Canta per Me

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte (Dazai) ***
Capitolo 2: *** Ponte (Yosano) ***
Capitolo 3: *** Giglio (La Gilda) ***
Capitolo 4: *** Onda (Melville) ***
Capitolo 5: *** Musica (Sigma) ***
Capitolo 6: *** Ombra (Dazai) ***
Capitolo 7: *** Libri (Poe e Ranpo) ***
Capitolo 8: *** Specchio; Rapimento (Kōyō) ***
Capitolo 9: *** Taglio (Mushitarou) ***
Capitolo 10: *** Legame; Memoria (Rimbaud) ***
Capitolo 11: *** Scelta (Kunikida) ***
Capitolo 12: *** Solo; Freddo (Karma) ***
Capitolo 13: *** Proiettile (Oda) ***
Capitolo 14: *** Sogno (Sigma) ***
Capitolo 15: *** Nuovo Cappotto; Torta; Benda; Oscurità; Perdono; Hallowen (Karma) ***



Capitolo 1
*** Notte (Dazai) ***


 

 

DISCLAIMER: I personaggi sotto presentati non mi appartengono.

La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.

 

 

Canta per Me

 

1# — Notte

 

Personaggi: Osamu Dazai, Sakunosuke Oda, Atsushi Nakajima
Canzone: Something I Need ~ OneRepublic
Numero parole: 601

 

Ho fatto un sogno l’altra notte,
Riguardo al fatto che abbiamo solamente una vita.

Mille luci sopra Yokohama, nella tenue oscurità dell’estate; la città cade tra i bagliori del cielo e l’aria intessuta di sale. A poca distanza da lì l’oceano canta senza sosta, e Oda sente l’impulso di rispondergli.
Due figure, due passi diversi che non disturbano il silenzio dei palazzi addormentati: l’ora tarda non può trattenere cuori abituati a fermare il tempo.
«Uff, l’unica cosa che quell’intruglio mi ha dato è un gran male alle ossa… e menomale che viviamo solamente una volta, chi la sopporterebbe la reincarnazione!»
Un sorriso, un’occhiata all’espressione delusa di Dazai; poi, lo sguardo ritorna ad accarezzare l’acqua e gli astri che vi danzano sopra. «C’è chi ne vorrebbe cento.»
«Quelli sono i sognatori o gli stupidi irrecuperabili, Odasaku, non li puoi contare.»
Oda sorride nuovamente e annuisce, forse più a sé stesso che al moro. Non è una delle loro notti di chiacchiere e compagnia; si sono incontrati per caso, al ritorno dai rispettivi compiti, quasi la città abbia voluto divertirsi con loro e unire il sentore di sangue di uno — sangue non suo — con il profumo di carta che impregna le dita dell’altro. Dazai ha appena finito di condurre la Morte nell’ennesimo gioco di violenza e silenzio, mentre Oda ha guardato la Vita stessa librarsi dalle pagine di un romanzo: e nonostante ciò, mentre camminano fianco a fianco riescono comunque a sentirsi.
Condividono un mondo dove a regnare sono solamente le ombre, si portano addosso nomi che dovrebbero qualificarli: ma cosa dimora nel chiuso dell’anima?
L’oceano riecheggia in Dazai, esponendo il vuoto con cui i suoi occhi fissano le onde: è sempre più solo, Oda lo vede e lo sa, e non basterebbe tutto il sangue del mondo a riempire la sua mancanza.
Questa strada non fa per te, si trova a riflettere il giovane mentre osserva il proprio superiore, e per una volta non si riferisce a sé stesso.
«Non devi farmi compagnia per forza, sai», mormora poi Dazai, un piccolo ghigno dipinto in volto, «si vede lontano un miglio che hai voglia di farti un tuffo. Avanti, vai pure, non me la prenderò.»
«E perché dovrei andarci da solo?»
Il moro spalanca gli occhi nella sorpresa, per poi assumere un’espressione sognante. «Mi stai dicendo che c’è una bellissima dama ad aspettarti?», cantilena mentre si avvicina maggiormente all’amico e gli sorride come il più angelico dei bambini.
Oda sospira, scuote la testa. «Se anche fosse, se ne sarebbe già andata.»
«Non buttarti giù così! Parlami di lei!»
Le stelle balenano sull’acqua, come a sottolineare le parole di Dazai; Sakunosuke si rende conto che presto la notte si tramuterà in alba, e dentro di sé già ne sente la malinconia.
Un’ora in più, un’altra ancora… una vita sola non può bastare.
«Per favore, Odasakuuu! È bionda o mora, giovane e alta, dolce o autoritaria? Com’è?»
O forse sì, se si ha coraggio e calore.

 

 

Mille luci sopra Yokohama, nell’oscurità che custodisce sussurri e attese; al fianco di Dazai, Atsushi alza il capo verso la volta stellata e si ferma a contemplarla.
«Ti piace lo spettacolo, Atsushi-kun?», chiede gentilmente il moro, sorridendo.
L’altro non risponde, troppo immerso nella meraviglia per sentire; e va bene così.
L’oceano non mormora come allora, ma Osamu lo osserva ancora — questa volta, è lui che non ode la voce di Atsushi chiamarlo. Davanti al suo sguardo si agitano fantasmi, echi di un’oscurità che non ha mai fatto male; ma l’alba è giunta, e lui non l’ha saputa fermare.

Una vita è sufficiente, sì… ma solo se nessuno rimane indietro.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Ma buon salve!
Sto letteralmente impazzendo per questa opera stupenda… e quale migliore occasione se non sfruttare la Writober?
Aspettatevi personaggi diversi a ogni prompt, perché li amo quasi tutti (e sono settantacinque se contiamo anche i minori, quelli presenti solo nelle light novel, etc.…) e non vedevo l’ora di avere l’occasione per trattarli: ma per evitarvi spoiler (e personaggi che non amate), a ogni inizio shot ci sarà una scaletta che conterrà i nomi di chi tratterò nella fic, e nel titoletto del capitolo il personaggio protagonista.
Non so quanto sarò puntuale nella pubblicazione, visto che a metà ottobre parteciperò a uno scavo archeologico e di tempo per scrivere non ne avrò; io farò di tutto per portarmi avanti, ma è probabile che qualcosa venga pubblicato molto dopo.
Il titolo fa riferimento al fatto che, come avrete già notato, tutti i prompt inizieranno con una citazione musicale.
La raccolta è tutta dedicata alle mie compagne di sclero, che ritroveranno i loro grandi amori disseminati tra i capitoli: Flos Ignis, Ori_Hime e Gella (tu hai anche il merito di avermi informato della Writober in tema!), grazie per ogni vostra parola e consiglio, per ascoltare i miei svarioni e sopportarmi, nonché supportarmi: siete una forza e vi meritereste molto più di quanto dico, faccio e scrivo.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 2
*** Ponte (Yosano) ***


 

 

2# — Ponte

 

Personaggi: Akiko Yosano, Edogawa Ranpo
Canzone: Each Tear ~ Mary J. Blige
Numero parole: 601
Avvertimenti particolari: riferimenti alla Grande Guerra. Nella fic non è passato nemmeno un anno da quando Yosano è sfuggita alle mani di Mori grazie a Fukuzawa e Ranpo.

 

Il tuo futuro sarà più sereno,
Voglio che tu ti ricordi che…
In ogni lacrima c’è una lezione.

Quel ponte esiste da molto prima di lei: la casa paterna è piena di foto e stampe che lo ritraggono, è sempre stato al suo fianco. Costruito interamente in legno e dipinto di rosso, l’elegante arco sbuca dalla vegetazione del parco che lo ospita, si estende sopra un quieto laghetto e una costellazione di ninfee rosa, quindi si rituffa nel verde: immerso nei profumi del mondo intorno, perfino la luna non manca mai di fermarsi sulle sue balaustre e illuminare chi lo percorre.
È un’immagine rassicurante nella sua pacatezza, in quella famigliarità che è scaturita dal correre spesso sulle assi solide, con maggiore sicurezza e velocità via via che si cresceva; e se chiude gli occhi, Akiko riesce ancora a sentire il suono dei propri passi che si inseguono fino a fuggire oltre il legno, nell’orizzonte della memoria.
È un dolce mattino quello che saluta Yokohama: il tempo si sta facendo più mite e la luce giunge presto, i fiori occhieggiano ovunque lo sguardo si posi e, mentre la mora si appoggia a una delle balaustre, un volo di farfalle si alza da alcuni cespugli di camelie screziate1, riempiendo l’aria di una nuvola indaco e scomparendo sotto il ponte.
Akiko si dirige dal lato opposto della struttura e si sporge appena, quindi guarda quella delicata macchia di colore ricomparire e si libra nell’aria insieme a essa, sempre più in alto. Le farfalle si dileguano in fretta, troppo veloci per i suoi tentativi di rincorrerle: e mentre un filo di tristezza le incrina il sorriso, improvvisamente sente le spalle abbassarsi sotto mani forti e ferme, ben decise a inchiodarla lì dove sta.
L’aria si fa più rarefatta e dalla bocca della ragazzina sfugge un mugolio di terrore, mentre gli occhi dimenticano la natura che li circonda e nella mente si dipinge fumo, umori diversi e lacrime, un’isola d’ombra; e nel grembo dell’oscurità stessa, il sorriso di una fiera. È tempo di mettersi al lavoro, Yosano-kun.
«Yosano-san, Yosano-san!»
La ragazzina stringe i denti, si sforza di serrare le palpebre; non vuole sentire il passo che sale il ponte e le si avvicina con calma, senza fretta, sapendo che il terrore l’ha immobilizzata, che non scapperà.
«Yosano-saaan, dove sei? Oh, farfalle dorate!»

Farfalle dorate… come quella che vive tra i tuoi capelli; come il dono che ti ha fatto un uomo buono andato in guerra, il gesto di dolcezza che hai perduto e un ragazzino rumoroso ti ha poi restituito.
Akiko spalanca gli occhi, ispira e stringe il legno con tutta la forza che possiede; il cuore riconosce il paesaggio intorno e si placa in pochi istanti, lasciandola senza forze ma con la certezza che ciò che ha visto non è più una realtà che la riguarda.
La guerra è ormai lontana, il ghigno del Persecutore non le morde la nuca né la costringe a sporcarsi di sangue ancora e ancora; basta con il dolore, ora sono gentilezza e protezione a vegliarla.
«Ah, eccoti qui! Ti vanno dei dango2? Laggiù c’è un chiosco che ne ha tantissimi!»
Ora, nel suo mattino c’è Edogawa Ranpo che corre verso di lei e sbracciandosi muove tutti i fiori del parco, spargendo ovunque il proprio entusiasmo; e mentre Akiko si accorge di piangere di gioia, comprende anche di non aver bisogno di ali per essere libera e sentire le sue ferite chiudersi. «I dango vanno benissimo, Ranpo-san», risponde allora mentre si asciuga due lacrime e gli va incontro su un sentiero che conduce fino al sole, dove paura non c’è.

 

 

 

NOTE

1 Le camelie screziate simboleggiano la speranza.

2 Particolari dolci giapponesi.

 

 

ANGOLO DI MANTO

Ransano Nation, how are we feeling?

