Grind

di MadMary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Negroni ***
Capitolo 2: *** Vicolo ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Lenzuola ***
Capitolo 5: *** Whiskey ***
Capitolo 6: *** Vestiti ***
Capitolo 7: *** Tisana ***
Capitolo 8: *** Danza esotica ***
Capitolo 9: *** Vergine ***
Capitolo 10: *** Divano ***
Capitolo 11: *** Asciugamano ***
Capitolo 12: *** Sigaretta ***
Capitolo 13: *** Libro ***
Capitolo 14: *** Labbra ***
Capitolo 15: *** Dita ***
Capitolo 16: *** Giornale ***
Capitolo 17: *** Angel ***
Capitolo 18: *** Aura ***
Capitolo 19: *** Istinti ***
Capitolo 20: *** Sangue ***
Capitolo 21: *** Pelle ***
Capitolo 22: *** Follia ***
Capitolo 23: *** Inetto ***
Capitolo 24: *** Cognac ***
Capitolo 25: *** Spalle ***
Capitolo 26: *** Preghiere ***



Capitolo 1
*** Negroni ***


Non aveva idea del perché si trovasse là davanti, a quell’ora di notte, smarrito e al freddo, ma Doppio sentiva dentro sé come una forza sovrannaturale, che lo spingeva ad entrare in quel Night Club, così malfamato, così poco sicuro. Probabilmente era colpa di quel negroni di troppo, che proprio non avrebbe dovuto prendere, ma il danno, oramai, era più che fatto.

Sistemandosi un attimo i ciuffi viola ribelli che gli infastidivano il viso, il ragazzo minuto si decise ad entrare. Dopo un’occhiataccia ricevuta dal buttafuori pelato e con la testa bitorzoluta, il quasi silenzio delle strade di Napoli alle prime ore del mattino venne sostituito da un frastuono incredibile, che gli invase le orecchie, penetrando rapidamente nel cervello e stordendolo definitivamente.

Attorno a sé lo circondavano decine di tavolini pieni di gente, principalmente uomini, di tutte le età, che urlavano e sbraitavano, a causa di un abuso spropositato di alcolici e probabili droghe, oscenità alle ballerine sul palco, che danzavano in modo sensuale al ritmo della musica; sempre che quella fosse definibile come tale. L’odore di sudore e testosterone in quel luogo era nauseabondo, ma serviva a creare un’atmosfera che nel complesso risultava come inebriante, alimentata dagli schiamazzi e dalle figure nude che si muovevano per tutto il locale. Doppio si ritrovò ubriaco di luci e suoni, certamente più confuso di prima, ma anche molto più sicuro e sciolto nei movimenti, solitamente così impacciati.

Non ebbe nemmeno il tempo di abituarsi a quell’ambiente tanto alieno che, nuovamente, quella forza sconosciuta dentro di sé lo spinse a guardare il palco, dove le ballerine si stavano esibendo. Infondo, non era venuto per soddisfare i suoi bisogni fisici, almeno con la vista?

Doppio non aveva mai avuto molto successo con le donne, non che ricordasse molto delle sue esperienze passate, ma in generale il gentil sesso tendeva a considerarlo non abbastanza, per via del suo aspetto e soprattutto del suo atteggiamento poco maturo, e col tempo si era arreso a questa sua condizione, perdendo quasi del tutto ogni singola motivazione. Nonostante ciò, non era mai arrivato a usufruire dei classici servizi offerti dalla mafia: erano troppo per lui. Persino stare in quel luogo era strano e spaventoso in quel momento.

Mentre rifletteva tristemente sulle proprie numerose disavventure amorose, o più generalmente sessuali, il suo occhio venne catturato immediatamente da una figura sul palco. Fra le numerose ragazze intente a ballare, una in particolare lo stregò sul momento.

Una donna dalle gambe longilinee e muscolose era intenta a camminare sinuosamente attorno al proprio palo, pronta a iniziare il suo ennesimo spettacolo. Lanciava occhiate affamate coi suoi affascinanti occhi azzurri sotto a sé, facendo ululare chiunque posasse lo sguardo su di lei. I capelli sembravano fili d’oro, che la seguivano nei movimenti delicati e composti e la frangia non sembrava infastidirla in alcun modo, nonostante iniziasse ad essere umida di sudore. Le labbra carnose e tinte di rosso erano contorte in un sorriso compiaciuto, mentre la lingua usciva scherzosamente per provocare ulteriormente il pubblico. Prendendo il palo di metallo fra le proprie magre e aggraziate dita, fece leva con le braccia e iniziò a salire, lasciando definitivamente il pavimento, per poi prendere a volteggiare, fino a fare talmente tanta presa con le cosce carnose e toniche da poter lasciar andare le braccia e il busto all’indietro, esponendo così il seno scoperto, mentre i capelli scendevano come una cascata, seguendola nei suoi aggraziati movimenti.

Doppio si ritrovò in mezzo a quelle persone che aveva visto prima dimenarsi come animali nel vederla e si rese conto di essere incapace di distogliere lo sguardo da quella creatura che sembrava fatata. Tutto attorno a lui si era ammutolito, tutto era sparito: in quell’istante, esistevano unicamente lui e quell’angelo, che continuava a volteggiare come se non avesse peso. Continuava a sentire quella strana forza però, che gli sussurrava di agire, di prenderla e farla sua in quel momento.

Un suono ripetitivo lo risvegliò dalla trance in cui si era ritrovato e realizzò che il suo adorato boss lo stava chiamando. “Merda! Proprio in un momento come questo?! Come glielo spiego dove sono?” sentiva ancora le guance in fiamme dopo quei pensieri così inappropriati, che erano fioriti senza una ragione nella sua mente, prendendolo alla sprovvista.

La suoneria del telefono continuava a squillare, ma con tutto quel caos attorno a sé, Doppio iniziò a disperarsi alla ricerca dell’arnese, spingendo via la folla ubriaca, che gli inveiva contro, mentre replicava con la voce lo squillo che ora gli occupava i pensieri.

Con un sospiro di sollievo trovò il telefono, anche se tenuto in mano da un uomo sconosciuto.

-Dammi qua!- disse seccato strappando il cellulare al cinquantenne, che disse qualcosa privo di senso, come “Ridammi il drink, stronzo!”... “questi ubriaconi sono talmente tanto ridotti male da non distinguere un bicchiere da un telefono” pensò sbuffando.

Tirò un sospiro di sollievo e decise di ricomporsi un attimo, rispondendo finalmente alla chiamata del suo capo dopo un breve istante.

-Pronto? Sì, sono Doppio.-

La voce calda e profonda che gli rispose quasi lo fece sciogliere sul momento, davanti a tutti.

-Doppio, mio carissimo Doppio... cosa ci fai in un luogo del genere, proprio tu?- il tono era sarcastico e umiliante, come un genitore che becca il figlio con le mani nel vasetto della marmellata.

Poté sentire le sue gote andare nuovamente a fuoco mentre tentava di calmare i propri nervi prima di rispondergli, cercando di non risultare ancora più ridicolo di quanto già fosse in quella situazione così degradante.

-Non... non si faccia strane idee, boss! Ero solo molto annoiato e... e non sapevo dover andare, io- la frase venne interrotta dalla risata gutturale e virile dall’altra parte della cornetta; Doppio giurò di aver sentito le proprie gambe tremare in quel momento.

-Non serve che ti giustifichi, mio adorato, hai fatto benissimo a recarti in questo luogo. Ho giusto un compito da affidarti.-

Le labbra del ragazzo subito si tesero in un sorriso a trentadue denti. La serata si stava rivelando assai piacevole.

-Suppongo tu abbia notato quella ballerina dagli occhi di ghiaccio e dai capelli dorati, non è così?- sentendo un piccolo suono di approvazione, continuò.

-Ecco, il target è lei. Voglio che tu abbia un incontro ravvicinato con questa ragazza. Non posso ancora dirti il perché, ma è importante che tu ne scopra il nome e con quello tutte le altre informazioni possibili, capito?.-

La gola di Doppio si seccò al pensiero di dover parlare con quella creatura così intimidatoria. Come avrebbe potuto avere del tempo da solo con lei? Come sarebbe riuscito a parlarci e, soprattutto, a porle delle domande?

-Ma... ma boss come faccio?! Sta ballando, come faccio io a prenderla in disparte per poterle parlare?- la sua voce tremava, non riusciva a controllarla.

-Calmati Doppio, non preoccuparti. Lo sai come funzionano questi posti, vero? Puoi richiedere per una cifra speciale un incontro privato con la ballerina che più preferisci... in base al prezzo che paghi hai un determinato tempo in una stanza riservata, dove sarete soli voi due. Ora devi semplicemente andare da uno dei buttafuori vicini al palco e chiedergli di avere uno spettacolo privato con lei e il gioco è fatto, chiaro?.-

Davvero non capiva come facesse ad avere una soluzione così semplice e razionale a tutto; Doppio lo ammirava fin troppo.

-Ma certo boss, che stupido che sono stato a non pensarci... lo farò subito e le riferirò tutto appena finito, non si preoccupi!-

-Sono sicuro che non mi deluderai, ora procedi.-

-Certamente boss!- e la chiamata si concluse, lasciando il ragazzo con un bicchiere in mano.

Posando il drink vuoto e appiccicoso sul tavolo, Doppio si avviò con passo incerto verso uno degli energumeni ai lati del palco.

L’uomo, che indossava senza una ragione precisa degli occhiali da sole nel locale buio, sembrò quasi non notarlo, forse per la sua bassa stazza.

-Mi scusi...- provò a dire, senza alcuna risposta. Probabilmente doveva alzare il tono di voce.

-Mi scusi!- questa volta la montagna umana abbassò lo sguardo, per torreggiare su di lui.

Dopo una smorfia che Doppio accolse come un “sì?”, il ragazzo procedette.

-Vorrei umh... vorrei uno spettacolo privato con quella ragazza lì, se possibile.- e indicò l’angelo biondo.

L'uomo annuì.

-Centoventimila lire mezz’ora, trecentomila un’ora.- sputò.

Il ragazzo sbarrò gli occhi: quanto?! Davvero non comprendeva come un semplice ballo privato potesse venire così tanto. Non doveva avere un rapporto con lui, doveva semplicemente parlare e ballare per lui... davvero non capiva.

Ma il boss aveva fiducia in lui, gli aveva appena affidato una missione e certamente non voleva deluderlo, non voleva sentire il suo tono di rimprovero solo perché non era riuscito a parlare con una ballerina del cazzo.

Doppio si rese conto di sta esagerando: non c’era bisogno di scaldarsi, bastava pagare e finire l’affare, nulla di più complesso.

-Va bene mezz’ora...- rispose, dopo aver espirato pesantemente, per cercare di rilassare i propri nervi.

L’orso annuì e fece cenno alla ragazza di scendere.

Aveva appena finito il suo breve spettacolo e, appena notato il cenno dell’uomo, si avvicinò a loro con passo deciso ma sensuale, scendendo dal retro del palco delicatamente e con grazia, nonostante gli assurdi tacchi ai piedi.

In quel momento Doppio poté ammirarla in tutto il suo splendore: lo superava almeno di una spalla in quella situazione, ma senza scarpe teorizzava fosse all’incirca come lui, forse qualche centimetro di differenza. I seni erano sodi, ma al contempo soffici, non troppo grandi, ma nemmeno piccoli; parevano una classica e sempre ottima terza. Soffermò il suo sguardo qualche istante in più sul seno sinistro: presentava un singolare neo vicino al capezzolo turgido e bruno. Il punto vita non era eccessivamente marcato, ma era comunque presente e il suo addome risultava muscoloso, ma contemporaneamente morbido. Il bacino era lievemente sporgente e largo quanto le spalle, costituito da un buon equilibro fra grasso e muscolo, conferendole un aspetto invitante.

Le cosce... le cosce erano per Doppio indescrivibili: così possenti ma lunghe, così soffici ma toniche. Sembravano fatte di porcellana, ma erano così forti e abituate a supportare il corpo in tutte le sue più improbabili torsioni che le conferivano l’aspetto di una dea.

Passando per le delicate clavicole e le spalle muscolose, si superava il collo magro per arrivare al viso, un’altra opera d’arte. Le labbra sembravano una rosa, carnose e rosse, il naso non era definibile come perfetto per via di una leggera gobba, ma serviva a rendere il viso della donna più umano. Gli occhi, infine, erano grandi e azzurri, il trucco e le ciglia conferivano loro un aspetto intimidatorio, ma lui sentiva che, senza quelli, sarebbero risultati come quelli di un cucciolo.

-Mezz’ora nel privè con lui.- disse il buttafuori.

La ragazza guardò Doppio mentre si sistemava la frangia e poi sorrise cortesemente.

-Certo, vieni dai, seguimi.- e si incamminò per un corridoio.

Il giovane la seguì, preso alla sprovvista dalla rapidità della spogliarellista, che procedeva senza indugio per la strada liscia, non mostrando nemmeno un minimo di incertezza nei passi, nonostante quelle scomode calzature. Dietro di sé poteva sentire i passi pesanti dell’uomo, incaricato adesso di controllare che Doppio non facesse nulla di male alla sua collega di lavoro.

Aprendo una tenda violacea, la donna entrò in un piccolo stanzino isolato, costituito da un enorme divano a muro rosa, che prendeva quasi tutto lo spazio, e un piccolo tavolino in vetro viola. Dal soffitto numerosi faretti proiettavano diverse luci e l’insieme risultava caotico, ma anche intrigante.

-Siediti pure caro.- disse al suo cliente, sorridendo poi come saluto al buttafuori e chiudendo definitivamente la tenda.

Doppio si guardò attorno, mentre prendeva posto sul divano e cercava di rilassarsi.

Alzando lo sguardo verso di lei le mani iniziarono a sudare e poté sentire nuovamente quella forza dentro di lui che gli diceva di spogliarla e toccarla, anche se lei non avesse voluto e avesse opposto resistenza, anche contro la sua volontà.

Con un veloce schiaffo mentale si riportò alla realtà e rimise a fuoco la figura sinuosa della donna, che lo stava guardando con fare divertito, ma anche comprensivo.

-Allora caro, cosa vuoi che faccia?-

La gola divenne secca di colpo e Doppio si trovò nel completo panico quando la vide avvicinarsi a lui, iniziando a strofinare le delicate mani nel suo interno coscia.

Possibile che sentisse già i pantaloni stretti? Era davvero così bisognoso di contatto? Così patetico da eccitarsi alla minima occasione con una donna? Si vergognava di sé stesso, doveva rimanere concentrato! Non doveva perdersi nelle proprie fantasie, aveva il compito di porle delle domande molto importanti per il suo capo e sicuramente non era nei suoi obiettivi deluderlo in alcun modo.

-Vorrei... vorrei sapere il tuo nome...- balbettò evitando il più possibile il contatto visivo, mentre la donna prendeva spavaldamente posto accanto a lui, accarezzandogli la schiena e continuando a strofinargli l’interno della gamba, nella speranza di farlo sciogliere e rilassare un po’.

-Tutti qui mi chiamano Angel, tesoro...- la sua voce sembrava seta, così morbida e liscia, sicuramente come la sua pelle.

“Angel” pensò “ironia della sorte.”

-Non mi interessa il tuo nome da palco.- rispose Doppio, mosso da quella forza, che lo convinse anche ad alzare il capo, per creare del contatto visivo volontario con la ragazza.

Ella apparve sorpresa per un qualche istante, ma poi sorrise in modo compiaciuto, alzandosi e allontanandosi di qualche passo, dandogli le spalle.

-E perché dovrei dirtelo, tesoro?- spostò la lunga chioma dorata su una spalla, lasciando la schiena totalmente scoperta e iniziando a muovere il corpo al ritmo della musica.

Il moto di coraggio lasciò senza preavviso l’animo del ragazzo, che si ritrovò come terrorizzato alla vista del corpo praticamente nudo di “Angel” davanti a sé, così esposto e indifeso, ma anche così sicuro e possente.

Doppio la osservò voltarsi e avvicinarsi nuovamente, sedendosi a gambe aperte su di lui e posandogli le mani sopra le spalle. Il fiato si bloccò in gola quando ella cominciò a muovere il bacino, sfregando il proprio sesso contro il suo, seguendo i bassi che riempivano la stanza. Gli si avvicinò all’orecchio.

-Allora? Sei forse senza lingua?-

Si sentì combattere dentro, mosso da così tanti istinti che non capiva più cosa fosse razionale e cosa no: una parte di sé voleva spingerla via e scappare il più velocemente possibile da quel luogo così lussurioso e malfamato, ma un’altra parte gli diceva di rimanere stoico e insistere con le domande, per ottenere il maggior numero di informazioni da riferire al capo. Infine, vi era ancora quella forza esterna, che si presentava in modo sempre più prepotente ogni volta che i loro due sessi si incontravano e lui poteva sentire il calore che il corpo ora fragile e morbido della ragazza emanava.

-Per favore... sei troppo bella, devo sapere come ti chiami.- chiuse gli occhi mentre lo diceva, perché non voleva vedere i loro due bacini a contatto, né vedere il suo stomaco morbido, i suoi seni rotondi o le sue labbra carnose.

Quella donna esisteva per rendere debole il prossimo, ne era certo.

Poté sentire la sua risata trattenuta, mentre gli accarezzava gentilmente i capelli e si posava per qualche istante sul suo membro.

-Sembri così indifeso... sicuro che nessuno ti abbia forzato a venire qua?-

Doppio sentì il peso della ragazza andarsene e quando aprì gli occhi la trovò voltata nuovamente, con le mani poggiate sulle sue ginocchia, che stringevano il tessuto viola dei suoi pantaloni, mentre muovendo il bacino con ritmo in moti circolari si posava nuovamente su di lui, questa volta voltata di spalle.

Aprendo nuovamente le gambe, ricominciò i movimenti di sfregamento, questa volta però chinando la schiena in avanti e dandogli la miglior vista che potesse sperare.

La sua gola ormai era secca e deglutire pareva impossibile.

-Per favore... io- le parole gli morirono in bocca a un movimento più deciso di lei e la stoffa logorata dei suoi pantaloni ormai tirava troppo per essere ignorata.

La risata che seguì non aiuto la sua situazione: si sentiva umiliato e non gli stava dispiacendo.

-Facciamo che io ti dico il mio...- alzò sensualmente la schiena, voltando di poco il capo verso di lui, giusto per creare un minimo di contatto visivo -...se tu mi dici il tuo?-

Gli parve incredibile essere riuscito ad arrivare finalmente a un compromesso. Annuì violentemente, mentre chiudeva gli occhi e contorceva il viso in una leggera smorfia, a causa di un’ennesima pressione particolarmente intensa.

-Però cominci tu, tesoro.- con un movimento aggraziato alzò una gamba e scese in pochi istanti da lui, sedendosi in seguito sul tavolino di fronte, a gambe incrociate, ma col petto aperto e il viso compiaciuto.

-Io sono Aceto Doppio...- mormorò, tentando di non guardare troppo il sesso nascosto della ragazza.

Ella sorrise, spalancando le gambe ai lati del tavolo e guardandolo in volto, mentre lo osservava sbarrare gli occhi e diventare paonazzo in viso, anche se incapace di distogliere lo sguardo.

-Piacere Aceto Doppio, io mi chiamo Celeste.-

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Capitolo 2
*** Vicolo ***


Sospirò scocciato quando arrivò, purtroppo, a destinazione: odiava quei posti. 

Non li odiava per il servizio che offrivano, un piccolo spettacolo piace a tutti ogni tanto, soprattutto per rilassare i nervi sempre tesi, ma li detestava per la pletora di gente sporca, ubriaca e rumorosa che li popolava. Immaginava che schifo fosse lavorare in quei luoghi e gli veniva il voltastomaco al solo pensiero. In momenti come questi, uccidere come mestiere non sembrava poi così degradante. 

Risotto si spostò in un angolo della strada, proprio affianco alla porta di entrata: erano ormai le sei del mattino, il target sarebbe dovuto uscire fra pochi minuti. 

Storse la bocca al pensiero di quello che stava per fare: era abituato a uccidere Risotto, non ha rapire spogliarelliste che lavoravano in locali del genere. Il boss lo aveva scelto probabilmente perché era conscio della sua bravura e della sua prontezza nell’agire, ma non si aspettava di essere preso per un così tanto classico e banale rapimento.  

Perché poi rapire una spogliarellista? Il boss non aveva la sua cerchia di prostitute? Davvero non capiva questa situazione, gli pareva così assurda, ma infondo il suo capo era difficile da capire, non poteva nemmeno immaginare come funzionasse il suo cervello.  

Magari era la figlia di un uomo che gli aveva fatto un torto, oppure la fidanzata di uno che gli doveva dei soldi, o ancora uno dei gestori di questa bettola gli doveva della droga e voleva fargli sparire una dipendente per vendetta. E se fosse la sorella di qualche ricco? Certo un riscatto frutta sempre parecchio. 

Davvero, non riusciva a capire lo scopo di tutto questo, ma poco importava: a Risotto interessavano i soldi e una missione facile era lo stacco che ci voleva dalle solite occupazioni pesanti che gli venivano affidate; essere il leader della squadra Esecuzioni non era   certamente un lavoro facile e di sicuro non era ben retribuito; Ghiaccio ci teneva a ricordarglielo sempre, coi suoi modi poco cordiali, in ogni momento, anche il meno opportuno. 

Doveva aspettare che uscisse dalla porta quella ragazza bionda, con la frangia e gli occhi azzurri, di cui gli era arrivata una foto la mattina precedente. 

“Carina” pensò “ma ne vale davvero la pena?” scosse le spalle in rassegnazione; non era sua la decisione e doveva solo eseguire ciò che gli era stato imposto dall’alto, come era abituato a fare da ormai anni. 

Da quanto tempo non si intratteneva con qualcuno Risotto? Ultimamente era stato troppo impegnato col lavoro per poter soddisfare qualche suo capriccio, ma ormai dovevano essere passati mesi dall’ultima volta che aveva appagato le sue voglie. Lo stesso valeva per i suoi compagni e Dio solo sa quante volte al giorno glielo dovevano far presente.  

Il più insistente a riguardo era Formaggio, che si lamentava ad alta voce per ore, ricordando a tutta la squadra che lui era un uomo e aveva dei bisogni fisiologici da assecondare; lo seguiva Illuso, che era meno teatrale a riguardo, ma comunque pressante e insistente. Per fortuna c’erano Pesci, troppo chiuso per parlare di cose del genere, e Prosciutto, troppo sicuro di sé per esporre qualche suo desiderio sessuale, che gli davano attimi di tregua. 

Melone invece non si risparmiava affatto e anzi, si preoccupava immensamente di far sapere tutti i membri, in tempo reale, che cosa avrebbe voluto fare a qualsiasi donna gli passasse accanto, talvolta anche chiaramente minorenni. Ghiaccio non parlava spesso dell’argomento, siccome la sua frustrazione era la maggior parte delle volte incanalata su altri argomenti, come la questione dei soldi, ma di tanto in tanto si lasciava andare in crisi di rabbia in merito, dove si lamentava di come le richieste del boss fossero così tante da non lasciargli nemmeno il tempo per una semplice “scopata veloce”. 

Per fortuna però esistevano Sorbetto e Gelato, che per quanto strani fossero, non si lamentavano mai in materia. 

La voce di una donna lo fece tornare in sé, soprattutto quando venne seguita da molte altre simili e Risotto si rese conto che le spogliarelliste e cameriere stavano finalmente lasciando il locale. 

Si fece più vicino al muro mentre le osservava una ad una, cercando il suo obiettivo. 

Finalmente vide una donna dai capelli biondi e lisci, raccolti in uno chignon veloce, con una frangia che le copriva le sopracciglia e due occhi azzurri che mostravano la stanchezza che stava provando in quel momento.  

Era vestita in maniera molto sportiva, con dei leggings azzurri e un piumino argento, mentre si portava su una spalla un borsone nero, contenente i suoi completi da palcoscenico. 

Decise di iniziare a seguirla nel suo ritorno a casa, conscio dalle sue ricerche precedenti che la ragazza abitasse a circa venti minuti di distanza e non usasse un’automobile. 

Quella mattina era particolarmente fredda ed essendo inverno, non vi era ancora abbastanza luce per rendere visibile chiunque fosse leggermente nascosto in un qualche vicoletto. 

La ragazza doveva essersi accorta di qualcosa a una certa, perché di colpo iniziò ad accelerare il passo e a voltare il capo numerose volte, alla ricerca di quella presenza che la stesse pedinando a metà percorso. 

Risotto in quel momento non era assai interessato nel non farsi scoprire: l’avrebbe presa comunque, tuttavia non voleva sentirla urlare e dimenarsi molto; il suo intento era quello di prenderla e finire al più presto possibile la missione, senza molti drammi. 

L’avrebbe dovuta tenere lui nella piccola abitazione che sfruttava per le riunioni coi suoi membri, o per appunto nascondere gli ostaggi, per un periodo indefinito di tempo. 

Immaginava già le richieste che gli sarebbero arrivate dagli altri, ma non era sicuro di poter lasciare che i suoi uomini toccassero una donna richiesta dal boss. Infondo lui veniva sempre a sapere tutto, anche se, questa volta, non aveva specificato sul cosa farne mentre aspettavano che qualche altro scagnozzo venisse a prelevarla. 

Sicuramente l’avrebbero usata per preparare qualche piatto caldo durante le loro riunioni e certamente per pulire casa, ma ancora non era sicuro se la si potesse sfruttare per qualche spettacolo, che dopotutto era certamente abituata a fare, o per dell’intrattenimento personale. 

Era conscio che i suoi compagni fossero stressati e alleviare le loro preoccupazioni con del sano sesso sarebbe sicuramente servito, perlomeno aiutandoli a non pensare al lavoro per qualche ora al giorno, quindi sarebbe sicuramente tornato sulla questione e ne avrebbe cavato qualcosa; per il bene della squadra. 

Appena la vide svoltare in una strada isolata Risotto capì che era arrivato il momento di prenderla. 

Prima che Celeste potesse rendersene conto, il suo corpo e il suo viso vennero premuti contro il muro freddo e umido del vicolo buio in cui si era intrufolata, nel tentativo di sviare il suo pedinatore.  

-Lasciami andare, cazzo!- sputò dimenandosi il più possibile da quella presa ferrea che le stringeva i polsi fino a farle male, mentre un corpo massiccio e caldo la schiacciava contro quella parete e le teneva il capo pressato con forza. 

-Smettila di urlare- le ordinò la voce bassa e gutturale –e fai come ti dico, se non vuoi ritrovarti con le dita delle mani tutte rotte.- ed enfatizzò il tutto con lo stringerle dolorosamente la mano nella morsa d’acciaio in cui si era ritrovata. 

Guaì dal dolore, dimenandosi nuovamente, provando invana a scalciare. 

-Ora tu verrai via con me, intesi?- 

In quell’istante sentì le gambe perdere ogni forza e il corpo crollare, sorretto unicamente da quello sconosciuto che continuava a torreggiare su di lei. 

Stava per morire. 

Provo a balbettare una protesta, ma la presa sulle dita si strinse e riuscì solamente a mugulare un pianto disperato, mentre sentiva l’uomo coprirle gli occhi e poggiarle un panno di stoffa dall’odore dolciastro sulla bocca e il naso. 

Tutto divenne nero. 

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Capitolo 3
*** Caffè ***


La testa le pulsava mentre si rigirava pigramente sul fianco sinistro: che cazzo di sogno che aveva fatto. Essere rapita da un uomo che nemmeno aveva visto in volto, mentre tornava dal lavoro.

“Impossibile” pensò quasi sorridendo. Dopotutto abitava così vicina al locale, conosceva tutti in quel quartiere, per di più era impossibile che nessuno l’avesse soccorsa. A quell’ora i panettieri aprivano, chiunque avrebbe visto uno strano soggetto seguirla e poi aggredirla.

Aprì gli occhi ancora addormentati, contenta di essersi svegliata da quell’incubo.

Dov’era?

Quello non era il soffitto di casa sua e quello che sentiva sotto di sé non era sicuramente il suo letto, sembrava un divano, vecchio e impolverato per giunta.

Alzò la schiena di scatto, ritraendo le gambe verso il suo busto e ritrovandosi smarrita in una stanza sconosciuta, con molte poltrone attorno a lei e con davanti a sé un lungo e basso tavolo da caffè. La cosa che però le fece raggelare di più il sangue, fu la vista di tutti quegli uomini sconosciuti.

Uno di loro, dai ricci blu e gli occhiali rossi, la guardò con poco interesse prima di gridare.

-Si è svegliata!-

Per poi tornare a leggere il suo giornale.

Dopo quella frase, tutte quelle persone sparse per la sala che prima non sembravano nemmeno riconoscere la sua esistenza, si voltarono a guardarla e Celeste capì di essere già morta.

Nessuno di loro sembrava avere delle buone intenzioni e nessuno di loro la stava guardando in una maniera rassicurante. Quello che le fece tuttavia venire i brividi fu un uomo gigantesco, seduto sulla poltrona centrale affianco a lei, con degli occhi da demone.

Sentì la gola chiudersi e gli occhi pungere mentre provava a parlare.

-Dove sono...?! Chi siete! Cosa volete da me! Io non ho soldi non-

Venne interrotta dalla risata di uno degli uomini: aveva dei capelli neri legati in delle code di cavallo basse.

-Tesoro, rilassati, non vogliamo farti nulla di male.-

-Non finché non ci pagano per farlo.- aggiunse l’uomo dai capelli corti e grigi accanto a lui, ridendo.

Cosa ci trovava di così divertente nel parlare di uccidere persone innocenti a pagamento?

Celeste si guardò ancora intorno, alla ricerca di un viso normale, che non infondesse terrore, ma non ne trovò uno.

-Dovete lasciarmi andare! Non so chi siate o cosa vogliate, ma da me non otterrete nulla! Sono solo una ballerina io, non ho mai fatto nulla di sbagliato nella mia vita, lo giuro!- fu interrotta dal frastuono di un pugno che batteva violentemente contro il tavolo.

-E STAI ZITTA PORCA PUTTANA! STO CERCANDO DI LEGGERE, SILENZIO CAZZO!-

Rimase a bocca spalancata dopo aver sentito le urla dell’omino piccolo, che prima aveva detto con tanto disinteresse al resto del gruppo che si era svegliata.

Un soggetto dai capelli lunghi e viola le si avvicinò, prendendole la mano e trattenendola con forza, anche quando lei provò a distaccarsi, a causa del dolore che provava ancora alle dita dopo l’aggressione che l’aveva portata in quella situazione.

-Pelle molto liscia... dimmi un po’, che segno sei? Che mi dici a proposito delle malattie pregresse?-

La ragazza sentì le lacrime bagnarle il volto mentre si ritrovava proiettata in una situazione assurda come quella. Era finita in un covo di matti pericolose non riusciva a capire come mai.

Si udì un grande sospiro e tutti, compresa lei, si voltarono all’unisono verso il grande uomo dai pantaloni striati e gli occhi mostruosi, seduto sulla poltrona.

-Ora basta così, non importunatela in altre maniere.-

Lei la riconosceva quella voce: era la voce del suo rapitore, quello che l’aveva portata in quel luogo.

La mano che la attanagliava di colpo sparì e il ragazzo di prima fece tranquillamente qualche passo indietro, non distogliendo lo sguardo da quello che, presumibilmente, era il suo capo.

-Celeste, giusto?- le chiese guardandola negli occhi.

Era abituata a fare contatto visivo lei, anche con la più sporca creatura di questo mondo, ma quegli occhi erano troppo: avevano qualcosa di sbagliato, sentiva che se li avesse guardati per troppo tempo, qualcosa di brutto le sarebbe successo, sarebbe stata corrotta nell’animo.

Annuì, raggomitolandosi il più possibile sul divano e premendosi contro il duro schienale, nella speranza di venir inglobata dal materiale e sparire da quel posto.

-Ti dirò chiaramente le cose come stanno, perché non ho ricevuto indicazioni che me lo vietassero.-

Non era un buon inizio. Indicazioni? Quindi lavorava per conto di qualcuno?

-Noi siamo della mafia.-

Perse un battito.

-Suppongo tu conosca il nome “Passione”, non è così?-

Annuì malgrado, iniziando a sentirsi mancare il respiro.

-Come immaginavo... vedi, il nostro capo ha deciso di farti rapire da noi, ma se proprio lo vuoi sapere, nemmeno noi sappiamo con certezza il perché.-

Era certa di star svenendo in quel momento.

-Sappiamo solo che ora tu dovrai rimanere con noi un po’ di tempo, prima che il boss possa prenderti. È un uomo molto impegnato, il suo è un lavoro estremamente complesso e molto rischioso, quindi non sappiamo quando potrà farti venire a prelevare, né che cosa ti farà quando sarai da lui.-

Doveva essere uno scherzo.

-Ma... ma che senso ha farmi rapire?- il suo tono era basso, tremante e incerto, scosso da qualche singhiozzo.

-Non lo so, te l’ho già detto.- le rispose prendendo la tazzina di caffè fumante davanti a lui.

Dopo averne bevuto un piccolo sorso, proseguì.

-Ma tu ora dovrai stare qui con noi e dovrai seguire delle regole.-

Celeste poteva sentire lo stomaco aggrovigliarsi e la nausea farsi sempre più forte.

-Non siamo quasi mai tutti in quest’abitazione, ma d’ora in avanti ogni notte uno di noi dormirà qui, per controllarti. Questo posto dovrà rimanere pulito e dovrai preparare i pasti per chiunque si trovi qui, che sia solo uno di noi o tutti.-

Stava iniziando a vedere tutto sfocato e quasi non lo sentiva più parlare: percepiva solo il battito del suo cuore; e se stesse avendo un infarto? Giurava di sentirsi scoppiare il petto.

-Per quanto riguarda... il nostro intrattenimento invece.-

Questo lo sentì più che bene e sentì soprattutto le teste degli altri voltarsi verso di lei e mangiarla viva.

-Ho pensato molto alla situazione e sono giunto alla conclusione che non dovrai fare sesso con noi.-

Un coro di “No, ma come?!” le invase le orecchie e lei poté percepire un macigno lasciarle il corpo.

-Tuttavia....-

Ecco che il macigno tornava.

-Sarai tenuta, quando ti verrà richiesto, a intrattenerci con degli spettacoli, come facevi sul tuo posto di lavoro, quindi niente a cui non sei già abituata, non è vero?-

Era troppo impegnata a non scoppiare nuovamente a piangere per rispondergli, quando una voce potente e adirata la fece tornare alla realtà e al suo posto.

-Non è vero?!-

Alzò di scatto il capo, per ritrovarsi persa in quegli occhi scuri come la pece e macchiati di sangue: la stavano scrutando, la stavano guardando da dentro. Si sentiva nuda davanti a quegli occhi, si sentiva esposta e indifesa, si sentiva violata.

-Sì... sì è vero...- rispose, abbassando nuovamente lo sguardo, per non percepire mai più una tale sensazione.

L'uomo annuì col capo.

-Brava ragazza, vedo che ci siamo intesi.- si alzò e Celeste si ritrovò nell’ombra più totale per quanto imponente era la sua figura.

-Io sono Risotto Nero, col tempo imparerai il nome di tutti.-

Sentendosi nuovamente osservata da mille occhi, si decise a studiare i suoi rapitori.

La maggior parte di loro erano particolarmente attraenti, uno biondo poi era curato in tutti i dettagli ed emanava un’energia invitante; sempre se si escludeva che, oltre a far parte della mafia, era complice del suo rapimento.

Accanto a lui, però, vi era un ragazzo davvero brutto, con degli strani capelli verdi e totalmente privo di collo: quel ragazzo stava evitando di guardarla in ogni modo.

Risotto Nero continuò a parlare, introducendo tutti i suoi compagni.

Le spiegò che l’uomo dai codini neri che prima le aveva parlato si chiamava Illuso, mentre quello accanto a lui dai capelli corti era Formaggio.

Il ragazzo basso dai boccoli azzurri invece era Ghiaccio e quello che l’aveva presa per mano era Melone.

L’uomo biondo era Prosciutto, ipotizzabile anche dall’enorme ciondolo a forma di P che portava al collo, e Pesci, dai capelli verdi, era suo fratello.

L’uomo dagli occhi del diavolo le disse inoltre che all’appello mancavano due altri uomini: Sorbetto e Gelato, ma loro erano poco presenti in quell’abitazione e non erano soliti parlare con gli altri.

Celeste non si era mossa di un millimetro dal divano per tutto il tempo, troppo spaventata ed estraniata da quella situazione surreale: ancora non si capacitava in che luogo fosse finita.

Aveva smesso di piangere da un po’ e aveva capito che in quel posto doveva mostrare contegno e sicurezza, soprattutto per non adirare nessuno e non rischiare ulteriormente la vita.

Il pensiero che la continuava a tormentare, tuttavia, era il perché di tutto questo.

I suoi genitori erano onesti lavoratori del Veneto, lei si era traferita qualche anno prima per una relazione, che poi si era conclusa, lasciandola in una città sconosciuta a mani vuote. Così aveva iniziato a lavorare come spogliarellista e si era persino trovata molto bene: le piaceva ballare, le piaceva farsi desiderare e, in tutto questo, era pure ben retribuita in un ambiente ricco di colleghi simpatici e di buon cuore.

Non faceva uso di droghe, aveva fumato giusto qualche volta, ma mai nulla di più pesante, e sicuramente non era in compagnie poco affidabili.

Allora perché le stava capitando tutto questo? Perché il capo di una delle mafie più potenti d’Italia aveva deciso di prendere lei di mira? Una misera e semplice ragazza di ventitré anni, che nella vita non aveva mai fatto nulla se non volteggiare su un palo e farsi pagare?

Magari era stato un suo cliente e si era convinto di significare qualcosa nella sua vita.

Annuì leggermente col capo, ricevendo degli sguardi confusi da alcuni nella stanza, che però ripresero a parlare degli affari propri come se nulla fosse.

Doveva essere così, il capo della Passione era stato sicuramente un suo cliente. Si era in qualche modo convinto che lei lo amasse, o comunque fosse interessata, e aveva agito da psicopatico che crede di poter ottenere tutto con la forza. Era certamente andata così.

Ma chi dei suoi clienti più estremi?

Antonio? No impossibile, era troppo molle di spirito quella specie di omuncolo per poter gestire un impero così vasto.

Limone? Figuriamoci, non ce l’avrebbe mai fatta, non era abbastanza carismatico per creare una rete come quella.

Marcello? Nemmeno lui...

Mentre si mordicchiava un’unghia fissando il vuoto davanti a sé e pensando a chi dei suoi clienti abituali potesse essere il pazzo che l’aveva presa, le tornò in mente quel cliente di qualche settimana prima, quello tutto timido e piccolino.

“Tappo?” pensò “no no, come si chiamava quel ragazzo tanto caro, dai capelli tutti viola?”

Doppio!

“Ecco il suo nome, Doppio.”

Sorrise pensandoci: se tutti i clienti fossero stai come quel dolce ragazzo, ora certamente lei non si troverebbe lì.

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Capitolo 4
*** Lenzuola ***


L’immagine dei loro due corpi che si toccavano non lo lasciava, continuava a tormentarlo qualvolta chiudesse gli occhi.

Si ritrovava ogni sera a pensare a lei, alle sue curve morbide, ai suoi seni così pallidi, ai suoi occhi azzurri che lo guardavano con desiderio.

Quelle labbra che sembravano una rosa, quanto avrebbe voluto sentirle addosso. Le immaginava percorrere il suo collo, passando per le clavicole e per il petto, sino a scendere e schiudersi per il suo membro.

Si sarebbe comportata bene per lui, ne era più che certo.

Poteva solo sognare di stringere quelle cosce carnose e toniche fra le sue dita, facendola gemere dal dolore, facendola contorcere a disagio.

Avrebbe percepito il terrore nei suoi occhi mentre con brutale forza la costringeva a stare ferma, con la faccia immersa fra i cuscini, mentre con veemenza la sculacciava ripetutamente. Lei avrebbe urlato con voce soffocata di smetterla, dicendogli che le stava facendo male, ma lui si sarebbe fermato solo davanti a dei lividi, o ancora meglio, del sangue.

No... doveva andare oltre.

Voleva andare oltre.

Voleva stringere quel suo esile collo fra le dita, per vedere i suoi occhi color cielo rivoltarsi, il suo bel viso contorcersi in smorfie disperate, tentando invana di annaspare dell’aria, mentre il suo colorito diveniva bluastro e le labbra perdevano la loro tinta.

Voleva vedere il suo sesso virile ricoperto dal sangue di quella puttana, mentre lei ansimava e chiedeva pietà, supplicandolo con un singhiozzo disperato.

Voleva violarla in ogni modo, corromperla fino al midollo, prenderla e distruggerla: farla a pezzi.

Voleva sentire il cuscino bagnato delle sue lacrime e dei suoi umori.

Voleva vedere le lenzuola rosse, ricoperte del suo sangue, quando si voltava per trovarla ferma immobile, fredda e macchiata di viola.

Voleva farla soffrire e deturparla, marchiandola come poteva.

Voleva renderla la sua tela.

Grugnì al solo pensiero di poterla contaminare in quel modo: voleva distruggerla.

I pantaloni erano troppo stretti oramai, dovette aprire la patta per avere un minimo di sollievo e sospirò sentendosi più libero.

Eccola che tornava a tormentarlo, muovendosi in quel modo e parlandogli con così tanta presunzione.

Infuriato, afferrò il proprio membro e lo strinse con violenza nella mano. Iniziò a muoverla velocemente, usando tutta la rabbia che aveva in corpo.

Era adirato.

Era furioso perché ora lei lo perseguitava, lo seguiva ovunque: per tutti questi anni non aveva avuto nessuna debolezza le donne, era troppo impegnato, ma ora... ora una semplice zoccola poteva distrarlo a tal punto; renderlo debole a tal punto.

Non poteva accettarlo.

Doveva prenderla e farla sua, doveva fargliela pagare. Se ne sarebbe certamente pentita, quella troia. La vede già, piangere e urlare, col viso gonfio e tumefatto, col sesso intorpidito e sanguinante, mentre lo supplicava di fermarsi, di non ucciderla.

Sentiva di essere vicino all’orgasmo ormai.

Immaginava di romperle tutte le ossa, partendo dalle dita dei piedi.

Quella creatura si sarebbe contorta e dimenata, nella speranza di fuggire, sbraitando disperata per il troppo dolore. Avrebbe gridato così tanto da recidersi le corde vocali, poi lui le avrebbe staccato la lingua a morsi e lei avrebbe gridato ancora più forte. Avrebbe fatto fatica a respirare col naso fratturato e avrebbe continuato a sputare, per colpa di tutto quel sangue che le ricopriva il volto e le entrava in bocca. Le sue labbra sarebbero state aperte dopo tutte le percosse subite, lacerate e gonfie, e lei non sarebbe più riuscita a dire una parola. Gli zigomi tumefatti sarebbero stati così ingrossati da forzare la chiusura parziale degli occhi e i sopraccigli spaccati avrebbero finito gloriosamente il lavoro.

L'immagine che gli si palesò davanti agli occhi fu davvero troppo e non riuscì più a trattenersi, finendo col venire, accompagnato solamente da un lungo gemito trattenuto.

Stendendosi supino sul letto in cui si trovava, Diavolo riprese il fiato, ansimando leggermente: si era lasciato troppo andare, doveva ragionare con più calma.

Presto Risotto Nero avrebbe preso quella donna e nel giro di poco tempo le avrebbe potuto fare tutto, non doveva preoccuparsi.

Sorrise malvagiamente ripensando a quello che le avrebbe fatto.

Non avrebbe più visto la luce del sole; era la punizione che meritava.

Chiuse un attimo gli occhi e, quando li riaprì, Doppio si risvegliò leggermente spaesato, con quel suo solito mal di testa.

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Capitolo 5
*** Whiskey ***


Passarono diverse ore senza che Celeste si muovesse di un millimetro dalla sua posizione iniziale e, poco per volta, se ne erano andati praticamente tutti. 

Il primo a uscire dall’abitazione in cui si trovava la ragazza fu Formaggio, che non si risparmiò un occhiolino prima di chiudersi la porta alle spalle.  

Poco dopo fu seguito da Prosciutto e Pesci, ricevendo solo uno sguardo freddo e severo dal biondo, dato che Pesci ancora non aveva trovato il coraggio di alzare il viso per guardarla. 

“Potrei lavorare su di lui per uscire di qua” aveva pensato, prima di ricordarsi che, da quanto aveva potuto osservare e sentire in un solo giorno, quel tipo non contava proprio un cazzo e Prosciutto lo zittiva e sovrastava di continuo, anche quando Pesci pareva proporre idee o pensieri utili. 

Aveva inoltre assistito a un litigio fra Melone e Ghiaccio, prima che entrambi tornassero alle proprie case. Più che un vero e proprio litigio, quella fu una crisi isterica del ricciolo, che era scattato per uno strano commento fatto da parte dell’altro, sul fatto di trovare una buona madre per il suo... stand? Lo aveva chiamato così? Sta di fatto che i due si erano congedati ancora strillandosi a vicenda. 

Illuso fu l’ultimo ad andarsene, intrattenendosi il maggior tempo con Risotto, per mangiare qualcosa e bere un bicchierino assieme. 

Celeste si era rifiutata di mangiare, anche volendo sentiva che il suo corpo avrebbe rigettato tutto, per lo shock e il nervosismo che ancora la attanagliavano da dentro. Nonostante orami fosse sera, sentiva addosso ancora troppa nausea e i crampi della fame non si erano mai fatti sentire. 

Si ritrovò sola con l’uomo dagli occhi posseduti, che ora stava seduto sulla stessa poltrona di prima, con le braccia spavaldamente aperte e poggiate sui braccioli, mentre le gambe erano accavallate. 

Oltre ad avere degli occhi fin troppo particolari, anche il suo stile non era da meno. Certo, lei aveva visto abbigliamenti di ogni genere, ma sicuramente in questo gruppo non si erano affatto risparmiati e, soprattutto, non potevano di certo passare inosservati. 

Melone, ad esempio, indossava una tuta davvero ambigua e la mascherina trasparente sugli occhi non aiutava indubbiamente ad aumentare il suo livello di sobrietà: qualcosa le diceva, però, che il suo obiettivo nella vita non era propriamente quello di risultare sobrio e discreto. 

Il narcisismo era un’altra cosa che non mancava in quel team. 

Aveva subito notato l’enorme ciondolo a forma di “P” che Prosciutto portava così tranquillamente al collo, ma solo in quel momento, da sola col loro capo, si era accorta che anche lui non era da meno, se non peggio. 

Indossava uno strano cappello nero, che si allungava ad ogni lato, presentando delle sfere di metallo con sopra incise delle lettere: formavano, ovviamente, il suo nome. 

“Ridicolo” si disse la ragazza, mentre spassava fra la frangia dorata le proprie dita sottili, nel tentativo di spostare i lunghi ciuffi che le infastidivano la vista. 

Un brivido le percorse la schiena quando sentì l’uomo schiarirsi la gola; stava per parlarle. 

-Questa sera ci sarò io qui a casa con te- si fermò per prendere un sorso del suo whiskey, continuando subito dopo –domani mi aspetto di trovarti sveglia per le sette.- 

Celeste, notando quegli occhi infuocati che la fissavano, annuì, per fargli capire di star ascoltando. 

-Probabilmente per l’ora di pranzo verremo io, Ghiaccio e Illuso, quindi dovrai preparare un pasto caldo per noi tre e te stessa, se ti deciderai a mangiare.-  

Ella annuì di nuovo. 

L'uomo si alzò dalla poltrona, parandosi davanti a lei. 

La ragazza abbassò rapidamente lo sguardo vedendolo alzarsi, per evitare il più possibile i suoi occhi. Capì che i suoi sforzi erano stati tuttavia vani, quando una mano le prese il mento e le alzò il viso, facendola ritrovare avvolta dall’oscurità. 

-Non mi piace quando le persone non mi rispondono; non accetto tali mancanze di rispetto.- 

Deglutì pesantemente. 

-Scusami...- balbettò, insicura e spaventata, ricevendo un movimento del capo in segno di approvazione. 

-Allora, hai capito tutto?- 

Lei annuì, ma non sentì la morsa al mento lasciarla. 

Le scrutò attentamente il viso, con dipinta un’espressione severa, aspettando una risposta lasciare le sue soffici labbra rosate. 

Risotto pensò a quanto morbide potessero essere. 

-Ho capito tutto.- gli rispose lei, mordendosi poi il labbro inferiore e rompendo il contatto visivo per il crescente senso di disagio; la stava facendo sentire troppo sotto pressione in quel momento. 

Con la coda dell’occhio poté osservarlo accennare un sorriso meschino e soddisfatto; rabbrividì. 

-Brava ragazza.- e le lasciò il viso, voltandosi per finire in un solo sorso la sua bevanda, poggiando sonoramente il bicchiere vuoto sul tavolino. 

-Alzati da lì, è tutto il giorno che non ti muovi, devi darti una rinfrescata. Il bagno è la prima porta a destra entrando nel corridoio. Ci sono degli asciugamani e dopo ti darò degli abiti per dormire. Ora vai.- 

Si sollevò dal divano riluttante, con la perenne paura che quell’uomo potesse approfittare di lei da un momento all’altro, sovrastandola con la sua imponente figura muscolosa. 

Con passo incerto ma svelto, percorse il tratto e si chiuse con rapidità la porta alle spalle, cercando poi la chiave per chiudere la serratura; risultò mancante. 

Celeste ringhiò infastidita, al solo pensiero che il suo rapitore potesse entrare nel bagno mentre lei era in uno stato del tutto vulnerabile. 

Si spogliò dai vestiti del mattino precedente e aprì l’acqua sotto di sé, una volta entrata in doccia. 

In quel momento, si sentì quasi in una situazione normale, lavandosi via lo stress e le angosce della giornata che aveva appena affrontato, massaggiandosi delicatamente lo scalpo e sciogliendosi sotto al getto caldo. 

Passarono circa quaranta minuti e dei colpi alla porta la fecero tornare alla realtà. 

-Esci, non puoi restare lì dentro tutta la notte.- 

Sospirò, chiudendo le manopole e avvolgendosi attorno a un asciugamano logoro e ingrigito, mentre frizionava la propria chioma con un panno più piccolo, ma altrettanto consumato. 

Tornando con fare insicuro verso la sala principale, iniziò a sentire il cuore battere talmente forte da occuparle le orecchie. 

Era certa che Risotto avrebbe abusato di lei.  

Se non in quel momento, allora la sera e se non la sera, allora nei giorni seguenti: sapeva con certezza che, prima o poi, sarebbe indubbiamente successo. 

Non era certa per gli altri membri, ma sicuramente lui l’avrebbe fatto.  

L’avrebbe costretta a letto, le avrebbe strappato gli abiti e l’avrebbe schiaffeggiata in volto, dicendole di fare silenzio, mentre con forza schiacciava fra le mani uno dei suoi seni, marchiandolo di viola. 

Le avrebbe tenuto le gambe aperte con le sue possenti braccia e, ignorando le sue suppliche disperate, l’avrebbe penetrata e violata con veemenza, facendola urlare. 

Quando si risvegliò da quell’incubo ad occhi aperti, era già troppo tardi e il suo viso si ritrovò nuovamente umido, questa volta di lacrime. Risotto non sembrò curarsene quando lei comparve nella stanza, con gli occhi rossi e gonfi. 

-Lì ci sono i tuoi vestiti per questa sera- e indicò degli abiti larghi e di cotone sopra al tavolo da caffè -domani manderò uno dei miei uomini a comprarti qualcosa di più adatto, per la tua taglia e tutto il resto.- 

Si accomodò nuovamente sulla stessa poltrona, ritrovandosi perfettamente davanti a lei, con un solo tavolino a separarli. 

-Dove... dove posso cambiarmi?- gli domandò, prendendo i vestiti con una mano, mentre l’altra teneva bel saldo il panno che la copriva. 

Lo sguardo stoico dell’uomo non coincise con la risposta che le venne data. 

-Qui.- 

La bocca di Celeste si aprì leggermente, pronta ad opporsi, a protestare, ma il suo cervello la bloccò, prima che potesse dire qualcosa di dannoso e pericoloso per la sua persona.  

Con il capo chino e le gote rosa, posò nuovamente gli indumenti forniti e lasciò andare l’asciugamano a terra. 

