Le Cronache della Fine

di dirkfelpy89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno a Casa ***
Capitolo 2: *** Confronti ***
Capitolo 3: *** Resa dei Conti ***
Capitolo 4: *** Villa Rosier ***
Capitolo 5: *** Primo Giorno di lavoro ***
Capitolo 6: *** Attacco al Corteo ***
Capitolo 7: *** Cinque Auror al Bar ***
Capitolo 8: *** Riunione a Villa Lestrange ***
Capitolo 9: *** Il Funerale ***
Capitolo 10: *** L'eremita e gli Incappucciati ***
Capitolo 11: *** Festa a Shafiq Manor ***
Capitolo 12: *** Black Manor ***
Capitolo 13: *** Decisioni ***
Capitolo 14: *** Diadema di Sangue ***
Capitolo 15: *** Molti Incontri ***
Capitolo 16: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 17: *** Vita e Morte ***
Capitolo 18: *** Una Nuova Missione ***
Capitolo 19: *** Missione Compiuta ***
Capitolo 20: *** Riunione Familiare ***
Capitolo 21: *** Qualcosa per cui Lottare ***
Capitolo 22: *** Un Incontro Inaspettato ***
Capitolo 23: *** Un Natale Indimenticabile ***
Capitolo 24: *** Nascita ***
Capitolo 25: *** The End Begins... ***



Capitolo 1
*** Ritorno a Casa ***


Capitolo 1, Ritorno a Casa

 



Il treno avanzava lentamente per le verdi colline di quella parte poco abitata del Devonshire.
Le tre vecchie carrozze di color verde, trainate con difficoltà da una locomotiva alquanto antiquata, erano indubbiamente vecchie, sporche, avevano sedili scomodi e logori e le pareti erano rovinate da graffiti lasciati, nel corso degli anni, da numerosi vandali. Da diverso tempo la linea ferroviaria era decisamente poco trafficata e così il governo regionale aveva deciso che quel convoglio sarebbe stato cancellato l'anno successivo, sostituito da una più comoda, e meno costosa, linea di autobus per i pochi abitanti di quella zona.

Con circa mezz'ora di ritardo il treno giunse finalmente al capolinea, una piccola stazione composta da soli due binari arrugginiti, una piccola banchina, una biglietteria automatica e un distributore di bevande, quasi sempre guasto. Le porte si aprirono lentamente e, con difficoltà, circa una decina di persone saltarono fuori dal convoglio, lamentandosi del grosso ritardo accumulato e della scomodità del mezzo.
"Dovevo arrivare a casa per mezzogiorno… e ora chi lo sente mio marito?" Esclamò una donnona piuttosto arcigna. Un'altra scosse la testa.
"Prima demoliscono questo rottame, meglio è!"

Solo una persona, un ragazzo dalla carnagione olivastra a metà tra i venti e i trent'anni, non disse nulla, non scambiò nemmeno un saluto con i compagni di viaggio ma semplicemente si incamminò fuori dalla stazione con una grossa valigia in mano.
Uscito dalla stazione, a riparo da occhiate indiscrete, il ragazzo estrasse una bacchetta magica. Due tocchi e miracolosamente la valigia si alzò galleggiando per aria, seguendo lentamente, ma stabilmente, i passi del padrone.

Mark Shafiq, nonostante fosse il membro di una nobile famiglia Purosangue, aveva deciso di inaugurare il suo ritorno a casa con un mezzo, il treno, che lo aveva sempre affascinato.
Dopotutto l'Espresso per Hogwarts aveva inaugurato la sua carriera scolastica, il diretto Parigi - Varsavia il suo viaggio di studi, quel treno scalcinato era perciò l'ideale per iniziare una nuova, ennesima, fase della sua vita.
Dopo quasi sette anni passati in giro per l'Europa ad approfondire i suoi studi, provava un desiderio quasi viscerale di rivedere i luoghi della sua gioventù.
Sentì l'aria frizzantina pizzicargli la pelle, lasciò vagare il suo sguardo per i campi incolti, godendosi il sole autunnale, e poi si mise in marcia, seguendo una strada in terra battuta.

Man mano che il ragazzo avanzava per quel sentiero sterrato, il paesaggio continuava a cambiare. Le verdi colline vennero sostituite da pianure un tempo coltivate ma adesso dominate da erbacce e sterpaglia, acquitrini che in passato erano stati bonificati con difficoltà e che adesso, senza controllo, erano tornati a occupare il loro spazio naturale, bloccando un paio di volte la via del ragazzo. Vecchi ruderi, case diroccate e abbandonate ogni tanto comparivano alla sua vista.
Era entrato nei territori che un tempo la sua famiglia controllava.

Gli Shafiq erano originari della penisola araba ma la loro vocazione di mercanti gli aveva permesso di viaggiare in lungo e in largo il Medio Oriente fin da tempi molto antichi.
Con l'arrivo delle crociate la sua famiglia, composta principalmente da mercanti che avevano sempre messo al primo posto, nella loro scala di valori, il guadagno e al secondo la religione e gli interessi del suo popolo, ben presto iniziò a fare affari con questi conquistatori venuti da lontano.
Un paio dei suoi antenati arrivarono ad avere rapporti così stretti con gli invasori da ottenere il permesso di trasferirsi in Francia e poi addirittura in Gran Bretagna, agli inizi del 1200, una volta abbandonata la loro religione e i loro costumi.
Mercanti esperti e ricchissimi, una famiglia dal sangue puro, gli Shafiq presto entrarono nelle grazie della nobiltà Babbana e magica, tanto che alcuni di loro divennero dei potenti e apprezzati consiglieri del re e ben presto potettero ottenere un piccolo appezzamento di terreno da gestire.

Le cose andarono benissimo fino allo Statuto di Segretezza: gli Shafiq furono costretti a perdere tutta la zona sud del loro piccolo feudo, abitata principalmente da Babbani. Le disgrazie della sua famiglia però erano appena iniziate.
Nel 1830 il Devonshire dovette assistere a una guerra intestina nella famiglia tra i tre gemelli Shafiq, in lotta per decidere chi avrebbe dovuto ereditare Shafiq Manor e il ruolo di capofamiglia. Questa lotta si allargò alla piccola cittadina, con numerosi feriti e anche qualche morto, tanto che il Ministero dovette alla fine intervenire e togliere la custodia del villaggio agli Shafiq.
Fu il punto più basso della loro storia e da allora la famiglia sopravviveva solamente grazie alle scorte di oro in loro possesso, alla contrazione di matrimoni vantaggiosi e a una decina di affitti che riscuoteva da alcune attività del villaggio.

Finalmente, dopo una buona mezz'ora di camminata, Mark giunse nel centro del piccolo villaggio che era rimasto nella zona. Tutto, nel vecchio feudo degli Shafiq, sembrava lasciato a se stesso, quasi abbandonato.
Il centro abitato non poteva certo costituire un'eccezione: oramai si era ridotto a una decina di case costruite nel secolo precedente e un piccolo bar che fungeva da centro ricreativo per i pochi abitanti rimasti.
A quell'ora non c'era nessuno in giro: i bambini frequentavano la piccola scuola costruita al di là della collina e le donne e gli uomini molto probabilmente erano tutti occupati nella raccolta e nella lavorazione degli ingredienti necessari per produrre una pregiata qualità di Whisky Incendiario, praticamente l'unica fonte di sostentamento della popolazione.

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Il 'Bar Incendiario' era rimasto esattamente come il ragazzo se lo ricordava: una topaia con una decina di tavoli grezzi e storti con numerose sedie scompagnate, illuminazione praticamente assente ed un grande bancone fetido e sporco.
Il barista, un omone tanto grosso quanto puzzolente, l'osservò attentamente: evidentemente gli avventori erano sempre gli stessi da una vita e Mark doveva rappresentare una novità.
Non lo aveva riconosciuto, meglio così.

"Un Whisky Incendiario in barrique, per favore." Chiese Mark, rivolto al barista. Costui sorrise, si chinò e tirò fuori da sotto il bancone una bottiglia piuttosto polverosa recante l'etichetta 'Gold Valley, Barrique'.
"Whisky incendiario quando non è ancora mezzogiorno. Giornataccia?" Bofonchiò l'uomo, aprendo la bottiglia e versandone una generosa quantità in un bicchiere sbeccato e unto.
"Non ne ho una buona da tempo." Rispose Mark, prendendo il bicchiere e scuotendo la testa.
"Che cosa…"
Mark sbatté dieci Falci sul bancone e disse: "Sono venuto qui per bermi qualcosa e riflettere, non per parlare, con degli sconosciuti per giunta, dei miei problemi."
"Stavo solo…" borbottò il barista, piuttosto offeso.
"Grazie, non mi interessa." il ragazzo si allontanò dal bancone e si mise a sedere al tavolino più distante possibile da quel barista ficcanaso.

Odiare essere così sgarbato ma sapeva per esperienza che quel barista aveva sempre avuto la lingua lunga e, per il momento, non aveva nessuna voglia di stare a sentire delle vuote e inutili parole.
Bevve qualche sorso e rimase a riflettere. Sapeva esattamente cosa doveva fare ma forse, in fondo, non ne aveva il coraggio. Sperava di trovare dentro quel bicchiere di liquido ambrato la forza di volontà che gli mancava per raggiungere la meta che si era prefissato e che l'aveva sospinto fino ai luoghi della sua infanzia.
Tornare e riprendere ciò che era suo. Ma cosa era davvero suo?
Era talmente concentrato sui suoi dubbi e sulle sue incertezze che non si accorse nemmeno che un'altra persona era entrata nel bar e adesso lo stava osservando intensamente.
Era un ragazzo su per giù della sua età, piuttosto magro con corti capelli color paglia e un'espressione di stupore dipinta sul volto.

"Ma… Mark, sei tu?" Chiese, con voce tremula. Solo allora il ragazzo si ricordò il nome del nuovo arrivato.
Era Billy Morgain, quello che un tempo, in special modo negli anni di Hogwarts, poteva considerare come il suo miglior amico. Anche i Morgain un tempo erano considerati una rispettosa famiglia Purosangue, almeno fino a quando suo nonno non dilapidò gran parte degli averi di famiglia.
Mark si alzò e i due amici, ritrovatosi per caso dopo tanti anni di lontananza, si poterono riabbracciare.

"Che cosa ci fai qui? Pensavo... pensavo che tu fossi morto!" Esclamò Billy, staccandosi finalmente dall'abbraccio. "Non avevamo più tue notizie da circa tre anni, io e i tuoi parenti eravamo preoccupatissimi!"
"Lo so e credimi, mi dispiace tanto. Ho cercato di mantenervi aggiornati, fino a quando ho potuto, ma negli ultimi anni mi sono avventurato nell'estremo nord della Svezia e là era davvero impossibile inviarvi un gufo con un mio messaggio!" disse Mark, dando un sorso al suo whisky. "Sono in viaggio da circa tre giorni e, devo ammetterlo, non ho avuto proprio il modo di mandarvi una lettera. In realtà fino a qualche ora fa non sapevo nemmeno se sarei tornato qui." Ammise.
"E perché no? Questa è casa tua!" Rispose Billy, sorseggiando a sua volta un bicchierone di Whisky Incendiario.
"Forse perché subito dopo il funerale di mio padre sono scappato da qui, dalle mie responsabilità…" buttò lì Mark, finendo il suo whisky. Billy scosse la testa.
"Quel viaggio era già programmato e tua madre e tua sorella sono state le prime ad appoggiarlo. Hai vissuto delle esperienze uniche, hai avuto modo di approfondire le Arti Oscure e sai cose che la maggior parte di questi zotici neanche si sogna!" protestò l'altro. "Adesso che sei tornato, vedrai che la situazione potrà solo che migliorare. Tuo zio, lo conosci, non si è fatto particolarmente benvolere dalla popolazione…"

"Come vanno le cose in famiglia?" Chiese Mark, temendo di conoscere la risposta. Billy si umettò le labbra con la lingua e poi disse, abbassando la voce:" Diciamo che non c'è una persona, qui in città, che non lo odi. A regola dovrebbe sovrintendere la produzione e la commercializzazione del whisky, dovrebbero utilizzare il denaro che annualmente la popolazione dona alla tua famiglia per migliorare le cose ma, come potrai facilmente notare, negli ultimi anni non c'è stato alcun miglioramento."
"E a Shafiq Manor?" chiese Mark.
"Tua madre non sta bene, Mark" sussurrò Billy: "Lei e tua sorella sono costantemente sotto il giogo di tuo zio e questo non ha migliorato la loro condizione. Sono sicuro che il tuo arrivo potrà dare il via a un miglioramento anche in famiglia…"
"O almeno lo spero!" commentò Mark, alzandosi in piedi. Non poteva indugiare oltre, non dopo essere stato messo al corrente di ciò che sospettava da tempo.
"Sono sicuro che le cose andranno bene, Mark. E se ci dovessero essere dei problemi puoi sempre contare su di me. Sai, negli ultimi anni mi sono fatto delle amicizie piuttosto preziose e se dovessi incontrare degli ostacoli, all'apparenza insormontabili, potrebbero esserci utili!" Disse Billy, abbracciando per la seconda volta Mark.
"È giunta l'ora di affrontare mio zio. Non appena avrò risolto questa questione, ti manderò un gufo!" Sospirò il ragazzo.
"Spero solo di non doverlo aspettare per altri tre anni!" Rispose Billy, sorridendo.

/ / / / / / /

Ripreso il suo bagaglio, Mark si inerpicò per la piccola collina che portava alla dimora degli Shafiq.
Un tempo era la villa che dominava sul paesaggio: bianca splendente, enorme con giardini curati perfettamente da un piccolo esercito di Elfi domestici, era una piccola e preziosa perla. Adesso quella grandezza, quella opulenza erano solo dei pallidi ricordi perché la dimora che si parava dinanzi ai suoi occhi, quella mattina, sembrava come abbandonata, il giardino appariva non tenuto e inselvatichito, le due ali della casa abbandonate da decenni.
Mark appoggiò il dito indice alla serratura del cancello arrugginito che delimitava la tenuta; ci vollero alcuni secondi ma alla fine il cancello lentamente si aprì.

Il ragazzo entrò e, con un po' di fatica, avanzò nell'erba che oramai arrivava quasi alle ginocchia, fino a giungere alla porta d'ingresso, aperta.
Sulla soglia c'era una ragazza un po' più giovane di lui: era molto magra e pallida, i capelli neri e lunghi, gli occhi velati da alcune lacrime che lottavano disperatamente per non cadere. Mark appoggiò la valigia per terra e poi aprì le braccia; la ragazza dopo qualche secondo si decise e corse incontro al nuovo arrivato. Si abbracciarono, forte, come se da quell'abbraccio dipendesse la loro stessa esistenza.

"Mark, credevo... credevo…" finalmente la ragazza perse la lotta per non far cadere quelle lacrime traditrici. Quando l'aveva visto, da lontano, era sicura, era pronta per fargli un discorsetto che si preparava da anni. Non ce l'aveva fatta, era troppo sollevata.
"Scusami, sorellina. Sono tornato."

/ / / / / / /

I due rimasero abbracciati per alcuni minuti, poi si staccarono. Mark prese la sua valigia e, seguita dalla sorella, di nome Mary, entrò in casa.
All'interno la situazione era, se possibile, peggiore dell'esterno: il grande salone d'ingresso era spoglio, polveroso e immerso in una penombra che faceva venire i brividi.

"Mary, chi è?"
Una donna, vestita di nero e se possibile ancor più magra e pallida della sorella, scese le scale che portavano al primo piano. Anche lei porse i suoi occhi su Mark.
"So che sono passati sette anni, ma non mi riconoscete, madre?" Chiese Mark, sorridendo alla donna. Costei ci mise alcuni secondi per incamerare e processare l'informazione.
"Ma… Mark?"
L'uomo annuì. Evidentemente si trattava di un'emozione troppo grande per la donna che svenne, cadendo a terra emettendo un flebile lamento.

"Me l'aspettavo, avrei dovuto parlarle io prima!" disse Mary, accorrendo in soccorso della madre: "Le emozioni forti la fanno svenire!"
Mark cercò di tirar su la donna mentre Mary estrasse la sua bacchetta magica e mormorò "Reinnerva!" puntandola sul petto della madre che subito si riprese.
"Mark, Mark, non è possibile tu eri…" gemette la donna, rialzandosi con difficoltà, aiutata dai figli.
"Morto? Mi dispiace, non avete mie notizie da tre anni, ma mi trovavo in un posto molto lontano e comunque non sarei riuscito a far arrivare un messaggio fino a qui! Ho provato a mandarvi una lettera quando mi trovavo in Germania ma una banda di…"

"Oh, sono sicuro che la tua sarà certamente una storia ricca di avventure... e di scuse!"
Un uomo era appena uscito da una porta che dava su una delle camere del primo piano. Era alto, ben piazzato, lunghi capelli biondi e una carnagione olivastra uguale a quella di Mark.
Osservava il nuovo arrivato con le braccia conserte e un'espressione sul volto di malcelato fastidio, come se avesse appena incrociato, con lo sguardo, un piccolo sudicio topo di campagna.

Subito Mary e la madre si ricomposero mentre Mark si rivolse al nuovo arrivato con voce carica di risentimento: "Zio Caius…"
"È un piacere rivederti, nipote. Ipotizzo che il tuo lungo viaggio di... studi sia terminato. Ipotizzo anche che negli ultimi anni tu non abbia avuto tempo per scrivere alla tua famiglia! Tre anni di silenzio, non me l'aspettavo proprio." Disse l'uomo, con tono freddo e rancoroso.
Caius e Jasper, il padre di Mary e Mark, erano fratelli e non potevano essere più diversi: Jasper era un uomo coscienzioso, dolce e spiritoso mentre Caius si era sempre rivelato come una persona cupa, fosca e bramosa di potere. La morte del fratello in circostanze misteriose, in assenza di Mark, aveva reso Jasper il capofamiglia, un ruolo che non aveva fatto altro che alimentare, nel corso degli anni, la sua sete di potere e denaro.

"Ma dimmi nipote caro, perché sei tornato qua nella tua umile dimora dopo sette anni di assenza? Perdonami il vizio, ipotizzerò un'altra volta. Immagino che tu abbia finito i soldi o che tu sia finito in qualche guaio, non è così?"
Mark scosse la testa."Sono tornato perché il mio viaggio è terminato e ho tutta l'intenzione di rimanere qui, a Shafiq Manor."
Era chiaro che nessuno dei presenti si aspettasse quella risposta: Mary e la madre osservarono Mark con sorpresa, Caius con cupa ironia.

"Tornato qui? E per cosa?" Chiese infine lo zio.
"Per prendere il posto che dovevo accettare sette anni fa. Per aiutarvi nella gestione della casa e della famiglia!" Rispose Mark, con forza. Caius, per tutta risposta, si mise a ridere.
"Vuoi scherzare? Quel posto fui costretto a prenderlo io, sette anni fa! Non puoi presentarti qui, e pretendere di rimanere, come se nulla fosse! Non puoi divertirti fin quando ti pare e poi tornare a casa e chiedermi di dimenticare le tue manchevolezze!"
"Io non pretendo nulla, chiedo solo un tetto sotto la testa e un modo per aiutare la famiglia. È vero, sono stato assente ma adesso sono qui e voglio rimediare!" Rispose Mark, cercando di non alzare il tono della voce. Se l'era aspettato, dopo tutto. "Basta così!"

Sia Mark che Caius si girarono. A parlare era stata Lilibeth, la madre di Mark e Mary e la vedova di Jasper.
Parlare ad alta voce le costava fatica, si vedeva perché era più pallida che mai.
"Vorrei ricordarti, Caius, che la proprietaria di questa dimora sono io, come da testamento redatto, e fino a quando sarò io la proprietaria di Safiq Manor sta a me decidere se accogliere un ospite, o no."
"Sì… chiaro, però…" balbettò il cognato che forse meno di tutti si aspettava la reazione della donna.
"Mary, per favore accompagna tuo fratello nella sua vecchia camera" borbottò Lilibeth. "Caius, chiama Trixi e farmi accompagnare in camera mia. Sono molto stanca."

Caius, dopo un'ultima, malefica, occhiata al nipote, andò a chiamare l'elfa domestica mentre Mary prese per mano il fratello e lo condusse verso la sua stanza.

"Sei stato molto coraggioso, ma stai attento perché Caius è pericoloso!" Sussurrò la ragazza, quando due finalmente arrivarono davanti alla vecchia camera di Mark.
"Pericoloso? Uhm, con tutta la roba che ho imparato in questi anni dovrà essere lui a stare attento a me!" Rispose il ragazzo, guadagnandosi un'occhiata piena di apprensione.
"Giurami che un giorno mi dirai che cosa hai fatto in questi anni! E giurami anche che non andrai in cerca di guai!" disse la ragazza, congiungendo le mani e osservando il fratello con aria ansiosa e preoccupata.
Mark sorrise e abbracciò la sorella.
"Sono contenta che tu sia tornato!" Disse infine Mary, separandosi dall'abbraccio.
"Anche io!" rispose Mark, aprendo la porta. "Anche io."

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Salve a tutti e bentornati a questa long. L'incubazione di questa storia è stata molto lunga, ho concepito le basi di questa Fic circa un anno fa e lentamente, nel corso dei mesi, sono riuscito a creare nella mente, poi sulla carta, le basi di una storia sulla nascita della prima guerra magica. Perché sappiamo tutto sulla seconda guerra magica e, spesso tramite fanfiction, sappiamo molto anche sulla prima guerra magica e sulla sua tragica fine.
Ma davvero in pochi si sono domandati il processo che ha portato alla creazione della prima guerra. È quello che questa fiction cercherà di sondare attraverso alcuni personaggi di invenzione che man mano potranno confrontarsi con personaggi più noti. Ci sarà spazio per azione, per i sentimenti, un potpourri che spero possa piacervi.
Oggi abbiamo fatto la conoscenza di uno dei protagonisti della storia, Mark Shafiq. Gli Shafiq sono effettivamente una delle pochissime famiglie Purosangue che non abbiamo avuto occasione di leggere nei libri.

È un purosangue, un purosangue delle Sacre 28, ha passato gli ultimi 7 anni in giro per l'Europa ed è tornato a casa, salvando una situazione molto preoccupante. Le cose già dal prossimo episodio entreranno nel vivo quindi spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ci vedremo al prossimo!

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Capitolo 2
*** Confronti ***


Capitolo 2, Confronti

 



Il ritorno a casa del giovane Shafiq venne salutato con grande gioia da tutto il villaggio e Mark, rinfrancato dal benvenuto caloroso nella sua comunità natale, si mise immediatamente a lavoro per cercare di migliorare la situazione: tentò di ricucire i rapporti difficili con la popolazione e indagò attentamente sulle finanze della famiglia; visitò i campi che circondavano la sua tenuta e la fabbrica che produceva il whisky, ebbe modo di conversare con la quasi totalità degli abitanti e capire quali fossero i problemi principali e più urgenti della comunità.

Quando non cercava di cambiare il villaggio, o non frequentava l'amico Billy, Mark trascorreva numerose ore seduto in salotto in compagnia della sorella e della madre, raccontando le sue avventure, i suoi incontri più strani e le sue scoperte più affascinanti.
Toccò con mano la salute estremamente precaria di sua madre e capì le preoccupazioni della sorella: all’anziana donna, secondo il Guaritore, non restavano che pochi mesi di vita.
L'unica persona che si sforzava di avere meno contatti possibili con Mark era però lo zio Caius che in effetti, dall'arrivo del nipote a Shafiq Manor, non gli aveva più rivolto direttamente la parola; aveva occasione di incontrarlo solo durante i pasti e anche in quelle rare occasioni si comportava come se suo nipote non esistesse.

Dopo circa quindici giorni dal suo arrivo, Mark decise che era giunto il momento di affrontare Caius e discutere il da farsi: nel corso delle ultime giornate il ragazzo si era segnato tutta una serie di lavori urgenti da fare alla casa e al villaggio, oltre ad aver buttato giù un abbozzo di progetto per migliorare la produzione del whisky.
Avrebbe voluto agire fin da subito, e in completa autonomia, ma sapeva bene che ciò non era possibile e che avrebbe dovuto prima necessariamente consultare il membro anziano della famiglia.

Alle dieci in punto Mark si presentò davanti alla porta dell'ufficio di suo zio, in mano aveva un piccolo rotolo di pergamena con su scritti tutti i suoi suggerimenti e le sue riflessioni. Non era molto ottimista, sapeva che Caius non avrebbe preso sul serio i suoi discorsi ma era l'unica cosa che potesse fare.
Bussò velocemente alla porta e subito dopo l'aprì.

L'ufficio di Caius era situato in una delle stanze più grandi della Villa: le pareti traboccavano di armadi, quadri e oggetti magici appartenenti ai folletti, per terra c'era un enorme tappeto che risaliva al 1200, quando uno dei suoi avi arrivò in Inghilterra; l'enorme scrivania in mogano strabordava di fogli, lettere, rotoli di pergamena e calamai.
Caius sedeva su di una grande poltrona dallo schienale rigido ed era intento nella lettura di un foglio di pergamena dall'aria ufficiale; non doveva nemmeno averlo sentito entrare.

"Che cosa c'è, hai bisogno di soldi? In tal caso ti sei rivolto alla persona sbagliata" Caius disse, senza nemmeno levare lo sguardo dal rotolo di pergamena. "Smamma."
Per tutta risposta Mark estrasse dalla tasca il piccolo rotolo di pergamena che gettò sulla scrivania dello zio. Costui finalmente alzò il capo dalla lettera e osservò con fastidio il nipote. "Non ho tempo per le tue pergamene…"
"Aprila e leggila, se ti ha a cuore il destino di Shafiq Manor e di questo villaggio!" disse Mark. "Ho parlato con gli abitanti di queste parti, nel corso dell'ultima settimana, e ho buttato giù alcuni suggerimenti che potresti trovare utili!"

Caius alzò gli occhi al cielo ma aprì lo stesso il rotolo di pergamena e lo lesse attentamente. Dopo quello che al ragazzo parve un'eternità, l'uomo porse nuovamente il suo sguardo su Mark.
"Che cos'è questo?" chiese, in tono aspro.
"Te l'ho detto, alcuni miei suggerimenti per cercare di migliorare la situazione generale…" rispose Mark, in tono malfermo.
"Dare una sistemata alle case, migliorare la fabbrica… bonificare le paludi. Non ci vuole Merlino per capire quali sono i problemi, quel che davvero è difficile è scoprire le soluzioni." Commentò Caius, chiudendo il rotolo e gettandolo sul tavolo, con disprezzo.
"In fondo alla pergamena mi sono permesso di mettere una piccola postilla su quali potrebbero essere i modi per migliorare le nostre entrate. Secondo i miei calcoli…" rispose, pronto, Mark. Caius lo zittì con lo sguardo.
"Dio, non avevo mai incontrato una persona così spaccona e poco modesta, raggiungi vette inesplorate perfino da tuo padre." Caius sbottò. "Sei qui da quindici giorni e pensi già di avere tutte le soluzioni in tasca? Che cosa credi, che io in tutti questi anni me ne sia stato qui con le mani in mano?" Il suo tono di voce cambiò, alzandosi improvvisamente.
"No, stavo solamente cercando di dare una mano, visto che evidentemente la tua guida non è stata in grado di risolvere…"
Caius si alzò, rosso in viso.
"Credi che io non si sia stato capace di guidare questa terra, non è così? Quanto sei borioso ragazzino, ti ricordo che ho preso il posto che tu hai rifiutato, scappandotene via come un ratto davanti alle responsabilità. Come ti permetti di venire qui adesso a farmi la predica?"
Sbraitò, dando un pugno così violento alla scrivania che questa per un momento vibrò tutta.

"Non posso cacciarti di casa fino a quando tua madre è in vita, l'hai sentita il giorno del tuo arrivo, e questo lo rispetto. Ma puoi giurarci, una volta, spero più tardi possibile, una volta che tua madre morirà la prima cosa che avrò il piacere di fare sarà cacciarti a calci fuori di qui, piccolo bastardo." Sibilò.
"Tu non hai il potere di cacciare nessuno da nessuna parte, Caius." Rispose Mark, che a stento stava resistendo all'impulso di prendere la bacchetta e affatturare lo zio.
Caius rise e con un tocco della bacchetta fece spuntare dal nulla il testamento e le ultime volontà di sua madre.
"Negli ultimi tre anni tua madre ed io abbiamo pensato che tu fossi morto e perciò abbiamo approntato qualche cambiamento al testamento. Dopo la morte di tua madre sarò io ad ereditare Shafiq Manor!" Lesse, ed un sorriso sardonico si dipinse sulle sue labbra. Non era possibile.

"Non è... mia madre non può aver..."
"Tua madre non è più in possesso delle sue facoltà psicofisiche e per questo un paio d'anni fa ha perso ogni potere decisionale. Puoi pure dirglielo, preoccupandola enormemente e aggravando così la sua salute già instabile, ma comunque non cambierebbe niente perché adesso sono io a prendere le decisioni qui." Concluse l'uomo, in tono di vittoria. "Ora, esci di qui."

/ / / / / / /

Trovò sua sorella in lavanderia, intenta a dare ordini a due Elfi domestici.
"Sistemate queste vesti, sono tutte lise sulle ginocchia!" Stava dicendo, rivolta a una vecchia elfa.
"Sorella, si può sapere che cosa vi è passato per la mente?" Mark irruppe nel piccolo locale. Mary rimase qualche istante in silenzio, osservando il fratello trasfigurato dalla rabbia.

"Che cos'hai da urlare? E di cosa stai parlando?" Chiese, allontanando con un gesto le elfe, mentre Mark si appoggiava alla parete, cercando di calmarsi.
In breve raccontò alla sorella l'incontro con Caius, compresa la notizia del cambiamento del testamento.
Mary sospirò e scosse la testa. "Sapevo che non era una buona idea. Dovevo esserci anche io all'incontro con nostro zio."
"Invece no perché mi sono reso conto di chi sia veramente quella feccia!" rispose Mark. "Ma ancora non so come avete potuto togliermi dal testamento!"
"Mark tu, non capisci. Non c'eri…" disse Mary.
"Non ti ci mettere pure tu adesso!" Scattò il ragazzo.
"Fammi finire di parlare!" lo interruppe Mary. "Tu non hai nessuna idea di cosa abbiamo passato, di quello che ho dovuto sopportare. Nostra madre improvvisamente è peggiorata, diventando una larva, mentre nostro zio ha preso il controllo di tutto e poi tu… tu non c'eri, non avevamo notizie, pensavamo fossi…" la ragazza non fu capace di andare oltre e nuove, calde lacrime salvarono il suo viso. "Ho provato a ribellarmi ma ero sola e…"
Alla vista della sorella ridotta in quelle condizioni, la furia di Mark svanì, sciogliendosi come neve al sole.
"Mi dispiace, mi dispiace, non volevo accusarti! Non è assolutamente colpa vostra!" disse, abbracciando forte la sorella. "Scusami, ero troppo sconvolto."

"Non c'è problema, ti capisco, non dev'essere facile accettare tutto questo. Io stessa ci ho messo anni…" disse Mary, asciugandosi le lacrime.
"Mary… dimmi la verità" Mark si guardò intorno e poi disse, abbassando la voce: "Caius… ha mai usato violenza… violenza su voi due?"

Mary sbiancò.
"Che cosa vai a pensare... " balbettò a disagio.
"Una persona capace di approfittarsi così di una donna malata è una persona che può fare di tutto. Specie se ha passato sette anni da solo con due donne." Fece notare Mark.
"Ci chiedi se ha abusato di noi. Sì ebbene psicologicamente lo ha fatto ogni giorno" disse infine la ragazza, abbassando il capo. "Ma fisicamente no, non con me perlomeno. So che qualche anno fa, quando la mamma non era in queste condizioni, i due hanno avuto una specie di storia insieme."
"Lo sospettavo dalle tue lettere." Disse Mark, scuotendo la testa.
"Non la devi giudicare troppo duramente: era sola, vedova e senza appoggi in una terra straniera."
"Non giudico lei, infatti" disse Mark "E con te, invece?"
"Negli ultimi tempi in effetti mi osserva con uno strano sguardo. Non so che intenzioni abbia, non l'ho mai visto in compagnia di qualche donna." Disse Mary. "Ma comunque non devi preoccuparti. Adesso ci sei tu con me!" Si affrettò ad aggiungere, notando lo sguardo preoccupato del fratello.
"Ci puoi giurare, non permetterò che quel maiale vi metta le mani addosso!" annuì Mark, convinto. Osservò l'orgoglio e poi esclamò: "Ho appuntamento con Billy giù al villaggio tra dieci minuti, meglio che mi muova. Gli parlerò del testamento di nostra madre, ha sicuramente più agganci di me in questa zona!"
Mary sorrise e abbracciò nuovamente Mark che, subito dopo, si avviò per l’uscita di Shafiq Manor..

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Mark decise di scendere al villaggio a piedi: avrebbe potuto tranquillamente materializzarsi, risparmiandosi il tragitto, ma aveva accumulato una tensione talmente opprimente che aveva proprio la necessità fisica di fare due passi.
Arrivò al 'Bar Incendiario’ alle tredici in punto: a quell'ora la piccola locanda era gremita di lavoratori intenti a rifocillarsi in vista del turno pomeridiano.
Mark salutò distrattamente il barista e si avviò verso il suo solito tavolino in disparte; ad aspettarlo, seduto, c'era già Billy con un bicchierone di idromele in barrique in mano.

"Ce ne hai messo di tempo per arrivare qui!" Esclamò, spostando la sedia accanto alla sua per far posto all’amico.
"Per forza, dopo tutto quello che è successo stamattina non ce l'ho fatta ad arrivare prima." Commentò Mark, ordinando una Burrobirra.
"Da l'espressione sul tuo viso immagino che le cose non siano andate bene con il vecchio Caius!" Disse Billy, osservando l'amico attentamente.
"Esatto. Ha dato una lettura veloce alla pergamena e subito mi ha accusato di non essere riconoscente e di voler prendere il suo posto!" rispose Mark, scuotendo la testa.
Un boccale di Burrobirra levitò fino al tavolo dei ragazzi; Mark ringraziò con un gesto il barista e poi si rivolse di nuovo l'amico.
"Ma c'è di peggio: ho scoperto che in mia assenza Caius ne ha approfittato per cambiare il testamento di mia madre. In breve si è fatto nominare successore di Shafiq Manor!"

Billy rimase in silenzio, bevendo idromele e soppesando le parole dell'amico.
"Onestamente questa cosa non mi stupisce. Anzi, conoscendo tuo zio mi sarei stupito se non avesse combinato qualche complotto in tua assenza." Disse infine. "Ma adesso che sei tornato e tua madre è ancora in vita, dovrebbe essere facile ricambiare Il testamento!"
Marcus scosse la testa. "No, perché subito dopo aver cambiato il testamento ha fatto passare mia madre come incapace di intendere e di volere, estromettendola di fatto dalle decisioni importanti. Rimane in casa solo perché penso che Caius abbia pietà, ma appena morirà, me lo ha già detto, la prima cosa che farà sarà cacciarmi fuori di casa."

"Che bastardo!" Esclamò Billy, picchiando il pugno sul tavolo. "E quel che è peggio è che ha fatto tutto secondo la legge e quindi non ho nessuna possibilità di cambiare le cose. Mio zio mi odia perché fino a quando rimango qui rappresento una minaccia per il suo dominio. Non si fermerà fino a quando non mi avrà fuori di casa." Concluse Mark, finendo la sua Burrobirra. Billy rimase in silenzio, soppesando le parole da dire.

"Una soluzione ci sarebbe" disse infine, abbassando la voce con fare cospiratorio." Se a tuo zio capitasse un incidente e dovesse malauguratamente morire, tutti questi problemi non si verrebbero a creare perché tu non sei stato diseredato!"
"Mi stai suggerendo di ucciderlo? Così, a sangue freddo?" Esclamò Mark, cercando comunque di tenere la voce il più basso possibile.
"lo hai già fatto nel corso delle tue avventure, se non erro." Rispose Billy.
"Si, e non me ne pento perché era una situazione di vita o morte ed ho scelto la mia, togliendola ad altri. Ma questa è una cosa completamente diversa, non so se avrei mai la forza di salire la collina, entrare in casa, andare in ufficio di mio zio e bum, ucciderlo!" Rispose Mark.

La risposta di Billy venne bloccata sul nascere perché all'interno della piccola locanda era appena entrato un piccolo Patronus a forma di scoiattolo. Era debole, ma aveva abbastanza forza da aprire la bocca e parlare con la voce di sua sorella: "Mark, ti prego vieni a casa. Nostro zio è strano, ha bevuto molto e ho paura. "

"Ecco, questo forse ti darà la forza. Sbrigati, andiamo a vedere che cosa sta succedendo!" disse Billy, alzandosi e infilandosi il mantello.

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Si conclude così il secondo capitolo di questa fic! In origine metà di questo capitolo sarebbe dovuto stare nel primo e metà nel secondo ma mi sono reso conto che sarebbe accaduto tutto molto troppo velocemente e quindi ho deciso di scorporare queste parti ed unirli in un capitolo intermedio. Spero che la caratterizzazione dei personaggi stia piano piano facendosi vedere e che possa piacervi. Cosa sarà successo la sorella di Mark? E Mark seguirà il consiglio dell'amico?

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Capitolo 3
*** Resa dei Conti ***


Capitolo 3, Resa dei Conti

 



Caius osservò il nipote uscire dal suo ufficio senza battere ciglio.
Ce l’aveva fatta, era riuscito a togliere quello sguardo così borioso dal quel viso che odiava così tanto. Che gli ricordava in modo così doloroso Jasper.
Rimase seduto, massaggiandosi le tempie: odiava urlare, specie di prima mattina, ma non era stato possibile evitarlo. Quel ragazzino lo faceva uscire letteralmente dai gangheri; era capace di far uscire il peggio di lui e anche in questo era così terribilmente simile a suo padre!

Con un tocco della bacchetta appellò sulla scrivania una bottiglia di whisky e un grande bicchiere di cristallo.
Aveva bisogno di un ricostituente.
Mentre si versava una generosa dose di liquido ambrato però, il suo sguardo si pose sul rotolo di pergamena del nipote. Nonostante tutto, quello scritto lo attirava terribilmente: gli aveva dato solo una lettura superficiale, non voleva certo dargliela vinta, ma adesso che era solo poteva anche permettersi di leggerlo con tranquillità.
Il modo migliore per sconfiggere un nemico è conoscerlo, e magari attraverso quel testo si sarebbe fatto un'idea delle capacità del nipote.
Bevve un sorso di whisky, poggiò il bicchiere sulla scrivania e diede una prima, veloce, lettura.
Sbiancò.

Si alzò, recuperò dei libri contabili da dentro uno schedario e li confrontò con quello che Mark aveva scritto.
Non era possibile, i calcoli di quella pulce erano giusti.
Caius avanzò barcollando fino alla scrivania e questa volta bevve direttamente dalla bottiglia.

Quel ragazzino in soli quindici giorni era riuscito a farsi un quadro della situazione praticamente perfetto! In neanche due settimane quel piccolo topo di fogna aveva avuto il coraggio, e le capacità, di comprendere che cosa non andava e capire le manchevolezze della sua guida.
E non solo, aveva presentato delle soluzioni che effettivamente sembravano realistiche.
Si scolò la bottiglia fino all’ultima goccia ma non bastava, non bastava a lavar via le parole di Mark. Il senso di essere stato davvero un incapace, la paura che quel ragazzino continuasse nella sua opera.
Recuperò un’altra bottiglia mentre il cervello continuava a lavorare. Perché non riusciva a spegnerlo?

Se solo dopo quindici giorni era riuscito a scoprire come stavano effettivamente le cose, chissà che cosa poteva essere capace di fare in un tempo più lungo?
‘Questo mi farà fare la figura dell'incapace e il villaggio ben presto sarà dalla sua parte!’ si ritrovò a pensare, accecato dalla rabbia e, soprattutto, dalla paura.
“Non è possibile!” sbraitò, gettando la bottiglia, vuota, addosso a una parete. 'E una volta che avrà il villaggio dalla sua, che cosa farà? Sicuramente lo rivolterà contro di me, contro la mia guida. Quel piccolo bastardo vuole appropriarsi di Shafiq Manor e dei miei beni!
‘Non posso più aspettare che la vecchia tiri le cuoia, non posso rischiare un'altra guerra intestina, devo prendere in mano la situazione prima che sia troppo tardi!’

Avanzò lentamente fino alla porta e la spalancò.
“Mark!” chiamò, talmente ubriaco da reggersi in piedi con difficoltà. “Mark, piccolo figlio di puttana, dove sei?”
“È andato al villaggio.” Mary era appena apparsa sul corridoio e lo guardava con uno sguardo colmo di disgusto. No, no non più, per troppi anni aveva resistito a quel disgusto dipinto sul suo volto; era un sentimento che non poteva più tollerare.
“É andato al bar, non è vero? A dilapidare il mio denaro! A confabulare con quegli zotici per farmi fuori, non è così?” sbraitò. Mary si allontanò lentamente dall’uomo, chiaramente in preda alla follia.
“Sei ubriaco già prima di mezzogiorno. Fai schifo!”

Questa poi! Questa offesa non poteva proprio tollerarla!
“Piccola puttan…” esclamò, estraendo la sua bacchetta. Ma non fu abbastanza veloce, perché nel frattempo la nipote aveva già estratto la sua e la stava puntando contro lo zio.
“Fai un passo avanti e ti ammazzo.” disse, con tono sicuro e duro. Era cambiata in pochissimo tempo, la vicinanza con il fratello le aveva donato una nuova forza di volontà. Si sarebbe divertito a distruggerla.
“Ahahah, vuoi davvero sfidarmi a duello? Pensi davvero di avere qualche possibilità, stupida sgualdrina?” chiese.
Era vero, questo Mary lo sapeva, in un duello non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di vittoria, ma non era per quello che aveva estratto la bacchetta. Aveva una sola opportunità e non l’avrebbe mancata.

Pensò intensamente all’ultimo Natale che aveva passato con la sua famiglia al completo. C’era suo padre con addosso uno stupido maglione natalizio, Caius con i capelli corti e il sorriso sempre sulle labbra, sua madre piena di forza e speranza e Mark in compagnia della sua fidanzata dell’epoca.
Erano allegri, sorridenti e così diversi. Così felici.
“Expecto Patronum!” disse, e dalla sua bacchetta ne uscì un debole Patronus. “Vai e consegna il tuo messaggio!” sussurrò. Nel frattempo Caius aveva estratto la bacchetta.
“Hai perso l’unica occasione che avevi, stupida. Incarceratum!”
Delle spesse funi si strinsero attorno al corpo di Mary che cadde a terra, perdendo i sensi.

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Mark e Billy si materializzarono direttamente nel salone d’Ingresso di Shafiq Manor. Non avevano tempo da perdere.
“Exxie!” chiamò Mark. Dopo qualche istante udirono un piccolo pop e un'elfa domestica comparì all’improvviso davanti ai due ragazzi.
“Padrone…” disse la vecchia elfa.
“Exxie, dove si trova mio zio?” chiese Mark, senza tanti convenevoli. La creatura rimase per qualche secondo in silenzio, riflettendo, poi disse: “Nel suo ufficio, credo.”
“E mia madre? E Mary?”
“La padrona si trova nella sua camera da letto mentre la padroncina sta svolgendo alcuni lavori di casa al primo piano!” rispose prontamente Exxie.
“L’ufficio di mio zio è al primo piano, devono trovarsi di sopra!” esclamò Mark, che immediatamente si diresse, seguito da Billy, verso le scale.

Trovarono l’ufficio di Caius vuoto.
“Non lascia mai questa stanza, specie di mattina.” osservò Mark, mentre Billy usciva dall'ufficio.
“Mary! Mary, dove sei?” urlò il ragazzo.
Udirono una risata sommessa provenire da dietro una porta che dava sul corridoio del primo piano.
“È quel bastardo!” disse Mark, avvicinandosi con Billy all’ingresso della stanza, una delle tante camere da letto abbandonate da anni.
Entrambi estrassero le bacchette e Mark sussurrò “Alohomora!”
La porta si spalancò immediatamente.

La prima cosa che videro fu Mary adagiata senza sensi sul grande letto polveroso al centro della stanza.
Caius torreggiava su di lei. Era chiaramente fuori di sé, gli occhi fuori dalle orbite e il volto storto da un ghigno malefico.

"Allontanati da lei!" eruppe Mark, puntando la bacchetta contro lo zio. Era pervaso da una rabbia indicibile, feroce; una rabbia che non provava da anni. Non gli bastava disarmato o ferirlo, voleva ucciderlo.
Caius rise, folle. "Che cosa pensate di fare, mocciosi?"
"Ti uccidiamo, se non ti allontani subito da lei!" rispose Billy.
"Voi non ucciderete nessuno, siete solamente dei ragazzini senza palle. Sai ci ho ripensato," disse, rivolto a Mark. "Non ha senso che io attenda la morte di tua madre per cacciarti di casa, intendo farlo immediatamente e se tua madre si opporrà, farò fuori anche lei."
"Sei un pazzo. Perché, perché ci odi così tanto?" chiese Mark, la rabbia che cresceva sempre più mischiandosi, era inevitabile, con l'amarezza. " Perché hai rovinato tutto, come mai non riesci a essere felice del mio ritorno, della nostra presenza qui? Rispondimi, dammi una motivazione sensata, perché non capisco!"

"Perché quando ti vedo, vedo Jasper!" rispose Caius, abbassando lo sguardo. "Quando vi sento parlare, tu e Mary, sento la sua voce e Dio sa quanto ho odiato tuo padre."
Caius, che emanava un deciso sentore di alcol stantio, caracollò verso il nipote. "Il primogenito, l'erede. Lui pensava a dilapidare i soldi della famiglia, spendendo a casaccio mentre io cercavo di dare una mano alle finanze di famiglia. E nonostante tutto, nonostante tutto quello che volevo era solo un segno di riconoscimento, un abbraccio da parte dei miei genitori. Ma io non esistevo per loro, c'era solo Jasper."
Gli occhi di Caius si bagnarono di umide lacrime.
"Capisci il dramma? Io mi dannavo per il bene della famiglia eppure non ero degno di considerazione. Ho convissuto con gli sguardi di disprezzo dei miei genitori e di mio fratello per anni e, quando i tuoi nonni sono morti e ho avuto il tremendo piacere di far fuori mio fratello, pensavo che non avrei più dovuto aver a che fare con questi sguardi. Ma poi voi siete cresciuti, e ho dovuto sopportare il disgusto prima di di tua sorella e poi il tuo. No, non permetterò che qualcun'altro mi schiacci e mi guardi con disprezzo ancora una volta."
La voce di Caius si fece seriosa, cupa. "Ti ucciderò, nipote, poi cancellerò ogni volontà di lotta di questa ragazza e la sposerò, e lei mi darà un erede di sangue puro che non si permetterà mai di guardarmi con disprezzo e odio! Che mi amerà incondizionatamente per il resto della sua vita!"
"Per quanto mi dispiaccia per la tua lacrimevole storia, hai fatto soffrire la mia famiglia per l'ultima volta." disse Mark, deciso. "C'è un motivo se tutti in famiglia ti disgustano, Ma penso che sia troppo tardi per spiegartelo."

Mark e Billy si osservarono di sottecchi. Era l'ora di agire.
Caius puntò la sua bacchetta contro di loro. "Infatti, basta parole! Preparati a raggiungere tuo padre, Avada Kedavra!"
I due ragazzi erano pronti e infatti schivarono facilmente il getto verde proveniente dalla bacchetta dell'uomo.
"Expelliarmus!" gridò Billy e la bacchetta di Caius volò a qualche centimetro di distanza.
"Stupeficium!" L'incantesimo lanciato da Mark colpì l'uomo in pieno petto, catapultando addosso ad un vecchio tavolino che crollò sotto suo peso.

"Sei sicuro che adesso non potremo ucciderti?" disse Billy, puntando la bacchetta contro l'uomo a terra. "Mark, credo che l'onore debba toccare a te.”
Il ragazzo era rimasto fermo, immobile, osservando suo zio con disgusto e tristezza mischiati in egual misura. Non riusciva a credere che l'uomo che una volta adorava così tanto si fosse trasformato in un mostro.

"Se ti fossi comportato in maniera diversa, non ti guarderemo con disprezzo, ma con amore e rispetto" disse alla fine, amaramente.
"È buffo, lo sai? È la stessa cosa che mi disse tuo padre, poco prima di morire. Aveva lo stesso sguardo ricolmo di pietà e tristezza; dopotutto immagino che il frutto non cada mai lontano dall'albero!"
Disse Caius, la voce bassa e strascicata.

"Dovrei essere sorpreso da questa rivelazione?" chiese Mark,in tono ironico. "Ma la realtà è che in questi quindici giorni ho imparato a conoscerti talmente bene che non mi sorprende affatto. Sei sempre stato un essere viscido e maligno, accecato talmente tanto dal denaro e dal potere da schiacciare persino le persone a te più vicine. È per questo che la gente ti guarda con disgusto, Caius. Smettila di fare la vittima, fai schifo."
"Senti chi parla, il mago perfetto che lascia casa sua immediatamente dopo la morte del padre," rispose Caius, la voce bassa e rancorosa. "Che abbandona la madre malata e la sorella minorenne, che se la spassa in giro per l'Europa per sette anni, incurante dalle notizie che arrivano da casa. Proprio tu mi fai la predica? La verità è che io e te siamo uguali e…"
"Avada Kedavra!"

Il getto di scintille verdi colpì Caius in pieno petto, troncando di netto le sue parole e la sua vita.
Billy esclamò: "Ben fatto! Non credevo che avessi carattere per farlo! Aspettami qui, vado un attimo in paese e torno con un paio di miei amici tra massimo dieci minuti."
Mark rimase in piedi, impietrito. Non era la prima volta che toglieva una vita ma quella, quella era stata una cosa completamente diversa. Osservò il cadavere dello zio per qualche istante e poi, non appena Billy uscì dalla stanza, si avvicinò alla sorella, ancora svenuta.

"Reinnerva!" sussurrò e subito Mary riprese conoscenza.
"Oh, Mark. Io appena ho… io…" la ragazza lentamente la ragazza riuscì a calmarsi.
Osservò il cadavere di Caius che giaceva di lato al letto e trasecolò.

"È tutto finito, quell'uomo non potrà piu farci del male, Mary!" Mark abbracciò forte la sorella che, finalmente riuscì a sfogarsi, piangendo tutte le lacrime che in quegli anni, anni terribili, aveva trattenuto.
"È tutto finito. Tutto finito."



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Si conclude così questo terzo capitolo con la prima morte importante di questa storia. Non sarà certamente l'ultima ma è importante perché darà modo a Mark di muoversi con più libertà e iniziare a fare tutta una serie di trame politiche che con lo zio di mezzo non sarebbe certamente stato in grado di fare.
Spero di essere riuscito a dare delle motivazioni diciamo plausibili per le azioni di Caius: non mi piacciono i cattivi "perché sì", ma, ove possibile, cerco sempre di dare una motivazione a chi sceglie il lato oscuro, diciamo così.

Nel prossimo capitolo vedremo Mark alle prese con le prime incombenze da capofamiglia e poi in quello dopo introdurremo l'altra protagonista di questa storia :)

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Capitolo 4
*** Villa Rosier ***


Capitolo 4, Villa Rosier

 



"Ricordiamo, oggi, un uomo che ha dato tutta la sua vita per la famiglia Shafiq. Una persona che, con i suoi pregi e difetti, ha dedicato ogni momento a disposizione per il bene dei suoi familiari e della sua antica e pregiata casata. Non verrai dimenticato, Caius Stephan Shafiq." Borbottò un vecchio funzionario, rivolto a una piccola folla di persone.
Era un pomeriggio decisamente caldo per il periodo dell'anno e il cimitero degli Shafiq, che sorgeva in una piccola collina non lontano dal villaggio, era affollata da una ventina di ospiti, accorsi numerosi in occasione di quella triste cerimonia.
Costoro applaudirono convinti mentre la bara, calata nella fossa, veniva ricoperta da terra fresca.
Mark, stancamente, pose il suo sguardo sulla pietra tombale con animo più leggero: nonostante le sue paure e i suoi dubbi, gli amici che Billy aveva chiamato in soccorso erano riusciti a dissimulare l'assassinio di Caius e farlo passare per un incidente. Nessuno aveva sollevato alcun tipo di dubbio o domanda pericolosa.
Osservò distrattamente la sorella che sorreggeva la madre malferma: non avevano avuto la forza di dirle che suo cognato era stato ucciso da Mark, il colpo sarebbe stato troppo forte per la salute già cagionevole della donna.
Avevano così deciso di dirle la piccola storiella che Mark e Mary avevano raccontato a tutti gli invitati (e che cioè Caius fosse morto in seguito a un incidente) e Lilibeth aveva preso la notizia piuttosto bene, tutto sommato, anche se dubitavano che fosse pienamente consapevole di quel che era successo.

Terminata la funzione religiosa, i pochi invitati si diressero in silenzio all'interno della villa dove gli elfi domestici avevano preparato un piccolo banchetto in onore del defunto.
Sebbene nessuno di loro sapesse che Caius fosse stato assassinato, l'atmosfera generale era contraddistinta da una compassata ilarità e giovialità, clima diametralmente opposto a quello che di solito pervade i funerali. Suo zio era riuscito a farsi odiare così profondamente, nel corso degli anni, che nessuno in realtà si disperava della sua morte. A nessuno interessava il triste fato di Caius Shafiq.

"La mia ambasciata ha avuto buon esito: fatti trovare stasera alle nove davanti al cancello di casa tua" Billy, che nel frattempo si era velocemente allontanato per salutare un amico in comune, gli sussurrò, davanti al tavolino del buffet. Mark annuì: sapeva che l'aiuto dell’amico aveva un prezzo ed era pronto a pagarlo partecipando, quella sera, a una riunione di pezzi grossi dell'ambiente Purosangue.
Da una parte aveva un po' di timore perché era chiaro che qualcosa stava bollendo in pentola, che qualcosa di losco si nascondeva sotto quelle riunioni; d'altra parte non vedeva però l'ora di potersi dare da fare e aiutare la famiglia a uscire dal suo decennale isolamento e se partecipare a quegli incontri era il prezzo da pagare...

Il resto del pomeriggio trascorse noiosamente nel salone delle feste. Mark utilizzò quell'occasione per stringere ulteriori alleanze locali, ascoltare punti di vista diversi e integrare il suo progetto di miglioramente del villaggio con qualche novità alle quali non aveva proprio pensato. Quel ricevimento in realtà aveva ben poco a che fare con un funerale, ma molto di più con la politica.
A una donna Purosangue veniva insegnato che ai funerali il loro ruolo era di consolare i familiari del defunto, mantenendo comunque il decoro; ai giovani maschi Purosangue, invece, che i funerali potevano essere occasioni dove discutere di politica e cercare di stringere alleanze con la famiglia della persona venuta a mancare.
"Tutto è politica," ripeteva sempre suo padre. "Anche, e soprattutto, un funerale!"

Alle sette di sera la festa funebre era finita e Billy e gli invitati si allontanarono dalla casa, porgendo un ultimo, composto, omaggio alla famiglia del defunto.
Subito dopo Lilibeth venne accompagnata in nei suoi alloggi da Mary mentre Mark corse in camera per togliersi quello scomodo abito nero, farsi una doccia e prepararsi per l'incontro di quella sera. Si rasò la barba, si lavò accuratamente i corti capelli neri e indossò una delle poche vesti magiche che ancora gli andavano bene dalla sua adolescenza. Guardandosi brevemente allo specchio, in effetti, il risultato finale non era poi così male.
Certo, la sua veste era solamente passabile, i suoi modi un po' rozzi, ma ci avrebbe potuto lavorare e per quella sera sicuramente sarebbe stato il migliore.

Alle otto e mezzo, in perfetto orario, uscì da camera sua e, dopo aver brevemente salutato sua madre, entrò nella camera di Mary.
La ragazza era sdraiata a pancia in giù sul letto ed tutta presa dalla lettura di una piccola pergamena.
"Disturbo?"
Mary, accortasi della presenza del fratello, si affrettò a piegare la lettera e a infilarla in una delle tasche della veste.
"N… no! Anzi!"
"Quella ha tutta l'aria di essere una lettera intima!" ridacchiò Mark, in tono arguto, mettendosi a sedere sul letto accanto alla sorella. "Chi è?"
"Non sono affaracci tuoi, impiccione!" rispose Mary, arrossendo.
"lo sai? Billy stasera non ti toglieva occhi di dosso..." disse Mark, sogghignando all'espressione imbarazzata della sorella.
"E tu dove vai, vestito così bene?" chiese Mary, cercando di nascondere le proprie emozioni.
"Sì sì, cambia pure discorso sorellina…" rispose Mark, ghignando. "Comunque, per rispondere alla tua domanda, tra pochissimo mi recherò a un incontro tra Purosangue. La località è segreta ma è chiaro che qualcosa bolle in pentola."

Mary si mordicchiò il labbro, chiaramente preoccupata per qualcosa.
"Adesso che zio Caius è morto e tu sei capofamiglia, mi aspettavo un po' di pace. Mi aspettavo anche che tu ti saresti preso cura di questa zona, prima di tuffarti in una nuova avventura." Disse infine.
"Non si tratta di una nuova avventura, sorellina. Ma devi capire che se voglio riportare il nome degli Shafiq all'antico splendore, devo partecipare a questi incontri, devo stringere o rinsaldare qualche vecchia alleanza, non solo con i nobilotti di queste parti. E poi, Billy me l'ha fatto capire chiaramente, chi ci ha aiutato a farla franca mi vuole conoscere e questo è il prezzo da pagare." rispose Mark, ragionevole.
Mary infine annuì. "Però mi raccomando stai attento e non fare niente di pericoloso."
Mark sorrise, diede un bacio sulla fronte alla sorella e uscì dalla stanza borbottando:"Si, mammina!"

Dieci minuti più tardi, Mark uscì dal cancello che delimitava Shafiq Manor e trovò Billy ad aspettarlo.
"Sei pronto?" Chiese il ragazzo, abbracciando l'amico.
"Più o meno. Che cosa devo aspettarmi?" rispose Mark, piuttosto innervosito al pensiero della riunione.
"Ci sarà un pezzo grosso della comunità Purosangue, credo che sia Rosier, forse lo conosci. Parlerà, dirà cose interessanti, e poi alla fine molto probabilmente vorrà avere un colloquio direttamente con te. Sii rispettoso ma deciso e vedrai che le cose andranno bene!"
In effetti Mark conosceva Henry Rosier di vista: era stato un compagno di classe di suo padre e spesso veniva a trovarli a casa; lo aveva visto l'ultima volta sette anni prima, al funerale di Jasper.
"Ecco, prendi il mio braccio che ci materializziamo direttamente davanti alla sua villa." Disse Billy, osservando l'orologio. Mark obbedì e dopo qualche secondo i due si materializzano lontano da Shafiq Manor.

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I due si ritrovarono a diversi chilometri di distanza da dove erano partiti: nel Devonshire il tempo era grigio e nuvoloso, laddove erano riapparsi invece c'era una pallida luna piena a fargli compagnia

I due si trovavano davanti all'alta cancellata che delimitava una splendida villa, al confronto della quale Shafiq Manor sembrava una semplice e rozza residenza campagnola.
Un altro piccolo gruppo di uomini si era radunato davanti alla cancellata e Billy ne salutò diversi.
"Gli ha invitati tutti tu?" chiese Mark, curioso, ma Billy scosse la testa.
"Mettiamoci da parte e aspettiamo. Vedrai, tra poco aprirà il cancello!" Propose il ragazzo e Mark annuì. I due si spostarono vicino al cancello e Billy estrasse una sigaretta.
"Senti… te lo volevo già chiedere questo pomeriggio ma non mi sembrava l'occasione giusta..." disse infine Billy, dopo aver passato qualche secondo in assoluto silenzio. "Tua sorella è per caso già impegnata con qualcuno?"

