il motore e, dopo una breve manovra,
lasciò il parcheggio con l’intento di tornare alla
base. Che quella donna non
potesse tornare a casa propria era spiacevole ma aveva già
trovato una
soluzione al problema, dunque non c’era di che preoccuparsi.
Qualche
centinaio di metri più avanti, nonostante la pioggia
sempre più forte, notò che l’auto della
cantante era dietro di lui.
Evidentemente per raggiungere il “B&B” -i
ragazzi gli avevano detto che si
trattava di tipo di albergo- doveva andare in quella direzione.
Fu allora che
accadde: all’improvviso, un’automobile che
arrivava dal senso opposto e che guidava in modo decisamente troppo
veloce
superò Optimus e proseguì a velocità
folle, sbandando visibilmente in più di un
momento e andando a invadere l’altra corsia.
“…!”
Lo stridio dei
freni dell’auto di Rhiannon indusse Optimus a
fare immediatamente inversione, giusto in tempo per vedere
l’altra auto
proseguire e quella della donna, che a causa della pioggia ne aveva
perso
totalmente il controllo, andare completamente fuori strada dopo aver
sbattuto
contro un guard rail per il quale avevano risparmiato decisamente
troppo sui
materiali.
«Trasformazione!»
La presenza
dei cybertroniani sulla Terra poteva anche essere
un segreto, ma mai nella vita il comandante degli Autorobot avrebbe
evitato di
intervenire se un civile umano rischiava l’osso del collo e
lui poteva tentare
di evitare il peggio -qualsiasi opinione potesse avere chicchessia
sull’argomento- ragion per cui dopo essersi trasformato
si tuffò letteralmente in direzione dell’auto,
riuscendo ad afferrarla
saldamente tra le mani e cadendo con essa nel dirupo per fortuna non
troppo
scosceso.
A schiantarsi
contro gli alberi quindi fu lui, ma per
fortuna la sua corazza era abituata a ben altro, dunque si
ammaccò a malapena
e, dopo qualche attimo, posò a terra l’automobile
con la massima delicatezza
possibile.
“Sono
riuscito a evitare il peggio, se anche non fosse del
tutto illesa non credo sia messa male fisicamente”
pensò.
Vederla aprire
lo sportello e uscire dall’abitacolo,
incurante del fatto che questo avrebbe infradiciato tutti i suoi abiti
e lei
stessa, parve confermare la sua teoria. L’espressione di
quella donna -Rhiannon.
Era il caso di ricordarlo- e lo sguardo sconvolto negli occhi di cui il
suo
essere cybertroniano gli permetteva di distinguere il colore verde
smeraldo
erano quanto di più normale possibile essendo reduce da un
incidente E
trovandosi
davanti un alieno metallico
alto svariati metri.
Non osava
immaginare cosa le stesse passando per la mente.
Forse anche lei nonostante il salvataggio stava rimpiangendo di non
avere un
bazooka a portata di mano.
«Sta…
stai
bene?»
furono invece .le prime parole che disse la donna, visibilmente
indecisa se avvicinarsi
ancora oppure no «Stai bene?... Capisci la mia
lingua?»
Un essere
umano adulto che si interessava alla sua salute e
non avrebbe voluto rottamarlo a prescindere in quanto alieno.
Il tempo
trascorso con Rain O’Connell faceva sì che questo,
per Optimus, avesse quasi del miracoloso.
«Sto
bene e, sì» disse Optimus, passando
dall’essere
sdraiato allo stare in ginocchio e tendendo una mano in avanti per
riparare la
donna dalla pioggia. Gesto inutile ma carino «Capisco la tua
lingua. Tu stai
bene?»