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Capitolo 3
*** Giglio (La Gilda) ***


3# — Giglio

 

Personaggi: Louisa May Alcott, Francis Scott Fitzgerald, Lucy Maud Montgomery, John Steinbeck, Nathaniel Hawthorne
Canzone: Wait For It ~ Hamilton Cast
Numero parole: 638

 

La Morte non fa distinzioni
Tra santi e peccatori
E ghermisce e ghermisce e ghermisce.

Con un sospiro, Louisa socchiude gli occhi e si appoggia allo schienale della sedia, la testa che pulsa sotto un’intensa emicrania. È dal mattino che si sente priva di forze, nonostante non abbia fatto, sentito o vissuto nulla d’inconsueto: le mani hanno bevuto tutto l’inchiostro che la carta non ha assorbito, volumi con strategie raffinate e argute si sono accumulati davanti a lei come mura protettive, e, al di là dello studio in cui si è rifugiata, i compagni della Gilda non hanno ancora smesso di farsi udire; che sia l’ennesimo battibecco tra il reverendo Hawthorne e Margaret oppure le esclamazioni entusiaste di Twain, anche questo rientra nel normale scorrere delle giornate insieme.
Fitzgerald è più loquace e allegro che mai, poi, tanto che la giovane ode la sua voce superare tutte le altre mentre discorre con John e Nathaniel e impartisce gli ordini del giorno; e le verrebbe da sorridere a sentirlo così gioviale, se non fosse per quel diffuso malessere a cui non sa dare nome… tutto, come niente.
D’improvviso, mentre la porta dello studio si apre senza una reale causa e i rumori salgono d’intensità, il tono di Lucy riempie anche quella piccola stanza, spingendo Louisa a girarsi.
«Oooh, ma quelli sono gigli!», la sente esclamare mentre la vede saettare come una freccia dietro al segretario James e al vaso di splendidi, candidi fiori che questi sta sorreggendo.
«Calma, Montgomery, non sono per te.»
«Ne voglio accarezzare uno!»
«È un 
dono1 per il signor Fitzgerald, non lo rovinare.»
«Uff, non avrei fatto alcun danno!»
Le ultime parole della rossa non ottengono risposta perché James ha ormai raggiunto lo studio di Fitzgerald; allora, e solamente allora, un profondo silenzio cala sulla babele di voci, lasciando intatte unicamente le più lontane da quelle stanze.
Un brivido percorre la schiena di Louisa, che lascia cadere la penna e si alza: è una forza estranea a lei a spingerla, ma che le detta di abbandonare la camera e incontrare le espressioni stupite e adombrate di chi occupa il corridoio che divide l’ambiente dallo studio di Francis. Senza spostarsi di molto, ora la ragazza lo può vedere: seduto alla scrivania, con il vaso di gigli alla sua destra, sta accarezzando i fiori con espressione lontana. Non c’è ombra di riso sul viso che, nella luce del vivido mezzogiorno, appare stanco e più vecchio di quanto in realtà sia.
«Non… non le piacciono, signor Fitzgerald?», chiede James con una punta di confusione nel tono, mentre Lucy indietreggia leggermente e si avvicina a Louisa.
Increspando il volto in un piccolo sorriso, Francis scuote la testa. «Sono bellissimi, invece», mormora, «non per nulla Zelda li adora. E ha passato questo amore anche a nostra figlia…» La voce s’incrina, quindi Francis alza una mano e si rivolge a Nathaniel e John, rimasti silenziosi e immobili per tutto il tempo. «Andate pure, sapete cosa fare. E, James, quando esci chiudi la porta.»
Mentre tutti ubbidiscono, Louisa ritorna nella sua stanza, tuttavia senza poter fare a meno di udire John mormorare qualcosa sottovoce, con asprezza.
«La sofferenza ha i suoi tempi e modi per mostrarsi, signorino Steinbeck. Non possiamo giudicarlo per questo, non è un nostro diritto.»
Spentasi la voce di Hawthorne, il corridoio resta silenzioso, ma la ragazza non riprende subito il suo lavoro: rimane invece a fissare i volumi che ha già colmato, un’ombra sul cuore. Si è unita alla Gilda ben sapendo che cosa stesse facendo, e tuttora ne è convinta: non si può tirare indietro davanti al dolore, non a un dolore vicino a lei.

E cosa posso fare in merito?
Con delicatezza ma fermezza, Louisa impugna l’unica arma di cui abbia bisogno, e riprende a scrivere; a ora, non c’è altro posto dove dovrebbe stare.

 

 

 

NOTE

1 Il giglio simboleggia sia la purezza e l’innocenza, che l’orgoglio. È quindi collegato sia alla figura della figlia di Francis che a lui stesso, ma in questo caso il significato preponderante è quello di purezza.

 

ANGOLO DI MANTO

Diciamocelo: se non inserivo qui qualche riferimento a “Hamilton”, il musical su uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, dovevo vergognarmi profondamente.
Il capitolo di oggi è dedicato a tutti i fan della Gilda (non siamo mai abbastanza) ♥♥, ma vi confesso che non sarà l’unico che li vedrà coinvolti perché ho un vero e proprio debole per questa banda di americani casinisti.
Alla prossima! Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 4
*** Onda (Melville) ***


 

 

4# — Onda

 

Personaggi: Herman Melville
Canzone: Song of The Sea ~ Lisa Hannigan
Numero parole: 509

 

La canzone del mare
Né silenziosa né immobile
Che cerca ancora amore.

Un tempo, le onde avevano il loro modo di chiamarlo a qualcosa che aveva bisogno di sentire, che doveva vivere: calmavano il moto incessante e si facevano quasi più fiacche, misteriosamente silenziose nei propri giochi di fuga e ritorno, lasciando che il richiamo delle balene fosse l’unico suono a raggiungere la spiaggia e la sua mente.
Herman avrebbe potuto anche passare i giorni e le notti di un’intera esistenza a contemplare il regno che intravedeva sotto le braccia del mare, tanto profonde e immense da poter dare colore ai cieli: e Moby Dick era nata da quel contatto siglato dall’eternità, creatura di acqua e nubi, splendida come tutto ciò che non è corroso dalla sofferenza — dove se n’è andato quel tempo, e io con lui?

 

Se fosse solo un po’ più giovane, se tutto quello che ora sta guardando fosse accaduto prima, sarebbe piegato in due dallo strazio: come sotto l’influsso di una maledizione, ogni cosa che le sue mani abbiano creato o toccato ha mutato volto fino a rendersi irriconoscibile, rigonfio di malattia e dannazione. Moby Dick è stata piegata dall’azione umana che lui non è riuscito a fermare, la Gilda si è ammantata di ombre che lui non avrebbe voluto e ha cullato nel grembo una missione rovinosa. E alla fine, cos’è rimasto? Sono cadute entrambe con le loro memorie, sogni e miserie, tra le stesse onde che ormai non lo chiamano più.
“Che almeno il mare resti intatto dal male”, ha pensato; tuttavia, questo non ha voluto dargli ascolto e si è inghiottito ciò che rimaneva del suo passato… ma non lui.
Il dispetto finale, la delusione di un mondo che allora lo aveva scelto e dal quale era stato scelto a propria volta… e per cosa?
E nonostante tutto, anche in quell’istante non riesce a dare la colpa all’uomo senza scrupoli che dietro al sorriso ha sempre nascosto una voragine oscura: certe morti sporcano ogni cosa, rendono folli e determinati a rovesciare l’inferno pur di piegare il tempo fino a costringerlo a tornare indietro, riducono all’impotenza chi rimane a guardare e non sa quanto di sé stesso resterà. No, non c’è colpa nell’aver inseguito una speranza senza accorgersi delle vite trascinate dietro di sé, perché il dolore non chiede prezzo minore. Questo giunge, o giungerà, per ognuno: finire insieme a Moby Dick sarebbe stata la soluzione migliore, eppure il mare ha deciso di non toccarlo.
Evidentemente, dopo simili eventi e contando che ormai non c’è più nulla da perdere, o la sua strada è sbarrata per sempre, o dal fondo si può solamente risalire.
Moby Dick continua a respirare, la sente: anche se non lo vuole, se pensa di non averne più diritto, le balene sorgono da sé per seguire i suoi passi, quasi a evitargli o alleviare la solitudine dei tempi che verranno. E le onde non si arrestano, trovano sempre la propria strada; forse, è il momento d’imparare ancora la loro canzone e prepararsi a dire addio, o rimandarlo al futuro.

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Capitolo 5
*** Musica (Sigma) ***


 

 

5# — Musica

 

Personaggi: Sigma
Canzone: Wild Life ~ OneRepublic
Numero parole: 519

 

Guardo a queste improvvise cascate
Lacrime che non hanno alcun senso per me
Questa vita è ciò che succede quando stai facendo dei progetti
Non so che cosa accade dopo, o dove mi trovo.

Non è stata la musica a donargli la vita, questo lo ha sempre saputo; eppure, in qualche modo, è
anche così. Semplicemente, si è reso conto di essere qualcosa di più di semplice esistenza, di mero respiro e confusione e dolore, quando ha udito quella voce sconosciuta modulare l’aria in un ritmo diverso al conosciuto.
La schiavitù nel deserto era già iniziata, allora, la decadenza della sua umanità inarrestata ed esacerbata da chi lo considerava solo in virtù della sua abilità; eppure, una delle interminabili notti sempre uguali, un suono dolcissimo ha vinto le pareti della prigione e gli ha fatto rizzare la testa esausta. Istintivamente si è alzato in piedi ed è corso a guardare attraverso le grate della piccola finestra, l’unica dell’ambiente, nel tentativo di scorgere la figura tesa a infrangere il buio immobile con la grazia di una melodia; la sola cosa che ha incontrato è stata la carezza della musica, fattasi più intensa e struggente, che lo ha cullato per ore.
Tempo dopo, quando avrebbe nuovamente udito e riconosciuto il suono di un’arpa, avrebbe compreso la misteriosa, angelica voce giunta a fargli visita; ma Sigma è nato nell’oscurità di quell’istante, quando si è convinto che solamente un uomo potrebbe piangere e sognare per una simile bellezza.
Il mattino seguente ha portato due doni per lui: una dimenticanza dei suoi carcerieri e uno scontro che li ha tenuti impegnati per ore, così da permettergli di lasciarsi le nere mura alle spalle e correre senza fermarsi, quasi a inseguire le ultime tracce della musica notturna. Privo di ricordi, legami e certezze, il mondo che lo ha accolto si è rivelato sconfinato e con infinite vie, ma neanche allora ha trovato uno scopo per comprendere il perché della sua esistenza: nella musica capace d’impregnare ogni sospiro, non c’è stato posto per lui…
prima degli Angeli, e del loro canto.

 

Prenderò tutto l’amore e il dolore
Voglio vivere questa vita libera, libera, ora.