"No" rispose Mark, accendendo a sua volta una sigaretta un po' storta. "Perché, ti piace?" chiese.
"Beh da quando sei tornato e io frequento di nuovo Casa Shafiq… insomma ho avuto modo con tua sorella di... parlare e mi sembra che…" improvvisamente Billy, sempre così coraggioso e impudente, arrossì. " Perciò mi chiedevo se…"
"No," rispose prontamente Mark e poi, prima che l'altro potesse replicare, aggiunse: "E no."
"Oh andiamo, dai. È una così bella ragazza e ci conosciamo, ci vogliamo bene!" protestò Billy.
"Sì ma è un matrimonio tra Purosangue e non è quello il fattore principale, lo sai. Sei il migliore amico che potrei desiderare, Billy, ma… metti la testa a posto, prendi il comando dell'azienda di famiglia e la produzione del whisky, fatti valere e potrei ripensarci. "
La risposta piccata di Billy venne bloccata dall'apertura della cancellata e dall'arrivo di un piccolo Elfo domestico.
"Signori prego, da questa parte! Il mio padrone è pronto a ricevervi."

La piccola folla segui l'Elfo domestico in silenzio attraverso i giardini curati millimetricamente di casa Rosier. Mark non poté non strabuzzare gli occhi: c'erano enormi fontane, varietà di fiori che non aveva mai visto prima e alcuni animali selvatici dall'aria esotica e rara. Arrivati dentro la villa, l'Elfo indicò ai partecipanti di quell'incontro una porta che dava in un salottino privato.
Quella stanza, pensò Mark, era la più bella ed elegante che avesse mai avuto occasione di vedere. Tutto il pavimento era ricoperto da una serie di tappeti pregiati che, lo sospettava, valevano da soli metà di casa sua. Tre delle pareti erano occupate da un enorme libreria piena zeppa di volumi antichi e pregiati mentre la quarta ospitava un enorme camino in pietra nel quale scoppiettava un fuoco vivace.
Non erano certo di minor pregio i mobili: al centro della stanza erano presenti due divani damascati ed alcune poltrone all'apparenza morbidissime mentre davanti al camino era posizionata una bella scrivania in quercia. Il loro anfitrione si trovava in piedi in un angolo, tutto preso in una fitta conversazione con un uomo dai corti capelli biondi che Mark aveva già visto, anche se non si ricordava bene dove. Costui osservò brevemente i nuovi arrivati, salutò il padrone di casa e uscì silenziosamente dal salotto.

Henry Rosier era sempre stato un uomo capace di indurre rispetto degli altri solo con lo sguardo: il viso duro, per certi versi glaciale, le labbra strette e che molto raramente stendeva in un sorriso tirato.
Osservò i suoi ospiti con curiosità, si sistemò la giacca e disse, con voce profonda e sicura: "Benvenuti nella mia umile dimora. Prego, sistematevi a sedere."
Mark riuscì a prendere una poltrona tutta per sé e, dopo qualche istante di confusione, nel salotto cadde di nuovo un silenzio carico di attesa.
Henry si appoggiò alla scrivania e scrutò ancora una volta tutti i nuovi arrivati stuzzicandosi il pizzetto biondo; il suo sguardo indugiò qualche secondo in più su Mark, ma a parte questo non diede segno di averlo riconosciuto.

"Prima di tutto vi ringrazio per essere qui, stasera." Disse infine.
"Ringrazio Billy e Jacobs per avervi convinto e coinvolto in questa nostra piccola riunione informale." L'uomo salutò con un cenno del capo Billy e un altro ragazzo dai corti capelli biondastri. "È importante vedere la nostra comunità magica Purosangue unita e partecipe, specie quando è costretta a difendere la propria sopravvivenza in questi tempi difficili."
Ci fu un brusio eccitato ed Henry sorrise, un sorriso che però non raggiunse gli occhi che rimasero glaciali.

"Siamo qui riuniti oggi perché, lo potrete vedere con i vostri occhi, la situazione all'interno della nostra comunità magia sta andando verso una rovina che difficilmente può essere fermata, se non agiamo ora. Dappertutto regna lo squilibrio : i Magonò, feccia che da sempre è stata giustamente ignorata, chiedono più privilegi. I sangue sporco e Babbanofili chiedono più diritti. Puah!" Henry sputò. "Questa è la mia risposta per questa gente!"
Tutti i presenti applaudirono vivacemente, anche Mark che trovava Henry davvero un oratore infallibile.
"Per troppi anni i maghi si sono nascosti nell'ombra per paura dei Babbani. Io e il mio signore pensiamo che sia giunta l'ora di terminare questa tradizione e di rivendicare il nostro ruolo, come maghi e Purosangue, nel Mondo Magico!" esclamò.
"Basta nasconderci come topi, basta prendere ordini da Babbani e sangue sporco, basta vedere la nostra preziosa e unica condizione di Purosangue calpestata!"
Ancora una volta la piccola folla, Mark compreso, applaudì; Henry sembrava bearsi del favore della folla.
"Se, come me, pensate che sia giunta l'ora di prendere la situazione in mano, allora vi chiedo di restare al termine di questa riunione e di parlarmi direttamente. Avrete il grande onore di essere tra i primi, veri, rivoluzionari magici!"

Il resto della serata passò via liscio come l'olio: Rosier aveva invitato un paio di studiosi che in breve arringarono la folla sul valore del sangue puro e su quanto il Ministero poco stesse facendo il favore loro. Dopo un'ora di vuote ciance, finalmente, Rosier congedò i due ospiti e la riunione ebbe termine.
Subito Mark e altri cinque invitati si avvicinarono verso il padrone di casa mentre altri uscirono senza aggiungere altro.
Henry Rosier parlò per qualche secondo con l'uomo dai capelli biondi, che nel frattempo era tornato nella stanza, e costui subito uscì. Mark nel frattempo scartò delicatamente gli altri e si rivolse per primo al padrone di casa.

"Signor Rosier…"
L'uomo si voltò e osservò Mark per qualche istante.
"L'ultima volta che ti vidi fu in un'occasione tremendamente nefasta, mi fa piacere incontrarti sette anni dopo in un ambiente più... informale e per certi versi allegro. Sei cambiato molto, Mark, adesso non sei più ragazzo ma sei un uomo e per giunta capofamiglia!" disse, sorridendo cordialmente.
Mark inchinò brevemente la testa e poi anche lui si sciolse in un sorriso." Non ha idea di quanto sia felice di vederla, signore!"
"Signore? Certo che sono invecchiato, ma tra vecchi amici di famiglia, tra membri delle Sacre Ventotto, possiamo anche chiamarci per nome e darci del tu, non trovi?" rispose Rosier, fingendosi indignato.
" Sì certo… Henry! Non posso ringraziarti abbastanza per l'aiuto che mi hai dato per quella faccenda delicata..."
"Sciocchezze figliolo, sciocchezze." Rosier disse. "Tuo padre un paio di volte mi ha praticamente tirato fuori da Azkaban, quando avevo la tua età! Non dimentico facilmente chi mi aiuta!"

"Ma bando alle formalità, cosa ne pensi di questa riunione? Come ti sono sembrate le parole degli esperti che ho invitato?" chiese infine Rosier, dopo qualche secondo di silenzio.
"Devo essere sincero?" Mark sorrise imbarazzato. "I tuoi ospiti sono stati molto… illuminanti, immagino." Henry rise di gusto, osservando l'espressione impacciata di Mark.
"Sono stati una noia mortale, vero?" bisbigliò. "Eppure le loro parole sono pregne di verità, peccato che siano così mortalmente noiosi. E ti ringrazio perché sei stato l'unico dotato di abbastanza carattere per dirmelo in faccia, ti rispetto ancora di più per questo." ammise Rosier. "Questo è vero. Mi fa piacere vedere che i Purosangue stiano reagendo qui in Inghilterra. In Svezia e nell'estremo Oriente dell'Europa le cose vanno molto diversamente, sono i maghi dal sangue puro a occupare i migliori posti al vertice delle varie Comunità Magiche!" ammise Mark. Rosier annuì.
"Infatti diversi ex studenti di Durmstrang sono entrati in contatto con il mio Signore. Abbiamo grandi piani per la Gran Bretagna, mi piacerebbe che tu entrassi a far parte della nostra… organizzazione!"

"Immagino che quasi tutti i membri delle Sacre Ventotto siano entrati a far parte del vostro gruppo. Quali sono i vostri piani?" chiese Mark, curioso.
Henry però rimase sul vago: "Parli già come un politico, bene. Al momento ci stiamo concentrando nella lotta contro i Magonò e le loro stupide pretese: ci sono tanti maghi che sono contrari alle loro rivendicazioni e attaccare quella feccia, sia pubblicamente che privatamente, si sta rivelando un toccasana per la nostra causa. Abbiamo sempre più consensi! Se ti va, la prossima volta, potrai partecipare tu stesso a una di queste contestazioni. Billy mi ha detto che hai una grande esperienza sul campo."

Mark rimase per qualche istante in silenzio, soppesando la proposta dell'uomo. Aveva ragione, qualcosa stava bollendo in pentola e i Purosangue erano coinvolti pesantemente. Era l'occasione giusta per dare una svolta alla situazione della sua famiglia e cambiare le sorti della comunità magica. Sebbene, ne era convinto, le parole melliflue dell'uomo nascondessero una verità ben più fosca e cupa, non poteva rifiutare quella offerta. Mark annuì e strinse la mano che Henry gli porgeva.

/ / / / / / /

Capitolo importante e che pone fine diciamo così al piccolo arco narrativo del ritorno di Mark a casa. Nel prossimo capitolo vedrete l'altra protagonista di questa storia che, pian piano, sta entrando più nel vivo. Spero che questa fic vi stia piacendo, essendo un progetto piuttosto ardito vi prego di lasciare una recensione sia negativa Che positiva per permettermi di migliorare ulteriormente.

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Capitolo 5
*** Primo Giorno di lavoro ***


Capitolo 5, Primo Giorno di Lavoro

 



"E questa che cosa sarebbe? Una relazione?" Bellings la osservava con il volto deformato dalla rabbia. Non era possibile, non poteva aver rovinato così il suo primo giorno di lavoro!
"Sei la peggiore Auror che io abbia mai avuto occasione di vedere! Sei licenziata!" sbraitò l'uomo, indicandole la porta del suo ufficio
"Nooo!"

Helen si svegliò improvvisamente e completamente, madida di sudore. Osservò l'orologio, sospirò di sollievo e lentamente si calmò: era solo un sogno, anzi, un incubo; lo stesso che la tormentava da quando si era diplomata Auror qualche mese prima.
Erano le sei di mattina, la luce dell'alba stava iniziando a filtrare da sotto le tapparelle della finestra. Avrebbe iniziato il suo primo giorno di lavoro alle otto, ma comunque decise di alzarsi: non ce l'avrebbe fatta a riaddormentarsi.

Con gli occhi gonfi dal sonno, caracollò fino al bagno e una bella doccia calda e un energica lavata di denti contribuirono a ridestare completamente i sensi della ragazza. Per fortuna, fin da bambina, non aveva mai avuto la necessità di dormire troppe ore la notte: in effetti era sempre stata la prima a scendere per la colazione a Hogwarts.
Cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare Rose, la sua coinquilina, entrò in cucina per prepararsi una bella colazione e affrontare al meglio quella giornata che sognava, e per certi versi temeva, da quando aveva superato i suoi esami all'accademia.

Mentre era impegnata nella preparazione del suo famoso toast doppio formaggio, la sua coinquilina comparve sulla soglia della cucina, ancora semi addormentata.
Condividevano lo stesso scalcinato appartamento nella periferia di Londra da due anni e, pur avendo caratteri e stili di vita diametralmente opposti, erano comunque riuscite a trovare un giusto compromesso per la loro quotidianità.
Era l’unica amica che era riuscita a farsi, fuori dal lavoro, durante gli anni frenetici di accademia.

Helen porse all'amica un toast e un bicchierone di succo di arancia, la sua colazione preferita.
"Primo giorno, vero?" bofonchiò Rose, sbocconcellando il sandwich preparato dall'amica.
"Sì," disse Helen, spazzolando via la sua porzione di uova e bacon.
"Vedrai che andrai benissimo, sei stata la migliore del tuo corso, no?" chiese l'altra.
"Si, ma un conto è la scuola è un conto è la vita lavorativa!" rispose Helen e Rose annuì. Assistente Guaritrice al San Mungo, Rose aveva dovuto sgominare parecchio per farsi strada in un ambiente, quello del reparto Ferite Magiche, prettamente maschile.

"Ho paura di arrivare in ritardo, di perdermi o di stare antipatica ai colleghi... " sbottò Helen, osservando il piatto vuoto, e dando così forma ai dubbi che l’assillavano da giorni.
"Sei una maniaca del controllo, manca ancora un'ora e mezzo all'orario di lavoro e... se ti aspetti di stare simpatica a tutti, allora scordatelo perché è impossibile!" rispose Rose. “Ma sei fantastica, vedrai che andrai benissimo!” concluse. Un po' più sollevata Helen si alzò dal tavolo.
Terminata la colazione, la ragazza si vestì di tutto punto, indossando, sopra i caldi abiti, la nuovissima veste da Auror. Rimase qualche secondo a osservarsi nello specchio: indossare quel completo era stato il sogno della sua vita e finalmente ce l'aveva fatta!
"Carino! Certo, meglio della mia divisa..." esclamò Rose, osservando l'amica da vicino. “Dovrebbero proprio rivederle, quelli del San Mungo. Sono… tristi!”
Helen sorrise e abbracciò forte l'amica.
Sospirò e disse: "Augurami buona fortuna!"
"Buona fortuna," rispose l'amica, "incrocerò l'incrociabile affinchè vada tutto bene. Ma andrà bene!"
Helen sorrise e poi si smaterializzò.

Ricomparve dall'altra parte di Londra, vicino al luogo che avrebbe utilizzato per entrare nel Ministero. A quell'ora non c'era nessuno in giro, e comunque la sua divisa aveva un utile incantesimo che, in caso di incontro con Babbani, poteva trasformare la sua veste magica in abiti "normali".
Uscì dal piccolo vicolo che usava per la materializzazione e subito vide una piccola folla di maghi e streghe avanzare, piuttosto lentamente, verso l'edificio dove Helen era diretta.
Arrivati davanti alla sua destinazione la fila si divise: gli uomini entrarono nella porta a destra, le donne in quella a sinistra. Helen si mise in coda con un piccolo groppo allo stomaco: sapeva cosa doveva fare ma non l'aveva mai provato prima e questo la rendeva piuttosto nervosa.
Dopo un po' di attesa, la fila iniziò a muoversi e dopo circa cinque minuti, Helen poté entrare dentro l'edificio, all'apparenza un bagno pubblico piuttosto scalcinato.
Inserì in un’apposita fessura il suo gettone e poi entrò nel bagno delle femmine, posizionandosi come le avevano insegnato: con i piedi dentro al water.
Era una sensazione davvero strana perché, nonostante avesse gli stivali immersi nell'acqua, non li sentiva bagnati. Dopo un momento di esitazione, la ragazza tirò lo sciacquone e venne risucchiata dentro al tubo.

/ / / / / / /

Ricomparve, uscendo da un camino, nell'atrio del Ministero della Magia. Si sentiva piuttosto scossa per il viaggio ma comunque sollevata: tutto era andato per il meglio, non aveva causato problemi ed era riuscita a entrare nel Ministero in orario.
L'atrium era già pieno zeppo di maghi e streghe dirette verso i venti ascensori dorati. Helen rimase qualche secondo ferma, cercando la strada giusta per non perdersi, quando sentì una voce familiare chiamarla da poco lontano.
Si girò, e con sollievo vide una delle poche facce amiche che avesse avuto occasione di conoscere durante la sua permanenza in accademia: era l'Auror anziano Kenningher (*), suo insegnante di tecniche avanzate di investigazione.

Nonostante fosse ormai vicino alla pensione, Kenningher era sempre uno dei primi ad arrivare e uno degli ultimi ad andarsene via dal luogo di lavoro. Sorrise, osservando l'uniforme nuova di zecca di Helen.
"Primo giorno di lavoro?" chiese, divertito.
"Si, mi devo incontrare con Bellings tra... un quarto d'ora più o meno." Rispose Helen.
Kenningher annuì, e disse: "Vieni pure con me, eviterai di perderti nel tuo primo giorno da Auror!"

Helen sorrise e accettò la gentile offerta. I due entrarono nel caos mattutino, superando drappelli di maghi e streghe intenti a parlare di lavoro oppure di mero gossip inter-ufficio.
Superarono i cancelli di ingresso, rivolgendo un cenno di saluto al guardiano, oltrepassarono la grande fontana dei fratelli magici e si diressero decisi verso gli ascensori.
"Ehi, Bob!" un ragazzo, che Helen conosceva di vista, si avvicinò all'uomo. Aveva la divisa degli Indicibili, coloro che lavoravano per l'Ufficio Misteri. "Posso chiederti una cosa a proposito della pratica Lipsy?"
Bob annuì meccanicamente, salutò la sua accompagnatrice, e si allontanò lasciandola sola in mezzo al caos.

Helen, rimasta senza accompagnatore, vide un ascensore non ancora stipato e ne approfittò per entrarci dentro.
La discesa fu terribilmente lenta, l'ascensore ben presto si riempì di impiegati e promemoria inter-ufficio ed Helen fu costretta in un angolo, appiccicata a una grossa donna particolarmente maleodorante.
Fu con gran sollievo che finalmente raggiunse il secondo livello e la ragazza poté uscire.
La situazione nel corridoio era sicuramente più vivibile rispetto all'atrium, ed Helen si diresse quindi decisa verso un portone aperto con su scritto, sopra una targhetta posta in cima alla porta, "Quartier Generale Auror"

/ / / / / / /

Varcata la porta la ragazza si trovò in un grande spazio aperto; sulla destra e sulla sinistra c'erano numerosi cubicoli mentre davanti a lei si trovavano tre porte: una che dava ai bagni, una agli archivi e una all'ufficio del Comandante Auror.
Helen si diresse decisa verso quest'ultima, bussò alla porta ed entrò.

Quando aveva iniziato l'Accademia, l'allora comandante Auror era una donna gentile e simpatica di nome Elizabeth Sombart e all'epoca il suo ufficio, sempre aperto per un tè pomeridiano, era pieno di schedari, mappe e confusione ovunque.
Da pochi mesi a quella parte si era invece insediato Bellings (*) e la situazione non poteva essere più diversa. Gli schedari, le mappe erano state sostituite da mobili pregiati e tappeti ricercati; alle pareti erano state appese numerose foto di Bellings in compagnia di qualche pezzo grosso della comunità magica.
Era diventato comandante grazie anche, e soprattutto, alle sue conoscenze in politica e ci teneva a farlo sapere a chiunque: meglio non innervosire Jeremiah Bellings.

Non era sola in quella stanza che riusciva a incutere un certo timore reverenziale, altri quattro colleghi dell'accademia (una ragazza e tre ragazzi) erano presenti e la osservavano piuttosto nervosamente. Stava per chiedere se fosse l'ultima, quando la porta si aprì e Bellings entrò.
Magro, nervoso, Jeremiah era stato sempre un mistero per Helen, non riusciva davvero a capire quell'uomo che sapeva essere tanto debole con i forti e forte con i deboli.

Il comandante si sedette alla scrivania, estrasse cinque fogli di pergamena da una tasca della divisa immacolata e li posò sul piano davanti a sé.
"Bene, voi siete i nostri nuovi Auror!" esclamò. "Non so se vi aspettavate qualche lacrimevole discorso, ma non è questo il caso," disse, sorridendo sardonico.
Con un tocco della bacchetta l'uomo fece volare i fogli di pergamena dalla scrivania ai ragazzi, in modo che ognuno di loro avesse un solo foglio in mano.

"Sarò breve perché non ho molto tempo da perdere. Siete diventati Auror a tutti gli effetti, bravi, ma un conto è l'accademia, un conto è la vita reale,” disse, osservando intensamente le cinque nuove reclute. “Per questo motivo, nel vostro primo anno di lavoro, verrete affiancati a un Auror più esperto che vi farà da tutor, insegnandovi come vanno le cose nel mondo reale e cose del genere. Starete a stretto contatto, vedrete come lavora un vero Auror e nel frattempo avrete modo di portare avanti le vostre prime piccole missioni, rispondendone sempre al vostro responsabile,” fece una pausa, poi riprese.
"Il foglio che vi ho consegnato," disse, indicando il foglio di pergamena che aveva appena distribuito, "contiene il nome del vostro tutor. Andate da lui, o lei, presentatevi e iniziate a fare sul serio, d'accordo? Ci sono domande?"
Nessuno aprì bocca. Bellings annuì, soddisfatto, prese un calamaio e un foglio di pergamena e disse, rivolto ai nuovi Auror: "Adesso smammate, ho perso già abbastanza tempo con voi marmocchi. A lavoro!"

I cinque nuovi Auror salutarono il loro comandante e uscirono, tornando all'ingresso del Dipartimento.
"Oh no, a me è capitato quello spacca boccini di Scrimgeour!" esclamò Billy Temp, osservando il foglio e scuotendo la testa. Helen prese il suo e lo aprì, tremando leggermente. Non aveva avuto occasione di conoscere molti Auror ma inevitabilmente le voci correvano e Helen si era già fatta un’idea su chi avrebbe voluto come tutor.

"Alastor Angus Moody, cubicolo 77"

"Alastor Moody... lo conoscete?" chiese, incerta, rivolta ai colleghi. Questa era nuova!
"Deve essere quel tizio strano... è un Auror da una quindicina di anni, un po' matto se vuoi la mia, ma ci sa fare!" rispose James Mahoney. Helen scosse la testa, salutò i colleghi e si incamminò verso il cubicolo 77.
"Bravo ma un po' matto, ovviamente doveva capitare a me!" pensò, piuttosto amareggiata.

/ / / / / / /

Quando arrivò al cubicolo 77 non c'era traccia di Alastor Moody. Helen ne approfittò per dare un'occhiata: se avrebbe dovuto passare un anno a stretto contatto con quell'Auror voleva saperne il più possibile.
Le pareti erano stipate da schedari pieni zeppi, da una ventina di mappe rappresentanti diverse regioni dell'Inghilterra e della Scozia, tutte con numerosi puntini rossi, alcune foto di ricercati e infine un poster sulla sicurezza dell'uso delle bacchette.
Se le pareti e gli schedari non erano ordinati, forse la scrivania era in condizione addirittura peggiori: era ingombra di piume, calamai e fogli di pergamena; c'era solo un oggetto personale, una foto che raffigurava una famiglia composta da padre, madre e due fratelli.

"Tua madre non ti ha insegnato che non è cortese sbirciare nelle cose altrui?" Una voce bassa interruppe il silenzio di quel cubicolo.
Helen sobbalzò dallo spavento, si voltò e vide davanti a lei un uomo sulla quarantina, piuttosto tozzo, con lunghi capelli biondi, un volto solcato da diverse, profonde, cicatrici e una bacchetta, in mano, puntata contro di lei.

"Io… io, lei," balbettò la ragazza, mentre il nuovo arrivato la guardava torva. "Lei è Alastor Moody, vero?" Riuscì infine a chiedere.
"Il solo e unico. E tu si può sapere chi diavolo sei e che cosa diavolo vuoi da me?" brontolò l'altro.
Helen si riscosse, preso il foglio di pergamena e lo porse a Moody. "Il mio nome è Helen Elizabeth Blooming e sono una nuova Auror appena diplomata all'accademia. Da quello che il comandante ha detto, lei dovrebbe essere il mio nuovo tutor per quest'anno." Disse, senza quasi riprendere fiato.

Moody sbuffò e ripose la bacchetta in tasca. Prese il foglio di pergamena e si mise a sedere, controllandolo come a verificarne l'autenticità.
Evidentemente soddisfatto lo intascò e rivolse il suo sguardo indurito verso la ragazza.

"Bene, a quanto pare dovremmo collaborare per questo anno. Sai perché da diversi anni è stata introdotta la figura del tutor?" chiese, andando dritto al punto.
"Per fare in modo che gli Auror appena diplomati sappiano come funziona il mondo là fuori e come applicare la teoria imparata in accademia alla vita reale," snocciolò sicura la ragazza. Moody rise.
"Ah, vedo che vi raccontano ancora questa cazzata. No, il motivo reale è che i marmocchi, come voi, escono dall'accademia e pensano di sapere già tutto, credono che non ci sia più bisogno di studiare o di darsi da fare. Noi tutor serviamo per darvi una bella svegliata, togliervi tutte le illusioni che vi hanno creato in accademia e farvi vedere come sopravvivere sulla strada," disse l'Auror, osservando divertito la reazione della ragazza.

“Io non…” protestò.
“Tutti dicono la stessa cosa. Però tutti pensate di essere speciali. Non lo siete!” rispose Moody. “Ora, sono una persona dura ma giusta e se farai come ti dico forse, e sottolineo il forse, riuscirai ad arrivare all'età pensionabile," riprese l’Auror, sorridendo.
"Anche se con qualche cicatrice in più sulla faccia," si lasciò sfuggire la ragazza. Moody ghignò, divertito.
"Potresti piacermi, lo sai? Il cubicolo qui accanto, il 76, è libero. Sistemati e poi torna da me." La congedò.

Helen non se lo fece ripetere due volte, uscì dal cubicolo 77 ed entrò nel 76.
Era un piccolo spazio vuoto, eccezion fatta per un paio di archivi appoggiati ad una parete, una mappa intonsa dell'Inghilterra e una piccola scrivania piuttosto ammaccata.
Sbuffando, la ragazza si mise a sedere e tirò fuori dalla borsa a tracolla tutto il necessario per rendere quello spazio un po' più personale.

Alla parete, sopra gli schedari, attaccò un poster dei "Mud - Mad - Blood" la sua band preferita, mentre sulla scrivania appoggiò un paio di rotoli di pergamena, un calamaio e una piuma nuova di zecca comprati il giorno precedente da Scrivenshaft, a Hogsmade.
Sul suo piano da lavoro posizionò anche tre foto incorniciate: una rappresentava la sua famiglia (sua madre, suo padre e la sua sorella in visita al lago di Lochness), un'altra raffigurava Helen alla cerimonia dei M.A.G.O, in compagnia delle sue compagne di dormitorio e del professor Vitious, direttore della sua casa a Hogwarts.
L'ultima raffigurava invece Helen e Rose nel loro nuovo appartamento: Rose aveva appena avuto il ruolo di Assistente Guaritrice, lei invece la lettera che le annunciava il passaggio degli esami del secondo anno di accademia.
Sospirò e sorrise: ce l'aveva fatta e sì, certo, quel Moody era davvero strano ma allo stesso tempo sembrava molto esperto e capace.

Prese un rotolo di pergamena nuovo, la piuma che intinse nel calamaio e stava per iniziare una lettera per i suoi genitori quando Alastor comparve sulla soglia del suo cubicolo.
"Ehi, ti ho detto di sistemarti, non di metterti comoda e farti il riposino mattutino! Muoviti, c'è tutta una serie di relazioni che devono essere scritte." Brontolò.
"Non esiste una Penna Prendi-Appunti da queste parti?" brontolò Helen, alzandosi. Moody sorrise.
"Oh, certo. Ma perché usarle quando abbiamo della carne fresca da usare a nostro piacimento?"
Helen scosse la testa, sorrise e poi entrò nel cubicolo del collega.

Sarebbe stata una lunga giornata.

/ / / / / / /

(*) personaggio introdotto nella mini long "Marzo '68" Eccoci qui con un nuovo capitolo dall'ambientazione sicuramente molto diversa. Helen è l'altra protagonista di questa storia e se per Mark non ho avuto dubbi, ho riscritto questo capitolo almeno una decina di volte.
Spero la prima impressione sia stata buona, la approfondiremo meglio nei prossimi capitoli. E c’è stato anche un piccolo spazio per il nostro amato Moody, spero vi sia piaciuto :D
Nel prossimo torneremo con i nostri amici Purosangue e vedremo Mark alle prese con la sua attività da apprendista Mangiamorte, diciamo così.

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Capitolo 6
*** Attacco al Corteo ***


Capitolo 6, Attacco al Corteo

 



"Secondo me, tutta questa situazione è una grande cazzata."
Marc, Billy e altri cinque ragazzi sedevano, rannicchiati, dietro un'aiuola che delimitava la piccola piazza centrale di un'anonima cittadina nel sud della Scozia.
Il freddo era pungente, il vento penetrava dentro i mantelli, fino alle ossa. Ma l’eccitazione, l’adrenalina per quello che stava per succedere, rendeva i ragazzi invulnerabili alle dure condizioni metereologiche.

"Insomma, se n'è andato da più di dieci minuti… per me non torna," un ragazzo dall'aria piuttosto nervosa sussurrò agli altri. Non poteva avere più di vent’anni e si guardava intorno di continuo, in maniera quasi maniacale.
"Philip, questo tizio ha fatto fuori già una decina di Magonò, è braccio destro di Rosier, sa quel che fa e certamente non se l'è data a gambe," rispose Billy, nervoso.
"Sarà, ma se non torna entro cinque minuti io mi smaterializzo via di qui," rispose il ragazzo di nome Philip, sempre più agitato.

"Philip, sei ancora sicuro di voler fare parte di quest'azione?" si intromise Mark, spazientito dal comportamento del ragazzo.
"Certo…"
"Perché tra poco attaccheremo questo corteo di feccia e il nostro amico svedese non apprezza chi se la fa sotto dalla paura!" concluse Mark.
"Io… no, cosa… io non sono mica un codardo, stavo solo dicendo che... " provò a difendersi Philip, il balbettio sempre più incerto interrotto però subito da Billy. "Sono stato io a suggerire il tuo nome a Rosier, se non te la senti smaterializzati subito, ci inventeremo una scusa. Se rimani e te la fai sotto dalla paura sarà peggio, molto peggio per te..."
La risposta, certamente piccata, di Billy venne interrotta da un piccolo pop e un uomo piuttosto muscoloso e dai corti capelli biondi comparve vicino al gruppo.

"Stanno arrivando, il corteo ha appena imboccato la via che porta a questa piazza," disse l'uomo, accucciandosi vicino agli altri.
“In quanti sono?” chiese un altro ragazzo, grosso e panciuto.
“Una decina. Qualche vecchio, poca roba ma comunque non dobbiamo prendere questa operazione sotto gamba. É un errore che fanno solo i principianti!” rispose il biondo. Si alzò, osservando silenziosamente la piazza e poi si accucciò di nuovo. "Ora, ricordatevi che il nostro obiettivo è causare un po' di baccano e ricordare ai Magonò che non sono mai al sicuro. Questa feccia deve rimanere al suo posto, siamo qui per ricordar loro questa preziosa lezione. Divertitevi, ma non ammazzate nessuno, troppe complicazioni. Sono stato chiaro?" chiese, il tono basso e cupo.
"È probabile che ci saranno alcuni maghi tra le loro fila," aggiunse Mark, che aveva già partecipato ad altri azioni sul campo di quel genere. "Io, Billy e Marcus," indicò l'uomo dai corti capelli biondi, " ci occuperemo di eventuali avversari magici, voialtri concentratevi sui Magonò."

Detto questo i sei presero posizione, tutti con le bacchetta in mano puntate verso l'imbocco della piazza. Marcus si mise accucciato accanto a Mark e disse, in svedese e a bassa voce:" Com'è il morale?"
"Buono, ma quel Philip non mi convince molto," rispose Mark, nel suo svedese un po' incerto.
Marcus sorrise." Se fa una mossa sbagliata lo faccio fuori."

Dopo qualche minuto di silenzio finalmente il piccolo corteo di Magonò comparve nella piazza: una ventina di persone estremamente colorate stavano intonando un coro oramai famoso.
"Magonò, Magonò, Magonò! Vogliamo sparire? No, no, no!”
Un paio di individui piuttosto anziani si trovavano in cima alla folla ed esibivano uno striscione con su scritto "Magonò, ci siamo anche noi!"

Lentamente il variopinto corteo si avvicinò alla posizione di Mark e degli altri.
"Al mio tre, ognuno miri a uno qualsiasi di quella feccia e lanci uno Stupeficium. Se qualcuno dei loro tira fuori la bacchetta, ci pensiamo noi tre," disse Marcus, deciso, indicando Mark e Billy. Gli altri annuirono.
I Magonò si facevano sempre più vicini, i loro cori sempre più forti e rumorosi. Mark, la saliva azzerata dall'eccitazione del momento, estrasse la bacchetta e la puntò deciso verso un Magonò corpulento, posizionato verso la fine del corteo.

"Tre… due… uno!!" esclamò Marcus e sei getti di scintille rosse colpirono il corteo. I due anziani crollarono per terra, così come il bersaglio che Mark aveva puntato.
Ci furono urla di stupore e di terrore, mentre i Magonò del corteo iniziarono a scappare in tutte le direzioni, bersagliati senza pietà dagli incantesimi dei maghi che, nel frattempo, si erano incappucciati. Prima che potessero organizzarsi altri due caddero a terra svenuti.
Un paio di ragazzi estrassero delle bacchette magiche: era il segnale che Mark stava aspettando.

Lui, Billy e Marcus uscirono dal loro riparo e affrontarono i maghi che si erano uniti a quella manifestazione.
"Confrigo!"
La maledizione sfiorò Marcus e creò una piccola voragine alle sue spalle. Chi l'aveva lanciata, un ragazzo sulla ventina piuttosto brufoloso, lo stava osservando con aria disgustata.
"Ma bravo, una maledizione ben eseguita," ammise Mark. "Cosa ci fa un mago così talentuoso in mezzo a questa feccia?"
"Mia sorella è una Maganò e non ti permetto di chiamarla feccia! Feccia, siete voi e, bello, avete sfidato il corteo sbagliato!" esclamò il ragazzo, le intenzioni bellicose.
Mark rise. “Parole coraggiose. Ma stupide!”

Detto questo lanciò diversi Stupeficium non verbali, incantesimi che misero piuttosto in difficoltà l’avversario: un paio riuscì a pararli, ma alla fine uno Schiantesimo ben piazzato lo colpì al volto, facendolo rovinare a terra.
Mark non perse tempo e avanzò, torreggiando sull’avversario.
“Patetico, piccolo…”
“Diffindo!”
Mark d’istinto si voltò. Fece in tempo a vedere Billy sdraiato per terra, privo di sensi e poi sentì un gran dolore alla coscia destra.
“Oh, Caradoc, grazie!” esclamò il ragazzo brufoloso, rimettendosi in piedi. Accanto a lui era comparso il mago che aveva messo ko Billy e che era riuscito a ferire Mark: era un ragazzo piuttosto imponente, ben piazzato e con lo sguardo duro e sicuro.
Immediatamente Mark sentì bagnarsi i pantaloni di sangue, il dolore era quasi insopportabile, ma nulla in confronto alla rabbia per l’umiliazione subita. Si rialzò a fatica e, senza pensare, guidato unicamente dalla rabbia, puntò la bacchetta contro Caradoc e urlò: “Crucio!”

L’avversario immediatamente cadde a terra, in preda a un dolore indescrivibile. Bene, doveva soffrire, pagare per quello che aveva appena fatto, per l’umiliazione che aveva appena osato infliggere a uno Shafiq!
Il brufoloso fece per puntare la bacchetta contro Mark ma, ancora una volta, finì disteso a terra, svenuto. Accanto al giovane Shafiq era apparso Marcus.
Immediatamente Mark alzò la bacchetta, interrompendo la maledizione Cruciatus. Era ansante.

“Andiamo, sei ferito e il nostro compito è finito!” disse lo svedese. Prese Mark per una mano e Billy, che nel frattempo aveva appena ripreso conoscenza, nell’altra e si smaterializzò via dal campo di battaglia.

/ / / / / / /

Mark riprese conoscenza lentamente. Si trovava in una stanza che non aveva mai visto prima: era piena di tappeti e divani pregiati. Un fuocherello guizzava allegro in un camino di marmo, rischiarando una stanza sicuramente appartenente a qualche mago benestante.
In lontananza poteva sentire delle urla, grida di dolore.

“Ma che cazz…” si disse. Fece per alzarsi, quando una voce a lui conosciuta attirò la sua attenzione.
“Che botta che abbiamo preso.” Era Billy che, piuttosto ammaccato, sedeva accanto al divano dove Mark aveva appena ripreso i sensi.
“Che cosa…”
“Appena sei arrivato qui sei svenuto dal dolore per la ferita alla coscia. Gli Elfi comunque ti hanno curato con del dittamo e la ferita sta già un po’ meglio,” rispose Billy.
“Ok, bene, voglio andarmene a casa!” disse Mark, alzandosi con difficoltà: il dolore alla coscia, seppur attutito dalle medicazioni, era comunque presente e continuo.
“Prima Rosier ti vuole… ci vuole parlare,” Billy osservò, aiutando l’amico ad alzarsi e a muovere i primi, incerti, passi. “Sta dando una lezione a quel Philip.”

Qualche minuto più tardi i due giunsero nel salottino dove Rosier aveva tenuto la loro prima riunione.
L’uomo sedeva rigido su una poltrona, sorseggiando il suo whiskey serale, mentre gli altri compagni avevano preso posto su alcuni divani.
Per terra era disteso Philip, sanguinante mentre Marcus torreggiava su di lui, la bacchetta in mano.

“Bene, Mark, sono contento che tu stia finalmente meglio!” Rosier sorrise all’ingresso dei due feriti che presero subito posto in un divanetto alla destra del padrone di casa.
“Siete stati tutti bravi, il mio Signore se ne compiace,” continuò Rosier. “Parlerò con lui appena possibile e penso proprio che tempo qualche settimana potrete incontrarlo e, se volete, unirvi ufficialmente.”
Lo sguardo glaciale dell'uomo si posò su Philip. “Tutti tranne uno. Nella nostra società non ci sarà posto per Babbani, Magonò, Sanguesporco… e codardi. Lo sai questo, vero Philip?”
“Mio signore, io…” Philip piagnucolò e Henry sorrise.
“Vedi, Evan,” disse il padrone di casa rivolto al figlio, un ragazzino che frequentava il terzo anno di Hogwarts, “Quest’uomo è un codardo. E a noi i codardi non piacciono, giusto?”
Evan scosse la testa, divertito.
“Noi i codardi li uccidiamo.” disse Henry Rosier, osservando con disgusto Philip.
“No, io prometto che…”

“Avada Kedavra!”
Il lampo di luce verde abbagliò per un momento la stanza, poi Philip cadde a terra, chiaramente morto, mentre Marcus infilò la bacchetta nella tasca della giacca. Evan osservò il corpo incuriosito, mentre il padre si rivolgeva agli astanti.
“Un piccolo, ma doveroso esempio di cosa accade se sfidate la mia pazienza,” disse Rosier, finendo il suo whisky e appoggiandolo su un tavolino. “Bene, è tardi, potete andare a casa, avrete mie notizie molto presto. Marcus, occupati del corpo, ti spiace?”

Mark osservò per un’ultima volta il corpo di philip che veniva raccolto da terra da Marcus. Rosier era un mago temibile ma fino a quel momento non si era mai reso veramente conto di quanto effettivamente lo fosse.
Rabbrividì leggermente, mentre si smaterializzava via da Rosier Manor.

/ / / / / / /

Non appena Marcus si comparve nel salone d'ingresso, sentì la ferita sulla coscia riaprirsi. Le cure degli Elfi dei Rosier, seppur tempestive, non erano state evidentemente abbastanza accurate. Maledicendo i Magonò e quel brutto ceffo alla manifestazione, Marcus caracollò in avanti, cercando di raggiungere camera sua in silenzio, per non svegliare la sorella o la madre.
Trascinando la gamba ferita riuscì ad arrivare fino alla scalinata, quando senti una voce conosciuta chiamarlo.
"Mark... oh mio Dio, cosa ti è successo?"
Era sua sorella che, con un'espressione corrucciata e preoccupata, lo stava aspettando in piedi sulle scale.
"Come mai sei tornato così tardi? E..." i suoi occhi indugiarono sui pantaloni macchiati di sangue. "Mark, sei ferito?"
Mark grugnì, ogni movimento che faceva era un dolore atroce. "Aiutami ad arrivare in camera e ti spiego tutto, per favore." Sbottò.
Mary si riebbe, scese le scale e prese il fratello sottobraccio. Un mezzo giro e i due si smaterializzarono, per poi apparire nella camera di Mark.

Il ragazzo si accasciò sul suo letto, sul punto di svenire. Era talmente malconcio che lasciò che la sorella lo spogliasse senza brontolare.
"Oh mio Dio, Mark. Chi ti ha fatto questa ferita? Che cosa è successo?" esclamò Mary, alla vista della lunga e profonda ferita sulla coscia del fratello.
"Tu guariscimi, fai passare questo… dolore… e poi ti spiego tutto," boccheggiò Mark.
Sebbene non fosse totalmente convinta delle parole del fratello, Mary capì che non aveva senso insistere e perciò si alzò e chiamò: "Trixie!"
Immediatamente una grassa e vecchia Elfa domestica si materializzò accanto alla padrona.

"Trixie, prendi l'essenza di Dittamo, delle bende e torna qui immediatamente. Dobbiamo guarire Mark da quella brutta ferita!" Ordinò Mary.
"Sei così diversa quando dai ordini, sorellina," sussurrò Mark, mentre l’Elfa usciva dalla stanza, "un giorno sarai un ottima padrona di casa per qualche ragazzo fortunato."
"Si, ma adesso fai silenzio." La rimbeccò la sorella. “Non sforzarti di fare lo splendido!”

Dopo qualche minuto di penosa attesa, la porta si aprì di nuovo ed entrarono Trixie e, con sorpresa dei due Shafiq, anche Billy.
"Ehi amico, come stai?" chiese il nuovo venuto, mentre l'Elfa versava alcune gocce di essenza sulla ferita rosso vivo di Mark. Il ragazzo digrignò i denti, mentre l'essenza faceva il suo lavoro e subito un piccolo strato di pelle nuova incominciava a coprire la ferita.
"Mai stato meglio..." sbuffò infine Mark, mentre Mary ricopriva la ferita con alcune bende, legandole abbastanza strette.
"Conosco un unguento miracoloso, per questi tipi di ferite," commentò Billy, osservando Mary. "È una ricetta antica, praticamente quasi nessuno la produce più, ma a Diagon Alley ci dovrebbe essere una farmacia che la fa ancora."
La ragazza annuì."Sì, la conosco. Domani pomeriggio, appena posso, andrò a prenderla. Ho da fare anche altre spese a Diagon Alley."
Billy sorrise." Vorrei accompagnarti, ma purtroppo domani abbiamo una riunione con dei nuovi rappresentanti francesi e starò via tutta la settimana," ammise e sembrava davvero dispiaciuto, ma allo stesso tempo orgoglioso. "Pare che dei francesi vogliano puntare sul nostro whisky... e io mi occuperò di tutto quanto," aggiunse, rivolgendo a Mark uno sguardo carico di significato.

Costui sorrise, poi si ridistese sul letto, esausto. Billy salutò i presenti e poi andò via, accompagnato alla porta da Mary mentre Trixie si occupava di aiutare Mark a infilarsi il pigiama.
Un quarto d'ora più tardi Mary tornò nella camera del fratello, visibilmente rossa in volto.
"E allora, te l'ha dato il bacino della buonanotte?" Chiese Mark, sorridendo sornione all'espressione imbarazzata della sorella.
Ma Mary si riprese subito, si sedette accanto al fratello e chiese, in tono serio: "Ora che ti abbiamo curato, ti va di dirmi che cosa è successo?"

Mark sospirò. Sua sorella era come un Kappa: una volta che aveva la preda tra gli artigli non la mollava. Sapeva che mentirle non avrebbe avuto senso, ma comunque decise di indorare la pillola, per quanto possibile.

"Siamo capitati per caso in una manifestazione di Magonò e Babbanofili. Ci siamo un po' insultati, hanno iniziato loro chiaramente, e poi sono volate e un po' di maledizioni," disse infine, cercando di risultare convincente. Ma fallendo clamorosamente, lo capì subito dall'espressione della ragazza, decisamente accigliata e incredula.
"Certo, per caso vi siete incrociati e chiaramente per caso una maledizione ti ha colpito. Mark, dimmi la verità per una buona volta. Che cos’è successo e, intendo dire, per davvero?" chiese Mary, dura. Mark sbuffò.
"D'accordo abbiamo attaccato quella manifestazione, un mago ha reagito e ci siamo feriti a vicenda," ammise alla fine.
"E perché avete attaccato una manifestazione di feccia?" chiese Mary.
"E me lo chiedi? Dobbiamo permettere a quella gente di insozzare ulteriormente il nostro mondo magico? Manifestazioni per i loro diritti, figuriamoci!" disse Mark, risentito dalla domanda della sorella.
"A me interessa solamente la mia famiglia e il suo nome: ti sei preso la responsabilità di far tornare gli Shafiq agli antichi splendori. Non capisco come questa nobile e importante missione e attaccare dei Magonò siano due fatti collegati!" replicò Mary.
"Fa parte tutto di uno schema più ampio," rispose Mark, che stava lentamente perdendo la pazienza. "I Magonò sono il mezzo, non il fine. Ho servito bene Rosier, presto mi darà permesso incontrare altre famiglie di Purosangue, gente di livello superiore. Devi solo portare pazienza e se il mio sangue versato è il prezzo da pagare… sono felice di farlo!"

Mary rimase in silenzio, lo sguardo duro.
"Quando mi hai detto che volevi farlo, non pensavo che... " e la rabbia, la rabbia che Mark provava per la frustrazione subita e il dolore della ferita esplose.
"Che cosa pensavi fosse necessario fare per tirarci fuori dalla merda?" chiese, il tono di voce che si alzava sempre più. “Di incontrare gli zoticoni del villaggio? Di organizzare dei balli eleganti e del ricevimenti per il tè con qualche signorotto locale? Per tirarsi fuori dalla merda dobbiamo scavare, Mary, e mettere le mani in cose che non avremmo mai voluto, o pensato di fare. Svegliati, esci dai tuoi sogni e vivi la vita reale, cazzo!"

Rimase in silenzio, ansimando leggermente, ma non si sentiva meglio, per niente. Mary non pianse, non si arrabbiò, rimase a osservarlo con un'espressione piena di disgusto.
"Allora potevi rimanere in Svezia e lasciarci stare, se per te questa situazione è una merda." Prima che Mark potesse controbattere, si alzò e uscì dalla stanza.
“Io non intendevo…” brontolò Mark che fece per alzarsi. Una fitta alla coscia lo costrinse però a rinunciare ai suoi propositi.
“No… non, cazzo!” esclamò. Si ributtò sul letto, le mani sulla faccia. Era stato uno stronzo, ma era necessario che sua sorella capisse…
I tempi erano cambiati e forse anche lui.

/ / / / / / /

Capitolo piuttosto importante, un po’ più d’azione rispetto agli altri xD
Mark è un personaggio che è comunque “costretto” a lottare tra la necessità di trovarsi un posto nel mondo, ridare dignità al suo cognome, e al fascino che i suoi nuovi amici esercitano su di lui.
Spero vi sia piaciuto, prox cap cambieremo di nuovo punto di vista :)

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Capitolo 7
*** Cinque Auror al Bar ***


Capitolo 7, Cinque Auror al Bar

 



"Sono sbucati all'improvviso da fuori quella siepe," il vecchietto mormorò, con voce tremante.
Era ancora parecchio spaventato, cosa comprensibilissima dopo aver subito un attacco in piena regola senza neanche avere la possibilità di difendersi.
"E poi che cosa è successo?" chiese Moody, la voce bassa e gli occhi fissi sull'uomo.
"Non lo so perché sono svenuto. Ma Caradoc, è quel tizio grande e grosso là davanti alla fontana, ci ha combattuto. Sicuro qualcosa saprà dirvi!" Rispose il vecchietto. Helen e Alastor ringraziarono l’anziano e si mossero verso l’uomo chiamato Caradoc.

Erano le sei di mattina e i due Auror si trovavano nella piazza principale di un piccolo paesino sconosciuto in Scozia. C'era stato un altro, ennesimo, attacco a un corteo di Magonò. Il ventesimo, in quel 1968 che ancora doveva arrivare alla sua conclusione.
Era la prima vera e propria indagine che Helen aveva occasione di portare avanti come Auror a tutti gli effetti, sebbene sotto la diretta responsabilità di Alastor Moody, perciò, nonostante l'ora proibitiva, era sveglia e attenta ad ogni dettaglio.

"Voi siete gli Auror incaricati di questa indagine?"
La voce poderosa di Caradoc riportò Helen alla realtà. L'uomo che aveva di fronte era alto e piuttosto massiccio, un'espressione gentile sul volto tutto sommato giovane: sembrava proprio il tipico gigante buono, si ritrovò a pensare la ragazza.
"Signor Caradoc, ci può dire come sono andate le cose?" chiese Helen, pronta a prendere appunti su block notes. Alastor rimase un passo indietro, in attento silenzio: non aveva mai bisogno di prendere appunti.
"Erano in quattro o cinque, tutti incappucciati," disse l'altro. "Hanno iniziato a scagliarci contro delle maledizioni, io e un mio amico abbiamo tirato fuori le bacchette e tre di loro sono usciti fuori da una siepe, pronti a darci battaglia."
"E questo... scontro com'è andato?" domandò Helen. Caradoc rimase in silenzio per qualche secondo, grattandosi il mento, pensieroso.

"Ecco io ho affrontato, e mandato ko, uno di loro. Però non ho fatto in tempo a vedere chi fosse, perché a sua volta il mio amico era stato schiantato da uno degli incappucciati," finalmente l'uomo parlò. "D'istinto ho puntato la mia bacchetta all'altro incappucciato e ho lanciato, se non ricordo male, un Diffindo. L'ho colpito alla coscia, ha fatto anche molto male perché lui, a sua volta d'istinto, mi ha lasciato addosso un Cruciatus," commentò Caradoc.
"Un Cruciatus?" si intromise Moody. "E le ha fatto molto male?" chiese, burbero.
"Beh abbastanza, sono piuttosto grosso quindi incasso bene le maledizioni, però sì immagino che a una persona normale avrebbe fatto piuttosto male, sì!" rispose Caradoc, impallidendo.
"Quindi, in parole povere, la persona che ha affrontato è un mago che conosce bene le Arti Oscure e le sa praticare altrettanto bene e rapidamente," fece notare Alastor, pensieroso.
“Sì, immagino di sì…” rispose l’altro.

"Bene, direi che non c'è altro da fare. Resti comunque a disposizione, in caso dovessimo aver bisogno di lei," disse Helen. Caradoc annuì e si smaterializzò, lasciando da soli i due Auror. "Che cosa ne pensi?" subito Helen chiese al più esperto collega che però le fece cenno di tacere.
"Non parliamone qui. Prendimi il braccio e materializzamoci nel dipartimento Auror, potrebbero aver lasciato delle spie da queste parti."

/ / / / / / /

Circa dieci minuti più tardi Helen fu finalmente di ritorno al suo caldo cubicolo. Erano passate alcune settimane dal suo arrivo e finalmente quel piccolo spazio anonimo iniziava a essere più a sua immagine e somiglianza: caotico ma con un suo ordine interno.

Si era appena messa seduta, pronta a riguardare i suoi appunti, quando sentì bussare e la faccia allegra di Johnny Temp sbucò dall'ingresso del cubicolo.
"Ehi, dov'è il vecchio Moody?" Chiese.
"È andato un attimo a parlare da Bellings," rispose Helen.
"Oh, bene. Anche tu stacchi alle dieci?" chiese Johnny, mettendosi a sedere sulla scrivania.
"Sì, perché?" Chiese la ragazza, cercando di dare una parvenza di ordine agli appunti.
"Io e Jonathan stiamo organizzando una piccola uscita stasera. Niente di che, andiamo al Paiolo Magico, ci facciamo due drink e scarichiamo un po' di tensione accumulata. Che dici, sei nei nostri?" domandò il ragazzo, esibendo uno dei suoi celebri sorrisi, capace di far sciogliere il cuore di numerose ragazze.

Helen rimase soprappensiero per qualche istante. In effetti i suoi piani per la serata erano diversi, in special modo dopo una nottata di lavoro, ma non si sentiva di fare la guastafeste e in effetti aveva bisogno di un po' di svago.
"Temp, non importunare la mia Auror con le tue ciance da cascamorto!"

Era Moody, di ritorno dal suo colloquio col comandante Auror. Johnny subito scese dalla scrivania e rivolse un gran sorriso ad Alastor.
"Ehi, signor Moody, perché non viene anche lei stasera al Paiolo Magico? Ritrovo alle sette di sera, qualche drink e due risate in compagnia!" Chiese, piuttosto coraggiosamente.
“Dubito che io e te potremmo avere degli argomenti in comune, Temp.” Brontolò Alastor.
"Certo, perché no?" Si inserì Helen. Era davvero curiosa di vedere quel burbero Auror in vesti da civile!
Alastor sbuffò, ma poi sorrise, spiazzando i due ragazzi. "E va bene. Sapete, credo proprio che sarò dei vostri!" poi subito si affrettò ad aggiungere: "Devo fare due chiacchiere con quel Tom a proposito di un caso che sto portando avanti e coinvolge uno dei suoi clienti abituali."
"Tom? Il barista?" esclamò Helene, sorpresa. Moody annuì, pensieroso.
"Sì, mi evita da un po' ma ho proprio bisogno di parlarci. Quindi sarò dei vostri stasera... ma solo per questo, ovviamente.”
“Ovviamente!” rispose Johnny, facendo l’occhiolino a Helen e uscendo dal cubicolo.

Il resto della mattinata passò via piuttosto lentamente, e in maniera alquanto noiosa.
Helen lavorò sui suoi appunti, cercando di dare una forma e un senso alla sua calligrafia quasi illeggibile, e alle dieci in punto salutò Moody e gli altri colleghi del turno di notte per poi, stancamente, trascinarsi fuori dal dipartimento Auror.
Il turno di notte era temibile, certo, ma a Helen non dispiaceva: c'era silenzio, calma e poteva lavorare senza essere disturbata. Il lato negativo era che tornava a casa ridotta peggio di una zombie.
Quando finalmente raggiunse la tranquillità e la sicurezza della sua casa, Rose stava per prepararsi al suo turno al San Mungo.

"Ehi, com'è andata stanotte?" chiese la ragazza. Helen sbadigliò, alzò le spalle e si diresse, mezza addormentata, in camera sua.
"Ah, stasera c'è una festicciola con qualche collega Auror al Paiolo Magico. Il ritrovo è alle diciannove, sei dei nostri?" Chiese Helen, mentre riponeva la divisa da Auror nell'armadio.
"C'è qualche collega carino? Al San Mungo i miei sono tutti vecchi o pallosi... " rispose Rose, sorridendo, mentre si preparava a smaterializzarsi.
Helen alzò ancora una volta le spalle, salutò l'amica e finalmente si tuffò nel letto, pronta a un meritato sonno ristoratore.

/ / / / / / /

Alle sette e un quarto le due ragazze giunsero davanti al Paiolo Magico. Sulla soglia ad aspettarle c'erano già Johnny e Jonathan.
"Era ora," borbotto Johnny, osservando attentamente le due ragazze. Rose per l’occasione indossava uno splendido vestito color blu piuttosto scollato e aderente. Helen aveva preferito un più comodo, e caldo, vestito nero.
"Alastor è già dentro, impegnato a chiacchierare con Tom," disse Jonathan, aprendo la porta alle ragazze.
“Sono proprio curiosa di conoscere meglio questo Moody. L’ho già incontrato e sembra un tipo strano!” esclamò Rose, divertita. Johnny ridacchiò.
“Molto, molto. Ma è un tipo a posto. Prego, entrate!”

Quella sera il Paiolo Magico era particolarmente frequentato: quasi tutti i tavoli erano occupati, tranne uno posizionato nell'angolo vicino al caminetto. Alastor si era già seduto e parlava fitto fitto con il proprietario, le teste vicine per non farsi sentire.
Non appena i quattro si avvicinarono, Tom e Moody troncarono di netto la loro conversazione.

"Buonasera, ragazzi. Che cosa vi posso portare da bere?" chiese Tom, la voce untuosa.
"Per ora dei calici di quel piscio di gatto che ti ostini a chiamare Burrobirra, Tom," rispose Moody, che pose subito lo sguardo su Rose. "E lei chi è?" chiese, abbaiando.
"Sono Rose, la coinquilina di Helen," rispose quella. "Ci siamo incontrati la settimana scorsa al San Mungo quando è venuto a trovare quell'Auror che era rimasto ferito in un'operazione," aggiunse.
Alastor rimase pensieroso per qualche istante, poi, evidentemente soddisfatto tornò a rivolgersi a Tom: "E fai in fretta."

Tutto sommato il gruppo si rivelò subito affiatato: Johnny e Rose scoprirono subito una passione in comune, il Quidditch, mentre Helen, Jonathan e Alastor diedero il via a un acceso dibattito su chi avrebbe preso il posto della sempre più traballante Ministro Jenkins.
"Vedrete che tra poco ce la togliamo di dosso, questioni di settimane forse mesi al più," commentò sicuro Moody, osservando Rose e Johnny che nel frattempo erano totalmente presi nella loro discussione. Il ragazzo non riusciva proprio a togliere gli occhi di dosso alla giovane Guaritrice.
"Ma possiamo evitare di parlare del Ministero o del lavoro? Insomma, stasera è una serata libera, non siamo di turno," fece notare Jonathan, guadagnandosi un'occhiataccia da Alastor.

"Un Auror è sempre di turno, questa è la prima regola. Se adesso un Mago Oscuro dovesse entrare nel Paiolo Magico e iniziasse a lanciare Maledizioni Senza Perdono agli astanti, tu che cosa faresti? Te ne staresti qui seduto a bere birra perché non sei di turno?" ribatté Moody.
Jonathan fece per ribattere ma l'unica cosa che in realtà riuscì a fare fu emettere qualche balbettio mentre Helen dovette ingurgitare una buona dose di Burrobirra per evitare di scoppiare a ridere in faccia al collega.

"Comunque, se la Jenkins si toglie dalle palle speriamo che Bellings faccia la stessa fine!" Si intromise Johnny, interrompendo per un attimo il fitto dialogo e gioco di sguardi con Rose.
Alastor alzò le spalle, annusò la sua bevanda e poi la bevve.
"Probabile, ma non credere che il problema sia solo Bellings. Non ci sono grandi alternative, perlomeno al momento, e gli altri candidati non è che siano poi tanto meglio di lui. É il sistema a essere marcio, ma questo non da ora." Fece notare.
"E poi Bellings e la Jenkins al momento hanno molti... amici all'interno del ministero. Penso ci vorrà un po' di tempo prima di estrometterli dalle loro cariche, no?" disse Rose.
"Tutto dipende da chi prenderà il posto della Jenkins e chi metterà nelle cariche che contano," rispose Jonathan. "Il mandato di quella donna è traballante certo, ma bisogna vedere quanto l'appoggio politico che ha potrà durare."
“Speriamo che Kenningher abbia una chance,” buttò lì Helen. Moody ridacchiò.
“Quella cariatide? Ma non farmi ridere!” esclamò.
“É un Auror esperto…” rispose Helen, piuttosto mortificata.

“Essere esperti non conta nulla al giorno d’oggi, non l’hai ancora capito? Conta quanto riesci a venderti l’anima,” brontolò Alastor, amaro.
"Moody, perché non ti candidi tu come nuovo comandante Auror, quando il tempo verrà?" chiese Jonathan.

"Sono ancora troppo poco disponibile ai giochi di potere per poterlo diventare," rispose Moody, ridacchiando. "Il Comandante Auror deve essere un personaggio che sa fare il suo mestiere, certo, ma che sia allo stesso tempo in grado di rassicurare la popolazione e far guadagnare consensi al Ministro. Non possiedo queste qualità, quindi non sono tra i papabili. Non in questo periodo storico dove l'ombra dei Purosangue si fa sempre più cupa sulla nostra comunità".
"E cosa c'entrano i Purosangue?" Chiese Rose. Alastor scosse la testa.

“Meglio non parlare di questi argomenti al Paiolo Magico.”
“Oh, andiamo, non puoi lanciare il sasso e ritrarre la mano!” esclamò Jonathan.
"D’accordo.” sussurrò Alastor.
“È ovvio, no? Secondo voi chi c'è dietro le aggressioni ai cortei? Secondo voi, chi ha fatto diventare ministro la Jenkins, una che la prima cosa che ha fatto è stato creare misure ancora più restrittive per i Magonò?" Chiese Moody, la voce sempre bassa. "Ci hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, Nobby Leach (*) l'hanno fatto fuori loro dopotutto, ma adesso si stanno organizzando e hanno deciso di passare all'azione."
"E che cosa avrebbero in mente?" Chiese Johnny, piuttosto sorpreso.
"Non lo so, ma non mi piace. Attaccando i Magonò ci hanno fatto capire che sono potenti, ma che cosa vogliano fare in futuro non lo capisco. Posso fare solo delle congetture, e non mi piacciono." Rispose l’altro, svuotando il boccale di Burrobirra.