Lei
annuì. «Ho il dubbio che quel che sto vedendo
possa
essere dovuto a un colpo in testa che non mi sono resa conto di aver
preso, ma
sì, per quanto ne so sono a posto» disse, tremando
leggermente per colpa dello
shock subito «Grazie. Forse però non dovremmo
restare così vicini alla strada,
la pioggia è fitta e ci sono gli alberi ma se qualche
automobilista guardasse
da questa parte potrebbe riuscire a vederti lo stesso».
Dall’essere
stupito per la gentilezza inaspettata, il
comandante degli Autorobot passò all’essere
stupito anche per
quell’osservazione sensata e per il fatto che, tutto
considerato, quella donna
sembrasse essere piuttosto tranquilla in sua presenza -più o
meno come lo erano
stati i ragazzini, che però erano ragazzini.
A detta di
Rain O’Connell, un essere umano adulto avrebbe
dovuto reagire in modo diverso. Tentando di chiamare le
autorità locali perché
catturassero e/o distruggessero lui e tutti i suoi commilitoni, per
esempio.
«Vero.
Dovremmo allontanarci ma non è il caso che cammini in
queste condizioni, e temo che l’auto in questo non possa
aiutarci, dunque
avresti problemi se io…» avviò a dire,
tendendo verso di lei l’altra mano
aperta e col palmo rivolto verso l’alto.
«Va
bene» annuì di nuovo la donna
«… ho preso un colpo in
testa e ora mi trovo in una puntata di Shapeshifters G1. Robot gigante,
salvataggio eroico, è il cartoon della mia infanzia: non ci
sono dubbi. Per
caso ci sono anche dei robot giganti cattivi che vogliono tentare di
depredare
le nostre fonti di energia?»
«Non
cercano fonti d’energia, no».
«Quindi
ci
sono!»
Optimus sapeva
cos’era un cartoon, sempre grazie ai preziosi
insegnamenti dei ragazzi, e si dispiacque solo che quello
“Shapeshifters” nello
specifico non fosse stato guardato dall’umanità
intera se, insieme
all’impressione di aver preso una botta in testa e di stare
sognando, riusciva
a rendere le persone così bendisposte.
Sperava che
fosse così anche il mattino dopo perché,
emergenze
permettendo, lui intendeva restare nel riparo che avrebbe trovato,
considerando
che il temporale non accennava a calmarsi -se mai il contrario- e onde
evitare
ulteriori rotture di scatole che avrebbe sicuramente ricevuto portando
un altro
essere umano nella base. “Hai coinvolto un’altra
persona che non c’entrava
nulla nei vostri disastri!”, “Un bambino di due
anni è in grado di restare
nascosto meglio di te!”, e compagnia cantando.
Sì,
Optimus aveva deciso: il suo era il piano migliore in
quelle circostanze, anche se il suo avere ragione o torto si sarebbe
visto solo
tra alcune ore.
***
Sentendosi
leggermente infastidita dalla luce, prima cosa
che avvertì insieme al rumore di una pioggia leggera e
continua, Rhiannon
O’Connell -née Lancaster, cognome a cui nello
sposarsi con Seamus O’Connell non
aveva esitato a rinunciare- iniziò ad agitarsi leggermente
nel dormiveglia,
stringendosi in una coperta piuttosto morbida nel socchiudere gli occhi
e
iniziare vagamente a fare mente locale.
Quella notte
aveva fatto un sogno proprio bizzarro: in esso,
mentre si recava al B&B era stata mandata fuori strada
dall’azione
scellerata di uno dei peggiori guidatori mai incontrati ma, prima di
schiantarsi, era stata salvata da un grosso alieno robotico piuttosto
somigliante all’eroe di Shapeshifters G1, ovvero Commander.
L’alieno in
questione parlava la sua lingua -proprio come Commander, di nuovo- e
aveva dimostrato
una certa premura nei suoi confronti arrivando anche a offrirle delle
coperte
sia per passare la notte nel suo abitacolo, sia per non sentirsi troppo
“impresentabile” se avesse voluto togliersi degli
abiti fradici che in quella
stagione rischiavano solo di farle prendere un malanno. Trattandosi di
un sogno
piuttosto strano lei aveva accettato tranquillamente entrambe le cose
e,
infine, si era sdraiata sull’ampio e morbido sedile
dell’abitacolo.
