Cupid’s Bow

di douce hope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Guru dell’amore ***
Capitolo 2: *** Che il piano abbia inizio ***
Capitolo 3: *** Non lo avevo considerato ***
Capitolo 4: *** Ubriaco d'amore ***
Capitolo 5: *** Andrà tutto bene ***
Capitolo 6: *** Orologio ***
Capitolo 7: *** L'occasione perfetta ***
Capitolo 8: *** High School Musical ***
Capitolo 9: *** Pigiama Party ***
Capitolo 10: *** Libro aperto ***
Capitolo 11: *** Partita ***
Capitolo 12: *** La più bella ***
Capitolo 13: *** Primo bacio ***
Capitolo 14: *** Colpo di fulmine ***
Capitolo 15: *** Lento ***
Capitolo 16: *** Promessa ***



Capitolo 1
*** Guru dell’amore ***


Il suono della campanella mi riempie le orecchie e mi ridesta dal sonno in cui sono caduta.

Da occhio esterno potrei passare per una studentessa terribile, ma sfido chiunque a superare due ore di filosofia con il professor Parisi.

Di quella spiegazione avevo compreso solo una formula di Cartesio.

Cogito ergo sum.

Penso dunque sono.

Quella frase mi era penetrata violentemente nel cervello, come se fossi stata vittima di un incantesimo o fossi entrata in una specie di trance.

Cogito ergo sum. Cogito ergo sum. Cogito ergo sum.

Poi mi sono addormentata.

Forse immaginare di essere nel mio letto invece che a scuola  aveva conciliato il mio sonno, e di conseguenza fatto addormentare.

Una dimostrazione pratica della sua filosofia.

Se così fosse, meriterei un bel nove in pagella.

Il professor Parisi intanto sistema i suoi appunti nella borsa alzandosi a fatica dalla sedia.

Un po' mi impietosisce con i suoi sessantasei anni di età e la pazienza di gestire una classe di venticinque adolescenti rompiscatole e irrispettosi, ma d'altro canto penso sia giunto il suo momento di andare in pensione.

Sento un braccio scuotermi con forza obbligandomi a rialzare il busto ancora accasciato sul banco.

«Amy svegliati, adesso viene Colombo» mi rimprovera Alessandro seduto al mio fianco.

Alessandro Mancini, l'essere più presuntuoso che avessi mai conosciuto, ma stranamente anche il mio migliore amico.

Avete presento il ragazzo bello, popolare, che rende una classe famosa grazie alla sua presenza?

Ecco, proprio lui.

Immaginate una versione di me quattordicenne il primo giorno di scuola con indosso abiti di gusto discutibile, brufoli dovuti agli ormoni e senza un filo di trucco, che si ritrova come compagno di banco la copia del protagonista della fanfiction letta fino alla sera prima.

Qual era la prevedibile conseguenza?

Fare continue figuracce e prendermi una cotta per lui.

Poi fortunatamente sono cresciuta, ho smesso di leggere fanfiction per dedicarmi a romanzi più seri (sempre romantici ovviamente), e ho conosciuto la personalità di Alessandro.

E comunque i bad boy sono sopravvalutati.

Una volta entrati in sintonia la mia cotta passeggera è svanita e siamo arrivati a questo punto: due sedicenni che condividono le peripezie scolastiche e si sostengono a vicenda.

Poi, con qualche momento di ritardo dovuto al mio stato confusionale post dormita registro le sue parole.

Terza ora: matematica. 
Professoressa Colombo.

Istintivamente rabbrividisco per l'ansia.

Per essere una studentessa di un liceo linguistico, e dunque negata nelle materie scientifiche, sono abbastanza brava in matematica e non ho grandi difficoltà in  questa materia.

Il problema è la professoressa che la insegna, capace di incutere timore anche al secchione della classe che conosce persino il numero di pagine del libro.

La  professoressa Colombo è l'incubo degli studenti da ben tredici anni. 

Nella mia scuola la chiamiamo "l'uccello del malaugurio" e non può a esserci nome più calzante.

È leggermente strabica, e questo difetto la rende ancora più inquietante.

Avendo un occhio leggermente deviato riesce a vedere in diverse angolazioni e questo la rende invincibile.

Nessuno è mai riuscito a copiare ad un suo compito, fa infatti costruire delle "barriere" con gli zaini in modo da non poter guardare la verifica del compagno.

Nemmeno una sbirciatina è concessa, anche perché ti osserva come un falco (se vogliamo fare dell'ironia come un colombo) e non hai scampo. 

Le opzioni sono due: o si studia, o si prende un bel tre.

Alessandro più di tutti risente di questa situazione a causa della sua avversità nei confronti della matematica.

Il voto più alto che ha guadagnato è stato un quattro e mezzo.

Guardandomi intorno noto i miei compagni seduti composti, pronti al suo arrivo, come al solito.

Nel momento in cui entra in classe un silenzio incombe sulle nostre teste.

Non siamo di certo una classe nota per la sua tranquillità, ma la professoressa ha la capacità di zittire anche il più loquace degli studenti.

Dopo essersi accomodata guarda ciascuno di noi facendoci rimpicciolire sulla sedia.

«Oggi spiego» sentenzia.

Credo che anche gli uccellini fuori la finestra abbiano tirato un sospiro di sollievo.

Apre il libro e comincia a spiegare, ma nel momento stesso in cui apre la bocca la mia mente viaggia altrove.

Penso a cosa devo fare durante la giornata, dopo la scuola. 

Sicuramente studiare, poi andare a lezione di danza, aiutare mia madre con le faccende di casa e finalmente dormire.

La routine di una sedicenne che vive in piena monotonia.

Mi chiedo se qualcuno oggi avrà bisogno del mio aiuto.

Dopo un'ora piena di formule, numeri e anche lettere, la professoressa si sfila gli occhiali facendoci il peggiore degli annunci.

«Ho stabilito il compito per la prossima settimana»

Un brusio si solleva immediatamente nell'aula e la costringe a sbattere la mano sulla cattedra  per zittirci.

«Prof, non è troppo presto?» chiede coraggiosamente Alessandro seduto accanto a me.

Ho sempre ammirato questo suo lato spavaldo, ma ciò non significa che sia meno stupido.

Proprio lui con la sua media e il voto in pagella del primo quadrimestre avrebbe dovuto fare silenzio ed essere accondiscendente.

Non si tratta di essere lecchini, solo prudenti ed intelligenti.

La prof fa un sorriso paragonabile a quello di Joker.

«Mancini il secondo quadrimestre è già iniziato da un pò, quando vorresti farlo? Sarà meglio che ti metta a studiare, evitiamo un altro quattro in pagella» 

Con queste parole il mio amico ammutolisce colto nel segno.

Quando finalmente la lezione finisce non ho nemmeno il tempo di uscire dall'aula per l'intervallo che Alessandro mi si rivolge disperato.

«Che palle Amy! Non voglio prendere un altro voto basso o i miei questa volta mi ammazzano sul serio» 

I suoi occhi azzurri mi trasmettono la sua preoccupazione data dalla paura di perdere la cosa che ama di più: la musica.

Ale suona il basso ed ha anche una bellissima voce, purtroppo la sua passione non è vista di buon occhio dai genitori.

La considerano una distrazione allo studio, e di certo Alessandro non li tranquillizza molto studiando giusto il minimo indispensabile.

«Allora mettiti seriamente a studiare» replico severamente.

Non è nella mia indole essere dura, ma deve comprendere che per certe passioni ci vogliono anche sacrifici.

«Lo sai che non ci capisco nulla di questa roba!» mi ricorda con tono vagamente disperato.

Sospiro cercando una soluzione al suo problema.

«Perchè non ti fai aiutare da qualcuno? Mi offrirei io, ma sai che non sono una brava insegnante» gli propongo.

Ricordo che l'anno scorso studiammo insieme il giorno prima del compito, ma per quanto fossi brava non riuscivo proprio a fargliela capire quella maledetta materia, e avevo anche poca pazienza.

«Sì, ma chi? Non è che qui ci siano molti geni, eccetto tu, Giovanni che non aiuta nessuno, e...»

«Laura» concludo al suo posto.

Mi guarda per qualche secondo intuendo il mio suggerimento.

«Non se ne parla» è la irremovibile risposta.

Cocciuto che non è altro.

«Lo sai che potrebbe aiutarti, che ti costa?» provo a farlo ragionare 

«Ma l'hai vista? Quella mi odia!» 

«Odiare, che parolone! Non le stai molto simpatico tutto qui»

Mi lancia un'occhiataccia.

«Ok, ti odia, però quell'aiuto ti serve, non essere orgoglioso come tuo solito. La tua priorità è la musica? Dimostralo» convengo.

Sono sicura che le mie parole in qualche modo lo colpiscono.

A volte gli serve solo una spinta.

«Vedrò cosa posso fare» dice infatti alla fine.

Sorrido fiera di lui.

Tra Alessandro e Laura non scorre buon sangue e non ho mai capito il perchè, soprattutto dato che principalmente è Laura che lo odia.

Una volta le ho anche chiesto il motivo del suo disprezzo e mi ha detto: "Perchè è un pallone gonfiato pieno di sé» 

E purtroppo tanti torti non ha sebbene gli voglia molto bene.

Alessandro ha sicuramente molta autostima, ma questo non significa che sia un cattivo ragazzo.

Io ho i miei (innumerevoli) difetti, lui i suoi. 

Quando si accettano allora l'amicizia più definirsi sincera. E la nostra lo è.

Usciamo dall'aula per goderci l'intervallo e mi dirigo alle macchinette non sorprendendomi quando trovo una fila più lunga di quella per entrare al Louvre.

Decido di aspettare che la fila scorra e mi avvicino alla finestra che da sul giardino aspettando Vittoria.

Io e Vittoria ci conosciamo dall'asilo e da quel momento non ci siamo più separate, e fortunatamente, nonostante abbia scelto il liceo classico, frequentiamo la stessa scuola.

Quando la vedo arrivare da in fondo al corridoio alzo le mani per farmi notare da lei.

Al suo passaggio parecchi ragazzi le dedicano un'occhiata, ma non mi sorprende dato la sua bellezza.

In pratica i miei due migliori amici potrebbero fare i modelli per la pubblicità di Dolce e Gabbana, mentre io al massimo la pubblicità dei pigiami per bambini.

Ma pensandoci neanche quella, dato la ciccia accumulata sui fianchi.

Anzi meglio definirli maniglie dell'amore che con il mio essere Cupido calza a pennello.

Certo, a ben vedere vengono definiti in questo modo per determinate occasioni passionali, ma non è questo il mio caso.

Non siamo mica in Sex Education, e di certo la mia vita non è figa come nelle serie tv.

Se lo fosse sarei sempre circondata da fusti innamorati di me, o almeno questo è quello che succede nelle telenovelas che si vede mia nonna alle tre del pomeriggio.

Nella vita vera invece, l'unica cosa che mi fa avvicinare all'amore è il mio ruolo di Cupido.

Non so precisamente quando ho deciso che sarebbe diventata una faccenda seria, all'inizio infatti è partito tutto come un semplice consiglio d'amica.

Il mio primo cliente infatti è stato Marco, l'attuale fidanzato di Vittoria.

Marco è il mio vicino di casa, va in quinta superiore ed è innamorato di Vittoria da quando portava l'apparecchio.

Di solito le ragazze a dodici anni sono in una fase di crescita che noi tutte chiamiamo "il periodo oscuro" che di norma coincide con le scuole medie.

Ah le medie, dovrebbero finire nel dimenticatoio insieme alle foto scattate in quel periodo.

Ad ogni modo Vittoria era ovviamente l'eccezione, perché gnocca ci è nata e del suo fascino è rimasta colpita persino l'ostetrica.

Marco la vedeva sempre venire a casa mia per "studiare" e dopo ben tre anni in cui si limitava solo a salutarla era riuscito a parlarle.

Di cosa non l'ho mai saputo, ma Vittoria quel giorno entrò in casa mia dicendomi "Simpatico il tuo vicino" e io che conoscevo la secolare cotta di Marco decisi di intervenire.

Mi presentai alla sua porta e gli dissi solo "Vittoria ama i garofani e la cioccolata calda"

E il resto è storia.

Dopo Marco si è presentata sua sorella minore che frequenta il secondo anno nella nostra scuola e la voce si è sparsa per i corridoi.

Non sono di certo una persona popolare in questo istituto, però tutti sanno che in queste mura una ragazza da consigli d'amore, e i più coraggiosi mi si rivolgono per chiedermi un parere, o semplicemente per trovare la spinta necessaria per confessare i propri sentimenti. 

La verità è che non sono mai stata innamorata, quindi non pensavo sarei riuscita davvero ad aiutare degli adolescenti arrapati, ma alla fine mi sono resa conto di essere brava.

Forse dell'amore non capisco nulla, ma so leggere le persone.

Non avrò il QI di Giovanni, il secchione della classe, non avrò l'eleganza di Vittoria o la simpatia di Alessandro ma se c'è una sola cosa in cui mi ritengo eccellente è la capacità di empatizzare con il prossimo e capire le persone con un solo sguardo.

Quando Vittoria mi raggiunge mi da un veloce abbraccio e decidiamo di uscire nel cortile.

Aprile è alle porte e anche se non è una bellissima giornata di sole, fa sempre bene prendere un pò d'aria.

Ci sediamo sul marciapiede vicino il campetto da calcio/basket/pallavolo o qualsiasi altro sport a cui ,in ogni caso, non ho mai partecipato, e Vittoria mi offre metà della sua merenda.

«Come farei senza di te?» le chiedo giocosamente.

In realtà è davvero la mia ancora di salvezza, capace di sistemare il casino che ho nella testa.

Siamo un pò gli antipodi, lei così alta e snella, io minuta ma allo stesso tempo più formosa.

Non solo fisicamente ma anche nel carattere siamo diverse, lei più concreta e realistica, io sempre positiva e talvolta ingenua.

Ci completiamo nelle nostre mancanze e ci sopportiamo nelle nostre divergenze.

«Saresti sempre affamata a ricreazione» mi risponde facendo riferimento alla mia attuale situazione.

In effetti ho la innata capacità di dimenticare ogni cosa importante, che sia una uscita, un compito o la merenda a casa.

«Hai ragione» concordo con lei.

Cominciamo a mangiare in silenzio mentre osserviamo alcuni ragazzi, tra cui Alessandro cominciare una partita di calcio improvvisata.

Ogni occasione è buona per giocare con quella palla, nonostante giocando comincino a sudare e di conseguenza puzzare, e noi povere compagne di classe dobbiamo passare le seguenti ore con quel fetore.

«E ti pareva» commenta infatti Vittoria guardando verso di loro.

Non ho idea di come si siano procurati un pallone, forse rubandolo dalla palestra, ma comincio a sentire l'odore di testosterone da qui.

Saranno anche partite amichevoli, ma una volta in campo diventano dei leoni.

Osservo Alessandro incitare i suoi e i miei compagni di classe in veste da capitano per poi tornare a rincorrere il pallone.

Noto alcune ragazze ferme a fissarlo con la bava alla bocca e di conseguenza un sorriso spunta sul mio viso.

Tipico anche quello.

Tra la folla di ragazze mi accorgo anche di una di loro che stona con le altre in quanto intenta a messaggiare disinteressata alla partita.

«Laura!» urlo chiamandola alzando le braccia in modo che mi veda.

Alza lo sguardo verso di me e mi sorride appena mi vede. 

Si alza da terra pulendosi i jeans e si avvicina a noi.

«Hey! Ciao Vic» ci saluta sedendosi al nostro fianco.

«Come va?» le chiede Vittoria.

Io e Laura siamo entrate subito in sintonia il primo anno e spesso usciamo noi tre insieme.

All'apparenza non potremmo essere più diverse ma in realtà viaggiamo sulla stessa lunghezza d'onda.

«Starei meglio se questi idioti non urlassero come pazzi rovinandomi l'intervallo» risponde riferendosi ai ragazzi che effettivamente non sono propriamente silenziosi.

Vittoria ride della sua espressione imbronciata e infastidita, anche se il novanta per cento delle volte lo è.

Credo che Laura abbia una vera e propria avversione nei confronti del genere maschile.

Non l'ho mai vista cotta di qualcuno o quantomeno incuriosita, e se neanche il mio radar di Cupido è riuscito a captare qualcosa, allora davvero non è interessata.

Infondo ha ragione, i maschi provocano solo danni.

«Uomini» commento infatti.

«Bambini semmai» risponde piccata.

Vittoria in mezzo a noi alza gli occhi al cielo e circonda le nostre spalle con le braccia.

«Come siete ciniche amiche mie!» ci rimprovera scherzosamente.

Facile per lei dirlo con un fidanzato perfetto al suo fianco.

«I ragazzi non sono tutti uguali. Per esempio a Marco non piace il calcio» continua.

Laura sbuffa disapprovando la sua affermazione.

«Di base resta un maschio, e dunque ragiona con un altra parte del corpo come tutti» le risponde. 

Ecco che ricomincia.

«Dai Laura infondo Vittoria ha ragione. Non tutti sono stupidi, esistono anche ragazzi che pensano prima di agire» 

«Ne dubito» 

«Almeno sono belli da guardare» interviene Vittoria indicandoli con il mento, soprattutto Alessandro che attira molti sguardi su di sé.

L'espressione di Laura si inacidisce ancora di più e apro la bocca pronta a replicare, quando un gridolino alle mie spalle mi distrae.

«Oddio è arrivato anche Michele Costa!» sento dire una di loro.

«Mancini e Costa insieme sono illegali, anche se nessuno è più bello di Alessandro» risponde l'amica.

«Ma hai visto Costa? Con quell'aria perennemente seria mi fa venire certi pensieri..» si intromette una terza.

Decido di smettere di ascoltare proprio in quel momento.

Sposto lo sguardo verso il campo e lo vedo.

Michele Costa intento a parlare con Alessandro.

Mi soffermo sulla sua figura alta e composta in netto contrasto con quella sudata di Alessandro.

«Eccone un altro, Michele, anche lui di certo non è un idiota» afferma Vittoria.

Michele Costa è il ragazzo più ambiguo che abbia mai conosciuto.

Mi è sempre risultato semplice inquadrare le persone, ma Costa è indecifrabile.

Un muro è più espressivo di lui.

L'unica cosa di cui sono certa è che non sopporto quella sua facciata di Mister Perfettino e la sua aria di superiorità.

Solo perché indossa le polo ed è un genio non lo autorizza a credersi migliore di noi.

Non ho mai capito come Alessandro possa essere un suo caro amico da ormai più di un anno.

Michele si è trasferito nella nostra scuola in seconda superiore; un ragazzo come lui non passa sicuramente inosservato ma ciononostante era sempre solo.

Poi un giorno lo vidi parlare con Alessandro vicino le macchinette, e anche il giorno dopo e quello dopo ancora.

Ale mi disse che Michele era entrato nella squadra di calcetto e da allora sono diventati inseparabili.

Amici per le palle insomma.

Al suo compleanno organizzò una festa a casa sua e per la prima volta ci presentammo.

Non posso negare che Michele sia oggettivamente un bel ragazzo e che abbia gli occhi più verdi che abbia mai visto, ma oltre a quello ai miei, di occhi, è insopportabile.

Guarda gli altri sempre con sufficienza e a quella famosa festa quando cercai di instaurare una conversazione inventò una scusa e se ne andò.

Da lì smisi di trovarlo attraente come facevano tutte e lo classificai nella categoria "maleducato".

«No Vic, lui è il numero uno degli idioti» contesto continuando a fissarlo.

All'improvviso si volta nella nostra direzione e non ho il tempo di distogliere lo sguardo che mi ritrovo i suoi smeraldi addosso.

Immediatamente giro il viso da un'altra parte fingendo di osservare il campo e mi sento arrossire.

Che figura di merda.


 

Quando la campanella dell'ultima ora suona tiro un sospiro di sollievo stanca dopo sei ore di lezione.

Mi chiedo chi organizza l'orario scolastico perché dopo tre ore consecutive di inglese, francese, e spagnolo, non riesco neanche a parlare in italiano.

Dopo aver salutato Alessandro, Laura e Vittoria fuori scuola mi avvio alla fermata dell'autobus nella speranza che passi il prima possibile.

Ovviamente è solo una speranza vana, un pò come quando desideri mangiare una vaschetta di gelato al giorno e non ingrassare.

Di fatto attendo un quarto d'ora e del pullman non vedo neanche l'ombra.

I miei capelli mossi stanno cominciando ad assumere le sembianze di un cespuglio, quindi decido di legarli in una coda alta.

Alzando le braccia noto la maglietta leggermente bagnata al lati delle ascelle, sintomo di quanto in questo momento stia sudando.

Velocizzo i miei movimenti onde evitare di mostrarle troppo a lungo.

«Ciao» 

Mi paralizzo con le braccia alzate a mò di ladro colto in flagrante.

Riconosco la voce alla mia destra e di scatto abbasso le braccia sentendo i capelli ricadermi sulle spalle.

Michele mi guarda serio in volto come al suo solito mentre io realizzo di aver fatto la seconda figura della giornata.

E sempre con lui. 

«Ciao» lo saluto leggermente sorpresa.

Ok, molto sorpresa.

Mai mi ha salutato di sua spontanea volontà e da come continua a guardarmi sembra voglia dirmi qualcosa.

Di solito ci limitiamo a scambiarci saluti solo quando la circostanza lo richiede, non abbiamo mai intrapreso una vera conversazione.