/ / / / / / /

"Sono due Galeoni e cinque Falci, " borbottò l'anziano mago, battendo sul registratore di cassa. Mary prese il sacchetto mentre estraeva dal portafoglio il denaro richiesto, pagò l'ometto e subito uscì da quella polverosa farmacia di Diagon Alley.

Odiava quella farmacia, avrebbe voluto tanto mandarci uno dei suoi Elfi domestici ma quell'uomo, dall'apparenza così vecchia e saggia, in realtà quando poteva riusciva sempre a fregare un po' sul prezzo e quindi Mary aveva preferito andare di persona. E poi era da qualche settimana che non usciva dai territori degli Shafiq, sentiva che vedere un po' di gente nuova non le avrebbe fatto certamente male. L'ora era piuttosto tarda ma non voleva tornare subito a casa e perciò si incamminò per la lunga strada, osservando le vetrine e lasciandosi trasportare dai ricordi.
Quando suo padre era ancora in vita ogni estate andava a fare spese con lui per la scuola. Era un momento padre-figlia, uno dei rari ricordi dove Mary non era circondata da parenti o amici. Solo lei e suo padre.

In breve giunse davanti al Paiolo Magico e solo allora si accorse di quanto sentisse la mancanza di quel bar, sicuramente molto diverso rispetto alla bettola del suo villaggio. Sentì improvvisamente il bisogno impellente di bersi un'ultima Burrobirra, prima di tornare a casa, perciò entrò sicura nel locale.
Venne accolta immediatamente dal calore e dall'odore delle squisite vivande cucinate da Tom. Osservò il grande orologio, un po’ unto, appeso sopra il camino, e si rese conto che erano le dieci di sera.
Aveva dato al fratello una pozione Soporifera, affinchè potesse dormire senza patire il dolore dato dalla ferita alla coscia, e aveva ancora un po’ di tempo prima che si risvegliasse.
Non avevano avuto occasione di parlare dopo la sera precedente, si sentiva ancora turbata e offesa dalle parole del fratello maggiore anche se sapeva che avevano un fondo di verità.
E forse proprio per questo era più difficile tollerare le parole del fratello.

Si avvicinò al grande bancone, pronta a ordinare un bel bicchiere di quella calda bevanda che adorava così tanto, quando una voce che non sentiva da anni la richiamò.
Voltò la testa è con sua enorme ed inimmaginabile sorpresa notò una ragazza, seduta a un tavolo poco distante, che non vedeva da anni.
"Hel… Helen?" Chiese Mary, incredula.
La ragazza, che sedeva in compagnia di tre ragazzi della sua età e di un uno strano uomo sulla quarantina, si alzò e corse ad abbracciarla.
Rimasero strette in un abbraccio che nessuno delle due voleva davvero interrompere. Alla fine furono costrette e Helen fu la prima a riprendersi.

"Mary, da quanto tempo... io ho provato a scriverti in questi anni ma..." la giovane Auror balbettò, sopraffatta dall'emozione. Le parole, tremendamente difficili da pronunciare, si incastravano da qualche parte sotto la mandibola. "Ho saputo di tuo zio, mi dispiace tanto, era un uomo fantastico!" Riuscì infine a dire.
"Sette anni fa forse, ma era cambiato, molto cambiato…" rispose l'amica, rabbuiandosi per un istante. "Ma adesso che è morto immagino che di lui ci restino solo i bei ricordi di un tempo passato. Anch'io ho cercato di scriverti, Helen, ma le cose in casa nostra non sono andate molto... bene ultimamente," ammise Mary , chinando il capo.
“Mi dispiace di sapere che Caius fosse cambiato. Non l’ho più visto…” rispose Helen. “Sì, diciamo che non abbiamo fatto una gran vita sociale negli ultimi anni!” annuì l’altra, sorridendo amara.

"Hai notizie di… Mark? Io ho provato a scrivergli delle lettere ma non so se le ha mai lette," chiese la giovane Auror, cercando di mantenere il tono neutro.
Nel frattempo Tom servì un bicchiere di Burrobirra a Mary, che lo bevve avidamente.
"Scusami, ma la Burrobirra della locanda nel villaggio non è per niente tra le migliori" esclamò soddisfatta. "Comunque sì, Mark è tornato da tre, quattro mesi."

Notò l’immediata delusione negli occhi dell'altra e perciò si affrettò ad aggiungere: "Ma sai, è tanto impegnato con le cose al villaggio. A tratti non lo vedo io che sono sua sorella, devi perdonarlo ma ha molto lavoro da fare," aggiunse, cercando di difendere il fratello e sentendosi a sua volta in colpa: erano stati così presi dalla loro nuova libertà da dimenticarsi completamente di Helen.
"Si, immagino," sussurrò l’Auror. Poi si riscosse, sorrise all'amica e le disse: "Se vuoi unirti a noi... "
Mary scosse la testa. "Grazie dell'offerta, ma è tardi, devo andare."
Le due amiche si riabbracciano forte, poi si separarono.
"Comunque adesso se vuoi possiamo sentirci, non ho più dei seccatori in casa che mi fregano la posta!" Esclamò Mary. Helen sorrise e annuì, più sollevata.

/ / / / / / /

Mezz'ora più tardi Helen tornò esausta, e sola, a casa. Johnny aveva deciso di portare Rose in un posto speciale: il campo di allenamento del Puddlemere United.
Conosceva il custode ed evidentemente doveva sembrargli opportuno terminare la serata facendo visitare alla sua accompagnatrice gli spalti di quella squadra di Quidditch così antica e popolare.

Ad Helen però andava bene così: aveva bisogno di pace per pensare e riflettere con calma sulla serata.
Si spogliò, si concedette un bagno rilassante e poi andò a letto. Non aveva sonno, e il motivo era presto detto.

Lei e Mark avevano frequentato Hogwarts insieme, anche se con due anni di differenza e due casate diverse. Quando Jasper era morto e suo figlio aveva deciso di scappare di casa, un piccolo ma grande pezzo di Helen morì quella sera.
All'inizio si illuse, pensando che il ragazzo sarebbe tornato presto a casa; che quel viaggio fosse solo un modo per sfuggire al dolore e alla disperazione per la mancanza paterna, ma che poi, sbollita la rabbia e la paura, sarebbe rinsavito.
Invece gli anni passavano e di Mark aveva sempre meno informazioni: sapeva solo che si trovava nell'est Europa, poi nella penisola Scandinava e da qualche anno nessuna notizia.
Presto anche Mary smise di contattarla, terminata la scuola suo zio le vietò qualsiasi contatto fuori dalla famiglia e dal villaggio.
Lentamente si era rassegnata, aveva asciugato le lacrime, decisa ad andare avanti, certa che Mark fosse morto o disperso.

Eppure alla fine Mark era tornato in Inghilterra da tre mesi e non aveva pensato nemmeno di inviarle una cartolina, una stupida pergamena con due righe che annunciavano il suo arrivo a Shafiq Manor… questo non se l’aspettava proprio.
Si rigirò nel letto, pensierosa. Mary le era sempre piaciuta, frequentavano lo stesso anno ed erano presto diventate amiche, la morte di Jasper aveva rovinato anche il loro rapporto. Ma adesso che si erano reincontrate Mary sicuramente avrebbe riferito al fratello dell'incontro, e allora magari Mark le avrebbe scritto una lettera, si sarebbe fatto vedere.

O forse era meglio che lei scrivesse una lettera a Mark, che si facesse risentire perché magari era vero, aveva ragione Mary: suo fratello era davvero oberato di lavoro.
Magari poteva inserire anche qualche velato accenno alla sua indignazione per la mancanza di notizie, pensò, girandosi nel letto ancora una volta.
Sentì la porta di ingresso aprirsi e le voci basse di Rose e Johnny risuonare in salotto e poi spostarsi nella camera da letto della ragazza.

Erano le due di notte, notò Helen, osservando l'orologio sul comodino. Prese la bacchetta, l'agito leggermente in modo da attutire i cigolio del letto, i gemiti e i sospiri provenienti dalla stanza accanto e poi si rilassò, cercando di ricordarsi il metodo che uno dei istruttori le aveva insegnato per riuscire ad addormentarsi in pochissimi minuti. Ma tanto sapeva che non ci sarebbe riuscita, la mente non era abbastanza sgombra, Mark tornava in continuazione a tormentarlo.

Lui, insieme al ricordo dell'ultimo giorno passato insieme ed al terribile pensiero che si fosse dimenticato di lei.

/ / / / / / /

(*) ex Ministro della Magia a quanto pare dovette abbandonare il suo ruolo perché avvelenato (secondo molti) da Purosangue.

Capitolo un pochino più leggero utile per introdurre un paio di cose importanti: un affresco un pochino più complesso sulla situazione all'interno del dipartimento auror e una prima piccola connessione tra le storie di Mark e Helen.
Mary sembrerebbe essere l'anello di congiunzione, ma scoprirete ancora meglio la loro storia nei prossimi capitoli.
Prossima settimana torneremo al punto di vista di Mark e vedremo un momento importante per la sua storia da Purosangue!

Grazie ancora per le recensioni, perché m'ha messo la storia tra le preferite, seguite, ricordate!

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Capitolo 8
*** Riunione a Villa Lestrange ***


Capitolo 8, Riunione a Villa Lestrange

 



"Forse non dovrei neanche andare, ma purtroppo non posso rimandare questo impegno," mormorò Mark, sconsolato, seduto vicino al letto di sua madre, "non con tutta la fatica che ho fatto in queste settimane."
Osservò brevemente la donna che però non contraccambiò lo sguardo del figlio: dormiva, non faceva altro da giorni.
Le condizioni di salute della donna, dopo un breve miglioramento dovuto al ritorno del figlio maggiore, erano tornate ben presto precarie e negli ultimi giorni Lilibeth andava via via peggiorando.

Da qualche settimana non usciva da camera sua, non parlava nemmeno più; trascorreva le sue vuote giornate a dormire e nei sempre meno minuti di veglia non sembrava che fosse in possesso delle sue facoltà psicofisiche.
Non riconosceva nemmeno più i suoi figli e si limitava a vaneggiare in una lingua sconosciuta.
Il Guaritore, che ogni tre giorni veniva direttamente dal San Mungo a occuparsi della donna, appariva sempre più scoraggiato. Quella mattina, dopo la solita visita, aveva messo da parte Mary e Mark e aveva informato loro della triste realtà: alla donna rimaneva molto poco da vivere.

"Non posso dire quanto, potrebbe volerci ore o giorni, ma oramai non c'è più niente da fare," ammise, scuotendo la testa. "Vostra madre non risponde più agli stimoli, è praticamente in coma."
"Non c'è proprio nulla che possiamo fare?" Chiese Mark, sbigottito. Sapeva che le condizioni della madre erano gravi, ma non credeva fino a quel punto.
"No, alla fine la sua malattia, il morbo di Berk-Marmen ha avuto la meglio," il Guaritore scosse la testa. Sembrava davvero dispiaciuto, aveva un’evidente difficoltà a trovare le parole giuste da dire. La verità è che non esistano.
"Il suo caso è molto grave e in tutta sincerità mi sorprende che sia rimasta in vita così a lungo. Cercate di starle vicini e di trascorrere con lei quanto più tempo possibile," disse infine, prima di lasciare Shafiq Manor

E adesso Mark sedeva al capezzale della madre, conscio del fatto che dal suo ritorno l'aveva data per scontata e, preso com'era dalla sua missione, non le aveva dato le giuste attenzioni. Aveva sognato a lungo il momento nel quale sarebbe tornato a casa e avrebbe potuto passare quanto più tempo possibile con sua madre, ma alla fine le esigenze politiche ed economiche della famiglia avevano avuto la meglio sul suo poco tempo libero. Non poteva tornare indietro, sua madre stava andando in un luogo dove lui non poteva seguirla e Mark si struggeva per le sue manchevolezze come figlio.
Mary, in piedi accanto al fratello, alzò le spalle, sconsolata.
“É una sera importante, non ti preoccupare,” disse, mettendo una mano sulla spalla di Mark.
“Non mi ero reso conto di quanto…” il ragazzo asciugò rabbioso alcune lacrime. “Non mi ero reso conto di quanto stesse male.”
Mary scosse la testa. “Non devi colpevolizzarti. Sapevo che la sua malattia alla fine sarebbe peggiorata e anche preoccupandoti non avresti cambiato nulla.”
“Sì, ma avrei dovuto…”
“Nostra madre ti ama e, credimi, la tua presenza le ha donato qualche mese di vita in più. Mesi felici dopo anni orribili!” sorrise Mary.
La porta della camera si aprì e una piccola Elfa entrò, silenziosamente, interrompendo quel momento.
“Padroni, è arrivato il signorino Billy. Vi aspetta giù…”
“Digli che tra cinque minuti arrivo,” rispose Mark, alzandosi penosamente in piedi.
Mary si piazzò in piedi davanti al fratello e sistemò la bella veste nera del ragazzo.
“Stasera, se tutto andrà bene, entrerò a tutti gli effetti nel gruppo dei Purosangue che contano. Incontrerò chi ci potrà portare alla gloria,” sussurrò Mark. “Ma, davvero, oggi vorrei rimanere qui con te, non c’è altro posto dove vorrei e dovrei stare”
“No, invece. Se vuoi fare bella figura devi concentrarti completamente sul tuo compito. Altrimenti tutti i tuoi sforzi, le tribolazioni che hai subito in queste settimane, non saranno valse a niente,” replicò Mary, decisa.
“Senti… a proposito di quel che ti dissi qualche giorno fa, io…” borbottò Mark, impacciato. La sorella scosse al testa.
“Avevi ragione, dopotutto. Lo hai detto nel modo sbagliato, ma ti perdono,” rispose, abbracciando il fratello. I due rimasero così uniti per qualche secondo di silenzio.
“É una ragazza forte,” si ritrovò a pensare Mark, “molto più forte di me”. Alla fine i due si staccarono e Mary, asciugandosi una fugace lacrima disse: “Vai adesso, e torna vincitore!”

Billy, che per quella serata indossava un antica veste verde scuro, era in piedi, un po’ impacciato, vicino alle scale. Quando Mark scese, l’amico l'osservò con una piccola nota di delusione.
“Sì, Mary è rimasta su con mia madre,” disse Mark, interpretando lo sguardo di Billy.
“Come sta?”
“Non bene, amico. Non bene,” ammise Mark, aprendo la porta d’ingresso e uscendo all’aria frizzantina di Novembre.
“Se vuoi posso dire a Rosier che non ci sei, possiamo fare un’altra sera…” rispose Billy, chiudendosi la porta alle spalle. Mark scosse la testa.
“Non credo proprio che serate come queste possano essere rimandate. Ma non parliamone più, vuoi?” chiese, a disagio. “Non mi fermerò davanti a niente. Mia madre è in buone mani, andiamo.”
L’amico annuì e si avvicinò porgendo il braccio a Mark il quale lo accettò e subito dopo si smaterializzarono.

/ / / / / / /

Ricomparvero appena fuori la cancellata dei Rosier. Billy estrasse la bacchetta e l’appoggiò sulla serratura che immediatamente si aprì.
Attraversarono in fretta i prati ben curati, salutarono la piccola Elfa che attendeva paziente sulla soglia della dimora e poi i due entrarono nel solito salottino privato, sede delle loro riunioni.
Graham, un ragazzone ben piantato, era già seduto su uno dei divanetti in compagnia di Marcus mentre Rosier, che sorrise all’ingresso di Mark e Billy, aveva preso posto sulla sua poltrona.

“Bene, ci siete tutti.” osservò brevemente l’orologio. Mark notò la mancanza di un paio di loro compagni; Marcus incrociò il suo sguardo e sorrise.
“Berny e Louis non ci sono. Non sono ancora pronti per fare questo passo,” disse, ridacchiando malefico. Rosier distolse gli occhi dall’orologio e poi lo puntò sui tre giovani accorsi quella sera.

“Stasera le cose si faranno serie, perciò mi aspetto molto da voi. Non avrete a che fare con degli zoticoni ma con signore e signori d'alta classe e lignaggio," disse infine.
"Mark, tu sei un membro delle Sacre 28, sai come muoverti in società. Per quanto riguarda voi due,” disse, rivolgendosi a Billy e Gregory, “non parlate se non siete interpellati. Non fate domande, mostrate rispetto ma non debolezza e tutto andrà bene. Se l’Oscuro Signore sarà soddisfatto, sarete a tutti gli effetti dei nostri, stasera, e le vostre patetiche vite cambieranno per sempre,” concluse.
“Ovviamente in meglio,” ghignò Marcus.
“Bene, non vedo l’ora!" esclamò Graham, sicuro e deciso. Mark sorrise nervoso, non sapeva proprio come sarebbe andata quella serata. In società non aveva problemi, i suoi genitori lo avevano educato sin da bambino a come comportarsi in occasione di feste o incontri formali… ma non conosceva minimamente il background di quello che Rosier chiamava “l’Oscuro Signore”. Sicuramente era un Purosangue potente ma non avere punti di riferimento rendeva il giovane Shafiq più ansioso del solito.

“Ho messo io una buona parola su di voi, quindi non fatemi fare brutte figure,” ribattè Rosier, fulminando Graham.
In quel preciso momento una teiera, presente su un tavolinetto, iniziò a vibrare.

“La nostra Passaporta,” esclamò Marcus, alzandosi in piedi, imitato da Rosier e dagli altri tre.
Tutti presero posto intorno al tavolino e afferrarono la teiera.
“Tre… due...uno!”

/ / / / / / /

Riapparvero improvvisamente in un vasto prato immerso nell’oscurità. Marcus e Rosier atterrarono con facilità, Mark e Billy incespicarono leggermente mentre invece Graham finì a quattro gambe per terra.
“Scu… scusate, non sono abituato a usare Passaporte,” borbottò a mò di scusa, ripulendosi alla bell'e meglio di fronte allo sguardo glaciale di Rosier.

Si trovavano di fronte a una villa che Mark non conosceva: era fastosa, sicuramente doveva appartenere a qualche famiglia importante, ma per certi versi diversa dalla classica magione Purosangue.
Era… particolare. Il prato che circondava l’edificio non era curato maniacalmente come quello dei Rosier, per esempio. La foresta intorno era selvaggia, la presenza della natura, una natura rigogliosa, più forte e genuina rispetto alle altre ville che aveva avuto modo di visitare.

Rosier e Marcus avanzarono, seguiti dai tre giovani. Camminando, Mark potè notare anche la presenza di un lago piuttosto grande sullo sfondo, vicino a una grande serra, e concentrandosi captò anche il rumore di onde che si infrangevano su rocce: dovevano trovarsi poco lontano dal mare.

Arrivati davanti all’ingresso trovarono ad aspettarli un uomo magro e dai corti capelli neri.
Costui salutò Rosier e Marcus, stringendo loro le mani, e rivolse un sorriso obliquo ai nuovi arrivati.
“Oh, ecco i novellini. Eccitati per stasera? Cercate di non farvela sotto…” ridacchiò, maligno.
“Ehi, come si permette…” borbottò Graham, indignato.
“Oh, non prendertela, ciccio!” sghignazzò l’altro con una vocetta untuosa. "È un momento importante, per voi. Chissà se sarete all'altezza…"
“Rabastan, vuoi farci entrare, per favore?” Rosier lo interruppe, glaciale. “Fa un po’ freddo qua fuori, sai.”
“Oh, certo, certo. Prego, entrate pure!” Rabastan si fece da parte, in modo da lasciar entrare i cinque nuovi arrivati.

La situazione all’interno della villa era decisamente migliore: numerose torce rischiaravano un grande salone d’ingresso, riscaldato da un paio di grossi camini. Rabastan chiuse la porta, lasciando fuori il freddo pungente.
“Da questa parte,” disse, indicando un lungo corridoio.
“Dimmi un po’, Rabastan,” esclamò Marcus, avviandosi. “É questo l’importante ruolo che il Padrone ti ha affidato? Dare il benvenuto agli ospiti?”

Mark vide chiaramente Rabastan impallidire dalla rabbia.
“E il tuo qual'è?” chiese, cercando di mantenere il tono della voce basso, “balia di questi pivelli?”
La risposta, certamente piccata, di Marcus venne però interrotta da un gesto di Rosier: erano arrivati di fronte a un'imponente porta di quercia antica.

"Ora, il nostro Signore si trova al di là di questa porta. State in silenzio e fate quello che lui vi dirà," disse Rosier, sussurrando.
"Cercate di tenere la vostra mente chiusa," aggiunse Marcus, cripticamente.
"E, possibilmente, non fatevela addosso e vedrete che forse, e dico forse, arriverete vivi a fine serata, " ghignò Rabastan, prima di aprire il portone.

Erano entrati in una vasta sala fredda, illuminata solamente da alcune candele che levitavano in aria e da un piccolo camino a un'estremità. Nel centro esatto della stanza c'era un lungo tavolo con circa una ventina di persone già sedute, evidentemente in loro attesa.
Non appena i cinque nuovi arrivati entrarono tutti i presenti si volsero a guardare Rosier; tutti tranne uno: la persona seduta a capotavola e immersa nell’oscurità rimase perfettamente immobile.
Rabastan e Marcus presero posto al tavolo, il primo accanto a una strana giovane donna dai capelli neri e dalle palpebre pesanti, il secondo accanto a un ragazzo dai lunghi, setosi, capelli biondi.
Rosier e i suoi tre allievi rimasero in piedi e l'uomo si rivolse direttamente alla figura nell'oscurità.

"Padrone, sono lieto di tornare qui nel suo quartier generale, con tre nuovi allievi desiderosi di entrare a far parte delle sue forze," disse e Mark rimase sorpreso dal mutamento del tono dell'uomo: normalmente si rivolgeva agli altri con sufficienza, superiorità, ma adesso il suo tono era quasi deferente.
"È stato un processo piuttosto lungo, molti non hanno dimostrato la giusta caratura morale. Però questi tre lo hanno fatto, hanno dimostrato di... " Rosier si interruppe, l'uomo nell'oscurità aveva alzato la mano.
"Basta, Henry. Hai reso piuttosto bene il concetto," sibilò la figura. "Rodolphus, è libera la piccola stanza qui accanto?"
L'uomo seduto accanto a Rabastan annuì e disse, la voce roca :"Sì, signore."

L'uomo a capotavola si alzò e finalmente Mark poté vederlo meglio: era una persona magra, dalla figura quasi serpentina, i capelli neri cortissimi e gli occhi, iniettati di sangue, magnetici.
Rosier andò a sedersi e nel frattempo fece un cenno con il capo agli allievi, indicando una piccola porta alla sinistra del tavolo. I tre ragazzi si avviarono, nervosi. Che cosa sarebbe successo?
La piccola stanza era praticamente spoglia: sembrava quasi un piccolo ripostiglio, dato che metà della superficie era occupata da oggetti inutilizzati o rotti.
Mark e Billy si guardarono negli occhi, incerti: nessuno aveva parlato di un colloquio faccia a faccia con quello che Rosier definiva "L'oscuro Signore".

Costui entrò dopo qualche minuto, con un gesto della bacchetta fece evanescere quel piccolo cumulo di oggetti rotti e poi porse i suoi occhi profondi su di loro tre.
Improvvisamente Mark si sentì strano, provò una sensazione mai sperimentata prima: era come se quegli occhi riuscissero a scrutare dentro di lui, addirittura vedessero l'essenza stessa della sua anima e della sua vita. Gli parve addirittura di rivedere, nella sua testa, alcuni dei terribili eventi del suo passato. Durò poco, ma improvvisamente si ricordò dell'avvertimento di Marcus, di tenere la mente chiusa, e si chiese che cosa stesse succedendo.

Evidentemente soddisfatto, l'Oscuro Signore sorrise, e poi si rivolse ai tre giovani.
"Non è da tutti entrare in questa villa e parlare direttamente con me, spero vi rendiate conto di quale privilegio vi è stato donato," disse, in tono mellifluo.
"Lo siamo, signore, e la ringraziamo ancora una volta per la sua immensa gratitudine," rispose Mark. Era più avvezzo dei tre a fare conversazione ad alto livello e quindi avevano deciso che sarebbe stato lui il portavoce di quel gruppetto.
Ma l'Oscuro Signore non sembrò particolarmente colpito.
"Lord Voldemort si domanda perché solo uno di voi parli. Chiedo, voi altri due non siete dotati per caso di una voce?" chiese, beffardo agli altri due.
"Si, io…" Graham balbettò. Voldemort pose i suoi occhi su di lui.

"Graham Johnson, sei sempre stato la pecora nera della famiglia perché, mentre i tuoi parenti sembrano essersi dimenticati delle loro origini Purosangue, tu sei l'unico che cerca di ricordarglielo. Ti vuoi unire a me per vendetta nei confronti dei tuoi familiari, non è così, per caso? Vuoi mostrare loro quanto siano sciocchi?" chiese Voldemort.
Graham sobbalzò e poi rispose, sorpreso; "Si, si è così signore."
L'Oscuro Signore sorrise, e pose il suo sguardo su Billy.
"Billy Morgain, un tempo la tua famiglia era una delle più ricche e forti nella zona. Poi tuo nonno scialacquò tutti gli averi e adesso lotti nel fango. Vuoi unirti a me per ripulirti dalla melma, non è così?"
Billy si inchinò leggermente. "Ha perfettamente ragione, signore," rispose.

Infine Voldemort si rivolse al Mark, il sorriso obliquo dell'uomo un po' più accennato.
"Mark Shafiq, Rosier mi ha parlato molto di te. Tuo zio ha ucciso suo fratello, abusato di tua madre e per poco non riusciva a fare lo stesso con la nipote. Hai studiato per sette anni in Svezia e nel resto dell'est Europa, poi sei tornato e una delle prime cose che hai fatto è stato uccidere il tuo indegno zio," Voldemort fece un cenno del capo a Mark. "Mi inchino davanti alla tua opera. Hai avuto il piacere di eliminare un membro dannoso, impuro, della famiglia, un piacere che posso comprendere molto bene,”ammise mellifluo.
"Ti vuoi unire a me perché sei convinto che così potrai risollevare il nome degli Shafiq e io ti prometto che sarà così."
"Grazie, grazie infinite," sussurrò Mark.

Voldemort annui e poi tornò a rivolgersi a tutti e tre: "La mia opera è chiara e precisa: far tornare i Purosangue al loro ruolo naturale, schiacciando i Babbani, i Sanguemarcio e fecce simili nel frattempo. Se vi unirete a me, lo farete te fino alla vostra morte," sorrise amaramente. "Non ammetto traditori tra le mie fila."
"Siamo pronti a servirla fino alla nostra morte, signore," rispose Mark e Billy e Graham annuirono, convinti.
Voldemort estrasse ancora una volta la sua bacchetta magica. Si avvicinò deciso verso Mark, appoggiò la bacchetta sul polso del ragazzo e sussurrò: "Morsmordre".

Il dolore fu lancinante. Mark cercò di non urlare, ma non poté non accasciarsi per terra, stringendosi il polso con una mano: sembrava quasi che stesse per staccarsi. Sentì anche Billy e Graham cadere a terra e lamentarsi, poco lontano da lui.
Perché faceva così dannatamente male?”

Passato qualche secondo, lentamente, il dolore sembrò diminuire e finalmente poté tornare a respirare. Mark osservò l'interno del suo polso e vide una specie di tatuaggio a forma di serpente, il tanto temuto e desiderato Marchio Nero.
"Quando sentirete il marchio bruciare vuol dire che vi sto chiamando, perciò mollate tutto quello che state facendo e materializzatevi qui," istruì loro Voldemort. "Se volete, potete nascondere il marchio con un utile Incantesimo. Sono sicuro che Rosier ve lo insegnerà, lui lavora al Ministero, è un esperto in questo campo.”

Non appena i tre si furono ripresi e si alzarono da terra, Voldemort ripose la sua bacchetta magica e si rivolse loro: "Adesso siete Mangiamorte a tutti gli effetti. Venite con me, prendete posto al tavolo e incontrate i vostri nuovi fratelli."

Quando i tre nuovi Mangiamorte ritornarono nella grande stanza del focolare, vennero subito accolti da un breve applauso e alcuni dei loro nuovi compagni si alzarono in piedi e strinsero loro le mani. L'uomo chiamato Rodolphus con un colpo di bacchetta allungò leggermente il tavolo e con un altro fece comparire dal nulla tre sedie.

Voldemort prese posto a capotavola e indicò, con un breve cenno del capo, le sedie libere.
"Vi siete meritati il vostro posto a questo tavolo. Solo i più meritevoli possono rimanere a sedere, vedete di continuare a meritarvi questo onore," disse, mentre Mark, Billy e Graham prendevano posto al lungo tavolo.
Il resto della riunione passò piuttosto tranquillamente. La strana donna, che ben presto Mark capì si chiamasse Bellatrix, raccontò di una caccia al Babbano particolarmente proficua mentre Rosier e un altro Mangiamorte di nome Rockwood esposero a Voldemort la situazione all'interno del Ministero.

"La Jenkins è da meno di un anno al potere è già la situazione si sta facendo piuttosto dura per lei," ammise Rosier. "L'incompetenza di Bellings, la corruzione e i nostri attacchi ai Magonò hanno contribuito a far sì che intorno al Ministero aleggi una brutta aria." "Bene, la cosa mi compiace ma non possiamo permettere che il governo della Jenkins cada," rispose Voldemort, glaciale. "Per il momento lei ci serve e per questo motivo gli attacchi ai cortei dei Magonò dovranno diminuire, se non cessare!"
"Ma, signore, non capisco…" si intromise Bellatrix, piuttosto sorpresa e delusa da quelle parole.

"Dobbiamo cercare di mantenere un precario equilibrio," spiegò l'Oscuro Signore. "Mostrare che il Ministero è debole, inetto, ma allo stesso tempo evitare che qualcuno di più forte, di più deciso a metterci i bastoni tra le ruote, prenda il posto della Jenkins."
"Per questo daremo l'impressione che il ministero stia effettivamente avendo dei risultati," si intromise l'uomo dai lunghi capelli biondi. "Così che l'opinione pubblica, e gli altri capoufficio, smetteranno di assillare la Jenkins per un po' di tempo, permettendo di mantenere questo status quo che ci fortifica."

Voldemort annuì.
"Il nostro amico Lucius ha ben inquadrato la situazione," ammise." Ormai abbiamo raggiunto l’obiettivo, le marce dei Magonò sono quasi terminate. Terminando i nostri attacchi faremo in modo che la gente pensi che Ministero sia forte, che la Jenkins sia riuscita a riprendere il controllo, quando in realtà è totalmente imbelle."
Sorrise, bevendo qualche sorso d'acqua, poi riprese.
"Questo giocherà a nostro favore perché sicuramente numerosi maghi e streghe cadranno nel tranello e si sentiranno tronfi e sicuri, ma altri no e continueranno a chiedersi perché il Ministero stia cadendo sempre più in basso. Noi offriremo a queste persone un'alternativa, un diverso modo di intendere la politica."
"E di fronte alla scelta se servire un Ministero sempre più in crisi oppure se seguire un'alternativa forte e in totale contrasto… sicuramente sceglieranno la seconda, " concluse Rookwood. "Io almeno ho fatto così."

“Non preoccuparti, Bella,” disse Voldemort, osservando la donna alla sua destra. “Gli attacchi ai Babbani e alla feccia continueranno, ovviamente. Solo dovremo cercare di essere più… discreti.”
Bellatrix, evidentemente sollevata dalla notizia, sorrise e si sporse sul tavolo, rivolgendo al suo padrone uno sguardo carico di feroce passione.

A mezzanotte in punto, dopo circa due ore, la riunione terminò. Marcus, Rosier e gli altri si trattennero per un drink serale ma Mark era stanco e voleva solamente tornare a casa, da sua madre.
Non pensava di fare così tardi e non poteva celare la sua preoccupazione, voleva passare più ore possibile insieme alla madre, ora che la fine era vicina.
Salutò i compagni e poi si smaterializzò.

/ / / / / / /

Dopo una breve pausa intermedia a Villa Rosier, finalmente Mark poté materializzarsi di fronte Villa Shafiq. Quella serata era stata così ricca di emozioni, così piena di informazioni che si sentiva stranissimo.
Tutti quei discorsi sulla politica, sui giochi di potere, su come lentamente il suo padrone si stesse infiltrando in ogni ambito del mondo magico avevano donato a Mark una voglia incredibile di darsi da fare e cambiare la situazione. In una sola serata i suoi orizzonti si erano incredibilmente allargati: c'era altro oltre quella amena vallata e Mark voleva farne parte.
Voleva che gli Shafiq sedessero al tavolo dei vincitori e ottenessero il rispetto che avevano perso nel corso degli anni.

I suoi pensieri però vennero improvvisamente deviati, il fuoco che ardeva dentro di lui si spense. Villa Shafiq era illuminata e sua sorella era in piedi di fronte all'ingresso, Chiaramente in lacrime. Il mondo di Mark crollò come un castello di carte.
Non voleva, non poteva. Ma avanzò lentamente come inebetito, attratto come una falena da quella porta aperta e dalla luce che filtrava sul vialetto. Raggiunse sua sorella che subito si gettò al suo collo, abbracciandolo forte e piangendo. Non c'era bisogno di parlare, Mark aveva già capito tutto.

Lilibeth, sua madre, se n'era andata. La sua vita era terminata proprio mentre quella nuova di Mark vedeva la luce.

/ / / / / / /

Ammetto che, quando ho pensato a questa storia, questo è stato uno dei primi capitoli che mi sono immaginato.
Non sappiamo come funzioni la cerimonia per creare un nuovo Mangiamorte, ma me la sono sempre immaginata così e spero che vi sia piaciuta.
Il prossimo capitolo sarà molto importante perché vedremo il funerale della povera Lilibeth e un incontro molto inatteso.

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Capitolo 9
*** Il Funerale ***


Capitolo 9, il Funerale

 



Quella giornata triste era iniziata nei peggiori dei modi, con il classico clima londinese fatto di nebbia e grosse nuvole nere che minacciavano cattivo tempo. Con il passare delle ore però una brezza leggera era riuscita a rendere un po' più limpido il cielo della capitale e gli animi dei suoi abitanti.

Helen non aveva però prestato attenzione a questi cambiamenti climatici, del resto non aveva nemmeno messo il naso fuori dalla finestra. Dalle prime ore della mattina la ragazza non aveva fatto altro che osservare, nervosa e insicura, il suo riflesso, in piedi davanti allo specchio di camera sua. Tra le mani reggeva una lettera che aveva letto e riletto per tutta la notte; Rose, seduta sul letto della ragazza, la osservava ansiosa.

La giovane Auror, dopo minuti e minuti di indecisioni e continui cambi di vestiario, stava indossando una veste da strega nera, piuttosto semplice ma elegante. Trucco sobrio, capelli legati in una semplice coda, scarpe nere con il tacco non troppo alto. Andava bene, era soddisfatta della sua immagine, ma non era quello il pensiero che la tormentava. Non l’unico e nemmeno il più importante.

"Non devi andarci, se non te la senti," alla fine Rose sbuffò: non riusciva più a vedere l'amica ridotta in quelle condizioni, così strana e nervosa.
"Ti pare che non possa presenziare al funerale della madre di Mary?" rispose Helen, stizzita. "Mi ha invitato lei personalmente e non posso farle questo sgarbo solo perché tra gli invitati ci sarà anche Mark."
Mark,il pensiero di rivederlo, anche se in una situazione dannatamente triste, la rendeva incredibilmente a disagio, ma non era l'unica cosa che la tormentava. Tornare in quella casa, rivedere quei luoghi…

"Non si tratta solo di Mark, è evidente che sei nervosa e non voglio che tu soffra inutilmente," disse Rose, scuotendo la testa.
Helen rimase in silenzio qualche secondo, continuando a fissare la sua immagine nello specchio, poi sbuffò e rispose: "sono nervosa perché ho molti ricordi di Shafiq Manor e del paesino, alcuni non positivi. Ma sono un Auror," sorrise, rivolta all'amica, "ho affrontato anni di Accademia devastanti e combatto Maghi Oscuri, posso affrontare anche il mio passato e i tristi ricordi."
Rose sorrise a sua volta, si alzò in piedi e abbracciò l'amica.
"Spesso è più difficile affrontare noi stessi che gli altri. Ma ce la farai e, diavolo, sei bellissima," disse poi staccandosi dall'abbraccio, "tutti saranno invidiosi di te e farai vedere a quel Mark che bocconcino si è perso!"
Helen rise per la prima volta dopo ore di nervosismo. Sì, ce l'avrebbe fatta.

Il funerale sarebbe iniziato alle tre del pomeriggio, il ritrovo era fissato al piccolo cimitero del paesino dominato da Shafiq Manor. Helen non si ricordava la posizione esatta perciò aveva deciso che si sarebbe materializzata davanti alla locanda del villaggio e avrebbe percorso a piedi i pochi metri che separavano l'edificio dalla sua destinazione.

All'ora prefissata, trenta minuti prima dell'inizio della cerimonia funebre, la ragazza trovò finalmente il coraggio di distogliere lo sguardo dallo specchio. Infilò la lettera in una tasca della veste, salutò con un altro abbraccio la coinquilina e poi si smaterializzò.

/ / / / / / /

Nonostante l'ansia, la materializzazione andò bene ed Helen comparve in perfetto orario davanti alla locanda del villaggio.
Subito un'ondata di malinconia la accolse, guardando le pareti scalcinate dell'edificio.
Quella fetida locanda era stato per anni il loro luogo di riunione. Là, durante le sue visite, passava gran parte del tempo insieme a Mark, Mary ed i suoi amici ed Helen non poteva non sentirsi parte di un gruppo.
A quella locanda erano legati così tanti ricordi… ma non poteva fermarsi. Il suo cammino, e la giornata, erano solo agli inizi.

"Ciao Helen."
La giovane Auror si voltò e vide Mary. Anche lei era vestita di nero ed aveva un espressione di immensa tristezza dipinta sul volto. Le due ragazze si avvicinarono, colmando il vuoto tra di loro, e si strinsero in un abbraccio dentro il quale Helen cercò di metterci tutti i sentimenti e l'affetto che provava per lei e per la defunta madre.
“Sono contenta tu sia venuta,” mormorò Mary.
“Non avrei mai potuto mancare. Mi dispiace così tanto,era una donna fantastica!” rispose Helen. Mary sorrise, grata, poi indicò il sentiero.
“Sapevo che ti saresti materializzata da queste parti. Andiamo insieme?” chiese, esitante. Helen annuì e le due ragazze si avviarono per il sentiero che portava al piccolo cimitero del villaggio.

Era un luogo davvero particolare: terribilmente triste, certo, ma allo stesso tempo affascinante, pacifico e pieno di alberi secolari e cespugli rampicanti. C’era sempre fresco, anche nelle estati più torride, e un dolce odore di gelsomino accoglieva i visitatori. Un luogo perfetto per l'eterno riposo.
Non appena Mary ed Helen attraversarono un piccolo cancello in ferro battuto, la giovane Shafiq venne circondata subito da un piccolo gruppo di amici e lontani parenti, sicuramente per porgere le loro condoglianze, perciò Helen la salutò e si diresse, evitando di inciampare nelle radici dei pini, verso la zona del cimitero riservata all'antica famiglia Purosangue.

La fossa era aperta, la bara in mogano giaceva vicino alla buca, sulla destra. Tutt'intorno erano state sistemate qualche decina di sedie d'argento, la maggior parte delle quali già occupate. Helen si affrettò a prendere posto in una delle poche libere nell'ultima fila.
Si ritrovò in mezzo a una vecchia strega magra e dall'aria deperita e un mago sulla cinquantina piuttosto panciuto.
"Conosceva la povera Lilibeth?" Quest'ultimo immediatamente iniziò a parlare, rivolgendosi alla ragazza.
"Sì... la conoscevo, sì," rispose Helen a disagio. Per alcune persone quei funerali non significavano niente, era solo un pretesto per riunirsi e parlare di affari o di pettegolezzi; quell’uomo sembrava il tipo, visto che non appariva minimamente colpito dalla presenza della bara di Lilibeth.

La vecchia strega tirò fuori un fazzolettino e iniziò a singhiozzare, il grosso uomo scosse la testa.
"Una cugina della defunta, poverina," sussurrò, avvicinando la bocca all'orecchio della giovane Auror. "Certo ci si aspetterebbe un comportamento molto più razionale e dignitoso la parte di una vecchia strega Purosangue ma purtroppo il nostro mondo sta andando sempre più in rovina e lo si può notare da queste piccole cose,” borbottò, il tono disgustato.
Helen annuì distrattamente, sempre più a disagio in quella conversazione.

Finalmente Mary arrivò e fu l'ultima a prendere posto; il silenzio cadde mentre un anziano stregone si alzò e si avvicinò lentamente alla bara.
Fu l'inizio di un lungo e noioso discorso sulla vita di Lilibeth, vuote parole da parte di una persona che non conosceva minimamente Lilibeth Shafiq.

A un certo punto, Helen non poteva dire con precisione quanto tempo fosse passato, l'anziano finalmente terminò il suo lungo discorso e un'altra persona si alzò, pronta a prendere la parola.
Helen trasecolò: erano passati sette anni ma quell'uomo dalla carnagione olivastra e dai capelli neri, con quel naso dalla forma così particolare e quegli occhi che riuscivano a leggere dentro la sua anima, l'avrebbe riconosciuto tra migliaia.
Era Mark.

Estrasse la bacchetta che portò alla gola, disse chiaramente "Sonorus" e la sua voce venne amplificata per magia.
"Ecco, sì, vorrei dire due parole in memoria di mia madre," esordì, visibilmente sofferente.
Rimase in silenzio per qualche secondo, poi riprese: "Chiunque abbia avuto l'occasione di conoscere Lilibeth saprà quanto fantastica sia stata. Era un faro per la nostra comunità, sempre pronta a dare una mano, ad aiutare i bisognosi. Ha dovuto sopportare la perdita del marito, la mia fuga improvvisa," qui Mark si fermò per qualche istante, evidentemente in imbarazzo," ma ha retto a questi duri colpi che avrebbero spezzato la maggior parte di noi con onestà e forza d’animo. Infatti, nonostante le sue difficoltà nel privato, è sempre stata il centro della vita del villaggio fino a quando la malattia non ha avuto la meglio su di lei. Mi dispiace non aver potuto passare più tempo con lei, ma so che il suo ricordo rimarrà imperituro per quanto ha dato a questo villaggio e alle persone che sono riunite qui. Grazie."

Mark allontanò la bacchetta dalla sua gola, e l'incantesimo terminò. L'uomo non riprese posto a sedere ma si allontanò immediatamente dalla cerimonia, visibilmente provato.
Forse si sarebbe ritirato in casa per dare forma e sostanza alle lacrime che lottavano per sfuggire dai suoi occhi e che con quasi ferocia aveva cercato di bloccare durante la funzione.
Helen sapeva del rapporto difficile tra madre e figlio ma non immaginava quanto lo avesse segnato.
Jasper diceva sempre che un Purosangue in pubblico non può mostrare debolezze; se Mark era apparso così provato al punto da dover interrompere un discorso, quello era un segno evidente della sua pena.

La cerimonia funebre durò un altro quarto d'ora che si trascinò tristemente fino a quando l'anziano mago, che aveva dato il via al funerale, fece levitare la bara e la calò dolcemente nella fossa. Con un altro tocco della bacchetta il cerimoniere fece comparire dal nulla una numerosa quantità di terra che ricoprì interamente la fossa.
Mary fu la prima ad alzarsi. "Grazie ancora per essere venuti qui oggi," disse ad alta voce, rivolgendosi ai numerosi invitati presente al funerale. "Se volete abbiamo allestito un piccolo banchetto funebre a Shafiq Manor in onore di Lilibeth. Non dovete fare altro che materializzarvi sulla collina ed entrare in casa, il cancello sarà aperto per voi."

Immediatamente la maggior parte degli invitati si smaterializzò, lasciando Helen un po' interdetta: non si aspettava un banchetto!
Da una parte sarebbe andata via volentieri, quel pomeriggio di sofferenze le era bastato, dall'altra parte però non poteva lasciare così Mary e sicuramente a Shafiq Manor ci sarebbe stato anche Mark. Come dicevano i Babbani, fatto 30 tanto vale fare 31.
Così, con un pesante groppo in gola, la ragazza si alzò in piedi, estrasse la bacchetta e fece un mezzo giro su se stessa lasciando dietro di sé il cimitero.

/ / / / / / /

Helen apparve proprio di fronte alla cancellata che delimitava il confine di Shafiq Manor.
Non appena alzò lo sguardo vide quella che per alcuni anni era stata la sua seconda casa e subito i ricordi dolorosi legati a quella villa la assediarono, colpendola al petto con la forza di uno Schiantesimo ben piazzato.
I pomeriggi passati con Mark, il funerale di Jasper e in ultimo Lilibeth e Mary che piangono sulla soglia dicendo che Mark è partito, lasciando dietro di sé solo una lettera.

"Salve signorina, le dispiace accompagnarmi?"
Il grasso uomo che aveva fatto compagnia a Mary prima del funerale era apparso accanto a lei visibilmente accaldato e affaticato. Helen lo ringraziò silenziosamente per aver cambiato il corso pericoloso dei suoi pensieri e annuì.
"Sa, mia moglie dice sempre che devo dimagrire... ma come posso resistere a così tante prelibatezze?" L'uomo ridacchiò, avviandosi verso Shafiq Manor. "Ma non ho ancora avuto l'onore di sapere il suo nome, perdoni la sfacciataggine!"
"Helen Blooming, " rispose la ragazza, distrattamente, mentre si avvicinavano sempre più alla porta di ingresso.
Non poteva non notare che Mark e Mary avevano già apportato diversi cambiamenti: il prato era tagliato millimetricamente e in generale la villa sembrava più... viva, meno abbandonata o inselvatichita rispetto alla sua ultima visita, cinque anni prima.
"Geronimus Stibbins, per servirvi," replicò l'uomo.
Ma la poca attenzione di Helen era già stata azzerata perché erano finalmente arrivati davanti al portone di ingresso aperto. Salutò Stibbins e la ragazza entrò titubante all'interno della Villa.

Mark e Mary evidentemente avevano deciso di concentrarsi anche sugli interni di Shafiq Manor. Sebbene la maggior parte del mobilio fosse antico e non ci fossero stati grandi stravolgimenti, il salone d'ingresso, dove si sarebbe tenuto il banchetto in onore di Lilibeth, appariva pulito e luminoso.
Circa cinque grandi tavoli erano stati posizionati su un lato della sala e altrettanti Elfi Domestici erano pronti a servire le vivande che sarebbero state consumate in piedi.
Lo stomaco di Helen era chiuso in maniera quasi ermetica ma comunque si sforzò di onorare la padrona di casa, che aveva l'obbligo di accogliere tutti gli invitati, e prese qualche stuzzichino mangiando di malavoglia. Mark non si vedeva.

Alcune conoscenze si avvicinarono alla ragazza, tra gli altri riconobbe Billy, vecchio amico di Mark, ma anche lui non aveva visto il ragazzo.
Dopo un paio d'ore Helen si stava annoiando a morte ed era sicura più che mai che Mark non si sarebbe fatto vedere. "Un'altra mezz'ora e poi ti assicuro che questo banchetto finirà, " Mary, evidentemente provata da quella giornata, le si era avvicinata sorridendo stancamente.
"Mark non si è visto?" chiese Helen. Aveva solo mezz'ora di tempo, non aveva più senso tergiversare.
"No," rispose Mary, scuotendo la testa." Lo sai che queste occasioni lo deprimono. Ovviamente lo fanno anche a me, ma Mark proprio non ce la fa ad affrontare le cose. "

Ed ecco che Helen improvvisamente ebbe l'illuminazione che aspettava.
Ma certo, adesso era chiaro dove il capofamiglia degli Shafiq si era nascosto.
Salutò Mary e corse, per quanto i tacchi e il vestito le potessero permettere, al secondo piano. C'era un posto, un posto speciale per Mark dove si nascondeva sempre quando voleva fuggire dal mondo; com'era possibile che fosse stata così sciocca a non pensarci prima?

Arrivata al secondo piano entrò in un salottino, prese la porta sulla destra e si ritrovò su una piccola terrazza che dava sul cortile interno di Shafiq Manor. Seduto per terra, distrutto e con una bottiglia mezza vuota di Whisky Incendiario tra le mani, c'era Mark.
La sua mente, rallentata dall'alcol, doveva essere altrove perché il ragazzo non si accorse subito dell'ingresso di Helen.

"Mark…" la ragazza sussurrò e solo allora il capofamiglia degli Shafiq alzò lo sguardo annebbiato e porse gli occhi socchiusi su di lei.
"Helen, ti avevo intravista al funerale ma non ero sicura che fossi tu," borbottò, la voce arrochita. "Ma solo tu sai dove si trova il mio nascondiglio segreto. Quindi non ho dubbi sulla tua identità."
La ragazza annuì perplessa. Si era costruita nel suo cervello decine e decine di possibili conversazioni, ma in nessuna delle sue ipotesi Mark era seduto per terra, ubriaco e in condizioni così… patetiche.

"Mi fa piacere rivederti, sei cresciuta e... " Mark, non senza qualche difficoltà, si alzò in piedi aggrappandosi alla balaustra.
“Mi dispiace per tua madre, era una donna speciale," sussurrò Helen, non sapendo bene come comportarsi di fronte a quel ragazzo che pensava di conoscere così bene ma che in realtà si era trasformato in uno sconosciuto.
Mark sorrise ma subito si rabbuiò e, apparentemente senza motivo, gettò la bottiglia di Whisky Incendiario giù dal terrazzo; qualche istante dopo un secco crack annunciò loro che si era appena schiantata per terra.
La ragazza si allontanò di qualche passo: non l'aveva mai visto in quelle condizioni, nemmeno al funerale di suo padre.
“Perché indietreggi? Ti faccio schifo, vero? Non riesco a biasimarti per questo," sussurrò Mark, osservando la bella veste macchiata.
"No. Mi domando solo come un ragazzo così forte e talentuoso si sia potuto ridurre così," replicò Helen, distogliendo lo sguardo dai tentativi dell’altro di darsi un minimo di contegno. "Mi domando perché hai lasciato casa tua per sette anni senza mai scrivermi."

"Ah, vedo che come sempre non riesci proprio a tollerare i convenevoli…" rispose il ragazzo, appoggiandosi alla balaustra.
"Sì, infatti è così. Mi dispiace doverti porre queste domande in un’occasione così triste ma ultimamente sei molto sfuggente..."
"Helen, mi sorprende quanto tu mi abbia sopravvalutato nel corso degli anni," rispose infine Mark, sempre cercando di evitare il contatto visivo con la ragazza.
"Non capisco”

Mark, incalzato, sbuffò a disagio.
"Sono un codardo, forse è questa la risposta che cerchi. A diciassette anni non ero pronto a prendere il posto di mio padre," disse il ragazzo con evidente difficoltà nel trovare le parole giuste da dire.
"Mio padre era morto, io non volevo rimanere a casa ma desideravo solamente viaggiare e ampliare gli studi di Hogwarts. Era uno sciocco, non capivo quanta sofferenza avrei causato ma semplicemente forse non mi importava nemmeno e per questo mi dispiace. Mio zio era desideroso di prendere il controllo della famiglia e così me ne lavai le mani."
"Sì, quello l'avevo capito," rispose Helen, un po' accigliata: era giunta quella conclusione anni fa ma ancora non rispondeva alle sue domande. "Ma perché in sette anni non ti sei fatto mai sentire?"
Ragazzo si mise una mano tra i capelli, lo sguardo rivolto all'orizzonte. C'era in atto una lotta interiore in lui, era evidente. Lotta che però non sapeva dove l’avrebbe portato.

"Perché… perché fuggendo pensavo di scappare anche dal dolore che provavo. Per la malattia di mia madre, la morte di Jasper. Credevo che mettendo un numero sempre maggiore di chilometri tra la mia posizione e l'Inghilterra il dolore, la pena che sentivo dentro di me sarebbero cessate." Rispose infine, posando i suoi occhi per la prima volta su quelli della ragazza.
" E allora perché sei tornato? Perché sei tornato a Shafiq Manor e non ti sei fatto più sentire? Neanche una lettera, una schifosa pergamena o una cartolina hai pensato bene di mandarmi!"
Il furore e la rabbia che Helen aveva cercato di celare da quando aveva incontrato Mary al Paiolo Magico finalmente esplosero. Non le importava più di essere in un funerale e che davanti a sé avesse il figlio della donna che era appena stata sepolta. Voleva risposte.

Evidentemente non era quella la reazione che Mark si aspettava. Davanti alla rabbia e alla frustrazione della ragazza fu lui questa volta a indietreggiare.

"Sono tornato perché il mio viaggio era arrivato a termine e avevo bisogno di riposo e notizie di mia madre e di mio zio," rispose, con voce malferma. "Quando sono tornato a casa in realtà non sapevo neanche se sarei rimasto ma non appena ho scoperto che Caius era diventato un tiranno, e che mia madre e mia sorella vivevano sotto il suo giogo, ho deciso di rimanere e cambiare la situazione.”
Abbassò le spalle, come sconfitto.
“Per fare ciò, per restare qui senza soffrire, però era necessaria una cosa…"
"Eliminare il passato," indovinò Helen. Mark annuì tristemente.

"Non potevo più volgere le spalle alla famiglia dopo queste tragiche notizie. Per rendere però più sopportabile la mia esistenza qui ho deciso di dare un taglio al passato, non vedere più le persone che mi legavano a un'epoca triste e che non volevo più affrontare o ricordare," ammise. "Ho smesso di frequentare le vecchie amicizie di scuola, i circoli che bazzicava mio padre… e tu."
"Per rendere più sopportabile la tua vita qui in Inghilterra hai deciso di tagliarmi dalla tua vita?"
La ragazza chiese, ferita da quelle parole così dure e senza senso.
"Non la mettere su questo piano,” rispose Mark, accorato. “Ma vedi, sta succedendo anche adesso, ogni volta che ti vedo la mia mente va a quei giorni così tristi e allo stesso tempo felici e non posso rischiare di impazzire. Se voglio rimanere qui devo pensare al futuro e non posso farlo con te. La colpa non è tua, so che è una frase totalmente cliché ma è così."
Mark abbassò di nuovo gli occhi, triste ma allo stesso tempo un po' sollevato per aver dato voce e consistenza ai suoi dubbi.

"Sei un uomo adesso Mark, non puoi più scappare dal passato e fuggire dalle sue spiacevoli conseguenze, devi affrontarlo. Ma forse mi sono illusa e capisco solo ora che, nonostante le apparenze, non sei ancora un uomo ma un ragazzino. Lo stesso che si nascondeva qui per evitare le noiose riunioni di famiglia,"replicò Helen. In lei non c'era più gioia ma neanche tristezza o rancore: era semplicemente vuota come se un Dissennatore le avesse dato uno dei loro baci.
"Forse hai ragione e mi dispiace ferirti ma in questo momento devo pensare alla mia felicità e anche alla tua," replicò Mark. "Soffriremo entrambi troppo e non posso permetterlo.”

Helen si voltò e senza dire una parola rientrò nel palazzo. Dopo qualche secondo Mark udì un forte crac, segno che da ragazza si era appena smaterializzata. Sì accese una sigaretta e sbuffò, da una parte sollevato dell'altra amareggiato.

Dopo qualche secondo Mary entrò nel terrazzino. Osservò il fratello, scosse la testa e disse: "L'hai mandata via, Non è vero?"
Il ragazzo si appoggiò alla balaustra, dando le spalle alla sorella.
"Ho dovuto farlo. In questo momento tra la gestione delle terre e la mia nuova posizione all'interno della comunità Purosangue non posso rendermi vulnerabile."
"Non capisco come potrebbe danneggiarti riallacciare anche solo un'amicizia con Helen," constatò Mary, accigliata.

"Ti ho già spiegato il motivo e l'ho fatto anche a lei,” replicò Mark, stizzito. “ Inoltre non ho idea di che vita stia portando avanti, le cose sono cambiate rispetto a qualche anno fa. Sono appena entrato in un circolo molto chiuso e se venissero a sapere che ho ricominciato a frequentare una Mezzosangue non me lo potrebbero perdonare. E se a sua volta lei scoprisse il mio Marchio e la mia politica..."
"Eppure so che provi ancora qualcosa per lei e allontanarla solo per poter continuare le sue frequentazioni mi sembra un’assurdità, " replicò la ragazza, scuotendo la testa.

"Per questo sono capofamiglia. Perché a volte nella vita bisogna prendere decisioni e cercare di sacrificare il nostro bene per qualcosa di superiore. Se troncando i rapporti con il mio passato potrò far crescere la mia posizione lo farò, anche se con la morte nel cuore " replicò Mark, spegnendo la sigaretta.
Poi, senza dire una parola in più, rientrò in casa lasciandosi alle spalle una Mary decisamente contrariata e perplessa.

/ / / / / / /

Salve a tutti, questo finora è stato il capitolo più difficile da scrivere.
Prima di tutto perché che mi leggi magari lo sa, non sono particolarmente ferrato con la scrittura di capitoli più romantici diciamo così. Per questo ho deciso di inserire una punta di Angst con il quale mi trovo già più a mio agio. Spero perciò di essere riuscito a rendere comprensibili le motivazioni di Mark, un ragazzo tutto sommato fragile, e che il capitolo vi sia piaciuto.
Il prossimo sarà un po' più leggero e torneremo al Ministero ^^. Ringrazio Simospace per le recensioni e chi ha messo la storia nelle seguite/preferite/ricordate

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Capitolo 10
*** L'eremita e gli Incappucciati ***


Capitolo 10, L’Eremita e gli Incappucciati

 



Le colline intorno a Hogsmeade avevano sempre esercitato un certo fascino su Helen. Negli ultimi anni di scuola infatti, ormai annoiata dai soliti negozi visitati già decine di volte, aveva preso l’abitudine di esplorare la zona collinare più vicina al villaggio.
La differenza tra quella parte così brulla e aspra e le comodità di Hogsmeade era evidente e quel dedalo di collinette e caverne incuriosiva da morire la ragazza.

Ma adesso che si trovava al villaggio per lavoro, ed era costretta a visitare quei luoghi così impervi, il fascino e la curiosità erano ben presto evaporate al sole.
Helen si fermò per un breve riposo in una caverna che aveva appena scoperto. Si sedette per terra ed estrasse dallo zaino una borraccia di latta e una mappa appena abbozzata.
Dopo una lunga sorsata di acqua fresca sentì un po’ di vigore tornare e buttò l’occhio sulla cartina che stava cercando, non numerose difficoltà, di completare.

Si trovava ad Hogsmeade da circa una settimana per la sua prima missione in solitaria. Che detta così poteva sembrare qualcosa di epico ma la ragazza non ci trovava niente di interessante nel compito che Moody le aveva affidato: mappare, o per lo meno cercare, la rete di caverne che si trovava nei dintorni dell’unico villaggio abitato esclusivamente da maghi nella Gran Bretagna.

"Quelle caverne possono essere il naturale nascondiglio per malfattori, assassini in fuga o ricettatori!” aveva spiegato Moody.
“Ma perché non se ne può occupare qualcun’altro? Non mi sembra un compito da Auror…” aveva protestato, invano.
“Gne gne gne. E se dovessi trovare un mago oscuro? E se dovessi incontrare qualche malintenzionato?" chiese Alastor, polemico. “Posso pure mandare qualcun’altro ma se dovesse morire ce lo avresti sulla coscienza…”
E alla fine aveva ceduto, seguendo il mantra dei novellini: “É tutta esperienza, è tutta esperienza…”

Ma in realtà non le dispiaceva allontanarsi da Londra, da quel caos pieno di smog. Certo, passava la maggior parte delle sue giornate sudando sotto il sole per scoprire qualche caverna disabitata e tornava ai Tre Manici di Scopa ogni sera decisamente esausta ma non le dispiaceva.
Adorava avere qualcosa da fare anche perché evitava di pensare. A Mark, in special modo.
Si era ripromessa di non pensarci più ma ogni tanto il suo volto e le sue parole facevano capolino nei suoi pensieri quando più era vulnerabile, la mattina presto o la sera dopo cena.
In parte si era aspettata le parole del ragazzo, sospettava che la sua fuga all’estero rappresentasse anche e soprattutto una fuga dal dolore che provava, ma la sua scelta di troncare i rapporti per evitare di soffrire… questo no, non lo poteva proprio indovinare.
Eppure dubitava che fosse tutto, ci doveva essere qualcos'altro sotto, lo indovinava dal tono, dai gesti che Mark aveva usato su quel terrazzino.
O forse era solo una sciocca.