Ovviamente
nulla di tutto ciò era accaduto, solo che l’arrivo
al B&B al momento le sfuggiva, non essendo ancora del tutto
sveglia.
“Sognare
ancora personaggi dei cartoni animati alla mia
età…
immagino che nonostante tutto la mia bambina interiore non sia ancora
morta”
pensò, mettendosi a sedere e stiracchiandosi.
Poi
aprì gli occhi.
Quello accanto
a lei era un volante, quelli dietro di lei e
davanti a lei erano finestrini, quello alla sua sinistra era un
parabrezza e
quello sotto di lei era esattamente il sedile sul quale si era sdraiata
nel suo
sogno, che poi tanto “sogno” evidentemente non era.
Aveva ricevuto un aiuto da
un grande alieno metallico che parlava la sua lingua e aveva dormito
dentro di
lui avvolta in una coperta che in quel momento non nascondeva
granché del suo
intimo di lycra e tulle ricamato -rigorosamente La Perla, neppure a
dirlo;
ricordando questo, Rhiannon agguantò la coperta e la
tirò su fin quasi al mento
mentre si guardava attorno con aria piuttosto allarmata.
In
considerazione di quel che era successo immaginava di
poter evitare gli isterismi da “Lasciami andare
subito!”, “Non farmi del male
ti prego”, “Cosa vuoi da me?! Non ho niente che ti
interessi!” eccetera, perché
se l’extraterreste avesse avuto brutte intenzioni avrebbe
avuto ampiamente modo
di comportarsi di conseguenza, cosa che invece non era successa.
Dopo qualche
attimo di immobilità, in ogni caso, decise di
procedere nella maniera che le veniva più naturale: con
educazione.
«Buongiorno»
disse, senza smettere di guardarsi attorno.
Il suo
cervello non aveva ancora accettato del tutto l’idea
dell’extraterrestre, dunque si diede quasi
dell’idiota pensando che il gentile
camionista che doveva averla soccorsa non avrebbe certo potuto
sentirla, ma
quell’idea venne spazzata via pochi secondi dopo da una voce
baritonale che
risuonò quietamente nell’abitacolo.
«Buongiorno.
Tutto bene?»
Quanto aveva
bisogno di quel whisky.
«Sì»
rispose, cercando di darsi un tono «Mi ha salvata, le
devo più di un favore. Mi scuso per il
deshabillé, di solito sono molto più
discreta» aggiunse poi «… non
è un sogno, giusto?»
«Non
lo è. Se la fa sentire più a suo agio
può
tranquillamente darmi del “tu” come ieri
sera» disse l’extraterrestre.
«Stesso
vale per l- te.
Quella di ieri è stata una circostanza particolare, non ero
sicura…» fece un
breve sospiro «Dunque, chi devo ringraziare per non aver
riportato danni?»
«Sono
Optimus Prime, comandante degli Autorobot».
“Questa
faccenda somiglia sempre più a un episodio di
Shapeshifters, davvero” pensò la donna.
«Il
tuo nome invece è Rhiannon, giusto? L’ho sentito
nel
posto dove lavori».
Facendo mente
locale, Rhiannon si rese conto che il camion
in questione le era tutt’altro che sconosciuto: a dirla tutta
lo aveva visto
molto spesso nel parcheggio del lounge, quasi ogni giovedì e
ogni weekend da un
po’di tempo a quella parte, anche se non si era soffermata a
pensarci su
credendo solo che l’autista si fermasse lì a causa
della tratta. A quel punto
però sorgeva spontanea una domanda, ossia
“Perché il comandante di una squadra
di extraterrestri si faceva vedere così spesso nel
parcheggio di un comune
locale in una comune cittadina qual era Lincoln?”.
