Transformers: Armada- Mondi Intrecciati

di _Cthylla_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ''delicatezza'' della pioggia ***
Capitolo 2: *** Pioggia sull'asfalto ***
Capitolo 3: *** Pioggia in trasferta (forse) ***
Capitolo 4: *** Pioggia sul latte macchiato ***
Capitolo 5: *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 1) ***
Capitolo 6: *** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 2) ***
Capitolo 7: *** Pioggia nella base degli Autorobot (purtroppo) ***
Capitolo 8: *** Pioggia velenosa (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Pioggia velenosa (parte 2) ***
Capitolo 10: *** SPECIALE- Pioggia... verde smeraldo! ***
Capitolo 11: *** Pioggia di ''quella donna è pazza!'' ***
Capitolo 12: *** Pioggia in uno strano Halloween ***
Capitolo 13: *** Pioggia acida ***
Capitolo 14: *** Pioggia in un freddo sabato sera ***



Capitolo 1
*** La ''delicatezza'' della pioggia ***


Allora...
Ho scritto questa cosa. C'è di mezzo un' OC completamente umana che doveva teoricamente restare inutilizzata (e difatti non so quale sarà il suo destino dopo aver scritto questo. Ammetto di star pubblicando più che altro per curiosità di sentire SE avete da dire qualcosa E cosa è :'D) quindi non prendetela troppo sul serio, ok? Questa è solo per divertimento ed è anche totalmente "a braccio" -ma farò sì che abbia una sua coerenza, non preoccupatevi. 

La fanfiction un po'più "seria" su questo cartoon la devo ancora scrivere. 

A livello cronologico è ambientata pochi giorni dopo il primissimo episodio di Transformers Armada.
Nient'altro da dire per ora.


1

LA DELICATEZZA DELLA PIOGGIA








«Tu non andrai da nessuna parte, Billy O’Connell».

«Ma ho già detto a Fred che avrei-»

«Non mi interessa, sapevi benissimo di essere in castigo».

Il tredicenne deglutì rumorosamente, senza tuttavia perdere il coraggio di guardare dritto in volto la cugina. «Non puoi tenermi qui contro la mia volontà, Rain!»

Per essere cugini di secondo grado, i due O’Connell si somigliavano più di tanti fratelli. Entrambi erano provvisti di capelli castani -di qualche tono più scuri nel caso di Rain- pelle chiarissima, lentiggini e occhi di un verde azzurro piuttosto tipico per delle persone di genia irlandese.
A livello caratteriale però non si somigliavano altrettanto: l’espressione inamovibile sul volto delicato e simmetrico della giovane donna non era frutto dei soli quattordici anni d’età in più rispetto a Billy.

«Hai perfettamente ragione, non “posso”» disse Rain, alzando gli occhi al soffitto «Sono obbligata, dal momento che tu a tredici anni suonati non hai ancora un briciolo di capacità di discernimento. Devo ricordarti cos’è successo poco tempo fa?»

«Ancora con quella storia?! Mi sembra che io e Fred siamo usciti vivi e vegeti dalla montagna!»

Non era stato un bel quarto d’ora per Billy e per Fred.
Presi dall’idea di seguire due compagni di classe -Bradley “Rad” White e Carlos Lopez- in esplorazioni ben poco raccomandabili, avevano finito per perdersi nei cunicoli della montagna che si trovava relativamente a poca distanza dal centro abitato, e dopo essere stati accecati da un lampo di luce bianca erano anche rimasti coinvolti in un breve terremoto originato da chissà cosa.
Quale santo li avesse aiutati a uscire totalmente illesi da tutto ciò era un mistero, così com’erano un mistero sia quella luce, sia l’orma gigantesca che lui e Fred avevano avvistato una volta fuori dai cunicoli!

«Il punto è che tu e il tuo amico non sareste dovuti mai entrare lì dentro. Se non sei in grado di capire una cosa così semplice non puoi pretendere che ti lasci uscire. Vi siete avventurati nelle viscere di una montagna da soli, senza uno straccio di attrezzatura, finendo coinvolti in un terremoto, solo per vedere cosa facevano quegli altri due minorenni» gli ricordò Rain, sottolineando quell’ultima parola con una smorfia «alla tua età non ero una tale gobshite».

«Piantala di darmi dell’idiota e di parlare in quella lingua strana che non capisco!» sbottò il ragazzino.

«Questa “lingua strana” è la tua lingua, sei nato in America ma hai radici irlandesi, e comunque la stai imparando piuttosto in fretta… non solo perché ormai sai cos’è un gobshite. Tornando al nostro discorso, tu sei ancora in castigo, quindi oggi non uscirai. Non c’è altro da aggiungere».

«Non hai il diritto di mettermi in punizione e di farmi prediche, non sei mia madre!» protestò Billy.

«Non che a tua madre sia mai importato abbastanza da esercitare questo diritto, in caso contrario non saresti qui».

Billy ammutolì, impietrito, e dopo aver indietreggiato di qualche passo salì di corsa le scale che portavano al piano di sopra.

Rain rimase in silenzio, limitandosi a sospirare quando lo sentì sbattere la porta della sua stanza.
Appena aveva finito la frase si era resa conto che la sua classica mancanza di tatto aveva sconfinato pericolosamente nella stronzaggine, tra l’altro senza che lei lo volesse davvero.

Si allontanò dalla porta principale e raggiunse il salotto, andando a controllare la giara grande di Green Grass, ormai in fine. Per fortuna era stata abbastanza lungimirante da procurarsi più di una candela con quella fragranza, ormai era diventata un pezzo raro, che contribuiva non poco a distenderle i nervi quando ne aveva bisogno.
Come in quel caso specifico.

“A volte mi domando chi me l’abbia fatto fare” pensò “Non ero obbligata. Se me ne fossi stata buona e avessi chiamato i servizi sociali ora non dovrei essere io a dover trattare quotidianamente con un minorenne gobshite, se ne occuperebbe una qualsiasi casa famiglia e…”

Sospirò di nuovo.
Era stato proprio quello il pensiero che l’aveva spinta a prendere la sua decisione. Era vero che in alcune case famiglia che ospitavano ragazzi in situazioni difficili regnava un buon clima, ma arrivata a ventisette anni poteva dire di aver sentito anche tante -troppe- storie che dicevano l’esatto contrario, e quello era il motivo che l’aveva spinta a prendere con sé suo cugino.

La storia di Billy era quella di tanti altri ragazzini vittime dello stesso cliché: il padre se n’era andato chissà dove qualche anno prima, lasciandolo solo con una madre che non era capace né di stare senza un uomo né di badare al proprio figlio, come aveva dimostrato il fatto che si fosse perfino dimenticata di andare a prenderlo all’uscita del pronto soccorso una volta in cui si era slogato gravemente una gamba facendo sport.

Era successo quasi un anno prima ed era stata Rain, passata di lì per caso, a dare un passaggio a uno sconsolato Billy che si era rassegnato ad aspettare l’autobus sotto la pensilina, e da lì era partito tutto il resto.

Pur avendo passato l’infanzia e buona parte dell’adolescenza col nonno in Irlanda, Rain aveva raggiunto i propri genitori in America quando Billy aveva appena due anni, lo aveva visto crescere e non le aveva mai fatto nulla di male; dunque, una volta avuto un quadro chiaro della situazione, aveva assecondato il richiamo del sangue e dell’ospitalità irlandese, finendo per accogliere un ragazzino che la madre aveva smollato via volentieri, contribuendo a fargliene ottenere la tutela legale fin troppo facilmente.
La casa molto grande e moderna di cui il nonno di Rain aveva pagato la costruzione aveva fatto il resto, insieme al fatto che la giovane donna, grazie ai terreni lasciati in eredità da suddetto nonno, godesse di un’ottima rendita senza dover muovere un dito.

Era stato così che la vita di Rain era diventata tutt’a un tratto più affollata, complice un cugino a cui solo dopo un paio di mesi era entrato in testa il concetto “Se hai intenzione di portare in casa il tuo amico devi notificarmelo con due giorni di anticipo in modo che io mi prepari spiritualmente ad avere a che fare con un preadolescente non imparentato con me” e che al momento stava annegando nei complessi per colpa sua.

Si diresse in cucina, preparò due cioccolate calde all’americana -le era servito qualche anno per abituarsi a quei beveroni- e poi salì al piano di sopra per raggiungere la stanza di Billy. Bussò alla porta.

«Billy».

Nessuna risposta. Bussò ancora.

«Rispetto la tua privacy e per questo busso, ma facendo valere la mia autorità di tutrice legale entro lo stesso» lo avvertì Rain, per poi entrare.

La prima cosa che vide -oltre a un livello di disordine ancora tutto sommato accettabile per la stanza di un tredicenne- fu che Billy si era rifugiato, seduto, sotto la coperta blu scuro del letto.
Si avvicinò senza dire un’altra parola, così come non ne giunsero da Billy, se non quando lei si sedette vicina a lui.

«È vero che non le importa. Non le è mai importato» mormorò il ragazzino, sempre nascosto.

«Io comunque non sono stata gentile a ricordartelo».

«Già».

«Pur non avendo intenzione di arrivare a questi livelli».

«Ormai dovrei sapere che sei delicata come un carro armato in corsa, è colpa mia che me la prendo» borbottò Billy.

«Delicata come un carrarmato in corsa ci sta, delicata come un carro armato stronzo in corsa invece ci sta un po’meno. Non che i carri armati parlino abbastanza da essere stronzi, s’intende» aggiunse Rain «C’è un bicchiere di cioccolata calda sul tuo comodino».

«… ci sono le codette di zucchero colorate sopra?»

«Qualcuna».

A quel punto il ragazzino si decise a uscire da sotto la coperta e ad agguantare la cioccolata. Ne bevve qualche sorso in perfetto silenzio, prima di sollevare gli occhi sulla cugina. «Perché mi hai voluto qui?»

«Ne abbiamo già parlato, Billy».

«Sei giovane, sei bella, vivi in una casa con la piscina e l’idromassaggio e puoi permetterti di campare di rendita per tutta la vita, non avevi alcun buon motivo per volermi qui, soprattutto considerando che detesti i minorenni e stai poco anche con la gente della tua età. Chi te lo ha fatto fare di prendere in casa un… un gobshite come me, eh?»

«Non avrei lasciato che un cugino che ho praticamente visto crescere e che non mi aveva mai rotto le scatole andasse a finire in una qualche casa famiglia. Sai bene che quella sarebbe stata la fine che avresti fatto, prima o poi, se io non ti avessi accolto qui» disse Rain «E comunque da quando hai imparato a usare i sottobicchieri e hai capito che Icy Blue Spruce è il sudore di Cthulhu fatto candela non sei poi così male».

«Io però non la trovo poi così malvaaa… niente, come non detto».

«Bravo. Ascolta, volevo dirti questa cosa: posto che non intendo affatto annullare il tuo castigo…»

«E ti pareva» sbuffò Billy.

«Se tu e Fred volete avvicinarvi alla coppia di amici multietnica e politicamente corretta, perché non provate un approccio un po’più normale rispetto a rompere loro le scatole e cercare seguirli ovunque vadano come degli stalker imbranati? Non so come funzioni ora ma ai miei tempi bastava un “Ciao”».

«I-io e Fred non vogliamo diventare amici di quei due, ti pare?! Vogliamo solo sapere dove vanno!»

Rain sollevò un sopracciglio. «E perché vi interessa così tanto?»

«Perché… eh…» Billy si grattò la testa «Non lo so, ok? Ma non è perché vorrei essere loro amico! Giuro!»

«Se le cose stanno così, finito lo studio infilati nell’idromassaggio con il Necronomicon e un Virgin Mule. È sicuramente più utile che perdersi nelle montagne».

«È solo che… oh insomma, se quei due sono andati lì lo avranno fatto per un motivo!» insistette il ragazzino «Ci dev’essere qualcosa!»

«Cosa vuoi che ci sia nelle viscere di una montagna?» sospirò Rain «Ma poi, se anche ci fosse qualcosa, perché ti dovrebbe importare?»

«Se scoprissi qualcosa magari… ecco…» esitò «Rain, tu ricordi quella compagna di classe a cui ero stato assegnato per le ripetizioni? Alexis?»

«Quella col massimo dei voti in tutte le materie? Quella da cui sei voluto andare nonostante ti avessi detto che ero disposta a cercare di infilarti personalmente un po’di letteratura in testa? Sì, ricordo. Ricordo anche che ha un cognome asiatico...»

«Thi-Dang» annuì Billy.

«Quindi puoi pure togliertela dalla testa. Tu non hai una media abbastanza alta e lei probabilmente si sente troppo dotata per i comuni mortali. Smentiscimi: in una scala da uno a dieci, quanto se la tira?»

«Fino a qualche tempo fa avrei detto “nove”, in effetti» ammise Billy «Ultimamente però lo fa di meno, perché proprio da dopo il giorno del terremoto ha iniziato a frequentare Rad e Carl-»

«Ah ecco» lo interruppe Rain «Quindi vuoi sia diventare amico di questi due, sia cercare di coltivare un interesse senza speranza. Ti ripeto di lasciar perdere la ragazza perché tanto non c'è trippa per gatti, ma per riuscire nella prima di queste due cose un consiglio te l’ho già dato, sebbene non mi faccia molto felice l’idea di te assieme a loro. Sono sicuramente brave persone, non dico di no… ma non sono granché furbi né i due geni che si infilano nelle grotte, né chi ci sta insieme. Tienilo a mente».

«Ooook» annuì il ragazzino, poco convinto «Quindi… mi fai uscire con Fred?»

«Ho già detto di no, eejit!»

«In Irlanda ci sono troppi modi di dare del cretino alle persone, siete poco civili» si lagnò Billy.

«Quest’estate scoprirai meglio quanto siamo poco civili, perché se riuscirai a passare l’anno e non dovrai fare corsi vari andremo proprio in Irlanda» lo informò Rain.

«Che?!» esclamò il ragazzino, allibito «Per quanto?!»

«Per un po’, una settimana o due. È meno di quanto vorrei ma temo sia necessario, perché più restiamo lì più diventa alta la possibilità che mio cugino Sebastian venga a sapere della nostra presenza e ci raggiunga. Non tengo particolarmente a rivederlo, i post con le citazioni di Oscar Wilde in cui mi tagga bastano e avanzano».

Billy finì di bere la cioccolata. «Il cugino Sebastian è quello che si è sposato pochissimi anni fa?»

«No, era il testimone di nozze. A sposarsi pochissimi anni fa è stata un’altra mia cugina, ai tempi ventenne come lui, che nello stesso anno ha divorziato per andare a mettersi con un russo di sessant’anni, sfigurato e povero. Tsk… un’altra gobshite! Non rimpiango di aver accampato il morbillo per evitare quel matrimonio, mi sono risparmiata un sacco di dramma inutile. Sai che non vado matta per i drammi inutili, vero?»

Billy non fece in tempo a risponderle, perché un grido degno di un barbaro preadolescente giunse a turbare la quiete ritrovata.

«BIIIIIIILLY!»

Era Fred, che evidentemente si era davvero illuso che Billy potesse riuscire a convincere Rain a non tenerlo più in castigo.

«BIIIILLY! BILLY- BILLY- BIIIIIILLY!»

«Il tuo amico ha fatto un viaggio a vuoto… e ora ho un minorenne che strilla davanti a casa mia» commentò Rain, con espressione a dir poco seccata.

«Ora mi affaccio e gli dico che- no aspetta, non andarci giù di carro armato stronzo, lo sai che è in terapia!» si affrettò a dire Billy, vedendo la cugina raggiungere la finestra e affacciarsi.

«Eeehm… C-ciao, Rain!» balbettò Fred, rosso in viso, vedendola.

Fred aveva sperato fino all’ultimo di non trovarsi obbligato a doverle parlare.
Le poche volte che aveva a che fare con la cugina di Billy rappresentavano sempre un brutto quarto d’ora per lui: in parte si mettevano di mezzo le sensazioni tipiche di un tredicenne timido di fronte a una donna di bell’aspetto, che lo facevano sentire ancor più impacciato del solito, e in parte c’era anche il fatto di aver capito perfettamente -grazie a quel che gli raccontava Billy, soprattutto- che quella donna era un tipino difficile e che lui, essendo un minorenne non imparentato con lei, non era gradito a prescindere.

«B- Billy è in casa?»

«Sì».

«Eeee… può uscire?» trovò la forza di chiederle.

«No. Addio».

Detto ciò, la donna chiuse la finestra.
Fortunatamente per Fred il confronto era stato breve.

«Dubito che il tuo amico avrà bisogno di mesi di terapia in più solo per questo» disse Rain «E quando deciderò che sia il momento di lasciarti uscire di nuovo, vedi di stare fuori dai guai e non fare lo stalker, Billy O’Connell, altrimenti deciderò che posso riuscire a sopportare il cugino Sebastian e resteremo in Irlanda per qualche anno, invece che per un paio di settimane. Mi hai capita?»

Billy annuì e, sapendo che probabilmente Rain non scherzava affatto, era anche convinto.

Nessuno dei due poteva sapere che da lì a poco l’incontro con esseri provenienti da un posto un po’più lontano dell’Irlanda, lontano chissà quanti anni luce dalla Terra, avrebbe impedito a entrambi di tener fede alle loro parole.


Ciao a tutti voi che siete arrivati qui in fondo!
Chi ha letto "Occhi di Smeraldo" e relativi sequel potrebbe aver riconosciuto qualcuno dei parenti cui Rain accenna :D
Vi ringrazio per aver letto, se volete lasciare un commento sappiate che sarò felice di rispondervi. Alla prossima!
Qui trovate due (miei) disegni di Rain:

Link 1

Link 2

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Capitolo 2
*** Pioggia sull'asfalto ***



2

PIOGGIA SULL'ASFALTO









“X gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”


«Uno che fa meno di quaranta miglia all’ora in una strada col limite di sessantacinque è una stramaledetta piaga umana» borbottò Rain, dopo aver dato una veloce occhiata all’orologio attraverso gli occhiali da sole dalle lenti blu scuro.


“Go hard, getting busy wit it
Damn right, and I'll do it again, 'cause I am right so I gots to win
I'm getting down, down like a nigga said ‘Freeze!’
But won't be the one ending up on his knees!”


Mentre il sub woofer continuava a sparare a musica a tutto volume,  decise che si era definitivamente rotta le scatole.
Per i suoi gusti si trovava dietro quel grosso -e a parer suo lentissimo- camion rosso e blu già da troppo. Forse l’autista aveva tempo da perdere e voglia di fare una scampagnata, ma lei era di tutt’altro avviso, soprattutto perché mancava poco all’uscita di Billy da scuola.
Curiosamente quel giorno si era svegliata a un orario un po’più decente del solito e, dopo aver completato la sua routine mattutina e aver visto che la bicicletta di suo cugino era nella rimessa, aveva deciso di andare a prenderlo.
In quell’occasione intendeva anche comunicargli che il suo castigo era finito: negli ultimi tempi Billy si era comportato come doveva, aveva studiato più del solito, aveva sempre usato i sottobicchieri e aveva avuto il buonsenso di evitare ulteriori proteste che avrebbero solo allungato ulteriormente la punizione.

“Credo che apprezzerà il fatto di poter tornare a uscire proprio durante il periodo in cui il centro di ricerche CosmoScoop ospita il luna park della scienza” pensò.


“First we gonna rock, then we gonna roll
Then we let it pop, go, let it go!
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”


Entrata in corsia di sorpasso premette sull’acceleratore, spingendo la sua Porsche decappottabile a centoquarantaquattro chilometri orari -“I chilometri orari hanno molto più senso delle miglia orarie. Americani bastian contrario”, pensava sempre.
Superò il camion con una sonora clacsonata e il braccio destro ben sollevato, volto a mostrare un dito medio altrettanto sollevato all’autista che…

“Non c’era?...”

Alla velocità cui andava non aveva avuto modo di vedere bene dentro l’abitacolo mentre gli era passata accanto, né in seguito dagli specchietti retrovisori, però per un attimo le era veramente sembrato che alla guida non ci fosse nessuno.

«Terremoti completamente a caso, fasci di luce bianca, orme gigantesche di chissà cosa e ora anche questo, che… tsk» borbottò.

Era impossibile, giusto? I veicoli normali non si guidavano da soli.
Era stato sicuramente dovuto a uno strano gioco di luci misto alla velocità, nulla di più, così come il terremoto era stato un semplice fenomeno naturale, la luce bianca vista da suo cugino nella montagna era stata frutto della suggestione e l’orma di cui aveva parlato era una strana depressione del terreno- o semplicemente il lavoro di qualcuno che non aveva niente di meglio da fare.

Accelerò ancor di più per mettere ulteriore distanza tra sé e il camion.
Complici quegli strani pensieri, aveva appena deciso che le risultava molto antipatico.



***




«Ma se non c’è niente, perché andate così spesso in direzione della montagna?» insistette Billy.

Sembrava proprio che, per quanto i rimproveri di Rain non l’avessero lasciato indifferente, Billy perseverasse con quel “rompimento di scatole” dal quale era stato dissuaso. Sua cugina in fin dei conti non era lì a scuola, castigo o meno non poteva controllarlo ventiquattr’ore su ventiquattro e vederlo fare quel che non avrebbe dovuto.

Ma poi, si chiedeva, perché “non avrebbe dovuto”?
Non intendeva andare nuovamente a infilarsi nella montagna, aveva imparato almeno quella lezione, però non riusciva a vedere davvero qualcosa di male nella sua sete di risposte.
La curiosità era qualcosa che lo rendeva uno spirito affine ai due coetanei che stava tartassando con le sue domande, e forse era proprio dal fatto di essere affini che derivava la sua voglia malcelata e mal espressa di avvicinarsi a loro.
Billy non era mai riuscito a farsi molti amici nei suoi tredici anni di vita, complice forse la sua situazione familiare poco stabile. Parlava con alcuni dei suoi compagni di classe ma non aveva un legame con nessuno di loro, se non con Fred, che considerava un amico ma a cui riservava un trattamento più simile a quello di un subordinato.
Il loro non era il rapporto più sano del mondo, ma non era neppure così strano che una persona insicura traesse forza dal prevaricare chi era ancor più insicuro di lui- anche senza la vera intenzione di fare del male.

«Voi ci ritenete degli sfigati, no? Allora fatevi gli affari vostri una buona volta, idioti!» sbottò Carlos.

«Ehi! Il mio terapista dice che nessuno deve permettersi di darmi dell’idiota!» protestò Fred.

«Beh non è che comportandovi così ci spingiate a chiamarvi in un modo diverso, anche se volessimo farlo» ribatté Rad, alzando gli occhi al cielo.

«Invece di lamentarvi dovreste ritenervi fortunati del fatto che vi chiediamo delle vostre stramberie da stramboidi. Quindiiii… cosa c’è su quelle montagne?» tornò a chiedere Billy.

«Voi due non avete proprio niente di meglio da fare se non infastidire la gente?»

Sebbene la frase non fosse stata incoraggiante e non lo fosse stato nemmeno il tono, sia Billy che Fred si voltarono con un sorriso in direzione della voce femminile che li aveva apostrofati in quel modo- per buoni motivi, andava riconosciuto.

«Ciao Alexis!» la salutarono in coro.

Alexis sbuffò. «Sul serio, durante il pomeriggio fareste meglio a studiare invece che tentare di seguirci. Non vi rendete conto di quanto siete snervanti?!»

«Io in questi pomeriggi non vi ho seguiti» ribatté Billy.

«Sì, e hai mandato Fred l’imbranato a farlo al posto tuo!» esclamò Carlos, per poi rivolgersi a Fred «Se pensi a una carriera da agente segreto lascia perdere, amigo, sul serio».

Solo a quel punto Billy notò che i suoi tre compagni di classe quel giorno non avevano con sé la bici, lo skateboard e la vespa con cui si spostavano ultimamente. «Noto che oggi siete venuti a piedi…»

Rad fece spallucce. «Oggi ci hanno accompagnati e ci vengono a prendere».

Con una leggera amarezza, il ragazzino lentigginoso pensò che nessuno veniva a prendere lui a scuola da tanto tempo. Più o meno da quando suo padre era andato via.
Non che ne sentisse il bisogno, quasi tutti andavano a scuola e tornavano a casa in perfetta autonomia, però…


“Back in black I hit the sack
I've been too long I'm glad to be back!”


Sentendo della musica paurosamente alta in avvicinamento, svariati dei presenti si voltarono con aria un po’perplessa, pensando che probabilmente fossero i soliti ragazzi delle scuole superiori -non troppo lontane da lì- automuniti, a cui piaceva fare casino.


“Yes I am let loose
From the noose
That's kept me hanging about!”


L’unico veicolo in rapidissimo avvicinamento però si rivelò essere una cabrio biposto sportiva, bianchissima e immacolata, guidata da qualcuno che Billy non si sarebbe aspettato di vedere lì.

“Rain si è svegliata abbastanza presto da riuscire a venirmi a prendere dopo la colazione” che considerata l’ora sarebbe stato più esatto chiamare brunch “Il tai-chi, il bagno profumato e la scelta della candela da accendere oggi? In che mondo parallelo mi trovo?!”


“I kept looking at the sky cause it's gettin' me high
Forget the hearse cause I'll never die
I got nine lives
Cat's eyes
Abusin' every one of them and runnin' wild
Cause I'm back!...”


Capì di trovarsi nel solito mondo e non in un mondo parallelo nel momento in cui Rain, avendo la strada del tutto libera, parcheggiò sul lato opposto della strada con un testacoda allucinante.


“YES I'M BACK IN BLACK!”


La vide sollevare gli occhiali da sole e fargli cenno di raggiungerla.
Testacoda o meno, l’amarezza provata un momento fa era sparita del tutto.

«Oggi anche io ho chi mi è venuto a prendere» disse Billy, per poi correre verso l’auto senza salutare nessuno.

«BILLYYYYY! Potresti almeno salutarmi!» strillò Fred.

«…cioè, Billy ha una fidanzata così, più grande di lui e che sa pure guidare in quel modo?!» allibì Carlos, che non aveva capito assolutamente niente della situazione.

«Io credo che sia la cugina di cui mi aveva vagamente accennato ai tempi delle ripetizioni. È più probabile» disse Alexis, senza particolare entusiasmo.

«Sì sì, è la cugina… ed è tremenda!» disse Fred dopo aver abbassato parecchio la voce «Ehm. C-ci si vede, ragazzi» farfugliò, allontanandosi alla svelta; non per paura di essere stato sentito, semplicemente perché non era molto abituato a parlare con gli altri se vicino a lui non c’era Billy.

Il quale al momento aveva altro per la testa. «Rain!»

«Salta su e allaccia immediatamente la cintura. Gli occhiali da sole sono nel cruscotto».

Il ragazzino obbedì velocemente, ben contento. «Fatto!»

Rain abbassò la musica a un livello che permetteva la conversazione, diede gas e ripartì, senza manovre strane e a una velocità un pochino più contenuta rispetto a quella con cui era arrivata. «Ho fatto più tardi di quanto avrei voluto, mi sono trovata davanti un camion che andava più lento della morte per fame, se la morte per fame fosse una persona e fosse zoppa da entrambi i lati».

«Era nei limiti?»

«Andava meno di quaranta miglia all’ora in una strada col limite di sessantacinque, roba da fucilazione immediata. Io che vado un po’più veloce di quanto dovrei magari sbaglio» riconobbe la donna «Ma uno come quello intralcia il traffico, la vita, l’Universo e tutto quanto! Roba da revoca della patente, a parer mio. Comunque, stavi infastidendo nuovamente i tuoi compagni o stavolta ti stavi comportando da persona normale?»

«Sono stato normale. Normalissimo. Assolutamente» mentì Billy «Anche se… sai, continuano ad andare in direzione della montagna. N-non che io intenda seguirli ancora fin lì, ovviamente, ho capito che non lo devo fare» si affrettò ad aggiungere «Però non capisco proprio il motivo».

Si preparò a un discorso analogo all’ultimo che aveva sentito da lei a riguardo, con tanto di “Che ti importa di quel che fanno?” ed esposizione della realtà oggettiva concernente il suo metodo di approccio del tutto sbagliato.
Discorso che invece non arrivò affatto.

«Non lo capisco nemmeno io, sono sincera. Ragione ulteriore per cui io ti darò questo avvertimento e tu lo ascolterai: non cercare mai più di seguirli, per quanto tu possa averne voglia, e possibilmente evita di star loro attorno. Se tieni a lui, consiglia lo stesso anche al tuo amico».

«Sembri ancor meno contenta all’idea di quanto già non fossi fino a poco tempo fa» osservò Billy, leggermente inquietato dal tono della cugina.

«Rimango dell’idea che non siano cattivi ragazzi, però una stranezza chiama l’altra. Se i genitori di quei tre sono tanto felici all’idea che i loro figli crepino giovani, schiacciati dai massi o da chissà cos’altro, fatti loro. Io però la penso diversamente, dunque quando oggi pomeriggio uscirai te ne andrai dritto al luna park della scienza, dove le stranezze restano ancora a un livello umanamente accettabile».

«Posso ricominciare a uscire? Sul serio?!» esultò Billy.

«Sì… ma quel che ti ho detto sull’andare in Irlanda nel caso tu faccia qualcuna delle tue stronzate resta valido, sia chiaro».

«Puoi continuare a fare l’irlandese burbera quanto vuoi ma ormai dopo quasi un anno ho capito che in realtà sei gentile e buona come il pan-»

«Shut your gob, ya eejit».

Billy alzò le mani in segno di resa. «Ok, sto zitt-»

«Eccolo! È quello!» lo interruppe Rain, indicando la corsia opposta «Il maledettissimo camion di prima!... AG FUCK-THÙ, GOBSHITE!» gridò, sollevando di nuovo braccio e dito medio «E tu che hai da ridere?»

Billy cercò di contenersi, inutilmente. «Niente, niente!»

“E di nuovo non sono riuscita a vedere se l’autista c’era o meno” pensò Rain.

Qualche minuto dopo quel secondo incontro, il camion rosso e blu la cui lentezza era stata così poco apprezzata si fermò davanti alla scuola.

«Non ci aspettavamo che venissi tu, Optimus» disse Rad, una volta salito a bordo.

«Dato che oggi è una giornata più tranquilla del solito ho pensato che una boccata d’aria avrebbe fatto bene anche a me» rispose il comandante degli Autorobot «Va tutto bene, ragazzi?»

«Alla grande!» esclamò Carlos.

«Ottimo. Si parte!»

Anche con gli umani a bordo -a maggior ragione!- Optimus mantenne sempre la velocità attorno ai sessanta chilometri orari. Nessuno dei ragazzini se ne lamentò ma, vedendo un’automobile grigio chiarissimo superarlo, nel cervello a transistor del cybertroniano balenò un pensiero.

«Ragazzi, avrei una domanda da farvi riguardo una cosa di voi umani…»

«Di’ pure, Optimus» sorrise Alexis.

«Se mentre sei in strada vieni sorpassato da un essere umano, e questo essere umano lo fa suonando il clacson per poi sollevare un braccio e il dito medio verso di te, significa che ti sta insultando? Perché ho incontrato due volte una donna su un’automobile bianca che andava molto oltre i limiti di velocità che segnano i vostri cartelli… e in entrambe le occasioni ha fatto una cosa simile».

I ragazzini si scambiarono un’occhiata, con la vaga sensazione che Optimus avesse incrociato la cugina, a dir di Fred “tremenda”,  di Billy.

«Beh» avviò a dire Rad «Ecco, in effetti…»

«Non preoccuparti, Optimus» minimizzò Alexis «Finché rispetti i cartelli hai ragione tu, non farti problemi».

“Però un po’più veloce ci potrebbe anche andare, sarebbe più divertente” pensò Carlos.

Il pensiero in questione svanì com’era arrivato, sostituito dalla prospettiva di andare alla base. Chissà cos’avrebbero fatto di bello, quel giorno!

“O beh, se mai ci fossero tempi morti possiamo sempre andare al luna park”.

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Capitolo 3
*** Pioggia in trasferta (forse) ***


Questo capitolo si svolge in pieno episodio 7 (almeno la prima parte). Nient'altro da dire :)

 Buona lettura!

 

3

PIOGGIA IN TRASFERTA (FORSE)






In aria, bloccato su quel gigantesco pallone di colore rosso, il giovane Billy O’Connell si chiese cosa avesse fatto di tanto male nella propria vita per meritarsi una cosa del genere.

“Quel che hai fatto di male è non avermi dato retta, gobshite”.

Si coprì la faccia con una mano.
Sentire in testa la voce di Rain, presente solo nei suoi pensieri, che gli ricordava impietosamente di chi era la colpa -ossia sua, sua e sua soltanto- non gli era certo d’aiuto.

«E ora come facciamo a scendere?!» si lagnò Fred, a ragion veduta.

Tutto era cominciato meno di un quarto d’ora prima, quando avevano visto che Rad e Carlos erano anch’essi al luna park della scienza insieme a due robot alti quanto loro, più alcuni altri.

Inizialmente Billy, impegnato a ordinare del cibo in uno stand, non si era neppure accorto della cosa. Era stato Fred a farglielo notare -finendo a macchiare la sua povera giacca con le mani sporche di ketchup. Se lo avesse fatto a Rain, sarebbe finito decapitato seduta stante- e non ci era voluto molto perché Billy assecondasse l’amico nell’idea di seguirli, tanto per cambiare.
Era stato così che avevano scoperto una cosa allucinante, ossia che i due robottini in questione si trasformavano uno nella bici di Rad e uno nello skateboard di Carlos.

Lì per lì erano rimasti di sasso, poi però era scattata subito una “febbre della cattura” più intensa di quanto lo era stata la cara vecchia febbre dell’oro nel 1848, in barba a tutti gli avvertimenti possibili e immaginabili.
All’anima di “Fai meglio a stare loro lontano”, di “Non ti immischiare” e tutto il resto, Billy a quegli avvisi non aveva pensato nemmeno per un secondo: avevano davanti degli accidenti di robot alieni che secondo lui volevano conquistare e distruggere il pianeta, quindi naturalmente andavano presi prima di subito!
Con una corda troppo corta e un retino per farfalle trafugati dal retro di uno stand, per la precisione.

La caccia ovviamente non era andata a buon fine, tutto quello che avevano ottenuto era stato prima spaventare i robottini, poi spaventarsi a loro volta quando si erano trovati alle spalle quel grosso “gigante testa metallica” di colore giallo.

Era stata la paura a renderli incapaci di ragionare al punto di attaccarsi a uno dei robottini, che trasformatosi in un mini elicottero aveva cercato di volare via per allontanarsi, e poi di lasciarsi cadere sul pallone.

Ora si stavano pentendo di tutti i loro peccati…

«Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi…»

Nel caso di Billy letteralmente. Non l’avrebbe mai detto, ma sembrava che aver imparato le preghiere base della religione cattolica -gli erano state insegnate di recente per questioni puramente culturali- avesse avuto un’utilità.

«BILLY!» tornò a strillare Fred «Come scendiamo?!»

Solitamente era Billy quello con le idee cosiddette “brillanti”, però in quell’occasione non si sentiva brillante, nemmeno un po’. Se mai il contrario.  «Non lo so!» si disperò  «Non ne ho la minima idea, ok?!»

Entrambi erano talmente impegnati a compiangersi da non accorgersi di nulla: né del fatto che il grosso robot giallo di prima aveva sparato contro il pallone usando uno dei cannoni del luna park, né del fatto che suddetto robot giallo si fosse lanciato in aria.
Se ne accorsero solo quando il pallone esplose sotto i loro sederi, facendoli urlare come invasati.

«Spero che Hot Shot riesca a riacchiapparli in tempo!» esclamò Rad.

Il ragazzino sapeva benissimo di aver fatto una grande stupidaggine portando i Minicon al luna park.
A dirla tutta se n’era reso conto prima ancora di farlo, perché anche il più deficiente tra i deficienti avrebbe capito che portare degli alieni in mezzo alla gente comune non era l’idea migliore del mondo; peccato che, nella loro ingenuità da tredicenni accompagnata da un ottimismo eccessivo, lui e Carlos avessero accantonato il buonsenso a favore di uno stato mentale comunemente chiamato “chissenefrega”.
Con tutte le conseguenze del caso.

«Se le cose andranno male sarà colpa vostra» gli ricordò Alexis, impietosa.

«Non abbiamo detto noi a quei due di romperci le scatole!» protestò Carlos «Quindi non abbiamo tutta la colpa che dici!»

«Eccome se l’avete!... oh, per fortuna Hot Shot li ha presi» sospirò la ragazzina, sollevata «Ma voi due siete comunque in grossi guai!»

Nel frattempo, sia Billy che Fred guardavano immobili il robot che li aveva salvati. Il piccolo elicottero di prima si era agganciato al suo corpo e, grazie a esso, stava volando con loro due in mano.

Billy in particolare iniziava a credere di stare sognando.
Volava, stando in mano a un robot gigante sorridente.

Un.
Robot.
Gigante.
Sorridente.

Difficile credere che fosse tutto reale, eppure era proprio così.

“Quindi è questo che si nasconde sulle montagne? Un gruppo di robottoni e robottini che sono diventati amici di Rad, di Carlos e anche di Alexis?!” pensò il ragazzino.

Sapeva di essere decisamente al di sotto dell’età legale per bere alcol, però avrebbe bevuto molto volentieri mezzo bicchiere di whisky: quale motivo migliore dell’incontro con un alieno gigante?

«M-meglio che te le fai venire tu, le idee…» riuscì a dire a Fred una volta che il robot atterrò e li posò a terra.

Fred non rispose e, pochi istanti dopo, Billy sentì distintamente del cicaleccio dietro di sé. Quello di bambini più piccoli di lui di almeno tre o quattro anni, tutti radunati attorno al robot giallo per ammirarlo.

«Sono una forza!»

«No, non sono solo una forza, sono fantastici!»

«Che bello!»

«Come vorrei avere braccia così possenti!»

«Quanto sei forte!»

In quel momento entrambi i ragazzini non seppero se invidiare o meno quei bambini e la loro totale mancanza di paura.
Da un lato era meglio per loro, che quantomeno non avevano voglia di mettersi a bere alcol, ma dall’altro... davvero avvicinarsi a giganti del genere tanto a cuor leggero era una buona idea?

«Grazie tante ragazzi!» sorrise il robot «E vi ringrazia anche il mio amico Jolt» aggiunse, riferendosi al robottino elicottero.

«Ancora non ci credo» disse Billy a Fred.

«Svegliati allora!»

Rad, Carlos e Alexis: il terzetto al completo, tranquillo quanto quei bambini.

«Ricordate: nessuno deve sapere quello che avete visto» disse Rad a Billy e Fred «Mi sono spiegato?»

Entrambi annuirono.

«Perché se lo raccontate non si sa che vi potrebbe succedere!» li avvisò Carlos.

«Che ci potrebbe succedere?» domandò Fred.

«Beh… per esempio il nostro amico qui» Alexis indicò Hot Shot «potrebbe arrabbiarsi di brutto».

Sia Billy che Fred tornarono di nuovo a guardare quella creatura aliena, concludendo che l’idea di vedere arrabbiato Gigante Testa Metallica fosse qualcosa a cui non tenevano proprio.

«Te lo prometto!» si affrettò a dire Billy «Non diremo ad anima viva quel che è successo!»

Se non altro, nel vedere soddisfatta la propria curiosità, quel pomeriggio lui e Fred avevano imparato una lezione: “Attento a ciò che desideri”.


***



Parcheggiata la bici e uscito dalla rimessa, Billy rovistò nelle tasche alla ricerca delle chiavi di casa. Quando le trovò ritenne un miracolo che non fossero cadute in giro, con tutto quel che era successo.

Fece per inserire la chiave nella toppa, per poi decidere di prendersi un altro momento per calmarsi un po’ di più. L’agitazione per quel che aveva visto prima non lo aveva ancora abbandonato, il che aumentava il rischio -già molto concreto- che Rain notasse qualcosa che non andava.

Si appoggiò alla ringhiera del portico, osservando con aria assente il riflesso del sole sull’acqua cristallina della piscina.
Fred gli aveva detto più volte che se fosse stato al posto suo difficilmente sarebbe uscito di casa, e al momento Billy rimpiangeva di non avergli dato retta: nel giardino, piuttosto esteso e pieno di piante, c’era la piscina, dentro casa c’era un idromassaggio, aveva a disposizione una buona quantità di libri, di consolle per i videogiochi -Rain aveva avuto un periodo da gamer-, una tv enorme ad alta definizione con tanto di home theater, c’erano perfino una stanza adibita a palestra e un biliardo, chi gliel’aveva fatto fare di andare a caccia di robot? Chi?!

«Eeeeeeejit!»

«AAAAH!» gridò Billy, con un sobbalzo «S-sei tu!... mi hai fatto prendere un colpo, brutto uccellaccio!»

Il cacatua alzò la cresta e rispose con un fischio. «Billy! Eejit!»

Molti articoli su internet dicevano che i pappagalli parlanti imparavano più che altro per osmosi, al di là dell’addestramento vero e proprio, dunque il fatto che il noventasette per cento delle parole e delle frasi conosciute da quell’uccello fossero insulti e maledizioni in gaelico e slang irlandese la diceva molto lunga sulla squisita gentilezza della sua padrona.

«Eejit! A chonàc san ort! Eejit!»

“Scemo! Ben ti sta! Scemo!”.
Billy doveva ammettere di aver sentito di rado parole più adatte al contesto.

«Il brutto è che hai pure ragione, Dagon» mormorò il ragazzino.

Sentito ciò il cacatua volò via, rientrando in casa attraverso la portafinestra del piano superiore da cui era uscito, e Billy si decise ad entrare in casa.

«Sono tornato» annunciò, senza particolare entusiasmo.

«Avevo sentito sia te che Dagon» rispose Rain, sdraiata sull’immenso divano nero posto davanti a un camino spento altrettanto grosso, alzando appena gli occhi dal libro che stava leggendo «Com’è andata al luna park?»

«Bene. Benissimo. Alla gran… ehm, non mi sono macchiato io, qui» si affrettò a dire, vedendo che Rain stava fissando la macchia di ketchup sulla sua giacca «È stato Fred, stava mangiando un hot dog. Come al solito. Sai che mangia sempre, anche se non dovrebbe».

«Sta alla sua coscienza e ai genitori ricordarglielo, non a noi due».

«Vero» convenne Billy, togliendosi la giacca.

«Billy».

«S-sì?...»

«Ti consiglio di iniziare
entro i prossimi dieci secondi a dirmi quello che hai combinato, perché hai scritto in faccia “So di meritarmi sei mesi interi senza uscite, senza videogiochi, senza televisione e senza cellulare”».

Il ragazzino indietreggiò. «No, no, ti sbagli, non ho combinato nulla, non è successo nulla, te l’assicuro! V-vado a mettere a bagno la giacca, altrimenti la macchia si secca e poi rimane l’alone, e tu non vuoi che rimanga l’alone, vero?...»

«Cinque minuti in più o in meno non fanno la differenza ormai, quindi ora ti siederai e mi dirai in che razza di guaio ti sei cacciato stavolta…  sempre per seguire quei tre, immagino» disse Rain, sollevando un sopracciglio.

«Sì» confessò Billy, abbassando lo sguardo.

Se fosse stato chiunque altro a parlargli si sarebbe comportato diversamente, ma sapeva benissimo di essere in torto… e ormai aveva imparato da tempo che con Rain era completamente inutile ribattere.

«Sei ancora più gobshite di quanto pensassi. Sei stato in castigo per giorni e giorni proprio a causa del guaio in cui eri finito seguendoli, oggi ti do la libera uscita e tu cosa fai? Fai esattamente la stessa cosa per la quale eri stato punito! Io non capisco proprio come ragioni, sempre se ragioni, s’intende, perché comincio ad avere dei grossi dubbi. Non riesco proprio a pensare a un motivo che sia uno per cui tu possa esserti andato nuovamente a infilare in chissà cosa!»

«Mettimi in castigo per sei mesi e facciamola finita! Tanto se anche te lo dicessi tu non mi crederesti, per cui che ne parliamo a fare?!»

«Dici che non ti crederei? Mettimi alla prova» lo esortò Rain.



“Ricordate: nessuno deve sapere quello che avete visto”.



«Non posso. Cioè… n-non è che non vorrei, è che… non posso» borbottò Billy, memore dell’avvertimento.

«Oh sì che puoi» lo contraddisse Rain «Di’, non è che quei tre sono coinvolti in qualche traffico di droga o roba del genere? Il fatto che abbiano la tua età non significa niente, credimi, è più plausibile di quanto si pensi».

«Ma no che non sono coinvolti in traffici di droga!» sbuffò Billy.

«Allora cos’è?» insistette la donna «Sappi che con questa reticenza mi stai facendo alquanto innervosire, il che significherà: niente televisione, niente videogiochi, niente internet, niente cellulare, niente uscite, e niente gelato da qui fino alla fine delle scuole superiori -e sappi che non sto scherzando affatto. Oltre a tutto questo dovrai pulire casa a fondo tutti i giorni, occuparti di andare a fare la spesa, lavare i vestiti, piegarli, stirarli e metterli in ordine di colore. Passerai anche due ore al giorno tutti i giorni chiuso nella tua stanza con cinque giare di Icy Blue Spruce accese…»

«A me quella candela non disp… come non detto».

«E da qui fino a sedici anni passerai le tue vacanze estive a vendere limonata…»

«Vuoi anche farmi fabbricare i limoni con le mie mani, già che ci sei?!»

«Limonata fatta con dei limoni che TU avrai raccolto con le tue mani» completò Rain «La cugina Emerald ha parenti in Sicilia. Farti fabbricare i limoni è impossibile, spedirti in Sicilia a coglierli gratis invece è molto fattibile, e ti giuro su quello che vuoi che se non parli lo faccio sul serio, Billy O’Connell».

«CI SONO DEI ROBOT, OK?!» esplose Billy «Rad e compagnia vanno in giro con robot piccoli e robot giganti che si trasformano tutti in veicoli e si guidano da soli!»

A quelle parole, nella mente di Rain ci fu un flash: l’orma gigantesca di cui Billy le aveva parlato e il grosso camion rosso e blu che le era sembrato essere privo di autista.
Lo stesso camion che quel giorno aveva incontrato due volte lungo la stessa strada, quella che portava a scuola, la stessa scuola dove c’erano gli altri tre minorenni “strani” non imparentati con lei.
Era piuttosto sicura che Billy, per scampare a una punizione come quella promessa, avrebbe inventato qualcosa di molto più credibile; dunque, forse, quella che lei aveva avuto a riguardo dell’autista mancante non era stata un’impressione.
Forse c’erano davvero dei robot giganti che si trasformavano in veicoli, e forse lei ne aveva mandato uno a fanculo.
Due volte.

«Li ho visti coi miei occhi! Li ho toccati! Ci ho più o meno parlato! Sei contenta adesso che te l’ho detto?! Tanto non mi crederai comunque e mi spedirai lo stesso a raccogliere i limoni!» si disperò Billy.

«Bene» disse Rain, alzandosi dal divano «Vai di sopra e fai le valigie».

«COSA?! Parli sul serio?! Vuoi davvero spedirmi in Sicilia?!»

La donna scosse il capo. «No, Billy, non ti mando in Sicilia. Ce ne andiamo in Irlanda entrambi. Andiamo di sopra, muoviti» aggiunse, afferrandogli una mano per trascinarlo con sé.

«Ma io ho detto la verità, te lo giuro!»

«Infatti se ce ne andiamo oggi stesso è proprio perché ti credo» replicò Rain, mentre saliva le scale con lui «Mi era parso che il camion lento di oggi fosse senza autista, solo che fino a poco fa non lo ritenevo molto probabile».

«Quindi tu forse hai mandato a quel paese uno di quei robot?!»

«Già. Anche se uno che va così lento è troppo rincoglionito anche per capire di essere stato mandato a quel paese, dunque questo potrebbe essere un problema marginale rispetto al resto».

«Io però non voglio andare via!» protestò Billy, liberandosi dalla sua presa «Sono nato e cresciuto qui, vado a scuola qui, c’è Fred-»

«Ci sono anche dei robot giganti, presumibilmente alieni, dunque credo proprio che tutto quel c’è qui possa essere destinato ad avere vita breve. Nessuna invasione porta a qualcosa di buono per gli invasi, Billy, gli alieni non sono buoni e carini come ET, ficcatelo in testa» ribatté Rain «Se sono qui è perché sono interessati a una qualche risorsa presente sul pianeta, a schiavizzarci, o a schiavizzarci per avere le risorse in questione senza fatica, non ci sono altre opzioni».

«Carlos, Rad e Alexis non mi sembrano molto schiavizzati!» ribatté il ragazzino.

«Non so per cosa stiano sfruttando i tuoi compagni di classe e non voglio nemmeno saperlo, ma di sicuro quelli lì non vengono in pace e non vogliono fare del bene, motivo per cui non intendo lasciare che questa faccenda ci coinvolga oltre! Prendi le candele e tutto quello che non vuoi lasciare qui, io intanto prenoto il volo per l’Irlanda».

«Ascolta, il gesto con cui si manda la gente a quel paese è universale, anche un alieno rincoglionito avrebbe capito che non era un complimento, eppure il camion non ti ha inseguita per fracassarti la Porsche, sbaglio?!»

«Come se inseguirmi potesse avere una qualche utilità, lento com’è!»

«Allora mettiamola così: tu pensi davvero che se per disgrazia volessero invaderci basterebbe rifugiarci in Irlanda?! Sono venuti qui dallo spazio, non ci metterebbero molto ad andare da qualunque altra parte del nostro mondo!» le fece notare Billy.

