Canta per Me di Manto (/viewuser.php?uid=541466)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Notte (Dazai) ***
Capitolo 2: *** Ponte (Yosano) ***
Capitolo 3: *** Giglio (La Gilda) ***
Capitolo 4: *** Onda (Melville) ***
Capitolo 5: *** Musica (Sigma) ***
Capitolo 6: *** Ombra (Dazai) ***
Capitolo 7: *** Libri (Poe e Ranpo) ***
Capitolo 8: *** Specchio; Rapimento (Kōyō) ***
Capitolo 9: *** Taglio (Mushitarou) ***
Capitolo 10: *** Legame; Memoria (Rimbaud) ***
Capitolo 11: *** Scelta (Kunikida) ***
Capitolo 12: *** Solo; Freddo (Karma) ***
Capitolo 13: *** Proiettile (Oda) ***
Capitolo 14: *** Sogno (Sigma) ***
Capitolo 15: *** Nuovo Cappotto; Torta; Benda; Oscurità; Perdono; Hallowen (Karma) ***
Capitolo 1 *** Notte (Dazai) ***
DISCLAIMER:
I personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La
storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
Canta
per Me
1#
— Notte
Personaggi:
Osamu Dazai, Sakunosuke Oda, Atsushi Nakajima
Canzone:
Something I Need ~ OneRepublic
Numero
parole: 601
Ho fatto
un sogno l’altra notte,
Riguardo
al fatto che abbiamo solamente una vita.
Mille
luci sopra Yokohama, nella tenue
oscurità dell’estate; la città cade tra
i bagliori del cielo e l’aria intessuta
di sale. A poca distanza da lì l’oceano canta
senza sosta, e Oda sente
l’impulso di rispondergli.
Due figure, due passi diversi che non
disturbano il silenzio dei palazzi addormentati: l’ora tarda
non può trattenere
cuori abituati a fermare il tempo.
«Uff, l’unica cosa che quell’intruglio mi
ha dato è un gran male alle ossa… e menomale che
viviamo solamente una volta,
chi la sopporterebbe la reincarnazione!»
Un sorriso, un’occhiata all’espressione delusa
di Dazai; poi, lo sguardo ritorna ad accarezzare l’acqua e
gli astri che vi
danzano sopra. «C’è chi ne vorrebbe
cento.»
«Quelli sono i sognatori o gli stupidi
irrecuperabili, Odasaku, non li puoi contare.»
Oda sorride nuovamente e annuisce, forse
più a sé stesso che al moro. Non è una
delle loro notti di chiacchiere e compagnia;
si sono incontrati per caso, al ritorno dai rispettivi compiti, quasi
la città abbia
voluto divertirsi con loro e unire il sentore di sangue di uno
— sangue non suo
— con il profumo di carta che impregna le dita
dell’altro. Dazai ha appena finito
di condurre la Morte nell’ennesimo gioco di violenza e
silenzio, mentre Oda ha
guardato la Vita stessa librarsi dalle pagine di un romanzo: e
nonostante ciò, mentre
camminano fianco a fianco riescono comunque a sentirsi.
Condividono un mondo dove a regnare sono
solamente le ombre, si portano addosso nomi che dovrebbero
qualificarli: ma cosa
dimora nel chiuso dell’anima?
L’oceano riecheggia in Dazai, esponendo il
vuoto con cui i suoi occhi fissano le onde: è sempre
più solo, Oda lo vede e lo
sa, e non basterebbe tutto il sangue del mondo a riempire la sua
mancanza. Questa strada
non fa per te,
si trova a
riflettere il giovane mentre osserva il proprio superiore, e per una
volta non
si riferisce a sé stesso.
«Non devi farmi compagnia per forza, sai», mormora
poi Dazai, un piccolo ghigno dipinto in volto, «si vede
lontano un miglio che
hai voglia di farti un tuffo. Avanti, vai pure, non me la
prenderò.»
«E perché dovrei andarci da solo?»
Il moro spalanca gli occhi nella sorpresa,
per poi assumere un’espressione sognante. «Mi stai
dicendo che c’è una bellissima
dama ad aspettarti?», cantilena mentre si avvicina
maggiormente all’amico e gli
sorride come il più angelico dei bambini.
Oda sospira, scuote la testa. «Se anche fosse,
se ne sarebbe già andata.»
«Non buttarti giù così! Parlami di
lei!»
Le stelle balenano sull’acqua, come a
sottolineare le parole di Dazai; Sakunosuke si rende conto che presto
la notte si
tramuterà in alba, e dentro di sé già
ne sente la malinconia. Un’ora
in più, un’altra ancora… una
vita sola non può bastare.
«Per
favore, Odasakuuu! È bionda o mora,
giovane e alta, dolce o autoritaria?
Com’è?»
O forse
sì, se si ha coraggio e calore.
Mille
luci sopra Yokohama, nell’oscurità che
custodisce sussurri e attese; al fianco di Dazai, Atsushi alza il capo
verso la
volta stellata e si ferma a contemplarla.
«Ti piace lo spettacolo,
Atsushi-kun?», chiede gentilmente il moro, sorridendo.
L’altro non risponde,
troppo immerso nella meraviglia per sentire; e va bene così.
L’oceano non mormora come
allora, ma Osamu lo osserva ancora — questa volta,
è lui che non ode la
voce di Atsushi chiamarlo. Davanti al suo sguardo si agitano fantasmi,
echi di
un’oscurità che non ha mai fatto male; ma
l’alba è giunta, e lui non l’ha saputa
fermare.
Una
vita è sufficiente,
sì… ma solo se nessuno rimane indietro.
ANGOLO DI MANTO
Ma buon salve!
Sto letteralmente impazzendo
per questa opera stupenda… e quale migliore occasione se non
sfruttare la
Writober?
Aspettatevi personaggi diversi
a ogni prompt, perché li amo quasi tutti
(e sono settantacinque se
contiamo anche i minori, quelli presenti solo nelle light novel,
etc.…) e non
vedevo l’ora di avere l’occasione per trattarli: ma
per evitarvi spoiler (e personaggi
che non amate), a ogni inizio shot ci sarà una scaletta
che conterrà i
nomi di chi tratterò nella fic, e nel titoletto del capitolo il personaggio protagonista.
Non so quanto sarò
puntuale nella pubblicazione, visto che a metà ottobre
parteciperò a uno scavo
archeologico e di tempo per scrivere non ne avrò; io
farò di tutto per portarmi
avanti, ma è probabile che qualcosa venga pubblicato molto
dopo.
Il titolo fa riferimento
al fatto che, come avrete già notato, tutti i prompt
inizieranno con una
citazione musicale.
La raccolta è tutta dedicata alle mie compagne di sclero, che ritroveranno i loro grandi amori disseminati tra i capitoli: Flos Ignis, Ori_Hime e Gella (tu hai anche il merito di avermi informato della Writober in tema!), grazie per ogni vostra parola e consiglio, per ascoltare i miei svarioni e sopportarmi, nonché supportarmi: siete una forza e vi meritereste molto più di quanto dico, faccio e scrivo.
Un abbraccio,
Manto
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Capitolo 2 *** Ponte (Yosano) ***
2#
— Ponte
Personaggi:
Akiko Yosano, Edogawa Ranpo
Canzone: Each Tear ~ Mary J. Blige
Numero parole: 601
Avvertimenti particolari: riferimenti alla Grande Guerra. Nella fic non
è passato nemmeno un anno
da quando Yosano è sfuggita alle mani di Mori grazie a
Fukuzawa e Ranpo.
Il tuo futuro
sarà più sereno,
Voglio che tu ti ricordi che…
In ogni lacrima c’è una lezione.
Quel
ponte esiste da
molto prima di lei: la casa paterna è piena di foto e stampe
che lo ritraggono,
è sempre stato al suo fianco. Costruito interamente in legno
e dipinto di rosso,
l’elegante arco sbuca dalla vegetazione del parco che lo
ospita, si estende
sopra un quieto laghetto e una costellazione di ninfee rosa, quindi si
rituffa
nel verde: immerso nei profumi del mondo intorno, perfino la luna non
manca mai
di fermarsi sulle sue balaustre e illuminare chi lo percorre.
È un’immagine
rassicurante nella sua pacatezza, in quella famigliarità che
è scaturita dal
correre spesso sulle assi solide, con maggiore sicurezza e
velocità via via che
si cresceva; e se chiude gli occhi, Akiko riesce ancora a sentire il
suono dei
propri passi che si inseguono fino a fuggire oltre il legno,
nell’orizzonte
della memoria.
È un dolce mattino quello
che saluta Yokohama: il tempo si sta facendo più mite e la
luce giunge presto,
i fiori occhieggiano ovunque lo sguardo si posi e, mentre la mora si
appoggia a
una delle balaustre, un volo di farfalle si alza da alcuni cespugli di
camelie
screziate1, riempiendo l’aria di una
nuvola indaco e scomparendo
sotto il ponte.
Akiko si dirige dal lato
opposto della struttura e si sporge appena, quindi guarda quella
delicata macchia
di colore ricomparire e si libra nell’aria insieme a essa,
sempre più in alto.
Le farfalle si dileguano in fretta, troppo veloci per i suoi tentativi
di
rincorrerle: e mentre un filo di tristezza le incrina il sorriso,
improvvisamente
sente le spalle abbassarsi sotto mani forti e ferme, ben decise a
inchiodarla lì
dove sta.
L’aria si fa più
rarefatta e dalla bocca della ragazzina sfugge un mugolio di terrore,
mentre
gli occhi dimenticano la natura che li circonda e nella mente si
dipinge fumo, umori
diversi e lacrime, un’isola d’ombra; e nel grembo
dell’oscurità stessa, il
sorriso di una fiera. È tempo di mettersi al
lavoro, Yosano-kun.
«Yosano-san, Yosano-san!»
La ragazzina stringe i
denti, si sforza di serrare le palpebre; non vuole sentire il passo che
sale il
ponte e le si avvicina con calma, senza fretta, sapendo che il terrore
l’ha immobilizzata,
che non scapperà.
«Yosano-saaan, dove sei? Oh,
farfalle dorate!»
Farfalle
dorate… come
quella che vive tra i tuoi capelli; come il dono che ti ha fatto un
uomo buono
andato in guerra, il gesto di dolcezza che hai perduto e un ragazzino
rumoroso ti
ha poi restituito.
Akiko
spalanca gli occhi,
ispira e stringe il legno con tutta la forza che possiede; il cuore
riconosce
il paesaggio intorno e si placa in pochi istanti, lasciandola senza
forze ma
con la certezza che ciò che ha visto non è più
una realtà che la
riguarda.
La guerra è ormai lontana,
il ghigno del Persecutore non le morde la nuca né la
costringe a sporcarsi di
sangue ancora e ancora; basta con il dolore, ora sono gentilezza e
protezione a
vegliarla.
«Ah, eccoti qui! Ti vanno
dei dango2?
Laggiù c’è un chiosco che ne ha
tantissimi!»
Ora, nel suo mattino c’è Edogawa
Ranpo che corre verso di lei e sbracciandosi muove tutti i fiori del
parco,
spargendo ovunque il proprio entusiasmo; e mentre Akiko si accorge di
piangere di
gioia, comprende anche di non aver bisogno di ali per essere
libera e sentire
le sue ferite chiudersi. «I dango vanno
benissimo, Ranpo-san», risponde
allora mentre si asciuga due lacrime e gli va incontro su un sentiero
che conduce
fino al sole, dove paura non c’è.
NOTE
1 Le
camelie screziate simboleggiano la speranza.
2 Particolari
dolci giapponesi.