«Contraddicimi
se sbaglio ma credo di averti visto piuttosto
spesso nel parcheggio. Quel posto dev’essere più
interessante di quel che
sembra, o apprezzi la musica jazz?» domandò la
donna, prendendola un po’alla
larga tra il serio e il faceto.
«Il
genere musicale delle canzoni si chiama così?»
«…
un momento, è davvero
per la musica?» si stupì Rhiannon.
A questo
seguì una breve pausa.
«È
così. È un periodo difficile a causa sia dei
nostri
nemici sia di alcune questioni interne. Un giovedì sera di
qualche tempo fa
sono passato per caso lì vicino e i miei recettori audio
hanno colto una voce
estremamente tranquillizzante. L’ho apprezzata e sono
diventato parte del
pubblico abituale, solo un po’meno terrestre degli
altri».
“Con
questo sono passata da trovarmi in un episodio di
Shapeshifters a una fanfiction di
Shapeshifters” pensò la donna, che pur con i suoi
quarantaquattro anni d’età
non era all’oscuro dell’esistenza di Ao3.
«È
tutto qui, non sono un… qual era il termine usato da voi
umani? Uno stalker. Ecco» concluse Optimus.
«Sono
in grado di riconoscere la differenza tra uno stalker
e qualcuno che apprezza la mia performance artistica. Considerando quel
che è
successo è stata una fortuna, per me, perché in
caso contrario non saresti
stato per strada a quell’ora e…
chissà» disse
Rhiannon «Meglio non immaginare come avrebbe reagito la mia
famiglia. Parlando
d’altro, posso chiedere quale ragione ha spinto te, la tua
squadra e i tuoi
nemici qui sulla Terra?» domandò a Optimus
«Non so se le autorità locali siano
al corrente della vostra presenza, ma nel caso non lo siano hai la mia
parola
che non avviserò nessuno, e non solo perché mi
prenderebbero per pazza».
“Se
non altro questa donna, contrariamente ad altre, non ha contatti
potenzialmente
pericolosi” pensò Prime.
«L’oggetto
del contendere sono i Minicon, dei piccoli robot
dal potere smisurato che milioni di anni or sono abbandonarono il
pianeta,
entrarono in ibernazione e dopo un impatto con la vostra luna
atterrarono
rovinosamente qui. Fino a qualche tempo non avevamo idea di dove
fossero finiti
e su Cybertron eravamo relativamente in tregua, molto relativamente
ahimè, ma
di recente le azioni di tre giovani
umani li hanno risvegliati. I nostri nemici, i Decepticon, hanno
captato il
loro segnale e si sono mossi subito con l’intento di
schiavizzarli e
utilizzarli per potenziarsi come facevano un tempo, e noi ci siamo
mossi a
nostra volta. Se per disgrazia i Decepticon, e nello specifico il loro
leader
Megatron-»
“Se
si fosse chiamato D-16 avrei iniziato a pensare che i
creatori di Shapeshifters sapessero più di quel che facevano
credere” pensò
Rhiannon.
«
… dovessero riuscire nel loro intento e a mettere le mani
su un ingente numero di Minicon, o peggio ancora su dei terzetti di
Minicon
particolari, nulla di cui io sia a conoscenza potrebbe impedirgli di
conquistare tutto quello su cui posa le ottiche. Noi Autorobot
cerchiamo di
salvare i Minicon e impedire tutto ciò. Questo è
il riassunto».
«E
se dici che è un periodo difficile immagino che i
Decepticon al momento siano in vantaggio» commentò
Rhiannon, piuttosto seria.