Credo che anche io non gli sia molto simpatica.

«Ti serve qualcosa?» chiedo dato il suo silenzio.

L'occhio mi cade involontariamente sui suoi capelli bruni perfettamente sistemati.

Com'è possibile che lui sia così composto mentre i miei capelli stanno assumendo la forma di quelli di Merida?

Michele intanto si schiarisce la voce mostrando un segno di nervosismo.

Michele Costa nervoso? 

Ok, sto cominciando a preoccuparmi.

«Veramente si» risponde con voce sicura nonostante l'impressione appena data.

Faccio un cenno incitandolo a continuare.

«Ale mi ha detto che sei una specie di guru dell'amore, è vero?»

Stranita non mi resta che annuire.

«Conosci Rebecca Formisano?» chiede dunque.

Quella domanda mi sorprende nuovamente.

Rebecca Formisano è considerata da molti la ragazza più bella della nostra scuola; chi non la conosceva?

Inoltre è una compagna di classe di Vittoria quindi ci siamo ritrovate a parlare diverse volte.

Oltre che bella è anche estremamente gentile e simpatica.

«Sì» rispondo dunque.

«Mi servirebbe il tuo aiuto con lei» afferma.

Mi sta seriamente chiedendo di fargli da Cupido?

Io?

Amanda Croce, ragazza che ignora da quando la conosce? 

«Sei serio?» mi viene spontaneo chiedere.

Il suo sguardo si acciglia per un istante per poi tornare il ghiacciolo di sempre.

Allora è umano!

«Ti sembra stia  scherzando?» 

No, in effetti Michele Costa è tante cose tranne un tipo scherzoso.

La sua richiesta mi ha letteralmente spiazzata e mi tocca anche decidere velocemente.

Di solito quando una persona chiede il mio aiuto non mi faccio scrupoli, non ho mai dovuto pensare se accettare o rifiutare.

«Allora? Mi aiuti?» chiede una seconda volta.

Immagino stia cominciando a innervosirsi.

Come posso aiutare un ragazzo che non sopporto e che a sua volta non si degna nemmeno di salutarmi quando ci incrociamo per i corridoi?

Non conosco nulla di lui e tantomeno di Rebecca.

Certo, la conosco e conversiamo quando ci incontriamo, ma definirla mia amica mi sembra eccessivo.

Torno a guardarlo in quegli smeraldi che si ritrova come occhi e decido di essere Cupido senza lasciarmi influenzare.

Infondo è Michele Costa, sarà facile falla cadere ai suoi piedi.

«Vabene» accetto.

Una parte di me rimprovera l'altra per la sua stupidaggine e quando lo vedo allontanarsi dopo un semplice (e tipico) cenno di saluto, non posso che concordare con lei.

In che guaio mi sono cacciata?
 

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Capitolo 2
*** Che il piano abbia inizio ***


Mia mamma dice sempre che vivo più sulle nuvole che sulla terra ferma.

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non mi sono mai offesa per questa affermazione.

Che male c'è a sognare ad occhi aperti?

Su quelle nuvole immagino tante cose: diplomarmi con un bel cento (anche se mancano ancora due anni), eseguire un assolo al saggio di danza, e incontrare l'amore.

Il romanticismo scorre nelle mie vene a pari passo del sangue, ma ciononostante sono sempre stata selettiva.

Ho sempre voluto un ragazzo serio al mio fianco, non ha alcun senso per me iniziare un qualcosa di precario e temporaneo.

Forse è per questo che non ho mai dato un bacio a qualcuno.

Molti alla mia età mi considererebbero pesante, infondo l'adolescenza è il periodo delle esperienze, dei drammi, dei tira e molla, dei baci dati in discoteca agli sconosciuti e delle foto di coppia postate su Instagram e che il mese dopo si lasciano.

Ebbene io non voglio quello, voglio l'amore che ho sempre letto nei libri.

Magari non sarà così eclatante come viene descritto, ma almeno è sincero.

Questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad essere Cupido. 

Voglio che tutti incontrino la persona giusta per loro, e anche se non sarà per sempre e non vivranno felici e contenti, proveranno sentimenti genuini.

Vittoria non ha mai approvato il mio ruolo di Cupido, sebbene sia stata la prima che abbia fatto innamorare.

O meglio, aprire gli occhi.

Io non faccio innamorare nessuno, non ho questo superpotere, però faccio in modo che possa succedere.

Prima di tutto è importante conoscere i soggetti in questione e trovare delle affinità.

Gli opposti si attraggono ma i simili non rompono le scatole.

Di seguito mi impegno a creare le giuste circostanze per far incontrare e conoscere la coppia.

Non siamo fatti per amare chiunque, ma spesso sono anche le situazioni di contorno che fanno la differenza.

Fortunatamente sono sempre riuscita nel mio intento e diverse coppie in questa scuola si sono create grazie al mio intervento.

Considerando il mio modus operandi, come avrei potuto aiutare Michele Costa?

Più penso alla sua proposta, più mi rimprovero per la mia idiozia.

Come posso aiutare un ragazzo di cui conosco solo il nome e che non sopporto?

Il secondo dopo aver accettato mi sono resa conto che per completare il lavoro dovrò passare del tempo con lui.

Devo essere a conoscenza dei suoi gusti, delle sue passioni e dei suoi interessi.

Insomma della sua persona a trecentosessanta gradi.

Poi mi chiedo come gli sia venuto in mente di affidarsi a me.

Si è visto allo specchio?

Non ha di certo bisogno del mio aiuto per conquistare una ragazza.

Ovviamente oltre l'aspetto fisico è importante anche il carattere, ma quell'aria misteriosa che si porta dietro non lo rende di certo noioso.

Ogni minuto che passa mi pento maggiormente della mia scelta.

«Michele Costa innamorato?» mi chiede Vittoria sorpresa.

Dopo aver pranzato velocemente l'ho chiamata in cerca di conforto. Sa benissimo quanto quel ragazzo non mi vada a genio e inoltre conosce Rebecca meglio di me; è fondamentale ai fini di questa storia.

«A quanto pare» rispondo con tono funereo.

In questo momento vorrei solo prendere una pala e sotterrarmi.

«Questa sì che è una novità!» commenta entusiasta.

Forse non si rende conto della gravità della situazione.

Posso comprendere il suo stupore, infondo sembra che Michele viva in un mondo tutto suo dove le ragazze non hanno accesso.

Una Laura al maschile insomma.

«Capisci che ha chiesto il mio aiuto? E io gli ho detto anche sì!»

Mia sorella maggiore Samanta mi definisce sempre una regina del Melodramma e infondo non posso darle torto.

Mi piace pensare positivo in ogni occasione, ma quando qualcosa mi preoccupa diventa una faccenda di Stato.

«Amy non è nulla di diverso rispetto a passate richieste» cerca di consolarmi Vittoria dall'altra parte.

Invece è diverso.

Almeno per me.

«Vic, non so se te ne sei mai resa conto, ma io e Michele non ci sopportiamo!» le faccio notare dato che sembra aver dimenticato questo dettaglio.

Eppure ogni volta che ci troviamo nella stessa stanza, lei è accanto a me.

«Se ha chiesto il tuo aiuto evidentemente non gli stai così antipatica» 

Mi prendo qualche secondo per elaborare il suo punto di vista.

Ripenso alla prima volta che ci siamo incontrati, due mani che si stringono e lui che si allontana.

Ripenso alle volte seguenti, ai miei timidi saluti tra i corridoi e i suoi occhi fissi davanti a sè.

Ripenso a tutte le altre occasioni in cui ci siamo incontrati, io che lo ignoro e lui che fa altrettanto.

Non è di certo l'atteggiamento di un ragazzo che prova simpatia nei miei confronti.

Inoltre non ho mai capito da cosa nasca quest'astio. Cerco di essere gentile con tutti e non ho mai assunto un comportamento scorretto nei suoi riguardi.

Forse è un'antipatia spontanea, un po' come un colpo di fulmine al contrario.

Può capitare infatti che determinate persone non ci facciano buona impressione al primo colpo.

Evidentemente io ne ho fatta una pessima ai suoi occhi perché nell'ultimo anno la conversazione più lunga che abbiamo avuto è stata di cinque frasi.

«AMANDA VIENI QUI!» sento mia madre chiamarmi dalla cucina.

Sbuffo per l'interruzione e del relax post pranzo rovinato.

In questa casa non si possono avere un paio d'ore di pace.

«Vic devo andare, mia mamma mi sta chiamando» la informo cominciando ad alzarmi dal letto dov'ero beatamente stesa.

«Vabene, ma stai tranquilla, ti aiuto io con Rebecca!» mi dice allegramente.

È incredibile come sembri più entusiasta del diretto interessato.

«Grazie, a domani» la saluto riconoscente e poso il telefono sul letto.

Quando arrivo in cucina trovo mia madre seduta al tavolo insieme a mia sorella Samanta.

Stanno parlando a bassa voce e non riesco a comprendere l'argomento della conversazione.

Quando mia madre mi vede sulla soglia si schiarisce la voce e ciò induce mia sorella a voltarsi nella mia direzione.

«Che succede?» chiedo guardinga.

Sebbene mi abbiano chiamata loro, ho la sensazione di aver interrotto una conversazione importante.

A differenza mia Samanta è sempre stata molto aperta ed estroversa.

Quando qualcosa la fa star male lo dice espressamente, quando è triste motiva il suo stato d'animo, e quando è felice lo si vede chiaramente.

Anche questo lato del suo carattere le ha permesso di costruire un rapporto così stretto con mia madre, fatto di confidenze e consigli.

Io invece, a differenza sua, non racconto mai nulla.

Forse perché infondo non c'è nulla di entusiasmante da raccontare o forse perché non mi sento a mio agio nel farlo.

Ad ogni modo questo atteggiamento mi insospettisce.

Samanta punta i suoi occhi azzurri su di me per qualche secondo, poi si alza dalla sedia.

«Mi accompagni a comprare un vestito? Mamma non può» mi chiede avvicinandosi. 

«A che ti serve?» 

Fare shopping alle quattro di pomeriggio non mi eccita particolarmente, soprattutto se ciò implica andare al centro commerciale.

«Domani sera devo andare ad una festa di un amico di Ludovico» spiega brevemente.

Ludovico è il suo fidanzato storico, stanno insieme dai tempi del liceo, e considerando che mia sorella sta per laurearsi alla triennale, direi che è un tempo abbastanza lungo.

Ricordo ancora quando lo presentò alla famiglia: una delle poche occasioni in cui l'ho vista seriamente preoccupata.

Fortunatamente Ludovico piacque subito ai miei e non è stato difficile affezionarsi a lui, anche se quando litigano Samanta diventa ingestibile.

«Non può accompagnarti lui?» chiedo nella speranza di evitare una sessione di shopping.

Si parte da un vestito e si arriva a tutto il negozio.

«No altrimenti non te lo avrei chiesto» risponde con tono leggermente innervosito.

Che simpatia.

Io e mia sorella abbiamo quel tipico rapporto amore-odio e mi sa che adesso siamo nella fase "non ti sopporto".

Di base andiamo d'accordo, ma quando due caratteri sono quasi totalmente opposti, le discussioni sono inevitabili.

Onde evitare litigi inutili decido di accompagnarla anche se tra tre ore ho lezione di danza.

Spero solo di fare in tempo.

 

«Che te ne pare di questo?» mi chiede Sam mostrandomi un vestito verde e leggermente scollato. 

Lo osservo un paio di secondi per poi decretare un semplice «Carino».

Odio i centri commerciali.

Odio l'aria condizionata sparata a palla neanche fossimo in pieno agosto e in questo momento sto odiando anche mia sorella che non riesce a decidersi.

Siamo qui da due ore e abbiamo girato un totale di cinque negozi.

Sto facendo forza su tutta la mia (poca) pazienza, ma il mal di testa non aiuta e nemmeno Samanta che mi guarda con disappunto.

«Lo stai dicendo di tutti i vestiti che ti mostro» 

«Perché sono tutti carini» mi giustifico.

Infondo è la verità, anche se alcuni non li ho nemmeno osservati con attenzione.

«Vado a provarlo, ho capito» dice cominciando ad andare verso i camerini.

Finalmente.

Mentre Sam prova il vestito recupero il telefono abbandonato nella borsa da un paio d'ore e trovo alcuni messaggi.

Uno è di Laura che mi chiede un confronto sugli esercizi di matematica, un altro è di mia madre che ci avrà dato per disperse, e un ultimo messaggio da parte di un numero sconosciuto.

Lo apro immediatamente. 

"Possiamo parlare domani mattina prima delle lezioni?

-Michele"

Rileggo quel messaggio un paio di volte con un nodo alla gola.

Mille pensieri mi vorticano nella testa.

Prima di tutto: come ha avuto il mio numero?

Secondo: di cosa deve parlarmi?

Terzo: cosa gli devo rispondere?

Questo ragazzo non smette di stupirmi, e se fino a ieri pensavo di essere solo un moscerino che gli dava fastidio, adesso non so più in cosa credere.

Prima mi ignora, poi chiede il mio aiuto e adesso manda messaggi.

E come abbia avuto il mio numero resta sempre un mistero.

«Che te ne pare?» Samanta esce dal camerino improvvisamente distraendomi. 

Mi concentro su di lei e la osservo mentre si posiziona davanti allo specchio.

È davvero bellissima, e il vestito leggermente aderente le calza a pennello.

«Stai benissimo» le rispondo sincera.

Samanta è di una bellezza smagliante e quest'abito non fa che risaltarla.

Sebbene ai miei occhi appari stupenda la vedo scrutarsi allo specchio con aria scettica.

Alza il vestito per coprirsi il seno e poi lo riabbassa perché troppo corto.

«Non è troppo scollato?» mi chiede intimorita.

La scollatura a cuore non è per niente generosa, il petto si intravede pochissimo e la fascia in maniera delicata ed elegante.

L'abito non è affatto volgare e questa domanda mi stupisce.

È sempre stata un tipo eccentrico, le piace mettersi in mostra e soprattutto non ha vergogna del suo corpo.

«Assolutamente no, altrimenti te lo avrei detto» le rispondo cercando di convincerla.

Si gira di spalle e continua ad osservarsi con aria critica.

C'è qualcosa che non la convince.

«Non mi piace» sibila infatti alla fine.

Faccio per ribadire il mio parere ma si dilegua velocemente nel camerino senza lasciarmi parlare.

Oggi è particolarmente strana e sospetto che c'entri qualcosa la conversazione con mia madre.

Di cosa stavano parlando?

Perché non posso esserne anche io partecipe?

Essere la minore di casa non è sempre così semplice , perché è come se avessi due madri invece che una e Samanta non si apre quasi mai con me.

Non che io lo faccia, ma vorrei che sapesse che io sono sempre pronta ad ascoltarla.

Mentre rifletto su cosa possa aver scatenato questo comportamento in mia sorella sento il suono di una notifica.

"Allora?"

È ancora Michele.

Ma cosa vuole da me oggi?

Decido di salvare il suo numero in rubrica per evitare di visualizzare suoi messaggi futuri prima del tempo e replico velocemente.

"Vabene"

Quando Samanta esce dal camerino noto la sua faccia funerea e le propongo di andare in un altro negozio.

«Non importa, so che devi andare a danza»

Non riesco a vederla in questo modo, con gli occhi spenti così come il sorriso.

«Mi ha appena chiamato l'insegnante, ha detto che la lezione di oggi è annullata» le dico indicando il telefono ancora stretto nella mano.

Mi fissa per qualche secondo non bevendosi la mia bugia.

«Non è vero» dice sicura delle sue parole.

«È verissimo!» Affermo alzando le mani per suggerire la veridicità delle mie parole.

Finalmente vedo un sorriso comparire sulle sue labbra e di riflesso la imito.

«Vabene andiamo, compro qualcosa anche a te»

Mi prende a braccetto e usciamo dal negozio pronte ad altre ore di shopping.

Povera me.


 

Ansia.

Ho sempre odiato questa parola, che seppur breve raccoglie mille sensazioni diverse.

Proprio come l'amore.

L'ansia accompagna quasi interamente l'adolescenza, e quasi in ogni occasione fa capolino senza chiedere il permesso.

Interrogazione a sorpresa? Ansia.

Saggio di danza? Ansia.

Primo appuntamento? Ansia.

Ansia, ansia, ansia.

Che brutta sensazione.

In una relazione la frase che scatena la più grande delle ansie è "Dobbiamo parlare"

Puri brividi.

In sedici anni di vita non mi sono mai ritrovata in quest'ultima situazione (uno dei vantaggi di essere tristemente single dall'anno zero) ma credo che chiunque l'abbia sperimentata non deve essersi sentito molto diversamente da me in questo momento.

Sono le sette e cinquanta del mattino e sto aspettando Michele vicino il campetto.

Quel "possiamo parlare" mi ha scombussolato più del previsto e non faccio che pensarci da ieri pomeriggio.

Mi guardo intorno e non mi sorprende vedere solo pochi studenti con zaino in spalla e con ancora la forma del cuscino sul viso.

C'è chi chiacchiera e chi si limita ad ascoltare in religioso silenzio, chi invece con le cuffiette nelle orecchie si è estraniato da tutto il resto.

Di norma appartengo a quest'ultima categoria, ma oggi la mia routine è stata stravolta, a cominciare dalla sveglia suonata prima del solito.

Ho fatto un'abbondante colazione (infondo è il pasto più importante della giornata), mi sono lavata con calma e ho trascorso il restante tempo a decidere cosa indossare.

A un certo punto mi sono rimproverata da sola, stavo spendendo tempo a scegliere cosa mettere solo perché mi dovevo vedere con Michele.

Che stupida.

Mi vede tutti i giorni a scuola con i miei soliti jeans e maglietta, non c'è nulla di diverso in quest'incontro.

A parte il fatto che deve parlarmi di non si sa cosa, si intende.

Dio, quanto odio questa sua aria di mistero che deve incutere a tutti.

A me piace la chiarezza e la trasparenza, detesto quando qualcuno si nasconde nelle parole o svia un discorso a proprio piacimento.

Ecco un altro motivo per cui io e Michele non possiamo andare d'accordo.

Neanche lo avessi invocato mentalmente lo vedo varcare il cancello della scuola e guardarsi intorno.

Indossa un giubbino di jeans, e un paio di pantaloni color kaki.

Come al solito i capelli leggermente riccioluti sono sistemati a regola d'arte.

Mi chiedo quanto tempo impieghi la mattina per pettinarli; sicuramente più di me dato che li spazzolo per circa quindici secondi.

Quando finalmente mi vede ho un leggero sussulto.

Non sono abituata ad essere osservata da lui.

Un'altra cosa che mi infastidisce è la sua abilità di incutermi disagio.

È un ragazzo come tanti altri, ma quando è nei paraggi mi sento sempre sotto pressione.

Sarà quell'indifferenza che riempie i suoi tratti, o il fatto che sia un amico così stretto di Alessandro, ma quando siamo nella stessa stanza ho sempre i nervi a fior di pelle.

Sarà facilissimo aiutarlo date le premesse.

Prima che me ne accorga me lo ritrovo davanti e i suoi occhi scrutano la mia figura.

Come sempre la sua espressione non fa trapelare nulla.

Non sia mai che un emozione lo percuoti.

«Ciao» saluto per prima.

Sono ansiosa di sapere cos'ha da dirmi così potrò entrare felicemente in classe.

«Ciao» ricambia il saluto.

Aspetto qualche secondo in attesa.

La mia espressione eloquente evidentemente lo induce a parlare.

«Volevo solo ringraziarti per il tuo aiuto»

Dopo un secondo di smarrimento cerco nei suoi occhi un segno di menzogna.

Nulla.

Mi sta ringraziando davvero?

Ammetto che questa è l'ultima cosa che mi sarei aspettata da lui, ma contrariamente al solito mi sorprende in positivo.

Sarà tante cose, ma questo prova che non è maleducato.

E alla mia età è già molto.

«Figurati» mi limito a rispondere.

Non mi è ancora chiaro il perché di quest'incontro all'agente segreto, ma decido di tenermi il dubbio.

«Volevo sapere anche come hai intenzione di procedere» continua.

Bella domanda.

Devo solo dirgli: 
"Michele dato che sei apatico come un armadio e non so nulla di te dobbiamo passare del tempo insieme, stessa cosa vale per Rebecca.
Ma tranquillo è tutto sotto controllo.
Ah e per la cronaca, non ti sopporto"

Facile no?

Decido di essere parzialmente sincera.
L'importante è essere chiari ed evitare malintesi.

«Ci sto pensando, però ho già qualcosa in mente»

E quel qualcosa prevede l'aiuto di Vittoria.

Annuisce senza nulla da aggiungere.

«Però..» riprendo attirando nuovamente la sua attenzione, «devo conoscere qualcosa di te. Sei disposto ad aprirti con me?» gli domando seria.

Fissa i suoi occhi nei miei senza esitazione, come mai l'ho visto.

«Tutto per conquistarla» afferma solennemente.

Bene, che il piano abbia inizio.

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Capitolo 3
*** Non lo avevo considerato ***


Rebecca Formisano ha lunghi capelli neri e una pelle diafana.

Quando cammina per i corridoi lascia sempre una scia di profumo al suo passaggio.