«Infatti andarcene è solo la prima parte del piano, la seconda consiste nel far evacuare la città e far saltare in aria quella maledetta montagna da cima a fondo con tutto quel che contiene. Io ovviamente non posso farlo, però conosco chi può. La famiglia di mia madre e di mio nonno ha gli agganci che servono, ed è da qualche anno che zio Howard ha il dente avvelenato verso i robot. Colpa del nuovo “genero” russo troppo sessantenne e troppo macchina, che vuoi farci».

«Non puoi parlare sul serio!» impallidì Billy.

«Sono serissima, il tizio in questione è davvero mezzo macch-»

«Parlo del far saltare in aria la montagna, Rain!»

«Anche qui sono serissima. Quei robot sono venuti ad intralciare il traffico sul pianeta sbagliato».

«Ma non è detto che siano cattivi per forza! Il robot gigante di oggi ha salvato me e Fred nonostante avessimo... ecco, sì, nonostante avessimo infastidito uno dei robot piccoli» disse Billy «Ci siamo ritrovati sopra un pallone e lui ci ha tirati giù. Storia lunga. Comunque, ci ha aiutati e non ha chiesto in cambio niente, a parte il silenzio sulla sua presenza qui».

«Vuole il silenzio su una presenza non troppo silenziosa, se lui e gli altri robot si trasformano allegramente in mezzo alla gente e vanno a salvare ragazzini innocenti dalle loro azioni deficienti» commentò Rain «Al di là di questo, forse hanno bisogno di tempo per i preparativi dell’invasione…»

«O forse cercano dell’altro e non vogliono affatto invaderci. Non pensi che se fossero venuti qui per quello e avessero voluto assicurarsi che stessimo zitti ci avrebbero uccisi? Invece ci hanno aiutati e nient’altro, infatti sono qui a casa sano e salvo a parlare con te, e ti ripeto che nessuno mi ha chiesto di fare niente in cambio! Se quei robot volessero sfruttare gli umani in generale per qualcosa avrebbero coinvolto di più anche me e Fred! Per favore» la pregò «Capisco che tutta questa faccenda ti sembri assurda, perché in effetti è assurda, ma forse non c’è bisogno di andarsene e cercare di uccidere chi se ne sta per fatti propri E non è venuto qui a fare danni E non ci ha fatto niente di male!»

«Se ne stanno per fatti propri fino a un certo punto, non sono venuti qui a far danni solo per quanto ne sappiamo noi e non ci hanno fatto niente di male per ora. Sii meno buono e più realista, Billy».

«Non potremmo aspettare? Potremmo andare via nel caso in cui succeda qualcosa…»

«Ossia troppo tardi. Meglio prevenire che curare».

«NON VOGLIO ANDARE VIA!» gridò Billy «Io adesso sto bene, qui sto bene, non mi puoi chiedere di ricominciare tutto da capo un’altra volta, non lo voglio fare!»

Rain capiva fin troppo bene quel che suo cugino intendeva dirle. Sapeva che portarlo via avrebbe significato sradicarlo completamente da tutta quella che era attualmente la sua vita, la sua quotidianità diventata stabile da neppure un anno. Era un periodo che poteva sembrare lungo ma che in realtà era fin troppo breve, almeno per un tredicenne proveniente da una situazione come quella di Billy.
Lei stessa ricordava che non era stato semplice lasciare l’Irlanda per raggiungere i genitori, anche se lo aveva fatto a sedici anni, provenendo da una situazione familiare che lei aveva sempre reputato un po’particolare ma anche molto agiata e tranquilla, e soprattutto era stata una decisione che non aveva preso per cause di forza maggiore. Un po’indotta, magari, ma non forzata.

«So cosa comporta per te e infatti io per prima non ne sono felice, però questa degli alieni è una faccenda strana di cui noi non sappiamo praticamente niente. Ti hanno salvato ma non significa granché. Il mio compito in questo momento è cercare di tenere al sicuro entrambi. Billy, io…» fece una pausa «Sai che tra tre giorni c’è quel battesimo a cui dobbiamo andare, giusto?»

«Quello di cui non hai fatto che dire “Sarebbe meglio venire rapiti dagli alieni piuttosto che andarci”?... ora che gli alieni ci sono cosa preferisci, invece?!»

«Se gli alieni fossero un po’meno reali preferirei sempre il rapimento. Quel che volevo dire è che hai tre giorni di tempo per accettare l’idea del trasferimento e salutare tutti quanti. Andremo via dopo il battesimo. Più di questo, e di prometterti che rifletterò un po’di più sul telefonare o meno a zio Howard, io non posso fare. Mi dispiace».

Billy, senza dire un’altra parola, andò a chiudersi in camera propria.

Rimasta sola nel corridoio, Rain alzò gli occhi al soffitto.

Ag fuck-thù, alieni lenti”.

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Capitolo 4
*** Pioggia sul latte macchiato ***


4

PIOGGIA SUL LATTE MACCHIATO







Alexis andava abbastanza spesso in quel bar al centro della cittadina, dall’aria moderna e pulita. Negli ultimi tempi si era recata lì un po’meno spesso -“colpa” della sua amicizia con gli Autorobot-  ma restava un posto tranquillo in cui si trovava a proprio agio, soprattutto quando si trattava di scrivere al pc gli elaborati da dover consegnare a scuola.

Quella infatti era la ragione per cui si trovava lì, con una differenza: non riusciva a scrivere una riga in più di quelle già fatte, perché la sua attenzione era attirata da qualcos’altro.

Anzi, da “qualcun’altra”.

Facendo mente locale si era resa conto che quella non era stata la prima volta in cui aveva visto lì la cugina di Billy, solo che in precedenza non aveva mai prestato attenzione alla cosa. In fin dei conti perché avrebbe dovuto? Era una cliente come un’altra e lei andava lì per fare i compiti quando non aveva voglia di farli in casa, non per badare alla gente che entrava e usciva.

Le cose però erano cambiate: precisamente da quando Billy, un paio di giorni prima, era venuto a scuola per l’ultima volta.


“Tra due giorni andrò via, andrò a stare in Europa… no, non è per una vacanza. Non so quando tornerò. Non so neppure se io e mia cugina torneremo mai qui. Questo è l’ultimo giorno che passerò in questa scuola e l’unica occasione che ho per salutare molti di voi”.



Di norma Alexis non sarebbe stata a crucciarsi troppo sulla questione, in fin dei conti Billy sarebbe andato in Europa, non in guerra, e comunque lei non lo considerava altro se non un semplice conoscente un po’rompiscatole. Tuttavia il tempismo perfetto di quel trasferimento improvviso, annunciato il giorno immediatamente successivo a quello in cui Billy e Fred avevano scoperto il loro segreto, le era sembrato molto strano.
Se a Rad e Carlos il pensiero non aveva sfiorato il cervello, la sua prima ipotesi invece era stata che Billy avesse dato fiato alla bocca e avesse raccontato tutto quanto a Rain, con le possibili conseguenze del caso.
Per tale motivo, nel tentativo di scoprire informazioni su un possibile “nemico”, aveva ritenuto opportuno fare un paio di ricerche in rete.
Non era servito spingersi oltre i social network per sapere qualcosa in più. Il profilo di quella donna non era pubblico ma non era nemmeno troppo blindato, dunque Alexis aveva potuto risalire subito alle parentele di Rain -certune con un profilo non solo pubblico, di più- scoprendone un paio che avevano un certo peso, abbastanza da poter essere prese sul serio anche parlando di alieni.
Alexis sapeva di essere solo una ragazzina a cui, sentendola parlare dei Transformers, nessuno avrebbe mai badato… ma ciò non era applicabile alla donna che aveva bellamente ignorato il cuore di cacao che il barista aveva fatto sul suo latte macchiato.

“A me il cuore di cacao non lo ha mai fatto” pensò Alexis. Dal suo tavolo, a ben poca distanza da quello di Rain, poteva vederlo bene.

Forse doveva avvicinarsi, cercare di capire cosa sapeva e, nel caso avesse scoperto di avere ragione, avrebbe potuto cercare di farle capire che i robot giganti presenti sulla Terra erano buoni. Magari avrebbe anche potuto mostrarle il simbolo degli Autorobot per essere ancor più precisa. Gli Autorobot non erano gente cui sparare a vista... ma per i Decepticon era valido il discorso contrario.

«I tuoi genitori avrebbero dovuto insegnarti che in generale è meglio evitare di fissare le persone. Non che questa sia la lacuna peggiore».

Vedendosi scoperta da Rain e sentendo quelle parole abbastanza dure, la ragazzina arrossì violentemente. Di solito gli adulti avevano sempre una certa considerazione di lei ma quello sembrava un caso perso in partenza. «N-non la stavo fissando! E comunque nella mia educazione non ci sono lacune!»

«Dunque mantenere lo sguardo puntato su una persona dal momento in cui questa entra in un locale, senza distoglierlo in nessun caso, non sarebbe “fissare”. Strana teoria».

Così come Alexis aveva riconosciuto Rain, anche quest’ultima aveva riconosciuto Alexis.
Erano entrambe clienti abituali e lei lo sapeva benissimo, solo che ovviamente non si erano mai rivolte parola prima di allora. Nessuna delle due ne avrebbe avuto motivo e Rain, anche in quel frangente, lo avrebbe evitato volentieri… ma si era rassegnata all’idea che, se non lo avesse fatto, la ragazzina sarebbe comunque venuta a romperle le scatole.
Era ufficiale: solo Icy Blue Spruce, le macchie sui vestiti e gli alieni che non se ne stavano a casa propria erano peggio dei minorenni non imparentati con lei.

«Va bene. Va bene» Alexis alzò le mani in segno di resa «Ammetto che la stavo guardando ma era solo perché volevo parlarle e che non sapevo bene come e quando avvicinarmi. Il mio nome è Alexis…»

«La compagna di classe di Billy, la stessa che tempo fa lo ha aiutato con letteratura. Io so benissimo chi sei tu e viceversa. Vieni al dunque» sospirò Rain.

«Vorrei sapere perché vuole portare Billy in Europa» disse Alexis «La notizia del trasferimento mi ha stupita».

«Visto e considerato che tu e Billy non siete neanche amici, sai darmi almeno una valida ragione per cui dovrei risponderti?»

“Non avrei mai detto che qualcuno avrebbe potuto farmi rimpiangere i momenti in cui io e gli altri ci troviamo in mezzo tra Autorobot e Decepticon che si sparano laser in faccia” pensò la ragazzina. «Io e Billy siamo amici, invece» mentì.

«Il solo amico di mio cugino si chiama Fred, dunque a meno che tu da ieri a oggi abbia cambiato nome, sesso, peso, colore di capelli e colore di occhi, direi che non siate amici» concluse Rain «Non è di Billy che ti importa» continuò, per poi dimezzare il latte macchiato in un sorso «Invece il suo benessere è la sola cosa che importi a me al momento».

«Non c’è niente qui che minacci il suo benessere» ribatté Alexis.

Rain sollevò un sopracciglio. «Sei troppo giovane per dire qualcosa di diverso da questo».

«Il fatto che sia giovane non vuol dire che sia stupida!»

«Difatti non ti ho dato della stupida, stai facendo tutto da sola. Vorrei finire il mio latte macchiato senza essere fissata o infastidita, dunque torna al tuo posto, o vai dove vuoi, e non tediarmi oltre».

“Ma chi si crede di essere questa qui?! Solo perché è ricca!...” pensò Alexis. «Non è affatto gentile, lo sa?!»

Rain non si curò neppure di risponderle, limitandosi a congedarla con un elegante cenno della mano, e quando Alexis -più che innervosita- si allontanò col portatile e tutto, andando a sedersi dalla parte opposta della sala, tornò a concentrarsi sul latte macchiato.

“Che una persona non possa neanche bere qualcosa in pace senza che arrivino ragazzetti pro-invasione aliena a rompere le scatole, e finisca anche per passare come la cattiva di turno, è proprio il colmo”.

Aveva capito il vero motivo per cui la ragazzina si era avvicinata, ossia per capire se Billy aveva parlato o meno e, in tal caso, cercare di convincerla del fatto che non ci fosse nulla di male nella presenza di grossi alieni metallici sulla Terra, in modo da evitare loro problemi.
Probabilmente aveva fatto qualche ricerca sui social e aveva notato certi suoi agganci poco nascosti, come quel suo zio Howard- che lei non apprezzava troppo ma che faceva molto comodo.
Mantenere legami di comodità era qualcosa che le era stato insegnato presto.


“Di certi parenti più o meno megalomani si farebbe volentieri a meno, garinίon, ma dato che invece ci sono tanto vale tenerseli buoni, finché torneranno utili… e abbiamo usato la scusa dell’influenza per evitare il compleanno di tuo zio già l’anno scorso, dunque stavolta non abbiamo scampo”.


Suo nonno materno Dermot Lancaster era morto da sei anni, ma c’erano dei momenti in cui la sua mancanza si faceva ancora sentire piuttosto forte.
Lui continuava a vivere nei suoi ricordi, in ogni atteggiamento che Rain aveva assimilato e fatto suo, in tutti gli insegnamenti che le aveva dato e -bando all’ipocrisia- anche in tutto ciò che le aveva lasciato in eredità sistemandola vita natural durante, ma avrebbe preferito di gran lunga che fosse stato ancora in vita, in quel momento più che mai. Si era offerta come figura di riferimento per Billy ma anche lei, in quel periodo, avrebbe voluto poter contare sulla propria.

“A proposito di Billy, spero per lui che abbia fatto usare i sottobicchieri al suo amico. Meglio che torni a casa a controllare di persona”.





***


 



«Non c’è proprio modo di convincerla a restare?»

Billy scosse il capo, sconsolato. «No, Fred, e oltre a questo preferisce anche che io esca di casa il meno possibile. Infatti oggi non mi ha mandato a scuola e, considerando che hai anche dormito qui, sei in casa nostra da quasi un giorno e mezzo. Una cosa del genere in condizioni normali non esisterebbe proprio, un “minorenne non imparentato con lei” in casa sua per tutto questo tempo!...»

«Ma perché ce l’ha con i minorenni non imparentati con lei?» chiese Fred, stiracchiandosi un po’ mentre si rilassava nell’idromassaggio.

«So che c’è un motivo preciso ma non so quale sia, quindi non ti posso rispondere».

Entrambi bevvero dei sorsi di Pepsi direttamente dalle rispettive lattine, poi Billy si voltò di lato a osservare il cielo attraverso la finestra.

«Se fossi riuscito a mantenere il segreto non dovrei andarmene».

«Potresti sempre scappare di casa» disse Fred «Ci hai pensato?»

«Lì per lì sì, ci ho pensato» ammise Billy «Però anche un eejit come me può arrivare a capire che Rain non merita una cosa del genere, se vuole portarmi via non è perché è brutta e cattiva».

«Brutta non è di sicur- EHI!» protestò Fred, quando l’altro gli schizzò l’acqua sul viso.

«È mia cugina, attento a quello che dici!»

«Non è colpa mia se è bella come le lasagne di mia madre! Peccato solo che sia tremend-»

«Un’altra parola e ti annego, Fred, sei avvisato» lo minacciò Billy «… non posso credere che tu l’abbia paragonata a una lasagna, è una delle cose più sceme che abbia mai sentito!»

«Ma era un complimento!»

«Non insistere oltre, se no apro la porta e lascio entrare il pappagallo!»

Fred si zittì immediatamente, memore dell’esperienza della notte passata che gli era bastata e avanzata.

Non si era ancora capito come Dagon fosse riuscito a entrare in una stanza chiusa, ma stava di fatto che alle tre e mezza di notte era volato sul comodino e si era messo a strillare insulti irripetibili all’orecchio di Fred, il quale ovviamente si era svegliato urlando, spaventato a morte.
Gli strilli di Fred avevano svegliato Billy, il quale si era messo a urlare a sua volta, ed era stato allora che la situazione aveva raggiunto l’apice dell’assurdità: Rain, col suo pigiama da unicorno viola, era piombata nella stanza armata di bazooka, pensando di essere sotto attacco da parte degli alieni.
La faccenda era stata rapidamente chiarita e chiusa con una sequela di improperi irlandesi, borbottati da Rain uno di fila all’altro mentre tornava nella propria stanza.

«Basta che poi non entri anche lei col bazooka» disse Fred «Ma quale persona normale ha un bazooka in casa?!»

«So che per la sua famiglia in Europa possedere armi da fuoco di vario genere è una cosa molto comune. Mi ha detto che iniziano presto a imparare a usarle. Dovrebbe essere una specie di tradizione» spiegò Billy «È una stramberia, lo so».

«Puoi dirlo forte. Già! Non potrebbe usare quell’affare per sparare agli alieni, se mai venissero a cercarci?»

«Beh… immagino di sì… ma penso anche che preferisca evitare di mettersi in prima linea contro dei robot giganti, Fred».

«Immagini bene».

Entrambi i ragazzini sobbalzarono, non essendosi accorti né della porta che si era aperta né di Rain che era entrata. A giudicare dal costume intero che indossava sembrava aver voglia di unirsi a loro, cosa che spinse Fred ad arrossire e abbassarsi, finendo a nascondere mezza faccia sotto l’acqua.
Quando poi vide entrare anche il pappagallo, scomparve direttamente sotto la superficie.

«Non ha ancora capito che Dagon non ha voglia di ucciderlo» disse Billy, facendo spallucce.

«Su questo in realtà non garantisco» replicò Rain, indicando il cacatua che, col suo grosso becco, stava riuscendo a raggiungere la testa di Fred anche sotto il pelo dell’acqua «Comunque, ho incontrato la tua compagna di classe asiatica per metà ed educata per un quarto».

«L’hai vista al bar? So che ci va spesso… o meglio, ci andava spesso prima di iniziare ad andare in montagna».

«LASCIAMI IN PACEEEEEE!» strillò Fred al pappagallo, nel riemergere «Cosa ti ho fatto?!»

«Già. Purtroppo stavolta era seduta poco lontana dal mio tavolino e ha avuto la brillante pensata di disturbarmi» rispose Rain, ignorando Fred e la sua discussione con Dagon «Mi sono persa qualcosa e siete diventati amiconi e/o si è innamorata di te?»

«N-non mi risulta» bofonchiò Billy «Perché?»

«Allora è come immaginavo, voleva capire se mi avessi parlato o meno degli alieni. Mi ha chiesto i motivi del trasferimento con un po’troppa insistenza per i miei gusti. Tutto questo interesse improvviso proprio in questo momento mi sembrava strano. In ogni caso la conversazione è durata poco» concluse Rain, entrando nell’idromassaggio «Anche se in certi casi il “poco” non è mai abbastanza».

«Gobshite! Ya maggot!» esclamò Dagon, schiaffeggiando Fred con le ali per poi fischiare «Aaaag fuck-thù! Maggot!»

«Mi pare che tu abbia fatto già abbastanza stanotte, Dagon, quindi smetti di dargli del moccioso rompiscatole, appollaiati sul davanzale della finestra e piantala di fare chiasso. Il tuo biscottino l’hai preso».

Forse perché aveva compreso l’ordine di Rain, forse semplicemente perché si era stufato, Dagon volò ad appollaiarsi sul davanzale senza infastidire più nessuno.

«Grazie…» sospirò Fred «Non capisco proprio perché ce l’abbia con me. Ehm… i-io comunque tra un paio d’ore torno a casa. Mezz’ora fa ha chiamato mia madre».

«Allora tu e Billy avete ancora un paio d’ore per salutarvi».

«Eeeh… a proposito, Rain, io so che domani abbiamo il battesimo» disse Billy «E so che bisogna andarci, però stavo pensando una cosa: visto che è di pomeriggio, domani io e Fred non potremmo fare un ultimo giro nel parco qui vicino? Se vedessimo Rad e compagnia, una macchina gialla o il camion lento-»

«Scoppiasse, almeno» borbottò la donna.

«Ci allontaneremmo subito, giuro» continuò il ragazzino «Visto quel che ha comportato non andremmo a cercare guai di nuovo. Un ultimo giro» la supplicò «Solo un’ultima volta! Tanto è qui vicino e quando sarà ora di iniziare a prepararmi per il battesimo tornerò a casa…»

«Ti verrò a prendere io, così risparmieremo tempo» cedette Rain.

Non era troppo contenta all’idea di far uscire di casa Billy, ma la compassione verso di lui l’aveva spinta a concedergli almeno un’ora d’aria.

«Quindi posso? Grazie!» esultò Billy «Vedrai che non te ne farò pentire! Non faremo gli scemi e non succederà niente, vero Fred?»

«Sicuramente!»

Erano sinceri, avrebbero impiegato tutta la buona volontà che possedevano per non andare in cerca di guai.
Restava solo da vedere se i guai avrebbero impiegato altrettanta buona volontà per non andare a cercare loro.

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Capitolo 5
*** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 1) ***


5

PIOGGIA NEL VILLAGGIO FANTASMA
(PARTE 1)







«Si crede chissà chi solo e soltanto perché ha i soldi e il barista le fa i cuoricini sul latte macchiato, ma in realtà se la tira sul niente, e quando dico “sul niente” significa proprio “sul niente”! A poco servono i cuoricini sul latte macchiato se poi non sei in grado di essere gentile con le persone nemmeno sotto tortura e no, quella lì non è gentile, nemmeno un po’, è arrogante, antipatica e soprattutto è spocchiosa, spocchiosa e spocchiosa! Solo perché è probabilmente è cresciuta con la servitù non significa che siamo tutti suoi schiavi, ok?! “Gne gne gne non tediarmi oltre gne gne gne”, ma chi si crede di essere?!»

Rad, affiancando Alexis sul sentiero sterrato che stavano percorrendo in mezzo a un boschetto, alzò gli occhi al cielo. Per quanta stima avesse di lei -e ne aveva tanta- cominciava a essere stufo di sentirla inveire contro la cugina di Billy. «Qualcuno che voleva bere il latte macchiato e non aveva voglia di chiacchiere immag-»

«Le dai anche ragione?!» sbottò Alexis «Guarda che io mi sono messa a indagare per il bene dei nostri amici, che poi è quel che avreste dovuto fare anche tu e Carlos, invece no, sono la sola che pensa alle cose pratiche… e non vengo nemmeno apprezzata!»

«Pensare alle cose pratiche non è che abbia fatto granché stavolta, se non far arrabbiare te e far dolere le orecchie a noi. Billy e la cugina se ne vanno, tanta voglia di mettersi in mezzo non ce l’hanno, dove sta il problema?» sospirò Carlos.

«Il problema sta nel fatto che se pensasse che i Transformers sono pericolosi potrebbe parlarne con qualcuno e metterli nei guai, ecco dove» ribatté la ragazzina «Ha chi potrebbe crederle e fare loro del male!»

«Allora diciamole che gli Autorobot sono i buoni e che i Decepticon sono i cattivi, così almeno fa fare del male solo a loro e noi siamo a posto!»  esclamò Carlos.

«Come se a una tipa del genere potesse interessare qualcosa dei buoni e dei cattivi, li farebbe colpire tutti a prescindere già solo perché non sono di questo pianeta» ribatté Alexis, azzeccandoci in pieno.

«Lei e Billy comunque se ne vanno oggi, non possiamo fare molto se non sperare che non capiti nulla» disse Rad.

Speranza vana quella di Rad, infranta dal rumore delle pale di un elicottero che ormai avevano imparato a conoscere bene.

«Beeeene! Cosa abbiamo qui?!»

Quello che stava volando sopra di loro era Cyclonus, considerato anche dagli Autorobot il più casinista e svitato dei Decepticon.

«Via! Dividiamoci!» esclamò Rad.

Non sapevano cosa volesse, ma il fatto che fosse un Decepticon e li avesse riconosciuti era una ragione validissima per darsela a gambe, sperando di riuscire a depistarlo… e lasciando che, imprevedibilmente, fossero altri a pagarne il prezzo.

Anche se non potevano saperlo.




***Parco poco distante dal boschetto***




«Altri due minuti?...»

«Mi sembra che tu abbia salutato il tuo amico più che abbastanza, Billy, quindi non farmi perdere altro tempo».

Per fortuna quelli che indossava Rain erano tacchi da giorno, dunque un po’più spessi e più bassi, altrimenti avrebbe avuto qualche difficoltà a camminare sul prato. Era stata costretta a scendere dall’auto dopo aver notato che il clacson non funzionava -“Devo farla rottamare, questa macchina…”- e che il suo nuovo cellulare era come impazzito.
“X Gon’Give It To Ya” era la sua suoneria, ok, però il dispositivo aveva iniziato a riprodurla senza un motivo apparente, perché nessuno la stava chiamando. Era stata costretta a togliere la batteria e metterlo, assieme alle chiavi dell’auto, nella borsetta che aveva addosso, perché neppure spegnerlo aveva funzionato: si era riacceso e aveva continuato a riprodurre la canzone.
L’ennesima stramberia di una serie che non le stava piacendo affatto e che sicuramente non contribuiva a migliorare una giornata resa già pessima dalla cerimonia a cui lei e Billy avrebbero dovuto partecipare a breve.

«Va bene» si arrese Billy «Ci… ci vediamo, Fred, vedrò di scriver- Fred? Mi stai ascoltando sì o no?!»

In verità no, non lo stava ascoltando: aveva smesso di farlo da quando Rain era arrivata.
La sensazione che provava Fred nel vedere la cugina di Billy con quel vestito lungo di seta verde, con una gonna dall’aria leggera e morbida, era molto strana e molto bella allo stesso tempo.
Era strana perché si sentiva ancor più scemo di quanto si sentisse di solito -e percepiva anche il proprio volto andare a fuoco- e bella perché, guardando quella donna, avvertiva dentro di sé la nascita di una forza assurda con la quale era convinto di poter fare qualunque cosa, qualunque!

«Io lo so che sono un minorenne non imparentato con te e per questa ragione mi sopporti a stento, ma sappi che per te andrò in palestra, diventerò forte come Hulk, farò tornare gli alieni da dove sono venuti e quando diventerò maggiorenne ti chiederò di sposarmi».

«Ma sei diventato scemo o cosa?!» inveì Billy, tirando una serie infinita di schiaffi in testa all’amico.

«Non è colpa mia se ho capito di amarla come amo gli spaghetti con le polpette di mia nonna! O come il tacchino arrosto del Ringraziamento! O come la angel cake della mia prozia Annette!» protestò Fred, tentando inutilmente di proteggersi «Non puoi sconfiggere l’amore!»

“Questa giornata peggiora ogni minuto di più” pensò Rain, evitando di rispondere per non dover infierire su un povero ragazzino che era già in terapia. «Billy. Macchina. Ora».

Il rumore dell’elicottero che avevano sentito volare a poca distanza da lì -al quale però fino a quel momento non avevano fatto granché caso- divenne molto più forte, e pochi secondi dopo lo videro svolazzare rasoterra a neppure un centinaio di metri da loro.

“Quelle pesti organiche mi hanno seminato ma non importa, anche questi tre vanno bene” pensò Cyclonus, osservando le nuove prede “Gli Autorobot tanto sono abbastanza idioti da dare via i Minicon anche per tre umani a caso, ahahah”.

«Uuuh… che bell’elicottero» disse Fred, osservandolo con ammirazione.

«Già, è bellissim-EHI!» esclamò Billy, ritrovandosi improvvisamente un polso stretto in una morsa assassina e a correre via, trascinato da Rain «Che stai facendo?!»

«GLI ELICOTTERI NON HANNO LE MANI, GOBSHITE!» gridò Rain.

Il ragazzino impallidì, finendo quasi a inciampare nei propri piedi. «Tu pensi che sia-»

«Zitto e corri, Billy!»

Sentirono rumore di movimenti metallici, poi Fred urlò.

«AAAH! AIUTATEMIIII!»

«Fred!» esclamò Billy, cercando di fermarsi e tornare indietro «Non possiamo lasciarlo, Rain, ferma-»

«Il tuo amico è un morto che cammina, fattene una ragione!» sbottò Rain «E se non ti muovi finiremo come lui!»

I rumori dell’elicottero però si stavano avvicinando a loro ogni secondo di più, perché ovviamente per quanto potessero essere veloci a correre -tacchi permettendo- non potevano competere con un velivolo; fu così che, nonostante fossero quasi arrivati all’auto, i due O’Connell si sentirono stringere in una salda presa dalla quale non avrebbero mai potuto liberarsi.

«Presi!» rise Cyclonus.

«NO! Loro non c’entrano, lasciali andare!» gridò Rad, sbucando fuori dal boschetto.

«Di’ agli Autorobot che se vogliono che restino in vita devono darmi i Minicon!» ribatté il Decepticon, tornando a salire rapidamente di quota «Spero che voi tre siate comodi, perché ci aspetta un bel viaggetto» disse poi, rivolto ai tre ostaggi.

«Lasciaci andareeeeee!» strillò Fred.

«Io potrei anche farlo… ma voi organici tendete a diventare frittatine quando cadete da altezze del genere, quindi non so quanto ti conviene. Se proprio ci tieni però ti accontento, tanto ho altri due ostaggi da portare a Megatron!»

Billy smise di divincolarsi. «Mega-chi?!»

«Io lo sapevo» borbottò Rain «Dovevo farle esplodere quando potevo, a queste orrende lattine schizzate fuori dall’ano rugginoso di non so quale fottutissima divinità rincoglionita e perversa con la mamma puttana a cui piaceva scoparsi i tubi di scappamento».

Non c’era proprio niente da ridere in quella situazione, eppure Billy si ritrovò a venire scosso da risate che cercava disperatamente di mantenere silenziose o mascherare con colpi di tosse, cosa che non era facile dal momento che Rain continuava imperterrita a borbottare e dare sfogo alla sua vena creativa.
Era difficile credere a quali profanazioni potevano uscire dalla bocca di quella donna che, a guardarla, sembrava tanto a modo. Quando poi si arrabbiava sul serio e iniziava con i “frastimus”, una sorta di maledizioni che aveva imparato da uno dei suoi ex -un sardo diceva- e li mischiava col gaelico sembrava quasi una strega.

«Breith i bpoll cúng ort! Ti si furriri sa domu crobetura a fundamentu e ti ‘ndi boghinti is parentis in pamentu!*»

Come in quel caso, per esempio: Billy aveva capito la prima parte in cui aveva augurato al rapitore di finire con l’essere ritrovato in una bara, la seconda in sardo però gli sfuggiva.  
«Se non altro abbiamo evitato il battesimo» disse, in un blando tentativo di farla smettere prima che iniziasse a usare un volume più alto.

Rain gli lanciò un’occhiataccia. «Quando avevo chiesto un rapimento alieno non facevo sul serio. È proprio vero che uno dovrebbe stare attento a ciò che desidera».

«In tutta la mia esistenza ho sentito di rado parole più azzeccate. Volevi il rapimento? Eccolo» rise Cyclonus «Dovrei farmi pagare il servizio!»

Rain, pensando alla salute del cugino, riuscì eroicamente a contenere lo strabiliante profluvio di insulti e maledizioni multilingue che lottava con forza per uscire dalla sua bocca, ma chissà come entrambi i ragazzini poterono avvertirne distintamente l’aura potentissima.

“Perché ho improvvisamente voglia di insultare la gente in irlandese, se io l’irlandese non lo conosco nemmeno?!” pensò Fred.

Da lì in avanti il viaggio proseguì in silenzio, concludendosi in una specie di villaggio fantasma in cui erano presenti altri due robot giganti in quella che era, presumibilmente, la loro forma base.

Due dei tre umani presenti avevano ne già visto un altro mentre era in forma non veicolare -Hot Shot, quando li aveva tirati giù dal pallone aerostatico su cui erano finiti- però era qualcosa cui erano ancora ben lungi dall’abituarsi, soprattutto perché questa volta sembravano avere pessime intenzioni.

«Questi non sono i tre umani che vanno in giro con gli Autorobot» fu la prima cosa che disse Demolisher «Si può sapere che hai combinato, Cyclonus?!»

«Gli altri sono riusciti a sfuggirmi ma questi andranno bene lo stesso, sai come sono fatti gli Autorobot» minimizzò l’elicottero «E comunque il ciclista mi ha visto portarli via. Non dovremo aspettare molto perché arrivino qui con i Minicon».

«Meglio per te che tu abbia ragione, altrimenti te la facciamo pagare» lo avvisò Starscream «Mettili là dentro» indicò un edificio di legno a poca distanza da loro «Muoviti».

Cyclonus obbedì, sollevando l’intero tetto e mettendo gli ostaggi a terra. «Fate i bravi, almeno potrete tenere le vostre teste attaccate al collo… per quel poco che servono, ahahahah!»

Quando il Decepticon ebbe rimesso il tetto al proprio posto, Billy e Fred iniziarono ad agitarsi più di prima.

«Perché ci hanno presi?! Cosa vogliono farci?! Voglio andare da mia mamma!» si disperò Fred.

«Zitto, così mi fai agitare più di quanto già sia!» sbottò Billy, mettendosi le mani nei capelli «Ora che facciamo?»

«Quando Cyclonus, che d’ora in poi sarà Bidone Parlante 1 o BP1 perché mi rifiuto di dare un nome proprio a un oggetto, ci ha presi, io ho tenuto stretta la borsa» disse Rain, armeggiando con la chiusura della suddetta «Quindi ho con me il cellulare e posso usarlo, sperando che abbia smesso di fare il matto».

Billy sollevò le sopracciglia, sorpreso. «Grande! Ma chi chiamiamo? Sinceramente non penso che la polizia ci crederebbe».

«Lo zio Howard però sì» ribatté la donna, avvicinandosi a una spessa fessura nelle travi di una parete di legno mentre sistemava la batteria «Riaccendo il telefono, gli mando un video di questi bidoni parlanti assieme alla nostra posizione ed ecco che in un quarto d’ora manderà qualcuno a salvare noi e occuparsi di loro».

«Sì! Salvaci zio Howard, chiunque tu sia!» implorò Fred.

Rain chiuse il retro del telefono. “Spero che questi bastardi possano provare dolore” pensò.


“First we gonna rock, then we gonna roll
Then we let it pop, go, let it go!
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya
X gon' give it to ya, he gon' give it to ya!”



Niente da fare, il cellulare non collaborava. Non solo continuava a riprodurre la canzone ma non le permetteva di fare nessun’altra azione, e comunque non c’era campo.

«Ancora?! Va’ a vedere che il problema sono proprio queste sputacchiere aliene con le gambe e una qualche frequenza assurda che emettono. Maledizione… niente cavalleria, a quanto pare».

Rain sembrava tranquilla ma in realtà, da quando Cyclonus li aveva presi, aveva contato sugli aiuti esterni un po’più di quanto avrebbe dovuto.
Aiuti che invece non sarebbero potuti arrivare.
Se si fosse trattato solo di lei, se a essere rapita fosse stata solo lei, si sarebbe preoccupata già meno; peccato che non fosse così, perché con lei c’erano anche Billy e il suo amico -che per lei poco contava- dunque non poteva certo mettersi a ideare… boh, non sapeva nemmeno lei cosa.
Ragion per cui la tensione e il nervosismo dentro di lei, già a quel punto, aumentarono in maniera esponenziale.

«Quindi non possono venire a salvarci? Ecco!» Fred si accasciò a terra «Siamo finiti! Ci faranno chissà cosa senza che io sia riuscito a dimagrire e crescere e sposarti!»

Billy gli diede una pacca sulla nuca. «“Chissà cosa”? Cosa vuoi che ci facciano se non svuotarci il cervello, cretino?!»

“Mi auguro che quegli stolti di Autorobot arrivino presto, perché le chiacchiere di questi umani mi hanno già stufato”.

I tre terrestri non potevano saperlo, ma non erano soli in quel vecchio magazzino stipato di ciarpame di ogni genere.
Sotto il mucchio più grande infatti era nascosto Megatron, in attesa di catturare chiunque gli Autorobot avessero mandato lì dentro a salvare i tre umani pensando che i Decepticon presenti non si sarebbero accorti, troppo distratti dalla battaglia che sicuramente ci sarebbe stata.
Il lato positivo era quello di essere piuttosto sicuro di portare a compimento il piano, il lato negativo invece…

«Ma non possono! Il mio cervello mi serve!» protestò Fred.

«E il mio allora? Sono più intelligente di te!» ribatté Billy.

«Dubito che questi gabinetti metallici dalle funzioni intellettive alimentate a sterco abbiano bisogno dei nostri cervelli, se hanno la tecnologia per fare qui e là da un capo all’altro della galassia o del cosmo, quindi datevi una calmata».

Appunto.
Non sapeva dire se fosse peggio l’imbecillità completa dei due umani cretini o l’arroganza immotivata di quel sacco di carne di sesso femminile che in quel breve lasso di tempo aveva paragonato tutti i cybertroniani a bidoni, sputacchiere e gabinetti; seccante, da un essere che per lui era alla stregua di un animale.

«Da quel che ho capito ci hanno presi in modo da chiedere questi “Minicon” ai cosiddetti “Autorobot”, non vogliono svuotarci il cervello» continuò Rain «Immagino che noi tre siamo gente sfortunata finita in quest’assurdità perché quei barattoli di latta semoventi buoni solo per essere utilizzati dai vagabondi come orinatoi non sono rimasti a fare gli alieni a casa loro!»

«A casa loro in realtà saremmo noi gli alie-ehm, come non detto» si arrese Billy.

«Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui e allontanarci abbastanza da poter chiamare aiuto. Se troviamo una porta qualunque o delle travi marce, e non penso sia difficile dato che questo posto sta su per magia, possiamo farcela» disse la donna «Facciamoci strada in questi mucchi di roba e diamo un’occhiata in gir… che c’è?» chiese a Billy, notando che la stava guardando in modo strano.

«Niente, niente!» si schermì questi «È tutto ok, adesso mi guardo in giro come hai det-»

«Oh…ti  si è rovinato il vestito» notò Fred, realmente contrito «C’è una macchia grossa come la mia testa. Mi sa che l’ha fatta il robot quando ci ha presi».

«Non dovevi dirglielo, deficiente!» lo aggredì Billy «Ti rendi conto di quello che hai fatto?!»

Sebbene Rain non avesse dei veri e propri disturbi a livello clinico era una persona estremamente ordinata e precisa, e se c’era qualcosa che odiava ancor più di quanto odiasse Icy Blue Spruce -e fino a quel momento forse anche più degli alieni invasori- erano le macchie sui vestiti. Aveva una tolleranza raso terra per quelle sugli abiti altrui e, per quanto riguardava quelle sui suoi, non dovevano esistere in genere: se per disgrazia ne trovava una era capace di infuriarsi di brutto. Si narrava che al liceo avesse tirato un diretto in faccia a una tizia che aveva macchiato di proposito la sua maglietta.
Era chiaro, dunque, che con tali premesse e il contesto attuale il rischio di vederla trasformarsi in Super Saiyan diventasse praticamente una certezza.

«C’è una macchia di olio» disse lentamente Rain, guardando la gonna «Una macchia di olio per motori o chissà quale altra schifezza aliena sul mio vestito. Che è di seta. Olio. Sulla seta».

“Rimane abbastanza tranquilla per un rapimento e fa tante scene per una macchia, è ridicolo” pensò Megatron “A quanto pare le femmine sono assurde indipendentemente dalla specie cui appart-”

«LOSCADH IS DÓ ORT!»

Le femmine erano assurde, ma a essere ancor più assurdo era il fatto di essere appena stato colpito con forza da un oggetto volante non meglio identificato, lanciatogli addosso dall’umana dopo aver sbraitato quella frase incomprensibile.

«GO MBRISE AN DIABHAL DO CHNÁMHA!»

Cosa che poi fece di nuovo.
Che quella svitata si fosse accorta della sua presenza lì sotto? In tal caso doveva avere un desiderio di morte molto potente.

«Ma che sta facendo?!» allibì Fred.

Billy, dopo un istante di immobilità, fece spallucce. «Immagino che si stia sfogando, mi sa che ne avrà per un po’. Quelli che ha detto comunque sono auguri di essere bruciato e ferito e di ritrovarsi con ossa fratturate dal diavolo».

“Averne per un po’?! Non se ne parla proprio” pensò Megatron, inviando un segnale al proprio Minicon “Leader One, intervieni!”

Si sentì un forte rumore e, subito dopo, un grosso bullone cadde dal soffitto. Rain per fortuna fu lesta a evitarlo, altrimenti l’avrebbe presa in pieno.

«Rain!» esclamò Billy, correndo verso di lei «Stai ben-»

«Questi cosi devono morire tutti» sentenziò Rain, guardando il soffitto.

Sulle travi c’era un alieno robot versione mignon, probabilmente nascosto lì fin dall’inizio.
Notando ciò entrambi i ragazzini si avvicinarono di più a Rain, in un naturale istinto che li portava a cercare protezione da un adulto, mentre l’alieno raggiungeva il terreno con assoluta noncuranza.

Non trovando al momento particolari punti deboli nella struttura del nemico, Rain fu costretta a indietreggiare. «Billy, stai dietro di me».

«Questo manda a monte i piani di fuga» bisbigliò il ragazzino «Se ci vogliamo provare dovremo distrarlo e cercare di atterrarlo in qualche modo».

“Altre opzioni non ne vedo in effetti, ma devo pensare a come fare. Più che altro però… perché questo coso è spuntato fuori solo adesso e non prima?” si chiese la donna “Avrò fatto un po’ di rumore ma dà meno problemi quello che lo studio di un piano di fuga”.

Tutti e tre sentirono dei rumori provenire dall’esterno. Sembrava che fosse arrivato qualcuno, forse quegli “Autorobot” di cui avevano parlato prima. Forse era un bene, perché magari li avrebbero salvati, o forse no perché a giudicare dai passi metallici sempre di altri alieni si trattava, ma sarebbero serviti quantomeno da distrazione per i rapitori all’esterno della loro prigione. Dover pensare a un solo robot mignon era meglio di dover pensare a quattro robot di cui tre giganti.

Fu a quel punto che i due O’Connell udirono il rumore di patatine masticate.
Ossia l’ultima cosa che si aspettassero in quel momento.

«Mi sono rimaste un po’di patatine» disse Fred, tutto contento, per poi rivolgersi al robot «Aaah… vuoi assaggiarne una?»

«Ma che-» avviò a dire Billy, interrotto dalla cugina.

«Non una parola».

Il robot sembrava curiosamente interessato e distratto dalle patatine di Fred, il quale pareva averle tirate fuori apposta nel tentativo di seguire il piano di Billy. Forse se l’alieno si fosse rilassato maggiormente avrebbero potuto sfruttare quel momento per fare qualcosa.
Allo stesso tempo però Rain riteneva fortemente improbabile che potesse cascare davvero in un tranello del genere.

“Dovrebbe avere l’intelligenza di un frullatore rotto, suvvia”.

Il robot, dopo una brevissima esitazione, tese una mano per farsi dare le patatine e iniziò ad avanzare.

“Va bene. Non so se per gli altri come lui valga lo stesso discorso ma questo qui ha effettivamente l’intelligenza di un frullatore rotto” concluse Rain “Ora se solo trovassi una giuntura a cui poter-”

«AAAH! Giù le mani dalle mie patatine!» gridò Fred, avventandosi decisamente troppo presto su Leader One e facendolo cadere a terra.

«Saltiamogli addosso!» esclamò Billy, salvo venire prontamente bloccato.

«Tu trova una corda in questo ciarpame, se mai!»

Billy stava per eseguire l’ordine ma dal petto del Minicon partì un raggio laser abbastanza potente da bucare il tetto, ed era già tanto che non avesse sfondato direttamente la testa di Fred, il quale lasciò immediatamente la presa e indietreggiò come ad aver visto il diavolo.

Fuori dall’edificio i rumori aumentarono, sembrava essersi scatenata una battaglia ma, ancora una volta, a nessuno dei tre importava: al momento avevano occhi solo per il robot che si stava rialzando e che, anche senza veri e propri tratti facciali, dava l’idea di essersi piuttosto arrabbiato.

«M-ma guarda che io stavo solo scherzando eh!» balbettò Fred.

«Gli sei saltato addosso troppo presto, adesso quello ci ammazza!» strillò Billy.

Parole che divennero ancor più veritiere quando videro una piccola placca del petto del robot scorrere di lato per iniziare a caricare un colpo laser che di certo sarebbe stato più potente del precedente.

“Devo fermarlo perché purtroppo questi tre mi servono vivi” pensò Megatron “In caso contrario però giuro che-”

Non concluse mai quel pensiero, perché esso venne spezzato dal rumore di uno sparo d’arma da fuoco, seguito dal clangore metallico di un’esplosione e, infine, istanti di totale e pesantissimo silenzio.
Un silenzio che in parte si impadronì anche del suo cervello.
Era successo qualcosa che non sarebbe dovuto mai succedere.

«M-ma che- ma da dove salta fuori la pistola?!»

«RAIN! LO HAI UCCISO!»

Non era previsto.
Leader One non era morto, però era gravemente danneggiato. Sentiva ancora il suo segnale, seppur debolissimo, e lo stava anche sentendo chiedere flebilmente aiuto nella propria lingua.

“Leader One?...”

Non doveva andare così.
Gli umani erano solo esseri dall’intelligenza inferiore, troppo delicati per costituire una minaccia definibile anche solo lieve. Lo aveva capito guardando i tre che stavano insieme agli Autorobot, aveva visto benissimo che rispetto a loro erano creature piccole e indifese, senza eccezione e in ogni caso.
Forse aveva commesso un errore di valutazione.

Con in mano la Glock 19 ancora fumante, rimasta fino a quel momento nella fondina nascosta sotto la morbida gonna del vestito, Rain si avvicinò all’alieno cui aveva appena sparato dritto nel petto quando aveva visto la placca scorrere abbastanza da lasciare quel punto scoperto.

«Per ucciderlo avrebbe dovuto essere vivo, Billy. Sparare a questi aborti metallici è come sparare a un frullatore, con la differenza che i frullatori non rapiscono le persone» disse la donna, con totale freddezza «Ed emette ancora quei suoi versi inconsulti, dunque oserei dire che sia “vivo”. Rimedio subito…»




* “possano ritrovarti in una tomba, che ti si rivolti la casa dal tetto alle fondamenta e che i parenti ti portino via senza bara”.

 

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Capitolo 6
*** Pioggia nel villaggio fantasma (parte 2) ***


6

Pioggia nel villaggio fantasma (parte 2)









 

“Non posso lasciarle ammazzare il mio Minicon. Questo rovina i piani… maledizione!” pensò Megatron, rassegnato a dover saltare fuori dal suo nascondiglio.

L’unica parte buona di ciò sarebbe stata potersi vendicare di ciò che quella insulsa femmina umana aveva osato fare a un essere che secondo lui le era nettamente superiore sotto tutti gli aspetti, già solo per il fatto di essere il suo partner. Oltre a questo, voleva farle pagare anche quel commento in aggiunta. Il più infimo cybertroniano era molto più evoluto di qualunque umano, più intelligente, più resistente e con un’aspettativa di vita -vita, perché loro erano vivi- che i terrestri si sognavano.

In circostanze diverse sarebbero state solo chiacchiere indegne della sua considerazione, che avrebbe reputato solo frutto dell’ignoranza e dell’arroganza di una creatura inferiore cui era stato dato il dono della parola; tuttavia danneggiando Leader One quella femmina aveva attirato la sua attenzione, e lui gliel’avrebbe fatto rimpiangere.

«M-ma sei sicura di volerlo uccidere?...» balbettò Fred «Cioè…»

Sebbene entrambi i ragazzini non fossero troppo sicuri che fosse necessario finirlo, Rain non aveva dubbi in proposito né intendeva ascoltare quelli di altri. Quegli alieni erano qualcosa che recava danno, bisognava agire di conseguenza.
Erano passati diciassette anni da che suo nonno le aveva fatto a questo riguardo un discorso che non aveva mai dimenticato. Riusciva a rievocarlo in modo talmente chiaro che le sembrava quasi sentire la voce di Dermot Lancaster nell’orecchio, di averlo davanti agli occhi.



Era primavera, e Rain aveva indosso l’abitino color carta da zucchero che ai tempi era il suo preferito.
In ginocchio sulla coperta da picnic sulla quale a breve avrebbe consumato la merenda assieme a suo nonno, stava dando a quest’ultimo la massima attenzione.

«Lascia che ti spieghi questa cosa così come mio padre la spiegò a me».

Nonno era in piedi, e aveva in mano tre mele rosse prese dal cesto che si erano portati dietro. Era curiosa di vedere cosa ne avrebbe fatto.

«Quel che è buono e utile per noi, lo conserviamo» le disse, porgendole una delle tre mele «Indipendentemente da quel che pensano gli altri».

Rain prese il frutto. «Ha senso».

«Certo che lo ha. Quel che ci ostacola, invece, lo allontaniamo» continuò nonno Dermot, lanciando dietro di sé una delle due mele rimaste «Così che fili tutto liscio».

Lei annuì. Anche quello aveva senso.

«E quello che ci reca danno…»

Rain vide l’ultima mela venire lanciata in alto, rossa contro l’azzurro del cielo.
Sebbene fosse fisicamente impossibile, ebbe l’impressione di vedere il proiettile far esplodere il frutto prima di udire il suono del colpo sparato da suo nonno, molto ovattato dal silenziatore.

«Quello che ci reca danno, lo estirpiamo» concluse lui «Anche questo ha senso, per te?»

Rain, per nulla turbata -lei stessa aveva già iniziato ad avere a che fare con le armi da fuoco, per discutibile che potesse essere- lo guardò dritto negli occhi.

«Sì».



“I genitori di oggi invece non sono in grado di educare nemmeno un criceto” pensò la donna “Provare pietà per questo coso sarebbe come avere voglia di fare un funerale a un ventilatore quando si rompe. Insensato”.

Nel petto gravemente danneggiato dell’alieno riusciva a vedere parte di una componente bianca, luminosa: non sapeva di preciso cosa fosse ma lo riteneva comunque un bersaglio perfetto.
Stava per premere il grilletto, determinata a spegnere quella luce nel petto, quando…

«Non ucciderlo!»