L’ha riconosciuta non appena lo Sky Casinò gli ha aperto le porte: la melodia sempre inseguita, il motore delle proprie azioni, ciò che gli ha dato un motivo per restare. Un suono accordato al cuore, che ha fatto posto ai sentimenti e accettato le sue domande, qualcosa con cui vivere. Niente da spiegare tra quelle lussuose stanze, niente da mostrare sotto i soffitti preziosi: tutto è sorto insieme a lui e di questo se ne è fatto garante, e così sarebbe stato comunque, anche se una mano più grande della sua non l’avesse guidato per dirgli cosa fare.
La musica si è evoluta ed è cresciuta d’intensità, accompagnandolo costantemente: dal caos al controllo, dall’estraneità all’appartenenza. Non ha lasciato andare l’oblio che precede il suo primo risveglio, ma anche a quello giungerà risposta; non ha dimenticato la tristezza, ma forse essa è parte della sua persona, scritta nell’anima.
Di certo, ora nessuno potrà soggiogare e spegnere quella voce, e chi cammina con lei.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Come per Herman Melville, continuo a pensare che Sigma dovrebbe apparire più maggiormente nelle fic: è un personaggio troppo affascinante e profondo per non essere trattato, così che sono stata ben felice di dedicargli un giorno della challenge *^* nella speranza di vedere più lavori che lo riguardino.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 6
*** Ombra (Dazai) ***


 

 

6# — Ombra

 

Personaggi: Osamu Dazai, sorpresa
Canzone: Wildfire ~ SYML
Numero parole: 1150

 

Nei giusti tempi, tu saprai
Quando allentare la presa, quando lasciar andare
Puoi trovarti nel posto a cui appartieni
Non sei una maledizione, non sei di troppo
C’è bisogno di te qui, sei abbastanza
E niente ti potrà abbattere per molto.

I toni del primo mattino sono intrisi d’oscurità: la notte tarda ad andarsene, si allunga pigramente sopra i tetti delle case e rimanda per un minuto ancora, sorprendendo chi alza lo sguardo al cielo e lo ritrova ricolmo di stelle.
La gente sembra obbedire allo stesso incanto che non vuole dissolvere il buio, e per le strade s’incontrano solamente ombre e passi veloci, guizzi di presenze e voci appena accennate tra chi si riconosce e saluta: al di là dei consueti suoni di Yokohama che si risveglia e prende in mano un nuovo giorno, niente disturba la quiete.
Da parte sua, Dazai l’accetta come se fosse un balsamo, donando in cambio un sorriso accennato. È presto per raggiungere l’Agenzia, ma il sonno lo ha abbandonato senza pietà e i muri delle stanze lo hanno reso insofferente, così da spingerlo a lasciarseli alle spalle per vivere quel tempo sospeso che precede l’alba.
Come spesso accade, le gambe lo conducono autonomamente alla tomba di Oda: ma appena ne scorge la lapide, il giovane comprende che non le riserverà le parole di sempre, che per quella volta la sua sosta sarà molto breve — o forse no?
Si volta con falsa noncuranza, la nuca che inizia a pizzicare sotto lo sguardo di qualcuno che respira nelle nere pozze d’ombra; ma non percepisce niente di pericoloso intorno a sé, solo lo scorrere del quotidiano ritmo cittadino — con una piccola variante, che ancora non si è mostrata.
«Era un uomo gentile…. dovrebbe ricevere più visite.»
Osamu ha un piccolo sobbalzo mentre sente quella voce limpida, trillo di usignolo, scivolargli lungo la schiena in una carezza; girandosi nuovamente, vede l’alta, elegante figura di una donna avanzare nella sua direzione. La distanza e il buio ne nascondono i tratti, ma non il luminoso sorriso e i molti fiori che stringe tra le mani.
«L’importante è che siano quelle di chi gli era legato», le risponde lui mentre le fa un cenno di saluto, rispondendo alla mano alzata della sconosciuta. Ora che è più vicina, è possibile notare la bellezza della sua lunga chioma corvina e la pelle chiarissima, forse anche troppo: sotto di essa sembrano scorrere non vene, ma fili d’argento e una leggera sensazione di freddo.
«Giusto, giusto. Tuttavia, oggi sei parecchio silenzioso.» La nuova arrivata depone i suoi fiori sulla tomba di Oda e poi alza lo sguardo d’ossidiana verso Dazai, che si accontenta di osservarla senza rispondere. Nonostante lei sia meravigliosa, quello sente l’impulso di allontanarsi dalla sua presenza il prima possibile, ma solo per correrle incontro dopo qualche attimo; e rimane in silenzio anche quando lei gli prende una mano, senza badare alle convenzioni e quasi lo conoscesse da sempre, e la stringe forte.
«Sai, a volte credo che tu potresti sentirlo ridere, ora. Stai facendo tanto per essere l’uomo che lui avrebbe voluto vedere… non credere di passare inosservato.»
Osamu non replica neanche allora, mentre una risposta affiora nella mente; ma per il momento la tiene per sé, e senza pensarci due volte ricambia la stretta della giovane e sorride affabilmente. «E nonostante queste parole, tu sei nuova di Yokohama, vero?»
«Sì e no. Ti può bastare come risposta?»
«E addio visita alla città…»
La sconosciuta ride, un tintinnio di campanelle. «La posso fare comunque! Per quante volte la veda, Yokohama è sempre diversa.»
Il moro assentisce a propria volta, socchiudendo gli occhi. «Le anime non sono mai uguali, d’altra parte. E anche se tu sei qui, con me, tutt’intorno e oltre l’oceano la loro strada finisce, devia o cambia comunque.»
A quelle ultime parole la sconosciuta soffia con forza, e ciò che resta della tenebra si dirada: si fa giorno e irrompe la luce, e subito il pomeriggio accorre e trasforma le ombre secondo la danza delle ore. Il tempo fugge, ma loro rimangono; abbassando la voce, Osamu osserva la compagna in quegli occhi che tanti temono, si avvicina di più al suo volto. «Una fine senza dolore, come piace a me», mormora poi, senza lasciare la mano che ancora trattiene e accarezzandola piano, «… se l’Ombra della Vita accetta preghiere.»
«Non sono venuta per questo, Dazai Osamu», replica la Morte con lo stesso tono con cui un adulto riprende un bambino ribelle, per poi addolcirsi, «devi ancora guidare e proteggere le vite di chi rischia di perdersi. È ciò che hai promesso a un amico… è ciò che lui si aspetta da te.» La stretta si scioglie, Lei posa quella stessa mano sulla testa del moro, e da essa fluiscono fiumi d’immagini, memorie, impulsi. «Non inseguirmi con troppa foga, non è il tuo tempo.»
«Non te lo posso promettere, se molte volte sei l’unica risposta a ciò che chiedo.»
«Ma qui c’è bisogno di te, e qualcuno che avrà un futuro solo se tu lo guarderai. Non fare quella faccia, sai che è così!»
«… Non sei come la gente ama descriverti.»
«Sono implacabile, ma rispetto la Vita: sia io che Lei assumiamo il giusto valore solamente quando ci viene dato tempo adeguato… e tu non mi stai ascoltando.»
Dazai si scioglie in un breve riso, quindi si siede al suolo e attende che la Morte faccia altrettanto. Il pomeriggio si è bloccato in un lungo crepuscolo e sotto di esso lui le prende nuovamente la mano. «Non sei giunta per portarmi via con te e potresti anche essere un mio sogno… e sembri una compagnia piacevole. Cosa fare per trattenerti?»
Il sorriso dell’Altra è affilato, come se al posto di esso ci fosse una falce.
«Perché sei venuta, Signora?»
«Non mi hai davvero ascoltato, quindi.»
«Ma sei già pronta ad andartene…»
Mentre fissa quel pauroso sorriso allargarsi sempre più, il moro sente una forza estranea a lui calargli sul corpo e spingerlo al suolo, proprio tra le braccia della Mietitrice. «Ho forse detto di dovermene andare in fretta?», sussurra Questa mentre si china e sospira nella bocca del giovane, e il mondo si prepara a dimenticare Osamu Dazai — solo Lei sa per quanto.
«Qualunque cosa tu voglia fare, senza dolore, per favore», mugola lui alzando le mani in una sorta di supplica, mentre sente il cuore rallentare i battiti e le dita della sua dama allentare bottoni, nodi, tensioni, anche le tristezze. Non lo porterà via, no, ma per qualche attimo il vuoto che ha dentro di sé non echeggerà tanto forte.
Così spera, almeno.
«Senza dolore», risponde Lei con una carezza sulle labbra, «e spero che alla fine tu sia meno chiuso di così, almeno con me. Che non si dica che la Morte non prova nulla verso coloro che la seguono.» Non ode risposta: il suo bacio di ghiaccio giunge prima, obliando il mondo nel proprio volere.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Non vedevo l’ora di poter scrivere questa fic che mi frullava per la mente da mesi, da quando ho conosciuto Dazai: una storia dove il signorino incontra la Morte, e quel che accade accade.
E questo è quanto: un po’ di amarezza, surrealismo, sentimento.
Ho voluto assegnare alla Morte due colori, bianco e nero, perché in Giappone entrambi sono associati a essa (il bianco secondo la tradizione già cinese, il nero dopo il contatto con l’Occidente).
E detto questo, come sempre, vi abbraccio!

Manto

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Capitolo 7
*** Libri (Poe e Ranpo) ***


 

7# — Libri

 

Personaggi: Edgar Allan Poe, Edogawa Ranpo
Canzone: People Help The People ~ Birdy (cover)
Numero parole: 1082

 

La gente aiuta la gente
E se senti nostalgia di casa
Dammi la tua mano, e io la stringerò.

Dove Ranpo Edogawa va, si crea il caos: Edgar lo sta imparando a proprie spese.
Il pomeriggio è iniziato incontrando il detective per le strade di Yokohama — nella foga di corrergli incontro, quello gli ha dato pure una testata —, e sta proseguendo in sua compagnia: annoiato dalla giornata troppo calma e impaziente di trovare qualcosa con cui tenersi impegnato, Edogawa è riuscito a strappargli il permesso di leggere l’ultima storia a cui sta lavorando, non ancora conclusa ma più complessa delle precedenti, nonché di girovagare liberamente nella villa.