I suoi occhi scuri e profondi rapiscono chiunque, infatti, alla sua vista, il primo pensiero che colpisce un normodotato dai quattordici anni in su non dev'essere molto casto. O comunque riportabile a dei minori.

Quanto a me invece, la prima volta che l'ho vista sono rimasta colpita dalla sua altezza.

Per una ragazza di un metro e sessanta tondi, vedere una coetanea con circa dieci centimetri in più è sorprendente; oltre che demoralizzante. 
La sua figura slanciata e sorridente è il sogno proibito di molti, e se fossi nata uomo o con preferenze sessuali diverse, probabilmente ne sarei rimasta affascinata anch'io.

Non mi sorprende dunque che la scelta di Michele sia ricaduta proprio su di lei, anche se questo rende ancora più difficile il tutto.

Devo solo pregare tutti i Santi in Paradiso che non sia già sentimentalmente impegnata, altrimenti perderei in partenza.

Sono dieci minuti buoni che la osservo mentre chiacchiera con alcune sue amiche. Sembro una stalker in piena regola, e più il tempo passa più perdo il coraggio di farmi avanti.

«Amy ti vuoi muovere!» mi rimprovera Vittoria al mio fianco, spazientita per aver trascorso l'intervallo ad osservare una sua compagna di classe.

Come biasimarla.

Il punto è che il mio coraggio è andato in vacanza insieme alla mia intelligenza nel momento in cui ho scelto di aderire a questa pazzia.

«Ripetimi il piano» le sussurro, come se Rebecca potesse effettivamente sentirci a questa distanza.

Vittoria sbuffa sonoramente alzando gli occhi al cielo. Credo che tra poco mi abbandonerà sul serio.

«È la terza volta che lo ripeto! Me lo ricordo, va bene?» sentenzia non potendone più del mio temporeggiare.

«È l'ultima volta» la rassicuro.

Dopo aver emesso un'imprecazione nei miei confronti comincia a ripetere, «Ci avviciniamo a Rebecca e la salutiamo»

«E fin qui tutto bene» la interrompo.

Mi lancia un'occhiataccia che mi zittisce all'istante.

Alzo le mani in segno di resa.

«Poi le diciamo che sabato c'è una serata al Barracuda e ci servono persone per entrare gratis»

Annuisco confermando, «Menomale che Marco lavora lì, o non lo avremmo mai saputo»

Vittoria sorride istantaneamente pensando al suo fidanzato, e con gli occhi a cuoricino come nel cartoni animati dice: «Il mio eroe...» 

«Certo...vai avanti» la sprono.

«Le chiediamo se ha voglia di unirsi a noi, dicendole che verranno anche Laura, Alessandro e Michele, così vedremo se conosce Costa, anche se solo di vista» conclude.

«Esatto, anche se non l'abbiamo chiesto a nessuno dei tre» le ricordo, «Forse dovremmo farlo prima di andare da lei» propongo speranzosa.

Vittoria si pone davanti a me guardandomi con rimprovero, «Amanda hai rotto! Se non ci vai tu a parlarle, ci vado io e mi prendo anche il merito con Michele» sentenzia seria.

Sa benissimo che non vorrei mai fare la figura dell'incompetente con lui.

«E va bene!»

Vittoria sorride fiera di sé ed entrambe ci avviciniamo a Rebecca.

Indossa una maglietta rosa chiaro e dei semplici jeans, i capelli sono legati in una treccia laterale e gli occhi sono leggermente truccati.

Nella sua semplicità è davvero bella e non posso non provare una leggera invidia guardandola mentre mi avvicino.

Questa ragazza non abbatte la autostima, ma ci gioca direttamente a tennis.

Fortunatamente le sue amiche si sono dileguate, quindi avremo la possibilità di procedere tranquillamente.

Quando intercetta le nostre figure alza la mano per salutarci, per poi abbassarla comprendendo che vogliamo parlarle.

«Ciao!» la saluto per prima simulando un'allegria che non mi appartiene. 

Vittoria invece si limita ad un cenno, dato che condivide con lei tutte le ore scolastiche.

«Hey» replica gentilmente, anche se nei suoi occhi leggo un velo di sorpresa.

Infondo tutte le volte che abbiamo parlato è stato per motivi casuali e non intenzionalmente. 

Mi schiarisco la voce improvvisamente nervosa. Non capisco perché il mio corpo abbia deciso di reagire in questo modo; è come se mi stesse invitando a ritirarmi.

Ma non posso farlo.

Dopo aver guardato velocemente Vittoria, la quale con lo sguardo mi invita a continuare, propongo la nostra idea, «Conosci il locale Barracuda? Quello vicino Piazza Navona» le chiarisco.

Il Barracuda è un locale rinomato a Roma, nel weekend infatti lo si trova sempre affollato da liceali ed universitari. Marco ci lavora da qualche mese e fortunatamente sabato avrà la serata libera e potremmo passarla insieme.

Quando Vittoria mi ha detto del free-entry, ho pensato fosse la scusa perfetta per rompere il ghiaccio.

Rebecca e Michele non hanno amici in comune, dunque ho dovuto costruire un ponte in grado di farli avvicinare, conoscere e nella migliore delle ipotesi, innamorare.

Per quello però ci vorrà del tempo, oltre alla partecipazione di Rebecca a questa serata.

«Mh...sì» risponde lei dopo averci pensato per qualche secondo.

Primo step andato a buon fine.

«Sabato ci sarà una serata speciale, e se siamo un gruppo vasto avremo entrata e consumazione gratis. Ti andrebbe di venire?» propongo tutto d'un fiato.

Credo di aver parlato ad una velocità sproporzionata perché Vittoria mi rimprovera con gli occhi.

Quando sono nervosa comincio a parlare velocemente, non posso farci nulla.

Rebecca rimane in silenzio elaborando la nostra proposta.

«Sarà una festa fighissima» rincara la dose Vittoria cercando di convincerla.

«Chi viene?» si informa.

Tecnicamente ancora nessuno, ma questo è meglio non specificarlo.

«Una mia compagna di classe, il fidanzato di Vittoria, Michele Costa...» nomino cercando di capire se quel nome gli suona familiare. Anche se dubito possa passare inosservato.

«L'amico di Alessandro Mancini?» si assicura lei.

Secondo step andato buon fine.

«Sí, verranno entrambi» si intromette Vittoria, sparando il suo secondo colpo.

Alessandro è popolare al Virgilio e trascorrere una serata con lui può essere allettante.

«Io in realtà mi ero già organizzata con delle amiche» dice guardandoci incerta.

Da una parte credo voglia accettare, dall'altra non vuole dare buca alle sue compagne.

«Possono venire anche loro!» alzo un pò la voce mentre lo dico, per risultare forte e chiara.

«Già, più siamo, meglio è» mi da man forte Vittoria.

Rebecca ci guarda entrambe per poi sciogliersi in un sorriso perfetto, come tutto di lei del resto.

«Va bene, ci saremo»

Terzo step andato a buon fine.

 

Quando torno in classe ho un sorriso rilassato sul volto.

Grazie anche all'aiuto di Vittoria, la prima parte del piano è andata a gonfie vele, e già il peso nel petto si è alleggerito.

Trovo sempre gratificante aiutare il prossimo, ma talvolta non è facile come si crede, e nel caso di Michele non lo è affatto.

Il pensiero di doverlo informare mi agita, ma dovrò farci l'abitudine se voglio davvero che questa situazione finisca al più presto.

Improvvisamente però realizzo di avere il suo numero salvato in rubrica, e sarà sicuramente più facile comunicare indirettamente, rispetto al guardarlo negli occhi.

Prendo il cellulare dalla tasca senza farmi vedere dal professore di Arte, e digito velocemente  

"Sabato sera, al Barracuda, ore nove. Convinci anche Alessandro."

Più concisa di così proprio non si può.

Faccio per riporre il telefono in tasca, quando stranamente mi risponde subito.

"?"

Mi sbagliavo, si può essere più concisi.

"Fai come ti dico" 

Deve stare ai miei ordini senza fare domande, e che cavolo.

"Ok"

Ecco, così già va meglio.

Dopo un'ora intensa di arte, suona finalmente la campanella, e dopo che il professore esce dalla classe mi alzo dalla sedia per dirigermi da Laura a qualche banco dietro al mio.

Lancio una veloce occhiata ad Alessandro intento a scarabocchiare sul quaderno. È stranamente silenzioso e questo mi sorprende, di solito non fa altro che straparlare.

Ho chiesto a Michele di convincerlo perché serve che lo faccia una figura maschile; per quanto mi adori mi direbbe di no se sapesse che siamo solo ragazze.

Decido di non disturbarlo sapendo che quando qualcosa non va preferisce stare solo, dunque  mi accingo in direzione di Laura, arrivando al suo banco sorridente, ma quando alza lo sguardo leggo disappunto.

Rivolto a me.

«Che c'è?» chiedo subito pensando al peggio.

Odio litigare con qualcuno, e sapere di aver aver fatto qualcosa di sbagliato involontariamente mi allarma.

Laura si alza e mi fronteggia.

«È stata una tua idea, vero?» mi chiede come se sapessi di cosa sta parlando.

Cerco di pensare a cosa possa aver fatto, ma non mi viene in mente nulla.

«Che cosa?» 

Il volto viene deturpato da una smorfia infastidita, «Le ripetizioni ad Alessandro» chiarisce.

Mi ci vuole un secondo per comprendere e collegare tutti i punti: Alessandro deve aver chiesto a Laura delle ripetizioni di matematica, e lei deve aver detto di no, altrimenti me lo avrebbe detto subito.

Non posso fare a meno di rivolgerle uno sguardo di rimprovero; infondo è un suo compagno di classe, «Gli hai detto di no» 

La mia non è una domanda, perché i fatti parlano chiaro.

«Certo che gli ho detto di no!» spalanca le braccia come per sottolineare l'ovvietà della sua risposta, «Io e Alessandro non ci salutiamo neanche la mattina, come hai potuto pensare che potessi dirgli di sì?» mi chiede nervosa 

«Ho pensato che essendo un tuo compagno di classe da ben tre anni, ci avresti almeno pensato» mi difendo, «E poi conosci la sua media, ha bisogno davvero di un aiuto» concludo.

Laura sospira profondamente cercando di calmarsi, sa che non l'ho fatto in cattiva fede, ma le ha dato comunque molto fastidio.

«Amanda io non sono come te, se non sopporto qualcuno, non lo aiuto» dice riferendosi alla mia situazione con Michele, «E poi non mi sembrava così disperato come dici»

Questo non mi sorprende; conoscendolo gliel'avrà chiesto con noncuranza come se non fosse un problema suo.

Stupido orgoglio.

Infondo Laura ha ragione, non posso pretendere che gli altri facciano quello che mi aspetto o quello che farei io, siamo tutti diversi per un motivo. Inoltre dare ripetizioni richiede tempo, e di certo non vorrà sprecarlo per qualcuno con cui non va d'accordo.

«Hai ragione, mi dispiace, gli ho consigliato io di chiederti aiuto perché entrambi sappiamo che sei bravissima» 

Le prendo una mano e addolcisco la mia espressione cercando di impietosirla, «Mi perdoni?»

Mi guarda fissa negli occhi con espressione dura per poi alzare gli occhi al cielo, «Certo che ti perdono»

L'abbraccio di slancio mostrandole il mio affetto e sento che ricambia non stringendomi troppo forte: non le piacciono molto questi contatti.

«Mi dovrai perdonare anche per un'altra cosa» pronuncio con il capo poggiato sulla sua spalla.

Si scosta e mi guarda interrogativa.

«Sabato ho organizzato una serata in cui ci saranno anche Vittoria, Michele e Alessandro, l'ho dovuto fare per il piano Cupido» 

Prima che possa fiatare congiungo le mani in segno di preghiera «Ti prego non ti arrabbiare e vieni con noi», le rivoglio gli occhi più dolci di cui sia capace sperando che ceda e che non si arrabbi.

La sua espressione non muta di una virgola, e gli occhi verdi restano freddi.

Il professor Parisi entra in classe e sono costretta a tornare al mii posto ma prima di sedermi le rivolgo un ultimo sguardo.

Lei in risposta si siede senza guardarmi negli occhi per poi alzarli e rivolgermi un elegante dito medio senza farsi vedere dal professore.

Non riesco a non ridere mentre mi siedo anch'io.

È il suo modo di dire ci sarò.


 

Sabato sera arriva prima del previsto, e un tipico moto d'ansia mi serra lo stomaco.

Passo il mascara sulle ciglia cercando di non sporcare la palpebra, anche se la luce di questo bagno è talmente fioca da non farmi vedere nulla.

Conclusa l'operazione con meticolosità, decido di mettere anche la matita nera e un rossetto leggero, giusto per colorare le labbra.

I capelli castani invece sono come al solito leggermente gonfi, e la frangetta mi solletica gli occhi; dovrò tagliarla al più presto.

Osservo la mia intera figura allo specchio, sistemo la camicetta rossa nei pantaloni, e metto un paio di stivaletti con un tacco basso.

Direi che può andare.

Prima di varcare la soglia di casa mia madre mi fa le tipiche domande.

«A che ora torni?»

«Penso per l'una»

«Ci sono ragazzi?»

«Sì» 

«Non bere nulla»

«Certo che no»

«Chiamami quando arrivi o manda un messaggio»

«Va bene»

«Divertiti!»

«Ciao mamma!»

Scendo velocemente le scale del palazzo sapendo che Marco e Vittoria mi stanno aspettando già da cinque minuti e appena entro in macchina li saluto calorosamente.

«Ciao Amy» Marco mi sorride dallo specchietto retrovisore.

Noto i capelli biondi fissati con del gel e la camicia azzurra, regalo di Vittoria per il suo compleanno.

Quest'ultima invece si volta nella mia direzione e squadra i miei piedi con disappunto.

«Cosa sono quelle scarpe?»

Fisso i miei stivaletti neri che tanto adoro, mentre sento Marco dirle di lasciarmi in pace.

«Degli stivaletti?» chiedo retorica.

Pensare che cinque minuti fa mi sembravano perfetti.

«Potevi mettere un paio di tacchi! A questa festa ci saranno anche universitari, ovvero ragazzi fighi come mai ne hai visti» 

Marco distoglie per un secondo lo sguardo dalla strada per rivolgergliene uno accigliato.

Lei se ne accorge e si avvicina dandogli un bacio sulla guancia, «Nessuno come te amore, ovviamente»

Il biondo scuote la testa conoscendo l'indole adulatoria della sua fidanzata , ma lo vedo leggermente arrossire.

Nonostante stiano insieme da quasi due anni credo che Marco si chieda ancora come sia possibile che tra tanti ragazzi Vittoria, così bella, simpatica e socievole, abbia scelto lui.

La verità è che Marco è un ragazzo d'oro, di quelli su cui puoi sempre contare, dolce, disponibile e sincero. Sono queste le qualità che hanno colpito la mia amica.

Marco si è mostrato per quello che è sin dall'inizio, ed è per questo che ha fatto centro.

«Quindi?» chiedo ritornando alla conversazione.

Ho solo sedici anni, per me gli universitari vivono in un altro pianeta.

«Amy, devi cominciare a guardarti intorno e pensare a te stessa. Passi un sacco di tempo a far innamorare gli altri, ma poi non pensi alla tua di vita sentimentale» mi fa la solita predica .

Nel profondo so che ha ragione, ma detesto quando mi fa questo discorso.

Quando arriverà quello giusto, lo saprò.

È inutile rincorrere l'amore, perché il tempo sa quello fa, e per ognuno di noi ha stabilito i percorsi.

«Vic non ricominciare» rispondo nervosa.

Non voglio rovinarmi la serata dal principio.

Vittoria lo capisce e cambia argomento, mentre Marco interviene di tanto in tanto concentrato sulla guida.

Dopo aver cercato parcheggio per un quarto d'ora, arriviamo all'ingresso del locale e attendiamo gli altri.

L'insegna del locale è luminosa sopra le nostre teste e la musica alta si sente fin da qui.

Michele questa mattina mi ha inviato un altro dei suoi messaggi stringati e mi ha informato dell'adesione sua e di Alessandro, come gli avevo chiesto.

Almeno è riuscito a convincerlo.

«Ragazze vedo il mio amico» afferma improvvisamente Marco alzando il braccio per farsi vedere.

«Chi amico?» chiedo stranita.

Vittoria non mi ha detto nulla e guardandola in viso capisco il perché.

L'ha fatto di proposito.

Non è la prima volta che mi ritrovo in questa situazione: Vittoria cerca sempre di accoppiarmi con qualcuno, combinando spesso delle serate per presentarmi dei ragazzi.

È come se fosse il mio Cupido personale, solo che io non l'ho richiesto.

Prima che possa rivolgerle la mia frustrazione, l'amico di Marco ci raggiunge.

Ha i capelli neri leggermente lunghi e gli occhi marroni sono piccoli ma simpatici.

Dopo aver salutato Marco e Vittoria si presenta allungando la mano, «Piacere, Giancarlo» 

Gliela stringo, «Amanda»

Dopo altri dieci minuti passati in completo silenzio da parte mia, spero che gli altri vengano al più presto.

Fortunatamente Laura arriva poco dopo, bella anche in un paio di jeans.

Chissà Vittoria cosa avrà da dire su quelli.

«Gli altri ancora non sono arrivati?» mi chiede ravvivandosi i capelli schiacciati dal casco del motorino.

Proprio in quel momento vedo Alessandro e Michele venire nella nostra direzione.

Il primo è come al solito affascinante con una camicia azzurra che gli risalta gli occhi e i capelli neri spettinati ad arte, il secondo invece cammina con la sua solita espressione apatica, ma non per questo è meno attraente.

La camicia bianca fascia il petto non troppo ampio e i pantaloni neri le sue gambe lunghe.
I capelli mossi invece sono liberi da gel ma comunque ordinati.

Resto un attimo a fissarli pensando che insieme sono davvero belli, e non mi sorprende che le ragazze impazziscano al loro passaggio.

Se uno non fosse il mio migliore amico, e l'altro il ragazzo che non sopporto, lo farei anche io.

Quando arrivano salutano tutti e vedo Michele guardare Giancarlo.
Ovviamente non riesco a intercettare i suoi pensieri, però infondo non lo conosce, così come la sottoscritta.

Alessandro invece guarda Laura; credo ce l'abbia ancora con lei per aver rifiutato la sua richiesta.
Quest'ultima invece lo ignora palesemente continuando a parlare con me, anche se sono concentrata su Michele.

Sto cercando di capire il suo stato d'animo, e quando nota che lo guardo ricambia lo sguardo.

Gli faccio un breve cenno, una domanda tacita che significa "Sei pronto?"

Lui annuisce leggermente e quasi mi cadono le braccia quando mi rivolge un breve sorriso.

Poi si volta verso Alessandro e cominciano a parlare di calcio.

Con la voce di Laura nelle orecchie non riesco a non pensare che Michele Costa mi ha appena sorriso.

O meglio, ha appena incurvato le labbra verso l'alto, ma è già molto.

Deve essermi davvero riconoscente, oltre che irrimediabilmente innamorato.
 

Quando Rebecca arriva insieme alle sue amiche , i ragazzi, ad eccezione di Marco che ha occhi solo per la sua fidanzata, rivolgono loro sguardi infraintendibili. 

Quando poi li salutano con due baci sulla guancia, credo stiano per collassare.

Rebecca ovviamente è stupenda nel suo abito corto, e guardando i miei pantaloni lunghi non posso non pensare che avrei dovuto indossare anche io qualcosa di più adeguato.

Le sue amiche di cui dimentico i nomi dopo cinque secondi, sono vestite in modo simile e sono all'apparenza molto simpatiche.

Quando entriamo nel locale la folla mi fa mancare il fiato per un secondo, ma cerco di far buon viso a cattivo gioco, perche questa è la prima parte del piano e deve andare a gonfie vele.

Dopo un'ora passata a ballare Michele e Rebecca non si sono ancora parlati, e rimprovero mentalmente il ragazzo per il suo mutismo.

Non posso fare di certo tutto io!

Decido di intervenire mettendo una buona parola su di lui, dunque chiedo a Rebecca di accompagnarmi a prendere qualcosa da bere.

Lei mi guarda sorpresa data la nostra poca confidenza ma accetta comunque.

«Allora ti diverti?» le chiedo mentre attendiamo il nostro turno.

«Molto» risponde avanzando con la fila.

«Ci sono anche tanti bei ragazzi» 

«Già» si limita a dire.

Dai Amanda pensa.

«Tu sei fidanzata?» domando cercando di farla passare come una domanda di circostanza.

Non so se riesco nel mio intento ma il suo no mi fa tirare un sospiro di sollievo interiore.

«Vittoria mi ha detto che tu invece fai da Cupido» afferma facendomi spalancare gli occhi.

Come le è venuto in mente di dirglielo?

Presa dal panico comincio a balbettare mentre cerco di pronunciare una frase sensata, «Ehm, si insomma, cioè non proprio, ogni tanto sai...giusto perché non ho nulla da fare»

Bene, la figura della sfigata mi mancava.

«La trovo una cosa molto bella invece» mi rassicura lei notando il mio disagio.

Avanziamo di un altro passo verso il bancone.

«Davvero?»

«Certo! Tutti a volte hanno bisogno di una spinta, anche io stessa»

Il nodo allo stomaco si stringe maggiormente mentre realizzo che le piace un ragazzo.

«Ah sì?» fingo un interesse mentre dentro mi sento morire.