«Sono
riusciti a mettere le mani su uno dei tre terzetti di
Minicon particolari di cui parlavo. Due di essi formano delle armi,
l’altro uno
scudo. Al momento siamo in cerca del terzo Minicon che compone
quest’ultimo ma
non abbiamo ancora avuto fortuna. Il morale dei miei uomini e dei
ragazzi è
piuttosto basso» si trovò ad ammettere,
sorprendendo perfino se stesso per la
franchezza con cui aveva parlato del problema a qualcuno che era
totalmente
esterno alla vicenda.
Forse era
proprio per quello, perché “esterna”, o
magari
perché era ancora stupito dal modo in cui lei gli si era
approcciata o, ancora,
perché era stressante cercare di mandare avanti il tutto
quando il processore
subiva una pioggia di disapprovazione martellante e acida alla quale in
milioni
e milioni di anni si era disabituato.
O forse
semplicemente perché
sì.
«“Ragazzi”?
Parli per caso dei giovani umani che hanno
risvegliato i Minicon? Sono finiti coinvolti in tutto questo?»
Per quanto non
disprezzasse a prescindere gli extraterrestri
metallici, l’idea che dei ragazzi fossero finiti in mezzo a
una guerra non le
piaceva affatto -come non sarebbe piaciuta a nessuna persona assennata.
«Hanno
assistito all’arrivo dei Decepticon sul pianeta e
certi Minicon hanno sviluppato un legame particolare con loro, dunque
la
risposta è sì, perché tutto questo li
ha resi dei potenziali bersagli» le
spiegò Optimus «Come se questo non fosse stato
sufficiente, in seguito i
Decepticon hanno purtroppo coinvolto
altri tre umani che con tutta la vicenda c’entravano ancor
meno. Devo dire che
i cinque più giovani sono stati tutti molto utili, ognuno a
modo suo,
nell’insegnarci usi e costumi di questo pianeta
così da poterci mimetizzare
meglio. Naturalmente cerchiamo di tenere al sicuro tutti quanti e
coinvolgerli
il meno possibile nei conflitti armati».
«Lo
davo per scontato, portare dei ragazzi umani con voi in
battaglia sarebbe stato del tutto irragionevole».
«…
già. Parlando d’altro, hai pensato a come muoverti
una
volta che lasceremo il riparo? Per l’automobile e
tutto».
«Dirò
che mi è stata rubata in un momento in cui mi sono
fermata e sono scesa per qualche ragione da definirsi»
rispose Rhiannon «Per il
resto penso che troverò il modo di andare da qui in
città, non è distante».
«Posso
portarti io prima di tornare alla base, piove ancora
e io sono di strada o quasi» si offrì il
comandante degli Autorobot.
«Hai
già fatto molto, non vorrei approfittare oltre. A tal
proposito, abito ancora umido o meno è il caso che mi
rivesta…»
«L’ho
asciugato io. Ventole, non fanno miracoli ma credo che
dopo tutte le ore passate sia a posto» disse il transformer
«Sul serio, sono di
strada e non sono ancora stato contattato dalla base per
un’emergenza, dunque
ti posso accompagnare. Sarei più tranquillo
anch’io, Rhiannon».
Sentire il suo
nome pronunciato da un camion senziente
risultava ancora stranissimo nonostante tutto, e infine si
convinse. Dopo aver ringraziato per
l’ennesima volta il suo improbabile salvatore ed essere
andata scesa per
rivestirsi -notando che il vestito, il cappotto e tutto quel che
c’era nelle
tasche era asciutto per davvero- acconsentì a farsi
accompagnare.
«A
quest’ora il cafè che frequento di solito
è già aperto,
nell’attesa che mio marito mi dica se la strada per casa
è stata già liberata o
meno resterò lì. Nel mentre inizierò
già a parlare del “furto
d’auto”, così…»
fece un breve sospiro «Dovrebbe essere a posto».
«Ti
ringrazio per la volontà di mantenere il nostro
segreto»
disse Optimus, realmente grato dal profondo della Scintilla
«Se c’è qualcosa che
ho imparato in questo periodo è che non tutti gli esseri
umani prendono o
prenderebbero così bene la nostra presenza qui, con quel che
comporta».