Celeste era abituata a spogliarsi davanti a degli uomini, che spesso la incitavano, la ricoprivano di complimenti e le dicevano le peggio cose, ma quello era diverso: nessuno la stava pagando, nessuno era ai suoi piedi. Non c’era la sua musica, non era un luogo sicuro e lei, certamente, non era in controllo. 

Era lei a comandare quei vermi che le gettavano il denaro addosso, li usava come sue marionette e sapeva come far spendere loro il più possibile, ma in quel momento lei era la vittima e l’unico a guadagnare da quella situazione degradante e umiliante era Risotto, che non accennava a distogliere lo sguardo. 

Sapeva di non dover solo vestirsi, lo sguardo di lui esprimeva altro: esprimeva un forte desiderio. 

Risotto voleva che lei si mostrasse a lui, che gli dedicasse del tempo, che gli facesse assaporare quelle curve soffici e voluminose. 

E lei lo accontentò. 

Afferrò quegli stracci e gli diede le spalle, piegandosi delicatamente in avanti per mostrare il suo sesso, per poi infilarsi con particolare lentezza i pantaloni neri larghi, inarcando la schiena e ondeggiando lievemente il bacino. 

Risotto inspirò rumorosamente; era passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva toccato una donna e lei lo stava provocando. Iniziò a strofinare il proprio membro con la mano, sentendo il tessuto sotto le sue dita farsi piano piano sempre più teso: era ridotto davvero male e ne era consapevole. 

La donna davanti a lui voltò prima il capo, fissandolo negli occhi e poi voltandosi con la solita straziante lentezza, per mostrargli i seni carnosi, che toccò leggermente, prima di piegarsi un’altra volta in avanti per prendere la maglia grigia e farla scivolare dolcemente sul suo busto. 

-Vieni qui.- le ordinò con voce ariosa, ma ancora severa e profonda, mostrando ancora del forte controllo. 

Fece come ordinato e, aggirato il tavolino, rimase immobile davanti all’uomo, che aveva smesso solo in quel momento di toccarsi. Mantenere il contatto visivo, in un momento come quello, dove lui le stava mostrando una lieve sfumatura di debolezza, la rese più sicura, nonostante il senso di nausea non intendesse abbandonare il suo stomaco. 

-Siediti qui, sopra di me.- ed enfatizzò il gesto dandosi delle leggere pacche sulla coscia tesa e muscolosa, guidando il corpo esile della ragazza su di lui, che si ritrovò la schiena appoggiata sopra a un petto bollente. 

L'erezione dell’uomo si stava ingrossando e poteva sentirla premere su di lei. 

Tenendole il bacino di lei stretto fra le grandi mani, Risotto iniziò a muoverla avanti e indietro sul suo membro pulsante, assecondando il tutto con i movimenti corpo. Poggiò il suo viso nell’incavo delle spalle di lei, facendole sentire il suo respiro, che diventava sempre più pesante a ogni sfregamento. 

Celeste decise che, in situazioni come quelle, per evitare ogni possibile scatto d’ira, l’unica soluzione era quella di assecondare le sue azioni. Iniziò perciò a premere il proprio sesso contro quello del suo aggressore con più forza, guadagnandosi un grugnito di approvazione in risposta.  

Risotto dovette trattenersi dallo strapparle i vestiti, per poi scoparla su quel tavolino. 

Quanto avrebbe voluto farla piegare in avanti e prenderla da dietro, stringendo il più forte possibile fra le dita il suo culo e le sue cosce, facendola piangere dal piacere. L’avrebbe fatta supplicare per avere di più e glielo avrebbe dato. L’avrebbe scopata per tutta la notte, se solo avesse potuto. 

Non potette più trattenersi e cominciò a baciarle il collo, finendo poi col succhiare un pezzo di pelle particolare, vicino alla spalla, facendola gemere in disapprovazione. Quel gemito fu la goccia che fece traboccare il vaso. 

-Alzati.- le ordinò di scatto, quasi spingendola via da lui e facendola inciampare contro il tavolino davanti a loro. 

Celeste lo guardò confusa, leggermente rossa il viso per la situazione in cui si era trovata qualche attimo prima.  

L’erezione di Risotto era oramai più che visibile e lo fece alzare scomodamente dalla poltrona. 

-La camera dove dormirai è la seconda a sinistra del corridoio; vedi di essere sveglia in tempo per domani, non accetto ritardi.- e si dileguò. 

La ragazza sentì una porta chiudersi e capì che l’uomo si era congedato in camera sua. 

“Cos’è appena successo?” si chiese, guardandosi attorno confusa. 

Dopo qualche minuto passato a pensare a quanto avesse rischiato, effettivamente, assecondando i desideri del suo rapitore, seguì le indicazioni e si ritrovò in una semplice stanza composta da un letto a una piazza, un comodino, una scrivania con sedia e una finestra blindata.  

Si mise sotto le coperte fredde affranta, cercando per tutta la notte un sonno che non arrivò mai. 

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Capitolo 6
*** Vestiti ***


Dei gemiti trattenuti uscivano a stento dai denti serrati di Risotto, che con movimenti sempre più veloci, pompava il proprio membro con la mano, stringendo in modo particolarmente forte la basa ingrossata e segnata da una vena pulsante. 

-Fanculo...!-  gemette, sentendo il suo culmine avvicinarsi. 

Quanto avrebbe voluto che il suo cazzo, in quel momento, fosse stretto fra quelle sue labbra così carnose e rosse. Avrebbe voluto sentirlo colpire il fondo della sua gola, facendola soffocare e tossire, mentre le lacrime le lucidavano gli occhi, che lo avrebbero guardato con fare supplicante. 

Risotto era conscio che quei pensieri fossero sbagliati: il boss non avrebbe mai accettato un tale oltraggio. 

Risotto odiava quello stronzo del suo capo. 

Lo pagava poco, trattava male lui e i suoi uomini, non gli aveva mai lasciato un pezzo di territorio. Era proprio un ingrato figlio di puttana. 

Si meritava di trovare la sua troia scopata e piena di lividi e Risotto si meritava il corpo di quella donna. 

Gemette ulteriormente al pensiero del suo cazzo seppellito in lei, mentre le teneva la testa bloccata fra i cuscini e le tirava i capelli biondi e setosi. 

-Cazzo...- sibilò, venendosi su tutta la mano e lo stomaco, inspirando ed espirando rumorosamente mentre il liquido bollente lo bagnava. 

 

Celeste non chiuse gli occhi per tutta la notte e decise di alzarsi dal letto verso le sei del mattino, uscendo silenziosamente dalla camera, evitando il più possibile di fare qualsiasi rumore, con gli occhi ancora pesanti dal sonno. 

Stropicciandosi pigramente le palpebre serrate, passo per il bagno, per sciacquarsi il viso assonnato e arrivò alla fine in cucina. 

Guardandosi attorno, decise che preparare del caffè sarebbe stata l’idea migliore e così si mise a cercare ciò che le serviva, il più attentamente possibile, per evitare di svegliare l’uomo che dormiva nella stanza accanto a lei. 

Dei brividi la pervasero ripensando a ciò che aveva sentito provenire da quelle mura la notte, ma decise di ignorare i suoi pensieri e mettere sul fornello la caffettiera, per poi accomodandosi su una delle sedie della penisola in legno, nell’attesa che l’odore aromatico del caffè la risvegliasse. 

Sospirò, passandosi una mano fra i capelli, districando i nodi, mentre rifletteva sulle sue misere condizioni: si era ritrovata in un casino non da poco. 

Glielo avevano sempre detto che fare la spogliarellista non avrebbe portato altro che guai in una città come quella, ma non si sarebbe mai aspettata che queste supposizioni potessero avverarsi, soprattutto in un modo così irruento. 

Lavorare in un luogo come quello e fare un lavoro come il suo non era affatto sicuro, ma pensava che tutti quei commenti fossero frutto di pregiudizi e ignoranza, guidati dalla percezione, orami superata, delle spogliarelliste come prostitute. 

Celeste scosse la testa, contrariata: lei non era una prostituta. 

Non offriva sesso a pagamento, lei intratteneva i suoi clienti con delle danze esotiche e, quegli uomini, non avevano alcun diritto di toccarla. Lei poteva strusciarsi a suo piacimento, ovviamente in base a quello che desiderava il cliente, ma bastava un semplice tocco per farli cacciare via dal locale per sempre. 

In quel momento, invece, era alla totale mercé di quegli uomini, così pericolosi e affamati. 

La sera precedente ne aveva avuto un assaggio con l’uomo dagli occhi neri. Si era sentita in dovere di assecondarlo e accontentarlo, altrimenti non poteva nemmeno immaginare come avrebbe reagito e cosa avrebbe fatto, sentendola contorcersi e irrigidirsi al suo tocco, opponendo resistenza e mostrando disinteresse, misto a disgusto. 

Lo sfrigolio del caffè che scendeva sulla fiamma la fece tornare in sé e si affrettò a spegnere il fuoco e a versarsi poi una tazzina di quella bevanda calda e avvolgente. 

Fu quasi sul punto di rilassarsi sorseggiando quel liquido, quando dei passi la fecero allertare: si era svegliato. 

Si precipitò nuovamente sulla sedia, fissando il tavolo col capo basso, mentre Risotto entrava nella cucina, fermandosi a pochi passi da lei. 

-Vedo che sei già sveglia...- osservò il caffè appena fatto, invitante e bollente; quasi sorrise. 

–Molto bene.- 

Quel silenzio assordante fischiava nelle sue orecchie, mentre percepiva il suo rapitore sorseggiare ciò che lei aveva preparato pochi minuti prima del suo arrivo. 

Quando entrambi ebbero finito, Risotto le si sedette davanti, con un braccio steso e l’altro appoggiato al bracciolo, intento a sostenere il suo mento, mentre la osservava, senza proferirle parola. 

Celeste si sentì impazzire in quella situazione assurda: lo faceva di proposito? Voleva testare i suoi nervi? 

Deglutì, prima di alzare leggermente il capo e sussurrare. 

-Allora cosa... cosa vorresti per pranzo? Cosa posso preparare?- 

Lo sentì aspirare leggermente dal naso, come se stesse trattenendo una piccola risata. 

Quanto le sarebbe piaciuto tirargli uno schiaffo, per levargli quel mezzo ghigno che ora gli dipingeva il volto. 

-Non ci importa particolarmente, in dispensa dovrebbero esserci dei pacchi di pasta, puoi preparare quello che vuoi.- 

La ragazza annuì, continuando a non fare contatto visivo e mordendosi il labbro a disagio. 

Quelle labbra lo avrebbero fatto impazzire prima o poi. 

-Illuso ti comprerà dei vestiti e dell’intimo oggi, quindi non dovrai più usare quegli abiti fra poco, non preoccuparti.- 

Rise mentalmente: certo, come se i vestiti fossero il suo problema maggiore in quel momento.  

Celeste si domandò se quell’uomo fosse sano di mente, ma la risposta già la sapeva: bastava guardarlo negli occhi per capire tutto. 

-Va bene, grazie...- rispose, guardandolo per qualche secondo in viso, giusto il tempo per non rimanere intrappolata in quell’abisso. 

Risotto non aspettava altro che i loro sguardi si incrociassero per qualche secondo, egli infatti bramava quei due zaffiri rivolti verso di lui. Avrebbe passato ore a guardarla, a studiarla in ogni suo minimo particolare ed imperfezione. 

Avrebbe anche passato ore a scoparla, ma questo lo aveva già capito dal loro primo incontro. 

Alzandosi dal tavolo e uscendo dalla cucina, Risotto lasciò la casa una mezz’ora dopo, abbandonando Celeste in quelle mura sconosciute. 

La ragazza espirò rumorosamente, prima di scoppiare in un pianto disperato, scossa dai singhiozzi e dai tremori più forti. 

Continuò così per diverse ore, incapace di fermarsi e di ricomporsi, e finì così con l’addormentarsi sul divano dove si era risvegliata il giorno prima, stravolta dalle proprie emozioni e dalla nottata insonne da cui era da poco uscita. 

Una stretta al cuore la scosse, costringendola ad alzarsi con uno scatto, annaspando per cercare dell’aria con cui riempirsi i polmoni compressi. 

Guardò spaventata l’orologio a muro poco distante da lei, sentendo il suo battito occuparle il cervello: erano le undici e quarantacinque, fra poco sarebbero arrivati e lei avrebbe fatto meglio a preparare loro da mangiare qualcosa. 

Scendendo a fatica dalla sua comoda posizione, si avvicinò alla credenza e aprì qualche sportello, alla ricerca di qualcosa da preparare. Trovando un pacchetto di spaghetti ancora chiuso e dei pomodorini freschi in frigo, optò per una semplice pasta. 

Stava finendo di aggiungere qualche foglia di basilico, quando sentì la porta spalancarsi, seguita dalle voci di tre uomini che discutevano pacificamente. 

Sentì lo stomaco contorcersi e la fame sparì per l’ennesima volta, lasciandola con un forte senso di nausea addosso. 

-Che buon profumo, cosa ci ha preparato di buono, la nostra carissima Celeste?- sentì dire alle sue spalle, rifiutandosi di voltarsi e vedere il viso di Illuso fissarla con quel suo sorriso sfacciato e presuntuoso. 

-Spaghetti al pomodoro? Ti sei sprecata, eh.- aggiunse una voce seccata, che si rivelò essere quella di Ghiaccio, quando notò dei riccioli blu con la coda dell’occhio superarle la spalla destra, facendole lasciare un piccolo urlo sorpreso, enfatizzato dall’arretrare del suo corpo. 

Illuso ridacchiò alla scena, mentre Ghiaccio la fissò nero in volto. 

-Ti sei veramente spaventata? Cosa sei, ritardata? No fammi capire, sei ritardata?- la attaccò, iniziando a scaldarsi particolarmente contro la ragazza, che continuava ad indietreggiare, finché si ritrovò a colpire involontariamente con la propria schiena un petto largo e stoico, un petto che già conosceva. 

Voltò lentamente il capo, preparandosi a quegli occhi. 

Risotto la stava fissando con disinteresse dall’alto, senza allontanarsi da lei, ma continuando a guardarla come se fosse un semplice moscerino, che fra qualche istante sarebbe stato schiacciato. 

-Dai dai Ghiaccio, non c’è bisogno di arrabbiarsi così tanto, è ancora disorientata, non è così, cucciola?- intervenne Illuso, salvandola da quella situazione, anche se la fece rabbrividire a causa di quel nomignolo imbarazzante e invadente che a quanto pare si era sentito in dovere di affibbiarle. 

Lei annuì, finalmente capace di muoversi e staccarsi dalla pelle bollente di quell’uomo, per sistemarsi le ciocche ribelli che le si erano parate davanti al viso in quel trambusto. 

-Ora mangiamo, che sto morendo di fame!- concluse l’uomo dai capelli corvini, sedendosi comodamente davanti alla tavola già apparecchiata, seguito poi da Risotto, che ancora non aveva aperto bocca, e Ghiaccio, che invece continuava a borbottare contrariato dalla reazione precedente della ragazza. 

Celeste servì loro la pasta, profondamente imbarazzata da quella situazione: si sentiva una cameriera, ma allo stesso tempo non poteva ignorare gli sguardi dei tre, che a turni alterni si posava su di lei e sulle sue forme, anche se mascherate da quegli abiti larghi e sformati. 

Senza ringraziarla, iniziarono a mangiare, continuando a parlare dei propri affari, mentre lei lavava le pentole e gli utensili utilizzati nella preparazione. 

-Il boss continua a non volerci pagare di più, ma ci credete?!- sbraitò il ricciolo. 

-Lo so, la situazione è impensabile, cazzo! Con tutto quello che facciamo per lui, siamo quelli che finiscono sempre nella merda per assecondarlo e ci ripaga così. Capo, dovresti veramente provare a riparlargliene, siamo il suo team più forte, non gli conviene mettersi contro di noi!-  

Il leader li guardava disinteressati, continuando a masticare. 

“Possibile che gli interessi così poco di loro?” pensò lei, origliando la loro conversazione. 

-Abbiamo già affrontato questo discorso.- rispose finalmente, con voce severa, prima di prendere un altro boccone. 

-Dovresti riprenderlo, porca puttana! Ci tratta davvero come la merda sotto le scarpe, non può continuare così!-  

-Ghiaccio, calmati.- gli ordinò, fulminandolo con gli occhi e facendolo desistere dall’aggiungere altro. 

Quel discorso parve morire lì, in quel momento. 

Celeste rimase stupita da tutto ciò: con un semplice comando, quell’uomo era riuscito a silenziare quello che pareva essere il membro più iracondo del gruppo. 

Decise di mettere su un ennesimo caffè quando vide i piatti dei tre vuoti, mentre loro ancora discutevano, questa volta però su dei loro colleghi che, a quanto pareva, non brillavano particolarmente di astuzia. 

Portò le tre tazzine agli uomini, che la ignorano nuovamente, senza però privarsi di guardarla mentre tornava dal lavandino, questa volta intenta a pulire i loro piatti e posate. 

-Dobbiamo comprarti qualcosa di decente da metterti addosso, cucciola. Questi stracci non ti valorizzano per niente! Di chi sono poi, Formaggio?- ridacchiò Illuso, seguito da un sogghigno di Ghiaccio. 

Celeste arrossì, sentendo il tono con cui le stavano parlando quei due grezzi. 

-Le dovevi proprio dare qualcosa da mettersi? Non fa così freddo, scommetto che sarebbe stata benissimo anche nuda, non è così? Infondo ci sei abituata, no puttana, mi sbaglio per caso?- decise di aggiungere il riccio. 

I due risero, mentre Risotto li osservava con quella sua solita aria severa e distante, come distaccata. 

-Illuso.- lo chiamò, facendolo subito fermare. 

-Dimmi capo.-  

-Comprale dei vestiti e dell’intimo, non può vivere con gli stessi abiti addosso.- 

L'uomo annuì ripetutamente. 

-Certo capo, vado subito.- e uscì di fretta dalla casa, senza salutare nessuno dei presenti e senza finire il proprio caffè. 

Qualche minuto dopo, Ghiaccio si alzò pigramente dalla sedia, guardando infastidito il proprio orologio da polso. 

-Ugh... devo andare, Melone mi aspetta. A questa sera capo.- e si dileguò pure lui. 

Per la seconda volta, Celeste si ritrovò da sola, in quella casa, con il suo rapitore più temuto. 

Lo sentì avvicinarsi a lei, fino a far toccare nuovamente la sua esile e minuta schiena contro il suo petto possente. 

-I miei uomini ti hanno infastidita?- le chiese, chinando il volto vicino al suo orecchio, facendola rabbrividire inconsciamente. 

Fece cenno di no col capo ripetutamente. 

-No, assolutamente.- rispose, continuando a guardare il bicchiere insaponato che stava lavando nel lavandino. 

Tentò di andare avanti col proprio corpo quando sentì il bacino di lui iniziare a premere contro il suo sedere. 

-Non c’è bisogno che tu menta con me, Celeste.- ed enfatizzò il suo nome spingendola fino a bloccarla contro il lavello, rendendola incapace di muoversi e liberarsi dalla sua morsa. 

Il respiro di lei si fece corto e affannato, mentre tentava di rimanere calma e di apparire come tale, nonostante il cuore le stesse uscendo dal petto e le budella si stessero contorcendo in segno di disapprovazione. 

-Non... non sto mentendo, ci sono abituata, ho lavorato da cameriera prima di diventare una ballerina.- provò a giustificarsi, nella speranza che una risposta positiva la scagionasse da quella situazione degradante. 

Una spinta del bacino dell’uomo le fece capire che era tutto inutile. 

Le annusò i capelli, prima di iniziare a baciarle il collo. 

Celeste si sentì congelare in quel momento, ma contemporaneamente il suo corpo era in fiamme e non riusciva a formulare un pensiero razionale, sul come uscire da quella situazione, nuovamente pericolosa e invalidante. 

-Risotto...- l’uomo quasi gemette sentendola pronunciare il suo nome -...per favore.-  

Non riuscì a continuare la sua supplica, ma confidò nella speranza che l’uomo capisse e, raccogliendo quella poca umanità che gli era rimasta, la smettesse di importunarla. 

Non fu quello il caso però. 

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Capitolo 7
*** Tisana ***


Sentì il suo cuore uscire dal petto, quando udì Risotto rispondere alla sua supplica con un colpo forte del bacino, cominciando a sentire il membro dell’uomo gonfiarsi. 

Percepì il suo fiato, ora bollente, scaldarle la pelle arrossata, continuando a riempirla di baci leggeri e fugaci, che raggiungevano sporadicamente la mandibola marcata della ragazza. 

Capì che il suo copro la stava abbandonando: le gambe non riuscivano a reggerla in piedi ed era sostenuta unicamente dai fianchi di Risotto Nero, che la sorreggevano senza fatica. La testa le pulsava e la vista l’abbandonava, mentre la gola si stringeva, impedendole di respirare in modo corretto. 

Le mani dell’uomo le presero con violenza i fianchi, facendola sussultare, mentre stringevano con fare possessivo la sua carne soffice e soda. 

-Lo fai apposta, non è vero?- le chiese, con quella voce profonda e inflessibile. 

Scosse la testa violentemente, alzando il capo, infastidita e imbarazzata da quei continui tocchi umidi sulla sua pelle sensibile. 

-Non capisco di cosa parli, per favore... lasciami andare!- e provò invano a divincolarsi da quella morsa infernale. 

Quella risposta parve non piacere a Risotto, che con un gesto rapido stacco una mano da uno dei suoi fianchi, per poi riappoggiarla con vemenza sul gluteo di lei, sculacciandola dolorosamente. 

Si lasciò sfuggire un piccolo urlo di dolore, che l’uomo interpretò ancora una volta in maniera errata. 

-Non mi prendere per il culo, vedo cosa fai... come ti pieghi di continuo, come mi guardi.- 

Lei continuava a scuotere la testa, paralizzata da quel discorso delirante. 

-Credi che non mi sia accorto di ieri? Eh? Di come ti sei strusciata sul mio cazzo, come la puttana che sei?- 

Celeste rimpianse qualsiasi sua scelta di vita in quel momento, si maledisse per aver assecondato i desideri di quel pazzo. 

-Forse non hai capito con chi hai a che fare, stronzetta. Noi siamo la fottuta mafia, mi capisci?- 

Annuì, serrando gli occhi e sussurrando un “Sì” sommesso. 

-Dobbiamo portarti al nostro boss e se tu continui a fare la troia in questo modo, noi rischiamo di morire per averti scopata, l’hai capito?- 

Davvero non capiva di che provocazioni parlasse, ma continuò ad annuire per accontentarlo. 

-Quindi le cose sono due: o la smetti immediatamente di fare la troia in questo modo, oppure ti fai fottere da ogni singolo membro del mio gruppo, intesi? E prova a dire qualcosa al boss e puoi considerare la tua famiglia morta, okay?- 

Fece cenno di aver capito col capo. 

-Rispondimi.- e le strinse con rabbia una coscia. 

-Ho capito! Ho capito!- urlò, inarcando la schiena per il male, mentre si mordeva il labbro e poggiava la propria testa sul petto del suo aggressore. 

Aprì lentamente gli occhi colmi di lacrime, mentre respirava affannosamente, incontrando quelli di Risotto.  

Si domandò come potesse qualcuno di umano avere degli occhi tanto particolari, così spaventosi, ma contemporaneamente affascinanti e coinvolgenti. Non le facevano più l’effetto di prima: in un momento di disperazione come quello, riuscì quasi a sentirsi rassicurata da loro, che la scrutavano con indifferenza. 

Risotto, d’altro canto, in quel momento provata tutt’altro che indifferenza. 

L’aveva appena minacciata dandole un ultimatum per via del suo atteggiamento e, appena finito il discorso, aveva fatto esattamente quello che le aveva intimato di non fare per la sua sicurezza. Doveva smetterla di provocarlo con quelle pose erotiche, con quelle labbra sempre arrossate dai suoi morsi, con quel suo bacino sempre inarcato, con quei suoi gemiti spavaldi, con quel suo seno sempre esposto e, soprattutto, con quei suoi occhi così supplicanti, così colmi di desiderio. 

Non ci vide più in quel momento, si ritrovò letteralmente accecato dalla rabbia; quella donna riusciva a fargli perdere il controllo sui suoi nervi saldi. 

Le prese il viso con la mano, girandola con un solo gesto davanti a lui e, prima che lei riuscisse persino a lanciare uno di quei suoi soliti gridolini, la baciò sulle labbra. 

Si rivelarono soffici come aveva immaginato. 

Senza preavviso, infilò la propria lingua nella bocca della ragazza, afferrandole un seno e palpandolo quasi frettolosamente, mentre premeva il suo sesso pulsante contro quello della ragazza. 

Celeste si ritrovò incapace di opporsi, come sempre: si sentiva inutile. 

Nel giro di un paio di giorni, degli sconosciuti erano riusciti a trasformarla da una donna emancipata e indipendente, in una piccola ragazzina, succube di qualsiasi angheria e molestia. 

Il corpo le faceva male: la sua schiena premeva contro il lavandino dolorosamente, la sua testa invece picchiava contro uno sportello della credenza; il suo viso era ancora intrappolato nella morsa ferrea della mano dell’uomo, il suo sedere e la sua coscia doloranti dalle percosse ricevute prima. 

Il cervello, poi, era messo ancora peggio. In quel momento, Celeste riusciva a pensare a tutto e a niente. Pensò a come fuggire da quella situazione, ma anche a come ci era finita, a cosa sarebbe accaduto se quella famosa mattina fosse andata a casa con una sua amica. In contemporanea, la sua mente, per difendersi, evitava di concentrarsi su come la lingua di Risotto cercasse disperatamente la sua, di come la sua mano stringesse spasmodicamente il suo seno sofferente, di come il membro di lui sfregasse vigorosamente contro di lei. 

Si staccò dal bacio, lievemente ansimante, al contrario della ragazza, che annaspava aria faticosamente. 

-So che lo vuoi.- le disse, con tono sicuro, guardandola negli occhi. 

Celeste non poté faro altro che negare con i movimenti del capo, prima di scoppiare a piangere. 

-No... io voglio tornare a casa mia! Lo capisci?! Lo capisci che voglio tornare a casa mia?!- sentendo la presa sul suo seno e viso allentarsi, ella cominciò a prendergli a pugni il petto, nel tentativo inutile di allontanarlo, continuando a singhiozzare. 

-Perché mi state facendo questo?!- urlò -Perché?!- 

Sentì due braccia possenti e marmoree stringerla, mentre una mano le accarezzava la nuca e le forze la abbandonavano completamente. 

 

Si risvegliò nel suo letto, con gli occhi gonfi da pianto e con il corpo lievemente dolorante: non era stato un sogno. 

Risotto era seduto sulla sedia della scrivania e la fissava a braccia conserte, in silenzio. 

-Cosa ci fai tu qui?- gli domandò, coprendosi il corpo vestito con le lenzuola. 

Egli si alzò dalla sedia, rimettendola al suo posto con un gesto della mano, per poi avvicinarsi a lei, che si ritrasse sino a toccare al muro, ancora spaventata da quello che le aveva fatto tempo prima. 

-Volevo assicurarmi che stessi bene, circa due ore fa sei svenuta.- 

-Oh...- rispose sorpresa: ecco perché non ricordava di essere venuta a letto. 

-Datti una rinfrescata e vieni in soggiorno, gli altri membri aspettano una cena fra poco e Illuso ti ha comprato dei vestiti adatti.- e si dileguò. 

Celeste rimase a fissare la porta da cui era uscito per quelle che sembrarono ore, ovvero minuti, decidendosi alla fine di fare come le era stato caldamente consigliato da quel mostro. 

Dopo essersi data una veloce sistemata ai servizi, raggiunse la sala principale, trovandosi davanti tutta l’intera squadra, eccenzion fatta per Sorbetto e Gelato, che le rivolse solo alcuni sguardi disinteressati. 

Tutti tranne quello di Illuso, che invece le sorrise sornione, alzandosi dal suo comodo posto sul divano, accanto a Melone, per raggiungerla. 

-Ma buongiorno cucciola, dormito bene?- le domandò sarcasticamente, probabilmente ben conscio di quello che era capitato precedentemente. 

La ragazza annuì leggermente, con fare disinteressato. 

-Questi sono per te tesoro.- e le porse un paio di sacchetti, contenenti vari indumenti. 

-Almeno ci aiuti a rifarci gli occhi!- aggiunse Formaggio, brindando a sé stesso con un bicchiere colmo di rum. 

Celeste decise di ignorare il commento e ringraziò timidamente Illuso, tornando in camera sua per finalmente cambiarsi. 

Sistemò il contenuto delle buste donate sul suo letto, trovando principalmente abiti casual, come jeans e top, giusto un paio di gonne, e tre set di biancheria intimida. 

“Più che biancheria, questa è proprio lingerie...” pensò fra sé e sé, sollevando un completo azzurro in pizzo trasparente, composto da un perizoma con tre lacci per lato e un top senza coppe e con la chiusura davanti. 

Sospirò, spogliandosi dagli abiti di Formaggio che le erano stati prestati e indossando quell’intimo.  

Si osservò nello specchio posto sul muro vicino alla porta, valutando quanto le calzasse. 

-Le misure sono giuste...- sussurrò, controllando il dietro. 

Le parve di notare qualcosa nello specchio, ma rise alla sua stupidità: da quando la gente sta negli specchi? 

“Sei solo stanca” si disse, indossando una gonna aderente che arrivava al ginocchio di colore rosa, con una fantasia di rose sopra, e un top bianco senza spalline, ma col colletto alto. 

Tornò nuovamente nel salotto, con l’intenzione di cucinare loro la cena. 

Entrando nel loro campo visivo, non poté fare a meno di sentire lo sguardo ti tutti quegli uomini addosso e quasi le ricordò del suo lavoro. 

Illuso la guardava in modo particolare: con un’intensità che da lui non aveva ancora visto. 

Lei arrossì, distogliendo lo sguardo a spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, dirigendosi verso i fornelli. 

-E vedi di preparare qualcosa di commestibile ‘sta volta!- sentì urlare da Ghiaccio. 

“Gli sputo nel piatto a questo stronzo.” 

Siccome la pasta l’avevano già mangiata a pranzo, si decise a preparare delle polpette di manzo, accompagnate da del purè di patate. Cucinare per così tanti uomini risultò faticoso e impegnativo, ma dopo un paio di ore finì e si affretto a portare tutto sulla tavola precedentemente apparecchiata. 

Come al solito nessuno la ringraziò. 

Sospirando, rientrò in cucina, dove si decise finalmente a mangiare qualcosa per la prima volta dopo due giorni: addentò un paio di polpette, assieme a del purè e un tozzo di pane. 

Tornò nella sala dove gli uomini stavano mangiando con una tisana calda fra le mani, sedendosi in un angolo della stanza, mentre li ascoltava parlare, sorseggiando la sua bevanda. 

-Avete sentito di Buccellati? Continua a reclutare nuova gente, ora ha preso un morto di fame!- 

-Sei serio? Quello prende davvero cani e porci!-  

Ghiaccio la guardò dritta negli occhi dal suo posto a tavola prima di parlare. 

-Beh, noi non siamo da meno: prendiamo le puttane.-  

E fu seguito dalle risate di Illuso, Melone e Formaggio. 

Prosciutto li guardò con disgusto, mentre Pesci accennava un sorriso incerto, non sicuro se seguire il gesto del biondo, o dei suoi compagni. Risotto, come al solito, non si scompose e rimase stoico. 

-Dai, per lo meno ci prepara da mangiare, sempre meglio della cucina di Formaggio.- aggiunse con un ghigno Illuso. 

-Ehi, che cazzo ha di sbagliato come cucino io?!-  

-Tutto cazzo, non sai manco dosare il sale!- 

E scoppiò una semi lite fra i due, finché non intervenne il loro capo, che con il semplice richiamo dei loro nomi, li fece zittire entrambi sul momento. 

-Certo però che ora sei molto più carina con questi vestiti, non è vero?- le domandò qualche istante di silenzio dopo Illuso. 

Celeste alzò il capo per guardarlo, sorridendo lievemente, fortemente a disagio per la situazione. 

-Grazie ancora...- rispose, con tono remissivo. 

-Il mio pigiama non le stava così male, dai!- aggiunse scherzando Formaggio. 

-Hai il culo più grosso tu di lei.- infierì Ghiaccio, facendo più o meno ridere tutta la tavola, tranne Formaggio che cominciò a insultarlo sulla sua altezza, dovendo far intervenire nuovamente Risotto prima che potesse succedere qualcosa di grave. 

La ragazza li osservò confusa: si comportavano come se la loro vita fosse normale, come se non fossero degli assassini, spacciatori di droga, che avevano appena rapito una ragazza innocente da portare al loro boss, che l’avrebbe abusata e, probabilmente, torturata e uccisa. 

Finita la loro cena, ella ripulì tutta la cucina e il tavolo da pranzo.  

Si ritrovò successivamente attorno a loro dopo uno sguardo di Risotto, che l’aveva esortata a non distaccarsi troppo da loro. 

Non stava badando particolarmente ai loro discorsi, finché non sentì gli occhi di Ghiaccio penetrarle il cranio e, nel momento esatto in cui lei alzò lo sguardo per confrontarlo, gli sentì pronunciare queste parole: 

-Capo, perché non la facciamo ballare un po’ per noi?- 

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Capitolo 8
*** Danza esotica ***


Il suo copro si congelò sentendo la proposta del ricciolo, guardandolo con gli occhi spalancati e pieni di orrore, mentre poteva osservare un ghigno malvagio crescere sul suo viso, quando tutti i suoi compagni appoggiarono la sua richiesta, chi in modo più sobrio, come Pesci e Prosciutto, e chi in modo più esplicito, come Formaggio e Melone.

Rivolse lo sguardo terrorizzato sull’uomo dai capelli bianchi, che fissava Ghiaccio e i suoi uomini con la solita espressione annoiata.

-Donna.- la chiamò, facendole mugugnare un lamento.

Incontrò i suoi occhi e lei trovò quelli del capo quasi impassibili, se non per una particolare luce, vista ore prima: lussuria.

-Balla per noi.- e si sedette sulla poltrona dove era solito stare, con le gambe divaricate e il viso pigramente appoggiato sulla mano, mentre non distaccava il suo sguardo da lei.

-Non... non potete forzarmi! Che diritto ne avete?!- protestò, alla disperata ricerca di qualche traccia di compassione. Non ne trovò alcuna, in nessuno di quegli uomini, neppure nel viso sempre spaventato di Pesci, che ancora faceva fatica a guardarla in volto, ma mostrava in questo particolare caso del coraggio in più, scrutandola come gli altri.

-Stai seriamente parlando di diritti qui?- rise Formaggio, prima di continuare –Dai tesoro, fai come ordinato, non vogliamo farci del male, non è vero?- e con un gesto della mano fece scattare la lama del suo coltello a farfalla.

-Celeste.- la ammonì con tono severo e impaziente Risotto, come un padre che rimprovera il figlio testardo.

“Li odio, li odio, li odio cazzo!” pensò mordendosi il labbro, mentre la vista si appannava a causa delle lacrime.

-Datemi due minuti allora... vado in camera a spogliarmi.-

Melone rise con gusto, seguito dagli altri.

-Non eri una spogliarellista? Forza sbrigati, non abbiamo tempo da perdere, troia.- commentò Ghiaccio, prendendo posto accanto al suo collega dai capelli lilla e poggiando comodamente la propria schiena sulla spalla dell’altro.

Si ritrovò circondata da sette uomini, tutti seduti e intenti a osservarla, come se avessero potuto mangiarla da un momento all’altro.

“Immagina di essere a lavoro: devi ballare sul pavimento per dei clienti. Ce la puoi fare.”

-Possiamo mettere almeno un po’ di musica?- chiese, modulando il suo tono di voce e i suoi occhi, che fissarono in maniera intensa Illuso, nel tentativo di sembrare complice in un momento del genere.

-Provvedo subito, cucciola.- rispose, sorridendo soddisfatto e facendo come chiesto.

Con la musica che riempiva la stanza, Celeste si sentì più sicura e calma: poteva prendere lei la situazione in mano, poteva essere lei al comando questa volta. Li avrebbe fatti sciogliere sul posto, li avrebbe fatti desiderare qualcosa che non avrebbero mai potuto assaggiare, a meno che non volessero poi ritrovarsi in fondo al mare con delle scarpe di cemento.

Andò al centro della stanza e, inarcando la schiena, si piegò in avanti per aprire la cerniera della sua gonna, fissando Pesci negli occhi, facendolo arrossire di conseguenza.

Sorrise, facendo scendere per i propri fianchi il pezzo di stoffa e alzando il busto per voltare il volto verso Formaggio, sfilandosi il top sopra e gettandoglielo ai piedi.

Illuso la guardò compiaciuto notando l’intimo che indossava: l’aveva scelto lui e vederglielo addosso gli faceva sentire come se un pezzo di quel corpo formoso e invitante gli appartenesse.

Finalmente spogliata dei suoi abiti e più libera nei movimenti, Celeste si inginocchiò al suolo, facendo scivolare il petto lungo il pavimento, mostrando così il suo sesso al resto del team e guardando dritta negli occhi Risotto, che la fissava dall’alto della sua stazza comodamente seduta, mentre lei si mordeva il labbro.

Subito dopo alzò con uno scatto il bacino, rimanendo appoggiata al suolo solamente con gli avambracci e le punte dei piedi, per poi riappoggiarsi completamente, ruotando successivamente su un lato, ritrovandosi supina.

Piegando le gambe, le spalancò davanti a quelli uomini, eccenzion fatta per il loro leader, a cui ora rivolgeva le spalle, dato che il suo busto era alzato e sorretto da un braccio.

La sua mano libera passò prima per il suo sesso esposto e coperto solamente da del semplice pizzo trasparente, arrivando ai suoi seni e infine al suo collo, che strinse, piegando la testa indietro e lasciando scivolare la sua cascata di capelli dorati.

Si girò nuovamente, riguardando ancora Risotto, mentre spalancava le gambe, questa volta con le ginocchia come sostegno. Piegandosi in avanti per l’ennesima volta sorretta dalle sue braccia, coi palmi a terra, iniziò a sollevare e abbassare il bacino, avvicinano ed allontanando le ginocchia in contemporanea.

Chiudendo gli occhi, si passò una mano fra i capelli, aprendo leggermente la bocca, prima di chiudere le gambe e alzarsi.

Si mosse sinuosamente sino ad arrivare davanti a Prosciutto, seduto su una poltrona, e si mise a cavalcioni su di lui.

Pesci, seduto poco distante da lui, guardò il biondo a bocca aperta, mentre Celeste poggiava le sue mani delicate sulle sue spalle possenti.

Prosciutto, al contrario, la guardò con inflessibilità negli occhi.

“Uno di quelli difficili” pensò la ragazza, sorridendogli.

Sostenendosi sulle spalle larghe e muscolose dell’uomo, riprese con i movimenti del bacino, facendo pressione sul suo membro vestito, che lentamente cominciò a reagire.

Celeste guardò verso i loro due sessi che si toccavano e, con la bocca schiusa, alzò nuovamente lo sguardo verso gli occhi di ghiaccio del biondo, che iniziavano a sciogliersi, mostrando della debolezza, mentre espirava sonoramente dal naso.

La ragazza si sporse a pochi centimetri dalle labbra dell’uomo e, prima che lui potesse avvicinarsi, con un gesto agile e rapido lo scavalcò, tornando al centro della stanza, per fare qualche semplice piroetta attorno a sé.

Prosciutto si ricompose velocemente, incrociando le gambe e schiarendosi la gola, infastidito e quasi ferito nel suo orgoglio.

Il seguente fu Melone, che si ritrovò in mezzo alle gambe divaricare la schiena della ragazza, che poggiò i propri glutei sul suo membro, iniziando a muovere il bacino a ritmo della musica, per poi voltarsi e sorridersi, mentre si allontanava nuovamente, cercando il prossimo.

Si rivelò essere Illuso.

Prima di sedersi sul suo grembo, come aveva precedente col biondo dallo sguardo severo, girò attorno alla sedia dove stava l’uomo dai capelli castani un paio di volte, passando scherzosamente una mano fra i ciuffi raccolti in uno dei suoi codini.

Quando si ritrovò seduta su di lui, con le gambe ai lati della poltrona, continuando i movimenti del bacino contro il sesso di Illuso, iniziò a palparsi da sola il seno sinistro, mentre il braccio posto dietro sul ginocchio dell’uomo le fungeva da sostegno. Quando si sentì soddisfatta del gonfiore che poteva percepire dopo ogni volta che faceva collidere i loro due corpi, si posizionò bene sull’erezione sotto di lei e si fermò.

Prima che Illuso potesse dire qualcosa, lei lo guardò negli occhi e, sorridendogli, si aprì il reggiseno da davanti, sfilandolo delicatamente dalle proprie spalle.

Lui ricambiò il sorriso, avvicinandosi al suo orecchio per sussurrarle:

-Non sai quanto pagherei per scoparti...-

Celeste forzò una risata complice, abituata da anni a farlo.

Si spostò poi con passo lascivo verso Formaggio, passandogli semplicemente le dita sotto al mento, alzandogli il capo per poi allontanarsi ridacchiando soddisfatta dello sguardo rapito ottenuto.

Puntò Pesci e, leccandosi il labbro superiore, gli si sedette sulle ginocchia, carezzandogli il viso con tocco delicato, avvicinando il proprio volto al suo.

Le sue guance brillavano di rosso e non osava alzare gli occhi su di lei, anche quando vide con la coda dell’occhio le sue labbra avvicinarsi e sfiorargli leggermente la guancia.

La risata di Formaggio lo scosse.

-Andiamo mammone! Abbi le palle almeno di guardarla in faccia!- gli urlò, seguito dagli schiamazzi divertiti degli altri.

Celeste vide l’imbarazzo nell’espressione del ragazzo e decise di bisbigliargli all’orecchio di non preoccuparsi, che lo avrebbe fatto stare bene.

Il cervello di Pesci cominciò a fumare, disorientato da quella situazione, da tutte quelle attenzioni da parte di una donna così attraente come lei.

La ragazza si sedette sopra il sesso del ragazzo, dandogli le spalle, facendolo sussultare dalla sorpresa e poi trattenere il fiato, quando prese a strusciarcisi sopra, inarcando la schiena e toccandosi i seni, guardando con occhi socchiusi Ghiaccio, che muoveva nervosamente una gamba, battendo il piede con fare impaziente.

Notando l’umore irritato del ricciolo, ancora ignorato da qualsiasi attenzione, la bionda decise di posarsi sul petto del ragazzo, che si sollevava e abbassava pesantemente. Alzando il capo alla ricerca degli occhi neri di Pesci, fu sorpresa quando li incontrò, insicuri ma presenti. Gli sorrise, cingendogli il collo spesso, prima di alzarsi, voltandosi verso di lui, per dargli l’ennesimo bacio sulla guancia.

Continuando a trascurare Ghiaccio, che la fissava spostarsi a ritmo della musica con uno sguardo infuocato, si concentrò meglio su Formaggio, inginocchiandosi davanti a lui, prima di aprirgli le gambe muscolose con un gesto sicuro, poggiando le proprie mani sull’inguine dell’uomo, per poi usarlo come leva per sollevarsi e voltarsi ancora. Si piegò lievemente in avanti, mostrandogli il suo sesso, mentre con movimenti circolari abbassava il bacino sul suo membro, rialzandosi poco dopo e tornando al centro della stanza, continuando a ballare.

Il piede del ragazzo ricciolo continuava a battere insistentemente e Celeste si ritrovò a guardarlo nuovamente in quegli occhi scuri, mentre spostava le proprie mani dai suoi seni soffici ai suoi capelli setosi. Lo vide esplodere di rabbia.

-Vieni qui, porca troia!-

Melone, accanto a lui scoppiò a ridere, seguito dagli altri, che commentarono la scena lasciandosi sfuggire quale commento di troppo sul loro collega.

Ridacchiando lei stessa di gusto, si palesò davanti a lui e, ponendogli una mano sul petto, lo spinse non troppo delicatamente contro lo schienale del divano dove stava e lo vide spalancare gli occhi per la sua improvvisa presa di posizione e sicurezza.

Si sistemò ancora una volta sopra uno di quegli uomini, con le gambe divaricate e il loro sessi a contatto, prima di iniziare a strusciarcisi e quasi saltellarci sopra, mentre si reggeva a lui con una mano poggiata su una delle sue spalle muscolose, guardando verso Risotto e aprendo la bocca, con le palpebre quasi del tutto abbassate e il viso proteso verso l’alto.

-Guarda me, cazzo...!- sibilò l’uomo sotto di lei.

Spostò con aria disinteressata il suo sguardo verso di lui, con le labbra ancora socchiuse e gli occhi a mezz’asta.

Le pupille di Ghiaccio erano completamente dilatate, sia per il buio di cui la stanza si stava riempiendo con lo scendere della notte, sia per il piacere di quella situazione, di cui aveva bisogno.

Era da così tanto tempo che non si faceva una bella scopata e lei sarebbe stata un’ottima partner.

Fu il primo a ricambiare i movimenti del bacino, facendo presa sui suoi fianchi per darsi un angolo migliore.

Celeste spalancò gli occhi e la bocca dalla sorpresa: non era abituata a sentire nessuno dei suoi clienti ricambiare, ma presto si ricordò di non essere nel suo locale e di non star venendo certamente pagata per questo servizio. Inoltre, in quel momento nessuno della sicurezza l’avrebbe potuta salvare.

-Ghiaccio...- sussurrò, nel tentativo di fermarlo, poggiandosi con entrambe le mani sulle sue spalle, cercandogli di rallentarlo.

Il tutto si rivelò inutile e i colpi dell’inguine dell’uomo aumentarono di velocità e potenza, facendole sentire tutta la sua lunghezza vestita diventare sempre più grande, spessa e calda.

La ragazza gli prese le mani, provando a toglierle dai suoi fianchi, ma la presa si fece solo più forte, lasciandole sfuggire un gemito di malessere per quella situazione umiliante.

-Ghiaccio.- lo ammonì una voce intransigente: la voce di Risotto.

La morsa ferrea si sciolse in un istante, come i movimenti sotto di lei, e Celeste si voltò verso colui che, in quel momento, vedeva distortamente come il suo salvatore.

Subito dopo le tornò in mente che il pomeriggio stesso egli aveva fatto esattamente la medesima cosa.

Spostandosi i capelli lucenti dal retro del collo, si alzò con fare composto, anche se leggermente stizzito, dal ragazzo, che sbuffò irritato, per raggiungere finalmente il loro leader.

Col capo alto e il petto all’infuori, Celeste si diresse verso di lui con passo sicuro e quasi sfrontato.

L’avrebbe fatto pregare.

Si fermò davanti a lui, costringendolo ad alzare lo sguardo verso di lei.

Gli sorrise, prendendo il mento quadrato dell’uomo fra le sue dita e passandogli il pollice sulle labbra carnose, tese nella sua solita espressione neutrale. Vi si avvicinò, facendole sfiorare, deviando la traiettoria verso il suo orecchio coperto.

-Risotto...- gli sussurrò, con tono lievemente arioso, come se la frase fosse stata lasciata in sospeso.

Girò attorno alla poltrona dove sedeva, con quel suo fare così autoritario, continuano a guardarlo, mentre lo scavalcava agilmente con movimenti aggraziati delle gambe, che si tendevano verso il cielo, senza alcuna fatica.

Mentre il resto della squadra osservava affascinata la scena, Celeste finalmente si stabilizzò sul grembo di quell’uomo, guardandolo senza più alcun timore in quegli occhi oscuri e sorridendo, prima di cominciare a far toccare e strusciare le loro intimità.

Decise di divertirsi con Risotto.

Gettandogli le braccia al collo, pose il volto nell’incavo di quelle spalle muscolose, aumentando la velocità dei propri movimenti e fingendo un leggero fiatone.

Decise di spingersi ancora oltre.

Con una spinta particolarmente lenta e profonda, si lasciò scappare un piccolo gemito di piacere.

Le mani del leader subito le presero con fermezza le cosce, iniziando a massaggiarle.

Sorrise soddisfatta: perfetto.

Come con Ghiaccio, Celeste prese a simulare più che degli strusciamenti, dei saltelli sull’erezione sotto di lei, sentendola premere con insistenza fra le sue labbra.

-Risotto...- ripeté ancora, cominciando a baciargli il collo lungo e muscoloso.

Spostandogli con un gesto della mano i pendenti del cappello, cominciò a rosicchiargli lievemente il lobo dell’orecchio, sentendolo esalare pesantemente.

Gemette ancora, quando percepì una risposta dei fianchi dell’uomo, che continuava a stringerle con possessione le gambe, salendo sino al sedere.

Con sicurezza, la ragazza lasciò scivolare una delle sue mani verso il membro gonfio e pulsante di lui, che spinte il bacino verso il suo tocco.

Di colpo la musica venne interrotta e le luci della stanza si accesero. Confusa, Celeste si voltò per guardare dietro di lei, lasciando dalla sua presa il sesso di Risotto, per vedere Prosciutto, che con una sigaretta fumante fra le dita, stava in piedi e fissava con sguardo parecchio infastidito e disgustato la scena.

-Se vuoi farci morire tutti, questa è la scelta giusta. Vorrei solo ricordarti, tuttavia, che ci seguirai nella tomba se continui così. Andiamo Pesci.- e uscì dalla stanza, seguito dal ragazzo, lasciando tutti confusi.

Celeste trattenne un sospiro di sollievo: finalmente era finito tutto.

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Capitolo 9
*** Vergine ***


Come poteva cedere così facilmente a una creatura tanto debole?  

Come poteva deludere così sé stesso, ma ancora di più i suoi fidati compagni? 

Come poteva mettere così tanto in pericolo la sua squadra, per una semplice donna? 

Risotto si girò nel letto per l’ennesima volta, incapace di dormire, con la mente offuscata da tutti quei pensieri. Si sentiva una delusione, si sentiva debole. 

Lo sguardo di amarezza e disgusto che gli aveva rivolto Prosciutto, prima di uscire con suo fratello, lo aveva colpito nell’animo. Prosciutto era uno dei colleghi con cui si trovava più affine; l’opinione di ogni suo membro era fondamentale per lui, ma quella di Prosciutto lo stimolava sempre maggiormente e, il pensiero di averlo contrariato così tanto non gli lasciava la mente, tormentandolo senza tregua. 

Tuttavia, non poteva ignorare l’effetto che il ricordo di quel corpo gli provocava: sentì il suo organismo reagire rimembrando la sensazione della sua voce soffocata contro l’orecchio, il suo sessò bollente che premeva contro il suo.  

Non poteva ignorare l’immagine di quelle labbra gonfie e schiuse, di quegli occhi sopraffatti dalla paura, ma contemporaneamente, dalla passione. 

Celeste, d’altra parte, finalmente riposava, tranquilla e soddisfatta: ero riuscita a cavarsela indenne da una situazione potenzialmente mortale e, a giudicare dal modo in cui il capo l’aveva spostata con veemenza dalle sue ginocchia, dopo aver sentito le parole dure del suo collega, non sarebbe capitata una cosa analoga molto facilmente. 

Il risveglio per lei fu roseo, nonostante il luogo in cui si ritrovasse. Andò con fare tranquillo prima al bagno, dove si vestì e acconciò i capelli in uno chignon alto e frettoloso, e poi verso la cucina, dove invece preparò un caffè per lei e il suo rapitore. 

Quando lo vide entrare nella stanza, con delle profonde occhiaie e con quel suo sguardo sempre stoico, ma lievemente abbattuto, non fece in tempo a fermare le parole pensate, che le scivolarono via di bocca, mentre gli porgeva la tazzina. 

-Cosa succede, Risotto?- 

Volle prendersi a schiaffi in viso fino a farsi svenire. 

L'uomo, seduto al tavolo, alzò lo gli occhi verso di lei. Occhi più profondi del solito, adirati, amareggiati, delusi. 

Ringraziò mentalmente quando decise di non risponderle, ignorandola come era solito fare. 

Imbarazzata per la dimostrazione di interesse che gli aveva dato e anche per l’intromissione delle sue parole arroganti, Celeste si sedette come consuetudine davanti a lui, sorseggiando la sua bevanda. 

-Non sono stato un esempio egregio, la scorsa sera.- confidò qualche minuto dopo, cogliendola alla sprovvista e facendola alzare la testa abbassata, con sorpresa. 