Lei arrossisce avanzando ancora, mentre a bassa voce e senza guardarmi negli occhi dice «Sí, con un ragazzo che conosci anche piuttosto bene»

Mi gelo mentre lei pronunzia la mia condanna a morte, «Alessandro»

Arriva il nostro turno per ordinare, ma non mi muovo di un passo.

In testa solo la voce di Renato Zero.
Il triangolo no, non lo avevo considerato.


 

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Capitolo 4
*** Ubriaco d'amore ***


La musica alta mi rimbomba nelle orecchie, e la sua potenza la percepisco anche nel petto.

La gente intorno a me balla attaccata all'altro e questo non fa che aumentare la mia claustrofobia.

Guardo i volti dei miei compagni e non mi sorprende vederli ridenti.

Vittoria danza insieme a Marco, l'unico sobrio insieme a Laura probabilmente, e ha legato i capelli ricci in una coda alta a causa del sudore che le imperla il collo, mentre Marco si muove impacciatamente.

I corpi sono vicini e le mani intrecciate.

Laura invece sta chiacchierando, o per meglio dire ridendo rumorosamente, insieme a Rebecca e le sue amiche, di cui continuo a ignorare il nome, con un drink (sicuramente analcolico) in mano.

Alessandro e Michele sono spariti.

Io invece sono seduta su un divanetto vicino la pista, e con un mal di testa che mi rende difficile ragionare.

Dopo la confessione di Rebecca, ho ordinato il primo cocktail letto sul tabellone, e mi sono inchiodata qui sopra guardando i miei amici divertirsi.

Per un momento ho anche pensato di prendermi una sbronza colossale e dimenticare questa serata, però dopo il primo sorso ho dovuto demordere: il drink era davvero disgustoso.

Non trovando consolazione nell'alcool (il che non mi sorprende dato il mio essere praticamente astemia) ho deciso di lasciare che la serata facesse il suo corso e al contempo deprimermi.

Al momento non riesco a fare altro.

Da quando Rebecca mi ha detto di avere una cotta per Alessandro sono entrata in un mutismo alquanto preoccupante, e neanche Laura è riuscita a farmi parlare.

Non ho fatto altro che pensare di essere nei guai, ma soprattutto di essere una sfigata cronica.

Avevo valutato la possibilità di un interesse amoroso di Rebecca per un ragazzo, ma mai avrei immaginato potesse essere Alessandro, l'amico per le palle di Michele.

Michele, lo stesso ragazzo che si è abbassato a chiedere il mio aiuto per conquistarla, e lo stesso a cui devo dire che la ragazza dei suoi sogni è interessata al suo migliore amico.

Cosa può andare peggio?

Il mio sguardo si posa involontariamente su Rebecca che in questo momento si scioglie in una risata.

Scommetto che anche quella è melodiosa.

Guardandola mi rendo conto che ho due possibilità e una scelta da prendere: o racconto a Michele la verità oppure gli devo mentire, o meglio, omettere un piccolissimo dettaglio.

La verità è decisamente la via più scomoda, ma c'è anche da dire che non sono in grado di dire bugie, neanche a mia madre quando le assicuro di aver sistemato la mia camera mentre in realtà getto tutto nell'armadio.

Mi sgama dopo cinque secondi.

Povera me.

«Lo bevi quello?»

Una voce maschile mi distrae dalle mie elucubrazioni melodrammatiche, e quando mi volto non riesco a identificare il volto a causa delle luci stroboscopiche colorate.

Dopo qualche secondo un faretto giallo lo colpisce e riconosco alcuni tratti: è Giancarlo, l'amico di Marco.

Poi ricordo che mi ha chiesto qualcosa che non ho sentito persa nei miei pensieri.

«Cosa?» domando infatti ad alta voce per sovrastare la musica.

Giancarlo indica il drink posato sul tavolino davanti a me, «Quello, lo bevi?» 

Guardo anch'io l'oggetto dei suoi desideri pensando al suo sapore, e decido di cederglielo volentieri.

«No, serviti pure»

Gli passo il bicchiere che lui accetta senza indugi, poi si siede accanto a me.

Bene, non posso neanche più autocommiserarmi tranquillamente.

Il moro mi rivolge un mezzo sorriso - o almeno credo dato queste luci maledette- e prende un sorso della bevanda alcolica.

«Buono» commenta.

Hai voglia.

«Abbastanza» concordo anche se sono di tutt'altra opinione.

«Perché l'hai lasciato allora?» mi domanda con cipiglio confuso.

Perché un solo sorso mi ha bucato lo stomaco.

«Mi fa un pò male la pancia, ed è troppo freddo» invento su due piedi.

La sua espressione passa da confusa a divertita; deve aver capito che ho detto una cretinata.

Ripeto: le bugie non le so dire.

«Sì, in effetti è abbastanza freddo» dice però lui facendo finta di crederci.

Avvicina il bicchiere alla bocca per bere ancora, e mi concedo un secondo per osservarlo meglio, per quanto mi sia possibile.

I capelli sono più arruffati di prima a causa dei movimenti e la camicia è leggermente sgualcita, però come avevo avuto modo di notare gli occhi sono gentili, e le labbra sottili si incurvano in un sorrisetto quanto mi becca a fissarlo.

Sposto immediatamente lo sguardo mentre sento le guance imporporarsi per la vergogna. Sicuramente starà pensando che lo trovi attraente, e non ho bisogno di una figuraccia per concludere la serata.

Giancarlo è carino, ma in questo momento l'ultima cosa a cui sto pensando è uno scenario che ci preveda insieme.

Di fatto l'unica cosa che vorrei è tornare a casa e stendermi sotto le coperte.

La musica e le luci hanno contribuito al mio malessere, ma non voglio essere un peso per i miei amici.

«Non sei un tipo da festa, eh?» mi chiede.

Non capisco perché voglia fare conversazione con me; forse anche lui si sente solo dato che Marco è impegnato con Vittoria, ma d'altronde qui c'è anche Rebecca, le sue amiche e Laura.

Perché non parla con loro, dato che sono molto più belle e spigliate di me?

La sua vicinanza mi procura solo disagio, le uniche volte in cui parlo completamente sola con un ragazzo è con Alessandro, ma lui non fa testo. 

A proposito di Alessandro; dove diavolo si è cacciato?

«Non molto» rispondo guardandomi intorno alla ricerca del mio amico.

E anche di Michele.

«E che tipo sei?» continua Giancarlo con tono curioso.

Interrompo la mia perlustrazione per voltarmi nuovamente verso di lui.

Perché gli interessa?

«Un tipo che preferisce una serata in compagnia degli amici, senza musica a palla e gente attaccata all'altra» riassumo.

Il suo sorriso si allarga ancora di più e si avvicina leggermente.

Di riflesso il mio cuore batte più velocemente per l'ansia.

«Un tipo interessante allora» 

Il suo sguardo s'intreccia al mio e mi sento nuovamente arrossire per la sua ultima affermazione.

Non è di certo un ragazzo timido, ma devo ammettere che mi ha lusingata.

«Amanda!» una voce trafelata, che riconosco essere quella di Vittoria, distrae entrambi.

Quando constato la sua espressione preoccupata, mi alzo di scatto dal divano.

Vittoria è sempre stata pragmatica, perciò quando qualcosa la preoccupa c'è da allarmarsi.

«Che succede?» domando avvicinandomi a lei.

Posa una mano sul mio braccio come a voler calmare entrambe.

«Alessandro...sta facendo a botte, Marco e Michele stanno cercando di fermarli» snocciola velocemente.

Senza bisogno che pronunci una parola mi prende la mano e mi conduce verso il luogo del misfatto, mentre sento crescere un'apprensione che non mi permette di mettere in ordine i pensieri. 

La preoccupazione che provo in questo momento non fa che aumentare quanto mi ritrovo la scena davanti. Alessandro si tiene il naso sanguinante con una mano, mentre con l'altra pulisce il labbro spaccato; alle sue spalle Michele e Marco lo trattengono per evitare che faccia altri danni.

Di fronte a lui un altro ragazzo, alto un metro e novanta e con dei muscoli che manco The Rock, mi sembra completamente indenne, mentre una ragazza al suo fianco e aggrappata al suo braccio ha gli occhi impauriti.

«Adesso ti spacco la faccia, str...stronzo!» urla Alessandro singhiozzando.

È chiaramente ubriaco, infatti non riuscirebbe neanche a stare in piedi se non fosse per i ragazzi che lo mantengono.

Indirizzo la mia attenzione su Marco in cerca di una spiegazione e sicuramente con un'espressione che parla da sé: sono furiosa ma anche estremamente allarmata.

«Ragazzi adesso basta, ora ce ne andiamo»  interviene però senza guardarmi e cercando di placare gli animi.

Lui e Michele cercano di portare via Alessandro ma il ragazzo li ferma.

«La prossima volta che ci prova con la mia ragazza non sarò così clemente» sentenzia con una voce che mi fa accapponare la pelle.

«Voglio pr..proprio vedere!» replica Alessandro che ha deciso di morire stasera.

Mi avvicino a lui velocemente conscia che ci vuole un secondo a quel bestione per farlo stramazzare al suolo. E non solo lui.

«Ale, andiamo via» gli sussurro una volta vicina.

Gli occhi liquidi e annebbiati dall'alcool sono due oceani in tempesta, e lui il naufrago perso in pensieri abissali.

«Ti prego» continuo la mia supplica sperando che capisca e percepisca la mia ansia.

Lui in risposta si volta annuendo, e i ragazzi continuano a trascinarlo via, mentre urla un «Ti amo Martina!» in direzione della ragazza.

Fortunatamente Rocky è dotato di un minimo di cervello e decide di lasciarci andare.

Aiuto i ragazzi con Alessandro, mentre Vittoria va ad avvertire Laura, Rebecca e le sue compagne della nostra dipartita.

Giancarlo invece è rimasto tutto il tempo in silenzio senza dar voce ai suoi pensieri.

Non riesco a non lanciare un'occhiata a Michele, anche lui rinchiuso in un silenzio tombale. I tratti del viso sono contriti in un'espressione dura, e la rigidezza del suo corpo mi fa capire che anche lui non è tranquillo.

È l'unico evidentemente a sapere cosa sia successo, anche se non è difficile immaginarlo, e dovrò chiedergli spiegazioni.

Nel percorso Alessandro inciampa su un bicchiere gettato sul pavimento e Michele, grazie ai riflessi pronti, riesce a non farlo cadere. 

Non mi sono mai soffermata a pensare all'amicizia fra di loro, anzi ho sempre evitato di farlo perché in qualche modo mi ha sempre innervosita l'idea del loro legame così profondo, simile al nostro, e allo stesso tempo diverso, con una persona che non sono riuscita a capire ed accettare in pieno.

Però, vedere Alessandro che si aggrappa a Michele come se fosse la sua ancora di salvezza, e allo stesso tempo il modo con cui l'altro lo sostiene, in qualche maniera mi apre gli occhi.

Quei due si vogliono davvero bene.

Non che prima non avessi questa consapevolezza, ma cercavo sempre di ignorare il loro rapporto, e mi chiedo quanto sia stato difficile per Alessandro conciliare entrambe le amicizie.

Mi chiedo anche se effettivamente sia una brava amica dato lo stato in cui riversa, perché per essersi ridotto così, c'è sicuramente qualcosa che non va.

Forse è arrivato il momento di deporre l'ascia di guerra con Michele, sia per far funzionare il piano, sia per aiutare Alessandro.

Vedo infatti come i suoi occhi siano all'apparenza duri, ma nel profondo nascondono la mia stessa preoccupazione.

Probabilmente sentendosi osservato si volta verso di me, ma non faccio nulla per fingere che non lo stessi studiando.
Non so cosa vede nel mio viso perché mi fa un piccolo cenno di incoraggiamento che in qualche modo mi rincuora.

Il nostro scambio di sguardi viene interrotto da Giancarlo una volta fuori dal locale.

«Vuoi un passaggio a casa?» mi chiede avvicinandosi.

Alle mie spalle sento Alessandro biascicare frasi insensate e deliranti.

Mi dispiace per Vittoria, il cui piano era quello di avvicinarci, ma a quanto pare ha sbagliato serata.

Non posso abbandonare Alessandro.

«No grazie, preferisco andare con lui» declino il suo invito indicando il ragazzo ubriaco, ovvero il mio migliore amico.

Giancarlo annuisce semplicemente, e fortunatamente non sembra offeso dalla mia risposta. Forse è semplicemente molto gentile.

«Ci dobbiamo muovere» 

Michele fa poggiare Ale vicino un'auto per poi  concentrare la sua attenzione su Marco, mentre Vittoria è intenta a parlare con Laura e le altre ragazze. 

Decido di avvicinarmi a loro per scusarmi, e salvare il riparabile; questa serata doveva essere il trampolino di lancio del piano Cupido, ma si è rivelata un disastro in piena regola.

Mentre i ragazzi parlano, raggiungo le ragazze che hanno contattato i genitori per farsi riaccompagnare a casa.

«Mi dispiace ragazze» mi scuso con loro, anche se sono concentrata solo su Rebecca per testare la sua reazione.

Chissà cosa avrà pensato vedendo il ragazzo che le piace in versione ubriacone.

«Tranquilla, prendetevi cura di lui» risponde proprio lei con un piccolo sorriso rassicurante.

Lunedì mattina devo ricordarmi di andare a parlarle; al momento non posso fare altro.

«Tutto bene?» mi sussurra Laura nell'orecchio per non farsi sentire.

Muovo la testa in un gesto d'assenso per tranquillizzarla, anche se nemmeno io so perfettamente come mi sento. 

Al momento solo una pessima amica.

Marco si avvicina al nostro gruppetto per incitarci ad andare via dato che Alessandro diventa sempre più ingestibile.

«Non possiamo lasciarle sole ad aspettare» contesto riferendomi alle ragazze che a causa nostra hanno avuto un pessimo sabato sera.

«Resto io con loro» si fa avanti Giancarlo dando una pacca sulla spalla a Marco.

Il biondo gli fa un cenno di ringraziamento e anch'io lo imito con un sorriso.

Poi, fatti i dovuti saluti ci dirigiamo alla macchina di Marco con un Alessandro rinchiuso in una fase di mutismo.

Laura ci saluta essendo venuta da sola con il motorino e le garantisco che la terrò aggiornata.

Quando arriviamo alla macchina facciamo stendere Alessandro sui sedili posteriori e mi siedo al suo fianco facendo posare la testa sulle mia gambe nella speranza che non vomiti.

Fortunatamente Ale è venuto al Barracuda insieme a Michele e con il motorino di quest'ultimo che adesso ci sta seguendo fino casa di Alessandro.

Spero solo che i suoi genitori non siano in casa.



 

Quando raggiungiamo finalmente la piccola villetta di Alessandro, quest'ultimo è entrato in uno stato di dormiveglia.

Marco mi aiuta a tirarlo fuori dalla macchina, seguito da Michele una volta parcheggiato il motorino.

Il ragazzo non è di certo una piuma e non collabora minimamente.

«Ci pensi tu a lui?»

Marco si rivolge a Michele che ha già preso le chiavi di casa dalla tasca del suo amico. In risposta il moro annuisce.

Marco dunque rientra in macchina e aspetta che salga anche io, solo che resto ferma sul posto. Non me la sento di lasciarlo solo, anche se con lui c'è Michele.

«Io resto con loro» informo la coppia che mi attende per andare via.

«Come torni a casa, scusa?» domanda Vittoria facendomi notare l'assenza di altri mezzi.

In effetti non ci avevo pensato. 

Male che vada prenderò un autobus. Sempre che passi.

«L'accompagno io» si intromette Michele facendomi sgranare gli occhi.

Ok Amanda, stai calma.

Si tratta solo di andare su un mezzo di trasporto poco sicuro e con un ragazzo con cui non hai confidenza.

Andrà tutto bene.

«Sei sicuro?» mi accerto dubbiosa.

In risposta circonda il corpo di Alessandro per portarlo dentro casa.

Lo prendo come un sì.

Saluto Marco e Vittoria con la promessa di chiamarla l'indomani ed entro in casa di Ale completamente buia.

Non riesco a distinguere i mobili e vedere dove metto piede ma ho paura di svegliare i suoi genitori accendendo la luce.

Improvvisamente però l'interruttore scatta e l'ingresso s'illumina facendomi fare un salto.

Ecco, siamo fregati.

«Quando avevi intenzione di accendere la luce? Io ho le mani impegnate» mi sgrida Michele.

Metto a fuoco la sua figura affaticata e tiro un sospiro di sollievo.

Siamo ancora salvi, e Alessandro non ha rischiato la vita per la seconda volta questa sera.

«Non volevo svegliare i suoi genitori, genio!» replico nervosa.

Ok, forse potrei evitare dato che sta facendo lui tutto il lavoro.

Michele sbuffa e alza gli occhi al cielo mentre continua a trascinare Ale.

«Non lo avrei portato a casa sua se ci fossero stati i suoi genitori, no?» contesta facendomi sentire una deficiente.

Scusami Michele se non sono esperta di serate alcoliche!

«Mi vuoi aiutare?!» continua esasperato non riuscendo più a spostarlo da solo. 

Senza replicare mi avvicino a lui e poso un braccio di Ale sulle mie spalle.

Entrambi avanziamo conoscendo casa sua, per portarlo in camera. Cominciamo la salita verso la sua stanza e contemporaneamente l'ascesa verso l'Inferno.

Ma quanto diavolo è pesante?

Cosa mangia a colazione, pane e ferro?

Ad ogni scalino il mio fiato comincia a diminuire, la mia presa si affievolisce e Alessandro diventa più pesante.

Mi costringo ad avanzare per evitare di ruzzolare per le scale, e quando arriviamo in cima ho il fiatone manco avessi corso ad una maratona.

Michele invece non sembra affaticato e resta composto.

E ti pareva.

Continuiamo il percorso verso la meta e all'improvviso Ale rinsavisce e ritorna dal mondo dei morti.

«Raga...zzi» bascica scoppiando a ridere.

Ecco, adesso è entrato nella fase in cui tutto appare divertente.

Peccato che al momento l'unica cosa divertente è la mia faccia sudata.

Quando arriviamo in camera sua io e Michele lo buttiamo sul letto come un sacco di patate, ma le mie spalle non ne potevano più. 

Cade con la faccia sul cuscino e continua a ridere fragorosamente.

Esasperata guardo Michele e lo vedo muovere la testa come se fosse profondamente deluso ma anche preoccupato.

«Ragazzi... mi sono innamorato» continua Alessandro.

Mi chiedo se ci abbia riconosciuti, talmente è grande il suo deliro.

Alessandro innamorato? Fantascienza.

«E di chi?» gli chiedo, perché ho letto che i matti vanno assecondati.

Spero valga anche per gli ubriachi.

«Marica..la ra-ragazza che sta con Big Gym» risponde lui.

E ride di nuovo del suo paragone.

Il suo zigomo non dev'essere molto contento invece.

«Si chiama Martina, e tu non sei innamorato, ma solo ubriaco» interviene Michele mentre comincia a rovistare in alcuni cassetti.

Non trovando quello che cerca, apre l'armadio e ne estrae una maglietta pulita, dato che quella che indossa è sporca di sangue.

«Ubriaco d'amore» sfiata Alessandro, facendomi scappare una risata.

Michele mi rimprovera con lo sguardo lanciandomi un'occhiataccia che mi fa zittire.

Mamma mia quanto è serio.

Quando vedo che si dirige da Alessandro e gli solleva la maglia per cambiarlo decido di battere in ritirata.

«Vado a prendere qualcosa per medicarlo»

Come un fulmine corro verso il bagno senza attendere risposta.

Apro i mobili e trovo solo schiuma da barba, deodorante e preservativi.

Che schifo.

Successivamente vado nel bagno dei genitori e anche lì non trovo nulla.

Ma dove diavolo lo tengono il disinfettante?

Dopo altri dieci minuti ad aprire tutti i mobili come se fossi un ladro, finalmente trovo quello che cerco sotto il lavello della cucina.

Porto disinfettante e ovatta come se fosse il mio tesoro ed entro in camera trovando Alessandro nuovamente addormentato, e Michele seduto al suo fianco.

In silenzio prendo una sedia e comincio a tamponare le ferite non potendo fare altro.

Michele resta muto, come se avessi premuto il pulsante di un telecomando, e infondo è comprensibile. Non c'è molto da dire.

Questa serata doveva essere perfetta, era finalizzata a conoscere Rebecca, ma non solo non si sono parlati, ma molto probabilmente Rebecca non vorrà più avere nulla a che fare con noi.

Ah, e le piace anche il suo migliore amico.

Che disastro.

«Mi racconti cos'è successo?» spezzo questo silenzio non sopportandolo minimamente.

Ho bisogno di capire perché Ale si è affidato all'alcool.

Michele si sistema meglio sul letto e guarda la mia mano impegnata a guarirlo.

«Da quando è uscito di casa l'ho visto strano e gli ho chiesto se fosse successo qualcosa» comincia mentre l'ascolto attenta, «Sai com'è fatto, non voleva dirmi nulla. Però dopo qualche insistenza mi ha confessato che aveva litigato con i suoi genitori. Di nuovo. Fortunatamente sono andati ad una festa e dormiranno in un hotel per questa notte, anche se sarà difficile nascondere i lividi. Ha cominciato a bere e poi ci ha provato con questa Martina. Il resto lo sai» 

Contemplo il viso di Alessandro profondamente addormentato e un nodo mi stringe il petto. Ho sempre saputo che non vivesse una situazione familiare rosea, ma mai prima di allora si era spinto a tanto.