Si riscosse. Era in una caverna da sola, avrebbe fatto meglio a rimanere concentrata. Estrasse la bacchetta e tracciò sulla mappa alcune nuove linee e una X in corrispondenza a quella caverna.
Era passato un mese dal funerale di Lilibeth e una settimana dall’inizio della sua missione e già era a buon punto. Aveva esplorato circa la metà delle caverne nella zona più vicina al villaggio, poi c’era tutta una fascia di colline più alte e brulle completamente inesplorata.
Avrebbe dovuto tracciare anche quelle e poi sarebbe potuta tornare a casa, forse avrebbe impiegato altre due o tre settimane.

Nelle due ore successive la ragazza trovò un’altra caverna, che segnò sulla cartina, e poi, alle otto di sera, si smaterializzò.
Comparve a qualche chilometro di distanza, davanti ai Tre Manici di Scopa.

A quell’ora il locale più grande e forse conosciuto di Hogsmeade era pieno zeppo. Quasi tutti i tavoli erano occupati da una folla, decisamente brilla e festaiola, vestita con maglioni rossi e azzurri.
Helen riuscì con difficoltà a svicolare e a raggiungere, un po’ trafelata, un tavolo libero.
Subito una ragazza si avvicinò, ancheggiando su dei tacchi decisamente alti e vistosi.

“Ehi Helen, come va?” chiese, con la sua solita voce frizzante.
“Ehi Rosmerta, bene. Un po’ affaticata ma bene,” rispose l’Auror, appoggiando lo zaino per terra e dando un’occhiata alla folla.
“Che cosa sta succedendo?” chiese, curiosa.
Rosmerta alzò gli occhi al cielo, osservò quella piccola folla rossazzurra e rispose: “Quidditch. A quanto pare la squadra di Hogsmeade ha vinto non so quale scontro diretto. Patetico,” sbuffò, “giocano nella terza lega inglese da secoli e si esaltano per una vittoria come se avessero vinto la Coppa del Mondo!”
Helen sorrise. Era simpatica Rosmerta, un po’ strana a volte ma era una delle poche facce amiche che avesse avuto la fortuna di incontrare.
“La solita zuppa di cipolle andrà bene,” rispose infine. L’altra annuì e corse, per quanto quei tacchi potessero consentirle, fino alla cucina.

Rimase in attesa osservando quel gruppo così colorito e felice. Da quanto non era così spensierata?
Da troppo, una vocina maligna rispose nella testa.
Ebbe per un momento la folle idea di unirsi a quel gruppo. Bere, ubriacarsi, dimenticare tutto.
Ma poi il ticchettio dei tacchi di Rosmerta la riportarono alla realtà.

“Ehi come procede là sulle colline?” chiese, mentre appoggiò sul tavolo una scodella bella piena di una densissima zuppa di cipolle.
Solo allora Helen si rese conto di quanto fosse affamata perché si gettò quasi con rapacità sulla zuppa e in pochi minuti la terminò assolutamente soddisfatta.
“É ottima, Merta. Devi fare i complimenti a tua madre!” esalò, appoggiandosi alla sedia.
“Sì, è tanto brava quanto rompiba… aehm,” rispose l’altra, sorridendo.
Helen recuperò lo zaino e si alzò, era decisamente troppo stanca.

“Puoi svegliarmi alle sette domani?” chiese Helen, trattenendo a fatica uno sbadiglio.
“Te ne vai già?” chiese Rosmerta, un po’ delusa.
“Ho un bisogno fisico di una doccia calda e di un po’ di riposo,” rispose l’Auror, avviandosi verso le scale che portavano al piano superiore. “Grazie ancora, per tutto. Domani cercherò di dosare meglio le forze e sarò dei vostri!” esclamò e subito il viso della cameriera di distese.
“Ci conto!” esclamò, prima di tornare a servire i tifosi che reclamavano perché i lori boccali erano stati lasciati vuoti per troppi minuti.

Il primo piano della taverna aveva circa sette camere, più quella di Rosmerta e dei suoi genitori.
Helen si fermò di fronte la porta con su scritto “5”, estrasse la chiave da una delle tasche dello zaino e l’aprì.
Il poco budget dato dal dipartimento Auror non offriva molte possibilità. Era la stanza più piccola ma comunque andava bene per le sue esigenze.
In un angolo c’era il letto matrimoniale (molto comodo, per fortuna), davanti una scrivania disseminata di fogli e un caos molto poco controllato e accanto un piccolo armadio.
A metà della parete di sinistra c’era una porta che dava nel bagno; accanto un piccolo angolo cottura.
Non era molto ma considerando il poco tempo che passava al rinchiuso…

Si spogliò velocemente, mettendo i vestiti fangosi in una pila per terra (ci avrebbe pensato il giorno dopo) e si diresse verso il bagno dove l’aspettava una doccia calda e ricostutente.
Il giorno dopo sarebbe stato molto probabilmente uguale. Stessa routine, compiti uguali, ma andava bene così.
Al Ministero aveva sempre il sentore di essere inutile, di non sapere bene cosa fare. Certo, fare una mappa delle caverne vicino il villaggio ed eventualmente cacciare chi le abita non era il massimo del compito per un Auror, ma per lo meno aveva qualcosa da fare e che, a fine giornata, la facesse arrivare stanca ma in qualche maniera soddisfatta.
Dopotutto Mark aveva ragione, la fuga…
No, si disse, uscendo dalla doccia e avvolgendo il torso e i capelli con due asciugamani puliti, non doveva pensarci.

/ / / / / / /

Il mattino successivo Helen si svegliò di umore migliore. Era domenica, l’unico giorno dove la sua routine subiva qualche piccolo scossone.
Per quella giornata aveva programmato di visitare e mappare una collina piuttosto alta e all’apparenza non così brulla e inospitale come le altre. Poi, se avesse terminato prima del previsto, si sarebbe ritagliata il pomeriggio e la sera per sé stessa, niente sfacchinate o sudate sotto il sole.
Dopo una colazione piuttosto abbondante (requisito fondamentale per affrontare al meglio quelle giornate così faticose) la ragazza si fermò un’attimo a Mielandia per rifornirsi di dolci e poi si materializzò, diretta verso la sua meta per quella mattinata.

L’aria, man mano che Helen si inerpicava per quella nuova, sconosciuta altura, si faceva sempre più calda. Arrivata a metà si rifugiò in una caverna e bevve un sorso d’acqua fresca, tirando un po’ il fiato e riflettendo sulla situazione.
Sentiva che poteva essere sulla strada giusta: la collina dove si trovava era meno arida e brulla rispetto a quelle che Helen aveva visitato e tracciato sulla mappa. Se qualcuno si nascondeva in quella parte di Hogsmeade allora c’era un'alta probabilità che si trovasse nel punto giusto.

“Ehi vecchio, togliti dalle palle!”
Una voce alterata attrasse l’attenzione dell’Auror. Posò a terra lo zaino, estrasse la bacchetta e si avvicinò all’entrata della caverna.
Le voci concitate, per la precisione dovevano essere in due, provenivano da sopra la caverna nella quale la ragazza aveva trovato rifugio. Uscì, si acquattò dietro un masso e azzardò un'occhiata in direzione di quelle grida.
Due losche figure incappucciate si trovavano presso l'ingresso di un'altra piccola caverna che Helen non aveva ancora visitato, in mezzo a loro c'era una persona piuttosto anziana: i pochi capelli bianchi, il viso solcato da profonde rughe e un'espressione di puro terrore.

"Ehi che cosa volete?" chiese l'anziano.
Il più grosso dei due, per tutta risposta, dette uno schiaffo al vecchietto che crollò a terra.
"Tu chiedi a noi che cosa ci facciamo qui? Questa è la nostra zona, vedi di sloggiare entro poco altrimenti ci penseremo noi a farlo e ti assicuro che non sarà un'esperienza piacevole," rispose l'altro, più magro e nervoso.
"Ma non ho altro posto dove stare…" replicò l'anziano, cercando di rialzarsi, ma una pedata ben assestata da parte del più grosso lo ributtò a terra.
Helen aveva visto abbastanza.

"Ehi, voi due toglieteli subito le mani di dosso!" Esclamò, alzandosi e uscendo dal riparo, puntando la bacchetta contro gli aggressori che rimasero immobili, evidentemente stupefatti dall'arrivo di una ragazza sconosciuta.
"Ah sì, perché dovremmo farlo? " borbottò il grassone, rivolgendo a Helen uno sguardo carico di odio.
“Perché sono un Auror del Ministero e quello che state facendo a quella persona anziana è tutto tranne che legale,” esclamò. Ma fu un errore e lo capì immediatamente dallo sguardo che i due incappucciati si rivolsero: un misto di paura e rabbia.
“Quindi lasciatelo subito e…”
“Diffindo!”
“Crucio!”

I due avevano puntato le loro bacchette verso di lei e le avevano lanciato, senza avvertimento, un paio di incantesimi. Helen si gettò al riparo del masso, trafelata. Tutto si aspettava quel giorno ma certamente non un conflitto.

“Andiamocene!” sentì il grassone mugolare, diretto sicuramente verso il più magro che però ringhiò contro al compare.
“Mai, preferisco morire!”
Stavano bisticciando, era il momento giusto. Helen si sporse leggermente, doveva giocare sul fattore sorpresa e non poteva rischiare troppo. "Stupeficium!" urlò, dirigendo il suo incantesimo verso i due incappucciati. L’urlo di dolore dell’incappucciato più magro echeggiò per la collina, seguito però da un “Bombarda!” lanciato senza alcun dubbio dal grassone.
Helen ebbe giusto il tempo per allontanarsi di qualche centimetro dal masso che questo esplose letteralmente in mille pezzi, sbriciolato dall'incantesimo. La forza d’urto fece volare la ragazza per terra.
Superato lo shock per la caduta, l’Auror rotolò per terra fino a quando non raggiunse un riparo adatto.
Si alzò e subito puntò la bacchetta verso gli incappucciati, pronta a riprendere il duello. Ma non c’era nulla da riprendere perché i due erano scomparsi.

Helen imprecò ad alta voce mentre usciva allo scoperto. Non si aspettava un attacco così violento, aveva commesso uno degli errori più gravi che un Auror potesse fare: sottovalutare l'avversario.
Ma chi erano quei due incappucciati e cosa ci facevano su quelle colline disabitate?

Risalì il pendio della collina fino arrivare alla caverna dove si trovava l'anziano che era stato aggredito da quei due.
Tremava ancora dallo spavento ma sembrava esserci un po' ripreso. Si alzò in piedi, pulendosi alla bell'e meglio tutta la polvere che aveva raccolto mentre era a terra, e poi si rivolse ad Helen.
"Grazie mille, signorina. È la seconda volta che mi attaccano nel corso di questa settimana, meno male che la sorte ci ha fatto incontrare," borbottò, un po' scosso dalla vicenda. L'Auror si avvicinò e gli strinse la mano.
"Che cosa è successo? Chi sono quelle persone?" chiese Helen, osservando attentamente l'anziano.
Costui alzò le spalle.
"Vorrei avere una risposta ma davvero non lo so. Da quello che ho capito non sono certamente persone per bene, forse sono ladri o peggio," rispose, esitante. "So che queste colline sono il rifugio ideale per malfattori simili. Ma lei lo sa, è un Auror dopotutto," esclamò.
"Già, un Auror così sciocca che si è fatta sorprendere come una pivella," replicò l'altra, amareggiata.
"Oh no, non deve essere così dura con se stessa. Gli ha spaventati e sono sicuro che per un po' di tempo non verranno a disturbarmi, questo è già tanto," disse l'anziano, avviandosi verso un'apertura nel fianco della collina.

Helen lo seguì e si ritrovò in una piccola caverna piuttosto accogliente: c'era un letto, un focolare e persino un piccolo armadio. Era riuscito a trasformare quello spazio inospitale in una casa.
"Il mio nome è Augustus Morrison," disse il padrone di casa, osservando la caverna. "Vivo da queste parti, da solo, da più di quindici anni."
"Quindici anni? E come mai ha deciso di trasferirsi qui in un posto così scomodo e inospitale?" chiese Helen, curiosa.
"Dopo che mia moglie è morta nulla ha avuto più senso per me," rispose. "Non mi è mai piaciuta la modernità, lavorare al Ministero era un vero tormento per me, e così ho deciso di anticipare la pensione, vendere la casa e trasferirmi da queste parti per tornare ad avere un contatto con la natura, lontano dalla città caotica e da una vita frenetica e misera."
Si schiarì la gola, evidentemente non parlava così a lungo da tempo.
"Ogni mese scendo al villaggio per rifornirmi di viveri e di tutto l'occorrente per vivere in natura, non mi manca niente, davvero."

Passarono insieme un'altra oretta discutendo del più e del meno, in special modo sulle abitudini di vita di quell’eremita così strano e poi, verso mezzogiorno, la ragazza recuperò lo zaino, salutò Augustus e si materializzò al villaggio.
Entrò ai Tre Manici di Scopa e trovò Rosmerta intenta a pulire un paio di tavoli particolarmente sporchi.
"Allora non voglio un no come risposta, visto che è la mia e la tua serata libera. Alle nove ci ritroviamo qui e ci si materializziamo a Londra, un mio amico ha prenotato in un locale bellissimo!" Esclamò, non appena vide Helen.
"Sì d'accordo, ci vediamo alle nove!" Rispose, sorridendole.
Non aveva idea di dove sarebbero andati ma Rosmerta le piaceva, le stava troppo simpatica e non le avrebbe fatto certamente male una serata a ballare e a divertirsi. Prima però aveva una cosa importante da fare.

Non appena entrò in camera subito si diresse verso la scrivania e scrisse una breve lettera ad Alastor: aveva bisogno di sapere se Morrison avesse davvero lavorato al Ministero e se fosse una persona meritevole di fiducia.
Quella giornata era stata decisamente interessante e avventurosa, avrebbe avuto bisogno di una doppia porzione di Whisky Incendiario per dimenticare e affrontare il giorno successivo.!

/ / / / / / /

Capitolo di transizione del resto In ogni puntata non può esserci una riunione o una cerimonia importante. Era però importante mostrare dove Helen passerà le prossime settimane e introdurre Morrison, che mi sono molto divertito a scrivere, e penso proprio che riuscirò a dargli un piccolo ruolo più avanti :)

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Capitolo 11
*** Festa a Shafiq Manor ***


Capitolo 11, Festa a Shafiq Manor

 



Molte cose erano cambiate a Shafiq Manor dopo la dipartita di Caius e Lilibeth.
Una delle stanze che aveva subito una metamorfosi quasi completa era lo studio, un tempo appartenuto a Jasper, poi al fratello e adesso a Mark. La scrivania, antica e bella ma tremendamente scomoda, fu la prima ad essere sostituita da una in mogano più pratica; i mobili erano stati cambiati e l'atmosfera in generale di quella stanza, dove il ragazzo passava la maggior parte delle sue ore in casa, era stata stravolta: se prima lo studio traboccava di oggetti inutili e preziosi, adesso aveva l'aria molto più ordinata e pratica.

Ovviamente non era stato l'unico cambiamento che i giovani Shafiq avevano apportato: la settimana precedente Mark aveva dato il via alla demolizione delle due ali secondarie del maniero. Questo avrebbe reso Shafiq Manor più piccola, certo, ma molto più gestibile e pratica: quella zona infatti era abbandonata e inutilizzata ormai da anni e non aveva più senso ora che gli Shafiq erano rimasti così in pochi.

Successivamente il ragazzo si era concentrato sulla gestione del villaggio e sulla piccola fabbrica di Whisky Incendiario: Billy era divenuto proprietario a tutti gli effetti, prendendo il posto del suo anziano padre che finalmente aveva deciso di optare per la pensione, ed insieme avevano cominciato a lavorare per rendere la produzione del whisky migliore sia in quantità che in qualità. Oltre a questo erano stati rinegoziati alcuni affitti che gli Shafiq non riscuotevano da anni, rendendoli più gestibili per gli affittuari, e Mary stava negoziando con i rappresentanti del San Mungo per poter creare una Passaporta legale in modo da poter trasportare direttamente eventuali feriti del villaggio all'ospedale in maniera veloce e sicura.
Mark firmò una pergamena dall'aria ufficiale e la ripiegò, appoggiandola sul tavolo. Era stancante, occuparsi della casa e del villaggio, ma era il suo compito e in fondo al cuore era felice e soddisfatto di come stavano andando le cose. Giocoforza la sua attività da Mangiamorte era calata, anche se cercava sempre di partecipare a tutte le riunioni ogni volta che il marchio bruciava.
Voldemort ne era al corrente e per il momento si dimostrava comprensivo: le cose stavano andando bene, la scelta di diminuire gli attacchi ai Magonò si era rivelata giusta perché la posizione del ministro si era rafforzata e allo stesso tempo sempre più persone si dimostravano contrariate dalla gestione ministeriale.

Si alzò, stiracchiandosi, e poi si avvicinò al grande specchio che aveva posizionato nella parete opposta alla scrivania. Indossava un abito da mago elegante, l'occasione era molto importante. Dopo essersi sistemato, con un colpo di bacchetta, i capelli, Mark si avvicinò alla finestra e guardo giù. Nel prato dietro a Shafiq Manor c'era un grande gazebo e diversi invitati stavano sciamando dentro.
Non gli sembrava possibile ma alla fine era giunto il momento: quel giorno sua sorella si sarebbe sposata con Billy.
Era stata la prima cosa che l'amico gli aveva chiesto, dopo essere diventato il presidente della società che produce whisky. Mark aveva tentennato, e non perché non volesse Billy come cognato o perché non lo trovasse il marito giusto, semplicemente perché adesso che era ben introdotto nella comunità Purosangue avrebbe avuto la possibilità di far sposare sua sorella con qualche membro di spicco, e così aggiungere rispetto e potere alla famiglia.

Aveva iniziato a prendere dei contatti con alcuni Mangiamorte senza moglie o con figli ancora disponibili ma di fronte alla reazione dura della sorella e dell'amico alla fine, pur con un sorriso sotto i baffi, aveva consentito il matrimonio. Billy sarebbe stato un marito ideale, o almeno sperava, e anche se non avrebbe formato nuove alleanze dopotutto quel matrimonio avrebbe sicuramente rafforzato la sua posizione all’interno del villaggio.

La madre di Billy, aiutata da madame Rosier, si era occupata dell'organizzazione del matrimonio, che avrebbe avuto luogo a Shafiq Manor essendo più grande e meglio organizzata, e subito dopo la coppia si sarebbe trasferita nella dimora dei Morgain. Quella era la parte che più pesava a Mark: senza sua sorella sarebbe rimasto solo a Shafiq Manor. Rimanere l'unico abitante di quel maniero non lo spaventava, aveva vissuto per mesi da solo, nel suo viaggio, ma sua sorella le sarebbe davvero mancata nella vita di tutti giorni.

Il ragazzo scosse la testa, si diede un'ultima occhiata allo specchio e poi uscì dallo studio, diretto verso una stanza al primo piano.
In lontananza sentì le campane rintoccare: era il segnale per i pochi invitati a quella cerimonia intima di entrare nel gazebo perché il matrimonio sarebbe iniziato nel giro di pochi minuti.
Billy doveva essere già presente, Mark se lo immaginò tutto bianco in volto ed emozionato, come la sera precedente.
Come da tradizione infatti le ore precedenti alla giornata del lieto evento erano state dedicate interamente allo sposo e alla sposa.
Billy, accompagnato dal padre, Mark, e dal signor Rosier, era stato immerso in un lago magico che avrebbe dovuto donare forza e vigore mentre Mary aveva passato tutta la sera immersa nella vasca da bagno di casa Morgain ripiena della stessa acqua del lago a bere pozioni e infusi che avrebbero dovuto aumentare la sua fertilità.
Al solo pensiero Mark scosse nuovamente la testa.
Era arrivato alla sua destinazione perciò aprì la porta che aveva di fronte a sé ed entrò.

All'interno c'era sua sorella già vestita in un bellissimo abito bianco appartenuto a sua nonna. Tre Elfe Domestiche stavano ultimando la preparazione e quando videro entrare Mark subito si fecero da parte.
Mary si alzò e si diresse verso il fratello, visibilmente emozionata.

"Come sto?" chiese. Era raggiante, bellissima e assomigliava terribilmente alla foto di Lilibeth nel giorno del suo matrimonio. Mark dovette trattenersi dall'abbracciarla, avrebbe rovinato tutta la sua lunga preparazione.
"Sei bellissima. Direi che è ora di andare, no?"
Mary annuì e prese sotto braccio il fratello mentre uscivano da quella stanza, diretti fuori, verso il gazebo e la sua nuova vita.
Il ragazzo durante il tragitto avrebbe voluto parlare, dire qualcosa di importante alla sorella ma era come se avesse un grosso macigno sul petto che rendeva difficile già di per sé la respirazione. Si limitò a sospirare e a guardare avanti ma arrivati davanti al gazebo non poté trattenersi: doveva dire qualcosa alla sorella. Suo padre non c’era più, toccava a lui fare il classico discorsetto pre-matrimonio.

Si fermò, incapace di muoversi ulteriormente senza prima dare un ultimo consiglio alla sorella.
"Mary… sei, sì insomma sei sicura? Sei felice?" Chiese infine, incerto. La sorella sorrise e strinse le mani del fratello, come per rassicurarlo.
"Mark lo sai che sì, questo forse è il giorno più bello della mia vita e non ho nessun motivo per avere dei ripensamenti," disse, sicura.
"Sì, lo so che ami Billy, però... insomma non dovesse renderti felice, se dovesse mai fare delle cose che non ti vanno a genio… tu chiamami che ci penso io, d'accordo?" rispose Mark, un po’ impacciato. Sapeva che Billy l'avrebbe resa felice, lo sapeva perché, nonostante tutti gli ostacoli che erano stati posti sul loro cammino, l'amico aveva resistito, e se l'aveva fatto era perché provava qualcosa di profondo per sua sorella. Allo stesso tempo però era suo dovere, come fratello maggiore e capofamiglia, assicurarsi che Mary sapesse a cosa andava incontro. "Billy non ha un carattere facile."
"No, ma ci sono abituata. Sai, stare con te mi ha fortificata!" rispose Mary, sorridendo.
"Parli così perché sei innamorata ma…"

Mary abbandonò ogni remora e abbracciò forte il fratello che, dopo un istante di sorpresa, si sciolse e contraccambiò l'abbraccio.
"Sono felice, Mark. Questo è quello che conta," disse infine la ragazza. Mark annuì e tranquillizzato prese la sorella sottobraccio ed entrarono nel gazebo.

Il matrimonio fu celebrato davanti a solamente trenta invitati. Sarebbe stata una cerimonia intima, solo con pochi amici e familiari, così aveva voluto la sposa.
Mark osservò le sedie ma non vide Helen; Mary l'aveva invitata ma la ragazza aveva risposto che non avrebbe potuto partecipare per impegni lavorativi. In effetti sapeva che lavorava al Ministero ma non in quale Dipartimento.
"E la cosa non deve neanche interessarti visto che non vi dovrete più vedere!" una vocina nella sua testa lo richiamò al dovere.
Non poteva.

Il cerimoniere fu piuttosto veloce e dopo una ventina di minuti di ciance l'unione fu celebrata. Billy e Mary si scambiarono le fedi nuziali e poi un casto bacio davanti a tutti (lo stomaco di Mark si rimescolò).
Dopo un breve aperitivo nel parco gli invitati si trasferirono all'interno, nel salone dei ricevimenti.
Quella stanza non veniva utilizzata da anni e perciò Mark rimase stupefatto dalla mole di lavoro che le elfe, guidate da Mary, avevano fatto. Al centro della stanza erano stati posizionati sei tavoli, ognuno dei quali avrebbe ospitato cinque invitati. Di fronte a tutti c'era un tavolo speciale per gli sposi, Mark e per i genitori di Billy.
Le pareti erano state dipinte, enormi quadri antichi e preziosi che giacevano da anni nelle varie cantine del maniero avevano trovato una loro nuova sistemazione. Il pranzo, preparato e servito dagli Elfi su indicazioni della sposa, fu perfetto, il vino scelto carico al punto giusto.

Non appena si sedettero, subito Philip, il padre di Billy, iniziò una lunga, e noiosa, conversazione con Mark e lo sposo sulla situazione della fabbrica di Whisky Incendiario: il livello qualitativo del whisky, la produzione e le nuove tecniche usate.
Mark cercò di rispondere in maniera esaustiva e stette a sentire attentamente i suggerimenti del vecchio. Nonostante oramai andasse per gli ottant'anni e non fosse più al passo con i tempi, venica comunque ancora considerato un esperto nel suo settore e i suoi consigli erano comunque preziosi e meritevoli di attenzione.
Mary e Suzanne (la madre dello sposo) invece si concentrarono sulla preparazione degli spazi adibiti alla nuova coppia.
"La nostra casa ha tre piani. Io e Phil stiamo benissimo a piano terra, quindi potrete pure trasferirvi al primo o secondo piano," stava dicendo la signora Morgain. "Personalmente vi consiglio il primo, ha una stanza in più che sarà perfetta per quando arriverà il vostro primo figlio!"
Mark, che stava bevendo un sorso di vino, per poco non si strozzò, guadagnandosi un'occhiataccia di rimprovero da parte delle due donne.
Si erano appena sposati e quella pensava già al primo figlio?

A metà del pranzo ci fu una piccola pausa e i due sposi passarono per i vari tavoli, salutando e intrattenendosi con gli ospiti.
Il capofamiglia degli Shafiq osservò la sorella con un piccolo moto di tristezza: alla fine di quella cerimonia si sarebbe trasferita e lui sarebbe rimasto solo con i suoi Elfi Domestici. O almeno per il momento. "Ehi Shafiq, sei ancora tra noi?"
La voce di Rosier troncò bruscamente il corso dei suoi pensieri.
L'uomo l'osservava con un'espressione divertita sul volto. Salutò i Morgain e poi si mise a sedere accanto a Mark, avvicinandosi quanto bastava per non farsi udire da orecchie indiscrete. "Non ho potuto non notare che ultimamente non hai partecipato a molte... azioni sul campo," borbottò.
"Sono stato occupato, e forse lo sarò ancora per un po', con i lavori al maniero e al villaggio. Il padrone lo sa e comunque partecipo a tutte le riunioni," rispose Mark, irritato. Gli attacchi ai Magonò e ai Babbani continuavano, così come gli intrighi politici, ma al momento il ragazzo doveva occuparsi della situazione, tutt'altro che prospera, dei suoi territori.
Rosier sorrise, beffardo.

"Bene, ma non voglio che tu ti rammollisca troppo," disse infine.
"Non ti preoccupare. Anche se penso che adesso pure Billy sarà più occupato," rispose Mark, indicando l'amico.
Rosier scosse la testa.
"Sono giovani e innamorati ma appena faranno il primo figlio poi giurarci che Billy ricomincerà a partecipare attivamente alla nostra causa," ghignò. Ancora una volta lo stomaco del ragazzo fece una capriola.
"Che c'è? Pensi che adesso tua sorella e Billy sono liberi se ne staranno con le mani in mano?" chiese Rosier, ridacchiando.
"No, io…"
"E a proposito, anche tu è bene che ti decida a fare qualcosa!" esclamò l'uomo. "Hai già qualche papabile?"
L'argomento era già di per sé abbastanza delicato, ma dover addirittura parlarne con Rosier, un membro di spicco della sua comunità Purosangue e che per di più aveva quasi il doppio dei suoi anni, mise Mark un bel po' in soggezione.

"No, ecco io no… no," balbettò a disagio.
"Devi pensarci, sai? Il tuo sangue è puro e forte perché non vi siete mischiati tra cugini, non di recente almeno. Vedrai che presto le varie matrone si faranno avanti per proporti un matrimonio con qualche loro figlia o nipote," Rosier annuì convinto.
"Io, sì immagino di sì…"
"Oh, andiamo, hai ucciso e torturato in passato e ora questo argomento ti mette in imbarazzo?"
"Io non…" balbettò Mark. Poi sospirò e disse, più sicuro: "non riesco a immaginare una vita a fianco di una persona che non amo!"
Helen…
No!

"Oh, mica ti sposi per quello," rispose l'altro, come se stesse spiegando un concetto semplicissimo ad un galoppino particolarmente ottuso del Ministero. "Ti sposi per fare figli e crescerli al meglio. Per l'amore c'è spazio… fuori."
Mark annuì, non molto convinto.
"Senti, settimana prossima i Black faranno una festa a casa dei genitori di Bella. Ci sarà l'élite e tante ragazze ancora illibate, se vuoi puoi essere dei nostri," propose Rosier.
Mark annuì in fretta perché già Billy e Mary si stavano avvicinando.

/ / / / / / /

Dopo il dolce la coppia di sposi e gli invitati si spostarono di nuovo all'esterno dove era stata allestita una piccola pista da ballo con tanto di orchestrina.
In questo caso Mark cercò di comportarsi come il perfetto padrone di casa, stringendo mani sudaticce e ridendo alle stesse battute stantie: era necessario preservare le apparenze in ogni caso, anche nel più noioso.
Man mano che si avvicinava la fine della giornata il suo umore però peggiorava sempre più.
Sua sorella avrebbe lasciato Shafiq Manor e avrebbe trascorso la sua prima notte di nozze in casa dei Morgain seguendo la tradizione: la coppia avrebbe consumato il loro primo rapporto con i familiari in attesa fuori dalla porta per poter festeggiare la nuova unione.
Mark aveva subito rifiutato. Non era stato mai particolarmente protettivo nei confronti della sorella ma stare là in attesa mentre, dietro la porta accanto, sua sorella e il suo migliore amico stavano…
No, aveva gentilmente rifiutato la proposta, i genitori di Billy avrebbero fatto le sue veci.

Alle sette di sera la maggior parte degli ospiti si congedarono. Mentre la coppia di sposi ringraziava tutti gli invitati, uno a uno, Mark si alzò, stancamente, dal tavolo.
"Allora ci conto. Ti manderò un gufo con tutti i dettagli," Rosier si era avvicinato a lui, una coppa di Whisky Incendiario in mano e l'aria un po' alticcia che mal si confaceva ad una persona sempre così elegante e raffinata. "A casa dei Black avrai la possibilità di conoscere ancor più Purosangue che contano e se nel frattempo troverai qualche ragazza da impalmare... tanto meglio."
"In realtà dovrei seguire i lavori qui a Shafiq Manor e insomma, non so se…" protestò Mark.
Odiava lasciare le cose a metà anche se sapeva quanto fosse importante socializzare e ampliare la sua rete di conoscenze, ora che poteva considerarsi un Mangiamorte a tutti gli effetti.

"La casa può aspettare, non è che faccia tutta questa differenza. Partecipare a questa festa invece sì," rispose Rosier. "Ora, hai mosso i primi passi tra la gente che conta ma adesso devi fare di più se vuoi che gli Shafiq abbiano un futuro."
Mark annuì e salutò l'uomo.
Poco più tardi fu il momento di Mary e Billy, i Morgain si erano già smaterializzati.

Mark abbracciò entrambi e disse loro, un po' emozionato: "Per la vostra nuova vita non ho trovato cosa regalarvi."
"Già il fatto che tu abbia permesso il nostro matrimonio rappresenta il miglior regalo che tu avresti potuto farci, " esclamò Billy che però venne subito fermato da un cenno dell'amico.
"L'unica cosa che ho pensato di fare è stata donarvi uno dei nostri tre Elfi. I Morgain sono vecchi e avranno bisogno di un paio di servizievoli mani in più. Trixie vi aspetta già a casa," disse Mark.
"Mark è più di quanto io…" borbottò Billy, imbarazzato, mentre Mary abbracciò forte il fratello per l’ennesima volta.
"Non… non dovevi!"
"Invece sì è ora andate, su," il ragazzo si separò dalla sorella, visibilmente emozionato.
"Sicuro che non avrai problemi a stare da solo?" chiese Mary, preoccupata.
"No, figurati. E poi non sarò solo, ci sono Exxie e Fiky a farmi compagnia!" Rispose Mark, sorridendo.
Ci fu un'ultimo abbraccio e subito dopo Billy e Mary si smaterializzarono fuori da Shafiq Manor.

Il sorriso di Mark lentamente scivolò in giù, fino a trasformarsi in una smorfia di profonda tristezza.
Fino a qualche mese fa abitava insieme a sua madre e sua sorella e adesso invece si trovava solo, di nuovo.
Si voltò e vide la confusione che regnava sovrana nello stanzone dove si era tenuto il ricevimento per il matrimonio.
"Exxie, Fiky!" chiamò ad alta voce, perentorio.

Immediatamente le fidate elfe domestiche si materializzarono davanti al padrone.
"Come saprete, Trixie non c'è più. L'ho donata alla padrona Mary per il suo matrimonio," disse, rivolgendosi alle due tozze figure. "Sarete quindi in meno ma vi dovete prendere cura solo di me, almeno per il momento. Mi aspetto che continuate a svolgere il vostro lavoro come prima e che non ci siano cali di qualità. Mi sono spiegato?"
"Sì padrone!"
"Exxie vive per servire la casata Shafiq!"
Le due elfe domestiche si inchinarono profondamente.

"Bene. Fiky, portami un calice di Whisky Incendiario nel mio studio e poi unisciti a Exxie per pulire questo macello."
Mark si smaterializzò per ricomparire subito dopo nel suo studio, il rifugio sicuro dove finalmente poteva permettersi di abbassare la guardia.
Cinque minuti più tardi Fiky comparve con il suo whisky serale e Mark la congedò, rimanendo finalmente solo con i suoi pensieri.

Dopo tutto avrebbe partecipato alla festa a casa dei Black, Rosier aveva ragione. Avrebbe allacciato utili conoscenze anche con Mangiamorte che non frequentava molto fuori dal "lavoro" e, se ne avesse avuto l'opportunità, di incontrare qualche ragazza alla ricerca di un marito dal sangue puro.
Subito però la sua mente andò a Helen.

Naturalmente sapeva, suo padre glielo aveva insegnato non appena Mark era diventato adolescente, che il suo dovere di capofamiglia sarebbe stato quello di continuare, portare avanti, la dinastia degli Shafiq.
Quando aveva conosciuto e si era innamorato di Helen, una ragazza Purosangue, nonostante alcuni membri della sua famiglia avessero macchiato il loro altrimenti puro albero genealogico, era stato naturale per Mark pensarla come sua sposa.
Non era mai stato un ragazzo particolarmente romantico ma quando si immaginava, nella sua testa, il giorno delle nozze al suo fianco non c'era nessuna delle ragazza che conosceva e che gli facevano la corte, no, l'unica era lei, Helen.

"Smettila di pensarci, le cose sono cambiate!"
Sempre quella odiosa voce del cazzo nella sua testa, la voce della ragione. Si era ripromesso di non parlarle più anche perché adesso che era un Mangiamorte le cose tra di loro non avrebbero certamente potuto funzionare. L’unica cosa da fare era trovare una brava e ubbidiente moglie Purosangue ed adeguarsi, gli Shafiq dovevano continuare ad esistere e per farlo doveva smettere di inseguire i sogni, anche se questo voleva dire seppellire una parte della sua vita.

/ / / / / / /

Questo capitolo non è stato affatto facile da scrivere ma principalmente perché, questo forse è un piccolo spoiler, ci sarà un altro matrimonio più tardi che cercherò di descrivere appieno e quindi ho cercato di fare una cosa diversa per evitare di creare due doppioni.

Mark si sta piano piano rendendo conto che essere capo famiglia ha i suoi pregi ma anche i suoi difetti e che sì anche lui deve arrendersi al fatto che se vuole continuare a portare avanti il suo nome deve trovare una sposa. Chissà se ci riuscirà o se ci sarà uno spazio per Helen?

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Capitolo 12
*** Black Manor ***


Capitolo 12, Black Manor

 



Black Manor, la residenza principale della famiglia Black, senza alcun dubbio poteva essere considerata una delle dimore più belle e grandi della Gran Bretagna.
I suoi prati erano estremamente curati senza però risultare pacchiani, come accadeva spesso in altre dimore di importanti famiglie Purosangue, le siepi venivano tagliate millimetricamente così come il prato e le numerose e perfette aiuole di peonie e viole che circondavano il viale d'ingresso.
Mark rimase alcuni secondi ad ammirare la perfetta facciata della villa, bianca e di un marmo molto pregiato e antico.
Al confronto Shafiq Manor era davvero poco più che una residenza di campagna, si ritrovò a pensare, ammirato e un po' invidioso allo stesso tempo.
Avesse avuto lui una casa del genere non l'avrebbe mai lasciata!

La famiglia Black ovviamente era una delle più ricche e importanti della Gran Bretagna magica ma fino a quel momento Mark non si era reso conto quanto lo fossero e l'apparizione di quella casa così grande ed elegante ammutolì perfino Rosier, il suo accompagnatore per l'occasione.
L'uomo prese il suo bastone da passeggio e lo batté per tre volte sul cancello che delimitava i confini di Black Manor.
Questo subito si aprì e i due uomini potettero così entrare nel grande giardino della magione.
"Siamo in ritardo, saremo gli ultimi ad arrivare. Forse sarà anche meglio, così attirerai ancor di più l'attenzione," disse Rosier, avanzando ad ampie falcate per il vialetto d'ingresso.
"Mi raccomando, la prima cosa che dovrai fare sarà presentarti ai padroni di casa, poi comportati normalmente e vedrai le prime matrone iniziare a girarti intorno," continuò, "finché non si farà avanti qualche capofamiglia e lì il gioco è fatto," concluse, arrivando davanti al portone d'ingresso, tenuto aperto da un servizievole Elfo Domestico.

"Questa giornata servirà a porre le basi per il tuo futuro matrimoniale, poi ci sarà tutta la seconda fase fatta di contrattazioni e lunghi discorsi noiosi sulle doti e sulla purezza del sangue. Ma per quello dovrai vedertela da solo," aggiunse, voltandosi verso il ragazzo. “Niente di troppo complicato comunque. E se hai bisogno di un consiglio, mandami un gufo,” concluse.
"Henry, io davvero, non so come ringraziarti per tutto quello che stai facendo per me," Mark si fermò prima di entrare, rivolgendosi all'accompagnatore.
“Non è niente,” si schernì l’uomo ma il giovane Shafiq lo bloccò.
“No, e lo sai. Senza il tuo aiuto non so dove sarei adesso… forse ad Azkaban,” mormorò Mark.
Non poteva entrare senza prima ringraziare l'uomo che più di tutti negli ultimi mesi aveva ricoperto il ruolo di figura paterna.

Rosier sorrise e per la prima volta dopo tanto tempo fu un moto sincero il suo perché anche gli occhi si illuminarono.
"Io non sono il tuo padrino ma è come se lo fossi perché tuo padre mi ha sempre raccomandato che, se mai gli fosse successo qualcosa, avrebbe voluto che fossi io a farti entrare in società e insegnarti tutti i trucchi del mestiere," disse, dando una pacca sulla spalla a Mark. "Ti ho insegnato tutto quello che so ma il momento di trovarsi una moglie è forse il più complesso. Perciò questa sarà l'ultima volta che ti potrò dare una mano e sono molto felice di poterlo fare, credimi."

Mark avrebbe voluto dire qualcosa, non si aspettava questo moto di empatia da parte di una persona come Henry Rosier, da tutti definito come una persona dal cuore duro, incapace di provare qualche tipo di emozione umana.
Provò a dire grazie ma le sue corde vocali erano come strozzate, da una parte dall'ansia per la giornata che l'aspettava e dall'altra per la commozione per le parole dell'uomo. Comunque Henry dovette capire, dall'espressione di Mark, quale fosse il turbinio di emozioni che il ragazzo doveva provare perché sorrise un'altra volta e poi entrò, superando l'Elfo.

/ / / / / / /

La sala dove si sarebbe tenuta la festa era enorme: quasi il doppio della grande sala dei ricevimenti a Shafiq Manor, notò Mark.
Il pavimento era di un pregiato marmo bianco, le pareti disseminate di quadri dal valore sicuramente molto alto e il soffitto aveva molti stupendi affreschi dall'aria decisamente antica. Sulla destra c'era un lungo tavolo con numerose vivande mentre dall'altra parte una lunga vetrata dava direttamente sugli immensi giardini di Black Manor.

In mezzo erano stati posizionati una decina di piccoli tavoli ma in realtà la maggior parte degli ospiti consumava le varie pietanze in piedi, raccolti in piccoli gruppi intenti a parlare fittamente.
Non appena Mark e Rosier entrarono, la prima cosa che fecero fu cercare il padrone di casa, Cygnus Black. Lo trovarono poco distante l'inizio della vetrata, intento a impartire alcuni ordini a un Elfo Domestico.

"Cygnus, è un immenso piacere ritrovarti, amico mio," Rosier subito dette sfoggio delle sue conclamate prove da abile conversatore. Cygnus, un uomo piuttosto alto e avvenente con lunghi capelli neri che arrivavano quasi oltre le spalle, sorrise alla vista dei due uomini.
"Il piacere è tutto mio. E tu dovresti essere Mark Shafiq," Black disse, "è un piacere rivedere un appartenente ad una famiglia Purosangue così importante tornare in società."
"É un immenso piacere, signore. E, davvero, le porgo i miei complimenti per la casa e per la festa, sono entrambe magnifiche," Mark rispose, pronto.
Aveva presto capito che per entrare nelle grazie dell'élite Purosangue magica era necessario rivolgere più complimenti possibile al padrone di casa, senza cercare di risultare allo stesso tempo mieloso o eccessivamente zelante.
Cygnus evidentemente approvò, salutò i due ospiti e si allontanò, seguito poco dopo da Rosier.

Adesso Mark era da solo e sapeva bene cosa fare, almeno in teoria.
Aveva fantasticato su quella giornata, si era preparato tutta una serie di discorsi da rivolgere alle giovani fanciulle e alle loro madri, ma adesso che si trovava lì, da solo in quella grande e enorme stanza, non sapeva bene cosa fare. L'istinto, la vecchia parte irrazionale insita nella sua anima, gli diceva di scappare.
Il suo compito era stato compiuti, aveva fatto i complimenti al padrone di casa, poteva allora trovare una scusa per andarsene via.
Ma quella vocina che diceva di scappare via venne bloccata a forza: non era più un ragazzino e se voleva risolvere la situazione, se voleva dare un futuro alla famiglia, non poteva fuggire più.

Fece un gran sospiro, vide un tavolo occupato da alcune ragazze, insieme alle loro rispettive madri, e raccogliendo tutto il suo coraggio avanzò verso di loro.
Riconobbe subito Druella Black perché era la donna più riccamente adornata e più bellamente vestita: era uso comune che le padrone di casa si vestissero nella migliore maniera possibile durante un ricevimento.
Druella sedeva composta, i corti capelli rosso scuro stretti in una crocchia.

Mark, arrivato di fronte al tavolo, si rivolse direttamente alla padrona di casa.
"C'est un grand plaisir de vous rencontrer, Madame Black," disse, nel suo francese migliore. Druella l'osservò compiaciuta e incuriosita, permise che Mark le facesse il baciamano e poi osservò, in tono divertito: "Monsieur Shafiq, il piacere è tutto mio. Monsieur Rosier mi ha detto cosa è successo a sua madre, e le porgo le mie più sincere condoglianze."
Nonostante cercasse di nasconderlo il suo accento francese era decisamente marcato
"La ringrazio, ma in una giornata di festa come questa non indugiamo su argomenti così tristi, le va?" rispose Mark, cercando di sfoggiare un’espressione contrita.
La donna annuì, poi si volse verso le altre donne.
"Monsieur, le presento alcune mie amiche. Lady Parkinson con la figlia Emily e lady Rowle con la figlia Margaret."
Mark sorrise amabilmente alle due signore che ben presto lo subissarono di domande.
Il quarto d'ora successivo fu uno dei più noiosi e allo stesso tempo imbarazzanti della sua vita.

"Il signor Shafiq qui presente è da poco tornato in Inghilterra dopo numerosi viaggi, almeno così ha detto mio marito," Druella riprese, rivolgendosi questa volta direttamente a Mark, "posso sapere quali meravigliosi paesi ha visitato?"
"Meravigliosi non saprei, comunque è vero, ho passato gli ultimi sette anni in giro per l'Europa. Sono partito dalla Francia, poi in Germania e da lì in Polonia e su fino al Baltico e alla Scandinavia," si schernì Mark.
"Ho sempre sognato di visitare la Scandinavia," esclamò sognante lady Parkinson.
"È indubbiamente una zona tanto bella quanto fredda," rispose il ragazzo, diplomaticamente.
"E cosa l'ha portato in quei luoghi così lontani e freddi?" chiese Lady Rowle.
Quella poteva risultare una domanda a trabocchetto e perciò Mark decise di sviare l'argomento e di riportarlo su binari più gestibili.
"Ho fatto alcune ricerche su argomenti molto noiosi," disse, piuttosto frettolosamente e per evitare ulteriori domande aggiunse: "sono tornato qualche mese fa, per restare, ovviamente."

"Ho saputo da Henrietta Rosier che sua sorella si è da poco sposata," chiese lady Parkinson. Ecco, quello poteva risultare un argomento molto più trattabile e interessante.
"Si, si è sposata la settimana scorsa con Billy Morgain!" rispose.
"Mai sentito," esclamò lady Rowle, distorcendo il suo delicato naso.
"È un Purosangue delle mie parti ed è una brava persona, oltre ad essere un caro amico, anche se non risulta tra le Sacre 28," spiegò Mark.
Lady Parkinson scosse la testa e disse: "Peccato, sto cercando una moglie per il mio Theodore! Avessi saputo che sua sorella era libera..."
"E lei invece è sposato?" si intromise Druella.

Ecco, il momento era giunto. Sapeva benissimo che a nessuna di quelle donne interessava qualcosa delle sue ricerche o di sua sorella, volevano solo sapere se era sposato o ancora disponibile.
Come un gatto che gioca con il topo si erano stancate di divertirsi e perciò avevano tirato fuori gli artigli ed erano pronte a colpire.
"No, io in realtà non ho ancora avuto tempo per cercarmi una buona moglie Purosangue, tra il funerale di mio zio e di mia mamma, il matrimonio di mia sorella e i lavori al maniero," rispose. Ed era la verità.
Subito gli occhi delle due matrone scintillarono.

Il loro atteggiamento cambiò immediatamente e le due iniziarono a coinvolgere sempre più le loro figlie nella conversazione, con scarsi risultati, questo va detto.
Le due ragazze erano entrambe graziose, i loro vestiti lasciavano intravedere due corpi sicuramente molto sinuosi, ma nessuna delle due lo colpì in maniera particolare.
Margaret si rivelò immediatamente come la più loquace, ma forse proprio per questo risultò ben presto noiosa, mentre Emily, forse a causa della sua timidezza, non parlò quasi per nulla.

Alla fine Mark si congedò piuttosto deluso.
Era cresciuto con due donne, Helen e Mary, decisamente forti e decise, quelle due ragazze non assomigliavano proprio al suo ideale di donna.
E molto probabilmente lo stesso valeva per loro.

Trovò Rosier in un angolo della stanza intento a parlare con altri due uomini. Uno aveva lunghi capelli neri, assomigliava terribilmente a Cygnus, il padrone di casa e teneva un bastone da passeggio stretto tra le mani, l’altro era più grosso, il viso comicamente più piccolo e somigliante vagamente al muso di un carlino.
Rosier si voltò verso Mark e, sorridendo amabilmente, disse: “Ragazzo, ti presento Alphard Black, del Dipartimento degli Sport Magici” l’uomo con il bastone lo salutò con un cenno del capo, “e Patrick Parkinson, Capo Ufficio al Ministero della Magia, Dipartimento delle Passaporte.”
“Alphard Black? É proprio quel Alphard Black…” disse Mark, incapace di trattenersi. Non poteva fare altrimenti di fronte ad uno dei suoi ex giocatori di Quidditch preferiti!
“Sì, immagino il mio nome non sia poi così comune,” rispose l’uomo.

Mark solo allora fu in grado di recuperare il controllo e si rivolse all’uomo dalla faccia da carlino.
“É un grande piacere conoscerla, signor Parkinson. Ho appena conosciuto sua moglie e sua figlia,” disse. L’uomo, che era rimasto un po’ perplesso di fronte al comportamento di Mark, si riebbe e sorrise.
“Il piacere è mio. Il signor Rosier mi ha appena detto che non si è ancora sposato,” disse, rivolgendo un’occhiata a Henry.
“Sì, e il signor Parkinson avrebbe per l’occasione una figlia che ha appena dovuto rompere un fidanzamento,” aggiunse Rosier.
“So che dalle vostre parti si produce un ottimo whisky. Un giorno di questi, dovessi passare dalle sue parti, mi piacerebbe fare una… chiacchierata,” aggiunse Parkinson.
“Sarà… un piacere, incontrarla di nuovo,” rispose Mark. Parkinson sorrise un’ultima volta, salutò gli altri e si allontanò, probabilmente diretto verso la moglie.

“É carina la giovane Parkinson. La sua famiglia è anche piuttosto ricca e pura,” disse Alphard.
“Sì ma ci ho parlato appena e lei…” rispose Mark ma Rosier ridacchiò, interrompendolo.
“Perdonalo, è ancora convinto che nel matrimonio l’amore c’entri qualcosa. Sbrigati a fare la tua scelta,” disse, osservando il ragazzo intensamente, “O altrimenti finirai da solo, come il buon Alphard.”
“Io non mi lamento, ma del resto mia sorella ha già provveduto alla successione dei Black e perciò hanno smesso di torturarmi con l'argomento,” rispose Alphard, sorridendo. “Tu no, sei l’ultimo uomo e rischi che gli Shafiq si estinguano con te.”


/ / / / / / /

Il resto della giornata si trascinò stancamente. Mark conobbe altre tre ragazze ma di lignaggio inferiore: le loro famiglie infatti non facevano parte delle Sacre 28, pur essendo Purosangue.
Più volte lady Parkinson e lady Rowle tornarono alla carica, cercando di instaurare una conversazione con Mark sulle virtù delle loro ragazze e delle loro famiglie, ma la verità era che l'attenzione del giovane Shafiq stava via via scemando.
Non riusciva a non nascondere dentro di sé un forte senso di delusione e di insoddisfazione.
Perché era inevitabile, ogni ragazza che conosceva doveva subire un processo di comparazione con le virtù morali di sua sorella e l'attrazione che nonostante tutto provava ancora per Helen.
Le ragazze che aveva incontrato non avevano né l'una né l'altra e sì, Rosier e Black avevano ragione, non erano qualità al centro di un matrimonio d'affari, ma nonostante tutto c'era sempre quella parte irrazionale di Mark che lottava contro quella situazione.
Davvero erano così tutte le ragazze Purosangue?
Davvero non c'era altra scelta che passare la vita in un'unione che si basava solo sui figli e sul perpetuare la purezza del sangue?
A Mark la testa iniziò ben presto a girare vorticosamente e fu con sollievo che accolse il saluto finale di Cygnus e Druella a tutti gli ospiti di quella festa.

Uscito da quella villa asfissiante, all'aria frizzantina della sera, il ragazzo sospirò.
"Allora, è probabile che riceverai una visita da Parkinson nei prossimi giorni," Rosier, che a sua volta era uscito dalla villa, si stava accendendo una sigaretta e rivolse la parola al ragazzo.
Mark annuì automaticamente, senza quasi porgere l'orecchio alle parole dell'amico e mentore.
"Alla fine anche per lui è stata una giornata positiva: ha piazzato Emily con te e il suo erede con la figlia dei Rowle."
Quest'ultima affermazione riaccese l'interesse di Mark.
"Ma non sono cugini? " chiese, stupito. Rosier alzò le spalle.
"Se vuoi che tuo figlio sposi una ragazza di sangue puro, possibilmente una delle Sacre 28, le scelte sono poche. Ed è per questo che tu sei così fortunato, gli Shafiq sono rimasti al latere di questi giochi matrimoniali per più di cento anni, quindi il vostro sangue si è ripulito e fortificato. Qualsiasi padre vorrebbe un nipote dal sangue puro e sano," spiegò l'uomo.
Il ragazzo annuì, ringraziando mentalmente suo padre e i suoi antenati per essersi allontanati da quella pratica così barbarica.

Giunti al termine del vialetto d'ingresso i due si separarono: Rosier tornò a casa mentre Mark decise di continuare la sua serata da un'altra parte.
Erano successe troppe cose che aveva bisogno di metabolizzare o forse dimenticare. Il suo primo pensiero andò ai "Tre Manici di Scopa" ad Hogsmeade, era una vita che non lo visitava e sentiva che quella sera aveva bisogno di un po' di compagnia e una dose abbondante di Whisky Incendiario.
Quelle cose le avrebbe potuto ottenere anche nel villaggio, ma non voleva essere giudicato e per una sera desiderava comportarsi come un semplice ragazzo con voglia di divertirsi e abbastanza denaro.per farlo.
Chiuse gli occhi, penso intensamente alla locanda e si smaterializzò.

Ricomparve nella innevata Hogsmeade, di fronte alla sua destinazione che all'apparenza era decisamente piena. Sì strinse nel suo vestito ed entrò, deciso a scaldarsi.
La situazione all'interno era effettivamente molto caotica: tutti i tavolini erano occupati e si dovette accontentare di un posto al bancone del bar, non che gli dispiacesse: voleva solo bere e stare un po' per i fatti suoi.

Bevve in silenzio e velocemente tre Whiskey uno dopo l'altro, sotto lo sguardo attonito della giovane e attraente barista.
Immediatamente sentì un calore irradiarsi dalle sue viscere fino ai piedi e alla testa, segno che la bevanda stava iniziando a fare il suo effetto… incendiario.
Poi improvvisamente un gran baccano distolse la sua attenzione: una ragazza dai lunghi capelli riccioli aveva appena evocato una radio che trasmetteva a tutto volume i grandi successi della band "L'Ippogrifo e la Luna."
Immediatamente la piccola folla si radunò intorno, ballando sfrenatamente. Mark ordinò, e bevve velocemente un quarto Whiskey, pagò e, forse guidato dal liquido ambrato, decise di unirsi alla festa.
Era una sciocchezza, una follia, se suo padre o sua madre l'avessero visto si sarebbero vergognati.
Ma quella sera non aveva voglia di pensare o di comportarci come doveva.

"Mark?"
Il ragazzo si voltò e, con sua somma sorpresa, vive Helen, vestita piuttosto succintamente intenta a ballare con la ragazza dai lunghi capelli ricci. Sì sorprese, certo, ma solo fino a un certo punto.

Era naturale che, dopo quella giornata dove non aveva fatto altro che pensare a lei e a confrontarla con le eventuali pretendenti, la incontrasse.
Anche lei doveva aver bevuto, perché i ricordi di entrambi si fecero sfocati.
Il ballo, la folla, loro che erano solo ragazzi e nient'altro; gli strusciamenti e poi i baci, prima timidi e impacciati e poi sempre più colmi di passione e forse anche furia.
La fuga al primo piano, nella stanza di Helen e poi il sesso prima sul letto e poi in bagno, infine il nulla cosmico.

/ / / / / / /

Ve l'avevo detto che Helen non sarebbe uscita totalmente dalla vita di Mark, almeno per questa sera. Ma la notte si sa, porta la passione sfrenata e anche la lussuria ma il giorno dopo come andranno le cose?
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perché ho inserito alcuni headcanon, specie per quanto riguarda le unioni tra purosangue.
Sì, il signor Parkinson è il nonno di Pansy, anche se Mark non sarà ovviamente il padre.

Ringrazio ancora che ha messo questa storia nelle preferite o seguite un ricordate, Simospace per le sue sempre gradite recensioni e noi ci vediamo la prossima settimana!

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Capitolo 13
*** Decisioni ***


Capitolo 13, Decisioni

 



Era circondato. Nonostante da solo fosse molto più potente di quei tre Sanguemarcio, Mark tremò mentre estraeva la sua bacchetta: sapeva che quella volta, se avesse voluto sopravvivere, avrebbe dovuto usare la forza e non era sicuro che uno Schiantesimo bastasse per liberarsi di quella feccia.
Con un movimento fulmineo mise ko il più debole dei tre ma non fu abbastanza veloce perché immediatamente sentì un dolore atroce al fianco destro: era stato colpito.
A quel punto il panico si impadronì del ragazzo, accecato dal dolore ebbe comunque la forza di puntare la sua bacchetta verso chi lo aveva attaccato e mormorare, carico di rabbia e paura: "Avada Kedavra!"

Sentì il rumore inconfondibile di un corpo che cadeva per terra e due smaterializzazioni.
Si rialzò, lentamente e premendo con una mano il fianco.
Era appena diventato un assassino.

Mark si svegliò di soprassalto, risvegliato da l'incubo che riviveva quasi ogni notte, specie dopo qualche missione particolarmente cruenta per conto del suo signore.
Non appena aprì gli occhi si rese conto di tre cose molto importanti e diverse tra loro: aveva un feroce mal di testa, residuo tangibile della notte di bagordi dalla quale era appena uscito, era già mattino inoltrato, perché la luce filtrava dalle finestre, e si trovava in un posto che non riconosceva.
Si strofinò gli occhi con la mano, cercando di schiarirsi le idee, e poi si voltò alla sua sinistra. Helen giaceva distesa al suo fianco, nuda e coperta solo dalle lenzuola. Immediatamente i vuoti della sera precedente si riempirono e Mark solo allora si rese conto di quel che aveva combinato.
La delusione e i dubbi dopo la giornata passata a Black Manor e i discorsi scambiati con Rosier, la decisione di affogare le sue preoccupazioni nel whisky incendiario, la vista di Helen ai "Tre Manici di Scopa" e la loro notte di passione.

Avrebbe dovuto passare la notte a pensare al suo futuro, non nella camera da letto della sua ex!
Si alzò, cercando di non svegliare la ragazza, recuperò i suoi vestiti disseminati per la stanza e si rinchiuse in bagno, per lavarsi, darsi un minimo di contegno e raccogliere le idee.
Quella notte era stata bellissima, certo, ma sbagliata: si era ripromesso di andare avanti, di fare le cose per bene per il futuro della sua famiglia e quello non era certamente ciò che intendeva.
Sul momento pensò di andarsene via senza salutarla ma subito dopo accantonò l’idea: non poteva semplicemente materializzarsi via dai suoi problemi, sarebbe stata una cosa decisamente deprimente e irrispettosa.
No, doveva mettere le cose in chiaro.

Un quarto d'ora più tardi, dopo essersi dato una sistemata, uscì dal bagno e, visto che Helen continuava a dormire, scese giù a pianterreno per fare colazione.
La sala che la sera prima era strapiena quella mattina era praticamente vuota, salvo per un paio di tavoli occupati da qualche anziano abitante del villaggio intento a leggere i giornali della mattina e a consumare una bella colazione calda.
Mark si accomodò al bancone, come la sera precedente, occhieggiando la vetrina con le numerose offerte, sia salate che dolci.

"Stamattina abbiamo fatto degli ottimi fagottini al doppio-cioccolato di Mielandia, te li consiglio!"
Dietro il bancone comparve la ragazza con la quale Helen stava parlando la sera precedente.
"Sono anche i preferiti di Helen," aggiunse, con un sorrisetto.
Mark sorrise un po' a disagio. "Allora, sì, vorrei un fagottino e un bel bicchiere di succo di zucca gelata," rispose.
Rimase seduto, gustandosi la sua colazione, cercando di riflettere sulle prossime mosse ma trovò il compito davvero arduo: la ragazza, che ben presto scoprì chiamarsi Rosmerta, era decisamente una persona espansiva e ben presto iniziò a subissare il giovane di domande sulla sua vita e il rapporto con Helen.
Proprio quello che avrebbe voluto evitare.
Certamente non il modo migliore per iniziare una giornata già di per sé difficile; terminato il fagottino e il succo quindi Mark pagò e si diresse nuovamente verso da camera di Helen, sperando che si fosse svegliata.
Le sue preghiere furono esaudite perché quando aprì la porta trovò la ragazza già sveglia e vestita.
I due si osservarono per qualche secondo in un silenzio pieno d’imbarazzo.