ANGOLO
DI MANTO
Ransano
Nation, how
are we feeling?
|
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Capitolo 3 *** Giglio (La Gilda) ***
3#
— Giglio
Personaggi:
Louisa May Alcott, Francis
Scott Fitzgerald, Lucy Maud Montgomery, John Steinbeck, Nathaniel Hawthorne
Canzone: Wait
For It ~ Hamilton Cast
Numero parole: 638
La Morte non fa
distinzioni
Tra santi e peccatori
E ghermisce e ghermisce e ghermisce.
Con
un sospiro, Louisa socchiude gli occhi
e si appoggia allo schienale della sedia, la testa che pulsa sotto
un’intensa emicrania.
È dal mattino che si sente priva di forze, nonostante non
abbia fatto, sentito
o vissuto nulla d’inconsueto: le mani hanno bevuto tutto
l’inchiostro che la
carta non ha assorbito, volumi con strategie raffinate e argute si sono
accumulati davanti a lei come mura protettive, e, al di là
dello studio in cui
si è rifugiata, i compagni della Gilda non hanno ancora
smesso di farsi udire;
che sia l’ennesimo battibecco tra il reverendo Hawthorne e
Margaret oppure le
esclamazioni entusiaste di Twain, anche questo rientra nel normale
scorrere
delle giornate insieme.
Fitzgerald è più loquace e allegro che mai,
poi, tanto che la giovane ode la sua voce superare tutte le altre
mentre discorre
con John e Nathaniel e impartisce gli ordini del giorno; e le verrebbe
da
sorridere a sentirlo così gioviale, se non fosse per quel
diffuso malessere a
cui non sa dare nome… tutto, come niente.
D’improvviso, mentre la porta dello studio
si apre senza una reale causa e i rumori salgono
d’intensità, il tono di Lucy riempie
anche quella piccola stanza, spingendo Louisa a girarsi. «Oooh,
ma quelli sono gigli!», la sente esclamare mentre la vede
saettare come una
freccia dietro al segretario James e al vaso di splendidi, candidi
fiori che questi
sta sorreggendo.
«Calma, Montgomery, non
sono per te.»
«Ne voglio accarezzare uno!»
«È un dono1 per il signor
Fitzgerald, non lo rovinare.»
«Uff, non avrei fatto
alcun danno!»
Le ultime parole della
rossa non ottengono risposta perché James ha ormai raggiunto
lo studio di Fitzgerald;
allora, e solamente allora, un profondo silenzio cala sulla babele di
voci,
lasciando intatte unicamente le più lontane da quelle stanze.
Un brivido percorre la
schiena di Louisa, che lascia cadere la penna e si alza: è
una forza estranea a
lei a spingerla, ma che le detta di abbandonare la camera e incontrare
le
espressioni stupite e adombrate di chi occupa il corridoio che divide
l’ambiente
dallo studio di Francis. Senza spostarsi di molto, ora la ragazza lo
può
vedere: seduto alla scrivania, con il vaso di gigli alla sua destra,
sta
accarezzando i fiori con espressione lontana. Non
c’è ombra di riso sul viso
che, nella luce del vivido mezzogiorno, appare stanco e più
vecchio di quanto
in realtà sia.
«Non… non le piacciono,
signor Fitzgerald?», chiede James con una punta di confusione
nel tono, mentre
Lucy indietreggia leggermente e si avvicina a Louisa.
Increspando il volto in
un piccolo sorriso, Francis scuote la testa. «Sono
bellissimi, invece», mormora,
«non per nulla Zelda li adora. E ha passato questo amore
anche a nostra figlia…»
La voce s’incrina, quindi Francis alza una mano e si rivolge
a Nathaniel e
John, rimasti silenziosi e immobili per tutto il tempo.
«Andate pure, sapete
cosa fare. E, James, quando esci chiudi la porta.»
Mentre tutti ubbidiscono,
Louisa ritorna nella sua stanza, tuttavia senza poter
fare a
meno di udire John mormorare qualcosa sottovoce, con asprezza.
«La sofferenza ha i suoi
tempi e modi per mostrarsi, signorino Steinbeck. Non possiamo
giudicarlo per questo,
non è un nostro diritto.»
Spentasi la voce di Hawthorne, il corridoio resta silenzioso, ma la ragazza non riprende subito il suo lavoro: rimane
invece a fissare
i volumi che ha già colmato, un’ombra sul cuore.
Si è unita alla Gilda ben
sapendo che cosa stesse facendo, e tuttora ne è convinta:
non si può tirare
indietro davanti al dolore, non a un dolore vicino a lei.
E
cosa posso fare in
merito?
Con
delicatezza ma fermezza,
Louisa impugna l’unica arma di cui abbia bisogno, e riprende
a scrivere; a ora,
non c’è altro posto dove dovrebbe stare.
NOTE
1
Il giglio simboleggia sia la purezza e l’innocenza, che
l’orgoglio. È quindi collegato sia alla figura
della figlia di Francis che a
lui stesso, ma in questo caso il significato preponderante è
quello di purezza.
ANGOLO
DI MANTO
Diciamocelo:
se non inserivo qui qualche riferimento a
“Hamilton”,
il musical su uno dei padri fondatori degli Stati Uniti
d’America, dovevo
vergognarmi profondamente.
Il capitolo di oggi è dedicato a tutti i fan della Gilda
(non siamo mai
abbastanza) ♥♥, ma vi confesso che non
sarà l’unico che li vedrà coinvolti
perché
ho un vero e proprio debole per questa banda di americani casinisti.
Alla prossima! Un
abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 4 *** Onda (Melville) ***
4#
— Onda
Personaggi:
Herman Melville
Canzone: Song of The Sea ~ Lisa Hannigan
Numero parole: 509
La canzone del
mare
Né silenziosa né immobile
Che cerca ancora amore.
Un
tempo, le onde avevano
il loro modo di chiamarlo a qualcosa che aveva bisogno di sentire, che
doveva
vivere: calmavano il moto incessante e si facevano quasi più
fiacche,
misteriosamente silenziose nei propri giochi di fuga e ritorno,
lasciando che
il richiamo delle balene fosse l’unico suono a raggiungere la
spiaggia e la sua
mente.
Herman avrebbe potuto
anche passare i giorni e le notti di un’intera esistenza a
contemplare il regno
che intravedeva sotto le braccia del mare, tanto profonde e immense da
poter
dare colore ai cieli: e Moby Dick era nata da quel contatto siglato
dall’eternità, creatura di acqua e nubi, splendida
come tutto ciò che non è
corroso dalla sofferenza — dove se
n’è andato quel tempo, e io con lui?
Se fosse solo un
po’ più
giovane, se tutto quello che ora sta guardando fosse accaduto prima,
sarebbe
piegato in due dallo strazio: come sotto l’influsso di una
maledizione, ogni
cosa che le sue mani abbiano creato o toccato ha mutato volto fino a
rendersi
irriconoscibile, rigonfio di malattia e dannazione. Moby Dick
è stata piegata
dall’azione umana che lui non è riuscito
a fermare, la Gilda si è
ammantata di ombre che lui non avrebbe voluto e ha
cullato nel grembo
una missione rovinosa. E alla fine, cos’è rimasto?
Sono cadute entrambe con le
loro memorie, sogni e miserie, tra le stesse onde che ormai non lo
chiamano più.
“Che almeno il mare resti
intatto dal male”, ha pensato; tuttavia, questo non ha voluto
dargli ascolto e
si è inghiottito ciò che rimaneva del suo
passato… ma non lui.
Il dispetto finale, la
delusione di un mondo che allora lo aveva scelto e
dal quale era stato
scelto a propria volta… e per cosa?
E nonostante tutto, anche
in quell’istante non riesce a dare la colpa
all’uomo senza scrupoli che dietro
al sorriso ha sempre nascosto una voragine oscura: certe morti sporcano
ogni
cosa, rendono folli e determinati a rovesciare l’inferno pur
di piegare il
tempo fino a costringerlo a tornare indietro, riducono all’impotenza chi
rimane a guardare e non sa quanto di sé stesso
resterà. No, non c’è colpa
nell’aver
inseguito una speranza senza accorgersi delle vite trascinate dietro di
sé,
perché il dolore non chiede prezzo minore. Questo giunge, o
giungerà, per ognuno:
finire insieme a Moby Dick sarebbe stata la soluzione migliore, eppure
il mare
ha deciso di non toccarlo.
Evidentemente, dopo
simili eventi e contando che ormai non c’è
più nulla da perdere, o la sua
strada è sbarrata per sempre, o dal fondo si può
solamente risalire.
Moby Dick continua a respirare,
la sente: anche se non lo vuole, se pensa di non averne più
diritto, le balene sorgono
da sé per seguire i suoi passi, quasi a evitargli o
alleviare la solitudine dei
tempi che verranno. E le onde non si arrestano, trovano sempre la
propria
strada; forse, è il momento d’imparare ancora la
loro canzone e prepararsi a
dire addio, o rimandarlo al futuro.
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Capitolo 5 *** Musica (Sigma) ***
5#
— Musica
Personaggi: Sigma
Canzone: Wild Life ~ OneRepublic
Numero parole: 519
Guardo a queste
improvvise cascate
Lacrime che non hanno alcun senso per me
Questa vita è ciò che succede quando stai facendo
dei
progetti
Non so che cosa accade dopo, o dove mi trovo.
Non
è stata la musica a donargli la vita,
questo lo ha sempre saputo; eppure, in qualche modo, è anche
così. Semplicemente,
si è reso conto di essere qualcosa di più di
semplice esistenza, di mero
respiro e confusione e dolore, quando ha udito quella voce sconosciuta
modulare
l’aria in un ritmo diverso al conosciuto.
La schiavitù nel deserto era già iniziata,
allora, la decadenza della sua umanità inarrestata ed
esacerbata da chi lo
considerava solo in virtù della sua abilità;
eppure, una delle interminabili
notti sempre uguali, un suono dolcissimo ha vinto le pareti della
prigione e gli
ha fatto rizzare la testa esausta. Istintivamente si è
alzato in piedi ed è
corso a guardare attraverso le grate della piccola finestra,
l’unica dell’ambiente,
nel tentativo di scorgere la figura tesa a infrangere il buio immobile
con la
grazia di una melodia; la sola cosa che ha incontrato è
stata la carezza della
musica, fattasi più intensa e struggente, che lo ha cullato
per ore.
Tempo dopo, quando avrebbe nuovamente udito
e riconosciuto il suono di un’arpa, avrebbe compreso la
misteriosa, angelica
voce giunta a fargli visita; ma Sigma è nato
nell’oscurità di quell’istante,
quando si è convinto che solamente un uomo potrebbe piangere
e sognare per una
simile bellezza.
Il mattino seguente ha portato due doni per
lui: una dimenticanza dei suoi carcerieri e uno scontro che li ha
tenuti
impegnati per ore, così da permettergli di lasciarsi le nere
mura alle spalle e
correre senza fermarsi, quasi a inseguire le ultime tracce della musica
notturna. Privo di ricordi, legami e certezze, il mondo che lo ha
accolto si è
rivelato sconfinato e con infinite vie, ma neanche allora ha trovato
uno scopo per
comprendere il perché della sua esistenza: nella musica
capace d’impregnare
ogni sospiro, non c’è stato posto per
lui… prima degli
Angeli, e del loro canto.
Prenderò
tutto l’amore e il dolore
Voglio vivere questa vita libera, libera, ora.
L’ha
riconosciuta non appena lo Sky Casinò gli
ha aperto le porte: la melodia sempre inseguita, il motore delle
proprie azioni,
ciò che gli ha dato un motivo per restare. Un suono
accordato al cuore, che ha
fatto posto ai sentimenti e accettato le sue domande, qualcosa con cui
vivere. Niente
da spiegare tra quelle lussuose stanze, niente da mostrare sotto i
soffitti
preziosi: tutto è sorto insieme a lui e di questo se ne
è fatto garante, e così
sarebbe stato comunque, anche se una mano più grande della
sua non l’avesse
guidato per dirgli cosa fare.