Sì, è un Don Giovanni superficiale e fa sempre il cretino, ma di certo non è irresponsabile.

Come ho potuto non capire che ultimamente fosse ancora più triste?

«A cosa pensi?» mi domanda Michele dato che non ho detto una parola.

Gli occhi mi si fanno lucidi mentre guardo l'ematoma vicino il suo zigomo.

«Che sono una pessima amica» confesso, vergognandomi.

Sono sempre stata gelosa della loro amicizia quando io stessa sono troppo concentrata sui miei drammi personali.

Una lacrima mi sfugge e mi affretto ad asciugarla. Non è il momento di frignare, l'unica cosa che posso fare è aiutare davvero Alessandro da oggi.

«Non è vero» risponde però Michele sorprendendomi.

Sollevo lo sguardo per posarlo nel suo, e lo trovo mortalmente serio.

Gli occhi verdi, stanchi e assonnati mi fissano senza timidezza e mi sento incendiare sotto il suo sguardo così intenso.

Io a questi occhi, non mi abituerò mai.

«Lo pensi sul serio?» gli domando incredula.

Mi sta davvero consolando, e io non riesco a non affidarmi alle sue parole lenitive.

Si umetta le labbra e indica il ragazzo disteso, «Lui lo pensa» si interrompe per qualche secondo, «E da questa sera anche io»

Non posso fare a meno di sorridergli, un sorriso vero ma soprattutto un sorriso di gratitudine. 

Mi rendo conto che molto probabilmente, l'ho giudicato troppo in fretta dal primo momento.


 

Dopo una mezz'ora Alessandro dorme ancora profondamente, ed è arrivato il momento per me di tornare a casa.

Michele ritornerà qui per dormire e controllarlo, e questo mi rincuora non poco.

Quando mi porge il casco, stento ancora credere a tutto quello che è successo.

Il Barracuda, Alessandro ubriaco, Michele che mi consola.

Io che sto tornando a casa stretta a lui per non cadere.

Sento le mie guance in fiamme per tutto il tragitto, e il vento della sera che mi scompiglia i capelli, non elimina il rossore.

Lo sento lì fisso, insieme al tremore delle mani intorno al suo busto.

Mai e dico mai, sono stata così vicina e attaccata ad un ragazzo, e il fatto che il ragazzo in questione sia Michele mi agita ancora di più.

Quando arriviamo a destinazione, ritorno anche a respirare e quasi posso sentire i miei polmoni ringraziarmi.

«Grazie del passaggio» gli dico passandogli il casco.

Fortunatamente sono riuscita a toglierla da sola evitando l'ennesima figuraccia.

«Figurati» dice soltanto.

Dai Amanda, digli la verità.

Se la merita.

Ma come posso farlo dopo questo disastro di serata? Per non parlare del fatto che adesso andrà da Ale per accudirlo.

Non posso dirglielo. Non ora.

Però non posso portarmi questo peso.

«Michele?» lo richiamo.

«Sì?»

Avanti Amanda.

I suoi smeraldi mi scrutano interrogativi e io perdo un attimo la cognizione della realtà.

Questa sera sento che in qualche modo ci siamo avvicinati, e non posso rovinare tutto adesso. Solo uniti possiamo aiutare Alessandro e conquistare Rebecca.

«Niente, anche tu sei un bravo amico» e lo penso sul serio.

Detto ciò gli volto le spalle e corro dentro al palazzo senza guardarmi indietro.

Senza saperlo però anche a lui è spuntato un sorriso.

E io resto una vigliacca.
 

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Capitolo 5
*** Andrà tutto bene ***


Quand'ero piccola avevo la tendenza ad esternare tutto quello che mi passava per la testa.

Uno sconosciuto aveva una brutta maglietta? Glielo dicevo.

Sapevo cosa i miei genitori avessero regalato a mia sorella per il compleanno? Me lo lasciavo sfuggire a tavola.

Papà faceva qualcosa che non voleva che mia madre sapesse? Ero la prima a spifferare.

Crescendo mia mamma mi ha insegnato che mentire è sbagliato, ma che esistono delle eccezioni definite "bugie bianche".

Le bugie bianche sono delle menzogne necessarie per il quieto vivere, che si dicono per educazione, per non incutere sofferenze al prossimo e anche per salvarsi il deretano.

"Non devi sentirti in colpa a dirle, perché sono necessarie a volte" mi diceva.

Ma nel mio caso, non dire a Michele la verità, può essere definita una bugia bianca o è semplice paura?

Alla fine non si tratta di certo di una cosa così grave, soprattutto alla nostra età dove i sentimenti sono così fugaci e mutanti.

Me l'ha insegnato "Il tempo delle mele". 
La protagonista passa tutto il film ad inseguire questo ragazzo, e quando finalmente si mettono insieme, lei si prende una sbandata per un altro.

Grande Sophie Marceau.

Questo dunque è quello che devo fare: dare a Rebecca un'impressione sbagliata di Alessandro (a cui lui ha inconsapevolmente contribuito) e mostrarle chi è in realtà il ragazzo giusto per lei: Michele.

Giusto poi, diciamo quello più serio.

È incredibile che alle otto di domenica mattina sia stesa nel letto a fare questi pensieri; di solito dormo fin quando mia madre non mi costringe ad alzarmi.

Forse gli ultimi avvenimenti mi hanno destabilizzata, e il mio cervello ha continuato a lavorare senza smettere di pensare neanche un secondo.

Rivoglio la mia tranquillità.

Conscia che non riuscirò a prendere sonno, prendo il telefono dal comodino per verificare se ho ricevuto messaggi, anche se molto improbabile.

Infatti non trovo nulla.

Apro Instagram alla ricerca di storie di gente che ha passato il sabato sera a divertirsi e noto che mia sorella ha postato una foto con una frase sullo sfondo blu.

Non si ama finché non si soffre.

Resto un minuto intero a guardare lo schermo, cercando di interpretare questa frase.

Samanta sta soffrendo?

Ha problemi con Ludovico?

Eppure qualche giorno prima l'avevo accompagnata personalmente al centro commerciale a causa di una festa a cui doveva andare con lui.
Effettivamente aveva un comportamento strano, ma pensavo c'entrasse mia madre, non il suo ragazzo.

Ma perché l'amore deve far soffrire?

Delle volte mi ritengo fortunata ad essere sola, perché per quanta gioia possa portare una relazione, porta anche altrettanta sofferenza, e il mio cuore ha già le sue crepe da riparare, non voglio di certo una palla demolitrice a rovinarlo ancor di più.

Forse dovrei andare da lei e chiederle se va tutto bene, ma d'altro canto non voglio essere impicciona. Quando Sam ha problemi lo dice tranquillamente, e se adesso non l'ha fatto significa che non vuole davvero parlarne.

O forse semplicemente mi sto facendo un grandissimo castello di carte e le piace solo questa citazione.

Non riesco più fare affidamento sul mio istinto: non ho capito che Alessandro stesse male e probabilmente anche mia sorella, e non sono ancora riuscita a capire le intenzioni di Michele.

Insomma, ho organizzato una serata per rompere il ghiaccio con Rebecca e lui non le ha nemmeno parlato.

O è estremamente introverso, oppure aveva la testa altrove, precisamente focalizzato sul suo amico.

Sbuffo e poso il cellulare cercando di riprendere sonno.

Stringo le coperte e mi avvolgo come un sandwich in cerca di calore e protezione.

Adesso è solo meglio smettere di pensare.
 

Come previsto non ho dormito che poco più di un'ora, ma quando mi sveglio sento l'odore del caffè provenire dalla cucina.

Mi alzo e indosso le pantofole, quindi esco dalla stanza per andare a fare colazione.

In cucina trovo mio padre intento a zuccherare il caffè e la tavola piena di pacchi di biscotti e cereali.

Di mia madre e Sam non c'è traccia, staranno ancora dormendo.

«Buongiorno tesoro» mi saluta mio padre quando mi vede, dandomi un bacio sulla fronte.

Gli sorrido e mi siedo a tavola mormorando un buongiorno assonnato.

«Come mai già sveglia?» domanda conscio della mia indole dormigliona

«Non riuscivo a dormire» rispondo semplicemente prendendo una manciata di biscotti per inzupparli nel latte.

Lui si siede accanto a me e versa del caffè per entrambi.

«Problemi?»

Scuoto la testa in senso di diniego.

Mio padre non è un tipo invadente ma cerca sempre di farci comprendere che possiamo contare su di lui. 

Sono orgogliosa del nostro bellissimo rapporto, sento che mi comprende meglio di tutti in questa casa, forse perché abbiamo un carattere particolarmente simile e mi rivedo in alcune sue peculiarità.

«Com'è andata ieri sera?» Cambia argomento mentre sorseggia il caffè, aspettando la mamma per mangiare.

Bene papà, Alessandro si è ubriacato e ha fatto a botte, ma tutto sommato una serata tranquilla.
E mi ha accompagnata un ragazzo che non conosci con il motorino, ma non ti preoccupare, mi ha dato il casco.

«Bene» abbozzo un sorriso per nulla convincente.

Lui rimane in silenzio per qualche secondo toccandosi la leggera barba nera con alcuni peli ingrigiti dall'età.

Posa la tazzina sul tavolo mentre continuo a riempire lo stomaco di calorie, e si volta nella mia direzione.

«Come sei tornata a casa?» 

Per poco non mi ingozzo col biscotto nel sentire la sua domanda che potrebbe sembrare casuale, ma l'espressione con cui la dice mi fa capire che è assolutamente mirata.

Comincio a sudare freddo cercando una risposta convincente, ma non mi viene in mente nulla.

Notando la mia difficoltà prende parola al mio posto.

«Tesoro non voglio farmi gli affari tuoi, ti ho vista arrivare perché stavo buttando la spazzatura» rivela facendomi arrossire, conscia di cosa ha visto.

Avrà sicuramente frainteso.

«Non c'è nulla di male se hai un ragazzo»

Appunto.

Sbuffo passando le mani nei capelli esasperata.

Quante possibilità c'erano che mio padre mi vedesse con Michele?

«Non è il mio ragazzo» mormoro guardandolo.

Gli occhi ambrati che ho ereditato si illuminano di quello che credo sia sollievo.

«Allora il problema non si pone» risponde con gli angoli della bocca alzati.

«Che problema?» domando stranita.

Mio padre prende un tovagliolo e pulisce le labbra bagnate, poi comincia a giocare con il ciondolo della mia collana raffigurante una farfalla, regalo di Ale per il mio ultimo compleanno.

Ricordo ancora l'espressione di mia madre quando vide questo presente; ha sempre sospettato ci fosse qualcosa tra noi due e non sono mai riuscita a dissuaderla del tutto.

Probabilmente avrà coinvolto anche papà in questa folle idea.

«Non devo ancora uccidere nessuno che ti faccia soffrire, no? La prigione farà a meno di me ancora per un pò»

Mi strappa una fragorosa risata per questa affermazione e lui mi fa un occhiolino in risposta. 

Mio padre è l'uomo più tranquillo che conosca, non farebbe male nemmeno ad una mosca e tantomeno ad un ragazzo.

In realtà se mai dovessi fidanzarmi credo che il mio fidanzato dovrebbe preoccuparsi maggiormente per mia madre che per lui.

I miei genitori sono due facce della stessa medaglia, sono così diversi che ancora non riesco a capire come abbiano affrontato quindici anni di matrimonio, ma allo stesso tempo sono così complici da farmi venire la pelle d'oca.

Ognuno di noi pensa che per far funzionare una relazione siano necessari degli aspetti fondamentali: rispetto, fiducia, chimica, passione, attenzione e potrei andare avanti all'infinito.

Per me invece, sebbene tutte queste cose siano importanti, l'ingrediente segreto è proprio la complicità.

Me l'hanno dimostrato i miei genitori ed anche i miei nonni.

Se non c'è complicità non c'è comprensione, e se non c'è comprensione non c'è affidamento.

Questo non significa certo che bisogna trovare qualcuno che sia esattamente come noi, ma qualcuno disposto a capirci, e una volta fatto, in grado di accettarci.

Forse è proprio sulla complicità che devo puntare.

Indagherò sui gusti di Michele e poi su quelli di Rebecca, e poi deciderò quale sarà il loro punto in comune.

Potrebbe funzionare.

Devo solo spronare Michele a parlarle magari.

«Papà» lo richiamo.

«Dimmi»

«Tu sei un uomo»

«Sei stata concepita grazie ai miei spermatozoi, quindi direi di sì»

La sua risposta mi fa alzare gli occhi al cielo, e allo stesso tempo inorridire all'idea dei miei a copulare.

Non se se sto facendo la cosa giusta, ma mi serve un punto di vista maschile che solo lui può darmi al momento.

«Se tu avessi sedici anni e ti piacesse una ragazza, le andresti a parlare?»

Aggrotta la fronte perplesso da questo quesito, «Beh, l'ho fatto con tua madre a diciotto anni, direi di sì»

Involontariamente mordo il labbro alla ricerca di comprensione.

«E se un ragazzo è cotto di una ragazza, ma non le va a parlare?» continuo.

«Forse non gli piace»

Bene, non mi sta aiutando per niente.

«No, gli piace sicuramente» marco quel "sicuramente"

Si alza dalla sedia per prendere del succo dal frigorifero.

«Allora è timido»

La parola timido mi risulta così inappropriata accostandola a Michele che scuoto la testa senza nemmeno pensarci.

Non mi ha mai dato l'impressione di una persona timida....diciamo riservata.

Credo che non mi resti nient'altro da fare se non chiedere al diretto interessato in persona.

Mi dispiace Michele, è ora di aprirsi.

 

Il lunedì è sempre una giornata tragica per noi studenti, costretti ad alzarci presto e passare sei ore seduti su delle sedie scomode (che dovrebbero farci stare dritti con la schiena, ma che producono l'effetto contrario) e con spiegazioni di mille argomenti, la maggior parte spiegati con così poca passione che Tonio Cartonio della Melevisione ci metteva più impegno.

Oggi però mi sono svegliata carichissima, come il mio cellulare attaccato alla spina tutta la notte.

Sarà stata la dormita lunga e tranquilla che ho fatto, o la consapevolezza che finalmente potrò parlare con Alessandro, ma mi sento energica.

Svolta la routine mattiniera,  lego i capelli in una coda cercando di domarli,  poi mi reco alla fermata dell'autobus senza fare le solite corse per non perderlo.

Che sensazione magnifica.

Dopo dieci minuti d'attesa salgo con le cuffiette ben piantate nelle orecchie e trovo persino un posto.

Deve essere la mia giornata fortunata.

Mentre ascolto la magnifica voce di Tiziano Ferro penso a come avranno reagito i genitori di Alessandro alla vista del labbro spaccato e il livido sullo zigomo. Sicuramente non saranno stati contenti.

Quando arriviamo alla sua fermata aspetto con ansia di vederlo entrare con la solita faccia assonnata, ma quando le porte si richiudono realizzo che oggi non verrà a scuola.

Preoccupata gli mando un messaggio, ma resta non visualizzato come quello che gli ho inviato ieri.

Arrivata a scuola entro direttamente in classe dato che non ho visto nessuno vicino il cancello e getto lo zaino pesante sul banco producendo un tonfo.

Credo sia illegale il peso che siamo costretti a trasportarci ogni giorno solo perché i professori vogliono che ognuno di noi porti il suo libro.
Vorrei vedere loro nelle condizioni di chi soffre di scoliosi.

Mi guardo intorno e vedo che in classe siamo ancora in pochi.

Nell'angolo Ilaria e Matteo, la coppia della classe, si baciano così appassionatamente che dubito abbiano notato la mia entrata. Qualche sedia più avanti Beatrice li guarda con il fumo che le esce dalle orecchie. 
Tutti sappiamo della secolare cotta di Bea per Matteo, nata quando andavano ancora alle scuole medie. 

Ammetto che spesso provo dispiacere per lei, e se fosse più gentile sarei anche più incline a parlarle.

Dirotto poi lo sguardo sul gruppetto inseparabile formato da Lucia, Giada e Vanessa, intente sicuramente a spettegolare su qualche scoop scolastico.

Infine Giovanni è seduto al primo banco con il libro di italiano aperto davanti a lui.

Come se avesse bisogno di ripetere.

Non volendo restare da sola mi avvicino proprio a lui e mi siedo al suo fianco facendogli alzare lo sguardo da quel mattone.

«Buongiorno» gli sorrido allegra accavallando le gambe.

Noto che segue il mio movimento con cipiglio serio per poi decretare un «Buongiorno»

Torna a prestare attenzione al libro e sbircio l'argomento che sta studiando, o ristudiando per la centesima volta.

«Che bello l'Orlando Furioso, vero?» commento sperando di attirare la sua attenzione.

Lui non alza lo sguardo e annuisce semplicemente.

Lui e Michele andrebbero molto d'accordo.

Smettila Amanda.

Non riportare tutto a lui e cerca di rilassarti.

«Ti offri in italiano?» continuo.

Credo proprio mi stia paragonando a quei moscerini che la notte non ti fanno dormire.

«Già»

«Grande! Meno uno allora, menomale che ci sei tu che ti offri sempre!»

Finalmente posa gli occhi nocciola su di me e fa una leggera smorfia.

«Non lo faccio mica per voi» 

Caro Giovanni, sei proprio un secchione antipatico.

«No certo che no...mai pensato» 

Gli rivolgo un ultimo cenno prima di alzarmi e uscire dalla classe, dato che sembra preferisca mangiare un verme piuttosto che parlare con me.

Mancano ancora dieci minuti all'inizio delle lezioni e posso profittarne per parlare con Rebecca quindi mi incammino verso la Terza A, ma sbriciando all'interno non vedo né lei né Vittoria.

Contrariata faccio dietro front e torno al mio piano, ma quando salgo l'ultimo scalino vedo Michele vicino le finestre e con il telefono in mano.

Forse devo sfruttare questo momento per parlargli, anche se tra poco iniziano le lezioni e non abbiamo molto tempo.

Mi avvicino molto lentamente e quando gli sono davanti mormoro un «Ciao» che non so nemmeno come potrebbe sentirlo.

Però lo sente, perché presto mi trovo il prato dei suoi occhi sul mio viso.

«Ciao» saluta riponendo il telefono nella tasca.

Mi avvicino ulteriormente e mi poggio al muro al suo fianco, le spalle che quasi si toccano dalla vicinanza.

«Come va?» 

Odio questa domanda di circostanza ma è l'unica cosa che mi viene in mente per iniziare il discorso.

«Bene, tu?»

«Bene»

Un altro minuto passa nel silenzio totale, entrambi siamo fermi con lo sguardo fisso davanti a noi.

Sembriamo due deficienti.

In questo momento mi sembra di essere in Lizzie McGuire, dove il cartone alter-ego della protagonista si dispera per la scemenza della ragazza.

«Com'è andata con i genitori di Alessandro?» domando un pò per sbloccare questa situazione, un pò perché davvero interessata.

Michele sospira e si volta maggiormente verso di me.

«Non lo so, quando si è svegliato si è ricordato tutto e mi ha detto che preferiva non ci fossi quando tornavano i suoi»

«E l'hai lasciato da solo?» chiedo incredula conoscendo i genitori di Alessandro.

«Era la sua volontà, e non voglio rendergli le cose più difficili» si giustifica.

Sospiro dandogli ragione mentalmente ma non ammettendolo ad alta voce.

Passa qualche altro secondo e decido di essere sincera.

«In realtà volevo parlarti di una cosa inerente al piano Cupido»

I suoi occhi si illuminano leggermente anche se l'espressione si fa curiosa.

«Dimmi»

Comincio a torturarmi le mani nervosa su come introdurre il discorso. Come posso dirgli carinamente che deve essere più collaborativo?

«Sabato tu e Rebecca non avete parlato, e la serata era stata organizzata appositamente per quello» gli faccio notare con voce tranquilla.

Michele non cambia mimica facciale, ma capisco che mi sta ascoltando seriamente.

«Hai vergogna a parlarle?» 

Sgrana gli occhi e si volta completamente verso di me staccandosi dal muro.

«Assolutamente no!» esclama con tono sorpreso.

«E allora perché non le hai parlato?» ripropongo.

«Perché...» Si anima per poi umettarsi le labbra. Fa un leggero sospiro e scricchiola le dita delle mani, «..perché ero nervoso, lo ammetto. Ed ero anche preoccupato per Ale» 

Annuisco comprensiva e gli tocco il braccio per fargli capire che non c'è nulla di male. 
Fissa gli occhi in quel punto e mi affretto a spostarla.

«Non è nulla di irreparabile, l'importante è essere sincero con me dei tuoi timori» lo rassicuro con voce pacata.

Percepisco il suo disagio più che logico dato il nostro ignoraci continuo. 
Non posso di certo pretendere che si fidi di me all'improvviso.

«Michele io sono qui per aiutarti, non dico di fidarti di me, ma di avere fiducia delle mie intenzioni. Non sono nessuno per giudicarti»

Anche se l'ho fatto mille volte.

Lui in risposta fa un debole sorriso che però raggiunge gli occhi.

«Va bene»

«Bene!» mi animo distanziandomi dalla parete, «dopo la scuola possiamo pranzare insieme e iniziare questo lavoro di fiducia»

Lo prendo in contropiede perché inarca un sopracciglio ed esclama un «Dopo la scuola?»