«Non c’è bisogno!»

«Siamo venuti a salvarvi!»

Tre voci familiari spinsero lei, Fred e Billy a guardare in alto, notando sulla travi la presenza di persone conosciute.

Rad, Carlos e Alexis erano lì, in piedi, accompagnati dai loro tre Minicon e da una tensione che era visibile sui loro volti.
Avevano cercato i tre ostaggi con Laserbeak, e questi era riuscito a trovarli in tempo da far sì che, grazie al palmare di Alexis cui era connesso, potessero assistesse alla scena che c’era stata poco prima.
Una scena decisamente poco gradita.
A nessuno dei tre, se non nei film, era mai capitato di vedere un essere umano sparare a sangue freddo a qualcun altro, e secondo loro i Minicon non erano altro che povere creature innocenti - nel caso dei Minicon dei Decepticon, vittime di indottrinamento e spaventate - che non meritavano del male.
Potevano arrivare a riconoscere che Rain l’avesse fatto per difendersi, però perché cercare di ucciderlo una volta neutralizzata la minaccia?! Non riuscivano a capirlo, non riuscivano proprio a vedere le cose dal suo punto di vista e, in tutta onestà, erano talmente convinti del proprio che non volevano nemmeno provarci.

«Ragazzi!» esclamò Billy, sollevato dalla loro presenza e nel vederli scendere giù, anche se erano assieme ai loro robot.

«Siamo contenti di vedervi, non avete idea di che momenti abbiamo passato» si lamentò Fred «Ma quei costumi?...»

«Ve lo spieghiamo dopo» disse Carlos «Ehm… cugina di Billy, potresti abbassare la pistola? I nostri Minicon non vogliono ammazzare nessuno».

“Io invece lo farei volentieri” pensò Rain, con un’occhiata ai tre robot. Vedendo che due su tre avevano gli occhi su uno schermo, perfetto da colpire in caso di necessità, ritenne di poter abbassare leggermente la Glock. L’obiettivo principale era uscire dalla catapecchia, al resto avrebbe pensato in seguito. «Andiamo via da qui».

“D’accordo” pensò Megatron “Posso uscire allo scoperto e mettere in pratica il piano nonostante quel che è successo a Leader One”.

«Trasformazione!»

Dopo un rumore sordo appena precedente il suo ritorno alla forma base, le cianfrusaglie sotto cui era stato nascosto fino a quel momento schizzarono in aria con un gran baccano, occupando la sua visuale per qualche momento.
Poi rise, dando una breve -...troppo breve- occhiata alle facce esterrefatte e spaventate di quelli che a breve sarebbero diventati i suoi ostaggi, e mentre questi strillavano creò attorno a loro una barriera violacea.

“Alla fine è andata bene lo stesso” pensò, soddisfatto nonostante gli intoppi.

Ne creò una anche attorno al ferito Leader One, così da poterlo sollevare in aria ed evitare di schiacciarlo senza volere. Auspicava di poter concludere presto quella faccenda, in modo da poterlo far riparare presto e per bene.

«Meglio di quanto mi aspettassi. Non solo ho conquistato i Minicon, ma ho anche gli ostaggi! Che mossa geniale!»

Mancava solo che si desse una passa sulla spalla da solo per quant’era soddisfatto all’idea, peccato che quando gli ostaggi vennero sollevati in aria e finirono in mano sua si accorse di una cosa fondamentale: ne mancavano due all’appello.

«Cosa?! Dove sono andati a finire quei-»

Un colpo d’arma da fuoco identico a quello che aveva sentito in precedenza lo fece voltare di scatto, in tempo per vedere i due fuggiaschi accanto a una porta chiusa e arrugginita che fino a poco tempo prima era stata coperta da lui e dai vecchi oggetti.

«Non si è aperta, Rain!» strillò Billy, rimasto leggermente indietro rispetto a lei «Ci ha visti!»

“Quando diavolo sono riusciti ad arrivare là?! Possibile che l’abbiano fatto in quell’attimo in cui non ho visto nulla?!” pensò il leader dei Decepticon, chinandosi verso di loro per afferrarli.

Dopo un altro sparo alla serratura, capendo di non avere tempo per fare altro se voleva evitare a Billy di essere preso, Rain afferrò il cugino e sfondò la porta lanciandolo contro di essa con tutta la forza che aveva, facendolo finire fuori dall’edificio assieme alla propria borsa.

«CORRI!» riuscì a gridare, appena prima di essere stretta da una presa dalla quale, ne era consapevole, non sarebbe mai riuscita a sfuggire.

La sua unica consolazione in quel momento fu vedere Billy obbedire e basta, per una volta, e correre via con la sua borsa.
Se le cose fossero andate particolarmente male e lei non fosse sopravvissuta a quella giornata assurda, sapeva che se non altro sarebbe stata vendicata.
Suo zio, che Billy avrebbe potuto contattare col cellulare una volta che i robot se ne fossero andati, era di larghe vedute, c’erano in giro delle orme giganti e dei segni di laser che nessuno si curava di nascondere, e soprattutto Billy sapeva dove si trovava il nascondiglio dei bidoni metallici “amici” dei suoi compagni di classe: non dubitava che potessero essere fatti parlare e potessero fornire l’ubicazione del nascondiglio di quelli che sembravano essere i loro avversari, così come non dubitava che il povero Billy, essendo suo parente, non sarebbe stato lasciato senza assistenza. A dirla tutta era probabile che avrebbe vissuto ancor più riccamente.

«Non credere che il ragazzino andrà lontano» disse Megatron, stringendola nella sua mano destra «Dopo mi occuperò anche di lui. Hai avuto l’ardire di colpire chi non avresti dovuto».

Il cuore che batteva molto veloce e molto forte, chissà se più per rabbia o per paura, era l’unico segno a dimostrazione del fatto che Rain non fosse solo particolarmente seccata, che invece era tutto ciò che suggeriva l’espressione del suo viso.

«E voi alieni avete avuto la brillante idea di rapire persone che non c’entravano nulla con le vostre beghe, la conseguenza di questo è colpa vostra» disse la donna «Ve la state anche cavando con poco, per ora».

Pareva che la sfrontatezza e la follia di quell’essere insulso fossero tali da arrivare a minacciarlo pur essendo stretta nella sua mano, ma le sarebbe passata presto. «Anche tu. Per ora».

Intanto Billy, che aveva obbedito ed era corso via fino ad arrivare quasi al capo opposto del paesello fantasma -allontanandosi così dal casino- si stava pentendo di tutti i propri peccati mentre macerava nel senso di colpa.
Nascosto a riprendere fiato dietro uno degli edifici fatiscenti, pensò di star per avere un infarto nel momento in cui vide il capannone venire divelto dal robot gigante da cui Rain l’aveva fatto fuggire; ma si sentì male soprattutto nel vedere, anche da quella distanza, sua cugina stretta saldamente nella mano destra di quel tizio.
Rain avrebbe potuto riuscire a sfondare la porta e scappare se non avesse pensato a far fuggire lui che invece era rimasto un po’ indietro, quel “po’indietro” di troppo di chi non aveva tutta la prontezza di cui invece lei era provvista.

“Se quel giorno non avessi seguito Rad e Carlos nella montagna, se poi fossi stato loro lontano, se non avessi rotto loro le scatole al luna park della scienza… soprattutto quest’ultima cosa… se non l’avessi fatta non ci sarebbe stata l’idea di trasferirsi in Irlanda, quindi non avrei voluto passare con Fred quella che doveva essere l’ultima mattinata insieme, Rain non sarebbe venuta a prendermi e nessuno di noi sarebbe stato catturato perché nessuno di noi sarebbe stato lì. Se Rain verrà schiacciata da quel robot gigante la colpa sarà mia e basta”.

E il robot gigante in questione stava guardando Optimus Prime, Hot Shot e Red Alert con l’espressione di chi pensava di avere la vittoria in tasca.

«Niente male, vero?»

«Megatron! Libera quei ragazzi, loro non c’entrano niente!» esclamò Optimus, arrabbiato e anche in ansia per le sorti degli umani.

Optimus riteneva Megatron malvagio e capace di qualsiasi cosa per ottenere ciò che voleva, però abbassarsi a rapire dei civili umani era troppo perfino per lui. Quanto si doveva essere vigliacchi per farsi scudo con loro? Era ancor più carogna di quanto avesse mai pensato.

«Io pensavo di tenerli come animali domestici» sogghignò il leader dei Decepticon.

“Animali domestici sarete tu e tutti i tuoi antenati, brutta scrofa cornuta frutto del parto anale di un camion che trasportava i liquami di fogna che ti sono finiti nel cervello” pensò Rain.

«Tu sei pazzo!» sbottò Red Alert, che non saltò addosso a Megatron solo perché Optimus lo stava trattenendo per un braccio.

«Buono, Red Alert!»

Continuando a osservare la scena da lontano, e sentendo il robot cattivo ridere di gusto, Billy pensò solo a quanto avrebbe voluto poter fare qualcosa di concreto, cosa che invece non poteva, già solo perché il telefono di Rain non funzionava e non avrebbe ripreso a farlo in tempo in ogni caso. Se almeno avesse avuto un’arma… ah, no, non avrebbe potuto fare nulla lo stesso neppure se avesse avuto il bazooka di Rain: non avrebbe saputo usarlo.
Si ripromise che se fossero usciti vivi da tutto questo avrebbe insistito almeno per farsi insegnare a usare le armi da fuoco, come la sua famiglia in Europa aveva insegnato a lei. In fin dei conti coi fucili ad aria compressa del luna park non era un disastro completo.

Optimus Prime strinse i pugni. «D’accordo» cedette «Se lasci andare tutti gli ostaggi ti consegneremo tutti i Minicon».

“Prevedibile. Di certo pensa anche che li lascerò andare davvero... a volte non capisco se ci sia o ci faccia ma, sia come sia, è tutto di guadagnato per il sottoscritto” pensò Megatron. «Ora sì che ragioniamo. Sono perfettamente d’accordo!»

«Non dargli ascolto, Optimus!» gridò Alexis.

«Se glieli dai diventeranno imbattibili!» esclamò Rad.

«Mi dispiace» disse il comandante degli Autorobot «Ma non permetterò che vi faccia del male».

“Non ci lascerà andare in ogni caso, gobshite” pensò Rain, che impugnava ancora la pistola, cercando di liberare dalla presa di Megatron almeno le braccia.

I ragazzini continuarono a strillare le loro proteste, a urlare a Optimus di non accettare perché farlo sarebbe stato un suicidio e, vedendo Megatron aumentare l’intensità di quel campo di forza viola in cui li aveva rinchiusi fino a renderla dolorosa, Rain pensò che fosse una fortuna che né lei né Billy fossero lì dentro.
Riuscì a liberare il braccio sinistro.

«Hot Shot, Red Alert, consegnate i vostri Minicon a Megatron. È un ordine!»

Sapeva che dare i Minicon ai Decepticon avrebbe complicato le cose ma riteneva di non poter fare altrimenti. Voleva tirare fuori da quella faccenda tutti gli umani coinvolti e, a tal proposito, riteneva piuttosto allarmante che i Decepticon avessero deciso di mettere in mezzo persone a caso. Fino a quel momento aveva avuto l’impressione che cercassero semplicemente di recuperare i Minicon senza cercare ostilità con gli indigeni. C’era da sperare che dopo quella giornata tornassero a seguire quella linea.

«Sissignore» si limitò a obbedire Red Alert, per quanto fosse poco felice.

«Che fregatura!» sbottò Hot Shot, obbedendo a sua volta.

Una volta che i Minicon vennero consegnati, Optimus tornò a rivolgersi a Megatron. «Noi siamo stati ai patti, ora libera quei ragazzi!»

«Oh no» sorrise sottilmente l’altro «Non ci penso nemmeno».

«Cosa?!»

«Li baratterò in futuro, qualora fosse necessario».

“Appunto” pensò Rain.

Riuscì a liberare il braccio destro e puntò la Glock verso l’occhio di quella che per lei era una “brutta lattina cornuta”. Dopo l’interno della bocca, gli occhi costituivano certamente una delle parti più delicate della sua faccia.
Sapeva che purtroppo non gli avrebbe fatto troppo male, al massimo gli avrebbe dato noia, ma si augurò che le altre lattine fossero in grado di riconoscere un diversivo quando ne vedevano uno.

«ANIMALE È QUELLA VACCA DI TUA SORELLA!» urlò, sparando due colpi di fila dritti sul sensore ottico destro del transformer.

«Che diav-» cercò di dire Megatron sollevando la mano sinistra con l’intento di proteggersi, in un riflesso del tutto automatico.

Salvo rendersi conto un istante dopo che così facendo aveva lanciato via tutti gli ostaggi che c’erano sopra -ed ecco che la figuraccia da imbelle di turno era stata fatta.

«NO!...»

«Presi!» esclamò Optimus, recuperandoli al volo dopo uno scatto degno di un atleta «State bene?!»

«Sì, ma-» avviò a dire Alexis, salvo interrompersi per colpa del rumore di altri quattro spari.

«Ti sparassero in culo un missile nucleare diretto in un buco nero, grandissimo cornuto schifato anche dalla propria madre! AG FUCK -THÙ!» strillò Rain, sparando a raffica «SHTATE!»

Fu costretta a zittirsi quando Megatron aumentò la stretta, decisissimo a stritolarla una volta per tutte. Avrebbe voluto fargliela pagare in modo più lento e doloroso ma in quel momento non aveva proprio voglia di tollerare oltre la sua esistenza tra i vivi.
Tanto più visto che, in effetti, non sapeva che fine avesse fatto la propria madre.

«SEI MORTA, MALEDETTA PAZZA!» sbraitò.

E l’avrebbe uccisa davvero, se Hot Shot non avesse sfruttato la confusione generale per attaccarlo e colpire con un calcio il braccio destro.
L’impatto gli fece perdere la presa su Rain, che venne scagliata in aria e recuperata al volo dal giovane Autorobot, che poi tirò a Megatron un diretto in piena faccia.
Il colpo -con una certa soddisfazione da parte sia di Hot Shot che di Rain- fu tale non solo da farlo cadere, ma anche da farlo volare lontano di qualche metro.

«Gli umani sono tutti salvi!» esclamò l’Autorobot, correndo lontano da Megatron «Tu? Tutto a posto?»

«Sì» rispose Rain, decisamente indolenzita.

Probabilmente il giorno dopo avrebbe avuto dei lividi sulla maggior parte del corpo ma sapeva bene che, se davvero era salva, se l’era cavata con poco ed era già tanto che non avesse nulla di rotto. Perdere il controllo della lingua in quella posizione svantaggiata non era stata una grande idea.

Demolisher e Starscream corsero subito al capezzale del loro capo.

«Megatron, mio signore, sei ferito?!» si preoccupò Demolisher.

«Neanche un graffio!» ribatté Megatron, rialzandosi.

Non gli servì molto tempo per capire che erano in svantaggio. Gli Autorobot si erano ripresi i Minicon e si erano immediatamente combinati con loro, e in tutto questo Leader One era ferito, Demolisher non aveva un Minicon, Starscream non si era portato dietro il proprio e Cyclonus, che era a terra da prima che lui uscisse dal proprio nascondiglio, si stava riprendendo solo ora che non serviva più. Non aveva ottenuto nulla di quel che voleva, non era neppure riuscito a uccidere l’umana pazza.
Una disfatta completa.

«Cyclonus! Non avrei mai dovuto fidarmi del tuo piano scellerato!»

«Perdonami, Megatron…»

«Affronteremo il discorso alla base» concluse questi, teletrasportandosi via insieme a tutti i propri uomini.

Per Cyclonus e i Decepticon si prospettava un brutto quarto d’ora, come sempre dopo una sconfitta, ma per umani e Autorobot quel brutto momento era finito.

«State tutti bene? Tu, Fred?» chiese Rad al ragazzino.

«Sì. Grazie per essere venuti a salvarci, non avrei mai pensato… insomma, io e Billy non vi abbiamo sempre trattati bene» disse Fred, con un po’di imbarazzo.

«Non preoccuparti, amigo, è tutto a posto» lo tranquillizzò Carlos «Non saresti dovuto finire in mezzo a tutto questo. Né tu, né Billy, né-»

«Dov’è andata a finire Rain O’Connell?! Non c’è!» si stupì Alexis, guardandosi attorno.

«Io l’avevo salvata e messa a terra! Era qui, giuro!» esclamò Hot Shot.

«Con la stretta che ha preso da Megatron non può essere troppo lontana» disse Red Alert «Già è tanto che cammini».

«E anche Billy» aggiunse Fred «Anche lui dovrebbe essere nei paraggi, Rain è riuscita a farlo uscire prima che Megatron la catturasse».

«Cerchiamoli. Non possono essere lasciati in giro da soli, non dopo oggi» disse Optimus «Credo che per loro non sia molto sicuro anche solo tornare a casa propria. Sarebbe meglio se stessero nella base per un po’».

«Perché?» domandò ingenuamente Carlos «Noi stiamo sempre in giro con voi e i Decepticon sembrano anche sapere più o meno dove abitiamo, però siamo sempre tornati a casa».

«Noi non abbiamo mai tentato, quasi con successo, di uccidere il Minicon di Megatron per poi insultarlo e sparargli in faccia» ribatté Rad.

«Ecco chi c’era nell’altro campo di forza» mormorò Optimus «Il Minicon ferito. Questo è un altro motivo per cui lei e chiunque viva con lei non possono essere lasciati scoperti».

«No, Optimus, non vale neanche la pena provarci» disse Alexis «Billy magari non è male ma per lei tutti i transformers sono solo invasori, senza distinzione! Non vi conosce, non vi considera nemmeno degli esseri viventi e sono convinta che se potesse farebbe tutto il male possibile anche a voi che l’avete salvata».

«Hai detto bene, Alexis: non ci conosce» affermò Optimus « Quando ci avrà conosciuti meglio e si convincerà del fatto che noi transformers non siamo tutti malvagi, le cose cambieranno. Una possibilità non si nega a nessuno, per cui cerchiamoli».

Si divisero, intenzionati a trovarli prima possibile e convinti che però non sarebbe stato troppo difficile, perché quel che restava del villaggio fantasma era un’area ristretta da esplorare.

«Non andremo a stare in una base aliena. Non esiste» sibilò Rain, nascosta assieme a Billy in una vecchia cantina interrata che fino a prima della battaglia aveva avuto accanto una casa.

«Quello cattivo ti ha quasi ammazzata!» bisbigliò Billy «Potrebbe riprovarci, Rain!»

«Eventualmente farò in modo di avere in mano il bazooka» replicò lei «Tu, in vacanza in Sicilia per qualche tempo, non dovrai preoccuparti di questi alieni. Se poi il bazooka non dovesse bastare, sono sicura che mio zio provvederà a te. Tu sei un mio parente e lui in certe cose è magnanimo, ancor di più da quando con sua figlia non è in buoni rapporti. Ha una villa immensa e non gli importa dei sottobicchieri».

«Chi se ne frega della villa e dei sottobicchieri! Non ti lascio da sola!»

«Fosse per me andremmo entrambi in Irlanda ma, come hanno trovato i la cittadina dove abitano i tuoi compagni di classe, potrebbero trovare me in qualunque posto» disse Rain «Non sappiamo quali tecnologie abbiano a disposizione questi cosi. Io sono la tua tutrice legale, devo tenerti al sicuro».

«Non pensi a come starei pensando ogni ora di ogni giorno che potresti essere stata presa o direttamente uccisa da quei tizi di prima?! Rain, tu mi hai preso con te perché sapevi che per me non c’era nessuno, e io non voglio allontanarmi dalla sola persona a cui importa di me al punto di farsi catturare al posto mio» disse Billy, un po’troppo ad alta voce «Lo so che anche questi sono alieni ma non vogliono farci del male. Avevano accettato di dare via quei robottini per salvarci e ci lascerebbero stare nella loro base anche se sanno che li detesti a prescindere, li hai sentit-»

L’ingresso della cantina venne aperto con violenza.

«TROVATI!» gridò Carlos «Dai, uscite, non c’è niente da temere! Gli Autorobot sono a posto!»

“Tanto ormai…” pensò Rain, uscendo dalla cantina insieme a Billy.

I tre robot cosiddetti “buoni” li raggiunsero rapidamente e Rain, tra le altre cose, in quel momento notò che i colori di quello chiamato “Optimus” le risultavano familiari. Non avrebbe saputo dire con certezza in quale occasione li aveva visti, però era sicura che fosse successo.

«State bene?» chiese loro Optimus.

Billy, un po’intimidito nonostante sapesse che non era un cattivo, annuì.

«Sapete, sentire un “Grazie” in tutto questo sarebbe una cosa carina» disse Alexis.

«Giusto» annuì Rain, e guardò Optimus «Grazie per aver permesso che le vostre beghe aliene arrivassero qui a far danno a cose e persone, cosa che se non fosse successa ci avrebbe evitato di essere rapiti e il conseguente salvataggio. Qui sulla Terra avevamo tanto bisogno di altro disordine, i nostri problemi erano troppo pochi».

Non era la risposta che si aspettavano, nonostante Alexis li avesse preparati, e per qualche istante nessuno aprì bocca.

«Questo è uno dei motivi per cui potresti essere nei guai. Come Rad ha giustamente osservato, hai insultato Megatron, hai quasi ucciso il suo Minicon e gli hai sparato in faccia. Posso assicurarti che purtroppo porta rancore per molto meno, ragion per cui ritengo opportuno che vi trasferiate nella mia base per un po’» disse Optimus «I Decepticon hanno armi tali da poter schiacciare e conquistare qualunque cosa nell’Universo, se non ci sono ancora riusciti è solo grazie alla mia squadra. Non è qualcosa che tu possa gestire, soprattutto se tieni alla salute di chi vive con te. Ho capito che l’idea di un trasferimento non ti fa piacere e ho capito che non hai una grande opinione di noi ma spero che tu possa cambiare idea, quando ci avrai conosciuti meglio. A tal proposito, io sono Optimus Prime. Sono il comandante degli Autorobot» si presentò «Lui è Hot Shot» lo indicò «E lui è Red Alert».

«Io sono Billy! Ehm… è un piacere conoscervi. Nonostante tutto. Grazie per l’ospitalità!... perché accettiamo, vero?» aggiunse in un bisbiglio, rivolto a Rain.

La donna sospirò e annuì, rassegnata al fatto che per il momento forse era meglio accettare. «Io sono Rain. Avrei fatto volentieri a meno di fare la conoscenza di voi alieni ma, a quanto pare, era destino che andasse così».

«Puoi smettere di essere antipatica almeno per tre secondi?!» sbuffò Alexis.

«Sii meno petulante e dammi dei “lei”. Sei piccola, fastidiosa e ci conosciamo a malapena, non hai il permesso di darmi del “tu”».

«Ma tu sei proprio sicuro che sia una buona idea?» sussurrò Hot Shot a Optimus.

«Il tempo mi darà ragione. Vedrai» disse Prime, cercando di sembrare molto più fiducioso di quanto (non) cominciasse a sentirsi.

«Fastidiosa a chi?!» si arrabbiò Alexis «Ma come ti perm-ehi! Sto parlando con te!»

«Come ci regoliamo per il nostro temporaneo trasloco?» domandò Rain a Optimus, ignorandola.

Non le piaceva quella situazione ma si sforzò di pensare che forse poteva trarne qualcosa di buono. Conoscere meglio alieni invasori e alieni invasori ancora più odiosi le avrebbe permesso di verificare se le parole sulla loro potenza erano vere o meno e le avrebbe dato modo di capire se colpirli col bazooka sarebbe bastato.

«Passeremo a casa vostra così che tu e Billy possiate prendere il necessario».

«E anche il pappagallo, se no da solo in casa muore» aggiunse Billy «Un pappagallo è un animale domestico» disse poi, a beneficio degli alieni presenti.

«Oddio il pappagallo no» si disperò Fred, mettendosi le mani tra i capelli «Quel coso tremendo ce l’ha con me!»

«Nessun animale domestico verrà abbandonato, portate pure anche lui» concesse Optimus «E ora direi che sia il momento di rientrare alla base. Trasformazione!» esclamò, mostrando la sua forma veicolare.

Billy guardò Rain.

“Non mandarlo a quel paese di nuovo, non mandarlo a quel paese di nuovo anche se è il camion lento, ti prego” pensò.

«Sì… noi due ci siamo già incontrati» disse Optimus a Rain, accorgendosi di come lo stava guardando «Non so se ricordi».

«Il camion lento che intralciava il traffico. Indimenticabile».

Si preannunciava una convivenza un po’complicata.
Appena un pochino.





Glossario:

ag fuck-thù= vaffanculo
shtate= merda

Perché Rain è gentilissima xD

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Capitolo 7
*** Pioggia nella base degli Autorobot (purtroppo) ***


7

Pioggia nella base degli Autorobot (purtroppo)










Caro diario,
dopo aver conosciuto i Decepticon non avrei mai pensato di poter sopportare qualcuno meno di quanto sopporti loro, ma… NON LA SOPPORTO PROPRIO QUELLA SPOCCHIOSA, OK.
Sono passati quindici giorni dalla volta in cui i Decepticon ci avevano presi come ostaggi. Billy e sua cugina vivono qui nella base da allora.
Tra le prime cose che Rain ha fatto c’è stato fare un interrogatorio ai nostri amici Autorobot. Ha voluto sapere tutto di com’è iniziata la guerra e perché, dell’attuale situazione politica su Cybertron (ma che se ne fa?), si è fatta dire cosa ci fanno i Minicon sulla Terra e tutti i loro possibili usi (“usi”, nemmeno fossero chiavi inglesi!) e ha chiesto anche di quale tipo di metallo sono fatti loro e i transformers comuni.
Optimus ha risposto a tutto e l’ha voluta prendere come una cosa positiva, perché a suo dire tutte quelle domande significano che Rain è interessata a conoscerli, e spera che una volta fatto questo smetterà di vederli come invasori. Secondo me invece questo non succederà e se vuole sapere di cosa sono fatti è solo per poterli uccidere più facilmente… anche perché una volta risposto alle sue domande lei ha parlato con loro solo lo stretto necessario, e aveva sempre qualcosa da criticare. Come quando è arrivato il nostro nuovo amico Smokescreen: ha detto una cosa tipo “Un altro venuto a infestare!”.
Comunque…
Optimus ha dato a lei e Billy un posto tutto per loro, un po’come aveva fatto con noi. Solo che noi il posto in questione non lo abbiamo riempito con delle candele in giara (QUANTE NE HA?!), dei vestiti di sartoria, dei fucili, delle pistole e un bazooka.
Quello a dir la verità lo ha tirato fuori dal bagagliaio della Porsche, maledicendo i tacchi per non essere riuscita a raggiungere l’auto in tempo per poterlo tirare fuori e sparare a Cyclonus.
Io sono ancora allibita, ma sono ancora più allibita perché Billy a quanto pare si è messo in testa di voler iniziare anche lui a usare le armi da fuoco e lei gli ha detto che a breve gli avrebbe insegnato volentieri. Cioè: non gli permette di venire in missione con me, Carlos e Rad (e Billy poverino prova sempre a chiederglielo) ma imparare a maneggiare armi invece va bene?! Io non so come ragiona.
E non so nemmeno come ragionino Rad e Carlos e Fred, a dirla tutta, perché li vedo abbastanza disposti a passare sopra a tutte queste cose col dire “Magari Oprimus ha ragione, diamole tempo, ma in fondo tutte quelle giare colorate non sono brutte, ma alla fine saper maneggiare le armi da fuoco può fare comodo e poi è fico, ma forse non sarebbe male se usassimo anche noi i sottobicchieri” HO CAPITO CHE AVETE GLI ORMONI A DUEMILA MA ANCHE BASTA EH. Non li ho mai visti fare così! No, va bene, a dire il vero Carlos si era innamorato a prima vista di un ologramma (genio…) e Fred chissà, ma anche Rad che lascia correre no, dai.
Ma al secondo posto tra le cose peggiori che ha portato l’avere qui Rain, dopo lei stessa, c’è sicuramente quel cacatua-




«EEEEEEJIT MAAAAAGGOTT!»


Alexis, colta di sorpresa, cacciò uno strillo ultrasonico e lasciò cadere a terra il diario. Il proverbio che diceva “gente trista nominata e vista” sembrava valere anche per gli animali, purtroppo.

«Mi hai fatto prendere un colpo, brutto uccellaccio! Lasciami in pace!» gli intimò la ragazzina «Vai via! Mostro!»

Dagon, il cacatua carino e coccoloso quanto la sua padrona, atterrò dritto sulla testa di Alexis e iniziò a schiaffeggiarla con le ali. Se avesse l’intento di fare proprio questo o fosse piuttosto una specie di rito di accoppiamento non era dato sapere, ma per Alexis era un motivo più che sufficiente per mettersi a strillare come un’aquila.

«VAI VIA! TOGLITI! STACCATIIIII!»

Il rumore attirò l’attenzione di Optimus Prime che, sempre pronto all’azione, irruppe nella stanza. «Alexis! Cosa succede?!... ah».

Dagon. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Appena lo vide, il cacatua allargò al massimo le piume che aveva sulla testa, smise di schiaffeggiare Alexis e si mise a soffiare contro di lui con una cattiveria impressionante. Era evidente che lo detestasse. Non che la cosa lo preoccupasse, ovviamente, perché quel pappagallo di “appena” sessanta centimetri non poteva fargli alcun male, ma non gli piaceva l’idea di essere destato dalla propria ricarica con una serie di strilli in cui veniva apostrofato con insulti irripetibili… com’era successo già undici volte.
Aveva chiesto a Rain O’Connell di provvedere a mettere in gabbia l’animale, però non aveva avuto molto successo.


“Non fa così con tutti, immagino che lo avrai infastidito in qualche modo. Ma poi: un cosiddetto combattente per la libertà, oltretutto alieno e presente illegalmente sul suolo terrestre, vorrebbe imporre la prigionia a una creatura vivente indigena di questo pianeta?”
 

Infatti aveva ottenuto soltanto un tale stato di tensione nel suo cervello a transistors da doversi rivolgere a Red Alert per farsi dare quello che in termini umani sarebbe stato definito “un blando calmante”.
E non era stata la prima volta.
Soprattutto come comandante degli Autorobot, Optimus Prime si era trovato più volte a dover gestire situazioni difficili. Le innumerevoli battaglie su Cybertron, quella guerra contro Megatron che dopo una “tregua” di quattro milioni di anni era ricominciata, le ricerche dei Minicon in posti più o meno strani, quel periodo sulla Terra passato in incognito… nulla di così semplice come poteva sembrare, specialmente per lui che doveva gestire tutto, a cui tutti facevano domande e da cui tutti volevano soluzioni. Essere leader comportava onori e oneri, cosa che lui prendeva molto sul serio e che cercava di affrontare ogni giorno con la stessa energia e, soprattutto, senza venir meno alla propria etica. Era ritenuto, e si riteneva, un cybertroniano dall’elevatissima morale.
Eppure tutto questo era diverso, più “facile”, rispetto all’avere a che fare con Rain in quelle occasioni.

«SHTATE!» esclamò Dagon, scendendo finalmente dalla testa di Alexis.

«Se penso che all’inizio mi era anche sembrato carino…» bofonchiò la ragazzina «Invece è proprio come la sua padrona e ci odia altrettanto!»

«Proverò a parlarle di nuovo» disse Optimus, senza particolare entusiasmo «Forse stavolta riuscirò a-»

«NO!» strillò Alexis, vedendo Dagon strappare l’ultima pagina del suo diario e volare fuori dalla stanza «TORNA QUI!»

Optimus la guardò, un po’perplesso. «Prima volevi che se ne andasse, hai cambiato idea?»

«No è solo che su quel foglio c’è scritto… ecco, noi umani a volte scriviamo su dei diari quello che ci succede e cosa ne pensiamo, e su quella pagina c’è scritto… oh insomma!» esclamò, lanciandosi all’inseguimento del volatile «Devo riuscire a riprenderla senza che finisca in mano a Rain! A proposito, sai dov’è al momento?!»

«No ma come ti ho detto volevo parlare con lei, quindi devo andare a cercarla in ogni caso. Tu puoi pensare al pappagallo. Alexis…»

«Sì?»

«In futuro ti consiglio di evitare di mettere per iscritto cose che non vorresti fossero lette».

Dopo aver annuito, lei tornò a inseguire il pappagallo, e lui si fece animo e si mise in cerca di Rain.
La missione di quel giorno era stata molto rischiosa, era stato fortunato a non essere stato inghiottito dalla lava dopo essere caduto in un crepaccio, eppure gli sovvenne che in quel momento, rispetto al parlare con miss O’Connell, avrebbe preferito qualcosa del genere.

Vide Hot Shot svoltare l’angolo del corridoio. «Hot Shot. Tutto bene? Hai l’aria stranita».

«È così. Appena uscito dall’area di tiro al bersaglio mi sono trovato davanti Rain e suo cugino» disse il giovane Autorobot «Avevano dei fucili in mano e hanno chiesto di poter usare la stanza per un allenamento. Non ero molto convinto però lei ha detto che sa quello che fa e… sì beh, dopo la giornata di oggi non avevo voglia di discuterci, signore».

«Capisco. Vai pure, soldato».

Se non altro ora sapeva dove trovarla, però non aveva molta voglia di festeggiare per questo.
Si diresse all’area di tiro al bersaglio, poco lontano da lì, ma invece di entrarvi subito decise di prendere altro tempo e sfruttare la postazione di osservazione per dare un’occhiata a quel che stavano facendo lei e Billy.

«Sistema meglio i piedi, così non sei abbastanza stabile… ecco, bravo. Mi raccomando, ricordati che non è un fucile giocattolo e che devi tenere conto del rinculo… cos’è che ti ho appena detto sul rinculo?! Non puoi tenere il mirino appiccicato all’occhio in quel modo, eejit! Aspetta, ti aiuto a riposizionarti per bene. Ecco, ora ci sei. Spara».

Optimus vide Billy sparare, salvo mancare il bersaglio per non aver tenuto il fucile con tutta la forza necessaria. Un errore abbastanza comune per qualcuno che non era abituato ad avere a che fare con armi e che, secondo la sua modesta opinione, a quell’età non avrebbe nemmeno dovuto toccarle. Lui non avrebbe permesso a Rad, Carlos e Alexis di imparare a sparare se glielo avessero chiesto, quindi disapprovava dal profondo della Scintilla quel che stava facendo Rain.

«Devi tenerlo più saldamente, Billy, altrimenti non puoi combinare niente. E tu avresti voluto cominciare con il bazooka?...» sentì sospirare la donna.

«Quando lo facevi tu sembrava facile. Perché a te viene facile e a me no?»

«Perché sono stata cresciuta con certe tradizioni di famiglia e tu no. È normale che per te sia così».

«Quindi anche zia sa sparare? Mi sono accorto di non avertelo mai domandato».

«È l’unica cosa che quella buonanima di mio nonno è riuscito a insegnare a mia madre Rhiannon, sì» rispose lei, con espressione neutra «Peccato che per il resto sia stato un disastro. Spero di poter fare con te un lavoro migliore di quello che mio nonno ha fatto con lei, anche se tu con quella parte della famiglia non hai legami di sangue».

«Speriamo» mormorò Billy, senza sapere bene cosa dire.

«Che tu voglia imparare a usare le armi è già un ottimo inizio. Se devo essere onesta sono quasi commossa, Billy» sorrise Rain, arrivando quasi a sembrare una donna normale «Non credevo che mi sarei sentita così all’idea di poter trasmettere ad altri quel che è stato insegnato a me».

Billy non disse nulla.
Doveva ancora riprendersi dallo shock per quel sorriso.

«Perché non sei ancora in posizione, eejit?»

Addio sorriso, era stato bello finché era durato. «Mi faresti rivedere qual è?»

Rain annuì, però appena sentì il rumore della porta scorrevole che si apriva lasciò perdere il fucile e si mise in spalla il bazooka. Era diventato il suo compagno più fidato, dopo il pappagallo.

«Ciao, Optimus!» esclamò Billy.

«Ciao, Billy… noto che vi state dando ad attività un po’rischiose».

«In un ambiente fatto apposta assieme a qualcuno che sa maneggiare le armi da fuoco da molto tempo. A proposito di attività rischiose, Optimus Prime, volevo giusto parlare con te riguardo quelle vostre missioni assurde».

In quel momento, Optimus riuscì a prevedere con estrema chiarezza che anche quella sera sarebbe dovuto tornare da Red Alert per colpa della tensione ai transistors.
Forse esordire come aveva fatto era stato un grosso errore.

«Mi lascerai partecipare? Eh?» la pregò Billy, speranzoso «Sono due settimane che te lo chiedo…»

«Neanche morta» fu la risposta secca di Rain.

Dal modo in cui stava guardando Optimus, Billy capì che era il caso di uscire dalla stanza e augurarsi che sua cugina decidesse di non usare il bazooka.
Sì, sapeva che lo avrebbe fatto solo nel caso in cui avesse visto Optimus tentare di attaccarla, cosa che difficilmente sarebbe successa, però l’espressione del suo viso non prometteva niente di buono.

«Non solo mio cugino non verrà mai con voi, Prime, ma quella di oggi è stata l’ultima cosiddetta “missione” in cui vi siete portati appresso il nugolo di minorenni».

“Appunto” pensò Optimus “Anche questa volta dovrò andare da Red Alert”.

Dover soffocare il desiderio di averla lasciata nelle mani di Megatron per lui era già una sconfitta, anche se durò per un brevissimo istante.
Nel corso della propria vita Optimus non aveva sempre avuto a che fare con persone gradevoli -a dirla tutta, avendo Megatron come costante spina nel fianco, avrebbe anche potuto dire di essere abituato ad avere a che fare col peggio del peggio- e in tutto ciò Rain O’Connell era, dopo la sua “nemesi”, la persona che minacciava maggiormente di riuscire a tirar fuori da lui i lati di cui andava meno fiero.
L’atteggiamento di quella donna umana che, avvolta in una maglia oversize blu scuro, lo stava guardando con l’aria di chi l’avrebbe fuso volentieri, per qualche ragione gli risultava terribilmente esasperante.

«Volendo tralasciare per un attimo il fatto che si trattava di una missione importante e delicata e non di una “cosiddetta”, tu ritieni che noi Autorobot non prendiamo sul serio la sicurezza degli umani che sono dalla nostra parte, quando li portiamo con noi?»

«Sfido qualunque persona ragionevole a dire il contrario» ribatté Rain.

«Dimmi una sola volta in cui-»

«Una? Magari per te fosse una sola!» lo interruppe Rain «Da dove potrei cominciare? Ah, ma certo! Dalla missione di oggi, in cui hai portato tre ragazzini delle medie su un’isola vulcanica che poi ha eruttato».

«Quello è un fenomeno naturale che non potevo prevedere» replicò Optimus «Siamo andati lì a cercare il Minicon, al massimo ci aspettavamo che i Decepticon-»

«O beh, se il massimo che vi aspettavate era “solo” di coinvolgerli in una battaglia tra robot giganti durante la quale hanno rischiato di venire colpiti per sbaglio da un laser o di finire schiacciati, di nuovo per sbaglio, allora scusami tanto» disse la donna, sarcastica.

«Gradirei che non mi interrompessi ancora, Rain. I ragazzi sono nostri amici, non permetterei mai che accada loro del male, sono stati loro a insistere nel volerci aiutare e hanno la pelle molto dura».

«E io gradirei che ragionassi in modo sensato per la prima volta da quando tu e i tuoi simili avete avuto la pessima idea di venire a infestare la Terra. Dici che sono tuoi amici? Allora è bene che non inizi mai a considerarmi tale, dato finora che hai portato questi ragazzini in mezzo alle tue allegre sparatorie con quel grandissimo cornuto» alias Megatron «Li hai portati in una foresta che poi è stata incendiata, li hai portati sottoterra dove sono finiti in mezzo a una frana, li hai portati nel deserto e sono stati risucchiati da una duna, li hai portati in una città sottomarina dove sono quasi annegati come dei topi e oggi hai concluso in bellezza con sull’isola vulcanica. Probabilmente non te ne sei accorto, sebbene sia lampante, ma noi esseri umani siamo fatti di carne, che non è resistente quanto il metallo di cui sei fatto tu! Gobshite!» esclamò «E ti sconsiglio di dire nuovamente che li hai portati perché “sono stati loro a insistere”: se pur essendo alto più di dieci metri non sei in grado di dire di no e imporre un minimo di autorità a degli eejit di tredici anni, allora mi chiedo come tu possa essere a capo di un esercito e di circa metà del tuo pianeta».

Complici il suo grado e la sua reputazione, Optimus non era molto abituato a essere contestato. La maggior parte delle persone attorno a lui solitamente tendevano a pensare che avesse sempre ragione e, se mai, le eventuali poche voci discordanti venivano presto convinte dalla maggioranza.
Se prima di quel giorno gli avessero detto che sarebbe stato brutalmente cazziato da una femmina umana di ventisette anni non ci avrebbe mai creduto.

«Tutta questa sfiducia verso la mia autorità e il mio concetto di sicurezza mi porta a chiedermi perché tu e tuo cugino continuiate ad accettare l’ospitalità che vi ho offerto» rispose dunque, dopo qualche secondo «E a rimanere qui, in quella che è la mia base».

«Mi hai detto che quella putredine metallica in forma di stercorario da battaglia che tu chiami Megatron può avercela con me, il che è plausibile per il poco che ho capito di quel coso» disse Rain, incurante del fatto di star parlando con un altro “coso” «E che tu e la tua squadra siete quel che si frappone tra lui e la conquista dell’Universo, con tutto ciò che questo implica per me, incluso il non poterlo gestire -in via teorica. In due settimane non ho ancora avuto prove reali del contrario. Questa è la risposta alla tua domanda».

«Ed è così, perché tu o l’umanità in generale non potete gestire i Decepticon da soli, che vi piaccia o meno. Penso sia il caso che tu lo tenga a mente».

«E io penso che sia il caso che tu tenga a mente che questa sarà pure la tua base, ma quello su cui tu e tutti gli altri “transformers” vi trovate è il mio pianeta. Siete sulla Terra per riprendervi quei cosetti che voi» lo indicò «Avete fatto fuggire dal vostro pianeta con la vostra guerra e che si sono schiantati qui, e nel fare questo avete portato qui i vostri casini» lo indicò di nuovo «Potenzialmente mortali, nei quali oltretutto avete lasciato immischiare dei ragazzini. Ricordatelo sempre, quando discuti con la sottoscritta e pensi anche di poter avere ragione. La sola presenza della tua specie su questo pianeta ti dà torto a prescindere».

«Non sono stato io a iniziare la guerra e tutto quel che ne è derivato, non siamo noi Autorobot gli aggressori» disse Optimus «Siamo stati, e anche dopo milioni di anni siamo tuttora, costretti a batterci per difendere la metà di Cybertron che ci è rimasta ed evitare che i Decepticon si espandano ulteriormente nell’Universo. Di cosa vorresti farci, o farmi, una colpa in tutto questo?»

«Lui è colpevole perché l’ha iniziata, tu lo sei perché in milioni di anni non sei stato capace di finirla prima che finissero coinvolti altri mondi» ribatté Rain, assestando l’ennesima bastonata verbale «Se devo dirtela tutta ho anche qualche dubbio sul fatto che tu voglia concluderla davvero, questa guerra, perché già solo in queste due settimane hai lasciato più volte che il cornuto si ritirasse quando invece avresti potuto finirlo. Quell’uccelletto metallico che hanno i ragazzini trasmette tutto qui alla base in 4k, dovresti saperlo».

«Non hai pensato che magari avessi delle ragioni personali che non ti riguardano, per decidere di agire come ho fatto?»

«Spero per te che siano delle ragioni estremamente valide» disse Rain.

«Lo sono» affermò Optimus.

«Premesso che sei libero di interrompermi se sbaglio: se queste ragioni fossero qualcosa tipo “Voglio sconfiggerlo e convincerlo ad accettare di vivere in pace perché ucciderlo con le mie mani qui e adesso andrebbe contro la mia etica personale” allora avresti sulla coscienza milioni, se non miliardi, di “vite”» mimò le virgolette «Dei tuoi simili. Tu e il cornuto siete in guerra da milioni di anni, così mi hai detto qualche giorno fa. A questo punto anche un coglione avrebbe capito di non poter trovare un accordo. Tieni più alla salute della tua razza, o a una morale che ha condannato a morte chissà quanta gente?»

Forse Optimus avrebbe potuto risponderle in tanti modi ma, messo davanti a certi fatti in maniera così brutale, non gliene venne in mente neppure uno.
Abbandonò la stanza preda di un miscuglio tra rabbia, dubbi su se stesso che inframmezzavano le immagini dei volti dei transformers che erano morti in quella guerra che lui “non aveva voluto finire” -era così per davvero? Aver deciso in passato di lasciare che Megatron si ritirasse più volte invece di finirlo lo rendeva davvero responsabile, anche solo in parte, di tutte quelle vite perse?- e una tensione tale addosso da temere che la testa gli sarebbe esplosa da un momento all’altro. E in tutto ciò non le aveva neppure parlato del pappagallo.
Non che al momento gli importasse qualcosa: era in condizioni tali che, nell’uscire, non si era neppure accorto che Billy era rimasto nei pressi a origliare.

“Povero Optimus” pensò il ragazzino “Non avrebbe meritato una predica così pesante, stavo quasi iniziando a sentirmi in colpa anche io per essere presente qui sulla Terra!”

«AG FUCK THÙ, EEJIT!»

«TORNA QUI BRUTTO PENNUTO CHE NON SEI ALTRO!»


Gli strilli di Alexis e di Dagon lo riscossero al punto che riuscì perfino a evitare che il pappagallo finisse in rotta di collisione con la sua testa, finendo invece a posarsi sulla spalla di Rain, appena uscita.

«Cosa sarebbe?» sbuffò la donna, togliendo il foglio dalle zampe di Dagon.

Alexis impietrì.
Billy fece saettare lo sguardo da lei a sua cugina, poi al foglio. Non sapeva cosa ci fosse scritto sopra ma sicuramente era qualcosa che Alexis non avrebbe mai voluto veder finire nelle mani di Rain.

Dopo una breve lettura, Rain agitò leggermente il foglio. «Vuoi riattaccare la pagina al tuo diario o posso usarla come parte della lettiera di Dagon?»

«Io…io, n-non…» balbettò Alexis, col viso rosso come la maglietta a causa della vergogna per la pessima figura fatta, prima di correre via senza dire nient’altro.

«Direi di poterla usare come parte della lettiera» concluse Rain.

«Ma che c’è scritto su quel foglio?» si informò Billy.

Rain fece spallucce. «Ingenuità mescolata a un po’di invidia, nulla per cui valga la pena dire alcunché. Avrà di meglio da scrivere quando scoprirà di non poter più andare a rischiare l’osso del collo in giro con queste sottospecie di lavastoviglie che si sono montate la testa. Ho fatto bene a chiedere a Prime tutti quei dettagli sulla guerra, la politica eccetera. Più conosci il nemico, meglio puoi stroncarlo. È un’altra delle cose che dovrai imparare».

La risposta di Billy fu una risatina nervosa.





[…]





«Red Alert…»

«Dimmi, Optimus».

«Tu pensi che io sia una brava persona?»

Il tecnico si voltò lentamente verso il proprio leader. «In che senso?»

«In generale. Pensi che io sia una brava persona? Pensi che radunare i Minicon, sperare di sconfiggere Megatron e convincerlo che sarebbe meglio vivere in pace -risultato a cui finora non siamo mai arrivati- invece di cercare di ucciderlo e basta mi renda responsabile almeno quanto lui di tutte le morti che ci sono state finora?»

«Se mi è permesso dire la mia, io penso che tu ultimamente abbia iniziato a prendere un po’troppe di queste medicine» disse Red Alert, indicando i calmanti «Nessuno di noi dubita della tua rettitudine, Optimus, ci mancherebbe altro. Perché pensi certe cose?... non dirmi che tutto questo è colpa di Rain O’Connell».

«Potrei dire che è così» ammise Optimus «Abbiamo avuto una conversazione abbastanza pesante. Rispondere a tutte le domande che mi ha fatto riguardo Cybertron e la guerra mi si è ritorto contro».

«Non c’è ragione di ascoltarla. Detesta noi e tutto quel che ci riguarda, lo farebbe anche se fossimo venuti qui solo in vacanza. Alexis su questo aveva ragione» sospirò Red Alert «Ricordi ancora la sua “contentezza” quando è arrivato Smokescreen, immagino. Lo ha guardato come si guarda una pozza di energon esausto. In ogni caso, se ci odia tanto potrebbe anche andarsene».

«No» disse Optimus «Se le facessi lasciare la base e poi Megatron la uccidesse, il discorso della mia responsabilità riguardo certe morti diventerebbe vero. Per non parlare del fatto che verrebbe coinvolto anche Billy, che non ci odia per nulla. Quello è un bravo ragazzino, come il resto dei nostri amici. A proposito... temo che quella di oggi per loro sia stata l’ultima missione sul campo».

«Di nuovo “colpa” di Rain?»

Optimus sospirò, con aria estremamente stanca. «Mi ha fatto notare che hanno rischiato di morire molte volte. D’ora in poi resteranno alla base. Forse è meglio così».

«Saranno piuttosto delusi».

«Grazie a Laserbeak potranno rendersi utili anche da qui. Cercherò di sottolinearlo quando glielo comunicherò».

«Capisco. Però Optimus, davvero, non lasciare che ti faccia venire dei dubbi. È Megatron quello malvagio, non tu».

«Grazie, Red Alert».