Quasi si sentì in colpa, percependo il suo tono così autoaccusatorio e contrariato da sé. 

-Non è stata colpa tua, infondo è stato Ghiaccio a proporre l’idea...- provò a giustificarlo, non sapendo nemmeno lei perché. 

-No.- tuonò stoicamente, con fare inflessibile. 

La ragazza aprì leggermente la bocca, stupita dal cambio di tono improvviso. L’uomo si alzò e la guardò con fare minatorio. 

-Sono stato io a cedere, dovevo negare la sua proposta. Ho pensato ai miei interessi e non a quelli della squadra, sono stato riprovevole. D’ora in avanti non avverranno mai più situazioni affini, finché non riceveremo ordini più precisi.- e uscì con passo svelto dalla stanza. 

“Dio, ti prego, se esisti: fa che queste indicazioni arrivino il prima possibile, non lasciarmi alla mercé di questi pazzi.” pregò lei, sospirando e andando a lavare le tazze sporche. 

 

-Secondo me per Baby Face lei sarebbe perfetta: ottimi geni, ottima prestanza fisica e mi sembra pure particolarmente sveglia. Devo solo scoprire il suo livello di salute generale, il suo segno zodiacale e il suo gruppo sanguigno. Scommetto che con il DNA di Risotto otterrei un risultato fantastico!- disse esaltato Melone, leccandosi eroticamente le labbra. 

Ghiaccio lo guardò con disgusto, mentre parcheggiava l’auto in un vialetto poco lontano dalla casa in cui trattenevano la ragazza. Uscendo, sbatté con violenza la portiera, seguito da un gesto più moderato del compagno. 

-Fai proprio schifo, cazzo. Non capisco nemmeno come tu possa definirla una buona madre, quella. Se lei è sveglia, allora quel coglione di Zucchero è un cazzo di genio!- sbraitò, aprendo con veemenza il portone dell’abitazione ed entrando con passo pesante, battendo i piedi rumorosamente contro il pavimento vecchio e logorato. 

-Te lo posso assicurare, Ghiaccio! Lo sai che ho occhio per queste cose: il risultato sarebbe strabiliante!- 

Mentre continuavano a discutere, Celeste entrò nella stessa stanza dove si erano accomodati i due, ignara della loro presenza, poiché troppo persa nei suoi pensieri per badare a ciò che la circondava. 

I due si bloccarono, alzando lo sguardo, da dove era seduti, verso di lei, facendo calare il silenzio. 

-Oh...- sussurrò, facendo alcuni passi indietro -...scusatemi non volevo disturbarvi, esco subito.- e fece per andarsene, troppo spaventata per restare dopo aver percepito l’energia negativa di quella situazione. 

-Celeste!- esultò il ragazzo dai capelli lilla –Vieni qui, forza, parlavamo giusto di te! Ho un paio di domande da farti, siedi qui, fra noi due, andiamo!- la incoraggiò, dando delle pacche leggere al posto libero in mezzo a loro su quel divano logoro, dove riposavano i due. 

Se ne sarebbe certamente pentita, ma che altro poteva fare per non scatenare la loro ira? 

Con fare incerto fece come comandato, ritrovandosi bloccata tra uno sguardo lussurioso, che la scrutava in ogni suo minimo dettaglio con troppa attenzione, e uno sguardo infuriato, estremamente innervosito e infastidito. 

-Suppongo non sia un problema per te, se ti faccio un paio di domandine semplici semplici, non è vero?- 

Non fece nemmeno in tempo a rispondere, che il ragazzo incominciò. 

-Data di nascita, segno zodiacale, gruppo sanguigno, grado di studi, peso, altezza e malattie avute.- le sorrise, socchiudendo gli occhi con fare sornione, nel mentre che aspettava le risposte. 

La ragazza lo guardò sorpresa, mentre cercava di ricordarsi ogni domanda per rispondergli in maniera soddisfacente. 

-Allora emh... sono nata il cinque settembre del 1978, sono della vergine, il mio gruppo è zero positivo, ho concluso il quinto anno di superiori in una scuola professionale, sono circa sui cinquantasette chili di peso per un metro e settanta centimetri di altezza e non ho mai avuto delle malattie gravi, se non per la varicella da piccola verso i cinque anni e poi la solita influenza stagionale.- 

Melone la ascoltò annuendo continuamente, mentre appuntava con la mente ogni particolare. 

-Bene... benissimo! Fantastico, ottimo! Che ti avevo detto io, Ghiaccio? Un ottimo partito!-  

Rimase confusa dal suo commento: a cosa stava facendo riferimento? 

Il ricciolo sbuffò, alzando gli occhi al cielo. 

-Come fai ad esserne certo, eh? Magari ti sta solo raccontando tante balle, non credo che una con l’esame di stato si riduca a fare la stripper!- sputò acidamente. 

Si morse il labbro, rivolgendogli uno sguardo furioso che l’uomo non aveva mai visto prima. 

Prima che potesse attaccarlo, ricoprendolo di insulti e ricordandogli da che pulpito stesse nascendo questa discussione insensata, sentì un qualcosa di umido e ruvido bagnarle la guancia: una lingua. 

Fece un piccolo salto sul posto, voltando la schiena verso il ragazzo dai capelli azzurri e poggiandosi su di lui, mentre guardava con terrore quello dai capelli color lavanda, che la guardava con soddisfazione. Non poté fare a meno si sentire un tocco non troppo delicato delle mani stringerle gli avambracci, quasi possessivamente. 

-Ciò che ha detto corrisponde a quello che ho assaporato, non ha mentito.- sorrise al suo compagno, che corrucciò violentemente le sopracciglia, mentre la bocca si contorceva. 

Celeste si distaccò immediatamente da lui, divincolandosi dalla presa e allontanandosi da quella bomba ad orologeria, pronta ad esplodere da un momento all’altro. 

-Vaffanculo! Andate a farvi fottere entrambi, cazzo!- urlò, alzandosi con uno scatto e dirigendosi verso la cucina, sbattendosi la porta alle spalle e continuando ad imprecare in quella. 

Sentì una risata composta e, voltandosi, trovò Melone comodamente appoggiato allo schienale del divano, che la guardava divertito. 

-E’ normale che faccia così, non preoccuparti. Non può farti del male, ha un divieto, quindi non devi averne paura. Ha solo degli scatti d’ira, non ha un buon temperamento. Si scalda davvero facilmente.- disse, alzando le spalle, continuando a fissarla con quel sorriso. 

Dovette ammetterlo: quell’uomo, per quanto viscido e invadente, era assai affascinante e di bell’aspetto. Persino la sua voce era attraente e la rapiva ogni volta che poteva sentirla. 

Annuì, rompendo il contatto visivo, abbassando lo sguardo verso le sue mani in grembo, intente a stringere nervosamente i lembi della maglia in cotone grigia che portava. 

-Come...- mormorò, attirando nuovamente l’attenzione dell’uomo -...come mai tutte queste domande? Servono al vostro capo?- 

Lo sentì ancora ridacchiare. 

-No, serve a me, per una cosa... devo solo chiederti un ultimo favore.- e le prese con una mano guantata il mento, costringendola ad alzare il viso verso di lui. 

La sua espressione era intensa e concentrata, mentre continuava ad analizzarle il volto. 

-Cerca di non far più arrabbiare Prosciutto, va bene? È un ragazzo molto serio e certi comportamenti proprio non li tollera.- sospirò, alzando scherzosamente gli occhi al cielo, per poi riportarli verso quelli azzurri della ragazza. 

-Però stai tranquilla, se lui non è in casa, noi possiamo divertirci tranquillamente.- e le fece l’occhiolino, prima di lasciare la presa e raggiungere il suo compagno in cucina. 

Celeste fu attraversata da un brivido, maledicendosi mentalmente per aver anche solo per un attimo abbassato la guardia con uno di quei mostri

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Capitolo 10
*** Divano ***


Risotto uscì di casa verso le due di pomeriggio, dopo pranzo, e Celeste si ritrovò sola con quei due.  

Ghiaccio si era dimostrato essere una persona irascibile e permalosa, mentre Melone le parve essere un tipo viscido e meschino. 

Rimanere chiusa fra quattro mura con loro non la faceva sentire al sicuro, anzi. Percepiva difatti un perenne pericolo alle sue spalle e spesso si voltava con un movimento brusco del capo, colta alla sprovvista da un rumore, che si rivelava essere unicamente frutto della sua immaginazione. 

Celeste si sistemò sulla poltrona dove riposava, spostandosi nervosamente la frangia dagli occhi: che cosa le stava succedendo? 

Erano ormai passati tre giorni dal suo rapimento, possibile che a lavoro nessuno la stesse cercando?  

La polizia era già stata contattata? Qualcuno si era effettivamente accorto della sua assenza? 

Non riusciva a comprendere come non riuscissero a trovarla, quando si trovava in una semplice casa e, dalle finestre, poteva vedere la gente passare con fare tranquillo, mano nella mano con la propria metà, o portando al guinzaglio il cane. 

“Ma sarò ancora a Napoli?” si domandò, mordendosi il labbro, a disagio. 

Nulla era più chiaro in quel momento. 

“Sono passati veramente solo tre giorni?” arrivò persino a chiedersi, quando il suo cuore cominciò a battere più forte e veloce di prima, mentre le sue mani formicolavano e il suo corpo iniziava ad essere percorso da dei forti e lunghi brividi. 

Dei passi pesanti la fecero tornare in sé: Ghiaccio era entrato nel soggiorno e si trovava a pochi metri da lei. 

Non volendo interagire con lui, poiché imprevedibile e chiaramente violento, fece per alzarsi, quando lui la chiamò. 

-Eh no! Resta seduta dove sei, cazzo!- e con passo veloce si diresse verso la poltrona dove la ragazza si stava raggomitolando contro. 

Abbassandosi verso il corpo indifeso di lei, le puntò un dito al volto, cominciando a gridare. 

-Perché stavi scappando?! Dove cazzo credevi di poter andare, eh?!-  

Celeste tenne gli occhi serrati e il capo basso, nella speranza che l’uomo smettesse di insultarla senza un vero motivo. 

-Rispondimi, troia!- 

-Non capisco di cosa parli!- rispose, finalmente –volevo solo prepararmi un caffè! Ti prego non arrabbiarti con me...- mentì, supplicandolo. 

Ghiaccio sbatté un paio di volte le palpebre, rendendosi conto di aver reagito in una maniera più che esagerata, scattando senza una vera motivazione. 

Raddrizzandosi e incrociando le braccia, la guardò infastidito dall’alto. 

-Allora vai a prepararlo e portamene una tazza.-  

Non vedendo subito una reazione da parte della ragazza, gridò nuovamente. 

-Alza quel cazzo di culo e vai a prepararmi un caffè, cazzo!-  

Celeste quasi corse verso la cucina, preparando il più velocemente possibile il caffè da mettere sul fuoco, come richiesto. 

Quando finalmente fu pronto, riempì due tazzine della bevanda e le portò in salotto, dove Ghiaccio riposava quasi con aria pacifica sul divano, mentre sfogliava in modo disinteressato un giornale. 

Gli si avvicinò cautamente, porgendogli la tazza fumante. 

-È pronto...- gli sussurrò, facendogli alzare lo sguardo verso di lei. 

Quasi le strappò il caffè dalle mani, senza nemmeno rivolgerle la parola, per poi tornare subito a leggere il quotidiano. 

La ragazza, però, non poté fare a meno di sentire un piccolo sbuffo di disapprovazione quando fece per sedersi su una poltrona poco distante per bere la sua bevanda. 

“Che cosa vuole adesso?” si chiese mentalmente, guardandolo confusa. 

Non voleva che si sedette in salotto? Voleva che tornasse in cucina? Cosa voleva da lei ancora? 

Il cuore le si fermò nel petto, quando lo vide spostarsi leggermente verso l’estremità del divano, per creare più spazio.  

-Devo farti il disegnino? Siediti qui, cogliona.- abbaiò, senza distogliere lo sguardo dal suo giornale. 

Celeste percepì la terra sotto i suoi piedi aprirsi e sentì il suo corpo sprofondare all’inferno; o almeno, sperò di poter morire in quel momento. 

Continuando a mantenere lo sguardo fisso davanti a sé, con gli occhi spalancati e il cuore che si dimenava, si sedette come ordinato accanto all’uomo e sorseggiò con mano tremante il suo caffè, seguita dall’uomo riccioluto accanto a lei. 

-Non sei manco capace a fare il caffè, sei proprio un'inutile ritardata.- sputò acidamente, mentre posava la sua tazzina e il giornale sul tavolino davanti a loro. 

Lei non rispose: ignorare le sue provocazioni sarebbe risultata la cosa migliore da fare. 

Dopo aver posato anche lei la propria tazza, decise che era arrivato il momento di andare in camera sua e chiudersi a chiave la porta alle spalle. 

-Con permesso...- e fece per alzarsi un’altra volta, ma una morsa al polso la fermò sul posto. 

-Ti ho già detto che tu non vai da nessuna parte, stronza.-  

Quella voce così severa e roca la fece raggelare sul posto. 

Sentiva i suoi occhi fissarla insistentemente e così decise di alzare lo sguardo, per affrontarlo. 

Si ritrovò catturata in un buco nero, incapace di andarsene, perché paralizzata dalla paura. 

Quelli non erano dei semplici occhi adirati: erano gli occhi di un folle. 

La mano libera dell’uomo le prese con veemenza una coscia, stringendola fra le dita e facendola contorcere a disagio. 

-Cosa vuoi...?! Lasciami andare!- provò a protestare, tentando di liberare il polso dalla presa. 

-Mi stai dando dei fottutissimi ordini?! È questo quello che stai facendo?! Con chi cazzo credi di avere a che fare, eh?!- e la avvicinò a sé, trascinandola verso il suo corpo con uno strattone della mano, facendole perdere l’equilibrio e facendola cadere col busto sulle gambe muscolose dell’uomo. 

Mentre lei tentava di rialzarsi, facendo leva sul divano con la mano ancora libera, sentì la presa dell’aggressore sul suo polso andarsene, ma prima che potesse reagire andandosene il più velocemente possibile da lui, il suo cuoio capelluto urlò, quando l’uomo le strinse violentemente i capelli raccolti nello chignon. 

La forzò a rizzare il capo, tirandole la chioma dorata all’indietro, facendola alzare bruscamente, mentre inarcava la schiena e sentiva gli occhi riempirsi di lacrime bollenti. 

L’uomo le si avvicinò al collo, ancora stringendole con cattiveria la carne della coscia, che iniziava a segnarsi di macchie violacee. 

-Il capo ha detto che non dobbiamo farti del male...- non urlava più, ma la sua voce risultava quasi un sussurro -...ma te stai facendo di tutto per farci incazzare, non è così?- 

Celeste non poté trattenersi dal gemere per il dolore, mentre si mordeva il labbro carnoso. 

Lo sentì irrigidirsi e poi sbuffare rumorosamente. 

-Vedi di cosa parlo, cazzo?!- le grida minacciose fecero ritorno –sempre a gemere come una troia! Sempre a morderti quelle cazzo di labbra! Se vuoi così tanto essere scopata da ogni fottuto membro della Squadra basta dirlo, cazzo! Cos’è, nessuno ti fotte da più di tre giorni e già sei in astinenza, eh?! Saresti così disperata da farti scopare persino da quello storpio di Pesci, non è così?!- lo sentì ridere. 

Celeste si ritrovò il viso inondato dalle lacrime, mentre quell’uomo, così colmo d’odio e cattivo, la insultava senza sosta.  Tentò di negare coi movimenti del capo, ma la morsa dell'uomo e i singhiozzi le scuotevano troppo il corpo.

-Oh oh, sì invece...- e le si avvicinò pericolosamente alle labbra, portando le loro due fronti a toccarsi, facendo sfiorare i propri nasi -...e io so che ti potrei essere di ottimo aiuto.-  

-No... no!- tentò inutilmente di sfuggire di nuovo dalla sua presa, che si fece semplicemente più stretta e dolorosa. 

Con un gesto rapido, la lanciò supina sul divano, salendo sopra il suo esile corpo subito dopo, bloccandola con le sue gambe muscolose. 

-Non negarlo! Ho visto come mi guardi! Lo sai benissimo anche tu cosa vuoi veramente, guarda ieri quanto poco ti sei opposta! Ti piaceva strusciarti sui nostri cazzi, non è così? Quanto ti sei divertita col capo, eh?! Io lo so quanto vorresti essere scopata da tutti e sette, tutti quanti insieme!- disse, mentre la costringeva a lasciarsi spogliare della sua maglia e le palpava con irruenza i seni. 

-Smettila! Lasciami andare! Melone, aiuto! Vi prego, qualcuno mi aiuti!- singhiozzò disperata, urlando quando lo sentì abbassarle i jeans in pelle fino alle cosce.  

-Credi che qualcuno arriverà davvero?! Ma per chi ci hai presi, brutta testa di cazzo? Siamo la fottuta mafia, ci arrivi? A nessuno qua importa davvero di te, vogliamo solo essere pagati da quell'altro stronzo!- fece scivolare una delle sue mani ruvide sotto la coppa del reggiseno in pizzo nero che indossava, cominciando a massaggiarle con poca delicatezza il capezzolo sensibile, facendola contorcere e gemere, colta da una forte sensazione di disagio e sentendosi violata. 

Iniziò a baciarle il collo, fermandosi per succhiare alcune parti, lasciandole dei lividi. 

-Lo vedi che ti piace? Te l'avevo detto io, che sei solo una puttana...- le ansimò in un orecchio, premendo la sua crescente erezione contro il suo sesso. 

-Scommetto che sei pure già bagnata, non è così? Che dici, controlliamo?- ridacchiò meschinamente, mentre la vedeva sbarrare gli occhi nella più pura forma di terrore e agitare disperatamente il capo, continuando a gridare di smetterla. 

La sua mano passò dal seno per lo stomaco, fino a raggiungere il bordo della sua brasiliana abbinata, giocando scherzosamente con l’elastico del bordo, per poi scivolare sotto il tessuto e penetrarla senza preavviso con tre dita, facendole inarcare la schiena di scatto, mentre si mordeva il labbro inferiore e tratteneva il respiro. 

-Sei fradicia, cazzo...- gemette, iniziando a pompare le dita dentro la ragazza. 

Celeste non riuscì a capire se quell’affermazione fosse veritiera o no per il troppo male che stava provando in quel momento.  

Si maledisse per non essere fuggita prima da quell’uomo, si maledisse per aver dato a tutti l’impressione di essere disposta ad avere un rapporto con loro, si maledisse per non essere riuscita a scappare quel fatidico giorno. 

Le pareva così assurdo ritrovarsi sotto un uomo, con tre dita forzate dentro di lei, mentre lui aveva preso a succhiarle un seno, dopo aver rimosso completamente il suo reggipetto. 

Si sentì così inutile, così impotente davanti a un tale sopruso. 

Il suo copro stava venendo violato da un essere spregevole come quello e lei non poteva fare altro che piangere e gridare, supplicandolo di smetterla e pregando che la ascoltasse. 

-Cazzo...- respirò affannosamente -...cazzo quanto voglio scoparti, merda!- 

Tolse le dita dal suo sesso e gliele mise in bocca, cogliendola alla sprovvista. 

-Succhiale.- le ordinò, guardandola dritta negli occhi e sorridendo, quando la vide obbedirgli e succhiare le sue dita, ricoperte dei suoi stessi umori, con le palpebre serrate. 

-Sei proprio una puttana. Scommetto che succhieresti ancora più volentieri il mio cazzo, non è così? Eh?- insistette, affondando ancora di più le dita nella sua gola, facendola tossire. 

Per lei fu come un miracolo quando due uomini, mai visti prima da Celeste, entrarono nel salotto, costringendo il suo aggressore a rimuovere la propria mano da lei. 

-Ghiaccio, ma che cazzo stai facendo?- quasi gridò sorpreso un piccolo uomo dai capelli biondi, mentre il moro accanto a lui lo stringeva a sé, guardando con confusione e disgusto il ragazzo riccio. 

Celeste scoppiò nuovamente in un pianto, questa volta liberatorio. 

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Capitolo 11
*** Asciugamano ***


Sentì il corpo libero dalla morsa delle gambe massicce dell’uomo, che scese da lei e dal divano, rimanendo in piedi davanti alla ragazza, dandole la schiena, mentre lei respirava ancora affannosamente e, rimanendo distesa, osservava la scena col capo voltato verso gli sconosciuti.

-Gelato...- disse quasi sussurrando.

I due si avvicinarono a lui, con solo il tavolino a dividerli.

-Ma che cazzo combini? Se il capo lo venisse a sapere ti spellerebbe vivo.- commentò il moro, con una voce incredibilmente bassa e roca, scrutandolo con disapprovazione e ribrezzo il suo collega.

Ghiaccio voltò il capo, guardando a lato del salotto, sbuffando.

-Non so cosa abbiate visto, ma come al solito non avete capito un cazzo! La stavo solo minacciando e siccome non chiudeva quella cazzo di bocca e continuava a piangere, l’ho dovuta zittire.-

Celeste non poté credere a quelle parole, così false. Si fece forza con le braccia tremanti e rizzò il busto, sedendosi sul divano e portando le gambe nude al petto scoperto, mentre i pantaloni in pelle neri le scivolavano definitivamente dai piedi, cadendo sul pavimento freddo.

Il biondo piegò il capo di lato per osservarla e poi si lasciò scappare una risata.

-E per zittirla l’hai dovuta spogliare e buttare su un divano?- abbassò lo sguardo verso la sua coscia violacea –Ah certo, come dimenticare la tortura della coscia. Sei proprio una testa di cazzo, ti basta vedere un po’ di figa per perdere completamente il cervello.-

Il riccio voltò di scatto il capo, fulminandolo con gli occhi.

-Sai Gelato, non tutti possiamo farci scopare il culo quando ci pare, dico bene?-

Il viso del moro mutò ulteriormente, ricambiando lo sguardo assassino.

-Se non vuoi aspettare che sia Risotto a spaccarti quella faccia di merda che ti ritrovi, basta dirlo.- sputò.

Celeste sentì la stanza scaldarsi ed ebbe veramente paura per la seconda volta in quella giornata infernale.

Vide Ghiaccio scattare, scavalcando con un salto incredibilmente alto il tavolino e avvicinandosi con passo minaccioso verso i due, mentre puntava loro un dito, continuando ad inveire ininterrottamente.

-Vi fate vivi qui solo per dare ordini, stronzi?! Dove cazzo siete stati tutti questi giorni, eh?! Comodo arrivare e comandare come se fosse casa vostra, non è vero?! Non venitemi a parlare di cosa farebbe Risotto, non voi cazzo!-

Prima che l’uomo di statura più bassa e dai capelli biondi potesse rispondere agli insulti, Melone corse nella stanza.

-Ehi ehi ehi! Che succede qua?!-

Tutti si voltarono verso di lui e Ghiaccio indietreggiò di qualche passo, sbuffando.

-Andate a farvi fottere.- e, spostando malamente il compagno appena arrivato, uscì dall’abitazione sbattendosi il portone in legno alle spalle.

La ragazza tentò di asciugarsi il volto fradicio, sistemandosi frettolosamente il reggiseno e rimettendosi la maglia, mentre i tre rimasti nella stanza la fissavano.

-Gelato, Sorbetto... allora, sapete spiegarmi che cos’è successo mentre ero assente?- domandò l’uomo dai capelli lilla, volgendo lo sguardo verso loro e poggiando una mano sul fianco ossuto.

Il moro alzò le spalle, prima di rispondergli.

-Noi siamo semplicemente entrati in casa e abbiamo sentito del casino, così siamo venuti qua e abbiamo trovato Ghiaccio sopra l’ostaggio, con tre dita ficcate in bocca e dei vestiti per terra, mentre la teneva bloccata sul divano.-

Il compagno fra le sue braccia annuì, prima di proseguire al suo posto.

-Gli abbiamo chiesto che cosa stesse facendo e come al solito si è incazzato.-

Melone sospirò, guardando Celeste, che si era appena alzata dando loro le spalle per indossare nuovamente i propri pantaloni.

Non poté fare a meno di osservare le sue forme, finché non notò dei segni violacei su una delle sue gambe.

-Cara...- la chiamò con tono libidinoso, facendola voltare con un’espressione di disgusto stampata in volto -è stato lui a farti quei segni lì, tutti rossastri?-

La vide subito annuire, mentre rivolgeva gli occhi arrossati e gonfi verso il pavimento.

Si mise una mano in volto, sospirando pesantemente un’altra volta.

-Dobbiamo dirlo al capo prima che lo scopra lui da solo, finiremo comunque nei casini, come al solito ha fatto un macello quell’idiota.-

-Finiremo?!- abbaiò il biondo –Io e Sorbetto non abbiamo fatto proprio un cazzo! La colpa è di quel coglione ed è solo sua, che non provi a portarci dentro a questo casino!-

Il suo compagno annuì, con sguardo severo.

-Devo sbrigarmi ad informare Risotto, speriamo solo che il boss non la faccia prendere in questi giorni...- aggiunse ignorandoli e si passò una mano fra i capelli lisci e setosi, rivolgendo poi i occhi blu verso quelli azzurri della ragazza, ancora in piedi davanti al divano.

-Si può sapere che hai combinato per farlo arrabbiare così tanto, mia cara?- le chiese, sorridendole, mentre la approcciava con passo lascivo.

-Io.. Io non ho fatto nulla.- la voce le si bloccò in gola, mentre sentiva nuovamente gli occhi riempirsi di lacrime.

Melone le pose con troppa confidenza una mano sulla spalla, forzandola a sedersi, mentre prendeva posto accanto a lei e la continuava a fissare.

-Vai avanti.-

Fece un grande respiro, prima di deglutire.

-Ero qua, in salotto... poi è arrivato e io ho fatto per andarmene, ma lui si è messo a urlarmi contro, così gli ho mentito, dicendogli che volevo solo prepararmi un caffè...- sentiva quelle tre figure studiarla con attenzione –allora lui mi ha ordinato di portargliene una tazza e ho ubbidito, solo che mi ha costretta a sedermi accanto a lui per berlo e quando ho finito mi sono alzata, ma lui si è imbestialito.-

Melone annuì, invitandola a proseguire, mentre le massaggiava viscidamente la coscia dolorante.

-Mi ha presa per il polso e mi ha costretta sul divano, poi... poi mi ha tolto la maglietta e mi ha abbassato i pantaloni e...- la voce tremante le si strozzò nuovamente in gola, iniziando a lacrimare copiosamente.

-Non abbiamo tutto il giorno, avremmo anche da lavorare noi.- commentò acidamente Sorbetto.

-Scusate...- si giustificò con tono flebile, asciugandosi col dorso della mano il volto –allora ha iniziato a toccarmi e mi ha... penetrata con le dita e poi... poi me le ha costrette in bocca, insultandomi e dicendo che sono solo una troia, che vi provoco apposta e che in realtà mi piacerebbe essere...- si schiarì rumorosamente la gola -...avere dei rapporti con tutti voi...- concluse, coprendosi il viso con le mani e lasciandosi andare a dei forti singhiozzi.

Melone si alzò, grattandosi una tempia con un dito guantato.

-Non si può dire che tu non te la sia cercata rimanendo sola in una stanza con lui, certo però che mi sarei aspettato un po’ più di autocontrollo da parte sua, prima di ulteriori permessi dati dal boss...- sbuffò, infastidito –ora il capo ci farà un culo assurdo, questa non ci voleva.-

-Ma perché continui a usare il plurale, Melone?- contestò Gelato.

-Infatti, l’hai sentita, no? Ghiaccio ha fatto tutto da solo e lei non si farà certo problemi a dirlo a Risotto, vero?- le domandò Sorbetto, guardandola con degli occhi di ghiaccio e facendola annuire, ancora tremante.

-Beh non avete tutti i torti, infondo è lui che non si sa frenare davanti a una donna...- la guardò con occhi affamati, leccandosi il labbro e facendole contorcere le budella.

Non poteva fidarsi di nessuno.

A Lui non interessava della sua salute, ma unicamente di non essere punito dal suo capo, la cosa fu chiara dopo quegli ennesimi sguardi languidi.

-Appena arriverà dopo la sua missione gliene parlerò, voi due non preoccupatevi, mentre tu- la richiamò con uno schiocco delle dita, come se fosse un cane –vatti a dare una sciacquata, hai un viso indecente, così fai sembrare la cosa ancora più grave, forza vai.-

Celeste sentì le unghie rompere la pelle dei suoi palmi, mentre stringeva con odio i pugni, sperando scioccamente di poter aggredire quei mostri.

“Uomini schifosi, brutti bastardi, vermi ignobili!” pensò, alzandosi faticosamente dal divano, con ancora il corpo debole e dirigendosi verso il bagno.

Dopo che ebbe abbandonato la stanza, Melone si lasciò andare teatralmente sullo schienale del divano.

-Che situazione...- ridacchiò, grattandosi con una mano le sopracciglia.

Gelato gli sorrise meschinamente.

-Tanto sappiamo tutti come finirà con questa, al boss conviene darvi il via libera e basta, prima che finisca ancora peggio di come già andrà.-

Melone scoppiò a ridere sonoramente, prima di guardarlo dritto negli occhi.

-Esattamente.-

 

Sotto l’acqua bollente si sentì quasi protetta, quasi purificata dopo quella tremenda esperienza.

La gola le bruciava ancora dopo che le unghie dell’uomo l’avevano graffiata e la coscia urlò dal dolore, quando sbadatamente si scontrò contro un lato della doccia.

Il suo seno sinistro iniziò a mostrare delle striature simili a quelle sulla gamba, rendendole difficile lavarsi il corpo, nel tentativo di eliminare il ricordo di quel tocco rozzo sulla sua pelle pallida.

Si sedette sotto al getto caldo, rannicchiandosi su sé stessa, tornando a piangere col capo nascosto fra le braccia incrociate che tenevano strette al petto le ginocchia.

Desiderò ancora una volta la morte e per qualche istante le si bloccò il respiro.

Quando uscì dalla doccia, circa due ore dopo, in casa era rimasto solo Melone, intento a parlare con tono sostenuto a qualcuno, in una stanza che lei ancora non aveva ancora esplorato.

Sentì unicamente la sua voce vellutata fuoriuscire dai muri di quella camera e decise, spinta dalla curiosità, di origliare, poggiando delicatamente il proprio orecchio e la propria spalla sulla porta in legno.

-...e quindi Ghiaccio le ha preso una gamba e gliel’ha stretta, per questo adesso è piena di lividi lì.- sentì dire.

Realizzò che stava spiegando quello che era accaduto ore prima a Risotto.

Con uno scatto violento si distaccò dalla parete in legno, non volendo sentire e ricordare nuovamente quel triste evento e non volendo, soprattutto, farsi scoprire da loro e rischiare di finire nuovamente in una situazione pericolosa.

Fece per dirigersi verso la stanza da letto che le era stata concessa, quando la porta da cui proveniva la voce di Melone si aprì, facendo uscire l’uomo e anche una figura imponente, che copriva con la sua ombra il suo compagno.

-Donna.- tuonò il gigante.

Celeste rabbrividì sentendo Risotto chiamarla nuovamente in quel modo, voltandosi verso di lui lentamente, trovandolo a pochi centimetri da lei.

-Sì...?- domandò con un filo di voce, guardandolo con aria terrorizzata dal basso.

Il capo la scrutò mentre si stingeva l’asciugamano stinto al petto con le mani.

Notò subito il polso arrossato, dei segni di dita sulla parte alta di uno dei suoi seni e gli ovvi lividi sulla coscia.

-Chi è stato?- le chiese, non facendo nemmeno riferimento a cosa.

La ragazza distolse lo sguardo, mordendosi il labbro e deglutendo rumorosamente, non rispondendo nell’immediato.

-Rispondimi.-

-È stato Ghiaccio...- sussurrò, con voce rotta.

Lo sentì aspirare rumorosamente dal naso.

-Vedi di non finire mai più in situazioni simili coi miei uomini.- la ammonì, facendole scattare il volto verso di lui nuovamente –E cerca di non provocarli più, non accetterò che tu li metta nuovamente in pericolo provocandoli in questa maniera.-

Non riuscì a credere alle sue parole: la colpa era sua? Questo non poteva accettarlo.

Spinta da un moto di coraggio, provocato probabilmente dalla mancanza di rispetto che le stavano continuamente recando, finalmente scoppiò, lasciandosi andare a uno sfogo, dopo essersi tenuta dentro tutto l’odio di quei giorni.

-Provocarli?! Mi state prendendo in giro?! Che cazzo dovrei fare io, se mi ordinate di ballare per voi, eh?! Dovrei rifiutarmi, così potete staccarmi le unghie delle mani?! Voi avete dei cazzo di problemi, siete dei fottutissimi pazzi! Ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Ti ascolti mentre parli o hai la merda nel cervello?! Spero che il vostro capo vi ammazzi tutti! Spero moriate tutti quanti, cazzo!-

L’uomo dai capelli bianchi non cambiò espressione, come suo solito, mentre Melone si lasciò sfuggire un sorrisetto, che coprì prontamente con il palmo di una mano, preparandosi a quello che sarebbe successo fra poco.

Prima che la ragazza potesse continuare il suo discorso liberatorio, si trovò di colpo inchiodata al muro, con una stretta al collo soffocante che la fece zittire sul momento e la schiena premuta dolorosamente contro le dure e sporgenti mattonelle della parete rovinata.

-Se aggiungi anche solo una parola, quello che ti ha fatto il mio uomo non sarà nulla in confronto a quello che ti farò io.- le sussurrò con voce bassa, guardandola fissa negli occhi.

La sentì provare a deglutire, mentre si portava le mani al collo e tentava inutilmente di liberarsi dalla presa.

Fece ancora più pressione, facendola tossire e annaspare per dell’aria, prima di lasciarla andare, guardandola accasciarsi al suolo e rimanere spoglia del suo asciugamano, scivolato dal suo corpo, esile e indifeso, ai piedi dell’uomo.

-Vi odio...- gracchiò con voce roca, fissando il pavimento che si bagnava delle sue lacrime –vi odio con tutta me stessa.-

Acti

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Capitolo 12
*** Sigaretta ***


I singhiozzi si fecero più forti, mentre premeva il viso violentemente contro il cuscino, nella speranza di soffocare non solo i caldi fiumi che le fuoriuscivano dagli occhi, ma anche sé stessa. 

Il timore che quell’uomo entrasse di colpo in camera sua per zittirla la tormentava. 

Guardò mugugnando un lamento la pioggia fuori dalla finestra di camera sua, che batteva prepotentemente contro di essa, mentre i suoi incubi diventavano realtà. 

Un cigolio della porta la fece immobilizzare, mentre le gocce continuavano a scontrarsi sopra al vetro e la stanza rimaneva avvolta da quel suono ripetitivo. 

Poté scrutare con la coda dell’occhio delle sfere infuocate fissarla dall’uscio e tutto rimase sospeso nell’aria per quella che parve essere un’eternità, probabilmente pochi minuti, finché quella figura imponente non sparì di colpo, com’era comparsa. 

 

La mattinata per Celeste proseguì normalmente, se così si poteva definire la normalità, cucinando il pranzo per Risotto, come suo solito, Formaggio e questa volta anche Prosciutto, che non si esentò dal fulminarla con lo sguardo ogni qualvolta si avvicinasse alla tavola per portare o togliere loro dei piatti. 

-E quindi Ghiaccio ha combinato un macello, eh?- chiese sghignazzando Formaggio, masticando rumorosamente un pezzo di tagliata. 

Il loro capo non proferì parola, sorseggiando un calice di vino rosso, prontamente abbinato alla carne servita. 

Prosciutto, invece, sospirò dopo essersi pulito i lati della bocca con il tovagliolo in stoffa vicino alle sue posate, massaggiandosi teatralmente una tempia con le dita sottili e dalle unghie laccate. 

-Incredibile come sia bastata la semplice presenza di...- guardò con disprezzo Celeste dalla porta spalancata che portava alla cucina, mentre lei era intenta a lavare delle stoviglie; deglutì sonoramente osservando le morbide curve della ragazza -...una donna, come lei per giunta, per far perdere la lucidità a uno come lui.- 

Formaggio annuì, continuando a sorridere. 

-Beh, infondo lo capisco anche, non è che qua se ne veda molto di topa...-  

Il biondo alzò gli occhi alle parole così volgari e poco eleganti del suo compagno, prima di continuare il suo discorso. 

-Risotto.- chiamò di colpo l’altro uomo, che lo guardò seriamente senza ancora fiatare –Spero tu le abbia già detto qualcosa. Non può comandare lei qui, non può permettersi di distruggere l’equilibrio della nostra squadra, non dopo tutto il lavoro che c’è stato per far funzionare nella maniera più efficiente possibile le cose. Solo perché non le possiamo ancora fare niente poiché protetta dal boss, non significa che possa passare del tutto indenne a certe mancanze di rispetto simili.- 

Celeste origliò come al solito la conversazione: Prosciutto non le era piaciuto dal primo momento, ma dopo quei commenti, era certamente finito nella sua lista nera. 

Lei mancava loro di rispetto? Dopo giorni passati ad obbedire prontamente ai loro sporchi ordini, a lavare i loro vestiti, a preparare loro pranzo e cena, a mettere il su loro il caffè a qualsiasi ora del giorno e, soprattutto, dopo giorni passati senza mai reagire a un qualsiasi loro sguardo, commento o persino tocco molesto? Era arrivata persino a ballare per loro, lasciandoli toccare con le loro sudice mani il suo corpo. 

A quanto pare, però, urlare per cercare di fuggire a una violenza sessuale era troppo, una chiara mancanza di rispetto. 

Strinse il più forte possibile i pugni, esalando un respiro tremante. 

-Le ho già parlato, non dovete più preoccuparvi di nulla.- tuonò l’uomo dagli occhi neri, posando definitivamente la propria forchetta, avendo finito di pranzare, seguito poco dopo dagli altri due. 

-Zuccherino!- la chiamò, praticamente gridando, Formaggio –Portaci del caffè!- 

-Sì.- rispose a tono sostenuto lei, per farsi sentire dall’altra stanza. 

Risotto proseguì. 

-Il boss dovrebbe chiamarmi questo pomeriggio per nuovi ordini e informazioni riguardo alcune missioni e lei. Questa sera poi vi contatterò con le novità.- 

I due annuirono al loro capo, mentre Celeste serviva loro le bevande. 

-Ecco a te...- sussurrò, posando l’espresso davanti a Prosciutto, non osando guardarlo negli occhi.  

Lui, d’altro canto, la fissò con uno sguardo infuocato. Avrebbe voluto oltrepassarle il cranio, bucarglielo da parte a parte, spararle un colpo alla testa e ucciderla, proprio in quel momento. 

Avrebbe voluto farla urlare di piacere, stringendo fra le sue grandi mani lievemente callose quelle cosce così morbide, quei seni così sodi, quei fianchi così soffici. 

Avrebbe voluto affondare il suo membro dentro di lei, sentirla stringersi attorno a lui, sentirla ansimare e gemere nel suo orecchio, mentre gli chiedeva di più, mentre lo implorava. 

Un sussulto della ragazza lo svegliò dal suo sogno ad occhi aperti, realizzando di aver colpito accidentalmente la tazzina del caffè, rovesciando il suo contenuto bollente sulla tovaglia, macchiandola, ma soprattutto, sulla gamba violacea di lei, schizzandola involontariamente. 

-Ah, cazzo... Zuccherino, ti sei bruciata per caso?- domandò Formaggio, sporgendo di poco il capo verso di lei, per osservare lo stato della sua pelle. 

-No, no... nulla di grave.- rispose con un filo di voce, asciugandosi velocemente, ma con delicatezza ed attenzione, da quel liquido, badando a non fare troppa pressione sui lividi. -Grazie per esserti preoccupato.-  

Prosciutto la guardò senza dire niente: come mai si sentiva in colpa?  

Era un assassino lui, un mercenario, uccideva a pagamento... allora come mai, vedere quella creatura così indifesa, così debole, tamponarsi le carni scottate e violacee lo scuoteva così nell’animo? Come mai era quasi sul punto di scusarsi con lei per la sua sbadataggine e aiutarla a medicarsi? 

-Fai più attenzione la prossima volta.- sputò invece acidamente, travolto da quei pensieri così sconvolgenti e confusionari. 

La ragazza alzò lo sguardo verso di lui, con le labbra serrate e gli occhi colmi d’odio, posando rumorosamente il fazzoletto zuppo sulla tavola, proprio accanto a lui. 

-Grazie per il consiglio.- e se ne andò, voltando loro le spalle e dirigendosi in bagno, per rinfrescarsi la scottatura. 

Formaggio guardò sogghignando il suo collega, intento a studiare la macchia sulla tovaglia appena formata. 

-Devi dirmi qualcosa?- chiese il biondo, con tono seccato, fulminandolo con lo sguardo, ma ricevendo solo una risata beffarda in risposta. 

-Come sei duro con lei, Prosciutto... dovresti lasciarti un pochino andare, sai? Scherzare ogni tanto non ti farebbe male, con lei poi è facile ridere: fa sempre qualche casino con cui prenderla per il culo.- e con questo, si alzò dalla tavola, salutando i due suoi colleghi, prima di uscire definitivamente dall’abitazione. 

-Tsk... ovviamente quella donna se n’è andata senza prepararmi un altro caffè.- borbottò, guardando poi il suo capo, che lo fissava intensamente –Cosa c’è adesso, Risotto?- 

L’uomo non gli rispose. 

Prosciutto sospirò, accennando un sorriso. 

-Ti va una sigaretta?-  

Il sorriso fu presto ricambiato. 

 

-Sai, non me l’immaginavo io, da piccolo, di finire nella mafia...- disse pensosamente, poggiato sul balcone all’aria aperta, mentre guardava l’orizzonte, esalando quel fumo grigio. 

Risotto lo osservò, posto poco lontano da lui, annuendo. 

-Ti capisco, Prosciutto.- 

Il biondo proseguì, chiudendo gli occhi, continuando la sua riflessione. 

-Ero convinto di diventare un avvocato, ci pensi?- ridacchiò mestamente, portandosi la sigaretta alle labbra e aprendo a mezz’asta le palpebre, per scrutare i passanti sotto di lui –Volevo diventare un avvocato penalista, volevo punire chi meritava di essere punito e difendere chi meritava di essere difeso.- buttò il mozzicone giù, verso la strada. 

L’amico non fiatò, continuando ad osservarlo. 

-E invece eccomi qua nella mafia, a uccidere gente perché me lo ordinano e a rapire puttane...- fece una smorfia disgustata -...che vita inutile.- 

-Prosciutto.- lo richiamò Risotto, facendogli alzare lo sguardo verso di lui, per fissarlo intensamente negli occhi. 

Rimasero così per qualche istante, senza proferire parola, finché il capo non spezzò quel silenzio, con quella sua voce, così calda e profonda. 

 -Lo sai quanto sei importante per la squadra.- 

Prosciutto annuì. 

-Non dimenticarlo.- e gli posò una mano sulla spalla, prima di gettare la sigaretta consumata dal balcone, come aveva fatto precedentemente il collega, rientrando in casa. 

 

Celeste era intenta a spazzare la sala quando vi entrò Risotto, che si accomodò sulla sua poltrona, con l’aria di chi attende. 

“Che strano, sembra teso...” si disse “Magari sta aspettando qualcosa di importante, chissà cosa però.” 

I suoi pensieri furono interrotti dallo squillo del telefono fisso poco distante dall’uomo, che con uno scatto si alzò per rispondere alla chiamata. 

-Pronto, chi parla?- tuonò, prima di irrigidirsi completamente, tenendo lo sguardo fisso –Salve, boss.- 

La ragazza smise immediatamente i movimenti con la scopa, guardando con occhi spalancati Risotto, intento ad annuire alla cornetta. 

Il mandante del suo rapimento stava chiamando il suo rapitore. 

Qualcosa di brutto le sarebbe capitato di lì a poco. 

-La ringrazio a nome di tutta la Squadra Esecuzioni, boss, siete stato molto chiaro. Attenderò futuri ordini. Certo. Arrivederci boss, la ringrazio ancora.- e posò il telefono, concludendo la chiamata ed espirando rumorosamente, come se si fosse appena tolto un enorme peso dal petto. 

Non lo aveva mai visto così rigido, così servizievole, così riconoscente, così sottomesso.  

Il loro boss doveva essere davvero una persona terribile per incutere tale timore persino a un uomo del genere. 

Prima che potesse osarsi a porgli delle domande, il biondo comparì nella stanza, senza risparmiarle uno sguardo colmo di disprezzo. 

-Ha chiamato il boss, Prosciutto.- lo avvertì, tornando al suo solito modo di parlare duro e intransigente. 

Anche il biondo spalancò leggermente gli occhi dalla sorpresa, ricomponendosi un attimo dopo. 

-E cos’ha detto, quindi?-  

-Te lo dirò quando ci saranno anche tutti gli altri, non ho intenzione di ripetermi. Chiamali e falli venire qui entro un’ora, solo in quel momento ne discuteremo.- 

Prosciutto annuì con fare comprensivo, estraendo il suo cellulare a conchiglia e cominciando a contattare i suoi compagni. 

Celeste ebbe il grande presentimento che qualcosa di orribile le sarebbe stato rivelato entro la fine di quella giornata. 

Verso le sette di sera, tutta la squadra al completo si presentò in quella casa, compresi anche Sorbetto e Gelato. 

Prima di condividere con loro i nuovi ordini, Risotto decise che cenare sarebbe stata la cosa più opportuna da fare e la ragazza si ritrovò a preparare da mangiare a nove uomini in fretta e furia, per evitare di innervosirli. 

Rivedere Ghiaccio dopo gli spiacevoli eventi trascorsi non fu né piacevole, né rassicurante e nemmeno lui si risparmiò dal fulminarla con lo sguardo appena ne aveva l’occasione. 

Dopo che ebbero cenato tutti quanti, sorseggiando alcolici e discutendo animatamente come loro solito, si accomodarono insieme nel salotto, ciascuno seduto al solito posto, con tutti gli sguardi rivolti verso il loro capo. 

-Il boss mi ha contattato questo pomeriggio.- esordì, facendo irrigidire il viso di ciascun membro e facendo calare il più completo silenzio. 

Celeste, al fondo della stanza, appoggiata al muro, osservò con la bocca serrata quegli uomini, di colpo ammutoliti. 

Risotto proseguì. 

-Mi ha comunicato una nuova missione che affiderò a voi, Ghiaccio e Melone.- i due annuirono –il target si chiama Giacomo Lanteri, un imprenditore edile, qui c’è la foto.- e porse loro l’immagine della vittima, un uomo sulla cinquantina, stempiato e lievemente sovrappeso. 

-Quanto ci frutterà il valoro?- si prestò a chiedere il ricciolo, passando la fotografia al collega accanto a sé. 

-Sei milioni di lire.- 

-SOLO?!- urlò a squarcia gola, alzandosi dal suo posto, ma subito l’uomo dai capelli lilla lo prese delicatamente per il polso, invitandolo a riprendere posto. 

-Ghiaccio...- lo ammonì il suo capo, prima di continuare il discorso. 

-Formaggio, tu invece devi far sparire la figlia di Marcello Pane.- e porse anche a lui una foto –Il ricavato è di cinque milioni circa.- 

L’uomo dai capelli corti sbuffò, mettendosi la diapositiva in tasca. 

-Non sa che cazzo sta rischiando con questi pagamenti miseri, un giorno ne subirà le conseguenze.- sputò, seguito da dei versi di approvazione da parte di tutti gli altri. 

Risotto lo ignorò, prima di rivolgere le sue pupille vermiglie verso Celeste, che lo notò immediatamente, mantenendo il contatto visivo, incapace di distogliere lo sguardo: stava per parlare di lei. 

-Infine, il boss ci ha dato nuove indicazioni su cosa fare con l’ostaggio.- disse, ricatturando tutte le attenzioni dei colleghi su di sé. 

La ragazza sentì le gambe cedere mentre i palmi si riempivano di sudore, avvertì la morte farsi sempre più vicina: percepì il suo fiato freddo sul collo umido. 

-Mi ha comunicato che sta avendo dei contrattempi personali e sicuramente non riuscirà a farla prelevare entro la fine di questo mese, quindi rimarrà con noi ancora per un tempo indefinito.-  

-Meglio così, almeno abbiamo una cameriera in casa ancora per un po’.- sogghignò Illuso, seguito dagli altri. 

-Mi ha inoltre comunicato.- proseguì Risotto –che possiamo fare di lei quello che ci pare.- 

La stanza si raggelò nuovamente, mentre tutti guardavano a bocca aperta e con aria sbigottita l’uomo. 

-L’importante, ha detto, è non ferirla in maniera permanente e non ucciderla.- 

Celeste sentì il cuore saltarle in gola quando tutti quei volti si girarono verso di lei. 

-Davvero capo?! Ma è fantastico!- esultò Formaggio. 

-Siamo sicuri che poi non si incazzi, quello?- domandò scettico Ghiaccio, ricevendo come risposta affermativa il movimento del capo di Risotto. 

-Cucciola!- la chiamò Illuso, facendola mugolare in disapprovazione –Preparati a passare delle nottate insonni, allora!- e scoppiò a ridere, accompagnato dalle risate meschine degli altri compagni. 

La ragazza uscì dalla sala velocemente, chiudendosi nel bagno e scoppiando in un pianto disperato. 

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Capitolo 13
*** Libro ***


Dopo essersi calmata e sciacquata accuratamente il viso, decise titubante di uscire dal bagno, per tornare nel salone, dove erano tutti riuniti. 

Entrando nella stanza, si rese conto di aver passato molto più tempo del previsto chiusa ai servizi igienici, trovando il divano e le poltrone vuote, con solo Risotto ad aspettarla. 

Posando il libro che era intento a sfogliare, l’uomo si voltò quando sentì i passi leggeri della ragazza dirigersi verso di lui, osservandola con la solita espressione fredda e distaccata, con i suoi occhi infuocati. 

-Sei sparita per un’ora senza nemmeno scusarti.- le disse, incrociando le braccia muscolose e poggiando la schiena contro la libreria, dietro di . 

Celeste abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro e iniziando a sfregarsi nervosamente le mani: l’idea di averlo fatto innervosire, dopo i nuovi ordini ricevuti dal loro boss, la terrorizzava.  

-Scusami... non mi sono sentita particolarmente bene.- provò a giustificarsi, mentre il cuore accelerava il proprio battito e le saliva in gola, percependo quella figura imponente approcciarla, con fare sicuro e intimidatorio. 

-Non è una buona motivazione. Non accetto tali mancanze di rispetto nei miei confronti e nei confronti dei miei uomini.-  

Sentì una mano grande quanto il suo viso sollevarle il mento, senza troppa delicatezza, costringendola a guardarlo in volto. 

-Mi dispiace...- guaì, quasi piangendo, terrorizzata da quello che le avrebbe potuto fare. 

La stanza venne avvolta dal silenzio, con unicamente il suono della pioggia a riempire le loro orecchie, mentre i due si fissavano intensamente negli occhi; lei col fiato sospeso, in attesa della prossima mossa, mentre lui pareva rilassato, come se fosse abituato a simili situazioni. 

-Non puoi sperare di uscire dai tuoi problemi con solo delle parole...- quasi sussurrò, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra, piegandosi verso di lei -bisogna pagare per i propri errori.- 

La sua vista iniziò a sfocare qualsiasi cosa la circondasse, mantenendo il fuoco unicamente sul viso duro di quell’uomo, sui suoi occhi profondi, sui suoi tratti marcati e sulle sue labbra carnose, che si avvicinavano sempre di più alle proprie, fino a posarsi su di esse, per la seconda volta da quando era arrivata. 

Poté assaggiare sulla sua lingua, che si fece strada in maniera meno violenta quella volta, ancora il forte aroma dell’alcol consumato poco prima.  

Provò a indietreggiare, tendando qualche passo indietro, ma la mano dell’uomo si stacco dal suo mento per afferrarle con veemenza la spalla, costringendola a rimanere immobile sotto di lui. 

Celeste iniziò a lamentarsi, lasciandosi sfuggire dei gemiti di disapprovazione, mentre spingeva, con scarsi risultati, il petto dell’uomo, facendo pressione coi palmi, che risultavano quasi come quelli di un bambino sulla pelle abbronzata e bollente del suo assalitore. 