“Io, ecco ti ho preso un… un fagottino per colazione, me lo sono fatto incartare…”

Immediatamente Mark si rese conto di quanto stupide potessero sembrare le sue parole.
Effettivamente Helen arrossì leggermente, prendendo dalle sue mani il pacchetto confezionato da Rosmerta.
“Cosa… cosa ci facevi qui, a Hogsmeade?" chiese, cercando di risollevare la conversazione.
“Sono in missione, roba segreta del Ministero, ma comunque piuttosto pallosa,” rispose Helen, sorridendo.
“Di cosa si tratta?”
“Devo vedere se le grotte intorno al villaggio sono abitabili e mapparle,” rispose la ragazza, alzando le spalle.

Queste parole inevitabilmente attrassero l’attenzione di Mark. Mappare le grotte, in quale diavolo di dipartimento lavorava?
“Roba pallosa, ma il mio Capoufficio vuole che sia fatto e perciò tocca ai novellini!” esclamò Helen.
“Chi… sì, insomma chi è il tuo Capoufficio?” non poté non chiedere.
“Bellings. Lavoro al Dipartimento Auror, non te l’avevo detto?”

No, non era possibile. Non era minimamente e fottutamente possibile.
Di tutte le posizioni ministeriali possibili ed immaginabili, Helen aveva scelto proprio quella che l'avrebbe, in un futuro prossimo, inevitabilmente messa contro di lui.
Era stato così sciocco da non chiederle in quale dipartimento lavorasse e adesso ne pagava le conseguenze: se già prima la loro unione era improbabile, con quella dichiarazione divenne impossibile.
Voldemort covava vendetta e la guerra si avvicinava sempre più, questione di mesi forse anni al più ma alla fine si sarebbero trovati ai lati opposti, in un campo di battaglia.

Doveva troncare quella relazione, anche se con la morte nel cuore, fare in modo che quei due non ci cascassero più.
Non poteva rischiare di perdere tutto quello che stava faticosamente creando e se prima la minaccia era puramente teorica adesso si era fatta reale e doveva reagire.

"Helen, ascolta," disse Mark, cercando di trovare un modo per entrare nell'argomento, " quello che è successo ieri è stato davvero bello, non voglio che tu pensi che non conti niente per me, infatti sono rimasto qui per parlarti…"
"Che cosa c'è? Se devi dirmi qualcosa, parla e non cercare tanti giri di parole," lo interruppe Helen, piuttosto bruscamente.
"La scorsa notte è stata bellissima ma è stato un errore. Fantastico ma un errore rimane."
"Si, Immaginavo che mi avresti detto una cosa del genere," rispose la ragazza, amareggiata.
"Helen, non so ancora quando con precisione, ma comunque molto presto mi dovrò sposare," disse Mark, distogliendo lo sguardo.
"Che cosa?"
Il ragazzo chiuse gli occhi un attimo, come per raccogliere le forze.
"La mia famiglia ha bisogno di un erede e perciò dovevo sposarmi entro breve con una giovane ragazza Purosangue delle Sacre 28, come da tradizione. Non ne sono felice, ovvio ma è su questo che devo concentrarmi adesso, perciò ti dico che è stato un errore e sarà il primo e l'ultimo."
Fece per voltarsi ma la voce della ragazza lo fermò. Non piangeva, forse sarebbe stato meglio, ma lo guardava con un'espressione fredda e ostile.

"Insomma scappi di casa senza una spiegazione e te ne vai via sette anni senza neanche una lettera. Poi torni e continui a evitarmi, ci vediamo al funerale di tua madre e mi riempi la testa di tutta una serie di discorsi senza capo né coda ma dal quale capisco che non vuoi vedermi,” disse, “Vengo qui per i fatti miei e tu arrivi, passiamo la notte insieme e la mattina dopo vieni a dirmi che ti stai per sposare e che implicitamente non mi vuoi più vedere. Che cosa sei diventato Mark? Che cosa ha fatto di tanto imperdonabile ottenere questo trattamento?" Aveva ragione, cazzo se aveva ragione, se avesse potuto le avrebbe raccontato ogni minimo particolare dei suoi motivi. Ma non era possibile, i due avevano preso una strada troppo divergente.
"Mi dispiace di averti fatto soffrire, ma le persone cambiano Helen e forse sono cambiato anch'io," rispose.
"Lo vedo. Sei cambiato in una persona che non riconosco più e che non mi piace minimamente."
"Presumo che allora sarà più facile per te evitarmi."

Detto ciò, questa volta per davvero, uscì dalla stanza e si materializzò.
L’aveva fatta soffrire, ne era consapevole, ma meglio così.
Adesso che sapeva il suo lavoro, che si era reso conto che prima o poi forse si sarebbero dovuti affrontare, era necessario non vederla più perché altrimenti non ce l'avrebbe fatta, tutto il suo disegno sarebbe crollato.

/ / / / / / /

Passarono due settimane, giorni vuoti che Mark passò nel suo studio, da solo.
Finalmente il 5 marzo 1969 Mary e Billy tornarono dalla loro luna di miele.
Quella sera i tre cenarono nella grande sala da pranzo di Shafiq Manor, stanza che non veniva usata da quando la ragazza si era trasferita da Billy.
Fu subito chiaro a Mark che quei due morivano dalla voglia di rivelargli qualcosa, forse una notizia importante, perché non facevano altro che guardarsi negli occhi e sorridere.
La cena fu luculliana, le due Elfe Domestiche avevano dato fondo alle loro magie e le pietanze erano varie e raffinate. Mark, rinfrancato dalla vicinanza della sorella e del suo migliore amico, si informò il più possibile sulla loro luna di miele e annunciò loro che i signori Parkinson sarebbero giunti presto in visita.
Terminato il dolce Mary osservò intensamente il fratello e disse:" Mark vorremmo fare un annuncio bellissimo, stasera."
"Lo avevo capito, di cosa si tratta? " rispose il ragazzo. La sorella prese per mano il marito e con l'altra si toccò la pancia.
"Ecco, prima di venire qui siamo passati dal San Mungo…"
"Che cosa c'è, stai male?" subito Mark si preoccupò.
"Al contrario, direi. Ecco, sono incinta!"
A quella notizia Mark sbatté due volte gli occhi, temendo di aver capito male ma dal sorriso timido di Billy e da quello sprizzante gioia della sorella capì che aveva inteso benissimo.
"Ma... voi, cioè… dopo due settimane sapete già, " cercò di chiedere, la salivazione immediatamente azzerata.
"Diciamo che non appena ci hai dato il permesso di sposarci io e Mary abbiamo subito deciso di festeggiare la cosa. E direi che l'abbiamo fatto con tutti i crismi visto che allora abbiamo concepito il nostro primo figlio o figlia," spiegò Billy.
Mark sbiancò.
"Avete consumato prima…"
"Come sei antiquato, amico. Ci conosciamo da una vita e, ci amiamo da anni. Un po' di sangue finto per ingannare i miei genitori la prima notte di nozze e il gioco è fatto."

"Per te sarà diverso, visto che sposerai una ragazza molto probabilmente illibata che consumerà con te solo la prima notte di nozze. A proposito, dovrai organizzare la giornata al meglio per impressionare i signori Parkinson," si intromise Mary.
La risposta piccata del fratello venne però bloccata sul nascere: sia Mark che Billy sentirono il marchio sul polso bruciare come non faceva da mesi. I due si osservarono preoccupati.
"Cosa c'è? È il marchio?" chiese Mary, spaventata.
"Si. Torniamo a casa cara, devo andare in ogni modo," disse Billy, poi a Mark: "vado a prendere il mantello e la maschera, ci vediamo a casa dei Lestrange.”

Mark annuì e corse in camera sua per prepararsi all'incontro il più velocemente possibile.
Erano le dieci di sera e se il marchio aveva bruciato così intensamente a quell'ora doveva essere successo qualcosa di importante.

/ / / / / / /

Alle dieci e un quarto, Mark si materializzò direttamente davanti al portone già aperto di villa Lestrange.
Quando il marchio bruciava non c’era necessità di tanti formalismi, bastava materializzarsi entro i confini protettivi ed entrare dentro nella sala del focolare.
Il lungo tavolo era già occupato da numerosi Mangiamorte, intenti a confabulare a bassa voce: per quella sera non erano in programma riunioni, perciò doveva essere successo qualcosa di decisamente urgente.

Poco dopo anche Billy e Rosier entrarono nella stanza e Mark stava per chiedere se sapessero il motivo della loro convocazione quando nella grande stanza entrarono Lord Voldemort in compagnia di Marcus e di un suo compagno svedese di nome Magnus.
Il Signore Oscuro prese posto sul suo trono mentre Marcus e l’altro rimasero in piedi.
Aspettarono un’altra decina di minuti i vari ritardatari e poi il brusio si interruppe.
Una trentina di Mangiamorte erano in attesa, osservando intensamente il loro padrone che parlò, sibilando freddamente.

Era strano, cambiato rispetto alle ultime volte che lo aveva visto di persona: sembrava più stanco e terribile che mai.
“Vi chiederete il motivo della vostra convocazione,” disse, osservando uno a uno i suoi servitori più fedeli. Non ci fu bisogno di una risposta, era evidente.
L’uomo sorrise, lasciando scoprire i candidi denti.
“Vi sorprenderà, forse, ma vi comunico che Jeremiah Bellings, il capo degli Auror, è morto questa sera.”

Il brusio riprese, incontrollato. Bellings morto?
Bastò un’occhiata di Voldemort, però, per bloccare il chiacchiericcio sul nascere.
“Marcus e il suo compare lo hanno incontrato per caso, durante una missione a Londra. Bellings ha riconosciuto Magnus,” indicò il compagno di Marcus, “E perciò è stato ucciso.”
“Io ho detto di cancellare la memoria, che non era necessario ucciderlo,” protestò Marcus ma Voldemort parve non udirlo.
“Perciò il mio meraviglioso piano deve cambiare per l’inefficienza dei miei servitori. Bellings era un inetto, la persona giusta per noi.”
“Faremo di tutto per cercare di far nominare un altro incapace,” si intromise Rockwood.
“Sì, abbiamo un paio di candidati che potremmo presentare al ministro,” aggiunse Malfoy, convinto. Anche Rosier annuì, pensieroso.
“E sia, la guerra si avvicina e non possiamo permetterci che il Ministero reagisca con forza, almeno all’inizio,” rispose Voldemort, annuendo.

Detto questo estrasse la bacchetta e si voltò verso i due svedesi.
“Dovete ringraziare i nostri politici, a quanto pare,” disse beffardo, "ma comunque mi avete profondamente deluso e non ammetto il fallimento, lo sapete. Avada Kedavra!”
Ci fu un bagliore verde che per un attimo accecò i presenti e subito dopo videro il cadavere di Magnus steso per terra, morto.
Marcus osservò il cadavere dell’amico, ammutolito, così come gli altri Mangiamorte.

Senza battere occhio Voldemort puntò la bacchetta contro Marcus e sussurrò: “Crucio!”
Costui cadde a terra, in preda a dolori lancinanti. La tortura durò per alcuni secondi, poi il Signore Oscuro alzò la bacchetta e la maledizione si inerruppe, lasciando Marcus a terra, sfinito e dolorante.

“Lord Voldemort non tollera gli errori molto facilmente. Ma comunque mi hai sempre servito bene e per questa volta ti perdono, Marcus. Ma è l’ultima volta che sarò così… accomodante.”
Mentre Marcus, zoppicante e dolorante, riprendeva il suo posto a sedere, il Signore Oscuro tornò a parlare.
“Non appena questo problema sarà risolto avrò bisogno di alcuni di voi per una missione… diversa. Andremo ad Hogsmeade, sto programmando un incontro con Silente…”

/ / / / / / /

Ecco qui al termine di questo capitolo piuttosto importante.
Adesso che Mark sa che Helen è un Auror la loro frequentazione è praticamente impossibile. L’inizio della guerra si avvicina. Cosa succederà al ministero adesso che Bellings è morto?

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Capitolo 14
*** Diadema di Sangue ***


Capitolo 14, Diadema di Sangue

 



Il cancello di Hogwarts apparve improvvisamente dalla nebbia che circondava l'antico castello medievale.
Voldemort si tolse il cappuccio del mantello, che aveva utilizzato per ripararsi dall'umidità, e rimase per qualche secondo fermo ad ammirare la solenne e maestosa sagoma di Hogwarts che poteva intravedere in lontananza, le mille luci che sfidavano la nebbia e l'oscurità.
L'uomo che lo stava accompagnando arrancò alle sue spalle: era così concentrato sulla sua missione che si era dimenticato di aspettare quel grosso bifolco.
"Accidenti, lei sì che cammina veloce, eh!" borbottò, tirando fuori da una delle tasche del suo pastrano una grossa chiave. "Non ho mica più l'età! Giuro che se tutto va bene tra un paio di anni lascio tutto a Rubeus e vado in pensione!"
Voldemort sorrise con freddo disinteresse, mentre attendeva che il guardiacaccia aprisse la cancellata.
Non appena i cardini si mossero cigolando, i due entrarono nel grande parco della scuola. Il guardiacaccia illuminò la bacchetta e fece strada, anche se non c’era bisogno. Voldemort non si sarebbe mai dimenticato quei luoghi.
Man mano che si avvicinava al castello il mago oscuro sentì dentro di sé tutta una serie di emozioni che non provava da tempo e che inutilmente stava cercando di nascondere: gioia mista a nostalgia.
Nonostante disprezzasse con tutto se stesso chi gestiva quella scuola, rivedere quei luoghi che erano stati per lui una seconda casa lo riempiva di felicità e malinconia.
Quanti anni erano passati, quante cose aveva fatto nel frattempo!

Sentì il diadema fremere in una delle tasche della sua veste, evidentemente l’Horcrux captava la gioia e impazienza del suo padrone.
Calma, amica, calma. Verrà il tuo tempo.
Per un momento si immaginò professore di Difesa Contro le Arti Oscure: chissà quante giovani menti avrebbe potuto controllare, quanti apprendisti far crescere per servire Lord Voldemort.
Nuove generazioni fedeli unicamente a lui e alla sua visione del mondo magico, pronti fino alla giovane età alla guerra.
Ma subito cacciò via quei pensieri allegri e ben poco fattuali: sapeva che Silente non gli avrebbe mai permesso di insegnare e dopotutto la sua vera missione era molto più importante.

Finalmente, sbuffando e imprecando, il guardiacaccia condusse Voldemort davanti al portone della scuola.
Anche questa volta il vecchio stette alcuni secondi a rovistare nelle tasche in cerca della chiave giusta e quando l'aprì, e i due entrarono nella sala di ingresso, l'Oscuro Signore non poté non trattenere il fiato.
Quella sala, le pareti erano identiche a quanto lui stesso frequentava quella scuola. Quante ore aveva passato a complottare con i suoi servitori, a immaginare un mondo nuovo e diverso; e ora tutto ciò che desiderava era davvero a un passo.
Ma no, non doveva farsi distrarre, imbonire dai felici ricordi.
I due salirono le scalinate in totale silenzio fino ad arrivare davanti all'ufficio del preside, protetto da due gargoyle.

"Com'era… aehm, sì… ghiacciolo al limone!"
L'uomo disse la parola d’ordine e immediatamente i due gargoyle si spostarono rivelando un'apertura nella parete.
Voldemort sorrise, tipico di Silente utilizzare il nome di un alimento Babbano come password.
Si voltò, e disse in tono suadente al suo accompagnatore: "il suo dovere è finito, ho notato che ha un brutto mal di schiena, se vuole può tornare nella sua capanna.” “Ma il prof…”
“L'incontro con il professor Silente sarà piuttosto lungo, abbiamo molte cose da dirci. Quando avrò terminato la verrò a trovare alla capanna è così mi potrà scortare fuori da Hogwarts," propose e subito il volto dell'anziano si illuminò.
"Il professor Silente vuole che la accompagni, però in effetti ultimamente ho proprio un brutto mal di schiena..."
"Vada pure a riposare, la verrò a trovare quando avrò fatto. Sarà il nostro piccolo segreto," rispose Voldemort. Il guardiacaccia annuì e si allontanò a passo pesante, per il corridoio.
"Perfetto, la prima parte del piano è andata bene" pensò il mago. Osservò la scala mobile che portava al piano superiore e, deciso, salì.



/ / / / / / /

Mezz’ora più tardi l’uomo scese da quelle stesse scale mobili. Una volta che la porta si fu chiusa alle sue spalle, Voldemort si appoggiò al muro accanto ai gargoyle e chiuse gli occhi.
Non era possibile, quell’uomo, Silente, era riuscito a farlo viaggiare, con la mente, indietro nel tempo. Quando era ancora uno studente e bastava una sua occhiata penetrante per metterlo in un sentimento che taluni avrebbero chiamato soggezione.
O forse lo era davvero, quegli occhi erano capaci di trapassarlo con una facilità disarmante.
Ma lui adesso era Lord Voldemort, la paura non aveva spazio nel suo vocabolario.
Eppure quel vecchio, che disprezzava con così tanta asprezza (lui e quella sua stupida e romantica idea sulla forza dell’amore) non era stato intimidito dalle sue parole e vaghe minacce.

Lui che era riuscito a crearsi un vasto seguito di servitori e che aveva corrotto i vertici della già corrotta società Purosangue, non aveva avuto la meglio su un vecchio che, in fondo, conosceva come le sue tasche.
O forse non era così.
Non era arrabbiato per il rifiuto della sua offerta di diventare insegnante, a quello era già preparato e in realtà era solo una scusa per rendere comprensibile il suo viaggio a Hogwarts, ma più che altro per il comportamento di Silente.
Si aspettava paura, rabbia o forse indignazione. Non aveva avuto nulla di tutto ciò, solo pietà.
Strinse i pugni, una rabbia primordiale lo invase: quanto avrebbe voluto tornare su e uccidere Silente, fargli vedere quanto sciocche e deboli sono le sue teorie...

Un tremore nella tasca della veste lo riportò alla ragione: era lì per una missione e aveva pochi minuti per portarla a termine.
Percorse velocemente il corridoio vuoto, erano quasi le otto di sera, la maggior parte degli studenti si doveva trovare in Sala Grande, fino a trovarsi davanti al quadro che nascondeva un utile passaggio segreto per il settimo piano.
Cinque minuti più tardi spuntò proprio davanti alla sua destinazione.
Era stato un colpo di genio, il vero motivo della sua visita, nascondere uno dei suoi Horcrux proprio sotto il naso di Silente in una delle poche stanze che quel vecchio non conosceva.
Era un rischio, certo, ma era calcolato e in fondo Silente aveva già fallito una volta, con la Camera dei Segreti. Forse pensava di essere arrivato a conoscere ogni segreto che quel castello millenario nascondeva, ma si sbagliava e un giono lo avrebbe capito.

Camminò avanti e indietro, tenendo gli occhi ben chiusi, per tre volte davanti a una parete all’apparenza vuota, pensando intensamente “Ho bisogno di un posto dove nascondere un oggetto di valore.”
Al terzo passaggio sentì un rumore e immediatamente aprì gli occhi. Nella parete davanti a lui era comparsa una porta che Voldemort aprì senza indugio.

Era entrato in una specie di enorme magazzino, pieno di numerosi oggetti sequestrati o nascosti nel corso dei secoli: erano stati ammucchiati in enormi pile e perciò si erano venute a formare delle vere e proprie strade tra la paccottiglia.
Una cittadina di rifiuti o oggetti pericolosi all’interno della stessa Hogwarts.

Sorridendo Voldemort si avventurò per la Stanza delle Necessità fino a quando non trovò un nascondiglio perfetto.
Solo allora estrasse dalla tasca il diadema di Corvonero.
Era stato uno degli oggetti più difficili da reperire, a partire dall’acquistare la difficile fiducia di Priscilla Corvonero, e da nascondere ma ce l’aveva fatta. Non falliva mai, dopotutto.

/ / / / / / /

(Avviso che questa parte sarà piuttosto dura, sicuramente da rating rosso)

"Voglio un lavoro pulito, d'accordo? Entriamo, insonorizziamo la casa e ci divertiamo un po' con questi Babbani schifosi."
Marcus parlò a bassa voce, nascosto dietro un basso cespuglio. Con lui c'erano Billy, Mark e un altro giovane Mangiamorte di nome Gibbon.
Erano le nove di sera e i quattro si trovavano in una piccolissima cittadina vicino a Leeds, il loro obiettivo un caseggiato piuttosto grande e antico che si trovava praticamente davanti a loro.

"Ancora non capisco perché dobbiamo attaccare dei Babbani," si intromise Mark, "ovvio sono feccia da distruggere e dominare, lo capisco, ma a questi punti non faremo meglio ad attaccare direttamente i Sanguesporco?"
" Verrà il momento di attaccarli, ma dobbiamo arrivarci preparati e, visto che la guerra si avvicina sempre di più, abbiamo la necessità di allenarci per diventare veloci e impossibili da fermare quando si farà sul serio. A questo ci servono questi attacchi ai Babbani," spiegò Marcus.
"Così, quando verrà il momento giusto di riprendere il nostro posto in questo mondo e attaccheremo i nostri avversari, sapremo già come fare per colpirli," aggiunse Billy.
"Basta chiacchiere, è l'ora," disse Gibbon, che sarebbe rimasto fuori di guardia, nel caso qualcosa fosse andato storto.

Marcus, Billy e Mark si mossero velocemente, stando attenti a non fare nessun tipo di rumore.
Arrivati davanti alla porta della casa delle loro vittime, Marcus puntò la sua bacchetta contro la maniglia e sussurrò: "Alohomora"
La porta si aprì lentamente e i tre entrarono dentro.
Fu tutto tremendamente facile: la famiglia Walkings si trovava sul divano, intenti a guardare la TV. Mamma, papà e due figli adolescenti non si accorsero di niente.

Mark sussurrò diversi incantesimi che avrebbero ridotto i rumori e allontanato altri Babbani mentre Billy e Marcus entrarono in azione.
Entrambi si avvicinarono di soppiatto, dietro al divano, puntarono le bacchette contro i due ragazzi e urlarono "Crucio!"
I due figli immediatamente urlarono e si gettarono per terra, in preda a un dolore indescrivibile mentre i genitori rimasero attoniti, poi alzarono la testa e videro Billy e Marcus.
Non ebbero nemmeno il tempo di urlare perché subito due paia di spesse corde li legarono stretti.
Anche loro caddero a terra, troppo scioccati per reagire.

Mark avanzò, tenendo sotto tiro i due anziani, mentre Billy e Marcus puntarono agli adolescenti.
“Che cazzo…” protestò uno dei ragazzi, tentando di rialzarsi. Un calcio ben piazzato del grosso svedese lo mandò al tappeto.
“Chi siete? cosa volete, noi non abbiamo…” chiese la donna.
“Silencio!”
L’incantesimo di Mark bloccò sul nascere quella domanda.
“E ora divertiamoci!” esclamò Marcus. Puntò la bacchetta contro uno dei figli della coppia e disse “Impero!”

Immediatamente l’espressione spaventata del ragazzo s’infranse, il suo sguardo si fece vacuo e vuoto.
“Voi Babbani adesso pagherete per le vostre colpe!” esclamò Billy, euforico. Puntò la sua bacchetta contro l’altro adolescente e urlò: “Crucio!”
Nuovamente il ragazzo si contorse a terra, sotto lo sguardo vuoto del fratello. I genitori invece urlarono, cercando di sciogliere i nodi. Ma era tutto vano, Mark lo sapeva.
“Dovete osservare con i vostri stessi occhi la fine dei vostri giovani e patetici figli,” sussurrò Marcus, con fare suadente.
“Siete dei folli!” boccheggiò il capofamiglia, “vi prego, lasciateci stare, vi pagheremo! Abbiamo molti… molto denaro con noi...”
Marcus rise sguaiato.
“I vostri patetici soldi Babbani. Puah,” sputò addosso alla madre. “Come ti chiami?” chiese al ragazzo sotto maledizione Imperius.

“John,” rispose quest'ultimo, come in trance.
“Bene. Incarceramus!”
Spesse corde avvilupparono anche il fratello di John.
“Ora strangola tuo fratello, John. A mani nude, ovviamente, e davanti ai tuoi indegni genitori!” sussurrò Marcus all’orecchio del ragazzo che immediatamente annuì e si avvicinò, senza esitazione alcuna, verso il fratello.
“John, cosa fai?” Anche il ragazzino provò a sfuggire alle corde ma non c’era speranza.
“No, lascia stare tuo fratello!”
I genitori protestarono ma non c’era nulla che potesse fermare John. Si avvicinò al fratello, che nel frattempo era caduto per terra, stretto dalle corde, e strinse le sue mani attorno alla gola.
“No, John! Cosa fai?”
“Zitti!” Billy reguardì la coppia, un’espressione di cupa follia negli occhi.
Nel frattempo John, sotto il vigile sguardo di Marcus, strinse le mani sempre di più intorno al collo del fratello che, dopo aver cercato in ogni modo possibile di reagire, infine si afflosciò, morto.

“Noo, Alex, no!” urlò la donna, prima di svenire e cadere a terra, il marito vomitò sul pavimento, incapace di reagire e il volto livido di paura e rabbia.
“Bene, bravo John,” sussurrò Marcus, dando delle pacche sulla spalla al ragazzo. “Sì, ti direi di fare lo stesso con i tuoi genitori, ma non abbiamo abbastanza tempo. É stato un piacere, Avada Kedavra!”
Il raggio verde colpì il ragazzo in pieno petto; cadde per terra, morto all’istante.
“Bene, uno spettacolo interessante,” mormorò Marcus, rimettendo la bacchetta in una tasca della veste. “Occupatevi voi di questi due, vi aspetto fuori,” disse, uscendo dalla stanza.

Billy e Mark osservarono la coppia di anziani, entrambi a terra stretti da corde impossibili da sciogliere.
La donna era ancora svenuta mentre il marito osservava i due mangiamorte con lo sguardo perso nel vuoto: evidentemente l'uomo aveva capito quale sarebbe stato il suo destino.
"Avada Kedavra" Billy mormorò l'incantesimo che colpì l'anziano sul petto, privandolo così immediatamente della sua vita.
"Vuoi occuparti della donna?" Chiese il ragazzo a Mark, voltandosi.

Ma la mente del giovane Shafiq era lontana. Che cosa era diventato?
Si era unito ai Mangiamorte per cambiare l'ordine costituito, per riportare i Purosangue al potere e la sua famiglia all'antico splendore.
E invece adesso si trovava a uccidere Babbani, certo gente che detestava e che voleva dominare, ma durante quell'azione contro una famiglia indifesa si accorse di non provare euforia o gioia, nemmeno esaltazione. Lui era pronto a uccidere, lo aveva già fatto, per la sua causa ma davvero questo era necessario?
. Era un professionista, non si divertiva a torturare le sue vittime per puro divertimento, non c'era nessuna gioia nella morte.

"Avada Kedavra." Il raggio verde partito dalla bacchetta di Mark colpì la donna, il suo lento respirare si bloccò.
" Non invitatemi mai più in queste azioni, mi sono unito ai Mangiamorte per cambiare la comunità magica, non per torturare dei semplici Babbani, " disse, rimettendo a posto la bacchetta magica in una delle tasche della sua veste.
"Insomma, Mark, dobbiamo fare allenamento e questa feccia... " Billy protestò.
" Io sono un professionista. Entro, uccido ed esco, tutto questo è assolutamente inutile. Questo non sono io,” rispose il giovane Shafiq, indicando i corpi dei quattro babbani riversi per terra. Senza aggiungere altro i due uscirono sul piazzale dove Marcus e Gibbon stavano aspettando il loro arrivo.

" Avete finito?" Chiese quest'ultimo.
"Sì, sono tutti morti," Billy annuì, osservando di sottecchi Mark.
"Bene, per stasera abbiamo finito allora," disse Marcus. Estrasse la bacchetta che puntò in cielo e poi urlò: "Morsmordre!”

Dopo qualche istante grosso teschio luminoso apparve nel cielo, proprio sopra la casa te babbani. Il marchio nero, il simbolo che avrebbe terrorizzato l'Inghilterra.

/ / / / / / /

Sì, è stato un capitolo tosto. Mark non è uno stinco di santo, così come numerosi mangiamorte, è la guerra dopotutto è la malvagità c’è da entrambe le parti.
É chiaro che Mark non approva certi comportamenti, chissà come si evolverà la cosa in futuro…
E sì, ho voluto inserire Voldemort che torna a scuola per nascondere il diadema <3
Grazie ancora a tutti e alla prossima!

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Capitolo 15
*** Molti Incontri ***


Capitolo 15, Molti Incontri

 



La sala d’attesa del Ministro della Magia era sempre stato un luogo asettico e praticamente privo di qualsiasi attrattiva.
Del resto era talmente piccola che c’era spazio solamente per la scrivania striminzita della segretaria e qualche sedia malconcia. Basta, nessun ornamento, niente che potesse rendere l’attesa più dignitosa o meno snervante.

Albus sedeva piuttosto rigido su una vecchia sedia scheggiata, osservando con interesse la segretaria che, seduta alla sua scrivania, era intenta a scrivere una lunga pergamena dall’aria ufficiale. La donna finalmente alzò il capo e incrociò lo sguardo del preside.
”Ancora dieci minuti e poi la signora Jenkins potrà riceverla. Si scusa ma sta avendo una riunione, tramite camino, con il Capo Ufficio del Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale,” disse, a mò di scusa.
Albus sorrise e distolse lo sguardo.

Non era solito per lui abbandonare i confini di Hogwarts per avventurarsi nei tortuosi e asfissianti corridoi del Ministero.
Preferiva non uscire da Hogwarts, specie in quei tempi difficili, ma sembrava che quello fosse diventato, da alcuni mesi, l’unico modo per parlare faccia a faccia con Eugenia Jenkins.
Più i mesi passavano, più le difficoltà e i problemi aumentavano, ma questo sembrava non turbare la donna, chiusa nel suo ufficio pareva imperturbabile alle minacce sempre più evidenti, non ultima la morte di Jennings.
No, le rassicurazioni del Ministero sul fatto che fosse stato un incidente non lo convincevano minimamente, era chiaro che stavano negando l’evidenza.
Ecco perché si trovava in quella squallida sala.

“Prego, signor Silente, adesso il Ministro può riceverla,” la voce della donna distrasse Silente dai suoi pensieri.
Il mago si alzò, stando attento che la sedia scheggiata non rompesse la sua veste, inchinò la testa verso la donna, e poi si diresse verso l’ufficio della Jenkins. Bussò e aprì la porta.

L’ufficio di una persona ne riflette l’animo, questo era uno dei capisaldi del pensiero di Silente.
Ai tempi di Ignatius Tuft, uno dei Ministri più odiati e incapaci, l’ufficio era pieno di ritratti di sua madre, e precedente Ministro, Wilhelmina. Un tentativo patetico di imbonire così i visitatori, ma con scarsi risultati.
Nobby Leach, primo Ministro della Magia Nato Babbano, aveva sistemato dei poster e foto Babbane per tutto il suo ufficio la settimana dopo la sua elezione. Era stato poi indotto a più miti consigli, ma alcuni poster rimasero al loro posto per tutta la durata del suo mandato sfortunato.

Adesso invece l’ufficio della Jenkins era nel caos, un po’ come il suo mandato e, forse, la sua vita.
I quadri alle pareti appesi storti e polverosi; il divano e le sedie non si trovavano in condizioni migliori mentre la scrivania era letteralmente inondata di fogli e plichi. Eugenia Jenkins sedeva in silenzio, osservando il camino.
Era sempre stata una donna volitiva, dura ma giusta. Questo almeno fino a quando non aveva iniziato la campagna elettorale per essere eletta; da allora era cambiata, aveva scelto delle alleanze sbagliate e pericolose, svendendo i suoi ideali e il suo programma elettorale in cambio di quella poltrona che adesso occupava.

"Buonasera, Eugenia. Spero di non averti disturbato,” Albus si avvicinò e si mise a sedere su una delle poche poltrone libere da tutte quelle scartoffie.
La Jenkins osservò brevemente il preside, l'espressione volitiva eppure allo stesso tempo stanca: c’erano più rughe sul suo volto segnato e i capelli più radi.
“Albus, so che abbandoni con difficoltà Hogwarts, perciò ho accettato la tua visita, anche se temo che sarà di breve durata. Tra un quarto d’ora ho una riunione con Edgar Bones, il vicedirettore del Dipartimento della Cooperazione Internazionale. Stiamo per firmare, come immagino saprai, un accordo commerciale con la Romania e il tempo è davvero poco,” disse la donna, in tono sbrigativo, cercando di sistemare alcuni fogli sul tavolo.
“Sì, non preoccuparti, apprezzo la tua concisione,” rispose Albus.
Eugenia si rilassò lentamente, alzò le spalle e lo sguardo, si allungò sulla sedia e chiese: “Cosa c’è, Albus? A cosa devo, dunque, questa visita?”

"So che è stato scelto un nuovo comandante Auror," disse Silente, interessato.
"Sì, abbiamo deciso di dare continuità al dipartimento e perciò è stato scelto il vice di Bellings, Whirle," rispose la donna. "È un Auror esperto con anni di servizio alle spalle. Sì, è stata indubbiamente la scelta migliore che potessimo fare, date anche le circostanze."

Il preside aggrottò la fronte. Da una parte si aspettava quella mossa ma dall'altra sperava in un leader diverso dal suo predecessore.
"Mi sarei aspettato un comandante più energico ma capisco la tua scelta, Eugenia. Sono stati fatti passi in avanti sulla morte di Bellings?" chiese, osservando attentamente la donna.
Il ministro rimase per qualche secondo in silenzio, all'apparenza decisa a non guardare negli occhi Silente. Quando parlò lo fece velocemente, come se volesse togliersi un dente particolarmente doloroso.

"Non particolarmente. Al momento pensiamo che sia stato un terribile incidente a togliere la vita di Bellings, naturalmente il caso non è stato ancora chiuso e i nostri Auror continuano le indagini."
"Un incidente così come le cinque famiglie Babbane uccise nel corso di queste settimane?" Chiese Silente, il tono tranquillo, come se stessero discutendo di un argomento noioso come il tempo o il campionato di Gobbiglie.
Eugenia rimase praticamente senza parole, non si aspettava quel colpo basso, una domanda di quel genere rivolta a bruciapelo.
Il preside sorrise davanti alla sua palese confusione, era sempre stata la sua strategia quella di partire da argomenti all'apparenza innocui e poi, proprio mentre l'avversario abbassava la guardia, colpire duro e secco.

"Io non capisco... Albus, che cosa c'entra... Babbani morti con questo," la donna balbettò, evidentemente in difficoltà.
"Eugenia cara, credo che c'entri tutto, se ci pensi bene. Io credo anche che sia tutto collegato, la morte di questi Babbani, Bellings e forse anche gli attacchi ai cortei dei Magonò."
"Io... i responsabili degli attacchi sono stati presi, Bellings si è trattato di un incidente," rispose la Jenkins, il tono ora più duro. "Per quanto riguarda gli attacchi ai Babbani abbiamo già alcune piste interessanti che però, capirai, non posso rivelarti. Davvero non capisco le tue parole, Silente."

"Le mie parole sono di avvertimento, Eugenia. Tempi oscuri ci attendono ed è necessario affrontare le difficoltà insieme, uniti. Il Ministero dovrà fare la sua parte in tutto questo..."
"Pensi che forse che non stia gestendo bene il ministero? Pensi forse che non sia adeguata?" Eugenia lo interruppe, lo sguardo indurito e il tono ostile.
"Penso solo che dovresti dimostrare più coraggio delle tue scelte. Forse avresti dovuto scegliere un comandante Auror più deciso e intraprendente e forse non dovresti prendere così sottogamba i vari segnali di un'oscurità sempre più incombente," rispose Silente, cercando di mantenere, con tremenda difficoltà. un tono di voce neutrale.

"Non sto prendendo sottogamba proprio niente, Silente, e non ho bisogno del tuo aiuto o dei tuoi saggi consigli, so perfettamente come gestire il mio ministero!" Eugenia sbraitò, ogni traccia di gentilezza sparita dal suo viso. "Io sono stata eletta dalla comunità magica, io e non tu Silente, ricordatelo bene questo. A me vanno gli onori e gli oneri e so perfettamente che cosa fare! Il problema dei Babbani uccisi verrà risolto com’è stato per i Magonò, puoi starne certo!"
Silente si alzò, palesemente scoraggiato dalle parole piene di astio della donna.

"Perdonami, allora. Se sai già tutto, la mia presenza qui non ha nessun significato," disse. "Ma mi dispiace perché ti reputavo diversa, Eugenia. Il potere ti ha evidentemente annebbiato la vista."
Prima che il ministro potesse trovare le giuste parole per replicare a quelle accuse, però, il preside era già uscito dal suo ufficio.

/ / / / / / /

Helen osservava la mappa delle caverne intorno a Hogsmeade con espressione vuota, priva di qualsivoglia interesse. A cosa serviva, si chiedeva, quella missione quando Babbani venivano trucidati e Bellings era morto e ancora non sapevano niente di certo?
La storia dell'incidente non reggeva, anche Moody era d'accordo su quello, c'era qualcosa di molto losco dietro e al Ministero sembrava non interessare.
Whirle, il nuovo comandante Auror, pareva la fotocopia del suo predecessore: entrambi ossessionati dalla politica e dai giochi di potere più che dal loro effettivo lavoro.
Sul Ministero aleggiava un'aria cupa e negativa come mai era successo da quando lei era entrata in accademia.
Ma quel che era peggio nessuno sembrava volesse fare qualcosa per cambiare il corso degli eventi.

"Salve, c'è Alastor Moody?"
Una voce gentile, ma allo stesso tempo austera, attirò l'attenzione della ragazza: sulla soglia del suo piccolo cubicolo era apparso un uomo piuttosto anziano con lunghi capelli d'argento.
Helen riconobbe quella persona all'istante: era il suo vecchio preside, Albus Silente.

"Salve, preside," la ragazza si alzò in piedi per salutare l'uomo che la osservò con curiosità.
"Ah, Helen Blooming, se non mi sbaglio. Sette M.A.G.O. e una promettente carriera come giovane Auror, da quanto vedo," disse, sorridendo.
"Sì, esatto. Ma, preside, si ricorda di tutte le alunne che ha avuto a scuola? " chiese la ragazza, sorpresa dalla memoria dell'uomo.
"Solo delle più talentuose, ovviamente," replicò Silente, sorridendo ilare. "Ma in tutto questo non mi ha ancora risposto. Dove si trova il buon Alastor? Dalla vicinanza dei vostri cubicoli presumo che lavoriate insieme."

"Si, presume bene. Al momento si trova nell'ufficio del Comandante Auror, stanno avendo una riunione riguardante non so quale missione."
Silente osservò la ragazza per qualche secondo, poi disse: "ho sentito parlare della triste fine di Bellings, non sono stati fatti molti passi in avanti."
"No, in effetti pare che l'ipotesi dell'incidente sia ancora la più probabile," rispose Helen. La cosa però non la convinceva affatto ed evidentemente il preside indovinò i suoi pensieri perché disse:" un'ipotesi piuttosto flebile, da quello che ho sentito dire."

La ragazza annuì distrattamente: avrebbe voluto esporsi molto di più ma non sapeva fino a che punto potesse farlo, dopo tutto il suo rapporto con il preside dopo la scuola era praticamente nullo.
"E adesso il nuovo comandante è Whirle," continuò Silente, osservando attentamente la reazione di Helen.
"Il vice di Bellings, praticamente la sua fotocopia," rispose la giovane Auror.
La risposta di Silente non arrivò mai perché proprio in quel momento Alastor entrò nel cubicolo.
"Oh, Alastor, proprio te stavo cercando!" Esclamò il preside. Moody annuì e poi si rivolse a Helen: "Whirle vuole la tua relazione sul suo tavolo. Vai."

La ragazza scattò immediatamente in piedi, raccolse i fogli e la mappa che aveva disegnato e poi, dopo aver salutato il preside, uscì diretta all'ufficio di Whirle.
"Muffliato," borbottò Moody, puntando la sua bacchetta intorno al perimetro del cubicolo.
"Molto simpatica la tua allieva. E anche sveglia abbastanza per capire la situazione," disse Silente, osservando le foto sulla scrivania della ragazza.
"Ovvio è una mia allieva. Ma taglia le quisquiglie e andiamo al sodo, che cosa ha detto la Jenkins?" Chiese Moody, burbero.

"I nostri timori si sono avverati, temo," rispose Silente. "Non muoverà un dito per cercare la verità sulle stragi dei Babbani e sui marchi che compaiono sui tetti delle loro abitazioni. È convinta che si trattino di alcuni pazzi disorganizzati, ma non so se non capisca la situazione oppure stia cercando di negare l'evidenza per paura."

"Si, paura di perdere la poltrona se iniziasse a indagare seriamente," borbottò Alastor. " Allora sì che perderebbe il poco potere che al momento ha."
"Può darsi che sia sotto quasi influenza di qualche maledizione," propose Silente ma Moody scosse la testa.
"Conosco Eugenia da una vita, si è legata politicamente ad ambienti pericolosi, questo è vero, ma non ho notato in lei un comportamento diverso da prima che iniziasse il suo mandato. È sempre stata così, una donna tremendamente ottusa che è finita in trappola da sola, ma non credo che sia sotto una Imperius. Questa è forse la cosa peggiore," rispose Alastor.
"E allora dobbiamo agire, e se la possibilità di fare qualcosa a livello politico è praticamente nulla, non possiamo d'altra parte aspettare che Eugenia termini il suo mandato!" esclamò Silente.

"So quello che hai in mente, Albus, ma devi capire che le cose non sono così semplici," borbottò Moody, a disagio. " Ci sono degli ottimi elementi all'interno del ministero che sono certo staranno dalla nostra parte, ma per avvicinarli e convincerli ci vorranno settimane, forse mesi!"
"Ma certo, non sono sciocco, non fino a questo punto. E proprio per questo è necessario che sia tu a farlo, perché dietro la corazza che ti sei costruito in questi anni, di uomo cinico e senza ideali, nel tuo profondo sei la persona più giusta, onesta e leale che abbia mai avuto occasione di incontrare," rispose Silente, appoggiando la mano sulla spalla dell'Auror.

"Quello che mi proponi è tradimento."
"Non farlo sarebbe un tradimento nei confronti della nostra nazione!" Rispose Silente.
La bocca di Alastor lentamente si aprì in un sorriso storto.
"Sapevo che avresti risposto così. E va bene, prenderò contatti all'interno del Ministero, però tu dovrai fare lo stesso fuori di qui," disse infine.
“Cosa che sto già facendo, ma adesso che so che sarai al mio fianco le cose si velocizzeranno,” sorrise Silente e i due si strinsero la mano.

Il preside fece per uscire ma si fermò e, sulla soglia del cubicolo, disse: “qualche giorno fa è venuto a trovarmi Tom Riddle, a scuola.”
“E cosa voleva?”
“Un posto a scuola.”
“Ah, sul serio?” chiese Moody.
“Ovviamente c’era qualcosa sotto, ma ancora non so bene cosa,” replicò Silente, amaro.
“Lo sai che molto probabilmente Riddle ha a che fare con questa situazione…”
“Non ne abbiamo le prove, ma anche se non vorrei, credo che tu abbia ragione,” disse Silente, abbattuto.
Di tutta questa situazione il fatto che molto probabilmente un suo ex alunno fosse il responsabile di quel clima di terrore lo colpiva più di tutto. Un altro Grindelwald...
“Lo fermeremo, Albus. Fermeremo questa merda!”

/ / / / / / /

È tornata un po' di sana politica, dopo un po' di travagli amorosi. Scrivere di Silente è allo stesso tempo bello am snervante xD
Torneranno anche quelli, però oggi ho voluto concentrarmi sulla nascita dell'Ordine della Fenice che, sì ufficialmente risale intorno al 1971, comunque deve avere avuto i suoi albori diverso tempo prima.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, il prossimo sarà decisamente importante e riguarderà di nuovo Mark!

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Capitolo 16
*** Il Matrimonio ***


Capitolo 16, Il Matrimonio

 



Maggio era infine arrivato con il suo carico di boccioli in fiore, le giornate più calde e temperate e la stagione mondana della comunità Purosangue entrava nel vivo.
Quel 2 Maggio 1969 infatti si sarebbe celebrato uno dei matrimoni più attesi e chiacchierati: a Shafiq Manor si sarebbero infatti uniti in matrimonio Mark Shafiq ed Emily Parkinson, una unione che andava a rinsaldare la posizioni di entrambe le famiglie nelle Sacre 28.

La dimora degli Shafiq era stata letteralmente trasformata nel corso delle giornate precedenti al matrimonio: Lady Parkinson si era presa la piena responsabilità della riuscita di quell'evento che avrebbe raccolto più di settanta invitati, tutti i pezzi grossi della loro comunità chiaramente. Gli unici che in effetti non sembravano comprendere o ricambiare tutto quell’entusiasmo erano proprio Mark ed Emily.
I due non avevano avuto quasi mai occasione di parlare di quel che stava accadendo loro, non c'era ancora stato un confronto sul futuro sulla vita che li aspettava insieme.
Tutti i loro rari incontri avevano visto la presenza pressante dei genitori di Emily che sembrava avessero davvero fretta di chiudere quello che rappresentava un buon accordo per la loro ultimogenita e per la sua famiglia.

I due erano quindi pressoché estranei ma la cosa non sembrava fosse vista con un problema da nessuno in famiglia: quello era un matrimonio d'affari e avrebbero avuto tutta la vita per conoscersi e forse arrivare, se non ad amarsi, a tollerarsi, rispettarsi e a mettere al mondo dei figli Purosangue.
"Non pensi di esserti specchiato abbastanza?"
La voce di Billy arrivò lontana, come si trovasse alla fine di un lungo tunnel.
Mark comunque si riscosse, e con molta difficoltà tolse infine lo sguardo dal grosso specchio posato in camera sua. Billy l’osservava con una strana espressione ansiosa sul volto, il suo testimone era chiaramente preoccupato per qualcosa.
"Allora come ti senti? È cambiato qualcosa da ieri sera?" chiese il ragazzo allo sposo che scosse la testa.

La notte precedente, come di tradizione, Mark, aveva subito tutta una serie di trattamenti e antiche pozioni atte a tonificare il suo corpo e la sua virilità.
"Sento solo una grande stanchezza, visto che non sono riuscito a dormire," borbottò il ragazzo. L'altro sghignazzò.
"No, certo che no. Ma ti servirà stanotte, credimi," rispose, ma al sentire quelle parole Mark sbiancò ancor di più.

"Oh, andiamo, non sarà certo la prima volta per te," esclamò Billy.
"No, ma sarà la prima volta che lo farò con una donna che non conosco minimamente e con la quale dovrò convivere il resto della mia vita e per di più con i suoi genitori che sono dietro la porta aspettando che l'atto si compia!" rispose Mark.
"Una volta che sei in intimità non ti accorgi di nulla. Ci sono passato anch'io, con tua sorella sai."
"Sì ma tuo padre è mezzo sordo e tua madre si era addormentata, non penso che i Parkinson reagiranno allo stesso modo," replicò il giovane Shafiq, secco.

Billy ridacchiò, si avvicinò all'amico e i due si abbracciarono forte. In lontananza risuonarono dodici rintocchi d'orologio: era mezzogiorno, gli ospiti avrebbero iniziato a occupare i posti a sedere; era tempo di muoversi.

Billy e Mark scesero gli scaloni di Shafiq Manor con molta calma, gli invitati avrebbero impiegato qualche minuto per sistemarsi, poi uscirono nel giardino posto dietro la magione e videro due grandi gazebi ergersi dritti al centro esatto del manto erboso che era stato sistemato a puntino per l'occasione.
L'erba era stata tagliata perfettamente, ampie aiuole di fiori e alti arbusti circondavano un vialetto che portava direttamente al centro del giardino.
Uno dei gazebi era aperto e un brusio eccitato proveniva dall'interno. Mark rimase sulla soglia per qualche secondo e poi deciso, accompagnato dall'amico, entrò dentro.

Ai due lati del tendone erano state posizionate una decina di lunghe panche di legno scuro, ognuno delle quali poteva contenere circa cinque persone, nel centro era stato ricavato un corridoio, tappezzato da un pregiato tappeto rosso che conduceva in fondo al gazebo, dove si sarebbe dovuta celebrare l'unione.
Mark avanzò quasi in trance, a passo lento e insicuro, osservando brevemente gli occupanti di quelle scomode panche. Praticamente tutta l'élite Purosangue era stata invitata al suo matrimonio, cosa che non contribuì a calmare i suoi nervi.

Arrivato in fondo si fermò davanti a un uomo piuttosto anziano e malandato, colui che avrebbe officiato il matrimonio, e si voltò verso l'ingresso: questione di pochi minuti e la sua sposa sarebbe entrata.
Vide Billy mettersi a sedere in mezzo a Margaret, la testimone della sposa, e a Joseph, il fratello più giovane dei Parkinson.
Dopo qualche secondo di spasmodica attesa entrarono le due damigelle d'onore: entrambe vestite di splendidi abiti color crema, Mary e Sarah (la sorella maggiore di Emily) avanzarono lentamente.
A quel punto lo stato interessante della sorella di Mark era evidente ed in effetti l'annuncio dell'arrivo del suo primogenito era stato fatto appena il giorno precedente. Anche Sarah, sposata con Gaston Avery, era incinta, aspettava infatti il terzo figlio; entrambe quindi avevano dei pancioni piuttosto prominenti che sbucavano dagli abiti comunque molto larghi ed eleganti.

E poi finalmente fu la volta di Emily. Accompagnato dall'orgogliosissimo padre, la sposa, vestita in un bellissimo abito color avorio dal lungo strascico, avanzò incerta fino alla posizione dove si trovavano Mark e l'anziano.
Allora Parkinson, con un breve inchino, lasciò la mano della figlia e andò a mettersi a sedere accanto la moglie, in prima fila.

Era la prima volta che il ragazzo riusciva a vedere la sua futura moglie così da vicino. Era bella, anche se il trucco non poteva nascondere il pallore del viso, aveva dei bellissimi capelli biondi che per l'occasione erano stati intrecciati e l'abito fasciava un corpo minuto ma ben proporzionato allo stesso tempo.
Per un momento sì immagino che al suo posto ci fosse Helen ma subito cacciò quell'idea dalla sua mente.
Mark provò a sorriderle ma era talmente emozionato che se ne uscì solamente con un ghigno storto.

"Siamo qui riuniti oggi per celebrare l'unione di due giovani purosangue," l'anziano esordì e iniziò così la sua sicuramente lunga e altrettanto noiosa predica.
Ben presto l'attenzione generale della platea calò in maniera quasi verticale e fu solo dopo una mezz'ora di vuote ciance che l'anziano arrivo al dunque. Estrasse la bacchetta e chiese ad alta voce.
"Giurate di esservi fedeli fino alla morte?"
"Lo giuro" risposero questi, in coro. Un piccolo raggio di luce argentea uscì dalla bacchetta dell'uomo e congiunse le mani degli sposi
"Giurate di rispettarvi e di sostenervi sia in salute che in malattia?" chiese ancora una volta l'uomo. Dopo la risposta affermativa, un altro raggio di luce unì le mani di Mark ed Emily.

"Io quindi, per il potere conferitogli, vi dichiaro, ora, marito e moglie! Possa la vostra unione essere forte e fertile!" I raggi di luce esplosero, alcuni fuochi d'artificio scoppiarono in lontananza, tutti gli invitati si alzarono in piedi e applaudirono a quella nuova unione.

/ / / / / / /

Terminata la funzione vera e propria gli sposi e gli invitati si trasferirono nell'altro gazebo che era stato posizionato per l'occasione nel giardino.
La coppia nuziale insieme ai Parkinson, Mary e Billy, preso il posto in un grande tavolo al centro esatto della tenda.

Il resto della giornata trascorse in maniera tutto sommato semplice: aveva partecipato a quel genere di feste decine di volte e sapeva come comportarsi. Certo, in quel caso era lui al centro dell'attenzione, lui e sua moglie, ma a parte ricevere più applausi e brindisi del solito e dover fare il giro dei tavoli dopo ogni portata, non sentiva poi tutta questa grande differenza rispetto alle altre occasioni mondane alle quali aveva preso parte.

Terminato il dolce, gli sposi diedero il via alle danze con un impacciato valzer, seguiti poco dopo dagli altri invitati più giovani mentre le donne e gli uomini più anziani formarono dei piccoli capannelli parlando di politica da una parte e di gossip e di figli dall'altra.
Fu quindi un'esperienza piacevole: con sorpresa vide un Henry Rosier particolarmente emozionato e riuscì persino a coinvolgere in un ballo scatenato alcune algide cugine di sua moglie.
Oltre a quello strinse mani, rise a battute stantie e finse di ricordare aneddoti dei quali oramai aveva perso qualsiasi ricordanza. Fece quello che insomma un buon capofamiglia purosangue doveva fare durante un matrimonio, sia che fosse in veste di sposo o di semplice invitato.

Alle otto la maggior parte degli invitati si congedarono e rimasero solamente la coppia nuziale, i parenti e amici più prossimi che si ritirarono all'interno del maniero, nella sala dei ricevimenti. Là finalmente Mark trovò cinque minuti per parlare da solo con Emily.
La ragazza si era seduta leggermente in disparte su un divano comodo e perciò lo Shafiq ne approfittò per avvicinarsi e prendere posto accanto a lei.

“Sei stanca? Se vuoi tra poco possiamo ritirarci,” disse. Emily annuì.
“Sì, è stata una giornata piuttosto stancante,” rispose, osservando il grande orologio.
“Shafiq Manor non è poi granchè, non in cospetto a casa dei tuoi genitori,” riprese Mark, “però è da mesi che ci stiamo lavorando. Ci rimane da modificare solo il terzo piano.”
La ragazza ancora una volta annuì, timidamente.

Alle dieci in punto finalmente gli ultimi invitati, insieme a Sarah Avery e Joseph, lasciarono l’edificio dove rimasero soltanto la coppia di novelli sposi, i signori Parkinson insieme a Mary e Billy.

Lentamente, come a un segnale convenuto, Mark ed Emily si avviarono su per le scale, diretti alla camera padronale, seguiti dagli altri quattro in austero silenzio.
Shafiq Manor era composta, dopo le varie ristrutturazioni, da tre piani. A pianterreno erano ubicate tutte i grandi saloni delle feste più le cucine e sale da pranzo mentre il primo piano era occupato quasi interamente da un’enorme biblioteca ricca di antichissimi tomi e dallo studio di Mark.
Gli ultimi due piani invece ospitavano le stanze dei padroni di casa. In particolare, il secondo piano era stato adibito esclusivamente a Mark ed Emily.

La coppia finalmente raggiunse la camera padronale.
Riammodernare quella che era stata la camera dei genitori era stata indubbiamente una delle parti più impegnative dell’opera di ristrutturazione di Shafiq Manor. Alla fine, aiutato principalmente dalla sorella e dalla suocera, Mark aveva optato per una stanza dai toni rossi e neri, seguendo gli stemmi delle due famiglie (*)

Gli ospiti, dopo aver salutato la coppia, uscirono dalla stanza e la porta venne chiusa, lasciando Mark ed Emily da soli, pronti per la loro prima notte di nozze.

I due si guardarono per qualche istante in silenzio: sapevano entrambi bene che cosa gli era chiesto loro di fare. Mark annullò la distanza da Emily e la baciò dolcemente sulle labbra, un bacio che si fece via via più passionale.
Il ragazzo sentì sua moglie irrigidirsi all'inizio ma lentamente questa rigidità venne meno, anche se Emily non si poteva certo definire rilassata.
Dopo che si furono staccati, la ragazza si spogliò, lasciando cadere il suo bel vestito per terra e rimanendo solamente in una bellissima ed elegante lingerie di pizzo.
Era molto bella e alla sola vista del suo corpo nudo Mark sentì una certa pressione al basso ventre. Sì spogliò anche lui, adagiando il bel vestito su una sedia, e tornò a baciare Emily, avvicinandosi entrambi al letto.

La ragazza sapeva bene che cosa sarebbe successo: sua sorella e sua madre avevano trascorso le giornate precedenti al lieto evento nel tentativo di spiegarle che sensazioni avrebbe provato e perciò Emily era a conoscenza del fatto che la prima volta avrebbe potuto provare dolore.
Nonostante ciò quando Mark la penetrò non poté non emettere un piccolo verso di dolore.
Il ragazzo si bloccò, e osservò l'altra con gli occhi e pugni chiusi. Sentì di nuovo, dietro la porta chiusa, i bisbiglii delle persone in attesa e questo provocò in lui una nuova ondata di panico.
Sapeva che era la prima volta di sua moglie, che avrebbe dovuto fare con calma seguendo il suo ritmo e facendo in modo che fosse un'esperienza piacevole ma, sentendo le risatine, i bisbigli più o meno marcati fuori dalla porta, si rese conto che l'unica cosa che voleva era finire il più in fretta possibile e terminare quella cosa che sentiva essere profondamente ingiusta.
Accelerò il ritmo delle spinte mentre sentiva il corpo di sua moglie irrigidirsi e finalmente, dopo qualche minuto, venne con un leggero ansimare.
Vide il lenzuolo macchiato di sangue, sentì la porta aprirsi e i suoceri entrare festanti ma il resto della serata e della notte per Mark furono come due grossi buchi neri.

/ / / / / / /

E quindi ci siamo, Mark ha dovuto dare seguito alle promesse che si era fatto per dare un futuro alla sua famiglia, futuro che al momento non può essere con Helen. Avendo già descritto il matrimonio di Mary non volevo fare un capitolo doppione perciò ho tagliato un po' il durante la cerimonia e mi sono concentrato più sul prima e sul dopo. Spero che la cosa vi sia piaciuta! (*) ho trovato su internet gli stemmi delle due famiglie e una i effetti ha income colore dominante il nero e uno il rosso.

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Capitolo 17
*** Vita e Morte ***


Capitolo 17, Vita e Morte

 



Trascorso un mese dal matrimonio le cose lentamente iniziarono a funzionare a Shafiq Manor.
Emily, dopo un iniziale periodo di difficoltà, dovuto al suo inedito ruolo di moglie e padrona di casa, dimostrò tutta la sua intelligenza, bravura e carattere, nascosti dietro una barriera di timidezza. Ben presto capì l'importanza del suo nuovo ruolo e, coadiuvata da Mary e da tutta una serie di aiutanti, iniziò una vera e propria trasformazione del maniero, in particolar modo dei suoi interni, giudicati dalla ragazza troppo vecchi e logori, decisamente fuori moda.

Mark la lasciava fare, anzi, era contento di avere di nuovo qualcuno in casa, al suo fianco. Sebbene a entrambi fosse perfettamente chiaro di come la loro unione fosse prettamente politica, si trovano bene insieme, perlomeno da un punto di vista organizzativo.
Emily non era solita ragazza Purosangue che pensava solamente a vestirsi bene e organizzare infinite sedute di tè con le amiche: era intelligente, pratica e organizzata, fin da subito Mark non ebbe nessuna remora nel confidarsi con la moglie in questioni finanziarie o politiche.
Sì, era una compagna perfetta, almeno da quel punto di vista.
Per il resto, sotto il punto di vista prettamente fisico, non riuscivano a formare un'unione altrettanto affiatata: a entrambi era chiaro che avrebbero dovuto mettersi di impegno e cercare di procreare un erede. La cosa però risultava estremamente difficile perché, dopo la prima notte di nozze, nelle altre quattro o cinque occasioni nelle quali i due avevano provato a stabilire una qualche tipo di intimità, si erano rivelate delle esperienze per entrambi molto deludenti.

Non riuscivano ad entrare in intimità in maniera normale, come qualsiasi coppia, e ben presto Mark cominciò a sentirsi doppiamente in colpa: era chiaro che sua moglie non era soddisfatta, in quelle occasioni, quindi era dispiaciuto per lei ma allo stesso tempo provava lo stesso sentimento per le loro famiglie, perché in questo modo i due non sarebbero riusciti a procreare facilmente un erede.

Le cose si trascinarono fino a quando le stanze principali del primo piano non furono completamente trasformate ed Emily pensò che fosse giusto, per celebrare il primo mese di matrimonio, organizzare una festa dovrebbe aver avuto l'occasione di mostrare i progressi fatti.

In effetti la festa venne organizzata in pochi giorni, grazie anche agli sforzi congiunti di Emily, Mary e lady Parkinson che, per l'occasione, prestò alcuni dei suoi elfi domestici per aiutare la figlia.
Furono cinquanta le persone invitate per venerdì, chiaramente tutte appartenenti all'elite magica purosangue.