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Capitolo 8
*** Pioggia velenosa (parte 1) ***


8

PIOGGIA VELENOSA (PARTE 1)

 

 

 

 

 

 

 

 

«Dovremmo cambiare strategia, e non solo perché vorrei ridurre le volte in cui vengo a farti visita, Red Alert».
 
«Cambiare strategia riguardo cosa, Optimus?» domandò Smokescreen.
 
«Rain. Al momento, nonostante la protezione che le offriamo, non ci stima. Per usare un eufemismo» sospirò Optimus «Di norma credo che mi rassegnerei semplicemente all’idea che non ci consideri neanche esseri viventi, perché un singolo essere umano e la sua opinione non possono intralciare la nostra missione. Tuttavia i ragazzi, o meglio Alexis, mi hanno riferito alcune cose che mi hanno dato da pensare riguardo certi suoi, come dire, “canali di comunicazione facilitati” con alcune autorità terrestri. Noi non sappiamo con precisione quanto siano avanzati davvero gli umani in fatto di armi ma, soprattutto, siamo solo in quattro. L’ultima cosa che desidero è che noi e gli umani iniziamo a intralciarci gli uni con gli altri».
 
«Quindi cosa suggerisci di fare? Io non vedo molte possibilità di farle cambiare idea» disse Hot Shot.
 
«Riguardo questo discorso, Rad mi ha dato un suggerimento che forse potrebbe essere utile: cercare di “umanizzarci” più possibile ai suoi occhi, in senso metaforico. Secondo lui aiuterebbe. Ha detto che questa strategia l’ha vista in quella scatola… la televisione. Su un programma che si chiama “Criminal Minds”».
 
«Ormai è qui da un po’di tempo, le abbiamo già parlato della nostra fazione, della nostra razza e di Cybertron, se non ha voluto capire prima non capirà nemmeno adesso. Sono un po’scettico» ammise Red Alert.
 
«Infatti secondo Rad dovremmo parlare di cose più personali» disse Optimus «E ho anche un’idea di chi potrebbe fare un tentativo. Tu che sei il più giovane di noi, Hot Shot…»
 
«M-ma perché, signore?! Io non sono un gran conversatore, se dovesse sfociare in una discussione non saprei… sì insomma, con tutto il rispetto possibile, non sarebbe meglio che lo facesse qualcuno più qualificato?»
 
Optimus guardò Red Alert, il quale gli porse un cubetto di energon calmante. «Temo che in questo caso le qualifiche non contino. Sei anche il solo di noi che non sia stato insultato dal suo pappagallo quindi tu, per il bene della squadra, tenterai di conversare con Rain O’Connell e far migliorare, anche solo di poco, la sua opinione. Desidero che tu lo faccia il più presto possibile, appena ne avrai occasione».
 
 
 
 
 
 
 
«Oh, ragazzi…» sospirò Hot Shot, rassegnato e diretto verso l’ala di addestramento. Optimus aveva detto “appena ne avrai occasione”, quella era un’occasione.
 
Era piuttosto sicuro di trovarla lì perché, se riuscivano a convincere i ragazzini ad andare a letto prima delle dieci di sera, non era possibile fare altrettanto con una donna adulta; infatti, pur essendo passata da un pezzo la mezzanotte, Rain non era a dormire con Billy.
 
A dirla tutta era già tanto che ora si fidasse a lasciare suo cugino da solo nella loro stanza, perché inizialmente non succedeva, ed era meglio non pensare alla volta in cui, verso le due del mattino, Optimus aveva dato una sbirciata!
Era successo la seconda notte degli O’Connell nella base: lui lo aveva fatto con la massima innocenza, solo per verificare che andasse tutto bene -lo faceva già da quando c’erano solo Rad, Carlos e Alexis- ma Rain, che non si era addormentata, gli aveva puntato il bazooka in faccia al grido di “Lo sapevo! Aspettavate solo il momento buono, vero?!”.
 
Hot Shot ricordò che Optimus in quel frangente aveva dato la colpa di tale reazione allo shock per essersi trovata rapita e poi in pericolo di vita. Forse era così per davvero, perché adesso Rain durante la notte dormiva, però ormai erano tutti piuttosto sicuri che perlopiù avesse voglia di farli saltare in aria e basta.
 
Passando davanti alla sala principale, Hot Shot interruppe il proprio cammino. C’era luce lì dentro, ma gli risultava che a quell’ora non dovesse esserci nessuno…
 
«Non ci credo, non ci credo oddio SÌODDIO SÌ! Tra poco non saranno più in giro a infestare!»
 
Era Rain e, incredibilmente, sembrava molto felice… il che non prometteva proprio nulla di buono, ragion per cui il giovane Autorobot fu svelto a entrare per poter fermare qualsiasi processo avesse messo in moto.
 
«Cosa stai-»
 
Si interruppe bruscamente quando vide sul monitor principale l’immagine di una delle candele in giara di Rain. Faceva parte di un articolo il cui titolo diceva “Yankee Candle smette di produrre Icy Blue Spruce”.
 
«Smettono finalmente di produrre quella roba! E oltre a questo intendono riprendere la produzione di “Tobacco Flower”! Che bella cosa» sentenziò, sfregandosi le mani, e si voltò verso Hot Shot «A te come va?»
 
Basito dal fatto che lei gli avesse rivolto la parola normalmente, Hot Shot rimase in silenzio per qualche secondo. «Aah… bene» disse poi «Quindi il fatto che smettano di produrre quella cosa lì è una notizia molto buona?»
 
«Tra le migliori che abbia ricevuto in questi giorni. Non ho mai capito cosa trovasse la gente in quel miscuglio di odori senza costrutto buono solo per essere usato contro gli insetti» disse Rain, andando a chiudere la scheda dell’articolo «Non sto scherzando, quando la sentono svengono o fuggono via».
 
«Dev’essere terribile» la assecondò il cybertroniano.
 
«Lo è. Peccato che funzioni solo contro gli insetti terrestri» disse la donna e, con disinvoltura, rimosse una chiavetta usb dal pc della base «In caso contrario avrebbe avuto un’utilità maggiore. Non avete ancora di dove si nasconda quel pezzo di merda frullatore bastardo?»
 
«No, non abbiamo ancora idea di dove si trovi la base di Megatron. Magari l’avessimo…» sospirò Hot Shot «Andrei subito a distruggerla una volta per tutte, i Decepticon insieme a essa, e a salvare tutti i Minicon».
 
Rain sollevò un sopracciglio. «Distruggerli, mh? Non sconfiggerli, imprigionarli e tentare di farli ragionare?»
 
«Forse sarebbe stato meglio ma sinceramente non credo che Megatron possa essere fatto ragionare, quindi purtroppo immagino che non ci sia molta scelta se non distruggerli, o comunque distruggere almeno lui. Sai, Rain…» “Devo tentare di parlarci ora che è di buonumore per la candela!” pensò «Se devo essere onesto non pensavo che potessi avere un approccio così clemente verso di loro».
 
«Infatti non è il mio» disse lei «E se fossi in te eviterei di parlare a Optimus Prime del tuo, di approccio. La conversazione che abbiamo avuto appena ieri mi suggerisce che abbiate idee molto diverse e che forse al comando ci sia la persona sbagliata».
 
«Optimus Prime è un grande comandante!» ribatté Hot Shot «Combatte per la libertà e la giustizia su Cybertron e in tutta la galassia, e non c’è nessuno che meriti la posizione di leader più di quanto la meriti lui!»
 
«La sua aura da messia ha effetti notevoli su voi macchine, non lo metto in dubbio. Mi chiedo se emani una qualche frequenza particolare che-»
 
«Se noi seguiamo Optimus Prime non è per le frequenze!» la interruppe l’Autorobot, esasperato «Lo facciamo perché lo riteniamo una persona capace, perché condividiamo i suoi ideali e perché non vogliamo che i Decepticon vincano. Siamo fatti per buona parte di metallo ma anche noi viviamo, anche noi pensiamo, amiamo, odiamo e soffriamo, e quel mostro di Megatron ha dato inizio a una guerra che ha devastato buona parte del nostro pianeta, della nostra casa. Tu vorresti che noi tornassimo lì, giusto? Bene, io per primo vorrei tornarci!» sputò fuori Hot Shot, infervorato quanto totalmente onesto «Sono affezionato alla Terra e ai ragazzi, ma mi manca il mio pianeta e vorrei solo vivere lì in santa pace! Tutti lo vorremmo! Solo che non possiamo farlo perché per colpa di un pazzo assetato di potere ci siamo trovati -e ci troviamo- a combattere qui e là per il cosmo, e sarà così fino a quando vivrà!»
 
«E io non solo ti capisco, ma concordo perfino» disse Rain, sorprendendosi per aver dato ragione a un alieno. Però ehi, aveva detto cose ragionevoli e poi… niente più Icy Blue Spruce! Come poter trovare la voglia di rispondere male? Impossibile.
 
«Lo so che tu non- eh?... hai detto che concordi?» allibì Hot Shot.
 
Lei annuì. «Hai detto che Megaschifomadò va distrutto e che vorresti tornare a casa tua e restarci, ovvio che concordo! Peccato che tu sia solo un soldato e che quindi quel che pensi non conti affatto. Tu e gli altri dovreste convincere Prime a finire il lavoro» disse, dirigendosi verso l’uscita della stanza «Avreste potuto concludere il tutto uccidendo il cornuto il giorno che mi hanno rapita, eravate in vantaggio, invece Prime ha lasciato che si ritirasse sia quella volta, sia in altre occasioni durante questi giorni. Ogni ritirata che gli permettete significa altro tempo perso e altre… vite… di Autorobot perse. La tregua è finita anche su Cybertron, giusto? Pensa a questo, la prossima volta che vedi il cornuto, e cerca di fare quel che il tuo comandante non ha voglia di fare! Buonanotte, Hot Shot».
 
Il giovane cybertroniano riuscì a rispondere solo un debole “…’notte!” nel guardarla andarsene via.
 
Lui e Rain non avevano discusso e non lo aveva insultato, però si sentiva confuso come ad aver ricevuto una botta in testa dopo aver esagerato un po’con l’energon extra forte.
Rimase lì in quello stato per mezz’ora buona, trasalendo quando qualcuno pose una mano sulla sua spalla sinistra.
 
«Cosa, chi-»
 
«Tutto bene, Hot Shot?» gli domandò Optimus Prime «Come mai qui a quest’ora?»
 
«Perché, che ore sono?»
 
«Le una e dieci del mattino. Hai un’aria strana» osservò il comandante «Cos’è successo?»
 
L’Autorobot non rispose, se non con un’occhiata confusa.
 
«Hot Shot?...»
 
«Optimus… c’è qualcosa che se mi è concesso ti vorrei chiedere» esitò «Tu, di preciso, cosa vuoi fare con Megatron? Nel senso… non lo vedo molto incline ad accettare di vivere in pace un giorno, per cui… insomma, noi siamo qui per recuperare i Minicon, ma distruggerlo appena possiamo non sarebbe una buona cosa per tutti?»
 
Optimus rimase a fissarlo per qualche secondo, poi giunse l’illuminazione. «Avrei dovuto riconoscere i sintomi. Prova ad andare a ricaricarti e, se così non passa, tra qualche ora potrai sempre andare da Red Alert. Basta che tu gli dica con chi hai parlato e ti darà il calmante che dà a me. Ho sbagliato a sperare che Rain ti maltrattasse un po’meno rispetto al sottoscritto».
 
«A dir la verità non è che mi abbia maltrattato, era anche di buonumore… a un certo punto si è perfino riferita a noi come “vivi”… però sì, immagino che farò come hai detto tu, perché mi sento abbastanza confuso».
 
«Penso sia la miglior cosa, Hot Shot. Se sei riuscito a farle ammettere che siamo esseri viventi, puoi considerare riuscita la tua missione. Per quanto concerne il resto, però, non dar retta a nulla di quel che dice, perché ci sono cose che sono troppo al di là di quel che la sua mentalità può concepire. Non del tutto per colpa sua: è solo un essere umano e non è in circolazione da milioni di anni».
 
Hot Shot annuì e, decisissimo ad andare in ricarica e restarci fino all’ultimo secondo disponibile, lasciò Optimus Prime da solo.
 
Immaginando quel che Rain doveva aver detto a Hot Shot -certo un discorso analogo a quel che aveva fatto a lui- fu costretto nuovamente a soffocare sul nascere alcuni pensieri poco nobili. Aveva capito di non piacerle e poteva conviverci, non gli importava, a patto però che questo non portasse problemi con gli altri esseri umani o con la squadra.
 
“Come può una creatura così piccola essere anche così velenosa?”
 
Ma soprattutto… perché suddetta creatura velenosa era, a dir di Hot Shot, di buonumore?
E cosa stava facendo lì, in quella sala -avendo trovato Hot Shot fermo sul posto tendeva a presumere che lui e Rain avessero parlato lì- prima che il suo soldato la interrompesse?
Quello era il computer principale della base, lì dentro c’era di tutto e di più, Fino a quel momento non avevano avuto problemi nel lasciarlo usare ai ragazzini, anzi, avevano anche insegnato loro a farlo per bene, ma forse permetterlo anche a lei era stato uno sbaglio.
 
Repentino, si mise al computer per dare un’occhiata a quel che c’era nel registro attività delle ultime ore, concentrandosi soprattutto su eventuali comunicazioni in entrata o in uscita. Di quelle non trovò traccia, c’erano soltanto siti che riguardavano candele in giara, automobili e cibo per pappagalli. Quando vide un download vi si fiondò subito, salvo scoprire che era un’immagine in anteprima di un’automobile con colori personalizzati.
 
“Nulla di strano” pensò.
 
Ma allora, continuò a domandarsi, perché Hot Shot l’aveva trovata di buonumore?!
 
“Però per comunicare con chicchessia avrebbe potuto usare uno dei suoi dispositivi privati. Potrebbe aver concordato qualunque cosa con chiunque”.
 
Perfino con i Decepticon.
Ah, ma no. Cos’andava a pensare? Se Rain li detestava tutti a prescindere in quanto alieni, ai Decepticon e in particolar modo a Megatron riservava un disprezzo di tutt’altro livello. Se avesse dovuto scegliere tra allearsi con loro e macchiarsi i vestiti da sola, secondo lui avrebbe scelto la seconda opzione -il che era tutto dire, per quel che sapeva di lei.
 
“O forse è quel che vuole farci credere per poterci distruggere meglio. Forse ha trovato il modo di allearsi con Megatron quando i Decepticon l’hanno rapita, forse sono alleati da ancora prima, forse sta solo fingendo di essere un’umana e in realtà è una Decepticon sotto mentite spoglie, forse… dovrei andare in ricarica e basta, perché non è possibile che dopo milioni di anni a capo di mezzo pianeta mi riduca così per colpa di un essere umano poco amabile” concluse, spegnendo i computer e decidendosi ad andare a godersi un meritato riposo.
 
 
 
 
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«Quindi quel nuovo Minicon non si è ancora svegliato?» domandò Carlos.
 
Rad rispose con un cenno di diniego. «Né lui né l’altro. Se intendi proporre di nuovo di svegliarlo con un secchio di acqua gelata, ti consiglio di non farti sentire da Alexis».
 
«Oddio, no. Poi potrebbe venirle davvero l’idea di svegliarmi in quel modo!» esclamò Carlos, un po’spaventato.
 
«E forse non sarebbe una brutta idea dal momento che non ti sei ancora deciso a lasciare in pace quei due poveri Minicon» disse Alexis, arrivata appena in tempo per sentire quella parte del discorso, facendo strillare Carlos «Invece di perdere tempo qui, perché non vi mettete a pulire un po’? Questo posto appartiene agli Autorobot, non è la vostra rimessa!»
 
«E tu perché non metti in ordine?» protestò Carlos «Perché solo noi dobbiamo farlo?»
 
«Perché le mie cose sono già perfettamente a posto! Magari non in ordine di colore in una scala che va dal più caldo al più freddo come fa qualcuno, però sono a posto».
 
«Uff, ancora…» bofonchiò Rad, alzando gli occhi al cielo.
 
«Hai qualcosa da dire, Rad?!»
 
«In effetti sì» ebbe l’ardire di rispondere il ragazzino «Non sarebbe ora che la smettessi di lanciare frecciate su quello che fa o non fa la cugina di Billy? Non ti darà mai considerazione in ogni caso, sei una minorenne non imparentata con lei» perfino Rad, per bocca di Fred, ormai aveva imparato «Quindi perché continui a fissarti?»
 
«Io non sono “fissata”! Capito?!» sbottò Alexis, arrabbiatissima «E della considerazione di quella lì non mi importa niente! Io la tengo d’occhio perché è un nemico quasi quanto i Decepticon, non per altro, se poi voi preferite passarci sopra solo perché siete maschi non sono io che sto sbagliando!»
 
«Che vuol dire “solo perché siamo maschi”?! Il fatto che siamo maschi non vuol dire che siamo stupidi!» dichiarò Carlos.
 
«No, vuol dire solo che siete preda degli ormoni, altrimenti non usereste i sottobicchieri come invece avete iniziato a fare tutte le volte che mangiate e bevete mentre c’è lei, soprattutto tu, Carlos!» aggiunse, e puntò l’indice contro il petto del coetaneo «Ma tanto non darà mai considerazione nemmeno a te!»
 
«Rad ha ragione, sei veramente fissata con lei! Di’, non è che in realtà quella che è preda degli ormoni sei tu, amiga?!»
 
Alexis, sentendo quella che riteneva totale assurdità, rimase per un attimo a bocca aperta, salvo mettersi a gridare subito dopo. «MA CHE TI SALTA IN TESTA?! Ma sei idiota?! Non mi piacciono le ragazze e in ogni caso non mi piace lei! Ha una personalità e un atteggiamento terribili!»
 
Carlos fece per risponderle, tuttavia si interruppe sentendo una voce femminile in lontananza intonare una canzone in una lingua incomprensibile ma vagamente familiare, come se l’avesse già sentita utilizzare. Guardò gli altri, che avevano entrambi con l’espressione perplessa che aveva lui stesso sul viso. «Ma che succede in corridoio?»
 
Rad fece spallucce. «Andiamo a vedere, no?»
 
Alexis non disse nulla, limitandosi a seguirli.
 
Quando uscirono in corridoio però il canto era già finito, sostituito da una conversazione.
 
«…lo so che forse non gradisci, però quando prima sono andato a fare la spesa per tutti  ho visto i croissant integrali con il miele e li ho presi, avevo dei soldi da parte, l’ho fatto perché so che stare qui non ti piace molto e che invece questi ti piacciono dato che li hai mangiati a colazione la volta in cui ho dormito a casa tua e di Billy e quindi ecco» concluse Fred, riprendendo finalmente fiato mentre porgeva a Rain un piccolo vassoio con sopra due croissant.
 
«Sì… oggi è proprio una buona giornata» disse la donna, prendendo il vassoio «Grazie, Frederick, è stato un gesto molto carino da parte tua. Però non posso lasciare che un minorenne mi offra del cibo, quindi» tirò fuori da una tasca dei jeans una banconota da venti dollari e la mise nel taschino della giacca di Fred «Ecco fatto. E, se ti interessa saperlo, Billy dovrebbe uscire dalla doccia a breve».
 
«Ah… eh… sì… grazie. Ehm, oggi ti vedo contenta» provò a dire Fred, incredulo già solo per il fatto che lei avesse accettato i croissant e stesse sorridendo, oltre che per i venti dollari -decisamente troppi- con cui l’aveva ripagato e per il fatto che fino a poco prima si aggirasse per la base cantarellando.
                                                                                                                    
«Ho i miei buoni motivi, te lo assicuro. Buongiorno anche a voi!» esclamò Rain, notando la presenza degli altri ragazzini ma non i loro occhi sbarrati.
 
«’giorno» rispose Rad, debolmente.
 
Il solo pensiero che lui e gli altri avevano in testa però era “Perché è gentile?! Cosa sta succedendo?!”
 
«Ragazzi, qui c’è qualcosa che non va» mormorò Alexis «Non mi piace, non mi piace proprio…»
 
«Forse per una volta si è svegliata bene e basta» disse Carlos, poco convinto.
 
Pochi momenti dopo, lo divenne ancor meno.
 
«Buongiorno, ragazzi» li salutò Optimus, come d’abitudine, quando svoltò l’angolo.
 
«Buongiorno, Optimus!»
 
Un silenzio tombale calò in tutto l’ambiente quando Optimus Prime realizzò che era stata Rain a dargli il buongiorno, chiamandolo addirittura “Optimus” e non “Prime”, né “Optimus Prime”, e che sulle labbra aveva perfino l’ombra di un sorriso; tutte ragioni per cui il leader degli Autorobot fece la sola che gli sembrasse sensata in quella situazione assurda.
 
«A tutti gli Autorobot: prendete tutti i Minicon ed evacuate la base subito!» ordinò, dando perfino l’apparenza di essere completamente lucido mentre lo faceva, e corse via dopo aver afferrato Rad, Carlos e Alexis.
 
Nel caos che si era scatenato all’improvviso, col rumore di gente intenta a correre che risuonava ovunque assieme all’allarme, Rain sollevò un sopracciglio.
 
«Pfff… alieni» alzò gli occhi al soffitto «Li tratto come gli invasori che sono e non va bene, faccio loro la grazia di salutarli in una giornata di buonumore e non va bene lo stesso, chi li capisce è bravo. O beh, pensiamo alle cose serie, ossia festeggiare perché Icy Blue Spruce non verrà prodotta mai più!»
 
Fred sollevò le sopracciglia. «Quindi è per la candela che sei tanto felice?»
 
«Esatto, è la ragione principale del mio stato d’animo» annuì Rain «L’ho saputo stanotte prima di andare a dormire. Ho fatto anche un bellissimo sogno in cui tutte le Icy Blue Spruce esistenti venivano appiccicate ai cybertroniani che conosciamo, che poi sono stati sparati oltre l’atmosfera terrestre e fatti esplodere. Una meraviglia».
 
«Ma cos’è tutto questo rumore?! Che succede?!» domandò Billy, arrivando trafelato e con i capelli ancora mezzi bagnati.
 
«Rain ha spaventato Optimus dandogli il buongiorno» rispose Fred.
 
«Non so se sia più assurdo lo spavento o il “buongiorno”, nonostante sappia della candela» commentò Billy, per poi indicare i croissant «Quelli da dove vengono?... FRED!» esclamò, appena giunse l’illuminazione «Cosa ti avevo detto?!»
 
«Ma- ma- ma lei li ha apprezzatiiiiiii!» tentò di difendersi Fred, costretto a scappare nel tentativo di evitare la vendetta di Billy per aver fatto “il carino” con Rain.
 
L’allarme smise di suonare, lasciando la base nel silenzio.
 
«Come possano pretendere di vincere una guerra se si fanno spaventare da una cosa del genere non lo so proprio» commentò la donna.
 
«A dirtela tutta è probabile che al posto di Optimus avrei pensato che stessi per distruggere tutto» disse Billy «O avessi preparato un agguato con l’aiuto di chicchessia per farli portare via e rinchiudere da qualche parte».
 
«In quel caso sarei stata di buonumore ma avrei immaginato che agendo in quel modo avrei potuto insospettirlo» ribatté lei, facendo spallucce «Dunque avrei evitato. Puoi andare ad apparecchiare per la colazione e mettere questo in tavola?» disse, e porse il vassoio a Billy.
 
«Va bene» annuì e, preso il vassoio, si lanciò dietro a Fred...
 
 
 
 
 
.:: Nel frattempo… ::.
 
 
 
 
 
«Vedi movimenti strani, Smokescreen?»
 
«Nessuno, Optimus. Attorno alla montagna non sta succedendo nulla, gli unici movimenti sono quelli degli animali».
 
Avevano utilizzato il vortice deformante per raggiungere un luogo che fosse sia abbastanza lontano da evitare problemi, sia abbastanza vicino da poter tenere tutto sotto controllo, compito che era stato assegnato a Smokescreen. Oltre al lungo braccio, questi era anche dotato di un’ottima vista da lontano, forse proprio per consentirgli di usare al meglio la propria dotazione.
 
«Qualcuno può ripetermi perché siamo scappati via dalla base con tutti i Minicon? Perché io non sono sicuro di aver capito bene» disse Hot Shot, molto più che perplesso.
 
«Siamo scappati perché quella strega ha architettato qualcosa contro di voi! Ecco perché!» esclamò Alexis «Per fortuna io e Optimus lo abbiamo capito subito e forse scappando siamo riusciti a mandare a monte i suoi piani, altrimenti ora sareste morti o sareste stati presi e chiusi in un qualche laboratorio, o chissà che altro di orribile!»
 
Hot Shot tuttavia non era il solo a essere un po’dubbioso riguardo quella faccenda. Sebbene fosse un fervente lealista e rispettasse ogni ordine del proprio comandante senza alcuna esitazione, anche a Red Alert suonava tutto un po’assurdo. «Non per contestare la linea d’azione attuale, Optimus, ma tu e i ragazzi siete proprio sicuri che avesse in mente qualcosa?»
 
«In questo lasso di tempo ha cercato di esasperarci, demolire il nostro morale e mettere in testa cose strane a chi ha avuto il dubbio piacere di parlare con lei un po’più a lungo, e oggi era stranamente gentile, presumo per farci abbassare la guardia» disse Optimus, piuttosto convinto «Deve avere per forza in mente qualcosa. Il fatto che non ci siano movimenti strani fuori dalla base poi non vuol dire niente, potrebbe aver fatto entrare chiunque col vortice deformante. Ci detesta ma ho l’impressione che, mentre spiegavamo ai ragazzi come utilizzare la tecnologia della base, fosse molto attenta. Il piano d’azione è il seguente: aspetteremo un altro po’, poi cercheremo di contattarla per capire cos’ha fatto e cosa vuole di preciso. Oltre al nostro annientamento, s’intende».
 
«Che fosse molto attenta è un’impressione che ho avuto anche io, però non credi che sarebbe stato poco furbo trattarti diversamente, se voleva davvero farti abbassare la guardia?» obiettò il tecnico «Non sarebbe stato meglio comportarsi come fa di solito?»
 
«Non mi è parso che quando i Decepticon l’hanno rapita abbia dato sfoggio di notevole furbizia. Il rischio di un attacco c’era e non volevo assolutamente che qualcuno dei presenti ci andasse di mezzo. Forse avremmo dovuto portare via anche Fred e Billy, rimpiango di non averlo fatto. Non credo che lascerà far loro del male ma la sua compagnia è deleteria per quei due poveri ragazzi…».
 
 
 
 
 
.: Nella base ::.
 
 
 
 
 
«Inutile che fuggi, tanto adesso si va a fare colazione, quindi ti prenderò a prescindere!»
 
L’inseguimento non era destinato a durare a lungo, già solo perché Fred non aveva ancora fatto la seconda colazione e per muoversi aveva costante bisogno di zuccheri -così diceva.
 
«E se io non venissi a mangiare?!... nah, chi voglio prendere in giro» sospirò Fred «Ehi Billy…»
 
«Mh?»
 
«Dici che dovremmo far sapere agli Autorobot che sono a posto e che non c’è qualcuno che sta meditando di ucciderli o di far saltare tutto in aria?»
 
«Io lo farei, però non so come. Non sappiamo dove siano andati, ad avere Laserbeak è Rad e quando ho chiesto ad Alexis il numero di cellulare non me l’ha dato perché deve aver pensato che volessi provarci, come se potesse avere senso averglielo chiesto per quello, dato che ormai siamo tutti insieme tutti i giorni» sbuffò Billy, mentre raggiungeva la tavola assieme all’amico «Passami le stoviglie, per favore».
 
Fred obbedì, prendendo tre piatti, tre bicchieri e tre sottobicchieri da un mobiletto nelle vicinanze. «Sì, in effetti non avrebbe avuto senso. Le ragazze a volte sono un po’strane».
 
 «Infatti credo che la lascerò perdere» disse Billy, tirando fuori da un frigorifero delle bottiglie di succo di frutta e del cibo «Anche se mi spiace abbastanza…»
 
«A perderci è lei. Quando avrai la tua laurea magistrale, presa in una facoltà a tua scelta, verrai sistemato a dovere e i soldi non ti mancheranno» disse Rain, avvicinandosi a loro con passo svelto.
 
«Devo ancora finire le medie e già pensi alla mia laurea magistrale!» gemette Billy «Niente bazooka? Credevo che fossi andata a prendere quello».
 
Lei gli mostrò il cellulare, ossia quel che era andata a prendere. «Niente alieni, niente bazooka… al massimo lo recupererò una volta finito di mangiare».
 
«Intanto che ne dici se facciamo un brindisi per dare l’addio alla candela cattiva?...» propose Fred, poco intenzionato a lasciar perdere l’idea di fare il carino nonostante le minacce altrui.
 
«Questa è una buona idea, Frederick. Però credo che questa sia la giornata giusta per mettere in chiaro una cosa una volta per tutte: al di là del fatto che quattordici anni di differenza siano decisamente troppi e lo sarebbero anche se tu fossi maggiorenne e io più vecchia, nella mia vita c’è già qualcuno» rivelò Rain «A un oceano di distanza, ma c’è. Dunque ti consiglio di rivolgere la tua attenzione alle tue coetanee single, magari evitando le mezze asiatiche».
 
Fred, dopo un attimo di silenzio, sospirò. «In realtà sapevo già di non avere possibilità, però ogni tanto è bello sognare. Soprattutto perché io vivo più vicino!»
 
«L’importante è che tu la smetta di fare il cretino, se no ti faccio diventare la nuca viola a suon di schiaffi!» lo minacciò Billy, grato a Rain per il fatto di aver scelto di gelare i bollenti spiriti di Fred in un giorno in cui c’era meno rischio di farlo finire di nuovo in terapia -stavolta per colpa delle pene d’amore e un rifiuto troppo rude.
 
«Ma perché devi essere così manesco?!»
 
Alla faccia della “compagnia deleteria” di cui parlava Optimus -nonché dei battibecchi e delle lagne che erano più per scherzo che per altro- i due ragazzini erano decisamente tranquilli oltre che, forse, più affiatati di quanto fossero prima di essere rapiti e venire a contatto con gli alieni.
Rain non era cieca, si era accorta dell’evoluzione che c’era stata e che ora suo cugino tendeva a essere un po’meno “capetto” verso Fred, che a sua volta era un po’meno “gregario”. Nulla di male a parer suo, anzi, a dirla tutta cominciava quasi a pensare che separare Billy da quel suo amico -lei, alla fine di quella follia, era sempre dell’idea di andare in Irlanda- potesse essere un vero peccato.
 
Di sicuro era sempre per colpa dell’entusiasmo da addio alla candela ma mentre finiva il primo croissant per poi dare l’assalto al secondo pensò che, se nel frattempo non avesse cambiato idea, qualcuno avrebbe potuto far piovere dal cielo un’eccezionale offerta di lavoro in Irlanda per il padre di Fred, il quale al momento lavorava al centro di ricerca spaziale di Lincoln. Per un valido ricercatore c’era sempre posto in ogni parte del mondo.
 
 
“Yeah, yeah, yeah
Uh, Yeah don't get it twisted
This rap shit, is mine
Motherfucker, it's not, a fucking, game
Fuck what you heard
It's what you hearin!...”
 
 
«Chi è che chiama?» domandò Billy a Rain, pur senza avere particolare interesse.
 
Rain, dopo aver dato un’occhiata allo schermo e aver sentito il suo buonumore salutarla caramente, decise di prendersi qualche secondo di tempo per evitare di rispondere con qualche bestemmia. Non perché la domanda l’avesse infastidita o per una chiamata sgradita, ma proprio perché non c’era nessuno che le stesse telefonando.
 
Il suo cellulare era impazzito. L’ultima e unica volta che l’aveva fatto era stato poco più di due settimane prima, quando i Decepticon erano nelle vicinanze, dunque che il fenomeno si stesse replicando in quel momento poteva significare una cosa soltanto.
 
“Va’ a vedere che il buon Optimus sapeva dell’attacco imminente e ci ha mollati qui, fingendo di essersi allarmato per il mio saluto, per liberarsi di noi in modo indiretto” pensò Rain “Avrei capito se avesse voluto togliere di mezzo me ma Billy e Fred sono piccoli eejit come gli altri tre. E lui dovrebbe essere quello bravo e buono? Come facciano i suoi sottoposti a essere così ciechi è un mistero”.
 
 
“It's what you hearin (Listen)
It's what you hearin (Listen)
It's what you hearin (Listen)!...”
 
 
«Rain… n-non è che il tuo cellulare è impazzito di nuovo, vero?» balbettò Billy «Come due settimane fa con i Decepticon?»
 
«Aspetta, che vuoi dire?!» si allarmò Fred «C’è Megatonno in giro?»
 
Nessuno corresse Fred, il quale comunque non aveva sbagliato nome di proposito.
L’allarme della base tornò a suonare.
 
«Inutili stramaledettissimi accrocchi pseudo viventi di badili per spalare il letame» disse Rain, con disprezzo assoluto percepibile in ogni sillaba «Sono il fallimento dell’evoluzione, la putredine più abietta e inutile e assoluta, la feccia della galassia, valgono meno delle mosche e li ammazzerei tutti».
 
«Ma allora c’è veramente in giro Megatonno!» strillò Fred.
 
«Si chiama Megatron, scemo!» esclamò Billy «Rain, che facciamo?! Non possiamo nemmeno contattare gli Autorobot-»
 
«I quali probabilmente penserebbero a una trappola in ogni caso» lo interruppe Rain «E il mio cellulare è fuori servizio, quindi inutile. La sala di controllo è qui di fianco e non sento rumori di passi, quindi andremo lì, guarderemo dov’è o dove sono e vedremo cosa fare. Se fossero lontani dal vortice deformante e/o dall’uscita della base potremmo andarcene, anche se… non vedo Dagon al momento…» mormorò, dispiaciuta all’idea di perdere il cacatua ma conscia di dover pensare più che altro a sé e Billy «Ma è libero, la base è grande, può essere che se la cavi».
 
Avrebbe preferito di gran lunga sparare col bazooka agli intrusi, però immaginava che con quello avrebbe potuto colpirne uno, forse due se riusciva a ricaricare in tempo, prima di rischiare essere schiacciata da uno degli altri.
Avrebbe potuto tentare di farlo lo stesso, però c’era Billy da mettere al sicuro, quello veniva prima di tutto, anche del suo odio verso quegli alieni.
 
«Se invece fossero vicini all’uscita o al vortice, dovremo cercare di attaccarli col sistema di sicurezza di questo postaccio» continuò «Sul quale però non faccio troppo affidamento visto che a quanto pare non è in grado nemmeno di bloccare teletrasporti imprevisti!»
 
«Io e Fred siamo stati abbastanza attenti quando gli Autorobot ci hanno spiegato come funzionano le cose» disse Billy «Potremmo provarci. Andiamo nella sala di controllo!»
 
Tutti e tre si alzarono di scatto e corsero via, pronti ad affrontare i guai -o almeno a provarci… ignari che, nel frattempo, il cellulare di Rain non fosse stato il solo oggetto elettronico terrestre presente nella base a “impazzire”.
 
La porta della stanza degli O’Connell scorse di lato, lasciando passare un gruppo di ben quaranta esseri pelosi di piccola stazza impegnati in un chiacchiericcio nonsense.
 
«Tutu-ttu-tu! Tutu-ttu-tu! Buongiorno!»
 
«Buongiorno!»
 
«Me! Affamato!»
 
«Affamato!»
 
«Me! Mangiare!»                                                                                                       
 
«Faccia!»
 
«Grande! Divertimento!»
 
 «Mostro!»
 
«Finito!»
 
«Uiiiii! Che scherzo! Ancoraaaa!»
 
O solo apparentemente nonsense e, in realtà, molto minaccioso.
Chiunque avesse mai pensato che i Furby fossero creature demoniache e non giocattoli per bambini, sentendo tutto ciò e guardandoli marciare verso l’ignoto -o forse verso i Decepticon?- si sarebbe senz’altro convinto di avere ragione…
 





Se ve lo state chiedendo, sì, sono parole prese dal vero dizionario dei Furby. Le ho messe in italiano e non in furbish, ma non cambia il significato xD
   

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Capitolo 9
*** Pioggia velenosa (parte 2) ***


9

PIOGGIA VELENOSA (PARTE 2)

 

 

 

 

 

 

 

 

 «Avevate detto di aver captato i loro segnali in questo posto, come sarebbe a dire che “Non ci sono più”?!... sapevo che non dovevo affidare questo lavoro a un buono a nulla come te, Cyclonus!»
 
I Decepticon, guidati dal Minicon Sonar e grazie alla triangolazione finale effettuata da Cyclonus, erano riusciti a trovare la base degli Autorobot e avevano usato il vortice deformante per teletrasportarvisi dentro, precisamente in un lungo corridoio privo di qualunque stanza ai lati.
Il loro intento era di far sì che Sonar si riunisse ai suoi due “fratelli”, così da dar vita a un’arma potentissima chiamata Spada Stellare che, Megatron ne era convinto, una volta nelle sue mani lo avrebbe portato a stravincere senza che gli Autorobot avessero possibilità di scampo.
Peccato solo che quella base non ci fosse alcun segno della presenza degli Autorobot e tantomeno dei Minicon: Sonar, confuso quanto loro, diceva che non erano più lì.
 
«Ma la base l’ho trovata! Ci siamo dentro!» protestò l’elicottero.
 
«Cosa ce ne facciamo della base se non ci sono dentro i Minicon che cerchiamo e non c’è neppure Optimus Prime da distruggere?! Idiota!» inveì Megatron «Sono sicuro che sia colpa tua, ti hanno avvistato sopra la loro base e se ne sono andati!»
 
«Un comportamento del genere mi sembra un po’strano» disse Starscream «Questa è la loro base, non sarebbe stato più sensato restare qui a difenderla?»
 
«Lo sarebbe stato, sì» ammise il comandante «Ma va’ a sapere cosa passa per la testa di quegli stupidi Autorobot».
 
«Quindi ora che facciamo? Andiamo a cercarli?» domandò Demolisher.
 
«Ma già che siamo qui approfittiamone per distruggere tutto, no?! Ye-eeeeh!» esclamò Cyclonus, mettendosi a sparare all’impazzata contro il soffitto.
 
«Falla finita, potrebbe essere tutta una trappola!» sbottò Starscream, guardandosi attorno.
 
«Uuuh, quanto la fai lunga» sbuffò il mech «Abbiamo capito che sei il noioso del gruppo, non c’è bisogno di fare di tutto per ricordarlo!»
 
«Siete degli ufficiali Decepticon o dei bambini? Fatela finita entrambi!» intimò loro Megatron «Perché sono destinato a essere circondato di incapaci o di gente a cui non hanno montato il cervello?!»
 
– Perché ogni capo ha i sottoposti che si merita, pezzente imbecille cornuto… un momento… –
 
–  Fred! IDIOTA! Togli i gomiti da quel pulsante! –
 
–  SCUSATEEEEEE! 
 
Dopo ciò calò il silenzio, e i tre ufficiali Decepticon evitarono accuratamente di guardare Megatron. La sorpresa di essere spiati attraverso il sistema di sorveglianza della base era stata rapidamente accantonata.
 
«Benissimo» disse il leader dei Decepticon «Dopotutto sembra che essere venuto qui possa essere utile a qualcosa. Sebbene Prime e i Minicon restino le mie priorità, dare una lezione definitiva a certi stupidi umani con la lingua troppo lunga è nella mia lista di cose da fare. Non ho dimenticato quel che è successo due settimane fa, soprattutto il fatto che il mio Minicon è stato quasi ucciso».
 
–  Dato che parli di lezione definitiva credo di non peggiorare la mia situazione se dico di essere molto dispiaciuta. Per il “quasi”. –
 
Comunicazione troncata.
 
«Non sarà una morte veloce» concluse Megatron.
 
 
 
 
 
«…ed ecco. Mi vuole morta in ogni caso, se non altro mi sono tolta un sassolino dalla scarpa» disse Rain, dopo aver troncato la comunicazione.
 
Lei, Billy e Fred erano al centro di comando. Dopo aver localizzato i Decepticon all’interno della base e aver visto che purtroppo erano vicini sia al vortice deformante, sia all’unica uscita -“Quanto gobshite si deve essere per non averne fatta una d’emergenza?!”- stavano cercando di attivare il sistema di difesa.
 
«Eppure ho fatto tutto giusto!» esclamò Billy, pestando furiosamente sui tasti «Ho controllato…»
 
Peccato che non stessero avendo molto successo, perché le funzioni di sistema stavano venendo bloccate man mano dall’esterno. Secondo Rain potevano essere solo due le ragioni: la prima era che gli Autorobot stessero tentando di proteggere le informazioni contenute nella base, la seconda era che volessero semplicemente facilitare il lavoro ai Decepticon, e una cosa non escludeva necessariamente l’altra. Secondo lei, nel dare l’ordine di bloccare i sistemi, Prime aveva sicuramente usato la prima opzione come scusa.
 
«”Impossibile attivare vortice deformante”, assurdo!» strillò Fred, notando l’ennesima funzione bloccata.
 
Erano chiusi in una base di cui non potevano usare i sistemi di difesa né, ormai, quelli di comunicazione, il cellulare di Rain era impazzito come l’altra volta e quelli di Billy e Fred non avevano numeri utili: una meraviglia. La sola cosa decente consisteva nel fatto che Rain fosse riuscita a correre in camera sua per prendere la Glock da mettere alla cintura, sebbene fosse inutile, il beneamato bazooka e un paio di munizioni.
 
«Meno assurdo di quanto tu pensi. Credo che qualcuno, dopo averci mollati qui da soli, non voglia che ci difendiamo» disse Rain «La buona notizia è che la base è grande e abbiamo tempo di pensare a dove nasconderci, quella cattiva è che difficilmente riceveremo aiuti prima che ci trovino lo stesso. Una volta gli Autorobot hanno detto che possiedono dei sensori che avvertono il calore dei nostri corpi».
 
«Quindi è per quello che Hot Shot mi trovava sempre quando giocavamo a nascondino!» si stupì Fred.
 
«Non aveva bisogno di quello, tu sei una frana!» sbuffò Billy «Rain, quindi che facciamo? Quello ti vuole uccidere, l’hai sentito!»
 
«Al momento possiamo solo restare fermi ad aspettare un qualche sviluppo».
 
«Io non capisco come fai a essere così calma in un momento del genere, cioè, anche due settimane fa lo eri abbastanza ma lì inizialmente non avevano intenzione di ucciderci!»
 
«Ti faccio questa domanda, Billy: se ora mi mettessi a strillare e correre in tondo, secondo te cosa otterrei oltre ad attirare qui quella putredine che vediamo sullo schermo?»
 
«Niente?» rispose Fred al posto dell’amico.
 
«Esatto» annuì Rain «Proprio niente».
 
Tornarono a osservare gli schermi.
 
 
– Sono solo tre umani, non c’è rischio di finire in qualche trappola, possiamo dividerci senza problemi. Potete fare danni e volontà e se trovate i ragazzini umani potete farne quel che volete, prenderli, ucciderli, non mi interessa. Se invece trovate la femmina prima del sottoscritto, prendetela e portatemela subito. Sono stato chiaro? –
 
– Ma Megatron, hai dimenticato che possono sentirci? –
 
– Se non fossero impotenti avrebbero già fatto qualcosa, Demolisher, non essere vigliacco. Io vado da questa parte – gli umani lo videro indicare davanti a sé – Voi andate in quella direzione e sparpagliatevi – stavolta indicò la direzione opposta – Ci ritroveremo a breve.  –
 
 
Videro i Decepticon dividersi. Billy e Fred si appiccicarono uno all’altro come delle alghe, più nel panico di quanto fossero prima.
 
«Oddio ci vengono a prendere!» strillò Fred.
 
Billy guardò Rain. «Adesso che facciamo?!»
 
«Che si siano divisi è un bene e anche le direzioni che stanno prendendo potrebbero avvantaggiarci. Da quel che vedo, BP2» “Bidone Parlante 2”, alias Starscream «è sulla strada per arrivare qui, ma BP4» alias Demolisher «Si sta perdendo per strada, e BP1» alias Cyclonus «Sta andando verso un vortice deformante che non funziona in ogni caso. Dunque noi adesso andiamo lì» indicò uno schermo «Verso l’unica uscita».
 
«Ossia dove sta andando Megatron! Non possiamo andare da quella parte, finiremmo dritti in mano sua!»
 
«Il corridoio che porta all’uscita è libero e a giudicare dalle strade che hanno preso non incontreremo ostacoli. Se io andassi avanti e il cornuto mi vedesse credo che non si metterebbe a cercare anche voi due. Io lo distrarrò, voi andrete fuori dalla base e vi allontanerete abbastanza da far tornare a funzionare questo» concluse Rain, porgendo a Billy il proprio cellulare «C’è una nota per te. Se entro un quarto d’ora non mi vedrai fuori dalla base, aprila e fai tutto quel che c’è scritto».
 
«Non posso lasciare che rischi di nuovo l’osso del collo per cercare di mettermi al sicuro, è già successo una volta di troppo e non voglio che accada due volte in un mese!» protestò Billy.
 
«Se si salvano due persone su tre è comunque un successo. Non verrai lasciato solo, non ti preoccupare» ribatté Rain, spingendo Billy e Fred fuori dalla stanza.
 
«Sai benissimo che non è per quel-»
 
«Silenzio» gli intimò la donna «Meno rumore facciamo, meglio è».
 
Come Rain aveva previsto e soprattutto sperato, giunsero senza intoppi fino al corridoio di cui lei aveva parlato.
 
«Voi restate indietro. Muovetevi quando sentite il bazooka, siate veloci e state attenti. Ci vediamo dall’altra part- Billy, lasciami» gli ingiunse Rain, pur capendo perfettamente cosa gli stesse passando per la testa.
 
Billy la trattenne ancora. «Non puoi andare! Non voglio che tu vada!»
 
«Nemmeno io voglio…» mormorò Fred, tirando su col naso.
 
Neppure Rain lo avrebbe voluto.
Lei avrebbe voluto continuare a vivere tranquilla con il suo pappagallo, le sue candele e suo cugino, avrebbe voluto tornare nella sua casa in Irlanda e magari far sì che la relazione a distanza col suo fidanzato diventasse, come dire, un po’meno a distanza.
Non aveva certo preventivato di morire a ventisette anni -perché a dirla tutta pensava di avere ben poche speranze di riuscire a sopravvivere- per colpa di un robot gigante che gliel’aveva giurata, e poco importava che non avesse chiesto lei di essere coinvolta e che fosse stato lui a rapirla dando inizio a tutto.
Di una cosa comunque era sicura: avrebbe tentato di vedere cara la pelle e, se Billy si fosse salvato, non sarebbe stato invano.
 
«Ha detto che non sarà una morte veloce, se non mi calpesta o colpisce in pieno con il laser ho delle possibilità. Non c’è molto altro da fare per cui, Billy, ricordati quel che ho detto riguardo la nota. E mi raccomando…» si sfilò dalla presa del cugino «Usate sempre i sottobicchieri».
 
Avrebbe potuto dire tante cose ma quella era stata la prima a balenarle in mente, nonostante la situazione.
 
Corse in fondo al corridoio, il cui sbocco era leggermente a destra rispetto all’uscita della base, e affacciandovisi vide immediatamente il cybertroniano che più odiava tra tutti quelli che conosceva, il solo in grado di superare Optimus nella sua classifica. Insieme a lui c’era anche un Minicon ma Rain non gli diede peso.
Lo vide intento a osservare l’uscita, ghignare e sollevare il cannone che aveva su un fianco, e concluse che doveva aver deciso di rendere inagibile quella via di fuga; una cosa che lei, nell’ottica di lasciar fuggire cugino e amico, non poteva permettergli.
Muovendosi verso destra in modo svelto e silenzioso, in modo da prepararsi alla fuga che sarebbe seguita, Rain si trovò a pensare che non lo ricordava così tanto grosso. Era una donna combattiva e  aveva in mano un bazooka con cui aveva minacciato più volte Prime e compagnia, eppure fu costretta ad accantonare la sgradevole sensazione di essere abbastanza… inerme, in confronto a quel coso.
Il che la fece solo arrabbiare di più.
 
Il colpo di bazooka che sparò l’attimo dopo colpì in pieno la spalla destra del transformer che, colto totalmente di sorpresa, non era riuscito a spostarsi in tempo.
 
«COSA?! TU!-»
 
 Ne conseguì un’esplosione che, pur non danneggiando la parte al punto di far cadere il braccio, lo rese pressoché inservibile. Ringhiando come una bestia feroce ferita e digrignando i denti, Megatron si rese conto di poter muovere a malapena le dita e, dopo aver fatto scendere Sonar, si lanciò all’inseguimento della femmina umana che si era data alla fuga subito dopo aver sparato.
Non che fosse un problema: lui aveva le gambe molto più lunghe.
 
«Tu non hai idea di quello che hai fatto! Hai commesso il più grosso errore della tua miserabile esistenza e non la passerai liscia!»
 
“Con questo se non altro ho liberato il passo a Billy. Credo di poterlo considerare salvo” pensò Rain, rendendosi conto di quanto fosse complicato cercare di ricaricare un bazooka mentre si era di corsa.
 
Seppur malamente, perché usare con la mano sinistra un cannone che stava a destra non era la cosa più comoda del mondo, Megatron riuscì a prendere la mira e sparare un colpo davanti a Rain, a poca distanza da lei.
 
La donna riuscì a scartare di lato, imprecando violentemente in gaelico, tuttavia non riuscì a evitare le onde d’urto del colpo. Finì a terra, il bazooka insieme a lei, e il proiettile appena caricato esplose inutilmente contro una parete.
 
“Maledizione!...”
 