Quando l’uomo ruppe il bacio, la ragazza indietreggiò di scatto col capo, nel tentativo di fuggire da quella situazione, che sicuramente sarebbe solo andata peggiorando con lo scorrere del tempo. 

Risotto, allora, vedendola allontanarsi, la spinse verso di sé, bloccandola fra le sue braccia, stringendola sino a farla sussultare. 

-Mi... mi fai male!- si lamentò lei, respirando affannosamente. 

Provò inutilmente a divincolarsi, mentre l’uomo portava una delle sue mani verso i suoi glutei, per stringerli possessivamente, facendola guaire ulteriormente. 

-Risotto...!- gemette, ottenendo come risposta un grugnito da parte sua –Per favore, mi stai davvero facendo male!-  

Ma lui non si fermo, continuando a spremere e massaggiare il muscolo morbido e carnoso sotto le sue dita, per poi iniziare a vagare verso il basso, dirigendosi verso l’intimità vestita della ragazza. 

-No... no! Fermati ti prego!- pianse, affondando il viso nel suo petto, lasciandosi scuotere dai primi singulti e tremori, mentre l’uomo le sussurrava ancora all’orecchio. 

-Pensavi davvero di poter essere al sicuro, qui?- 

Celeste alzò gli occhi pieni di lacrime verso quelli dell’uomo. 

-Ti supplico...- esalò, con voce strozzata. 

Subito dopo, si ritrovò premuta contro il muro e sollevata da pavimento. Fu costretta a stringere le proprie gambe longilinee attorno alla vita sottile dell’uomo, aggrappandosi a lui per non cadere, mentre egli la teneva per i fianchi, senza alcuno sforzo, e le baciava avidamente il collo. 

Iniziò a premere la sua erezione contro di lei, facendole stringere involontariamente la presa delle cosce, nella speranza di coprire il suo sesso dalla pressione non desiderata. Tentò ancora una volta di allontanarlo da sé, spingendolo dalle spalle, ma non riuscì a smuoverlo nemmeno di un millimetro; si ritrovò quindi totalmente impotente e alla totale mercé di quel mostro, permettendogli ancora una volta di poterle fare del male. 

I movimenti del bacino dell’uomo si fecero più irruenti e profondi, accompagnati dalla morsa sui fianchi della ragazza che si fece più stretta e dai piccoli gemiti gutturali che iniziarono a sfuggirgli dalle labbra. 

-Non ricordo nemmeno più l’ultima volta che ho scopato...- ansimò leggermente, borbottando a sé stesso più che a lei parole incomprensibili -...cazzo.- gemette, spingendo particolarmente contro le labbra della ragazza, sentendole dischiuse, così pronte per accoglierlo. 

Celeste sentì la propria schiena lasciare il muro, mentre l’uomo staccava il viso dal suo collo oramai violaceo e, continuando a portarla in braccio, si spostava, uscendo dalla sala e camminando nel lungo e buio corridoio. 

-Risotto, per favore... lasciami andare, ti prego...- provò a supplicarlo ancora, singhiozzando nell’incavo della sua spalla, mentre la bagnava con le sue lacrime bollenti. 

Ma lui la ignorò. 

Con una mano aprì la porta di una stanza in cui lei non era mai entrata e si ritrovò nella camera da letto dell’uomo. 

Non riuscì a studiare con attenzione lo spazio che la circondava: le luci spente lasciavano tutto nella più totale oscurità. In più, in un momento simile, Celeste non si ritrovò capace di concentrarsi su un qualcosa che non fosse il membro pulsante dell’uomo premuto contro la sua intimità e il leggero fiato caldo che le soffiava sul collo.  

Calò nuovamente il silenzio quando lui si fermò a fissarla intensamente, con solo la pioggia ad accompagnarli. 

Lei lo guardò con aria affranta, affranta nell’anima. I suoi occhi azzurri e gonfi, il suo naso arrossato e le labbra tremanti. La pelle del suo collo marchiata dai morsi, le sue piccole mani che si aggrappavano disperatamente alle cinghie sul petto dell’uomo. Le sue soffici, ma livide cosce strette attorno a lui.  

Il suo sesso così caldo. 

Risotto esalò rumorosamente dal naso, deglutendo. 

La gettò senza troppa grazia sul suo letto matrimoniale, salendo sopra il suo corpo indifeso qualche istante dopo, inchiodandole i polsi contro il materasso, mentre si insinuava fra le sue gambe, forzandole ad aprirsi. 

-Lasciami andare! Lasciami, cazzo!- urlò, mossa da un impeto improvviso di energia, realizzando solo in quel momento quello che le sarebbe accaduto. 

L'uomo le prese entrambi i polsi fra le dita di una mano, premendoli contro le lenzuola, mentre afferrava il fondo della maglia nera della ragazza e la sollevava, costringendola a sfilarsela dal corpo. 

Con la mano libera, cominciò a massaggiarle il seno sinistro, già violaceo dal giorno precedente, e, sentendo il capezzolo indurirsi sotto il suo tocco, iniziò a pizzicarlo con le dita, facendola contorcere. 

-Basta! Smettila! Smettila!-  

Non poté fermare le lacrime che ricominciarono a scorrerle lungo il viso. 

Le aprì senza troppa difficoltà il reggiseno e le fece sfilare anche quello, prima di chinarsi su di lei, per prendere il capezzolo fra le labbra, cominciando a succhiarlo. 

Celeste si lasciò andare in un pianto disperato, continuando a gridare aiuto e ad agitarsi, nella speranza di farlo smettere in qualche modo. 

Le sue urla vennero bloccate da una mano che le avvolse il collo, stringendolo abbastanza forte da soffocare le sue lamentele, facendola annaspare per dell’aria, mentre divincolava le braccia. 

L’uomo si stacco dal suo seno, allentando la presa e guardandola negli occhi, con un’espressione infastidita. 

-Fai silenzio.-  

Lei annuì, deglutendo a fatica, mentre la morsa al suo collo se ne andava piano piano, lasciandola respirare liberamente.  

Le sue grida cessarono, ma non i suoi singhiozzi, né i suoi lamenti, o guaiti tremanti. 

Risotto si allontanò dal soffice petto della ragazza, torreggiando sopra di lei, mentre si toglieva con gesti rapidi il copricapo nero, svelandole per la prima volta i propri capelli bianchi, leggermente più corti ai lati rispetto al ciuffo che gli copriva la fronte. Passò poi alle cinghie sul suo addome, spogliandosi completamente la parte superiore del corpo. 

La osservò per qualche istante, mentre lei ansimava sotto di lui, contorcendosi a disagio, sentendo il membro gonfio pulsante premere insistentemente contro la sua intimità. 

-Togliti i pantaloni.-  

-Ti prego...-  

-Non farmi ripetere.- 

Guaì, scostandosi leggermente dall’uomo per iniziare slacciarsi i pantaloni rosa, facendoli scivolare lungo i fianchi, mentre si schiacciava contro il materasso. Arrivati alle caviglie, fu Risotto a buttarli dal letto, facendoli cadere sul pavimento. 

Rimase così esposta davanti a lui, ansimante e spaventata, tremante e sottomessa, totalmente indifesa. 

Risotto iniziò a toccarsi da sopra i propri calzoni trovandola così, trattenendo qualche sporadico grugnito. 

Celeste chiuse gli occhi, serrandoli, e voltò il capo quando percepì il suo assalitore avvicinarsi nuovamente, riprendendo a baciarle il collo. 

Le prese brutalmente i fianchi, stringendoli dolorosamente, mentre riprendeva i movimenti del bacino, sfregandosi ancora contro di lei, facendola gemere. 

-Cazzo...- bisbigliò, affondando il viso fra i seni della ragazza. 

Le morse lievemente la pelle delicata, prima di alzare il busto ancora una volta. Il rumore di una cinta che veniva slacciata le fece sbarrare gli occhi, nel più grande terrore. Iniziò a sentire dei brividi attraversarle la schiena, scuotendola sul posto, mentre le labbra tramavano. 

-Risotto...- lo supplicò, facendolo guardare verso di lei, mentre si massaggiava il membro pulsante, ora vestito unicamente da dei boxer scuri -...per favore, non farlo...-  

La guardò negli occhi per qualche istante. Erano occhi disperati, affranti e distrutti, gli occhi di qualcuno totalmente arreso alla vita.  

Liberò il proprio pene dall’indumento intimo, accompagnato da un sospiro di sollievo, continuando a masturbarsi davanti a lei, che ora evitava il suo sguardo, voltando ancora una volta il proprio volto e ricominciando a piangere, sommessamente. 

Sentì il suo intimo trasparente venir abbassato lungo le cosce per poi essere totalmente rimosso e si ritrovò, questa volta, totalmente nuda sotto di lui, stesa sul suo letto, ansimante e arrossata, con le gambe divaricate e il proprio sesso esposto davanti a quel mostro. 

Una mano si posò sulla sua intimità, seguita dopo dalla penetrazione di due dita, mentre il pollice calloso iniziava a sfregare, con movimenti circolari e delicati, il clitoride. 

Questa volta gemette di piacere e si maledisse per ciò che il suo corpo stava provando in un momento del genere; si maledisse per come stesse reagendo, preparandosi così sfacciatamente al rapporto, lubrificandosi per limitare i danni, umiliandola in quel modo. 

-Basta... basta, ti prego...- provò a protestare, ricevendo come risposta solo l’intrusione di un terzo dito fra le sue pareti, facendola piagnucolare ulteriormente. 

Dopo pochi minuti, che parvero ore, passati in questo modo, sentendola abbastanza bagnata, Risotto rimosse le proprie dita, facendola sospirare di sollievo, solo per farle trattenere nuovamente il respiro quando sentì la punta del membro dell’uomo allinearsi fra le sue labbra umide. 

-No, no!-  

Lui non si mosse ulteriormente, lasciandola col fiato sospeso e gli occhi serrati per qualche istante, studiando il suo viso contorto e arrossato, segnato dalle lacrime e dalla disperazione. 

Celeste sentì la leggera pressione del sesso dell’uomo lasciarla e aprì con fare insicuro un occhio, spaventata, ma curiosa, di sapere cosa stesse accadendo.  

Risotto la stava fissando insistentemente, come se volesse attraversarle da parte a parte il cranio col suo sguardo penetrante. 

Si alzò e scese dal letto, rimanendone ai piedi, davanti a lei e col membro ancora eretto ed esposto, continuando a guardarla. 

-Inginocchiati.- le ordinò, facendole segno di sistemarsi sul materasso, difronte a lui, e così lei fece. 

Sentì le sue ginocchia sprofondare nel materasso morbido, mentre si sistemava dinanzi all’uomo, deglutendo duramente ed evitando il più possibile di guardarlo o di guardare il suo sesso pulsante ed eretto. 

-Succhialo.- le ordinò, afferrandone la base e stringendola leggermente, in attesa di sentire le sue labbra sulla punta. 

Celeste deglutì rumorosamente, trovando la propria gola incredibilmente secca e dolorante, mentre fissava incredula il pene arrossato e gonfio dell’uomo, leggermente umido e lucido.  

Non aveva idea di come reagire: doveva essere grata che avesse deciso di non penetrarla, oppure doveva essere disgustata per quello che la stava forzando a fare adesso? 

Si disse che la seconda era la reazione più corretta, ma altro non poteva fare se non assecondarlo. Quel mostro avrebbe ottenuto comunque ciò che voleva, era chiaro, tanto valeva darglielo senza provocare la sua ira ulteriormente. 

La ragazza si inumidì le labbra e vi avvolse delicatamente la punta del pene dell’uomo, facendolo trattenere il respiro.  

 

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Capitolo 14
*** Labbra ***


Ciocche dei suoi capelli dorati uscivano dal pugno serrato dell’uomo, stretto attorno alla sua nuca, mentre la forzava in movimenti ripetitivi, avanti e indietro. 

Celeste percepiva il fiato di Risotto farsi sempre più pesante e tremante. 

Il suo naso affondò per l’ennesima volta in quei riccioli bianchi, prima di essere strattonata con veemenza nella direzione opposta.  

Delle lacrime calde le rigavano il viso e la saliva le scivolava per il mento, colando sporadicamente sulle lenzuola sbiadite spiegazzare sotto il suo corpo, mentre faceva presa sulle cosce marmoree dell’uomo, per riuscire a sostenersi e non perdere l’equilibrio a causa di tutti quei movimenti così violenti e rapidi. 

-Cazzo...- sibilò, premendola contro il suo membro e bloccandola in quella posizione, sentendola soffocare leggermente e respirare affannosamente dal naso, per cercare di restare calma. 

Iniziò a tossire e a fare leva con le mani sulle gambe di Risotto, nella speranza di allontanarlo da sé: stava letteralmente soffocando. Sentiva la punta del suo pene premere con insistenza contro la propria gola, facendole scattare il riflesso del vomito. Dovette iniziare a concentrarsi sul proprio respiro per non rimettere.  

Non sentendo la presa sui suoi capelli allentarsi e avendo ancora il proprio volto schiacciato contro il pube dell’uomo, cominciò a protestare mugolando delle suppliche, ottenendo come risposta unicamente un lamento basso e gutturale, più prolungato dei precedenti, mentre lo vedeva mordersi il labbro e alzare il mento verso il soffitto, deglutendo pesantemente e facendo scorrere il proprio pomo d’Adamo lungo il suo collo spesso.  

Qualche istante dopo, Risotto riprese i movimenti, che si fecero persino più veloci e irruenti, facendole lasciare un piccolo urlo soffocato di sorpresa, mentre gli occhi le si sgranavano e i polmoni si riempivano finalmente di aria nuova. 

Continuò così ancora per qualche minuto, finché nuovamente non la tenne ferma contro il suo sesso ed emise un lungo gemito, dipingendole la gola di bianco e facendole chiudere gli occhi per la spiacevole sensazione improvvisa. 

-Ingoia.- ordinò cercando di parlare con voce inflessibile, facendole alzare gli occhi per incontrare i suoi, fissandola con supponenza, ma anche stanchezza, mentre le massaggiava delicatamente il cuoio capelluto; nel delirio di quel momento, Celeste quasi si sciolse davanti a quel gesto che parve così dolce e meritato. 

Ubbidì, facendo come comandato, lasciandosi abusare ancora una volta, lasciando che di nuovo quell’uomo decidesse per lei quella notte, soddisfando i suoi desideri, assecondando le sue malate volontà, lasciandosi usare. 

Inspirando lievemente, Risotto fece scivolare fuori dalla bocca della ragazza il proprio membro rilassato, lasciando andare quelle ciocche dorate per passare le proprie dita longilinee fra i suoi capelli bianchi, leggermente attaccati alla fronte per via del sudore. 

Celeste guardò le sue mani tremanti, che si stringevano compulsivamente alle sue ginocchia, mentre lacrime e saliva le colavano dal viso, bagnandole i dorsi pallidi e le cosce violacee, non riuscendo più a reprimere il proprio pianto disperato. 

I singhiozzi iniziarono a scuotere quel corpo livido e spoglio, mentre la ragazza si lasciava cadere sul materasso e, portando le gambe al petto, si stringeva in una posizione fetale, nascondendo il viso tumefatto, contorto in un grido sommesso. 

 L’uomo rimase a fissarla attonito, sistemandosi solamente la biancheria, interdetto su come reagire. Decise, dopo che Celeste ebbe smesso di piangere, di coricarla nella sua stanza e così fece, prendendola in braccio come una sposa e portandola nella sua camera da letto personale, mentre la ragazza guardava senz’anima davanti a sé.  

Vedendola tremare, scossa non solo dai propri singulti, ma anche dal freddo, la vestì con una propria maglia di cotone e la sistemò sotto le coperte di lana, uscendo poi dalla stanza e dirigendosi verso la propria, sentendosi ancora turbato e confuso per le sensazioni che si stavano manifestando in lui dopo averla vista ridotta in quello stato. 

Una donna sempre apparsa così piena d’animo, che aveva sempre lottato per fuggire dalle situazioni in cui non si sentiva a proprio agio, una donna così ricca di vita ora sembrava un cadavere steso sul letto.  

Priva di luce. 

 

Il risveglio non si presentò alla ragazza se non verso le due del pomeriggio e anche lì dovette forzarsi per trovare il coraggio di aprire i propri occhi gonfi e uscire dal bozzolo di coperte in cui si era rifugiata.  

Provò a tossire, ma un dolore lancinante alla gola la costrinse a chiudere immediatamente la bocca arrossata e a portarsi una mano al collo, per stringerlo leggermente. 

Involontariamente, con quel gesto, tutti i ricordi della notte precedente le attraversarono la mente, togliendole completamente il fiato e portandola a boccheggiare alla ricerca di aria disperatamente, mentre il suo corpo collassava ancora una volta sulla trapunta. 

Si ritrovò in lacrime, tornando in una posizione fetale, singhiozzando inutilmente, intanto che il ricordo delle mani ruvide di Risotto le ripercorreva il corpo, sentendo il loro tocco sui suoi seni, sulle sue cosce, sulla sua intimità. Il suo sapore così amaro e leggermente salato le fece contorcere lo stomaco, mentre quell’odore riempiva nuovamente le sue narici. 

Solo in quel momento si rese conto di avere indosso una maglia di quel mostro e la sua pelle prese fuoco. Sentì il tessuto stringersi attorno a lei e soffocarla, lo sentiva costringerla immobile: lo sentiva forzarla sul letto. 

Con un urlo rotto e uno scatto violento del corpo, si rimosse l’indumento con velocità, scagliandolo al fondo della stanza e rimanendo nuda, portandosi poi le braccia attorno al corpo, come per difendersi da quel pezzo di stoffa, che le aveva lasciato addosso un fetore nauseabondo. 

Il rumore della maniglia della sua porta aprirsi le fece rizzare il viso di colpo, bloccandole totalmente il respiro. 

-Che succede, cucciola?- chiese una voce calda, leggermente divertita, accompagnata da una mano rosea e una manica scura: Illuso. 

Incapace di parlare, o di bloccarlo, per impedirgli di vederla così nuda, esposta e debole, Celeste riuscì solo ad afferrare frettolosamente una coperta di lana, gettandosela addosso, nel vano tentativo di coprirsi. 

-Oh...!- disse l’uomo, trovandola terrorizzata e spoglia in quel modo, raggomitolata su sé stessa in un angolo del letto, col viso gonfio e stanco e gli occhi pieni di paura. 

Rimase sull’uscio della porta, incerto sul da farsi: non voleva spaventarla ancora, ma davvero non capiva che cosa stesse succedendo. Ovviamente, era sempre stata intimorita dalla loro presenza, com’era giusto che fosse, ma mai fino a questi livelli. Non l’aveva mai vista così inorridita e smarrita; pareva un animale selvatico ferito, messo all’angolo dal predatore.  

-Cucciola...- abbassò il suo tono di voce, provando a renderlo il più dolce e apprensivo possibile –...che cosa succede, bellissima? Me lo vuoi dire?- e fece qualche passo verso di lei, ottenendo come reazione solo uno stridulo soffocato, mentre la sua figura esile si premeva contro il muro, nella speranza di venirne assorbita. 

Sbuffò infastidito, alzando gli occhi al cielo: non era pagato abbastanza per fare da psicoterapeuta a qualche puttana raccolta in una bettola qualsiasi di Napoli.  

-Se non vuoi parlarne con me ne parlerai con Risotto; vado a chiamarlo.- sputò inacidito, ma dovette voltarsi verso di lei quando la sentì guaire, come se le si fosse riaperta una vecchia ferita: aveva reagito così al nome del suo capo? 

Si avvicinò a passo svelto verso la ragazza, intenta a stringere gli occhi e trattenere il fiato. Si accomodò sul suo letto, accanto a lei, e si piegò incuriosito verso il suo viso, non badando molto alla sua reazione quando la vide indietreggiare ancora, diventando un tutt'uno con la parete.  

-Vuoi dirmi che succede, o devo davvero chiamare Risotto?- enfatizzò il suono della “r” di quel nome, vedendola sgranare gli occhi e fare cenno di negazione col capo, violentemente. 

-No... no ti prego...!- la sua voce non era liscia e delicata come suo solito, tutt’altro: risultava roca e gracchiante, oltre che incredibilmente flebile. 

-Allora parla, cucciola.- e sorrise, attendendo una risposta, mentre indietreggiava di poco ed incrociava le braccia muscolose, tendendo il tessuto che copriva i suoi arti longilinei. 

La vide deglutire faticosamente, mentre volgeva lo sguardo verso le proprie mani, pallide e tremanti, intente ad aggrovigliarsi nervosamente. 

-Ieri sera...- gracchiò, lasciando che un’espressione addolorata le pervadesse il viso -...Risotto mi ha costretta a...- e gli occhi arrossati le si riempirono nuovamente di lacrime. 

Illuso trattenne un’espressione di stupore: non si aspettava che il suo capo agisse così nell’immediato. Avevano ricevuto il permesso di farle ciò che più desideravano solo ieri sera e lui la notte stessa si era dato da fare; incredibile. Rimase anche stupito dalla reazione così esagerata della ragazza: Risotto era certamente un bell’uomo, i modi rudi piacevano alle donne e, soprattutto, in una situazione simile le conveniva assecondare ciò che le veniva ordinato, a meno che non ne volesse pagare le conseguenze. Per essere così spaventata e rovinata, doveva chiaramente aver opposto dell’inutile resistenza, non volendo concedersi a lui, causandone quindi l’ira e poi la chiara punizione. 

-Costretta a? Continua tesoro, non posso mica leggerti nella mente io.- scherzò, ridacchiando, come se quella situazione non fosse in alcun modo disumana. 

Celeste si asciugò qualche lacrima, prima di inspirare ed espirare profondamente. 

-Mi ha costretta a praticargli del... del sesso orale...- 

La grassa e goduta risata di Illuso le fece scattare il viso, per poterlo guardare negli occhi: cosa stava succedendo? Stava veramente ridendo, così di gusto, al racconto di uno stupro?  

-Oh, ma andiamo Celeste! Ti facevo più forte di così, sai? Tutta questa scenata per un semplice pompino?- le prese giocosamente una guancia, strizzandogliela leggermente, mentre lei rimaneva immobile, con le palpebre sbarrate –Andiamo carina, poteva succedere molto peggio, lo sai.- e si alzò, continuando a ridacchiare, mentre si passava pigramente una mano fra i capelli.  

Aprì la porta della stanza e, prima di uscire, le rivolse ancora uno sguardo. 

-Sappi che il capo è molto arrabbiato con te: se ci sono degli orari, vanno rispettati, qualunque cosa succeda.- e la lasciò nuovamente sola, ancora più turbata e terrorizzata di prima. 

 

Uscì dalla propria camera solo un’ora dopo, con addosso una tuta grigia prestatale da Formaggio qualche giorno prima per usarla come pigiama, mentre a passo lento si dirigeva verso la sala da pranzo. Il suo stomaco la stava digerendo da dentro: non toccava cibo da ore e, nonostante la nausea fosse persistente, i crampi della fame avevano vinto. 

Entrando nella sala, sentì gli occhi dei presenti studiarla con uno sguardo sorpreso, ma anche parecchio infastidito.  

Risotto la fissò sedersi in un angolo del tavolo, mentre Prosciutto e Illuso riprendevano il loro discorso, lanciandole di tanto in tanto delle occhiate aspre. 

La situazione risultò stabile per qualche minuto, ma tutti potevano percepire la tensione che riempiva il salone: Celeste continuava a mordersi il labbro, deglutendo rumorosamente, come se la sua gola fosse ferita e secca, mentre fissava il pavimento davanti a sé, raggomitolata su sé stessa come una bambina spaventata; Risotto non le staccava gli occhi di dosso e Illuso continuava a spostare il proprio sguardo dalla ragazza, al suo capo e infine al suo collega, che continuava a parlargli, chiaramente infastidito dalla sua poca concentrazione.  

-Senti Illuso, se non ti interessa dillo chiaramente: non sono in vena di sprecare il mio tempo con te.- disse con tono scocciato il biondo, incrociando le braccia e poggiando il peso sulla gamba sinistra, indietreggiando leggermente con la schiena. 

-Eh? Ah scusami Prosciutto, hai ragione... prosegui pure.- rispose, spostandosi un ciuffo castano dal viso, prima di schiarirsi la gola e fargli cenno con una mano di riprendere il discorso. 

Egli storse la bocca, prima di sospirare. 

-No, dimmi cosa non va, so che tanto non mi ascolterai, almeno voglio sapere il motivo. Spero per te che sia valido.-  

Illuso sgranò gli occhi in maniera quasi impercettibile, mentre Risotto voltava finalmente il capo dalla ragazza per osservare i due: entrambi sentirono lo sguardo penetrante del loro superiore giudicarli, in attesa della prossima frase. 

Si sentì così piccolo sotto quegli occhi neri, sapeva di dover portare l’attenzione su qualcun altro. 

-È colpa sua!- sbottò finalmente, indicando Celeste, che alzò sbigottita il volto verso l’uomo, ancora più confusa e ferita, prima che egli riprendesse –È entrata con questo fare da cane bastonato e ora mi sento come se fosse successo qualcosa di grave e la situazione mi sta infastidendo, ha rovinato completamente l’atmosfera! Non riesco a concentrarmi con lei che piagnucola in un angolo!- concluse con un gesto plateale, spalancando le braccia e lanciando uno sguardo goduto alla ragazza, che lo guardava attonita, mentre un sorrisetto si dipingeva sul volto abbronzato di quel bastardo. 

Tutti si voltarono nuovamente verso di lei ed ella si sentì ancora più piccola, così indifesa e in pericolo, così esposta. 

“Perfetto.” pensò trionfante Illuso. 

Questa volta fu Prosciutto a parlare, con uno schiocco innervosito della lingua. 

-Allora Celeste- chiamò il suono nome con un tono strafottente –vuoi condividere con noi il motivo di questo tuo “turbamento”?-  

I suoi occhi vagarono dal biondo, al castano, per finire poi sull’uomo dai capelli bianchi e le sue orbite nere: la stava studiando; attendendo la sua risposta. Avrebbe avuto il coraggio di dire la vera motivazione del suo problema? Avrebbe avuto la forza di sopportare tutti i loro sbeffeggiamenti per essersi lasciata abusare? Avrebbe avuto lo stomaco per ricordare quell’incubo? Avrebbe avuto la tenacia di resistere alle conseguenze della sua rivelazione? 

Deglutì ancora, sentendo il suo esofago urlare di dolore. 

-Io...- balbettò, incerta, mentre i palmi tremanti cominciavano a sudare e gli occhi le pizzicavano il viso, iniziando a bruciare. 

Prosciutto alzò gli occhi al cielo. 

-Non provare a fare il tuo solito teatrino, intesi?- si avvicinò minacciosamente a lei, piegandosi in avanti per puntarle un dito contro –Non siamo le tue balie, sbrigati a parlare, altrimenti giuro su Dio che ti strappo quella lingua che ti ritrovi e poi passo alle unghie.- il suo sguardo risultò persino più scuro del solito e i suoi occhi azzurri parvero neri. 

Celeste sbiancò in viso alla minaccia, ormai conscia del fatto che quegli uomini non mentissero affatto, conscia della loro pericolosità. 

-Non ho niente che non va, se la mia presenza vi turba, vi chiedo scusa. Posso tornare nella mia camera, o cambiare stanza, non voglio infastidirvi in alcun modo; non è il mio intento.- rispose di getto, dopo un profondo respiro, che le aveva riempito il petto tremante di fiato. 

Prosciutto, che la stava scrutando con odio, torreggiando sulla sua figura, arricciò le labbra, con uno sguardo misto fra disprezzo e fastidio. Prima che potesse insultarla, Risotto intervenne. 

-Oggi sei troppo sfrontata, Celeste.- 

Ella trattenne il respiro, non trovando il coraggio di guardarlo, mentre lui continuava. 

-Non ti sei presentata all’orario prestabilito, non hai adempito ai tuoi doveri e hai deciso di uscire dalla tua stanza personale solo nel primo pomeriggio, unicamente per infastidire i miei uomini, intenti a parlare di lavoro. Come se tutto questo non bastasse, hai avuto anche il coraggio di rispondere a Prosciutto con tono supponente e sarcastico. Ti avevo già avvisato sulle conseguenze delle tue azioni impertinenti e spudorate, credevo che la lezione di ieri sera ti avesse lasciato qualcosa, ma pare che tu debba ancora imparare.-  

Si sentì un sibilo riempire la stanza, come un urlo soffocato, stretto dalla gola e infranto dai denti serrati: il viso di Celeste era ricoperto di lacrime, ma la sua bocca rimaneva chiusa e i suoi occhi restavano vuoti. 

Solo in quel momento Prosciutto capì: Risotto l’aveva torturata.  

Con un movimento rapido dello sguardo, studiò tutti i lividi visibili sulla pelle candida della ragazza e una scintilla passò per la sua mente; non l’aveva torturata nella maniera classica, l’aveva torturata nel modo forse peggiore di tutti, distruggendola non solo fisicamente, ma anche mentalmente, ferendola nel suo essere donna, facendola sentire colpevole per quello che stava ricevendo, facendole provare disgusto per il suo stesso corpo: l’aveva abusata. 

Non ricordava molte altre occasioni in cui il suo capo si era spinto a tanto; alcuni suoi colleghi erano più soliti nella pratica, basti pensare a Ghiaccio e Melone, o Sorbetto e Gelato, ma Risotto non scendeva quasi mai così in basso.  

A Prosciutto stesso era capitato in qualche occasione, ma non era la sua metodologia favorita: non era meglio d’altronde quando il rapporto era apprezzato da entrambe le parti? Certo, per alcuni soggetti si era dimostrata l’unica soluzione; infondo il loro obiettivo era quello di ottenere informazioni o riscatti e nulla distruggeva di più qualcuno che vedere i propri affetti denudati e umiliati, feriti per sempre nel loro intimo più profondo, nel rapporto con loro stessi, ma non sempre si sentiva in vena di farlo. 

A giudicare dal comportamento della ragazza, la violenza si era rivelata efficace. Ovviamente c’era ancora tanto da lavorare, si comportava ancora sfacciatamente nei loro confronti, ma si poteva notare un netto miglioramento.  

Un grido disperato lo fece tornare in sé. 

-Ti prego!- la ragazza si gettò ai suoi pedi, mentre si avvinghiava alle sue caviglie e polpacci, singhiozzando disperatamente. 

Il biondo non riuscì a reagire, sorpreso da quella reazione così improvvisa e sproposita, guardando confuso Risotto, che risultò invece totalmente indifferente alla situazione. 

-Aiutami, ti supplico, ti prego aiutami...!- sussurrò avvilita, alzando di poco gli occhi gonfi, ma sbarrati, rossi e pieni di lacrime che le rigavano le guance pallide. 

Grazie al movimento violento di una gamba, la fece cadere al suolo con un gemito strozzato, colpendola in pieno volto, spaccandole il labbro inferiore. 

-Sei penosa. Dovresti raccogliere quella poca dignità che ti è rimasta e tornare a comportanti da essere umano. Sembri un verme.- e con questo, Prosciutto uscì dalla sala, sbattendosi poi il portone d’ingresso alle spalle, facendo calare il silenzio più totale, interrotto sotto dai singulti soppressi di Celeste, che cercava di soffocare coprendosi la bocca tumefatta e sanguinante con una mano, scossa da dei tremiti. 

-Donna.- la chiamò severamente Risotto, facendole trattenere il respiro –Alzati e vatti a sciacquare il viso, troverai delle garze nel primo scaffale.- e così lei fece, abbandonando i due restati uomini soli. 

Illuso sospirò, mentre un sorrisetto goduto gli tirava i lati della bocca. 

-Che bello spettacolo che ci dà ogni volta la nostra cucciola, non è vero?- domandò al suo superiore, ricevendo come risposta uno sguardo impassibile. 

Il castano ridacchiò silenziosamente, camminando verso l’uscita del salone, prima di salutare Risotto e lasciare a sua volta l’abitazione.  

 

Con l’arrivo del buio, lo stomaco di Celeste era talmente contorto da farla piegare distesa sul letto, boccheggiando invano quando le fitte la raggiungevano: doveva mangiare.  

Con passo leggero e insicuro lasciò la sua zona sicura e si addentrò nella casa, raggiungendo la cucina, per cercare anche solo un pezzo di pane secco da mettere sotto ai denti. Il ticchettio dell’orologio che riempiva la sala silenziosa attirò la sua attenzione e lo vide segnare le due del mattino. Bevendo a grandi sorsi un bicchiere d’acqua, sentì la sua gola finalmente tacere e rilassarsi, la sua lingua tornare in vita, le sue labbra spezzate e gonfie rinfrescate.  

Osservò la sua immagine riflessa nel vetro dell’anta della credenza davanti a sé e quasi non riuscì a riconoscersi. Non solo il suo viso era totalmente tumefatto, pieno di segni violacei che si estendevano per il collo, lungo il suo corpo, assieme alla sua bocca ingrossata e i suoi occhi stanchi, ma poteva percepire qualcosa di diverso nel suo animo; qualcosa di rotto: la sua dignità.  

La notte precedente un mostro l’aveva forzata, contro la sua volontà, a una pratica intima, a un momento che si dovrebbe condividere col proprio partner, un momento che dovrebbe essere piacevole per entrambe le parti. Era risultata una tortura per lei e la continuava a tormentare ogni qualvolta chiudesse gli occhi, oppure quando le capitava di vedere il suo volto su una qualche superfice. Sapere di essere in casa, di dormire, di mangiare, di respirare assieme a quel demonio la terrorizzava, le faceva stringere le budella e le faceva scolorire il viso, mentre le gambe diventavano molli e tremanti.  

Come desiderato, trovò in una cesta posta in mezzo al tavolo del pane, nemmeno troppo raffermo e si sedette per mangiarne dei pezzi. Quasi le parve un momento di pace quello, quasi come quando tornava a casa stravolta da lavoro alle prime ore dell’alba, pronta a riempirsi la pancia, prima di coricarsi nel letto; come nella sua vita quotidiana prima di quell’inferno.  

Con un sorso d’acqua finale, concluse il suo veloce pasto, ma, proprio quando era sul punto di rialzarsi, dei passi la fecero congelare sul posto. 

Una voce severa tuonò dietro di lei. 

-Celeste.- 

  

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Capitolo 15
*** Dita ***


-Celeste.- 

Il tempo parve fermarsi, assieme al ticchettio delle lancette dell’orologio sopra di lei.  

Anche il sangue nelle sue vene parve fermarsi, assieme al suo battito cardiaco: tutto si bloccò, ma solo per un istante.  

I passi minacciosi e lontani proseguirono, facendosi sempre più vicini a lei, arrestandosi pericolosamente a pochi centimetri dalla sua schiena, mentre due mani grandi, callose e calde, le cingevano i fianchi morbidi, portandoli vicini a quel corpo stoico, ritto e severo. 

Celeste deglutì, sentendosi premere contro un petto largo e bollente, percependo le dita spesse scorrere delicatamente su di lei, assaporando ogni centimetro delle sue curve, così soffici, ma rovinate dai loro stessi abusi.  

La sua bocca sfregiata si contorse con un soffio quando un dito fece particolarmente pressione su uno dei lividi nascosti, mandando per tutto il suo corpo una sensazione dolorosa, come degli aghi che si conficcavano lentamente nelle sue carni.  

Si sentì rabbrividire quando percepì la punta fredda del naso di quell’uomo farsi strada nell’incavo del suo collo, annusandola come se fosse un fiore raro, baciandole gentilmente la pelle con la sua bocca umida, azzardando a leccarne giocosamente un pezzo con la lingua, quasi la volesse assaporare, invogliato dalla sua fragranza. 

Nonostante lei stessa fosse una donna di media altezza, paragonata a lui risultava quasi come una bambina, arrivando col capo ai suoi pettorali, sentendo il suo membro non del tutto eretto premere contro la parte bassa della sua schiena, proprio sopra l’osso sacro. 

Lo sentì esalare pesantemente, quasi con tono tremante. 

-Risotto...- parve guaire lei: non sarebbe riuscita a sopportare un altro abuso, soprattutto non dopo la sera precedente e ciò che era successo poco prima. 

Sentiva che se lui l’avesse anche solo sfiorata ancora una volta, sarebbe impazzita completamente.  

I suoi occhi vagarono sul set di coltelli da cucina davanti a lei e un pensiero le balenò nella testa: avrebbe potuto usare quelli, si sarebbe potuta difendere; lo avrebbe potuto uccidere. Sarebbe poi scappata dalla casa, dopo avergli ovviamente rubato le chiavi del portone, e sarebbe finalmente potuta correre libera, lontana da loro, salva da quei mostri! 

L’avrebbero trovata il giorno successivo, se non loro, altri scagnozzi, e l’avrebbero scuoiata viva, per aver provato a sfidare il loro boss. 

L’avrebbe uccisa Risotto stesso, afferrandole il polso sottile prima ancora che potesse scagliare il suo colpo iniziale, per poi strapparle l’arma dalle mani e usarla lui stesso contro di lei. 

Scosse mentalmente la testa: no, aggredirlo sarebbe risultato del tutto inutile e ancora più rischioso di quello che già stava vivendo. Si era resa conto che, più combatteva e si opponeva, più ferite e soprusi riceveva. Un giorno o l’altro le avrebbero spaccato tutte le ossa del corpo, prima o poi le avrebbero bruciato la pelle, fatto lo scalpo, strappato le unghie. La soluzione era non opporre resistenza, abbandonarsi completamente a loro: lasciarli fare. 

Assecondarli, forse? 

Se li avesse assecondati, a mano a mano loro si sarebbero fidati sempre di più, magari... e magari sarebbe riuscita a convincerli a lasciarla andare, o a lasciarla sempre meno custodita, fino a rimanere completamente sola in casa un giorno, per poter finalmente scappare e far ricadere tutte le colpe su di loro! 

Tranne un piccolo sorrisetto: aveva trovato la soluzione; doveva fingere di essersi totalmente arresa e di godere, in realtà, delle loro attenzioni. Solo così sarebbe riuscita a guadagnare la loro fiducia e una possibile via d’uscita. 

Doveva unicamente imparare a sopportare quegli abusi, a fingere di amare i loro tocchi, a trattenere i conati di vomito ai loro commenti e le lacrime davanti ai loro baci.  

Doveva farlo, doveva scappare da quel posto, doveva fuggire dal loro boss. 

Spinse quasi con irruenza, ma delicatezza, il proprio bacino contro il pene dell’uomo, sentendo il suo respiro bloccarsi, assieme alle sue labbra carnose, che avevano continuato a sfiorarle il collo per tutto quel tempo. 

-Risotto...- riprese, con tono arioso –...mi dispiace...- disse sommessamente, guardandolo con la coda dell’occhio, ruotando di poco il viso verso il suo; gli occhi dell’uomo la guardavano confusi e severi. 

Sapeva di non dover esagerare con questa farsa, non poteva certamente permettersi di cambiare atteggiamento da un giorno all’altro. Doveva essere un processo lento, a piccoli passi, e il primo sarebbe stato quello di chiedere perdono al mostro per essersi comportata in modo sfrontato, per averli sfidati, per essersi opposta e aver lottato per i propri diritti. Avrebbe comunque opposto resistenza ai suoi tocchi, ma sarebbe stata un’opposizione molto più blanda, meno convinta di quelle precedenti e si sarebbe lasciata sfuggire dei segni di benessere. 

-Cosa intendi dire, donna?- grugnì in risposta, scrutandola con diffidenza. 

Lei deglutì: doveva attenersi al piano, doveva procedere con cautela. 

-Mi sono resa conto di... di avervi mancato di rispetto, oggi e anche gli altri giorni...- abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente, mentre il labbro gonfio le tremava per la paura. 

Un piccolo verso di approvazione e il riprendere dei suoi leggeri baci sul suo collo la spinsero a continuare, spostando il capo dalla parte opposta, per lasciargli più spazio possibile sulla sua pelle. 

-Potreste essere molto più severi con me, potreste forzarmi molto di più, ma non lo fate...- prese con le proprie mani quelle venose dell’uomo e le mosse delicatamente lungo i suoi fianchi, senza fare movimenti troppo azzardati o sfrontati; a piccoli passi -...non so se sono io, magari sto davvero impazzendo, ma sento di dovervi delle scuse... di doverti delle scuse, Risotto.- fermò i movimenti, bloccando le loro dita vicino alla sua intimità, prima di riprendere il gesto intimo. 

Poté sentire sempre di più la sua erezione premere contro la sua schiena, farsi più grande ogni minuto, pulsare sotto di lei, emanare calore. 

La gola le si strinse al solo pensiero, il ricordo della nottata precedente le fece contorcere le budella, ma dovette ingoiare ogni memoria di quell’incubo per andare avanti. 

-Cosa stai tramando?- domandò, sorprendendola. 

“Ha già capito?” strinse i denti, frustrata “No, devo fare la stupida, devo fingere di non arrivarci e di essere più ingenua di quello che si aspettano.” 

-Uh...?- chiese confusa, portando il proprio viso verso l’uomo -In che senso? Non capisco cosa intendi...- e abbassò nuovamente gli occhi azzurri, stringendo leggermente le labbra, per quanto le fosse possibile, viste le loro misere condizioni. 

-Lo sai benissimo cosa intendo, donna.- e con un gesto violento la fece piegare contro il tavolo, bloccandole il capo con la pressione di una mano, mentre l’altra le stringeva possessivamente la vita, premendo il proprio pene contro di lei, facendola guaire. 

-Per favore Risotto, sono seria...! Così mi fai male!- gemette, iniziando comunque a muoversi quasi in maniera impercettibile contro la sua erezione. 

Lo sentì ridacchiare sopra di lei, mentre le sue dita callose vagavano dal suo punto vita, alla sua schiena, finendo con uno schiocco del palmo contro un suo gluteo, facendola gemere, sorpresa.  

Quel verso portò ancora più sangue al suo sesso e lo fece esalare rumorosamente dal naso, spingendolo a ripetere il gesto una seconda volta, poi una terza, una quarta e una quinta, sempre più prepotentemente, fino a farla urlare. 

Ansimando, voltò il viso arrossato e rigato di lacrime verso di lui, mentre i ciuffi biondi della frangia le si attaccavano alla fronte umida e delle piccole ciocche dorate si posavano sopra le sue labbra rosse. 

-Risotto...- boccheggiò, socchiudendo gli occhi color ciano, adornati dalle sue ciglia folte e chiare. 

-Dimmi cosa vuoi.- 

Gemette ancora, voltando il capo, paonazza in volto, continuando a respirare pesantemente, seguita dall’uomo che la torreggiava, anche se egli mostrava più compostezza. 

“Cosa faccio? Merda, ora cosa gli rispondo? Dovrei dirgli che voglio essere scopata e farlo felice, ma renderlo ancora più sospettoso, oppure dovrei iniziare a opporre resistenza e rischiare di essere nuovamente picchiata?” si guardò velocemente attorno, continuando a pensare a una risposta plausibile “Devo rimanere credibile, non posso da un giorno all’altro voler fare sesso con lui, soprattutto se la sera prima mi sono messa a urlare a piangere... devo resistere, devo rimanere nel personaggio.” 

-Mi stai facendo male... lasciami andare!- rispose, facendo pressione coi propri palmi contro il legno del tavolo sotto il suo corpo, nel tentativo di alzarsi un minimo, mentre lui la teneva bloccata senza alcuno sforzo. 

-Hai già cambiato idea?- la sbeffeggiò, cominciando a muovere la propria erezione contro i suoi glutei e la sua intimità, facendole trattenere il respiro, mentre iniziava a massaggiarle una coscia, piegandosi lievemente contro la sua schiena –Non vuoi più che ti scopi, eh?- 

Fece cenno di no col capo, stringendo le palpebre e le labbra, mugolando alla sensazione sgradita del suo membro che si faceva strada fra il suo corpo. 

-Ti prego, non farmi del male, Risotto...- esalò, lasciandosi sfuggire di proposito un ennesimo gemito a una spinta particolarmente forte del bacino dell’uomo -...io volevo solo chiederti scusa.- 

-Implorami.- 

-Uh...?- la sua voce risultò genuinamente confusa, mentre il suo intero corpo si tendeva, disorientato. 

-Ho detto: implorami.- ripeté, stoicamente. 

Questa volta Celeste comprese indubbiamente l’ordine imposto: doveva implorarlo di lasciarla andare, di non farle del male; doveva supplicare la sua pietà. 

Deglutì duramente, mandando giù non solo la sua saliva, ma anche quel poco di orgoglio che le era rimasto, dopo tutte quelle giornate passate a essere umiliata e abusata da quel gruppo di porci. 

-Ti supplico...!- singhiozzò, premendosi di proposito contro l’erezione pulsante di quel mostro, ricevendo come risposta un grugnito di approvazione e una forte sculacciata, che la fece guaire per la sorpresa. 

-Ancora.- 

-Ti prego Risotto, non farmi del male! Ti prego!- come risposta ricevette un ennesimo colpo inferto col palmo della mano. 

-Sei fradicia, cazzo...- borbottò l’uomo sopra di lei, posando due dita sopra la sua intimità, facendole trattenere il respiro, mentre d’istinto alzava i fianchi, per allontanarsi da quella pressione indesiderata, andando solamente a premersi ancora di più contro il pene di Risotto, facendolo ringhiare e piagare ulteriormente su di lei, schiacciandola contro il tavolo e quasi bloccandole i polmoni. 

“Sono... bagnata?” si interrogò, sentendosi tradita dal suo stesso corpo: perché stava reagendo in questo modo? Perché stava traendo piacere fisico da una cosa così psicologicamente deteriorante? Si odiava per quello che le stava succedendo, si odiava per le risposte che il suo organismo stava dando a quella bestia, soddisfacendolo e compiacendolo. 

Sentì la pressione contro la sua testa abbandonarla, assieme a quella contro le sue labbra più intime, ma solo per percepire i pantaloni della sua tuta venir abbassati, accompagnati dal proprio intimo e, prima che potesse protestare, il suo capo venne piegato violentemente nella sua posizione originaria, facendole battere con veemenza la fronte contro la superfice dura e lignea. 

Subito tre dita dell’uomo la penetrarono, facendole aprire la bocca, senza che però nessun suono uscisse, mentre le sue pareti si stringevano attorno a quella presenza intrusa. 

-Incredibile...- parve ridacchiare, con tono strozzato -...nonostante tu sia una troia, sei comunque abbastanza stretta.- e iniziò a masturbarla, facendola contorcere e arrossire, umiliata dalle sue parole denigratorie e da quella situazione alienante. 

-Fai piano, cazzo...!- protestò, contorcendosi alla sensazione violenta. 

-Non sei nella posizione di dare ordini.- e rimosse le dita dalla sua intimità, forzandole questa volta nella bocca socchiusa della ragazza, facendola gemere. 

Prima ancora che l’uomo le desse dei nuovi ordini, Celeste si ritrovò a succhiare quelle falangi, terrorizzata da quello che le sarebbe accaduto se si fosse rifiutata. 

-Sei proprio una puttana...- esalò l’uomo, affondando più in profondità le dita, raggiungendole la gola e facendola boccheggiare, colpita da un forte conato di vomito, che dovette trattenere, lacrimando e respirando affannosamente dal naso. 

La situazione le riportò alla mente l’esperienza non troppo lontana avvenuta con Ghiaccio. Il terrore che aveva sentito in quell’occasione era pari e quello provato in quel momento, ma era percepito in maniera differente: se con Ghiaccio aveva lottato, urlato e scalciato, pur di riuscire a liberarsi, questa volta non riusciva a trovare le forze per opporsi. Tutti i suoi sforzi si sarebbero rivelati inutili, se non deleteri; combattere non aveva senso.  

 Questa volta nessuno sarebbe arrivato a salvarla, erano soli in quella casa.  

Nessuno le avrebbe chiesto come mai era rimasta isolata con lui in una stanza. 

Nessuno le avrebbe detto di averlo provocato. 

Nessuno l’avrebbe umiliata ulteriormente 

Questa volta sarebbe stata lei a usare loro. 

Gemette più forte, riuscendo a liberare una delle sue mani da sotto il suo peso, per portarla alla sua intimità, iniziando poi a toccarsi con delicatezza, non penetrandosi mai veramente, ma comunque vagando con grazia fra le sue pieghe bagnate.  

Doveva riuscire a prendere il controllo della situazione. 

Doveva riuscire a ingannare dei mafiosi. 

Risotto fermò i suoi movimenti e poté sentire il suo sguardo penetrarla, perplesso, ma incuriosito. 

Prima che potesse domandargli come mai si fosse fermato, così improvvisamente, la sua bocca fu di colpo vuota e si ritrovò rivoltata in pochi secondi, con la schiena stesa lungo il tavolo e le gambe piegate sul suo petto. 

Le sfuggì un gemito di sorpresa quando vide Risotto, vestito unicamente da un paio di pantaloni della tuta grigi, tesi nella zona inguinale, avvicinare il proprio viso severo al suo, scrutandola con disprezzo, con le pupille talmente tanto dilatate da quasi far sparire l’iride rossa, lasciando gli occhi totalmente neri. Si sentì sprofondare nella loro oscurità, forzata a cadere in un baratro senza via d’uscita. 

Non si oppose quando egli posò violentemente le proprie labbra, leggermente screpolate, sulle sue, ancora gonfie e doloranti, e non si oppose quando sentì la sua lingua penetrare nella sua bocca, trovandosi persino a ricambiare il gesto, mentre le dita dell’uomo tornavano fra la sua intimità e ricominciavano a stimolarla, facendola tremare sul posto.  

-Risotto...- lo chiamò, fra un bacio e l’altro, mentre lui spostava la sua attenzione lungo il collo magro e teso della ragazza, scendendo lungo le sue clavicole, continuando a toccarla, facendola contorcere e ansimare. 

La fissò intensamente quando alzò il viso e rimosse le dita da dentro di lei, ma l’atmosfera si fece ancora più tesa e pesante quando lo vide rimuoversi i pantaloni e i boxer, passando poi ai calzari abbassati alle caviglie di Celeste e infine alla maglia della bionda, lasciando entrambi nudi, esposti uno davanti all’altro. 

Nonostante fosse sicura del suo piano, non poté impedire alle proprie lacrime di offuscarle la vista, quando percepì il membro gonfio e duro dell’uomo allinearsi fra le sue labbra umide e dischiuse.  

Prima che potesse pentirsi di tutte le sue decisioni precedenti, prima che potesse implorarlo di smetterla, prima che potesse prepararsi a quello che le sarebbe accaduto, Risotto la penetrò brutalmente, facendole sfuggire un urlo strozzato e facendole aggrappare gli avambracci dell’uomo, piantandogli le unghie appuntite nella pelle olivastra. 

Era successo: Risotto la stava violentando. 

Lo sentì sospirare pesantemente, inspirando dal naso ed esalando rumorosamente dalla bocca, mentre stringeva avidamente i fianchi carnosi della ragazza sotto di lui, che teneva il capo voltato su un lato, pur di nascondere le proprie lacrime, simbolo della sua vergogna e della sua umiliazione. Simbolo della sua sconfitta. 

Celeste aveva perso. 

Senza aspettare che ella si abituasse alla sensazione, lui cominciò a muoversi, senza alcuna delicatezza, riuscendole a strappare continui gemiti e grida a ogni penetrazione. Quei suoi versi lo mandavano sull’orlo dell’orgasmo ogni volta: vederla, sentirla e percepirla così disperata a causa sua lo eccitava più del dovuto. 

L’idea di essere la causa di una tale angoscia lo mandava in estasi. Vedere una persona, che si comportava sempre in maniera così sfrontata e spavalda, ridotta in mille pezzi sotto di lui, così gonfia di lividi, così coperta di lacrime, coi capelli spettinati e il viso arrossato, scossa dai brividi e delle sue spinte violente, lo faceva sentire un dio. 

In quel momento si sentì padrone della vita e, soprattutto, dell’integrità di una persona: essa dipendeva da lui, dalle sue decisioni e dalle sue azioni. 

Se Risotto avesse voluto, le avrebbe potuto stringere al collo le proprie mani callose e, senza alcuno sforzo, avrebbe potuto ucciderla in pochi istanti. Avrebbe potuto schiaffeggiarla fino a renderle il volto irriconoscibile; avrebbe potuto romperle ogni osso nel corpo. 

Avrebbe potuto violentarla per ore. 

Avrebbe voluto possederla per giorni.  