/ / / / / / /

"Non cambi mai, vero?"
"No. E in effetti nessuno può farlo veramente."

Billy sorrise e abbracciò l'amico. I due si trovavano in quello che Mark oramai considerava il suo rifugio segreto: il terrazzino che dava sul cortile interno.
Fin da piccolo, ogni volta che voleva fuggire a qualche noiosa incombenza familiare, trovava quel rifugio perfetto per non farsi vedere, o trovare, e la cosa non era certo cambiata con l'avanzare dell’età.
"Da cosa ti stai nascondendo, questa volta?" chiese Billy, divertito.
Mark alzò le spalle, non sicuro di cosa, o come, rispondere a quella domanda.
"Probabilmente sto cercando di nascondermi da questa ennesima festa. No che non mi dispiacciono, le feste e i ricevimenti, ma sono i preparativi che mi distruggono."

"Capisco. Vedo che tua moglie si è calata perfettamente nella parte di padrona di casa," ridacchiò Billy. “L’ho incontrata giù di sotto e sembrava completamente assorbita nella preparazione della festa.”
"Grazie a lei questo maniero in un solo mese è cambiato completamente," ammise Mark.
"Come vanno le cose tra di voi?"
"Dal punto di vista organizzativo e della vita di tutti i giorni, ci troviamo benissimo, è una ragazza davvero splendida. Dal punto di vista... sentimentale facciamo più fatica," rispose Mark.
"Uhm, ha detto la stessa cosa anche a Mary, " sorrise Billy. "Ma ti posso assicurare che è una cosa normale, state insieme da pochissimo e dovete trovare ancora la giusta intesa. Sai, per me e tua sorella le cose sono andate in maniera diversa visto che già avevamo..."
"Sì, grazie non ci tengo a conoscere i dettagli dell'intesa sessuale tra me e mia sorella," lo interruppe Mark.

La risposta di Billy venne bloccata da un fruscio di ali in lontananza. I due cercarono la fonte del rumore e dopo qualche secondo videro una splendida civetta avvicinarsi velocemente alla loro posizione.
"Pare che ci sia un messaggio per te," notò Billy.
E infatti, dopo qualche secondo, la civetta atterrò elegantemente sulla ringhiera del terrazzo, osservò brevemente i due uomini e tese la zampa verso Mark il quale, un po' esitante, prese una piccola striscia di pergamena legata a una delle zampe.
Mentre l'uccello prese di nuovo il volo Mark apri il foglietto, lo lesse e immediatamente sbiancò.
"Che cosa dice la lettera? "Chiese Billy e Mark, senza parlare, gli diede il piccolo pezzo di pergamena.

"Caro Mark,
Ti scrivo, in questo venerdì mattina, perché le condizioni di mio marito, lord Rosier, si sono ulteriormente aggravate nella notte e i guaritori dicono che le speranze che veda l'inizio della prossima settimana sono praticamente nulle. Mio marito ha chiesto di farti recapitare questo messaggio perché vuole vederti un'ultima volta, se puoi anche questa mattina va bene.
Mandami una risposta al più presto possibile."


"Henry... Henry Rosier sta morendo?" boccheggio Billy, non credendo ai suoi occhi. Com’era possibile?
"Henry sta male, soffre di una malattia molto grave ed ereditaria da almeno una ventina di giorni, questo lo sapevo, ma sapevo anche che stava rispondendo bene alle cure, " rispose Mark, estremamente provato dalla notizia.
"Evidentemente non più. Cazzo, che notizia!"

"Devo... devo andare a vederlo," rispose Mark. " so che oggi c'è la festa ma... non posso non..."
"Sì tranquillo, ti coprirò io fino al tuo ritorno, non preoccuparti!” disse Billy, rientrando nel maniero.

/ / / / / / /

Villa Rosier era immersa nella luce del giorno, una luce traditrice e che, quasi beffarda, non rispettava minimamente la situazione. Avrebbe dovuto piovere, lampi e fulmini sarebbero stati un fondale sicuramente più adatto ai sentimenti che covavano in Mark.
Aveva lasciato in fretta e in furia Shafiq Manor, lasciando le cose in mano a sua moglie e a Billy, e subito si era materializzato vicino alla casa dove il suo padrino viveva e, a quanto pare, sarebbe morto entro breve.
Sapeva che fosse malato, nelle settimane precedenti aveva visto un’ombra crescente dietro il sorriso che tante volte lo aveva accolto come un figlio.
Non poteva essere, lui… lui non poteva davvero andarsene. Non era semplicemente fattibile che un uomo potente e temibile come Henry Rosier se ne andasse a quarantacinque anni.

Ben presto Mark arrivò davanti ad un'alta cancellata ma bastò estrarre la bacchetta e appoggiarla sulle fredde sbarre d’acciaio affinchè l’inferriata potesse aprirsi quel tanto che bastava per farlo entrare. Avanzò velocemente lungo lo spoglio guardino fino a quando non giunse davanti alla porta di villa Rosier.
Sulla soglia lo aspettava una sua vecchia conoscenza: Marcus.
Lo svedese lo attendeva con le mani nelle tasche della veste, palesemente spazientito: da quando aveva ucciso, senza il permesso di Voldemort, il CapoUfficio Auror, il suo ascendente sul Signore Oscuro era notevolmente diminuito. Da settimane oramai dimorava a Villa Rosier, in teoria a disposizione di Rosier ma in pratica in punizione per aver disobbedito agli ordini del suo signore.
“Ciao Marcus,” disse Mark, stringendo la mano del compagno Mangiamorte.
“Ti aspetta nella sala da letto padronale,” rispose costui, freddamente.
“Come vanno le cose?” chiese Mark, insicuro se avesse davvero al forza per dare un ultimo saluto al suo mentore.
Marcus si limitò ad alzare le spalle e a estrarre una sigaretta sgualcita.
“Non bene. Vai, la strada la conosci, no?”

Mark annuì, in silenzio, ed entrò.
La casa era silenziosa, buia e pervasa da un odore malsano di pozioni dal dubbio sapore. Tappandosi il naso con una mano, il ragazzo avanzò, salì la scalinata di marmo e giunse al primo piano, davanti alla porta che dava sulla camera da letto di Henry.
Devo farcela, devo.
Con la mano tremante bussò leggermente sulla porta. Udì alcuni colpi di tosse e poi la faccia di Henrietta Rosier fece capolino. Era evidentemente provata dalla malattia del marito: normalmente considerata come una delle donne più belle dell'élite Purosangue Inglese, adesso il suo viso elegante e perfettamente curato appariva sciupato e smunto. "Ciao, Mark," sussurrò la donna, stringendo la mano del ragazzo. "Vedo che hai ricevuto il messaggio. Perdonami se ti abbiamo disturbato con così poco anticipo, ma Henry voleva assolutamente vederti un'ultima volta prima di…" non riuscì a terminare la frase. "Non devi in alcun modo scusarti, anzi mi dispiace di non essere riuscito a passare prima. Come sta?"
"Il Guaritore è andato via ora e… le cose non vanno bene, la malattia ormai è allo stadio terminale," rispose la donna, abbassando ulteriormente la voce. Poi aprì ulteriormente la porta e fece in modo che Mark potesse passare ed entrare nella stanza.

La splendida camera da letto dei Rosier si era trasformata in un laboratorio di pozioni: due grandi calderoni dall'aspetto molto antico sobbollivano infatti in un angolo oscuro della stanza mentre, dal lato opposto, erano stati sistemate alcune provette contenenti un misterioso liquido quasi ambrato.
La testa di Henry Rosier spuntava appena da sotto una matassa di lenzuoli; la malattia aveva trasformato i suoi lineamenti e il volto, che adesso era scavato e vittima di un pallore mortale. Non appena Mark entrò l'uomo aprì leggermente gli occhi e stiracchiò gli angoli delle labbra in quello che poteva essere considerato come un sorriso gioviale.

"Mark, amico mio, che piacere immenso rivederti," sussurrò. Evidentemente anche solo parlare richiedeva uno sforzo quasi insopportabile da sostenere per il malato.
Il ragazzo si avvicinò, quasi in punta di piedi, alla poltrona che era stata posizionata accanto al letto del padrone di casa e si mise a sedere.
"Henrietta, ti dispiacerebbe andare in cucina e portare un calice di Burrobirra al nostro amico?" chiese Henry, rivolto alla moglie. Quest'ultima annuì, lasciano da soli i due uomini.
"Come stai? Ora che siamo da soli penso che tu me lo possa dire chiaramente, ci sono possibilità di guarigione?" chiese immediatamente Mark, dando voce e forma ai suoi dubbi e tormenti.
"Non so se lo sai, ma noi Rosier abbiamo una maledizione nel sangue. Secondo la leggenda fu una megera estremamente potente ad effettuare un potentissimo sortilegio ai danni di un mio antenato," sorrise beffardo. "Ma penso che il fatto di aver continuato a fare figli tra cugini di sangue non abbia certamente aiutato la salute della nostra famiglia," un colpo di tosse particolarmente potente interruppe il suo racconto.

"Il prezzo da pagare per essere puri di sangue, immagino. Comunque c'è una possibilità del 20% che questa malattia colpisca le femmine della famiglia dopo i sessant'anni anni e un 10% che colpisca i maschi dopo i quaranta. Pare che non sia stato molto fortunato."
"Ma non c'è niente da fare? Una cura, un modo per allungare la tua vita?" Rispose Mark, sull'orlo delle lacrime. Non poteva credere che non ci fosse niente da fare, non voleva accettare il fatto che suo padrino si fosse semplicemente arreso al suo fato.
"Convivo con questa malattia da due anni, Mark. Non l'ho mai detto a nessuno perché, insomma quando sei il capo di una potente famiglia e in giro si sparge la voce che sei malato... beh meglio evitare che si sappia fino a quando la situazione non è ormai incontrovertibile," ammise Henry. "Ho provato di tutto, tutte le pozioni o i rimedi che generazioni di Rosier hanno studiato... ma ho solo ritardato di un paio d'anni l'inevitabile."
Un nuovo attacco di tosse lasciò l’uomo quasi senza fiato.

La notizia colpì Mark ulteriormente, come se gli avessero scagliato addosso uno Stupeficium in pieno petto.
Aveva sperato che ci fosse un modo per uscire da quella situazione, una possibilità che il suo padrino non morisse, ma a quanto pare era tutto inutile. Inevitabilmente le prime lacrime iniziarono a solcare le guance del ragazzo.
"Io... io non..."
"Ascolta, ascolta bene quello che ti sto per dire. Quando me ne andrò, questione di giorni, tutto è già stato deciso,” lo interruppe Henry, una nota di urgenza nella voce sempre più flebile.
"Marcus rimarrà qui per dare una mano a mia moglie nella gestione degli affari, questo almeno fino a quando Evan non sarà maggiorenne. L'unica cosa che ti chiedo è di vegliare su di lui, sul mio unico figlio ed erede. Voglio che tu lo segua e quando si unirà alla causa, istruiscilo su come vanno le cose; come io ho fatto con te."
L'uomo fece una piccola pausa per raccogliere le ultime energie e poi riprese: "Non voglio che cresca solo con Marcus, è un bravo soldato ma non è... abbastanza per un ragazzino… per mio figlio…"
"Sì, sì non ti preoccupare veglierò su Evan, per quanto mi sarà possibile, e farò di tutto per dargli una mano quando verrà il momento," rispose Mark, la voce strozzata.

"Ah, è venuto il padrone a trovarmi, prima," disse poi Henry, dopo qualche secondo di pausa, la voce oramai ridotta a poco più che un sussurro. "Mi ha guardato quasi come fosse schifato e ha detto qualcosa sul fatto che lui non farà la mia fine, che posso giurarci che non morirà come uno sciocco, chissà che cosa ha in mente."

L'ingresso di Henrietta pose fine a quella discussione.
Nei minuti successivi i tre stettero in silenzio mentre Mark beveva il più velocemente possibile il boccale di burrobirra. Alla fine, dopo averlo completamente svuotato, Henrietta fece evanescere il boccale e poi, dopo aver dato un'occhiata all'orologio, si rivolse a Mark.
"È l'ora della medicazione. È meglio che tu vada Mark grazie ancora di essere passato."

I minuti successivi furono i più duri perché furono quelli dell'addio e Mark odiava quei momenti.
Strinse un'ultima volta la mano di Henry che, approfittando di un momento di distrazione della moglie, sussurrò con le ultime energie: "non ho paura della morte, è una sorte che toccherà a tutti noi. So che lascio i miei cari in buone mani. È stato un estremo onore essere tuo padrino.”

/ / / / / / /

Le ultime parole del suo padrino lo distrussero ancor di più. Davvero avrebbe lasciato la sua famiglia in buone mani? Eppure lui non si sentiva degno della sua fiducia, non poteva esserlo.
Come poteva essere in grado di vegliare su di Evan, essere per lui magari una fonte di ispirazione?
E poi adesso che colui che lo aveva aiutato a rientrare nel mondo magico non c'era più, a chi si sarebbe rivolto se avesse avuto un dubbio, bisogno di un consiglio da parte di una persona più esperta della vita e dei suoi tranelli?

L'enormità di quei nuovi problemi lo colpirono fortemente ed improvvisamente non sentì più alcun desiderio di partecipare a quella stupida festa organizzata da sua moglie, l'unica cosa che voleva fare era scappare, trovare un locale dove poter bere e cercare di affogare i suoi problemi. Sapeva che sua moglie, sua sorella e forse anche Billy lo avrebbe detestato, non avrebbero capito la sua mancanza, ma non gli importava, nulla aveva più senso ora che la sua guida non c'era più, adesso che la sua rete di salvataggio dalle brutture del mondo s'era spaccata, sfilacciata. Prima suo padre, poi la madre e infine suo padrino... adesso nessuno lo avrebbe potuto sorreggere o proteggere.

Dopo quel triste incontro certamente non poteva tornare a casa, affrontare la pacata euforia della festa che sua moglie aveva preparato con così tanta dedizione. Sapeva che era ingiusto, che il suo ruolo da capo famiglia sarebbe stato quello di presentarsi, anche se in ritardo, ma proprio non sarebbe riuscito a farcela, di questo ne era più che sicuro. Perciò decise di smaterializzarsi lontano e comparve ad Hogsmeade, nel pub del “Testa di Porco”
Erano circa le due del pomeriggio e nel vecchio pub, immerso in una fresca penombra, non c'era quasi nessuno, esclusion fatta per un vecchio vestito di stracci seduto ad un tavolo, intento a mangiarsi una zuppa di cipolle, e al barista che stavo cercando di togliere un'ostinata macchia dal bancone già rovinato.
Mark si mise a sedere lontano dalle uniche persone presenti. Era egoista ma al momento aveva bisogno solo di silenzio, tranquillità e una dose di alcol giusta che potesse fargli dimenticare, anche solo per qualche ora, quello che era successo e quello che sarebbe accaduto.

"Che ti porto?" la voce burbera del proprietario lo distolse dai suoi pensieri.
"Ho bisogno di qualcosa che non mi faccia pensare ma che allo stesso tempo non mi riduca a uno straccio," borbottò Mark, tirando fuori dalla tasca venti falci ed appoggiandoli sul tavolo. "Se i tuoi prezzi non sono rincarati, immagino che questi basteranno per due boccali."
L'uomo prese le monete in mano, le scrutò per qualche istante e poi se le intasco'', mentre si avvicinava al bancone.

Qualche minuto più tardi l'uomo tornò con un boccale piuttosto sporco contenente un liquido quasi trasparente.
"È estratto di phyhs, una pianta che cresce in un'isoletta nel mare del nord. Ha un buon sapore ed il giusto grado alcolico," aggiunse.
In effetti il barista non si era sbagliato: Sebbene non avesse mai bevuto una bevanda del genere, presto sentì un calore partire dallo stomaco e diradarsi velocemente a tutto il corpo, finanche al cervello.
Per qualche minuto se ne stette seduto in silenzio, osservando il vecchio seduto dall'altra parte della stanza, intento a ingurgitare l'ennesima zuppa calda. Che beatitudine, che pace.
Ma ben presto gli effetti della bevanda svanirono e al posto del calore un macigno si posò sullo stomaco del ragazzo.
Ne ordinò un'altra, che il proprietario portò immediatamente, accompagnato da una piccola scodella contenente quella che sembrava zuppa di cipolle.

"Questa la offre la casa. Se non mangi qualcosa questa bevanda ti sfonda il fegato," disse l'uomo dalla folta barba nera.
Mark annuì ma limitò a bere la bevanda, questa volta a piccoli sorsi, per non dissipare immediatamente la sensazione di benessere che quell’estratto gli donava.
Rimase fermo in quel bozzolo di calore alcolico per circa un'ora fino a quando il vecchio seduto dall'altra parte della stanza si alzò, pagò Aberforth, così si chiamava il proprietario, e poi incredibilmente si diresse verso Mark.

"Devi mangiare, sai. La zuppa del vecchio Ab è la migliore da queste parti, è un po' fredda ma vedrai che farà il suo ed eviterà che quella robaccia che stai bevendo ti mandi ko."
Il ragazzo alzò la testa, un po' inebetito, e osservò il nuovo venuto.
"Mangiala," insistette il vecchio.
Lentamente Mark, spinto da quella strana figura,iniziò a mangiare a cucchiaiate la fredda zuppa di cipolle. In effetti quell'uomo era strambo ma ci vedeva giusto: la zuppa contribuì a farlo sentire subito meglio, più in sé.
"Grazie," borbottò, spingendo la zuppa sul tavolo e dando un nuovo socio al boccale che era quasi vuoto.
"Ti ho osservato, in questa ora, e mi sembri un po' giù. Non so che cosa ti turbi, non sono affari miei, ma so per certo che le risposte non le troverai in fondo a quel boccale di robaccia," disse l'uomo scuotendo la testa.
"Non cerco risposte, ma un modo per dimenticare i problemi, un sistema per non soffrire, almeno per qualche ora." rispose stizzito.
“Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni che ho trascorso da solo su queste colline è che il dolore non si può dimenticare. Non è come un incantesimo che puoi controllare e, in caso le cose non vadano bene, cancellare.”
“Risparmiami queste perle di saggezza, non sai che cosa mi è capitato, non puoi capire come mi sento,” rispose Mark, stizzito. Voleva solo rimanere solo, solo con il suo boccale. Ma il vecchio non demorse.

“É vero, non so che cosa ti è capitato, ma ho dovuto parlarti perché mi sono rivisto in te,” disse. “Quando mia moglie è morta ho passato le settimane a ubriacarmi, annegando il dolore nel Whisky Incendiario. Non lo fare, non ti servirà a niente, ti sentirai molto meglio senza quella robaccia.”
“Ne dubito,” borbottò l’altro, dando un ultimo sorso al boccale.
“Solo grazie ai miei cari ho capito chi e cosa stavo diventando e perciò ho messo un freno a tutto e sono venuto a vivere qui, su queste colline,” concluse il vecchio.
“Vivi su queste colline?” esclamò Mark.
“Sì. Perciò, se non vuoi finire come me… sei ancora in tempo,” sorrise beffardo. “Se hai una famiglia, qualcuno che ami, vai da lui, o lei. Affronta i problemi adesso, anche se insormontabili, non fuggire perché alla fine è inutile:la vita ti presenterà il conto, alla fine.”
Con un ultimo sorriso, il vecchio si allontanò, uscendo dal riparo offerto dalla locanda.

/ / / / / / /

Mark tornò a casa che erano le sei di sera.
Aveva trascorso un’altra ora al riparo offerto dal pub ma alla fine aveva deciso di uscire all’aria aperta e così aveva di nuovo incontrato quel strano vecchio mago. I due avevano trascorso le ore successive nella caverna che ospitava l’uomo, parlando delle loro vite, delle paure e dei sogni del giovane Shafiq.
Era stata una strana esperienza perché l’uomo, nonostante l’apparenza così strana, si rivelò molto saggio e un ascoltatore attento. Mark uscì tre ore più tardi da quel nascondiglio con il cuore più leggero e la mente più chiara; non si apriva così tanto con qualcuno da anni.

Le luci di Shafiq Manor erano quasi tutte spente, evidentemente la festa era già finita da un pezzo. Mark rimase qualche istante davanti al portone, raccogliendo le forze, poi si avviò per il vialetto con fare deciso e, con un colpo di bacchetta, aprì l’ingresso di casa.
Silenzio, una pace quasi surreale e totalizzante lo avvolse.
Gettò il mantello a un piccolo Elfo Domestico e poi, deciso, si avviò verso il primo piano, nelle camere destinate esclusivamente a sua moglie.
Aveva ragione, Emily era seduta in una delle tante stanze destinate esclusivamente a lei.
Stava parlando con una delle elfe domestiche ma subito si zittì quanto sentì Mark entrare.

"Puoi andare, e fai quello che ti ho chiesto entro domani, " disse, rivolta alla piccola creatura che subito svanì. Si era tolta gli abiti da festa ed indossava una comoda veste blu notte trapunta di stelle.
Sì alzò e si avvicinò al marito, lo sguardo duro e per certi versi ostile.

"Quando ti ho sposato non pensavo che mi sarei unito ad un ubriacone che preferisce scappare dalle responsabilità date dal suo lignaggio, " disse, quasi sibilando. Non avevano mai litigato e certo Mark non era dell'umore adatto per farlo, perciò era necessario che si chiarisse il prima possibile con sua moglie.
"Mi dispiace, come... come sono andate le cose?" Borbottò, sentendosi improvvisamente uno zero, nullità di fronte allo sguardo algido dell'altra.
"Tutto sommato pensavo peggio. Billy è riuscito a fare le tue veci in maniera esaustiva e sono sicura che è ben riuscito a far passare la tua assenza come un improvviso malessere," rispose. "Ma questo non giustifica minimamente quello che hai fatto, mi hai lasciata da sola ad affrontare una festa con più di trenta invitati!"

"Billy ti ha spiegato che cosa è successo?" Chiese.
"Ha fatto in tempo ad accennarmi che un tuo amico stava male, ma non ha detto molto altro perché subito sono arrivati i primi invitati."
"Henry Rosier non era un semplice amico, era il migliore amico di mio padre ed il mio padrino, colui che mi ha introdotto di nuovo nell'alta società," rispose Mark, un po' seccato. "Era come un secondo padre per me e so che ho sbagliato a lasciarti da sola, penso che avrei fatto bene a mandarti un messaggio questo pomeriggio, ma la verità era che la notizia mi ha distrutto talmente tanto che fino a qualche minuto fa non ero in me stesso."
Il ragazzo deglutì, ricacciando indietro nuove lacrime, "non potevo semplicemente dire addio all'uomo che mi ha dato così tanto e poi rigettarmi dentro la festa, non sarebbe stato possibile per me. Non so se mi capisci, e ti chiedo di nuovo scusa perché avrei dovuto avvertirti, ma non ero in grado di ragionare razionalmente."

Forse per la prima volta si aprì davvero con sua moglie, raccontò il suo peregrinare di quel pomeriggio, l'arrivo alla testa di porco e l'incontro con quello strano vecchio. L'espressione di sua moglie lentamente si addolcì e quando parlò, dopo più di dieci minuti, lo fece con un tono nuovamente normale, privo di quell'astio iniziale.
"Ci tenevo molto a questa festa virgola soprattutto perché avevo intenzione di fare, e farti, un annuncio speciale che sarebbe stato perfetto in questa giornata, "disse, addolcendo la voce e guardando suo marito negli occhi.

"Che... che annuncio?" chiese Mark, sorpreso.
"Ieri sono stata via dal maniero per un paio d'ore e questo perché sono andata al San Mungo. Ci sono andata con Mary perché tu non c’eri e poi non ne ero sicura al 100% e non volevo illuderti, ma ora che ne ho la conferma. Ecco posso dirtelo..."
"Dirmi cosa?"
"Sono incinta, aspettiamo un bambino, " disse infine. La notizia lasciò Mark imbambolato.
Quel giorno era stato un turbinio di emozioni talmente contrastanti che non disse niente ma semplicemente si limitò ad abbracciare forte la moglie e piangere di gioia per la notizia, di tristezza per la dipartita imminente di suo padrino e di rabbia per il fatto e così tante persone importanti nella sua vita non avrebbero potuto vivere quel momento.
"Di sicuro questa giornata me la ricorderò fino alla mia fine dei miei giorni,” borbottò, staccandosi da sua moglie e finalmente sorridendo.

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Perdonatemi, mille volte perdonatemi per la mia assenza. A mia discolpa questo periodo è stato molto incasinato e avevo altri progetti da portare avanti, sia in rl che nel sito. Comunque mi auguro che non succederà più e prossimi aggiornamenti dovrebbero tornare settimanali. Grazie ancora ^^

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Capitolo 18
*** Una Nuova Missione ***


Capitolo 18, Una Nuova Missione

 



Contrariamente al parere dei guaritori, Henry Rosier lottò e si aggrappò con le unghie e con i denti alla vita che lentamente stava sfuggendo dalle sue mani. Ci provò, ma alla fine perse l’ultima battaglia e morì il 12 Giugno del 1969.
La mattina successiva, quando Helen entrò nell’atrio del Ministero della Magia, nonostante fosse appena mattina, si era radunata già una piccola folla di impiegati vicino alla fontana dei magici fratelli.
Nel corso della notte era stato costruito un piccolo palco e lo sguardo di tutti era rivolto, con una certa ansia, verso la piccola costruzione di legno.

Helen, con la coda dell'occhio, vide Alastor Moody in un angolo con accanto un ragazzo occhialuto e con i capelli rossi, fece per avvicinarsi, ma improvvisamente il chiacchiericcio si fermò e il Ministro della Magia salì sul palco.
La perdita di Rosier doveva essere stato l'ennesimo brutto colpo per la già vacillante Eugenia Jenkins: la donna appariva scossa, l'aurea di potenza e di timore, che fino all'anno precedente possedeva ed emanava senza timori alcuni, erano oramai un lontano ricordo.
Quando parlò lo fece con una voce quasi irriconoscibile, tanto era flebile.
"Siamo qui riuniti oggi per un breve momento di riflessione e per porre un omaggio alla famiglia di Henry Rosier."
La donna si fermò un attimo, deglutì e riprese a parlare.
"Henry è stato un bene prezioso per l'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, dove ha trascorso gran parte della sua vita lavorativa, fino ad arrivare ad esserne vice Capodirettore con il mio insediamento. È sempre stato un uomo ricco di valori e la sua terribile perdita, in seguito alla sua altrettanto sciagurata malattia, sarà un brutto colpo per il nostro ministero."

Ci fu un applauso di circostanza da parte della maggior parte dei presenti, la maggior parte provenienti da dipendenti Purosangue o membri dell'ufficio Applicazione della Legge sulla Magia. Dopo la Jenkins fu la volta di un ometto piuttosto basso e grassoccio, con una grossa testa rotonda e calva, salire sul palco.
L'uomo, all'apparenza sulla sessantina, estrasse un fazzoletto con il quale si asciugò la fronte e poi iniziò a parlare con tono di voce molto più deciso e sicuro.
"Salve. Ci tengo a ringraziare il ministro per il suo discorso e mi unisco chiaramente al cordoglio della sua famiglia. Penso che sia chiaro che..."
"Quello sì che ha le palle, altro che la Jenkins," borbottò una donna anziana ad un altro collega, vicino a Helen.

Nonostante le apparenze, Helen non poteva non essere d'accordo con quella donna: Harold Minchum, direttore dell'ufficio nel quale Rosier lavorava, aveva la fama di essere una persona dura, decisa e per certi versi rassicurante.
"...sapevamo della malattia di Henry e perciò già da qualche giorno abbiamo deciso, insieme a Eugenia, che Bartemius Crouch prenderà il posto di Rosier nel Dipartimento, come mio vice."
A sua volta un uomo sulla trentina, che Helen non conosceva, salì sul palco. Era vestito impeccabilmente con capelli e baffi tagliati millimetricamente e perfettamente.
A sua volta fece un piccolo e breve discorso su Rosier e su quanto fosse onorato di prendere il suo posto ma fondamentalmente la curiosità e l'attenzione generale era ormai al minimo ed infatti, pochi minuti dopo, Eugenia rispedì tutti al lavoro.

Lottando contro la calca, Helen si avvicinò a Moody ed al ragazzo occhialuto. Stavano parlando a bassa voce, le teste vicine.
“Tu dillo a loro, è importante che mi fissi un incontro,” stava borbottando Alastor. Il ragazzo annuì.
“Lo dirò immediatamente a Molly. Fabian lavora tutto al giorno, forse potresti trovarlo al livello 7.”
“Anche io ho da lavorare e non posso parlargli di queste cose in questi corridoi, non mi fido. Tu dillo a tua moglie, che riferisca il messaggio,” rispose Moody. Alzò lo sguardo subito dopo e i suoi occhi incrociarono quelli di Helen.
“Ah, eccoti. Dov’eri finita, a sentire quelle sciocchezze propinate dal dipartimento?" chiese.
Helen si fece avanti sorridendo. “Non sono ancora diventata un’acida priva di emozioni umane come te, quindi sì, ci tengo a sapere come vanno le cose al ministero.”
Il ragazzo occhialuto scoppiò a ridere, risata subito repressa, notando lo sguardo di Alastor.
“Arthur, questa è Helen Blooming, colei che per disgrazia è la mia collega. Helen, questo è Arthur Weasley, un giovanotto così strano da commettere due errori imperdonabili, per uno della sua giovane età.”
“E cioè?” chiese Helen incuriosita.
“Entrare a lavorare al Ministero sotto a quel vecchio pazzo babbanofilo di Edward Tirsp. E sposarsi a neanche vent'anni,” rispose Alastor. Arthur ridacchiò, strinse la mano della ragazza e poi salutò i due, avviandosi verso gli ascensori.

“Tizio strano, ma a posto il buon Arthur,” borbottò Moody, avviandosi a sua volta, accompagnato da Helen, agli ascensori che nel frattempo si erano già tutti riempiti. I due Auror rimasero in attesa di un ascensore libero e nel frattempo Helen non poté chiedere: “di cosa stavate parlando voi due?”
“Niente.”
“Oh, andiamo, ti confidi con quell’ Arthur Weasley e non con me?” rispose Helen.
“Non ti passa per la mente che potrebbero essere affari privati, personali?” brontolò l’uomo, proprio mentre un ascensore libero si fermava davanti a loro. “Considerando che la tua vita è composta quasi esclusivamente dal tuo lavoro… non credo che si tratti di cose private,” rispose Helen, sorridendo.

Ben presto l’ascensore si riempì e i due non scambiarono altre parole fino a quando non giunsero alla relativa tranquillità del Dipartimento Auror.
Arrivati nei loro cubicoli, Helen rapidamente si tolse il pesante mantello e subito si recò da Alastor che nel frattempo si era già messo a sedere alla sua scrivania.
"Segreti personali a parte, come pensi che cambieranno le cose ora nel dipartimento?" chiese Helen, mettendosi a sedere accanto al collega.
"Nel dipartimento non più di tanto. Conosco Barty Crouch di vista, è un tizio tanto ordinato e preciso quanto assetato di potere. Pare che abbia tutta una serie di agganci giusti e secondo me, entro pochi anni, è probabile che prenda il comando di qualche dipartimento importante, o almeno questo è quello che ho sentito," rispose Alastor. "A differenza di Rosier però, per fortuna, pare che non sia un grande sostenitore delle arti oscure."
"Speriamo possa dare una mano a Minchum, allora," disse la ragazza, guadagnandosi un'occhiataccia del compagno Auror.

"Non sapevo che tu fossi una delle sue ammiratrici, " bofonchiò l’uomo.
"Mi sembra che sia una persona decisa e carismatica, nonostante l'aspetto poco minaccioso," rispose Helen.
"Bah, non serve a niente essere minacciosi o carismatici se non hai la minima idea di quello che sta accadendo nel paese. Urlare e sembrare forti, quando non hai un piano in mente, non ha tutta questa grande utilità," disse Moody, "però sì, lo ammetto, sarebbe sicuramente migliore della Jenkins. Pare che Minchum si voglia candidare alle prossime elezioni."
"Sarebbe fantastico!" "Non so se fantastico sia l'aggettivo giusto. Ma comunque, sta portando avanti degli incontri informali e sembra che sarà lui il prossimo candidato a sfidare Eugenia tra qualche anno, sempre che quella donna trovi il coraggio di ricandidarsi," brontolò Moody.

"La perdita di Henry Rosier è tragica più di quello che pensi," spiegò l'uomo. "Da quando Nobby Leach diventò ministro, i Purosangue hanno perso molto potere decisionale all'interno del ministero, mantenendo un ruolo puramente esterno ai ranghi dirigenziali. Rosier era uno dei pochi personaggi di quel mondo marcio che riusciva ad avere ancora un certo tipo di influenza sulla Jenkins."
Moody si alzò, estrasse una pergamena da un cassetto e la mostrò a Helen.
Era un foglio con su scritti decine e decine di nomi; la ragazza guardò per qualche secondo la pergamena e poi capì.

"Ma questo è l'organigramma del Ministero della Magia!"
"Esatto, lo tengo sempre aggiornato per vedere come si evolve la situazione. Come vedi i Purosangue hanno ancora numerosi membri all'interno del ministero, ma nel dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia non hanno più nessuno ad alto livello, solo qualche membro cadetto e con ben poca influenza," spiegò Moody. "Ora, tutti i dipartimenti e uffici sono importanti ma dal loro punto di vista questo dipartimento, del quale noi facciamo parte, è il più importante da controllare. Sai perché?" chiese.
"Perché avendo un membro influente in questo dipartimento possono influenzare le operazioni degli Auror e dei tribunali magici," rispose Helen, prontamente.
"Esatto. Ora che non hanno più nessuno e che Minchum ha già trovato un sostituto puoi scommetterci che le famiglie magiche Purosangue saranno tremendamente arrabbiate!"

Improvvisamente delle urla interruppero il silenzio del dipartimento. Helen e Alastor impugnarono immediatamente le bacchette e corsero verso la fonte del rumore che, ben presto scoprirono, era stato generato da una accesa discussione tra Minchum e il comandante del dipartimento Auror, Whirle.

"Un altro attacco ai danni di Babbani, altri cinque morti e dopo una settimana non è in grado ancora di darmi nemmeno un rapporto da presentare al ministro?" stava sbraitando Minchum.
"Non ho avuto tempo, gli Auror sono quasi tutti impegnati..." rispose Whirle, la voce poco più che un sussurro.
"Allora dovrebbe impegnarsi anche lei a gestire meglio questo dipartimento che negli ultimi anni è peggiorato sempre più!"
Minchum stava urlando talmente forte che le vene sulla fronte erano quasi sul punto di scoppiare, mentre Whirle era sempre più pallido.
"Non le permetto di parlarmi in questo modo, noi stiamo facendo il massimo!"
"Chiaramente il suo massimo non è per me più accettabile. Le do un'ultima possibilità per fare le cose a modo altrimenti prepari le sue cose e esca dal suo ufficio!"

Whirle fece per rispondere ma evidentemente non aveva abbastanza coraggio. Fece dietrofront sui tacchi delle scarpe e, senza una parola, rientrò nel suo ufficio.
"Di idioti nella mia carriera ne ho incontrati, ma mai come questo," sbottò Harold, asciugandosi la fronte con il fazzoletto.
"Ho l'impressione che entro poco te ne dovrai liberare," rispose Alastor, riponendo la bacchetta.
"Non prima di aver trovato un sostituto," sbottò Minchum. "Alastor, l'offerta è sempre valida, lo sai."
" E sai anche che da quando l'ho mandata a quel paese, la Jenkins non accetterà mai la mia nomina come capo dipartimento. É già tanto che non mi abbia licenziato ma non è così stupida da disfarsi di me."
Minchum sorrise.
"Vedrai che quando ci saremmo sbarazzati della Jenkins avrai la tua occasione, Alastor.”
"Sapesse Merlino quanto vorrei che quel giorno arrivasse presto," sussurrò Alastor a Helen, mentre Harold usciva,ancora un po’ scosso, dal dipartimento Auror.

/ / / / / / /

La grande sala di villa Lestrange era gremita di Mangiamorte, il lungo tavolo non aveva praticamente quasi nessun posto vuoto, tranne per qualche persona in missione o assente giustificata.
Mentre Mark prese posto il suo sguardo non poté non andare sulla sedia vuota di Billy.
Sapeva che sua sorella avrebbe dato alla luce, questione di pochi minuti, la loro prima figlia, e avrebbe voluto davvero tanto saltare quella ennesima riunione ma si rendeva conto che non era saggio: se Voldemort aveva chiesto la presenza di tutti i Mangiamorte possibili c’era qualcosa d’importante che bolliva in pentola e lui non poteva mancare.
C’era anche un’altra sedia vuota, quella non si sarebbe più riempita.
La perdita di Henry Rosier era stato un duro colpo per i Mangiamorte, in special modo nel gruppo storico, perché Rosier c’era fin dagli inizi e la sua presenza era ormai data per scontata, al fianco sinistro del posto a capotavola riservato a Voldemort.
Era chiaro che dopo la sua morte quella posizione era adesso libera.

Quando tutti i posti furono presi e Voldemort si sedette al suo posto a capotavola, il silenzio calò improvvisamente sulla ventina di Mangiamorte presenti.
Il primo a parlare, dopo un breve cenno della mano dell’Oscuro Signore, fu Corban Yaxley.
Il giovane Mangiamorte osservò brevemente Augustus Rookwood, seduto davanti a lui, e poi iniziò a parlare.
“Dopo la morte del nostro compiano Rosier la situazione all’interno del Ministero è cambiata. Minchum ha già nominato Barty Crouch come suo vice,” disse. Bellatrix sbuffò mentre suo marito, Rodolphus, chiese: "È un bersaglio che possiamo convincere?”
“No, è come Minchum, solo più giovane e ambizioso,” replicò prontamente Yaxley.
“Minchum è un grassone che sa solo urlare e Bartemius non è da meno, ma al momento hanno un buon sostegno,” aggiunse Rockwood, “la Jenkins è sempre più sola e con meno potere.”

“E questo non lo possiamo permettere, più il ministro è debole più abbiamo spazi di manovra. La Jenkins al momento non deve cadere,” replicò Voldemort, il tono seccato. “E inoltre avere sotto controllo le attività del Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia è vitale.”
“Cosa che però, padrone, risulta al momento molto difficile,” replicò Yaxley.
Voldemort osservò Yaxley non un’espressione di disgusto, poi si voltò verso Rockwood.
“Hai ancora sotto controllo Kenningher con la maledizione Imperius, vero?”
L’espressione di Augustus immediatamente si fece pensierosa.
“Sì, oramai manca poco alla pensione, non è poi così tanto utile…”
“La fiducia in Whirle, il capo Auror, so che non è molto alta. Domani farai in modo che Kenningher incontri Minchum. Farai in modo che il nostro caro e vecchio Auror chieda al capo dipartimento di ritardare la pensione e, come ultimo favore, di permettergli di guidare gli Auror per il poco tempo che gli rimane. Il coronamento perfetto per una lunga carriera,” sibilò.

Il mormorio tornò a serpeggiare tra i Mangiamorte.
“É un’idea geniale, padrone. Avere sotto controllo il comandante Auror, anche se per pochi mesi, sarebbe fantastico!” esclamò Bellatrix, in tono sognante.
“É rischioso…ma credo che possa essere una soluzione,” rispose Rockwood. “Non ci avevo pensato, in effetti.”
“Ed è per questo che sei un Mangiamorte e io il futuro dominatore del Mondo Magico inglese,” rispose Voldemort, ironico. Alcuni Mangiamorte ridacchiarono, mentre Rockwood abbassò la testa. “Ma non preoccuparti, lavora bene per lord Voldemort, fai in modo che Kenningher ottenga il posto e che non venga scoperto, e verrai ricompensato.”
“Grazie, grazie padrone.”

“Risolto questo problema c’è un’altra questione che mi preme in particolar modo,” riprese Voldemort e l’attenzione di tutti crebbe improvvisamente.
“La crescita dei seguaci che si stanno unendo alla nostra causa è molto soddisfacente, così come i maghi e le streghe sotto Imperius, ma se vogliamo conquistare il potere assoluto abbiamo bisogno di qualcosa in più. Nel corso dei mesi abbiamo preso contatto con diverse creature magiche ma adesso è giunta l’ora di cercare di coinvolgere, nella nostra lotta, i giganti.”
“Gi… giganti, signore?” chiese Tiberius Nott, l’espressione stupefatta.
“Non crede che non sia… saggio affidarsi a delle creature così inferiori?” aggiunse Francis Crabbe.
“Capto per caso del dubbio nelle vostre parole?” rispose Voldemort, gli occhi stretti in un'espressione di rabbia e risentimento. “Pensate forse che sia un’idea che non mi faccia ribrezzo? Però per vincere è necessario raccogliere più forze possibili perché non possiamo pensare di prendere il controllo del Ministero e della comunità magica con una cinquantina di sostenitori.”
“Noi lotteremo fino alla morte e sicuramente trionferemo per lei, padrone!” replicò Bellatrix, accalorandosi.
“Non lo metto in dubbio, ma quanti perderemo per la strada? Credi di essere in grado di governare sul Regno Unito con un manipolo di mangiamorte?” chiese Voldemort, beffardo. “Abbiamo bisogno di qualcuno che faccia, come si dice, il lavoro sporco.”

Voldemort osservò tutti i suoi Mangiamorte che chinarono lo sguardo. Mark non poté non notare una nota di risentimento nelle facce dei Mangiamorte più altolocati: era evidente che non comprendevano appieno la necessità di lord Voldemort di avere alle sue dipendenze dei giganti.
Il giovane Shafiq, nel corso dei suoi viaggi, aveva avuto modo di incontrarne un paio e sapeva che la mossa del suo padrone, seppur non perfettamente etica dal loro punto di vista, era potenzialmente eccezionale.

"Al momento in Europa ci sono due grosse colonie, una nei Carpazi e un'altra negli Urali. Credo che la seconda sia più facile, io stesso nel corso della mia peregrinazione in tutta europa me ho incontrati diversi che dimoravano in quelle montagne russe," disse Voldemort. "Avrò bisogno di qualcuno che sappia interagire con quelle bestie selvagge, di qualcuno che conosca la lingua del luogo, per poter comunicare con i giganti, e infine di un fedele Mangiamorte che sappia come vivere nelle terre selvagge."

Subito alcuni Mangiamorte alzarono le mani, pronti per accettare la missione del suo padrone ma costui li ignorò.
"Mcnair sei stato da poco assunto dal ministero come aiutante boia per le bestie feroci. Direi che questa può essere la tua occasione per aiutare il tuo padrone," disse, rivolto a un ragazzo seduto vicino all'altra estremità del tavolo.
Costui, sentendo il suo nome, scattò in piedi come una molla. Era uno degli ultimi Mangiamorte che era stato ammesso a quel tavolo ed erano evidenti il suo timore e la sua voglia di mettersi alla prova e conquistare la piena fiducia di Lord Voldemort.

"Sissignore, so bene come comportarmi con quelle bestie," esclamò.
Soddisfatto, Voldemort posò il suo sguardo su Marcus, seduto accanto alla sedia rimasta vuota appartenente a Rosier.
"E in mezzo a questa manica di damerini direi che ho l'uomo adatto per guidare i miei Mangiamorte nelle terre selvagge. Immagino che tu voglia riscattarti ai miei occhi, Marcus, oppure vuoi rimanere a fare la guardia al giovane Evan Rosier?"
Gli altri Mangiamorte sghignazzano mentre Marcus osservò il suo padrone con alterigia.
"Ne sarei felicissimo e la ringrazio per..."
"Infine," disse Voldemort, interrompendo, "chi meglio di te, Mark, potrà fare da interprete a Macnair?"

Il giovane Shafiq rimase sorpreso, tutto si sarebbe aspettato tranne dover andare in Russia a fare da interprete per dei giganti.
"Non sei onorato?" chiese Voldemort, glaciale. "No... io... assolutamente, signore! Mi onora… onora grandemente," rispose Mark, riprendendosi.
"Adesso che hai sistemato la tua famiglia non hai nessuna scusa per non tornare sul campo, non trovi?" chiese Voldemort, beffardo. Gli altri Mangiamorte risero, sguaiati.
"No, assolutamente. Grazie, grazie ancora!"

Ci mancava solo quella, proprio quando Mark sperava che avrebbe passato le settimane seguenti dando una mano a sua sorella e a Billy, terminando i lavori a Shafiq Manor, Lord Voldemort aveva pensato bene di mandarlo in missione che, se lo immaginava, sarebbe stata lunga e scomoda. Ma d'altra parte non poteva tirarsi indietro, non poteva deludere il suo padrone.

La riunione terminò da lì a pochi minuti, Lord Voldemort dette ai tre Mangiamorte scelti una settimana di tempo per organizzare le loro cose e poi sarebbero partiti, tramite una passaporta che avrebbe portato loro nel sud della Svezia, per poi partire verso gli Urali.
Dopo aver salutato gli altri Mangiamorte, Mark si smaterializzò per ricomparire, qualche istante dopo, nell'ingresso della casa di Billy.
Trovò il ragazzo in salotto, in compagnia del padre.

"Come stanno andando le cose?" Chiese Mark ma pareva che Billy avesse subito una fattura mollelingua perché non emise una sola sillaba.
Come risposta alla sua domanda dal piano superiore giunse L'eco di un grido.
"A quanto ha detto la guaritrice manca poco," rispose il padre di Billy, seduto sul divano a leggere la Gazzetta del Profeta."Calmati Billy, quando sei nato tu ci siamo stati tutta la notte."

Ci mancò poco.
Elizabeth Beatrice Morgain nacque alle dieci di sera, dopo quasi sette ore di travaglio.
Quando ai tre uomini venne permesso di salire a conoscere la nascitura, la stanza da letto di Mary sembrava fosse stato un campo di battaglia, di uno scontro magico terribile tanto era a soqquadro. Ma quel che più importava era che tra le braccia di una Mary sfinita c'era lei, la sua prima nipote.
Mentre Billy frese in braccio sua figlia, Mark non poteva non osservare Emily negli occhi: anche lei sembrava sfinita e piuttosto colpita da quello che era successo nel corso di quelle sette ore.

Le prese la mano nella sua e sorrise, cercando di infonderle un po’ di sicurezza, pur avendone davvero poca . Ce l’avrebbero fatta, anche se non sarebbe stato facile.

/ / / / / / /

Eccomi qui per questo nuovo cap bello pregno di politica e di una nuova missione :>
Il prossimo capitolo vedrà il nostro terzetto di mangiamorte alle prese con i giganti.
Riusciranno a portare a compimento la loro missione?

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Capitolo 19
*** Missione Compiuta ***


Capitolo 19, Missione Compiuta

 



Monti Urali - Ottobre 1969

Come ogni mattina, da qualche mese a quella parte, Mark si svegliò improvvisamente, e completamente, intorno alle sei di mattina.
Non era mai stato un tipo particolarmente mattutino, ma quella missione, in particolar modo le strane abitudini dei giganti, avevano cambiato la sua routine negli ultimi mesi.

Si alzò dal vecchio letto rugginoso e rimase per qualche istante in piedi davanti al calendario che aveva appeso alla parete: era il 16 ottobre, il 112° giorno di quella missione che pareva non avesse mai fine.
Ma forse, se quel giorno fossero riusciti a concludere la trattativa, ecco forse sarebbe potuto tornare a casa.

Erano partiti il 26 giugno carichi di speranza e di fiducia, consci del fatto che convincere un gruppo di stupidi giganti non sarebbe stata una missione troppo difficile.
Ma la prima difficoltà che avevano dovuto affrontare era stato proprio il viaggio: la materializzazione fino al nord della Scozia e la Passaporta, che avevano portato il trio in Norvegia, erano andate bene ma da quel momento in poi il viaggio era stato lungo e pesante.
Arrivati in Svezia, infatti, vennero inseguiti da una banda di maghi del posto, pronti a tutto per vendicarsi di un torto che Marcus aveva fatto loro diversi anni prima. In breve, c'era voluto più di un mese per arrivare in Russia e un altro mese per giungere ai Monti Urali.
In quelle occasioni, la capacità dello svedese di sapersi muovere negli ambienti più ostili e l'esperienza di Mark con la lingua del posto avevano reso il loro viaggio un po' più facile ma comunque impiegarono diversi giorni per trovare le prime colonie dei giganti.

Ce n'erano tre particolarmente grosse: la prima si rivelò ben presto molto ostile e abbandonarono ogni tipo di negoziato, la seconda era forte e numerosa ma non c'era nessuno che fosse in grado di capire la lingua russa e per questo motivo la trattativa fallì a metà settembre.
Infine provarono con la terza, che era formata da circa quaranta giganti e finalmente, lentamente e con estrema difficoltà, riuscirono a creare un rapporto di fiducia via via più importante.
Ogni due o tre giorni i Mangiamorte si presentavano con dei doni sempre nuovi, con parole dolci e promesse allettanti. E finalmente qualcosa si mosse: in quel mese circa due capi erano stati uccisi ma il terzo, Ugluk, sembrava che fosse molto interessato alla promessa di nuove terre da conquistare nella fertile Inghilterra.
Sapevano tutti e tre che quelle giornate sarebbero state le più difficili della loro missione: mancava poco per raggiungere la meta ma, d'altra parte, bastava una parola o un gesto mal interpretato e avrebbero buttato all'aria mesi di missione.

Ma non era il momento di perdersi nei ricordi. Mark si lavò e si vestì con la nera tunica dei Mangiamorte per poi scendere al piano inferiore, nel salotto.
Erano stati molto fortunati a trovare quella vecchia casa abbandonata a poca distanza dalla gola profonda dove abitavano i giganti. L'avevano trovata due mesi prima, in un primo momento avevano vissuto nelle caverne e l'esperienza non era assolutamente positiva per la loro schiena e per il morale.
Mcnair e Marcus erano già seduti al tavolo, il primo stava consultando alcune carte mentre il secondo era intento a terminare la sua colazione.

Una delle parti più difficili della loro missione, oltre a convincere i giganti a unirsi alla loro causa, era stata la convivenza.
Macnair infatti, nonostante la giovane età e l'apparenza timida e schiva, si era dimostrato una vera forza della natura con i giganti, riusciva sempre a capire quello che stava per accadere e ben presto riuscì a imparare anche i primi rudimenti dell'alfabeto usato dai giganti. Marcus invece, terminata la prima fase del loro viaggio, si stava dimostrando ogni giorno sempre più malmostoso e volenteroso di tornare a casa.

Mark condivideva questo desiderio, ma non capiva perché Voldemort avesse scelto lui come loro guida: Marcus era un assassino, un duellante, una persona che aveva bisogno di azione, sceglierlo per quella missione appariva più una punizione, o una prova, più che un privilegio.
Dopo aver salutato brevemente i compagni di avventura, Mark prese una dose generosa di uova strapazzate e si posizionò seduto al tavolo accanto a Macnair, che nel frattempo stava ultimando la lettura di alcune carte molto complicate.

"Oggi è la giornata che può decidere tutto," disse quest'ultimo, riponendo le carte in una valigetta, "quella che può porre fine a questa missione che si trascina ormai da troppi giorni."
"Sono sicuro che dicesti la stessa identica cosa una settimana fa,” rispose Marcus, terminando la sua colazione facendo evanescere il piatto vuoto. "Eppure siamo ancora qui, a gelarci il culo in questa baracca."
"Questa è la volta giusta, abbiamo dato loro tre giorni di tempo per pensare alla nostra proposta, e il nostro obiettivo oggi è far sì che accettino o rifiutino. L'importante è che ci venga data una risposta decisiva per poter tornare a casa e organizzare il loro trasferimento in Inghilterra," rispose Macnair, acido.
"Marcus, nel frattempo hai organizzato il nostro ritorno in Inghilterra?" si intromise Mark.
"Se tutto va bene e partiamo da qui domani... usando delle Passaporte sicure arriveremo al confine con la Finlandia entro un paio di settimane," rispose lo svedese. "Poi, se riusciamo a evitare quei skitbitar che ci hanno dato la caccia qualche mese fa... in poco meno di venti giorni al massimo saremo a casa."

Mark accolse quella notizia con un sospiro di sollievo. Secondo i guaritori Emily avrebbe dato la luce al loro erede verso la fine di Gennaio.
Avrebbe potuto darle una mano ed esserle accanto nel momento più importante.
Per tutta la durata di quella missione aveva potuto scrivere a sua moglie solamente tre lettere che avevano ricevuto risposte molto brevi e solamente dopo qualche settimana dall'invio.
Tutto sembrava che stesse andando per il meglio e aveva fiducia in Emily, perché si era dimostrata un'ottima amministratrice, ed era sicuro che con l'aiuto di Billy non ci sarebbe stato nessun problema. Ma essere così lontano, lontano da casa sua e dal villaggio, dalla politica e dai centri di potere magico gli seccava enormemente.

"Come sempre," la voce di Macnair riscosse Mark dai suoi pensieri, "io ti dirò cosa fare e tu parlerai ai giganti in russo. Al momento giusto mi piacerebbe potergli parlare io stesso, nella loro lingua primitiva, ma conosco ancora pochi i vocaboli e ho paura di poter causare un incidente, per questo motivo lascerò che sia tu, Shafiq, a parlare."
Mark annuì, oramai sapeva alla perfezione come comportarsi con quei bestioni e aveva imparato a fidarsi di Macnair.
"E che regalo portiamo loro, oggi?" chiese Marcus.
Macnair sorrise ed estrasse da una delle tasche della sua veste una scatolina.
"Contiene un frammento di nikopol, una rarissima pietra greca che si dice sia in grado di donare a chi la possiede un'innata capacità procreativa. In poche parole, la sposa del capo dei giganti, secondo la leggenda, avrà molte più possibilità di procreare figli. Non so se la cosa sia vera ma il numero sempre minore di giganti è un argomento importante per loro e questo può essere un regalo di addio molto gradito da Ugluk e consorte."

Terminata la colazione i tre Mangiamorte si prepararono, indossarono le vesti e alle dieci in punto si diedero appuntamento in salotto dove, dopo aver dato una breve lettura al loro piano e alle cose da dire, si smaterializzarono diretti alla gola dove abitavano i giganti.

/ / / / / / /

I tre uomini si materializzano a circa quindici km dalla casa dove avevano trovato riparo, era ottobre e quindi i picchi montuosi davanti a loro erano interamente coperti da un pesante manto di neve. Dove si trovavano loro, invece, la situazione era più vivibile anche se le temperature si erano molto abbassate rispetto ai giorni precedenti.

Non appena i Mangiamorte si furono materializzati, estrassero le bacchette e lanciarono sui loro pesanti mantelli degli Incantesimi riscaldanti che avrebbero protetto così gli uomini dal freddo pungente.
Avanzarono pesantemente nella neve caduta di fresco e, dopo una breve scarpinata, giunsero finalmente davanti alla gola nelle montagne che ospitava i circa quaranta giganti.
L'unico modo per scendere era attraverso uno stretto ripido sentiero che però i Mangiamorte fecero fatica a trovare poiché la neve aveva cambiato e sepolto i loro punti di riferimento. Finalmente, dopo un quarto d'ora di ricerche, riuscirono a trovare la via e, scendendo con grande attenzione, arrivare vicino le abitazioni dei giganti.

Nella gola faceva meno freddo, riparata come era dal vento e dagli elementi naturali. Mark Macnair e Marcus poterono così togliersi i pesanti cappucci e farsi riconoscere da una sentinella, un grosso gigante di circa cinque metri che era stato posizionato dai suoi simili di vedetta nel caso arrivasse qualche nemico, magari un’altra tribù di giganti.
All'interno della gola c'erano anche numerose caverne che ospitavano i giganti divisi in nuclei familiari. I tre Mangiamorte si diressero verso la caverna più grande la quale ospitava il capo-gigante Ugluk, sua moglie e i due fratelli, uno dei quali fungeva da interprete.

Come spesso si addiceva loro, il capo di quel gruppo di giganti era il più grosso, grasso e puzzolente e sedeva per terra su alcune calde pelli regalate loro dai Mangiamorte. Sua moglie e i due fratelli sedevano in in un angolo vicino ad un fuoco eterno, anche questo regalo dei tre uomini.
Non appena i Mark, Macnair e Marcus entrarono Ugluk e gli altri giganti dettero subito in esclamazioni gioiose, certi che i Mangiamorte avrebbero portato loro un altro dono degno di un re. In effetti Macnair pose il regalo direttamente nelle mani della gigantessa e spiegò a Ugluk, in lingua gigantesca, le proprietà di quel dono.
Il viso del gigante si illuminò e più volte ringraziò Macnair e i suoi amici, nella sua strana lingua, certo che il dono gli avrebbe permesso di avere finalmente un erede.
Ci fu poi tutta una serie di rituali che erano necessari se si voleva ottenere udienza da un capo-gigante: la moglie di Ugluk offrì agli uomini alcune pietanze gigantesche che costoro rifiutarono ma accettarono volentieri dell'acqua che fu servita loro in enormi calici.
Finalmente, terminate le noiose formalità, poterono entrare nel vivo della conversazione.
Lurz, il cognato di Ugluk, si mise vicino al suo capo, pronto per fare da interprete.

"L'ultima volta che ci siamo visti abbiamo parlato di un argomento che ci sta molto a cuore," iniziò a parlare Mark nel suo russo un po' stentato. Macnair al suo fianco pronto a intervenire oppure a suggerirgli quello che avrebbe dovuto dire.
"Sì, noi ricordiamo piuttosto bene, "rispose il gigante.
"Come sapete, abbiamo intenzione di dichiarare guerra, nel nostro paese, a chi ci governa. Siamo venuti qui, molto lontano dalle nostre case, perché abbiamo bisogno di voi, della vostra possenza e potenza, per vincere."
Mark cercò di parlare lentamente in modo da farsi capire da Lurz che infatti parlò brevemente con il suo capo e poi rispose: "che cosa ci chiedete di fare?"

Mark tradusse la domanda a Macnair il quale osservò il gigante e poi annuì. Mark riprese.
"Quello che vi chiediamo, per il momento, e di unirvi alla nostra lotta. Se accetterete vorremmo che vi trasferiate, se volete all'inizio solo una parte del vostro gruppo, in Gran Bretagna, nascosti molto bene dalla magia del nostro padrone. Poi quando dichiareremo guerra farete scaturire tutta la vostra potenza e, una volta sconfitto il Ministero della Magia, noi prenderemo il controllo. Una volta fatto ciò vi ricompenseremo grandemente."
Ci volle qualche minuto perché Lurz potesse rispondere alle parole di Mark.
"Che cosa ci guadagniamo noi?" era una domanda prevedibile e Mark sapeva bene cosa rispondere.
"Se accettate, torneremo a breve a organizzare il trasferimento nel nostro paese di circa cinque o sei giganti, per cominciare. Quando la guerra verrà dichiarata, se ne avremo bisogno, potremmo tornare e chiedere rinforzi ma quel che conta è che se usciremo vincitori dalla guerra potrete restare nel nostro paese, in alcune zone che verranno affidate direttamente a voi. Il mondo magico inglese verrà guidato dal mio padrone e non avrete più bisogno di nascondervi in queste montagne innevate e lontane."
"Unitevi a noi per avere la libertà," aggiunse Macnair, parlando nella lingua dei giganti.

Quando Lurz recapitò il messaggio a Ugluk quest'ultimo spalancò gli occhi ed esclamò, in russo molto basilare: "libertà." "Si. Non avete nulla da perdere. Aiutateci a sconfiggere i nostri nemici e avrete la libertà," rispose Mark.
“Riprendete il ruolo che vi spetta, smettetela di nascondervi. prendete quello che vi spetta, così come faremo noi!” aggiunse Macnair.
Ugluk a quel punto iniziò a battere le mani una ridicola misurazione di un applauso. Mark, Marcus e Macnair si guardarono negli occhi sorridendo: e l'avevano fatta, avevano convinto i giganti a unirsi alla loro lotta e sarebbero tornati a casa.

/ / / / / / /

"E per farla breve è così che sono riuscito ad avere un aumento, nonostante sia solamente al mio terzo anno di lavoro, e senza contare ovviamente il tirocinio iniziale."