I due, nel
breve viaggio che seguì, continuarono a parlare
del più e del meno. Rhiannon chiese qualche altro dettaglio
riguardo la guerra
in corso, Optimus le fece qualche domanda sul suo lavoro. Lì
Rhiannon ebbe modo
di specificare che cantare in realtà era più che
altro un hobby, mentre il suo
lavoro vero e proprio consisteva nel dipingere e rifinire gli oggetti
di legno
intagliati da suo marito: avevano sempre molte commissioni, ancor
più sotto le
feste.
«Ecco,
il locale è quello lì in fondo alla
strada» disse la
donna, indicandolo con un cenno «Da qui in poi sei libero di
tornare a
combattere i cattivi».
«Ti
assicuro che rispetto all’avere a che fare con Megatron
preferirei
di gran lunga continuare a portarti in giro»
replicò Prime, del tutto sincero.
«Allora
nonostante la situazione non sono stata una
compagnia sgradevole» commentò Rhiannon,
slacciando la cintura «Grazie ancora.
Questa sera passerai di nuovo?»
«Temo
di no, sono stato assente dalla base per tutta la
notte, dunque è il caso di lasciar perdere
l’uscita di stasera. Perché? Conti
di tornare al lounge?» si sorprese il cybertroniano.
«Non
sarà il mio lavoro principale ma c’è un
contratto,
sarebbe poco professionale non andare» replicò lei
una volta scesa in strada
«Arrivederci e in bocca al lupo per tutto, come diciamo da
queste parti».
«Arrivederci,
Rhiannon».
La tettoia del
cafè la tenne al riparo dalla pioggia mentre
dava brevemente un’ultima occhiata a Optimus, che si stava
allontanando nel
massimo rispetto del limite di velocità. Entrata nel locale
salutò il
proprietario, che conosceva piuttosto bene, e poté
finalmente chiedere il famoso
bicchiere di whisky.
«Whisky,
e di mattina presto? Così mi fai preoccupare»
disse
l’uomo, un po’allarmato.
«Ci
credi se ti dico che, oltre al fatto che la strada verso
casa mia è bloccata da ieri sera a causa di una frana, poco
fa mi hanno rubato
l’auto?»
«Seriamente?!»
«Mi
ero fermata al distributore qui vicino, quello self
service, ed è successo tutto in un attimo. Non ho neppure
visto chi è stato! Sono
stata fortunata ad aver incontrato un camionista estremamente gentile
che era
di strada e mi ha portata qui. Speriamo che la telecamera magari sia
riuscita a
riprendere il furto e tutto quanto…»
«Niente
da fare, è ancora guasta» sbuffò il
proprietario del
cafè alzando gli occhi al soffitto nel dire a Rhiannon
qualcosa di cui lei era
già perfettamente a conoscenza «Figurati se a
qualcuno interessa qualcosa dei
distributori di Lincoln! Bella roba» prese un bicchiere e lo
riempì a metà
«Offre la casa».
«Ti
ringrazio ma-»
«Offre
la casa, e niente discussioni».
Essere seduta
al bancone del cafè, il fare due chiacchiere col
proprietario e con alcuni clienti abituali che si aggiunsero in
seguito, le
paste che riuscì a non farsi offrire
poco dopo: quanto di più normale fosse possibile fare in una
cittadina anch’essa
normale… che al momento ospitava una squadra di militari
alieni impegnati a
proseguire una guerra che andava avanti da
un’eternità.
La sensazione
di irrealtà la colse di nuovo nel ripensare a quel
che era successo e alla consapevolezza che quel contatto con gli
extraterrestri
non sarebbe stato l’ultimo, il tutto incoraggiato da lei
stessa quando aveva
chiesto a Optimus se sarebbe tornato a sentirla cantare. Era sorpresa
per la
situazione ed era anche sorpresa dal fatto che, tutto sommato, le
stesse bene.