Anzi, non è che avrebbe potuto: lui poteva e, soprattutto, voleva. 

Con un movimento rapido, la fece alzare sul posto e le fece stringere quelle gambe muscolose e femminili attorno alla sua vita, per poi posizionare le proprie mani callose sotto quei glutei sodi, ma al contempo soffici, per spostarla dalla superficie dura e fredda del tavolo quella più morbida di uno dei divani in sala.  

La sentiva piangere nell’incavano della sua spalla, rannicchiata attorno a lui, come una bambina appena caduta dalla bici, che singhiozzava disperata nelle braccia del proprio padre, per colpa di un ginocchio sbucciato.  

Esalò ancora quando la sentì stringersi spasmodicamente attorno al suo membro pulsante, dopo averle appoggiato la schiena per lui così minuta fra i cuscini del loro sofà.  

I loro occhi si incrociarono: due topazi che si perdevano in un profondo abisso. 

-Per favore...- la sentì sussurrare, continuando a mantenere il contatto visivo, mentre le lacrime continuavano a scorrerle giù per le guance gonfie e arrossate, mentre lui continuava a penetrarla senza fermarsi, mentre le stringeva avidamente il bacino per posizionarlo in un angolo migliore. 

-Cosa?- la sua voce risultò più tremante di quanto avesse voluto.  

-Per favore...- ripeté, chiudendo gli occhi e posando le sue mani delicate su quelle spalle possenti e leggermente umide di sudore -...non farmi del male.-  

Risotto si chinò su di lei per baciarla ed ella si ritrovò a ricambiare il gesto, cingendogli il capo e tirando leggermente delle ciocche bianche fra le sue dita, sentendo il ritmo dell’uomo farsi ancora più veloce, sentendolo spingere sempre più in profondità. 

Dopo aver rialzato il busto e dopo altre spinte, lo sentì scivolare fuori da lei, ansimando lievemente. 

-Voltati.-  

Reggendosi sui propri arti tremanti, fece come ordinato e si ritrovò a quattro zampe davanti a lui, con le ginocchia che affondavano sotto il suo peso e anche il peso di Risotto, che si posizionò dietro di lei, penetrandola nuovamente e riprendendo i suoi movimenti. 

Sentì i suoi lunghi capelli venir raccolti in una mano, prima di essere tirati violentemente, facendole alzare il capo involontariamente, gemendo dolorante alla sensazione. Dopo qualche strattone, sentì la presa sparire, ma unicamente per essere sostituita da dei forti colpi contro uno dei suoi glutei, costringendola a lamentarsi nuovamente, facendole affondare il viso fra i cuscini, per soffocare i propri singhiozzi. 

-Cazzo...- lo sentì annaspare, mentre stringeva duramente le sue carni fra le dita, massaggiandole in seguito. 

Passate quelle che le sembrarono ore, le sue spinte si fecero sempre più irruenti e scomposte, finché, con un gemito troppo profondo per essere considerato umano e un’ennesima imprecazione, non venne, dentro di lei.  

Ansimò ancora qualche istante, carezzandole delicatamente un fianco, prima di uscire finalmente da lei. La ragazza attese prima di parlare: doveva recuperare il proprio fiato, ma soprattutto doveva riuscire a proferire parola senza scoppiare a piangere per l’ennesima volta. 

-Sei...- guaì, attirando l’attenzione dell’uomo, che si era ormai alzato ed era già intento a rivestirsi -...sei venuto dentro?- la preoccupazione era percepibile nella sua voce, nonostante fosse così bassa e rotta dalle lacrime che non era riuscita a controllore. 

Sentì il suo respiro fermarsi per qualche secondo. 

-Sì.- 

-Cosa...?!- quasi urlò Celeste, alzandosi sui gomiti, ancora troppo debole per prendere una posizione seduta, rimanendo raggomitolata sul divano, ripiegata sul suo corpo nudo. 

-Non vedo il problema.- rispose semplicemente, alzando di poco le spalle, prima di andare nella cucina non troppo distante, lasciando alla ragazza la possibilità di guardarlo, mentre era intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua -Se proprio dovessi rimanere incinta, ci sono molti metodi per risolvere la situazione, no?.- 

La tranquillità con cui trattava l’argomento la lasciò sgomenta, ancora più spaventata e confusa di quanto già non fosse.  

-Tu sei un pazzo...- esalò, chiudendosi ancora di più sul posto. 

Lo sentì ridacchiare, mentre i suoi passi si dirigevano verso la camera da letto, lasciandola sola, in quella stanza. 

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Capitolo 16
*** Giornale ***


Il ricordo della sensazione del suo sperma bollente colare lungo l’interno della sua coscia la fece rigirare a disagio fra le coperte; la luce del sole filtrava attraverso i vetri della finestra posta davanti al suo letto, colpendola in pieno viso e forzando la ragazza a coprirsi il volto gonfio con un cuscino. 

Nonostante fossero oramai le dieci passate del mattino, nessuno si era ancora palesato nella sua stanza per costringerla fuori dalle coperte.  

“Probabilmente Risotto ha detto loro qualcosa...” pensò, prima di ridere di  stessa: come se a quel mostro importasse il suo stato. 

No, semplicemente non avevano ancora avuto bisogno di lei e non si erano scomodati di andare a controllare la sua situazione. Per quanto riguardasse loro, Celeste poteva essersi impiccata ore prima, ma finché non fosse stata necessaria per una qualche mansione domestica, o sessuale, nemmeno un membro della Squadra sarebbe entrato in camera sua. 

Di colpo sentì gli occhi venir pizzicati dalle sue lacrime: la memoria della sera precedente si fece strada nella sua mente indebolita, ricordandole ogni particolare. Ogni spinta, ogni gemito, ogni tocco, ogni vena... 

Tutto. 

Le budella si contorsero su loro stesse, causandole un forte conato, che la scosse talmente tanto da provocarle un pianto isterico, mentre si copriva il volto disperata. 

Era stata una povera idiota a pensare di riuscire a superare mentalmente Risotto. Sapeva perfettamente di essere inferiore a lui fisicamente, ma sapere di essere persino meno astuta di quella bestia la demoralizzava. Vincere contro di lui era impossibile. 

Anzi, non aveva proprio senso combattere in primo luogo, era unicamente uno spreco di energie e un pericolo in più, considerato che a quell’uomo non piaceva venir sfidato, o peggio ancora, essere sottovalutato.  

Dopo qualche respiro profondo, Celeste si alzò pigramente dal materasso, prendendo dei vestiti nuovi e dirigendosi cautamente verso il bagno, per lavarsi un attimo, prima di affrontare quei maiali. Ringraziò chiunque la stesse guardando da lassù quando non incontrò anima viva né nel corridoio, né nella toilette. 

Quando ebbe finito di rinfrescarsi e di vestirsi, applicò un trucco leggero, nel tentativo di migliorare un minimo il suo aspetto sfatto e stanco: voleva dimostrarsi forte. Non voleva dar loro la soddisfazione di averla distrutta, non così tanto. 

Finita la sua treccia francese contò fino a dieci e si diresse a testa alta verso il salotto. Il suo obiettivo era quello di non scoppiare a piangere rivedendo lo scenario della sera precedente, ma soprattutto di non avere un attacco di panico davanti al viso stoico di Risotto.  

Doveva trattenersi, doveva rimanere forte. 

Doveva riprendersi un poco di dignità, quel che bastava per sopravvivere come essere umano e non come oggetto, usato e passato da mostro a mostro. 

-Allora è viva.- sputò acidamente Ghiaccio, scrutandola entrare e destando l’attenzione di Pesci e Prosciutto, seduti nei divani accanto a lui. 

Celeste osservò accuratamente la stanza: poté quasi sentire le mani di Risotto toccarla mentre scorreva gli occhi lungo quei cuscini rovinati e il ricordo del suo membro pulsante forzato dentro di lei la fece tramare sul posto. 

-Dov’è il vostro capo?- chiese, dopo aver accennato un saluto con un veloce gesto della mano, dirigendosi subito dopo verso la cucina: dov’era finito quell’uomo? 

-Perché cazzo dovrebbe interessarti, troia?- rispose con un’altra domanda il ragazzo dai capelli azzurri. 

Lei alzò le spalle, versandosi dell’acqua bollente nella tazza, guardando disinteressata la bustina del tè gonfiarsi e galleggiare, mentre rilasciava il proprio colore ambrato e il proprio aroma amaro sulla superficie. 

-Nulla, è la prima volta che mi sveglio e non lo trovo in casa, tutto qui.- e soffiò contro il vapore bollente della bevanda, portandosela alla bocca e assaporandone un piccolo sorso. 

-Ha delle commissioni da svolgere, oggi staremo noi qua.- la informò Prosciutto, riportandosi alle labbra la sigaretta. 

Celeste annuì, ringraziandolo. Posò poi i propri occhi sul cosiddetto fratello dell’uomo e, quando lo vide arrossire lievemente per il contatto visivo, gli sorrise dolcemente: possibile che anche lui fosse coinvolto in tutto questo? Sembrava un ragazzo così dolce; brutto sì, per carità, davvero brutto, ma fino ad allora era stato l’unico a trattarla come un essere umano in quella casa. 

-Volete mangiare qualcosa di particolare oggi, oppure posso fare da me?- chiese, spostandosi la treccia dorata dalla spalla, lasciandola scivolare lungo la schiena. 

Prosciutto la scrutò con disprezzo, mordendo leggermente il filtro arancione fra i suoi denti d’avorio. 

Non poté fare a meno di notare come il suo viso quel giorno fosse persino più stanco del solito. Gli occhi pesti, arrossati e gonfi, le guance stranamente scavate, le occhiaie che le solcavano il volto, il labbro ancora deformato dal calcio della serata precedente. 

Nonostante tutte quelle imperfezioni, così degradanti, la trovò ugualmente incantevole. 

Strinse ancora di più la sigaretta a quel pensiero, infastidito dalla sua stessa mente: come poteva trovare una donna così inutile attraente? Tutto quello che faceva in quella casa era cucinare, pulire, lamentarsi, piangere e comandare. Davvero non capiva come mai, ogni qualvolta posasse i propri occhi su di lei, finiva con l’immaginarla stesa nel suo letto, con le gambe divaricate, solo per lui, mentre lo pregava, arrossata in volto, di farla venire, toccandosi disperatamente da sola. 

Scosse la testa, rimproverandosi: era da troppo tempo che non scopava, ecco perché pensava certe assurdità vedendola. Il lavoro ultimamente lo stava impegnando troppo e le poche serate libere che gli rimanevano le sfruttava per riposarsi, o per passare del tempo coi suoi colleghi e compagni, dedicandosi a conversazioni spensierate e leggere. 

-Fai come preferisci, basta che sia pronto in tempo.- esordì finalmente, accompagnando la risposta con un gesto blando della mano. 

-Sì signore.-  

Prosciutto strinse leggermente il pugno. Ancora si permetteva di prenderlo così per il culo, davanti a tutti, dopo le botte della sera precedente?  

Sbuffò: Risotto era stato chiaramente troppo gentile con lei. Certo, l’aveva punita a dovere, ma non era stato abbastanza. Sarebbe stato più che felice di aiutare a correggere il carattere impertinente di quella ragazza, lo avrebbe fatto molto volentieri. 

-E soprattutto che sia commestibile, cazzo!- aggiunse Ghiaccio, sbattendo teatralmente il giornale che stringeva fra le dita di una mano contro la propria coscia marmorea –Ogni volta che cucini sa tutto di merda, possibile che te non sappia fare proprio un cazzo, se non la puttana?- 

Celeste sorseggiò un po’ di tè, prima di abbassare la tazza e rivelare un’espressione quasi divertita: quell’ometto era assurdo. 

-No...- disse tranquillamente, catturando l’attenzione di tutti gli uomini, stupiti dal fatto che stesse davvero rispondendo agli insulti del loro collega, cogliendo di sorpreso il riccio stesso –Sono brava solo in quello.- e, con un gesto veloce, strappò di mano a Ghiaccio quei fogli di carta, sorridendogli scherzosamente e tornando accanto ai fornelli, prima di iniziare a leggere lei stessa quel quotidiano. 

Immediatamente, Prosciutto e Pesci si voltarono all’unisono i verso il compagno, pronti a sentirlo urlare a vederlo schiaffeggiare Celeste, ma nulla di tutto questo accadde: semplicemente, lui rimase con lo sguardo fisso verso la propria mano, ora vuota, senza dire una parola. 

-Che cazzo...- parve sussurrare poco dopo, prima di alzarsi di scatto e dirigersi a passo svelto verso il bagno. 

La ragazza, nascosta dietro un muro portante della cucina, si coprì la bocca con un palmo tremante della mano, stringendo spasmodicamente il giornale, ansimante: aveva rischiato grosso. L’adrenalina ancora le scorreva fra le vene, facendola sudare gocce gelate, terrorizzata dalle sue stesse azioni. Che cazzo le aveva detto la testa? Aveva rischiato veramente troppo questa volta, avrebbe potuto picchiarla a sangue, se solo quel giorno non fosse stato stranamente tranquillo. Doveva procedere con più cautela, non poteva permettersi certe azioni, non con soggetti simili, soprattutto!  

Sospirò, sollevata: basta pensarci, era viva e aveva ancora tutti i denti, l’importante era quello. La prossima volta avrebbe prestato più attenzione.  

 

-Avete sentito che cazzo ha fatto quell’ex chirurgo l’altro giorno? Incredibile che il boss lo abbia davvero preso, quel cazzo di psicopatico!- sbottò Ghiaccio, posando la forchetta, dopo aver finito il suo piatto di pasta. 

-Ho sentito dire che faceva svegliare di proposito i suoi pazienti durante le operazioni, per vedere le loro espressioni sofferenti...- balbettò impaurito Pesci, prendendo un sorso d’acqua. 

-C’è da dire che al boss piace circondarsi di soggetti davvero instabili.- aggiunse Prosciutto, facendo annuire gli altri due. 

-Un giorno gli costerà cara questa scelta! Così impara a prendere cani e porci e a pagarli una miseria, quello stronzo!- 

-Ghiaccio, piano con le parole.- lo ammonì il biondo, quasi sussurrando –Non possiamo lasciarci andare con lei qua, ti ricordo che un giorno la dovremo portare al boss, rischiamo che gli dica tutto...-  

Pesci guaì terrorizzato, ricevendo uno sguardo infastidito dai due uomini. 

-Ti preoccupi troppo, Prosciutto!- ridacchiò il riccio, togliendosi gli occhiali per pulirli col bordo della tovaglia –Pensi davvero che ascolterà anche solo una parola di quella troia? Secondo me se la scoperà un paio di volte e poi la butterà in un qualche fosso.- concluse, riportandosi la montatura rossa sul naso, sistemandola con un gesto della mano. 

Il biondo fece segno di no col capo, incrociando le braccia. 

-E perché no, fratello?- chiese, con voce sinceramente perplessa, Pesci. 

-Pensateci un attimo.- e si chinò verso di loro, abbassando ancora una volta il proprio tono di voce –Secondo voi davvero il boss, con tutto il lavoro che deve fare, con tutto quello che deve gestire, si metterebbe a sprecare altre energie per una semplice spogliarellista?- 

-In che senso?-  

-Vi pare sia credibile che abbia mobilitato noi, la Squadra Esecuzioni, specializzata in assassini sotto commissione, per un semplice rapimento? Il rapimento di una ragazza così, per giunta.- poggiò la propria schiena contro lo schienale della sedia in legno, accendendosi una sigaretta, espirandone il fumo, prima di continuare –No, sono dell’idea che ci sia qualcosa sotto. Il boss non si è mai fidato veramente di noi, sa benissimo che siamo insoddisfatti dei suoi pagamenti scarni, sa bene che un giorno faremo qualcosa per scoprire la sua identità, aspetta solo il momento giusto in cui proveremo ad agire.- 

-Ma lei che c’entra?-  

-Non ci arrivi, Pesci?- lo fulminò Prosciutto con lo sguardo, facendogli abbassare il capo, mortificato –La sta usando come talpa, la usa per raccogliere informazioni.- 

-Quindi stai dicendo che anche lei in realtà fa parte di Passione e sta facendo da spia?- 

-No no, è troppo stupida per questo... semplicemente la sta sfruttando a sua insaputa: la sta usando per raccogliere informazioni, senza alcun sospetto. Tenendola con noi ventiquattro ore su ventiquattro, lasciandola entrare nella nostra intimità, sentendoci parlare, stando seduta con noi, raccoglie involontariamente tutte le nostre lamentele, le nostre idee, i nostri piani.- lo sguardo dei tre si spostò all’unisono verso la cucina, dove si poteva scrutare la schiena della ragazza, intenta a lavare le stoviglie utilizzate per preparare loro il pasto.  

-E una volta presa, lei gli riferirà tutto quello che ha sentito...- sussurrò Ghiaccio, sgranando leggermente gli occhi neri, facendo annuire Prosciutto, che proseguì. 

-Esattamente. Magari gli riferirà tutto di sua spontanea volontà, oppure dovrà essere torturata per parlare, ma sono certo la stia usando per raccogliere prove della nostra infedeltà nei suoi confronti.- 

-Risotto sa già di questa tua ipotesi?-  

-Non ancora, vorrei esporgliela in futuro... non sono certo di tutto ciò, ma sono sicuro che la situazione non sia come appare. Per questo, evitiamo il più possibile di parlare del boss quando lei è presente, giusto per essere sicuri e dormire notti tranquille.- 

Pesci e Ghiaccio annuirono. 

-Ehi, puttana!- urlò il riccio, destando l’attenzione di Celeste, che fino a quel momento li aveva sentiti sussurrare in lontananza, disinteressata dai loro discorsi –Preparaci un caffè e fallo bevibile questa volta!- 

-Subito.-  

Una decina di minuti dopo, l’aroma dei chicchi di caffè riempì la stanza, accompagnato dalla figura sinuosa della ragazza, intenta a portare tre tazzine bianche, colme di quella bevanda scura. 

-Ecco a voi...- disse, porgendo ciascuna tazza ai tre uomini. 

-Uhm...- sentì balbettare da Pesci, il quale guardava imbarazzato le proprie mani, sfregandole ansiosamente fra loro. 

-Ancora con questa storia, Pesci?- grugnì infastidito il biondo, facendo ridacchiare meschinamente Ghiaccio. 

-Scusami fratello...- provò a giustificarsi, avvampando in volto. 

-Che... che succede?- domandò confusa Celeste, guardando prima Prosciutto e poi il ragazzo, mortificato. 

-Diglielo Pesci, dille che succede, mammone!- lo provocò il riccio, ghignando. 

-Io... io non posso bere caffè, mi  fastidio allo stomaco...-  

Celeste li fissò sbigottita per qualche istante: lo stavano davvero bullizzando semplicemente per un po’ di gastrite? Si sentì quasi intenerita da quella situazione: quel povero ragazzo veniva deriso perché semplicemente non poteva bere un espresso. Incredibile! 

-Davvero? Sai, nemmeno io riesco a berlo, mi brucia troppo!- mentì lei, facendo alzare di scatto il viso del ragazzo, sorridendogli gentilmente –Vuoi bere qualcos’altro? Un tè magari, o del latte, dimmi tu Pesci.-  

Il cuore di lui iniziò a battere insistentemente, quasi volesse uscire dal suo petto. Nessuna ragazza era mai stata tanto cortese nei suoi confronti, nessuna poi di così bell’aspetto. 

-Il latte va benissimo...- sussurrò, sorridendo in maniera quasi impercettibile. 

-Torno subito.- e si dileguò in cucina. 

La risata sguaiata di Ghiaccio catturò l’attenzione degli altri due, facendoli voltare verso l’uomo, intento a coprirsi la bocca con una mano. 

-Sei davvero...- disse, provando a riprendere il respiro –Sei davvero patetico!-  

-Patetico? Come mai?- domandò interessata Celeste, porgendo il latte al ragazzo dai capelli verdi, sorridendogli maternamente. 

-Adesso ti fai i cazzi nostri, puttana?- abbaiò il riccio, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla ragazza, che lo guardò perplessa. 

-Uh... no no, non lo farei mai! Ero solo confusa, tutto qua!- cercò di giustificarsi, arretrando di qualche passo, mentre l’uomo la seguiva, digrignando i denti. 

-Credi che ti dia retta?!-  

-Ghiaccio.- lo ammonì Prosciutto, facendo voltare tutti verso di lui. -Ora basta, lasciala stare.- 

Lui ringhiò, sbattendo un pugno contro al tavolo, facendo rovesciare le tazzine e i bicchieri ancora presenti sopra la tovaglia. 

-Te la scampi sempre.- disse, avvicinandosi all’orecchio della ragazza –Ma ti assicuro che quando saremo soli noi due in questa casa, ti farò pentire di tutto quello che hai fatto.- e uscì dalla sala, sparendo nel corridoio.  

La ragazza sospirò, sollevata: ancora una volta lo aveva provocato e, ancora una volta, un altro membro era giunto in suo soccorso. 

-Grazie...- mormorò, guardando negli occhi Prosciutto. 

Vide l’uomo stringere le labbra contro la sigaretta, assottigliando lo sguardo di ghiaccio e serrando la mascella. Senza una risposta, egli la congedò con un gesto rapido della mano, lasciando che Celeste sparecchiasse la tavolata. 

“Deve odiarmi davvero.” pensò, lasciandosi sfuggire un lamento dalla bocca dischiusa, mentre posava un piatto insaponato accanto al lavandino. 

Il biondo invece, seduto su uno dei divani ingrigiti, era intento a massaggiarsi le tempie doloranti con le proprie dita affusolate: quei due turchesi lo aveva fatto sentire così piccolo. Come poteva un uomo come lui sentirsi ogni volta talmente soggiogato da una donna del genere? Da una prostituta, da una misera spogliarellista. Davvero non riusciva a capire come mai lei riuscisse ad avere un tale effetto sul suo corpo; eppure era stato con donne più belle, donne più intelligenti, donne più colte, donne più affascinanti.  

Magari era l’idea di riuscire ad avere qualcosa prima del boss? Era questo forse? Probabilmente anche Risotto provava ciò che provava lui, ogni qualvolta avesse la sfortuna di posare gli occhi su quelle curve morbide, su quei fianchi larghi, su quei seni tondi...  

Prosciutto sospirò, gettandosi contro lo schienale del divano, divaricando le gambe muscolose: non poteva lasciarsi struggere così tanto da una donna. 

Però l’idea di poterla possedere lo tormentava ugualmente, nonostante tutti i suoi sforzi. Il pensiero di poter stringere fra le proprie mani quelle cosce carnose, di poter baciare quelle labbra rosee... l’idea di poterla far godere, di poterla far godere più di chiunque altro; più del suo fottutissimo boss, più di quel maledetto cazzone, che da anni continuava a sottovalutare lui e le sue abilità! Quel bastardo che si comportava come se fosse l’imperatore del mondo, come se fra le mani stringesse veramente un impero e non una rete di figli di puttana come lui, una rete di mercenari venduti e dal sangue marcio, pronti a vendere le peggiori droghe persino ai bambini, pur di guadagnare qualche misero spicciolo. 

Cazzo se lo odiava quello stronzo del suo boss.  

Posò nuovamente il suo sguardo freddo su Celeste, quando la vide entrare nella sala, sorridendo a Pesci, primai di sedersi sull’angolo opposto dello divano in cui lui stesso riposava.  

Avrebbe potuto usare lei, per manifestare la sua chiara superiorità a quel verme del boss. Sì, l’avrebbe usata per dimostrare a quel misero e a sé stesso che valeva molto più di quello che gli altri pensavano. Avrebbe avuto qualcosa prima di quel figlio di puttana e lei non avrebbe potuto pensare ad altro se non a quanto il cazzo di Prosciutto fosse migliore di quello stronzo, quando anche lui l’avrebbe scopata.  

Sorrise, trionfante: sapeva cosa doveva fare e lo avrebbe fatto molto presto, prima di chiunque altro. 

-Celeste.- la chiamò, guardando il suo viso reagire al suo nome con la coda dell’occhio. 

-Sì? Hai bisogno di qualcosa?- domandò docilmente lei, lasciando percepire la sua sorpresa dal tono di voce. 

-Mi annoio, parliamo un po’, che ne dici?- 

Le labbra carnose della ragazza si schiusero, formando quasi una “o” perfetta, prima di annuire. 

-Certo, volentieri.- e gli sorrise. 

Prosciutto pensò a quanto fosse carina quando sorrideva, prima di schiaffeggiarsi mentalmente per aver pensato una tale fesseria. Si schiarì rumorosamente la gola. 

-Parlami un po’ di te, da dove vieni, quanti anni hai, se sei figlia unica...- e accompagnò la frase gesticolando leggermente. 

Celeste aveva dipinta in volto un’espressione stupita: come mai questo interesse nella sua persona? Era il loro capo a voler sapere tutte queste cose? Risotto, magari?  

Al pensiero di Risotto, storse lievemente il naso, disgustata: il solo ricordo di quel mostro le faceva contorcere le budella, sedere sopra quel divano poi, non aiutava certamente la situazione. Chiuse istintivamente le gambe, stringendole quasi spasmodicamente alla sensazione delle sue dita callose che percorrevano le cosce nude, insinuandosi fra le sue labbra più intime, costringendole a schiudersi per lui. Un brivido le percorse la schiena. 

-Sono originaria del Veneto, in realtà, vengo da un paesino nei pressi di Venezia.- 

-Come mai ti sei spostata?- chiese l’uomo.  

La ragazza si sorprese ulteriormente: ma quindi era seriamente interessato alle sue parole? Magari stava impazzendo pure lui, in quella gabbia di matti. 

-Ero fidanzata con un ragazzo di queste parti, così mi ero trasferita per andare a convivere con lui, ma la storia è durata meno del previsto e mi sono dovuta arrangiare per i fatti miei.- gli rispose, alzando di poco le spalle, prima di continuare –Ho ventitré anni e ho una sorella maggiore, Venere, di ventisette anni. Anche lei non vive più coi miei da anni, credo sia in Friuli, o giù di lì.- concluse, accomodandosi meglio fra i cuscini sotto di lei, mantenendo il contatto visivo con l’uomo. 

Lui annuì, portandosi la sigaretta alle labbra, continuando a sostenere lo sguardo, prendendola quasi come una sfida. Assottigliò le palpebre quando la vide mordersi in modo quasi impercettibile il labbro inferiore. 

-E tu invece, che mi racconti?- lo sorprese lei, sporgendosi leggermente in avanti, verso di lui. 

-Io?- chiese perplesso, alzando un sopracciglio: che voleva sapere da lui? 

-Sì, perché no? Devi mantenere i tuoi dati sensibili segreti perché sei un mafioso?- lo sfottè, incrociando le braccia e indietreggiando, guardandolo con supposizione e superiorità. 

La odiava quella ragazza. 

-Esattamente, vedo che sei meno stupida del previsto.- sputò, visibilmente infastidito dal suo commento.  

Strinse il pugno quando la sentì ridacchiare, alzandosi dal posto, prima di uscire dalla stanza. 

Alzò lo sguardo, contrariato, incontrando quello sbigottito di Pesci, che lo abbassò immediatamente, intimorito da quegli occhi di ghiacci, più freddi del solito. 

Cazzo se l’avrebbe rovinata prima o poi, quella puttana. 

 

-Quindi Risotto non tornerà questa notte?- domandò Celeste, togliendo i bicchieri prima pieni di whiskey dal tavolo, dove sedevano comodamente i tre uomini, intenti a chiacchierare dopo aver consumato la cena preparata. 

-Ma perché cazzo ti importa così tanto del capo, hm?- abbaiò Ghiaccio, sbattendo una mano sulla superfice legnosa, facendo sobbalzare la ragazza e anche Pesci –Cos'è, ti manca già il suo cazzo? Non vedi l’ora che il capo ti scopi, eh? E’ per questo, non è vero?- e ghignò meschinamente, notando l’espressione di Celeste mutare completamente, mentre il suo viso diventava pallido e la bocca si apriva, senza lasciar uscire alcun rumore. 

-Io... no! No!- si difese, arrossendo in volto per la rabbia –Come ti viene in mente di dire certe cose?!- 

-Ti ho detto di andarci piano coi toni, stronza!- e il riccio si alzò dalla sedia con un gesto violento, facendola cadere al suolo, accompagnata da un grande tonfo. 

Si avvicinò ancora una volta alla ragazza e le prese i polsi, stringendoli con forza e portandoli all’altezza dei loro visi, mentre lei teneva gli occhi serrati e il volto girato. 

-Come cazzo ti permetti di rispondermi troia?!- continuò, camminando in avanti e costringendola a indietreggiare, mentre ella tentava di allentare la presa. 

-Lasciami!- urlò, sbarrando gli occhi e ricambiando lo sguardo: tentennò quando vide le pupille nere di quel pazzo scrutarla in quella maniera –Mi stai facendo male!- 

-Ghiaccio, lasciala andare.- intervenne nuovamente Prosciutto, afferrando il braccio del collega con un gesto rapido e stringendolo abbastanza forte da convincerlo a fare come richiesto. 

-Siete sempre pronti a difenderla, ma non capite che se le merita le botte, questa troia?! Se la lasciate fare, prenderà il sopravvento in questa fottutissima casa! Come minchia fate a non vederlo, cazzo! Mi fate incazzare così tanto!- sbraitò, allargando le braccia, fissando dritto verso suoi due compagni. 

Celeste rimase paralizzata da quella scena. Quell’uomo era davvero il più spaventoso di quella casa, la terrorizzava. Anche Risotto le creava un quantitativo di angoscia immisurabile, ma Ghiaccio era così imprevedibile, così pieno di rabbia e cattiveria, così violento. Bastava il minimo per farlo scoppiare, come una bomba ad orologeria, pronta a esplodere al minimo errore. Con una semplice domanda sbagliata aveva ricevuto l’ennesima aggressione da parte dell’uomo, ma prima, in mattinata, egli le aveva concesso un atto di pura spavalderia, senza dire nulla. Davvero non lo capiva. 

-Hai sentito cos’ha detto il boss, oppure no?- il tono dell’uomo dai capelli dorati lasciava trasparire il suo fastidio –Non possiamo farle del male.- 

Si sentì un ringhio riempire la stanza e Celeste giurò di aver percepito il suo sangue congelare nelle vene. 

-SEI UN FOTTUTO SOTTONE, PROSCIUTTO! DAVVERO VUOI ASCOLTARE QUEL PEZZO DI MERDA?! DOVE CAZZO LO HAI MESSO IL TUO ORGOGLIO?!- 

La ragazza posò gli occhi sul biondo, notando come i suoi pugni fossero stretti lungo i fianchi, come il suo corpo fosse scosso da dei tremori di rabbia, come i suoi occhi sempre così azzurri fossero scuri e colmi di rancore. Il suono di uno schiaffo la riportò alla realtà e non riuscì a trattenere un urlo di spavento quando vide Ghiaccio a terra, con sopra Prosciutto, che, seduto a cavalcioni sopra di lui, lo tirava per il colletto verso di lui. 

-Hai davvero sorpassato il limite, questa volta.- ruggì, guadagnandosi come risposta uno sguardo altrettanto velenoso. 

-Cos’è, ho toccato un nervo sensibile?- lo sbeffeggiò, sorridendo spavaldamente. 

Prosciutto lasciò andare la presa sulla maglia del ragazzo sotto di lui e si alzò, torreggiandogli sopra, prima di sistemarsi delle ciocche ribelli che gli erano cascate sul viso nella foga del momento.  

-Esci di qua, se non vuoi che riferisca al capo l’ennesima cazzata che hai fatto.- gli ordinò, con voce impassibile e Ghiaccio gli ubbidì, non senza imprecare ancora sottovoce, maledicendo il suo collega, il suo capo, il suo boss e la donna che stava causando tutti questi dissapori fra loro. 

Celeste tirò un sospiro di sollievo quando sentì il portone d’ingresso sbattere e solo in quel momento riuscì a respirare liberamente, dopo quella situazione terrificante che aveva avuto la sfortuna di ammirare in prima persona.  

-Pesci.- chiamò Prosciutto, sedendosi sul divano, divaricando le gambe e massaggiandosi le tempie, mentre serrava gli occhi e corrucciava le sopracciglia chiare. 

-Di... dimmi fratello!- balbettò spaventato il ragazzo, voltandosi verso il biondo. 

-Vai a casa, oggi starò io con Celeste.- 

-Ma...- provò a opporsi, prima che il collega alzasse lo sguardo verso di lui. -certo fratello, nessun... nessun problema! Buona notte!- e praticamente corse fuori dall’abitazione, lasciando Celeste a bocca aperta. 

-Donna.- disse l’uomo, facendola sobbalzare sul posto –Portami un bicchiere di Jack Daniel’s, per cortesia.- 

Sentendo il tono spazientito e infastidito con cui glielo aveva richiesto, la ragazza annuì prontamente e si spostò di buon passo verso l’angolo bar, riempiendo un bicchiere colmo di ghiaccio con quel liquido ambrato.  

Ora erano solo loro due in casa, lei e un mafioso. 

Lei e un mafioso di pessimo umore. 

Rabbrividì all’idea di dover rimanere una nottata intera con lui, terrorizzata da quello che le avrebbe potuto fare. Magari non le avrebbe fatto niente, invece! Lui chiaramente la detestava e lei era certa che un uomo di così bell’aspetto non dovesse ridursi a stuprare delle donne per un po’ di piacere; in più era così innervosito che probabilmente il suo obiettivo ora come ora era quello di allentare i nervi con qualche bicchiere, prima di mettersi a dormire e dimenticare la discussione appena avuta.  

E se invece per distendere i nervi avesse voluto qualcosa da lei? E se invece l’avesse aggredita al minimo errore? E se si fosse ubriacato e poi si fosse sfogato su di lei? 

-Ce ne hai messo di tempo.- la ammonì, strappandole il bicchiere dalle mani, prima di portarselo alla bocca e prendere un lungo sorso. 

-Scusami, mi sono persa a pensare.- 

-Pensare a cosa?- le chiese, alzando lo sguardo verso di lei. Uno sguardo stranamente interessato, fin troppo coinvolto, per i suoi gusti. 

-Uhm, nulla di che...- e forzò una risata imbarazzata, mentre si portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

-Siediti qui, accanto a me.- ordinò, chiudendo leggermente le gambe per lasciarle più spazio sul divano. 

-Grazie...- sussurrò, mantenendo lo sguardo basso, iniziando a tremare per la paura. 

Vendendo il suo corpo esile venir scosso, egli le posò una mano sulla parte interna coscia, iniziando a massaggiare leggermente la pelle setosa sotto le sue dita, facendola bloccare sul posto. Inspirò rumorosamente dal naso al contatto con quelle carni così soffici, così invitanti. 

-Hai paura di me, Celeste?- 

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Capitolo 17
*** Angel ***


Celeste alzò gli occhi verso l’uomo, osservandolo con aria perplessa: davvero le aveva posto una domanda simile, dopo tutti gli abusi perpetrati in quelle settimane? Ovviamente aveva paura di lui, aveva paura di tutti loro in quel posto.  

Istintivamente, le dita della sua mano si posarono con fare delicato sul suo labbro aperto, sopra la crosta di sangue rappreso che si era formata, dopo il calcio ricevuto ore e ore prima, proprio da lui. Sentì la superfice ruvida e imperfetta del grumo scuro attaccato alla pelle del proprio labbro; la sentì tirare.  

-Ho paura di tutti voi, qui.- la sua voce tremò, nonostante quasi sorridesse mentre gli parlava. 

Prosciutto ricambiò l’espressione, guardando dentro quegli occhi profondi e chiari, lasciandosi affogare in quel triste mare davanti a lui.  

Annuì, sorseggiando il proprio drink, ridacchiando leggermente dopo aver inghiottito il liquido ambrato, sentendo la sua gola bruciare al contatto mentre posava il bicchiere rimasto colmo unicamente di ghiaccio.  

-Ed è giusto così, cara.- 

Celeste fece un debole cenno di approvazione col capo, spostandosi le ciocche della frangia dal viso: stavano crescendo troppo, prima o poi avrebbe dovuto dare loro una spuntata, non voleva rovinare così la sua acconciatura; non per colpa di una situazione del genere, doveva pur mantenere la sua dignità. 

-Mi puoi dire perché mi avete catturata?- domandò dal nulla con voce ferma, dopo minuti e minuti di silenzio fra loro, facendo guizzare lo sguardo dell’uomo verso di lei, cogliendolo di sorpresa, nonostante il suo viso non lasciasse trasparire alcuno stupore –Non ci credo che mi avete presa, che mi state tenendo con voi e che mi state mantenendo senza sapere lo scopo di tutto questo. Non è possibile, non potete fidarvi così ciecamente del vostro boss; dovete sapere qualcosa, allora perché non volete dirmelo?- il suo tono si fece più rotto e disperato, mentre lei veniva sopraffatta da tutti quei sentimenti che continuava a opprimere da quando l’avevano sequestrata –Stiamo parlando della mia vita, del mio corpo... ho il diritto di sapere almeno il perché. Non pretendo di essere lasciata andare, ormai questa è la mia realtà, ma...- deglutì  a fatica, stringendo fra le affusolate dita la propria gonna, sentendo il materiale piegarsi sotto la sua forza, mentre la vista si appannava, percependo le lacrime pizzicarle pericolosamente gli occhi cristallini -...ma almeno voglio sapere il perché di tutto questo, ti prego.-  

Prosciutto non rispose immediatamente, anzi, la lasciò senza risposta per diverso tempo, mentre accendeva una sigaretta e ne inspirava aspramente il fumo bollente, percependo i polmoni bruciare, sentendo il proprio corpo riempirsi di calore; cazzo se ne aveva bisogno. Quella donna gli aveva ricordato ancora una volta che il loro boss li considerava dei semplici animali a cui dare ordini, per i suoi porci comodi. No, loro non sapevano il perché del suo rapimento; nessuno lo sapeva, tranne lui.  

Non sapevano nemmeno come mai il bastardo avesse scelto proprio loro per prenderla, quando aveva centinaia di altri cani randagi a cui dare questa fastidiosa e inutile missione. Perché aveva scelto la squadra specializzata in assassini per badare a una donna? Perché ci stava mettendo così tanto tempo a prelevarla? Stava avendo dei contrattempi, ma quanto poteva intaccare le sue prestazioni lavorative la semplice presenza di quella puttana, magari messa in una stanza, chiusa a chiave nel buio, e liberata solo per la notte? Se tanto serviva unicamente per rilasciare un po’ di stress, allora non aveva forse senso farsela portare proprio in un periodo del genere? Ma poi perché cazzo se la dovevano tenere loro, perché dovevano mantenerla loro, perché dovevano vederla ogni giorno; perché potevano toccarla? Perché aveva dato loro il diritto di poter sentire i suoi seni soffici sotto le loro dita assetate e callose, perché potevano avere il diritto di baciarla, di accarezzare quel viso angelico e vellutato, di sentirla ridere, di vederla sorridere, di sentirla gemere. Perché? 

-Vorrei poterti rispondere, Celeste.- disse finalmente, facendole alzare lo sguardo, osservandolo con quegli occhi supplicanti, lucidi e disperati –Ma purtroppo ne sappiamo esattamente quanto te, davvero. Il nostro boss non ci ha dato altre informazioni e noi ci fidiamo di lui, quindi semplicemente gli ubbidiamo.- dovette trattenere una smorfia alla fine della frase; fidarsi di lui? Loro? No, semplicemente dovevano procedere con cautela e dovevano assicurarsi di avere loro la sua fiducia. Sicuramente nessuno nella Squadra si fidava veramente di quello stronzo, nemmeno un singolo membro.  

-Non mi mentire.- lo ammonì lei, facendolo voltare con un’espressione indignata in viso. -Io lo so che lo odiate, è molto chiara come cosa.-  

La faccia dell’uomo sbiancò a quelle parole: ora avevano un problema, un grosso problema. 

-Come ti permetti? Come osi dire certe cose?- protestò, alzando il mento mentre parlava -Ovviamente ci fidiamo del nostro boss, come potremmo odiare chi ci garantisce uno stipendio e una serie di enormi vantaggi in tutta la nazione? Ti rendi conto di star parlando del capo della mafia più potente che ci sia in Italia? Il suo non è un affare da quattro soldi; tutta la penisola è letteralmente il suo impero. Tutto quello che vedi è suo, tutti i negozi sono suoi, tutti i ristoranti sono suoi; persino la polizia stessa è sua.- rispose stizzito, presentando la sua solita recita. Da anni oramai ripeteva le stesse parole ogni qualvolta uscisse il discorso; era nauseato dal suo stesso copione.  

La risata limpida di Celeste gli fece sgranare inconsciamente gli occhi. 

-Impero?- sorrise beffarda, osservandolo divertita –Siete letteralmente una rete di stronzi, un gruppo di figli di puttana.- il suo sguardo divenne glaciale, mentre sporgeva il proprio corpo sinuoso verso l’uomo, scrutandolo con freddezza, lasciando affondare i palmi pallidi fra i soffici cuscini sotto di loro –Non valete niente, siete solo dei bastardi che al posto di lavorare onestamente, come dei normali cittadini, hanno deciso di proseguire per la strada più vantaggiosa. Ho lavorato con gente come voi al locale, vi ho visti; siete solo dei poveri illusi, il vostro capo vi sta solo sfruttando.- si avvicinò al viso dell’uomo, sorridendogli –A lui non importa nulla di voi.- quasi gli sussurrò, guardandogli le labbra carnose e rosee, tese in un’espressione severa. 

Prosciutto si sentì riempire di calore a quelle parole: anche lei aveva capito la loro natura; aveva capito la natura del loro tiranno. 

-Sei veloce a tirare conclusioni, quando ancora non lo hai mai visto.- ridacchiò in risposta lui, espirando una nuvola di fumo sul viso della ragazza, che fece una smorfia indietreggiando, prima di tirare qualche colpo di tosse. 

-E tu invece?- ribatté, schiarendosi la gola –Tu lo hai mai visto?- 

Egli fissò il divano davanti a sé, prima di fare cenno di negazione col capo. 

-No, nessuno sa come sia fatto. Non sappiamo nemmeno il suo nome, la sua intera identità è sconosciuta.- 

-Davvero?- 

-Davvero.- 

La vide portarsi una mano al mento, con fare pensoso, mentre i suoi occhi azzurri vagavano per la stanza, soffermandosi sul soffitto. 

-Allora una volta che mi porterete da lui non sarò mai più libera.- 

-Vedo che sei sveglia.- 

Celeste sospirò tristemente. 

-Mi ucciderà, non è vero?- 

Prosciutto la guardò con la coda dell’occhio; per un attimo provò compassione per quella povera creatura, conscia del suo destino, ma totalmente incapace di poterlo modificare. 

-Non ne siamo certi, ma supponiamo andrà così.- il suo tono non era più sostenuto e sicuro. 

-Mi stuprerà un paio di volte e quando si sarà annoiato mi ammezzerà in qualche modo strano. Dici che mi farà lo scalpo?- domandò, provando a forzare una risata, nel tentativo di alleggerire la discussione, che stava iniziando a pesarle sul petto, impedendole di respirare liberamente. 

Lui accennò un sorriso, riportando lo sguardo sul pavimento lucido sotto ai suoi piedi. 

-Secondo me prima ti staccherà tutte le unghie.- 

-Ah, sei fissato con le mie unghie! Ogni volta che si parla di farmi del male le tiri fuori, che ti hanno fatto?- rise, questa volta più sinceramente, nonostante si potesse percepire chiaramente una forte nota di tristezza nel suo tono di voce. 

Prosciutto alzò le spalle, guardandola, mentre un sorrisetto beffardo prendeva possesso del suo viso virile, ma delicato. Celeste dovette riconoscere ancora una volta quanto quell’uomo fosse attraente. 

Le piacevano questi momenti di calma, dove entrambi fingevano di essere in una situazione quotidiana, dove nessuno dei due ricordava la loro realtà; dove erano semplicemente due adulti, seduti comodamente in soggiorno, intenti a parlare e ridere assieme della vita. Le sarebbe piaciuto continuare con questa recita, questa enorme farsa; questa bugia. Un pensiero morboso le attanagliò la mente, mentre osservava quell’uomo portarsi la sigaretta alle labbra, avvolgendo delicatamente con la bocca rosata il filtro arancione.  

E se li avesse conosciuti in un altro contesto? Anzi, proprio in un altro universo? E se lei fosse riuscita a trovare un lavoro più sicuro? E se loro, quei nove uomini, non fossero mai entrati nella mafia? Se non fossero mai stati dei bastardi psicopatici e assetati di sangue, avrebbero mai potuto condurre una vita normale?  

Non riuscì a impedire alla propria mente di creare un’immagine di Risotto, di loro due, che parlavano tranquillamente, con fare spensierato, in un bar, mentre sorseggiavano un cappuccino, accompagnato da un fragrante cornetto appena sfornato. Le sarebbe piaciuto poter conoscere una versione normale di quell’uomo; aveva percepito dentro di lui un qualcosa di... buono? Si poteva definire così? No, non dopo quello che le aveva fatto. Ma non era del tutto colpa sua, no? Infondo era una situazione complicata quella, una situazione alienante per tutti quanti. Se lei ne sentiva gli effetti sulla propria psiche dopo solo qualche settimana, non poteva nemmeno immaginare cosa provassero loro, dopo anni e anni passati in quel modo. Ma perché avevano deciso di condannarsi in tale maniera? Lei era stata forzata, ma loro? Quali circostanze li avevano spinti a prendere una decisione del genere? 

-Perché sei entrato nella mafia, Prosciutto?- la domanda le sfuggì dalle labbra e se ne pentì l’istante esatto in cui gli occhi dell’uomo si posarono severamente sui suoi, scrutandola con un disprezzo e un’amarezza che non vedeva da quando Ghiaccio aveva proposto l’idea del ballo, quella fantomatica sera. 

-Tu perché sei andata a fare la spogliarellista?- ribatté, inacidito. 

-Ti ho già risposto questa mattina.- 

-E io ti ho già detto questa mattina di non farmi domande sulla mia vita.- 

-Ugh, lo so, ma così non è giusto.- provò a contestare con tono scherzoso, nel tentativo di alleggerire nuovamente l’atmosfera pesante che si era creata fra loro. 

Ci furono attimi di silenzio, prima che l’uomo aguzzasse leggermente lo sguardo, attirando nuovamente l’attenzione della ragazza. 

-Perché, fra tutti i lavori disponibili, hai proprio scelto di fare quello, Celeste?- 

La ragazza rialzò lo sguardo verso di lui, notando la sua espressione, molto più morbida di prima, molto più gentile; come se provasse compassione per lei, come se provasse pena. 

-Perché...- sussurrò, prima di bloccarsi: perché aveva scelto quel lavoro? 

Perché non aveva continuato a fare la cameriera, come quando stava con Adriano, il suo ex fidanzato? Perché non si era cercata un lavoro che pagasse più della cameriera, ma che comunque le mantenesse degli orari normali e un senso di sicurezza in più?  

Perché era brava a fare la spogliarellista, ecco perché. 

Nel giro di pochi mesi era riuscita a guadagnarsi molta fama nel locale in cui lavorava, era riuscita a portare a casa molti soldi, permettendosi una vita più che modesta in un bel quartiere tranquillo, circondato da panifici, dove prendeva la colazione ogni volta che usciva da lavoro, esausta dalla nottata impegnativa.  

Celeste sapeva di avere fascino, sapeva di riuscire a catturare l’attenzione di chiunque posasse gli occhi su di lei. In tutta la sua vita, da quando aveva circa quindici anni, chiunque le si avvicinasse rimaneva infatuato dal suo aspetto, dal suo carattere, dalla sua voce, dal suo corpo. Non sapeva come mai; era conscia di essere una ragazza gradevole alla vista, ma era altrettanto consapevole di non essere più attraente di altre sue colleghe e amiche, eppure un qualcosa in lei attirava le persone, una specie di aura, così la definiva lei. Ogni volta che accadeva, si sentiva particolare, come se nelle proprie vene scorresse qualcos’altro oltre al sangue, come se non fosse sola in quei momenti, come se ci fosse qualcosa accanto a lei.  

Lo percepiva quando un uomo era interessato, vedeva i suoi occhi cambiare, vedeva una luce nel suo sguardo mutare, diventare più profonda, più sottile, come se volesse spogliarla dai suoi abiti in un istante. Aveva visto questa luce anche in quegli uomini. 

L’aveva vista in Illuso, l’aveva sicuramente vista in Ghiaccio, come l’aveva vista in Formaggio e persino in Pesci in alcune occasioni. Ovviamente non le erano sfuggiti gli sguardi affamati di Prosciutto, che tentava invano di mascherare con sospiri di fastidio e smorfie d’odio, ma Celeste sapeva esattamente cosa stesse succedendo; poteva sentire quella sensazione nel suo sangue. A Risotto era accaduta la stessa identica cosa, ma lui aveva ceduto prima di tutti gli altri, stupendo certamente non solo lei, ma tutta la squadra. 

-Perché so di essere brava in quello che faccio.- concluse, dopo qualche secondo di esitazione, ottenendo come risposta un inarcamento del sopracciglio biondo di Prosciutto. 

-Sei brava?- il suo tono parve scettico. 

Lei annuì, alzandosi. 

-Sì, sono perfettamente abile nel mio lavoro. Sono sempre riuscita a intrattenere donne e uomini, per questo nel locale dove lavoravo il mio nome d’arte era sulla bocca di tutti.- 

-Nome d’arte? Non ti facevi chiamare Celeste?- domandò con voce divertita. 

-No, non mi piaceva sentirlo dire da tutta quella gente, era alienante. Mi facevo chiamare Angel; dicevano mi si addicesse.- e sorrise, avvicinandosi all’uomo ancora seduto, piegandosi leggermente verso di lui e poggiando le proprie mani sulle ginocchia divaricate di Prosciutto, massaggiandogli delicatamente la pelle. 

Lui deglutì, tentando di mantenere il contatto visivo: non poteva diventare così debole per una semplice carezza, era un uomo lui, non più un ragazzino in crisi ormonale, doveva mostrare un minimo di contegno! 

Ma Celeste aveva già riconosciuto quello sguardo, già conosceva quella luce. 

-Tu che dici...?- domandò lei, avvicinandosi ancora al viso stoico dell’uomo -Mi si addice?- 

Prosciutto deglutì ancora. 

 

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Capitolo 18
*** Aura ***


Il suo corpo pareva in fiamme mentre sentiva quelle leggere dita sfiorare delicatamente la stoffa vellutata dei suoi pantaloni, solleticandogli la pelle tesa, quasi come se stesse cercando di risvegliare qualcosa in lui; Prosciutto si rese conto che, effettivamente, stava funzionando fin troppo.  

Il calore dal suo petto si espanse per le spalle muscolose, avvolgendogli la schiena retta e rigida, passando per il viso e colorandogli le guance di un rosa pallido, mentre le sue mani fremevano agitate, nella speranza di poterla anche solo toccare con un polpastrello.  

Possibile che sentisse già il proprio sangue convogliare nelle sue zone più intime? Davvero lui, Prosciutto, un membro della temuta Passione e, ancora di più, un temutissimo membro della Squadra Esecuzioni, poteva ritrovarsi così debole e impotente dinanzi a una semplice ragazza, di bell’aspetto sì, ma nulla più che un mero pezzo di carne? Un banale insieme di pelle e muscoli; nient’altro. 

Poteva percepire il tessuto dei suoi pantaloni iniziare a farsi più tirato, poteva sentire il suo membro iniziare a pulsare, mentre quelle minute mani pallide scendevano più in profondità, massaggiandogli prima la parte superiore della coscia, e ora entrando più nell’inguine, facendogli quasi trattenere il fiato, nell’attesa che finalmente lo toccasse dove più ne aveva bisogno. 

Non trovò subito il coraggio di alzare lo sguardo verso quei due occhi turchesi, sia perché il movimento dei suoi palmi lo aveva rapito troppo, sia perché l’idea di incontrare quei due zaffiri lo terrorizzava, spaventato dall’idea di ritrovarsi ancora più di debole di come già si stesse rivelando. Quando finalmente osò, venne immediatamente rapito e se ne pentì istantaneamente: sentì di essersi totalmente perso.  

Aveva visto qualcosa dentro quelle iridi marine, ne era certo.  