Si riparò il volto dai detriti e i frammenti che ne conseguirono, recuperò il bazooka, lo caricò con l’ultimo proiettile che le restava e cercò di rialzarsi in piedi, salvo trovarsi a sibilare di dolore: doveva essere caduta male, o così suggerivano le fitte alla caviglia sinistra. Per un attimo barcollò perfino e, quando sollevò gli occhi, incrociò lo sguardo soddisfatto del suo inseguitore.
Le sue mani agirono prima che il cervello potesse metterci becco, ed ecco che l’ultimo colpo che Rain poteva sparare finì dritto contro il soffitto.
 
«Mancato» commentò Megatron.
 
«Gobshite» replicò lei.
 
Il soffitto sopra a Megatron esplose e parte crollò addosso a lui mentre Rain, sapendo di offrire uno spettacolo piuttosto miserevole in quel momento, cercò di allontanarsi il più possibile con una corsa zoppicante.
Sapeva che la mossa che aveva fatto non avrebbe fermato il suo nemico -che, aspettandoselo, si sarebbe di certo spostato qualora lei avesse tentato di sparargli direttamente- però sperava di poter riuscire a guadagnare abbastanza tempo per scappare e ritardare quel che aveva iniziato sempre più a sembrarle inevitabile.
I rumori dietro di lei suggerivano che Megatron si fosse sbarazzato di ciò che gli era crollato addosso e che avesse ripreso a seguirla. Non stava neppure correndo, contrariamente a quanto tentava di fare lei; probabilmente si era reso conto di avere la vittoria in tasca e, se non l’aveva già raggiunta, era solo per il gusto di vederla affannarsi inutilmente ancora un po’.
 
«Avevo iniziato ad aspettarmi qualcosa di meglio» lo sentì dire.
 
Arrivata a una deviazione, Rain imboccò la strada a destra. Non ci aveva riflettuto sopra, l’aveva fatto solo perché era la più vicina e sapeva che neppure questo sarebbe servito a qualcosa. Non sarebbe servito neanche infilarsi in qualsiasi stanza eventualmente presente lungo la strada.
 
«Dov’è tutta la spavalderia di due settimane fa? Quando eravamo faccia a faccia mi avevi detto che me la stavo cavando con poco, "per ora”. Chi osa parlare così dovrebbe avere valide ragioni, invece scommetto che ti sei rintanata qui per tutto questo tempo» infierì lui, continuando ad avanzare «Terrorizzata, sperando che gli altri “bidoni parlanti” riuscissero a proteggerti dal sottoscritto. Peccato che Prime sia un incapace e che quel che tu puoi fare da sola sia tutto qui».
 
«Per tua fortuna, direi. Ti fa più male aver riconosciuto di essere un bidone parlante o il braccio che non puoi muovere?»
 
Megatron fece una smorfia irritata. «Le chiacchiere sono tutto quel che ti resta e lo sai. Infatti non stai più scappando».
 
Rain si era fermata. Aveva capito di aver imboccato la direzione sbagliata, una che non l’avrebbe condotta in qualsiasi corridoio ma che era semplicemente senza uscita. Proseguendo avrebbe trovato solo una stanza della base in cui c’era un po’di ciarpame e nella quale sarebbe stato perfettamente inutile entrare.
Estrasse la Glock dalla fondina, immaginando correttamente che quel gesto non avrebbe allarmato il suo avversario: in fin dei conti non solo non gli avrebbe fatto nulla ma… non era per lui.
Era una scelta ardua da compiere e infatti le tremava leggermente la mano, ma non avrebbe mai lasciato a quel cornuto la soddisfazione di ucciderla.
 
«Puoi provare a spararmi anche con quella, se ne hai tanta voglia» disse il leader dei Decepticon, dopo una risata «Abbiamo tempo. A non averne invece sono gli altri due ragazzini, immagino che ormai i miei uomini li abbiano presi».
 
«Erano dietro di me e sono usciti appena ti sei messo a inseguirmi, shtate. Non sai nemmeno riconoscere un diversivo, se il Minicon era tuo non c’è da stupirsi che fosse intelligente quanto un frullatore rotto e che tu in milioni di anni non sia ancora riuscito a battere quello pseudo messia pacifista sulla pelle altrui che è Prime. In un modo o nell’altro si pentirà di aver lasciato me e gli altri qui dentro. Non finisce qui».
 
“A quanto pare condividiamo almeno l’opinione su Prime. Questo però non cambia niente e io ho ascoltato abbastanza deliri” pensò Megatron, chinandosi con l’intento di afferrarla.
 
Fu allora che accadde l’imprevisto.
 
«Tutu-ttu-tu! Tutu-ttu-tu! Buongiorno!»
 
«Buongiorno!»
 
«Me! Affamato!»
 
«Affamato!»
 
«Affamato! Affamato!»
 
«Me! Mangiare!»
 
«TEEEEEEEEE!»
 
Dall’unica stanza a lato del corridoio, Megatron e Rain videro uscire dei piccoli esseri strani e chiassosi che si stavano avvicinando loro molto velocemente e cicalecciando.
Man mano che la distanza si riduceva, Rain comprese con enorme sorpresa che si trattava nientemeno che della sua collezione di Furby.
Come potevano essere lì?! E perché erano così tanto… vivi?
Lo stupore però passò quando concluse che potevano essere impazziti come il suo cellulare, era perfettamente logico.
 
«Cosa sono quegli affari?!»
 
Sentendo quell’esclamazione, Rain diede un’occhiata a Megatron: se prima era tranquillo e soddisfatto, in quel momento sembrava alquanto inquieto e preda di una tensione crescente.
Aveva perfino iniziato a indietreggiare, seppur molto lentamente, ma si sveltì quando i Furby arrivarono a due metri da loro.

La donna non riusciva a spiegare in modo razionale un simile comportamento, non aveva alcun senso. A meno che…
 
“Non ditemi che questo cornuto di non so quanti metri ha la fobia dei Furby, vi prego” pensò Rain, guardando con tranquillità la piccola armata di Furby circondarla con una specie di strano balletto.
 
Megatron fece altri due passi indietro.
Lui era uno che non temeva nulla, né cybertroniani né mostri. Sarebbe stato capace di andare all’assalto di un nemico apparentemente impossibile da uccidere, di attaccare un demonio transformer grosso quanto un pianeta, di ridere di fronte a una divinità che ne mangiava un’altra e anche di peggio senza fare una piega, tanto era sicuro di sé stesso e delle proprie capacità.
Ma…
 
«Tutu-ttu-tu! Tutu-ttu-tu!»
 
«Tutu-ttu-tu! Tutu-ttu-tu!»
 
C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quegli affarini, dei dettagli che non riusciva a mettere a fuoco ma facevano un effetto strano se incrociati con la sua programmazione, un effetto che gli stava urlando a gran voce di girare sui tacchi e lasciare che fosse quella donna pazza a essere… cosa? Divorata? Non lo sapeva neppure lui.
 
«Tutu-ttu-tu! Tutu… ttu…»
 
«Tttu…»
 
«Tttu».
 
Le voci fastidiose di quei cosi iniziarono a diventare più profonde e distorte, i movimenti del loro balletto sempre più scoordinati, fino a fermarsi del tutto.
Poi si voltarono tutti simultaneamente verso di lui, dando l’impressione di fissarlo coi loro sguardi vacui come quelli di un cadavere.
 
«Iä! Iä! Cthulhu fhtagn!»
 
Dopo quell’esclamazione corale, i mostriciattoli fecero una specie di balzello verso di lui, cosa che lo fece indietreggiare ancora.
 
«State lontani da me! Altrimenti-»
 
«Iä! Iä! Cthulhu fhtagn!»
 
«Iä! Iä! CthuLHU FHTAGN!»
 
«Iä! Iä! CTHULHU FHTAGN!!»
 
Le voci divennero ancor più distorte di prima, alzandosi d’intensità a ogni ripetizione di quella cantilena fino a diventare un urlo unico, accompagnato dal suono di balzelli in avanti che erano diventati continui, una serie costante di rumori molto simili a “Tekeli-li! Tekeli-li!
 
«Iä! Iä! CTHULHU FHTAGN!» urlarono i Furby, facendo pensare che sarebbero esplosi da un momento all’altro.
 
Rain crollò in ginocchio e alzò le braccia verso il soffitto, con gli occhi rovesciati all’indietro a mostrarne solo la parte bianca.
 
«Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn».
 
In tutta la vita non avrebbe mai pensato di poter recitare, con un vero motivo per farlo, la litania ritualistica del grande Cthulhu in qualsiasi posto diverso dai raduni per appassionati di H. P. Lovecraft; se ciò, assieme all'altrui fobia dei Furby, l’avesse salvata dalla morte, probabilmente avrebbe iniziato a credere veramente nell’esistenza delle mostruose divinità che lo scrittore aveva inserito nei propri racconti.
 
I Furby emisero un grido inintelligibile, più forte di tutti gli altri, che convinse definitivamente Megatron a ritirarsi. Non avrebbe avuto la soddisfazione di ucciderla lentamente, non in quell’occasione, ma era esasperato da quella faccenda e non vedeva l’ora di mettere quanta più distanza possibile tra se stesso e quei cosi. Si allontanò ancora, senza togliere loro gli occhi di dosso.
 
«Stavolta hai avuto fortuna, strega pazza, ma quei cosi non ci saranno sempre e la prossima non-»
 
Avrebbe voluto dire “non andrà così” ma venne strattonato e sbattuto contro il muro da un pugno di un’eccezionale potenza che gli risultava piuttosto familiare.
 
«Non sei il benvenuto nella mia base, Megatron! Vai via da qui!»
 
Rain sollevò un sopracciglio, di nuovo circondata da Furby che continuavano a salmodiare inneggiando a Cthulhu -a un volume ragionevole, però.

"Prime... ma tu guarda".

In teoria avrebbe dovuto essere felice di vedere Optimus, in pratica si chiedeva solo: “Cos’aveva mandato a monte il suo piano di lasciarla morire lì dentro?”
 
 
 
 
 
.:: Poco prima ::.
 
 
 
 
 
«Siamo usciti, ce l’abbiamo fatta!» esclamò Fred «Eeee abbiamo anche salvato un Minicon, mi sa…»
 
Quando Billy e Fred si erano trovati davanti Sonar e gli avevano detto di scappare con loro, il Minicon non aveva impiegato molto a dire di sì. Benché i Decepticon non gli avessero fatto del male in alcun modo, preferiva cercare di riunirsi ai suoi due fratelli senza essere nelle mani di Megatron.
 
«Ma ora il punto è-»
 
«Chi se ne importa del Minicon!» sbottò Billy, arrabbiato quanto preoccupato a morte per il destino della cugina «Rain è ancora là dentro e non intendo limitarmi ad allontanarmi e aspettare! Dobbiamo cercare di far sapere agli Autorobot cosa sta succedendo!»
 
Se lei fosse morta non avrebbe mai smesso di sentirsi in colpa, lo sapeva per certo, sia per essersi dovuto lasciar salvare un’altra volta sia per non aver imparato a usare un bazooka in tempo utile. Se non altro avrebbero potuto battersi insieme, pensava Billy, e invece…
 
«A-anche io lo vorrei, però come li troviamo?» gli domandò Fred «Sono fuggiti via, non abbiamo i numeri degli altri e poi Rain sembra dare per scontato che non ci avrebbero aiutati, non ci ha neanche detto di fare un tentativo… forse… forse parlava degli Autorobot quando diceva che non volevano che ci difend-»
 
«E DI NUOVO CHI SE NE IMPORTA! LEI NON È INFALLIBILE!» gridò Billy «Tutto credo ma non che gli Autorobot ci vogliano morti, va bene?! Solo che… non so come fare…»
 
Fred, notando un movimento veloce in aria a poca distanza da loro, socchiuse gli occhi. «Billy… Billy! Billy, guarda! È Laserbeak!» strillò.
 
Una speranza.
Forse Rain poteva essere salvata.
 
Intanto gli Autorobot, piuttosto tesi come i tre ragazzini che erano con loro, stavano ancora a distanza.

Vedendo Billy e Fred uscire dalla base molto agitati, per di più con un Minicon mai visto prima, avevano ritenuto opportuno mandare lì Laserbeak per dare un’occhiata più da vicino e cercare di capire cosa stava succedendo, perché la situazione era abbastanza confusa.
 
«Sì… parlo io» disse Rad «Billy, Fred, qui è Rad. Dove avete preso quel Minicon e cosa sta succedendo lì dentr-»
 
– I Decepticon hanno attaccato la base, Rain ha affrontato Megatron per farci fuggire! – lo interruppe Billy – Gli ha sparato ma non può farcela da sola e se anche se la facesse ci sono gli altri tre! Ha bisogno d’aiuto, dovete sbrigarvi, Megatron la ammazzerà! –
 
«E se fosse una trappola? Se si fossero alleati lei, i Decepticon e chissà chi altro e stessero cercando di attirarci nella base?» ipotizzò Alexis «E se-»
 
– E se la piantassi di fare la paranoica e di sputare veleno su mia cugina?! Cazzo se aveva ragione quando mi diceva di lasciarti perdere! –
 
«COOOOOSA?! Come ti permetti?!» si infuriò Alexis «Non è colpa mia se si comporta da pazza, prima era-»
 
– Ehm. Era contenta per la candela – disse Fred – Quella che non producono più. Era di buonumore per quello. 
 
«La candela» ripeté Optimus.
 
«In effetti ne ha parlato anche a me ieri sera» disse piano Hot Shot «Della candela… quindi è probabile che sia davvero così?»
 
«I Decepticon però non sapevano dov’era la nostra base, come l’hanno trovata se non è stata lei a dar loro le coordinate?» domandò Rad.
 
«Il Minicon che è con Billy e Fred è nuovo, forse è l’ultimo di quelli che compongono la Spada Stellare. Ci hanno trovati così» disse Red Alert «Usando i segnali degli altri due Minicon, solo che noi abbiamo evacuato la base appena in tempo per evitarli. Peccato che…»
 
«Che tra questo e l’averti fatto bloccare il sistema abbiamo rischiato la vita di tre civili umani, e che una la stia rischiando ancora» completò la frase Optimus.
 
Prime in parte si giustificava ancora, perché come avrebbe potuto evitare di pensare male di fronte allo strano comportamento di Rain?! Era stata gentile e lei non era mai gentile, infatti non era stato il solo a pensare male!
D’altra parte però si rimproverava per l’impulsività della sua decisione, totalmente sbagliata e con possibili conseguenze che avrebbero cozzato duramente contro la sua morale. Era un leader e un essere con milioni di anni di età, avrebbe dovuto valutare meglio la situazione.
 
«Hot Shot, tu che hai con te gli altri due Minicon vai a prendere il terzo» ordinò «La Spada Stellare ci servirà contro i Decepticon. Red Alert, fai ripartire il sistema e il vortice deformante. Torniamo dentro!»
 
«Sissignore!»
 
– Quindi volete aiutarci? Non ci avete lasciato senza difese per cercare di, ecco… uccidere Rain e forse anche noi? 
 
«Assolutamente no, non pensateci neppure» affermò Optimus, stupito per quel che aveva sentito.
 
“Difficilmente un pensiero del genere potrebbe venire davvero da Fred”.
 
Entrando nel vortice deformante, Optimus pensò che se Rain fosse sopravvissuta forse sarebbero venuti tempi duri.
 
 
 
 
 
.:: Ora ::.
 
 
 
 
 
«Rain! Tutto bene?!»
 
“E cosa ci fanno qui quei giocattoli che erano nella sua stanza?!” si chiese Optimus, sorpreso ma non spaventato dalla presenza dei Furby.
 
Era solo una delle cose che in seguito avrebbe dovuto chiarire con lei, perché anche il fatto che Megatron si stesse allontanando lasciandola illesa era molto strano, tanto più visti gli evidenti segni di lotta trovati lungo la strada che aveva percorso per arrivare lì.
 
«Sto bene» rispose la donna «Non grazie a te».
 
«Ne parliamo dop-»
 
Un diretto in faccia da parte di Megatron interruppe Optimus, che venne poi preso, sbattuto a terra e colpito con una cannonata.
 
«Già che sei qui, Prime, ti consiglio di darmi i Minicon della Spada Stellare. Altrimenti…»
 
Prime, seppur dolorante, si rialzò di scatto, assestando una testata all’avversario. «Non li avrai mai, Megatron! Tutti e tre sono già in mano a qualcuno molto più meritevole di te!»
 
«E quel qualcuno sono io!» esclamò Hot Shot, irrompendo sulla scena con un salto teatrale e la Spada Stellare sguainata.
 
Avrebbe fatto meglio a tacere dato che, proprio sentendolo, Megatron riuscì a evitare il colpo e perfino a farlo volare contro il muro con calcio all’altezza dell’addome. «Quella Spada appartiene a me! A Megatron! Non sei all’altezza di quell’arma!»
 
«Disse il genio che si è fatto danneggiare un braccio da me» commentò Rain ad alta voce.
 
«Taci, strega!» sbraitò Megatron «Tu e io prima o poi regoleremo i conti!»
 
«PUOI SCORDARTELO!» urlò Hot Shot, tornando all’attacco con un fendente.
 
Stavolta non mancò il bersaglio, e parte di una delle corna di Megatron venne tagliata via, andando a conficcarsi nel pavimento metallico come se fosse stato fatto di burro.
 
«Demolisher! Starscream! Cyclonus! Dove siete andati a finire, maledetti incapaci?!» cercò di contattarli Megatron, senza ricevere risposta.
 
«Ci siamo occupati di Cyclonus appena tornati, Demolisher è stato neutralizzato da Smokescreen e a Starscream ha pensato Red Alert» lo informò Optimus, che aveva appena ricevuto la notizia via comm-link «Sei solo. Arrenditi e vattene da qui una buona volta!»
 
«“Vattene”? Non esiste. Hot Shot! Eejit! Ficcagli nel petto quella maledetta spada! Uccidilo!» esclamò Rain «La guerra finirà, potrai tornare a casa e vivere tranquillo! Uccidilo! FALLO! »
 
«Decepticon…» avviò a dire Megatron.
 
Hot Shot sollevò la Spada.
Ricordò quello che aveva detto a Rain quella notte. Lui voleva vivere in pace, tutti volevano vivere in pace, ma finché Megatron fosse stato in vita non sarebbe stato possibile. Erano Autorobot e non dovevano uccidere a meno che fosse strettamente necessario -così diceva il loro codice e lui di solito lo rispettava- ma forse uccidere Megatron lo era. Era necessario per concludere quella faccenda una volta per tutte, così da poter tornare a casa a ricostruire.
Cosa c’era di sbagliato nel suo desiderio?
 
«Hot Shot! Fermo!»
 
La mano del giovane Autorobot, al richiamo di Optimus, si fermò a mezz’aria.
 
«…ritirata» concluse Megatron, teletrasportandosi via col vortice deformante.
 
«Maledizione!» sbottò Rain.
 
L’aveva scampata e ne era felice, oltre che ancora incredula per le dinamiche con cui era successo, però era soddisfatta solo a metà. Guardando i Furby, tornati a essere immobili, pensò che sarebbe sempre stato così fino a quando quel cornuto non l’avesse pagata per davvero.
Quando cercò di alzarsi in piedi notò subito che ovviamente le condizioni caviglia erano peggiorate un po’, e si augurò che tornasse presto a posto.
 
«Non è onorevole colpire un nemico che si sta ritirando, Hot Shot» disse Optimus, pacato quanto deciso «Non è il modo in cui agisce un Autorobot».
 
«Sì… io… hai ragione, Optimus. Mi sono lasciato trascinare. Ma giuro che d’ora in poi userò la Spada Stellare solo nel rispetto delle regole, per fare del bene e per proteggere l’Universo».
 
«Bravo. Sono i metodi che usiamo a renderci migliori dei nostri nemici» continuò Optimus «Se ci abbassassimo al loro livello cosa rimarrebbe?»
 
«Rimarrebbero una guerra vinta e la pace che dici di volere, perché i Decepticon non si aspetterebbero un comportamento meno “onorevole” del solito» disse Rain, avvicinandosi a loro con passo claudicante «Solo che qui il buonsenso non sta di casa e sono tutti quanti a pagarne le spese».
 
«Mi dispiace di non essere arrivato prima» disse Hot Shot, decidendo comunque di non darle ascolto «Non avevamo idea di cosa stesse succedendo… io all’inizio non avevo idea neppure di quale fosse il motivo dell’evacuazione…»
 
«Il tuo capo mi vuole morta. Non so cosa ti abbia detto ma in realtà è questo».
 
«Tu sei ferita e sicuramente sconvolta per l’accaduto» disse Optimus, cercando di mantenere la calma «Cosa di cui mi rincresce e sono disposto a prendermi la colpa, perché se fossi stato meno impulsivo non sarebbe successo, però ti chiedo di riflettere un secondo: se veramente ti avessi voluta morta non pensi che avrei potuto lasciar fare Megatron, invece di salvarti? O che avrei potuto provvedere io stesso e dare la colpa a lui?»
 
Rain, indicando Optimus con un cenno del capo, si rivolse a Hot Shot. «Capisci quali sono le idee al di là delle belle chiacchiere?»
 
“Primus, ti prego, dammi la forza e la pazienza” pensò Optimus. «Rain, io non voglio il male di alcun essere umano, neppure il tuo, che tu ci creda o meno. Non avevo e non ho in mente alcun piano contro di te e nessuno di noi sapeva dell’attacco dei Decepticon, posso giurartelo sulla mia stessa vita se vuoi. Io sto ospitando te e Billy nella base proprio per tenervi al sicuro…»
 
«Non più» ribatté Rain «Io e Billy torniamo a casa, se il tuo “tenerci al sicuro” è questo allora è perfettamente inutile vivere qui».
 
«Non credo sia una buona idea» disse Optimus, nonostante l’idea di non averla più nella base tutto il giorno e tutti i giorni fosse suo malgrado fonte di gaudio e tripudio, quasi al punto di mettersi a fare il trenino che gli umani facevano a… come lo chiamavano? “Capodanno”.
 
«Me ne vado ugualmente».
 
«Possiamo sempre fare in modo che tu possa mandarci un SOS in caso di bisogno, col vortice deformante faremmo in un attimo. Arriverei sul posto per primo, contaci!» disse Hot Shot «Non vedo l’ora di vedere la Spada Stellare di nuovo in azione!»
 
«Potrei pensarci su» concesse Rain, conscia di non essere a posto fisicamente «Ogni altro accesso non autorizzato però sarà trattato come un’invasione, sia chiaro».
 
Optimus si lasciò sfuggire un sospiro. «In ogni caso, prima dovremmo parlare di quel che è successo qui dentro prima che arrivassimo. Il blocco del sistema a un certo punto ha staccato anche quello di sorveglianza…»
 
«Potevi pensarci prima».
 
L’arrivo dei ragazzini e del resto degli Autorobot tutti in blocco impedì a Optimus di risponderle, e alla fine lo stesso Prime concluse che forse era meglio così: avrebbe rischiato di essere meno gentile di quanto fosse la propria natura.
Avrebbe scoperto cos’era successo in un modo o nell’altro, forse qualche telecamera aveva fatto in tempo a registrare qualcosa di utile prima di spegnersi, o forse sarebbe tornato sull’argomento dopo un po’di tempo.
 
«Rain! Stai bene?!» corse da lei Billy, indescrivibilmente sollevato nel vederla viva «Che ti ha fatto Megatron?! Mi dispiace di averti lasciata qui dentro, avrei dovuto aiutarti, non avrei dovuto fuggire, giuro che imparerò a usare il bazooka anche io!»
 
«E io pure!» aggiunse Fred «Sono tanto contento di vedere che sei viva!... eeehi! Ma quello non è un corno di Megatonno? Glielo hai staccato tu?!»
 
«No, è stato Hot Shot. Io gli ho solo rotto un braccio…»
 
Rad, rivolgendosi ad Alexis, fece spallucce. «Dopotutto non era in combutta con nessuno, visto?»
 
«Pare di no… ma non sono convinta lo stesso, e Billy non mi ha ancora chiesto scusa!» sbuffò «Gliela posso far passare solo perché so che era preoccupato».
 
«Ovvio che lo fosse. Vive con lei e le è affezionato» le ricordò Rad.
 
«AAAAAAH!» urlò Carlos, accortosi del gruppo di Furby immobili, correndo a rifugiarsi dietro Alexis «Quei cosi no, eh! I Furby no! Quello che avevo da piccolo parla ancora nonostante gli abbia tolto le batterie, sono bestie del demonio, una volta ne ho sognato uno gigante che sparava laser dagli occhi!»
 
Billy, che una volta notata la caviglia di Rain aveva voluto farle da appoggio, la vide schioccare leggermente le dita con aria pensierosa.
Non ebbe il coraggio di chiedere cosa le passasse per la testa, non in quel momento.
 
«Quindi torniamo a casa?» le domandò.
 
«Sì. È molto meglio così… però» indicò il mezzo corno di Megatron «Quello lì viene con noi!»  

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Capitolo 10
*** SPECIALE- Pioggia... verde smeraldo! ***


SPECIALE

PIOGGIA… VERDE SMERALDO!

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo un po'crossover con una certa serie di fanfiction ambientate in "Ultimate Muscle" :D questo speciale è dedicato più che altro a chi le conosce anche solo un po', però dovrebbe risultare carino anche per chi invece non le conosce.
Vi consiglio vivamente di iniziare a leggere quando sapete di avere abbastanza tempo a disposizione, perché è lunghetto. Buona lettura!







Alexis, desiderosa di dedicarsi allo studio qualche ora senza ragazzi chiassosi attorno, era uscita di casa con l’intento di andare alla solita caffetteria. Ormai solo qualche decina di metri di distanza la separava dalla sua destinazione finale, e se non si fosse trovata davanti quella ragazza l’avrebbe raggiunta già da un po’.
 
“Mi pare di averla già vista, però non ricordo assolutamente dove…”
 
Seduta sullo schienale della panchina accanto alla fermata del bus, la persona in questione stava fumando svogliatamente una sigaretta dopo aver bevuto qualche sorso da una bottiglietta di plastica che aveva in mano. Il luogo dove si trovava e il borsone che aveva con sé la classificavano come straniera agli occhi di Alexis, nonostante la sensazione di familiarità.
 
«Noi due ci conosciamo?»
 
Inizialmente, colta di sorpresa, Alexis non rispose alla ragazza, dandosi della scema per essersi trovata a fissare la gente un’altra volta -e sì che l’esperienza con Rain avrebbe dovuto bastarle per farle passare la voglia.
 
«Ah ehm sì, no, io… scusami, non è mia abitudine fissare le persone, è solo… che bei capelli che hai!» esclamò.
 
Era stata la prima cosa a saltarle in mente e in fondo non diceva una bugia. Le piacevano le meches verde smeraldo sui capelli corvini di quella ragazza, lo stesso verde del suo borsone, della sua felpa leggera e, come notò poco dopo, anche dei suoi occhi. Di tutto l’abbigliamento si salvavano dalla febbre del verde solo le scarpe e gli shorts, entrambi neri.
 
«Grazie! Li ho colorati la prima volta quando avevo circa la tua età, tredici/quattordici anni insomma. Da quel momento in poi li ho tenuti sempre così» sorrise la ragazza, spegnendo la cicca sulla panchina «Senti una cosa, tu sei del posto? Sto cercando una persona che abita qui a Lincoln, ossia mia cugina, ma non so dove stia di casa di preciso e dato che questa è una cittadina piuttosto piccola magari potresti dirmi se sai qualcosa… dopo aver mangiato però» aggiunse, portandosi una mano allo stomaco «Non mangio niente da quando sono partita dall’Argentina».
 
«Ma è un viaggio bello lungo…» si stupì Alexis.
 
«Se ci aggiungi i plurimillanta scali che ho fatto diventa pure peggio!» esclamò l’altra «Erano bei tempi quelli dove avevo una compagnia aeronautica, cazzo».
 
«Avevi una che?»
 
«C’è un posto dove si mangia?»
 
«Una caffetteria. Là» disse Alexis, indicandola «Ci stavo andando, prima di… questo».
 
«Possiamo andarci in due, così mentre eventualmente mi dici dove posso trovare mia cugina ti offro qualcosa, ok? Ok. Comunque mi chiamo Emerald» disse la forestiera, porgendo la mano destra ad Alexis dopo essersi alzata dalla panchina.
 
In ciò la ragazzina notò che Emerald, oltre ad essere magra, pur essendo adulta era un po’ più bassa di lei. Strinse la mano. «Alexis. Sicura di volermi offrire qualcosa? Non è detto che riesca a esserti utile».
 
Emerald fece spallucce. «Eventualmente saresti in grado di consigliarmi un albergo decente?... sì? A posto».
 
Nel raggiungere la caffetteria, ad Alexis venne in mente un dettaglio. «Non che non voglia darti una mano ma, ora che ci penso, tu non hai il numero di questa cugina sul cellulare?»
 
«Sì, però non ho il cellulare perché quel vecchio porcello che non è altro si è mosso quando gliel’ho lanciato contro, giustamente mica poteva fare una cosa buona e restare fermo!» sbuffò Emerald «Quindi si è rotto!»
 
«Ehm… vecchio porcello?»
 
«Te lo dico ora e cerca di tenerlo a mente per il futuro: se quando crescerai inizieranno a ronzarti attorno degli strani wrestlers sessantenni mezzi robot con indosso tutine aderenti, disponi una trappola per pantegane e poi datti alla fuga! Ecco!» esclamò Emerald, bevendo qualche altro sorso dalla bottiglietta di plastica.
 
Ora che Alexis era più vicina e poteva sentirne l’odore, notò che forse suddetta bottiglia non conteneva acqua, ma roba alcolica molto forte. «Forse… non è un po’presto per quella? Sei anche a stomaco vuoto».
 
«Arriva anche tu a venticinque anni e ne riparliamo» replicò Emerald, mentre entravano in caffetteria «Chissà se si è reso utile e ha almeno risistemato casa, quella pantegana psicotica…»
 
Il discorso per Alexis stava prendendo una piega sempre più preoccupante, sembrava che Emerald nel suo essere brilla stesse accennando a un qualche tipo di violenza domestica o roba del genere. Alexis aveva solo tredici anni ma nelle scuole c’erano associazioni di femministe che iniziavano a parlare presto di certi argomenti, e una delle cose che ripetevano più spesso era che bisognava tenersi lontane da certi tipi di uomo e aiutare le persone vittime di violenza a denunciare.
 
«Ma quest’uomo di cui parli ti ha fatto del male? Avete litigato?»
 
«Di sicuro ci ho litigato, solo che non ricordo il motivo. Eravamo stati in giro per locali e avevo bevuto due o tre bottiglie di tequila, poi ricordo che siamo tornati a casa abbiamo cominciato a discutere di non so cosa spaccando mezzo salotto come al solito, io dovrei avergli sparato ma non penso di averlo colpito e poi boh, l’ultimo ricordo che ho è aver urlato che andavo da mia cugina. Mi sono risvegliata nell’aereo…»
 
“Forse è lui che avrebbe bisogno di aiuto, non lei” pensò Alexis, attonita da quel racconto.
 
«E mi sono detta “Vabbè, tanto ormai ci sono”!» continuò Emerald «E comunque non è un male starmene per un po’ in un posto tranquillo. Scommetto che non succede granché qua in giro, neh?»
 
“A parte una guerra tra robot giganti provenienti dallo Spazio no, non succede niente” sospirò Alexis. «Forse per te potrebbe essere un po’noioso, Emerald…»
 
Nel dire ad alta voce il nome di quella ragazza, ad Alexis suonò in testa un campanello, specie accostando il nome a un dettaglio del racconto, il “dovrei avergli sparato”.
 
«… e due di quelli! E quattro di questi! E tutto quel vassoio» disse Emerald, rivolta al ragazzo al banco dei dolci «E alla figliola… tu che vuoi?»
 
«Un milkshake» disse Alexis.
 
«Un milkshake, grazie!»
 
«Con tutto questo cibo sarà una bella festa» commentò il ragazzo del banco, servendole.
 
«No no, sono per me. Ho fame!» dichiarò lei, vuotando la bottiglietta di plastica con due sorsi dopo aver pagato in contanti.
 
Alexis le si avvicinò ulteriormente. «Emerald, non vorrei sbagliarmi ma ho iniziato a pensare che forse… per caso la cugina che cerchi si chiama Rain O’Connell?»
 
«EH! Proprio!» esclamò Emerald «La conosci? Sai dove sta?»
 
«Lì all’ingresso, ha appena girato sui tacchi» disse Alexis, indicandola e sorridendo con una certa quantità di “maligna” soddisfazione.
 
Ebbe quasi l’impressione di sentire un insulto irlandese risuonare nel proprio cervello, però in quel momento non avrebbe potuto importarle meno.
 
«RAAAAAAAAAINNNNNNN!» strillò Emerald.
 
Lentamente, senza troppo entusiasmo, Rain si voltò, pensando che era proprio vero quel che diceva suo nonno riguardo il fatto che le disgrazie non arrivavano mai da sole -robot giganti, ragazzine petulanti nella caffetteria e ora questo!-.
Poi però penso anche al fatto che i parenti non si potessero scegliere e cercò di farsi animo: secondo lei la cugina Emerald non aveva tutte le rotelle a posto, questo già solo per aver divorziato da un trentenne del tutto umano per stare con uno strano lottatore sessantenne sovietico mezzo macchina, ma in fondo non era nemmeno il familiare che le stava più sulle scatole.
 
«Ciao, Emerald» la salutò «Come mai q-»
 
«Minchia quanto sei diventata alta, s-shei venti centimetri più di me eeeh!» farfugliò Emerald, ormai brilla, misurando l’altezza con una mano.
 
«In dodici anni si cresce» disse Rain, lapidaria «Di solito».
 
«Su Instagram si capiva l’altezza… ma non si capiva! Capisci quello che intendo?!»
 
«Capisco che sei ubriaca marcia alle quattro del pomeriggio e non posso lasciarti qui» “Purtroppo!” aggiunse mentalmente «Andiamo in macchina, muoviti».
 
«Aspè devo prendere i miei vassoi di roba! Ecco, ora possiamo anda-» ne fece quasi cadere uno, salvato per miracolo da Rain.
 
«Muoviti» ripeté la donna, già spazientita.
 
«Oook… sci vediamo, eh!» esclamò Emerald, salutando Alexis con la mano libera.
 
«Spera di no, Emerald, è meglio» sospirò Rain, trascinandola fuori dalla caffetteria.
 
«Come sarebbe?!» protestò Alexis, venendo totalmente ignorata come al solito.
 
Ringraziando il cielo che la sua nuova auto sportiva fosse da quattro posti, Rain buttò sui sedili posteriori il borsone di Emerald e la spinse quasi di forza sul sedile del passeggero, intimandole di allacciarsi la cintura. Capì di dover provvedere lei quando ricevette in risposta una risata beota, e per un attimo desiderò che Emerald fosse un Minicon e non fosse imparentata con lei, così avrebbe potuto spararle senza sentirsi in colpa.
 
 
 
 
 
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«Quindi non sai ancora nulla del motivo per cui Rain ha liberato quello spazio in giardino?»
 
Billy scosse la testa. «No, Fred, non ne ho idea. So solo che forse c’entra qualcosa Megatron».
 
«Non sei spaventato all’idea che possa venire qui? Non preferiresti tornare nella base degli Autorobot?»
 
Billy si immerse meglio nella vasca idromassaggio, poi sospirò. «Mi pare che ci abbiano raggiunti anche lì dentro, quindi tanto vale starsene a casa e chiamare aiuto se serve. Red Alert ha detto di aver potenziato i recettori Laserbeak per sentire tutti i nostri SOS da ogni parte del mondo… se fosse vero funzionerebbe anche dall’Irlanda…»
 
«Rain ha parlato di nuovo di andarsene?!»
 
«La sua idea è sempre quella» confermò Billy «Alla fine di tutta questa storia ce ne andremo. È già un miracolo che mi permetta di passare qualche pomeriggio con te e Carlos nella base».
 
«Con lei presente però!»
 
«Sempre meglio di niente».
 
Fred rimase in silenzio a riflettere per qualche secondo. «Ehi, forse ho capito cosa vuole mettere in quello spazio in giardino! Ha voluto portare via il pezzo di corno di Megatron, no? Quello che Hot Shot gli ha tagliato via. Vorrà metterci quello!»
 
Era stata una richiesta un po’ strana quella di Rain, giustificata col dire di volerlo come trofeo -“perché anche se glielo ha staccato Hot Shot noi lo abbiamo attaccato per primi!”- ma era stata accontentata senza troppe storie, probabilmente perché gli Autorobot erano tanto felici di non averla più lì ventiquattro ore su ventiquattro che un mezzo corno in più o in meno non faceva differenza.
 
«Non credo, Fred! Non so dove lo abbia messo ma so per certo che il mattino dopo essere tornati qui non c’era più traccia del pezzo di corno».
 
«Non le hai chiesto che fine ha fatto?»
 
«Nah, non mi interessav-»
 
Del trambusto proveniente dal piano inferiore interruppe il loro discorso.
 
«… IL MARSHUPIOH! Ridammelo!»
 
«Tu ora ti sdrai sul divano e aspettiamo che ti passi la sbronza, poi forse se ne riparla. Col cazzo che ti lascio tenere la pistola mentre sei ubriaca!»
 
I due ragazzini si scambiarono un’occhiata allarmata, che lo divenne ancor di più sentendo il rumore e gli strilli aumentare.
 
«Dici che dovremmo andare a vedere?» domandò Fred.
 
«Non so… sembra sia con un altro essere umano, Rain dovrebbe cavarsela…»
 
Il trambusto divenne un putiferio quando si aggiunse il rumore di cocci rotti.
La cosa non prometteva bene, e non migliorò quando si aggiunsero anche gli insulti di Dagon, che si era messo a urlare “shtate”.
 
«Andiamo a vedere» concluse Billy, decidendosi a uscire dalla vasca, seguito a ruota da Fred.
 
Quando raggiunsero le scale e si affacciarono sul piano inferiore, videro una poltrona rovesciata, il tavolino del salotto che aveva fatto la stessa fine, vari suppellettili a terra più o meno rotte e varie piantine -un tempo nei loro vasi- giacere sul pavimento. Come se tutto ciò non fosse stato sufficiente c’era una tizia mai vista, sporca di terriccio, che stava lottando contro il pappagallo.
 
«NON SHEI L’UCCELLO PIÙ GROSSO CHE HO VISTO, CAPITO?!!» strillò suddetta tizia, cercando senza troppo successo di liberarsi del pappagallo.
 
«SHATE! SHATE!»
 
«Ma Rain che fine ha fatto?!» si allarmò Fred «Non è che quella l’ha uccisa?! Billy! Di’ qualcosa!»
 
«Ora che la guardo meglio… non vorrei dire un’idiozia ma mi sa che quella potrebbe essere Emerald, la cugina di Rain. Ho visto delle foto» disse Billy.
 
«Cosa?! Ma allora perché le sta distruggendo casa?!»
 
«Questo dovremmo chiederlo a Rain quando-»
 
Stava per dire “quando sapremo dov’è”, ma proprio in quel momento Rain sfruttò la distrazione data da Dagon e assaltò Emerald alle spalle, premendole un fazzoletto contro naso e bocca.
 
«Vai a dormire, gobshite» sibilò la donna, faticando più di un mulo per cercare di tenere ferma Emerald nei pochi secondi che servivano al cloroformio per fare effetto.
 
Quando finalmente la cugina perse i sensi, la lasciò cadere sul pavimento senza alcuna premura.
 
«Gobshite» ripeté Dagon.
 
«Proprio» confermò Rain.
 
Solo allora Billy si decise a scendere le scale. «Rain! Stai bene?!»
 
«Io sto una meraviglia» rispose la donna «Invece le piante con cui ho tentato di tramortirla dopo che ha iniziato a fare danni stanno un po’meno bene, vanno interrate di nuovo. In ogni caso, vi presento mia cugina Emerald J. V. P. Lancaster, alias la prova che quando un periodo inizia nel modo sbagliato può solo peggiorare».
 
«Se… se posso chiedere, perché ha fatto tutto questo?» si azzardò a chiedere Fred.
 
«Perché è una schizzata ubriaca» rispose Rain, serissima.
 
Billy si chinò a osservare Emerald più da vicino. «Ma perché è qui? E soprattutto, Rain, perché cavolo hai del cloroformio in casa?!»
 
«Il cloroformio ce l’ho perché non si sa mai. Quanto al perché è qui, in macchina ha biascicato qualcosa di un litigio con sparatoria tra lei e un “sorcio in calzamaglia” o qualcosa del genere, quindi è probabile che abbia preso l’aereo dopo aver assunto non so quali sostanze che le hanno causato allucinazioni» si schiarì la voce «Questo, Billy, è un ottimo motivo per evitare le droghe e il troppo alcol. L’alternativa la vedi addormentata sul pavimento!»
 
Stava per tirare fuori il cellulare da una tasca quando sentì bussare alla porta d’ingresso.
 
«Già ti avviso, oggi non vai da nessuna parte, perché nel mio stato attuale se per disgrazia vedessi uno di quegli stramaledetti robot sarei capace di sparargli subito» disse Rain, andando ad aprire la porta «Quindi ora dico ai tuoi amici che-»
 
Si interruppe.
 
“Ma che diavolo?!...”
 
Aveva pensato di trovarsi davanti dei ragazzini, però quel che aveva davanti era tutt’altro che un ragazzino.
 
«Buon pomeriggio. Mi scuso per essere piombato qui senza preavviso…»
 
Quello che aveva davanti era un uomo adulto e muscoloso che superava abbondantemente i due metri d’altezza. Era vestito con una calzamaglia grigia, stivali blu, una giacchetta dello stesso colore e una maschera di metallo sul volto che lasciava vedere unicamente gli occhi.
Poteva essere solo tre cose: un pazzo, uno scappato da un circo o un lottatore -i lottatori avevano spesso strani costumi- e Rain, ricordando con chi si era accompagnata Emerald, concluse che probabilmente si trattava dell’ultima opzione.
 
«Sono Nikolai Volkoff, il compagno di sua cugina Emerald. Aveva manifestato l’intenzione di venire qui e-» l’espressione del lottatore, dopo aver sbirciato dietro Rain, divenne prima sorpresa, poi esasperata «Quella deficiente ha continuato a bere?! Non ci credo!» sospirò nervosamente, trattenendo chissà quanti improperi «A quanto pare sono arrivato tardi, mi spiace per il disastro, se crede sia opportuno mi offro di pagare per le pulizie».
 
Rain sollevò un sopracciglio. Suo zio Howard diceva peste e corna di quel tipo perché era vecchio, era russo e in parte robot, però sembrava più savio di Emerald. Era anche abbastanza teso, forse per la situazione o forse perché sapeva di non essere riuscito ad attirarsi molte simpatie tra Lancaster e affini.
 
«Non si preoccupi. Piuttosto, sicuro di essere il suo compagno e non il suo sponsor degli alcolisti anonimi?»
 
«Credo che questo ruolo sarebbe stato ancora più esasperante di quello che ho» disse il russo «Il che è tutto dire. Senta, immagino che avrà sentito diverse cose poco gentili sul sottoscritto, però le assicuro che non sono né una bestia feroce né una macchina assassina, voglio solo riportare a casa quella puttanella ubriac- ehm, Emerald, tutto qui. A proposito, lei dov’è?»
 
«Addormentata sul pavimento. Ho usato del cloroformio, credo che ne avrà per un po’».
 
Nikolai, alias il wrestler conosciuto come Warsman, non si fece particolari domande. Solo il cielo sapeva quanto avrebbe fatto comodo anche a lui avere un po’di cloroformio ogni tanto, e comunque non intendeva mettersi a questionare troppo con una cugina di Emerald che non sembrava aver voglia di sparargli. «Capisco».
 
Billy e Fred, che stavano ascoltando la conversazione, avevano facce attonite come quando avevano scoperto l’esistenza dei cybertroniani. Quello era stato assurdo ma questo, secondo loro, non era da meno.
 
«Nell’attesa che Emerald si riprenda e possa portarsela via posso offrirle un caffè? Uno vero, non la brodaglia tipica americana» specificò Rain, mentre col cellulare cercava il numero di un’impresa di pulizie.
 
Warsman ebbe un attimo di esitazione nel rispondere, poi scrollò leggermente le spalle. «Accetto con piacere».
 
Casa venne ripulita in meno di un’ora, dunque a Rain e Warsman non restava altro da fare se non aspettare che Emerald si riprendesse. Nell’attesa diedero l’assalto ai vassoi di paste da lei comprati, ed entrambi lo fecero con gusto e un po’di vendicativa soddisfazione.
 
«Ha detto che è un wrestler, ma quindi è come quelli in TV che fanno cose atletiche ma si prendono a botte solo per finta o vi prendete a botte sul serio?» domandò Fred al russo.
 
Inizialmente, vedendolo, lui e Billy avevano quasi ceduto alla voglia di tornare di corsa al piano superiore, ma la curiosità innata aveva avuto la meglio alla svelta, persuadendoli a restare dov’erano e mettersi a fare domande.
 
«Ormai sono un ex wrestler, ragazzo, ma ti assicuro che le botte che davo e prendevo erano molto reali».
 
«Ma quindi vi facevate molto male?»
 
«Certo che si facevano male, scemo!» sospirò Billy «Se erano botte vere se ne facevano per forza! Piuttosto, è vero che è un mezzo robot?»
 
Vedendo l’occhiata di Rain capì che forse avrebbe dovuto evitare quella domanda, però era troppo tardi.
 
«Ho molte componenti meccaniche. A livello biologico sono definibile un mezzo robot come dici tu» confermò Warsman, dopo qualche secondo «Però io mi ritengo un uomo. Un uomo con abilità molto particolari, magari, ma sempre tale, indipendentemente da come possa pensarla qualcun altro».
 
Rain mangiò un altro pasticcino. Sebbene la relazione tra lui e la cugina le facesse storcere il naso, ormai era più che altro per via della differenza d’età: la “bestia delle steppe” -come suo zio Howard, padre di Emerald, definiva Warsman- era più educata di sua cugina… e, riguardo all’essere mezzo robot, quantomeno era un mezzo robot terrestre.
Un robot che invece di portare danni in casa di altri si era offerto di pagare per ripulire quelli portati dalla sua compagna, e che poi se ne sarebbe andato insieme a lei.
Rispetto ai cybertroniani era un netto miglioramento.
 
«Al mondo c’è di peggio rispetto a un uomo mezzo robot» disse Rain «Gruppi di robot giganti alieni che si trasformano in mezzi di locomozione, per esempio, e che portano qui la loro guerra civile. Quelli sì che sono una croce».
 
A Billy e Fred andarono di traverso i pasticcini e iniziarono a tossire, guadagnandosi un’occhiata da parte di Warsman.
Era sollevato dal fatto di essere stato accolto con cortesia però, se c’era qualcosa che negli anni aveva imparato molto più che bene, era che Emerald e tutto il suo parentado tendevano ad attirare un cumulo abnorme di guai.
Non sapeva se i robot giganti guerrafondai in questione ci fossero davvero oppure no ma, nel dubbio, pensò che fosse il caso di tornare in Argentina con Emerald ancor prima del prima possibile.
 
«Sì, immagino che sarebbero un po’una seccatura» disse il russo, voltandosi nel sentire Emerald mugugnare «Finalmente».
 
«Si sta già svegliando?» si stupì Rain.
 
«Nulla di cui stupirsi, dovrebbe sapere che sua cugina ha certa una tempra. Vale anche per il cloroformio» disse Warsman.
 
Emerald aprì gli occhi e, bofonchiando improperi, iniziò a massaggiarsi le tempie. «Ma dove cavolo sono?...»
 
«Nel salotto in cui hai fatto danni poco fa» disse Rain.
 
«Ma tu chi sei? Ah, no, sì, lo so chi sei… ciao, Rain…»
 
“Ciao un corno” pensò la donna.
 
«Alla buonora, razza di idiota alcolizzata che non sei altro!» sbottò Warsman, rivolto a Emerald «Ti rendi conto che hai fatto un disastro nel salotto di tua cugina?!»
 
«Sorcio?» Emerald aggrottò la fronte «Tu che ci fai qui?»
 
«Una vacanza al mare!»
 
«Qui non c’è il mare, genio» sbuffò la Lancaster, stiracchiandosi.
 
«Ma no, davvero?!... renditi conto che sono dovuto venire qui dall’Argentina per colpa tua! Sei salita in aereo ubriaca e hai bevuto di nuovo!»
 
«Eh no, allora quando gli ho sparato non lo avevo preso, ricordavo bene» disse Emerald tra sé e sé.
 
Warsman si alzò dal divano. «Sentimi bene, TU
 
«Non azzardatevi a mettervi a discutere e distruggermi casa» li avvertì Rain «Altrimenti prendo il bazooka e vi sparo, così se non altro sarò io a spaccare le mie cose! E non sto scherzando!»
 
«Sì ma stai calma… io tutto questo disordine qui nel salotto non lo vedo» commentò Emerald «Sei sempre quella dei sottobicchieri, neh?»
 
«Magari non lo vedi perché nel frattempo ho fatto ripulire il disastro. Selvaggia».
 
«Snob».
 
«Naturale che a una selvaggia sembri “snob” la normalità» replicò Rain.
 
“Ti prego fa’ che non finiscano a litigare un’altra volta!” pensò Billy, facendo saettare lo sguardo da una all’altra.
 
«Ora ricordo perché non sono mai venuta a trovarti neppure una volta in dodici anni» disse Emerald, innervosita «Hai ancora la scopa nel culo e la vita noiosa che avevi a quei tempi!»
 
«Se l’alternativa è essere un’alcolizzata che spara al suo compagno e prende un aereo per andare a rompere l’anima alla povera gente, con annessa fila infinita di figure di merda delle quali immagino ti importi poco essendo la selvaggia che sei, allora mi tengo volentieri la vita noiosa. Ora vi accompagno all’aeroporto, prima tornate in Argentina meglio è».
 