Decisione non ben ponderata, perché mentre lui si ritrova rinchiuso nel suo stesso studio per proseguire l’opera, Ranpo libera la propria voce dalla parte opposta della dimora e scatena una serie di scricchiolii e rumori agghiaccianti.
Finalmente, quando sugli ambienti scende un improvviso silenzio ed Edgar inizia a temere il peggio, il detective gli compare davanti, caracollando sotto la pila di libri che tiene tra le braccia e con lo sguardo acceso d’interesse.
«Fai attenzione con quelli, sono importanti», mormora lo scrittore dopo aver riconosciuto i volumi e guardando l’altro appoggiarli sulla scrivania, per poi allungare una mano e accarezzarli delicatamente.
«Lo so, infatti sono quelli che tieni più vicino al letto. Le pagine sono molto segnate, le sfogli spesso, e l’inchiostro ha perso parte del suo colore: te li sei portati dall’America. Però non c’è traccia di storie qui dentro, solamente numeri, iniziali di nomi di persone… e luoghi?»
«Le storie ci sono, ma non in questi volumi.»
«Uh? Li tieni come registro, allora?»
Edgar accenna un sorriso, quindi annuisce. «Li tenevo come tali, sì», conferma, per poi posare la penna d’oca e chiudere il tomo che ha innanzi. «Anni fa, prima che io e te avessimo la nostra sfida, scrivevo per chiunque me lo chiedesse: storie comiche, fantastiche, d’avventura, semplici scene di vita… era un modo per sviluppare le mie capacità, e alla gente piaceva. In quei libri potevano vivere ovunque e qualunque cosa loro volessero, visitare luoghi lontanissimi, incontrare persone.
Non ci vedevo nulla di male e le richieste erano tante, mi divertivo pure.»
«Hmm…» Ranpo apre a caso uno dei tomi, punta il dito sul primo nome che incontra e sul suo volto si dipinge un ghigno. «Questo l’hai davvero mandato nel cratere di un vulcano?»
«Un tempo quell’uomo era un esploratore, ma non aveva mai potuto visitare un vulcano estinto: risolvemmo il problema in questo modo.»
«Contento lui… qui invece ci sono due iniziali, e un nome strano.»
«Oliver e la sua cagnolina Fioralba. Descrivere il drago che voleva cavalcare fu un’impresa simile a quella che gli feci compiere, ma ne valse la pena.»
Sorridendo più ampiamente, Edogawa punta più sotto. «H. A.»
«Oh, la signora Helen Anders! Era diventata troppo anziana per muoversi, ma voleva rivedere il mare: così scrissi di un’intera giornata passata sulla spiaggia di Nantasket1. Mi ringraziò per giorni.»
Proseguono così, con un nome e una storia che profuma di desideri e memoria, per altri dieci minuti; quindi, Ranpo scorre verso la fine del libro e lascia scivolare il dito fino a incontrare due iniziali scritte in inchiostro viola. «V. S.»
Nonostante sia ormai pomeriggio inoltrato, la sera dovrebbe essere lontana; eppure, nella stanza la luce si affievolisce, così come l’entusiasmo di Edgar nel raccontare.
«Viviane. La vicenda riguarda lei e il suo fidanzato.» Una pausa. «Dovevano sposarsi; ma invece che un velo da sposa, quella ragazza dovette indossare una veste funebre e partecipare al funerale di chi amava.»
Ranpo rimane in silenzio un istante, quindi estrae un volume dalla pila: quello che riporta sulla copertina il nome della giovane.
Poe lo prende dalle mani dell’amico, lo stringe al petto. «La sua famiglia me lo restituì un mese dopo. Viviane lesse la storia così tante volte da saperla a memoria… e poi s’impiccò per trasformare la fantasia in realtà, per lasciarsi alle spalle una vita che non aveva più niente da offrirle. Quando la trovarono, il libro era ai suoi piedi, aperto sull’ultima pagina…»

E c’era un messaggio: mi perdoni, signorino Poe, ma ho scelto un finale migliore.
Edogawa scurisce lo sguardo, quindi osserva il tomo che ha davanti a sé. Ci sono altre iniziali, ma non ha bisogno di chiedere per sapere che le storie commissionate non sono mai state portate a termine: scorge la risposta nel volto dell’amico, nella carta intonsa che incontra le sue dita, e chiude il volume. «Lo avrebbe fatto comunque, Poe-kun. Anche se tu non avessi scritto quella storia, l’esito sarebbe stato lo stesso.»
Lo scrittore annuisce, si alza. Ranpo impila nuovamente i libri e li passa all’amico, accompagnandolo quindi nei corridoi della villa. «Anche se inizialmente mi assunsi parte della colpa, poi mi arresi al fatto che non avrei potuto fare niente», prosegue Edgar, «proprio come dici tu. Tuttavia, la sua fu l’ultima richiesta che accettai, e non credo che potrei ricominciare.»
«Però hai permesso che una nonnina rivedesse il mare che tanto amava, e quel signore nel cratere del vulcano… hai reso loro molto più di qualche ora di felicità. E chi vuole rivedere qualcuno che ama—»
Ranpo si blocca, spalanca gli occhi: ha una fitta al cuore e sa bene il perché. Per un istante, rivede davanti a sé l’ombra dei suoi genitori e il dolore che ha provato quando è rimasto indietro, mentre loro sono andati avanti e dove non avrebbe potuto raggiungerli. Se allora non avesse incontrato Fukuzawa, chi può dire che cosa ne sarebbe stato di lui? Se avesse trovato qualcuno come Poe e chiesto di scrivere della sua famiglia, avrebbe poi seguito i passi di Viviane?
In che cosa sarebbero stati diversi?
La mano di Edgar mette fine alle domande, posandosi sulla sua spalla con gentilezza.
Ranpo respira, accenna un sorriso perché non ha bisogno di una risposta e può anche dimenticare il quesito: ha qualcuno accanto a sé, non è solo né dimenticato, il finale è ancora lontano. «Anch’io voglio cavalcare un drago, comunque!», esclama all’improvviso facendo sobbalzare Edgar, per poi voltarsi verso di questi con un sorriso, «ma prima, sbaglio o qualcuno mi deve un romanzo?»
Edgar sorride a sua volta, socchiudendo gli occhi. «Un’ultima frase ed è tutto tuo, e voglio proprio vedere come te la caverai.»
«In meno di tre secondi, come sempre!»
«Stai allungando il tempo, vedo…»
«Così credi tu!»
No, nessuno dei due deve temere: la storia è tutta da scrivere, ed è appena cominciata.

 

 

 

NOTE

1 Luogo non molto distante da Boston.

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Capitolo 8
*** Specchio; Rapimento (Kōyō) ***


 

 

8# — Specchio; 9# — Rapimento

 

Personaggi: Kōyō Ozaki
Canzone: Soffio di Attimi ~ Folkstone
Numero parole: 503

 

Soffio di attimi,
Ricordi ed empatie,
S’incendiano nel fuoco…
…Chiusa in trappola,
Giro intorno a te
Non sfugge via niente.

Lo sai di essere bellissima; tutto il mondo lo riconosce, e lo farebbe anche se tu fossi invisibile e ti si potesse percepire solamente dall’ombra che ti fa da strascico.
Lo specchio rifulge dei colori che gli porti e si tende mentre avvicini il volto, s’increspa quando lo baci con il tuo spietato respiro — e il meriggio già diviene sera.
Ti si ammira e teme, s’invidia e sussurra il tuo nome come preghiera o pensiero sconvolto, perché non c’è alcun ritorno da te; e tu, intoccata, affoghi questo e altro nel sorriso accennato con cui osservi il mondo, perché sai che le tenebre tutto divorano e nulla tengono, perché sei la nera metà di quella luna a cui tanti ti paragonano.

O non è così, mia regina?
Il tuo cuore di ghiaccio ignora amore e compassione, la tua figura non mostra mai aperture: sarebbe più facile scalfire un diamante che trovarti debole, farti a pezzi prima di sentire la tua voce implorare pietà. Come ci si aspetta da una dama della Morte.
O non è così?
C’è forse qualcosa che ti segna il cuore?
Perché a volte, nell’abbraccio dell’oscurità, rivedi la bambina piangere mentre guarda i suoi sogni cadere; pioggia di vetri insanguinati, un fiore appassito tra orrore e disperazione, qualcuno che ti riporta indietro, nell’abisso — c’è solo silenzio per me?
Perché a volte, quando nessuno ti è intorno e la coscienza allenta un po’ la sua morsa d’acciaio, dalle labbra di velluto quasi sfugge un nome, un’invocazione a quella mano che ti stava guidando fuori dalla notte. Questa ritorna per te; dove ti porti di preciso non lo sai, neppure lei conosce la meta, ma ti prende e trascina con sé — eppure i tuoi piedi corrono veloci, per raggiungerla prima.
Perché a volte, mentre il primo mattino canta la sua venuta e ti sveglia da un sogno, hai la sensazione che qualcuno stia per rapirti: ma a farlo sono visi che conosci, voci che ascolti sempre, mentre dall’altra parte c’è chi ti hanno strappato — e là vorresti restare.
Ora tu neghi, neghi una volta ancora, distogli il volto con disprezzo e ti giri rabbiosa: attenta, la notte non potrà sempre coprire la verità, la caduta non ti lascerà senza graffi.
Evita di guardare troppo a fondo nell’anima — sai già cosa dorme là dentro — e tieni alta la maschera; contemplati pure nel tuo specchio, gelida dea… nell’angolo più lontano al tuo sguardo, dove il vetro è scheggiato come te, un sorriso perduto continua ad agitarsi, e non importa il tenerlo il più distante possibile dal cuore perché rimane là, ombra tra le ombre, per rapirti quando sarai troppo stanca per fuggire da te stessa.
Tieni a bada la luce e la speranza che porta con sé: ci sono fuochi che bruciano più di altri e promesse che dormono nel sole, in attesa di essere rispettate.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve a tutti *^*
Questa volta è tosta, lo so… e per renderla ancora più così ho unito il prompt di oggi a quello di domani, perché, a mio parere, entrambi perfetti per il personaggio.
Forse questa caratterizzazione della bella Kōyō non è usuale, ma io continuo a pensare che, nonostante quello che è diventata e forse proprio a causa di questo, l’uomo che ha cercato di salvare la bimba che era, e per la quale ha perso la vita, a volte torni a farle visita nei sogni e nei pensieri.
La considero uno dei personaggi più tristi e inquieti dell’opera, al pari di Dazai, e per tale motivo non mi ha lasciato di certo neutra: se c’è dell’angst su cui giocare, non mi lascio scappare l’occasione.
Anche i prossimi due prompt saranno uniti, poi temo di dovervi salutare per un po’: impegni importanti chiamano a rapporto interrompendo una stesura regolare della raccolta, che nonostante ciò proseguirà e verrà pubblicata, anche se fuori tempo.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 9
*** Taglio (Mushitarou) ***


10# — Taglio

 

Personaggi: Edgar Allan Poe, Edogawa Ranpo, Mushitarou Oguri
Canzoni: Pluto ~ Sleeping at Last + Invisible ~ Zara Larsson
Numero parole: 1000

 

Sono ancora inchiodato sotto il peso
Di ciò che credevo mi avrebbe mantenuto sano
Mostrami dove la mia armatura finisce
Mostrami dove la mia pelle inizia.

Nel parco della villa spira una fresca brezza, carica del sentore dei fiori che incontra lungo la sua corsa: l’estate è ormai sopra la città, tra qualche giorno cadrà come pioggia e si spargerà tra le strade e i palazzi, instillando in tutti il desiderio del mare.
È un triste scherzo che sia lui a perdersi in quell’immaginazione, proprio lui che ha sempre rifuggito le onde e l’odore del sale; ma per una volta può fare un’eccezione.

E tu rideresti a sentire questo, quanto rideresti.
«Andiamo, non puoi aver già scoperto il colpevole! Sei solo al primo capitolo!»
«Non è colpa mia se sono così geniale! Anche se inizialmente ero incerto su un passo… non male!»
«Di-dici davvero?»
Mushitarou emette un piccolo sospiro di sorpresa, quindi accenna un sorriso mentre lancia un’occhiata alla coppia che ha davanti a sé. Aggiusta la tavola che Poe ha appena spostato con tutto il suo entusiasmo, quindi socchiude gli occhi sotto il sole che filtra attraverso le fronde degli alberi e ritorna a osservare Ranpo che ride, scompostamente seduto sulla graziosa panchina in pietra ormai sepolta da carte di caramelle.
Per un qualche attimo riesce a seguire l’invettiva tra lui e Edgar; poi, cullata dalle loro parole, la mente si distacca nuovamente e raggiunge altre terre. Oggi la mancanza si fa sentire forte, è quasi impossibile da controllare: chissà che cosa gli vuole dire…
«Stai bene? In quest’ultima ora sei stato parecchio silenzioso.»
Oguri attende un attimo a rispondere alla domanda di Edgar, avvicinatesi a lui silenziosamente, quindi annuisce piano e guarda in volto lo scrittore. «Eravate talmente presi a discorrere che ho deciso di non disturbare. E poi io odio l’odore del sale, e oggi lo sento ovunque.»
L’altro sorride, un’espressione dolce nel viso, e si volta per lanciare un’occhiata a ciò che resta del pranzo che hanno consumato lì, sotto lo sguardo arboreo. «Possiamo anche entrare, o stenderci qui e riposarci un attimo… forse ho esagerato nel cibo, ne ho preparato fin troppo.»
«No, io non ho detto ques—»
«Basta con i cattivi pensieri! Dai, raccontatemi qualcosa che mi faccia divertire, sono stanco di parlare solo io!»
L’improvviso abbraccio di Ranpo coglie di sorpresa gli altri due, che si sbilanciano in avanti e si scontrano con il bordo della tavola.
Oguri sta per dire qualcosa, tuttavia la sensazione di dolore arriva prima e gli fa volgere gli occhi davanti a sé; con calma, lascia andare il coltello che ha afferrato per la lama, a causa della sorpresa, e si guarda il palmo della mano destra, dove ora campeggia una lunga striscia rossa.