«Hai impegni?»

«No»

«Allora dopo la scuola» 

E torno in classe.

 

Dopo la prima ora di italiano che fortunatamente non mi ha interrogato (Giovanni ha preso un prevedibile nove), siamo tutti in silenzio in attesa della Prof Colombo.

Tutti sappiamo che oggi non interrogherà, eppure siamo comunque tesi come una corda di violino.

Il posto vuoto accanto a me mi fa sentire ancora più sola ed indifesa e comincio a sfogliare i compiti per distrarmi.

Quando la professoressa entra in classe ci alziamo come dei burattini comandati da fili invisibili, per poi sederci senza far rumore con le sedie.

Colombo liscia la gonna lunga e si siede alla cattedra per poi indossare gli occhiali e aprire il registro.

Firma la sua presenza e poi si schiarisce la voce pronta per l'appello.

«Alfieri» comincia

«Presente»

«Auletta»

«Presente»

La prof continua con altri nomi senza alzare lo sguardo, ma è costretto a farlo quando la porta si apre ed entra Alessandro.

Sgrano gli occhi stupita di vederlo, e ancor di più nel constatare le condizioni del suo viso ancora più aggravate a causa del grosso ematoma sullo zigomo.

Colombo fa tutto per mascherarlo, ma noto anche la sua espressione stupita.

«Mancini, giusto in tempo per la mia lezione» afferma con quel tipico tono puntiglioso.

Alessandro le passa un foglietto bianco.

«È la certificazione del medico»

Colombo annuisce, «Vatti a sedere»

Sotto lo sguardo curioso ed interdetto di tutti Alessandro prende posto accanto a me.

Colombo segnala la sua giustificazione e continua l'appello.

«Come stai?» sussurro senza farmi vedere.

«Secondo te?» risponde con il capo chino sul banco e gli occhi azzurri spenti.

I capelli neri sono arruffati e le occhiaie mi fanno capire che non ha dormito molto.

«Non hai risposto ai miei messaggi, ero preoccupata» poso una mano sulla sua e gliela stringo cercando di trasmettergli del conforto.

Ale sospira e continua a non guardarmi.

«Mi hanno sequestrato il telefono»

Non ho modo di replicare perché Colombo finisce l'appello e la lezione inizia.

Andrà tutto bene Alessandro, è una promessa.


 

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Capitolo 6
*** Orologio ***


«Fermo lì»

Quando una ragazza di sedici anni usa un tono simile nei confronti di un ragazzo, allora c'è da preoccuparsi. 

Questo Alessandro lo sa bene perché si blocca immediatamente sul posto, come se stessimo giocando a "uno, due, tre, stella!" e mi fossi appena voltata.

La stanchezza impressa nei tratti non mi addolcisce, e mentre aspetto che i miei compagni escano dalla classe, rivolgo un breve cenno a Laura che passandoci accanto ci guarda interrogativa. Lei ricambia intuendo la mia volontà e quando finalmente l'aula si svuota mi volto completamente dalla sua parte e lo fisso cercando di mostrare un'autorità che non mi appartiene.

Alessandro gioca con il laccio della sua felpa continuando a fissare il banco, mentre muove una gamba su e giù nervosamente. I capelli arruffati e gli occhi cerchiati da occhiaie rispecchiano il suo turbamento, e nonostante sia comunque affascinante risulta completamente spento.

Rimango in silenzio aspettando che sia lui a cominciare sebbene sappia non ne ha intenzione, ma non mi alzerò da questa sedia fin quando non parlerà.

L'orologio affisso al muro intanto continua con il suo ticchettio e fa da sottofondo contando i secondi, che diventano minuti.

Non ho mai amato il silenzio, perché è proprio nel silenzio che la mente comincia a parlare e a fare troppo rumore; è nel silenzio che si creano le distanze e le incomprensioni, ed è sempre nel silenzio che ci si può perdere.

Le parole invece uniscono, sono chiare ed illustrative, e soprattutto hanno un peso.

Possono ferire, possono curare, possono anche far innamorare. 

Il mio rifugio è proprio nelle lettere, che siano quelle di un libro, di una canzone o di una conversazione, per me sono fondamentali.

Ecco perché sono qui adesso, perché se non c'è dialogo non c'è comunicazione, e se Alessandro non parla con me o con qualunque altra persona, si porterà tutto dentro fino a scoppiare in mille parole che avranno un peso talmente grande da rischiare di far male ad altri, ma soprattutto a se stesso.

«Che c'è Amanda?» esclama dopo cinque minuti esasperato.

Adesso mi guarda dritto in faccia infastidito, si alza e comincia a girovagare per la classe senza però uscire.

Decido di imitarlo per poi sedermi sul banco su cui si è poggiato.

«Voglio sapere cosa succede» 

Volta la testa in direzione della finestra che affaccia sul campo.

Da qui si vedono i nostri compagni chiacchierare e le risate dei ragazzi risuonano forti e chiare fra di noi.

«Ti sei mai sentita diversa?» chiede improvvisamente sempre fissando di fuori.

La sua domanda mi confonde, «Diversa da cosa?» 

«Da tutti gli altri»

Poggio una mano sulla sua spalla per farlo voltare verso di me, riuscendoci.

«Sì Ale, sempre. E sai perché? Perché sono diversa da tutti gli altri, come lo sei anche tu. Tutti lo siamo»

Scuote il capo per poi sospirare.

Gli occhi azzurri sembrano viaggiare in altri posti a cui solo la sua mente ha accesso.

«Non mi riferivo a questo» sussurra.

«E allora a cosa?» chiedo cercando di comprendere.

«Mi riferisco alla vita degli altri. Sembrano tutte così perfette, certo con i loro problemi e delusioni, ma a loro modo soddisfacenti. Mi sembra che tutti sappiano perfettamente cosa stanno facendo, mentre io sono un buono a nulla»

Si stacca dal banco riprendendo a camminare, mentre io resto un attimo attonita da questa confessione.

Penso a tutte quelle volte in cui Vittoria mi racconta delle sue uscite ed esperienze con Marco, o di quando Laura ci invita alle sue esibizioni al Conservatorio seguite sempre da scroscianti applausi, o di quando Samanta torna a casa con un altro trenta e lode.

Tutte le volte in cui mi sono sentita un passo indietro, inferiore, diversa.

Riesco a immedesimarmi nelle sue sensazioni, ma non mi spiego perché me lo stia dicendo adesso.

Scendo dalla mia postazione  e cerco di sfoderare il tono più fermo che riesca a produrre.

«Prima di tutto non sei un buono a nulla» inizio alzando il pollice in segno di conteggio.

Fa un risatina che stona con la mia serietà.

«Strano, è quello che dicono sempre i miei genitori»

«Perché non ti conoscono davvero, e perché tu non provi loro il contrario»

Adesso il suo sguardo muta in uno furente.

«Perché devo dimostrare qualcosa eh? Sono loro che dovrebbero preoccuparsi di capirmi e non il contrario!» esclama alzando la voce e le braccia.

Faccio un respiro profondo per schiarirmi le idee e spiegare il mio punto di vista senza farlo innervosire.

«Ale, a volte dimentichiamo che anche i nostri genitori sono stati giovani e hanno compiuto i loro sbagli, ma loro sono delle persone proprio come noi e come tali non riescono a capire tutto quello che ci passa per la testa» inizio avvicinandomi a lui

Stringo il suo braccio per costringerlo a sedersi insieme a me e garantirmi la sua completa attenzione.

Lui rimane in silenzio e sembra ascoltarmi davvero.

«Credo non ci sia una persona in questa scuola che non si senta incompreso dai propri familiari, o dai propri amici»

Mi rivolge uno sguardo colpevole capendo il riferimento a noi due.

«Il punto è che quando ci sentiamo incompresi abbiamo l'obbligo di farci capire. Non da tutti ovviamente, ma da coloro a cui vogliamo bene»

Alessandro rimane immobile e questo mi sprona a continuare, «Ale, devi parlare con i tuoi genitori»

«Per dirgli cosa?» sussurra confuso.

«Prima di tutto del tuo amore per la musica, e poi magari puoi garantire loro che ti impegnerai maggiormente a scuola»

«Per loro la musica è una cosa stupida»

«Per te no invece! Questo è il punto, dimostragli di non essere il buono a nulla che credono e che non sei, e fai tu il primo passo. Se loro non ti capiranno, allora dovrai continuare solo per te stesso perché non possono privarti dell'amore e della passione. Quella non può togliertela nessuno. Ma se non ci provi finirai ogni sabato sera ad ubriacarti e a replicare la scena di questo weekend. È quello che vuoi?»

Scuote debolmente la testa.

Non è facile aprirsi con un genitore, forse perché ai nostri occhi sembrano così irraggiungibili, come se noi non fossimo destinati ad invecchiare e diventare adulti, e loro invece fossero cristallizzati a quell'età.

Dimentichiamo che anche loro sono stati adolescenti, e che probabilmente i nostri dilemmi sono esattamente gli stessi.

Il problema è che quando si cresce, si tende a dimenticare cosa si provava all'epoca, perché si è sempre focalizzati sul presente e mai sul passato. 

Ma, se Alessandro non proverà nemmeno a spiegarsi allora i suoi genitori probabilmente non lo capiranno mai.

E lui soffrirà soltanto.

«Mi dispiace per sabato» replica, la voce sfumata di amarezza.

«Non fa nulla, ho fatto una nuova esperienza»

«E cioè?»

«Portarti di peso fino alla tua camera, e sentirti dire di essere innamorato. Ecco, me lo devo segnare quel giorno» 

Alessandro ride e i suoi occhi finalmente si illuminano.

«Come darti torto, almeno Michele era con te»

«Già» replico pensando a quella serata assurda.

«Mi ha fatto anche una ramanzina il giorno dopo, tipico da lui»

Provo a visualizzare un Alessandro appena sveglio e post sbronza che si becca una strigliata da Mr.Perfettino.

Poveretto.

«I tuoi si sono arrabbiati molto?» domando dato che gli hanno confiscato il telefono.

Alza le spalle per intendere che fosse inevitabile.

«Ho detto loro che sono scivolato e ho sbattuto vicino al bancone del bar»

Sorrido immaginandomi la scena, «Non ci hanno creduto, eh?»

«Diciamo che non se la sono bevuta» scherza, «Mi hanno proibito uscite per due settimane, e ovviamente niente telefono»

«Questo te lo sei meritato, mi hai spaventata» gli confesso.

Leggo il dispiacere nei suoi occhi quando mi da un veloce abbraccio, «Mi dispiace»

«Basta che non lo farai più» borbotto contro la sua spalla, stringendolo.

«Facciamo che mi metto d'impegno» si stacca per poi scoppiare a ridere quando gli tiro uno schiaffo sul braccio.

«Grazie Amy» dice serio.

«Dovere»

Mi sorride per poi alzarsi e dirigersi verso la porta, «Vado un pò fuori, vieni?»

«Sì, un minuto e arrivo»

Annuisce e fa per uscire ma all'ultimo si rivolta nella mia direzione.

«Amy»

«Che c'è?»

«Sei davvero una brava amica» mi fa un occhiolino per poi andare fuori dalla classe.

E mentre realizzo il perché della sua frase, un sorriso mi compare sulle labbra.

 

Quando l'ultima campanella della giornata suona, realizzo di star per trascorrere il pomeriggio con Michele Costa.

Se qualcuno me l'avesse detto due settimane fa, mi sarei fatta una grassa risata. Invece è vero, e lo realizzo quando uscendo da scuola lo intravedo alla fine della scalinata con lo zaino gravante su entrambe le spalle, le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo posato su un qualcosa di indefinito.

Scendo gli scalini prendendo un profondo respiro e cerco di calmarmi.

Sì sono agitata, e non in senso buono come quelle agitazioni dovute a sentimenti nascosti. Ho paura per la prima volta di non riuscire a concludere bene il mio lavoro, e di dare un'ulteriore prova a quel ragazzo di essere un'idiota.

Non so perché Michele mi abbia sempre messo soggezione, forse perché fin dall'inizio mi ha ritenuto non meritevole della sua amicizia, o forse perché è un genio a scuola mentre io sono una studentessa media.

Probabilmente deriva dal fatto che ogni cosa che fa o dice sembra sempre così maledettamente giusta, mentre io sparo cavolate un minuto sì e l'altro pure.

Stringo la ringhiera per evitare anche una caduta e lentamente mi avvicino a lui.

Prima che possa farlo però una figura passa al mio fianco di scatto e il secondo dopo vedo Alessandro salutare Michele.

Adesso non posso di certo avvicinarmi e salutare Michele come se fossimo amici, Alessandro sa benissimo che non ci siamo mai davvero parlati. 

Mi chiedo se effettivamente sappia che il suo migliore amico ha chiesto il mio aiuto.
Infondo è stato lui a dargli il mio numero, quindi è ipotizzabile di sì.

Indecisa sul da farsi, convengo che non è il caso di perdere tempo e riprendo ad avanzare in loro direzione. Sono quasi arrivata quando Michele dopo aver dato una pacca sulla spalla ad Ale si allontana velocemente.

Ma stiamo scherzando? 

Mi sta prendendo in giro? Sa benissimo che dobbiamo pranzare insieme. 

Mi faccio spazio tra i corpi dei miei compagni per seguirlo, anche se non riesco più ad identificarlo.

Mi guardo in giro ma nulla, non lo vedo.

Fantastico.

«Cretino, idiota, defi..AHH!» Una mano mi strattona velocemente spingendomi dietro le scale antincendio.

Quando voltandomi realizzo che è stato Michele, mi sforzo di non urlare e attirare l'attenzione.

«No ma dico...sei per caso impazzito?!» lo rimprovero mentre lui continua a guardare i ragazzi che passano.

«Scusami, volevo assicurarmi che non te ne andassi»

«Beh stavo per farlo, dato che sei scappato!»

Finalmente mi guarda e fa qualche passo verso di me.

«C'era Alessandro» dice soltanto.

«E quindi?»

«Come quindi? Lui non sa nulla» spiega ovvio.

Aggrotto la fronte confusa.

«Scusami, ma non ti ha dato lui il mio numero?»

Michele sembra arrossire leggermente e rimane in silenzio.

No un momento, è davvero arrossito o sto avendo un'allucinazione? 

Questo ragazzo mi confonde ogni giorno di più.

«L'ho preso dal suo cellulare durante gli allenamenti»

Questa scoperta mi sorprende non poco.

Non solo Michele aveva chiesto il mio aiuto, ma aveva addirittura rubato il mio numero pur di perseguire il suo obbiettivo.

Nessuno prima d'ora mi aveva dato tale manifestazione e desiderio di conquistare qualcuno, e di ragazzi che avevano chiesto il mio aiuto ce n'erano stati molti.

A Michele piaceva davvero tanto Rebecca.

«Vogliamo andare?» mi richiama.

Annuisco semplicemente sorpassandolo e avviandomi alla fermata dell'autobus.

Con questo peso sulle spalle è impensabile andare a piedi.

Michele mi segue diligentemente senza fare domande, e quando arriviamo alla fermata mi siedo sulla panchina della pensilina.

Lui rimane in piedi al mio fianco mentre altre persone si uniscono a noi nell'attesa.

Possibile che non sia curioso sulla nostra meta? Non gli ho detto nulla e lui non ha fatto domande.

«Non vuoi sapere dove stiamo andando?» gli chiedo alzando lo sguardo dato che sono seduta.

Alza le spalle e continua a fissare l'orizzonte, forse nella speranza di veder arrivare il pullman.

«Hai detto che devo fidarmi di te, no?»

Allora ascolta davvero quello che dico. Si sta davvero affidando a me.

Non sapendo come controbattere resto in silenzio fino a quando non arriva l'autubus.

Dopo un quarto d'ora d'attesa (siamo stati fortunati) saliamo finalmente sul mezzo e dopo poche fermate arriviamo a destinazione.

Michele continua a seguire il mio passo e questo silenzio sta cominciando a starmi stretto.

L'ho detto, non riesco proprio a sopportarlo.

Quando varchiamo il cancello di Villa Borghese so che non devo spiegargli dove siamo, la bellezza e la magia di questo luogo è nota a tutti.

Ci dirigiamo verso il chiosco superando bambini urlanti intenti a divertirsi, coppie sdraiate sull'erba e persone intente a fare jogging.

Michele volta lo sguardo in mille direzioni diverse con una scintilla negli occhi , e devo ammettere che i suoi occhi verdi rapiti e riempiti da tutto il verde intorno a noi degli alberi e dell'erba, è qualcosa di incantevole.

Quando raggiungiamo il piccolo chiosco di hot dog lui non se ne accorge nemmeno, preso dalla bellezza di questo luogo.

«Michele» lo richiamo mentre osserva il lago e il Tempio di Esculapio che si intravede in lontananza.

Quando torna a guardarmi si accorge che siamo arrivati e finalmente ordiniamo.

Dopo aver pagato i nostri hot dog e le bottigliette d'acqua ci allontaniamo alla ricerca di un posto dove sederci.

«Vogliamo andare vicino il Lago?» mi propone in tono speranzoso.

Annuisco con un piccolo sorriso, mi sembra un bambino al parco giochi.

Troviamo fortunatamente una piccola panchina sotto un albero e mangiamo silenziosamente osservando la distesa d'acqua davanti a noi.

Molte persone fanno delle foto, altre ancora hanno affittato delle barchette per godersi il pomeriggio in maniera romantica, stile "Le pagine della nostra vita"

Incredibile che io e Michele siamo qui adesso, insieme, e senza nessun altro.

Mi sembra una situazione così surreale.

«Sai che non sono mai stato qui?» dice all'improvviso guardandomi con la gioia negli occhi.

Do un morso al pane e mastico lentamente mentre un leggero vento smuove i miei capelli.

«Lo avevo notato, da quanto vivi a Roma?» domando una volta ingoiato.

Mi rendo conto di non sapere davvero nulla di lui, ricordo solo che si è trasferito nel nostro istituto al secondo anno, ma non so se prima frequentasse altre scuole o vivesse in un'altra città.

Mi sorprende la voglia di sapere qualcosa su di lui, stanca di questa sua aria di mistero.

«Da un anno e mezzo» replica distogliendo lo sguardo dal panorama per fissarlo sul mio viso.

Di riflesso sposto il mio prendendo un altro morso.

«Prima dove andavi a scuola?»

«Prima vivevo a Firenze»

Drizzo le orecchie al sentire il nome della città più affascinante d'Italia per me.

Ho sempre sognato di andare a Firenze, ma sfortunatamente non ho mai avuto la possibilità di visitarla.

«Che bello!» non contengo il mio entusiasmo, «e come mai vi siete trasferiti?»

Non mi importa di risultare un'impicciona, lo ammetto.

«Mio padre ha avuto un'offerta di lavoro qui» mi spiega soltanto.

Riprende anche lui a mangiare chiudendo l'argomento.

Finisco il mio pranzo e aspetto che lui faccia lo stesso per portarlo dove davvero mi interessa.

Michele si alza e comincia a scattare tantissime foto al lago, al tempio e a tutto ciò che cattura la sua attenzione.

Si impegna davvero molto, e mi viene da ridere quando inarca la schiena all'indietro per prendere tutto il panorama nello schermo.

«Dai andiamo Henri Bresson» lo prendo in giro paragonandolo al grande fotografo.

I suoi occhi si tingono di sorpresa alla mia affermazione.

«Che c'è? Anche a me piace la fotografia» faccio spallucce.

Lui sorride in risposta e ripone il telefono nella tasca.

«In realtà si chiama Henri Cartier-Bresson» 

«Come ti pare»

Comincio ad allontanarmi infastidita mentre odo la sua risata divertita alle mie spalle.

Stupido Mr Perfettino.

Sento i suoi passi sui ciottoli seguirmi, e quando raggiungiamo la meta un senso di beatitudine scuote il mio corpo.

Non riesco neanche a esprimere la magia che mi trasmette questo luogo, mi sembra sempre di entrare in un mondo incantato.

«Perché ti sei fermata davanti un orologio?» chiede curioso.

Senza dargli una risposta mi avvicino alla piccola staccionata poggiando i gomiti su di essa e ammirando l'orologio che si erge su un isolotto roccioso circondato da un laghetto artificiale a seguito di un ponticello in legno.

Michele copia i miei movimenti e si posiziona al mio fianco.

«Questo non è un orologio come gli altri» illustro attirando la sua attenzione.

Percependo i suoi occhi su di me, continuo, «È un orologio ad acqua, cioè funziona grazie al movimento della stessa. Non so perfettamente come faccia, comunque segue un principio fisico...credo»

Michele ascolta attento e vedo che osserva anche lui l'opera davanti a noi.

«Di solito i turisti non ci prestano molta attenzione, ma io credo sia stupendo» 

Muove il capo come se concordasse con me, «Lo è, sembra di essere in una foresta incantata»

«Lo so»

Vedo Michele assottigliare gli occhi e sporgere il busto in avanti, come se stesse leggendo qualcosa.

Guarda l'orologio al suo polso e fa un piccolo sorriso, «È indietro» dice soltanto indicando l'orario che porta.

«O forse siamo noi avanti»

Mi stacco dalla staccionata per andarmi a sedere sulla panchina e lui mi segue.

Posiamo gli zaini ai nostri piedi e prendendo un profondo respiro mi volto nella sua direzione.

