By the cracks of the skin I climbed to the top

di Duchessa712
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When the guts come around to blow me down ***
Capitolo 2: *** I held on as tightly as you held on to me ***



Capitolo 1
*** When the guts come around to blow me down ***


When the guts come around to blow me down

Quando si sveglia, la prima cosa che vede é la parete scolorita dall'altro lato della stanza, una qualche tonalità di giallo, che inizialmente doveva essere accesa, dorata come le sabbie del deserto.
Chiude subito gli occhi: tenerli aperti fa male, le duole la testa e la luce è abbagliante. Il buio è confortevole, la accoglie nel suo abbraccio e la lascia riposare. Si addormenta cullata da una ninna nanna spezzata e nei suoi sogni Parigi la accoglie e la perdona. .

La seconda volta che si sveglia lo fa a causa della gola riarsa e della bocca secca. Le sembra di ingoiare sabbia al posto della saliva e con gli occhi socchiusi implora dell'acqua. La implora in almeno tre lingue diverse, prima che qualcuno le accosti un bicchiere alle labbra screpolate e la aiuti a bere.
La febbre non è ancora scesa e si riaddormenta prima di tornare ad appoggiare la testa sul cuscino.

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Qualcuno le tiene la mano e mormora qualcosa, troppo piano perché riesca a distinguere le parole. Apre gli occhi per la terza volta e non c'è il sole ad aggredirla, ma la dolce oscurità della notte. Solleva prima una palpebra e poi l'altra e cerca di mettere a fuoco la figura seduta accanto a lei.
"Ziva" mormora, incespicando tra le sillabe. Ha ancora sete.
"Acqua" chiede con un filo di voce.
"Ecco, bevi con calma" ordina l'altra, pallida e sfatta e con i capelli sfuggiti alla treccia in cui erano legati e appiccicati alla fronte e al collo.
"Cosa è successo?". Deve provare un paio di volte prima di riuscire a mettere in fila le parole ed è sicura di aver mischiato almeno un paio di lingue, ma è così stanca, ancora, e la testa continua a far male e il resto del corpo, soprattutto la schiena, brucia come se stesse venendo arsa viva.
"Non te lo ricordi?". Non del tutto, solo che qualcosa è andato storto e c'era sangue dappertutto e credeva di morire e poi s'è svegliata davanti a una parete giallo sbiadito.
Scuote la testa, ma deve chiudere gli occhi per impedire al mondo di girare su se stesso. Prova a mettersi seduta, ma si rende conto solo in quel momento di essere sdraiata a pancia in giù su un letto.
Ziva sta dicendo qualcosa, probabilmente le sta raccontando cosa è successo, ma lei sente le palpebre farsi sempre più pesanti e non ha la forza per combattere la stanchezza.

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All'alba si gira su un fianco e poi ancora di schiena e il dolore é tale da farla piangere e urlare. Ziva é accanto a lei e la aiuta a mettersi comoda, le asciuga le lacrime e le scosta i capelli dalla fronte. "Va tutto bene" mormora con dolcezza, mentre le carezza il viso e le porge un bicchiere di latte e un po' di cibo. L'odore le fa venire la nausea, ma Ziva la esorta a mangiare almeno un po', le dice che deve riacquistare le forze, che è debole e ferita, che ha perso molto sangue. Ingoia un boccone e poi un altro e un altro ancora fino a quando il piatto è vuoto.

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Qualcuno ha tradito e lei ne ha pagato le conseguenze, questo è quello che apprende da Ziva, seduta su una sedia ad affilare il suo coltello. Qualcuno ha tradito e lei è quasi morta e Ziva l'ha salvata, contravvenendo agli ordini del padre. Eli non perdona chi gli disobbedisce ed è una sensazione a cui non è abituata, perché lo scopo della sua vita è stato rendere orgoglioso suo padre, essere degna del suo amore e del suo affetto. Solo che Jenny non è solo l'agente con cui si è trovata a lavorare, é diventata una partner, un'amica, una sorta di figura materna, quella che ha agognato con tutta se stessa da quasi tutto una vita. Così, quando ha sentito le sue urla, quando l'ha vista a terra con gli abiti trappati in una pozza del suo stesso sangue, non ha nemmeno dovuto pensare all'entrare e tentare di uccidere gli uomini che l'avevano quasi uccisa, come ora non deve nemmeno pensare a stare al suo fianco finché non starà bene, nonostante la rabbia e il disappunto di suo padre all'idea che la figlia sprechi il suo tempo a fare da balia a qualcuno.

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Parigi è ferma nel tempo e nello spazio, un'immagine rubata ad un sogno e alla finzione. Parigi è quella delle sue speranze e delle sue fantasie. Parigi la strappa al dolore e la consegna a qualche attimo di pace.

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Ziva la guarda agitarsi nel sonno.
Dovrebbe stare tranquilla perché le ferite alla schiena - lunghi tagli irrogolari di coltello - si sono infettati ed è per quello, più che per le ferite in sé, che sta tanto male. É pallida, anche se sa che il contrasto con i capelli di un colore tanto acceso la fa sembrare più bianca di quanto non sia.
Sospira e muove una mano, forse nel tentativo di afferrare qualcosa.
Mormora un nome, quello che le ha già sentito dire altre volte nel sonno.