Una luce particolare, un’aura rossa che avvolgeva quel corpo morbido e invitante; Prosciutto capì di star ammirando qualcosa di inaspettato, qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato da una donna debole e fastidiosa come lei.  

Possibile che quello fosse un potere stand? Possibile che, anche lei, fosse portatrice di un tale potere? Proprio lei? Una semplice spogliarellista? Una donna così priva di amor proprio e di orgoglio, senza un minimo di dignità? 

Che senso aveva usare un potere del genere su di lui in un momento simile, soprattutto? Era disposta a usare i suoi poteri di seduzione su di loro? Con quale scopo? Vi era un obiettivo dietro? Davvero era come diceva Ghiaccio, quindi? Era così una... una donna disperata da usare il proprio stand per essere soddisfatta sessualmente da tutti e sette? Che creature disturbata e ignobile doveva essere per ridursi in tale maniera, quando ancora era giovane e attraente?  

No, non poteva essere così, dai suoi lividi e dalla sua reazione il giorno successivo era evidente il fatto che con Risotto non vi fosse stato nulla di consenziente... ma allora come mai usarlo quella notte, su un uomo potente e pericoloso come il suo capo, Risotto Nero? Come mai usarlo adesso, su di lui? Non era capace di ragionare e prevedere le disastrose conseguenze delle sue sciocche azioni?!  

C'era chiaramente qualcosa sotto, qualcosa di molto più grande.  

-Celeste...- la sua voce parve quasi un fremito e si vergognò per quel suo tono bisognoso e sottomesso; che grandissima umiliazione.  

La vide quasi sorridere con fare beffardo, mentre con delicatezza divaricava le gambe e si accomodava sulla coscia sinistra dell’uomo, premendo il suo sesso bollente contro i muscoli vestiti del biondo, facendolo tremare sul posto, oltraggiandolo ancora una volta. 

-Dimmi.- 

-Perché stai usando il tuo stand su di me, in questo momento?- 

La ragazza si immobilizzò all’istante e un’espressione confusa le dipinse il volto, quasi come se avesse sentito delle parole deliranti lasciare le labbra carnose dell’uomo. 

-Il mio cosa...?-  

Il suo tono parve troppo sinceramente perplesso per far dubitare Prosciutto della sua onestà, ma così facendo anche lui rimase altrettanto interdetto: come “il mio cosa”? Davvero quella donna non aveva idea di cosa stesse succedendo? Sul serio era capace di manifestare il proprio potere, senza rendersene conto? Era davvero così debole da non essere a conoscenza delle sue capacità e, soprattutto, da non riuscire a controllarle, finendo con l’utilizzarle contro sé stessa? 

Posò delicatamente i propri palmi su quei fianchi morbidi, facendola strusciare avanti e indietro sul suo muscolo flesso, mentre lei osservava ancora confusa i tendini spessi e tesi del dorso della mano dell’uomo, mordendosi con fare distratto il labbro cremisi; scarlatto come quella strana luce che l’avvolgeva. 

-Il mio cosa, Prosciutto?- questa volta la sua domanda parve più come una supplica angosciata, che come un quesito.  

I loro sguardi si incontrarono nuovamente e, alla vista di quelle iridi azzurre, egli si sentì investire da un fortissimo desiderio di immergersi dentro di lei, di farla urlare di gioia, mentre l’odore del sesso si insinuava fra le sue narici e quell’aura rossa lo soffocava, facendolo boccheggiare anche solo per un semplice respiro. 

Prima di riuscire fermarsi, prima ancora che se ne rendesse conto, le sue labbra incontrarono quelle vellutate e leggermente inumidite della ragazza e si ritrovò a premerla ancora più insistentemente contro la sua gamba, affamato di sentire nuovamente quel calore, mentre le loro lingue iniziavano a sfiorarsi. 

Celeste non osò opporsi; era ben consapevole che ciò sarebbe successo prima o poi quella sera; dopotutto era proprio quello che aveva cercato di ottenere per tutte quelle ore: lo aveva fatto cedere definitivamente, senza nemmeno troppi sforzi. 

Tuttavia, mentre sentiva le mani di Prosciutto stringere insistentemente la sua carne, quella domanda continuava a tormentare la sua mente: che cos’era uno stand? Cosa intendeva con quella frase? Di che cosa stava parlando quel folle? Era un semplice delirio portato dalla cocaina probabilmente assunta durante quegli anni, oppure lei non era a conoscenza di qualcosa di pericoloso?  

Era stata letteralmente catapultata in un mondo terrificante, pieno di segreti e di forze oscure, colmo di persone malvagie e corrotte nell’anima; aveva paura, era terrorizzata, ma non poteva fare altro se non dare loro ciò che volevano, nella speranza di non metterseli contro. Doveva riuscire a raggirarli e a guadagnarsi la loro fiducia, lentamente, membro per membro, ma sapeva che ce l’avrebbe fatta. 

Un sospiro tremante dell’uomo sotto di lei la fece tornare alla realtà e solo allora si rese conto che il bacio era stato rotto da tempo e che ora lui era impegnato a riempire di baci il suo collo magro e slanciato, soffermandosi in alcuni punti per succhiare avaramente dei lembi di pelle, marchiandola con ulteriori segni viola, per l’ennesima volta da parte di uno di quei mostri.  

Con un gesto veloce e affamato lo spostò dalla sua coscia muscolosa sul suo pene eretto e trattenuto dal tessuto, riprendendo i movimenti alternati di prima, premendola insistentemente contro la sua erezione vestita e inspirando disperatamente dal naso. Celeste rimase basita: era davvero riuscita a renderlo così debole? Lei? Un uomo del genere? Un uomo sempre così sprezzante, così superbo, così altezzoso, così pieno e sicuro di sé, ora ridotto a un mucchio di tremori e sospiri, incapace persino di respirare correttamente e di controllare il suo desiderio.  

Anche lui era finito col cedere completamente al suo fascino, abbandonandosi totalmente ai suoi istinti e alle sue pulsioni, perdendo totalmente tutto quel suo fastidioso orgoglio; diventando uguale a tutti quegli altri porci. 

-Prosciutto... cosa vuoi fare?- la sua voce sicura, piena di sicurezza. 

Lo vide alzare quelle iridi limpide, la cui luce era totalmente cambiata, tramutandosi in quella che era solita vedere in tutti gli uomini. 

-Voglio passare la notte con te.-  

La sua risposta parve tanto semplice, quanto esaustiva; il suo tono assetato, bisognoso, pieno di aspettative e di anticipazione.  

La ragazza tremò a quelle parole: l’idea di dover passare un momento simile con nuovamente uno di quei mostri la disgustava e l’istinto di fuggire le faceva fremere le gambe, qualvolta sentisse il pene dell’uomo pulsare sotto di lei, ansioso di insinuarsi fra le sue calde pieghe.  

“Devo oppormi, ma senza durare molto... proprio come con Risotto; devo riuscire a mantenere la recita della ragazza che non vuole, ma finisce col cedere; solo così potrò guadagnarmi la loro fiducia.” 

Posò un palmo su petto bollente dell’uomo, sentendolo lievemente umido sotto la sua pelle, e iniziò a fare pressione, per sollevarsi da quel corpo massiccio. 

-No... per favore, non fare come Risotto... non mi forzare così...- provò a obiettare debolmente, mentre lui le afferrava prontamente il polso e spostava le sue dita lungo il suo sterno, dentro la sua giacca aperta, facendole scorrere lungo i suoi pettorali tesi e i suoi addominali sudati; la sua temperatura corporea era davvero alta. Si domandò se il poverino non stesse avendo un malore, prima di ridere mentalmente a quella sciocca supposizione. 

-Ora non vuoi più?- il suo sguardo divenne di ghiaccio, mentre costringeva la sua mano a scendere ancora più in profondità, facendole sentire i peli insipidi che salivano per l’ombelico, lungo l’addome -Prima ti comporti in quel modo e poi ti tiri indietro?- 

Celeste scosse la testa, iniziando a sentire ancora di più quel sentimento di paura e di insicurezza nella stanza: lo aveva fatto sicuramente innervosire, ma dopotutto, che altro poteva fare? Il suo piano aveva un prezzo e quel prezzo era duro da pagare, anche se l’improvviso cambio di atteggiamento dell’uomo l’aveva lasciata più confusa e spaventata di prima. 

-Non capisco di cosa parli, sono semplicemente stata cortese, ti ho solo spiegato il perché del mio nome d’arte.- era consapevole di quanto idiota stesse risultando in quel momento: lo aveva provocato di proposito, anche se, dovette ammetterlo, non si immaginava una reazione così violenta e repentina da parte di un uomo che non si faceva problemi a vantarsi e vaneggiarsi riguardo la sua compostezza, il suo autocontrollo e la sua eleganza. 

-Pensi davvero che io sia così stupido?- la presa attorno al polso si fece molto più stretta, al punto che Celeste iniziò a contorcersi sul posto, lamentandosi del dolore –Tu davvero continui a comportarti come se fossi ancora in quella lurida bettola del tuo locale, ma non lo capisci dove sei?!- una vena iniziò a pulsare minacciosamente lungo la sua fronte lucida –Non lo hai ancora capito che qui non puoi fare i tuoi stupidi giochetti?! Lo capisci o no che stai avendo a che fare con degli assassini?!- di colpo la presa sul polso sparì, ma solo per essere sostituita da una morsa ancora più ferrea della mandibola, costringendo la ragazza ad avvicinare il proprio viso verso quello teso e duro di Prosciutto –Credi sul serio di poter comportarti in questo modo davanti a sette uomini e non subire alcuna conseguenza, quando anche tu sai benissimo che abbiamo il permesso di poterti toccare? La lezione di ieri con Risotto non ti è chiaramente bastata, hai ancora bisogno di imparare.- lentamente, immerse il suo pollice calloso fra le labbra soffici e schiuse della ragazza, che rimase paralizzata al gesto, continuando a fissarlo con orrore negli occhi -Dovrò darti una lezione.- 

Le lacrime calde cominciarono a scorrere limpidamente lungo il suo volto arrossato, mentre un lungo gemito di paura risuonava nella stanza: Celeste era pietrificata dal terrore. 

Provò ancora una volta a obiettare, ricominciando a premere il proprio palmo contro lo sterno dell’uomo, mentre con l’altra mano afferrava disperatamente il polso che le bloccava il viso, ma tutto si rivelò inutile, quando venne violentemente scaraventata sul divano, facendole premere dolorosamente il viso fa i cuscini duri e invecchiati e il naso le pizzicò, infastidito dalla polvere grigia. 

-Prosciutto, no... no!- il ricordo delle mani ruvide e violente di Risotto si fuse ai gesti affamati del biondo, che esplorava quel corpo soffice e sottomesso sotto di lui, mentre velocemente la spogliava dai suoi vestiti e cominciava a massaggiarle i glutei carnosi, stringendoli dolorosamente, osservando quella carne deformare sotto il suo tocco. 

-Non credere che questo mi faccia piacere, Celeste...- disse affannosamente, mentre faceva scivolare la propria giacca e la propria collana lungo il pavimento, slacciandosi successivamente i pantaloni, abbassandoli lungo le cosce –Non sarebbe dovuta andare così, lo sai anche tu...- iniziò a massaggiarsi da sopra l’indumento intimo, mentre con le dita della mano libera cominciava a masturbare simultaneamente la ragazza sotto di lui, che cominciò a dimenarsi sommessamente, mugolando delle proteste, soffocate dai singhiozzi –Mi sarebbe piaciuto passare una serata più tranquilla con te... sai, non è di mio gusto lottare e discutere in momenti simili, preferisco quando da entrambe le parti il sesso è apprezzato.- abbassò i propri boxer, toccandosi ancora per qualche istante, prima di rimuovere le dita dall’interno della ragazza, per allinearsi fra le sue labbra. 

Celeste trattenne il respiro al contatto. 

-Ora rilassati.- 

Un brivido le percorse la schiena, prima che un urlo soffocato le lasciasse la bocca spalancata in una smorfia, nascosta fra i cuscini e accompagnata dalle lacrime, quando lo sentì penetrarla lentamente. 

Iniziò a muoversi con un ritmo costante, accarezzandole delicatamente la schiena e tenendole un fianco immobile, in una morsa possessiva e bisognosa, mentre si lasciava sfuggire dei sospiri di piacere. 

Celeste non poté fare altro che piangere, piangere disperatamente in quella situazione: le parole di Prosciutto l’avevano scalfita, erano riuscite a inquietarla persino più del previsto. Perché le stava facendo questo, quando aveva appena ammesso lui stesso che non gli piacevano questo genere di azioni? Perché doveva comportarsi anche lui in questa maniera? Perché lei doveva sempre cacciarsi in casini simili? Perché doveva sempre fare questi azzardi così pericolosi?! Perché doveva sempre tentarli, provocarli in quella maniera e poi piangere disperata, quando quegli animali si comportavano da tali?! 

-Perché...?- singhiozzò, affondando il viso ancora più in profondità fra i cuscini grigi, nel blando tentativo di soffocarsi. 

-Hai detto qualcosa, Celeste?- domandò con tono leggermente arioso lui, spingendo particolarmente in profondità, facendola gemere.  

Ridacchio, compiaciuto. 

-Come immaginavo.- e continuò i suoi movimenti, tornando a massaggiarle un gluteo con più forza del dovuto, prima di iniziare a schiaffeggiarlo. 

Proprio come Risotto. Esattamente come lui, l’esatta sera prima, nello stesso identico posto. Prosciutto aveva notato da subito quei segni, quei marchi che il suo capo aveva lasciato su quel corpo latteo, proclamandolo come suo. 

Sorrise, osservando la propria mano collidere con uno schiocco sonoro contro la pelle pallida della donna sotto di lui, sentendola sussultare contro il suo corpo. Si piegò su di lei, continuando a spingere fra le sue pieghe ormai umide, contratte attorno a lui da degli spasmi. 

-Sei magnifica.- le sussurrò dolcemente all’orecchio, prima di baciarle il collo delicatamente. 

-Prosciutto...- la sua fu una supplica silenziosa, ansimante, scossa dalle spinte, rotta nell’animo.  

Ma lui non si fermò, costringendola ad alzare il proprio busto assieme a lui, facendola accomodare con la schiena contro il suo petto, cominciando a massaggiarle freneticamente i seni sodi, pizzicandole i capezzoli bruni, facendola gemere in protesta. 

-Sei davvero bellissima, Celeste.- continuò, immergendo il proprio viso nel suo collo, inspirando quell’odore dolce che emanava, scrutandola con uno sguardo glaciale, mentre lei ansimava disperatamente, con le palpebre serrate e le labbra dischiuse, lasciandosi sfuggire dei piccoli sussulti che lo facevano tremare di piacere sul posto. 

Continuò così ancora per qualche minuto, prima di premerla nuovamente contro i cuscini del divano, spingendo dentro di lei ancora più violentemente, finendo col bloccarsi e col gemere rumorosamente, liberandosi fra le sue pieghe, espirando soddisfatto. 

Restò dentro di lei più del dovuto per riprendere il fiato, ma Celeste non trovò le forze di opporsi e rimase immobile, stesa come un corpo morto, su quel materasso sporco di polvere e sudore. 

Quando finalmente Prosciutto si alzò, lo sentì rivestirsi, senza alcuna fretta, mentre continuava a osservarla, senza mai lasciarla andare con lo sguardo. 

-Dovresti lavarti, Celeste, sei completamente fradicia.- 

La ragazza aprì pigramente gli occhi stanchi, scrutandolo con tutto l’odio che aveva in corpo in quel momento, non trovando però la forza di rispondergli. 

L'unica cosa che riuscì a fare fu piangere. 

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Capitolo 19
*** Istinti ***


Prosciutto guardò il proprio viso lucido nel riflesso dello specchio del bagno, leggermente appannato dai vapori bollenti dell’acqua della doccia, che solo da poco aveva cessato di scorrere: non si riconobbe in quel volto, quegli occhi erano alieni al suo cervello; quelle azioni erano aliene alla sua morale. 

Le sue pupille vagarono istantaneamente verso il corpo umido della ragazza, intenta a tamponarsi la pelle bagnata con un asciugamano sbiadito, mentre evitava il più possibile di guardare verso di lui, mantenendo lo sguardo basso, con fare intimorito.  

L’uomo si passò una mano fra i capelli fradici, per spostarli dai suoi occhi color ciano, afferrandosi con delicatezza il mento, iniziando a strofinarlo con fare pensoso: aveva forzato Celeste ad avere un rapporto con lui.  

Si sentì così umiliato per quello che aveva fatto, così piccolo e insignificante, così schiavo dei propri istinti e delle proprie pulsioni. Era ceduto anche lui ai desideri della propria carne, ma non gli era mai capitato in vita sua di sentirsi così sopraffatto dal proprio corpo. Non è che non avesse mai forzato nessuno, tutt’altro; il miglior modo per minacciare alcuni target era mandare loro le foto dei propri cari umiliati nei peggiori modi, ma non gli era mai successo di forzare una donna per il proprio piacere, per il proprio desiderio e non per degli ordini impartiti dall’alto.  

Era come se si fosse abbassato ai livelli miseri e degradanti di alcuni suoi colleghi, sia della sua squadra che di altre sezioni specializzate; era come se si fosse ridotto a un animale selvatico, come tutte quelle altre bestie. Il pensiero di essere diventato patetico e primordiale come tutta quella gente gli fece contorcere le budella, forzandolo a socchiudere gli occhi e serrare le labbra, sentendo come se un conato di vomito potesse scuoterlo da un momento all’altro. 

Si sentiva come sporco. 

Si sentiva come una fiera, guidata dalle necessità del suo corpo e non dalle decisioni razionali dalla sua mente. 

-Asciugati i capelli, non possiamo permetterci di farti ammalare.- disse freddamente, lanciandole con poca accortezza un altro pezzo di stoffa trasandato, abbastanza largo da permetterle di avvolgerselo attorno al capo. 

La ragazza lo afferrò prontamente, senza dargli alcuna risposta, e raccolse i suoi capelli raggruppati in ciocche umide e scure nell’asciugamano, prima di cingersi al corpo quello usato precedentemente per tamponarsi la pelle lattea. 

Chissà cosa stava pensando quella donna, davanti a lui, così indifesa, ma comunque composta, con gli occhi così gonfi e rossi, ma comunque orgogliosi e impenetrabili. Lo stava fissando così intensamente in quel momento che Prosciutto quasi si sentì a disagio, come se fosse stato vittima lui di quei soprusi. Si dovette schiaffeggiare mentalmente, per ricordare a sé stesso, più che a lei, chi fosse il padrone di quella situazione. 

-Vai a dormire, è tardi.-  

-Lo stesso vale per te.-  

Lui spalancò leggermente le palpebre, sorpreso da quella risposta acida, stupito dal suo tono aspro e incattivito, ma stranamente sicuro, nonostante tutte le lacrime versate prima e tutti gli urli disperati lanciati nel mentre. 

-Mi stai dando degli ordini, donna?- la domanda uscì con un tono altrettanto sprezzante, mentre l’uomo si appoggiava comodamente con una mano al lavandino, accomodando quella libera sul proprio fianco, coperto da un asciugamano rovinato. 

-No.- rispose lei tranquillamente, avanzando di qualche passo, afferrando la maniglia in ottone della porta, sentendo le goccioline di condensa bagnarle la mano –Stavo solo ricambiando il consiglio premuroso; non vorrei ti stancassi troppo, domani dovrai lavorare, suppongo.- e aprì la porta, fermandosi subito dopo, per aspettare la risposta del biondo. 

Dopo alcuni istanti di silenzio, finalmente arrivò. 

-Hai ragione; andiamo entrambi a dormire allora.- 

Celeste uscì dal bagno, entrando nella sua stanza e sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle, seguita subito dopo dal rumore più delicato della chiusura della camera di Prosciutto, lasciando la casa nel più completo silenzio. 

 

L'aroma del caffè riempì le narici dell’uomo verso le prime ore del mattino, facendolo destare sul posto, stropicciandosi pigramente gli occhi assonnati, mentre uno sbadiglio gli lasciava la bocca impastata e secca. 

Dopo essersi rinfrescato il viso, si diresse a passo lento verso la cucina, da cui proveniva quell’odore invitante, sinonimo di risveglio e di energie, entrambe cose di cui Prosciutto necessitava urgentemente quella mattina; aveva passato la notte a rigirarsi ansiosamente nel letto, nella vana speranza di trovare un riposo che non arrivò presto, lasciandolo con gli occhi rivolti al soffitto per delle infinite ore, cogliendolo unicamente alle prime luci dell’alba. 

La figura voltata di Celeste lo accolse in quella stanza tiepida, mentre una tazzina contenente quella miscela scura era posata sul tavolo ligneo, esattamente sul posto dove l’uomo era solito accomodarsi nei pranzi e nelle cene condivise coi suoi compagni.  

Si sedette senza fiatare e lo stesso fece la ragazza quando si voltò di poco per scrutarlo con uno sguardo glaciale e colmo d’astio, senza porgergli nemmeno un gesto di saluto; quella sì che era una donna maleducata e volgare. 

Dopo aver preso il primo sorso del suo caffè, prontamente zuccherato, Prosciutto si sentì più sé stesso: quel gusto tostato e amaro gli avvolse delicatamente l’interno della bocca, facendolo sentire già più vivo.  

-Hai notizie di quando arriverà Risotto?- chiese di colpo Celeste, rompendo quel silenzio e quella tensione che aveva avvolto l’atmosfera della sala, rendendola pesante e quasi opprimente per entrambi. 

-No, ma suppongo rientrerà fra qualche ora; solitamente è sempre lui il primo a rientrare in questa baracca.-  

La vide annuire pigramente, voltandosi completamente verso di lui, ma senza guardarlo negli occhi, mentre sorseggiava del liquido ambrato da una tazza trasparente.  

Perché chiedeva sempre di Risotto?  

Lo aveva già fatto notare Ghiaccio, proprio la sera prima, ma inizialmente Prosciutto non ci aveva dato troppo peso: infondo, era una figura che, volente o nolente, era diventata il suo punto di riferimento, essendo sempre presente e avendola anche aiutata da altri membri, in alcune occasioni. Eppure anche lui aveva abusato di lei, era stato persino il primo a prendere possesso di quel corpo, senza il suo permesso.  

Allora perché lo voleva sempre accanto? 

Forse lo vedeva come un suo protettore: lui teneva lontani gli altri e, in cambio, lei si offriva a lui la notte; uno scambio equo.  

Ma davvero Risotto l’aveva trattata meglio di lui? 

Scosse la testa; certo che no. Quello non era un uomo dai modi eleganti, o delicati, tutt’altro: era certo le avesse fatto del male nel mentre, umiliandola in qualche modo, facendola sentire inutile e impotente durante tutta la durata del coito. 

E se fosse quello il punto? 

Strinse la tazzina fra le sue dita, spalancando in maniera impercettibile gli occhi cristallini. 

E se la eccitasse essere trattata male? E se provasse piacere nell'essere umiliata, insultata, maltrattata e forzata? Era forse stato troppo delicato con lei, non soddisfacendola in alcun modo? Per questa ragione continuava a chiedere di Risotto, così insistentemente, e non di alcun altro membro della loro squadra? 

-Rimani per il pranzo?- quella voce delicata lo riportò al mondo reale, facendogli alzare il viso, incrociando lo sguardo con quella donna. 

-Sì, se non vado errando dovrebbero venire anche Illuso e Ghiaccio.- la vide trattenere una smorfia all’ultimo nome; come mai il suo collega ricciolo non le piaceva? Non era di suo gusto venir malmenata da degli uomini più forti di lei? Magari li preferiva alti e robusti, oppure più composti e silenziosi; ma allora perché lui stesso non era di suo piacimento, se rispecchiava esattamente le sue esigenze estetiche e caratteriali?  

-Quindi devo cucinare per voi tre... per sicurezza preparo anche per una persona in più.-  

Questa volta fu lui a non riuscire a trattenere un’espressione di fastidio; se avesse nominato il suo capo, anche implicitamente, ancora una volta, sarebbe sicuramente esploso. 

Premendo le mani callose sulla superfice legnosa, fece leva con le braccia e si alzò dal proprio posto, passandosi poi le dita fra le ciocche bionde ancora sciolte dei suoi capelli, spostandoli dal proprio viso e facendoli scendere lungo le spalle.  

Celeste lo ammirò silenziosamente, catturata dalla sua bellezza: era veramente un bell’uomo, ma coi capelli così, liberi da quella solita acconciatura, era ancora più attraente. Si odiava per quei pensieri quasi devoti all’aspetto di quel mostro, soprattutto dopo quello che le aveva fatto passare nelle ore precedenti, ma non poteva negare l’ovvietà.  

Inoltre, doveva imparare a controllare i propri gesti e le proprie emozioni, per riuscire a sopportare tutto quello che già le avevano e le avrebbero fatto durante la sua permanenza in quella casa: doveva riuscire a subire le loro angherie e le loro violazioni per riuscire a fuggire da quel posto e dalle mani del loro boss.  

Non osava immaginare che cosa le avrebbe potuto fare una volta arrivata da lui. Le informazioni fornitele da Prosciutto la sera scorsa l’avevano terrorizzata, facendole rendere conto di quanto stesse andando incontro all’ignoto, finendo fra le mani di un essere sconosciuto, capace di fare qualsiasi cosa pur di mantenere la propria identità un segreto. Era sorprendente come il capo di una delle mafie più forti e pericolose d’Italia fosse riuscito a mantenere la propria persona celata, per così tanti anni poi. Davvero non osava immaginare di che cosa fosse capace un tale uomo.  

Uomo? Onestamente non poteva dirlo con certezza, magari a dirigere tutto quel marciume vi era una donna; non vi erano prove per dire il contrario, o per affermare le sue supposizioni, era tutto sospeso nel nulla. 

-Togliti quegli stracci di dosso.- disse Prosciutto, fermandosi sull’uscio della porta –Illuso ti ha comprato degli indumenti appositi, non capisco perché tu debba fare sempre di testa tua, anche quando gli altri ci hanno messo del proprio.- e, sbuffando, uscì definitamente dalla stanza, lasciandola nuovamente da sola. 

Celeste guardò i propri abiti, confusa: stava semplicemente indossando dei boxer larghi e una maglia in cotone di Formaggio, chiaramente come surrogati di un pigiama appropriato, siccome nessuno si era preoccupato di fornirgliene uno. Perché lamentarsi di una donna in pigiama alle sette del mattino?  

Alzò le sopracciglia, virando gli occhi al cielo infastidita: quell’uomo era veramente insopportabile. Non solo si stava comportando come se nulla fosse, come se non le avesse fatto niente, senza un minimo di tatto, ma si lamentava persino del suo vestiario la mattina, quando lui stesso si era presentato nello stesso identico modo, con gli occhi ancora socchiusi dal sonno e la ricrescita della barba sul mento, ancora da radere! 

“Che bastardo.” pensò irritata, iniziando a lavare la tazzina usata poco prima dall’uomo.  

 

Prosciutto poté sentire il macigno che gli opprimeva le spalle abbandonarlo quando la casa si riempì delle voci sonore e fastidiose di Illuso e Ghiaccio, intenti a chiacchierare vivacemente, accomodati sui divani; era come se finalmente l’uomo potesse nuovamente respirare. 

Quando si sedette accanto a Illuso, espirando del fumo da una sigaretta, i suoi occhi vagarono verso il posto libero vicino a Ghiaccio e la memoria delle ore trascorse con Celeste gli attanagliò la mente, facendogli rimembrare ogni particolare di quei momenti: i suoi sospiri, i suoi gemiti, i suoi lamenti, i suoi singulti, la sua pelle, il suo odore, il suo sapore. Sospirò, sistemandosi meglio accanto all’amico, lasciando che la sua schiena sprofondasse nello schienale impolverato dietro di loro. 

-Allora, si è comportata bene la nostra Celeste?- lo stuzzicò il bruno, appoggiandosi col gomito sulla propria coscia, sorreggendosi il viso con la mano, stretta in un pugno, mentre lo fissava sorridendo compiaciuto. 

Prosciutto alzò le spalle, fingendo indifferenza, mentre con la coda dell’occhio osservava Ghiaccio ricambiare la smorfia soddisfatta del compagno. 

-Abbastanza.- 

-Andiamo, raccontaci qualcosa! Non crederai mica che ci accontenteremo di una risposta simile, eh?- lo incoraggiò con tono sostenuto il riccio, accompagnato da dei cenni di approvazione di Illuso. 

Il biondo sospirò, alzando infastidito lo sguardo. 

-Sembrate degli adolescenti; che cosa vi interessa così tanto di me e quella donna?- 

-Oh insomma Prosciutto, da quando ti tiri così indietro dal raccontarci le tue serate? È sempre stata una parte dei nostri discorsi, no? Siamo amici infondo, non ti prendiamo mica in giro se sei durato i tuoi soliti due minuti.- infierì l’uomo accanto a lui, accompagnato dalle risate Ghiaccio, consapevoli di aver toccato un tasto dolente e di aver messo alla prova l’orgoglio del biondo. 

-Soprattutto dopo le botte che mi sono beccato ieri sera per colpa di quella troia, spero almeno che abbiate trombato come si deve!- aggiunse l’uomo con gli occhiali, continuando a sorridere. 

-Ah vero, Ghiaccio mi ha raccontato della tua sfuriata di ieri per la puttanella; mica ti starai affezionando a lei, eh Prosciutto?- i due ridacchiarono ancora. 

-Ora non dire assurdità.- rispose sospirando, mentre spegneva la sigaretta nel posacenere in ceramica, appoggiato al tavolino davanti ai suoi piedi. -Semplicemente Ghiaccio sa bene dove andare a colpire per farmi perdere le staffe. Quella donna non c’entra nulla.- 

-Come vuoi tu amico, ma ora raccontaci che avete combinato; Pesci mi ha detto che lo hai persino cacciato di casa pur di stare solo con lei.-  

-Sei serio?!- chiese l’uomo dai riccioli azzurri, prima di scoppiare in una grande risata, gracchiante e rumorosa. 

-Pesci... devo proprio insegnare due cose sul rispetto a quel ragazzo.- borbottò Prosciutto, incrociando le braccia e sospirando nuovamente. -Non abbiamo fatto molto, ve l’ho detto. Abbiamo chiacchierato per un po’ di tempo, mi ha fatto delle domande sul boss per cercare di capire come mai l’abbia fatta rapire, ma non le ho detto molto; dopotutto nemmeno noi sappiamo veramente il perché di tutta questa situazione.- 

I due annuirono, assumendo un tono più serio e composto, ma invitandolo coi loro sguardi curiosi a proseguire e così lui fece. 

-Dopo un po’ è uscito il discorso del suo lavoro e poi si è messa a strusciarsi su di me.-  

-Ah, lo sapevo! Io ve l’avevo detto che quella zoccola vuole solo scoparci, non le dispiace essere finita in una casa piena di uomini!- 

-E allora perché piange ogni volta che la tocchi?- sogghignò Illuso. 

-Non dire cazzate! Non è che piange, finge semplicemente che non le piaccia!- 

Schiarendosi la gola, il biondo li fece zittire nuovamente, riportando le attenzioni su di sé e sul suo racconto. 

-Effettivamente, ora che mi ci fate pensare, è interessante ciò che è successo ieri; credo di aver fatto una scoperta.- disse, sorridendo lievemente. 

-Una scoperta? In che senso scusa?- chiese interessato l’uomo accanto a lui, sbattendo perplesso le ciglia folte. 

-Non so bene come spiegarlo, ma dopo essersi seduta sulle mie gambe, mi ha guardato negli occhi e io vi ho visto qualcosa. Di colpo era ricoperta di una strana luce rossa e io mi sono sentito... sopraffatto dai miei istinti.- si sentì così a disagio nell’ammettere una cosa del genere, ma doveva assolutamente spiegare loro la sua teoria. 

-Una luce?- 

-Sì.- annuì -Come se fosse avvolta da un’aura cremisi. Io mi sono ritrovato di colpo incapace di comandare il mio stesso corpo, come se avesse preso coscienza propria e non rispondesse più ai mei ordini, mi capite?- li vide annuire e si convinse a proseguire il discorso –Quando poi le ho detto ciò che avevo intenzione di fare con lei, quella donna si è messa a urlare e a resistere, ma non sono riuscito a controllarmi.- 

-Beh, non è che ci sia tanto da sorprendersi: siamo così pieni di lavoro che scopare oramai sembra impossibile. Ti capisco proprio, sai? Anche io quando la guardo mi sento così, credo sia perché siamo un po’ tutti in astinenza; anche il capo ha fatto come te, non c’è nulla per cui sentirsi a disagio Prosciutto, devi stare tranquillo.-  

-Esatto, ha ragione Illuso. È successa la stessa identica cosa a me quella volta quando eravamo soli in questa stanza; mi sono sentito come in obbligo di scoparla. C’è anche da dire che lei fa di tutto pur di sedurci e poi si mette a urlare, dicendo che siamo noi a non interpretare correttamente le sue azioni e cazzate simili. Semplicemente noi siamo degli uomini con dei bisogni e lei è una puttana tentatrice, per questo finiamo tutti in questo stato. Non c’è nulla di strano, sono semplicemente le nostre pulsioni che trovano finalmente uno sfogo.- la tranquillità del tono di Ghiaccio sorprese Prosciutto, che comunque non si trovò convinto dalle spiegazioni dei suoi colleghi: era certo che quelli non fossero solo i suoi istinti naturali, c’era qualcosa di più sotto. 

-No, mi conosco e so bene come mi comporto in situazioni simili. Ho un grande autocontrollo, non cederei mai così facilmente alla semplice vista di una donna.- 

-Eppure hai appena ammesso di averlo fatto.- 

-È di questo che volevo parlarvi.- 

-Senti, siamo tuoi colleghi, non siamo i tuoi cazzo di terapisti solo perché non sai tenertelo nei pantaloni e fai fatica ad ammetterlo, non provare a iniziare questo discoro, perché me ne vado.- questa volta Prosciutto riconobbe la risposta del suo collega dal tono infastidito. 

-Non sono così disperato da andare da voi due per parlare di certe cose.- aggrottò le sopracciglia chiare, innervosito dalla loro idiozia condivisa. -Parlo di cose serie io; credo che quella donna abbia un qualche potere stand.- 

Li vide entrambi alzare le sopracciglia in completo shock e Illuso arrivò persino a spalancare la bocca, indietreggiando col capo, prima di parlare. 

-Lei? Uno stand?- 

-Prosciutto... sicuro di non esserti sniffato della colla? Da quando una puttana del genere potrebbe avere uno stand?- 

-Non mi sono sniffato nulla Ghiaccio; so quello che ho visto. Quella donna ha un potere stand. Non so bene in cosa consista, ma sono sicuro di aver visto qualcosa nei suoi occhi e di aver visto dell’energia essere emanata dal suo corpo.- 

-Senti, non è che ti stai convincendo da solo perché ti senti a disagio all’idea di aver ceduto anche tu? Guarda che non c’è nulla di male, te lo abbiamo già detto. Io ogni tanto la spio dal suo specchio in camera, soprattutto quando si deve cambiare; non devi preoccuparti se anche tu sei attratto da lei.- cercò di tranquillizzarlo nuovamente il bruno, poggiandogli una mano sulla spalla, con fare comprensivo. 

-Lo capite o no il punto?!- sbottò spazientito, facendo arretrare l’uomo. -Secondo voi è normale che di colpo, tutti e sette, vogliamo avere un rapporto con lei? Vi sembra normale che siamo arrivati a rischiare di andare contro gli ordini del boss, solo per portarcela a letto? Vi pare normale il fatto che persino Risotto Nero sia ceduto a lei, quando sappiamo tutti quanto prenda seriamente i propri incarichi?-  

Per qualche istante, calò il più totale silenzio fra i tre, finché non prese la parola Ghiaccio, mentre si lasciava cadere pesantemente contro lo schienale del divano, sollevando una leggera nuvola di polvere grigia, facendo arricciare il naso a tutti loro. 

-Ora che mi ci fai pensare... sì, è strano. Ammetto che quando ho saputo del capo ci sono rimasto abbastanza male; non credevo che potesse cedere così facilmente davanti a quella zoccola.- 

-Sei sicuro di aver percepito uno stand, Prosciutto?- il tono di Illuso lasciò trapelare la sua preoccupazione. 

L'uomo annuì, accendendo l’ennesima sigaretta, inspirando ed espirando il fumo, prima di rispondere. 

-Ne sono certo.- 

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Capitolo 20
*** Sangue ***


TW: sangue; blood kink 





 

Celeste si fermò sul posto quando sentì lo scatto della serratura aprirsi, accompagnato dal rumore pesante della porta d’ingresso che si spalancava cigolando, lasciando entrare nella casa dei passi pesanti.  

Il coltello che stringeva fra le dita iniziò a tremare assieme al suo corpo, impedendole di continuare a tagliare la verdura che stava preparando per il loro pranzo, mentre tratteneva il respiro, sentendosi strozzare nell’attesa di quella voce calda e stranamente rassicurante per lei, soprattutto dopo la notte passata con Prosciutto.  

Aveva bisogno di sentirlo. 

-Capo, giusto in tempo! Vieni a bere qualcosa mentre aspettiamo che sia pronto da mangiare!- 

-Abbiamo anche due cosine interessanti da dirti; ti verso un pochino di Montenegro dai.- 

-Siediti pure qua, mi sposto io.-  

Quelle non erano le voci che Celeste sperava di sentire e ciò la costrinse a rimanere ancora immobile, nell’attesa di udire quello di cui aveva bisogno; quando accadde, sentì le sue gambe quasi cedere e si maledisse per quanto deludente fosse come persona, persino per sé stessa. 

-Va bene... arrivo.- disse svogliatamente Risotto Nero, facendo subito rilasciare un sospiro di sollievo dalle labbra rosee della ragazza. 

Era tornato.  

Era tornato da lei. 

-Ahi!- strillò, quando la lama affilata del coltello affondò nella carne del suo dito e non nella carota appoggiata sul tagliere. 

Che pensieri le stavano venendo in mente?! Come poteva immaginare certe cose sul suo rapitore e stupratore?! Stava per caso impazzendo? Si vergognava così tanto per quei pensieri, così invasivi e surreali, su quell’uomo malvagio, ma non riusciva a farne a meno: doveva vederlo, ne aveva bisogno. La sua presenza la faceva sentire come... al sicuro, nonostante fosse perfettamente conscia del fatto che lui stesso era il pericolo da cui doveva, teoricamente, fuggire. Eppure, anche se razionalmente sapeva cosa fosse giusto e cosa no, non riusciva a controllare quella strana sensazione di calore che le si accendeva nel petto quando lo sentiva parlare, quando riconosceva i suoi passi minacciosi, quando incontrava quei suoi occhi così particolari, che parevano guardarla con quasi misericordia.  

Si sentiva a disagio quando quei pensieri le occupavano la mente; lo aveva letto in alcuni romanzi, di infima qualità, di donne che diventavano quasi ossessionate dai propri rapitori, ma non aveva idea che ciò potesse accadere realmente. Non era solo frutto di una perversa fantasia adolescenziale? Come ci si poteva “innamorare” della causa della propria morte? Quelle donne erano ridicole e lei non era deludente come loro. 

Lei era una donna forte. 

Scosse la testa infastidita, mentre si toglieva il dito pulsante dalla bocca e apriva l’acqua del lavandino, lasciando che il getto freddo lavasse la ferita aperta e grondante di sangue; si era aperta il polpastrello dell’indice sinistro. 

-Cucciola, che succede?- chiese interessato Illuso, sporgendo la testa dalla porta della cucina, attirato dal piccolo urlo di dolore di prima. 

-Niente, mi sono solo tagliata...-  

-Dove? Fa vedere.-  

La ragazza rimosse la mano dalla corrente e la porse all’uomo, che prese delicatamente fra le dita quelle di Celeste, scrutando con attenzione il profondo taglio che si era procurata. 

-Uhm...- disse, premendo leggermente la carne macchiata fra il proprio indice e pollice, provocandole una smorfia di dolore –Io ci darei due punti; non è uno squarcio lungo, ma stai perdendo molto sangue, devi essere andata ben in profondità con la lama.-  

-No no, non c’è bisogno dei punti. Basterà un cerotto, tranquillo.- provò a controbattere Celeste, allontanando la propria mano da Illuso, mentre sentiva il liquido cremisi scorrerle giù per la mano.  

-Ne saprò qualcosa in più sulle ferite da taglio io, non credi cucciola?-  

-Non voglio essere di disturbo, davvero. Non preoccuparti.- 

L’uomo la fissò con uno sguardo divertito, prima di abbassare le iridi rosse verso i suoi piedi, ridacchiando. 

-Stai macchiando il pavimento.- 

-Cosa?!-  

Fece un piccolo salto all’indietro quando vide tutte quelle piccole gocce scarlatte sparse sulle piastrelle color crema della cucina, proprio sotto il suo corpo, stringendo inconsapevolmente la mano ferita, gemendo scoraggiato alle fitte di dolore provocate dall’azione. 

-Allora, vuoi farti cucire il dito o no?- questa volta il tono dell’uomo dai capelli castani parve più infastidito di prima, mentre si appoggiava pigramente al piano dei fornelli, attendendo una risposta da parte della ragazza, che annuì. 

-Sì, sto perdendo più sangue di quanto immaginassi...- 

-È normale; ti sei tagliata in una zona abbastanza irrorata, in più hai affondato per bene la punta del coltello. Si può sapere a che stavi pensando per tagliarti così? Sei incredibile.- ridacchiò ancora, aprendo nuovamente l’acqua del lavandino, afferrandole il polso e costringendola sotto il getto freddo -Sciacquati un po’, sembra quasi che tu abbia ucciso qualcuno.- 

Il rumore di passi pesanti e lenti attirò l’attenzione di entrambi e Celeste seppe subito riconoscerli. 

-Che sta succedendo qui?- tuonò Risotto, fermandosi sulla soglia della porta, osservando con fare severo le due figure davanti a lui. 

-Non preoccuparti capo, si è solo tagliata un dito. Ha bisogno di qualche punto secondo me... tu che dici?- e lasciò che l’uomo dai capelli bianchi si avvicinasse, per mostrargli la ferita. 

Alla vista di quella mano macchiata di rosso vivo, l’uomo trattenne per qualche istante il respiro, rapito da quell’immagine. Celeste lo guardò con fare confuso: ma cosa stava facendo? Si stava per caso sentendo male alla vista di un po’ di sangue?  

Impossibile. 

-In effetti sarebbe meglio; lascia fare a me.- affermò lui, sbattendo un paio di volte le ciglia albine, spostando lo sguardo su Illuso. 

-Che cazzo ha combinato questa volta quella fottuta ritardata?!- si sentì urlare da un’altra stanza. 

-Nulla di che Ghiaccio!- gridò il collega, per farsi sentire. -Celeste si è tagliata, ma ora il capo la ricuce!- 

-Quella stupida puttana...- parve di sentire borbottare da lontano la ragazza, che sbuffò infastidita dalle parole sempre acide e scontrose di quel piccolo ometto incattivito. 

-Chiudi pure l’acqua.- comandò Risotto. 

Quando si fu asciugata la mano, ella strinse convulsivamente il canovaccio attorno al dito pallido e umido, seguendo quella figura stoica e imponente verso il bagno. 

-Quindi per il pranzo dobbiamo aspettare?- chiese scocciato Ghiaccio, intento a riposare i propri piedi sul tavolino in vetro davanti a lui, con sopra poggiati quattro bicchierini in cristallo vuoti e una bottiglia impolverata contenente un liquido ambrato, mentre i due gli passavano davanti. 

-Vedete di finirlo voi.-  

-Detto fatto, capo.- rispose Prosciutto che, seduto accanto all’uomo dai riccioli azzurri, scrutava con odio Celeste, che invece non osò alzare lo sguardo, terrorizzata. 

 

-Come hai fatto a tagliarti così?- le chiese Risotto, inginocchiato davanti a lei, che invece rimaneva seduta rigidamente sopra la tavoletta chiusa del wc, troppo impaurita per ricambiare il contatto visivo. 

-Stavo preparando le carote per un soffritto, mi sono persa a pensare e non ho badato alla lama...- ammise, storcendo lievemente la bocca, mentre sentiva l’uomo fare pressione sul polpastrello aperto, facendo aumentare l’uscita del sangue dalla sua carne. 

Vederlo in quel modo, accucciato ai suoi piedi, intento a recarle così tante attenzioni, la fece per un attimo sentire rassicurata, prima che la realtà la colpisse duramente in faccia, ricordandole che si trovava in quella situazione degradante e dolorosa anche per colpa di quell’uomo; soprattutto per colpa di quell’uomo.  

L'uomo che l’aveva rapita, picchiata, sfruttata, abusata, molestata e stuprata. 

L'uomo che l’aveva condannata a una morte certa. 

Eppure... 

Scosse fortemente il capo.  

Dovette ripetersi quelle parole più e più volte per riguadagnare un minimo di lucidità in quella situazione; che stesse effettivamente impazzendo? 

-A cosa stavi pensando?- le chiese, guardandola negli occhi e facendole gonfiare il petto d’aria, incapace di respirare. 

-Nulla di importante.- 

-Capisco...- annuì, lasciandole andare la mano per prendere dei batuffoli di cotone e del disinfettante. -Come si sono comportati i miei uomini ieri, senza di me?- 

Celeste spalancò impercettibilmente gli occhi, terrorizzata, quando quella frase le fece tornare in mente tutti i momenti precedentemente vissuti la notte scorsa. 

Il ricordo delle mani fredde di Prosciutto che le lavavano il corpo la fece dimenare incontrollabilmente sul posto, sentendosi come ricoperta da tanti piccoli insetti che le camminavano fra le pieghe della pelle, pungendola e mordendola nei suoi punti più delicati ed esposti. Non solo quel verme si era permesso di violarla senza il suo consenso, ma finito l’atto aveva avuto persino il coraggio di prenderla di peso e forzarla nella doccia, per costringerla a lavarsi dal sudore e dai loro fluidi corporei. 

-Donna?- la voce perplessa di Risotto le fece aprire le palpebre, catapultandola nuovamente nel mondo reale, incontrando lo sguardo confuso e annoiato dell’uomo davanti a lei, che, nonostante fosse inginocchiato, risultava comunque spaventosamente imponente e severo. 

-È rimasto solo Prosciutto.- sussurrò di un fiato, mordendosi il labbro. 

-Come mai?-  

-Ha cacciato gli altri.- 

-Okay, ma spiegami perché.- insistette.  

-Non lo so.- provò a dire, scuotendo la testa. 

Lo sentì sospirare, mentre riprendeva con una mano il suo dito pulsante e indolenzito, osservando quel liquido cremisi, vivo e luccicante, scorrere fievolmente lungo la pelle pallida. 

-Ho capito; chiederò direttamente a loro.-  

Celeste fu sul punto di per annuire e ringraziarlo per aver deciso di risparmiarla dal raccontargli tutto ciò che era successo, quando percepì qualcosa di morbido, caldo e umido avvolgerle il polpastrello aperto. Quando abbassò lo sguardo, sentì il cuore fermarsi alla vista di Risotto Nero, chinato su di lei, intendo a succhiare avidamente il sangue via dalla sua ferita. 

-Cosa...?- balbettò smarrita, provando ad arretrarsi, ma ottenendo come risposta lo stringersi della presa ferrea attorno al suo esile polso.  

Stava bevendo il suo sangue? Lo stava facendo davvero? 

L’uomo fece scivolare via il dito della ragazza dalla propria bocca, passando un’ultima volta la propria lingua sulla pelle inumidita e lucida, prima che il liquido scarlatto tornasse a scorrere, anche se con un ritmo e un’intensità molto più ridotti.  

La mente di Celeste era invasa da domande insistenti, voci che urlavano quesiti confusi e spaventati, pensieri rumorosi e pieni di meraviglia, ma le sue labbra rimasero serrate, mentre la lingua rimaneva paralizzata, incapace di dare un significato a tutte quelle grida. 

Guardò disorientata il suo rapitore, che integerrimo continuava a fissare ammirato quel fluido cremisi gocciolante, come se stesse studiando un’opera dalla lettura complessa, che catturava e intrigava il fruitore, stimolandolo a continuare nell’indagine del suo significato; un significato perverso e sbagliato era quello che aveva interpretato quel mostro, lasciando trapelare dalle sue iridi brillanti il desiderio che gli scuoteva delicatamente il corpo, qualvolta una lacrima vermiglia colpisse il pavimento bianco e lucido sottostante. 

-Posso...- riuscì finalmente a dire lei, riportando alla realtà Risotto, che sgranò con violenza le palpebre, puntando le proprie pupille sulle labbra rosee e schiuse della donna, allentando la presa sul suo polso delicato –Posso ricucirmi la ferita da sola, non devi preoccuparti. - 

Come consueto, il silenzio opprimente che calò fra i due fece mancare l’aria ai polmoni di Celeste, che sentì il viso in fiamme e il battito del proprio cuore accelerato dopo lo strano episodio avvenuto, nel mentre che lui continuava a guardarla impassibile, come se nulla fosse accaduto; come se il tempo avesse ripreso a scorrere solo in quell’istante. Quando sentì la sua mano grande, rovente e callosa abbandonare la sua pelle delicata e fresca, si rese conto di come quella figura imponente fosse passata dall’essere inginocchiata, all’essere in piedi, davanti a lei, oscurandola totalmente con la propria ombra scura e fredda, coprendola dalla luce artificiale e verdastra che illuminava il piccolo locale. 

Lo vide scrutarla con quel suo così familiare sguardo severo, come un genitore pronto a punire il proprio figlio indisciplinato e bisognoso di un castigo; come un marito deluso dalla propria moglie disubbidiente. 

-Ti ho già detto che me ne occupo io.- esordì, con una voce carica e profonda, persino più del normale. 

Celeste deglutì a fatica: no, questa volta non le avrebbe fatto del male, non glielo avrebbe permesso. Non voleva più accettare tutte quelle punizioni da parte di quegli psicopatici, le sue due tremende esperienze l’avevano segnata abbastanza, non aveva intenzione di viverne altre; non nuovamente con lui, soprattutto. Non aveva intenzione di farsi umiliare ulteriormente da dei simili animali, da quelle bestie incapaci di controllare i propri istinti, le proprie mani, le proprie lingue, le proprie bocche e le proprie parole.  

Fanculo il piano, ecco cosa! Non poteva più sostenere quella tattica, si era rivelata totalmente inefficace e controproducente, dipingendola semplicemente come una povera sciocca, quando lei non lo era! Lei era una donna forte, intraprendente, coraggiosa! Non si sarebbe più fatta toccare da loro, era arrivato il momento di reagire e di far capire a quelle belve che meritava rispetto! 

Far capire a dei mafiosi di meritare rispetto...  

-No.- sussurrò con voce tremante. 

-Cosa?- ribatté retoricamente lui, inclinando lievemente la testa di lato, quasi abbozzando un sorriso per la folle audacia di quel piccolo essere sotto ai suoi piedi. 

-Ho detto no...! Mi medicherò da sola, non voglio che tu abbia a che fare con la mia salute.-  

La frase uscì con un tono talmente sicuro e certo che quasi ella stessa si convinse, alzando il viso con dipinta un’espressione soddisfatta, che subito si sfaldò alla vista delle sopracciglia aggrottate dell’uomo, accompagnate dalla sua mascella rigidamente serrata e dalla sua bocca austera, stesa in una linea orizzontale e intransigente. 

-Mi pareva di averti già detto di moderare il tuo linguaggio, non è vero, donna?- 

Le afferrò violentemente i lunghi capelli dorati, tirandola con veemenza verso il suolo, lasciando che la sua testa collidesse col pavimento freddo del bagno, facendola urlare per il dolore e il panico provocato dai suoi gesti improvvisi. 

Gemendo disorientata, fece leva con gli avambracci per alzare il proprio busto, massaggiando vigorosamente la zona dolorante della nuca, percependo il cuoio capelluto lamentarsi al suo tocco.  Lo vide avvicinarsi ancora, con un qualcosa stretto fra le dita della mano destra, raggiungendola con un paio di falciate pesanti, che risuonarono imponentemente nella stanza.  

Istintivamente, la ragazza si eresse abbastanza da rimanere seduta sulle piastrelle e, con l’aiuto delle braccia, si allontanò il più possibile da quella figura minacciosa, fino a toccare con la schiena la parete del bagno, strisciando come un verme pur di allontanarsi. Disperata, iniziò a balbettare delle suppliche, rotte dai suoi singhiozzi, terrorizzata da quello che quel mostro le avrebbe potuto fare. 