La musica si è evoluta ed è cresciuta
d’intensità,
accompagnandolo costantemente: dal caos al controllo,
dall’estraneità all’appartenenza.
Non ha lasciato andare l’oblio che precede il suo primo
risveglio, ma anche a
quello giungerà risposta; non ha dimenticato la tristezza,
ma forse essa è parte
della sua persona, scritta nell’anima.
Di certo, ora nessuno potrà soggiogare e
spegnere quella voce, e chi cammina con lei.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Come per Herman Melville, continuo a pensare che Sigma dovrebbe
apparire
più maggiormente nelle fic: è un personaggio
troppo affascinante e profondo per
non essere trattato, così che sono stata ben felice di
dedicargli un giorno
della challenge *^* nella speranza di vedere più lavori che
lo riguardino.
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 6 *** Ombra (Dazai) ***
6#
— Ombra
Personaggi:
Osamu Dazai, sorpresa
Canzone: Wildfire ~ SYML
Numero parole: 1150
Nei giusti
tempi, tu saprai
Quando allentare la presa, quando lasciar andare
Puoi trovarti nel posto a cui appartieni
Non sei una maledizione, non sei di troppo
C’è bisogno di te qui, sei abbastanza
E niente ti potrà abbattere per molto.
I
toni del primo mattino sono intrisi d’oscurità:
la notte tarda ad andarsene, si allunga pigramente sopra i tetti delle
case e
rimanda per un minuto ancora, sorprendendo chi alza lo sguardo al cielo
e lo
ritrova ricolmo di stelle.
La gente sembra obbedire allo stesso
incanto che non vuole dissolvere il buio, e per le strade
s’incontrano solamente
ombre e passi veloci, guizzi di presenze e voci appena accennate tra
chi si
riconosce e saluta: al di là dei consueti suoni di Yokohama
che si risveglia e
prende in mano un nuovo giorno, niente disturba la quiete.
Da parte sua, Dazai l’accetta come se fosse
un balsamo, donando in cambio un sorriso accennato. È presto
per raggiungere l’Agenzia,
ma il sonno lo ha abbandonato senza pietà e i muri delle
stanze lo hanno reso
insofferente, così da spingerlo a lasciarseli alle spalle
per vivere quel tempo
sospeso che precede l’alba.
Come spesso accade, le gambe lo conducono
autonomamente alla tomba di Oda: ma appena ne scorge la lapide, il
giovane
comprende che non le riserverà le parole di sempre, che per
quella volta la sua
sosta sarà molto breve — o forse no?
Si volta con falsa noncuranza, la nuca che
inizia a pizzicare sotto lo sguardo di qualcuno che respira nelle nere
pozze d’ombra;
ma non percepisce niente di pericoloso intorno a sé, solo lo
scorrere del quotidiano
ritmo cittadino — con una piccola variante, che ancora non si
è mostrata.
«Era un uomo gentile…. dovrebbe ricevere
più
visite.»
Osamu ha un piccolo sobbalzo mentre sente
quella voce limpida, trillo di usignolo, scivolargli lungo la schiena
in una
carezza; girandosi nuovamente, vede l’alta, elegante figura
di una donna avanzare
nella sua direzione. La distanza e il buio ne nascondono i tratti, ma
non il luminoso
sorriso e i molti fiori che stringe tra le mani.
«L’importante è che siano quelle di chi
gli
era legato», le risponde lui mentre le fa un cenno di saluto,
rispondendo alla mano
alzata della sconosciuta. Ora che è più vicina,
è possibile notare la bellezza
della sua lunga chioma corvina e la pelle chiarissima, forse anche
troppo: sotto
di essa sembrano scorrere non vene, ma fili d’argento e una
leggera sensazione di
freddo.
«Giusto, giusto. Tuttavia, oggi sei parecchio
silenzioso.» La nuova arrivata depone i suoi fiori sulla
tomba di Oda e poi
alza lo sguardo d’ossidiana verso Dazai, che si accontenta di
osservarla senza
rispondere. Nonostante lei sia meravigliosa, quello sente
l’impulso di
allontanarsi dalla sua presenza il prima possibile, ma solo per
correrle incontro
dopo qualche attimo; e rimane in silenzio anche quando lei gli prende
una mano,
senza badare alle convenzioni e quasi lo conoscesse da sempre, e la
stringe forte.
«Sai, a volte credo che tu potresti
sentirlo ridere, ora. Stai facendo tanto per essere l’uomo
che lui avrebbe
voluto vedere… non credere di passare inosservato.»
Osamu non replica neanche allora, mentre
una risposta affiora nella mente; ma per il momento la tiene per
sé, e senza
pensarci due volte ricambia la stretta della giovane e sorride
affabilmente. «E
nonostante queste parole, tu sei nuova di Yokohama, vero?»
«Sì e no. Ti può bastare come
risposta?»
«E addio visita alla città…»
La sconosciuta ride, un tintinnio di
campanelle. «La posso fare comunque! Per quante volte la
veda, Yokohama è
sempre diversa.»
Il moro assentisce a propria volta,
socchiudendo gli occhi. «Le anime non sono mai uguali,
d’altra parte. E anche
se tu sei qui, con me, tutt’intorno e oltre
l’oceano la loro strada finisce,
devia o cambia comunque.»
A quelle ultime parole la sconosciuta
soffia con forza, e ciò che resta della tenebra si dirada:
si fa giorno e
irrompe la luce, e subito il pomeriggio accorre e trasforma le ombre
secondo la
danza delle ore. Il tempo fugge, ma loro rimangono; abbassando la voce,
Osamu
osserva la compagna in quegli occhi che tanti temono, si avvicina di
più al suo
volto. «Una fine senza dolore, come piace a me»,
mormora poi, senza lasciare la
mano che ancora trattiene e accarezzandola piano,
«… se l’Ombra della Vita
accetta preghiere.»
«Non sono venuta per questo, Dazai Osamu»,
replica la Morte con lo stesso tono con cui un adulto riprende un
bambino
ribelle, per poi addolcirsi, «devi ancora guidare e
proteggere le vite di chi
rischia di perdersi. È ciò che hai promesso a un
amico… è ciò che lui si
aspetta da te.» La stretta si scioglie, Lei posa quella
stessa mano sulla testa
del moro, e da essa fluiscono fiumi d’immagini, memorie,
impulsi. «Non
inseguirmi con troppa foga, non è il tuo tempo.»
«Non te lo posso promettere, se molte volte
sei l’unica risposta a ciò che chiedo.»
«Ma qui c’è bisogno di te, e qualcuno
che avrà
un futuro solo se tu lo guarderai. Non fare quella faccia, sai che
è così!»
«… Non sei come la gente ama
descriverti.»
«Sono implacabile, ma rispetto la Vita: sia
io che Lei assumiamo il giusto valore solamente quando ci viene dato
tempo adeguato…
e tu non mi stai ascoltando.»
Dazai si scioglie in un breve riso, quindi
si siede al suolo e attende che la Morte faccia altrettanto. Il
pomeriggio si è
bloccato in un lungo crepuscolo e sotto di esso lui le prende
nuovamente la
mano. «Non sei giunta per portarmi via con te e potresti
anche essere un mio
sogno… e sembri una compagnia piacevole. Cosa fare per
trattenerti?»
Il sorriso dell’Altra è affilato, come se
al posto di esso ci fosse una falce.
«Perché sei venuta, Signora?»
«Non mi hai davvero ascoltato, quindi.»
«Ma sei già pronta ad
andartene…»
Mentre fissa quel pauroso sorriso
allargarsi sempre più, il moro sente una forza estranea a
lui calargli sul
corpo e spingerlo al suolo, proprio tra le braccia della Mietitrice.
«Ho forse detto
di dovermene andare in fretta?», sussurra Questa mentre si
china e sospira
nella bocca del giovane, e il mondo si prepara a dimenticare Osamu
Dazai — solo
Lei sa per quanto.
«Qualunque cosa tu voglia fare, senza
dolore, per favore», mugola lui alzando le mani in una sorta
di supplica, mentre
sente il cuore rallentare i battiti e le dita della sua dama allentare
bottoni,
nodi, tensioni, anche le tristezze. Non lo porterà via, no,
ma per qualche
attimo il vuoto che ha dentro di sé non echeggerà
tanto forte.
Così spera, almeno.
«Senza dolore», risponde Lei con una carezza
sulle labbra, «e spero che alla fine tu sia meno chiuso di
così, almeno con me.
Che non si dica che la Morte non prova nulla verso coloro che la
seguono.» Non
ode risposta: il suo bacio di ghiaccio giunge prima, obliando il mondo
nel
proprio volere.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Non vedevo l’ora di poter scrivere questa fic che mi frullava
per la
mente da mesi, da quando ho conosciuto Dazai: una storia dove il
signorino
incontra la Morte, e quel che accade accade.
E questo è quanto: un po’ di amarezza,
surrealismo, sentimento.
Ho voluto assegnare alla Morte due colori, bianco e nero,
perché in
Giappone entrambi sono associati a essa (il bianco secondo la
tradizione già cinese,
il nero dopo il contatto con l’Occidente).
E detto questo, come sempre, vi abbraccio!
Manto
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Capitolo 7 *** Libri (Poe e Ranpo) ***
7#
— Libri
Personaggi:
Edgar Allan Poe, Edogawa Ranpo
Canzone: People
Help The People ~ Birdy
(cover)
Numero parole:
1082
La gente aiuta
la gente
E se senti nostalgia di casa
Dammi la tua mano, e io la stringerò.
Dove
Ranpo Edogawa va, si crea il caos: Edgar
lo sta imparando a proprie spese.
Il pomeriggio è iniziato incontrando il
detective per le strade di Yokohama — nella foga di corrergli
incontro, quello
gli ha dato pure una testata —, e sta proseguendo in sua
compagnia: annoiato dalla
giornata troppo calma e impaziente di trovare qualcosa con cui tenersi
impegnato, Edogawa è riuscito a strappargli il permesso di
leggere l’ultima
storia a cui sta lavorando, non ancora conclusa ma più
complessa delle
precedenti, nonché di girovagare liberamente nella villa.
Decisione
non ben ponderata,
perché mentre lui si ritrova rinchiuso nel suo stesso studio
per proseguire l’opera,
Ranpo libera la propria voce dalla parte opposta della dimora e scatena
una serie
di scricchiolii e rumori agghiaccianti.
Finalmente, quando sugli
ambienti scende un improvviso silenzio ed Edgar inizia a temere il
peggio, il
detective gli compare davanti, caracollando sotto la pila di libri che
tiene
tra le braccia e con lo sguardo acceso d’interesse.
«Fai attenzione con
quelli, sono importanti», mormora lo scrittore dopo aver
riconosciuto i volumi e
guardando l’altro appoggiarli sulla scrivania, per poi
allungare una mano e
accarezzarli delicatamente.
«Lo so, infatti sono quelli
che tieni più vicino al letto. Le pagine sono molto segnate,
le sfogli spesso, e
l’inchiostro ha perso parte del suo colore: te li sei portati
dall’America. Però
non c’è traccia di storie qui dentro, solamente
numeri, iniziali di nomi di persone…
e luoghi?»
«Le storie ci sono, ma
non in questi volumi.»
«Uh? Li tieni come
registro, allora?»
Edgar accenna un sorriso,
quindi annuisce. «Li tenevo come tali,
sì», conferma, per poi posare la
penna d’oca e chiudere il tomo che ha innanzi.
«Anni fa, prima che io e te
avessimo la nostra sfida, scrivevo per chiunque me lo chiedesse: storie
comiche, fantastiche, d’avventura, semplici scene di
vita… era un modo per
sviluppare le mie capacità, e alla gente piaceva. In quei
libri potevano vivere
ovunque e qualunque cosa loro volessero, visitare luoghi lontanissimi,
incontrare
persone.