«Ti ho portato qui, perché questo posto è importante per me» gli chiarisco, «vengo qui quando qualcosa va male, e guardo questo orologio. In qualche modo riesce sempre a calmarmi»

Riprendo a prestare attenzione all'oggetto di fronte a noi stringendomi nella giacca a causa del vento che soffia freddo.

«Il fatto che funzioni con il movimento dell'acqua mi affascina. Immagino che se l'acqua scorra più velocemente o lentamente allora anche il tempo viene alterato. Forse non è così, infondo non ci capisco nulla di fisica, però mi fa pensare che in realtà il tempo non esiste davvero. Lo abbiamo inventato noi. Il tempo è relativo, non è misurabile, un pò come i sentimenti e le cose che viviamo. E penso che se anche il tempo può essere interpretato in vari modi, allora lo è anche tutto il resto. Così quando sto male vengo qui, e fissando questo orologio provo a cambiare prospettiva e vedere le cose da un punto di vista diverso e che non avevo considerato» 

Non una parola esce dalle sue labbra e sento l'imbarazzo scuotermi il corpo e farmi arrossire.

Non avrei dovuto espormi così tanto, ma quando inizio a parlare le parole escono dalla mia bocca come un fiume in piena e non riesco a fermarle.

Non ho mai portato nessuno qui, questo è il mio posto sicuro, ma l'ho fatto perché so che Michele non lo condividerà con nessuno e perché voglio dimostrargli qualcosa.

«Perchè l'hai fatto...intendo, farmi vedere questo posto?» domanda serio guardandomi dritto negli occhi.

Michele non fare così che mi metti a disagio, grazie.

Mi schiarisco la gola cercando di non balbettare e fare la figura della scema.

«Ti ho detto qualcosa di personale su di me, per farti capire che puoi fidarti»

Porto i capelli dietro le orecchie e prendo un profondo respiro, «Lo so che non siamo mai andati d'accordo e che mi detesti, però voglio davvero aiutarti e voglio aiutare anche Alessandro. So che tieni a lui proprio come me, e solo andando d'accordo possiamo farcela. Quindi perché non ricominciamo d'accapo?»

È una mossa azzardata la mia, dato che non sopporto la sua aria di superiorità e perfezione, ma sabato scorso Michele mi ha dimostrato di essere un bravo amico, presente e solidale, ed è un qualcosa che apprezzo tanto.

Ci sono tanti aspetti che non conosco di lui, e forse diventando amici e imparando a vederlo davvero, il mio astio si assopirà.

Non posso saperlo con certezza, ma sono stanca di portare rancore.

«Perché credi che ti detesti?» domanda con tono indecifrabile sorprendendomi.

«Non è così?»

Il suo sguardo mi fa sentire una completa scema, ma ho i miei motivi per credere che sia così.

A partire dalla festa in cui ci siamo conosciuti.

«Amanda, non mi hai fatto nulla, perché dovrei odiarti?»

La sua domanda non fa una piega, ma se per tanto tempo ho avuto questa convinzione un motivo c'è.

Non mi ha mai salutata, mai parlata, sempre ignorata e guardata dall'alto in basso.

Di certo non potevo immaginare di essergli simpatica.

«Perché mi hai sempre ignorata Michele» spiego il mio punto di vista.

Scuote la testa mentre io non so cosa dire.

E chi si immaginava questo risvolto?

«Questo è perché sono io che non do molta confidenza alle persone, ma non ho nulla contro di te»

Posa una mano sulla mia spalla e mi sento andare a fuoco.

Va bene che non ti sono antipatica, ma meno confidenza grazie, che non sono abituata.

«Mi dispiace se ti ho fatto credere il contrario»

Nei suoi occhi leggo vero rammarico e il verde si è leggermente adombrato.

Una morsa mi stringe lo stomaco e decido di proporgli un trattato di pace.

Da oggi inizia una nuova era.

Allungo una mano sotto il suo sguardo smarrito, «Amici?» convengo.

Sorride e una piccola fossetta si forma sulla guancia quando ricambia la mia stretta e posa la mano nella mia.

«Amici»
 

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Capitolo 7
*** L'occasione perfetta ***


Trenta minuti.

Mancano trenta minuti alla fine del compito di matematica, e devo ancora finire un esercizio e ricopiare gli altri in bella copia.

Il giorno della verifica è arrivato come un incudine sulle nostre teste, e devo ammettere che Colombo non si è risparmiata.

Sebbene abbia studiato il programma alla perfezione e mi sia esercitata ripetutamente a casa, ho riscontrato delle serie difficoltà soprattutto nei primi esercizi.

Alla difficoltà del compito e il tempo limitato si è aggiunto anche il dovere morale di aiutare Alessandro, il quale sta copiando dalla sottoscritta.

Fortunatamente i compiti sono identici, ma Colombo è davvero inquietante nella sua capacità di smascherare gli alunni, e nonostante sia riuscita a passare qualcosa al mio compagno di banco sono mossa dall'ansia incredibile di essere scoperta.

Svolgo l'ultimo esercizio cercando di focalizzarmi solo su di esso e non farmi distrarre e influenzare dall'agitazione che si respira nell'aria.

Per fortuna riesco a concluderlo in un quarto d'ora.

Non mi resta che passarlo ad Ale  e ricontrollare tutti i calcoli, cosa che non mi permetterà di ricopiare la prova.

Pazienza, meglio consegnarlo pieno di scarabocchi che consegnarlo a metà.

Colombo hai voluto metterci in difficoltà? Ora ti becchi le cancellature e l'interpretazione dei miei asterischi numerati.

Prendo un profondo respiro e alzo lo sguardo per vedere cosa stia facendo la professoressa.

Indossa gli occhiali dritti sul naso e lo sguardo è puntato sulla fila vicino al muro, quindi facendo minor rumore possibile strappo un pezzetto di carta che infilo nei fogli del compito per scrivere liberamente.

Alessandro deve ancora ricopiare tre esercizi, ovvero metà verifica, e ciò significa che la mia mano dovrà muoversi più di Flash.

Comincio a scrivere guardando costantemente l'orologio mentre sento il banco muoversi sotto il movimento nervoso della gamba di Alessandro.

Lo trucido con lo sguardo e lui smette.

Con un sospiro ansioso continuo a ricopiare. 

Devo star attenta a non sbagliare nulla perché confondere un meno e un più può comportare un disastro.

Dannata matematica.

«Mancini» pronuncia la professoressa improvvisamente facendomi mancare il respiro.

Sia io che il mio compagno ci immobilizziamo e smetto di scrivere con la penna a mezz'aria.

Alzo lo sguardo per vedere la professoressa avvicinarsi al nostro banco, per poi riabbassarlo e continuare a scrivere fingendo di star svolgendo il mio compito.

Ci manca solo che mi colga in flagrante.

Quando si posiziona davanti a noi mi risulta difficile mantenere una faccia rilassata e la osservo un secondo solo per costatare il suo sguardo sospetto rivolto al mio compagno.

«Sono ben venti minuti che non scrivi nulla, cosa stai aspettando? Un'illuminazione improvvisa? O forse hai già concluso il tuo compito» afferma con tono sadico.

Tutti i miei compagni ci guardano per vedere cosa succederà da lì a poco.

«Sto pensando prof» replica Ale con tono sicuro.

Altro che musicista, dovrebbe fare l'attore.

Colombo lo scruta da sotto le lenti con poca convinzione ed esamina il suo compito dall'alto.

«Croce» mi chiama.

Il mio corpo si paralizza per il terrore e la mia mente si riempie di immagini in cui Colombo mi scopre mettendomi un due.

La guardo fingendomi serena, ma non credo di starci riuscendo bene come Alessandro.

«Fai cambio posto con Fiore» 

In questo momento tirerei un sospiro di sollievo per averla fatta franca, ma non posso non pensare ad Alessandro che inevitabilmente, con solo metà compito svolto, prenderà un'altro quattro.

Mi alzo dalla sedia rivolgendogli uno sguardo dispiaciuto e mi avvicino al banco di Laura che si alza per sedersi al mio posto.

Faccio un piccolo cenno a Marta la quale è troppo concentrata a scrivere e mi siedo pregando in un miracolo divino.

***

«Questa volta Colombo ha davvero dato il peggio di sé» mi dice Marta una volta aver consegnato i nostri compiti.

Anche lei riscontra delle difficoltà in questa materia, però da quando prende ripetizioni private è migliorata molto.

Mi chiedo perché un alunno debba pagare delle ripetizioni quando la scuola ha proprio la funzione di insegnare. Se Colombo si rendesse conto che tanti studenti necessitano di spiegazioni e attenzioni in più, saremmo tutto più felici.

Marta non è una ragazza svogliata eppure ha dovuto ricorrere ad altri rimedi e questo prova che talvolta anche chi studia molto ha bisogno di aiuto.

«Vero, io mi sono disperata nei primi esercizi» rispondo.

Sgrana gli occhi ripensando alle lunghe equazioni dateci, «A chi lo dici! Spero solo di raggiungere la sufficienza» replica con una smorfia preoccupata.

«Stai tranquilla, sono sicura di sì»

Le rivolgo un piccolo sorriso ed entrambe ci alziamo per goderci un pò d'aria dopo questo massacro. 

Anch'io non ho dato il mio meglio, e spero solo di prendere un voto decente o dovrò davvero faticare per recuperare.

Con questi pensieri mi ritrovo in corridoio e vedo Alessandro parlare con Michele.

Volevo avvicinarmi a lui per consolarlo, ma non mi sembra il caso adesso, e c'è già Michele ad assisterlo.

Alessandro fortunatamente non mi sembra arrabbiato, solo rassegnato al suo destino e amareggiato. Michele invece lo ascolta attento senza interromperlo e quando alza lo sguardo trovando i miei occhi sono totalmente impreparata.

Ma perché continuo a fare sempre questa figuraccia? 

Mi sembra abbia un microchip che lo informa del mio sguardo ogni volta.

Gli rivolgo un piccolo sorriso di saluto che ricambia, poi mi incammino in cerca di Laura rossa in volto.

Dopo poco la trovo vicino le finestre assorta a guardare il panorama.

Mi avvicino e le rendo nota la mia presenza toccandole la spalla.

«Hey» la saluto una volta poggiatami al davanzale.

«Hey» risponde in tono monocorde.

Continua a guardare fuori persa in qualche pensiero e mi allerto all'istante.

«È andato male il compito?» domando incerta e sorpresa.

Questa sarebbe una novità data la sua bravura in matematica.

Scuote la testa ma non dice altro. 

C'è qualcosa che la tormenta ma non riesco a capire cosa. Laura ha sempre la tendenza a tenersi i suoi problemi per sé, però sa chiedere aiuto se ne ha bisogno. Vederla così silenziosamente pensierosa è davvero strano.

Preferisco la sua solita aria innervosita. 

Porta i capelli biondi dietro le orecchie per poi voltarsi verso di me.

«A te com'è andata?» domanda

«Non male, penso di raggiungere la sufficienza» rispondo sondando la sua reazione, «mi preoccupo più per Alessandro in realtà» continuo nominando la persona che nel male la fa reagire.

«Perché?»

Stupita sgrano gli occhi alla sua risposta inaspettata. 

Perché non commenta acidamente come al solito, ed è addirittura interessata?

C'è sicuramente qualcosa che non va.

«Stai bene?» mi viene spontaneo chiederle.

Aggrotta le sopracciglia confusa, «Certo»

«Sei...strana»

Porta le mani sulle mie spalle scuotendole leggermente, «Sto benissimo»

Non mi convince per nulla, però forse è meglio non insistere.

Alle sue spalle vedo Michele e Alessandro avanzare per dirigersi alle macchinette e decido di riprendere il discorso.

«Il compito di Ale è andato male...di nuovo» rispondo alla sua domanda precedente.

Laura rimane silenziosa senza commentare e mi chiedo a cosa stia pensando.

Forse proprio ad Alessandro, anche se mi sembra paradossale.

Non so proprio come farà quando Colombo ci consegnerà i compiti e dovrà informare i genitori di un altro brutto voto, soprattutto dato gli ultimi avvenimenti.

Non la prenderanno affatto bene, e temo già di sapere come lo puniranno.

«Ragazze!» Sento dire una voce alle mie spalle e il momento successivo delle mani fanno pressione sulle mie spalle e Vittoria si posiziona di fronte a noi con un piccolo saltello.

È raggiante nel suo ampio sorriso, in netto contrasto con l'espressione incolore di Laura.

«Come mai così contenta?» domanda proprio lei notando il suo stato d'animo.

Vittoria si dondola sui talloni continuando a mostrarci anche i denti del giudizio, e poi ci porge dei biglietti emettendo un piccolo urletto.

Io e Laura ci guardiamo confuse per poi prenderli e scoprirne il contenuto.

JOVANOTTI TOUR 
6 APRILE 2019
STADIO OLIMPICO

«Wow...non dovevi» commenta Laura dopo qualche secondo di silenzio.

Vittoria alza gli occhi al cielo per poi strapparci i biglietti dalle mani.

«Non sono per voi» chiarisce subito, «ma per me e Marco. Sabato è il nostro anniversario e ho organizzato questa sorpresa»

Non riesce a contenere il suo entusiasmo mentre riprende a saltellare come un grillo.

«Perché Jovanotti? Non mi sembra il genere di musica che piace a Marco» le domanda la bionda.

«Perché la nostra canzone è "Chiaro di luna"! Ho fatto una fatica immane per trovarli ma ce l'ho fatta!» esclama non riuscendo a trattenere la gioia.

Sorrido intenerita nel vederla così innamorata, ma soprattutto così romantica, caratteristica che non l'ha mai contraddistinta.

Lei è la prova e la ragione per cui amo essere Cupido.

«Che gesto romantico Vic» le faccio notare appositamente per infastidirla.

Detesta essere definita romantica, perché si è sempre ritenuta una persona immune a quelle sciocchezze sdolcinate di cui ero solita nutrirmi.

Parole sue, non mie.

«Guarda che li ho presi soprattutto perché Jovanotti è il mio cantante preferito» si mette sulla difensiva.

Non riesco a contenere una risatina di fronte la sua espressione infastidita e anche Laura si lascia sfuggire un sorriso.

«Certo» fingo di assecondarla.

Vittoria sbuffa contrariata per poi mormorare un «Vado in classe» imbarazzato.

Non ci resta che ridere mentre la vediamo andare via e decidiamo di fare lo stesso dato che sta per iniziare l'ora di filosofia.

Dopo due ore di compito non so come farò a sopravvivere alla voce calma ma soprattutto capace di far addormentare del professor Parisi.

Con mio stupore quando varchiamo la porta della classe lo troviamo già lì in sommo anticipo, ma soprattutto in piedi e poggiato sulla cattedra e non mezzo morto sulla sedia.

«Ragazze sedetevi» ci invita facendo un gesto della mano in direzione delle sedie.

Entrambe andiamo ai nostri posti e il professore aspetta che tutti facciano ritorno in classe con ancora quell'aria felice.

Di solito si presenta sempre in ritardo e non vede l'ora di concludere e tornare a casa, oggi invece lo vedo particolarmente sveglio.

Quando siamo tutti seduti e composti finalmente si smuove dalla sua posizione e prende a camminare per l'aula.

Non tutti sembrano aver notato il cambiamento che vedo in lui, qualcuno infatti ha già posato la testa sulle braccia pronto a dormire durante la spiegazione.

«Ragazzi...ho una bellissima notizia» comincia all'improvviso catturando la nostra attenzione.

Se per buona notizia intende una riduzione del programma, allora non posso che concordare.

«Come ben sapete quest'anno non erano in programma gite scolastiche a causa di mancanza di accompagnatori» riprende facendoci drizzare le orecchie.

Tutti sappiamo in che direzione sta andando il suo discorso.

«Ma...ho insisto duramente con la preside in quanto ritengo fondamentali i viaggi d'istruzione per la socializzazione tra gli studenti, e ho convinto la Professoressa Rossi e la Professoressa Colombo ad accompagnare le nostre classi. Quindi preparatevi perché tra poco si parte!» conclude entusiasta.

Subito si elevano urla di gioia e d'assenso mentre Alessandro al sentir nominare la sua pena personale scuote la testa contrariato.

Tutti sembrano gioiosi di partire, e devo ammettere che anche io non sono da meno. Adoro viaggiare, e questo sarà il nostro primo viaggio come classe dato che gli anni precedenti non abbiamo avuto questa possibilità.

Credo infatti che nessuno desisterà sebbene ad accompagnarci ci sarà l'uccello del malaugurio.

«E quale sarà la meta professore?» domanda Vanessa da infondo l'aula.

Il prof si apre in un sorrisetto prima di pronunciare con aria solenne, «Firenze» 

Il mio respiro rimane intrappolato nei polmoni mentre la voce del professore che ci informa di maggiori dettagli mi arriva ovattata alle orecchie.

Firenze.

La città che sogno di visitare da sempre.

Il Duomo, Ponte Vecchio, Gli Uffizi, La cupola di Brunelleschi, Santa Maria Novella, L'Arno.

E tantissime altre meraviglie da scoprire.

Non ci posso credere.

Sento la pelle d'oca in tutto il corpo, proprio come ogni volta che sono emozionata e con il cuore a mille.

Non potevo ricevere notizia più bella.

Firenze sarà sicuramente affascinante, incantevole e...romantica, soprattutto se la si conosce bene e si sa quali posti visitare.

Un momento. 

Come ho fatto a non pensarci prima? 

È come se avessi ricevuto un aiuto dall'alto.

Questa è la mia opportunità e Firenze è semplicemente perfetta.

***

Ho sempre paragonato la campanella dell'ultima ora agli Hunger Games, con i ragazzi che corrono come dei forsennati per uscire dalla prigione in cui siamo rinchiusi per sei ore consecutive, che spintonano senza grazia il malcapitato di turno e pestano i piedi puntualmente quando indossi le scarpe nuove di zecca.

Oggi mi ritrovo ad essere proprio una di quelle persone, infatti quando la campanella suona volo via senza salutare nessuno.

Probabilmente Alessandro avrà pensato che avessi un'incontinenza intestinale, ma pazienza. Devo essere veloce.

Devo parlare con Michele della mia idea, e dato che con mille studenti nel cortile è difficile individuarlo, dovrò essere io ad aspettarlo vicino il portone e avvistarlo al momento della sua uscita.

Dopo aver sceso le scale come mai prima d'ora mi ritrovo con il fiatone fuori scuola e la milza dolorante.

Devo seriamente iniziare ad andare in palestra.

Perlustro i volti dei miei compagni uno ad uno e quando finalmente lo vedo mi avvicino repentinamente.

Quando incontra i miei occhi i suoi si tingono di stupore, ma non gli do tempo di aprire bocca perché afferro la sua giacca e lo trascino con me obbligandolo a seguirmi.

«Che stai facendo?» lo sento chiedermi, ma decido di non rispondere.

Spintono qualche ragazzo che ha deciso di impalarsi nel mezzo del cortile e mi dirigo dietro le scale antincendio.

È l'unico posto in cui si può avere più tranquillità e parlare liberamente senza orecchie indiscrete a sentirci.

Quando rallento la presa Michele si liscia la giacca stropicciata dalla mia stretta, gesto che mi provoca non poco divertimento.

«Non preoccupati principino, non è nulla che un ferro da stiro non possa risolvere» lo prendo in giro.

Michele in risposta fa una smorfia che non fa che divertirmi di più.

«Che ti è preso?» mi chiede riferendosi alla mia furia.

Incrocio le braccia al petto e mi accomodo su uno scalino .

Lui resta in piedi a fissarmi pronto a ricevere risposte.

C'è qualcosa di diverso in lui, forse il fatto che indossi dei semplici jeans e una maglietta nera, o forse i capelli leggermente scompigliati.

Sì, devono essere i capelli. Di solito li tiene in perfetto ordine.

Amanda non ti distrarre.

«Tu di filosofia hai Parisi, giusto?» domando sperando che la memoria non mi inganni.

«Sì, perché?» conferma facendomi rilassare.

«Vi ha parlato della gita, immagino» 

Nel suo sguardo passa un'ombra che non riesco  a spiegarmi, ma è solo un istante.

«Sì» dice soltanto.

Mi alzo per fronteggiarlo e gli poggio una mano sulla spalla per fargli aprire gli occhi.

«Michele, questa è l'occasione perfetta» dichiaro.

Si scosta leggermente confuso da quello che gli sto dicendo.

«Perfetta per cosa?» domanda incerto.

«Come per cosa? Per il piano Cupido!» gli faccio notare ovvia e allo stesso tempo disorientata.

Possibile che un ragazzo intelligente come lui non capisca una cosa così semplice?

«La classe di Rebecca verrà con la Professoressa Rossi e avrete modo di stare finalmente insieme!» continuo felice.

Le gite sono delle vere e proprie fughe d'amore degli adolescenti, sia per chi ha già il cuore impegnato sia per chi vuole rimorchiare.

Questo viaggio a Firenze sarà l'occasione giusta per Michele non solo di farsi conoscere ma anche di conquistare Rebecca. Ha una conoscenza di Firenze che nessuno di noi possiede, e potrà conquistarla non soltanto portandola in posti poco conosciuti e romantici, ma anche con la retorica.

Alle ragazze piacciono i ragazzi acculturati, e sono sicura che Rebecca non è da meno.