Helen annuì per quella che doveva essere la trecentesima volta quella serata, la testa annebbiata leggermente dal vino che però si era reso necessario per terminare quella cena in maniera perlomeno decorosa.
Era seduta ad un tavolo del famoso ristorante di Benjy Fenwick, in compagnia di un guaritore del San Mungo piuttosto attraente ma terribilmente noioso è pieno di sé.
In quel momento, mentre i sussiegosi camerieri stavano terminando di servire il dessert, la ragazza non poté non provare un odio profondo per la sua amica Rose che l'aveva convinta ad accettare quell'appuntamento con quel suo collega così carino ma che, forse casualmente, si era dimenticata di aggiungere “pericolosamente pieno di sé”.
È un po' odiava se stessa per essersi fidata della sua amica, per aver perso tempo a prepararsi per quella cena quando avrebbe potuto fare cose molto più interessanti ed importanti, come aiutare Moody in un nuovo caso di omicidio, ad esempio.

Nel frattempo Mister-pieno-di-sé aveva terminato il suo dessert e stava palesemente passando il tempo osservando con interesse il suo décolleté.
Sì, speraci.
"Finito? Direi che possiamo andare, allora..."
"Oh, sì certo, certo," rispose Richard, sì così si chiamava.
Con un gesto di plateale nobiltà costui si alzò e corse al bancone per pagare, cosa che diede il tempo alla ragazza di pianificare una via di fuga da una serata che si stava per preannunciare tragica.

Usciti al fresco della Sera di Diagon Alley, infatti, subito il suo accompagnatore esordì con quello che doveva essere un tono seducente:"Fa freddo, che ne dici di proseguire questa bellissima serata da me? Ho del Vino Elfico che sono sicuro una ragazza della tua classe e bellezza saprà capire e gustare al meglio..."
"Si beh grazie dell'offerta ma per stasera purtroppo ho altri piani," rispose Helen, estraendo la bacchetta magica.
"Ma io speravo veramente che..." rispose Richard, palesemente deluso.
"Eh sì la speranza è l'ultima a morire. Grazie per la serata comunque," esclamò la ragazza per poi smaterializzarsi immediatamente via da Diagon Alley.

Helen si materializzò direttamente in camera sua, aveva preso quella precauzione da quando Rose e Jonny avevano iniziato a convivere, qualche mese prima, e i due avevano preso la strana abitudine di fare sesso nei luoghi più strani nella casa. Non sentendo rumori strani provenire da nessuna delle altre stanze però Helen si tranquillizzò, si tolse i tacchi, il vestito e con un colpo di bacchetta fece scomparire il trucco dalla faccia.

Solo allora, pronta per l'inevitabile terzo grado che avrebbe subito dalla sua amica, uscì dalla sua camera da letto.

Rose e Johnny in effetti erano seduti sul divano, intenti a vedere quello strano marchingegno che Johnny, nato Babbano, chiamava perevisione, o una cosa del genere.
"Allora com'è andata? Come mai sei tornata a casa così presto? " chiese Rose, voltandosi e osservando l'amica.
"Perché quel tuo collega è un lumacone pieno di sé, ecco perché.”
"Richard? Ma se secondo le ragazze dell'accettazione è il medico più figo di tutti?" rispose la ragazza, guadagnandosi un'occhiataccia da Johnny che comunque era troppo impegnato ad osservare quella strana scatola per prendere parte alla conversazione.
" Beh allora non dovresti più fidarti delle ragazze dell'accettazione," sorrise Helen.
" Peccato. Ah, a proposito, ti ha cercato tua madre prima, con la polvere volante. Ha detto di contattarla non appena saresti tornata a casa!" Disse Rose.

Ecco, quella era una notizia che non faceva particolarmente piacere all’Auror: se sua madre la contattava tramite camino di sera c'era sicuramente qualcosa che stava bollendo in pentola.
Annuì, prese una manciata di polvere da un recipiente sul caminetto, che lanciò nelle fiamme che subito diventarono verdi. Allora si mise a sedere per terra, mise la testa fra le fiamme e urlò chiaramente "Blooming House!"

Dopo qualche secondo di turbinii finalmente Helen riuscì a vedere il salotto di casa sua dalla prospettiva del caminetto.
Come sempre, non si stupì affatto della cosa, la stanza era completamente limpida e pulita, non c'era nemmeno un briciolo di polvere sul pavimento. Alzando la testa leggermente vide che sul divano c'era seduta sua madre, intenta a leggere quella che sembrava fosse una copia de "Il settimanale delle streghe."

"Mamma!" Esclamò la ragazza, cercando di attirare l'attenzione. Non era per niente piacevole sedere in ginocchio sul duro pavimento del suo appartamento!
La donna finalmente si riscosse dalla sua lettura, evidentemente molto coinvolgente e, vedendo la testa di sua figlia nel mezzo delle verdi fiamme del camino, irruppe in una esclamazione di gioia.
"Oh, tesoro, meno male che non sono andata subito a letto! Rose mi ha detto che eri fuori a cena, com'è andata?"
Una meraviglia.
"Sì… diciamo che… mamma che cosa è successo?"
"Una madre non può desiderare di parlare un po' con sua figlia?" Domandò la donna. "Inoltre, settimana prossima c'è la festa di pensionamento di tuo padre, non te ne sarai per caso dimenticata?" "Ovvio che no," rispose Helen.
Bugiarda.
"Però credo che potrò restare da voi solo due giorni, stiamo lavorando ad un caso piuttosto complicato e non posso assentarmi troppo a lungo."
"La mia bambina diventata un'Auror…" la donna singhiozzò, evidentemente commossa.

Il dolore alle ginocchia stava diventando oramai impossibile da sostenere.
"Allora ci vediamo sabato prossimo. Buonanotte, mamma," borbottò prima di uscire dalle fiamme.

"E così te ne vai due giorni dai tuoi?" Chiese Rose, mentre Helen, per terra, si massaggiava le ginocchia indolenzite.
"Sì, scusami se non te l'ho detto prima ma ero così concentrata sul lavoro che…"
"Non hai bisogno di scusarti, ti capisco benissimo!" replicò Rose. "Almeno ti rilassarsi un po'"
"Un weekend a casa dei miei con tutta la famiglia riunita? Sarà tutto fuorché rilassante…"

/ / / / / / /

Salve a tutti! Capitolo questo un po' di passaggio ma necessario per far passare dei mesi ed avvicinarci sempre più alla fine di questa storia e all'inizio della prima guerra magica.
Onestamente parlando non credo che manchino più di 5 o 6 capitoli, al momento, per terminare questa storia.
Ho intenzione di continuare le avventure di Mark e di Helen ma per farlo avrò bisogno di qualche settimana di tempo per organizzare la cosa e uscire con un'altra long, questa volta incentrata sulla guerra.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio come sempre chi recensisce e chi ha messo questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.

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Capitolo 20
*** Riunione Familiare ***


Capitolo 20, Riunione Familiare

 



La prima cosa che Helen sentì, non appena si fu materializzata fuori dalla sua casa di nascita, fu il vento.
A distanza di anni ancora non riusciva a comprendere come fosse possibile che in quel paesino, situato in una zona sperduta del Galles, ci fosse sempre del vento a spazzare le distese erbose.
D'inverno ti ghiacciava l'anima e d'estate, invece, era come ricevere secchiate d'aria calda in faccia, uno dei tanti motivi per cui aveva abbandonato quella zona non appena aveva potuto.

St.Genève all'epoca poteva contare su un centinaio di anime a malapena e la principale occupazione della popolazione era quella dell'allevamento dei Crup, animaletti simili a Jack Russell ma con la coda biforcuta.
Quasi ogni casa aveva un allevamento di quei canidi particolarmente apprezzati come animali da compagnia magici e, per questo motivo, forse una delle poche cose positive di quella zona era il fatto che ogni casa avesse un enorme giardino con grandi spazi per crescere i Crup. La sua famiglia era stata una delle prime a scegliere di allevarli e per questo motivo Ian Blooming era tenuto in forte considerazione dalla piccola cittadina, considerazione che crebbe ancor di più quando sposò Judith Mcdormand, sua madre, erede di una famiglia Purosangue ormai in decadenza.
La sua dote non valeva niente, ma il cognome sì, e dopo il matrimonio suo padre, che già aveva molta influenza nella cittadina, ne divenne a tutti gli effetti la figura più importante: era colui che aveva l'allevamento più antico e la moglie più nobile, anche se decaduta.

Helen estrasse la bacchetta, evocò il Patronus e lo inviò verso la casa dei genitori con un messaggio per sua madre. Dopo qualche secondo la porta di casa si aprì e la donna uscì caracollando felice verso la figlia.
Judith, che ormai andava per la cinquantina, era ancora considerata la donna più bella della città e non a torto perché, nonostante la sua famiglia natale fosse ormai sul tracollo e lei si fosse dovuta sottomettere a svolgere i lavori più umili, Judith conservava ancora la dignità dei suoi avi e ci teneva ad apparire sempre perfetta e a distinguersi dalle altre matrone campagnole.

"Ciao cara," disse abbracciando velocemente Helen, "vieni dentro, vieni dentro, ti spettinerai tutta se continui a stare qui fuori!"
Helen accettò di buona lena il consiglio e ben presto le tue donne arrivarono dentro la calda Blooming House.
Naturalmente, non appena i genitori si furono sposati, la prima cosa che Judith richiese fu un totale stravolgimento degli interni di quella casa.
Secondo suo padre, la donna ci mise quasi tre anni per arredare la casa come meglio le confaceva. Naturalmente, ogni volta che sua madre tornava da qualche the con le amiche in città, o a Londra, inevitabilmente cominciava a lamentarsi di quanto rustica fosse casa sua in confronto a quelle delle sue amiche, ma la realtà era che, nonostante se ne lamentasse continuamente, a sua madre piaceva quella casa che aveva contribuito a creare.
Dopo essersi impossessata della sua vecchia camera ed essersi lavata, Helen scese al piano di sotto per aiutare sua madre nei preparativi. Con sua grande sorpresa ad attenderla c'era anche sua sorella, Holly, di tre anni più grande.

"Che piacere rivederti!" esclamò la ragazza, correndo ad abbracciare la sorella. Le due rimasero così quasi come intrecciate, per diversi secondi. Le faceva un immenso piacere rivederla, l'unica che avesse mai cercato di capirla; la sua ancora di salvezza quando Mark era sparito. Questo almeno fino a quando non si era sposata con…

"Eh, ma guarda chi ci è venuto a trovare! Ciao, cittadina, finalmente ti sei decisa a unirti alla tua famiglia di subumani?"
Un grosso ragazzo sulla trentina, abbronzato, ben piantato e con in braccio bambino di pochi mesi, era entrato nel salotto.
"Fottiti, Ryan," fu l'unica risposta che Helen fu in grado di formulare. Dubitava che qualsiasi cosa di più complesso potesse essere compresa dal cervelletto di Ryan.
Costui le mostrò il dito medio e poi, non appena si fu avvicinato a sua moglie, le rifilò una pacca sul sedere prima di baciarla.
"Non iniziate a litigare voi due," borbottò Judith, mentre Holly prendeva in braccio il piccolo, il loro terzo figlio, se non aveva perso il conto.

"I preparativi sono a buon punto. Cittadina, ti va di venire fuori a dare una mano o sei troppo delicata per questi compiti campagnoli?" chiese Ryan, il sorriso beffardo.
"Sono abbastanza in-dedicata da poterti fare fuori prima ancora che tu riesca ad estrarre la bacchetta," replicò Helen, acida, "ma suppongo che sì, voglio vedere che cosa avete architettato per papà."

La risposta la stava attendendo nel vasto spiazzo al lato della casa. Una decina di robusti tavoli di legno erano stati piazzati tutti intorno a fuoco guizzante mentre davanti aveva trovato posto un piccolo palco.
"Strano, non tira vento qui," non poté non notare Helen.
"Abbiamo fatto un incantesimo per allontanare il vento e la pioggia," rispose Ryan, evidentemente molto fiero di quella trovata.
"E quel palco?" Avrebbe voluto chiedere a qualcun'altro ma sfortunatamente tutte le altre persone presenti erano intente a sistemare lo spiazzo per l'arrivo del neo pensionato Ian Blooming.
"Abbiamo formato una piccola banda con dei miei colleghi, giriamo per i paesini di questa zona in occasione di feste. Abbiamo tutto un nostro repertorio..." rispose Ryan.
"E con mia sorella come va? E dove sono John ed Elizabeth?" Non aveva ancora visto gli altri due figli di sua sorella.
"Oh saranno in giro con gli altri piccoli e..."
"Se venissi a sapere che mia sorella non è felice, o che tu la tratti male, vengo qui e ti strappo le palle una a una, senza bacchetta, chiaro?" Helen lo interruppe, brusca.
"Ma come ti permet..."
"Non è un'accusa, è solo un avvertimento per ricordartelo bene."

Ryan si voltò e osservò la cognata con aria ostile.
"Eccola qui, la cittadina che pensa di essere migliore di tutti solo perché è un Auror e finalmente è riuscita a lasciare casa sua!" Esclamò rabbioso. "Non ho continuato i miei studi dopo la scuola, ho un lavoro umile e tre figli, eppure non sono all'altezza della grande Helen-fottuta-Blooming!"
Istintivamente, senza neanche pensarci, Helen estrasse la bacchetta e la puntò direttamente al collo di Ryan che si bloccò, stupito.
"Adesso fai la figura del santarellino, del buon padre di famiglia preoccupato e lavoratore, ma io so chi sei veramente, me lo hai dimostrato abbondantemente durante la mia adolescenza, tu e i tuoi amici musicisti!" sibilò.
"Quella era una vita fa..." Ryan boccheggiò.
"Ok, forse sei cambiato, te lo concedo, ma nessuno, nessuno può cambiare davvero. La tua essenza rimane e la tua essenza è marcia."
Dominò l'impulso di affatturare suo cognato, finalmente ripose la bacchetta e, senza poter dare tempo a Ryan di ribattere, tornò ad ampie falcate verso casa.



/ / / / / / /

Helen decise di trascorrere le restanti ore del pomeriggio, in attesa che suo padre tornasse da Londra, dove si era recato per organizzare la sua pensione, all'interno di casa in compagnia di sua madre e sua sorella.
Incontrò i suoi due nipotini e le altre vicine di casa accorse per preparare la cena di gala e finalmente, alle sette di sera, uscirono per sistemare le vivande sui lunghi tavoli sistemati in giardino.
Con la coda dell'occhio vide Ryan salutare alcuni vicini; a quanto pareva anche lui era deciso ad evitarla. Meglio così.

Mezz'ora più tardi gli invitati si preparano per la festa a sorpresa: tutti si nascosero nell'oscurità e non appena sentirono il forte crac che annunciava la materializzazione di Ian Blooming, esplosero tutti in urla festose.
Era chiaro che il vecchio uomo non si aspettasse una festa per il suo pensionamento: rimase letteralmente con gli occhi e la bocca spalancata dalla sorpresa mentre la moglie e la figlia maggiore correvano ad abbracciarlo.
In quell'esatto momento la piccola band musicale iniziò a suonare e tutti gli invitati accorsero per festeggiare ed abbracciare il neo pensionato. Helen rimase per il momento in disparte: non sapeva come l'uomo avrebbe reagito al suo ritorno visto che l'ultima volta che si erano visti avevano litigato. Come sempre.

Suo padre terminò di stringere le mani di alcuni vicini di casa e poi si voltò, notando solo allora la presenza della figlia.
Una ruga comparve sulla sua fronte altrimenti ancora liscia.
"Sei venuta..." borbottò.
"Non avrei potuto mancare al tuo pensionamento," rispose Helen, avvicinandosi verso l'uomo.
"Bene. Divertiti stasera," rispose costui, dandole una pacca sulla spalla, prima di avviarsi a sua volta verso i tavoli.

Una pacca sulla spalla dopo che non si vedevano da due anni, tipico di suo padre. Quando era bambina a volte pensava che volesse più bene ai suoi Crup che a lei, con il passare degli anni quel dubbio era diventato certezza.

Ben presto il fuoco, la musica e la fresca birra fecero modo che la festa si trasformasse: gli anziani si radunarono tutti intorno a un tavolo a parlare dell'allevamento e di politica mentre i più giovani ballavano in mezzo al suono ritmato della band guidata da Ryan.
Helen, seduta un po' in disparte, osservava con uno strano mix di sentimenti la folla danzante. Si era sempre sentita per certi versi superiore a quella gente semplice ma forse proprio la semplicità era la chiave della loro vita.
Nessuno di loro sapeva che si trovavano sull'orlo di un periodo molto brutto, a nessuno interessava veramente che cosa stesse succedendo nel Ministero, la corruzione sempre più dilagante; no alla folla importava solamente dell'allevamento di quei piccoli animaletti da compagnia e i loro interessi non andavano più aldilà della regione dove vivevano da secoli.
Eppure, eccoli lì tutti felici a ballare e a divertirsi mentre lei sedeva da sola, in disparte, incapace di staccare la spina dal lavoro e da…
"Che mi venga un colpo se non è Helen Blooming!"

Una voce, che la ragazza non sentiva da parecchi anni, attrasse la sua attenzione: davanti a lui c'era un uomo sulla trentina, piuttosto magro, dai corti capelli biondi e dall'aria simpatica e gioviale. Avrebbe riconosciuto quel naso ovunque!
"Philip Derrik!"
Helen esclamò sorpresa, si alzò e corse ad abbracciare l'uomo che contraccambiò la stretta con altrettanto ardore.
"Non sapevo che saresti tornato per il pensionamento di mio padre!"
"In realtà non era prevista la cosa, sono passato di qui per caso! Ho incontrato tua madre e mi ha invitato," rispose l'uomo. "Ci prendiamo due birre?"
"Certo!"

Qualche minuto più tardi Helen e Philip si sedettero in un tavolo piuttosto distaccato dagli altri con due pinte di birra in mano.
L'unica altra persona che aveva avuto il coraggio e la possibilità di andarsene via era stato proprio il suo vecchio amico, il quale era stato per Helen un esempio da seguire per diversi anni. Lei, sua sorella e Philip erano praticamente inseparabili, questo fino a quando il ragazzo non trovò lavoro a Londra e sua sorella non decise di sposarsi con Ryan.

"Mia madre mi ha detto che sei diventata un’Auror," disse l'uomo, terminando la sua birra.
"Sì, non è un buon momento per il ministero come avrai capito," rispose Helen laconica. "E tu, lavori sempre per la Gringott?"
"Si, da un paio d'anni ho un posto in ufficio dopo che in una avventura nel Guatemala per poco non ci ho rimesso una gamba!" rispose. “Ma è andata bene, rischiavo di perderla del tutto.”

"È incredibile pensare che non ci vediamo da anni," aggiunse dopo qualche secondo di silenzio, "e ci ritroviamo solamente qui, nel luogo dal quale abbiamo cercato sempre di scappare."
"Già," rispose Helen, "anche se in realtà mi sono accorta di voler scappare da qui solamente l'ultimo anno di Hogwarts."
"Ma sei sempre stata allergica a questo posto, no?"
"Sai, quando hai un padre che vuole più bene alle sue bestie che a te, una madre che vive nel suo mondo ed è ancora convinta di essere una nobildonna, quando ti senti diversa dagli altri e vieni presa costantemente in giro e di mira dai bulletti della zona, guidati dal tuo futuro cognato… l'idea di scappare ti viene in mente," rispose Helen, amara.
"Sì, la gente quando non ti capisce ti attacca, è sempre stato così, "ammise Philip.
"Ma avevo Mark, mia sorella e tu dalla mia parte," aggiunse la ragazza e lo sguardo di Philip si fece più cupo. "E poi improvvisamente tu parti per Londra, mia sorella si sposa e il mio ragazzo scompare. Londra allora mi è apparsa l'unica cosa giusta da fare."
"Ho visto Mark qualche mese fa, a Londra," disse Philip," Era in compagnia di una ragazza..."
"Lo so, è tornato più o meno un anno fa. So che si è sposato con una ragazza Purosangue, probabilmente starà già aspettando un erede," rispose Helen, asciutta.

“Scusa, non sono stato delicato, ma pensavo che non lo sapessi…”
“Non devi scusarti,” rispose Helen. “L’ho anche incontrato e… diciamo che le nostre strade si sono divise. Per sua volontà,” si affrettò ad aggiungere.
Philip scosse la testa e il suo sguardo si posò su Holly che, proprio in quel momento, passò davanti al loro tavolo con in braccio il primogenito, palesemente addormentato. L’espressione di Philip immediatamente si fece più cupa.
“A quanti figli sono arrivati? due?” chiese, secco.
“Tre.”
“É felice?"
“Lo spero. Prima ho quasi affatturato Ryan, in caso si fosse dimenticato il ruolo che ho,” rispose Helen. “Mi dispiace, per quel che vale io sono sempre stata dalla tua parte.”
Philip sorrise, amaro.
“Era impossibile. Mi ha sempre visto come un amico, Ryan come il cattivo ragazzo. Non avevo chances.”
“No. E pensare che, quando ero ancora una bambina, avevo un’immensa cotta per te,” rispose Helen. Ma quasi subito se ne pentì e sentì subito le guance colorarsi di rosso. Philip ridacchiò.
“Sì, quando si è più giovani a volte si compiono degli errori incredibili,” disse. Ma evidentemente anche lui doveva aver detto qualcosa di troppo perché acciuffò con una mano il boccale e si affrettò a bere l’ultimo sorso di birra.

Che cosa? Aveva capito bene?
Le elucubrazioni mentali della ragazza vennero interrotti dall’arrivo di una enorme torta sul tavolo di suo padre.
“Auguri! Auguri! Auguri!"
Il vociare della folla distrasse i due che si avvicinarono, Ian, per la prima volta emozionato, prese la parola per un breve discorso.
"Sessant'anni in mezzo a persone come voi sono sicuramente anni ben spesi. Ringrazio ancora tutti voi per la bellissima festa auguro un grande in bocca all'Ippogrifo a Ryan," e indicò il genero, "che, con il mio pensionamento, diviene il proprietario di uno degli allevamenti di Crup più grandi e rinomati della nazione!"



/ / / / / / /

Più tardi, terminata la festa e andata a letto, Helen trovò molto difficile dormire.
In parte perché nella stanza accanto c'era la camera da letto di Ryan e Holly e, nel silenzio quasi totale della casa, poteva udire con troppa facilità i gemiti ed i grugniti della coppia intenta a copulare.
Un "Muffliato" ben piazzato risolse il problema eppure la ragazza trovava ugualmente impossibile dormire, troppi pensieri le ronzavano in testa.

Rivedere i suoi, quei luoghi e quelle persone che tanto a lungo aveva detestato le aveva fatto uno strano effetto.
I suoi genitori non erano affatto cambiati, non che se lo aspettasse del resto, e in generale tutta quella vallata sembrava fosse ferma nel tempo.
Anche rivedere Philip…

Al solo pensiero qualcosa si mosse nelle viscere della ragazza: rivedere senza alcun preavviso un ragazzo per il quale per anni aveva avuto una cotta paurosa era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Era corso via durante la fine dei festeggiamenti, e non avevano fatto in tempo a scambiarsi gli indirizzi, ma sapeva che lavorava alla Gringott e quindi chissà se si sarebbero rivisti a Londra…

La ragazza si rigirò nel letto, i pensieri continuavano ad accavallarsi. Sarebbe stata una notte particolarmente difficile per lei, ne era certa.

/ / / / / / /

Capitolo un po’ di transizione ma che mi serviva per introdurre la famiglia di Helen e Philip che, chissà, potrebbe avere anche lui il suo spazio in futuro.
Spero questo capitolo vi sia piaciuto, il prossimo torneremo a mark e al suo ritorno dalla missione con i giganti.
Grazie ancora e alla prossima!

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Capitolo 21
*** Qualcosa per cui Lottare ***


CAPITOLO 21

Capitolo 21, Qualcosa per cui Lottare

 



Effettivamente il ritorno dalla Russia risultò meno complicato del previsto per Mark, Marcus e Macnair.
La parte più lunga e noiosa del viaggio fu in effetti la tratta che andava dai monti Urali alla Svezia: senza molti punti di riferimento e con pochissimi agganci nella zona, arrancarono in difficoltà, spesso prendendo direzioni sbagliate oppure usando Passaporte di bassa qualità.
Comunque grazie ai loro sforzi congiunti riuscirono a non perdersi e per la metà di novembre raggiunsero la penisola baltica; da lì in poi l'arrivo in Inghilterra si rivelò molto più semplice, tanto che la sera del dieci dicembre i tre Mangiamorte erano già di ritorno dalla missione, in attesa davanti ai cancelli di Villa Lestrange.

Marcus appoggiò la punta della bacchetta sulla serratura del cancello che immediatamente si aprì, lasciando entrare i tre uomini che, giunti a quel punto, desideravano solamente potersi rifugiare nel calore di Villa Lestrange.
Percorsero a passo spedito il viale che portava al portone principale dove, in attesa, stava aspettando Rabastan Lestrange; vestito di tutto punto, con i corti capelli tagliati da poco e i baffi perfettamente curati, il più piccolo dei fratelli Lestrange era intento ad osservare i nuovi arrivati con un sorriso beffardo.
Effettivamente Macnair, Marcus e Mark non erano in quelle che si potrebbero definire condizioni presentabili.
La missione aveva messo a dura prova la loro normale aura di superiorità: tutti avevano i capelli lunghi e piuttosto unticci, vestiti sporchi e consunti, stivali macchiati di fango.
Avrebbero potuto prepararsi adeguatamente a quell’incontro importante, certo, ma preferirono, prima di tutto, comunicare al loro Signore il risultato della missione per poi potersi finalmente riposare.

"No grazie, non facciamo la carità ai poveri," ridacchiò Rabastan, inquadrando da capo a piedi i tre Mangiamorte.
"Fottiti e lasciaci entrare," sibilò Marcus.
"Ah, siete voi!" Esclamò l'altro, falsamente sorpreso, "non vi avevo… riconosciuti. Del resto non abbiamo avuto più vostre notizie, pensavamo che i giganti vi avessero mangiato in un sol boccone. Il che sarebbe stata decisamente una… tragedia immane..."
"Siamo stanchi, Rabastan," disse Mark, “forse in un altro momento ci saremmo prestati ai tuoi giochetti ma, te ne prego, lasciaci entrare, dobbiamo riferire al nostro padrone l'esito della missione."

"Lasciarvi entrare in questa condizione, con i mantelli sudici e gocciolanti fango? Se vi vedesse mia madre, insozzare così i suoi pavimenti..."
"Smettila con queste cazzate e facci passare," sbottò Marcus.
"Vi presentate a questa ora tarda, vestiti come dei poveracci e chiedete udienza al padrone insultandomi, " rispose Rabastan, beffardo, “e se non vi lascio entrare che cosa mi fai, svedese?"

"Per favore, Rabastan, lasciaci entrare prima che scoppi una rissa. Lo sai che al Signore Oscuro non farebbe piacere," si intromise Macnair.
"Ah, Walden caro, un per favore apre tutte le porte!" rise Rabastan, facendosi finalmente da parte per farli entrare.
All'interno, Villa Lestrange era come sempre molto calda e accogliente ed i tre Mangiamorte non poterono non sospirare dal sollievo di essere finalmente ritornati in un ambiente al chiuso, sicuro e caldo.

Rabastan guidò loro non nella solita stanza dal lungo tavolo, ma in uno dei salottini privati riservati a Lord Voldemort, localizzati al primo piano.
Quel particolare salotto era piuttosto piccolo e caldo, data la presenza di un grande camino nel quale baluginavano fiamme all'apparenza eterne; Lord Voldemort era seduto su un divano all'apparenza molto comodo e all'inizio non si accorse della presenza dei quattro Mangiamorte perché era intento a bere una pozione da un grosso calice.

Era cambiato dall'ultima volta che avevano avuto occasione di vedere il loro signore, sembrava quasi malato e privo di forze, dato che Bellatrix, seduta accanto a lui, doveva sorreggere il calice dal quale Voldemort stava bevendo.
La pelle sul volto sembrava quasi tirata, la carnagione appariva verdognola e gli occhi incavati e rossi.
Non appena vide entrare Rabastan, in compagnia di Macnair, Mark e Marcus però si riscosse, allontanò il calice con un gesto della mano e si raddrizzò sul divano.
"Puoi lasciarci, Rabastan,” sibilò.
Quest’ultimo, dopo un breve inchino, obbedì all’ordine del suo padrone e lasciò la stanza. Bellatrix, nel frattempo, fece evanescere il calice e tornò a sedersi alla destra del suo signore, in rispettoso silenzio.

“E così i miei fedeli Mangiamorte non sono morti, schiacciati da qualche gigante o uccisi da qualche bandito, ma sono tornati da me,” disse, rivolto ai tre nuovi arrivati.
“In ritardo e sporchi come dei sudici…” Bellatrix si intromise ma si zittì subito dopo, notando lo sguardo del suo signore.
“Bellatrix, ti prego, potresti andare a controllare la Pozione Corroborante?” chiese Voldemort.
“Maestro, se l’ho offesa io me ne dispiaccio enormemente e…” rispose la donna, in un tono sottomesso che sorprese moltissimo Mark. Nelle poche volte che aveva avuto occasione di parlare con Bellatrix era rimasto sorpreso dalla forza e dal vigore della donna, eppure davanti all’Oscuro Signore mostrava un lato del suo carattere inedito, almeno per lui.
“Offeso? Ma questa non è una punizione. Servire il tuo padrone non ti riempie d'orgoglio?" chiese Voldemort beffardo. Arrossendo, Bellatrix si alzò e lasciò la stanza, in silenzio.

“Padrone, che cosa è successo?” chiese, timidamente Macnair, “mi perdoni se glielo chiedo ma una Pozione Corroborante…”
Mark scosse impercettibilmente la testa: non era una domanda saggia da porre a Lord Voldemort. Si aspettava quasi che lo Cruciasse ma, con sorpresa, il Signore Oscuro sorrise.
“Vedo che sei un acuto osservatore Macnair," sibilò quasi divertito, "in effetti ho visto giorni migliori ma non vi preoccupate, queste mie sofferenze di poca durata saranno ben ripagate in futuro."
Mark non capì quel discorso criptico e, dalle espressioni perplesse dei suoi compagni, comprese che non era il solo.
Preferì però non indugiare oltre su quell’argomento misterioso. meglio non contrariare quell’uomo, questa era una delle prime lezioni che aveva dovuto imparare.

"Ma non indugiamo su argomenti sciocchi come il mio stato di salute attuale," riprese Voldemort e questa volta il suo tono di voce si fece più duro. "Quando siete partiti mi avevate promesso due cose: di terminare questa missione entro gli inizi di novembre e di tornare solamente se avreste portato con voi una risposta positiva dei giganti."
"Mio signore in effetti la missione e il viaggio si sono rivelati molto..."
"Vuote parole, Mark, vuote parole," rispose Voldemort, sibillino. "Per colpa del vostro ritardo la mia tabella di marcia è stata costretta ad essere rivoluzionata. Grazie a questo mese e mezzo di ritardo avete allontanato la nostra rivoluzione e questa è una cosa che mi riempie di tristezza ed amarezza. Mi confesso davvero deluso grandemente."

"Signore, abbiamo incontrato delle difficoltà immani nel corso della nostra missione," rispose Macnair. L'uomo narrò brevemente le varie avversità che avevano colpito i tre Mangiamorte nel corso della loro missione: a partire dalla loro fuga in Svezia per poi arrivare ai Monti Urali, con il suo freddo e le difficoltà a trovare un giaciglio che potesse ospitarli per quei mesi così duri e freddi; infine, aiutato anche da Mark e Marcus, raccontò il lento percorso che avevano fatto per arrivare a un tentativo di dialogo con le varie tribù dei giganti.
Voldemort rimase in silenzio, ascoltando attentamente le parole di suoi Mangiamorte. Mentre Macnair stava terminando il racconto del loro viaggio di ritorno, alzò la mano e l'altro immediatamente cessò di parlare.

"Non mi interessano i dettagli di questa missione, conoscevo la sua difficoltà intrinseca. Ebbene, la risposta di giganti com'è stata?"
"È stata molto dura… ma alla fine hanno accettato," rispose Mark, prontamente. "Hanno stretto un Voto Infrangibile, promettendo un supporto concreto alla nostra causa, in cambio di ampi spazi dove poter vivere in pace."
"Non appena avremo organizzato un sistema per poterli trasportare sono già disponibili a partecipare con cinque o sei membri, come inizio chiaramente," aggiunse Macnair.

Voldemort rimase in silenzio, terminando di bere la sua pozione.
"Avete ritardato la mia tabella di marcia… ma a quanto pare ce l'avete fatta, la vostra missione, sebbene con numerose riserve, può essere considerata conclusa," disse infine.
"Non appena mi sarò ripreso, Macnair, ti contatterò per organizzare il trasporto di sei giganti dai Monti Urali alla Scozia. Fino ad allora potrai riposarti e, stanne certo, farò in modo che la tua carriera al Ministero possa avanzare molto più semplicemente del normale."
"Onorato, padrone."
Voldemort a quel punto si rivolse a Mark:" So che tua moglie è incinta e partorirà tra pochi mesi. Fino a quando partorirà non verrai coinvolto nelle nostre missioni all'estero, consideralo un regalo da parte di Lord Voldemort."
"Grazie, padrone, grazie."
"Mi aspetto che tu cresca il primogenito come si deve e che presto possa far parte delle mie schiere, quando questo sarà finalmente un paese libero," aggiunse Voldemort. Infine, voltandosi verso Marcus, disse: "Qualche mese fa mi deludesti molto, ma immagino che ti sia stufato di fare da galoppino ai Rosier."
"Qualsiasi compito che il padrone mi ha dato, e mi darà, sarà sempre importante," rispose prontamente lo svedese. "Però, certamente, desidererei tornare sul campo di battaglia."
"Se questo è il tuo desiderio, non ti fermerò," rispose Voldemort.

In quel momento Bellatrix tornò nel salottino e Voldemort la osservò intensamente.
"Adesso potete tornare nelle vostre umili dimore a ricomporvi come si confà ai miei servitori," aggiunse. "Tornate a casa ma siate pronti che Lord Voldemort presto avrà di nuovo bisogno dei vostri maldestri servigi."

Dopo essersi brevemente inchinati, i tre uomini uscirono in silenzio da quella stanza e poi, giunti al pianterreno, uscirono nel giardino, respirando a pieni polmoni la fredda aria scozzese.

"Quando ha iniziato il suo discorso ammetto di essermela fatta sotto," borbottò Mark.
"Ma avete visto come si è ridotto?" Rispose Macnair, "quelli sono i segni di qualche magia oscura e estremamente potente, non so cosa sta facendo il padrone, dove lo stanno spingendo le sue ricerche, ma deve stare molto attento."
"Non dobbiamo interessarci di queste cose, dobbiamo solo avere fiducia in lui, " borbottò Marcus, duramente.
"Beh se torno a casa dopo una lunga missione e trovo il padrone che sta male ed è quasi irriconoscibile..."
"Quello che fa il padrone non è affare nostro. Lo conosco da molto più tempo di voi e so che sta spingendo la sua magia in aree molto pericolose ma altrettanto interessanti," disse Marcus, sicuro. "Non è uno sciocco, è probabile che, per apprendere alcune cose, sia costretto a pagare un altro pezzo… ma mai quello della vita."
"D'accordo, d'accordo, non ci mischieremo in queste faccende che vanno al di là della nostra comprensione," rispose Mark. "Quel che conta è che la missione sia andata bene, il padrone sia contento e che ci abbia ripagato. Non so voi, ma io ho intenzione di andare a casa a trovare mia moglie."
"Bene, rilassatevi e fatevi trovare pronti quando sarà il momento," disse Marcus.
"Il momento di cosa?"
"Il momento della guerra, Walden," rispose Mark, prima di smaterializzarsi.





/ / / / / / /

Mark non aveva il tempo o la voglia di rispettare le consuetudini, perciò decise di materializzarsi direttamente all'interno di Shafiq Manor, più precisamente nel salone d'ingresso.
La stanza era illuminata e finalmente Mark potette rilassarsi, riconoscendo l'odore di quello che più che mai adesso considerava come il suo rifugio dal mondo. Buffo come per una vita intera avesse cercato di scappare da quella casa e adesso non ne poteva fare a meno.

"Salve, padrone!" una piccola Elfa Domestica era appena entrata nella stanza e osservava l'uomo con lo sguardo adorante, "bentornato, posso fare qualcosa per lei?"
Mark annuì e porse alla piccola creatura la sua borsa a tracolla.
"Non farti ingannare dalle dimensioni, ho applicato un incantesimo estensivo irriconoscibile. Contiene tutti i vestiti che ho portato con me in Russia, lavali e poi vedi quali possano essere recuperabili, gli altri buttarli," ordinò e subito l'elfa annuì, prendendo in custodia la borsa.
"Lady Shafiq dove si trova?"
"È nel suo salottino privato, signore."
"Bene. Occupati della borsa e poi preparami un bagno caldo, ne ho terribilmente bisogno," disse Mark. L'elfa annuì un'ultima volta prima di smaterializzarsi.

Salire la scalinata che portava al primo piano fu quasi un supplizio per Mark, le gambe che faticavano a salire i gradini di marmo dalla stanchezza che ora lo pervadeva.
Arrivato nella parte del Maniero destinata a sua moglie, non si sorprese di vedere che il piccolo salotto, riservato a lei, aveva ancora le luci accese che filtravano da sotto la porta socchiusa.
Cercò di aprirla il più delicatamente possibile e poi si mise sulla soglia, cercando di non spaventare Emily.

Quel particolare salottino un tempo era stato lo studio di sua madre e, del resto come quasi tutti i locali di quel Maniero, aveva subito una profonda trasformazione per andare incontro ai gusti di sua moglie. Se quasi tutte le stanze erano state profondamente rivoluzionate quella rappresentava in particolar modo i gusti più intrinsechi di Emily: il mobilio proveniva direttamente dalla casa dei Parkinson mentre le pareti erano state dipinte di un rosa tenue, il colore preferito della ragazza.
Emily, che frattempo era seduta sul divano e non si era accorta dell'arrivo del marito, era intenta a leggere un vecchio libro polveroso preso quasi sicuramente dalla grande libreria che occupava per intero uno dei lati di quel salottino, anche quella proveniente da casa dei suoi genitori.
Indossava una elegante veste blu trapunta di stelle, il pancione, dato dal sesto mese di gravidanza, appena visibile.
La gravidanza stava arrotondando alcuni aspetti del volto della donna la quale appariva ai suoi occhi bellissima come non mai, bellissima ma allo stesso tempo quasi eterea, inarrivabile per lui.

Finalmente si decise ad annunciare la sua presenza: bussò due volte sulla porta oramai aperta ed entrò.
La ragazza alzò subito lo sguardo e rimase stupita, vedendo davanti a sé il marito che mancava a casa da circa quattro mesi.
"Mark, sei tornato!" Esclamò, alzandosi dal divano.
"Sì, finalmente, sì!" rispose Mark, sorridendo e abbracciando la moglie.

I due rimasero così per qualche secondo, poi Emily si staccò e disse, sorridendo: "se vorrai abbracciarmi ancora, ci vuole una bella doccia prima!"
Il ragazzo rise alla battuta della moglie ma poi tornò subito serio.
"Come va, tutto bene?" chiese.
"Sì, la produzione è ottima ed ho riscosso tutti gli affitti. Ho dato anche un paio di feste mentre non c'eri ma..."
" No, no, intendevo come va la gravidanza. Tutto bene, non hai avuto particolari problemi?" Mark interruppe la ragazza, toccandole il ventre.
"No," rispose Emily, piacevolmente sorpresa da quelle inedite attenzioni, "all'inizio un po' di nausea e di capogiri ma un po' di pozioni e l'aiuto di Mary e Billy hanno fatto miracoli."
" Mi dispiace non esserci stato, in questi mesi, e di averti lasciato sola ad affrontare un periodo così complicato..."
"non devi pensarci nemmeno per un secondo, Mark,” Emily subito interruppe il marito. “Hai seguito la volontà del Signore Oscuro e questo, e la tua missione, vanno ben oltre a una semplice gravidanza!"

Il resto della serata passò in maniera molto piacevole: il bagno preparato dalla piccola Elfa fu perfetto, così come la cena.
Nonostante la stanchezza che incominciava ad avere la meglio, però, Mark decise di passare la serata in compagnia della moglie, raccontandole a sommi capi lo svolgimento della missione e rimanendo ad ascoltare i suoi pettegolezzi e le numerose notizie dal villaggio.

Alla fine si coricarono entrambi nel letto in Marck a mezzanotte inoltrata.
E lì, disteso nel letto osservando sua moglie dormire profondamente e beatamente, Mark si rese conto che in effetti, nonostante tutte le sue tribolazioni, era un uomo fortunato. A differenza di tanti altri Mangiamorte, infatti, quella notte si rese conto che lui in effetti aveva un vantaggio: un qualcosa per cui valeva la pena lottare e cambiare il mondo magico.
Lottare per un futuro migliore.



/ / / / / / /

Capitolo un po’ di transizione ma per me molto importante. Cerco sempre di entrare nella psiche dei “cattivi”, cercare di dare loro delle motivazioni valide oltre il “siamo cattivi perché sì” è una delle cose che, nel mondo delle fanfiction amo di più.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, siamo oramai vicini alla fine di questa fic (non più di quattro o cinque capitoli) che rappresenta la prima parte di questo percorso per raccontare la 1° guerra.
Grazie ancora a tutti, alla prossima!

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Capitolo 22
*** Un Incontro Inaspettato ***


Capitolo 22, Un Incontro Inaspettato

 



La casa era pervasa da un silenzio totalizzante, i raggi di un sole pallido e pavido filtravano appena, da sotto le nuvole, attraverso un grosso buco nel soffitto.
Un tempo doveva essere stata una dimora confortevole, calda e comoda, ma adesso di quel calore non rimaneva niente: il grande salotto, il vero fulcro di quella casa, era completamente distrutto, i mobili ridotti a schegge.
Al centro esatto, sdraiato sopra un vecchio e pregevole tappeto, c’era un uomo sulla cinquantina, palesemente morto.

Helen appuntò qualcosa sul suo block note e osservò attentamente la porta divelta dai cardini: quell’uomo aveva provato di tutto per salvarsi, ma quando ti trovi contro dei maghi pronti a tutto… per un Babbano è praticamente impossibile fare qualcosa di utile per avere salva la vita.
“Sopra la situazione non è molto migliore.”
La ragazza si voltò e vide entrare Moody nella stanza: era appena tornato dal piano superiore.
“Chi…”
“La madre con le due figlie,” borbottò l’Auror, porgendo lo sguardo su un uomo con il camice color verde. Costui, chino sul cadavere, era intento ad osservarlo attentamente, mormorando alcune parole in una lingua sconosciuta, la bacchetta puntata al cuore.
Dopo qualche istante il Guaritore si alzò, scuotendo la testa.
“Ha provato a difendersi ma non c’è stata alcuna possibilità,” borbottò, rimettendo la bacchetta in una delle tasche del camice.
“É stato un Avada Kedavra?” chiese Helen.
“Non ci sono altre tracce sul corpo, presumo di sì,” rispose. “Ci sono due corpi di sopra, vero?”
“Sì, ha mezz’ora di tempo, più o meno, prima che i Babbani si presentino qui,” rispose Moody.
Il Guaritore annuì e si affrettò a salire le scale.

“Non che ci sia molto da cercare, sappiamo bene come sono andate le cose,” borbottò Alastor, osservando, cupo, il corpo sdraiato sul tappeto.
“Hanno fatto saltare la porta d’ingresso,” concordò Helen, “l’uomo ha provato a difendersi, barricandosi qua dentro, ma non ha avuto nessuna possibilità.”
“Poi sono saliti di sopra, sì,” convenne Moody. “É il quarto attacco di questo genere ai danni di Babbani in questo mese. E siamo solo al quindici di Dicembre.”

Non c’era poi molto altro da aggiungere.
Dopo circa un quarto d’ora il Guaritore scese, con lo sguardo ancor più cupo di prima.
“Una donna sulla quarantina e una ragazza forse poco più che maggiorenne. Si…” l’uomo, evidentemente, non riusciva a trovare le parole giuste, “si sono accaniti su… su di loro.”
“Bastardi,” sibilò Helen, non riuscendo a trattenersi.
“Secondo lei erano più di uno?” chiese Moody, secco.
“L’ora della morte è pressoché la stessa, penso di sì ma la mia è solo un’ipotesi,” rispose il Guaritore, “sulla dinamica dell’omicidio… quella spetta a voi.”

Non restava altro da fare: le autorità Babbane sarebbero arrivate da lì a pochi minuti e i due Auror avevano già fatto i rilievi necessari, il copione degli attacchi ai Babbani era sempre lo stesso, risultava facile individuare un'unica mano dietro a tutta quella serie di omicidi che andava avanti da mesi.
Raccolte le poche prove disponibili e salutato il guaritore, Moody ed Helen si smaterializzano via da quella tetra casa.

Un quarto d'ora più tardi i due furono di ritorno al dipartimento Auror. Si avvicinarono all'ufficio del nuovo capo dipartimento con il passo pesante e l'umore a terra, Alastor stranamente silenzioso, segno del fatto che l'uomo fosse perso nei suoi pensieri.
"Dovete scusarmi ma attualmente è in riunione via Metropolvere. Potete accomodarvi nella sala d'attesa," disse la segretaria, nuova anch'essa.
"No, aspettiamo qui, nessun problema," brontolò Moody.
La segretaria alzò le spalle e tornò a concentrarsi sul suo numero di "Streghe Oggi"

"Si è insediato da una settimana e ancora non si è velocizzato," sbuffò l'uomo, impaziente.
Con sommo piacere di Helen, qualche giorno prima il suo vecchio mentore Bob Kenningher era stato nominato come nuovo capo dipartimento Auror. A molti era sembrata una scelta un po' strana, visto che mancavano pochi mesi al suo pensionamento, ma alla ragazza quella notizia era parsa come un buon passo avanti nella gestione del Ministero.
Sebbene il suo ottimismo non fosse condiviso da Moody, o da gli altri colleghi, era convinta che se esisteva una persona che poteva dare una svolta in positivo al dipartimento, ecco, quella poteva essere Kenningher.
Per questo motivo decise di ignorare quella ennesima frecciatina al suo vecchio idolo.

"A cosa stai pensando?" chiese, invece.
"Al fatto che si tratta dell'ennesimo omicidio ai danni di persone innocenti ed incapaci di difendersi," rispose Moody, cupo, "prima hanno attaccato i cortei di Magonò, poi i Babbani. Mi domando quando attaccheranno anche noi maghi."
"Pensi che accadrà? Che scoppierà una..."

Proprio in quel momento, però, la porta dell'ufficio di Kenningher si aprì e la testa dell'uomo fece capolino.
"Ah, sì, potete entrare," disse, poi rivolto alla segretaria, " per favore sposti l'appuntamento delle undici a domani!"
Questa annuì vagamente, parecchio concentrata su un servizio all'apparenza molto interessante della sua rivista. Bob scosse la testa e fece entrare i due Auror.
L’ufficio dell'uomo era come Helen se lo immaginava: pulito, asettico e quasi del tutto privo di inutili ornamenti.
Nonostante andasse oramai per i sessanta, l'uomo era riuscito a mantenere una certa vitalità dato che, a differenza dei colleghi che si avvicinavano alla pensione, non aveva accettato di trasferirsi dietro una scrivania.
Ai suoi tempi era stato sicuramente un’uomo molto bello ed elegante, in effetti qualcosa di quell'antico fascino traspariva ancora nei capelli sale e pepe e nel viso abbronzato, anche se era altrettanto evidente che lo stress provato negli ultimi mesi e la nuova nomina lo avessero piuttosto colpito: sembra vagamente assente e malato. Si sedette dietro la scrivania e posò lo sguardo sui due nuovi arrivati.

"Dovete scusarmi per Claire, la segretaria, purtroppo trovare una nuova segretaria in poco tempo ti lascia poche scelte," borbottò, contrariato. "Immagino che siate ritornati dal luogo dove, si dice, ci sia stato un altro omicidio ai danni di una famiglia Babbana."
"Esattamente," rispose pronta Helen. Era incredibile come ogni volta che si trovava a parlare con quell'uomo, le sembrava di tornare ai tempi dell'Accademia.
"Effettivamente, una famiglia composta da tre Babbani è stata assassinata e, secondo il rilievo del Guaritore, a ucciderli è stata la maledizione Avada Kedavra," continuò Helen, "anche sulla moglie e sulla figlia sono stati trovati segni di violenza."
"Magica?"
"Sì, probabilmente è stata usata la Cruciatus, ma dai segni lasciati sulla pelle, non è stata l'unica cosa,” Helen rispose, la voce poco più che un sussurro.
Kenningher si fece scuro in volto e rimase a osservare il vuoto per qualche secondo.
Prendendo quel silenzio come un invito a continuare, Helen diede una veloce occhiata al suo taccuino e proseguì.

"Il marito invece ha cercato di scappare ma è stato raggiunto in salotto; ha provato a lottare ma chiaramente non ha avuto nessuna possibilità."
Alastor, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, fece un piccolo cenno alla ragazza, che si interruppe.
"Questo è stato il quarto attacco dall'inizio del mese," disse l'uomo, la voce che non riusciva a celare la rabbia, "il ventesimo se consideriamo il periodo che va da settembre a oggi."
"Indubbiamente c'è qualcuno che è vittima di un forte sentimento avverso ai Babbani," rispose Kenningher, "e sono stato chiamato apposta..."
"I responsabili di queste azioni criminali uccidono persone che non possono difendersi e lo fanno unicamente in base al loro status di sangue. Prima gli attacchi ai manifestanti Magonò," continuò l'Auror, " poi questi omicidi sistematici ai danni dei Babbani…"
"Stai dicendo che, secondo il tuo punto di vista, i responsabili sono gli stessi?" Chiese Bob.
"Esatto. Siamo sull'orlo di una escalation e i prossimi sulla lista, dopo Magonò e Babbani, saranno i Nati Babbani!" Rispose Moody, convinto.
"Parole molto dure, le tue,” ammise Kenningher, "considerando che sono solo supposizioni. Ma, poniamo il caso che tu dica il vero, cosa faresti, quali sono le tue proposte per affrontare questa ipotetica escalation?"

"Promulgare delle leggi per cercare di aumentare le protezioni ai Babbani ed ai Nati Babbani, prima di tutto," Moody rispose pronto. "Distribuire opuscoli per informare la gente a non abbassare la guardia, e se possibile, a lanciare incantesimi di protezione sui vicini Babbani!"
Kenningher prese degli appunti su di un blocco color lilla.
"Infine setacciare tutte le dimore dei Purosangue e cercare ogni possibile manufatto irregolare!" aggiunse Alastor.
Il comandante Auror a quel punto smise di prendere appunti e osservò Moody con gli occhi sbarrati, cosa che fece anche Helen: conosceva l'ossessione del collega per le attività dei Purosangue, ma l’azione che proponeva era assolutamente ridicola. Conosceva abbastanza bene i Purosangue per capire che quello sarebbe stato visto come un atto di guerra, atto che il Ministero non avrebbe mai permesso.

"Dimmi, Alastor, per caso il tuo cervello è rimasto ferito in qualche battaglia, recentemente?" chiese Bob, sarcastico, ma Alastor non raccolse la provocazione.
"Sappiamo benissimo che le famiglie Purosangue non solo approvano questa escalation ma, ne sono assolutamente certo, l’appoggiano e ne fanno anche parte. Le dimore delle famiglie Purosangue più importanti sono diventate delle proprietà al di là del controllo del governo e questo è inaccettabile."
"Inaccettabile è anche la tua proposta. Non abbiamo una singola prova del coinvolgimento di qualche membro delle Sacre 28 in questi omicidi, ed andare a ficcare il naso nelle loro dimore e nei loro affari senza un mandato del Ministero..."
“Mandato che tu devi cercare di ottenere,” replicò Moody.
“Sai che senza nessuna prova la Jenkins non ti darà mai il permesso. Trova le prove delle tue accuse e ne potremo parlare, ma senza prove e solo con le tue parole non otterrai niente!”
" E allora fai come i tuoi predecessori, stattene con il culo attaccato alla poltrona, e guarda la Gran Bretagna avvicinarsi sempre di più ad una guerra intestina!" sbraitò Alastor, la voce carica di ira e disprezzo. "Un tempo anche tu avresti appoggiato la mia decisione ma evidentemente la tua nuova carica cambia le persone!”
"No, questa carica mi fa capire come io fossi sciocco e miope," ribatté l'altro, ansante. "Per quanto mi riguarda, ne parlerò con il Ministro e farò in modo che i primi punti siano messi all'ordine del giorno. Ma per quanto riguarda il resto, se pensi che i Purosangue permetteranno che tu metta il naso nei loro affari o proprietà... sei più sciocco di quanto mi ricordassi!"

Moody osservò il capo dipartimento con un'espressione omicida, per un folle istante Helen credette che l'uomo avrebbe tirato fuori la bacchetta e avrebbe affatturato Bob.
Invece rimase in silenzio e, senza dire una parola, uscì dall'ufficio.
"Helen, cerca di farlo ragionare, te ne prego, " esalò Kenningher, prima di volgere la sua attenzione ad un cumulo di pergamene dall'aria ufficiale.
La ragazza annuì e a sua volta uscì dall'ufficio, diretta al suo cubicolo.
Sapeva che le intenzioni del collega erano giuste ma non poteva non essere d’accordo con Bob: senza prove il Ministero non si sarebbe mai esposto contro i Purosangue che finanziavano il Ministero stesso. Comunque, aveva una relazione da scrivere e sapeva già che ci avrebbe messo diverse ore, ben oltre la fine del suo turno, quindi ragionare ulteriormente sull’argomento non avrebbe certo reso il processo più veloce.
Si sedette, appellò alcuni fogli di carta, piuma e boccetta di inchiostro, e si mise di buona lena a compilare la relazione di quell'ennesimo omicidio brutale.

Mezzogiorno arrivò e la ragazza era a malapena metà della sua relazione: non c'era niente da fare, il lavoro d'ufficio rimaneva uno dei suoi punti deboli. mentre riorganizzava i suoi appunti, d all'altra parte della parete poteva udire Moody tutto preso nel suo lavoro, certamente non si sarebbe unito a lei per pranzo.
Avrebbe voluto terminare quella relazione il prima possibile, per poi tornare a casa, ma sapeva che se non si fosse data una mossa i posti nella mensa generale sarebbero stati presto tutti occupati.
In realtà esisteva anche una piccola mensa nel Dipartimento dell'Applicazione della Legge sulla Magia, ma una delle prime lezioni che aveva dovuto imparare, per sopravvivere, era evitare accuratamente la cucina di madame Lebowski.
L'unica altra soluzione possibile, se non si voleva mangiare all'esterno del Ministero, era la mensa generale al livello dell'Atrium: la cucina era buona ma spesso i posti non erano sufficienti per tutti impiegati e ciò risultava essere spesso causa di vere proprio resse per gli ultimi posti.

Helen quindi afferrò la giacca ed era sul punto di uscire dal Dipartimento quando senti una voce nota, ma che certo non si aspettava di sentire lì.
"Posso invitare a mangiare questa giovane ed affamata Auror?"
Era Philip Derrick, vestito in un impeccabile veste magica, la spilletta "ospite" che risaltava sul petto.
"Philip, che bello rivederti!" Esclamò Helen, abbracciando forte l'uomo. “Cosa ci fai da queste parti?"
"Sto collaborando con Scrimgeour per un tentativo di rapina alla Gringott, finito male ovviamente,” rispose Philip, l’aria apparentemente stravolta.
"Ti sta mettendo sotto, vero?"
L’altro alzò gli occhi al cielo, piuttosto disperato.
"Ha detto che ho un'ora di tempo per mangiare prima di riprendere questa nostra nuova e bellissima collaborazione," disse, una pesante nota di sarcasmo nella voce. "Ha detto anche c'è una mensa a questo livello, mangiamo insieme?”
"Volentieri, ma non a questo livello, se non vuoi tornare a casa con un mal di pancia da paura!" Rispose Helen.
"A quello già ci sta pensando il tuo collega!"

/ / / / / / /

Fu una delle migliori pause pranzo da quando Helen era diventata Auror: nessuna noiosa chiacchiera sul lavoro o sul gossip inter-ufficio, soliti argomenti alla base di conversazioni ormai triti e ritriti.
Philip fu un ottimo ascoltatore e si divertì da matti mentre Helen, sottovoce, gli indicava tutti i pezzi grossi e le loro stranezze ignote ai più. Parlarono di viaggi, di progetti futuri, nel lavoro e nella vita, e ben presto l'ora libera arrivò alla fine.
Di fronte alla porta del dipartimento Auror le strade dei due si divisero.

"È stato davvero bello rivederti," disse Philip, abbracciando un'altra volta la sua vecchia amica, "dovremmo farlo un'altra volta. Un pranzo insieme, magari in un posto un po' più decente!"
Era un invito?
Inaspettatamente, a tradimento, sentì le guance prendere un colore rossastro che non le apparteneva, i battiti accelerarono come se stesse rincorrendo un mago oscuro.
"Si... certo che sì!" Esclamò alla fine, dopo quelle che le parvero ore.
Philip la salutò con un ultimo gesto della mano e poi si avventurò per il dedalo di cubicoli.
Qualcosa di inspiegabile si era acceso nelle viscere della ragazza che rimase ad osservare l'amico. Possibile che avesse frainteso le sue parole, che fosse interessata a lei? E lei lo era?

"Quando hai finito uno dei tuoi viaggi mentali, ti dispiacerebbe venire nel mio cubicolo a vedere una cosa?"
La voce di Moody la riportò bruscamente sulla terra.
"Io non stavo facendo un..." replicò, inutilmente, seguendo il collega.
"Ho dovuto mangiare quella schifezza della mensa nel dipartimento per colpa tua," continuò l'Auror. "Potevi avvertirmi che andavi a mangiare, ma immagino che avrei rovinato l'atmosfera..."
"Smettila di fare il brontolone, sicuramente mi starai prendendo in giro. Sei preso da questo caso, non hai mangiato niente, ti conosco troppo bene!" Replicò Helen. Un ghigno storto apparve sul volto dell'uomo.
" Sai che forse sta iniziando a piacermi, pivellina? Muoviti e seguimi."

Se il cubicolo della ragazza era tutto fuorché ordinato, lo stesso si poteva dire di quello di Moody che forse si trovava in condizioni anche peggiori.
L'uomo aveva appeso alle pareti decine e decine di foto di quelle che, all'apparenza, sembravano dimore signorili mentre sulla scrivania era stato adagiato un grosso foglio di pergamena recanti tutta una serie di nomi, e foto, collegate da frecce rosse.
"Che cosa diavolo..." esalò Helen.
"Se le mie parole non convinceranno il tuo caro Bob, forse riuscirò a parlarne con Minchum," esordì Moody, indicando le foto appese. "È evidente come dietro a questi assassinii ci siano alcuni esponenti delle famiglie Purosangue. Fin dall'antichità gli è stato permesso di trattare le loro case, e i conti alla Gringott, come beni fuori dal controllo del governo. Hanno gozzovigliato nelle arti Oscure tronfi del fatto che nessuno può farci niente!"
"Sei ancora deciso a frugare nelle loro case e nei loro conti?"
"Ovviamente. Sto cercando di tracciare i movimenti recenti delle Sacre 28, per vedere se c'è qualche zona d'ombra, qualche indizio di attività illecite," spiegò Moody, "non è un lavoro facile, ovviamente, però sono riuscito a tracciare grossomodo gli alberi genealogici della maggior parte delle famiglie e sono sicuro che alla fine riuscirò a trovare qualcosa di losco."

"Alastor," sussurrò Helen. Era ammirevole come quell'uomo fosse così pieno di vigore e di voglia di fare qualcosa, di reagire a quella ondata di violenza. Ma c'era una evidente falla nel suo piano ed era suo preciso dovere avvertirlo.
"Che c'è?"
"Non smetto mai di sorprendermi di come tu sia sempre pieno di risorse e di voglia di combattere," disse la ragazza, "ma temo che tu debba fare i conti con la realtà."
"Cioè?"
"Cioè, che questo governo si regge ancora per l'appoggio dei Purosangue. Se anche Minchum ti desse il suo appoggio, l'ultima parola spetterebbe al ministro e lei non ti darà mai il permesso!"
"Che si fotta la Jenkins!" Esclamò Moody. "Che cosa dovremmo fare allora?"
"È una situazione difficile ma il muro contro muro con le famiglie Purosangue non servirà a niente; se verranno a sapere che hai condotto delle indagini senza l'approvazione della Jenkins... si verrà a creare un un clima ancora peggiore di quella attuale," spiegò Helen.
"E da quando in qua tu saresti esperta delle famiglie Purosangue e delle loro possibili reazioni?" Chiese l'altro, esasperato.