Non ci vedevo nulla di male
e le richieste erano tante, mi divertivo pure.»
«Hmm…» Ranpo apre a caso
uno dei tomi, punta il dito sul primo nome che incontra e sul suo volto
si
dipinge un ghigno. «Questo l’hai davvero
mandato nel cratere di un
vulcano?»
«Un tempo quell’uomo era
un esploratore, ma non aveva mai potuto visitare un vulcano estinto:
risolvemmo
il problema in questo modo.»
«Contento lui… qui invece
ci sono due iniziali, e un nome strano.»
«Oliver e la sua cagnolina
Fioralba. Descrivere il drago che voleva cavalcare fu
un’impresa simile a
quella che gli feci compiere, ma ne valse la pena.»
Sorridendo più ampiamente,
Edogawa punta più sotto. «H. A.»
«Oh, la signora Helen Anders!
Era diventata troppo anziana per muoversi, ma voleva rivedere il mare:
così
scrissi di un’intera giornata passata sulla spiaggia di
Nantasket1. Mi
ringraziò per giorni.»
Proseguono così, con un
nome e una storia che profuma di desideri e memoria, per altri dieci
minuti;
quindi, Ranpo scorre verso la fine del libro e lascia scivolare il dito
fino a
incontrare due iniziali scritte in inchiostro viola. «V.
S.»
Nonostante sia ormai
pomeriggio inoltrato, la sera dovrebbe essere lontana; eppure, nella
stanza la
luce si affievolisce, così come l’entusiasmo di
Edgar nel raccontare.
«Viviane. La vicenda
riguarda lei e il suo fidanzato.» Una pausa.
«Dovevano sposarsi; ma invece che
un velo da sposa, quella ragazza dovette indossare una veste funebre e
partecipare al funerale di chi amava.»
Ranpo rimane in silenzio
un istante, quindi estrae un volume dalla pila: quello che riporta
sulla
copertina il nome della giovane.
Poe lo prende dalle mani
dell’amico, lo stringe al petto. «La sua famiglia
me lo restituì un mese dopo.
Viviane lesse la storia così tante volte da saperla a
memoria… e poi s’impiccò
per trasformare la fantasia in realtà, per lasciarsi alle
spalle una vita che
non aveva più niente da offrirle. Quando la trovarono, il
libro era ai suoi
piedi, aperto sull’ultima pagina…»
E
c’era un messaggio: mi
perdoni, signorino Poe, ma ho scelto un finale migliore.
Edogawa
scurisce lo
sguardo, quindi osserva il tomo che ha davanti a sé. Ci sono
altre iniziali, ma
non ha bisogno di chiedere per sapere che le storie commissionate non
sono mai
state portate a termine: scorge la risposta nel volto
dell’amico, nella carta intonsa
che incontra le sue dita, e chiude il volume. «Lo avrebbe
fatto comunque, Poe-kun.
Anche se tu non avessi scritto quella storia, l’esito sarebbe
stato lo stesso.»
Lo scrittore annuisce, si
alza. Ranpo impila nuovamente i libri e li passa all’amico,
accompagnandolo quindi
nei corridoi della villa. «Anche se inizialmente mi assunsi
parte della colpa,
poi mi arresi al fatto che non avrei potuto fare niente»,
prosegue Edgar, «proprio
come dici tu. Tuttavia, la sua fu l’ultima richiesta che
accettai, e non credo
che potrei ricominciare.»
«Però hai permesso che
una nonnina rivedesse il mare che tanto amava, e quel signore nel
cratere del
vulcano… hai reso loro molto più di qualche ora
di felicità. E chi vuole
rivedere qualcuno che ama—»
Ranpo si blocca, spalanca
gli occhi: ha una fitta al cuore e sa bene il perché. Per un
istante, rivede davanti
a sé l’ombra dei suoi genitori e il dolore che ha
provato quando è rimasto
indietro, mentre loro sono andati avanti e dove non avrebbe potuto
raggiungerli. Se allora non avesse incontrato Fukuzawa, chi
può dire che cosa
ne sarebbe stato di lui? Se avesse trovato qualcuno come Poe e chiesto
di
scrivere della sua famiglia, avrebbe poi seguito i passi di Viviane?
In che cosa sarebbero
stati diversi?
La mano di Edgar mette
fine alle domande, posandosi sulla sua spalla con gentilezza.
Ranpo respira, accenna un
sorriso perché non ha bisogno di una risposta e
può anche dimenticare il
quesito: ha qualcuno accanto a sé, non è solo
né dimenticato, il finale è
ancora lontano. «Anch’io voglio cavalcare un drago,
comunque!», esclama all’improvviso
facendo sobbalzare Edgar, per poi voltarsi verso di questi con un
sorriso, «ma
prima, sbaglio o qualcuno mi deve un romanzo?»
Edgar sorride a sua
volta, socchiudendo gli occhi. «Un’ultima frase ed
è tutto tuo, e voglio
proprio vedere come te la caverai.»
«In meno di tre secondi,
come sempre!»
«Stai allungando il tempo,
vedo…»
«Così credi tu!»
No, nessuno dei due deve
temere: la storia è tutta da scrivere, ed è
appena cominciata.
NOTE
1 Luogo
non
molto distante da Boston.
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Capitolo 8 *** Specchio; Rapimento (Kōyō) ***
8#
— Specchio; 9# — Rapimento
Personaggi: Kōyō
Ozaki
Canzone: Soffio di Attimi ~ Folkstone
Numero parole: 503
Soffio di attimi,
Ricordi ed empatie,
S’incendiano nel fuoco…
…Chiusa in trappola,
Giro intorno a te
Non sfugge via niente.
Lo sai di essere bellissima;
tutto il mondo lo riconosce, e lo farebbe anche se tu fossi invisibile
e ti si
potesse percepire solamente dall’ombra che ti fa da strascico.
Lo specchio rifulge dei
colori che gli porti e si tende mentre avvicini il volto,
s’increspa quando lo
baci con il tuo spietato respiro — e il meriggio
già diviene sera.
Ti si ammira e teme,
s’invidia e sussurra il tuo nome come preghiera o pensiero
sconvolto, perché non
c’è alcun ritorno da te; e tu, intoccata, affoghi
questo e altro nel sorriso
accennato con cui osservi il mondo, perché sai che le
tenebre tutto divorano e
nulla tengono, perché sei la nera metà di quella
luna a cui tanti ti
paragonano.
O
non è così, mia regina?
Il tuo
cuore di ghiaccio
ignora amore e compassione, la tua figura non mostra mai aperture:
sarebbe più
facile scalfire un diamante che trovarti debole, farti a pezzi prima di
sentire
la tua voce implorare pietà. Come ci si aspetta da una dama
della Morte.
O
non è così?
C’è
forse qualcosa che ti
segna il cuore?
Perché a volte,
nell’abbraccio dell’oscurità, rivedi la
bambina piangere mentre guarda i
suoi sogni cadere; pioggia di vetri insanguinati, un fiore appassito
tra orrore
e disperazione, qualcuno che ti riporta indietro, nell’abisso
— c’è solo silenzio
per me?
Perché a volte, quando nessuno
ti è intorno e la coscienza allenta un po’ la sua
morsa d’acciaio, dalle labbra
di velluto quasi sfugge un nome, un’invocazione a quella mano
che ti stava
guidando fuori dalla notte. Questa ritorna per te; dove ti porti di
preciso non
lo sai, neppure lei conosce la meta, ma ti prende e trascina con
sé — eppure i
tuoi piedi corrono veloci, per raggiungerla prima.
Perché a volte, mentre il
primo mattino canta la sua venuta e ti sveglia da un sogno, hai la
sensazione
che qualcuno stia per rapirti: ma a farlo sono visi che conosci, voci
che
ascolti sempre, mentre dall’altra parte
c’è chi ti hanno strappato — e
là vorresti restare.
Ora tu neghi, neghi una
volta ancora, distogli il volto con disprezzo e ti giri rabbiosa:
attenta, la
notte non potrà sempre coprire la verità, la
caduta non ti lascerà senza graffi.
Evita di guardare troppo
a fondo nell’anima — sai già cosa dorme
là dentro — e tieni alta la maschera; contemplati
pure nel tuo specchio, gelida dea… nell’angolo
più lontano al tuo sguardo, dove
il vetro è scheggiato come te, un sorriso perduto continua
ad agitarsi, e non
importa il tenerlo il più distante possibile dal cuore
perché rimane là, ombra
tra le ombre, per rapirti quando sarai troppo stanca per fuggire da te
stessa.
Tieni a bada la luce e la
speranza che porta con sé: ci sono fuochi che bruciano
più di altri e promesse
che dormono nel sole, in attesa di essere rispettate.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
a tutti *^*
Questa volta è tosta, lo so… e per renderla
ancora più così ho unito il
prompt di oggi a quello di domani, perché, a mio parere,
entrambi perfetti per il
personaggio.
Forse questa caratterizzazione della bella Kōyō non è
usuale, ma io
continuo a pensare che, nonostante quello che è diventata e
forse proprio a causa
di questo, l’uomo che ha cercato di salvare la bimba che era,
e per la quale ha
perso la vita, a volte torni a farle visita nei sogni e nei pensieri.
La considero uno dei personaggi più tristi e inquieti
dell’opera, al
pari di Dazai, e per tale motivo non mi ha lasciato di certo neutra: se
c’è
dell’angst su cui giocare, non mi lascio scappare
l’occasione.
Anche i prossimi due prompt saranno uniti, poi temo di dovervi salutare
per un po’: impegni importanti chiamano a rapporto
interrompendo una stesura
regolare della raccolta, che nonostante ciò
proseguirà e verrà pubblicata,
anche se fuori tempo.
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 9 *** Taglio (Mushitarou) ***
10#
— Taglio
Personaggi:
Edgar Allan Poe, Edogawa Ranpo,
Mushitarou Oguri
Canzoni: Pluto ~ Sleeping at Last + Invisible
~ Zara Larsson
Numero parole: 1000
Sono ancora
inchiodato sotto il peso
Di ciò che credevo mi avrebbe mantenuto sano
Mostrami dove la mia armatura finisce
Mostrami dove la mia pelle inizia.
Nel parco della villa spira una fresca
brezza, carica del sentore dei fiori che incontra lungo la sua corsa:
l’estate
è ormai sopra la città, tra qualche giorno
cadrà come pioggia e si spargerà tra
le strade e i palazzi, instillando in tutti il desiderio del mare.
È un triste scherzo che sia lui a
perdersi in quell’immaginazione, proprio
lui che ha sempre rifuggito le
onde e l’odore del sale; ma per una volta può fare
un’eccezione.
E
tu rideresti a sentire questo,
quanto rideresti.
«Andiamo,
non puoi aver già scoperto
il colpevole! Sei solo al primo capitolo!»
«Non è colpa mia se sono così
geniale! Anche se inizialmente ero incerto su un passo… non
male!»
«Di-dici davvero?»
Mushitarou emette un piccolo sospiro
di sorpresa, quindi accenna un sorriso mentre lancia
un’occhiata alla coppia
che ha davanti a sé. Aggiusta la tavola che Poe ha appena
spostato con tutto il
suo entusiasmo, quindi socchiude gli occhi sotto il sole che filtra
attraverso
le fronde degli alberi e ritorna a osservare Ranpo che ride,
scompostamente
seduto sulla graziosa panchina in pietra ormai sepolta da carte di
caramelle.
Per un qualche attimo riesce a
seguire l’invettiva tra lui e Edgar; poi, cullata dalle loro
parole, la mente si
distacca nuovamente e raggiunge altre terre. Oggi la mancanza
si fa
sentire forte, è quasi impossibile da controllare:
chissà che cosa gli vuole
dire…
«Stai bene? In quest’ultima ora sei
stato parecchio silenzioso.»