Non ti ricorda nulla, Mushi?
«Oh…», dice Ranpo quando scorge il taglio che l’amico si è fatto, immobilizzato e sentendosi colpevole per il gesto di prima.
«Non è nulla», lo rassicura Oguri, accennando una smorfia che dovrebbe essere un sorriso, ma che risulta molto amara — solamente lui sa il perché.

Come il pezzo finale di un puzzle
Tutto assume perfettamente senso per me
La pesantezza che trattengo nel cuore appartiene alla gravità
La pesantezza che trattengo nel cuore mi sta schiacciando.

Poe, intanto, non ha perso tempo ed è corso dentro casa, e quando ne esce è tanto carico di bende, cerotti, disinfettanti e antisettici da far invidia a una farmacia; e così si presenta agli occhi degli amici, facendo spazio sulla tavola e posando l’intero bagaglio.
«Non è così grave, ha quasi smesso di sanguinare!», grida intanto Mushitarou, lo sguardo adombrato, ritraendosi istintivamente.
Edgar non lo ascolta e gli prende la mano per osservare il taglio, afferra disinfettante e cotone; poi si ferma. «Ma qui c’è già una piccola cicatrice», sussurra, seguendo il sottile, bianco tracciato di una vecchia ferita. Quella nuova scaturisce dal principio di essa come lo stelo di un secondo fiore, prendendo la direzione opposta.
«Sì; già una volta mi sono tagliato la mano… con Yokomizo.» Una pausa, che gli altri non spezzano. Il mondo rimane in attesa, perché dal suo tono è fuggito tanto, troppo, e non si torna indietro.
Ranpo e Poe non si guardano, sanno già; e lasciano che sia lui a decidere se parlare, oppure no. La scelta si mostra appena Edgar inizia a passargli il cotone sul taglio, scatenando aghi di bruciore e memorie. «Eravamo al nostro terzo giorno d’università, e un compagno di corso ci stava mostrando dei numeri di giocoleria con dei pugnali. Era molto bravo, ma gli errori capitano anche ai migliori; e, beh… a un certo punto ne perse uno e, istintivamente, lo afferrai io, ma dal lato della lama: proprio come oggi.
Un intero pomeriggio a disinfettare e cambiare le fasciature, con Yokomizo che faceva battute a ogni mia smorfia di dolore. Non credo di averlo odiato come allora… e di aver riso tanto insieme a lui, poi.
È uno dei ricordi più belli che ho di noi due.»
Poe ed Edogawa sorridono in silenzio; e, non molto distante da lì, a sorridere con loro c
’è un’altra figura. Questa reclina il capo, lo guarda con un pizzico di divertimento e tanto affetto. Non avrai realmente creduto di rimanere da solo, vero?, dice la voce che lo accompagna in ogni dove, la tua anima chiama sempre a sé, come ha fatto con me.
Non devi temere: sei in buone mani.
«… Perché non ci racconti ancora qualcosa di voi?»
Mushitarou non risponde subito, si prende ancora un attimo per sé.
«Poe-kun ha ragione: Yokomizo sembra una persona veramente speciale», aggiunge Ranpo, sedendosi davanti a Oguri e incrociando le gambe.

Io sono nel giorno e nella notte, dovunque tu possa pensarmi; e vicino a te c’è chi ti vuole già bene. Non lasciarlo andare.
«Lo era», sussurra Mushitarou al respiro del mare, al soffio che scompiglia i capelli e dipana il silenzio, «e lo è ancora.»
Se la felicità è a un miglio di distanza
Bastano solo un paio di passi.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Vi prego, amate questo trio quanto lo amo io: è un antidepressivo di certificata efficacia.
Ovviamente, come già scritto, ho completamente fallito il tentativo di seguire passo passo la Writober; ma siccome tengo davvero tanto a questa raccolta, ribadisco che continuo a scrivere a prescindere e a pubblicare, seppur con molta calma.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 10
*** Legame; Memoria (Rimbaud) ***


11# — Legame; 12# — Memoria

 

Personaggi: Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Chuuya Nakahara
Canzoni: Waiting for Love ~ Avicii + The Messenger ~ Linking Park
Numero parole: 615

 

Dove c’è volontà, c’è una strada, qualcosa di bello
E ogni notte ha i suoi giorni, è così magico
E se c’è amore in questa vita, non c’è ostacolo
Che non possa essere sconfitto.

«Io e te, allora?»
Il tramonto si abbassa sopra Montmartre1, oppure è questi che si leva in piedi, verso le nubi che si srotolano tra loro e il fantasma della luna. Luce e oscurità si rincorrono tra le vie e si riflettono negli occhi di una coppia di figure che, appoggiate alla ringhiera di un elegante balcone, osservano l’orizzonte in fiamme — lo potranno vedere ancora per pochi mesi; poi, per quanto ne dovranno serbare solo il ricordo?
L’adulto tra i due2 si stringe nel proprio cappotto, sentendo i morsi del freddo farsi più forti sulla pelle e nel cuore. Da quando, poche ore prima, il governo ha contattato entrambi per affidare loro una delle missioni più difficili che si siano mai trovati tra le mani3, ha iniziato a percepire la presenza di un’ombra; e questa lo segue, gli rimane al fianco, soffia tra i suoi capelli, preme sulle spalle come se avesse trovato in lui un compagno di giochi e facesse di tutto per ricordargli quanto sia alta la posta.
A pochissima distanza, la sua esatta metà dell’anima si gira a guardarlo, attendendo una risposta che fatica ad arrivare, e come sempre lo sente e comprende; quindi, allunga piano una mano e stringe quella guantata del tormentato, senza parlare oltre — non ce n’è bisogno — gli rinnova la promessa che si sono scambiati ormai anni fa, quando ancora non sapevano quanto strada avrebbero fatto insieme né le stelle che avrebbero contato nelle notti insonni.
La Grande Guerra li ha colti entrambi ma non divisi, le missioni di spionaggio messi alla prova rendendoli solamente più vicini: che cos’hanno da temere, quando si bastano l’un l’altro e lo sanno, lo sanno così bene?
«Io e te, sì», mormora allora Arthur. E dopo lunghe ore spezza infine il silenzio, sorride; l’ombra scivola via da lui come una coperta, lo lascia respirare. Nel mondo esistono ancora certezze e speranze, neanche troppo lontane da loro. «Oggi, e sempre.»

 

Quando la vita ci acceca,
L’amore ci mantiene gentili.

«Sei comunque fortunato: hai sempre l’oceano davanti a te.»
Chuuya fa un bel respiro e si siede sul terreno erboso e intriso di rugiada, appoggiando la schiena contro la lapide che guarda alle onde.
Da regioni al di là dell’orizzonte giunge una brezza gentile, carica di sale e profumi, e le distese di fiori socchiudono i loro occhi per guardare la luce nascente; immerso nella medesima quiete, il rosso si toglie il cappello e lascia che l’aria gli scompigli i capelli, rilassandosi completamente: è uno di quei giorni che non richiede di pensare, ma solo di sentire. L’avrebbe mai sognato, anni fa e nel silenzio di un’esistenza inerte, di vivere tutto questo? E anche dopo, ormai nato nella consapevolezza ma incapace di reputarsi umano, quante volte lo ha immaginato?
La disperazione gli ha donato la vita, insieme all’amore è poi tornato a cercarlo; e per quanto la Morte abbia portato via l’uomo al quale deve ancora molto, non ha lasciato dietro di sé solamente il vuoto. Non è Rimbaud che non lo abbandona mai; è lui per primo che lo tiene sempre accanto a sé.
«Anche se sei il solito silenzioso, lo so che sei felice di vedermi…» Una pausa, un accenno di sorriso. «… Lo sono anche io.»
Seduto al suo fianco, Arthur gli appoggia una mano sul capo e sorride a propria volta, assentisce e attende l’alba; quando questa arriva, scompare nell’ombra del rosso, divenendone la sua parte più leggera.
Sarà un’altra splendida giornata da vivere in due.

 

 

 

NOTE

1 I suoceri del vero Verlaine avevano una casa a Montmartre, e qui venne ospitato Rimbaud.

2 In Fifteen (nella light novel, non mi ricordo se anche nell’anime), Rimbaud viene espressamente definito come un uomo pienamente adulto, mentre Verlaine (che compare in un breve sipario solo alla fine della novel) come “ragazzo”. L’età degli autori reali è stata quindi invertita: infatti, il vero Verlaine era più grande di Rimbaud di dieci anni.

3 Ovviamente, la missione in questione è quella che li porterà in Giappone, dritti da Arahabaki.

 

 

ANGOLO DI MANTO

Questa shot me la dedico tutta, perché amo tanto Rimbaud e continuo a sperare per lui una serena eternità nell’Aldilà: se la merita. Condivido il pensiero dei molti — non di tutti — che considerano Arthur e Chuuya paragonabili sotto vari aspetti a un padre e un figlio, visto come (specialmente nella light novel) si struttura il loro rapporto e quanto il primo lascia nel cuore del secondo, e ogni volta che vedo o ripenso alle scene finali tra loro due vado letteralmente in pappa, senza vergogna.
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi, nonostante la lentezza degli aggiornamenti! ♥
Un grande abbraccio,

Manto

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Capitolo 11
*** Scelta (Kunikida) ***


13# — Scelta

 

Personaggi: Doppo Kunikida, Akiko Yosano, Nobuko Sasaki
Canzoni: If Everyone Cared ~ Nickelback + Black Is The Colour ~ Celtic Woman
Numero parole: 620
Avvertimenti particolari: A scanso di equivoci, sottolineo che i riferimenti a Kunikida e Aya non presenteranno ambiguità relativa a ship, anche se si utilizzeranno termini poetici per descrivere l’uno o l’altro personaggio. Kisses ♥

 

Se ognuno si preoccupasse e nessuno piangesse,
Se ognuno amasse e nessuno mentisse…
… Allora vedremmo il giorno in cui nessuno muore.