-Scusami, scusami... ti prego, non farmi del male! Ti prego! Non lo farò più, per favore!- le sue implorazioni si mischiarono alle lacrime disperate che le bagnavano il viso, contorto in un’espressione impaurita e supplichevole. 

L’uomo non la ascoltò e, piegandosi verso di lei, le afferrò il polso della mano col dito ferito, che ancora sanguinava debolmente. Alzando il braccio libero, Celeste vide brillare fra le dita callose dell’uomo un rasoio e, prima ancora che potesse realizzarlo, mille aghi le penetrarono nel palmo, seguiti da un’angosciante sensazione di calore, come una cascata bollente, nata da lei. 

Urlando, provò a ritirarsi da quella morsa ferrea, ma egli non era intenzionato a lasciare il suo polso, mentre osservava ammaliato il sangue cremisi sgorgare dalla pallida carne lacerata della ragazza, che avvilita continuava a singhiozzare.  

Le budella della donna si contorsero spasmodicamente quando, casualmente, i suoi occhi spenti e arrosati si posarono sul rigonfiamento nei pantaloni della bestia, e capì il perché delle sue azioni, quando lo percepì spostare il suo palmo squarciato e ferito sulla stoffa tesa in mezzo alle sue cosce muscolose, macchiandola di un rosso vivo, sentendo il suo membro pulsare insistentemente al contatto col liquido denso e bollente. 

-No...- provò a obiettare, scuotendo incessantemente il capo, rifiutandosi di credere a quello che stava accadendo sotto il suo sguardo disgustato. 

Quell’uomo la stava costringendo a masturbarlo da sopra i pantaloni con la sua mano ferita. 

Quell’uomo si stava eccitato vedendo il suo sangue, osservandola implorarlo disperata, mentre singhiozzava e gemeva per il dolore e la paura. 

Con gesti rapidi e affrettati, Risotto si slacciò la cintura e abbassò i propri indumenti, rivelando il suo membro quasi del tutto eretto e leggermente tinto dei liquidi cremisi della donna, che bianca in volto non riusciva a distogliere le proprie pupille da ciò che le si stava palesando davanti, incredula di fronte a quella situazione. 

Per un attimo pensò di star effettivamente sognando, di essere semplicemente intrappolata in un brutto incubo, ma tutto divenne reale quando lui, costringendola nuovamente a prendere nella mano il suo membro, sospirò soddisfatto, mentre la forzava ancora a toccarlo, sentendo il sangue della donna ricoprirlo e scaldarlo così perfettamente. 

-Sei malato...- balbettò, deglutendo a fatica, mentre terrorizzata serrava le palpebre per evitare di continuare a guardare il pene dell’uomo venir tinto di rosso. 

Lo sentì ridacchiare, mentre si passava un dito calloso sulla punta del proprio sesso, prima di posarlo fra le labbra della ragazza, costringendolo nella sua bocca. 

-Forse.-   

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Capitolo 21
*** Pelle ***


Il sapore metallico del proprio sangue le ricoprì il palato, accompagnato dal forte aroma dell’uomo, che stringendole prepotentemente il capo con una mano, continuava a ripetere quel movimento meccanico, costringendola avanti e indietro sul suo membro, lasciando che lei lo sentisse colpire più volte il fondo della sua gola, facendola resistere ai conati di vomito indotti da tale azione.  

L’idea di star di nuovo praticando della fellatio contro la sua volontà oramai non la stupiva nemmeno più di tanto, e ciò la spaventava: era diventata davvero così insofferente ai suoi aguzzini, in così poco tempo? Davvero essere forzata in delle pratiche sessuali, come se fosse unicamente un pezzo di carne, posto lì per il lor piacere, non la faceva straziare più come le prime volte?  

Aveva mai veramente provato a combattere, contro di loro? 

Un gemito gutturale dell’uomo le fece alzare gli occhi stanchi verso quel viso stoico, che integerrimo continuava a scrutarla con quella strana espressione, dritto nelle pupille.  

A cosa pensava lui, in momenti del genere? Celeste se l’era chiesto ormai troppe volte, ma non era mai riuscita a darsi una risposta. Era davvero soddisfatto, raggiunto l’orgasmo, dopo ciò che gli era costato fare per raggiungerlo? Davvero riusciva a guardarsi allo specchio, sapendo di aver abusato così di una persona che non aveva alcun potere su ciò che le accadeva? 

Rise mentalmente: sciocco da parte sua pensare che la sua vita potesse influenzare anche solo un minimo quella di un mafioso, che oramai da anni uccideva persone sconosciute, per solo qualche soldo. Lo sapeva bene che nessuno di loro era veramente soddisfatto del proprio lavoro; non facevano altro che lamentarsi. “Il boss non ci paga abbastanza”, “quel bastardo continua a sottovalutarci”, “un giorno si pentirà di averci sempre pagati una miseria”. Celeste le conosceva tutte a memoria quelle frasi, le sentiva come una cantilena da settimane, senza tregua.  

Magari la odiavano così tanto non perché erano persone cattive nell’anima, ma perché l’ambiente in cui erano vissuti e in cui stavano ancora vivendo li aveva resi dei frustrati e, vedendo la personificazione di un ennesimo ordine del loro boss, vivere sotto il loro stesso tetto, a portata di mano ventiquattro ore su ventiquattro, li aveva fatti andare in escandescenza. Nessuno era così malvagio e corrotto per natura, giusto? Doveva essere successo loro qualcosa. Infondo chi condurrebbe una vita del genere, solo per puro piacere? Sicuramente nessuna persona sana di mente.  

Eppure loro tanto sani mentalmente non le sembravano. 

-Cazzo...- sibilò Risotto, mordendosi il labbro alla vista del sangue della ragazza fuso con la sua stessa saliva, che le colava lentamente lungo il mento, macchiando le piastrelle sottostanti.  

Sicuramente dopo avrebbe dovuto ricucirle accuratamente il palmo squarciato e sarebbe stato un lavoro assai lungo e noioso, ma ne era valsa assolutamente la pena.  

Non era solito lasciarsi andare alle sue parafilie più estreme, ma la vista di quel liquido cremisi gocciolarle dal dito, quasi zampillando, lo aveva mandato letteralmente in estasi e non si era più riuscito a controllare, proprio come se una forza lo avesse costretto a portarla in quel bagno, per vedere e assaporare più di quell’oro scarlatto.  

-Ah...!- gemette ancora, premendola con più forza sul suo pene, facendole affondare il naso nei propri riccioli bianchi, piegandosi in avanti e reggendosi al muro, poggiando il palmo contro la parete liscia e facendo leva col braccio.  

Celeste iniziò a concentrarsi sul proprio respiro: la stava soffocando. Dovette focalizzare con calma i propri polmoni, visualizzandoli riempirsi d’aria, per poi comprimersi, lasciandola uscire dalle narici, infastidite dalla peluria contro la quale erano premute. Tentò un lamento, ma il risultato fu solo un altro singhiozzo dell’uomo, che mai era sembrato così coinvolto in un momento simile, nemmeno quando l’aveva violata sul divano, in soggiorno.  

Con un ultimo gemito strozzato, la allontanò violentemente dal suo membro, per poi stringerlo con forza fra le proprie dita, prima di venirle in volto, schizzandole il viso col proprio sperma bollente, costringendola a serrare gli occhi, mentre il liquido si depositava sulla sua pelle. 

La ragazza aprì la bocca e il flusso di saliva rossa che le colava dal mento aumentò per qualche istante, mentre ella sentiva le proprie papille gustative urlare a quel sapore di morte che le invadeva la gola, non lasciandole un attimo di tregua dal ricordo di ciò che le era appena accaduto.  

Quella bestia le aveva fatto ingerire del suo sangue.  

-Risotto...- sussurrò, rimanendo inginocchiata al suolo, continuando a guardare davanti a sé e passandosi le dita sane lungo il volto macchiato di liquido seminale, mentre il suo aggressore era intento a ripulirsi accuratamente. 

-Cosa.- 

-Mi fa male la mano...- provò a dire, prima che la voce le si spezzasse completamente e, accasciandosi contro il muro gelido, scoppiò finalmente in uno stridulo e disperato pianto, ma che aveva in sé un qualcosa di infantile, quasi come se fosse quello di un bambino.  

Stringendosi il palmo incrostato di rosso, il suo respiro rotto e affannato si fece più forte, mentre serrava gli occhi per evitare di guardare a quello squarcio gonfio e crudo che le deturpava il corpo.  

Era colpa sua; non avrebbe mai dovuto lasciarsi distrarre da quei pensieri folli su di lui, non si sarebbe mai dovuta tagliare in quel modo. Avrebbe dovuto subito dire di sì a Illuso, si sarebbe dovuta subito far medicare da lui. Invece, come al solito, era stata testarda, si era comportata da stupida e, ancora una volta, ne aveva pagate le care conseguenze.  

Era colpa sua.  

-Alzati, devo lavarti la mano e disinfettarla.- le ordinò Risotto, osservandola dall’alto, con quei suoi occhi inflessibili e scuri, pieni di così tanto odio e rancore; verso cosa? Cos’aveva fatto questa volta per infastidirlo? Forse era il suo pianto a mandarlo in escandescenza così tanto... doveva controllarsi di più, avrebbe potuto punirla ancora, dopotutto. 

Fece come comandato e, tremante, gli si avvicinò, non osando alzare lo sguardo verso il suo volto severo, mentre le forzava la mano ferita sotto l’acqua ghiacciata e un sibilo di dolore le lasciava le labbra gonfie e serrate. Il lavandino presto si tinse di sangue e, finalmente, il suo palmo rimostrò i colori pallidi della pelle. Subito dopo, con poca delicatezza, le schizzò in volto dell’acqua, per rimuoverle completamente lo sperma rimasto. 

Espirando rumorosamente dal naso, Risotto afferrò con violenza e fretta il cotone e il disinfettante abbandonati precedentemente e subito sanificò i due lunghi fendenti fra le carni della ragazza; in seguito, prese il necessario per ricucirle.  

-Siediti dov’eri prima: ti farà male.- 

Ancora una volta ubbidì agli ordini e si accomodò sulla superficie in ceramica, tendendo la mano aperta verso di lui, sentendo la pelle tirare al gesto.  

Quando l’ago penetrò, Celeste chiuse gli occhi e strinse i denti, per evitare di lasciar trapelare alcun suono, terrorizzata all’idea di infastidirlo nuovamente. Non osò nemmeno per un istante a spalancare le palpebre: non sapeva in che stato avrebbe potuto trovarlo e, visto ciò che era precedentemente accaduto, non era intenzionata a scoprirlo.  

Quanto tempo era passato senza che qualcuno in quella casa si forzasse su di lei?  

Era tutto iniziato quella sera, proprio con Risotto, nella sala principale; lui poi l’aveva portata nella sua stanza da letto e aveva tentato di violentarla, accontentandosi alla fine del sesso orale. L’aveva violentata quando, il giorno dopo? Due giorni dopo? Davvero non sapeva dirlo, lo spazio e il tempo avevano totalmente perso di significato oramai nella sua testa. Sta di fatto che subito dopo, era riuscito definitivamente a prenderla, sopra uno dei divani. Ancora dopo era arrivato Prosciutto, anche lui in quella stanza, e adesso era riaccaduto nuovamente col capo di quel gruppo di malati. Chi sarebbe stato il prossimo? Ghiaccio? Sarebbe finalmente riuscito a terminare il lavoro iniziato tempo prima? Magari Illuso, che continuava a fissarla in ogni suo movimento, cercando il più possibile di instaurare un contatto visivo, in modo da rivolgerle uno di quei suoi sorrisetti nauseabondi, che la facevano vergognare della sua stessa pelle. Oppure Formaggio, che puzzava sempre di alcol e di sudore; anche lui non si risparmiava quegli sguardi languidi e viscidi, anche se quelli che più la mettevano a disagio erano quelli rivolti da Melone: quell’uomo le faceva letteralmente venire da vomitare, coi suoi atteggiamenti così lascivi e lussuriosi. 

Eppure non capiva: cosa faceva lei per meritarsi tutto questo?  

Erano vere le parole che le rivolgeva sempre Ghiaccio? Si comportava davvero in maniera provocante? Era davvero colpa sua? Si era sempre risposta di no a quelle domande, convinta della sua innocenza a riguardo, sicura di non essere lei il problema, ma arrivata a questo punto, non aveva più alcuna certezza. Se si fosse sbagliata sul suo stesso conto dal principio? Se effettivamente quell’odioso ometto avesse ragione? E se fosse lei la causa dei suoi problemi?  

E se si meritasse tutto quello che le stava accadendo? 

-Smettila di fare la bambina e apri gli occhi; ho finito.- la voce infastidita di Risotto la convinse controvoglia a riaprire le palpebre pesanti, per osservare quella terribile e dolorosa cucitura che le percorreva l’intera lunghezza della mano, dandole quasi un aspetto... finto? Come se fosse un giocattolo di pezza strappato e rattoppato in fretta e furia, con poca attenzione.  

-Grazie...- disse, tirando rumorosamente su col naso, mentre provava a stringere delicatamente le dita, sentendo i punti tirare. 

Le rispose con un grugnito disinteressato, alzandosi dalla sua posizione accucciata, prima di spalancare la porta del bagno, lasciandola finalmente sola in quella piccola stanza gelida. Celeste sospirò, sollevandosi a fatica in piedi, continuando a guardarsi la mano gonfia e rossa, ripensando a ciò che era appena avvenuto in quelle quattro mura. Un brivido le percorse la schiena al ricordo della spiacevole scoperta fatta su quell’uomo misterioso: era indubbiamente un perverso, un essere con fantasie deviate e dannose per gli altri; era chiaramente disposto a ferire gli altri pur di provare del piacere personale e, questa nuova informazione, la terrorizzava: significava essere in pericolo in ogni aspetto della giornata, in ogni situazione che lo coinvolgesse con lei. Non avrebbe mai potuto essere al sicuro con lui accanto.  

 

-Capo, eccoti finalmente! Ci stavamo chiedendo cosa fosse successo.- disse Illuso, girando leggermente la schiena dalla sedia per guardare Risotto, che con passo sicuro e pesante si avvicinava al tavolo dove erano riuniti i tre colleghi, con dei piatti fumanti di pasta davanti agli occhi.  

-Scusate per il ritardo; abbiamo avuto un piccolo dibattito e ha opposto resistenza alle cuciture.- spiegò l’uomo, sedendosi al suo posto, massaggiandosi vigorosamente gli occhi, premendo con fin troppa forza sulle palpebre stanche e pesanti.  

-Spero tu le abbia dato una lezione, capo! Quella zoccola continua a comportarsi come più le piace nonostante tutte le botte che si piglia, è davvero una testa di cazzo!- 

-Abbassa la voce Ghiaccio, mi stai urlando nelle orecchie.- 

-Stai zitto, Illuso! Vuoi che spacchi la faccia anche a te?! Eh?!- 

-Quale cazzo è il tuo problema scusa?!- 

-Basta entrambi, sono stanco: non ho intenzione di sentirvi litigare; fate silenzio.- li ammonì con tono sostenuto il loro capo, facendo ammutolire immediatamente i due sottoposti. 

Prosciutto guardò con aria quasi preoccupata il suo collega: sembrava così spossato, come se avesse appena affrontato una qualche sfida psicologicamente snervante. Aveva sentito chiaramente la voce di Celeste urlare una ventina di minuti prima, come l’avevano udita anche i suoi due altri compagni, eppure non era ancora sicuro di cosa fosse effettivamente successo fra loro in quel bagno, soli in una stanza.  

Un dubbio gli fece fermare il respiro di colpo, lasciandolo quasi strozzarsi con un boccone di pasta: e se l’avesse uccisa? 

Cominciò a tossire rumorosamente, battendosi dei vigorosi colpi contro il petto, cercando di fermare gli spasmi del proprio corpo. 

-Cazzo amico, tutto okay?- chiese allarmato Ghiaccio, mentre Illuso dava delle forti pacche alla schiena del biondo, porgendogli un bicchiere d’acqua. 

Dopo ancora qualche colpo di tosse, Prosciutto fece dei profondi respiri, asciugandosi le lacrime dagli occhi e passandosi un tovagliolo sulla bocca. 

-Sì, grazie... mi sono un attimo strozzato.- e prese il bicchiere dalle mani del collega bruno, ringraziandolo ancora con un gesto del capo, prima di bere qualche sorso d’acqua, sentendola scivolare quasi dolorosamente per la propria gola. 

No, non poteva averla uccisa, Risotto non era una persona irrazionale, figuriamoci così egoista e irresponsabile. Non avrebbe mai agito così d’impulso, così d’istinto. 

Istinto. 

E se lo stand di quella donna avesse avuto un’influenza negativa questa volta? E se quel potere amplificasse le volontà dell’individuo colpito, anche quelle omicide?  

Merda, merda, merda! Aveva bisogno di sapere come stesse quella stolta, non riusciva più a trattenersi. 

-Come sta Celeste?- domandò di colpo, quasi urlando, facendo alzare il capo a tutti i suoi colleghi.  

Risotto lo guardò con fare interrogativo per qualche istante, prima di tornare al suo classico aspetto disinteressato. 

-Sta bene, come ti ho già detto prima abbiamo discusso per via di un’inezia, ma sta bene. Non so bene cosa stia facendo al momento, credo sia ancora chiusa nel bagno.- rispose, masticando un boccone, prima di fissare il biondo negli occhi con uno sguardo glaciale –Se proprio ti pressa così tanto l’argomento, vai direttamente da lei e chiedile come sta.-  

Nella sala calò un silenzio angosciante, mentre un sentimento di disagio e imbarazzo fece colorare di rosa le guance pallide di Prosciutto, imbarazzato e umiliato dalla provocazione inopportuna del suo capo.  

Perché lo aveva messo in ridicolo davanti a tutti i suoi compagni in questo modo? 

Stringendo i pugni, si alzò dal tavolo e, senza dire una parola, si diresse con passo svelto verso la porta del bagno, spalancandola senza bussare, incurante dello stato in cui avrebbe potuto trovare la ragazza. 

-Donna, perché diavolo non sei a mangiare con...- la voce gli morì in gola quando, facendo girare le pupille per la stanza, non trovò la donna dai capelli dorati seduta in un qualche angolo, ma al suo posto gli si presentò un bagno con vari oggetti spostati, gettati al suolo, che presentava diverse macchie di sangue, misto a saliva e... sperma? 

Prosciutto storse il naso, disgustato dalla scena palesatagli davanti: cosa diamine era successo fra lei e Risotto?  

Chiuse con un gesto rapido la porta lignea, indietreggiando di qualche passo e voltando il capo verso la camera da letto di Celeste e vi si avvicinò. 

-Cosa diavolo stai facendo? Perché non sei a tavola a pranzare con noi?- chiese, entrando nella stanza di colpo, sorprendendo la ragazza supina sul suo letto, che ebbe un sussulto alla vista dell’uomo. 

-Cosa ci fai in camera mia?- rispose con una domanda a sua volta, sedendosi sul materasso e stringendosi contro il muro, scrutandolo con i suoi gonfi occhi, colmi di odio e risentimento.  

-La tua camera? Guarda che sei un ostaggio, mica vivi con noi.- sputò con fare acido, poggiandosi a braccia incrociate allo stipite della porta –Allora, rispondimi, non ho tempo da perde; mi si fredda la pasta.- 

La sentì sospirare rumorosamente, mentre distoglieva lo sguardo stanco verso le proprie mani, prima di parlare. 

-Non ho fame.- 

-Hai bisogno di mangiare.-  

-E perché?- 

Egli alzò gli occhi al cielo: la detestava, quella stupida ragazzina, così testarda e infantile. 

-Piantala con questa pagliacciata e vieni a sederti con noi a tavola, le conosci le regole; a Risotto non piace quando non gli si ubbidisce.-  

La sentì ridacchiare, prima di coprirsi la bocca con il palmo sano, per nascondere il suo sorrisetto arrogante. 

-Oh, lo so bene, credimi.- 

-Allora perché continui a metterti nei guai, perché continui a provocarlo? Cosa ti costa ubbidirgli?- il tono esasperato lasciò trapelare quasi della disperazione, come se fosse una supplica, fatta più e più volte, ma mai esaudita. 

La vide tremare sul posto, scossa da una scarica di rabbia. 

-Cosa mi costa?!- urlò, alzandosi dal letto, correndo incontro all’uomo, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso –Mi costa che mi avete rapita, cazzo! Mi avete rapita, mi avete stuprata, mi avete picchiata! Mi costa la mi cazzo di dignità, porca puttana! Guarda come cazzo mi avete ridotta! Sto persino perdendo i capelli, lo capisci?! Non dormo da settimane e tu mi chiedi perché cazzo non vi ubbidisco?! Tu lo sai che cazzo mi fa quel porco del tuo capo?!- prima che potesse continuare, un suono sordo e schioccante riempì la stanza: Prosciutto le aveva appena schiaffeggiato la guancia, costringendola a voltare il capo completamente dall’altra parte. 

-Fai silenzio.- disse semplicemente, osservandola mentre si portava la mano sulla pelle arrosata del viso, ricambiando lo sguardo di odio, mostrandogli i suoi occhi gonfi e lucidi, carichi di lacrime pronte a zampillare come fontane; nulla di nuovo per quella donna.  

-Siete solo dei fottuti maniaci, dei sudici maiali.- portò le braccia lungo i fianchi, stringendo il più possibile i pugni nonostante le ferite –dei cazzo di falliti.- 

Prosciutto la scrutò con disprezzo: quella sgualdrina lo disgustava.  

Sospirando infastidito, si voltò da lei, dirigendosi nuovamente verso la porta d’ingresso. Prima di lasciare la camera da letto, decise di volgere il capo verso di lei un’ultima volta. 

-Spero tu muoia nel modo peggiore possibile.- e sorrise, notando l’espressione della ragazza mutare completamente, come se si stesse sgretolando sul posto, proprio davanti a lui, mentre il volto veniva inondato di lacrime silenziose –ora vieni a mangiare.-  

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Capitolo 22
*** Follia ***


Erano passati giorni, settimane, forse persino mesi dal suo rapimento e a Celeste pareva di sentire la sua sanità scivolarle dalle mani, ora dopo ora, minuto in minuto, a ciascun ticchettio dell’orologio nel battere i secondi: la follia stava raggiungendo anche lei.

Vedeva cose quando era certa non ci potessere essere anima viva: riflessi negli specchi, occhi che la osservavano dal bagno, voci che le sussurravano all’orecchio, entità che la seguivano.

Persino il suo corpo la stava tradendo, facendole percepire all’improvviso un crollo generale della temperatura, costringendola a tremare disperata, mentre dei brividi lunghi e profondi le affondavano fra i muscoli indolenziti della schiena.

Era impossibile dormire in quelle condizioni: lei le vedeva quelle iridi rosse scrutarla dallo stipite della porta, sempre vigili sul suo corpo indifeso, protetto unicamente da un velo di coperte. 

Quando non vi erano quelle sfere di fuoco a osservarla nella notte, ci pensavano gli incubi a tormentarla: si svegliava nel buio più totale, incapace di respirare, mentre il suo corpo non reagiva ai suoi comandi e non riusciva ad aprire le palpebre, bloccate da una forza soprannaturale, mentre tentava invana ad urlare, sentendo come le labbra non si schiudessero nonostante le sue suppliche. 

In momenti come quelli, quando il suo corpo si paralizzava completamente, poteva sentire delle mani percorrere le sue cosce nude, insinuarsi fra la sua veste da notte, premere contro la sua intimità, premere fra le sue pieghe.
Solo allora si svegliava: riusciva a spalancare terrorizzata gli occhi, alla ricerca disperata del suo aggressore in ogni angolo della stanza buia, ritrovandosi incapace di scrutare anche solo un particolare insolito fra quelle mura. 

Urlare non aveva più senso, lo aveva capito: nessuno l’avrebbe ascoltata.

Tutti l’avevano abbandonata al suo misero destino ignoto.

Era sola in quella situazione.

Era sola con sé stessa.

 

-Capo, ma siamo sicuri che quella stia bene?- la voce perplessa di Formaggio riportò l’attenzione di Risotto e degli altri colleghi verso l’argomento di quella riunione: Celeste.

-Io non la vedo al massimo: ha perso un sacco di peso, non credo manco chiuda più occhio la sera, le occhiaie le prendono metà faccia praticamente!- concordò Melone, appoggiando comodamente la schiena sul divano ingrigito -Non va bene per una donna raggiungere questi livelli di stress: rischiamo di farla diventare sterile.-

Ghiaccio sbuffò rumorosamente, sbattendo prepotentemente una mano guantata contro il tavolino in vetro davanti ai loro piedi, causando lo spostamento delle tazzine da caffè appoggiatevi sopra.

-Che cazzo c’entra se quella puttana può rimanere incinta o no! Rischiamo che quella troia si lasci morire e che il boss ci ammazzi tutti, ecco che cazzo rischiamo!- sbraitò, continuando a imprecare contro la donna.

-Ghiaccio ha ragione, capo.- aggiunse Illuso, rivolgendo all’uomo dai capelli bianchi uno sguardo colmo di serietà e preoccupazione -Stiamo veramente giocando con le nostre vite a questo punto, dobbiamo assolutamente fare qualcosa per fermarla.-

-Mi chiedo come faccia una persona a ridursi in tale maniera.- dichiarò Prosciutto, sistemandosi una ciocca setosa di capelli dietro l’orecchio, scrutando i suoi colleghi con fare disinteressato -Si è presentata come una persona così forte d’anime e ora eccola, ridotta a uno rifiuto umano… miserabile.- sputò.

-Scusate la domanda inopportuna, ma...- disse Gelato, portando gli occhi degli uomini verso di sé e il compagno, sopra il quale stava comodamente seduto, poggiandosi sulle sulle sue spigolose ginocchia -Si può sapere come avete fatto a ridurla così male in poco più di un mese?- una risata gli sfuggì dalle labbra carnose, contorte in un sorriso divertito -Non era fra i nostri obiettivi quello di trattarla in un modo accettabile, per portarla al boss nel migliore delle condizioni possibili?- 

Risotto non si mosse quando il ragazzo dai riccioli azzurri scattò in piedi, volgendosi verso la coppia in un gesto rabbioso, accompagnato dall’apertura delle sue braccia muscolose, in segno di sfida.

-Ah, facile parlare quando non si fa mai un cazzo, eh?!- si avvicinò ai due, digrignando i denti, mentre la sua voce diventava quasi un ruggito -Ne ho le palle piene di quel tuo minchia di sorrisetto mentre dici agli altri cosa avrebbero dovuto fare, cazzo!.-

-Posa quel tuo culo ossuto sul divano, Ghiaccio.- si sentì la voce bassa e gutturale di Sorbetto riempire la stanza -Non vogliamo che finisca come l’ultima volta, vero?- Gelato ridacchiò ancora alle parole del compagno, sistemandosi più comodamente sul suo largo petto, osservando come l’espressione del collega dagli occhiali si contorcesse in smorfie furiose, come se stesse provando con tutte le sue forze a non saltare loro addosso.

-Brutto stronzo, ti ammazzo cazzo!-

-Ghiaccio.- fu tutto ciò che servì per far bloccare sul posto l’uomo, mentre Risotto lo scrutava con uno sguardo severo e chiaramente infastidito da quella situazione, che ogni volta degenerava -Basta così, tutti e tre. La situazione è già complessa di suo, non servono i vostri inutili litigi.-

Con un rumoroso schiocco della lingua, Ghiaccio fece come ordinato e si sedette nuovamente accanto al suo collega dai capelli lilla, che nascose un sorriso divertito.

-Quindi, come pensiamo di procedere con quella donna?- chiese Sorbetto, piegandosi lievemente di lato, per guardare in volto gli altri membri dalla schiena del partner. 

-Agire con la violenza non farebbe altro che incitarla nel suo percorso autodistruttivo.- esordì il loro capo, premendo con le dita delle mano le palpebre stanche, massaggiandole vigorosamente, come era solito fare in situazione mentalmenti stancanti come quella. 

-Sarebbe bene parlarle, allora.- aggiunse Prosciutto, ricevendo come risposta un movimento affermativo del capo di Risotto, incoraggiandolo a continuare -Bisognerebbe riuscire a legare abbastanza con lei per riuscire a convincerla a uscire da questo stato depressivo.-

-Ma… ma come facciamo a legare con una persona che ci odia…?- balbettò timidamente Pesci, abbassando lo sguardo mortificato non appena Prosciutto spostò le sue iridi di ghiaccio su di lui.

-Il ragazzino non ha tutti torti.- lo supportò Formaggio -Quella ci vorrebbe vedere tutti morti, come facciamo a convincerla a non lasciarsi deperire completamente? E’ impossibile!-

-Non se ci organizziamo per una sceneggiata.- propose Illuso, sorridendo.

-In che senso?-

-Se ci mettiamo tutti d’accordo, possiamo mettere su un teatrino.- iniziò a spiegare, piegandosi in avanti, allargando gentilmente le braccia per coinvolgere tutti nel discorso, attirando coi gesti le loro attenzioni -Dobbiamo scegliere una persona che finga, piano piano, di affezionarsi realmente alla zoccola. Questa persona dovrà comportarsi come se provasse effettiva pietà nei suoi confronti, rompendo alcune nostre regole e proteggendola in certe occasioni. E’ talmente tanto disperata che davanti a un minimo di umanità si affiderebbe completamente: in questo modo la si può manipolare nel fare quello che vogliamo.- concluse, tirandosi nuovamente indietro verso lo schienale del divano.

-Non sembra male come piano, effettivamente.- annuì Melone, mordendosi il labbro con fare pensoso, mentre i suoi occhi vagavano distrattamente verso il soffitto, già immaginando l’esilarante spettacolo che li aspettava. 

-Sarà un processo lungo, però…- sospirò pensoso Risotto.

-Sì lo so, ma onestamente mi sembra essere l’unica scelta credibile, no? Infondo quella ragazza è debole, ha bisogno di una spalla su cui piangere. Se le presentiamo qualcuno con un minimo di empatia, possiamo essere certi che si attaccherà immediatamente, facendo tutto quello che le viene ordinato.- 

-Non ti facevo così intelligente, Illuso.- ridacchiò meschinamente Ghiaccio, coinvolgendo anche Formaggio e l’uomo dai capelli castani, che rispose con tono scherzoso.

-Visto? L’università ogni tanto si fa sentire.-

-Anche se non si è dato alcun esame?- lo stuzzicò il ragazzo dai capelli lilla, facendo sorridere tutti, tranne Risotto Nero, che continuava a scrutare un punto vuoto davanti a sé, come se stesse cercando di studiare tutti gli scenari possibili nella sua mente. 

-Allora, chi sarà lo sfigato a doversi sorbire tutte le scenate isteriche di quella povera pazza?- 

-Io no, cazzo! Non ci sopportiamo e odio sentirla piangere.- 

-Tranquillo Ghiaccio, non penso fossi nemmeno stato preso in considerazione.-

-Senti chi cazzo parla! Come se a lei tu stessi simpatico, Melone! Credi che la troia non li noti i tuoi fottutissimi sguardi viscidi mentre le fissi i piedi?!-

-Almeno non l’ho fatta piangere!-

-Quante volte te lo devo ripetere che quella zoccola piange per ogni cazzo di cosa!-

-Io propongo Prosciutto.- li interruppe Illuso, osservando l’amico biondo, che lo guardò stupito, sbarrando leggermente le palpebre adornate dalle ciglia, folte e chiare, per la sorpresa.

-Ha senso.- annuì Formaggio, alzandosi dal divano, passeggiando per la stanza distrattamente, stanco di star seduto nella stessa posizione -Dopotutto, il nostro caro Pro’ ha un chiaro debole per Celeste, non è così?- e rise, consapevole di aver colpito l’uomo nel suo orgoglio. 

Nessuno infatti si stupì quando Prosciutto strinse i pugni poggiati sulle cosce muscolose, mentre una vena iniziava a pulsare insistentemente lungo la sua fronte lucida.

-Smettetela con questo discorso assurdo.- soffiò, alzando gli occhi cristallini al cielo -Se volete che mi ci avvicini io lo farò, ma non ditelo come se mi facesse alcun piacere: è per il bene della Squadra. Quella donna è talmente miserabile da farmi venire il vomito.-

-Certo, però te la sei scopata volentieri.-

-Melone!- quasi urlò, sbigottito dai suoi modi così volgari e oltraggiosi nei confronti di un membro più anziano. Come si permetteva di umiliarlo davanti a tutti i suoi colleghi in tale maniera?!

Formaggio, Illuso, Ghiaccio e Melone scoppiarono in una grottesca e scomposta risata, divertiti dalla reazione così esagerata e stizzita del compagno, consci di averlo provocato su un argomento a lui molto caro: la sua dignità. 

Risotto, invece, si ritrovò inconsciamente a digrignare i denti, sentendo le meningi pulsare a quella pressione così violenta e duratura nel tempo. Era innervosito… anzi, era furioso. 

Furioso per la poca serietà dei suoi compagni durante una riunione così seria, furioso per le loro battute volgari in momenti del genere, furioso per il casino che avevano fatto tutti insieme, come Squadra, che ora li metteva in una situazione di pericolo.

Furioso per ciò che aveva detto Melone. 

Furioso per la proposta così rapida di Prosciutto per avvicinarsi a quella donna.

Furioso della reazione del suo compagno.

Risotto era furioso.

-Piantatela con queste stronzate!- tuonò a un tratto, facendo piombare un silenzio assordante nella sala. 

Tutti si voltarono intimoriti a guardarlo: era raro sentire il suo tono di voce così alto, così aggressivo, così poco tollerante.

-Dobbiamo trovare una soluzione per un problema serio, non abbiamo tempo per cazzeggiare in questo modo!- concluse, guardando uno a uno i suoi uomini negli occhi, notando come i loro sguardi si abbassassero con vergogna, uno dopo l’altro.
Sospirò, chiudendo leggermente le palpebre, inspirando con calma, prima di incoraggiarli a continuare il discorso.

-Quindi è deciso per Prosciutto?- domandò titubante Illuso, scrutando il viso dei suoi compagni.

-Io non sono dell’idea che scegliere me sia una buona idea.- ammise il biondo, dopo qualche secondo di silenzio.

-Cosa?! E perchè? Sei quello che fino ad adesso c’è stato più attorno, dopo il Capo intendo.- la voce esasperata di Ghiaccio fu seguita da un coro di approvazioni.

-E’ per un problema che ho riscontrato, quando mi trovo solo con lei.-

-Stiamo davvero tornando su quel discorso, Prosciutto?- chiese infastidito Illuso, massaggiandosi le tempie.

-Non dirmi che è perché non sai tenertelo nei pantaloni, cazzo!-

-Di che diamine state parlando, si può sapere?- li interruppe nuovamente Risotto, guardando con fastidio i tre uomini, concentrandosi sul collega dagli occhi cristallini -Prosciutto, cosa intendi dire con “problema”?- 

Il biondo sospirò: ora avrebbe dovuto esporre tutta la sua teoria, davanti all’intera Squadra. Sicuramente molti gli avrebbero detto che quelle erano solo scuse per le sue azioni e che non c’era nulla di cui preoccuparsi, era un uomo dopotutto! Era normale reagire così davanti a una tale puttana.
No, Prosciutto ne era certo: quello non era il suo modo di agire e sapeva benissimo che non era nemmeno normale per il suo Capo comportarsi in una tale maniera, così imprudente e avventata… così egoistica. 

-Avrei voluto parlarvene prima, ma non eravamo mai riusciti a fare una riunione completa in questo periodo, quindi ho preferito aspettare che fossimo tutti riuniti, assieme.- iniziò, nel goffo tentativo di giustificare il ritardo nell’esposizione di una teoria così importante -Una sera, quando mi sono ritrovato solo con Celeste, ho notato un qualcosa di inaspettato e mi sono sentito come incapace di controllarmi.- potè sentire gli occhi neri di Risotto assottigliarsi, mentre lo scrutavano con uno sguardo severo, come colmo di disprezzo -E’ come se di colpo il suo intero corpo fosse coperto da.. da un’aura rossa e io mi sono ritrovato incapace di controllarmi, mi capite?- il suo tono lasciò trasparire la sua disperata ricerca di empatica e comunione coi suoi compagni: lui sapeva di non essere stato l’unico ad aver provato quelle cose; lui ne era certo.

-Nel senso che non sei riuscito a fermarti dallo stuprarla?- chiese ridacchiando Ghiaccio, sorridendogli, mentre accarezzava distrattamente il petto del partner, seduto sotto di lui.

-E’ brutto da ammettere, ma in realtà è proprio quello che è successo.- sentì il suo orgoglio incrinarsi a quella confessione, così umiliante e vile -Non sono riuscito più a fermarmi e lo sapete bene pure voi che io non sono solito perdere il controllo: sono sempre stato riconosciuto per le mie capacità di gestione personale, è assurdo il fatto che io abbia rischiato di mettere in pericolo la salubrità della nostra missione, solo per il corpo di una donna, di proprietà del Boss, inoltre.- fece una pausa e incontrò finalmente lo sguardo duro del suo compagno -Capo, io credo che quella donna abbia uno stand.-

Tutti gli occhi di quella stanza si fissarono su di lui.

Uno stand? Quell’inetta? Quella lurida puttana, che non faceva altro che piangere e urlare come un bambino tutto il giorno? Quella patetica creatura, che era diventata il giocattolo del gruppo, il loro passatempo per quando i pomeriggi liberi si facevano troppo noiosi? Lei? Davvero lei?

-Stai scherzando, vero?- provò a dire Melone, aspettando invano una risata dal compagno, che però non mosse un muscolo del viso.

-Ma che cazzo di stand sarebbe?- 

-Infatti! Che scopo ha uno stand se ti mette in pericolo?-

Risotto non sentì le voci dei suoi compagni alzarsi, sovrastandosi l’una sull’altra, nel tentativo di coprire le parole pronunciate da Prosciutto: la sua mente era occupata da altro.

Anche il suo più fidato collega aveva percepito quelle sue stesse sensazioni. 

Anche lui si era sentito costretto a prenderla, a farle del male, a violarla. 

Anche lui era stato sopraffatto da quella strana forza, come una voce che gli gridava incessantemente di agire, di usarla a suo piacimento, di usurparla come meglio credeva per il suo piacere, per il suo godimento e quello di nessun altro.

-A quanto pare non ne è consapevole.- esordì, dopo minuti interi di silenzio, passati a riflettere su quell’assurda situazione.

-Non ne è consapevole?! Come cazzo è possibile?-

-Come farebbe a non rendersene conto?!-

-Capo, è impossibile!-

-Invece sì che lo è.- la voce di Prosciutto zittì nuovamente le rumorose proteste -Ho sentito parlare di strani casi in cui il portatore non era conscio del suo potere e lo stand finiva inevitabilmente col lavorare contro il proprio portatore…- 

-Ma allora… se potesse controllarlo, che potere avrebbe?- domandò Melone, spostandosi in avanti col busto, per ascoltare meglio la conversazione. Non era tipico sentire di questi casi così anomali, sicuramente quella donna si faceva sempre più interessante.

-Non posso dirlo con certezza, ma credo abbia a che fare col controllo delle emozioni delle persone, o comunque dei loro desideri.- concluse il biondo annuendo.

-Nel caso fosse così, sarebbe sicuramente uno stand utile. Pensate averla come partner! Potrebbe prendere le emozioni negative di una persona e manipolarla a tal punto da spingerla al suicidio!- 

Risotto spalancò le palpebre a quella teoria, pronunciata da Illuso: aveva ragione. 

Nel caso Celeste avesse avuto veramente un potere simile, la manipolazione sarebbe stata un’arma pericolosa da utilizzare, per portare le persone all'autodistruzione, facendole impazzire, facendo perdere loro il controllo, mettendole l’una contro l'altra. 

Proprio come stava accadendo loro.

 

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Capitolo 23
*** Inetto ***


TW: istinti suicidi, malnutrizione

 

Prosciutto scrutò con attenzione il riflesso del suo viso nello specchio del bagno: osservò per primi i suoi occhi cristallini, che studiavano con attenzione i suoi tratti marcati, ma allo stesso tempo gentili ed eleganti; passò poi alle sue labbra carnose, ma non volgari o grottesche, caratterizzate da un arco di cupido particolarmente segnato; seguirono le sue guance lievemente scavate, che gli davano un aspetto severo; infine arrivò al suo naso, lungo e dritto, che accompagnava rigidamente lo sguardo lungo tutto il suo volto magro, mentre le sue sopracciglia folte e chiare si stringevano in mezzo alla fronte, causando la formazione di alcune rughe, accompagnate dalle pieghe della sua pelle lattea, dimostrando i primi segni di perdita della sua elasticità giovanile.
Sapeva di dover smettere di fumare, non giovava assolutamente alla sua cute, ma cosa poteva farci? Ogni uomo ha i propri vizi dopotutto e il suo era un vizio tanto sciocco, quanto pericoloso.

Sospirò, portandosi un’ultima volta dell’acqua fresca al volto, chiudendo in seguito il lavandino e cercando un asciugamano in spugna con cui tamponarsi il viso gocciolante.
Il giorno era arrivato: dovevano iniziare con il piano.
Dovevano riuscire a convincere quella povera pazza a non lasciarsi morire.

Come avrebbe fatto lui ad avvicinarsi a Celeste? La sua Squadra aveva posto troppa fiducia in lui: quella puttana lo detestava e ne aveva tutte le ragioni. Prosciutto l’aveva picchiata in più occasioni, dal primo giorno l’aveva sempre disprezzata e insultata ed era arrivato persino a… possederla, senza il suo consenso, in una maniera così vile, così sporca e rozza, così veloce e priva di alcuna passione.
Un brivido gli percorse la schiena: ricordare quei momenti quasi lo terrorizzava, come se ad agire in quell’occasione non fosse stato lui, ma qualcun altro, in possesso e comando del suo corpo.

Avrebbe sicuramente fallito l’impresa, ne era certo.

Non sarebbe riuscito ad avvicinarsi a quella miserabile e lei li avrebbe scoperti. Sicuramente non sarebbe riuscito a trattenersi e sarebbe finito col compiere un ennesimo passo falso, allontanandola ancora di più sé.
Li avrebbe delusi tutti quanti: Risotto Nero, i suoi compagni, il suo boss, sé stesso, persino quella donna.
Già la vedeva: eccola che rideva dei suoi fallimenti, mentre lo sbeffeggiava per essere così incapace da non riuscire nemmeno a ingannare una stupida troia come lei.
Era un fallimento come uomo, lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma ora doveva agire: doveva dimostrare a quell’immagine riflessa che non era così un fallito come tutti lo pensavano: era capace Prosciutto, non era un inetto.

Giusto?

Uscendo dal bagno, potè sentire il cuore accelerare sempre di più, quasi come se volesse uscire dal suo ampio petto, per fuggire fuori da quelle mura, che lo facevano sentire in trappola.
Quella baracca in cui si riunivano era diventata per lui un sinonimo di ansia: ogni volta che vi metteva piede vedeva quegli occhi glaciali fissarlo con odio e disprezzo. Non riusciva più a percepire quella catapecchia come un semplice luogo di ritrovo coi suoi fidati compagni, non era più un'innocua casa dove discutere dei prezzi e delle missioni.
Mettere piede in quelle stanze significava avere un confronto diretto con quella creatura.

Come faceva a sentirsi così intimorito da una persona così debole ancora non lo sapeva.

Era lei quella in pericolo, era lei l’ostaggio, era lei quella più prona alla morte, non lui, che cazzo!
Eppure, proprio non riusciva a fermare il leggero tremore delle sue dita mentre si spostava una ciocca fastidiosa di capelli dal viso, entrando nella cucina, passando per la sala principale, preparandosi a incontrare quelle iridi azzurre e chiare come il cielo in una splendente giornata di primavera.

Eccola, seduta al tavolo, con davanti a sé una tazza di tè bollente, mentre i vapori della bevanda le investivano il volto candido ma stanco, segnato dalla tristezza e l’abbandono.
Le palpebre chiuse conferivano alla sua espressione quasi un senso di pace, accompagnate dalle labbra pallide, stese orizzontalmente, secche e screpolate, quasi come uno squarcio nelle carni asciutte.

In momenti di silenzio come quelli, Celeste quasi si sentiva calma, la sua mente devastata quasi riusciva a riposare… quasi.
Quasi, perché il ticchettio dell’orologio continuava a scandire i secondi che le sfuggivano dalle mani, rinchiusa in quella casa.
Quasi, perché i passi fra le mura non cessavano un istante, accompagnati dagli schiamazzi, i sussurri, le acide parole che le perforavano le orecchie, mentre il portone d’ingresso continuava a spalancarsi e chiudersi, ricordandole quanto la libertà fosse vicina, letteralmente a pochi passi di distanza… pochi passi impossibili da compiere.

-Donna.- una voce la costrinse ad aprire stancamente le palpebre pesanti, mentre spostava le sue pupille verso quella figura longilinea, ma comunque massiccia, che la fissava insistentemente, rigida sul posto.

-Prosciutto.- rispose lei, bevendo un piccolo sorso della bevanda -Hai bisogno di qualcosa?-

L’uomo deglutì in maniera quasi impercettibile, prima di mettersi a sedere proprio davanti a lei, accedendo poco dopo una sigaretta e riempiendo immediatamente la stanza del forte aroma di fumo e di tabacco bruciato.

-Sì.- disse, togliendosi dalle labbra rosee la stecca di carta, prima di esalare il fumo grigio verso la ragazza, che istintivamente arretrò di poco il viso, contorto in un’espressione di fastidio -Preparami un caffè, per favore.-

“Per favore?” pensò Celeste, lasciando che un sorriso incrinato le deformasse il viso, mentre lasciava la propria sedia per esaudire la richiesta del suo rapitore “Brutto bastardo, si diverte proprio a prendermi per il culo.”

-Allora, umh…- lo sentì pronunciare, a voce bassa, quasi sommessa, mentre era intenta ad accendere il fuoco sotto la caffettiera.

Che cazzo voleva ancora da lei?

Cosa voleva chiederle, eh? Come stesse? Come cazzo credeva potesse stare, in quelle condizioni? Con una mano ancora dolorante e deturpata da una nauseabonda ferita sempre sull’orlo di un'infezione, gonfia e tumefatta, come i suoi zigomi ogni settimana, quando i suoi amici colleghi si divertivano a prenderla a schiaffi per il minimo errore.

Voleva chiederle come si sentisse, magari?
Già, in fondo come poteva sentirsi chiusa in quella bettola di merda da Dio solo sa quanto, costretta nelle stesse fottutissime stanze per settimane, intenta a compiere gli stessi lavori per ore e ore, ogni giorno, come se fosse la loro schiava.

Magari voleva chiederle come si sentisse quando la forzavano al muro, o quando la palpavano mentre camminava, oppure quando le schiaffeggiavano così giocosamente il corpo ogni volta che era costretta a piegarsi un minimo per raccogliere un oggetto, eh?

Si sentiva benissimo, non è vero? Si sentiva così fottutamente bene in quella casa!

Si sentiva così bene quando non riusciva più a guardarsi allo specchio, perché sentiva che la sua immagine non era l’unica cosa intenta a fissarla dal riflesso; si sentiva così viva quando non riusciva più a spogliarsi del tutto, nemmeno per fare la doccia, perché percepiva sempre due occhi fissarla; si sentiva così bene quando delle voci la chiamavano dai corridoi vuoi.

Sì, si sentiva sicura in quella gabbia, piena di mostri violenti, sempre pronti ad aggredirla in ogni momento di debolezza, sempre pronti a strapparle i vestiti di dosso, a tagliarle il corpo, a prenderla a calci nel costato; sempre pronti a bloccarla su quei fottutissimi divani lerci e polverosi, per poi violentarla, sussurrandole oscenità alle orecchie, picchiandola anche in quegli istanti, mentre disperata non riusciva più nemmeno a lottare, perché troppo stremata per urlare e piangere ancora.

Sì, stava davvero bene lì, con tutti loro.

-Ho visto che hai perso un po’ di peso.- continuò l’uomo, risvegliandola da quello stato di trance in cui era finita dopo le sue prime incerte parole -Per caso le materie prime che ti portiamo non sono di tuo gradimento?-

Era serio?

Trattenne nuovamente una risata: tutto questo doveva essere un esperimento sociale, non poteva essere la realtà.
Quest’uomo non poteva essere vero.

-Stai bene, Prosciutto?- non riuscì a bloccarsi dal porgli quella domanda.

Vide gli occhi dell’uomo oscurarsi, mentre le sue folte sopracciglia si aggrottarono, causando la comparsa di numerose pieghe sulla sua fronte liscia.

-Non capisco cosa intendi: sto benissimo. Ora rispondi al mio quesito, donna.-

Ella alzò leggermente le spalle, lasciando che una risatina sottile le sfuggisse dalle labbra secche e screpolate, porgendo finalmente all’uomo la sua tazza di caffè bollente.

-Le materie prime vanno bene, non preoccuparti.- disse, dopo qualche attimo di silenzio, guardando i fornelli della cucina, reggendosi con una mano allo schienale della sedia posizionata accanto al biondo -Diciamo che non sono nelle condizioni ottimali per avere appetito, tutto qua.- e forzò un sorriso tirato, chiaramente mirato a provocare il fastidio di Prosciutto, che infatti sospirò pesantemente, prima di bere un sorso della bevanda amara e dal forte aroma tostato.

-Abbiamo avuto una discussione con tutti i membri della Squadra riguardo alla tua salute.- continuò lui, cogliendola di sorpresa e quasi costringendola involontariamente a voltare il capo verso la sua voce calda e bassa -Siamo giunti alla conclusione che la tua salute si sta degradando troppo e non possiamo permettere che le tue condizioni peggiorino.-

“Ora che le vostre vite sono in pericolo vi preoccupate della mia, eh?” pensò, stringendo le dita ossute contro lo schienale in legno, liscio contro la sua pelle arida e squamosa, mentre una fitta le percorreva il palmo, a causa della ferita ancora viva nelle sue carni cucite.

-Perciò abbiamo deciso che a ogni pasto ti unirai a noi, in modo da avere la certezza che tu riceva il giusto nutrimento.- concluse, posando la tazzina in ceramica sopra la superficie lignea del tavolo, incrociando i suoi occhi cristallini con quelli azzurri della ragazza, che lo osservava come priva di alcuna luce, guardandolo con le sue palpebre pesanti e calate, così stanche e affrante: sentì il suo cuore stringersi davanti a quella visione.

-Credi davvero che basterà farmi mangiare tre pasti al giorno per tornare ad avere un colorito normale della pelle, Prosciutto?- domandò, voltando anche il corpo ormai ossuto nella sua direzione, posando una mano grigiastra sul fianco sporgente -Pensi davvero…- un’altra piccola risata uscì dalla sua bocca e subito portò il palmo libero sulle sue labbra, per nascondere il suo sorriso dalla vista dell’uomo, che interdetto la osservava -...sei davvero convinto che sia solo la mia mancanza di appetito ad avermi resa così, il relitto di me stessa?- la voce le si incrinò alle ultime parole, come se quella domanda le fosse costata un caro prezzo.

-Celeste, non ho intenzione di iniziare questo discorso con te. Io ho semplicemente l’ordine di farti mangiare a sufficienza.-

-Ma lo capisci o no che farmi prendere peso non servirà a un cazzo?!- il suo tono divenne così acuto che Prosciutto poté sentire le sue corde vocali stirarsi e fremere di dolore, mentre la sua gola sembrava squartarsi per quell’urlo disperato appena pronunciato -Lo capisci che non è quello il problema?!- continuò, lasciando che questa volta le dolorose lacrime che le pungevano insistentemente gli occhi rossi le scivolassero lungo il viso spento e scavato -Mi state portando alla morte, cazzo! Mi state uccidendo!- presa da un moto di rabbia, non potè trattenersi dall’afferrare la tovaglia rovinata sul tavolo, per tirarla al suolo, assieme alle due tazze poste sopra di essa, che si frantumarono rumorosamente al suolo.

-Celeste, smettila immediatamente con questa sceneggiata!- gridò di rimando l’uomo, alzandosi con uno scatto dal suo posto, afferrandole il polso della mano ferita, pronto a colpirla in volto.