La ragazza a quel punto sospirò. Non aveva mai parlato con il collega della sua vita personale e non era sicuro di volerlo fare; del resto non poteva affrontare quell'argomento altrimenti.
"Sono stata fidanzata per anni con... con un ragazzo appartenente alle sacre 28," sbottò, infine.
Lo sguardo di Moody si accese in modo quasi maniacale.
"Chi?" Chiese.
"Con Mark Shafiq," rispose Helen, la voce poco più che un sussurro.
Alastor prese un block notes e iniziò a voltare le sue pagine con area quasi frenetica.
"Unico erede degli Shafiq, sposato con una Parkinson, moglie incinta e sette anni passati in giro per l'Europa a seguito della morte del padre?" Chiese, infine.
Helen annuì distrattamente. Non aveva più pensato a Mark, da quando aveva saputo che si era sposato e che sua moglie era rimasta incinta, evitava accuratamente di soffermare i suoi pensieri su di lui.
"In che rapporto sei con questo Shafiq? Se tu ti recassi in visita a casa sua lo potrebbe prendere come una cosa strana, un'aggressione?"

Ci volle qualche secondo perché la ragazza registrasse quelle parole.
"No, non siamo più in buoni rapporti. Ma perché dovrei fare una cosa del genere, sospetti di Mark?"
La cosa era semplicemente assurda, per non dire ridicola. Mark facente parte di un misterioso gruppo che assassina Babbani e attacca Magonò?
"Suo zio è morto in circostanze misteriose, ha trascorso sette anni in zone dove la magia oscura è tutt'altro che un tabù. Non sto dicendo che sia un assassino," si affrettò ad aggiungere, "ma forse ne sa qualcosa! Forse ha sentito parlare di questo gruppo di maniaci!"

Ricontattarlo dopo tutto quello che era successo tra di loro, dopo il modo nel quale lui l'aveva lasciata? Impossibile. E poi come avrebbe potuto mai entrare nel discorso?
"Sai Mark, conosci un gruppo che assassina Babbani?"
Semplicemente ridicolo.
Ma dall'altra parte doveva sapere... e se Mark c'entrava qualcosa, anche solo se era a conoscenza di qualche dettaglio prezioso? Non poteva affrontarlo, non dopo quello che c'era stato tra loro, d'altra parte non poteva nemmeno non fare un tentativo, anche solo per tacciare la sua coscienza.
Mark invischiato in queste faccende... No, era una cosa assolutamente assurda.
E se invece…

"Non è facile, ci devo pensare su," rispose infine, dopo quelle che le parvero ore.
"Capisco," rispose Moody, anche se Helen dubitava che l'uomo potesse minimamente capire il rapporto tra lei e Mark, "ma forse questo può essere uno dei pochi appigli che ci rimane. Promettimi che ci penserai davvero e che non ne farai parola con nessuno!"
Helen annuì per un'ultima volta e poi uscì dal cubicolo.

Rimase per qualche secondo appoggiata alla parete, il fiato corto e la testa che girava.
Perché non era rimasta zitta, perché si era dovuta mettere in quel guaio?
Perché non riusciva ad essere completamente sicura del fatto che Mark fosse del tutto innocente?

/ / / / / / /

Perdonatemi per il ritardo ma questo periodo si sta rivelando piuttosto impegnativo. Manca poco, circa tre/quattro capitoli alla fine, quindi anche se dovessi pubblicare con un pochino di ritardo in più ho comunque tutta l’intenzione di terminare le pubblicazioni e poi lanciarmi nella progettazione della continuazione di questa storia!

Philip è tornato e direi che Helen ne è assolutamente estasiata. Che cos’è quello strano peso nel cuore che sente ogni volta che si trova con il suo vecchio amico e davvero avrà la forza e le motivazioni per contattare Mark?

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Capitolo 23
*** Un Natale Indimenticabile ***


Capitolo 23, Un Natale Indimenticabile

 



Il giorno di Natale era sempre stato stressante per Helen. Si trattava di una delle poche occasioni dove suo padre decideva di rimanere a casa dal lavoro, cosa che di per sé le avrebbe anche fatto piacere, e evidentemente quella imposizione, data dalla moglie, pesava moltissimo all'uomo, che per tutta la giornata non faceva altro che sbuffare e lamentarsi.
Se a questo si aggiungeva anche la carica d'ansia fornita dalla madre, che pensava ancora di essere una nobile e che per l'occasione ideava e realizzava dei banchetti pantagruelici, il clima che si viveva in casa di Helen era tutt'altro che idilliaco e rilassato.

La situazione era decisamente migliorata da quando la ragazza aveva iniziato l’accademia Auror, dandole un facile pretesto per evitare tutta quella carica d'ansia inopportuna.
Anche per quell'anno infatti aveva gentilmente rifiutato l'invito di sua madre, adducendo convincenti scuse sui carichi di lavoro che anche a Natale le pesavano terribilmente e che, perciò, la privavano del grande onore di partecipare alla cena di famiglia.

Sdraiata sul letto, immersa in un comodo e caldo groviglio di coperte, Helen poteva udire nella stanza accanto Rose iniziare a preparare la casa per quel giorno di Natale. Non avrebbe aperto i regali fino a quando lei non si sarebbe alzata, era una tradizione oramai collaudata la loro, ma nel frattempo nulla le vietava di preparare l'abitazione per quel Natale. Quello sarebbe stato infatti il primo Natale che avrebbero passato in compagnia: Rose oramai conviveva in pianta stabile con Johnny ed Helen, su spinta della coinquilina e con un misto di emozioni che non sapeva ben descrivere, aveva deciso di invitare Philip, il quale altrimenti avrebbe passato Natale da solo, o peggio, dai suoi genitori.
Prima di dedicarsi ai regali e quella festa però Helen aveva un compito arduo davanti a sé e proprio per questo motivo rimandava l'inevitabile standosene sdraiata a letto.

Dimenticarsi di Mark era stata un'impresa ardua ma alla fine ci stava anche riuscendo, da quando aveva saputo che si era sposato le era parso terribilmente chiaro come le loro strade non si sarebbero mai più potute riunire, non dopo il comportamento del giovane Shafiq. Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, per colpa di Moody adesso era in qualche modo costretta a riaprire un capitolo che desiderava chiudere ma che, a quanto pareva, il destino non considerava ancora concluso.

Temeva la risposta di Mark, una parte di sé sperava che il ragazzo non c'entrasse niente con tutte quelle vicende di inspiegabili omicidi, dall'altra la voce della ragione le spiegava in tono cinico ma incontrovertibile che era impossibile che Mark, membro appartenente alle Sacre 28, sposato con una famiglia influente come quella dei Parkinson, non ne sapesse nulla.
E allora eccola districarsi in quella matassa di pensieri sconclusionati e arrivare a comprendere che no, non avrebbe desiderato un incontro con Mark, ma che d'altra parte non poteva starsene con le mani in mano; avrebbe dovuto affrontare le inevitabili ripercussioni perché, prima ancora di essere l'ex fidanzata di Mark, era un Auror e suo compito esclusivo servire il paese.

Finalmente intorno alle dieci riuscì a trovare abbastanza energie per alzarsi, prendere il foglio di pergamena dove, dopo decine di tentativi, aveva scritto la lettera diretta a Mark, e svegliare il piccolo gufo di Rose che ancora dormiva nella sua piccola gabbietta.
Vinny, il suo nome, era stato costretto a subire un piccolo trasloco perché, a quanto pareva, proprio non sopportava il fidanzato della sua padrona.
Dopo diverse moine finalmente il gufo si svegliò e, pur con uno sguardo vagamente omicida, porse la zampetta alla ragazza per permetterle di legare la piccola lettera.

"So che a quest'ora dormi ma devi fare un piccolo sforzo per me, ti va?"
L'animale beccò il dito della ragazza in tono amichevole, quest'ultima aprì la finestra e con una piccola spinta del braccio permise all'animale di volare nella fredda mattina londinese.
Rimase affacciata alla finestra, noncurante del freddo, fino a quando il gufo non sparì dal suo campo visivo e solo allora si decise a chiudere la finestra e a vestirsi.

Fu solo verso le undici di mattina che Helen uscì di camera, finalmente vestita e con l'animo un po' più sollevato. Trovò Rose in salotto, impegnata a sistemare il caos della stanza.
"Buongiorno, dormigliona!" esclamò la ragazza, facendo sparire delle cartacce con un colpo di bacchetta.
Helen sorrise, non le aveva raccontato niente di quella lettera e dei suoi dubbi, un po' per non guastare il morale della festa e un po' perché non sapeva se era giusto parlarle di quella che, potenzialmente, poteva trattarsi di una nuova missione segreta.
"Ho mandato Johnny a Londra a fare spese," riprese Rose, "sotto l'albero sono rimasti i tuoi regali da scartare!"

Era vero, se ne era completamente dimenticata, assorbita com'era nei suoi pensieri.
Vide una decina di pacchi per terra e così si sedette a gambe incrociate sul pavimento e iniziò a scartare i vari doni ricevuti.
Tutto sommato il bottino per quell'anno si rivelò abbastanza soddisfacente: dai suoi colleghi di Accademia ricevette una maglia goliardica, da Moody un paio di grossi e voluminosi libri sulla magia difensiva mentre da Rose e Johnny aveva ricevuto un enorme pacco di dolci direttamente da Mielandia.
A coronare il tutto c'era il regalo dei suoi genitori, o meglio di sua madre, un costosissimo ed inutile profumo alla moda.

"Ehi, quel profumo è costosissimo," esclamò Rose, "lo cercavo da una vita ma appena ho visto il prezzo mi sono subito tirata indietro!"
"Mia madre non ha capito che per avere il mio affetto non servono regali inutili e costosi," rispose Helen, "ma essere presenti e cercare di capirmi. Puoi averlo tu, te lo regalo molto volentieri!"
Per un momento gli occhi di Rose osservarono la confezione del profumo con desiderio ma poi scosse la testa e rispose, con aria malandrina: " Lo potrò avere, però, solo dopo oggi, sarà il tuo tocco in più per conquistare Philip!"
"Io..."
"Basta brontolare e fila in camera tua, appena ho finito di pulire questo disastro ti sistemo io!" esclamò Rose.
"Rose non..."
"Basta protestare, quel Philip cadrà tra le tue braccia... e se non lo fa è un idiota!"

/ / / / / / /

Shafiq Manor era sempre stata una dimora bella e lussuriosa ma le cure dei nuovi padroni di casa avevano fatto sì che la villa, adesso molto più piccola senza le due ali disabitate ed ormai inutili, risplendesse come non accadeva da decenni.
Quello sarebbe stato il primo Natale per Mark e sua moglie in dolce attesa e per l'occasione era stata organizzata una festa in famiglia molto fastosa e pomposa, il genere di feste che Mark odiava ma che lasciò organizzare a Emily per il quieto vivere della neonata famiglia.
E così tutto Il Maniero era stato inutilmente tirato a lucido, un clima forzatamente allegro calò sul padrone di casa e sugli invitati.

Era quasi mezzogiorno, Mark avrebbe dovuto essere già pronto, vestito impeccabilmente, ad aiutare la moglie incinta, ormai prossima al parto, a fare sì che i preparativi si svolgessero al meglio: quella sarebbe stata una cerimonia intima, una decina di invitati a malapena, ma per una donna Purosangue ogni occasione formale portava con sé tutta una serie di stress non facilmente comprensibili dagli uomini.
E così era fuggito dalle ire della moglie rinchiudendosi nello studio, in attesa che i primi ospiti giungessero ad allietare la loro giornata.

Aveva giurato a sé stesso che si sarebbe comportato bene, che avrebbe fatto tutto ciò che un buon padrone di casa deve fare per portare a compimento un'occasione formale come quella, ma la verità era che non ce la faceva a sopportare quell’atmosfera forzatamente allegra.
Era evidente a tutti come la guerra si avvicinasse sempre più, oramai impossibile da fermare, quello sarebbe stato molto probabilmente l'ultimo Natale di pace per chissà quanti anni e in ogni dimora Purosangue che aveva visitato quell'anno poteva evincere la preoccupazione dietro le facce gioviali, la paura dietro facili battute.
Tutti avevano paura, quasi la totalità dei Mangiamorte che conosceva era preoccupata delle sorti delle loro vite e di quelle delle loro famiglie... ma mostrare quei sentimenti, lasciare intuire le proprie fragilità davanti agli altri era impossibile, quindi si preferiva portare avanti quella patetica imitazione di felicità. Un capofamiglia non poteva mostrare fragilità agli altri.
L'unica persona che era in grado di capire i suoi sentimenti era Billy ma per lui le cose erano differenti, non era un membro delle Sacre 28, non era l'erede di una famiglia magica Purosangue potente, rispettata e temuta! A nessuno interessava quel che Billy pensava, ma se lui, Mark, avesse iniziato a dare voce ai suoi timori... tutti gli sarebbero saltati addosso e immediatamente tutto il rispetto che aveva lottato per conquistare sarebbe stato spazzato via.

Fu il becchettare di un animale alla finestra a distrarlo dai suoi pensieri. Alzò la testa da alcune noiose carte che stava leggendo e poté notare un piccolo gufo svolazzare fuori da una delle piccole finestre del suo studio.
Il ragazzo aggrottò la fronte (chi mai aveva un messaggio per lui la mattina di Natale?) ma poi si alzò, si diresse verso la finestra e l'aprì. Immediatamente il gufetto entrò dentro e atterrò malamente sopra la scrivania, gettando a terra alcuni fogli.
Maledicendo a bassa voce quello strano animale, Mark prese la lettera che era legata a una delle zampe e lasciò che il gufo volasse fuori dallo studio. Il ragazzo chiuse la finestra con un colpo di bacchetta e poi srotolò la pergamena con la lettera per lui.
Riconobbe immediatamente la scrittura e sentì il cuore muoversi dalla sua solita posizione per piantarglisi direttamente in gola. Non era possibile, un messaggio da lei proprio la mattina di Natale…

"Caro Mark,
So che questo messaggio ti stupirà, in effetti non ci vediamo o sentiamo da molto, forse anche troppo, tempo. So che sei stato occupato con la casa e so anche che ti sei sposato e che tua moglie aspetta un figlio.
Sono successe tantissime cose nelle nostre vite e mi fa strano non poterle condividere con te.
Mi farebbe piacere se una volta ci potessimo incontrare come vecchi amici a berci un caffè o una Burrobirra.
Fammi sapere e... buon Natale.
Helen."


Mark lesse attentamente quella lettera per quattro volte prima di alzare la testa dalla pergamena.
Una delle prime cose che suo padre gli aveva insegnato era di leggere attentamente ogni lettera, in modo da capire a pieno quello che il mittente intendeva davvero comunicare, in modo da carpire eventuali doppi sensi o informazioni celate.

Leggendo quella missiva da parte di Helen il sentimento prevalente in lui era la sorpresa: mai si sarebbe immaginato che, dopo il loro ultimo e burrascoso incontro, avrebbe ricevuto più notizie dirette dalla sua ex fidanzata. Ed invece quella carta cantava, la calligrafia era esattamente quella della ragazza, non c'erano dubbi al riguardo.
Ma perché avrebbe mai voluto rivederlo, perché mai scrivere quella lettera a Natale?

Subito scattò in lui un'innato campanello di allarme: era un Auror, dopotutto, possibile che sapesse, o anche solo sospettasse, un suo coinvolgimento con Lord Voldemort? Oppure quello che guidava la ragazza era solamente un sincero desiderio di rivederlo, di sapere come stava andando la sua vita?

In lontananza sentì il portone di Shafiq Manor aprirsi, le voci ovattate dei suoceri invadere la casa.
Immediatamente Mark scattò come una molla, ripiegò la lettera e la mise dentro uno dei tanti cassetti della scrivania. Le avrebbe risposto con calma, dopo cena, quando gli ospiti se ne sarebbero andati via e sua moglie avrebbe trovato rifugio nelle braccia di Morfeo. Quando avrebbe capito cosa e come scriverle.
Poteva essere una trappola, di questo ne era consapevole, ma allo stesso tempo forse valeva la pena di tentare.
Se agiva per conto del dipartimento Auror sarebbe stata una buona possibilità per capire a sua volta quanto il Ministero fosse a conoscenza delle attività dei sostenitori di Voldemort; se invece a guidare Helen erano solo i suoi sentimenti…
A pensarci bene quella sarebbe stata l’opzione peggiore.

/ / / / / / /

Il pranzo di Natale si rivelò, in maniera quasi inaspettata, un vero successo. Rose aveva dato fondo alla sua dispensa e alle mitiche capacità culinarie trasmesse, secondo leggenda, da madre in figlia mentre Philip si era dimostrato il perfetto ospite, apprezzando i deliziosi manicaretti preparati dalla padrona di casa e conversando amabilmente con Johnny e le ragazze sulla sua attuale attività da impiegato e sulle sue vecchie avventure da cercatore di tesori per la Gringott.
Una volta scambiati i doni, e mangiata la torta al rabarbaro di Helen, Philip osservò l'orologio Babbano che portava al polso e alzò gli occhi al cielo.
"Accidenti, sono già le quattro!" esclamò con aria afflitta. "Mi dispiace ma devo proprio lasciarvi, i miei genitori mi aspettano per cena e ho alcune faccende da sbrigare prima."
"No, di già?" chiese Rose, "non vuoi prima un'ultima fetta di torta?"
"No, grazie, già sto quasi per scoppiare adesso e se penso che dovrò affrontare la cena con i miei familiari... penso proprio che devo prendere una Pozione Digerente prima di partire!" "Helen, ti va di accompagnare Philip di sotto? Lo sai che il portone a volte fa dei capricci per aprirsi!" chiese Rose, lo sguardo furbo rivolto verso l'amica. Che diavolo aveva in mente?
"Ma no, non c'è nessun problema posso materializzarmi anche qui dentro!"
"Ma no, Rose ha ragione," rispose Helen, alzandosi, "camminare un po' ci farà bene dopo questo pranzo."
Philip infine annuì e, dopo aver salutato Rose e Johnny, ed aver ringraziato per la compagnia, scese le tre rampe di scale che portavano al portone d'ingresso in compagnia di Helen.

"Sono stati davvero molto gentili i tuoi amici, ero già pronto a un misero pasto da single quando è arrivato il tuo invito," esclamò il ragazzo mentre Helen, con un po' di fatica, riuscì ad aprire il vecchio portone.
"Figurati, è stata davvero una bella giornata."

Ed in effetti lo era stata davvero: riavere Philip in casa, come ospite, era riuscito a farle tornare indietro negli anni. L'unica cosa che non aveva permesso a quella giornata di restare indimenticabile era l'ansia per l'attesa della risposta di Mark.
Sapeva che probabilmente il ragazzo avrebbe ospitato un sontuoso pranzo di Natale, sapeva anche che la sua era una lettera difficile da recepire, che per la mente di Mark sarebbero frullati in mente mille pensieri così come era stato per lei.
Il gufo era tornato dopo poco tempo ma comunque non si aspettava una risposta entro breve... nonostante ciò non poteva fare a meno di sobbalzare per ogni rumore fuori dall'ordinario, in attesa di un altro gufo che ricapitasse la risposta di Mark.

"Ehilà, sei ancora qui con me?”
La voce di Philip la fece tornare bruscamente alla realtà.
"Si, scusami stavo pensando a..." Helen stava cercando di trovare una patetica scusa per la sua disattenzione ma la vista di una piccola scatoletta tra le mani del ragazzo la bloccò.
"Cosa..."
"Spero che il mio regalo ti sia piaciuto però, ecco, volevo darti questo lontano da occhi o orecchie indiscrete, diciamo così," disse Philip, porgendo la scatoletta nelle mani di Helen.
Che cosa diavolo stava succedendo? Perché improvvisamente la sua mente si era completamente spenta?

Con mani leggermente tremanti, aprì il coperchio di quella piccola scatola e vide un braccialetto d'argento con tre piccoli cuori d'oro.
Aprì la bocca, stupefatta, un calore sconosciuto iniziò a irradiare dal cuore.
"Oh... Philip..."
"Ti comprai questo con la mia prima paghetta e te lo regalai per i tuoi undici anni," spiegò Philip, mentre Helen tirò fuori il braccialetto dalla scatola, "come portafortuna per i tuoi futuri anni ad Hogwarts!"
"Ma io lo ruppi l'ultimo anno, per sbaglio venne colpito da una maledizione di quello sciocco prefetto di Serpeverde," continuò Helen, indossando il braccialetto al polso destro. "Quanto piansi..."
"Cercai di ripararlo con tutte le mie forze ma all'epoca non avevo le capacità, poi ci siamo persi di vista fino a qualche settimana fa. E allora quasi per caso ho ritrovato in casa, nel mio garage/laboratorio, tra altre decine di scatole, questo," spiegò Philip, facendo evanescente la scatola vuota. "Adesso sì che ho le capacità… e in un paio di settimane l'ho riparata. Pensavo che fosse questo il giorno giusto per dartelo..."

Helen continuò a osservare il braccialetto senza dire nulla. In effetti, le sensazioni che provava in quel momento non potevano essere espresse facilmente a parole perché tutto si sarebbe aspettata tranne quel bellissimo gesto.
"Nonostante non ci siamo visti per diversi anni io ti ho sempre pensata... insomma ci tengo tantissimo a te e..." balbettò Philip.
E poi avvenne tutto con estrema naturalezza, quasi come se i due non avessero nessun bisogno di pensare a cosa fare: le braccia di Helen strinsero il petto di Philip e le bocche dei ragazzi si scontrarono per poi unirsi in un bacio.

I corpi e le bocche dei due rimasero avvinti per qualche secondo in un momento allo stesso tempo carico di passione e dolcezza. Quando alla fine i due si divisero Philip sorrise.
"Pensavo che questo momento non sarebbe mai arrivato, " ammise, accarezzando il volto di Helen. " Ma visto che è arrivato, penso che io possa considerare questo Natale come il migliore della mia vita."
"Adulatore..." rispose l'Auror, lasciando però spazio ad un sorriso. Poteva dire lo stesso.

"È meglio che vada o altrimenti i miei inizieranno a preoccuparsi," disse infine Philip. A quelle parole Helen lo abbracciò ancora.
"Ehi, mica sparisco... a meno che non io critichi la cucina di mia madre e allora non garantisco!"
Ridendo alla battuta del ragazzo, Helen si staccò e, dopo un ultimo bacio, Philip si smaterializzò.

La ragazza rimase fuori dal portone per qualche secondo fissando il vuoto; non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto, sicuramente avrebbe processato il tutto quella sera a letto. Ma si rese conto di una cosa e cioè che finalmente, dopo tanto tempo, si era accesa una fiammella all'interno del suo petto.
Quando era con Philip non pensava al suo lavoro, a Mark e a quella lettera, al passato. Pensava solo a quanto fosse… felice.
Sorridendo infine si riscosse. Doveva tornare dentro, affrontare l’inevitabile terzo grado di Rose, che sicuramente aveva assistito a tutta la scena dalla finestra, ma non le pesava.
Dopo quel Natale non le sarebbe pesato più nulla.

/ / / / / / /

Eccoci qui con il terzultimo capitolo di questa storia. Finalmente ho dato un po' di felicità anche a Helen e come siamo dare alla storia lo vedremo poi nella seconda parte che sto già iniziando a progettare. Che cosa farà Mark, come risponderà alla lettera e i due si incontreranno nei prossimi due capitoli?

Continuate a seguirmi per scoprire le risposte a queste domande!

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Capitolo 24
*** Nascita ***


Capitolo 24, Nascita

 



"Più passano i mesi più questa situazione sta diventando insostenibile."
La mano di Lady Rosier tremò appena mentre bevve un sorso di te' scuro.
"Immagino che dover crescere da sola un ragazzo di quattordici anni non sia semplice e mi dispiace non esservi stato più vicino."
Anche Mark bevve, nonostante sentisse la bocca arida e lo stomaco contratto. Da quando era tornato dalla sua missione con i giganti, aveva visitato i Rosier solamente un'unica volta, non poteva farci niente, non sopportava l'area di grigiore che permeava quell'antica dimora.
"Tu non sei suo padrino, non ci devi niente," replicò la Rosier, asciutta. " Comunque, da quando Henry non c'è più, il ramo francese della sua famiglia ha ritrovato un certo... entusiasmo per la condizione di Evan." Sorrise, sarcastica.
"Si sono fatti avanti?"
"Oh, sì. Sono già sbarcati un paio di lontani parenti di mio figlio, direttamente dal sud della Francia, e stanno già iniziando a ficcare il naso nei nostri affari, con la presunzione di dover guidare la famiglia fino a quando mio figlio non sarà adulto," rispose lady Rosier, sprezzante.
"Dovessero infastidirti mandami subito un gufo, ci penserò io a fargli capire chi comanda qui in Inghilterra, non esitare a farlo," propose Mark.
"Sono una Rosier, per legge, ma nel mio sangue scorre quello dei Travers e i Travers non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno, figuriamoci da un francese!"

Mark, sorrise, posando la tazzina.
"E com'è Evan, di carattere intendo?"
"É la copia sputata di suo padre," rispose la donna, scuotendo la testa, "testardo e impulsivo come suo padre alla sua età. Non vede l'ora che sia maggiorenne per potersi unire alle schiere dell'Oscuro Signore"
Mark non ne dubitava, non che il piccolo Evan avesse chissà quale scelta, vista la situazione familiare.
"Lui ha grandi piani per Evan, " riprese lady Rosier, il tono quasi estatico, "non appena avrà preso i suoi G.U.F.O. darà il via a un esperimento affascinante!"
"Di cosa si tratta?" chiese Mark, davvero curioso di sapere quali piani avesse il suo padrone per un ragazzo minorenne.
"All'interno della scuola lui, ed altri figli di Purosangue, daranno il via a un gruppo segreto che avrà come compito principale la ricerca e l'allenamento di nuovi, potenziali, Mangiamorte."

Rimase per qualche secondo in silenzio, soppesando le parole di quella donna. Davvero, davvero il Signore Oscuro avrebbe permesso la creazione di un gruppo di futuri aspiranti Mangiamorte all'interno del castello di Hogwarts?
"Sarà una cosa segretissima, chiaramente, ma se tutto andrà bene dal castello di Hogwarts usciranno dei maghi adulti e già pronti per unirsi alla causa!" aggiunse la donna.
"Tu credi sia saggio dare a dei ragazzini di sedici anni la responsabilità di reclutare ed addestrare dei Mangiamorte in erba?" Chiese Mark, piuttosto perplesso. Le labbra di lady Rosier si fecero sottilissime.

"Tu osi questionare una decisione diretta del Signore Oscuro?" Chiese, adirata.
"No, non si tratta di questo..."
"Sarà il padrone a scegliere e ad addestrare direttamente i primi a come riconoscere, scegliere e guidare altri potenziali candidati!"
"E tutto questo sotto il naso di Silente?" Fece notare Mark.
"Silente è un folle che crede ancora all'innocenza dei bambini… ma a sedici anni non sono più bambini, specie se devono reggere il peso del futuro della propria famiglia sulle spalle."
Improvvisamente tutta la durezza ostentata dalla Rosier crollò. Appoggiò la tazzina sul tavolo un po' troppo violentemente e si mise una mano davanti agli occhi.

"No, Elizabeth non volevo farti arrabbiare, perdonami," disse subito Mark, scosso dalla reazione della donna.
"Per te è facile, sei un uomo e hai dovuto affrontare il tuo futuro in età già adulta ma per me e per Evan è diverso," disse lady Rosier, riprendendosi un po'. "La nostra unica possibilità di sopravvivere è la fedeltà al Signore Oscuro e non mi importa se Evan dovrà patire un'adolescenza diversa da quella degli altri, ne va a rischio la nostra vita."
Elizabeth estrasse la bacchetta e con un svolazzo sistemò il trucco sbavato, donando di nuovo alla donna la sua aria di austerità.
"Parlano già di farmi sposare con uno zio francese di mio figlio. Devo portare a casa dei risultati, se voglio protezione," ammise. "Evan dovrà crescere più in fretta del previsto… questa è la dura realtà."

Mark non sapeva cosa dire, non c'erano parole che potessero esprimere la sua preoccupazione. Mai si sarebbe immaginato che la situazione per i Rosier fosse così ostica e la verità era che non aveva soluzioni semplici sottomano.
Evan avrebbe dovuto crescere davvero in fretta se voleva sopravvivere anche se gettarsi tra le braccia del Signore Oscuro poteva portarlo esattamente nella direzione opposta.
La guerra non fa per tutti.

Fu l'ingresso improvviso di un Elfo Domestico a interrompere quel silenzio pieno di imbarazzo e preoccupazione. La piccola creatura si inchinò con aria deferente e poi disse, nella sua vocetta acuta: "padrona, mi dispiace interromperla, ma c'è di là una persona che desidera parlare con il suo ospite tramite caminetto."
Mark istintivamente osservò l'orologio e trasalì: non erano nemmeno le undici di mattina e a casa sapevano che sarebbe stato assente almeno fino all'ora di pranzo. Chi mai voleva parlare con lui e perché?
Si alzò, fece un breve inchino alla donna e seguì l'elfo in salotto.

Non appena entrò in quella stanza così sfarzosa gli occhi di Mark andarono subito al camino dove, immersa tra fiamme verdi, poteva vedere la testa di sua sorella, Mary.
"Mary, cos'è successo?" Chiese, correndo a sedersi per terra davanti al camino.
L'espressione di sua sorella era allo stesso tempo gioiosa e tesa.
"Le si sono rotte le acque, Mark. Neanche una mezz'oretta fa!" esclamò la ragazza. Il giovane Shafiq rimase per qualche istante a osservare le fiamme verdi con un'espressione piuttosto vacua.
"Credo proprio che il nostro incontro si chiuderà qui, Mark, " disse lady Rosier, che nel frattempo era entrata a sua volta in salotto e osservava la scena con aria malinconica.
"E quindi che cosa..." balbettò il ragazzo.
Mary alzò gli occhi al cielo, o meglio, al bordo superiore del camino, e poi sibilò: "tuo figlio nascerà da qui a qualche ora!"

Fu come se un gigante gli avesse dato un pugno nello stomaco, tutta l'aria uscì dai polmoni di Mark.
Padre... stava, stava davvero per diventare…

"Credo che sia il caso che tu ti materializzi a casa," fece notare Lady Rosier.
"Sì... sì, certo," borbottò il giovane Shafiq rialzandosi da terra.
"Lady Rosier, omaggi," disse Mary, rivolta alla donna e poi, con tono molto più duro, disse al fratello: "muoviti!"
Poi scomparve.
Mark si rialzò cercando di riordinare le idee: doveva immediatamente materializzarsi a Villa Shafiq!
"Vai Mark, se tutto ciò fosse successo qualche mese fa io e Henry ci saremo volentieri uniti a questo momento felice ma, ora come ora, non me la sento," disse Lady Rosier. "Vai e goditi questo momento, Goditi l'ingresso in questo mondo di una persona che dovrai educare, difendere e guidare."
Mark strinse la mano della donna e, dopo un altro breve inchino, si smaterializzò.

/ / / / / / /

Ci vollero tre tentativi per arrivare a casa. Mark era così agitato e allo stesso tempo emozionato che per due volte sbagliò la direzione da prendere e comparve prima davanti al Paiolo Magico e poi davanti a Villa Lestrange. Finalmente, la terza volta riuscì a materializzarsi direttamente dentro i confini della casa, nel salone d'ingresso.
Ad attenderlo c'era Mary.
La maternità aveva arrotondato alcuni tratti del suo volto, e del suo corpo, rendendola molto più bella di quando Mark era tornato a casa.
Lei e Billy formavano una coppia affiatata e, nonostante le remore del ragazzo, i due erano riusciti a crearsi una famiglia tutto sommato felice.

"Bene, finalmente sei arrivato," disse la ragazza non appena vide il fratello. Con uno schiocco delle dita chiamò un Elfo Domestico che tolse il cappotto dalle spalle di Mark e sparì nel guardaroba.
Mary e Mark si avviarono verso il primo piano, cercando di fare meno rumore possibile. "La madre di Billy e tua suocera sono già arrivate insieme al Guaritore, "disse Mary in tono sommesso.
Arrivati davanti alla camera da letto padronale i due si fermarono. La porta era chiusa ma dall'interno Mark poteva sentire chiaramente alcune donne parlare.
"Bene, entro dentro. Sono arrivati anche tuo suocero e Billy, dovrebbero essere in un salotto." La ragazza sì fermò un attimo, osservò suo fratello e l'abbracciò forte, poi, senza dire niente, aprì la porta ed entrò, chiudendola alle sue spalle.

Mark rimase per diversi secondi davanti alla porta, cercando di captare qualche rumore o conversazione che potessero aggiornarlo sulle condizioni di sua moglie e del nascituro, ma niente. Probabilmente avevano lanciato un Muffliato sulla porta.
"Ah, eccoti qui!"
Il ragazzo si voltò e vide Billy dall'altra parte del corridoio.
"Vieni con me, non serve a niente stare qui ad aspettare, ci metteranno ore," disse l'amico, prendendo Mark sottobraccio e scortandolo verso un salottino, "parlo per esperienza."

In effetti Mark si ricordava della nascita della nipote ma allora le cose erano ben diverse, il tempo sembrava passare molto più velocemente. Come avrebbe fatto a sopportare quell'ansia, che gli stringeva lo stomaco in una morsa, per ore?
Finalmente arrivarono in un piccolo salotto situato al primo piano. Non era niente di che, c'erano solamente alcune comode poltrone, ma rappresentava il posto migliore per attendere la nascita del suo primo erede, visto che era il salotto più vicino alla camera da letto padronale.

Seduto, intento a leggere la Gazzetta del Profeta, c'era già suo suocero.
Costui abbassò appena il giornale per rivolgere un saluto con un cenno del capo al genero e poi si riemerse nella lettura di un interessante articolo.
Fu il pomeriggio più lungo, massacrante e intenso che Mark avesse mai vissuto. I minuti sembravano non passare mai, le ore si allungavano in maniera incredibile; in breve il tempo era come fermo, per il giovane Shafiq.
Ogni tanto la porta si apriva, magari per far entrare oppure uscire un Elfo Domestico dalla camera dove sua moglie stava partorendo, ma a parte questo non avevano nessuna notizia.

"Stai calmo, queste faccende sono sempre lunghe e complesse, specie se è il primo figlio," il signor Parkinson che, dopo aver letto La Gazzetta del Profeta aveva attaccato un depliant sulla gestione dei risparmi, rivolse uno sguardo di superiorità al genero, il quale non riusciva a stare fermo seduto per più di qualche minuto.
Più volte alcuni elfi entrarono con vassoi ripieni di toast e stuzzichini, che Billy e il signor Parkinson mangiarono avidamente, mentre Mark proprio non ce la faceva, la morsa che attanagliava il suo stomaco non si rilassava.

E se fosse successo qualcosa, se il parto fosse andato bene?
Ma se invece tutto fosse andato per il verso giusto… lui sarebbe stato un buon padre?
Proprio in quel momento sentì come non mai la mancanza di suo padre e di Henry Rosier. Loro sarebbero riusciti a dargli coraggio, a rispondere alle sue domande.
Certo non poteva rivolgere quei pensieri al suocero o anche a Billy che, pur essendo il suo migliore amico, era sempre sembrato molto sicuro sull'argomento genitorialità.
Fin da piccolo desiderava avere una famiglia numerosa, una moglie e diversi pargoli ma lui, Mark, lui non provava quel desiderio, sentiva solamente la necessità di un erede. In fondo non si sentiva ancora pronto e forse non lo sarebbe stato mai.

Poi, improvvisamente in lontananza un vagito interruppe il silenzio.
Mark si alzò dalla poltrona nella quale, infine, era sprofondato e osservò con ansia Billy il quale a sua volta si era alzato. Il signor Parkinson invece si era limitato ad abbassare il depliant, in attenta attesa.

"Cosa..."
Che cosa avrebbe dovuto fare? Rimanere lì in attesa oppure correre in camera?
Ci pensò Mary a rispondere a quel quesito: la ragazza, visibilmente sudata e provata, entrò nel salottino e osservò Mark con un sorriso dipinto sul volto,
"Mary, è..."
"Sì, è nato!" Rispose lei, andando ad abbracciare Billy. "È stata abbastanza dura ma ci siamo riusciti. La guaritrice ha visitato il bambino ed è tutto a posto, è sano come un pesce!"
E tutte le preoccupazioni, le ansie e le paure scomparvero dalla mente di Mark che finalmente poté rilassarsi e abbracciare a sua volta la sorella.
Billy a quel punto esclamò: "a questo punto ci vuole un bel brindisi!"
"Dopo, Mark adesso puoi andare a vederlo!" Rispose Mary, sospingendo il fratello fuori dalla stanza.

La camera da letto padronale era irriconoscibile: il pavimento era disseminato di asciugamani e un angolino sobbolliva un calderone.
La testa di sua moglie spuntava appena da sotto le lenzuola, a destra c'era una piccola culla in legno.
Cercando di fare meno rumore possibile, Mark si avvicinò per constatare le condizioni di sua moglie; sembrava addormentata e palesemente provata da quella nascita così lunga e complicata. Poi il ragazzo porse la sua attenzione verso la piccola culla.
All'interno un batuffolino rosa l'osservava con gli occhi spalancati. Suo figlio.

"È stata una giornata lunga, non dubito che dorma anche se tra poco dovrà svegliarsi per la poppata."
Era lady Parkinson, sua suocera. Da quando la conosceva non l'aveva mai vista in quelle condizioni: anche lei era piuttosto sudata e provata... se l'avesse visto suo marito sicuramente ne sarebbe rimasto shockato!
"É stata bravissima anche se normalmente i primi parti sono così. Hai pensato ad un nome?" Le chiese la donna.

In realtà ci pensava da giorni a quella scelta, lo avevano fatto entrambi.
"Jasper Henry Shafiq," rispose, osservando quella piccola creaturina che ricambiava il suo sguardo.
La morsa che sentiva finalmente si sciolse, rimpiazzata da un calore che fino a quel momento non aveva mai provato.
"Benvenuto."

/ / / / / / /

“Cara Helen, blablabla… farebbe piacere rivederti… blablabla… Mercoledì prossimo ai Tre Manici di Scopa. Buono.”
Moody ripiegò la lettera che riconsegnò a Helen.
“Quando l’hai ricevuta?”
“Questa mattina,” rispose prontamente la ragazza.
“Ci ha riflettuto sopra il damerino,” sbottò Alastor. “Credo che però ci dovresti andare.”

Ricevere quella lettera era stato un piccolo colpo per Helen, neanche sperava più in una risposta di Mark. E invece, alle nove esatte, era sbucato un gufo reale sul davanzale dell’appartamento della ragazza.
“Sei ancora convinto che ne valga la pena?” chiese, titubante.
“Quelli delle Sacre 28 sono tutti uniti… se bolle in pentola qualcosa e se il tuo amico ha un qualche peso in quella società…per forza deve saperne,” rispose Alastor. “Bisognerà vedere se vorrà parlare, questo è un altro punto importante.”
“Già, se è coinvolto non credo che me lo verrà a dire,” rispose Helen. “Ma immagino valga comunque tentare.”
Alastor annuì, gravemente.
“É una pista molto flebile però dobbiamo provarci e soprattutto mantenere questa… chiacchierata… tra di noi.”
La cosa non sorprese la giovane Auror: le implicazioni politiche sarebbero state troppo pesanti in caso di fallimento.

“Ah,” aggiunse l’uomo, “dalla lettera ha scritto che è appena diventato padre, giusto?”
“Sì,” rispose Helen, seccamente.
La notizia era giunta in maniera poco inaspettata: era ovviamente il passo successivo, doveroso, dopo il matrimonio. Una moglie, un figlio. Strano, non riusciva a vedere Mark come marito e padre.
Non con una persona diversa da le…

helen scosse il capo, decisa. Era un capitolo chiuso per sempre e quella nascita aveva messo il punto alla parola fine.
“Un neo padre normalmente è piuttosto… esaltato. Forse potrebbe farsi sfuggire qualcosa,” notò Moody. “Se riesci fallo bere, adulalo, scopatelo, non mi interessa, basta che tu riesca ad ottenere qualcosa.”
Il solito Moody.



/ / / / / / /

Eccoci qui al penultimo capitolo! Nel prossimo vedremo il tanto atteso incontro tra Mark ed Helen. Cosa accadrà?
Lo scoprirete presto :D
Grazie ancora a tutti per le recensioni e per chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate!

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Capitolo 25
*** The End Begins... ***


Capitolo 25, The End… Begins

 



"Sei sicura che tutto andrà per il verso giusto?"
Philip osservò con ansia il grande orologio appeso alla parete in quel salottino privato ai “Tre Manici di Scopa”
Helen lo abbracciò, accarezzandogli i capelli in un gesto rassicurante.
"Lo conosco da una vita, non ho paura di lui," disse infine la ragazza.
"Sì ma in questi anni è cambiato, lo hai detto tu stessa, e se è cambiato fino al punto che..."
"Phil, Mark non è un assassino," fece notare Helen.
"Non lo puoi sapere," replicò Philip, "tu stessa hai dei dubbi a riguardo e..."
"E credi che, anche se dovesse essere diventato un pericoloso assassino, voglia uccidermi proprio qui, in questo salottino privato ai Tre Manici di Scopa?"
Le piccole rughe intorno agli occhi di Philip si distesero, ma solo un poco.

"Anche se volesse farlo, sono un Auror del ministero," aggiunse la ragazza, "e ci sono almeno altri tre colleghi fuori da qui che accorreranno a un mio segnale. Devi stare tranquillo, so quello che faccio!"
Finalmente la bocca del ragazzo si stiracchiò in un debole sorriso.
"Si, so che sei in gamba ma al solo pensiero che..."
"Piccioncini, detesto interrompervi ma devo per forza dirti un paio di cose, Helen."
Moody era apparsa sulla soglia, osservando con malcelato disgusto la conversazione tra i due.
Philip annuì, baciò con passione le labbra di Helen e poi uscì, lasciando i due Auror da soli.

"State insieme, quindi," notò l'Auror.
"Sì, noi... Alastor, credi che ce la farò?" rispose la ragazza, l’ansia che stava raggiungendo il limite.
"A portare avanti la vostra relazione? Non lo so, io non potrei mai sopportarti per tutta la vita," rispose l'uomo con un ghigno. "Sto scherzando, ovviamente. Tutto dipende da te e da come reagirà Mark alle tue parole. Questo è meno prevedibile."
"È che fino a poche ore fa ero sicura che avrebbe funzionato, che sarei riuscito a capirlo come un tempo, perfettamente, ma ora non ne sono così tanto sicura," continuò Helen, torcendosi le mani.
"Ne abbiamo già parlato mille volte, analizzato la maggior parte dei possibili scenari," replicò Alastor. "Se il tuo amico sa qualcosa, cosa che sospettiamo ma ancora senza prove, vedrai che oggi lo verremo a sapere."

Ed era quello che forse spaventava di più Helen perché, da una parte sperava che Mark non sapesse nulla, compromettendo però le indagini, dall'altra temeva che Mark rivelasse qualcosa, anche solo in maniera indiretta, ed allora avrebbe saputo che davvero il ragazzo era irrimediabilmente cambiato.
Che forse era un assassino o un complice.

"Non ci aspettiamo granché, lo sai, basta qualche accenno, un suo turbamento, qualsiasi cosa. E se non ce la farai tu... temo che nessuno potrà."

/ / / / / / /

Mark si materializzò direttamente davanti alla porta di ingresso dei “Tre Manici di Scopa”
Osservò con estrema attenzione la strada, nel caso fosse stato seguito, poi, tranquillizzato, avanzò velocemente verso la porta del locale.
Non metteva piede ad Hogsmeade da diversi mesi, in effetti l'ultima volta era stata la sera del suo incontro con Helen. Evidentemente i “Tre Manici di Scopa” rappresentava un crocevia ineluttabile nelle loro vite.

All'interno il locale non era cambiato dall'ultima volta, i tavoli erano quasi tutti pieni, La maggior parte occupati dai tifosi della squadra di Quidditch locale in preda all'euforia post vittoria nel campionato di seconda divisione.
Con lo sguardo notò Rosmerta volteggiare tra i tavoli sui tacchi alti mentre prendeva ordinazioni oppure reguardiva clienti più ubriachi o molesti.
Lo Shafiq si avvicinò con discrezione, evitando uno scazzottata tra due fan particolarmente in preda ai fumi dell'alcol, e si rivolse direttamente alla ragazza che nel frattempo si era avvicinata al bancone.

"Salve, Helen mi sta..."
"Salottino 5, oltre quella porta. La terza a destra," rispose automaticamente Rosmerta, completamente immersa nel suo lavoro a tal punto da non potersi fermare nemmeno un secondo.
Nel breve lasso di tempo che Mark impiegò per comprendere la risposta della ragazza e incamminarsi verso la porta che separava il locale principale dai salottini privati, infatti, Rosmerta era già ripartita svolazzando sui tacchi e portando su un vassoio cinque pinte di birra.

Meglio così, in fondo, quella ragazza era conosciuta per essere una terribile pettegola, non avrebbe sopportato le sue domande o le sue occhiate... in fondo, meno persone sapevano della sua presenza, là meglio era.
Mark quindi si incamminò per il corridoio che si trovava dietro la zona principale. Davanti a sé aveva una rampa di scale che portava alle stanze di sopra mentre sulla destra e sulla sinistra si trovavano sei porte per altrettanti salottini privati usati principalmente per riunioni o colloqui importanti.
Seguendo le indicazioni di Rosmerta, Mark si ritrovò davanti alla terza porta sulla destra.
Esitò ad aprire la maniglia, esitazione che lo aveva accompagnato nel corso delle giornate precedenti dove si era trovato a cambiare idea decine e decine di volte.

Da una parte non voleva, sentiva che quello di Helen era un capitolo chiuso, che sarebbe dovuto andare avanti, cosa che aveva cercato di fare, ma in fondo non l'aveva completamente cancellata dai suoi pensieri. Era andato avanti costruendosi una nuova famiglia e vita senza di lei ma allo stesso tempo era curioso, desideroso di mettersi alla prova. Incontrare Helen, poterle parlare come vecchi amici senza per forza trovare un qualcosa dietro, ecco voleva davvero capire se era riuscito a crescere e mettersi alle spalle l'amore che aveva provato per Helen mantenendo una semplice amicizia.

Eppure anche quella gli sembrava un'idea alquanto sciocca: lei era un Auror del ministero, lui un Mangiamorte, la guerra ormai vicina, il suo padrone si era recato in Russia per incontrare e portare in Inghilterra i giganti.
Tutto era pronto, le pedine si stavano osservando, mancava solo la prima mossa dei pezzi bianchi.
Avevano già le sue spie eppure se fosse riuscito a portarla dalla sua parte, magari con un incantesimo Imperius, avrebbe potuto salvare la vita della ragazza.
Doveva stare attento perché aveva di fronte una persona in gamba ma se fosse riuscito a metterla sotto l'incantesimo Imperius avrebbe ottenuto due risultati con un unico sforzo: avrebbe salvato molto probabilmente la vita di Helen e il suo padrone si troverebbe con una spia in più… ma davvero avevo la forza di controllarla fino a questo?
Non restava che scoprirlo.

Con un ultimo sospiro l'uomo abbassò la maniglia ed entrò nel salottino privato numero 5.

La prima cosa che il giovane Shafiq notò fu che i proprietari avevano avuto molto gusto nell'arredare i vari salotti privati: il numero 5 in particolare aveva dei mobili nella tonalità del bianco panna mentre le pareti erano state dipinte di color tortora. Al centro c'erano tre comodi divani intorno a un lungo tavolo mentre accanto a una delle pareti era stato posizionato un mobile con su sopra bevande calde e fredde.

C'era anche un camino collegato con la metropolvere e in un angolo una gabbia con un gufo. Seduta a uno dei divani, in una posizione piuttosto rigida, si trovava Helen.
Non la vedeva da mesi eppure era cambiata, il lavoro, forse la vita stessa, l'avevano resa molto più donna, tremendamente meno ragazzina. L'espressione altrettanto rigida, determinata, una che non aveva mai avuto accanto a lui.
Mark chiuse la porta e i due rimasero per qualche istante a osservarsi senza che nessuno fosse in grado di proferire parola. Fu Mark infine a spezzare la tensione.

"Com'è che questo posto è diventato improvvisamente il centro gravitazionale del nostro rapporto?" Chiese, avvicinandosi a Helen la quale, dopo un momento di lotta interiore, si alzò e abbracciò il ragazzo, un po' impacciata.

"Scusami, ero immersa nei pensieri, non mi aspettavo che entrassi adesso. Vuoi niente da bere?"
Sarebbe stato tremendamente difficile mettere del Veritaserum nel bicchiere di Mark, e altrettanto inutile visto che in un tribunale una confessione estorta tramite quella pozione, senza il consenso del tribunale magico o del comandante Auror, non avrebbe avuto nessun valore legale. Ameno sarebbe servito per rendere le cose più facili…
"No, grazie, ho già bevuto abbastanza in questi giorni dopo, dopo la nascita di mio figlio.”

L’aveva fatto, aveva introdotto quell’argomento. Helen sentì il cuore in gola ma subito cercò di concentrarsi: era appena diventato padre, sicuramente provava tutta una serie di emozioni e lei doveva approfittarne. Anche se pensare a Mark come padre…
“Auguri, mi fa davvero un immenso piacere saperti padre,” disse, e fu sincera, era contenta di saperlo realizzato e felice. “Anche se mi sarebbe piaciuto saperlo direttamente da te.”
“Sì… insomma, dopo quello che è accaduto tra di noi…” rispose Mark, imbarazzato. “Non… sapevo come avresti reagito a una mia lettera e per questo la tua mi ha sorpreso.”
“Siamo andati avanti con le nostre vite. Anche io mi sono fidanzata, siamo cresciuti e, anche se mi hai davvero ferita,” rispose, pronta, Helen, “e ti sei comportato in modo francamente inconcepibile… non voglio cancellarti dalla mia vita. Se non possiamo portare avanti la nostra storia, forse potremo comunque trovare un modo per non sparire dalla vita dell’altro.”

‘Povera Helen, se solo fosse possibile,’ si ritrovò a pensare Mark, mentre, approfittando della distrazione della ragazza, afferrò la bacchetta che aveva in tasca. Doveva farlo, lanciarle un Imperius… ma allora perché la sua mano sembrava pesasse una tonnellata?
“Penso sia… difficile, dato il corso delle nostre vite,” replicò il ragazzo, “ma credo che sia possibile, sì.”

In quel momento una cameriera entrò nel salottino.
“Volete ordinare qualcosa da mangiare?” chiese. Helen si voltò per parlarle… ecco, era il momento giusto!
Mark estrasse la bacchetta e, tenendola sotto il tavolo mormorò: “Impero!”

Non accadde nulla.
Helen continuò a parlare con la cameriera, nessun cambiamento percettibile, Mark non sentì la familiare sensazione di dominio assoluto che aveva imparato ad amare, utilizzando quel tipo di maledizione.
Non aveva sbagliato l’incanto, non c’era niente a dividerli… almeno che…
Almeno che la ragazza non avesse evocato un incantesimo scudo, o indossasse vestiti protettivi.
In tal caso… in tal caso lei sapeva…



/ / / / / / /

La scelta di indossare dei vestiti con incantesimi antri-maledizione aveva, infine, rivelato la sua utilità.
Avrebbe dovuto dare ragione a Moody, ma non era questa la cosa che più la feriva.

Helen fece finta di nulla, comportandosi normalmente con la cameriera, ma dentro moriva. Mark aveva cercato di maledirla, di farle del male. Il Mark che conosceva mai avrebbe osato anche solo pensare di fare una cosa del genere. Era cambiato, per sempre.
Non appena la cameriera venne congedata, i due rimasero in silenzio.
Mark sapeva e lei sapeva che lui sapeva. Un'impasse.

“Perché hai cercato di attaccarmi?”
Basta tergiversare. Mark scosse la testa.
“Non capisco, scusa,” rispose, sorridendo.
“I miei vestiti sono protetti da potenti incantesimi anti-maledizione, ma questo lo avrai capito,” rispose Helen, gelida. “Perché volevi attaccarmi?”
“E perché tu sei venuta qui, oggi, protetta da incantesimi difensivi? Non era solamente un… tentativo di riconciliazione?” rispose Mark, “Chi mai si presenta a una rimpatriata con vestiti protetti da incantesimi difensivi?”
“E chi mai cercherebbe di maledire una vecchia amica?”

Il sorriso di Mark si incrinò.
“Io non stavo per aggredirti, piuttosto per proteggerti…” disse lo Shafiq, l’espressione tesa.
“Da chi? Dai Mangiamorte di Tu-Sai-Chi?” chiese Helen. “Li conosci, non è così? O forse sei uno di loro?”
Il viso di Mark sbiancò.
“Come osi…” borbottò il ragazzo.
“E allora perché?”
“Quello che vorrei che tu capissi è che…”

E poi, improvvisamente, un dolore mai provato prima colpì l’avambraccio di Mark, proprio in corrispondenza del Marchio Nero che, con un utile incantesimo, Mark era riuscito a celare per quell’occasione.
Provò a resistere ma quel dolore arrivò così inaspettato e doloroso che finì per gridare, tenendosi l’avambraccio con l’altra mano.
“Mark…cosa?”
Era il suo padrone… e se il marchio bruciava con tale intensità voleva significare solo una cosa: doveva arrivare il prima possibile a Lestrange Manor perché qualcosa d’importante era appena successo.

“Devo… andare, ho un impegno che…” bofonchiò, estraendo la bacchetta. Vide Helen sobbalzare ed estrasse a sua volta la propria.
Il suo sguardo, il volto che lo osservava con quell’espressione mista di paura e sgomento, no, non poteva sopportarlo.
“Non ho mai voluto farti del male,” trovò la forza per sussurrare, “mai.”
E poi, prima di rifletterci più a lungo, prima di dare modo a Helen di fare qualsiasi cosa, si smaterializzò.

/ / / / / / /

Mark si materializzò direttamente all’interno del territorio di Lestrange Manor, una possibilità concessa solo in caso di emergenze. E quella doveva sicuramente essere una.
Nonostante fossero trascorsi solo pochi minuti da quando il Marchio Nero aveva iniziato a bruciare, già una decina di Mangiamorte si era radunata nel prato davanti al portone di ingresso della dimora dei Lestrange.
L'atmosfera era di palpabile tensione: tutti si osservano a vicenda con circospezione, cercando di capire il motivo di quella inaspettata convocazione.

"Ma si può sapere cosa diavolo succede?"
Un uomo grosso e tozzo si era appena materializzato davanti a Mark.
"Non lo so, Goyle," rispose il ragazzo, asciutto. La sua testa era come se fosse divisa a metà.
Da una parte c'era la preoccupazione, l'attesa per quella chiamata improvvisa e così forte, segno che qualcosa di importante stava per essere loro rivelato; dall'altra non poteva allo stesso tempo non pensare all'incontro con Helen. Era una trappola, una trappola e lui stava per caderci dentro con tutti e due i piedi.
Se solo fosse riuscito a utilizzare la maledizione Imperius…
"Penso che sia ovvio che qualcosa di importante è successo," fece notare Avery.
"O sta per succedere..." si intromise Goyle.

A porre fine a quella ridda di ipotesi e speculazioni ci pensò l'apertura del portone d’ingresso. Improvvisamente il mormorio cessò e tutti, lentamente, in silenzio, come si trovassero in una pagana processione, si avviarono ed entrarono nel Maniero.
Rabastan, sulla soglia, osservava tutti con aria di superiorità ma rimase in silenzio e si rifiutò di proferire parola di fronte alle varie domande dei Mangiamorte più curiosi.
"Rabastan in silenzio, questa sì che è nuova!" bofonchiò Goyle e Mark non poté non essere d'accordo.

Lentamente la processione di Mangiamorte raggiunse la solita sala con il lungo tavolo.
Voldemort, insieme ai Lestrange e a Macnair, era già seduto e osservava i suoi adepti prendere posto con un sorriso obliquo.
Dopo un breve inchino anche Mark sedette, osservando con attenzione il suo padrone, alla ricerca di una qualche espressione che potesse fargli comprendere il suo stato d’animo. Ma niente, gli occhi di Voldemort erano fissi sugli ospiti mentre Bellatrix e Macnair apparivano estremamente esaltati.
“Grande notizia in arrivo,” borbottò Marcus, che nel frattempo aveva preso il posto accanto a quello del giovane Shafiq.
“Sai di che cosa si tratta?” chiese Goyle, all’altro capo del tavolo.
“Abbassa la voce, maiale,” sibilò lo svedese. Poi, abbassò la voce e sussurrò a Mark: “pare che la missione con i giganti sia andata meglio del previsto…”

Nel frattempo tutti i Mangiamorte avevano preso posto e sul tavolo era calato un silenzio carico di tensione: tutti e venti i presenti osservavano Voldemort con gli occhi sbarrati, come in trance.
L’uomo finalmente parlò.
“Benvenuti, Mangiamorte. Negli ultimi giorni molte cose sono successe e, lo intuisco dalle vostre espressioni, vi starete chiedendo perché vi abbia convocato qui con così poco preavviso,” esordì, alzandosi in piedi. Alcuni Mangiamorte annuirono.
“Ebbene, sono lieto di potervi comunicare che la missione in Russia è andata meglio del previsto,” continuò Voldemort. “Una decina di giganti si sono uniti alla nostra causa, più altre creature che sono riuscito a convincere nel corso del mio lungo viaggio. Tutto è andato per il meglio, il piano di Lord Voldemort è completo.”

Mark si voltò e osservò Marcus.
“Il piano è completo?” sussurrò.
Marcus annuì, sorridendo.

“Nel corso degli ultimi mesi abbiamo tracciato un percorso per arrivare alla lotta finale contro questa società corrotta,” Voldemort disse, scandendo bene ogni singola parola, “e questo percorso è finalmente concluso.”
Con un schiocco delle dita, ventun flute di champagne apparvero, ognuno davanti a un Mangiamorte.
“Domani il Ministro della Magia troverà un ultimatum sulla sua scrivania,” riprese Voldemort, prendendo in mano il suo flute. “Con delle condizioni ben precise. Uno, l’abolizione dello Statuto di Segretezza, due l’allontanamento di tutti i Sanguesporco dalle cariche, sia pubbliche che private. Terzo, la possibilità che solo i Purosangue ricoprano le più alte cariche del Ministero e della società magica.”
L’uomo osservò attentamente i suoi Mangiamorte. Non volava una mosca.
“Se il Ministero si dimostrerà una donna… saggia e pragmatica, accetterà. Altrimenti…”
"Altrimenti sarà la guerra!” esalò Bellatrix, al suo fianco. Voldemort osservò la donna con un sorriso enigmatico. Poi sollevò il calice, imitato dagli altri.

“Comunque vada, da domani avremo un nuovo Mondo Magico inglese. Questo è l’inizio… l’inizio della fine di questo mondo corrotto dai Sanguesporco!” “Alla guerra!”
“Alla guerra! fu il grido che echeggiò lungo il tavolo.
Voldemort alzò il calice, imitato dagli altri.
“Brindiamo all’alba di un nuovo mondo!”

E Mark, mentre beveva, non poté non pensare a quanto quella giornata fosse stata strana, come se fosse durata non ventiquattro ma ottanta ore.
Prima Helen, ora questo.
Era guerra, sapeva che sarebbe arrivata, sapeva che la Jerkins non avrebbe mai accettato quei termini.
Che ci sarebbero stati numerosi morti.
Che le loro strade molto probabilmente non si sarebbero incrociate, forse solo sul campo di battaglia.
Aveva doppiamente fallito, non era riuscito a proteggerla e osservando lo sguardo di Helen non era riuscito a seppellire antiche emozioni.

Lo sguardo di Voldemort lo convinse a chiudere la mente, le emozioni e il cuore. Era guerra e gli Shafiq ne sarebbero usciti vincitori.

/ / / / / / /

E si conclude così questa fic. 25 capitoli, mai ero arrivato a tanto, che però compongono la prima parte di un progetto più ampio, a regola altre 2 long.
Vi ringrazio davvero tanto per le recensioni, chi ha messo la storia tra seguite/ricordate/preferite, chi ha solo letto.
Adesso mi prenderò un breve momento di pausa per portarvi un nuovo progetto e poi penso che ritornerò con il seguito entro Agosto/settembre ^^
Grazie ancora!

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