«Ha un carattere niente male, la ragazzina; di certo sa farsi rispettare.»
Per l’ennesima volta, Kunikida si sistema gli occhiali che Aya gli ha infranto con tutta la forza dei suoi sentimenti feriti, quindi accenna un sorriso e lo dona a una Yosano fin troppo divertita dalla situazione.
I piani dell’intera giornata sono andati in fumo e, quando lo saprà, sicuramente Dazai sprecherà le proprie risate; nonostante questo, lui si sente leggero, pervaso dalla classica stanchezza che segue la scomparsa di un peso gravoso: il ventre della città si colma di rosso, ma è solamente un quieto tramonto.
«Hai corso un bel rischio, comunque: se fossi arrivata qualche minuto dopo, non saremmo qui a parlare, e non staremmo piangendo solo te.»
Doppo volge lo sguardo innanzi a sé, al selciato del marciapiede che stanno percorrendo: linee verdi e scarlatte scorrono nelle crepe della pietra come serpi, vivide e pulsanti, e per un istante gli rimandano a quello che sarebbe stato se… se.
«Comunque fosse andata, Aya Koda non sarebbe morta sola: non avrei mai accettato una simile sconfitta.»
Yosano lo guarda, assottigliando gli occhi di malva. Se non conoscesse da anni il giovane e la forza delle sue parole, i pensieri che le dettano, si chiederebbe quanto un uomo possa essere pazzo per mettere in scacco la propria vita per una sconosciuta e insieme a lei; ma evidentemente la ragazzina deve aver compiuto qualcosa di grande, se la sua strada l’ha portata a incrociare quella di Kunikida.
Era già scritta ogni cosa: una vicenda nata tragedia e tramutatasi in commedia, un uomo retto a donare speranza, un cuore giovane a farla risuonare — e un paio di occhiali da far riparare, anche: un sacrificio all’ideale e alla sua integrità, unica vittima.
Di fronte alla Fine, Doppo ha fatto la sua scelta; e ora tutto il mondo lo sa.

Ma nero è il colore dei capelli del mio vero amore
Le sue labbra sono simili a una bellissima rosa
Ha il volto più dolce e le mani gentili
E io amo il terreno sul quale si posa.

… Yokohama, tuttavia, come non dimentica le vittorie, continua a trattenere anche le sconfitte: e al giungere della mezzanotte — quando inizia un nuovo giorno ma nel buio non vi è certezza — o nel segreto dei vicoli, sfama i suoi fantasmi e se ne prende cura, li lascia liberi ogni qual volta questi vogliano rincontrare i vivi.
Ed è un’ombra dalla lunga chioma nera, discreta e imprendibile, quella che improvvisamente si unisce alla figura di Kunikida e si aggrappa alla sua schiena, appoggiandovi contro la testa come se fosse ancora viva.
Labbra di seta lo costringono a bloccarsi e sussurrano la loro verità, imprimendosi nel cuore di chi ascolta come una freccia di fuoco: Hai salvato lei, ma non me; questa volta ce l’hai fatta, ma ci sono anch’io.
Non mi lasciare indietro, sola nel mio vuoto.

E la presenza adombra ogni cosa, fa scendere una tenue caligine sul sollievo di una giornata senza sangue; ma è questione di un attimo.
«Lo sai che non ti dimentico. È una mia scelta.»
Il fantasma rimane immobile, assorto nell’eco della voce; quindi allevia la presa sulla pelle, scivola via dal corpo ma si ferma al suo fianco.
«Sta scendendo la sera, Kunikida… ti stanno tutti aspettando.»
Il tono dolce di Yosano lo riporta alla realtà, ma non totalmente; quando riprende il suo viaggio, l’invisibile ombra è legata a quella mano che lui ha aperto pochi istanti prima, e non ancora chiuso.
Al di là delle scelte e della Sorte, vivono realtà destinate a restare per sempre.

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Lo so che il personaggio di Sasaki non è molto apprezzato, eppure, a parer mio, è indiscutibile la sua importanza per Kunikida: lo ha segnato nel profondo, quindi ha senso che, come immaginazione o meno, a volte lei torni a fargli visita.
Questa shot è stata scritta per la mia Flos Ignis, che stravede per il nostro amato idealista ♥
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 12
*** Solo; Freddo (Karma) ***


14# — Solo; 15# — Freddo

 

Personaggi: Karma, Fyodor Dostoevskij
Canzoni: Stratosphere ~ Starset
Numero parole: 893

 

Ho attirato i tuoi occhi, rapace
E ora non posso cauterizzare
la ferita aperta che hai inflitto
… Tu mi riempi i polmoni, e sottrai l’aria.

«La tua anima è in pace, fanciullo smarrito? La purificazione ti ha portato a casa? Dimmelo, voglio sapere ogni cosa.»
La città che sorge alle sue spalle, imperlata dalle lacrime del mattino e quieta come mai l’ha udita — ora che motivo c’è di urlare, chi soffre più? Anche le voci che ha conosciuto hanno perso forza e sono precipitate insieme alle lacrime —, è più distante dall’oceano rispetto alla corrispettiva reale; è per questo, si dice Karma, che non ha ancora trovato la voglia di ritornare a camminare in quel grembo di pietre e ombra.
No, non ha paura, non di lei; ma prima di quel viaggio, ha bisogno di percorrere per intero la lunga spiaggia sulla quale si è risvegliato dopo la fine, la stessa che allora ha guardato da dietro una finestra, nei giorni immobili e nel buio sussurrante.
I piedi affondano dolcemente nella sabbia dorata e le piante sentono tutto il calore che i granelli hanno raccolto dal sole, le vibrazioni delle onde che portano la schiuma a riva e subito tornano a giocare al largo; ora che non ha bisogno di mangiare né dormire, può passare tutte le ore che vuole a inseguirle, avanti e indietro e sempre più in là, fino a quando la luce si tramuta nella carezza degli abissi.
I giorni volano sulle ali della libertà finalmente giunta e disfano la tela delle paure, anche se è solo — così com’è stato in vita; eppure, questa volta ha scelto lui di non avere nessuno dal quale fuggire o con il quale scambiare unicamente silenzio.
Quando si è per proprio conto, niente può ferire o tormentare, non esiste pericolo di sentirsi spezzare dal vuoto; e se la memoria rimarrà distante, se non incontrerà i volti dei vecchi compagni e la traccia di ciò che è stato, non potrà che essere un bene.
È questo che il giorno protegge, il giovane e la sua calma; perché nella notte lui giunge, portato dalle stesse ali del buio, e Karma non può chiamare i sogni come scudo, ora che non esistono più.
Perché non accade sempre, ma a volte il corpo è pervaso da un fantasma che brucia e congela al medesimo tempo, immobilizza e allontana il canto dell’oceano, trasporta tutto il mondo dentro al sospiro dell’inverno; perché è quello il momento in cui le stelle si spengono a una a una e la notte s’ammanta di un velo rosso, mentre nel cielo e proprio accanto a lui appaiono due occhi viola, arrivati attraverso porte che né mortali né anime possono attraversare — ma lui non è come gli altri. Questi lo scrutano e rifulgono del sorriso che si apre non appena Karma gli rivolge attenzione, e nell’assenza continua a parlare solamente una voce calma: Ho visto quello che emani e ho stretto la mano per prenderne un pezzo con me. Ti ho tolto dalla corruzione, emendato dalla colpa.
Il ragazzino non riesce mai a rispondere con ciò che prova veramente: ma il freddo sembra comprendere le parole non dette, così come il giovane che lo conduce ovunque. Quanti ha reso come lui, e chi torna a visitare con la stessa curiosità? Il mondo respira già nelle ombre che lui ha promesso, o qualcuno ha trovato il coraggio di contrastare il suo cammino?

Perché non torni in città?
«… Ognuno ha luoghi che non può e deve raggiungere. Considerala un’espiazione.»
Il suo assassino assottiglia gli occhi quando risponde così, ma resta quieto; e Karma non replica, tuttavia lancia uno sguardo alla Yokohama che attende le anime dei suoi abitanti, per poi farsi più vicino alle onde.
Dostoevskij è un vento niveo che spira sul collo di chiunque lo abbia chiamato, e il rosso non fa eccezione: non si sfugge all’abbraccio del buco nero nemmeno quando questi ti ha ormai schiacciato, e se all’inizio Karma ha trovato una sorta di pace nell’andarsene per mano di un’anima tanto singolare, ora rivederlo sotto ogni luna, all’interno della sua stessa ombra come un riflesso rovesciato e annerito, gli instilla anche il timore di cosa potrebbe succedere se si recasse in città. Se le ferite guariscono, le cicatrici rimangono: non può portare la mano del demone in mezzo a chi ha vissuto troppo e ora ha bisogno di pace, su coloro che sono innocenti… è una questione e una compagnia solamente sua.
Ed ecco che la solitudine ritorna a essere la realtà che più si adatta a lui, per proteggerlo e proteggere, anche in questa notte popolata da voci: qualcuno, più di uno, si sta avvicinando alla spiaggia riempiendola di risate e richiami, facendo tremare l’aria.
Per un solo istante, l’impulso caldo di andare incontro ai nuovi arrivati e unirsi a loro, anche se per un unico attimo, è talmente forte che il ragazzino prova la sensazione di un brivido; ma la sua ombra e l’altro lo afferrano per i polsi e lo tengono ben stretto al luogo in cui si trova, ricordandogli il suo posto.
Rimarrà indietro un’altra volta, distante da ciò che anche lui meriterebbe almeno in parte: non è stato un eroe in vita, ma qualcosa ora può fare.
E non si dica che i giovani non sanno prendersi le proprie responsabilità, o sapere come soffre un uomo.

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Ok, questa storia è stata pensata per essere angst ed è venuta anche più ombrosa del previsto, allegria!
E nonostante io sia tra quelle povere anime che vorrebbero vedere Karma vivo e magari come aiutante di Fyodor perché sì, sono consapevole del fatto che, per quanto ne sappiamo su Dostoevskij, non ci sono motivi per pensare che sarebbe potuta andare diversamente *piange forte*; invece, è per me più verosimile che il ragazzino se lo riveda intorno spesso anche dopo la morte.
La shot è il riflesso della precedente, dove là era un morto che andava a trovare un vivo, ma è anche legata a una che verrà successivamente, e qui entreranno in scena personaggi ben diversi… il mio cuoricino già freme *^*
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 13
*** Proiettile (Oda) ***


 

16# — Proiettile

 

Personaggi: Sakunosuke Oda, Soseki Natsume
Canzoni: Run Boy Run ~ Woodkid
Numero parole: 591

 

Domani è un altro giorno
E tu non dovrai nasconderti
Sarai un uomo, ragazzo!
Domani è un altro giorno
E quando la notte svanirà
Sarai un uomo, ragazzo!