Oguri attende un attimo a rispondere
alla domanda di Edgar, avvicinatesi a lui silenziosamente, quindi
annuisce
piano e guarda in volto lo scrittore. «Eravate talmente presi
a discorrere che
ho deciso di non disturbare. E poi io odio l’odore del sale,
e oggi lo sento
ovunque.»
L’altro sorride, un’espressione
dolce nel viso, e si volta per lanciare un’occhiata a
ciò che resta del pranzo
che hanno consumato lì, sotto lo sguardo arboreo.
«Possiamo anche entrare, o
stenderci qui e riposarci un attimo… forse ho esagerato nel
cibo, ne ho
preparato fin troppo.»
«No, io non ho detto ques—»
«Basta con i cattivi pensieri! Dai, raccontatemi
qualcosa che mi faccia divertire, sono stanco di parlare solo
io!»
L’improvviso abbraccio di Ranpo coglie
di sorpresa gli altri due, che si sbilanciano in avanti e si scontrano
con il bordo
della tavola.
Oguri sta per dire qualcosa,
tuttavia la sensazione di dolore arriva prima e gli fa volgere gli
occhi
davanti a sé; con calma, lascia andare il coltello che ha
afferrato per la lama,
a causa della sorpresa, e si guarda il palmo della mano destra, dove
ora
campeggia una lunga striscia rossa.
Non
ti ricorda nulla, Mushi?
«Oh…»,
dice Ranpo quando scorge il
taglio che l’amico si è fatto, immobilizzato e
sentendosi colpevole per il
gesto di prima.
«Non è nulla», lo rassicura Oguri,
accennando
una smorfia che dovrebbe essere un sorriso, ma che risulta molto amara
— solamente
lui sa il perché.
Come
il pezzo finale di un puzzle
Tutto assume perfettamente senso per
me
La pesantezza che trattengo nel
cuore appartiene alla gravità
La pesantezza che trattengo nel
cuore mi sta schiacciando.
Poe,
intanto, non ha perso tempo ed è
corso dentro casa, e quando ne esce è tanto carico di bende,
cerotti, disinfettanti
e antisettici da far invidia a una farmacia; e così si
presenta agli occhi
degli amici, facendo spazio sulla tavola e posando l’intero
bagaglio.
«Non è così grave, ha quasi smesso
di sanguinare!», grida intanto Mushitarou, lo sguardo
adombrato, ritraendosi istintivamente.
Edgar non lo ascolta e gli prende la
mano per osservare il taglio, afferra disinfettante e cotone; poi si
ferma. «Ma
qui c’è già una piccola
cicatrice», sussurra, seguendo il sottile, bianco
tracciato di una vecchia ferita. Quella nuova scaturisce dal principio
di essa
come lo stelo di un secondo fiore, prendendo la direzione opposta.
«Sì; già una volta mi sono tagliato
la mano… con Yokomizo.» Una pausa, che gli altri
non spezzano. Il mondo rimane
in attesa, perché dal suo tono è fuggito tanto,
troppo, e non si torna indietro.
Ranpo e Poe non si guardano, sanno
già; e lasciano che sia lui a decidere se parlare, oppure
no. La scelta si
mostra appena Edgar inizia a passargli il cotone sul taglio, scatenando
aghi di
bruciore e memorie. «Eravamo al nostro
terzo giorno
d’università, e un compagno di corso ci stava
mostrando dei numeri di giocoleria
con dei pugnali. Era molto bravo, ma gli errori capitano anche ai
migliori; e,
beh… a un certo punto ne perse uno e, istintivamente, lo
afferrai io, ma dal
lato della lama: proprio come oggi.
Un intero pomeriggio a disinfettare
e cambiare le fasciature, con Yokomizo che faceva battute a ogni mia
smorfia di
dolore. Non credo di averlo odiato come allora… e di aver
riso tanto insieme a
lui, poi.
È uno dei ricordi più belli che ho
di noi due.»
Poe ed Edogawa sorridono in silenzio;
e, non molto distante da lì, a sorridere con loro c’è
un’altra figura. Questa reclina il capo, lo guarda con un
pizzico di divertimento
e tanto affetto. Non
avrai realmente creduto di
rimanere da solo, vero?,
dice la voce che lo accompagna
in ogni dove, la tua anima chiama sempre a sé,
come ha fatto con me.
Non
devi temere: sei in buone
mani.
«…
Perché non ci racconti
ancora qualcosa di voi?»
Mushitarou
non risponde
subito, si prende ancora un attimo per sé.
«Poe-kun ha ragione: Yokomizo
sembra una persona veramente speciale», aggiunge Ranpo,
sedendosi davanti a Oguri
e incrociando le gambe.
Io
sono nel giorno e nella notte,
dovunque tu possa pensarmi; e vicino a te c’è chi
ti vuole già bene. Non lasciarlo
andare.
«Lo
era», sussurra Mushitarou al respiro
del mare, al soffio che scompiglia i capelli e dipana il silenzio,
«e lo è
ancora.»
Se
la felicità è a un miglio di distanza
Bastano
solo un paio di passi.
ANGOLO
DI MANTO
Vi
prego, amate questo trio quanto lo amo io: è un
antidepressivo di
certificata efficacia.
Ovviamente, come già scritto, ho completamente fallito il
tentativo di seguire
passo passo la Writober; ma siccome tengo davvero tanto a questa
raccolta, ribadisco
che continuo a scrivere a prescindere e a pubblicare, seppur con molta
calma.
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 10 *** Legame; Memoria (Rimbaud) ***
11#
— Legame; 12# — Memoria
Personaggi:
Arthur Rimbaud, Paul Verlaine,
Chuuya Nakahara
Canzoni: Waiting for Love ~ Avicii + The
Messenger ~ Linking Park
Numero parole: 615
Dove
c’è volontà, c’è
una
strada, qualcosa di bello
E ogni notte ha i suoi
giorni, è così magico
E se c’è amore in questa
vita, non c’è ostacolo
Che non possa essere
sconfitto.
«Io
e te, allora?»
Il tramonto si abbassa
sopra Montmartre1, oppure è questi
che si leva in piedi, verso le nubi
che si srotolano tra loro e il fantasma della luna. Luce e
oscurità si
rincorrono tra le vie e si riflettono negli occhi di una coppia di
figure che,
appoggiate alla ringhiera di un elegante balcone, osservano
l’orizzonte in
fiamme — lo potranno vedere ancora per pochi mesi; poi, per
quanto ne dovranno
serbare solo il ricordo?
L’adulto tra i due2
si stringe nel proprio cappotto, sentendo i morsi del freddo farsi
più forti
sulla pelle e nel cuore. Da quando, poche ore prima, il governo ha
contattato entrambi
per affidare loro una delle missioni più difficili che si
siano mai trovati tra
le mani3, ha iniziato a percepire la presenza
di un’ombra; e
questa lo segue, gli rimane al fianco, soffia tra i suoi capelli, preme
sulle
spalle come se avesse trovato in lui un compagno di giochi e facesse di
tutto
per ricordargli quanto sia alta la posta.
A pochissima distanza, la
sua esatta metà dell’anima si gira a guardarlo,
attendendo una risposta che
fatica ad arrivare, e come sempre lo sente e comprende; quindi, allunga
piano
una mano e stringe quella guantata del tormentato, senza parlare oltre
— non ce
n’è bisogno — gli rinnova la promessa
che si sono scambiati ormai anni fa,
quando ancora non sapevano quanto strada avrebbero fatto insieme
né le stelle che
avrebbero contato nelle notti insonni.
La Grande Guerra li ha
colti entrambi ma non divisi, le missioni di spionaggio messi alla
prova
rendendoli solamente più vicini: che cos’hanno da
temere, quando si bastano
l’un l’altro e lo sanno, lo sanno
così bene?
«Io e te, sì», mormora allora
Arthur. E dopo lunghe ore spezza infine il silenzio, sorride;
l’ombra scivola
via da lui come una coperta, lo lascia respirare. Nel mondo esistono
ancora certezze
e speranze, neanche troppo lontane da loro. «Oggi, e
sempre.»
Quando la vita
ci acceca,
L’amore ci mantiene
gentili.
«Sei
comunque fortunato:
hai sempre l’oceano davanti a te.»
Chuuya fa un bel respiro
e si siede sul terreno erboso e intriso di rugiada, appoggiando la
schiena
contro la lapide che guarda alle onde.
Da regioni al di là dell’orizzonte
giunge una brezza gentile, carica di sale e profumi, e le distese di
fiori socchiudono
i loro occhi per guardare la luce nascente; immerso nella medesima
quiete, il
rosso si toglie il cappello e lascia che l’aria gli scompigli
i capelli,
rilassandosi completamente: è uno di quei giorni che non
richiede di pensare,
ma solo di sentire. L’avrebbe mai
sognato, anni fa e nel silenzio di un’esistenza
inerte, di vivere tutto questo? E anche dopo, ormai nato nella
consapevolezza
ma incapace di reputarsi umano, quante volte lo ha immaginato?
La disperazione gli ha donato
la vita, insieme all’amore è poi tornato a
cercarlo; e per quanto la Morte abbia
portato via l’uomo al quale deve ancora molto, non ha
lasciato dietro di sé
solamente il vuoto. Non è Rimbaud che non lo abbandona mai;
è lui per primo che
lo tiene sempre accanto a sé.
«Anche se sei il solito
silenzioso, lo so che sei felice di vedermi…» Una
pausa, un accenno di sorriso.
«… Lo sono anche io.»
Seduto al suo fianco,
Arthur gli appoggia una mano sul capo e sorride a propria volta,
assentisce e
attende l’alba; quando questa arriva, scompare
nell’ombra del rosso, divenendone
la sua parte più leggera.
Sarà un’altra splendida
giornata da vivere in due.
NOTE
1
I
suoceri
del vero Verlaine avevano una casa a Montmartre, e qui venne ospitato
Rimbaud.
2
In Fifteen
(nella light novel, non mi ricordo se anche nell’anime),
Rimbaud viene
espressamente definito come un uomo pienamente adulto, mentre Verlaine
(che
compare in un breve sipario solo alla fine della novel)
come “ragazzo”. L’età
degli autori reali è stata quindi invertita: infatti, il
vero Verlaine era più
grande di Rimbaud di dieci anni.
3
Ovviamente, la missione in questione è quella che li
porterà in Giappone, dritti
da Arahabaki.
ANGOLO
DI MANTO
Questa
shot me la dedico tutta, perché amo tanto Rimbaud e continuo
a
sperare per lui una serena eternità
nell’Aldilà: se la merita. Condivido il
pensiero dei molti — non di tutti — che considerano
Arthur e Chuuya paragonabili
sotto vari aspetti a un padre e un figlio, visto come (specialmente
nella light
novel) si struttura il loro rapporto e quanto il primo lascia nel cuore
del
secondo, e ogni volta che vedo o ripenso alle scene finali tra loro due
vado
letteralmente in pappa, senza vergogna.
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi, nonostante la
lentezza
degli aggiornamenti! ♥
Un grande abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 11 *** Scelta (Kunikida) ***
13#
— Scelta
Personaggi:
Doppo Kunikida, Akiko Yosano, Nobuko Sasaki
Canzoni: If Everyone Cared
~ Nickelback + Black Is The Colour ~ Celtic Woman
Numero parole: 620
Avvertimenti particolari: A scanso di
equivoci, sottolineo che i riferimenti
a
Kunikida e Aya non presenteranno ambiguità relativa a ship, anche se si
utilizzeranno termini
poetici per descrivere l’uno o l’altro personaggio.
Kisses ♥
Se ognuno si
preoccupasse
e nessuno piangesse,
Se ognuno amasse e
nessuno mentisse…
… Allora vedremmo il
giorno in cui nessuno muore.
«Ha
un carattere niente
male, la ragazzina; di certo sa farsi rispettare.»