-Prendimi a schiaffi, allora!- lo provocò lei, guardandolo con le palpebre spalancate negli occhi, mentre le sue pupille di contraevano maniacalmente e il suo sorriso si allargava lungo il suo volto -Picchiami come fai sempre! Fermarmi prendendomi a calci nelle costole! Spaccami il labbro con uno dei tuoi pugni, forza!- il palmo di Prosciutto si paralizzò a mezz’aria a quelle parole, mentre un’espressione di disgusto misto a sorpresa si dipingeva sul suo viso, sbigottito -Perché non mi porti su quel cazzo di divano, mi strappi i vestiti e mi violenti, eh?! Che cazzo aspetti a farlo! Fammi urlare e piangere come fai sempre, fammi perdere i capelli, fammi aver paura del mio stesso cazzo di riflesso! Forza, fammi dimenticare chi sono! Cosa aspetti a ridurmi a un mucchio di ossa, Prosciutto! Cosa cazzo stai aspettando a uccidermi?!- le sue urla scesero sempre più di tono, fino a ridursi a una misera supplica tremante, interrotta da dei gracchianti singhiozzi spezzati, mentre il suo corpo debole si accasciava al suolo, sorretto unicamente dalla presa ferrea del biondo, che incredulo osservava in silenzio quella scena -Uccidimi Prosciutto, ti prego… ti prego, fammi morire in qualche modo…-

Prosciutto la lasciò scivolare delicatamente sul pavimento, accucciandosi immediatamente accanto a lei, per spostarle dal volto afflitto e umido di lacrime e sudore delle ciocche dorate, mentre ella pronunciava ancora delle suppliche deliranti, cercando invana di tenere gli occhi aperti, guardandolo senza vita con le palpebre abbassate.

-Ti prego, Prosciutto…- sussurrò, stringendo insieme le labbra pallide -Sono così stanca.-

Deglutì con difficoltà, potendo sentire la sua gola secca stridere a quell’azione: come erano riusciti a distruggere così tanto una tale creatura?
Non riusciva a credere allo stato miserabile in cui quella donna si ritrovava, stretta fra le sue possenti braccia, mentre lui poteva sentire tutte le sue costole sotto il tocco delle sue dita callose.

Come erano riusciti a rovinarla, a sfregiarla, a consumarla in tale maniera? Come avevano potuto permettere che una donna così bella, così sensuale, così attraente e affascinante si riducesse a un cumulo di pelle e ossa, come se fosse diventata la sua stessa reliquia, come se fosse già morta da tempo.

Come erano riusciti a spingerla al suicidio in questa maniera?

Come avevano potuto permettere a loro stessi, di portarla a desiderare la morte?

La strinse con più forza fra i suoi arti e la sollevò dalle piastrelle gelide, per portarla con passo lento verso la sua camera, in modo da farla riposare.

“Mi dispiace” fu tutto ciò che riuscì a pensare in quel momento, mentre la accomodava con gentilezza sul materasso rigido e bitorzoluto della sua stanza, coprendo quel suo corpo ormai minuto e debole con le lenzuola vecchie e ingrigite dal tempo.

Prima di lasciare quel piccolo spazio, si voltò ancora una volta, per osservare il fragile busto della donna alzarsi e abbassarsi a fatica a ogni respiro, mentre il suo viso finalmente presentava un’espressione pacifica, come rilassata.

-Mi dispiace…- sussurrò in maniera quasi impercettibile, chiudendosi finalmente la porta cigolante alle spalle.

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Capitolo 24
*** Cognac ***


“Che cazzata!” pensò Ghiaccio, grattandosi nervosamente una tempia, mentre era intento a dondolarsi su una delle sedie della cucina.

-Quella testa di cazzo… la odio, porca puttana!- sbuffò, guardando Melone buttare i resti della ceramica frantumata in precedenza nella lite fra Prosciutto e Celeste nel bidoncino della spazzatura -Fa sempre casini e nessuno le dice mai niente! Poi ai suoi macelli dobbiamo in qualche modo rimediare noi, sembriamo le sue fottutissime cameriere, cazzo!- tirò un rumoroso pugno sul tavolo, facendo voltare il suo compagno verso di lui, che gli sorrise con fare divertito -Risotto Nero la sta davvero viziando, è questa la verità.-

-Ironico da parte tua dirlo, quando non hai alzato un dito per aiutarmi a raccogliere tutti i frammenti delle tazze che erano sparsi per il pavimento.- rise Melone, sedendosi finalmente accanto a lui.

-Io mi rifiuto di rimediare ai suoi danni.- sputò acidamente l’uomo con gli occhiali in risposta, digrignando i denti.

Melone rise ancora, versandosi scioltamente del cognac dal colore ambrato in un calice di cristallo, leggermente beccato all’estremità.

-Ma dimmi un po’, Melone…- continuò l’uomo, facendo spostare nuovamente gli occhi azzurri del collega verso di sé in un movimento svogliato -Secondo te è vera quella storia che racconta Prosciutto?-

-La faccenda dello stand, intendi?- domandò, sorseggiando delicatamente l’alcolico, non rompendo il contatto visivo.

-Sì, quella storia sul suo stand e sul fatto che dovrebbe far perdere i freni inibitori, o cazzate simili.-

-Non saprei dirti, onestamente…- rispose, posando il bicchiere e scuotendo con poca convinzione il capo, lasciando che i capelli color glicine seguissero sinuosamente i suoi movimenti leggeri -Ammetto che le azioni e gli atteggiamenti di Risotto Nero e di Prosciutto sono stati più che inaspettati; troppo impulsivo come comportamento, da parte di entrambi.- proseguì, facendo annuire vigorosamente il collega, che nel mentre aveva rubato un sorso della bevanda all’amico -Però mi sembra a dir poco assurdo pensare che quell’inetta riesca ad avere uno stand simile, capisci? Se davvero porta le pulsioni di un individuo al massimo, non è bizzarro il fatto che nessuno, nella sua vita, abbia mai provato ad aggredirla, a rapirla o anche solo a violentarla, come hanno fatto loro?-

-Esatto, è proprio come la penso io!-

-Poi, ragioniamo un attimo al suo passato: l’abbiamo presa in uno strip club. Vogliamo davvero credere che nessun cliente, in quella specie di bordello, abbia mai pensato a metterle le mani addosso? Com’è possibile che stia succedendo solo ora, dopo anni di esposizione a questi pericoli?-

-Io sono dell’idea che lei sia una spia.- esordì Ghiaccio, fissando con fare serio Melone, scrutandolo con i suoi occhi scuri e profondi, quasi privi di anima.

-Davvero? Eppure col Capo abbiamo già scartato l’idea, no?-

-Lo so, ma secondo me è stata una cazzata non approfondire la faccenda! La situazione è troppo sospetta per essere tutta una casualità, cazzo! Il Boss un giorno ci chiama e ci dice “Dovete rapire questa tizia”, una donna anonima e uguale a mille altre, senza alcuna spiegazione apparente. Siccome è il nostro boss lo facciamo e lui ci dice che ce la dovremo tenere in casa. Quando arriva finalmente il periodo in cui ‘sta zoccola se ne deve andare, ci chiama nuovamente per dirci che “sta avendo dei problemi”- sbraitò, modulando il tono della voce nel citarlo, sbeffeggiandolo chiaramente e suscitando dei sorrisetti meschini nel compagno -e che quindi ce la dobbiamo tenere per un tempo indeterminato. Ti sembra normale? A me sembra un’inculata! Quello stronzo sa che lo odiamo tutti e che vogliamo la sua fottutissima testa: quella troia di Celeste è solo una talpa per vedere che cazzo tramiamo contro di lui!-

-E come lo spieghi il comportamento bizzarro di Risotto e Prosciutto?-

-Magari la puttana ha uno stand, dopotutto.- ammise, alzando le spalle -Ma sono sicuro che lei ne sia perfettamente consapevole e che sia pure brava a utilizzarlo. Lo sta facendo per metterci contro!-

-Metterci contro?- il collega dai capelli lilla lo guardò perplesso -Io questa teoria non l’ho mica capita. Su cosa dovremmo litigare, scusami? Su chi se la scopa prima? Il Boss ha detto che possiamo farci quello che vogliamo, non vedo perché dovremmo avere della rivalità fra noi su quel pezzo di carne: basta sapersi organizzare i turni.-

-No Melone, usa il cervello!- urlò Ghiaccio, indicandosi le tempie -Non vedi che cazzo di clima teso c’è fra Pro’ e il Capo? Minchia, non si riesce a stare in una stanza con entrambi! Se esce fuori l’argomento “Celeste”, diventano tutti e due delle checche mestruate, è invivibile! Il Capo prova a trattenersi, ma lo vedo come guarda di sottecchi Prosciutto quando lui nomina la puttanella: diventa furioso!-

Melone spalancò leggermente la bocca, prima di scoppiare in una genuina e rumorosa risata, confondendo l’amico.

-Che cazzo ci trovi di divertente?- chiese il riccio, sinceramente perplesso dalla sua reazione.

-Scusa, scusa…- rispose l’uomo, asciugandosi una lacrima fugace, mentre riprendeva fiato -E’ solo che la situazione è talmente assurda da essere comica.- sorrise, prendendo nuovamente il calice tra le dita, per bere tutto d’un fiato il resto del liquore -Facciamo parte della mafia più potente d’Italia, siamo uno dei gruppi più uniti di Passione e stiamo davvero litigando per il culo di una spogliarellista qualsiasi; è assurdo…- ridacchiò nuovamente, scuotendo la testa da un lato all’altro, guardando in basso, verso il tavolo ligneo.

Ghiaccio annuì, prendendo la bottiglia polverosa del superalcolico prima di portarla alle sue labbra carnose, per berne a rumorosi singulti fin troppo contenuto.

-Sembra una fottuta presa per il culo, cazzo…- borbottò, passando la bottiglia all’amico, che ripeté la sua stessa azione -E la cosa che mi da più il nervoso è non poterla manco toccare, mi capisci?-

-Umh?- domandò confuso Melone, deglutendo la bevanda -Sì che puoi, di che stai parlando?-

-No che non posso! Ogni volta che mi avvicino, o Prosciutto, o il Capo mi polverizzano con lo sguardo! Non mi ci posso avvicinare, cazzo!-

-Questo perché hai provato a stuprarla prima che il Boss ci desse il permesso: è colpa tua.-

-Ma ora il permesso lo abbiamo!- urlò, sporgendosi verso di lui.

-Certo che lo abbiamo, ma tu sei violento. Non ci fidiamo di te con lei perché potresti farle dei danni.-

-Io?!- si alzò di scatto dalla sedia, indicandosi il petto con un dito della mano -Hai visto che cazzo di lividi le ha lasciato Risotto?! La mano hai visto come cazzo gliel’ha conciata?! La sentivo urlare dal bagno! Quello la picchia e io non posso scoparle il culo nemmeno una volta?! Lo sai benissimo anche tu che in questa cazzo di casa stiamo solo fingendo di non vedere tutte le cose che le fa!-

-Calmati dai, non urlare che mi fai venire mal di testa.- e gli porse nuovamente la bottiglia, prendendolo delicatamente per un lembo della maglia e facendolo riaccomodare accanto a sé -Bevi un po’, vedrai che ti passa.-

-Non mi passa un cazzo, a me bere fa venir voglia di scopare e basta…- e ricominciò a sorseggiare il liquore, accompagnato dalla risata bassa del compagno.

Continuando a discutere, sbraitare e ridere in maniera scomposta, i due finirono l’intera bottiglia e decisero di passare allo spumante in frigo, seguito poi da del vino rosso dimenticato in un angolo della cucina.
Si spostarono quindi a passi incerti verso i divani, dove vi si distesero, accasciandosi ciascuno ai lati dei braccioli grigi e polverosi.

Ghiaccio poteva sentire la sua testa pulsare dolorosamente, mentre la vista offuscata rendeva il soffitto della stanza verso cui guardava confuso, come se fosse in movimento. Le gambe e le braccia erano troppo pesanti per essere portate al petto: tanto valeva lasciarle penzolare distrattamente ai lati del suo corpo.

Aveva caldo.

Lui detestava il caldo, con tutto sé stesso.
Odiava come i vestiti lo soffocassero in quelle situazioni, appiccicandosi al suo corpo umido di sudore, quasi asfissiandolo.

Aveva anche sete: voleva bere dell’acqua fresca, voleva sentire la sua gola secca rinascere, idratarsi assieme alla lingua, che pareva cartavetro contro il suo palato arido e asciutto.

-Ugh…- mugugnò, espirando rumorosamente -Abbiamo bevuto troppo, cazzo…-

-Mmh…- rispose con un filo di voce Melone, aggrottando ogni tanto le sopracciglia, troppo stanco perfino per provare a tenere le palpebre a mezz'asta, prima di spostare il proprio corpo pesante su quello del collega, appoggiandosi alla sua spalla.

Ghiaccio odiava bere in quel modo. Avevano fatto tutto troppo di fretta, si erano rovinati una bella sbornia assieme; cazzo, finiva sempre così! Davvero non riuscivano a trattenersi quando avevano dell’alcol a portata di mano.

Fu quasi sul punto di alzarsi per barcollare fino al lavandino e bere dal rubinetto dell’acqua, come un animale assetato, quando una voce incerta e fragile gli fece spalancare gli occhi in allerta.

-Oh, scusate, non pensavo ci foste voi qui…- sussurrò Celeste, vedendo i due uomini gettati sul divano, poggiati scompostamente l’uno sopra l’altro, intenti a boccheggiare per un po’ di aria -State bene?- chiese disinteressata, conscia di dover porre loro quella domanda, siccome era dovuta da parte sua della preoccupazione nei loro confronti. Lei infondo era la loro serva, ormai: doveva preoccuparsi della salute dei loro padroni, no?

“Fottute bestie.”

-Celeste, tesoro! Parlavamo giusto di te, poco fa…- esclamò Melone, aprendo a fatica le palpebre pesanti, volgendo le proprie iridi azzurre verso la donna, che era rimasta immobile allo stipite della porta, interdetta su come agire -Saresti così gentile da portarci dell’acqua, non è vero? Abbiamo un pochino alzato il gomito e…- riprese fiato, muovendo in maniera anomala le proprie pupille intorno alla stanza, prima di stringere gli occhi in una smorfia di dolore -...e non ci sentiamo benissimo.- ridacchiò, come imbarazzato per lo stato nel quale si stava presentando davanti a lei.

-Certo, ve la porto subito.- rispose, andando verso la cucina e riempiendo due bicchieri di acqua fresca, prima di portarli ai due.

-Sei fantastica Celeste, una donna d’oro…- borbottò ancora sorridendo l’uomo, sorseggiando la bevanda rinfrescante fornitagli.

Ghiaccio bevette con calma, scrutando con odio la ragazza, intenta a osservare attentamente che i due non si versassero addosso il liquido trasparente.

Cazzo, se la odiava quella donna.
La detestava con tutto sé stesso e non sapeva nemmeno darsi una spiegazione.

Cosa gli aveva fatto, infondo? Sì, lo aveva rifiutato, ma dopotutto era lui che si era forzato su di lei e soprattutto, il suo odio nei suoi confronti era iniziato dal primo giorno del suo arrivo.
Forse perché era bionda?
Scosse inconsciamente il capo, attirando l’attenzione della ragazza, che lo guardò confusa: no, che cazzo di motivazione era? Anche Prosciutto era biondo, eppure non lo odiava mica.

Magari perché aveva sempre da ridire… ma ancora, il suo disprezzo per lei era stato istantaneo, dal primissimo momento in cui aveva posato i suoi occhi neri su quel corpo morbido e sinuoso, poggiato sul divano dove ora riposava lui, totalmente privo di coscienza, esposto alla sua mercé in tale maniera, mostrando parte del suo seno pallido dalla scollatura della sua fottuta magliettina quasi trasparente…

I pantaloni attorno al suo cavallo iniziarono a stringersi alla luce di quei pensieri.

“Cazzo…” si maledisse, mentre il respiro si faceva più corto e le sopracciglia iniziavano a aggrottarsi lungo la sua fronte lucida di sudore.
Ecco perché odiava bere in quel modo, ogni volta finiva così, con lui terribilmente eccitato e con nessuno disposto a succhiargli il cazzo.

-Fanculo…- mormorò, spostando in avanti il bacino, in un vano tentativo di sistemarsi più comodamente sul materasso impolverato, per cercare di abituarsi alla sensazione ormai stretta e restrittiva causata dai suoi pantaloni.

Poteva sentire la sua erezione crescere a ogni minimo ricordo del corpo di quella donna e ora, avere le sue morbide mani su tutto il corpo, non aiutava di certo.

-Ghiaccio, che succede?- domandò lei ingenuamente mentre le sue dita leggere gli si posavano sulla fronte, vedendo come l’uomo stesse ansimando in maniera anomala e come il suo volto fosse diventato di un rosso ancora più vivo e profondo di quello di prima -Stai male?-

-Non mi toccare, cazzo!- provò a urlare, dimenandosi con poca risolutezza dalla sua presa delicata -Ho solo caldo, non sei la mia dottoressa, levati dai coglioni…- ansimò ancora, sentendo il proprio pene pulsare alla vista delle labbra rosse della donna: come avrebbe voluto sentirle su tutto il suo corpo. Sarebbero sicuramente risultate fresche a contatto con la sua pelle accaldata, ne era certo.

-Va bene, non era mia intenzione darti fastidio, scusami.- rispose freddamente allontanandosi da loro per bere a sua volta un sorso d’acqua da uno dei loro bicchieri.

Non li aveva mai visti così mal ridotti. Certo, era stata numerose volte a stretto contatto con svariati uomini ubriachi e incapaci di reggersi in piedi, ma vedere dei membri di quella squadra ridotti in tale maniera, così vulnerabili e apparentemente deboli… era quasi appagante.

Ghiaccio ansimò nuovamente, stringendo con forza gli occhi arrossati e spingendo ancora una volta il bacino, camuffando il gesto come un tentativo di trovare una posizione più comoda per il suo corpo: era disperato.
La sua erezione faceva male, la sentiva sfregare contro il tessuto del suo intimo, dolorosamente e, soprattutto, disperatamente.
Voleva togliersi i pantaloni e masturbarsi fino a raggiungere un orgasmo soddisfacente, non desiderava altro al momento.

Perché non farlo?

Cosa gli impediva di slacciarsi la cintura, liberare il proprio pene, gonfio e bollente, per poi iniziare a toccarsi oscenamente davanti a lei e Melone?
Dopotutto, col compagno non sarebbe stata la prima volta: erano soliti passare delle serate assieme, con una o più donne, quindi a nessuno dei due era sconosciuto il corpo nudo dell’altro. Invece Celeste era una preda del tutto nuova: non era mai riuscito a consumare un atto con lei; non era mai riuscito a scoparle quel bel faccino che si ritrovava.

Chissà che espressione scioccata avrebbe fatto, vedendolo masturbarsi così, davanti a lei, in soggiorno.
Avrebbe voltato lo sguardo disgustata? Sarebbe fuggita non appena lui si fosse slacciato la patta? Non sarebbe riuscita a distogliere lo sguardo per la sorpresa, o si sarebbe messa a piangere come era solita fare in quelle situazioni?

Cazzo se odiava sentirla piangere.

Quella sua voce diventava così stridula e fastidiosa, per non parlare delle sue espressioni! Il volto le diventava rosso e si raggrinziva tutto, come quello di una prugna secca. Il naso le si irritava e le labbra si gonfiavano, come se le venisse l’arsua d’un tratto, mentre le palpebre quasi le opprimevano gli occhi carichi di lacrime, rotti dalle venature rosse che li attraversavano.

Oh, però sarebbe stato così divertente umiliarla costringendola a guardarlo raggiungere l’orgasmo davanti a lei, forzandola in qualche modo a restare.
Magari, avrebbe potuto pure aiutarlo nell’intento, chissà… doveva provare per vedere, no?

-Cazzo…- bisbigliò ancora, portando una mano tremante sulla sua erezione, bisognosa di sollievo.

Sibilò rumorosamente al contatto, attirando lo sguardo di Melone verso sé, che subito si mise a sorridere compiaciuto.

-Ghiaccio…- borbottò, cominciando a ridacchiare sommessamente, riuscendo a non destare l’attenzione di Celeste, intenta a dar loro le spalle, poiché impegnata a riordinare la stanza -Che combini?-

-Non lo vedi?- sputò acidamente, iniziando a slacciare la cerniera dei suoi pantaloni, percependo sempre di più un senso di libertà, fino alla totale apertura della patta.

-Vuoi davvero farlo, qui davanti a lei?- sussurrò l’amico, sporgendosi verso il suo orecchio, ansimando leggermente sul suo collo, facendo scendere un brivido lungo la schiena dell’uomo.

-Tu non vuoi?- rispose a sua volta lui con una voce stranamente bassa e gutturale, ricambiando lo sguardo di complicità.

Il sorriso di Melone si allargò ancora, mentre i suoi occhi si socchiusero e la lingua si fece strada fra le sue labbra rosee, per inumidirle.

Con un movimento sciolto, l’uomo dai capelli color glicine posò la propria mano sull'intimo del collega, mantenendo il contatto visivo, sentendolo trattenere il respiro mentre iniziava a stringere con delicatezza il suo pene, così gonfio e caldo, percependo la tensione nel tessuto scuro dei suoi boxer esposti.

-Lo sai che per queste cose io sono sempre pronto.-

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Capitolo 25
*** Spalle ***


-Sei davvero così disperato, Ghiaccio?- domandò ridacchiando Melone con voce tenue, iniziando a fare scendere le lunghe e gelide dita della propria mano dentro l’indumento intimo del compagno, facendolo tremare da un brivido improvviso, che gli percorse la schiena come un fulmine.

-Stai zitto! Lo sai che finisce sempre così, quando bevo…!- rispose quasi ringhiando, mentre i suoi occhi scuri si stringevano per la sensazione così rinfrescante dei soffici polpastrelli dell’amico, finalmente a contatto con il suo pene.

Il sorriso di Melone non svanì nemmeno un istante e i suoi occhi cristallini si posarono sulla figura in movimento, ma rigida e severa, di Celeste, che ancora dava loro le spalle, chiaramente fingendo di essere impegnata in qualche mansione di pulizia.
Era impossibile che la donna ancora non si fosse accorta di ciò che stava accadendo dietro la sua esile schiena, non dopo quel gemito che Ghiaccio proprio non era riuscito a trattenere, lasciandolo scivolare fra le sue labbra secche e arrossate.

E infatti Celeste aveva capito, l’aveva capito da tempo.

Aveva visto subito l’erezione dell’uomo dai capelli ricci premere insistentemente contro i suoi pantaloni della tuta. Non era riuscita a ignorare tutti quei suoi sospiri e quelle sue imprecazioni bisbigliate, trattenute in mezzo ai denti serrati, ogni volta che il suo bacino si spostava incontrollabilmente in avanti, nel vano tentativo di trovare qualcosa contro cui premere.
Vederlo così arrossato in volto, poco prima, l’aveva fatta sinceramente preoccupare, soprattutto dopo le numerose bottiglie ritrovate sverse sul tavolo, ma non appena si era avvicinata all’uomo per poterne misurare la temperatura, i suoi occhi stanchi erano finiti su quel tessuto teso e scosso da piccoli tremori e subito aveva afferrato il concetto; la reazione così aggressiva e repentina di Ghiaccio al contatto con la sua pelle poi, non aveva fatto altro se non confermare la sua ipotesi.

Ma ora, che cosa doveva fare?

Doveva fingere di non essersi resa conto del fatto che Melone stesse masturbando, alle sue spalle, il suo collega? Doveva scusarsi e uscire dalla stanza, ignorando tutti quei gemiti soffocati del ragazzo riccio? Doveva rimanere voltata e aspettare che egli venisse, prima di correre fuori dalla stanza?

E se le avessero chiesto di unirsi a loro?

Un brivido le percorse la schiena, scuotendo il suo esile corpo al solo pensiero: l’idea di doversi unire a quella disgustosa pratica le rivoltava le budella.
Il terrore che la voce liscia e persuasiva di Melone la chiamasse, per ordinarle in quel suo solito modo pacata di aiutare il suo caro amico a raggiungere l’agognato orgasmo l’attanagliava.

Doveva riuscire a fuggire da quella stanza dall’atmosfera soffocante, prima che quel disastro potesse accadere.

-Melone, cazzo…!- gemé Ghiaccio all’improvviso, mordendosi subito dopo il pugno della mano, cercando di non farsi sentire dalla donna, quando il compagno dai capelli setosi si piegò verso il suo membro, per prenderne la punta lucida in bocca e iniziare poi a leccarla giocosamente.

-Cosa c’è, Ghiaccio? Non ti piace?- chiese scherzosamente, prendendo subito dopo in bocca metà del suo pene, mantenendo il contatto visivo mentre iniziava a succhiare avidamente la sua carne.

Il ragazzo si lasciò sfuggire l’ennesimo gemito strozzato, stringendo con forza una manciata di capelli del collega per forzarlo più in profondità.

-Brutto coglione, vuoi farti sentire da tutto il vicinato?- grugnì nuovamente, tentando invano di mantenere il proprio tono basso, pur di non farsi sentire da Celeste, che rimaneva adesso immobile davanti a lui, col capo basso e la schiena rivolta verso loro.

-Mmh…- gemette Melone attorno al pene di Ghiaccio, facendogli digrignare i denti -Lo sai che mi piace quando mi tratti così…- e ridacchiò, prima di riprendere il proprio compagno tra le labbra umide.

“Devo andarmene” pensò la ragazza, sentendo il sudore iniziare a colare lungo la sua pelle, mentre il viso le andava in fiamme e lo stomaco si contorceva su sé stesso “Questi psicopatici stanno davvero per fare sesso davanti a me… che cazzo hanno nel cervello?!”

Prendendo un lungo e profondo respiro, Celeste spostò lo sguardo verso la porta alla sua destra, che distanziava poche falcate da lei: con uno scatto sarebbe riuscita a raggiungerla in fretta.
Quei due erano troppo ubriachi e soprattutto troppo impegnati, a giudicare dai rumori che sfortunatamente poteva sentire dietro di sé, per avere le forze di mettersi a rincorrerla lungo i corridoi di quella casa.

L’importante era riuscire a scappare da quella situazione senza che loro se ne accorgessero in tempo: l’obiettivo era riuscire a non farsi richiamare da uno dei due quando ancora era nella stanza. Se l’avessero chiamata urlando quando ormai la sua figura era lontana, la scusa di non averli sentiti sarebbe risultata plausibile e viste le loro misere condizioni, forse non si sarebbero nemmeno adirati tanto… tuttavia, in caso l’avessero richiamata quando ancora era nella sala con loro, ella sarebbe stata costretta a fermarsi e rispondere loro, poiché impossibilitata nel trovare una scusa valida.

Doveva correre, doveva scattare.

Voltando di poco il capo, quasi impercettibilmente, riuscì a scrutare con la coda dell’occhio i due uomini: le parve di vedere il capo di Ghiaccio poggiato sullo schienale ingrigito del divano, mentre le labbra erano tese, nel tentativo fallito di trattenere dei gemiti. La sua mano sinistra era avvinghiata al bracciolo polveroso, mentre quella destra era impegnata a stringere in una morsa quasi spasmodica i lisci capelli glicine di Melone che, quasi disteso lungo i cuscini, era occupato a succhiare il pene dell’amico, interrompendo l’azione per leccare lungo la sua asta, facendosi leva per aver il busto leggermente alzato grazie ai suoi gomiti, che premevano contro le cosce muscolose del ragazzo dai capelli azzurri. Una sua mano era intenta a massaggiare delicatamente le palle dell’amico, mentre l’altra, con movimenti ritmici e decisi, scendeva e saliva lungo il pene lucido di saliva, che sembrava sul punto di scoppiare, da quanto gonfio e pulsante fosse.

Tremante, ella riportò lo sguardo terrorizzato verso la porta e iniziò a contare, lentamente.

“Uno”.

E con passo incerto, posizionò il suo piede destro verso la via d’uscita.

“Due”.

E piegò leggermente le ginocchia, pronta per scattare.
Sentì il proprio battito cardiaco riempire la stanza e per un istante ebbe paura che persino i due mafiosi alle sue spalle potessero udirlo e potessero capire le sue intenzioni.
Doveva calmarsi, non poteva continuare a ragionare così: il panico non era la soluzione e lei lo sapeva bene.
Aveva bisogno di ragionare a mente lucida e aveva bisogno di mantenere il proprio corpo pronto per l’azione… doveva riuscire a fuggire da lì.

“Tre” pensò tremante, quasi sorridendo dall’eccitazione: eccola che scappava, superando a gran passo la porta legnosa, correndo disperatamente lungo i corridoi bui e vuoti della casa, fino a raggiungere la sua stanza, per poi gettarsi sul suo letto duro e basso, finalmente al sicuro da quei due malati esibizionisti.

Era salva.

-Celeste.-

La voce severa, bassa e gutturale di Ghiaccio, così colma di odio e risentimento, la riportò alla realtà, come uno schiaffo in pieno volto, come una folata di vento gelido su un corpo nudo.

Non era riuscita a scappare.
Era rimasta immobile, pietrificata sul posto, mentre la sua mente folle era fuggita da quel luogo, fantasticando già di essere al riparo, sotto le sue coperte di lana, che le pungevano la pelle.

Deglutendo, si voltò verso l’uomo, spalancando persino di più gli occhi rossi e stanchi quando vide lo sguardo pieno di lussuria e cattiveria con cui egli la stava scrutando: pareva quasi che la stesse spogliando sul posto, furioso di averla trovata ancora vestita in una situazione del genere.

-Vieni qui, sbrigati.- comandò, passandosi la mano libera lungo i capelli umidi di sudore, affondando invece con l’altra il viso di Melone, fino a far sprofondare il suo naso nei suoi peli ricci e azzurri, facendolo gemere per l’intrusione così inaspettata e violenta.

La ragazza si fermò a pochi passi da lui, mantenendo il proprio sguardo basso, concentrandosi sui propri piedi, nel vano tentativo di non assistere ancora una volta a quella scena.

-Cosa c’è, Ghiaccio?- chiese, quasi sussurrando, come se non volesse farsi sentire dai due, perché intrusa in quel momento di intimità che non le apparteneva.

-Spogliati.-

Il respiro le si bloccò in gola e la sua visione incominciò a vacillare, facendosi sempre più sfocata: stava per succedere di nuovo.

-Ti prego…- provò a protestare, non osando ancora alzare lo sguardo verso l’uomo, che era certa la stesse trapassando coi propri occhi neri.

-Fai come cazzo ti ho detto.- sputò, con voce roca -E’ l'ultimo avvertimento, non costringermi a strapparti quegli stracci di dosso.-

Nonostante ella sapesse le condizioni in cui entrambi i mafiosi fossero, l’idea di disubbidire a Ghiaccio la paralizzava dalla paura. Non aveva idea se, anche da ubriaco, fosse capace di farle del male e non osava immaginare cosa avrebbe potuto farle una volta sobrio, colmo di odio e risentimento per il suo rifiuto.

Doveva ubbidirgli e lo sapeva, altrimenti questa sarebbe stata la volta buona in cui egli avrebbe provato a ucciderla con le sue stesse mani callose e chissà, forse ci sarebbe anche potuto riuscire.

Tremante, iniziò a slacciare i bottoni della propria gonna grigia, lasciandola poi scivolare lungo le sue gambe ormai secche, fino a raggiungere il pavimento, seguita subito dopo dal suo dolcevita bianco, rimanendo così in intimo davanti ai due.
Melone aveva continuato per tutto il tempo a praticare del sesso orale al compagno, ma il suo sguardo era passato dagli occhi dell’amico, al corpo quasi nudo della ragazza e una sua mano aveva abbandonato il sesso dell’uomo, per iniziare a palpare la sua stessa erezione, trattenuta dal tessuto dei suoi pantaloni di maglina nera.

Erano rare le giornate in cui quegli strani mafiosi si presentavano alla casa vestiti con abiti considerabili come “normali” e quello era uno di quegli eccezionali giorni; Celeste non l’avrebbe sicuramente scordato.

-Forza, togliti anche l’intimo, puttana.- disse Ghiaccio, mordendosi subito dopo il labbro rosso quando vide il seno nudo della donna, spostando poi le sue pupille dilatate verso l’intimità di Celeste, ora esposta davanti ai due -Esatto, proprio così…- bisbigliò, lasciando che la propria schiena affondasse fra i cuscini, mentre continuava a guardare con occhi affamati il corpo della ragazza davanti a sé: era dimagrita molto, lo aveva notato, ma era comunque rimasta estremamente attraente per i suoi gusti.

Dopotutto, ciò che rende attraente una persona non è solo l’aspetto fisico, giusto? Quando si parla di una persona, sono tanti i fattori che si sommano: il fascino, l’umorismo, la testardaggine, il carattere, la gentilezza, la sensualità, l'irraggiungibilità…

Forse ciò che più la rendeva attraente ai suoi occhi era proprio il fatto che lui, in realtà, non avrebbe mai potuto averla.
Certo, proprio come in quel momento, tutti nella squadra potevano metterle le mani addosso, stringere i suoi seni, mordere le sue soffici carni, gustare il suo unico sapore, sentirla gemere e urlare al proprio tocco.
Tutti quanti però sapevano che, nonostante quello, lei era proprietà del Boss.

E lui odiava il suo Boss. Cazzo se lo odiava.

Detestava ogni minimo particolare di quello stronzo e non lo aveva neppure mai sentito o visto dal vivo! Come cazzo faceva qualcuno così discreto e anonimo a rendersi così detestabile a centinaia di persone?! Bisognava essere proprio dei coglioni per riuscirci e Ghiaccio odiava i coglioni come lui.

Però, l’idea di poter stringere fra le proprie braccia un qualcosa prima che il suo stesso Boss potesse farlo… lo eccitava da morire.

-Toccati.- disse, quasi senza fiato, iniziando a sorridere, spalancando di poco le palpebre.

-Cosa?- la voce di Celeste parve un sussurro, come una supplica disperata a quella richiesta folle.

Aveva sentito male, vero? Ghiaccio non poteva averle veramente chiesto, in una situazione simile, di toccarsi davanti a loro due.

-Sei diventata sorda, brutta puttana?!- sbraitò, causando la risata soffocata di Melone, intento a leccare giocosamente la lunghezza dell’amico -Ho detto di toccarti.- e la guardò dritta negli occhi, che la fecero tremare sul posto.

“E’ un folle” pensò, avvicinandosi ancora ai suoi, prima di sedersi ai piedi del divano, aprendo le gambe davanti all’uomo, mostrandogli finalmente la sua intimità.
Quella non era affatto la prima volta in vita sua in cui si era ritrovata così esposta davanti a degli uomini che non fossero il suo compagno, ma non era mai successo in quelle condizioni: non stava lavorando, in quel momento, non era consenziente. La stavano obbligando a fare qualcosa contro la sua volontà e, sfortunatamente, neppure quella era la prima volta.

Notando come lo sguardo di entrambi gli uomini fosse fisso sulle sue più segrete labbra, schiuse davanti a loro, ella iniziò a passarvi delicatamente il dito medio in mezzo, immergendo leggermente la punta fra le sue pieghe asciutte, che non permettevano un facile scorrimento.
Avendo percepito lo spiacevole e possibilmente fastidioso particolare, dovuto alla situazione altamente intimidatoria in cui si ritrovava, Celeste spostò la sua mano da in mezzo alle cosce verso la sua bocca e cominciò a leccare sensualmente la lunghezza del suo dito medio, immergendolo subito dopo fra le sue labbra arrossate, assieme all’indice e l’anulare, iniziando a inumidirli con la propria lingua.
Soddisfatta, riportò il palmo verso la sua intimità e ricominciò a far scorrere le dita fra le sue pieghe, sentendole aprirsi più piacevolmente al contatto ora lubrificato.

-Andiamo…- disse con voce strozzata Ghiaccio, non distogliendo lo sguardo dal sesso della donna nemmeno per un istante -Penetrati.-

Spostando i propri occhi cristallini da quelli color carbone dell’uomo, fece come comandato e lentamente immerse due delle proprie dita sottili dentro di sé, sentendo le proprie pareti iniziare ad allargarsi con delicatezza: non aveva intenzione di muoversi con violenza, né con troppa velocità. Per quanto la situazione fosse alienante, non assecondava affatto l’idea di rendere un momento così intimo col suo corpo un brutto ricordo. Non aveva intenzione di ricollegare quell’attività a un qualcosa di doloroso: doveva concentrarsi per estraniarsi da quella situazione il più possibile e vivere il momento come se fosse sola con sé stessa e il suo piacere… non quello di due pervertiti che la stavano forzando a toccarsi per il loro soddisfacimento.

-Esatto… proprio così…- il tono lascivo e vellutato di Melone le fece aprire di scatto le palpebre, sorpresa dal sentire la sua voce dopo così tanto tempo.

Alzando gli occhi verso il divano, lo vide intento a sorriderle con fare libidinoso, mentre scherzosamente si picchiettava la guancia lievemente incavata col membro ancora duro e umido di saliva del compagno.

-Vai più veloce.- le comandò ancora Ghiaccio, aiutando l’amico ad alzarsi dal posto, senza togliere le proprie pupille fisse dalla donna.

-Lasciala fare, Ghiaccio… non credi conosca il suo corpo meglio di noi?- protestò scherzosamente il ragazzo dai capelli lilla, sistemandosi tra i cuscini in posizione seduta e cominciando a sua volta a toccarsi, abbassando i propri pantaloni, ma lasciando ancora che l’indumento intimo trattenesse il suo pene.

Celeste si costrinse a rivolgere un sorriso di riconoscimento a Melone per le sue parole, continuando a penetrarsi lentamente, aggiungendo poco dopo un terzo dito, stringendo di poco le labbra alla nuova sensazione.

-Il clitoride…- sussurrò nuovamente l’uomo dai capelli setosi, liberando il proprio membro dai boxer -Non vorremo mica trascurarlo, vero tesoro?- e fece cenno di “no” col capo, sussurrando quella parola molto lentamente e marcando il labiale, come se stesse parlando con una bambina che proprio non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

Odiava essere trattata in quel modo.

Non solo la forzavano continuamente in atti disgustosi, costringendola in azioni degradanti e privandola sempre di più della sua dignità, come fosse un oggetto, ma la trattavano persino come se fosse incapace di comprendere le frasi più semplici.
Avevano sempre quel tono di supponenza quando le parlavano, come se le fossero in qualche modo non solo fisicamente superiori, ma persino intellettualmente.
Che diritto avevano loro di considerarla una stupida? Solo perché faceva un lavoro che veniva ancora considerato un tabù dalla società, non era vero? Unicamente perché la consideravano una sporca puttana che vendeva il suo corpo a dei vecchi ubriaconi in un locale, intenta a volteggiare su un palo al centro di un palco.

Loro non erano sporchi come lei, vero?
No affatto, loro sì che facevano un lavoro tanto onesto e intellettualmente complesso!

Quei porci si atteggiavano sempre come se non fossero loro stessi i semplici schiavi di una persona a loro superiore in tutto: intelletto, denaro, capacità, cattiveria, forza, fascino! Tutti i requisiti che un capo mafioso come quello di Passione doveva soddisfare, ma che loro non possedevano affatto e proprio per questo erano solo dei luridi sottoposti frustrati!

Che cosa volevano da lei allora? Cosa pensavano di ottenere, atteggiandosi con così tanta superbia, trattandola come una povera cretina, quando loro stessi erano i primi a essere degli animali?

Mordendosi il labbro, Celeste iniziò a stimolare delicatamente il proprio clitoride, massaggiandolo con docili movimenti circolari del pollice, sentendo le sue pareti stringersi spasmodicamente attorno alle tre dita che continuavano a penetrarla, per soddisfare quegli occhi affamati che, infuocati, non distoglievano le proprie attenzioni dalla sua intimità nemmeno per un istante.

-Si vede che ci sei abituata, puttana…- gemette Ghiaccio, iniziando ad aumentare freneticamente i movimenti della sua mano, che imperterrita continuava a salire e scendere lungo il suo membro gonfio, quasi come se fosse sul punto di esplodere dopo tutto quel tempo -Ti piace metterti in mostra, eh? Dillo che ti piace, forza.-

La ragazza dovette piantare i propri denti nella sua lingua rosea per impedirsi dal rispondere a quel porco: come si permetteva di dirle certe cose, quando fino a pochi minuti fa era lui quello a dare spettacolo, assieme al suo odioso compagno.

-Che domande fai, Ghiaccio…- ridacchiò con voce stanca Melone, imitando gli stessi movimenti del compagno lungo il proprio membro -E’ ovvio che le piaccia, non ricordi dove lavorava la nostra puttanella?-

-Dillo Celeste…- ansimò il ragazzo dai capelli ricci, con un tono strozzato che lasciava trasparire il suo bisogno, mentre il ritmo della sua mano iniziava a diventare più erratico e disordinato, alla ricerca disperata del proprio piacere -Avanti.-

Che altro doveva fare in quel momento, se non accontentare quei due mostri?
Era chiaro che fossero entrambi vicini all’orgasmo, ormai stavano andando avanti da molto tempo e viste le loro condizioni alterate dall’alcol, era strano che non fossero venuti precedentemente.
Una volta raggiunto il picco, lei sarebbe potuta fuggire da quella stanza, lo sapeva.. quindi doveva darsi da fare, doveva soddisfare le loro malsane richieste e finire quell’atroce spettacolo il prima possibile.

-Sì…- disse sommessamente, penetrandosi con più forza e premendo con più insistenza sul suo clitoride -Mi piace mettermi in mostra, mi piace così tanto…- e gemette di proposito, vedendo gli occhi dei due uomini illuminarsi a quelle parole, mentre la sua pelle si inaspriva al suono della sua voce pronunciare tali assurdità; non poteva credere di star dicendo certe cose solo e unicamente per fare in modo che due ragazzi ubriachi vi ci masturbassero sopra.

Era disgustata da sé stessa.

Finalmente li sentì emettere entrambi un lungo e strozzato lamento, mentre degli schizzi di sperma biancastro macchiavano loro l’addome vestito e leggermente umido di sudore.

Celeste sorrise, rimuovendo le proprie dita dalla sua intimità: era tutto finito, poteva uscire da lì.
Dopo essersi alzata, si diresse verso la pila dei propri abiti abbandonati e cominciò a rivestirsi, adocchiando di tanto in tanto i due, che sembravano dormire, distesi sul divano, ancora sporchi dei propri fluidi e con i propri membri esposti, ormai morbidi.

“L’alcol li ha finalmente stesi” pensò, guardando con disprezzo e disgusto i loro corpi, prima di andare verso la cucina per sciacquarsi accuratamente le dita della mano.

-Che cazzo è appena successo…- disse senza fiato dopo alcuni minuti di silenzio, reggendosi al lavandino, piegando il capo verso i propri piedi per poi iniziare a dondolarsi avanti e indietro sul posto: l’avevano davvero costretta a masturbarsi davanti a loro, mentre i due a loro volta facevano lo stesso?

Come diavolo gli venivano in mente certe cose a questi uomini? Davvero non riusciva a capire.
Come poteva qualcuno eccitarsi davanti a una persona che stava soffrendo?

Nessuno in quel gruppo aveva delle tendenze sessuali normali, ne era certa. Ognuno aveva una qualche parafilia,, malata e distorta, proprio come la loro mente malsana.
Erano stupratori, assassini, ladri, truffatori… erano tutto ciò di male che l’uomo poteva aspirare a diventare.

Il brivido che le percorreva la schiena al ricordo di ciò che le avevano fatto in tutti quei mesi venne di colpo interrotto da una presa non troppo delicata sulla propria spalla ossuta, accompagnata da una voce bassa e severa, che soffiò calda sul suo collo.

-E’ successo qualcosa, Celeste?-

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Capitolo 26
*** Preghiere ***


E’ da moltissimo che non aggiorno, ne sono più che consapevole e mi scuso con tutti voi.

Purtroppo questi lunghissimi mesi sono stati molto difficili da passare, ma ora sento di essere pronta per continuare questa storia, che immagino e focalizzo da tantissimi anni e che piano piano sto riuscendo a buttar giù in lettere.

Non garantisco aggiornamenti frequenti o anche solo costanti, ma spero che riusciate ad apprezzare ugualmente il mio lavoro.

Buona lettura <3



 

-E’ successo qualcosa, Celeste?-

 

Bastarono quelle semplici quattro parole per farle gelare il sangue nelle vene.

 

Voltandosi lentamente, ella si lasciò inghiottire da quell’ombra che torreggiava sopra la sua debole e fragile figura.

 

-No Risotto, nulla di che…- 

 

Teneva gli occhi bassi, evitando di incrociare quelli cremisi dell’uomo, che tanto la terrorizzavano.

 

-Lo sai che non funziona con me questo giochetto.- tuonò, accarezzandole in una maniera così dolce e affettuosa il volto, facendole torcere lo stomaco in disgusto.

 

Come si permetteva di rivolgerle certe effusioni amorevoli, quando non faceva altro che approfittare di lei e del suo corpo, lasciando anche ai suoi disgustosi compagni l’opportunità di umiliarla a loro piacimento?

 

Non era suo padre, non era un suo amico e certamente non era il suo amante, quindi con che coraggio la toccava in quel modo?

 

In momenti simili, avrebbe desiderato così tanto poter sputare in faccia a quel bastardo, riempirlo di insulti e torturarlo, proprio come lui faceva con lei! 

Voleva farlo sentire vuoto e inutile come lui si premurava sempre di lasciare, quando finiva di giocare col suo corpo martoriato.

 

-Ma se ti dico cos’è successo…- sussurrò, indietreggiando dal suo tocco e sentendo la schiena premere contro il freddo e umido lavandino della cucina: perfetto, ora era in trappola -Ti arrabbierai molto con me e io non voglio essere punita.- sentire la sua voce pronunciare tali suppliche con quel tono le faceva scendere dei brividi di orrore lungo la schiena ogni volta, ma era costretta: sapeva che quel trucco funzionava infallibilmente ogni volta.

 

E infatti lo vide sorridere lentamente.

Al bastardo piaceva vederla così indifesa, così piccola e debole rispetto a lui.

 

Gli piaceva vederla soffrire, supplicarlo per un po’ di gentilezza, pregarlo di non farle troppo male quando la colpiva.

 

Lo appagava sentirla supplicare come una figlia supplica il padre di non essere sculacciata per l’ennesimo errore commesso.

 

-Se non è colpa tua, perché dovrei arrabbiarmi con te?- domandò con fare quieto, eliminando nuovamente la breve distanza che li separava, pettinandole dolcemente una ciocca dorata.

 

Celeste lasciò andare un debole sospiro tremante, prima di spiegare dettagliatamente cosa le fosse appena capitato.

 

Lo sguardo di Risotto si faceva più cupo ad ogni dettaglio aggiunto, come se finalmente, per una volta, l’uomo si fosse reso conto di quanto assurda era quella situazione, di quanto depravati e deviati fossero effettivamente tutti i suoi colleghi.

 

La voce della ragazza si fece sempre più sicura e forte, finalmente speranzosa di essere ascoltata e compresa: sì! Ora Risotto avrebbe capito come si sentiva ogni giorno! 

Come Melone la facesse sentire sempre così sporca e insicura, come Ghiaccio la umiliasse ogni momento, come Illuso la spiasse dagli specchi di camera sua e del bagno, come Formaggio le rubasse sempre l’intimo usato e di come Prosciutto la minacciasse di morte ad ogni occasione!

Lui era l’unico che poteva capirla e lei lo sapeva, l’aveva sempre saputo.

 

Risotto aveva un debole per lei, o forse lei lo aveva per lui, ma in ogni caso lei aveva qualcosa che l’uomo voleva e lui aveva qualcosa di cui Celeste sentiva un bisogno impellente: sicurezza.

 

Essere sotto la protezione di Risotto Nero in quella casa significava poter rivivere una vita quasi normale, quasi.

 

Le minacce sarebbero cessate, come lo spionaggio, i furti, le molestie e i frequenti stupri, che ormai, per quanto deprimente fosse, avevano quasi perso significato per lei.

 

“Assurdo” aveva pensato numerose volte nei più recenti giorni “Mi hanno resa talmente tanto vuota e passiva che ormai non urlo nemmeno più e non provo a oppormi: sto semplicemente ferma e aspetto che finiscano il lavoro. Certo, non smetto di lamentarmi e piangere, ma so che provare a combattere è inutile. L’unica maniera per rendere il tutto meno doloroso e spiacevole è lasciarli fare, se non dargli corda”.

 

Certo, concedersi completamente a lui in questo modo avrebbe ovviamente significato doversi cedere fisicamente all’uomo ogni notte… se non anche durante il giorno, però non era già quello che stava facendo da mesi?
Almeno così sarebbe sempre stato lo stesso uomo che le dava protezione dagli altri e magari, col tempo, avrebbe imparato a gestirla e trattarla con più delicatezza.

 

-Quindi, fammi capire…- borbottò massaggiandosi gli occhi fra le dita delle mano, mentre le sue chiare sopracciglia rimaneva corrucciate -Ghiaccio e Melone si sono ubriacati e ti hanno costretta a masturbarti davanti a loro, mentre si segavano?- 

 

Nella follia del momento la ragazza dovette trattenere una risata aspra: detto a quella maniera sembrava quasi una barzelletta.

 

-Esatto- annuì Celeste -infatti, se non è un problema per te, vorrei davvero andare a farmi una doccia in questo momento, per togliermi di dosso tutto questo ricordo...- 

 

-Immagino.-

 

Ma non si spostò per lasciarla andare e continuò a scrutare il suo volto spaventato in quel modo.

 

No, no, no!
Non era possibile che andasse a finire in quel modo anche questo incontro! L’aveva ascoltata o no, mentre si confidava?!
Le aveva prestato orecchio veramente, oppure aveva finto di interessarsi solo per farsi fare un pompino con più sentimento e meno lamentele?!
 

-Uhm…- del sudore freddo iniziò a colare lungo la sua schiena ossuta e violacea; l’agitazione e il panico stavano prendendo il controllo sul suo corpo -posso… posso andare, quindi?-

 

Risotto sbatté un paio di volte le palpebre con fare perplesso, prima di parlare.

 

-Lo so cosa vuoi che io faccia per te.-

 

Celeste fu presa alla sprovvista da quella frase: intendeva per caso dire che lei lo stava invitando a unirsi nella doccia? 

 

Il solo pensiero le fece venir da vomitare.

 

-Che cosa intendi, Risotto?- persino lei riuscì a percepire la confusione nella sua voce tremante.

 

-Vuoi che io impedisca agli altri membri della Squadra di poterti toccare, non è così?-

 

Oh.

 

Non poteva crederci: non le stava chiedendo attivamente del sesso? Non si stava invitando in un suo momento intimo e di riposo? Si era effettivamente posto una domanda sensata e le stava ponendo una problematica vera che la disturbava da sempre?

 

Incredibile… doveva esserci per forza qualcosa sotto.

 

-Sì- ammise, senza pensarci un istante -Voglio che tu mi protegga dagli altri. So che sei il loro capo e so che tutti ti rispettano in questa casa, persino io, per questo voglio che tu dica loro di non permettersi mai più di sfiorare il mio corpo con un dito. Per favore Risotto!- gli si inginocchià davanti, congiungendo le mani come in una preghiera rivolta a quel volto così stoico e duro, così cattivo e privo di alcuna compassione -Ti supplico Risotto Nero, farò qualsiosa cosa tu voglia, ma per favore fammi tua, così che gli altri non possano più possedermi.-

 

Passarono istanti di silenzio, dove Celeste non smise di guardare con fare implorante gli occhi inumani di quell’essere davanti al quale si prostrava: il suo nuovo Dio.

Colui che la sfamava quando aveva fame.

Colui che la dissetava quando aveva sete.

Colui che la proteggeva dal male degli altri.

Colui che la riparava dalla violenza.

 

Un Dio che in cambio chiedeva solamente il suo corpo e la sua mente.

 

Un semplice gesto del capo venne seguito da un basso: “Va bene”.

 

Risotto aveva accettato.

 

Celeste da quel momento sarebbe stata sua e di nessun altro al mondo.

 

Per la prima volta da quando era stata portata in quel luogo maledetto, la ragazza sorrise in una maniera talmente genuina, che quasi sorprese l’uomo.

 

Stava perdendo il proprio senno.

 

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