Molti credono che tu non abbia un’anima; e tutte le volte che hai fissato il tuo stesso riflesso emergere da sangue innocente — un fantasma senza voce, un’ombra informe che si mette in fila con le altre —, se n’è convinto anche il cuore.
Tanti dicono che non ti puoi più salvare, dannato come sei; eppure, ora è evidente che qualcuno crede diversamente e con calme parole ti ha mostrato una realtà opposta.
Nessuno, in questa sera che sta divenendo notte, può vederti mentre cammini su una spiaggia inumidita dall’acquazzone appena cessato: sei solo ad affrontare il turbamento, a sentire un dolore che non avresti mai immaginato di poter provare.
Essere pronti a tutto non vuol dire sapere che cosa ci attende, né che un giorno il proprio mondo vada in frantumi — di certo, non attraverso la gentilezza.
Come ci si sente a trovarsi dalla parte di chi il proiettile lo riceve, vittima di un colpo e un bacio ben diverso da quello del metallo, più veloce e devastante?
Cosa provi ora che il mormorio dell’oceano è flebile, allontanato dalle parole di un uomo per nulla diverso dagli altri — o così hai creduto? Nessuna implorazione ti ha mai fatto cambiare idea davanti agli ordini, non un’esitazione ti ha mai attraversato la mente: le macchine agiscono e basta, non si creano strani perché, non si fermano davanti al respiro di una vita… ma tu, caro ragazzo, non sei più ciò che eri.
Che si dica pure che non possiedi un’anima: chi non ti vede mentre tremi non può immaginare che ora la pistola è divenuta pesante e ti lacera il fianco, non può comprenderti mentre vacilli al pensiero di prendere una penna in mano e aprirti una strada diversa, che conduca via, lontano da qui. Di certo, dici e ripeti a te stesso, si è trattato solamente di un sogno: reale e profondo, disturbante, ma che rimane lontano dal vero. No, non può essere reale, tu sei nato per uccidere…
… Non per sentirti fragile come cristallo, non per tutto questo.
«Stai bene, ragazzo? Respira forte.»
Lo sguardo dell’uomo, lo stesso che ti ha parlato qualche ora prima, non ti lascia andare un istante e penetra sempre più in profondità nella carne, ignorando ossa e muscoli, dritto a un cuore che non riconosce più nulla di ciò che riceve e dà.
Anche questo non è reale, forse, ma per la prima volta da anni senti il bisogno di urlare tanto da ferire i polmoni e, forse, impazzire; le onde tacciono, si sciolgono lontano.
Eppure, sei appena divenuto consapevole che non si può fuggire sempre, che a volte accettare, maturare, evolversi è quello che più si vuole: dentro di te, in realtà, cosa stride di più? Il turbamento di ora, o i fantasmi dell’allora? Qual è la voce che fa più male, la nota fuori coro, che non ti appartiene?
Quale scelta ti renderebbe più felice?
La verità difficilmente giunge senza prezzo, né con una moneta di bassa lega.
Riposa, ragazzo, stenditi sulla spiaggia e lascia che la notte passi indisturbata: al mattino, ci sarà una storia ad aspettarti e un capitolo da scrivere — tocca a te, ora.
Lascia crescere le sensazioni che sai di non poter estirpare, prendile per mano e conducile ovunque tu voglia: sei nato sotto l’occhio di queste stelle, e nella corsa della tua nuova vita, un giorno ne scoprirai il motivo.

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Finalmente posso ritornare ad aggiornare la challenge, e quale miglior occasione per ripartire, se non iniziando (assai timidamente e timorosamente) proprio dal mio adorato Oda? ♥ Su questa shot non so bene cosa dire, perché ho sempre trovato i momenti tra Oda e Natsume talmente profondi che mi ci sono avvicinata in punta di piedi, nonostante la grande voglia di parlarne.
Non ho mai pensato di farla lunghissima, bensì di trattare l’inizio di una lunga notte colma di pensieri e considerazioni, completamente diverse tra loro ma comunque devastanti; e per il resto, di lasciare al canon quanto già detto dagli autori dell’opera, di certo più capaci di me.
Verrà il giorno dove tratterò di Oda senza provare un’enorme paura di rovinare il suo personaggio? Può darsi *fugge via*.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 14
*** Sogno (Sigma) ***


17# — Sogno

 

Personaggi: Sigma, Nikolai Gogol’
Canzoni: Bringing It Down ~ Starset
Numero parole: 1026
 
 

 

C’è qualcosa, dentro te, che non funziona
C’è qualcosa, dentro te, che perseguita i tuoi sogni di notte
C’è qualcosa che hai perduto
E lo stai trascinando a fondo.

Nemmeno dallo Sky Casinò si è mai vista una simile stellata. Lassù, addormentate tutte le luci della struttura e i suoi occupanti — quasi tutti —, scesa la calma nei lunghi corridoi, il corpo della Via Lattea si mostra senza sforzo, occhieggiando nella sua veste imperlata e gettandosi ben oltre le regioni dell’orizzonte, dove l’occhio corre senza raggiungere una vera meta. Il vento, respiro dell’oscurità, scivola sopra i muri e porta via i pensieri, disperdendoli come foglie in un autunno che dura il tempo del buio; rimane l’uomo, il silenzio, l’attesa di qualcosa impossibile da trovare e le sensazioni che niente, neppure un uragano, potrebbe strappare — sono loro stesse la tempesta.
Ma questo firmamento, e la notte insieme a esso, è completamente diverso: più distante da chi lo guarda eppure di un nitore sconvolgente, ruota sul capo del mondo intaccando i sogni di chi incontra, scendendo come pioggia di cristallo sotto la pelle, nella mente, là dove si agita l’inconscio.
Dormendo di un sonno fragile, incerto, Sigma strozza un singulto appena spalanca gli occhi e inizialmente non riconosce ciò che lo circonda, e fa lo stesso appena ridiscende nella realtà che attende al di sotto delle palpebre, con il suo vortice d’immagini in frammenti, sensazioni e lampi inafferrabili. Come sempre, il giovane insegue quei fantasmi spezzati ovunque questi vogliano condurlo, in cielo e in terra; ma benché siano ridotti a metà, incapaci di mantenere una forma sicura, corrono più veloci di lui e svicolano ai suoi tentativi di presa, si tramutano in bagliori simili a fotografie sfocate, cadono in un vuoto nero e liquido, in un’onda color pece: un abisso soffocante.
E Sigma, Sigma non può far altro che cadere dietro di loro e precipitare sempre più in basso, fino a quando i sogni non lo scacciano e lui sente sotto la schiena la soffice presenza del materasso, il freddo bacio del pavimento o il nulla, se tarda a riemergere nella realtà e rimane sospeso tra l’uno e l’altro mondo.

Ma cos’è l’esperienza che definisco “realtà”? Dove vivo — e vivo davvero?
Destandosi per l’ennesima volta, la schiena che si lamenta per il rigido suolo e il dolore al petto sordo e intenso come un colpo di tamburo, Sigma si appoggia ai gomiti e si solleva un poco, una lacrima a incidergli le guance. Respira a fondo, ma attenua la veemenza con cui lo fa non appena ode, a poca distanza da lui, il giovane con il quale condivide lo spazio voltarsi nella sua direzione.
«Sigma-kuuuun, muoviti piano o ti si riaprirà la ferita! Fai attenzione!»
«… Nemmeno tu riesci a dormire?» Sigma non sa perché, tra tutte le cose che vorrebbe dire e l’opzione dell’ostinato silenzio — specie perché non si sa mai come Nikolai Gogol’ possa reagire —, pronuncia proprio quelle parole; ma obbedisce a quanto l’altro gli consiglia e si ridistende lentamente, tastandosi appena il petto.
«No! Devo badare a te, non posso dormire!», è la risposta, immediatamente seguita da una breve pausa. «Comunque, ti consiglio di insonorizzare le camere del Casinò, se non hai già provveduto: te l’hanno mai detto che urli nel sonno?»
Sigma abbandona la vista del cielo e serra nuovamente le palpebre. Questa volta, i sogni non arrivano, né lo faranno tanto presto. «Lo so.»
«Ah, quindi—»
«Lasciami stare, per favore.» Il fruscio del vento s’insinua nell’interruzione, la colma. «Non parlare.»
Gogol’ obbedisce e non replica, nemmeno per lanciare una delle sue classiche, irritantissime battute, e questo sorprende Sigma di un poco, strappandogli un silenzioso ringraziamento. Portandosi le gambe al petto e sciogliendo immediatamente la posizione per il brivido doloroso che gli ha attraversato la spina dorsale, il giovane si allontana dalla vista degli astri avvolgendosi nei propri capelli e fissa un punto nel buio, come attendendo che questo assuma figura e gli parli. Di nuovo, nessun sogno: le illusioni non appartengono a questa notte, non gli parleranno di una casa e una famiglia.
Se le ha avute, le ha perse; se non ci sono mai state, difficilmente le troverà ora.
«Non voglio tutto questo», mormora, tentando di non farsi sentire, «perché le cose non vanno mai come desidero?»
«Perché nessuno ti dà quello che vuoi. È dannatamente semplice.»
No, di dannata c’è tutta quella situazione: la compagnia di una persona che non desidera avere accanto, la perdita dell’unico luogo in cui poter fingere di star bene, un futuro instabile e un passato che gambe non ha; e sé stesso, l’ombra che resiste anche nel pieno del giorno, il cuore oscuro nel sole. Il sogno che infine giunge, improvviso e rapace, è altrettanto nero: sorge dal suolo come la falce lunare, si allunga sopra di esso e tende artigli di fumo verso il volto del giovane.
Non una parola lascia la bocca dell’entità che si avvicina, più buia della notte stessa, ed è per questo che, forse, fa così paura; e quando Sigma spalanca le palpebre e balza indietro, spaventato, non si ricorda di quanto ha visto dopo. Tremante, affannato, si ritrova lontano dal luogo in cui si è disteso; e Nikolai, appena rivelato dal battito stellare, gli è accanto e lo osserva a occhi stretti.
Un movimento repentino segue subito dopo, reso noto dal fruscio del tessuto che scivola via dalla pelle; quindi, Sigma si trova il clown chino verso di lui. «Ecco quanto so, Sigma-kun», sussurra questi porgendogli la mano denudata del guanto, nessuna traccia di scherzo nella voce, «ciò che vuoi conoscere, una parte di quello che cerchi o tutto, è qui. Ma fai attenzione a cosa desideri: questa volta potrebbe fare male.»

Non si torna indietro. Il ragazzo sente un altro brivido sciogliersi lungo la schiena e deglutisce, ma niente si perde nella gola inaridita. Tende una mano verso le lunghe dita di Gogol’, esita un istante. L’oscurità attende, paziente, che tutto si compia o rimanga com’è sempre stato; che il suo sognatore preferito decida da sé se quella sia la realtà, o l’ennesima visione che il mattino si porterà via insieme a tutte le lacrime mai versate.

 

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

Salve **
Ok, nemmeno io so bene come interpretare questa storia, davvero. Mi sono solamente immaginata la notte seguente al momento in cui Gogol’ salva Sigma, e ovviamente tutti i demoni di quest’ultimo; da qui è partita la domanda, che chissà se avrà risposta in breve: e se in cambio dell’aiuto di Sigma nell’uccidere Fyodor, Nikolai gli rivelasse quello che vuole più conoscere, ovvero la propria storia?
Avrei voluto rendere tutto meno angosciante e più shippy, ma così è uscita.
Un abbraccio,

Manto

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Capitolo 15
*** Nuovo Cappotto; Torta; Benda; Oscurità; Perdono; Hallowen (Karma) ***


26# — Nuovo Cappotto; 27# — Torta; 28# — Benda; 29# — Oscurità; 30# — Perdono; 31# — Hallowen

 

Personaggi: Karma, Sakunosuke Oda, André Gide, Arthur Rimbaud, Le Flags
Canzoni: Alive ~ Sia + King Again ~ Lauren Aquilina
Numero parole: 1666
Particolari avvertimenti:

1 – Questa shot si ricollega a quella con i prompt “14. Solo – 15. Freddo” (Capitolo 12) e ne rappresenta il proseguimento.

2 – I prompt dal 18 al 25 non sono presenti in questa raccolta perché trattati separatamente in una storia a parte, “E Torneranno Le Stelle”, incentrata su Gogol’ e Sigma.