Per l’ennesima volta, Kunikida
si sistema gli occhiali che Aya gli ha infranto con tutta la forza dei
suoi
sentimenti feriti, quindi accenna un sorriso e lo dona a una Yosano fin
troppo
divertita dalla situazione.
I piani dell’intera
giornata sono andati in fumo e, quando lo saprà, sicuramente
Dazai sprecherà le
proprie risate; nonostante questo, lui si sente leggero,
pervaso dalla
classica stanchezza che segue la scomparsa di un peso gravoso: il
ventre della
città si colma di rosso, ma è solamente un quieto
tramonto.
«Hai corso un bel
rischio, comunque: se fossi arrivata qualche minuto dopo, non saremmo
qui a
parlare, e non staremmo piangendo solo te.»
Doppo volge lo sguardo
innanzi a sé, al selciato del marciapiede che stanno
percorrendo: linee verdi e
scarlatte scorrono nelle crepe della pietra come serpi, vivide e
pulsanti, e
per un istante gli rimandano a quello che sarebbe stato se… se.
«Comunque fosse andata, Aya
Koda non sarebbe morta sola: non avrei mai accettato una simile
sconfitta.»
Yosano lo guarda,
assottigliando gli occhi di malva. Se non conoscesse da anni il giovane
e la
forza delle sue parole, i pensieri che le dettano, si chiederebbe
quanto un uomo
possa essere pazzo per mettere in scacco la propria vita per una sconosciuta
e insieme
a lei; ma evidentemente la ragazzina deve aver compiuto
qualcosa di grande, se
la sua strada l’ha portata a incrociare quella di Kunikida.
Era già scritta ogni cosa: una vicenda nata tragedia e
tramutatasi in
commedia, un uomo retto a donare speranza, un cuore giovane a farla
risuonare —
e un paio di occhiali da far riparare, anche: un sacrificio
all’ideale e alla
sua integrità, unica vittima.
Di fronte alla Fine, Doppo
ha fatto la sua scelta; e ora tutto il mondo lo sa.
Ma
nero è il colore dei capelli del
mio vero amore
Le sue labbra sono simili a
una
bellissima rosa
Ha il volto più dolce e le mani
gentili
E io amo il terreno sul quale si
posa.
…
Yokohama, tuttavia,
come non dimentica le vittorie, continua a trattenere anche le
sconfitte: e al
giungere della mezzanotte — quando inizia un nuovo giorno ma
nel buio non vi è
certezza — o nel segreto dei vicoli, sfama i suoi fantasmi e
se ne prende cura,
li lascia liberi ogni qual volta questi vogliano rincontrare i vivi.
Ed è un’ombra dalla lunga
chioma nera, discreta e imprendibile, quella che improvvisamente si
unisce alla
figura di Kunikida e si aggrappa alla sua schiena, appoggiandovi contro
la
testa come se fosse ancora viva.
Labbra di seta lo
costringono a bloccarsi e sussurrano la loro verità,
imprimendosi nel cuore di
chi ascolta come una freccia di fuoco: Hai salvato lei, ma
non me; questa
volta ce l’hai fatta, ma ci sono anch’io.
Non mi lasciare indietro, sola nel
mio vuoto.
E la presenza adombra
ogni cosa, fa scendere una tenue caligine sul sollievo di una giornata
senza
sangue; ma è questione di un attimo.
«Lo sai che non ti dimentico. È una mia
scelta.»
Il fantasma rimane
immobile, assorto nell’eco della voce; quindi allevia la
presa sulla pelle,
scivola via dal corpo ma si ferma al suo fianco.
«Sta scendendo la sera,
Kunikida… ti stanno tutti aspettando.»
Il tono dolce di Yosano lo
riporta alla realtà, ma non totalmente; quando riprende il
suo viaggio, l’invisibile
ombra è legata a quella mano che lui ha aperto pochi istanti
prima, e non
ancora chiuso.
Al di là delle scelte e della Sorte, vivono
realtà destinate a restare per sempre.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Lo so che il personaggio di Sasaki non è molto apprezzato,
eppure, a
parer mio, è indiscutibile la sua importanza per Kunikida:
lo ha segnato nel profondo,
quindi ha senso che, come immaginazione o meno, a volte lei torni a
fargli
visita.
Questa shot è stata scritta per la mia Flos
Ignis,
che stravede per il nostro amato idealista ♥
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 12 *** Solo; Freddo (Karma) ***
14#
— Solo; 15# — Freddo
Personaggi:
Karma, Fyodor Dostoevskij
Canzoni: Stratosphere ~ Starset
Numero parole: 893
Ho attirato i
tuoi occhi,
rapace
E ora non posso cauterizzare
la ferita aperta che hai
inflitto
… Tu mi riempi i polmoni,
e sottrai l’aria.
«La
tua anima è in
pace, fanciullo smarrito? La purificazione ti ha portato a casa?
Dimmelo,
voglio sapere ogni cosa.»
La città che sorge alle
sue spalle, imperlata dalle lacrime del mattino e quieta come mai
l’ha udita —
ora che motivo c’è di urlare, chi soffre
più? Anche le voci che ha conosciuto
hanno perso forza e sono precipitate insieme alle lacrime —,
è più distante dall’oceano
rispetto alla corrispettiva reale; è per questo, si dice
Karma, che non ha
ancora trovato la voglia di ritornare a camminare in quel grembo di
pietre e
ombra.
No, non ha paura, non di
lei; ma prima di quel viaggio, ha bisogno di percorrere per intero la
lunga
spiaggia sulla quale si è risvegliato dopo la fine,
la stessa che allora
ha guardato da dietro una finestra, nei giorni immobili e nel buio
sussurrante.
I piedi affondano
dolcemente nella sabbia dorata e le piante sentono tutto il calore che
i
granelli hanno raccolto dal sole, le vibrazioni delle onde che portano
la
schiuma a riva e subito tornano a giocare al largo; ora che non ha
bisogno di
mangiare né dormire, può passare tutte le ore che
vuole a inseguirle, avanti e
indietro e sempre più in là, fino a quando la
luce si tramuta nella carezza
degli abissi.
I giorni volano sulle ali
della libertà finalmente giunta e disfano la tela delle
paure, anche se è solo
— così com’è stato in vita;
eppure, questa volta ha scelto lui di non avere nessuno
dal quale fuggire o con il quale scambiare unicamente silenzio.
Quando si è per proprio
conto, niente può ferire o tormentare, non esiste pericolo
di sentirsi spezzare
dal vuoto; e se la memoria rimarrà distante, se non
incontrerà i volti dei
vecchi compagni e la traccia di ciò che è stato,
non potrà che essere un bene.
È questo che il giorno
protegge, il giovane e la sua calma; perché nella notte lui
giunge,
portato dalle stesse ali del buio, e Karma non può chiamare
i sogni come scudo,
ora che non esistono più.
Perché non accade sempre,
ma a volte il corpo è pervaso da un fantasma che brucia e
congela al medesimo
tempo, immobilizza e allontana il canto dell’oceano,
trasporta tutto il mondo
dentro al sospiro dell’inverno; perché
è quello il momento in cui le stelle si
spengono a una a una e la notte s’ammanta di un velo rosso,
mentre nel cielo e
proprio accanto a lui appaiono due occhi viola, arrivati attraverso
porte che
né mortali né anime possono attraversare
— ma lui non è come gli altri.
Questi
lo scrutano e rifulgono del sorriso che si apre non appena Karma gli
rivolge
attenzione, e nell’assenza continua a parlare solamente una
voce calma: Ho
visto quello che emani e ho stretto la mano per prenderne un pezzo con
me. Ti
ho tolto dalla corruzione, emendato dalla colpa.
Il ragazzino non riesce
mai a rispondere con ciò che prova veramente: ma il freddo
sembra comprendere
le parole non dette, così come il giovane che lo conduce
ovunque. Quanti ha
reso come lui, e chi torna a visitare con la stessa
curiosità? Il mondo respira
già nelle ombre che lui ha promesso, o qualcuno ha trovato
il coraggio di
contrastare il suo cammino?
Perché
non torni in
città?
«…
Ognuno ha luoghi che
non può e deve raggiungere. Considerala
un’espiazione.»
Il suo assassino
assottiglia gli occhi quando risponde così, ma resta quieto;
e Karma non
replica, tuttavia lancia uno sguardo alla Yokohama che attende le anime
dei
suoi abitanti, per poi farsi più vicino alle onde.
Dostoevskij è un vento
niveo che spira sul collo di chiunque lo abbia chiamato, e il rosso non
fa
eccezione: non si sfugge all’abbraccio del buco nero nemmeno
quando questi ti
ha ormai schiacciato, e se all’inizio Karma ha trovato una
sorta di pace nell’andarsene
per mano di un’anima tanto singolare, ora rivederlo sotto
ogni luna,
all’interno della sua stessa ombra come un riflesso
rovesciato e annerito, gli
instilla anche il timore di cosa potrebbe succedere se si recasse in
città. Se
le ferite guariscono, le cicatrici rimangono: non può
portare la mano del
demone in mezzo a chi ha vissuto troppo e ora ha bisogno di pace, su
coloro che
sono innocenti… è una questione e una compagnia
solamente sua.
Ed ecco che la solitudine
ritorna a essere la realtà che più si adatta a
lui, per proteggerlo e
proteggere, anche in questa notte popolata da voci: qualcuno,
più di uno, si
sta avvicinando alla spiaggia riempiendola di risate e richiami,
facendo
tremare l’aria.
Per un solo istante,
l’impulso caldo di andare incontro ai nuovi arrivati e unirsi
a loro, anche se
per un unico attimo, è talmente forte che il ragazzino prova
la sensazione
di un brivido; ma la sua ombra e l’altro
lo afferrano per i polsi e lo tengono
ben stretto al luogo in cui si trova, ricordandogli il suo posto.
Rimarrà indietro un’altra
volta, distante da ciò che anche lui meriterebbe almeno in
parte: non è stato
un eroe in vita, ma qualcosa ora può fare.
E non si dica che i
giovani non sanno prendersi le proprie responsabilità, o
sapere come soffre un
uomo.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Ok, questa storia è stata pensata per essere angst ed
è venuta anche più
ombrosa del previsto, allegria!
E nonostante io sia tra quelle povere anime che vorrebbero vedere Karma
vivo e magari come aiutante di Fyodor perché
sì, sono consapevole del
fatto che, per quanto ne sappiamo su Dostoevskij, non ci sono motivi
per pensare che
sarebbe potuta andare diversamente *piange forte*; invece, è
per me più verosimile che
il ragazzino se lo riveda intorno spesso anche dopo la morte.
La shot è il riflesso della precedente, dove là
era un morto che andava
a trovare un vivo, ma è anche legata a una che
verrà successivamente, e qui
entreranno in scena personaggi ben diversi… il mio cuoricino
già freme *^*
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 13 *** Proiettile (Oda) ***
16#
— Proiettile
Personaggi:
Sakunosuke Oda, Soseki Natsume
Canzoni: Run Boy Run ~ Woodkid
Numero parole: 591
Domani
è un altro giorno
E tu non dovrai
nasconderti
Sarai un uomo, ragazzo!
Domani è un altro giorno
E quando la notte svanirà
Sarai un uomo, ragazzo!
Molti
credono che tu non
abbia un’anima; e tutte le volte che hai fissato il tuo
stesso riflesso
emergere da sangue innocente — un fantasma senza voce,
un’ombra informe che si
mette in fila con le altre —, se n’è
convinto anche il cuore.
Tanti dicono che non ti
puoi più salvare, dannato come sei; eppure, ora è
evidente che qualcuno crede
diversamente e con calme parole ti ha mostrato una realtà
opposta.