Un discorso che valeva sia per sé stessa, sia per Emerald e il suo compagno: con la sua tendenza a combinare disastri non era difficile immaginare Emerald finire chissà come in mezzo ai transformers, magari la fazione più detestabile delle due. Sebbene sua cugina fosse una rompiscatole voleva cercare di evitarle un rapimento, se poteva.
 
«Sono d’accordo. Ma come mi è saltata in mente la brillante idea di venire qui?!» borbottò Emerald, riappropriandosi del marsupio. Il borsone era ancora in macchina.
 
«Cosa ti sia saltato in mente è quello che mi chiedo anche io ogni volta che ti viene un’idea qualsiasi, perché non ce n’è nessuna che abbia un minimo di senso» disse Warsman.
 
«Io perlomeno ho un cervello che mi consente di averle, le idee!» ribatté Emerald.
 
«E con che risultati!»
 
I due, sempre battibeccando, uscirono di casa.
 
Rain fece un lungo sospiro. «Ci vediamo tra poco, Billy».
 
«Mi chiedo perché non li lasci andare da soli…»
 
«Perché io, con la mia velocità, arrivo all’aeroporto molto prima di qualunque corriera» disse Rain «L’ho detto prima ma ti avviso di nuovo: se chiunque frequenti la base viene a chiamarti, la risposta è “no”».
 
Detto questo raggiunse la coppietta, fece salire Emerald sul sedile del passeggero della decappottabile e Warsman sul sedile posteriore.
 
«La ringrazio per il passaggio» disse questi, allacciandosi la cintura.
 
«Ne gioviamo tutti» fu la risposta di Rain mentre metteva in moto l’auto e partiva.
 
«Tutti tranne la tua simpatia» commentò Emerald «Dovresti provare a fare qualcosa di divertente ogni tanto. Hai un fidanzato o sbaglio? Vai da lui e usalo!»
 
Una brusca frenata avrebbe fatto battere la testa di Emerald contro il vetro, se non fosse stato per i suoi riflessi da lottatrice addestrata. La costituzione apparentemente delicata, nel tempo, aveva tratto in inganno molti sprovveduti.
 
«E tu hai una cintura» disse Rain «Usala».
 
«A te manca qualche rotella» concluse Emerald, allacciandosi però la cintura.
 
Il viaggio procedette relativamente tranquillo per i primi sette minuti, frecciate parentali a parte, e infatti nonostante la velocità su strada tipica di Lancaster e affini -molto oltre il limite- Warsman avrebbe potuto perfino dire di starsi rilassando. Quando Emerald, durante un altro battibecco, si mise a infastidire Rain cambiando a caso la musica e finì nella cartella dell’hardbass, si sarebbe anche potuto azzardare a dire che lo stava gradendo un po’.
Solo che in seguito, poco dopo essere giunti nella parte di Lincoln dove gli edifici iniziavano a diradarsi in favore di strade costruite tra gli ammassi rocciosi tipici della zona, il rumore prolungato prodotto da un mezzo pesante dietro di loro lo spinse a dare un’occhiata allo specchietto retrovisore.
 
“Un carro armato verde e viola… non l’avevo intravisto poco fa, nel tunnel di un pezzo di strada ancora in costruzione?” pensò.
 
«Una volta i tank li coloravano in modo un po’più sobrio» commentò il russo.
 
Si inquietò quando vide le spalle di Rain irrigidirsi leggermente.
 
«C’è un motivo particolare per cui ha fatto quest’affermazione?» gli domandò la donna.
 
«Mi sa che è per il tank verde e viola che è a varie decine di metri dietro a noi» disse Emerald, dopo essersi voltata a guardare.
 
«Verde e viola» ripeté Rain.
 
«Non è esattamente bellis-»
 
«Ci mancava solo lui oggi, MALEDETTISSIMO CORNUTO!» sbraitò Rain, interrompendo la cugina «Fa’ che diventi più grande io o più piccolo lui e ti giuro che lo scuoio! Lo scuoio anche se non ha la pelle!... e va bene» concluse, agguantando il volante con più forza «Voi due tenetevi forte, dobbiamo provare a seminarlo, in caso contrario potremmo avere qualche problema».
 
Senza dare a Emerald e Warsman neanche il tempo di dire “Ok”, Rain premette sull’acceleratore arrivando a sfiorare i centosessanta chilometri orari. Non era raccomandabile su quel tipo di strada ma era sempre meglio dell’alternativa.
 
«Si può sapere chi c’è in quel coso e perché ti insegue?!» gridò Emerald, abituata a quel tipo di velocità ma incredula di trovarsi inseguita da qualcuno in un carro armato che ce l’aveva con sua cugina, quella con la “vita noiosa”.
 
«SOS, il cornuto ci attacca, avete l’occasione di localizzarmi e rendervi utili per una volta nella vostra esistenza» disse Rain, ignorando Emerald e auspicando che Laserbeak potesse davvero sentirla.
 
«Credo che la domanda vera sia se a inseguirla è qualcuno nel tank o il tank stesso» asserì Warsman, memore di quel che Rain aveva detto sui robot giganti guerrafondai che diventavano mezzi di trasporto.
 
«Ma che vai blaterando, Sorcio?!... e quanto va veloce quel coso?!» aggiunse Emerald, notando che il tank aveva accorciato le distanze nonostante l’accelerazione.
 
«Troppo. In questo momento vorrei che ci fosse Prime al posto suo» borbottò Rain «Con la sua lentezza non avremmo problemi a scappare».
 
“E spero che si muova ad arrivare, per una volta che deve” pensò.
 
La fitta serie di curve strette fatte a una velocità che ormai aveva quasi toccato i centottanta chilometri all’ora le fece ringraziare il cielo per aver deciso di non portarsi appresso Billy.
Notò che ormai avevano lasciato Lincoln, non c’erano più edifici, solo strade e montagne, e se da un lato era positivo perché gli Autorobot avrebbero potuto muoversi più agevolmente, dall’altro…
 
«QUELLO SCHIZZATO PARANOICO STA ABBASSANDO IL CANNONE!» urlò Emerald.
 
Appunto.
Rain fu costretta a spostarsi sull’altra corsia per evitare il colpo di cannone laser che si abbatté sulla strada, riducendo quel tratto in pezzi.
 
«Io prima o poi gli faccio MALE a quella blatta castrata furbyfobica!» strillò Rain.
 
«Miss O’Connell, quello che ci sta inseguendo è uno di quegli alieni di cui parlava oppure no?!» tornò a incalzare Warsman.
 
«Quali alieni?!» si stupì Emerald.
 
«Ne ho accennato mentre tu dormivi. Purtroppo sì» confermò Rain, costretta a cambiare nuovamente corsia per evitare un altro colpo «Mi sono trovata in mezzo ai loro casini quando lo stronzo dietro a noi ha fatto rapire me, Billy e il suo amico, che per inciso non c’entravamo niente. Anche questo è un motivo per cui non ero felice di avervi qua, avevo temuto che poteste finire coinvolti anche voi. Ho provato a chiedere aiuto ma ancora non si vede nessuno… e comincio a pensare che nonostante le chiacchiere sul proteggere tutti, quelli che dovrebbero occuparsi del tizio qui dietro non si faran-» fu costretta a zigzagare tra due colpi «Non si faranno vedere proprio».
 
Lo sguardo della donna cadde alla sua sinistra. C’erano due metà, che ancora non si toccavano, di una strada sopraelevata un po’in discesa e ancora in costruzione. Decise di raggiungerle e, dopo una sterzata improvvisa, schiacciò il pedale dell’acceleratore fino in fondo.
 
«Vuoi cercare di saltare dall’altra parte?» domandò Emerald a Rain, con una calma quasi assurda in quella situazione.
 
«Potrebbe servirci per seminarlo. Auguriamoci di farcela».
 
Warsman si inserì nella conversazione. «Dai calcoli che ho fatto» grazie al suo cervello-computer «Potremmo farcela. Non rallenti per nessun motivo, ormai possiamo solo saltare!»
 
Rain lo sapeva benissimo, però non disse nulla e strinse il volante con più forza percorrendo a velocità folle i pochi metri che mancavano al salto.
La sensazione che provò quando l’auto abbandonò la strada, restando sospesa in aria per quei brevi istanti a sfidare la forza di gravità a suon di voglia di vivere, ignoranza e hardbass prima di atterrare dall’altra parte, fu indescrivibile, ma non in modo piacevole.
Non per lei, almeno, perché Emerald invece aveva fatto uno strillo fin troppo divertito.
 
“Selvaggia” pensò Rain.
 
L’automobile, nuova e resistente, resse bene il colpo dell’atterraggio, tanto che la donna poté farla ripartire a razzo dopo meno di tre secondi. Più distanza riusciva a mettere tra loro e Megatron, meglio era.
 
«Non pensavo che in un posto così potessero succedere certe cose» disse Emerald, eccessivamente entusiasta «Mi sa che devo rimangiarmi quello che ho detto sulla vita noiosa, ti diverti come una matta qua! Altro che candele in giara e sottobicchieri!»
 
«Io non mi diverto affatto! Se non altro dovrebbe essere finita cos-»
 
L’automobile sobbalzò. Qualcosa di molto pesante doveva essere appena atterrato sulla strada, e tutti e tre temevano di sapere cosa fosse.
 
Emerald e Warsman erano più che abituati alle stranezze ma sentire un carro armato fare una risata malvagia faceva un certo effetto.
 
«Un carro armato super pesante che salta da una parte all’altra di una strada in costruzione… sicura che sia alieno e non sia solo un true slav?» domandò Emerald a Rain.
 
«Non ti rispondo nemmeno! Piuttosto, sei in grado di usare un bazooka?»
 
«Ma per chi mi hai presa?! Sono una Lancaster, ovvio che so usare un bazooka!»
 
«Nikolai, cortesemente, so che siamo in movimento ma pensa di riuscire a dare a Emerald il mio bazooka? È sotto il sedile posteriore» disse Rain «È già carico ma ci sono anche delle munizioni in più. Può distruggere tutto il sedile se serve a fare prima, tanto i soldi per ripararlo li ho».
 
Pensando a quanto fosse peculiare il concetto di normalità per certe persone, Warsman tirò fuori gli artigli di entrambe le mani e distrusse parte del sedile posteriore, tirando fuori il bazooka. «Eccolo».
 
«Oooooh, questo è un pistolone come quelli che piacciono a me» disse Emerald, agguantando l’arma dopo essersi voltata verso il compagno «Altro che il poco che vedo da an-»
 
«Spara alla strada e non perdere tempo!» la interruppe seccamente il russo.
 
«Non è meglio sparargli nel cannone? Perché alla strada?! Non c’è paragone!»
 
«Allora non ti sei ancora svegliata del tutto… spara alla strada! Fallo e basta!»
 
Emerald, una volta tanto, decise di dare ascolto al proprio compagno, sparando a un punto della sopraelevata a poca distanza dal loro inseguitore.
 
«“Prendi questo, brutto figlio di puttana”!» esclamò Emerald, come fosse stata in un film d’azione americano di serie Z.
 
Il colpo ottenne l’effetto sperato da Warsman perché, dopo un’esplosione, il tratto di sopraelevata su cui si trovava il carro armato precipitò con gran fragore assieme a tutto quel che c’era sopra.
 
Rain, impegnata a guidare e quindi impossibilitata a voltarsi, assistette alla caduta di Megatron grazie allo specchietto retrovisore. La cosa minacciava di farla sorridere. «Bel colpo, Emerald».
 
«Senza dubbio!... adesso ho capito perché mi hai fatta sparare alla strada» disse la ragazza a Warsman.
 
«Ci saresti potuta arrivare anche da sola, se non ti fossi fissata col cannone!»
 
«In quel modo gli avrei fatto più male» ribatté Emerald, notando che la sopraelevata era finita ed erano sbucati in una parte di strada che si snodava nel deserto «Rain, da quant’è che questo coso è qui? E ho capito bene, ce ne sono altri?»
 
«Di questi grossi ce ne sono otto ed è possibile che ne arrivino altri in futuro. Lo dico perché so della loro presenza sul pianeta da sole tre settimane e in questo lasso di tempo è arrivato l’ottavo, che se non altro sta con i “buoni”, alias quelli che avrebbero dovuto darci una mano. Esseri inutili».
 
«Se sanno cosa pensi di loro ci credo che non ti hanno cagata di striscio» commentò Emerald «Di’ ma tu in tutto questo non hai chiesto aiuto a…» pensando al padre, perché era a lui che si riferiva, si incupì un po’ «A… sì, beh, a chi te lo può dare?»
 
Rain non fece in tempo a rispondere, perché il rumore dei passi di qualcosa di enorme che si stava avvicinando di corsa fece voltare Emerald e Warsman, che si trovarono davanti per la prima volta un cybertroniano trasformato.
 
«Pensavate che bastasse così poco per liberarvi di me?!»
 
Sembrava proprio che Megatron non avesse la minima intenzione di lasciar perdere, complice anche la caduta subita.
 
«Invece di rompere le palle a noi torna dalla moglie, che le corna ce l’hai già grosseeeEEEEEEE!» strillò Emerald, riferendosi alle corna dentellate del transformer «Rain, quello ce l’ha una moglie?»
 
Per un breve attimo, sentendo parlare di corna da parte della moglie, Megatron ebbe qualcosa di simile a una sensazione di dejà-vu.
Il che era strano, perché lui non aveva una moglie.
 
Rain fece una smorfia. «Ma chi lo vuole a quel mentecatto?»
 
“Ma tacete una buona volta, brutte lavascale!” pensò il transformer, mirando all’auto col cannone.
 
«Lei pensi a guidare e tu, Emerald, spara invece di fare domande idiote!» sbottò Warsman, passandole una delle munizioni.
 
«Se ti sbrigassi a passarmele lo farei anch-eeeeeeh!» strillò Emerald, costretta ad aggrapparsi al sedile per colpa di una sterzata di Rain, fatta per evitare un colpo di Megatron che si era avvicinato fin troppo «Ingoia questo, stronzo!»
 
La giovane Lancaster sparò al nemico mirando dritto al petto, tuttavia il razzo venne intercettato da un colpo laser di Megatron, diventato abbastanza avvezzo ad avere chi gli sparava addosso grazie a milioni e milioni di anni in guerra.
 
«Dovete fare di meglio» commentò, dopo una risata «Non che ci si possa aspettare qualcosa di più da dei piccoli umani insolenti».
 
«Non lo abbiamo seminato, non arrivano aiuti, se noi continuiamo a fuggire lui continuerà a inseguirci finché non finirà la benzina e non riusciamo a colpirlo. Servirebbe qualcosa per distrarlo… se avessi un furby saremmo a cavallo» borbottò Rain.
 
«Miss O’Connell, riuscirebbe ad avvicinarsi a quel tizio e a fare un testacoda davanti a lui senza che l’auto venga colpita?» le domandò Warsman, a sorpresa «Penso di poterlo distrarre io mentre Emerald spara».
 
Rain diede un’occhiata alla cugina. «Devo farmi domande?»
 
«Nah».
 
«E allora andiamo» concluse, facendo un’inversione a U per poi dirigersi verso Megatron a tutta velocità.
 
Non aveva idea di cos’avesse in mente Nikolai Volkoff, ma aveva anche l’impressione che le cose non potessero peggiorare, per cui tanto valeva fare un tentativo e sperare di non morire in modo troppo doloroso.
 
«Vi siete arresi, finalmente, avete capito di non avere speranze di scamparla! Ottimo, così risparmiamo tempo» ghignò Megatron «E ora a noi!»
 
Nessuno dei colpi che sparò in rapida successione tuttavia andò a segno, e l’automobile si avvicinava sempre più e a una velocità sempre più assurda.
 
La musica hardbass in cui Emerald era incappata prima, e che era stata sfondo dell’intera azione, pompava ancora nelle casse dell’automobile sportiva.
 
«Miss O’Connell, si prepari al testacoda… e già che c’è alzi il volume!»
 
 
 
 
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Nel tunnel in cui Warsman aveva intravisto Megatron prima dell’attacco, la battaglia tra Autorobot e Decepticon era durissima e assolutamente a sfavore di questi ultimi: Hot Shot aveva ancora la Spada Stellare ben salda in mano, cosa che aveva causato ai Decepticon sconfitte su sconfitte in quella settimana, Megatron era sparito chissà dove a fare chissà cosa -alla faccia del “Sistemo una cosa e torno subito”. Che avesse voluto togliersi di torno sapendo che per colpa della Spada avrebbero perso?, iniziavano a chiedersi- e, come se il resto non fosse bastato, il segnale di un Minicon attivo che avevano captato era stato solo un falso allarme. Non c’era proprio niente in quel posto, avevano scavato per nulla e le stavano anche prendendo, le cose non sarebbero potute andare peggio.
 
«Ma dov’è andato a finire Megatron?! Ci ha mollati qui!» esclamò Cyclonus, nascosto dietro dei pezzi di roccia crollati a terra per colpa della battaglia.
 
«Parla di meno e spara di più!» lo rintuzzò Demolisher, cercando di mettere in pratica quel che aveva detto col solo risultato di venire colpito in pieno da Smokescreen «Aiuto, Megatron!...»
 
«Non abbiamo bisogno di lui, possiamo fare da soli se vi decidete a combinare qualcosa di serio!» dichiarò Starscream, con la propria spada in mano, lanciandosi contro Hot Shot «Forza!»
 
Hot Shot, con una sicurezza data più che altro dalla Spada Stellare, parò l’affondo di Starscream senza sforzo alcuno e con un sorrisetto. «Però sei testardo, eh? Non avete ancora capito che non potete più fare nulla contro di noi? Non avreste potuto nemmeno se ci fosse stato Megatron!» affermò il giovane Autorobot, incrociando la propria lama con quella dell’avversario «Arrendetevi e basta!»
 
Nonostante il bailamme, a Optimus Prime non sfuggì il fatto che ci fosse una comunicazione in entrata da parte della base. «Ragazzi, cosa succede?»
 
“Megatron non può essere entrato nuovamente. Ora c’è una protezione che glielo impedisce” pensò.
 
– Qui alla base è tutto ok –  disse Carlos – Ma abbiamo ricevuto in ritardo un SOS da parte di Rain, Megatron la stava attaccando! –
 
«Cosa?!» trasecolò Optimus.
 
Ecco spiegata l’assenza di Megatron, come sempre abilissimo a mettere in pratica tutto quel che poteva ingrossare le spine che Optimus aveva già nel fianco, perché se fosse sopravvissuta all’assalto si sarebbe incattivita ancora di più, e se fosse morta… no, non poteva permettersi neppure di pensare a qualcosa del genere come un fatto positivo. Andava contro la sua etica e comunque era possibile che quella donna avesse progettato chissà cosa in caso di morte prematura.
 
– Forse l’avremmo sentito in tempo se qualcuno non fosse riuscito a danneggiare Laserbeak usandolo come GoPro e riuscendo a caderci sopra…
 
– Rad, evita, mi sembra di sentire Alexis! Per fortuna non è ancora arrivata… 
 
«Avete idea di dove si trovi Rain al momento?!»
 
– A relativamente poca distanza da voi, ti invio subito le coordinate. Siete riusciti a prendere il Minicon? 
 
«Non c’erano Minicon da prendere» replicò Optimus «Autorobot! Ritiriamoci dalla battaglia, è inutile restare qui, c’è bisogno di noi da un’altra parte!»
 
 
 
 
 
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«… e già che c’è alzi il volume!»
 
Rain lo accontentò senza fare storie, preparandosi al testacoda dopo aver evitato l’ennesimo colpo. La distanza rispetto a Megatron diminuiva sempre di più, se questi avesse fatto due passi avrebbe potuto raggiungerli e cercare di polverizzarli sotto un piede.
 
«ADESSO!» urlò il russo.
 
La donna obbedì ancora una volta, lanciandosi nel testacoda più folle e rischioso della sua intera esistenza. Il rumore dell’azione coprì quello dell’hardbass, riuscì perfino a sentire la puzza di gomma bruciata e per un attimo temette che avrebbe perso il controllo della vettura, tuttavia riuscì a rimanere salda al volante e, quando l’auto si fermò e alzò lo sguardo, la scena che vide fu incredibile.
 
Nonostante fosse controluce poteva distinguere bene la figura del lottatore che, sfruttando la spinta del testacoda, aveva compiuto un salto impossibile destinato a farlo atterrare dritto in faccia a Megatron.
 
«è un pazzo» disse.
 
«è un russo!» esclamò Emerald, con un’espressione quasi orgogliosa.
 
Rain riuscì perfino a distinguere, tra i tanti, il suono del respiro di Volkoff: un suono pesante, artificiale, che di umano non aveva proprio nulla.
 
«KO~HO!~»
 
Quando poi lo vide affondare gli artigli -aveva degli artigli!- nel volto del nemico, penetrandolo come se fosse stato di burro mentre cercava di raggiungere gli occhi e al contempo evitare di essere colpito e scagliato via, capì perché suo zio Howard lo definiva una macchina assassina e una bestia. Se riusciva a danneggiare uno come Megatron, solo il cielo sapeva cos’avrebbe potuto fare a qualcosa di più piccolo e meno metallico.
In ogni caso, concluse, la natura di Nikolai Volkoff non contava nulla in quel caso: uomo, bestia o macchina assassina, importava solo che fosse dalla sua parte.
E che fosse terrestre, anche quello.
 
«Che cosa diavolo sei?!» sbaritò il leader dei Decepticon, cercando inutilmente di togliersi dalla faccia quel… coso.
 
Non sapeva bene come identificarlo, i suoi sistemi suggerivano che fosse un robot e che allo stesso tempo non lo fosse, ma quel che importava era che gli stesse massacrando la faccia senza che lui riuscisse a liberarsene. Quel mostriciattolo sgusciava tra le sue dita con impressionante facilità, e rischiare di darsi un pugno da solo non era il caso.
 
«POR-CE-LLO! POR-CE-LLO! POR-CE-LLO!» strillò Emerald, nemmeno fosse stata allo stadio e incurante della sillabazione errata.
 
«MUOVI QUELLE CHIAPPE SECCHE E SPARA, IDIOTA!» urlò Warsman, cercando di raggiungere l’occhio sinistro del transformer.
 
«MEGLIO SECCHE CHE MOSCEEEEEE!»
 
Rain sollevò un sopracciglio ma non disse nulla: ci aveva rinunciato.
 
Si sentì il rumore di un colpo di bazooka che partiva, di nuovo diretto verso il petto di Megatron, che però riuscì a evitarlo per pura fortuna nel cercare di togliersi di dosso Warsman. Tutti quei movimenti lo portarono più vicino all’auto, che Rain fu costretta a far scattare di lato per evitare di finire calpestata.
 
«Mira dove puoi colpirlo meglio e gli fai più male!» esclamò la donna, cercando di non farsi accecare dalla polvere «Lascia perdere il petto, è protetto troppo bene» sterzò a sinistra, evitando nuovamente di essere schiacciata.
 
«Allora devo puntare  dentro il cannone, ho capito» disse Emerald, ricaricando il bazooka.
 
«Cannone un corno, punta all’inguine!» esclamò Rain «Prendiamo due piccioni con una fava atterrandolo e impedendogli di riprodursi, l’Universo ringrazierà».
 
Il tentativo di Megatron di calciare via l’auto stavolta fu più deciso, e lo spostamento d’aria fece perdere a Rain il controllo dell’auto per qualche secondo.
 
Fu proprio in quel momento che il leader dei Decepticon riuscì ad afferrare Warsman e strapparselo via dal volto. Quella creatura era riuscita a danneggiare uno dei suoi sensori ottici, ma l’avrebbe pagata cara assieme alle due donne. Strinse la metà superiore del russo con la mano sinistra e quella inferiore con la destra, decisissimo a romperlo in due senza tanti complimenti.
 
«Qualunque cosa tu sia, hai voluto combattere qualcuno di troppo potente per te!» ringhiò, e nel frattempo sollevò una gamba per cercare nuovamente di schiacciare l’auto.
 
«Porcello! NO!» strillò Emerald, decidendosi sparare e basta nonostante la visibilità ridotta.
 
Il clangore metallico che sentirono fu seguito da una violenta esplosione. Vedendo il transformer in procinto di schiantarsi su di loro e avendo ripreso il controllo, Rain mise la retromarcia e cercò di togliersi di mezzo il prima possibile. Notò solo a stento che in tutto ciò qualcosa di grosso era caduto -o saltato- sui sedili posteriori dell’automobile.
 
«Ora posso aggiungere “battaglia contro un robot gigante” al mio curriculum» disse Warsman, alias il “qualcosa di grosso” «Anche se non ci tenevo particolarm- ahio! Puttanella manesca!»
 
«Ti sei fatto prendere e ti ha quasi rotto in due, ti rendi conto?!» lo rimproverò Emerald, arrabbiata per la preoccupazione avuta.
 
Una volta riusciti a mettersi in salvo poterono assistere allo schianto finale del possente transformer sul terreno.
 
“Ma dove l’ha colpito Emerald?!” si chiese Rain.
 
Le fu tutto chiaro quando la polvere iniziò a depositarsi.
Una volta Rain aveva augurato a Megatron che gli sparassero un razzo dritto nel posteriore e, che dire, sembrava che Emerald fosse riuscita a fare qualcosa di simile colpendolo tra la fine di una “natica” robotica destra e l’attaccatura della gamba. L’esplosione però aveva danneggiato anche un po’ tutto quel che c’era attorno, quindi doveva sicuramente star provando un certo dolore.
 
«Ben ti sta» sentenziò Rain.
 
Si irrigidì nuovamente sentendo passi pesanti di più persone, ergo alieni, in avvicinamento. Non erano ancora in vista ma non mancava troppo ormai, quindi decise di ingranare la marcia e filare via a tutta birra, lasciando dietro di sé Megatron e chiunque altro fosse in arrivo.
 
«Forse che l’abbiamo scampata. Complimenti per il sangue freddo e per… beh, tutto quanto. Mi pare che stiate bene entrambi, giusto? Mi spiace che siate finiti in mezzo a questo casino ma tornando in Argentina credo che non dovreste avere problemi».
 
«Tu però devi cercare aiuto o cercare di cambiare i rapporti con chi te lo dovrebbe dare, altrimenti andrai a finire peggio che male» disse Emerald «Sei un po’snob ma non ti voglio morta».
 
«Quando sono venuto qui avevo immaginato tutto eccetto questo. Sembra che Lancaster e affini siano destinati a essere sempre in mezzo a qualcosa» osservò Warsman «Cerchi di restare in vita, Miss O’Connell».
 
Ci avrebbe provato.
Quello era poco ma sicuro.
 
 
 
 
 
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«Credo che siamo arrivati tardi».
 
Subito dopo quell’uscita, Optimus si diede da solo del “Capitan Ovvio”. Erano arrivati tardi eccome, e purtroppo era stato Megatron ad aver avuto la peggio.
Quello di Optimus poteva sembrare un pensiero strano dal momento che era venuto lì per battersi con lui e salvare Rain, ma diventava meno strano pensando che Rain, dopo quell’episodio, avrebbe considerato lui e gli Autorobot ancor più inutili di quanto li considerasse già.
 
Salvandola eroicamente dal nemico avrebbe dimostrato che non era così, avrebbe dimostrato che lui e gli Autorobot erano elementi indispensabili alla salvaguardia dell’Universo intero, che non volevano il male di alcun terrestre e anzi erano prontissimi a intervenire in sua difesa in qualunque momento e che quindi era proprio necessario che tra loro ci fosse pace e non ci fossero intralci di alcuna natura da parte del resto dell'umanità.
 
Peccato che ormai non potesse fare nulla di tutto ciò, perché Rain lo aveva atterrato sparandogli in un punto delicato e particolarmente soggetto a possibili danni.
 
«Quei maledetti… quei dannati, me la pagheranno, me la pagheranno tutti e tre, lei per prima!» ringhiò Megatron, che vedendo gli Autorobot aveva comunque tentato di alzarsi e rimanere dignitosamente in piedi -con un minimo di successo, va detto: barcollava ma non mollava.
 
«Non pensarci neppure, Megatron! Non c’è ragione di mettersi a litigare con gli umani, siamo noi Autorobot i tuoi nemici, e ora ritirati, non hai più nulla da fare qui!» gli intimò Optimus, che però aveva in mente tutt’altro.
 
“Tutti e tre? Rain quindi non era da sola?! Poveri Billy e Fred, se erano con lei dev’essere stata un’esperienza orrib… un momento… se lei era alla guida significa che è stato Billy a sparare a Megatron?! Non mi risulta che sappia usare un bazooka, non ancora, e Fred tantomeno. Ma poi” notò i danni sul volto di Megatron “Come hanno fatto a ridurgli il volto così?!”
 
«Decido io quali sono i miei nemici, Prime» ribatté Megatron, prima di aggiungere con riluttanza «Decepticon… ritirata».
 
Mentre il teletrasporto faceva il proprio dovere, concluse che ai propri uomini avrebbe detto di essersela vista da solo con tutti gli Autorobot in quel breve lasso di tempo. Loro erano in quattro e Hot Shot aveva anche la Spada Stellare, la storia era abbastanza credibile. Già che c’era avrebbe sbraitato contro tutti quanti per non essere giunti immediatamente sul posto e non aver partecipato al combattimento che non c’era stato. Era più dignitoso della verità, alias essere stato ridotto in quel modo da due femmine umane e un mostriciattolo non meglio identificato.
 
«Andato via senza combattere… beh, era già ridotto male di suo» osservò poi Smokescreen «Certo che Rain è veramente tremenda».
 
«Se l’ha attaccata lui, se l’è cercata! Peccato non avergliele potute suonare anche io» rimpianse Hot Shot, mulinando la Spada Stellare. Da quando ce l’aveva era talmente sicuro di sé da cadere, a volte, nell’arroganza.
 
«Hot Shot… avere la Spada Stellare non ti rende imbattibile, ricordalo. Può essere che un giorno Megatron pensi a un modo per strappartela di mano. Resta sempre un nemico pericoloso» disse Optimus.
 
«Talmente pericoloso che Rain lo ha sistemato sparandogli a una chiappa, ma dai! Comincio a non capire com’è possibile che non abbiamo già vinto, voglio dire, tra questo e la Spada-»
 
«Hot Shot, potremmo iniziare a pensare che possedere quell’arma ti faccia più danni di quanti benefici porta» lo interruppe Red Alert «E comunque Rain non era da sola, è una questione che va approfondita».
 
«Sono d’accordo. Torniamo alla base!»
 
Il viaggio di ritorno fu abbastanza rapido e per un pezzo tutto quel che si poteva sentire erano i rumori dei loro motori e i borbottii di Hot Shot. Poi a Optimus venne un’idea, ossia quella di contattare Billy e Fred per sapere dov’erano e come stavano. Forse i loro cellulari funzionavano e, soprattutto, contrariamente a Rain gli avrebbero risposto. Tentò prima con Billy.
 
«Billy, qui è Optimus Prime. Va tutto bene, ovunque ti trovi?»
 
–  sì, qui a casa tutto bene. Perché? Ehm… se stai per dirmi che dovrei venire alla base ti avviso che non posso, prima di uscire Rain mi ha detto di non muovermi da qui. –
 
– Ehi Optimus, ci sono anche io! È successo qualcosa? –
 
Billy e Fred erano in casa di Rain ed erano tranquillissimi, dunque non erano loro ad averla aiutata contro Megatron. In parte ne fu sollevato ma… allora chi era stato? Chi altri sapeva della loro esistenza per colpa delle azioni scriteriate di Megatron?!
 
Un interrogativo che continuò a perseguitarlo anche giunto alla base, dove captò la conversazione di Alexis, arrivata sul posto da meno di un minuto.
 
«… non sarà snob come sua cugina ma anche Emerald è completamente fuori di testa, chissà cosa staranno combinando lei e Rain adesso!... oh, ciao Optimus!» sorrise la ragazzina, vedendolo avvicinarsi «I ragazzi mi hanno accennato detto che eravate in missione, com’è andata?»
 
«Nulla di fatto, i Decepticon cercavano un Minicon che non c’era. Piuttosto, di cosa stavi parlando? Mi è sembrato che c’entrassero dei parenti di Rain».
 
«Ho conosciuto sua cugina che è arrivata in città e la cercava… una pazza che beve troppo e ha sparato al suo compagno, da quel che ho capito! Non c’è nessuno di normale in quella famiglia, è una cosa incredibile!» esclamò Alexis, senza avere tutti i torti.
 
«Ed ecco la seconda dei tre» disse Optimus.
 
«Eh?»
 
«Megatron ha attaccato Rain e altre due persone. L’SOS è arrivato in ritardo, ha avuto la peggio…»
 
Alexis guardò male Rad e Carlos. «Perché non me l’avete detto, voi due?!»
 
«Ci abbiamo provato ma hai fatto mettere due parole in fila per miracolo, amiga!»
 
«Sì beh… un po’ mi dispiace per Billy, se lei ha avuto la peggio ed è in ospedale ora non ha nessuno a occuparsi di lui, poverino» sospirò Alexis.
 
«Temo che tu abbia frainteso: ad avere la peggio è stato Megatron. Lo abbiamo trovato ferito lungo la strada».
 
I ragazzini, ammutoliti, si scambiarono occhiate.
 
«Ma Billy e Fred…» avviò a dire Carlos.
 
«Non erano con lei. Credo che io e Rain dovremo avere una lunga conversazione sull’accaduto» disse Optimus, senza alcun entusiasmo «Principalmente riguardo il mantenimento del nostro segreto. Se risponde, forse è meglio togliersi subito il pensiero».
 
Provò a contattarla. Sapeva dei suoi problemi col cellulare, però ormai i Decepticon non erano più in giro, quindi avrebbe dovuto ricevere tranquillamente la chiamata.
 
– Sì? Chi è?
 
Era scocciata ma, come Optimus immaginava, sembrava star bene. «Rain, qui è Optimus Prime. Abbiamo ricevuto il tuo SOS in ritardo e non abbiamo fatto in tempo a intervenire, spero che vada tutto bene. In ogni caso credo che dovremo parlare di chi c’era con te, dato che-»
 
– Salvatore e difensore del nulla, tu e le tue chiacchiere siete talmente inutili che non valete neanche i miei insulti.
 
Detto questo, Optimus sentì Rain terminare la chiamata.
 
«Poteva andare peggio… forse» disse il mech.
 
In futuro avrebbe scoperto di avere ragione, ma in quel momento non ne era poi così convinto.
 
Intanto, in piedi su una roccia nel deserto che era stato teatro della battaglia tra Megatron e i tre umani, Scavenger lasciava che il vento accarezzasse la sua vecchia cappa marrone scuro.
 
«Pare che tutto sommato sappiano difendersi, questi umani…»

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Capitolo 11
*** Pioggia di ''quella donna è pazza!'' ***


10

PIOGGIA DI “QUELLA DONNA È PAZZA!”

 

 

 

 

 

 

 

 

«Non lo ha ancora mandato via, Billy?»
 
«Pare di no, Fred! Questo è un record di permanenza aliena in giardino!»
 
«Beh ragazzi mi sa che è un bene che almeno Hot Shot ci riesca…»
 
Billy, Fred e Carlos erano tutti quanti nella piscina di Rain. Al momento però non nuotavano, intenti piuttosto a osservare una conversazione che, per gli standard di Rain con gli alieni, era piuttosto tranquilla.
 
Hot Shot aveva accompagnato lì Carlos, che Billy, dopo aver chiesto il permesso a Rain con tre giorni d’anticipo, aveva invitato a casa propria. L’invito in verità era stato esteso anche a Rad, tuttavia questi aveva rifiutato per colpa del dentista: togliere due denti del giudizio non era un’idea gradevole ma era necessario, aveva detto.
C’era solo da domandarsi se fosse vero o se quella del dentista fosse una scusa per non lasciare “da sola” -per modo di dire, data la presenza di Autorobot e Minicon- Alexis, che non era stata invitata affatto. Benché Billy la considerasse un’amica e fosse disposto a vederla a scuola e nella base, le sue insinuazioni riguardo Rain -fatte mentre lei se la stava vedendo con Megatron- avevano fatto sì che il ragazzino concludesse che non fosse necessario frequentarla anche al di fuori di quei due contesti.
Non si era ancora scusato con lei per quel “Cazzo se aveva ragione quando mi aveva detto di lasciarti perdere!” e non aveva intenzione di farlo a breve.
 
«Dicevo» riprese Carlos «È un bene che ci riesca, considerando quel che è successo con Optimus di recente».
 
Billy fece un sospiro. «Sai che non le è molto simpatico» tanto per usare un eufemismo «E lei ha esagerato ma venire qui senza avvisare, imboccare il viale e arrivare a pochi metri da casa non è stata l’idea migliore che Optimus potesse avere!»
 
Era stato un momento tragicomico e un po’pericoloso.
Optimus Prime si era presentato a casa di Rain con l’intenzione di farsi dare i dettagli degli scontri con Megatron -ce ne era stato un altro dopo quello nella base- una volta per tutte.
Peccato che Prime fosse immemore dell’avvertimento riguardo il fatto che ogni accesso non autorizzato sarebbe stato visto e trattato come un’invasione e che Rain, invece, non fosse altrettanto immemore.
La conseguenza logica di ciò era che Optimus avesse rischiato beccarsi un colpo di bazooka o più, e se non era andata così era stato solo perché quando Rain aveva iniziato il countdown -“Hai cinque secondi per fare retromarcia e andare via dal mio giardino. Quattro. Tre…”- aveva capito che gli avrebbe sparato davvero.
Rain in seguito aveva detto che, per come la pensava, era già stata gentile a fare il countdown e non sparargli direttamente; quanto a Optimus, al suo ritorno nella base degli Autorobot tutti quanti avevano sentito risuonare un potente “Quella donna è pazza!”, esclamato con un tono che fino a quel momento aveva usato soltanto per Megatron.
 
Ed era proprio a quell’episodio che Hot Shot aveva appena accennato.
 
«… e insomma, credevo che ormai fosse chiaro che Optimus non vuole farti nulla» concluse Hot Shot.
 
Il giardino attorno alla casa di Rain era grande, e quando suo nonno Dermot aveva fatto costruire quella casa per lei aveva scelto un punto in periferia, senza altri edifici intorno, così da garantirle la massima privacy; una comodità per Hot Shot, che grazie a questo aveva potuto tornare alla propria forma base e sedersi quando si era reso conto che lui e Rain avrebbero addirittura avuto una conversazione.
 
«Tu hai avvertito per tempo del fatto che saresti venuto qui ad accompagnare il minorenne non imparentato con me, il tuo comandante avrebbe potuto fare la stessa cosa invece di permettersi di entrare come se fosse stata casa sua» ribatté Rain «Ma torniamo a noi: hai detto che ci sono due nuovi alieni in giro?»
 
«Sì» annuì l’Autorobot «Uno è Sideways, vive nella nostra base. Non lo avevamo mai visto prima ma ha detto di essere qui perché ha l’animo da vagabondo…»
 
«Nient’altro?»
 
Hot Shot scosse la testa. «Sembra a posto e Optimus ha approvato».
 
«E a voi sta bene il fatto che un tizio sconosciuto, il quale ha motivato la sua presenza qui con l’ “animo da vagabondo”, giri libero in una base militare? Sul serio?»
 
All’improvviso non sembrava più una scelta così sensata. «Beh… non ci ha fatto niente, ci ha dato una mano con un Minicon… ammetto che sì, magari il fatto che un vagabondo si faccia coinvolgere in una guerra è un po’strano, anche qualcuno degli altri infatti la pensa così, però noi Autorobot diamo una possibilità a tutti, la nostra politica è questa. In ogni caso finché ho con me la Spada Stellare non c’è niente da temere da parte di nessuno! Almeno credo».
 
«Non sei molto convinto».
 
«Non è per Sideways. È per l’altro» disse, cupo, il transformer «Si chiama Scavenger. È un mercenario che sta con i Decepticon ed è… è riuscito a prendermi a pugni un paio di volte. Nonostante la Spada. Ma d’altra parte è stato il maestro di Optimus Prime, era ovvio che non potesse fare schifo in battaglia, e infatti anche Megatron sembra avere un certo rispetto per-»
 
«Le cose sono due» lo interruppe Rain «O ci sono in giro due spie, una da una parte e una dall’altra, o ci sono in giro una spia E un altro problema che è collegato al vostro capo, tanto per cambiare».
 
Ignorando il commento riguardo Optimus -sapeva che lei non avrebbe mai smesso di farne- Hot Shot rimase concentrato sull’argomento principale. «Quindi dici che Sideways è una spia?»
 
“Non che lei si fidi di chiunque di noi…” aggiunse mentalmente.
 
«Quella dell’ animo da vagabondo è una scusa che non avrei tirato fuori neppure io dopo due bottiglie di whisky» disse la donna «E la cosa peggiore è che ha funzionato. In ogni caso cerca di non farti rubare la Spada da lui o da quell’altro, non ci servono altri problemi».
 
«A questo proposito, Rain, nella base si è parlato di una cosa... dato quel che ti è successo con Megatron…»
 
Lei sollevò un sopracciglio.
Qualunque cosa fosse, difficilmente le sarebbe piaciuta.
 
«Non sei la sua priorità ma ormai è indubbio che cerchi di farti del male ogni volta che ne ha l’occasione e che sarà così per un pezzo. Megatron non è il tipo che molla quando si intestardisce su qualcosa o qualcuno e abbiamo visto che gli SOS non sempre arrivano in tempo, quindi… ecco, Optimus pensa che, dal momento che i Minicon di Rad, Alexis e Carlos vivono con lor-»
 
«No».
 
“Appunto, lo immaginavo” pensò Hot Shot. «Avere qui un Minicon sarebbe solo per sicurezza e non darebbe fastidio, voglio dire, gli altri ragazzi riescono a nasconderli senza difficoltà ai loro creatori, ehm, genitori».
 
«Vi tollero a malapena sul pianeta, figurati se voglio un alieno in casa».
 
«Su, non è vero che ci tolleri a malapena! D’accordo, magari è così per qualcuno di noi» si corresse, pensando a Optimus «O forse la maggior parte di noi… però io sono seduto nel tuo giardino, stiamo parlando e non hai vicino il bazooka!»
 
Rain indicò una parte del giardino con un cenno del capo. «Non ne ho bisogno».
 
Ecco, sì: quella cosa grossa non meglio definita che era nel giardino di Rain, nascosta sotto un telo, era un altro mistero. Inizialmente avevano pensato che potesse essere il mezzo corno di Megatron ma non era così. La sola cosa intuibile era che fosse un’arma di qualche genere da usare in caso di un attacco dei Decepticon.
 
«E ora tu vai via».
 
«Oh, e dai! Non fare così» sbuffò Hot Shot «Il fatto che ti stia abituando a noi non è una brutta cosa!»
 
«Invece lo è. Ero abituata alla mia vita tranquilla e adesso è tutto diverso» ribatté Rain «Mi ritrovo a farmi aggiornare sull’andamento di una guerra tra alieni, a farlo è un alieno seduto nel mio giardino e, peggio di tutto il resto, non mi sembra nemmeno una cosa troppo strana. E poi, se proprio era destino, avrei preferito finire da sola in tutto ciò» aggiunse guardando Billy, che era tornato a tuffarsi in piscina insieme agli altri due ragazzini.
 
«Sono bravo a combattere e non mi dispiace farlo ma credimi, io per primo odio questa guerra» disse Hot Shot «Ed è una guerra della mia specie. È ovvio che per te che ti sei trovata coinvolta per caso sia peggio. I ragazzi l’hanno presa un po’meglio…»
 
«I ragazzi hanno tredici anni e sono cresciuti in tempo di pace. Vedono tutto questo solo come “stare con dei robot parlanti giganti che combattono tra loro ed essere coinvolti in avventure ad alto tasso adrenalinico in giro per il mondo”, si sentono come se stessero vivendo in un film di fantascienza e lo trovano fantastico rispetto al solito casa- scuola- parco- sala giochi» replicò Rain «Invece un adulto può e deve capire i rischi e le conseguenze di tutto questo, ed è quel che faccio».
 
«Io infatti non credo che tu sia pazza o malvagia» “Ok, forse un po’pazza lo è ma c’è di peggio” pensò Hot Shot «Ti sei trovata in mezzo a questa storia e tieni molto a Billy. Hai messo la sua vita prima della tua per due volte, non è una cosa insignificante».
 
«Tu hai idea di quel che significa essere responsabile di qualcuno? Non parlo di un rapporto di coppia, tra commilitoni o di semplice amicizia, ti parlo di qualcuno di cui devi prenderti cura, che devi tenere al sicuro. Non sono sicuro che tu o chiunque dei tuoi compagni possiate capire».
 
«So cosa vuol dire tutto questo» affermò l’Autorobot «E so anche cosa si prova quando nonostante tutto non si è all’altezza del compito. La rabbia, il dolore, un senso di colpa che ti divora e può distruggerti se non c’è qualcosa o qualcuno che ti aiuta a venirne fuori» esitò, tornando a puntare su Rain lo sguardo che appena prima aveva distolto «Il suo nome era Wheel Jack».
 
Dopo ciò il transformer non disse altro. Non era piacevole parlarne e rievocare quel ricordo, riteneva che quel che aveva detto fosse sufficiente.
 
Quanto a Rain, per un breve attimo si intravide sul suo viso un’espressione che era un miscuglio tra sorpresa e perplessità. Aveva già accettato l’idea che anche quelle macchine potessero “provare” qualcosa ma, in quel particolare momento, Hot Shot le sembrò piuttosto umano.
Meno di un secondo dopo però i suoi pensieri tornarono in carreggiata: l’abilità dei cybertroniani di provare reali sentimenti ed emozioni non li rendeva meno dannosi. Si concesse solo di concludere che forse in realtà il problema di fondo con gli Autorobot non riguardava davvero tutti gli ufficiali, quanto piuttosto il comandante.
 
«Mi dispiace per la tua perdita. Se capisci questo però dovresti anche capire cos’è che mi rende diffidente o mi manda in bestia nei vostri confronti. Io mi preoccupo dei rischi e delle conseguenze che possono riguardare Billy e gli altri» dei quali, in realtà, non le importava altrettanto «Cosa che voi, per colpa di una leadership che lascia il tempo che trova, non fate. Se non a chiacchiere».
 
«Faremo tutto quel che possiamo per tenervi al sicuro davvero, Rain, hai la mia parola e ti assicuro che vale» affermò Hot Shot «Della leadership di Optimus invece abbiamo già parlato una volta… non te ne faccio una colpa ma le tue opinioni su questo argomento sono frutto di un pregiudizio che non ti permette di capire bene certe dinamiche».
 
«E l’opinione che hai espresso da “non te ne faccio una colpa” in poi non viene da te, riconosco il tono paternalistico. È vero, non stimo il tuo comandante, per usare un eufemismo» ammise Rain «Ma non lo faccio per motivi irrazionali. Optimus Prime ha dato mostra di un’ irresponsabilità e di una superficialità che in un leader non dovrebbero esserci. La sua arrampicata sugli specchi quando gli ho fatto notare che portare degli umani in missioni pericolose era stata una brutta idea, il suo confuso approccio alla guerra e le sue politiche di accoglienza sconsiderate fanno sì che lui non abbia il mio rispetto, non abbia la mia fiducia e che dubiti di chi lo ritiene un esempio da imitare. Ricorda le mie parole…»
 
 
 
 

 
 …quando salterà fuori che avete accolto una spia nella vostra base. 
 
– Optimus Prime è un buon leader, fa sempre del suo meglio e questo è quanto. È tempo che io vada. Tu e Billy avete intenzione di farvi rivedere al quartier generale? 
 
– Presumo che Billy tornerà presto a scalpitare per farlo. 
 
– Riguardo al Minicon…
 
– Ho detto di no, eejit! 
 
 
Optimus decise di aver già sentito abbastanza. Spense lo schermo e rimase immobile in quell’ambiente freddo e quieto, immerso nei suoi pensieri.
In seguito all’attacco dei Decepticon in cui tre civili umani avevano rischiato la vita si era ripromesso di approcciarsi in modo più razionale a qualsiasi cosa provenisse da Rain, dunque non era partito con l’intento di spiare le conversazioni altrui: aveva preso in prestito Laserbeak solo perché Hot Shot stava tardando a tornare e lui voleva verificare che nessuno gli avesse sparato un razzo in faccia -cosa che non sembrava destinata a succedere.
 
“Ormai, più che detestare tutti noi in quanto alieni, detesta me in quanto… me stesso” pensò “Il bello è che dovrei perfino gioire del miglioramento”.
 
Di tutto aveva voglia, tranne che di gioire. Aveva immaginato che Rain con quel che era accaduto si sarebbe invelenita ancor di più, quindi le sue parole non avrebbero dovuto né sorprenderlo né tangerlo minimamente, eppure non era così.
 
I tempi in cui c’era stato qualcuno di grado superiore o pari a lui erano passati da un pezzo, la fama che si era guadagnato come difensore della libertà dalla minaccia del malvagio Megatron faceva sì che fossero in pochi a sentirsi abbastanza qualificati per contraddirlo, e due degli ufficiali nella base erano stati assemblati come Autorobot, fatti e vissuti per combattere sotto il suo comando.
Si era abituato a sentirsi fare domande del tipo “Come ci muoviamo? Cosa facciamo?”, si era abituato a portare il peso della leadership nel bene e nel male, gioendo per le vittorie del gruppo e ritenendosi il principale responsabile in caso di sconfitta, ma si era disabituato a essere messo in discussione, al “Perché ci muoviamo così? Perché lo facciamo? Ha davvero senso?”.
 
“Non è un mio soldato e non è la sola persona che mi odia, c’è un intero esercito di persone a farlo” alias i Decepticon “Non dovrei darle peso”.
 