 

 

 

Sono nato in una tempesta
Sono cresciuto di notte
Giocavo da solo
Sono sopravvissuto
Volevo tutto ciò che non avevo mai avuto,
Come l’amore che arriva con la luce.
C’è qualcosa di nuovo nel vento che spira dall’oceano; c’è qualcosa di più, semplicemente intenso e disperato, nell’oscurità che scende come un velluto sul calore del giorno e accende la città, risveglia il cuore e la festa.
Dando le spalle alla spiaggia dove si stanno riunendo sempre più voci e persone, dove anche lui dovrebbe stare, Oda osserva le onde che gli abbracciano i piedi nudi e poi scivolano via, per ritornare di nuovo e continuare il gioco; ma queste sono inquiete, quasi in attesa di un evento che, in una notte normale, non avrebbe luogo lì dove si trova ― dove si trovano tutti loro.
Sembra che ci sia un elemento estraneo che voglia penetrare nella loro realtà, una nota in disaccordo e fuori posto nello spartito immutabile; e quella nota, quella macchia che più la si immagina più si allarga e minaccia, cerca qualcuno di specifico.
La nuca gli prude di una lieve sensazione di pericolo, come se potesse essere messo in scacco anche nelle terre dove si è solo anima e niente può far più male; ma non è lui il bersaglio, se ne rende conto appena le onde gli sfiorano le caviglie per l’ennesima volta e gli svelano ciò che sanno.
Qualcuno da salvare, da proteggere. Il Paradiso non è tale per tutti.
«Ci sono forse fantasmi, in questo oceano?»
Oda volta appena il capo, ma senza staccare gli occhi dall’acqua. Anche così, lo sguardo penetrante di André Gide lo raggiunge e chiede cortesemente una risposta, e solamente nell’espressione dell’altro Sakunosuke si accorge di quanto sia impallidito. «Forse», risponde il giovane mentre si avvicina maggiormente al nuovo arrivato, «non lo senti anche tu? È come quando eravamo in vita e ogni cambiamento aveva dentro sé il potere di toccarci. Sta per accadere qualcosa, ed è sbagliato.»
Il balenare di un sorriso lo spinge a girarsi completamente verso Gide. «No, la domanda giusta è: lo senti solamente da questa notte?»
La frase viene pronunciata da entrambi quasi nel medesimo momento e con le stesse parole, alle quali segue un silenzio dalla profondità degli abissi; ma solamente per un istante, il tempo che una terza figura li assalti gioiosamente alle spalle, trascinandoli alla festa che attende unicamente loro per essere completa.

 

 

Pur essendo calata la notte, il cielo è rischiarato da tenue luce: Karma lo scorge dalle nuvole che vanno creandosi e sformandosi davanti alle stelle, nei bagliori che arrivano fino ai suoi occhi e filtrano la benda d’ombra che gli copre il volto.
È come una mano che non vuole che lui sia libero, che preme la bocca per non lasciargli sfuggire nemmeno un grido e serra alla vita al pari di un legaccio, che lo fa prigioniero e allo stesso tempo, tremendamente, dolorosamente, lo tiene al sicuro — forse.
Lui non è stato fatto per le risate e la spensieratezza che sente crescere a qualche metro di distanza dagli scogli in cui la sua stessa mente lo ha portato; non appartiene alle persone che si stanno riunendo, ma neanche a sé stesso.
Ed è sempre più difficile resistere ai richiami che vengono da quel luogo dove molta umanità si sta incontrando, ma ancora peggio provare a ubbidire alle illusioni pronunciate dalla voce notturna che lo inchioda al suo posto.
L’alba stenta a sollevarsi, l’oscurità si prolunga; sta diventando pazzo, o tutto vibra e si corrode, si scioglie e muta, lo trascina via con sé?

 

 

Una torta, un nuovo cappotto a testa… e un ragazzino.
Rimbaud e Oda si aspettavano un regalo per il compleanno condiviso[1], ma di certo non che Gide scomparisse nuovamente nelle tenebre per lunghi minuti e, al suo ritorno, recasse tra le braccia uno scricciolo dai capelli rossi e dai grandi occhi serrati per la paura, così tremante da dar l’idea di racchiudere un terremoto dentro sé.
Lo ha sentito da lontano, questo dice lo sguardo dell’uomo mentre il gruppo si azzittisce e anche le Flags perdono un poco la voce, sorprese e leggermente confuse, mentre fissano il piccolo Karma rannicchiarsi istintivamente contro il petto di Gide e rifiutarsi di sollevare le palpebre ⸻ forse neppure ci riesce.
I festeggiati lasciano i loro posti al medesimo tempo e accorrono a vagliare le condizioni del ragazzino, ed entrambi i cappotti vengono levati per avvolgerlo in qualcosa che allontani i tremiti.
«Dove lo hai trovato?», mormora Sakunosuke, le dita che hanno quasi paura mentre si tendono verso la fronte di Karma e la sfiorano con delicatezza. Sotto di queste sente la febbre vagare senza riposo, un bacio infuocato così anomalo, lì in Paradiso.
«È venuto lui da me», replica André mentre si siede al tavolo che le Flags hanno preparato per la festa, rifiutandosi di lasciar andare il ragazzino, «barcollava come se avesse percorso a nuoto l’oceano intero.»
«Ha la febbre», spiega Oda, e immediatamente dopo Arthur gli posa una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione. «… E non è solo.»
Tutti si voltano nella direzione che Rimbaud indica, ed eccola: la tenebra, un enorme grumo di buio pulsante a pochi metri da loro, che allunga i suoi filamenti di pece fino alle gambe penzolanti di Karma; non riesce a raggiungerle, bloccato dalla presenza di troppe persone, e allora attende, aspetta che il gruppo si apra e lasci andare la preda.
Nessuno di loro possiede più la propria Abilità, ma non c’è chi non si metta sulla difensiva; anche se è per uno sconosciuto, qualcuno che non ha alcun tipo di legame con loro, e seppure quel cuore oscuro non abbia ragione di esistere né loro sappiano nulla di esso e delle sue capacità.
«Lasciami andare», mormora improvvisamente Karma, non si sa se a Gide o all’entità che gli dà la caccia, «lasciami in pace.» Il ragazzino ha un ultimo spasmo, quindi cade addormentato: il respiro si fa più regolare, il corpo si calma e, a seguito di una veloce indagine da parte di Arthur, la febbre è già svanita.
Non hanno tempo di stupirsene: l’alba arriva, onda su onda mentre si fa trasportare dall’oceano; con un sibilo che cade presto nel silenzio, l’Ombra impallidisce nel cielo, se ne va.

 

 

«Non volevo farvi spaventare in questo modo… non dovrei neppure essere qui.»
Karma stringe il cappotto di Arthur Rimbaud, quello sotto cui si è svegliato da poco, e abbassa il capo; ha un tumulto di pensieri nel cuore e nella mente, tante domande e poche risposte, è perplesso: da quando ha incontrato l’uomo dai capelli candidi e finito per perdere i sensi contro di lui, la sua nera compagna ha iniziato a morire.
Così sembra.
Ha dormito per cinque giorni, gli ha detto colui che ha privato del proprio abito; e sempre secondo le parole di questi, il momento del suo risveglio ha seguito quello della completa scomparsa del suo incubo personale. È arrivato un giorno capace di annullare anche l’anima stessa del buio.
Forse. Il letto in cui si trova, l’azzurra stanza che lo circonda e la casa intera, che sorge a poca distanza dalle onde, mandano un palpito di luce in risposta.
«Perché dici questo?»
Il proprietario del cappotto, seduto accanto a lui, non è l’unica persona nella stanza; c’è anche un altro adulto, sguardo serio e capelli rossi quasi come i suoi, che dai piedi del letto lo osserva a occhi socchiusi e con un angolo della bocca incrinato nel principio di un sorriso. «Hai paura?», domanda di nuovo, e Karma esita un attimo. «Era mio dovere tenerla lontana da tutti», mormora in risposta, l’unica che sa dare.
«Dovere? Se fossimo stati ancora vivi, ti avrebbe ucciso…»
«Lo ha fatto.» Una pausa. «Quell’ombra è ciò che ha posto fine alla mia vita.»
I due uomini si lanciano un’unica, lunga occhiata. «Ti ha seguito fino a qui…»
«Per questo sono sempre stato lontano da tutti», assentisce e risponde Karma con una nota di mortificazione e richiesta di perdono nella voce, «ho portato l’Ombra del mio assassino con me; e ho tentato di non proiettarla sugli altri.» Fallendo. Oh, l’oscurità racconta una storia ben diversa… non posso perdonarmi per questo. «Non dovrei essere qui… mi dovete scusare per ciò che hai fatto»
«L’Ombra che temi… non c’è più, ora.» Il rosso ⸻ se Karma non si confonde e ha sentito bene nel dormiveglia, si chiama Oda, Oda Sakunosuke ⸻ lascia i piedi del letto per avvicinarsi lentamente al fanciullo e, con grande sorpresa di questi, gli si inchina davanti. «Ma questo lo devi vedere tu stesso», mormora l’uomo, tendendogli una mano, «è necessario che lo comprenda da te.»
Per qualche attimo, Karma lo fissa come se non capisse quanto gli viene detto; quindi i suoi occhi s’illuminano un poco mentre porge il cappotto al legittimo proprietario e si mette a sedere. Peggio di così non può andare…
Ma se mi stessi fidando di nuovo delle persone sbagliate? Non ho imparato nulla?
«E se in verità niente fosse mutato?»
Un tenue sorriso, ma sincero e sicuro. «Potrai decidere liberamente cosa fare, in quel caso. Nessuno dovrebbe impedirti di scegliere il meglio per te, neppure le tue paure.»
C’è un metodo nella mia pazzia
Non c’è logica nella tua tristezza
Non ottieni una sola cosa dalla sofferenza
Prendila da me.
Il ragazzino non replica più; ancor meno quando Rimbaud si alza per aprire maggiormente le finestre e l’oceano si riversa dentro la stanza con un sospiro blu. «Che giorno è?», chiede dopo lunghi attimi, lo sguardo perso nello splendore di un mattino che promette pace. Un sentore di forte calore intesse l’aria, giungendo da lande distanti da tutti loro, forse non poi così tanto.
Arthur non risponde immediatamente ma guarda l’orizzonte per ancora un istante, quindi si gira verso di lui e Oda, che intanto sta sorridendo di più. «Il giorno in cui siamo più vicini a chi non abbiamo più accanto; e quello che, volta per volta, ci insegna a perdonarci.»

 

 

 

 

NOTE

 

[1] Rimbaud è nato il 20 Ottobre, mentre Oda il 26. Ho pensato che fosse carino far condividere loro il compleanno.

 

 

 

ANGOLO DI MANTO

 

Non ho davvero più nulla da aggiungere; finalmente sono arrivata alla fine di questa raccolta, finalmente sono riuscita a completarla come volevo. Riconosco che certi personaggi avrei voluto trattarli maggiormente, ma non succede nulla: lo farò comunque, in una maniera o in un’altra.
Ora tocca a voi: lascio che siate voi a continuarla come volete, con pensieri e immaginazioni, con considerazioni o nel più semplice silenzio… sperando di rivederci presto su questo fandom.
Un grande, grande abbraccio,

Manto

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