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"Chi è Jethro?".
La vede bloccarsi e perdere la presa sulla tazza che teneva in mano.
"Come?"
"Lo hai chiamato nel sonno, più di una volta, molte volte".
La vede sospirare e scostarsi una ciocca di capelli dal viso, sfuggita allo chignon in cui li ha costretti. Si muore di caldo e i vestiti si attaccano ai corpi. Le ferite le danno fastidio, ma ormai è guarita, non c'è motivo per nessuna delle due di nascondersi ancora in quella casa dai colori sbiaditi.
"Non credo siano affari tuoi"
"Vero"
"Allora perché me lo chiedi?"
"Perché sono curiosa".
Un sorriso le increspa le labbra. É ancora pallida.
"Ti puoi fidare di me"
"Lo so, Ziva, e se anche prima ne avessi mai dubitato, ora non lo farei più: mi hai salvato la vita".
Ziva annuisce. Jenny non sa che ha scelto lei e non Eli, che ha messo le emozioni davanti al dovere, che ha preferito un'amica alla famiglia. Non dovrà mai saperlo: il dolore e il senso di colpa la schiaccerebbero.
"Jethro é..." si blocca. Riparte "Jethro era" calca sul verbo quasi con disperazione, quasi cercasse di convincere se stessa di qualcosa "un collega. Abbiamo lavorato insieme in Europa per qualche tempo. Missioni sottocopertura"
"Stavate insieme". Sa come vanno queste cose, lo ha visto con i suoi stessi occhi.
"Cos'è successo?"
"Eravamo a Parigi. Io avevo altre priorità. L'ho lasciato"
"E lui come l'ha presa?"
"L'ho lasciato con una lettera".
Ah. Questo non se l'aspettava, non da lei. É una mossa di vigliacchi fuggire in questo modo.
"Te ne sei mai pentita?".
La vede stringere le mani tra di loro con tanta forza da sbiancare le nocche.
"Ogni giorno"
"Perché non glielo dici?"
"Perché è andato avanti. Si è sposato" .
Le poggia una mano sulla spalla. Non è la migliore in queste cose, nei sentimenti, ma le dispiace per Jenny, le dispiace davvero.
"Si dice che non è mai troppo tardi"
"Per me sì. Per me non è mai stato tempo".

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Sottocopertura é un non-tempo, é una realtà sospesa al di fuori del mondo. Non valgono gli amori che nascono lì, sono destinati a finire insieme alla missione. Che futuro può avere un sentimento nato in un non-tempo una volta tornati all'interno del tempo e delle sue implicazioni e aspettative?

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Capitolo 2
*** I held on as tightly as you held on to me ***


I held on as tightly as you held on to me

Una notte, le stelle scintillano con intensità visibile solo in mezzo al nulla e loro stanno bevendo té al gelsomino, Ziva rompe il silenzio e ricambia il favore. Jenny le ha raccontato di Jethro. Lei le racconta di Tali. Le dice che era piccola, poco più di una bambina. Le dice che rideva, sempre, e che non conosceva la tristezza. Le dice che era forte, la sua luce. Le dice che trovava il bello in ogni cosa e amava i temporali. Le dice che aveva adottato gli uccelli che si posavano sul tetto e dava loro da mangiare. Le dice che è morta a sedici anni, quando i suoi lineamenti non si erano ancora delineati nelle fattezze della donna che sarebbe diventata. Le dice che era un angelo, troppo buona per un mondo tanto odioso. Le dice che ha ucciso tutti i responsabili della sua morte.

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Jenny non giudica, beve il suo tè e non la interrompe. Solo alla fine le prende piano il polso e la attira sé e la cinge in un abbraccio che Ziva ricambia impacciata e insicura.
"La morte di tua sorella non è stata colpa tua".
Non sapeva nemmeno di avere bisogno di sentirle, queste parole, perché razionalmente lo ha sempre saputo e al Mossad insegnano a liberarsi di tutto ciò che non è razionale. Eppure una parte di lei si è sempre chiesta cosa sarebbe successo se - se fosse andata con lei; se l'avesse portata da un'altra parte; se non l'avesse fatta uscire di casa; se avesse capito cosa sarebbe successo.
"Grazie".
Le posa le mani sulla schiena, i palmi aperti contro la camicetta, contro le cicatrici che non svaniranno mai dalla sua pelle - Jenny le ha già detto che nemmeno quello è stato colpa sua -, ma non stringe, non le circonda la vita, non si abbandona al suo abbraccio - non è sicura di averne il diritto, di riuscire a non romperla. Lei rompe tutto quello che tocca.
Jenny non vi dà peso e la abbraccia per tutte e due.

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Ziva non si addormenta piangendo - non è così che l'hanno abituata -, ma Jenny disegna comunque le lacrime che vorrebbe piangere.
Una storia per una storia - Jethro per Tali. Non c'è paragone: l'abbandono di un amante non può essere messo sullo stesso piano della morte di una sorella, é malato e sbagliato anche solo pensarci. Infatti non ci pensa. Infatti pensa che dovrebbe essere una morte per una morte. Infatti pensa al cadavere di suo padre nello studio e deve ingoiare la bile e le lacrime e la rabbia e il disgusto.
Ziva non la saprà mai questa storia. Nessuno la saprà mai.

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Qualcosa cambia. Ziva le racconta di Tali, tutto quello che le viene in mente, quello che avrebbe fatto in determinate situazioni, i suoi dolci preferiti, i giochi che facevano da bambine, il modo in cui perfino Eli con lei era un padre prima di essere il Direttore del Mossad. Jenny, in cambio, le racconta di Jethro e delle sue piccole manie, del bourbon e della barca nel seminterrato, delle regole e dei fantasmi che gli offuscano gli occhi - dei fantasmi che a volte vede in Ziva, anche se questo lo tiene per sé.

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Quando viene l'ora di separarsi, Jenny l'abbraccia e le promette che é solo a una telefonata di distanza, che se ha bisogno di qualcosa, anche solo di parlare deve chiamarla, assolutamente.
Ziva promette e le fa promettere altrettanto. Per la prima volta non sembrano parole vuote.

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