Si ripeteva questo ma pensava a una cosa: i Decepticon avevano più di un motivo per odiarlo, già solo perché diversi di loro non erano nati naturalmente ma, come nel caso degli Autorobot più giovani, erano stati assemblati apposta per combattere i nemici.
Rain invece, che ora consentiva a Hot Shot di sedersi nel suo giardino, che motivi aveva per detestarlo se non il pensare per davvero tutte quelle cose? Se non il ritenerlo per davvero irresponsabile, sconsiderato, superficiale e confuso a causa di certe scelte?
 
“Basta. Non comincerò ad attaccare un nemico che si sta ritirando o finirlo quando è a terra solo perché lei pensa che non farlo renda ‘confuso’ il mio approccio alla guerra, non comincerò a pensare male di chi non conosco e a negargli aiuto e accoglienza solo perché lei ritiene sconsiderato quel che faccio ora!” si convinse Optimus, stringendo i pugni “Io sono disposto a concedere fiducia e più di una possibilità a chi mostra di desiderarla, io non mi accanisco sui nemici e questi sono i valori che voglio trasmettere ai miei uomini. Le mie intenzioni sono buone, se lei la pensa in un altro modo è perché non ha i mezzi per comprenderle” concluse “Già che c’è potrebbe mettersi d’accordo con Megatron e provare a dargli una mano, se detesta le mie idee e ama quelle opposte”.
 
Si rese conto di quel che aveva appena pensato: quella donna pazza alleata con quel mech pazzo. Pessimo quadretto.
 
Non poteva sapere che nella base dei Decepticon, per assurdo che potesse sembrare, c’era qualcuno che stava per iniziare a pensare a un’idea all’apparenza molto simile.
 
 
 
 
 
.: Luna, base dei Decepticon :.
 
 
 
 
 
«Ti vedo pensieroso, Megatron. Qualcosa ti turba?»
 
L’atmosfera nella base dei Decepticon era a dir poco opprimente. Non la peggiore in cui Scavenger fosse vissuto nel corso della sua lunga vita ma neppure piacevole, soprattutto se c’era di mezzo anche un leader lunatico e permaloso.
Benché l’età di Scavenger, la sua abilità e la sua fama lo tenessero al sicuro dagli scatti d’ira di Megatron, il veterano non vedeva l’ora di concludere la sua missione da spia e lasciare quel postaccio per riunirsi a Optimus Prime sulla Terra.
 
«Finché non avrò la Spada Stellare nelle mie mani ci sarà sempre qualcosa che “mi turba”. Se dovessi usare una metafora direi che c’è un serbatoio che perde a cui è stata messa una sottospecie di toppa, ma che continua a perdere lo stesso».
 
«Hai la prospettiva di impadronirti dello Scudo Stellare, Megatron» gli ricordò Scavenger «Hai già trovato il primo dei tre Minicon che lo compongono».
 
«Me ne faccio molto di una “prospettiva” quando dall’altra parte c’è la Spada Stellare che danneggia i miei soldati a ogni battaglia!» sbottò il leader dei Decepticon «Dal tuo arrivo in poi è stato dimostrato che non è imbattibile ma resta sempre un problema».
 
«Lo hai detto tu stesso: chi possiede la Spada Stellare non è imbattibile... e le cose andrebbero meglio se la squadra agisse come tale e fosse più concentrata sugli obiettivi, invece di perdere tempo e salute in futili scaramucce».
 
Riuscendo non si sa come a mantenere l’autocontrollo nel sentire il mercenario contestare la sua leadership, Megatron fece una smorfia irritata. «Farò in modo di mettere un po’più di disciplina in quelle teste dure. Ordinerò a Cyclonus di tenere a freno la lingua, a Demolisher di prestare attenzione a quello che fa ed evitare le sue solite scene da imbranato e a Starscream… il delirio di onnipotenza dovuto al nuovo Minicon gli è passato da un pezzo ma qualcosa si trova sempre, come per esempio il fatto che non stia dando il massimo e mi aspetti molto di più dal mio comandante in seconda!»
 
Scavenger si trattenne dal sospirare. «Tutto giusto, ma io non mi riferivo solo ai tuoi uomini».
 
«Ah no?»
 
«No, Megatron. Parlavo anche di te».
 
«Quando siamo in battaglia è ovvio che io cerchi il conflitto principalmente con Optimus Prime, è il mio diretto avversario, siamo nemici giurati, non sono scaramucce, dovresti riuscire a capirlo anche senza che te lo dica io. L’odio tra me e Optimus Prime è una cosa seria!»
 
«Infatti su questo non ho nulla da dire».
 
«Allora piantala di parlare per enigmi, sii chiaro e magari anche veloce, perché mi sto innervosendo!» lo avvertì Megatron «Di cosa stai parlando?!»
 
«Del fatto che lo stesso essere umano ti abbia sparato più volte».
 
Silenzio.
 
«Non so a cosa ti riferisci. Non sono mai stato ferito da alcun umano».
 
“Dovrebbero chiamarti Gnorritron, non Megatron” pensò Scavenger. «Sicuro? Ho dato un’occhiata ai report medici…»
 
«Cos’è che hai fatto?!»
 
«E ho scoperto che a danneggiarti il braccio tempo addietro è stata la stessa arma che ti ha danneggiato altrove qualche tempo dopo, precisamente il giorno stesso che sono arrivato qui. Mi sono perso il primo scontro ma ho assistito all’altro» rivelò il veterano.
 
«Dal momento che hai avuto queste allucinazioni da ubriaco faresti molto meglio a evitare l’energon extra forte per un po’, in caso contrario la tua salute potrebbe iniziare a risentirne».
 
Da opprimente che era, l’atmosfera divenne piuttosto tesa. A Megatron non piaceva sentir parlare dei suoi fallimenti, ancor più se erano fallimenti di cui non voleva che si sapessero i dettagli.
 
Scavenger scrollò le spalle. «Colpa mia. Credevo che avesse smesso di bruciarti, ormai!»
 
«Fuori».
 
Guardando Scavenger uscire dalla stanza, Megatron dovette compiere uno sforzo mastodontico per non cedere all’impulso di sparargli una volte per tutte. Lo rispettava perché era in gamba e perché sapeva quel che faceva ma in realtà avrebbe solo voluto che lui e la sua sfacciataggine si togliessero di torno: era dal giorno del suo arrivo che non risparmiava a nessuno commenti sarcastici.
Peccato che al momento purtroppo ne avesse bisogno. Se non fosse stato così, se ci fosse stato qualcun altro disposto a togliere di mezzo gli Autorobot -soprattutto Hot Shot, quello con la Spada Stellare- così da lasciare a lui il campo libero per combattere contro il solo con cui volesse farlo davvero, Optimus Prime, non avrebbe dovuto sopportare quel vecchio bastardo di un mercenario.
 
“Sarebbe bello ma non c’è nessuno che possa fare meglio di quanto faccia Scavenger” sbuffò “Forse potrebbe farlo solo qualcuno che abbia accesso alla base degli Autorobot, perché li attaccherebbe dall’interno. Qualcuno che loro non ritengono una minaccia seria e non penserebbero mai possa lavorare per me, qualcuno che li detesti abbastanza…”
 
Un campanello risuonò nella sua testa.
C’era qualcuno che corrispondeva in pieno al profilo.
 
“Va’ a vedere che quella strega umana pazza potrebbe perfino essermi utile”.
 
Avrebbe potuto proporle uno scambio: lei, avendo l’accesso alla base degli Autorobot e una loro relativa fiducia, avrebbe potuto trovare il modo di toglierli di torno, magari anche di prendere la Spada Stellare, così che restasse solo Prime di cui occuparsi; in cambio lui, Megatron, le avrebbe perdonato tutti gli affronti subiti e avrebbe lasciato la Terra fuori dai suoi futuri piani di conquista.
Inutile dire che era una mezza bugia. Quel piccolo e stupido pianeta acquoso in non gli interessava, ma non era intenzionato a rinunciare alla propria vendetta verso di lei: glielo avrebbe solo fatto credere, l’avrebbe usata e l’avrebbe uccisa ridendo della sua stupidità.
Era perfetto, assolutamente perfetto.
 
“Contattarla non sarà difficile. Basta cercare il segnale del suo dispositivo di comunicazione, che essendo stato vicino a me più volte mi è conosciuto”.
 
Era lo stesso sistema che usavano anche gli Autorobot e non faticò a metterlo in pratica: meno di due minuti dopo, il telefono di Rain stava già squillando.
 
– Sentimi bene- –
 
– Ma dai Rain, non potremmo prenderne uno anche noi? –
 
– Ho detto di no e sono al telefono, quindi non interrompermi!... E tu invece sentimi bene: so che sei un Autorobot perché non è comparso il numero, quindi dimmi quale sei, cosa vuoi e poi non rompetemi più le palle per tutta la giornata! –
 
“Questa donna diventa sempre più schizzata ogni volta che ho a che fare con lei” pensò Megatron.
 
«Gli Autorobot sono il motivo per cui stiamo parlando. Riconosci la mia voce? Sono quello a cui hai sparato due volte».
 
– Ma va’ a cagare. –
 
Seguì il rumore della comunicazione interrotta.
 
Megatron rimase immobile per oltre mezzo minuto.
 
«Io l’ammazzo» dichiarò «Farlo non è tra le mie priorità, ma prima o poi l’ammazzo».
 
Poi si disse che magari non aveva capito o aveva pensato a uno scherzo. In caso contrario, per reagire in quel modo avrebbe dovuto essere ancor più pazza di quanto già fosse.

Tentò di chiamarla di nuovo.
 
– Chi sei- cosa vuoi- falla corta. –
 
«Sono sempre io. Hai sparato due volte anche ad altri di recente?!»
 
– Rain ma allora era lui davvero?! –
 
– Pensavo di no ma pare di sì. –
 
“Come immaginavo, non aveva capito, non poteva essere altrimenti” pensò Megatron. «Ora che abbiamo chiarito-»
 
– Si può sapere che diavolo vuoi, lurido verme delle terre unte?! 
 
Per un attimo fu Megatron a trovarsi sul punto di chiudere la comunicazione ma, sfruttando le ultime stille di autocontrollo rimasto e immaginando come si sarebbe vendicato in futuro, riuscì a evitare di farlo.
 
«Piantala di fare l’insolente, brutta mocciosa che non sei altro» le intimò «Abbiamo dei nemici in comune, io ho del lavoro per te e tu hai molto di cui farti perdonare, quindi ascoltami bene: tu che hai accesso alla loro base, fai in modo di neutralizzare tutti gli Autorobot tranne Prime. Lui è mio. Se lo farai ti concederò la grazia di passare sopra a tutto quel che è successo tra me e te. Non mi interesserò mai al tuo pianeta, non ti verrò a cercare, non toccherò né te né il ragazzino».
 
– Da dove chiami? –
 
«Non è affar tuo. Allora? È la sola occasione che hai di sopravvivere, quindi pensa bene alla tua risposta e fallo velocemente».
 
– La ragione per cui la base di Prime è ancora lì sta tutta nel fatto che disprezzo te molto più di quanto mi infastidiscono tutti i suoi ufficiali messi insieme. Non mi alleerei con te nemmeno se parlassi sul serio riguardo il “concedermi la grazia”… e anche se detestassi Prime più di quanto detesti te, non mi metterei con uno così disperato da chiedere aiuto a chi gli ha sparato due volte. Non vali neanche gli esplosivi che faranno saltare in aria la tua base, con te dentro, il giorno in cui verrà localizzata. –
 
«Parole grosse per qualcuno così piccolo e che ha rischiato di morire più volte per mano mia» disse il leader dei Decepticon in un basso ringhio «Hai fatto la tua scelta».
 
Non le diede tempo di rispondere: chiuse la comunicazione e, dopo aver urlato un "Quella donna è pazza!", finalmente diede sfogo a tutta l’ira e la frustrazione accumulate sparando un colpo di cannone contro la parete di fronte a lui.
L’esplosione fu potente al punto di distruggerne oltre la metà, e tutto quel rumore richiamò l’attenzione degli altri Decepticon. Il solo a non presentarsi fu Scavenger.
 
«Megatron! Cosa è successo?» si allarmò Demolisher «Stai bene?»
 
«Sto magnificamente, ma dati i vostri ultimi fallimenti ritengo opportuna una sessione di addestramento!» esclamò, mettendo di nuovo mano al cannone che aveva sul fianco.
 
Cyclonus, ben sapendo che quando Megatron parlava in quel modo intendeva un tipo di addestramento in cui lui li inseguiva per colpirli e loro facevano molto meglio a non farsi prendere, indietreggiò velocemente. «Cosa?! Ma non bastano i combattimenti contro gli Autorobot?»
 
«Chi sarà la mia prima vittima?! Fatevi sotto, cordardi!» sbraitò il mech, vedendoli iniziare a correre e disperdersi per la base.
 
Doveva necessariamente concentrarsi su uno, e la scelta ricadde su…
 
«STARSCREEEEEEAM!»
 
«E ci risiamo» sbuffò il seeker, cercando di darsela a gambe più in fretta possibile.
 
Se fosse sopravvissuto a quella giornata, non sarebbe più andato a controllare a cosa fossero dovute le esplosioni nei posti in cui si trovava Megatron.

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Capitolo 12
*** Pioggia in uno strano Halloween ***


11

PIOGGIA IN UNO STRANO HALLOWEEN

 

 

 

 

 

 

 

 

Piccolo avviso: ci sono delle guest star in giro, chi ha letto qualcuna delle altre mie fanfiction le riconoscerà sicuramente.
Buona lettura e buon Halloween a tutti!






«Quindi sei sicura che posso andare?»

«Potrei quasi dire che devi, Billy, se non vuoi sentirti dire che sei troppo solitario, che sei un asociale, che devi uscire di più e tutto il resto di queste cagate atomiche dette da persone che dovrebbero pensare per sé».

«Eh-»

«Fermo con la faccia. Vuoi un buon trucco da vampiro oppure no?»

Billy non rispose, limitandosi a stare fermo come gli era stato detto.

La luce aranciata tipica dell’ inizio del tramonto tingeva di colori caldi il bagno marmoreo nel quale Rain si stava dedicando al trucco di Billy, il quale guardava con aria assente la poca polvere presente in aria venire illuminata dai raggi che filtravano dalla finestra.

Nella mente del ragazzino nacque un pensiero: per quanto potesse essere un po’una seccatura sentire tutti quei “su con la testa”, “giù”, “voltati”, “fermo”, “ho detto fermo, eejit!”, prima di allora non ricordava di aver mai avuto qualcuno che gli desse una mano a prepararsi per Halloween. Aveva sempre dovuto arrangiarsi da solo con un lenzuolo bucato malamente all’altezza degli occhi, una tristezza rispetto alla maggior parte dei bambini di Lincoln. Quella era una cittadina popolata perlopiù di tranquille famiglie abbastanza benestanti e, sebbene una volta tornata single la madre di Billy non fosse diventata una senzatetto, l’incuria che gli aveva riservato avrebbe potuto lasciarlo pensare.

«Tra l’altro non capisco cosa siano questi mezzi ripensamenti, sembravi felice di andare alla festa» disse Rain «E dopo, per una volta, tu e Fred non girerete da soli a fare quel vostro “dolcetto o scherzetto”. Non che la cosa mi rallegri più di tanto sapendo chi sono gli altri tre… ma stasera se non altro farete quel che fanno qui i ragazzini normali quando è Halloween, senza alieni di mezzo».

«Infatti sono contento, è solo… vuoi veramente passare da sola la sera del tuo compleanno? Quest’anno non viene nemmeno Sven».

Ragnar Sven Iverson, alias il fidanzato di Rain, alias una persona che lei al momento non sapeva se volere molto vicino o molto a distanza; non per lui, ma per colpa degli alieni, tanto per cambiare.
Per tale ragione già dalla settimana prima aveva fatto sapere a Sven che, a causa di un progetto scolastico in cui erano coinvolti anche genitori e tutori, sarebbe stata impegnata per vari giorni, incluso il trentuno ottobre.

«Se venisse qui partirebbe subito una battaglia tra robot in giardino, dato il tempismo che hanno» commentò la donna, con tono sprezzante.

«Già… però potresti dire di sì a quei tuoi amici che questa sera arriveranno in città in ogni caso… “Siamo di passaggio a Lincoln, ci fermiamo per stanotte e qui in città c’è una festa, possiamo venire a prenderti”, il messaggio non diceva così?»

«Primo: più che amici li definirei conoscenti stretti. Secondo: il fatto che sia il mio compleanno non significa che debba stare in compagnia per forza».

«Eppure sembrava che ci stessi pensando, prima della telefonata di zia Rhia- va bene, va bene, hai ragione, se davvero non vuoi stare con nessuno non sei obbligata a farlo, d’accordo» si arrese Billy.

La telefonata tra Rain e sua madre Rhiannon era iniziata in modo abbastanza normale: “grazie per gli auguri”, due chiacchiere di circostanza, tutto molto civile -così aveva sentito, dato che Rain aveva il vivavoce.
Peccato che fosse degenerata rapidamente nel momento in cui Rain aveva commesso la leggerezza di dire “No, quest’anno Sven non viene perché-”.
Rain doveva aver sentito spesso il discorso che era venuto fuori dopo sul fatto che stesse troppo da sola, che rischiasse di perdere anche il fidanzato se avesse continuato così e che quello non fosse un comportamento normale per una ventisettenne; in ogni caso, alla prima pausa di Rhiannon fatta per riprendere fiato, Rain aveva risposto con un “Non prendo lezioni da qualcuno che sta parlando al telefono con l’unica cosa buona che sia riuscita a fare in vita sua” e aveva riattaccato.

«Non è per quello. Celebrerò il Samhain come ho sempre fatto e poi andrò a dormire, niente di più, niente di meno» disse Rain.

«Meglio così! Anche perché se lasciassi perdere l’uscita per quel motivo faresti un dispetto solo a te stessa, non a… a lei… ehm…  parlando del Samhain, anche l’anno scorso non ho visto come lo celebri» disse Billy, decidendo saggiamente di cambiare argomento.

«Come mia nonna voleva che fosse celebrato. Non l’ho conosciuta ma dai racconti del nonno so che era un tipo particolare. Il trentuno ottobre, quando calava il sole, lei accendeva un grosso fuoco che durava tutta la notte. Serviva a guidare gli spiriti» spiegò Rain «Poi metteva vicino a esso delle cotolette, del grog e un bel po’di biscotti…»

«Seh, magari sempre per i fantasmi! Mi prendi in giro?!»

Rain scosse la testa. «Te l’ho detto che era un tipo particolare. E comunque no, non erano per i fantasmi, erano per Samhain. Di solito è nota come una festività o, se viene personificata, lo si fa dandole sembianze mostruose, ma secondo mia nonna era una donna di bell’aspetto con i capelli ricci rossi e una claymore in mano. A volte poteva manifestarsi anche come una gatta o una civetta. Non farti domande, ti racconto le cose per come le so».

«Tu ci credi?»

Lei fece spallucce. La risposta sincera sarebbe stata "Sì e no, non si sa mai". «Non sarebbe tanto più assurdo di quel che negli ultimi tempi vediamo quasi tutti i giorni e- ma che idiota!» esclamò improvvisamente Rain, dopo aver ricordato una cosa fondamentale «Billy, qui abbiamo finito. Io adesso devo andare».

«Andare dove?»

«Le cotolette se possibile devono essere di un animale che hanno cacciato le persone che accendono il falò. Sarei dovuta andare prima però tra una cosa e l’altra mi è passato di mente. Conto di rientrare presto ma se così non fosse ci rivediamo stasera quando torni a casa».

Billy alzò gli occhi al soffitto. «Probabilmente Samhain preferirebbe hamburger e patatine! Con tutto il rispetto ma a me sembra solo uno spreco di tempo e di cibo».

«Nessuno di noi il mattino dopo ha mai trovato il cibo e il grog dove li aveva lasciati. Tu di’quel che vuoi».

Billy, perplesso, la guardò uscire dal bagno. Per lui era incredibile quanto Rain potesse diventare poco “pratica” quando si trattava di seguire le tradizioni di famiglia, o meglio, le tradizioni che venivano da suo nonno. Ormai la conosceva abbastanza bene da aver capito che tutto quel che veniva da lui era, per Rain, intoccabile e sacro.
Pur non essendo la persona più acuta del mondo -se mai il contrario- a volte si era trovato a domandarsi se questo fosse positivo e, soprattutto, perché i genitori avessero smollato al nonno la propria figlia; poi però aveva finito col pensare ai propri, di genitori, e aveva concluso il ragionamento con un “Mah”. A volte gli adulti agivano secondo ragioni che la ragione non conosceva.

Cacciò uno strillo quando, voltatosi verso la finestra a causa di un’ombra improvvisa, vide una civetta appollaiata sul davanzale.

«Mi hai fatto prendere un colpo!»

Il rapace stridette. Billy per un attimo ebbe l’impressione che gli stesse ridendo in faccia.

«V-vai via! Torna a casa… tua… tsk» sbuffò, vedendo la civetta volare via.

Gli sovvenne un pensiero.


“Samhain… una donna di bell’aspetto con i capelli ricci rossi e una claymore in mano… a volte poteva manifestarsi anche come una gatta o una civetta”.


«Nah» concluse con una scrollata di spalle.





.: Base degli Autorobot :.





Fin dal primo pomeriggio gli Autorobot avevano avuto modo di osservare un certo fermento nei ragazzini, sentimento che si era ben presto tradotto nel riempire la loro base con finti e veri ortaggi di colore arancio denominati “zucche”, ghirlande rappresentanti mammiferi volanti chiamati “pipistrelli”, adesivi a forma di aracnidi poggiati su filamenti prodotti delle proprie secrezioni -le cosiddette “ragnatele”- finti bulbi oculari umani, finte dita amputate, sangue finto in ogni dove; in pratica la scena di un massacro in un posto abbandonato invaso da animali e vegetazione.

«Ragazzi…» esordì Optimus «Premesso che trovo l’entusiasmo giovanile apprezzabile in ogni caso, non credete di esservi fatti prendere un po’troppo la mano?»

«Dici?» si stupì Carlos, rovesciando sul pavimento un secchio da tre litri pieno di sangue finto.

«Non preoccuparti, Optimus, domani i ragazzi puliranno tutto!» lo tranquillizzò Alexis.

«Ehi! Come sarebbe “i ragazzi puliranno”? Anche tu hai decorato la base!» protestò Rad.

«Io però ero contraria all’idea del sangue finto! Voi avete voluto metterlo lo stesso, voi lo pulite: molto semplice direi» replicò la ragazzina.

«Ma guarda un po’questa!...»

«“Questa” si chiama Alexis, Carlos!»

«Potreste ricordarmi come intendete passare la serata?» domandò loro Optimus, decidendo di sorvolare sulle decorazioni «In cosa consistono i festeggiamenti di questo Hallo… Halloe?»

«Halloween!» esclamò Carlos «La notte dei mostri e delle streghe, in cui la gente va in giro travestita quando fa buio, va di casa in casa, dice dolcetto o scherzetto, si fa dare i dolcetti e se li mangia!»

«In verità la festa di Halloween ha radici un po’più profonde.  Nei tempi antichi si chiamava “Samhain” ed era una festa importante che aveva a che fare con l’onorare le anime delle persone morte, gli spiriti fatati e con il cambio di stagione. Una volta per noi umani non era raro morire per colpa di una stagione particolarmente fredda» spiegò rapidamente Rad «Quindi questa festa era fatta anche con la speranza che… insomma, che non fosse l’ultima. Credo che ci sia qualche inesattezza nella spiegazione ma il concetto è questo».

«Trovo curioso che una ricorrenza del genere sia diventata un semplice divertimento, ma capisco».

«E io aggiungo che ci sono persone che si ostinano ancora a celebrare Samhain invece di Halloween. A proposito, Carlos, Billy alla fine viene con noi oppure no?» domandò Alexis «Fino a ieri diceva di sì, stamattina sembrava quasi aver cambiato idea!»

«Non era sicuro di voler lasciare Rain da sola la sera del suo compleanno, era indeciso per quello ma alla fine sì, viene con noi» confermò il ragazzino.

«Vero! Mi ero dimenticata, e sì che la data sui social l’avevo vista. Nata nel giorno dei mostri e delle streghe, e quando se no? La data perfetta» commentò Alexis.

«Quasi. Se fosse davvero una strega credo che sarei morto da un pezzo per colpa di una sua maledizione, invece sono ancora vivo».

Optimus lo aveva detto scherzando -in parte- ma nessuno rise.
Decise quindi di cambiare argomento e chiedere ai ragazzi di essere più precisi riguardo i loro programmi.

«Tra poco andiamo a fare un po’di dolcetto o scherzetto in giro con Billy e Fred. Loro poi tornano a casa, o meglio Billy torna a casa e Fred va da lui, ma noi invece torniamo qui a festeggiare con voi, a mangiare i dolci che avremo preso e a guardare gli horror!» esclamò Carlos «Hot Shot ha anche detto che si vuole travestire da mostro!»

«Mi fa piacere che Hot Shot sia così entusiasta e una festa ogni tanto fa bene al morale delle truppe, ma è sempre un ufficiale Autorobot e forse arrivare a travestirsi da mostro è un po’eccess-»

Una figura ammantata di nero entrò improvvisamente nella stanza.

«FONO LA NOTTE! FONO L’OFCURITÀ!» esclamò Hot Shot, aprendo il mantello nero a mo’di ali di pipistrello «…certo che con queFti denti lunghi finti parlare è piuttoFto... difficile…»

Hot Shot guardò Optimus.
Optimus guardò Hot Shot.

«Questo è senza dubbio un ottimo esempio per dimostrare la volontà e la capacità di adeguarci agli usi e costumi del luogo» disse Prime, per poi concedersi addirittura una breve e calda risata, seguito a ruota dai ragazzini.

«Il coFtume è fatto tanto male?» domandò Hot Shot, imbarazzato.

«No, va benissimo! E adesso che ci penso sarebbe ora che anche noi indossassimo i nostri» aggiunse Rad.

“Ho fatto bene a disattivare l’allarme per il nuovo Minicon prima che iniziasse a suonare” pensò Sideways, in ascolto fuori dalla porta “Ora sto fingendo di aiutare gli Autorobot, poi fingerò di aiutare i Decepticon… ma non vedo l’ora di accumulare sufficiente odio e di riunire tutti i nove Minicon che servono per risvegliare il mio signore e padrone: Unicron. Con gentaglia simile in giro l’estinzione quasi totale di noi cybertroniani è auspicabile”.

Se fosse stata la voglia di vendetta per qualche torto subito, la brama di potere o piuttosto la misantropia a spingere Sideways a diventare discepolo di Unicron, non era dato sapere; in compenso, pur fingendo il contrario, era certo che trovasse i propri simili stupidi e gli umani fastidiosi. Per sembrare amichevole si era perfino abbassato a far fare delle corse a quattro degli umani più giovani, un sacrificio grande quanto quello di non sparare all’umana più vecchia.
Quest’ultima aveva impedito a uno dei ragazzini, alias il cugino, di salire su di lui. In virtù del mantenere la facciata di bravo ragazzo aveva provato a tranquillizzarla sul fatto che fosse tutto perfettamente sicuro, ma tutto quel che aveva ottenuto erano stati una breve occhiata infastidita e un “Non ho chiesto la tua opinione e non rivolgere la parola a me e Billy. Mai più”.

Simpatica quanto la ruggine cosmica ma per fortuna aveva elaborato un piano per sottrarre a Hot Shot la Spada Stellare e andarsene via, e l’avrebbe messo in pratica molto presto.





***





Se nel momento in cui Rain era partita da casa dopo aver acceso il falò il tramonto era iniziato da poco, adesso era in quella fase intermedia nella quale gli ultimi raggi del sole agonizzavano nel perdere la loro battaglia quotidiana contro la notte.

La visibilità ridotta non lo rendeva il momento migliore per girare in un bosco da sola -anche se era armata e conosceva bene il posto- e lei, non avendo ancora trovato una preda con cui fare le cotolette, aveva iniziato a pensare se se non avesse risolto la faccenda entro un quarto d’ora sarebbe stata costretta a dare retta a Billy, sperando che Samhain apprezzasse hamburger e patatine. C’era un orario preciso in cui il cibo andava messo davanti al fuoco e il tempo stringeva già da un po’.

“Colpa mia che l’ho dimenticato… e colpa anche di chi non si limita agli auguri” pensò.

Sembrava proprio che sua madre non riuscisse a capire che passare molto tempo da sola non implicasse anche sentirsi soli o avere qualche problema, e il fatto che Rain pensasse che quelle chiacchiere nascessero da un’ “apprensione” reale e non dalla volontà di romperle le scatole non cambiava il fatto che i suoi genitori avessero perso da tempo ogni diritto di metterci bocca. Anzi, secondo Rain non l’avevano mai avuto, e se suo padre l’aveva capito da un pezzo avrebbe potuto riuscirci anche sua madre.

Trasalì quando sentì qualcosa di peloso strusciarsi sulle sue gambe e puntò il fucile verso terra, salvo trattenersi dal premere il grilletto quando notò che si trattava di un gatto. Probabilmente era una femmina dal momento che le sembrava di distinguere tre colori sul suo manto.

«Mi sa che Samhain dovrà accontentarsi davvero dell’hamburger» sospirò la donna.

«E le patatine, cailín gleoite, non dimenticare le patatine» disse la gatta.

Irrigidita per lo stupore, Rain sgranò gli occhi. «Ma cos-»

Ebbe a malapena il tempo di stupirsi per il fatto che quell’animale avesse parlato: l’istante successivo un “qualcosa” di metallico la investì facendola quasi cadere a terra, per poi nascondersi dietro di lei quando ciò non accadde.

«Ma che diav- un COSO!» alias un Minicon in fuga «Levati di torno!»

Rumori di passi pesanti in avvicinamento.

«Mi sa che sta arrivando compagnia» tornò a farsi sentire la gatta.

«Devo cominciare a dubitare della mia sanità mentale» mormorò Rain.

Non bastavano gli alieni, ora ci si mettevano anche le allucinazioni di bestiole che parlavano gaelico chiamandola “bella figliola”.
Sapeva che avrebbe dovuto darsi una mossa ma c’era un gatto parlante, porca miseria!

«Hai un alieno attaccato alla gamba e ti stupisci di me? Sono anni che mangio le tue cotolette! E quelle di tua madre! E quelle dei tuoi trisavoli!... e tu sei quella che le cucina peggio, cailín gleoite, devo dirtelo».

«Ag fuck-thù».

I passi pesanti si erano fermati ma per il momento nessuno dei tre si era reso conto di essere osservato.
Demolisher, perché di lui si trattava, nel regolare certe frequenze per poter captare segnali utili il modo più efficace si era imbattuto in una serie terrestre chiamata “Sabrina, vita da strega”. Non stimava i terrestri, li riteneva una specie troppo delicata e poco avanzata, eppure aveva visto quarantadue degli oltre centosessanta episodi disponibili; abbastanza da aver imparato che le femmine umane che facevano parlare i propri gatti erano sicuramente delle streghe in grado di lanciare incantesimi terribili.
Dunque, visto che lui e Megatron -anch’egli in giro per il bosco- erano piuttosto convinti che quello fosse il secondo Minicon dello Scudo Stellare, era meglio cercare di approcciarsi con un po’di cautela per averlo senza ritrovarsi trasformato in qualche creatura anfibia.

«E-ehm… strega umana di sesso femminile!» esordì dopo qualche esitazione, uscendo allo scoperto «Non ho intenzioni dannose nei confronti tuoi e del tuo famiglio, quindi dammi quel Minicon, così io tornerò nella mia base e tu a fare le tue cose da strega!»

“Ma che va blaterando?!” pensò Rain.

Era una cosa buona che non l’avesse attaccata subito, oltre a scappare non avrebbe potuto fare molto altro avendo con sé solo un semplice fucile ed essendo uscita di casa, a quanto pareva, senza cellulare. Solo… strega? “Famiglio”?!
Giunse l’illuminazione. Quel Decepticon doveva aver visto troppa tv.
Con essa giunse anche la consapevolezza che o erano in due a essere pazzi, o non era la sola a sentire la gatta (o forse a quel punto avrebbe dovuto chiamarla Samhain? Che follia!).
Alle possibili cause di ciò avrebbe pensato in seguito, in quel frangente era meglio cogliere l’occasione.

«Oppure io non ti do proprio nulla, me ne vado e tu finirai distrutto da una maledizione di ruggine se non mi lasci in pace» lo minacciò Rain, iniziando ad allontanarsi assieme al Minicon e alla gatta. Era meglio ritrovare l’auto e tornare a casa prima possibile «Tanto che ci sei, dimmi dov’è la tua base…»

«DEMOLISHER!» tuonò Megatron, facendosi largo tra gli alberi «Hai ritrovato quel dannato Minicon sì o no?... TU! Torna subito qui, maledetta strega!» sbraitò, vedendo Rain e il Minicon darsi alla fuga in mezzo ai cespugli «Possibile che quella lì sia sempre in mezzo?!»

«A-attento Megatron! Quella lì è una strega per davvero! Le streghe della Terra parlano con i gatti e lei parlava con la gatta che è…» abbassò lo sguardo verso il suolo «Era qui un attimo fa! Lo giuro!»

«Se fosse davvero una strega saremmo tutti morti da un pezzo per colpa di una sua maledizione, cosa che invece non è. Idiota!» sbottò, senza sapere di aver ripetuto quasi parola per parola quel che aveva detto Optimus quello stesso giorno «Troviamola, lei e il Minicon non possono essere andati troppo lontani!»

Detto questo si lanciò all’inseguimento senza perdere ulteriore tempo, schiacciando massi, abbattendo alberi  e distruggendo cespugli lungo tutta la strada.

«È inutile che vi nascondiate, vi troverò prima o poi, e più tempo mi ci vorrà per farlo peggiore sarà la fine che farai tu, pazza arrogante!... chi avrebbe mai pensato che gli esseri umani potessero essere così fastidiosi?!»

Un fischio tale e quale a quello che avrebbe potuto fare un soldato a una femme terrena con un bel bagagliaio attirò la sua attenzione.
Soprattutto quando si rese conto che proveniva dalla sua spalla.

«Ehilà, asal meatailt! Spero che il grosso cannone che hai sul fianco non serva a compensare qualcosa. A proposito, voi ce l’avete il cannone? Intendo quello in mezzo alle gambe!»

Era un animale volatile terrestre notturno i cui simili aveva avuto occasione di vedere altre volte nel corso delle varie missioni di caccia ai Minicon, con una differenza sostanziale: gli altri non parlavano.
Né lo avevano mezzo molestato.

Cercò di scacciarsi di dosso la civetta con un gesto nervoso. «Cosa diavolo sei tu?!Un alieno mutaforma? Non so perché sei qui e non mi interessa» disse, per nulla impressionato all’idea. Nella vita aveva visto di peggio «Togliti di mezzo e non ti intromettere!»

«Sì ma il cannone lo avete o no?» insistette la civetta, volandogli davanti al volto a testa in giù.

«PIANTALA!» ringhiò il Decpeticon, cercando senza successo di spararle.

«Se io fossi più grossa o tu fossi più piccolo mi divertirei a scoprirlo, asal meatailt, peccato che non sia il momento giusto. Abbiamo entrambi altro da fare: tu devi renderti conto che le tue “prede” sono fuggite in volo, io devo andare a mangiare. O beh. Addio» concluse la civetta, scomparendo in mezzo agli alberi.

Rimasto solo, Megatron tacque per qualche secondo.
Poi…

«COSA?! Come avrebbero fatto ad andarsene via in volo?! Ah, già, quel Minicon poteva volare, se lei gli si è attaccata… maledizione!» sbraitò «Ritirata!»

Ormai era inutile restare lì, ma anche se aveva perso quel Minicon non intendeva rinunciare all’idea di avere, un giorno, Spada e Scudo Stellare per sé. Col tempo, si disse, avrebbe ottenuto tutto: le sue armi, la sua vittoria e le sue vendette.





***





«Puoi anche smetterla di parlarmi con quei tuoi versi senza senso, non riesco a capirti. Per fortuna almeno questo verrà risolto presto e verrai portato insieme al resto degli alieni come te».

Grazie al Minicon, Rain era riuscita a uscire dal bosco e tornare all’automobile. Ciò oltre ad averla salvata dai Decepticon -i quali non l’avevano lasciata in pace nemmeno il giorno del suo compleanno- le aveva anche permesso di passare a prendere l’hamburger con le patatine, e al momento era davanti al falò assieme al piccolo robot, che le parlò di nuovo.

«La gatta sta bene sicuramente, sempre che fosse davvero lì e non ci fosse un “qualcosa” nel bosco, forse alieno anch'esso, ad alterare le mie onde cerebrali e i segnali nei vostri circui…» Rain si interruppe «Stavolta invece ho capito quel che hai detto. Le cose sono due: o è un residuo di quel che c’era nel bosco o è un segno che sto passando troppo tempo con voi cosi e staccare per una serata mi farebbe solo bene».

Guardò il cellulare. Il messaggio inviatole da quei due conoscenti stretti era ancora lì, il suo “Vi farò sapere” in risposta era ancora lì ed era in tempo per scrivere un “Va bene, vengo con voi”.

«Forse dovrei…»

«Sì, cailín gleoite, forse dovresti! Se continui a inimicarti i robot giganti non è detto che avrai molte altre occasioni di festeggiare».

Nel sentire quella voce -quella della gatta!- vicina a un orecchio il sobbalzo istintivo con annessi passi indietro di Rain la fece quasi inciampare e finire nel fuoco. Venne però salvata da una donna che, seppur indossasse una felpa nera molto comune, con quei capelli ricci rossi, quella pelle chiarissima e gli occhi aranciati somigliava terribilmente alla figura di cui lei stessa aveva parlato a Billy nel pomeriggio.

«Sei coraggiosa ma sei solo una mortale» le ricordò la donna, delicata e ferma nel prenderle una mano e attirarla verso di sé allontanandola dalle fiamme.

«E tu sei una visione di Samhain frutto dell’effetto di un “qualcosa” nel bosco, non so cosa, e niente di più» ribatté Rain, scostandosi un po’.

Samhain fece spallucce. «Se ti piace restare in bilico tra il credere e il non credere sei libera di farlo. Tanto io sono qui solo per il mio cibo e il mio grog. A proposito del cibo, se l’anno prossimo sarai ancora viva mi piacerebbero delle costine di maiale grigliate. E le patatine fritte».

«Senti un-»

Un rumore svariati metri più in là, quello di un vortice deformante che si apriva, la spinse a voltarsi.

«Fono il Conte DRAAACULA!» esclamò Hot Shot, aprendo il mantello da vampiro che in tutto quel lasso di tempo non si era ancora tolto.

La reazione di Rain fu un’alzata di sopracciglio.

«O beh, perlomeno tu non mi hai riso in faccia. Quando Billy ha contattato la base dicendo che gli avevi fatto sapere di aver trovato un Minicon stentavo a crederci. Com’è successo?!»

«Ero nel bosco. C’erano anche Megatron e un Bidone Parlante dei suoi, e…»

Si voltò.
Samahin, se mai c’era stata davvero, non c’era più... esattamente come non c'erano più cibo e grog. Data la presenza di Hot Shot fu costretta ad accantonare il dubbio amletico "Li ho messi davvero vicino al fuoco oppure ho solo creduto di averlo fatto?".

«…e siamo riusciti ad andarcene anche grazie al fatto che questo coso qui vola» completò la frase Rain, indicando il Minicon con un cenno «Non farmi dire altro, ho già bestemmiato abbastanza lungo la via del ritorno per non essere riuscita a stare in pace nemmeno oggi».

«Capisco. So che per voi umani l’anniversario della nostra nascita è un giorno di festa… e-ehi, non guardarmi in quel modo! Sono venuto a saperlo dai ragazzi, non volevo farmi gli affari tuoi» si difese Hot Shot, notando l’occhiata poco incoraggiante.

Rain sospirò e si mise a sedere accanto al falò. «Prendi il mini alieno e vai».

«Un attimo, ti ho portato una cosa. Quando un umano festeggia il compleanno gli si fa un regalo, giusto?»

Un attrezzo da lavoro alieno molto somigliante a una chiave inglese.
Una chiave inglese grande.
Troppo grande.

«Non c’era molto di meglio in giro e non puoi usarla come facciamo noi ma come panchina sì! Ho visto usare come panchine cose ancora più strane nel vostro Internet. Oppure puoi metterla dove vuoi. Oppure puoi buttarla via, visto che… forse non è stata una grande idea, a te non piacciono le cose aliene».

«Vero» disse Rain, dopo una breve esitazione «Però potrebbe effettivamente servire, quindi… grazie» altra pausa «A dirla tutta se la prossima volta mi portassi dei pezzi di Decepticon affettati con la tua spada sarebbe anche meglio».

«Lo farò. Lo trovo un po’macabro, ma lo farò!»

Incredulo per essere stato ringraziato ma anche soddisfatto, l’Autorobot se ne andò insieme al Minicon, lasciando sola Rain che, guardando il falò, digitava messaggi sul cellulare.





***





«Non mangiare tutti i tuoi dolci già adesso perché se ti aspetti che ti dia i miei sbagli di grosso!»

«Ma Biiiillly! Tu ne hai presi un sacco più di me!»

Letteralmente, dato che Billy era stato costretto a procurarsi un sacco più grosso per portare tutti i dolcetti. Il costume da vampiro e il trucco, ben fatti entrambi, avevano avuto successo.

«Ti andrà meglio il prossimo anno. RAAAAIN! Siamo a casa!» gridò Billy appena prima di aprire la porta.

«Non è che dormiva e così l’abbiamo svegliata?»

«Nah. Sono le undici e tre quarti e di norma è difficile che vada a dormire prima di mezzanotte e mezza, tanto anche così si fa minimo dieci o undici ore di sonno… certo che fa una bella vita» sospirò Billy «Se fossi stato al suo posto oltre ad alzarmi tardi sarei stato sempre in giro per il mondo in posti di lusso, sarebbe stato fichissimo».

«Però se avesse fatto così non vivresti qui» gli fece notare Fred.

«Eh… sì, è vero».

Quando finalmente entrarono rimasero attoniti, perché sul divano era seduta una strega celtica o qualcosa di simile.

«Noto che la caccia ai dolcetti è andata bene. Io tra cinque minuti dovrei uscire».

Entrambi i ragazzini pensarono che se Alexis avesse visto Rain in quel momento si sarebbe convinta che fosse una strega per davvero. Era bella e sottilmente inquietante con quell’abito rosso e nero decorato di ricami e piume, i vari medaglioni color oro brunito, il copricapo di piume nere -che erano le stesse del bastone di legno poggiato accanto a lei- e quel trucco nero sugli occhi a mo’di maschera. Di sicuro sembrava prontissima per lanciare sortilegi in gaelico a qualcuno.

«Non è che partecipi a sabba di streghe celtiche e non me l’hai mai detto?» scherzò Billy.

«Figurati. Ho messo questo costume una volta all’Università e poi mai più».

«Quindi hai deciso di andare con quei tuoi conoscenti stretti. Sono contento» sorrise il ragazzino.

«S-spero che tu ti diverta…» farfugliò Fred.

«Me lo auguro! L’ultima volta che ci siamo visti, il villaggio vacanze dov’eravamo è andato a fuoco poco dopo che era stato avvistato in giro un serpente. Magari avremo più fortuna stavolta. Andate pure, ragazzi, e ricordate…»

«“A letto a un’ora decente e usate i sottobicchieri”, sì, lo so» disse Billy, alzando gli occhi al soffitto mentre saliva le scale per andare di sopra assieme a Fred.

Rain rimase sola ma non dovette aspettare molto: il campanello dell’ingresso suonò meno di due minuti dopo. Sicuramente erano i due conoscenti stretti che aspettava.

“Andrà tutto bene” si disse la donna “Lui ha qualche peculiarità ma lei è così di classe che compensa tutto, anche il fatto che le manchi il braccio sinistro. Con la protesi nemmeno si nota”.

Aprì la porta. «Buonasera a tutti e due, Nefertari e… Zachary…»

Mentre parlava si rese conto che quest’ultimo la stava salutando con la protesi di Nefertari, staccata dalla sua posizione abituale.
E che probabilmente aveva suonato il campanello sempre con quella.

«Come mummia è perfetta visto? Oltre a essere egiziana perde anche i pezzi!» esclamò Zachary, zombie albino, occhialuto e dal sorriso sornione la cui sedia a rotelle era stata mascherata da catafalco «Ciao Rain! Sei una strega tanto carina!»

«Ti trovo bene, Rain. Buon Halloween e soprattutto buon compleanno» disse Nefertari «Abbiamo un  regalo per te».

Il vestito da mummia di Nefertari era molto attillato e non aveva tasche, dunque fu Zachary a tirare fuori dal “catafalco” le giare piccole dell’intera collezione di Halloween di Yankee Candle.

La giornata di Rain passò così da “pessima” a “tutto sommato non male”.

«Grazie! Non avevo ancora avuto modo di metterci mano. Mi avete risollevato la giornata, sappiatelo» disse, posando le giare in casa chiudendo la porta dietro di sé dopo essere uscita.

«Seccature varie?» indagò Zachary, mentre si dirigevano all’auto dove l’autista li aspettava per partire.

«Qualcuna. Però non voglio pensarci oltre… e stasera spero che non prenda fuoco nulla».

«O che non ci sia un serpente anche lì» aggiunse Zachary.

«Se anche ce ne fossero quindici non andrebbe di nuovo a tutto fuoco, Rain, te lo assicuro» sorrise Nefertari, sistemando una ciocca fuori posto dei suoi lunghi capelli scuri «Non si può avere sfortuna due volte di fila. Andiamo».

“Sì… passare del tempo con gente più normale di quella che ho intorno ultimamente non può farmi che bene” concluse Rain.

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Capitolo 13
*** Pioggia acida ***


«Perché?! Sideways… sei sempre stato un Decepticon, fin dall’inizio… e mi hai ingannato per tutto questo tempo!»
 
Crollato in ginocchio sul brullo suolo lunare, Hot Shot stava sperimentando la sgradevolissima sensazione di chi commette un errore irreparabile. Da che aveva avuto in mano la Spada Stellare aveva creduto di essere il più grande transformer dell’Universo, fino ad allora non c’erano stati chissà quali fatti a dimostrargli il contrario; in quel momento invece stava scoprendo di essere sì “il più grande”… ma il più grande imbecille.
 
«Come ho potuto essere così stupido?! Avrei dovuto immaginarlo…»
 
Così si sentiva: la creatura più inetta mai esistita.
Nell’ultima missione per il recupero dell’ennesimo Minicon aveva finito con l’essere trasportato assieme a Sideways nella base dei Decepticon, capendo con sorpresa che era locata sulla Luna.
Poco dopo aveva scoperto che non era stato casuale: il finto Minicon e il relativo segnale che aveva attirato sul posto lui e i Decepticon erano stati entrambi creati da Sideways, il quale pareva aver previsto tutto, inclusa la ritirata dei Decepticon.
Anche allora lui, Hot Shot, non aveva avuto sospetti, perché nei giorni passati aveva avuto con Sideways una conversazione riguardo una simile prospettiva.
 
“Giorno fortunato per te, sfortunato per loro”, aveva detto Sideways.
“Attaccarli direttamente e farla finita una volta per tutte”, aveva aggiunto.
 
Quando se n’era parlato gli era sembrata una buona idea, perché Sideways non aveva fatto altro se non premere tasti che già c’erano. Se non fosse stato per l’influenza dei suoi compagni e soprattutto di Optimus, Hot Shot avrebbe affondato la Spada Stellare nel petto di Megatron già della volta in cui questi si era azzardato a invadere la loro base. Aveva un temperamento impulsivo e il pensiero -magari nemmeno errato, per quanto molti cercassero di convincerlo di sì e cercasse di convincersene lui stesso- che la fine della guerra valeva bene la distruzione di qualche Decepticon.
 
Quella creata da Sideways gli era sembrata la situazione perfetta per mettere in pratica l’idea, peccato che si fosse rivelata una trappola, che il suo nuovo compagno di squadra si fosse rivelato una spia e che ora la Spada Stellare fosse nelle mani di Starscream.
 
«Ammirate il transformer più potente dell’Universo!» esclamò il seeker, brandendo con fierezza l’arma appena conquistata «La Spada Stellare è finalmente nelle mani del suo vero padrone!»
 
Tutto quel che Hot Shot riusciva a fare era stare fermo lì, circondato dai Decepticon, a guardare le proprie sicurezze andare in pezzi. La Spada gli aveva dato una scarica di fiducia in se stesso e una sensazione di invincibilità che non aveva mai provato prima, senza di essa si sentiva come se stesse affrontando i nemici senza l’armatura addosso, anzi, peggio.
 
«Era una trappola e non me ne sono accorto» ripeté, ancora sconvolto «Non mi sono accorto di niente…»
 
Cos’avrebbero pensato di lui i suoi compagni, che negli ultimi tempi si erano appoggiati molto a lui durante le battaglie?
Cos’avrebbero pensato di lui i ragazzini, i quali più che mai erano stati entusiasti di lui e dei suoi successi?
Cos’avrebbe pensato Rain, che aveva avvertito l’intera squadra e lui, in particolare, più volte?
E cos’avrebbe pensato Optimus Prime, che gli aveva permesso di usare la Spada Stellare quando invece essendo il leader avrebbe avuto il diritto di reclamarla per sé?
 
«Per questo non meriti di possedere la Spada Stellare» infierì Megatron, sparando contro di lui due colpi al laser che lo presero di striscio.
 