Ricordando le
parole del cybertroniano -la loro razza si
chiamava così o “transformers”- riguardo
il momento difficile ripromise a se
stessa di fargli avere un drago di legno dipinto: era un simbolo che
oltre a
portare fortuna potenziava le capacità di leadership, o
così si diceva. Per quanto
Optimus fosse poco più di uno sconosciuto, riteneva che
avrebbe potuto
apprezzare il gesto.
***
«La
civile umana sta bene?»
«Sì,
Red Alert» confermò Optimus «Sta bene e
non è
assolutamente intenzionata a tradirci, e non solo perché, a
dire suo, se lo
facesse la prenderebbero per pazza. A quanto pare non tutti gli esseri
umani
adulti ci odiano a prescindere dopo averli salvati».
«Il
caso di Rain è differente, nonostante tutto bisogna
riconoscerlo. Il suo primo contatto con noi Transformers sono stati i
Decepticon, che hanno rapito lei, Billy e Fred e li hanno coinvolti nel
tutto. Forse
è diverso rispetto all’evitare un incidente
stradale grazie a te» osservò Red
Alert.
«Forse
sì».
«Resta
inteso che dovrebbe davvero cambiare atteggiamento,
però è un dato di fatt-»
Nella base
risuonò il segnale di una nuova presenza
cybertroniana nelle vicinanze.
«Red
Alert…»
«Subito».
«Che
succede?!» esclamò Hot Shot, arrivato di corsa sul
posto insieme a Smokescreen.
I monitor si
accesero.
«È
Scavenger!» esclamò il giovane Autorobot
«Cosa vuole da
noi?!»
«Se
è venuto fin qui per cercare lo scontro io sono
pronto»
dichiarò Smokescreen, con lo sguardo puntato sullo schermo.
Optimus
tuttavia sapeva qualche dettaglio in più rispetto ai
suoi ufficiali più giovani, di conseguenza la sua reazione
nel vedere lì il
mercenario, nonché suo maestro in passato, fu ben diversa.
«Red
Alert, lascialo entrare».
«Sissignore!»
«COSA?! Lo lasci
venire qui dentro?!» allibì Smokescreen.
L’esperienza
con Sideways e i commenti poco piacevoli dell’umana
adulta, Rain, gli suggerivano che quella potesse non essere una grande
idea
considerando quel che era successo di recente. Tuttavia le
perplessità sue e di
Hot Shot non vennero ascoltate, e con suo sommo stupore poco dopo
assistette a
una stretta di mano tra Optimus e Scavenger.
«Ti
stavo aspettando, Scavenger. È un piacere vederti qui.
Benvenuto» disse il comandante degli Autorobot.
«Come
previsto ho completato la mia missione tra i Decepticon»
disse il mercenario.
«Cos’è,
uno sporco trucco?!» si fece sentire Smokescreen
ancora una volta.
«No.
Scavenger ha lavorato per noi in incognito» spiegò
Optimus.
Il simbolo
degli Autorobot, fino a quel momento nascosto,
comparve sul petto del nuovo arrivato: l’ennesima sorpresa
per i due ufficiali
più giovani, che fino ad allora l’avevano visto
come nemico.
«D’ora
in poi sarò con voi» affermò.
I Decepticon
avevano ancora la Spada e due dei tre Minicon
dello Scudo Stellare, dunque non si prospettavano tempi facili per gli
Autorobot, ma ora potevano contare su un nuovo compagno, e in un simile
periodo
di “magra” qualsiasi aiuto era una benedizione.
Chi
l’avrebbe mai detto, ho aggiornato questa storia
:’D non
sono sicura che interessi ancora a qualcuno, ma l’ho fatto lo
stesso.
Spoiler: se
riesco ad andare avanti, Optimus Prime sarà
ancor più felice di aver aiutato Rhiannon xD
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