Nessuno, in questa sera
che sta divenendo notte, può vederti mentre cammini su una
spiaggia inumidita
dall’acquazzone appena cessato: sei solo ad affrontare il
turbamento, a sentire
un dolore che non avresti mai immaginato di poter provare.
Essere pronti a tutto non
vuol dire sapere che cosa ci attende, né che un giorno il
proprio mondo vada in
frantumi — di certo, non attraverso la gentilezza.
Come ci si sente a
trovarsi dalla parte di chi il proiettile lo riceve, vittima di un
colpo e un
bacio ben diverso da quello del metallo, più veloce e
devastante?
Cosa provi ora che il mormorio
dell’oceano è flebile, allontanato dalle parole di
un uomo per nulla diverso
dagli altri — o così hai creduto? Nessuna
implorazione ti ha mai fatto cambiare
idea davanti agli ordini, non un’esitazione ti ha mai
attraversato la mente: le
macchine agiscono e basta, non si creano strani perché, non
si fermano davanti
al respiro di una vita… ma tu, caro ragazzo, non sei più
ciò che eri.
Che si dica pure che non
possiedi un’anima: chi non ti vede mentre tremi non
può immaginare che ora la
pistola è divenuta pesante e ti lacera il fianco, non
può comprenderti mentre
vacilli al pensiero di prendere una penna in mano e aprirti una strada
diversa,
che conduca via, lontano da qui. Di certo, dici e ripeti a te stesso,
si è
trattato solamente di un sogno: reale e profondo, disturbante, ma che
rimane
lontano dal vero. No, non può essere reale, tu sei nato per
uccidere…
… Non per sentirti
fragile come cristallo, non per tutto questo.
«Stai bene, ragazzo? Respira
forte.»
Lo sguardo dell’uomo, lo
stesso che ti ha parlato qualche ora prima, non ti lascia andare un
istante e
penetra sempre più in profondità nella carne,
ignorando ossa e muscoli, dritto
a un cuore che non riconosce più nulla di ciò che
riceve e dà.
Anche questo non è reale,
forse, ma per la prima volta da anni senti il
bisogno di urlare tanto da
ferire i polmoni e, forse, impazzire; le onde
tacciono, si sciolgono
lontano.
Eppure, sei appena
divenuto consapevole che non si può fuggire sempre, che a
volte accettare,
maturare, evolversi è quello che più si vuole:
dentro di te, in realtà, cosa
stride di più? Il turbamento di ora, o i fantasmi
dell’allora? Qual è la voce
che fa più male, la nota fuori coro, che non ti appartiene?
Quale scelta ti
renderebbe più felice?
La verità difficilmente
giunge senza prezzo, né con una moneta di bassa lega.
Riposa, ragazzo, stenditi
sulla spiaggia e lascia che la notte passi indisturbata: al mattino, ci
sarà
una storia ad aspettarti e un capitolo da scrivere — tocca a
te, ora.
Lascia crescere le
sensazioni che sai di non poter estirpare, prendile per mano e
conducile
ovunque tu voglia: sei nato sotto l’occhio di queste stelle,
e nella corsa
della tua nuova vita, un giorno ne scoprirai il motivo.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Finalmente posso ritornare ad aggiornare la challenge, e quale miglior
occasione per ripartire, se non iniziando (assai timidamente e
timorosamente) proprio
dal mio adorato Oda? ♥ Su questa shot non so bene cosa dire,
perché ho sempre
trovato i momenti tra Oda e Natsume talmente profondi che mi ci sono
avvicinata
in punta di piedi, nonostante la grande voglia di parlarne.
Non ho mai pensato di farla lunghissima, bensì di trattare
l’inizio di
una lunga notte colma di pensieri e considerazioni, completamente
diverse tra loro
ma comunque devastanti; e per il resto, di lasciare al canon quanto
già detto
dagli autori dell’opera, di certo più capaci di me.
Verrà il giorno dove tratterò di Oda senza
provare un’enorme paura di
rovinare il suo personaggio? Può darsi *fugge via*.
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 14 *** Sogno (Sigma) ***
17#
— Sogno
Personaggi:
Sigma, Nikolai Gogol’
Canzoni: Bringing It Down
~ Starset
Numero parole: 1026
C’è
qualcosa, dentro te,
che non funziona
C’è qualcosa, dentro te,
che perseguita i tuoi sogni di notte
C’è qualcosa che hai
perduto
E lo stai trascinando a
fondo.
Nemmeno
dallo Sky Casinò si
è mai vista una simile stellata. Lassù,
addormentate tutte le luci della
struttura e i suoi occupanti — quasi
tutti —, scesa la calma nei lunghi
corridoi, il corpo della Via Lattea si mostra senza sforzo,
occhieggiando nella
sua veste imperlata e gettandosi ben oltre le regioni
dell’orizzonte, dove
l’occhio corre senza raggiungere una vera meta. Il vento,
respiro
dell’oscurità, scivola sopra i muri e porta via i
pensieri, disperdendoli come
foglie in un autunno che dura il tempo del buio; rimane
l’uomo, il silenzio, l’attesa
di qualcosa impossibile da trovare e le sensazioni che niente, neppure
un
uragano, potrebbe strappare — sono loro stesse la tempesta.
Ma questo firmamento, e
la notte insieme a esso, è completamente diverso:
più distante da chi lo guarda
eppure di un nitore sconvolgente, ruota sul capo del mondo intaccando i
sogni
di chi incontra, scendendo come pioggia di cristallo sotto la pelle,
nella
mente, là dove si agita l’inconscio.
Dormendo di un sonno
fragile, incerto, Sigma strozza un singulto appena spalanca gli occhi e
inizialmente non riconosce ciò che lo circonda, e fa lo
stesso appena ridiscende
nella realtà che attende al di sotto delle palpebre, con il
suo vortice d’immagini
in frammenti, sensazioni e lampi inafferrabili. Come sempre, il giovane
insegue
quei fantasmi spezzati ovunque questi vogliano condurlo, in cielo e in
terra;
ma benché siano ridotti a metà, incapaci di
mantenere una forma sicura, corrono
più veloci di lui e svicolano ai suoi tentativi di presa, si
tramutano in
bagliori simili a fotografie sfocate, cadono in un vuoto nero e
liquido, in
un’onda color pece: un abisso soffocante.
E Sigma, Sigma non può
far altro che cadere dietro di loro e precipitare sempre più
in basso, fino a
quando i sogni non lo scacciano e lui sente sotto la schiena la soffice
presenza del materasso, il freddo bacio del pavimento o il nulla, se
tarda a
riemergere nella realtà e rimane sospeso tra l’uno
e l’altro mondo.
Ma
cos’è l’esperienza che
definisco “realtà”? Dove vivo
— e vivo davvero?
Destandosi
per l’ennesima
volta, la schiena che si lamenta per il rigido suolo e il dolore al
petto sordo
e intenso come un colpo di tamburo, Sigma si appoggia ai gomiti e si
solleva un
poco, una lacrima a incidergli le guance. Respira a fondo, ma attenua
la
veemenza con cui lo fa non appena ode, a poca distanza da lui, il
giovane con
il quale condivide lo spazio voltarsi nella sua direzione.
«Sigma-kuuuun, muoviti
piano o ti si riaprirà la ferita! Fai attenzione!»
«… Nemmeno tu riesci a
dormire?» Sigma non sa perché, tra tutte le cose
che vorrebbe dire e l’opzione
dell’ostinato silenzio — specie perché
non si sa mai come Nikolai Gogol’
possa reagire —, pronuncia proprio quelle parole; ma
obbedisce a quanto l’altro
gli consiglia e si ridistende lentamente, tastandosi appena il petto.
«No! Devo badare a te,
non posso dormire!», è la risposta, immediatamente
seguita da una breve pausa.
«Comunque, ti consiglio di insonorizzare le camere del
Casinò, se non hai già
provveduto: te l’hanno mai detto che urli nel
sonno?»
Sigma abbandona la vista
del cielo e serra nuovamente le palpebre. Questa volta, i sogni non
arrivano,
né lo faranno tanto presto. «Lo so.»
«Ah, quindi—»
«Lasciami stare, per
favore.» Il fruscio del vento s’insinua
nell’interruzione, la colma. «Non
parlare.»
Gogol’ obbedisce e non
replica, nemmeno per lanciare una delle sue classiche, irritantissime
battute,
e questo sorprende Sigma di un poco, strappandogli un silenzioso
ringraziamento. Portandosi le gambe al petto e sciogliendo
immediatamente la
posizione per il brivido doloroso che gli ha attraversato la spina
dorsale, il
giovane si allontana dalla vista degli astri avvolgendosi nei propri
capelli e
fissa un punto nel buio, come attendendo che questo assuma figura e gli
parli.
Di nuovo, nessun sogno: le illusioni non appartengono a questa notte,
non gli
parleranno di una casa e una famiglia.
Se le ha avute, le ha
perse; se non ci sono mai state, difficilmente le troverà ora.
«Non voglio tutto
questo», mormora, tentando di non farsi sentire,
«perché le cose non vanno mai
come desidero?»
«Perché nessuno ti dà
quello che vuoi. È dannatamente semplice.»
No, di dannata c’è tutta
quella situazione: la compagnia di una persona che non desidera avere
accanto,
la perdita dell’unico luogo in cui poter fingere di star
bene, un futuro
instabile e un passato che gambe non ha; e sé stesso,
l’ombra che resiste anche
nel pieno del giorno, il cuore oscuro nel sole. Il sogno che infine
giunge, improvviso
e rapace, è altrettanto nero: sorge dal suolo come la falce
lunare, si allunga
sopra di esso e tende artigli di fumo verso il volto del giovane.
Non una parola lascia la
bocca dell’entità che si avvicina, più
buia della notte stessa, ed è per questo
che, forse, fa così paura; e quando Sigma spalanca le
palpebre e balza
indietro, spaventato, non si ricorda di quanto ha visto dopo.
Tremante, affannato,
si ritrova lontano dal luogo in cui si è disteso; e Nikolai,
appena rivelato
dal battito stellare, gli è accanto e lo osserva a occhi
stretti.
Un movimento repentino
segue subito dopo, reso noto dal fruscio del tessuto che scivola via
dalla
pelle; quindi, Sigma si trova il clown chino verso di lui.
«Ecco quanto so,
Sigma-kun», sussurra questi porgendogli la mano denudata del
guanto, nessuna
traccia di scherzo nella voce, «ciò che vuoi
conoscere, una parte di quello che
cerchi o tutto, è qui. Ma fai attenzione a cosa desideri:
questa volta potrebbe
fare male.»
Non
si torna indietro.
Il ragazzo sente un altro brivido sciogliersi lungo la schiena e
deglutisce, ma
niente si perde nella gola inaridita. Tende una mano verso le lunghe
dita di
Gogol’, esita un istante. L’oscurità
attende, paziente, che tutto si compia o
rimanga com’è sempre stato; che il suo sognatore preferito decida da sé se quella sia la realtà, o l’ennesima visione che il mattino si porterà via insieme a tutte le lacrime mai versate.
ANGOLO
DI MANTO
Salve
**
Ok, nemmeno io so bene come interpretare questa storia, davvero. Mi
sono
solamente immaginata la notte seguente al momento in cui
Gogol’ salva Sigma, e
ovviamente tutti i demoni di quest’ultimo; da qui
è partita la domanda, che
chissà se avrà risposta in breve: e se in cambio
dell’aiuto di Sigma nell’uccidere
Fyodor, Nikolai gli rivelasse quello che vuole più
conoscere, ovvero la propria
storia?
Avrei voluto rendere tutto meno angosciante e più
shippy, ma così
è uscita.