Nello spostarsi, l’Autorobot finì tra i piedi di Demolisher, il quale iniziò a prenderlo a calci senza esitare neanche un istante.
 
«Devi ancora riprenderti dallo shock, vero?» lo dileggiò il Decepticon «Lascia che ti dia una mano a ritornare alla realtà!»
 
«Lasciamene un pezzo!» esclamò Cyclonus, raggiungendo il compagno di squadra per poter partecipare a sua volta.
 
Megatron rise. «Il piccolo Autorobot merita uno speciale trattamento alla Decepticon!»
 
Hot Shot non riuscì a dargli torto, pensava che Megatron avesse azzeccato la parola giusta: “merita”.
In condizioni normali avrebbe cercato di difendersi, avrebbe cercato di scappare e se non ce l’avesse fatta avrebbe cercato di vendere cara la pelle metallica, ma in quel momento sentiva di meritare ogni calcio, ogni colpo, perfino la morte se Megatron alla fine avesse deciso così.
Uno stupido che aveva fatto finire la Spada Stellare nelle mani dei Decepticon non aveva il diritto di cercare di scamparla.
 
“Sciocco d’un ragazzo!” pensò Scavenger, osservando la scena da una certa distanza.
 
Da quando il mercenario era arrivato sulla Terra aveva avuto modo di valutare tutti quanti, Hot Shot incluso.
Gli era sembrato promettente e ne aveva avuto conferma dopo che lo aveva provocato più volte proprio per verificare quella teoria, tanto che una volta conclusa la missione tra i Decepticon avrebbe gradito addestrarlo, ma se Megatron lo avesse ucciso quel giorno non avrebbe potuto.
 
“C’è di buono che sembra essere preso da tutt’altro”.
 
Lo scambio di battute che stava avvenendo tra Megatron e Starscream, infatti, lo faceva sospettare che difficilmente quest’ultimo avrebbe mantenuto a lungo il possesso sulla Spada Stellare.
Era difficile mantenere il possesso su qualcosa che Megatron voleva, ed era ancora più difficile se si era dei Decepticon.
 
«Megatron!»
 
Il leader dei Decepticon si voltò nella sua direzione. «Scavenger. Avrei voglia di chiederti dov’eri finito ma mi hai colto in un momento di particolare buonumore».
 
Scavenger indicò Hot Shot, che stava ancora venendo picchiato, con un cenno del capo. «Intendi lasciarlo andare?»
 
«Direi di no. Anzi! Starscream, vai a porre fine alle sofferenze di quell’infelice» ordinò Megatron.
 
Il seeker sogghignò. «Con piacere».
 
«Non c’è bisogno di eliminarlo» si fece sentire nuovamente Scavenger «Lasciamolo in vita. Lasciamo che torni sconfitto alla sua base, ricorderà a lungo l’umiliazione che ha ricevuto. Se morisse adesso soffrirebbe meno, e tu non volevi fargliela pagare per averti strappato la Spada dalle mani, Megatron?»
 
Il mech fece una smorfia, non amava mai ricordare sconfitte e fallimenti, ma forse il vecchio mercenario balordo dalla lingua troppo lunga poteva avere ragione e, in ogni caso, quel che contava davvero era che gli Autorobot avessero perso la Spada Stellare. Si preannunciavano solo vittorie facili in futuro.
 
«Non hai tutti i torti» concluse Megatron, aggiungendo per buona misura la sua solita risata «Sia. Cyclonus, Demolisher, ammorbiditelo un altro po’ e poi rispeditelo nella sua base col vortice deformante. Ricordati, stolto ragazzino: questo è quello che succede a tirare troppo la corda con i Decepticon!»
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Nella base terrestre, sdraiato sulla cuccetta dell’infermeria, Hot Shot fissava il soffitto senza dire una parola. Attaccato ormai da qualche ora a dei macchinari ronzanti con molteplici cavi, le uniche cose cui riusciva a pensare erano il fallimento e il momento in cui, ripresosi, avrebbe dovuto raccontare la storia completa.
 
Tutto quel che era riuscito a dire quando era tornato alla base, capace a stento di reggersi in piedi, era stato che Sideways lo aveva tradito. Quale fine avesse fatto la Spada Stellare, Optimus e i suoi compagni lo avevano immaginato da soli.
 
Non sapeva ancora dire se fosse stata peggio la preoccupazione sui loro volti o quella mista a delusione sul viso dei quattro umani presenti. Di certo si erano aspettati che lui e Sideways mettessero la base dei Decepticon a ferro e fuoco, non di vederlo tornare massacrato e disarmato.
 
La vergogna era tale che si sentiva morire, a dirla tutta quasi lo desiderava. Scavenger ci aveva visto giusto nel dire che eliminandolo l’avrebbero fatto soffrire di meno, però non aveva neanche la forza di arrabbiarsi e odiarlo.
 
La porta dell’infermeria scorse di lato. I passi che sentiva erano leggeri, quindi non si trattava di Red Alert o uno degli altri, non erano metallici, quindi non si trattava di un Minicon, ed erano di una persona sola, dunque non si trattava dei ragazzini, i quali viaggiavano sempre almeno in coppia.
Poteva trattarsi di una sola persona, alias Rain, e il desiderio di essere morto divenne più potente.
 
«Dillo: quando distribuivano il cervello, tu hai capito fardello, e hai detto “No grazie”! Cosa ti avevo detto? “Sideways è una spia, non ti devi fidare, non gli devi dare retta, non gli devi dare confidenza, cerca di non perdere la Spada”, e tu cos’hai fatto?! Ag fuck-thù!»
 
«Non so cosa tu abbia detto ma merito tutti gli insulti che vuoi dirmi. Sono colpevole verso tutti quanti per quel che è successo» riuscì a dire l’Autorobot «E sono doppiamente colpevole verso di te. Ci avevi avvertiti, mi avevi avvertito, e io non ti ho ascoltata».
 
Con sua sorpresa, vide che Rain si era arrampicata sulla cuccetta e che in quel momento si stava arrampicando anche sopra il suo petto. Il bazooka non sembrava impicciarle in quell’operazione.
 
Doverla guardare in faccia non avrebbe reso le cose più semplici.
 
«Tutto vero, ma lascia perdere le ovvietà e le cose che già so» disse la donna, in piedi all’altezza della sua Scintilla «Piuttosto dimmi quelle che non so. Chi ha la spada ora?»
 
«Starscream» mormorò Hot Shot.
 
«Avrei scommesso sul cornuto. Non so se sia meglio o peggio così ma è irrilevante, Bidone Parlante Due non se la terrà a lungo, quindi passiamo alle cose serie. Quando sei stato teleportato via, i Decepticon si stavano ritirando. Da ciò consegue che tu sia stato nella loro base, quindi, Hot Shot, ora dimmi dove si trova».
 
«Rain-»
 
«Shut your gob, ya bleedin’ muppet. Ti sei fidato di una spia, non mi hai dato retta e hai fatto un disastro ma non è irreparabile, dimmi dove si nascondono quelle maledette larve di ruggine e tutto quanto andrà a posto».
 
Passi affrettati interruppero Hot Shot poco prima che si arrendesse all’idea di risponderle.
 
«Sapevo che eri qui, nell’ultimo posto dove saresti dovuta essere!» fu la prima cosa che disse Optimus Prime entrando nella stanza «Hot Shot necessita di riposo, non dovrebbe essere una cosa difficile da comprendere neppure per te, Rain».
 
«Se sei qui per ammettere che io avevo ragione riguardo Sideways e scusarti, sappi che non lo stai facendo bene. Quel che è successo è anche colpa tua» lo accusò Rain, per nulla intimorita «Ti avevo detto che era una spia, era palese. “Animo da vagabondo”! Ma per piacere! Quale idiota avrebbe potuto cascarci? Solo tu! Tu, che apri la porta della tua base a cani e porci per far vedere che sei bravo e buono, hai voluto lasciar entrare un nemico e questi sono i risultati».
 
«Quel che è fatto è fatto, e in ogni caso se dessi retta a te non dovrei fidarmi neppure di me stesso. Su Sideways avevi ragione ma, come dite voi terrestri, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno» ribatté Optimus, cercando di mantenere la calma quanto più possibile.
 
«Infatti no, non dovresti fidarti di te stesso, perché mi sembra che tu non faccia altro se non auto sabotaggi. Poteva andare anche peggio. Molto peggio!» aggiunse la donna «Avrebbero potuto ucciderlo o, se Megaschifomadò fosse stato un minimo più sveglio, avrebbe potuto tenerlo come ostaggio e farsi consegnare tutti i cosetti» alias i Minicon «Sia quelli che già avete, sia quelli futuri. Sono abbastanza convinta che avresti ceduto».
 
«Avrebbe potuto ma non è accaduto, Rain, quindi stai parlando del nulla» replicò il comandante.
 
«Se non è accaduto dobbiamo solo ringraziare gli Dèi Esterni per il fatto che quel grandissimo cornuto sia un deficiente di prima categoria, di certo non la tua saggezza. Torno a rivolgermi a te, Hot Shot: dove si trova la base dei Decepticon?»
 
«Basta così» concluse Optimus «Hot Shot ha bisogno di riposo, come ho detto quando sono entrato. Puoi lasciare l’infermeria sulle tue gambe o protestare inutilmente quando ti scorterò fuori di persona, a te la scelta, ma non tollererò che continui. Non hai avuto un briciolo di compassione neanche per un ferito, ti rendi conto?»
 
«Può parlare e può ascoltarmi, non vedo il problema» ribatté Rain, decidendo comunque di scendere dal petto di Hot Shot e dalla cuccetta.
 
«Il problema è proprio che tu non veda il problema».
 
«Di problemi ne vedo molti, primo tra tutti un certo comandante che non saprebbe riconoscere le spie neanche se andassero in giro con un cartello con su scritto “SPIA”, e non è neanche il peggio, ma parlare con te è come farlo col muro, con la differenza che i muri sono più utili. Non credere che finisca qui, Hot Shot: dopo quel che hai combinato, una risposta me la devi».
 
Quando Optimus sentì la porta aprirsi e chiudersi, andò velocemente a digitare il codice per sigillarla.
 
«Almeno non ci sarà il rischio che rientri per continuare a discutere» disse «È l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Non dovrei sentirmi allibito eppure lo sono: non le è importato che fossi in terapia intensiva, e sei quello che odia di meno!»
 
«Non ne sono più sicuro ormai, se ora mi odiasse più di quanto odia Megatron le darei ragione. Darei ragione a tutti voi se faceste la stessa cosa. Optimus… signore… la colpa di questo fallimento è solo mia. Se solo potessi tornare indietro, se solo ci fosse un modo per-»
 
«Tornare indietro è qualcosa di impossibile e un modo per riprendere la Spada Stellare, o gestire la situazione, si può trovare. La sola cosa che non devi assolutamente fare» si avvicinò a Hot Shot e abbassò la voce «È dire a uno qualunque degli umani dove si trova la base dei Decepticon».
 
«È sulla luna» disse Hot Shot «Cosa che spiega anche il vortice deformante a corto raggio. Ma perché non posso parlarne anche solo con i ragazzi?»
 
Optimus fece un lungo sospiro. «I ragazzi parlano tra loro, tra loro c’è Billy, Billy vive con Rain O’Connell. Questa è la ragione. Non so cosa potrebbe e vorrebbe fare di preciso una volta a conoscenza della posizione della base di Megatron ma ormai la conosco abbastanza da sapere che qualunque cosa sia andrebbe contro tutti i miei principi, i nostri principi. Se chiunque di loro di chiederà qualcosa, di’ di non aver capito dove ti trovavi, al massimo di’che era un terreno molto brullo, ma niente di più. Questo è un ordine e anche un favore personale, Hot Shot».
 
«Sissignore» rispose il giovane Autorobot che, vedendo Optimus non intenzionato a biasimarlo troppo per l’accaduto, avrebbe detto di sì a qualunque cosa.
 
«Bene. Ora riposa, nessuno verrà più a disturbarti».
 
Uscito dall’infermeria si stupì di non trovare Rain a tentare di origliare.
 
“Probabilmente ha capito che sarebbe stato inutile o ha notato che era riuscita a innervosirmi abbas- no, di quello non le è mai importato” sospirò di nuovo, camminando lungo il corridoio “Il tradimento di Sideways, e soprattutto la perdita della Spada Stellare, sono un duro colpo. D’ora in avanti sarà difficile riuscire a impedire che i Minicon cadano nelle mani di Megatron, purtroppo è un dato di fatto. Questa non me, anzi non ‘ce’, la dovevi fare, Hot Shot… la speranza più concreta che abbiamo ora è quella di riuscire a riunire i Minicon dello Scudo Stellare. Anche il fatto che la missione di Scavenger tra i Decepticon stia per terminare è positivo”.
 
«Allora dov’è?»
 
Optimus, vedendo Rain e sentendo la sua voce dopo aver girato l’angolo, quasi sobbalzò. «Dov’è cosa?»
 
«Non hai bisogno di fare il finto tonto, e chi vuol intendere intenda. Dici che Hot Shot ha bisogno di riposo, quindi lo chiedo direttamente a te: dov’è la base dei Bidoni Parlanti?»
 
«Sfortunatamente Hot Shot non è stato in grado di capirlo, essendo impegnato con tutt’altro. Ha saputo dirmi soltanto che era su un terreno molto brullo».
 
«Hai la fama di uno che non mente mai, così mi dicono. Ho sempre pensato che fosse immeritata».
 
Non gli aveva creduto.
Ovvio che no.
 
«Non ho altro da dirti, Rain, che ti piaccia o meno. A dirla tutta dovresti smetterla di interessarti alla posizione della base di Megatron, non è la tua guerra».
 
«Lo è diventata da quando io e Billy siamo stati rapiti, perfino tu dovresti arrivare a capirlo».
 
«Come tu dovresti capire che non puoi ridurre il tutto a una semplice questione personale» replicò Optimus, avvertendo l’ormai familiare tensione ai transistors «E non puoi muoverti solo in funzione di essa».
 
«Disse quello che, proprio per una questione personale, non si muove affatto. Se tu facessi il tuo dovere, se tu l’avessi fatto milioni di anni fa, ora saresti in pace su Cybertron. Non ci saremmo neanche incontrati, ci pensi? Sarebbe stato fantastico».
 
«Sì, su questo hai ragione» disse.
 
Ammutolì.
Non poteva credere di averlo detto davvero, non poteva credere di aver lasciato intendere di provare mal sopportazione a tali livelli verso qualcuno, verso un essere umano, quando non riusciva ad ammettere nemmeno a se stesso di provare reali e profondi sentimenti negativi verso chicchessia, anche verso Megatron, che pure era il suo nemico giurato.
 
«Nel detestarci allora siamo d’accordo» disse Rain.
 
«Io non intendevo… io non volevo, non... io non ti detesto. Non sarebbe onorevole in genere» dichiarò Optimus «Tantomeno lo sarebbe con qualcuno tanto più debole di me. Non ti detesto. No».
 
Lei alzò gli occhi al soffitto. «Credo che riusciresti a ragionare molto meglio se ammettessi il contrario. Tu e io non ci spariamo addosso ma ci detestiamo. Tu e Megatron vi detestate. Ora probabilmente stai detestando anche te stesso per non riuscire a evitare tutto questo, che è del tutto normale. Scendi dal piedistallo su cui ti hanno messo e al quale ti sei appiccicato, per una volta».
 
«Non sono su alcun piedistallo, ritengo semplicemente che il leader degli Autorobot debba essere superiore a certe cose e non intendo cambiare opinione. Ora sii gentile e torna insieme ai ragazzi».
 
Rain sollevò un sopracciglio. «Mi chiedo cos’altro debba succedere perché tu capisca che è il caso di cambiare approccio o di lasciar fare a chi ne ha già uno diverso dal tuo. Aver perso la Spada Stellare è un problema».
 
«Lo risolveremo o lo gestiremo come facciamo con qualunque altro».
 
«Ora sì che mi sento tranquilla».
 
Ci fu una breve pausa di silenzio.
 
«Non sarà per mano mia o dei miei soldati» disse Optimus Prime «Ma se continuerai così arriverà un giorno in cui il tuo atteggiamento ti darà più di qualche problema. Avendo attirato l’attenzione di Megatron avresti dovuto già capirlo, eppure insisti, come se potessi permetterti questo e altro. Forse sei abituata al fatto che di solito sia così ma dovresti cercare di riportare tutto alla giusta misura, per Billy, se non per te stessa».
 
«Se non fosse per quel “non sarà per mano mia o dei miei soldati” potrei anche prenderla come una velata minaccia ma, dato che non lo è e che sei così gentile nel preoccuparti per me e per mio cugino, ti tranquillizzo dicendo che non hai motivo di stare in pensiero. Non per noi due».
 
Optimus non rispose, lei non aggiunse altro e, con sollievo di entrambi, andarono ognuno per la propria strada.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Non è giusto. Non è per nulla giusto”.
 
“Sono stato io a fare l’accordo con Sideways, a ricattare quel povero idiota e tutto il resto, Starscream l’ha solo raccolta. Non la merita”.
 
“La Spada Stellare spettava a me! Sono io il capo, sono io che dovrei averla”.
 
Quei pensieri vorticavano nel processore di Megatron da quando aveva visto il seeker mettere le mani attorno all’elsa di quell’arma leggendaria. Non poteva fare nulla per contrastarli e non voleva neppure farlo, perché era convintissimo che fossero giusti.
Non si rendeva neanche conto di quanto alcuni di essi potessero risultare infantili, come d’altra parte non si rendeva conto di quanto le sue reazioni e lui stesso potessero risultarlo in certi frangenti.
 
“Starscream è anche soggetto a deliri di onnipotenza più o meno lunghi quando ottiene un potenziamento. Quando ha ottenuto quel Minicon, in quella maledetta foresta, ha tirato un colpo di cannone che ha rischiato di danneggiare anche chi non doveva. Non dovrei permettergli di tenere con sé un’arma come la Spada Stellare, non è il soggetto adatto. Tutto e tutti sarebbero più al sicuro, se fosse in mano mia”.
 
Magari non era stupido, non del tutto -o comunque non peggio del suo nemico giurato- e c’erano delle occasioni in cui era in grado di mostrare una maturità più consona alla sua età, alle sue responsabilità e al suo grado.
 
E se anche così non fosse, voglio averla e basta”.
 
Peccato che l’occasione attuale non fosse una di esse.
 
“Posso ordinargli di cedermela. È un mio soldato, è tenuto a obbedire” pensò “Se non dovesse farlo potrei subito accusarlo di alto tradimento e finirei per averla comunque tra le mie mani”.
 
A meno che Starscream decidesse di sfidarlo prima.
Non era nella sua élite senza ragione, era un giovane in gamba e lui, sotto sotto, lo sapeva perfettamente.
 
“Non cambia nulla. Posso batterlo anche mentre dormo, e con una mano sola!”
 
Però non poteva fare a meno di pensare anche “tutto vero, ma se per un colpo di sfortuna andasse storto qualcosa?”. La sorte non era stata sua amica negli ultimi tempi, come dimostrava l’essersi fatto ferire per due volte da degli esseri umani.
 
Ecco, sì: andare a fare una visitina a certi umani una volta impadronitosi della Spada Stellare era sicuramente nella sua lista di cose da fare.
 
“Una cosa per volta. Prima pianificherò qualcosa per avere quel che è mio di diritto, alias la Spada” pensò “E poi… non dovrò far altro che scegliere l’ordine con cui mettere in pratica tutto quel che ho in mente”.

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Capitolo 14
*** Pioggia in un freddo sabato sera ***


10
PIOGGIA IN UN FREDDO SABATO SERA















“Moon river, wider than a mile

I'm crossing you in style some day…”
 
 
 
Non era un bel momento per gli Autorobot, Optimus lo sapeva. I Decepticon si erano impadroniti della Spada Stellare, cosa che aveva portato e stava portando a svariati Minicon persi e compagni di squadra feriti in battaglia, e sebbene stessero cercando di trovare l’ultimo Minicon dello Scudo Stellare non erano ancora riusciti nell’impresa. Il morale di tutti quanti era a terra nonostante i suoi tentativi di risollevarlo…
 
 
“Le parole senza i fatti sono inutili, e i fatti ve li trovate addosso sotto forma di tagli. O vi riprendete la Spada, che senza certe scelte avventate sarebbe ancora qua, o trovate lo Scudo: altro non c’è”.
 
 
Tentativi che Rain O’Connell smontava senza pietà alcuna. L’avvertimento riguardo il fatto che il suo atteggiamento un giorno avrebbe potuto portarle problemi -avvertimento che ora, nel ripensarci, suonava come una velata minaccia a lui stesso che aveva detto quelle parole- l’aveva solo invelenita ancora di più, il che era tutto dire. L’unica cosa buona era che lei e Billy frequentassero la base limitatamente, ma quel poco era più che abbastanza.
 
 
 
“You, dream maker, you heart breaker
Wherever you're goin', I'm goin' your way…”
 
 
 
Erano quelli i motivi che, nei momenti liberi, quel giorno e i precedenti lo avevano spinto a cercare conforto fuori dalla base. Inizialmente era stato solo un andarsene fuori, appunto, ma un bel giovedì sera il suo peregrinare l’aveva portato a passare vicino a un “lounge bar” -l’insegna recitava così- dal cui interno aveva sentito una voce femminile cantare un brano terrestre a lui sconosciuto.
 
 
 
“Two drifters, off to see the world…”
 
 
 
L’estensione vocale della cantante non era nulla di speciale, ma non era quello il punto. Ciò che l’aveva indotto prima a rallentare e poi a trovare un posto nel parcheggio era il fatto che la voce di quella donna fosse quanto di più tranquillizzante avesse sentito da svariati millenni a quella parte; se fosse per una frequenza che risuonava in modo particolare nel suo processore o simili Optimus non avrebbe saputo dirlo, ma di sicuro era ciò di cui in quel momento aveva avuto bisogno.
 
 
 
“There's such a lot of world to see…”
 
 
 
Inizialmente combattuto, specie perché conscio del fatto che la cantante fosse un essere umano e che sarebbe stato il caso di evitare il più possibile ogni contatto con gli indigeni, poco dopo aveva concluso che non c’era assolutamente niente di sbagliato in quel che stava facendo. In fin dei conti era solo rimasto fuori dal locale a fare quel che altri esseri umani stavano facendo dentro di esso, senza un approccio vero e proprio con l’artista in questione, ed era rimasto fino alla fine dell’esibizione.
 
 
 
“We're after the same rainbow's end…”
 
 
 
In seguito l’aveva anche vista uscire insieme a un gruppo di colleghi e andare verso un’automobile molto piccola e compatta di colore verde scuro. L’aveva riconosciuta dalla voce, ovviamente, molto calma anche nel parlare; Optimus non si intendeva molto di terrestri ma aveva notato l’eleganza generale di quella persona ed era stato lieto di sentirla salutare gli altri lasciando intendere che si sarebbero rivisti quello stesso finesettimana. In quello stesso frangente aveva anche colto il suo nome: “Rhiannon”.
 
 
 
“Waitin' 'round the bend,
My huckleberry friend…”
 
 
 
Da quel momento in poi, se non c’era del lavoro da fare alla base, se non c’erano dei Minicon da recuperare o i Decepticon a fare danni in giro per la Terra, il parcheggio di quel lounge bar era diventato un appuntamento fisso per Optimus tanto il giovedì sera quanto i weekend, anche con temporali forti come quello dell’attuale sabato. I suoi recettori audio gli permettevano di escludere il rumore della pioggia e concentrarsi sui suoni che gli interessavano, dunque in tal senso non aveva problemi a godersi l’esibizione.
 
 
 
“Moon river…”
 
 
 
Sapendo di essere arrivato alla canzone finale, Optimus fece un brevissimo e inudibile sospiro e ringraziò mentalmente Rhiannon per i blandi calmanti che, grazie al suo lavoro, lui non aveva dovuto assumere.
 
 
 
“And me…”
 
 
 
La vide uscire dal locale poco dopo, con una mano che aggiustava brevemente i capelli biondo grano e l’altra a sorreggere un dispositivo di comunicazione terrestre noto ai più come “cellulare”. Non aveva un’aria particolarmente felice, contrariamente alle altre sere.
 
«… da quant’è che quella scarpata minacciava di franare? Mai che si siano degnati di mettere quantomeno una rete di contenimento. Sì. Sì, infatti... raggiungo il B&B qui vicino, non ti preoccupare. Allora ci vediamo domattina, strada sbloccata permettendo. Sì, guiderò piano… il tuo piano, non il mio piano, sì. Sì. Anche io. A domani» disse, concludendo così la chiamata «D’altra parte con un temporale del genere era praticamente inevitabile» commentò poi, dirigendosi verso la propria automobile.
 
Optimus Prime accese il motore e, dopo una breve manovra, lasciò il parcheggio con l’intento di tornare alla base. Che quella donna non potesse tornare a casa propria era spiacevole ma aveva già trovato una soluzione al problema, dunque non c’era di che preoccuparsi.
 
Qualche centinaio di metri più avanti, nonostante la pioggia sempre più forte, notò che l’auto della cantante era dietro di lui. Evidentemente per raggiungere il “B&B” -i ragazzi gli avevano detto che si trattava di tipo di albergo- doveva andare in quella direzione.
 
Fu allora che accadde: all’improvviso, un’automobile che arrivava dal senso opposto e che guidava in modo decisamente troppo veloce superò Optimus e proseguì a velocità folle, sbandando visibilmente in più di un momento e andando a invadere l’altra corsia.
 
“…!”
 
Lo stridio dei freni dell’auto di Rhiannon indusse Optimus a fare immediatamente inversione, giusto in tempo per vedere l’altra auto proseguire e quella della donna, che a causa della pioggia ne aveva perso totalmente il controllo, andare completamente fuori strada dopo aver sbattuto contro un guard rail per il quale avevano risparmiato decisamente troppo sui materiali.
 
«Trasformazione!»
 
La presenza dei cybertroniani sulla Terra poteva anche essere un segreto, ma mai nella vita il comandante degli Autorobot avrebbe evitato di intervenire se un civile umano rischiava l’osso del collo e lui poteva tentare di evitare il peggio -qualsiasi opinione potesse avere chicchessia sull’argomento- ragion per cui dopo essersi trasformato si tuffò letteralmente in direzione dell’auto, riuscendo ad afferrarla saldamente tra le mani e cadendo con essa nel dirupo per fortuna non troppo scosceso.
 
A schiantarsi contro gli alberi quindi fu lui, ma per fortuna la sua corazza era abituata a ben altro, dunque si ammaccò a malapena e, dopo qualche attimo, posò a terra l’automobile con la massima delicatezza possibile.
 
“Sono riuscito a evitare il peggio, se anche non fosse del tutto illesa non credo sia messa male fisicamente” pensò.
 
Vederla aprire lo sportello e uscire dall’abitacolo, incurante del fatto che questo avrebbe infradiciato tutti i suoi abiti e lei stessa, parve confermare la sua teoria. L’espressione di quella donna -Rhiannon. Era il caso di ricordarlo- e lo sguardo sconvolto negli occhi di cui il suo essere cybertroniano gli permetteva di distinguere il colore verde smeraldo erano quanto di più normale possibile essendo reduce da un incidente E trovandosi davanti un alieno metallico alto svariati metri.
Non osava immaginare cosa le stesse passando per la mente. Forse anche lei nonostante il salvataggio stava rimpiangendo di non avere un bazooka a portata di mano.
 
«Sta… stai bene?» furono invece .le prime parole che disse la donna, visibilmente indecisa se avvicinarsi ancora oppure no «Stai bene?... Capisci la mia lingua?»
 
Un essere umano adulto che si interessava alla sua salute e non avrebbe voluto rottamarlo a prescindere in quanto alieno.
Il tempo trascorso con Rain O’Connell faceva sì che questo, per Optimus, avesse quasi del miracoloso.
 
«Sto bene e, sì» disse Optimus, passando dall’essere sdraiato allo stare in ginocchio e tendendo una mano in avanti per riparare la donna dalla pioggia. Gesto inutile ma carino «Capisco la tua lingua. Tu stai bene?»
 
Lei annuì. «Ho il dubbio che quel che sto vedendo possa essere dovuto a un colpo in testa che non mi sono resa conto di aver preso, ma sì, per quanto ne so sono a posto» disse, tremando leggermente per colpa dello shock subito «Grazie. Forse però non dovremmo restare così vicini alla strada, la pioggia è fitta e ci sono gli alberi ma se qualche automobilista guardasse da questa parte potrebbe riuscire a vederti lo stesso».
 
Dall’essere stupito per la gentilezza inaspettata, il comandante degli Autorobot passò all’essere stupito anche per quell’osservazione sensata e per il fatto che, tutto considerato, quella donna sembrasse essere piuttosto tranquilla in sua presenza -più o meno come lo erano stati i ragazzini, che però erano ragazzini.
A detta di Rain O’Connell, un essere umano adulto avrebbe dovuto reagire in modo diverso. Tentando di chiamare le autorità locali perché catturassero e/o distruggessero lui e tutti i suoi commilitoni, per esempio.
 
«Vero. Dovremmo allontanarci ma non è il caso che cammini in queste condizioni, e temo che l’auto in questo non possa aiutarci, dunque avresti problemi se io…» avviò a dire, tendendo verso di lei l’altra mano aperta e col palmo rivolto verso l’alto.
 
«Va bene» annuì di nuovo la donna «… ho preso un colpo in testa e ora mi trovo in una puntata di Shapeshifters G1. Robot gigante, salvataggio eroico, è il cartoon della mia infanzia: non ci sono dubbi. Per caso ci sono anche dei robot giganti cattivi che vogliono tentare di depredare le nostre fonti di energia?»
 
«Non cercano fonti d’energia, no».
 
«Quindi ci sono!»
 
Optimus sapeva cos’era un cartoon, sempre grazie ai preziosi insegnamenti dei ragazzi, e si dispiacque solo che quello “Shapeshifters” nello specifico non fosse stato guardato dall’umanità intera se, insieme all’impressione di aver preso una botta in testa e di stare sognando, riusciva a rendere le persone così bendisposte.
 
Sperava che fosse così anche il mattino dopo perché, emergenze permettendo, lui intendeva restare nel riparo che avrebbe trovato, considerando che il temporale non accennava a calmarsi -se mai il contrario- e onde evitare ulteriori rotture di scatole che avrebbe sicuramente ricevuto portando un altro essere umano nella base. “Hai coinvolto un’altra persona che non c’entrava nulla nei vostri disastri!”, “Un bambino di due anni è in grado di restare nascosto meglio di te!”, e compagnia cantando.
 
Sì, Optimus aveva deciso: il suo era il piano migliore in quelle circostanze, anche se il suo avere ragione o torto si sarebbe visto solo tra alcune ore.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Sentendosi leggermente infastidita dalla luce, prima cosa che avvertì insieme al rumore di una pioggia leggera e continua, Rhiannon O’Connell -née Lancaster, cognome a cui nello sposarsi con Seamus O’Connell non aveva esitato a rinunciare- iniziò ad agitarsi leggermente nel dormiveglia, stringendosi in una coperta piuttosto morbida nel socchiudere gli occhi e iniziare vagamente a fare mente locale.
 
Quella notte aveva fatto un sogno proprio bizzarro: in esso, mentre si recava al B&B era stata mandata fuori strada dall’azione scellerata di uno dei peggiori guidatori mai incontrati ma, prima di schiantarsi, era stata salvata da un grosso alieno robotico piuttosto somigliante all’eroe di Shapeshifters G1, ovvero Commander. L’alieno in questione parlava la sua lingua -proprio come Commander, di nuovo- e aveva dimostrato una certa premura nei suoi confronti arrivando anche a offrirle delle coperte sia per passare la notte nel suo abitacolo, sia per non sentirsi troppo “impresentabile” se avesse voluto togliersi degli abiti fradici che in quella stagione rischiavano solo di farle prendere un malanno. Trattandosi di un sogno piuttosto strano lei aveva accettato tranquillamente entrambe le cose e, infine, si era sdraiata sull’ampio e morbido sedile dell’abitacolo.
 
Ovviamente nulla di tutto ciò era accaduto, solo che l’arrivo al B&B al momento le sfuggiva, non essendo ancora del tutto sveglia.
 
“Sognare ancora personaggi dei cartoni animati alla mia età… immagino che nonostante tutto la mia bambina interiore non sia ancora morta” pensò, mettendosi a sedere e stiracchiandosi.
 
Poi aprì gli occhi.
Quello accanto a lei era un volante, quelli dietro di lei e davanti a lei erano finestrini, quello alla sua sinistra era un parabrezza e quello sotto di lei era esattamente il sedile sul quale si era sdraiata nel suo sogno, che poi tanto “sogno” evidentemente non era. Aveva ricevuto un aiuto da un grande alieno metallico che parlava la sua lingua e aveva dormito dentro di lui avvolta in una coperta che in quel momento non nascondeva granché del suo intimo di lycra e tulle ricamato -rigorosamente La Perla, neppure a dirlo; ricordando questo, Rhiannon agguantò la coperta e la tirò su fin quasi al mento mentre si guardava attorno con aria piuttosto allarmata.
In considerazione di quel che era successo immaginava di poter evitare gli isterismi da “Lasciami andare subito!”, “Non farmi del male ti prego”, “Cosa vuoi da me?! Non ho niente che ti interessi!” eccetera, perché se l’extraterreste avesse avuto brutte intenzioni avrebbe avuto ampiamente modo di comportarsi di conseguenza, cosa che invece non era successa.
Dopo qualche attimo di immobilità, in ogni caso, decise di procedere nella maniera che le veniva più naturale: con educazione.
 
«Buongiorno» disse, senza smettere di guardarsi attorno.
 
Il suo cervello non aveva ancora accettato del tutto l’idea dell’extraterrestre, dunque si diede quasi dell’idiota pensando che il gentile camionista che doveva averla soccorsa non avrebbe certo potuto sentirla, ma quell’idea venne spazzata via pochi secondi dopo da una voce baritonale che risuonò quietamente nell’abitacolo.
 
«Buongiorno. Tutto bene?»  
 
Quanto aveva bisogno di quel whisky.
 
«Sì» rispose, cercando di darsi un tono «Mi ha salvata, le devo più di un favore. Mi scuso per il deshabillé, di solito sono molto più discreta» aggiunse poi «… non è un sogno, giusto?»
 
«Non lo è. Se la fa sentire più a suo agio può tranquillamente darmi del “tu” come ieri sera» disse l’extraterrestre.
 
«Stesso vale per l- te. Quella di ieri è stata una circostanza particolare, non ero sicura…» fece un breve sospiro «Dunque, chi devo ringraziare per non aver riportato danni?»
 
«Sono Optimus Prime, comandante degli Autorobot».
 
“Questa faccenda somiglia sempre più a un episodio di Shapeshifters, davvero” pensò la donna.
 
«Il tuo nome invece è Rhiannon, giusto? L’ho sentito nel posto dove lavori».
 
Facendo mente locale, Rhiannon si rese conto che il camion in questione le era tutt’altro che sconosciuto: a dirla tutta lo aveva visto molto spesso nel parcheggio del lounge, quasi ogni giovedì e ogni weekend da un po’di tempo a quella parte, anche se non si era soffermata a pensarci su credendo solo che l’autista si fermasse lì a causa della tratta. A quel punto però sorgeva spontanea una domanda, ossia “Perché il comandante di una squadra di extraterrestri si faceva vedere così spesso nel parcheggio di un comune locale in una comune cittadina qual era Lincoln?”.
 
«Contraddicimi se sbaglio ma credo di averti visto piuttosto spesso nel parcheggio. Quel posto dev’essere più interessante di quel che sembra, o apprezzi la musica jazz?» domandò la donna, prendendola un po’alla larga tra il serio e il faceto.
 
«Il genere musicale delle canzoni si chiama così?»
 
«… un momento, è davvero per la musica?» si stupì Rhiannon.
 
A questo seguì una breve pausa.
 
«È così. È un periodo difficile a causa sia dei nostri nemici sia di alcune questioni interne. Un giovedì sera di qualche tempo fa sono passato per caso lì vicino e i miei recettori audio hanno colto una voce estremamente tranquillizzante. L’ho apprezzata e sono diventato parte del pubblico abituale, solo un po’meno terrestre degli altri».
 
“Con questo sono passata da trovarmi in un episodio di Shapeshifters a una fanfiction di Shapeshifters” pensò la donna, che pur con i suoi quarantaquattro anni d’età non era all’oscuro dell’esistenza di Ao3.
 
«È tutto qui, non sono un… qual era il termine usato da voi umani? Uno stalker. Ecco» concluse Optimus.
 
«Sono in grado di riconoscere la differenza tra uno stalker e qualcuno che apprezza la mia performance artistica. Considerando quel che è successo è stata una fortuna, per me, perché in caso contrario non saresti stato per strada a quell’ora e… chissà»  disse Rhiannon «Meglio non immaginare come avrebbe reagito la mia famiglia. Parlando d’altro, posso chiedere quale ragione ha spinto te, la tua squadra e i tuoi nemici qui sulla Terra?» domandò a Optimus «Non so se le autorità locali siano al corrente della vostra presenza, ma nel caso non lo siano hai la mia parola che non avviserò nessuno, e non solo perché mi prenderebbero per pazza».
 
“Se non altro questa donna, contrariamente ad altre, non ha contatti potenzialmente pericolosi” pensò Prime.
 
«L’oggetto del contendere sono i Minicon, dei piccoli robot dal potere smisurato che milioni di anni or sono abbandonarono il pianeta, entrarono in ibernazione e dopo un impatto con la vostra luna atterrarono rovinosamente qui. Fino a qualche tempo non avevamo idea di dove fossero finiti e su Cybertron eravamo relativamente in tregua, molto relativamente ahimè, ma di recente le azioni di tre  giovani umani li hanno risvegliati. I nostri nemici, i Decepticon, hanno captato il loro segnale e si sono mossi subito con l’intento di schiavizzarli e utilizzarli per potenziarsi come facevano un tempo, e noi ci siamo mossi a nostra volta. Se per disgrazia i Decepticon, e nello specifico il loro leader Megatron-»
 
“Se si fosse chiamato D-16 avrei iniziato a pensare che i creatori di Shapeshifters sapessero più di quel che facevano credere” pensò Rhiannon.
 
« … dovessero riuscire nel loro intento e a mettere le mani su un ingente numero di Minicon, o peggio ancora su dei terzetti di Minicon particolari, nulla di cui io sia a conoscenza potrebbe impedirgli di conquistare tutto quello su cui posa le ottiche. Noi Autorobot cerchiamo di salvare i Minicon e impedire tutto ciò. Questo è il riassunto».
 
«E se dici che è un periodo difficile immagino che i Decepticon al momento siano in vantaggio» commentò Rhiannon, piuttosto seria.
 
«Sono riusciti a mettere le mani su uno dei tre terzetti di Minicon particolari di cui parlavo. Due di essi formano delle armi, l’altro uno scudo. Al momento siamo in cerca del terzo Minicon che compone quest’ultimo ma non abbiamo ancora avuto fortuna. Il morale dei miei uomini e dei ragazzi è piuttosto basso» si trovò ad ammettere, sorprendendo perfino se stesso per la franchezza con cui aveva parlato del problema a qualcuno che era totalmente esterno alla vicenda.
 
Forse era proprio per quello, perché “esterna”, o magari perché era ancora stupito dal modo in cui lei gli si era approcciata o, ancora, perché era stressante cercare di mandare avanti il tutto quando il processore subiva una pioggia di disapprovazione martellante e acida alla quale in milioni e milioni di anni si era disabituato.
O forse semplicemente perché sì.
 
«“Ragazzi”? Parli per caso dei giovani umani che hanno risvegliato i Minicon? Sono finiti coinvolti in tutto questo?»
 
Per quanto non disprezzasse a prescindere gli extraterrestri metallici, l’idea che dei ragazzi fossero finiti in mezzo a una guerra non le piaceva affatto -come non sarebbe piaciuta a nessuna persona assennata.
 
«Hanno assistito all’arrivo dei Decepticon sul pianeta e certi Minicon hanno sviluppato un legame particolare con loro, dunque la risposta è sì, perché tutto questo li ha resi dei potenziali bersagli» le spiegò Optimus «Come se questo non fosse stato sufficiente, in seguito i Decepticon hanno purtroppo coinvolto altri tre umani che con tutta la vicenda c’entravano ancor meno. Devo dire che i cinque più giovani sono stati tutti molto utili, ognuno a modo suo, nell’insegnarci usi e costumi di questo pianeta così da poterci mimetizzare meglio. Naturalmente cerchiamo di tenere al sicuro tutti quanti e coinvolgerli il meno possibile nei conflitti armati».
 
«Lo davo per scontato, portare dei ragazzi umani con voi in battaglia sarebbe stato del tutto irragionevole».
 
«… già. Parlando d’altro, hai pensato a come muoverti una volta che lasceremo il riparo? Per l’automobile e tutto».
 
«Dirò che mi è stata rubata in un momento in cui mi sono fermata e sono scesa per qualche ragione da definirsi» rispose Rhiannon «Per il resto penso che troverò il modo di andare da qui in città, non è distante».
 
«Posso portarti io prima di tornare alla base, piove ancora e io sono di strada o quasi» si offrì il comandante degli Autorobot.
 
«Hai già fatto molto, non vorrei approfittare oltre. A tal proposito, abito ancora umido o meno è il caso che mi rivesta…»
 
«L’ho asciugato io. Ventole, non fanno miracoli ma credo che dopo tutte le ore passate sia a posto» disse il transformer «Sul serio, sono di strada e non sono ancora stato contattato dalla base per un’emergenza, dunque ti posso accompagnare. Sarei più tranquillo anch’io, Rhiannon».
 
Sentire il suo nome pronunciato da un camion senziente risultava ancora stranissimo nonostante tutto, e  infine si convinse. Dopo aver ringraziato per l’ennesima volta il suo improbabile salvatore ed essere andata scesa per rivestirsi -notando che il vestito, il cappotto e tutto quel che c’era nelle tasche era asciutto per davvero- acconsentì a farsi accompagnare.
 
«A quest’ora il cafè che frequento di solito è già aperto, nell’attesa che mio marito mi dica se la strada per casa è stata già liberata o meno resterò lì. Nel mentre inizierò già a parlare del “furto d’auto”, così…» fece un breve sospiro «Dovrebbe essere a posto».
 
«Ti ringrazio per la volontà di mantenere il nostro segreto» disse Optimus, realmente grato dal profondo della Scintilla «Se c’è qualcosa che ho imparato in questo periodo è che non tutti gli esseri umani prendono o prenderebbero così bene la nostra presenza qui, con quel che comporta».
 
I due, nel breve viaggio che seguì, continuarono a parlare del più e del meno. Rhiannon chiese qualche altro dettaglio riguardo la guerra in corso, Optimus le fece qualche domanda sul suo lavoro. Lì Rhiannon ebbe modo di specificare che cantare in realtà era più che altro un hobby, mentre il suo lavoro vero e proprio consisteva nel dipingere e rifinire gli oggetti di legno intagliati da suo marito: avevano sempre molte commissioni, ancor più sotto le feste.
 
«Ecco, il locale è quello lì in fondo alla strada» disse la donna, indicandolo con un cenno «Da qui in poi sei libero di tornare a combattere i cattivi».
 
«Ti assicuro che rispetto all’avere a che fare con Megatron preferirei di gran lunga continuare a portarti in giro» replicò Prime, del tutto sincero.
 
«Allora nonostante la situazione non sono stata una compagnia sgradevole» commentò Rhiannon, slacciando la cintura «Grazie ancora. Questa sera passerai di nuovo?»
 
«Temo di no, sono stato assente dalla base per tutta la notte, dunque è il caso di lasciar perdere l’uscita di stasera. Perché? Conti di tornare al lounge?» si sorprese il cybertroniano.
 
«Non sarà il mio lavoro principale ma c’è un contratto, sarebbe poco professionale non andare» replicò lei una volta scesa in strada «Arrivederci e in bocca al lupo per tutto, come diciamo da queste parti».
 
«Arrivederci, Rhiannon».
 
La tettoia del cafè la tenne al riparo dalla pioggia mentre dava brevemente un’ultima occhiata a Optimus, che si stava allontanando nel massimo rispetto del limite di velocità. Entrata nel locale salutò il proprietario, che conosceva piuttosto bene, e poté finalmente chiedere il famoso bicchiere di whisky.
 
«Whisky, e di mattina presto? Così mi fai preoccupare» disse l’uomo, un po’allarmato.
 
«Ci credi se ti dico che, oltre al fatto che la strada verso casa mia è bloccata da ieri sera a causa di una frana, poco fa mi hanno rubato l’auto?»
 
«Seriamente?!»
 
«Mi ero fermata al distributore qui vicino, quello self service, ed è successo tutto in un attimo. Non ho neppure visto chi è stato! Sono stata fortunata ad aver incontrato un camionista estremamente gentile che era di strada e mi ha portata qui. Speriamo che la telecamera magari sia riuscita a riprendere il furto e tutto quanto…»
 
«Niente da fare, è ancora guasta» sbuffò il proprietario del cafè alzando gli occhi al soffitto nel dire a Rhiannon qualcosa di cui lei era già perfettamente a conoscenza «Figurati se a qualcuno interessa qualcosa dei distributori di Lincoln! Bella roba» prese un bicchiere e lo riempì a metà «Offre la casa».
 
«Ti ringrazio ma-»
 
«Offre la casa, e niente discussioni».
 
Essere seduta al bancone del cafè, il fare due chiacchiere col proprietario e con alcuni clienti abituali che si aggiunsero in seguito, le paste che riuscì a non farsi offrire poco dopo: quanto di più normale fosse possibile fare in una cittadina anch’essa normale… che al momento ospitava una squadra di militari alieni impegnati a proseguire una guerra che andava avanti da un’eternità.
 
La sensazione di irrealtà la colse di nuovo nel ripensare a quel che era successo e alla consapevolezza che quel contatto con gli extraterrestri non sarebbe stato l’ultimo, il tutto incoraggiato da lei stessa quando aveva chiesto a Optimus se sarebbe tornato a sentirla cantare. Era sorpresa per la situazione ed era anche sorpresa dal fatto che, tutto sommato, le stesse bene.
Ricordando le parole del cybertroniano -la loro razza si chiamava così o “transformers”- riguardo il momento difficile ripromise a se stessa di fargli avere un drago di legno dipinto: era un simbolo che oltre a portare fortuna potenziava le capacità di leadership, o così si diceva. Per quanto Optimus fosse poco più di uno sconosciuto, riteneva che avrebbe potuto apprezzare il gesto.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«La civile umana sta bene?»
 
«Sì, Red Alert» confermò Optimus «Sta bene e non è assolutamente intenzionata a tradirci, e non solo perché, a dire suo, se lo facesse la prenderebbero per pazza. A quanto pare non tutti gli esseri umani adulti ci odiano a prescindere dopo averli salvati».
 
«Il caso di Rain è differente, nonostante tutto bisogna riconoscerlo. Il suo primo contatto con noi Transformers sono stati i Decepticon, che hanno rapito lei, Billy e Fred e li hanno coinvolti nel tutto. Forse è diverso rispetto all’evitare un incidente stradale grazie a te» osservò Red Alert.
 
«Forse sì».
 
«Resta inteso che dovrebbe davvero cambiare atteggiamento, però è un dato di fatt-»
 
Nella base risuonò il segnale di una nuova presenza cybertroniana nelle vicinanze.
 
«Red Alert…»
 
«Subito».
 
«Che succede?!» esclamò Hot Shot, arrivato di corsa sul posto insieme a Smokescreen.
 
I monitor si accesero.
 
«È Scavenger!» esclamò il giovane Autorobot «Cosa vuole da noi?!»
 
«Se è venuto fin qui per cercare lo scontro io sono pronto» dichiarò Smokescreen, con lo sguardo puntato sullo schermo.
 
Optimus tuttavia sapeva qualche dettaglio in più rispetto ai suoi ufficiali più giovani, di conseguenza la sua reazione nel vedere lì il mercenario, nonché suo maestro in passato, fu ben diversa.
 
«Red Alert, lascialo entrare».
 
«Sissignore!»
 
«COSA?! Lo lasci venire qui dentro?!» allibì Smokescreen.
 
L’esperienza con Sideways e i commenti poco piacevoli dell’umana adulta, Rain, gli suggerivano che quella potesse non essere una grande idea considerando quel che era successo di recente. Tuttavia le perplessità sue e di Hot Shot non vennero ascoltate, e con suo sommo stupore poco dopo assistette a una stretta di mano tra Optimus e Scavenger.
 
«Ti stavo aspettando, Scavenger. È un piacere vederti qui. Benvenuto» disse il comandante degli Autorobot.
 
«Come previsto ho completato la mia missione tra i Decepticon» disse il mercenario.
 
«Cos’è, uno sporco trucco?!» si fece sentire Smokescreen ancora una volta.
 
«No. Scavenger ha lavorato per noi in incognito» spiegò Optimus.
 
Il simbolo degli Autorobot, fino a quel momento nascosto, comparve sul petto del nuovo arrivato: l’ennesima sorpresa per i due ufficiali più giovani, che fino ad allora l’avevano visto come nemico.
 
«D’ora in poi sarò con voi» affermò.
 
I Decepticon avevano ancora la Spada e due dei tre Minicon dello Scudo Stellare, dunque non si prospettavano tempi facili per gli Autorobot, ma ora potevano contare su un nuovo compagno, e in un simile periodo di “magra” qualsiasi aiuto era una benedizione.
 

 
 
 
Chi l’avrebbe mai detto, ho aggiornato questa storia :’D non sono sicura che interessi ancora a qualcuno, ma l’ho fatto lo stesso.
Spoiler: se riesco ad andare avanti, Optimus Prime sarà ancor più felice di aver aiutato Rhiannon xD

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