Un abbraccio,
Manto
|
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Capitolo 15 *** Nuovo Cappotto; Torta; Benda; Oscurità; Perdono; Hallowen (Karma) ***
26# — Nuovo Cappotto; 27# — Torta; 28# — Benda; 29# — Oscurità; 30# — Perdono; 31# — Hallowen
Personaggi: Karma, Sakunosuke Oda, André Gide, Arthur Rimbaud, Le Flags
Canzoni: Alive ~ Sia + King Again ~ Lauren Aquilina
Numero parole: 1666
Particolari avvertimenti:
1 – Questa shot si ricollega a quella con i prompt “14. Solo – 15. Freddo” (Capitolo 12) e ne rappresenta il proseguimento.
2 – I prompt dal 18 al 25 non sono presenti in questa raccolta perché trattati separatamente in una storia a parte, “E Torneranno Le Stelle”, incentrata su Gogol’ e Sigma.
Sono nato in una tempesta
Sono cresciuto di notte
Giocavo da solo
Sono sopravvissuto
Volevo tutto ciò che non avevo mai avuto,
Come l’amore che arriva con la luce.
C’è qualcosa di nuovo nel vento che spira dall’oceano; c’è qualcosa di più, semplicemente intenso e disperato, nell’oscurità che scende come un velluto sul calore del giorno e accende la città, risveglia il cuore e la festa.
Dando le spalle alla spiaggia dove si stanno riunendo sempre più voci e persone, dove anche lui dovrebbe stare, Oda osserva le onde che gli abbracciano i piedi nudi e poi scivolano via, per ritornare di nuovo e continuare il gioco; ma queste sono inquiete, quasi in attesa di un evento che, in una notte normale, non avrebbe luogo lì dove si trova ― dove si trovano tutti loro.
Sembra che ci sia un elemento estraneo che voglia penetrare nella loro realtà, una nota in disaccordo e fuori posto nello spartito immutabile; e quella nota, quella macchia che più la si immagina più si allarga e minaccia, cerca qualcuno di specifico.
La nuca gli prude di una lieve sensazione di pericolo, come se potesse essere messo in scacco anche nelle terre dove si è solo anima e niente può far più male; ma non è lui il bersaglio, se ne rende conto appena le onde gli sfiorano le caviglie per l’ennesima volta e gli svelano ciò che sanno.
Qualcuno da salvare, da proteggere. Il Paradiso non è tale per tutti.
«Ci sono forse fantasmi, in questo oceano?»
Oda volta appena il capo, ma senza staccare gli occhi dall’acqua. Anche così, lo sguardo penetrante di André Gide lo raggiunge e chiede cortesemente una risposta, e solamente nell’espressione dell’altro Sakunosuke si accorge di quanto sia impallidito. «Forse», risponde il giovane mentre si avvicina maggiormente al nuovo arrivato, «non lo senti anche tu? È come quando eravamo in vita e ogni cambiamento aveva dentro sé il potere di toccarci. Sta per accadere qualcosa, ed è sbagliato.»
Il balenare di un sorriso lo spinge a girarsi completamente verso Gide. «No, la domanda giusta è: lo senti solamente da questa notte?»
La frase viene pronunciata da entrambi quasi nel medesimo momento e con le stesse parole, alle quali segue un silenzio dalla profondità degli abissi; ma solamente per un istante, il tempo che una terza figura li assalti gioiosamente alle spalle, trascinandoli alla festa che attende unicamente loro per essere completa.
Pur essendo calata la notte, il cielo è rischiarato da tenue luce: Karma lo scorge dalle nuvole che vanno creandosi e sformandosi davanti alle stelle, nei bagliori che arrivano fino ai suoi occhi e filtrano la benda d’ombra che gli copre il volto.
È come una mano che non vuole che lui sia libero, che preme la bocca per non lasciargli sfuggire nemmeno un grido e serra alla vita al pari di un legaccio, che lo fa prigioniero e allo stesso tempo, tremendamente, dolorosamente, lo tiene al sicuro — forse.
Lui non è stato fatto per le risate e la spensieratezza che sente crescere a qualche metro di distanza dagli scogli in cui la sua stessa mente lo ha portato; non appartiene alle persone che si stanno riunendo, ma neanche a sé stesso.
Ed è sempre più difficile resistere ai richiami che vengono da quel luogo dove molta umanità si sta incontrando, ma ancora peggio provare a ubbidire alle illusioni pronunciate dalla voce notturna che lo inchioda al suo posto.
L’alba stenta a sollevarsi, l’oscurità si prolunga; sta diventando pazzo, o tutto vibra e si corrode, si scioglie e muta, lo trascina via con sé?
Una torta, un nuovo cappotto a testa… e un ragazzino.
Rimbaud e Oda si aspettavano un regalo per il compleanno condiviso[1], ma di certo non che Gide scomparisse nuovamente nelle tenebre per lunghi minuti e, al suo ritorno, recasse tra le braccia uno scricciolo dai capelli rossi e dai grandi occhi serrati per la paura, così tremante da dar l’idea di racchiudere un terremoto dentro sé.
Lo ha sentito da lontano, questo dice lo sguardo dell’uomo mentre il gruppo si azzittisce e anche le Flags perdono un poco la voce, sorprese e leggermente confuse, mentre fissano il piccolo Karma rannicchiarsi istintivamente contro il petto di Gide e rifiutarsi di sollevare le palpebre ⸻ forse neppure ci riesce.
I festeggiati lasciano i loro posti al medesimo tempo e accorrono a vagliare le condizioni del ragazzino, ed entrambi i cappotti vengono levati per avvolgerlo in qualcosa che allontani i tremiti.
«Dove lo hai trovato?», mormora Sakunosuke, le dita che hanno quasi paura mentre si tendono verso la fronte di Karma e la sfiorano con delicatezza. Sotto di queste sente la febbre vagare senza riposo, un bacio infuocato così anomalo, lì in Paradiso.
«È venuto lui da me», replica André mentre si siede al tavolo che le Flags hanno preparato per la festa, rifiutandosi di lasciar andare il ragazzino, «barcollava come se avesse percorso a nuoto l’oceano intero.»
«Ha la febbre», spiega Oda, e immediatamente dopo Arthur gli posa una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione. «… E non è solo.»
Tutti si voltano nella direzione che Rimbaud indica, ed eccola: la tenebra, un enorme grumo di buio pulsante a pochi metri da loro, che allunga i suoi filamenti di pece fino alle gambe penzolanti di Karma; non riesce a raggiungerle, bloccato dalla presenza di troppe persone, e allora attende, aspetta che il gruppo si apra e lasci andare la preda.
Nessuno di loro possiede più la propria Abilità, ma non c’è chi non si metta sulla difensiva; anche se è per uno sconosciuto, qualcuno che non ha alcun tipo di legame con loro, e seppure quel cuore oscuro non abbia ragione di esistere né loro sappiano nulla di esso e delle sue capacità.
«Lasciami andare», mormora improvvisamente Karma, non si sa se a Gide o all’entità che gli dà la caccia, «lasciami in pace.» Il ragazzino ha un ultimo spasmo, quindi cade addormentato: il respiro si fa più regolare, il corpo si calma e, a seguito di una veloce indagine da parte di Arthur, la febbre è già svanita.
Non hanno tempo di stupirsene: l’alba arriva, onda su onda mentre si fa trasportare dall’oceano; con un sibilo che cade presto nel silenzio, l’Ombra impallidisce nel cielo, se ne va.
«Non volevo farvi spaventare in questo modo… non dovrei neppure essere qui.»
Karma stringe il cappotto di Arthur Rimbaud, quello sotto cui si è svegliato da poco, e abbassa il capo; ha un tumulto di pensieri nel cuore e nella mente, tante domande e poche risposte, è perplesso: da quando ha incontrato l’uomo dai capelli candidi e finito per perdere i sensi contro di lui, la sua nera compagna ha iniziato a morire.
Così sembra.
Ha dormito per cinque giorni, gli ha detto colui che ha privato del proprio abito; e sempre secondo le parole di questi, il momento del suo risveglio ha seguito quello della completa scomparsa del suo incubo personale. È arrivato un giorno capace di annullare anche l’anima stessa del buio.
Forse. Il letto in cui si trova, l’azzurra stanza che lo circonda e la casa intera, che sorge a poca distanza dalle onde, mandano un palpito di luce in risposta.
«Perché dici questo?»
Il proprietario del cappotto, seduto accanto a lui, non è l’unica persona nella stanza; c’è anche un altro adulto, sguardo serio e capelli rossi quasi come i suoi, che dai piedi del letto lo osserva a occhi socchiusi e con un angolo della bocca incrinato nel principio di un sorriso. «Hai paura?», domanda di nuovo, e Karma esita un attimo. «Era mio dovere tenerla lontana da tutti», mormora in risposta, l’unica che sa dare.
«Dovere? Se fossimo stati ancora vivi, ti avrebbe ucciso…»
«Lo ha fatto.» Una pausa. «Quell’ombra è ciò che ha posto fine alla mia vita.»
I due uomini si lanciano un’unica, lunga occhiata. «Ti ha seguito fino a qui…»
«Per questo sono sempre stato lontano da tutti», assentisce e risponde Karma con una nota di mortificazione e richiesta di perdono nella voce, «ho portato l’Ombra del mio assassino con me; e ho tentato di non proiettarla sugli altri.» Fallendo. Oh, l’oscurità racconta una storia ben diversa… non posso perdonarmi per questo. «Non dovrei essere qui… mi dovete scusare per ciò che hai fatto»
«L’Ombra che temi… non c’è più, ora.» Il rosso ⸻ se Karma non si confonde e ha sentito bene nel dormiveglia, si chiama Oda, Oda Sakunosuke ⸻ lascia i piedi del letto per avvicinarsi lentamente al fanciullo e, con grande sorpresa di questi, gli si inchina davanti. «Ma questo lo devi vedere tu stesso», mormora l’uomo, tendendogli una mano, «è necessario che lo comprenda da te.»
Per qualche attimo, Karma lo fissa come se non capisse quanto gli viene detto; quindi i suoi occhi s’illuminano un poco mentre porge il cappotto al legittimo proprietario e si mette a sedere. Peggio di così non può andare…
… Ma se mi stessi fidando di nuovo delle persone sbagliate? Non ho imparato nulla?
«E se in verità niente fosse mutato?»
Un tenue sorriso, ma sincero e sicuro. «Potrai decidere liberamente cosa fare, in quel caso. Nessuno dovrebbe impedirti di scegliere il meglio per te, neppure le tue paure.»
C’è un metodo nella mia pazzia
Non c’è logica nella tua tristezza
Non ottieni una sola cosa dalla sofferenza
Prendila da me.
Il ragazzino non replica più; ancor meno quando Rimbaud si alza per aprire maggiormente le finestre e l’oceano si riversa dentro la stanza con un sospiro blu. «Che giorno è?», chiede dopo lunghi attimi, lo sguardo perso nello splendore di un mattino che promette pace. Un sentore di forte calore intesse l’aria, giungendo da lande distanti da tutti loro, forse non poi così tanto.
Arthur non risponde immediatamente ma guarda l’orizzonte per ancora un istante, quindi si gira verso di lui e Oda, che intanto sta sorridendo di più. «Il giorno in cui siamo più vicini a chi non abbiamo più accanto; e quello che, volta per volta, ci insegna a perdonarci.»
NOTE
[1] Rimbaud è nato il 20 Ottobre, mentre Oda il 26. Ho pensato che fosse carino far condividere loro il compleanno.
ANGOLO DI MANTO
Non ho davvero più nulla da aggiungere; finalmente sono arrivata alla fine di questa raccolta, finalmente sono riuscita a completarla come volevo. Riconosco che certi personaggi avrei voluto trattarli maggiormente, ma non succede nulla: lo farò comunque, in una maniera o in un’altra.
Ora tocca a voi: lascio che siate voi a continuarla come volete, con pensieri e immaginazioni, con considerazioni o nel più semplice silenzio… sperando di rivederci presto su questo fandom.
Un grande, grande abbraccio,
Manto
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