Con Firenze da sfondo e la magia che solo una gita scolastica è in grado di trasmettere, la loro storia potrà finalmente sbocciare ed essere rappresentata in una cartolina.

«Non verrò a Firenze» mi informa.

In un secondo tutto il mio piano e progetto ad occhi aperti viene distrutto e strappato in mille pezzi.

In che senso non viene?

«Cosa?» il tono mi esce inevitabilmente scontroso.

Devo chiudere questa storia il prima possibile, perché anche se ho chiarito i miei rapporti con Michele, non riesco più a sostenere l'ansia del piano.

Di solito riesco a concludere tutto molto velocemente, e non voglio che questa storia si protragga ancora a lungo.

«Mi sembra inutile spendere dei soldi per andare a visitare una città che conosco a memoria» fa spallucce.

«Michele, le gite sono fatte per interagire con gli altri, non solo per vedere una città» gli faccio presente.

«Mi bastano le persone con cui interagisco»

Espiro aria dal naso cercando di calmarmi. Il poverino non sa che ho poca pazienza e che si sta esaurendo alla velocità della luce.

«Michele, ti ricordi cosa ti ho chiesto quando ho accettato di aiutarti?»

Apre la bocca ma lo interrompo subito, «Ti ho domandato se fossi disposto ad aprirti con me. E tu mi hai detto che avresti fatto di tutto per conquistarla. Sbaglio?»

Rimane in silenzio memore della nostra conversazione.

«Questa è la tua concezione di tutto?» lo provoco.

«È solo una gita!» allarga le braccia esasperato.

Il suo tono di voce, la sua postura rigida, i suoi occhi, mi fanno capire che non sono i soldi il problema.

«Hai detto che ti saresti fidato di me»

«Mi fido infatti» risponde in un sussurro.

I suoi occhi brillanti mi guardano con fermezza, e anche se so che non sta mentendo non posso non credere che mi stia nascondendo qualcosa.

So che non posso forzarlo a fare qualcosa che non vuole, ma come posso aiutarlo se lui non me ne da modo?

È lui quello innamorato di Rebecca, non io.

«Non posso costringerti a venire in gita» affermo dopo qualche secondo di silenzio mantenendo il contatto con i suoi occhi, «però se il motivo non sono i soldi, le tue sono solo parole a vento»

Mi umetto le labbra distogliendo per un momento lo sguardo e trovare le parole giuste.

«Dobbiamo essere partner in questa storia, perché da sola non ce la posso fare, lo capisci?» 

Muove la testa in un gesto d'assenso scompigliandosi i capelli in un gesto nervoso, riflettendo sulle mie parole.

«Se non vuoi venire in gita allora non sarà quella l'occasione perfetta. Ne troverò un'altra, non ti preoccupare...però tu pensaci»

Gli volto le spalle e comincio e tornare indietro verso il cortile, non prima di dirgli, «Intanto avrò modo di conoscere i gusti di Rebecca» 

Mi allontano lasciandolo con i suoi pensieri, e pianifico la mia prossima mossa.

***

«Un pigiama party?» chiede mia madre con sguardo allucinato.

Mescola il sugo nella padella mentre aggiungo il sale all'acqua per la pasta.

«Che cosa stupida» commenta Samanta seduta al tavolo.

Le lancio un'occhiataccia e decido di ignorarla.

«Saremo solo poche di noi» continuo cercando di convincerla.

«Chi?» mi domanda continuando a prestare attenzione ai pomodori.

«Vittoria, Laura e altre due ragazze che non conosci»

«E dove vi metterete tutte?» 

«Io ho un letto abbastanza grande da dormire in tre, poi abbiamo anche due brandine. Lo sai che ci entreranno nella mia camera. Ti prego fammelo fare!» 

Congiungo le mani mostrandole l'espressione più tenera che il mio viso è in grado di produrre.

Purtroppo viene smorzata dal commento di Samanta in sottofondo, «Ma quanti anni avete? Dieci?»

Innervosita mi volto nella sua direzione «Nessuno ha chiesto la tua opinione»

Mi volto nuovamente verso mia mamma replicando lo sguardo di Bambi.

«E va bene!»

Un urletto mi sfugge dalle labbra mentre l'abbraccio ringraziandola.

Almeno una parte è andata a buon fine.

Faccio anche una linguaccia a Sam, giusto perché non guasta mai, poi notando che l'acqua sta bollendo calo la pasta.

«Sam, oggi devi andare a prendere tu Amanda a danza, io ho una riunione» le ricorda mia madre.

Sam alza gli occhi dallo schermo del telefono improvvisamente alterata.

«Non posso, mi devo vedere con Ludovico» 

«Tua sorella non può tornare a casa da sola alle otto e mezza di sera» 

Guardo Samanta sconcertata, non può davvero abbandonarmi! Ho già perso troppe lezioni ultimamente.

«Amanda ha due gambe perfettamente funzionanti e in alternativa c'è l'autobus. Non sono il suo taxi personale» e con questo si alza da tavola andando in camera sua e chiudendo la porta.

E lasciandomi in cucina ferita.
 

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Capitolo 8
*** High School Musical ***


Il gelo delle otto di sera dei primi di Aprile mi penetra nelle ossa, causando dei brividi che mi scuotono tutta.

Sebbene sia da poco iniziata la primavera il freddo non ha accennato ad andar via, motivo per cui seduta su una panchina e con indosso un misero giubbino di pelle, sto pregando che l'autobus arrivi il prima possibile.

È già quasi una settimana che sono costretta a tornare a casa con i mezzi pubblici dopo lezione di danza,  i miei genitori infatti non possono dato che è un periodo molto impegnativo a lavoro, e mia sorella ha sempre qualcosa da fare con Ludovico.

Dopo la risposta secca dell'ultima volta non ho mai chiesto un passaggio e lei non me lo ha mai offerto.

Parliamo poco nonostante la convivenza sotto lo stesso tetto, e ho quasi sempre l'impressione che non esista nulla per lei al di fuori del suo fidanzato.

Anche con mamma è iniziata una specie di guerra fredda; non so precisamente cosa sia successo tra di loro, ma sono certa che abbiano discusso in quanto non comunicano più come un tempo.

Quel comportamento oltre che mettermi a disagio per l'aria che si respira tra le mura di casa, mi rende sospetta e anche  preoccupata.

Vorrei chiedere a Sam cosa le passi per la testa nell'ultimo periodo, ma la paura oltre che l'orgoglio per come mi ha trattata l'ultima volta mi bloccano puntualmente.

Nell'attesa dell'autobus decido di mandare un messaggio a Vittoria per chiederle se l'invito al pigiama party sia stato accettato.

"Rebecca e le altre hanno confermato per venerdì?"

Tra soli due giorni finalmente ci sarà il pigiama party, e ammetto di avere una leggera ansia.

Rebecca e le sue amiche mi sembrano ragazze simpatiche e alla mano, ma in poche ore dovrò carpire i gusti personali di Rebecca e in qualche modo introdurre il discorso "ragazzi". L'ultimo punto non dovrebbe risultarmi troppo complicato dato che il cinquanta percento dei discorsi femminili verte sui cromosomi Y, l'altro invece dovrà essere eseguito con discrezione.

Soffio sulle mani cercando di riscaldarle dal freddo serale e  controllo l'orario sul telefono per capire quanto ancora potrò resistere prima di diventare un ghiacciolo.

Le otto e un quarto.

Pochi minuti e finalmente arriverà l'autobus.

Il cellulare mi vibra fra le mani e subito leggo la risposta di Vic.

"Tutto sotto controllo, tranquilla! Mi raccomando compra patatine e cioccolato fondente :)"

Con un sorriso sul volto digito velocemente una risposta e alzando lo sguardo noto il pullman avvicinarsi.

Grazie al cielo.

Ripongo il telefono nella borsa e appena il conducente apre le porte mi fiondo dentro in cerca di calore.

A quest'ora, come immaginavo, è  pressoché vuoto e non mi è difficile trovare un posto e sistemarmi per bene.

Due fermate e due canzoni mi separano dall'arrivo.

Mentre Francesco Renga mi delizia le orecchie, Roma fa altrettanto con la mia vista. Dal vetro osservo tutte le luci delle finestre degli appartamenti che mi scorrono davanti agli occhi, vedo figure sfocate sedute a tavola pronte a cenare, altre davanti al televisore, altre ancora fuori al balcone ad ammirare il panorama.

Un tipico mercoledì sera.

Se invece penso a cosa mi aspetterà tra le mure di casa una volta tornata mi viene quasi voglia di arrivare al capolinea con il conducente.

Sì lo so, sono melodrammatica.

Il punto è che detesto litigare con le persone, soprattutto quelle a cui voglio bene e a cui non riesco a tenere il broncio.

La mia arrabbiatura di solito ha la stessa durata della mia pazienza: poca.

È per questo che mi risulta così difficile essere arrabbiata con Samanta, ma allo stesso tempo credo che mi debba delle scuse.

Non perché non mi abbia accompagnato a danza, ma per tutta la scontrosità che mi ha rivolto negli ultimi giorni.

Forse è solo un periodo stressante per lei, infondo è prossima alla laurea e avrà molti pensieri per la testa. 

Siamo pur sempre una famiglia, e a turno ognuno di noi deve sopportare gli sbalzi d'umore di qualcun altro. 

Speriamo che il suo le passi in fretta.

Intanto Renga continua a cantare di quanto sia bello l'amore e bla bla bla, dunque per evitare di deprimermi seleziono una canzone dei Coldplay più movimentata.

Viva la vida

Facile a dirsi, Chris Martin.

A stento trattengo qualche mossa di danza che il mio corpo istantaneamente avanza, giusto perché ho un minimo di dignità e cerco di conservarla, anche se il movimento del mio capo a ritmo di musica mi fa sembrare un piccione a piazza San Marco.

Mentre continuo ad osservare il panorama indisturbata non noto una figura che si pone al mio fianco e che mi osserva divertita.

Quando mi volto sgrano gli occhi dalla sorpresa e mi sfilo immediatamente una cuffietta.

L'amico di Marco, conosciuto quel sabato sera al Barracuda in cui Alessandro si è preso una bella sbronza, mi fissa con le sopracciglia alzate e un luccichio divertito negli occhi.

Istantaneamente mi viene da pensare che un ragazzo carino mi ha beccata tutta scombinata, con la frangetta arruffata e per giunta in un momento di massimo imbarazzo.

Proprio stasera dovevo incontralo su un autobus.

Lui intanto, poggiato su uno dei paletti che servono per evitare di cadere, vedendo che sono ammutolita mi rivolge un sorrisetto.

«Ciao» mi saluta semplicemente.

Sfilo anche l'altra cuffietta e ricambio il saluto, «Ciao»

«Non volevo disturbarti, mi sembravi molto...coinvolta»

Ecco, appunto.

Naturalmente divento color lampone per la vergogna. Questo ragazzo si diverte proprio a mettermi a disagio, e la cosa è ancora più surreale, dal mio punto di vista, dal fatto che ci siamo incontrati una sola volta. E abbiamo parlato per circa cinque minuti.

Il rossore sulle mie guance sembra infatti rallegrarlo ancora di più, e senza proferir parola si siede nel posto vuoto al mio fianco.

Mi serve spazio personale.

«Tu sei Amanda, giusto? Ti ricordi di me?» domanda guardandomi dritto in faccia.

«Sì e sì» annuisco come se i miei due "sì" non fossero ancora abbastanza chiari.

Mi schiarisco la voce e cerco di assumere un atteggiamento disinvolto, «E tu sei... Gianluca?» chiedo nella speranza che la memoria non mi inganni.

Finge una piccola smorfia delusa, «Giancarlo, in realtà» 

L'ho sempre detto di avere un problema a memorizzare i nomi.

Una risatina assolutamente fastidiosa esce dalle mie labbra, «Vabbè, ho indovinato il Gian!» tento di giustificarmi.

«Non posso lamentarmi» risponde lui sorridendomi.

Mi fermo un secondo a fissarlo, e vedendo i capelli bruni leggermente bagnati e il borsone poggiato sulle sue gambe, intuisco che anche lui deve essere di ritorno da qualche attività sportiva.

Eppure è la prima volta che ci incrociamo sull'autobus.

«Il tuo amico come sta?» 

«Chi? Alessandro?» chiedo memore di quella orribile serata.

Fa un piccolo movimento del capo per spostare una ciocca di  capelli che gli ricade sul viso, «Quello che stava per mandare a rotoli la sua carriera da modello con un bel gancio destro»

«Alessandro» confermo divertita, «fortunatamente la sua carriera è ancora salva» scherzo.

Anche lui si lascia scappare una piccola risata, «Ne sono contento»

«A proposito, grazie per aver aspettato insieme alle mie amiche, non potevamo lasciarle sole» mi ricordo di dirgli.

Per fortuna si era subito fatto avanti per aspettare insieme a loro, e gliene ero davvero grata.

Infondo anche a lui, così come a Rebecca e alle sue amiche (di cui continuo a non ricordare il nome) era toccato un sabato sera orribile a causa dell'idiozia di Alessandro. 

«Figurati, l'avrebbe fatto chiunque» mi risponde con una scrollata di spalle.

Gli rivolgo un piccolo sorriso per poi spostare gli occhi sulle luci luminose che mi informano che la prossima è la mia fermata.

«Devo scendere» lo informo cominciando a sistemarmi.

Poso la borsa sulla spalla e mi alzo in piedi sostenendomi alla parete per evitare di cadere e fare un'altra figuraccia.

«Aspetta» 

La sua mano stringe il mio polso costringendomi a guardarlo.

Si inumidisce le labbra e resta qualche secondo in silenzio.

«Dammi il tuo cellulare»  afferma facendomi nuovamente arrossire.

Amanda stai calma, sembri una bambina di cinque anni.

«Vuoi rubarmelo?» domando cercando di dissimulare.

Che battuta pessima.

Giancarlo però sorride, «Può essere» sta al gioco, «Dai, dammelo»

Sbircio dal finestrino riconoscendo la strada e per evitare di perdere la fermata prendo il telefono dalla borsa per poi porgerglielo una volta sbloccato.

Lui soddisfatto comincia a digitare sui tasti, lasciandomi il suo numero di telefono.

«Così puoi chiamarmi, se ti va» mi dice una volta finito.

L'autobus intanto rallenta per poi fermarsi. L'autista apre le porte.

«Ci vediamo» rispondo soltanto ancora imbarazzata.

«Ci conto eh!» risponde sicuro di sé.

Scendo dall'autobus e respiro a pieni polmoni l'aria fredda della sera incamminandomi verso casa.

Ripenso a quanto vissuto un attimo fa.

Giancarlo, l'amico di Marco, carino e più grande ha appena lasciato a me, Amanda Croce, il suo numero di telefono. Dopo esserci visti solo due volte.

Mai mi era capitata una cosa simile, e se nei libri queste scene fanno sorridere, adesso mi sento solo molto imbarazzata e confusa.

Dovrei chiamarlo?

Con questi pensieri rientro a casa, e il calore mi avvolge come una coperta di pile.

Tolgo la giacca per poi appenderla.

«C'è qualcuno?»

Nessuna risposta.

Quando però passo davanti la stanza di Sam la trovo chiusa.

Ciao anche a te Samanta.

***

«Prima di iniziare, vorrei farvi un annuncio» 

La professoressa Colombo rompe il silenzio con queste semplici parole attirando la nostra attenzione.

Alessandro al mio fianco resta con gli occhi puntati sul quaderno, controllando gli esercizi assegnatici per oggi.

Dal giorno del compito in classe ha cambiato completamente attitudine nei confronti della matematica: segue le spiegazioni, prende appunti e svolge sempre gli esercizi. Forse si è reso conto di essere arrivato al limite di sopportazione dei suoi genitori, forse si è sentito impotente quando Colombo mi ha scambiata con Laura, o forse ha semplicemente deciso di non essere rimandato.

Non so perfettamente cosa l'abbia spinto, ma non posso che esserne felice.

«Non credo ci sia bisogno di informarvi che sarò io ad accompagnarvi alla gita a Firenze» riprende Colombo indossando gli occhiali, «Ebbene, sarò anche io ad occuparmi dell'organizzazione della vostra classe, ragion per cui vi informo che partiremo fra due settimane e che dovrete portare le autorizzazioni e i soldi entro le prossima» conclude.

Subito un brusio si eleva nell'aula, e anche Alessandro distoglie gli occhi per spostarli su di me.

Ci guardiamo entrambi sorpresi, come anche i nostri compagni.

So che il nostro è stato un viaggio organizzato molto velocemente, e anche che il prezzo non è eccessivamente elevato, ma non eravamo minimamente pronti o quantomeno dell'idea che avremmo dovuto fare le valigie così presto.

Se da un lato sono felice, dall'altro non posso non pensare che ci sia stato fin troppo poco preavviso.

«Lo so, lo so, vi abbiamo informato decisamente tardi e mi rincresce. Purtroppo la preside è stata un'osso duro, ma io e il Professor Parisi volevamo che faceste questa esperienza» ci spiega guardandoci uno ad uno.

Una settimana per consegnare le autorizzazioni, ovvero una settimana per convincere Michele a venire in gita.

Sì, lui mi ha chiaramente detto di non averne intenzione, ma non posso di certo arrendermi così facilmente. Sono ancora dell'idea che sia un pian perfetto, e non voglio rinunciarci.

Il problema è trovare qualcosa che lo motivi.

La professoressa Colombo intanto chiama Vanessa alla cattedra e quest'ultima ci distribuisce le autorizzazioni da far firmare ai nostri genitori. 

Leggo tutte le informazioni necessarie, e già immagino i nostri quattro giorni per le vie di Firenze, respirando la storia e l'arte ad ogni angolo.

Peccato che non posso godermi  appieno questa emozione pre gita.

«Ho ancora un'altra novità» ci riprende la Prof.

Cosa può esserci ancora?

«Il professor Parisi tiene molto alla socializzazione tra gli studenti e anch'io. Da lui è partita l'idea della vostra gita, e da me è partita l'idea di un'altra attività che credo sia giunto il momento di portare nelle scuola italiane» comincia incuriosendoci.

Resta qualche secondo in silenzio per creare un pò di suspence, per poi affermare solennemente «Il teatro»

Il teatro?

Anche le facce dei miei compagni hanno assunto espressioni perplesse, soprattutto Alessandro che non prova minimamente a nascondere il suo scetticismo.

«Non solo, ma anche la musica. Sono entrambe delle arti che non vengono mai approfondite, ecco perché ho deciso di unire l'utile al dilettevole e portare in scena un musical

Per poco non scoppio in una risata.

Un musical? Davvero?

Mi dispiacerebbe smorzare il suo così evidente entusiasmo, ma credo che per la maggior parte di noi l'esperienza più vicina ad un musical sia la recita delle elementari.

Anche Colombo interpreta il nostro silenzio come un dissenso perché quel piccolo sorriso, che mai le avevo visto in tre anni, si spegne di colpo.

Forse si aspettava salti in aria e urla entusiaste.

Si schiarisce la voce e prosegue, «Per un musical ci vogliono molte persone, ecco perché mi farebbe piacere che diffondeste la notizia. Metterò un cartello fuori la scuola in cui potrete firmare se siete interessati, entro la fine del mese. Se ci saranno abbastanza firme porteremo in scena Grease, altrimenti perderete l'opportunità di fare qualcosa di diverso in questa scuola. Sta a voi la scelta»

Ammetto che non mi dispiacerebbe vedere un musical nella nostra scuola, semplicemente non ho intenzione di parteciparvi, e credo che lo stesso valga per i miei compagni.

Anche Alessandro mi sembra poco propenso, sebbene sia uno dei pochi ad avere una seria cultura musicale; infatti quando la campanella suona e Colombo esce dall'aula, si alza in piedi e scoppia a ridere.

«Non pensavo che saremmo finiti in High School Musical» scherza facendomi ridere.

In effetti.

«Nemmeno io in realtà. Penso proprio che nessuno firmerà»

Passa una mano tra i ciuffi corvini per poi poggiarsi al banco.

«Chi si sottoporrebbe mai ad un'umiliazione pubblica di fronte a centinaia di studenti? Soprattutto chi indosserebbe mai quei jeans strettissimi di John Travolta in Grease? Cavolo, poteva scegliere almeno qualcosa di più recente»

«Magari La La Land» propongo divertita.

«Sì certo, e ballare il tip tap di fronte a tutti? Non che io abbia qualcosa contro il tip tap, credo proprio che i musical siano imbarazzanti in generale»

Non posso dargli torto in effetti.

Il solo pensiero di ballare e cantare di fronte a tanti adolescenti pronti a riderti addosso in un battito di ciglia non è decisamente allettante.

Continuiamo a parlare finché Laura non si avvicina a noi come una furia. 
Lancia una breve occhiata ad Ale per poi rivolgersi a me.

«Ci credi che nessuno vuole partecipare al musical?!» esclama sbalordita ed infuriata, «Ho chiesto a tutti cosa ne pensassero e tutti mi hanno detto che è una cavolata! Da non crederci! Finalmente la musica viene introdotta in questa scuola e a nessuno importa» conclude esasperata.

Come glielo dico che sono della stessa opinione?

Questa mi ammazza.

«Beh Laura, non tutti sanno cantare bene come te, o fare qualsiasi cosa che..» inizio per poi interrompermi quando senza alcun motivo Alessandro si allontana velocemente urtando la spalla di Laura appositamente.

Cosa è appena successo?

Guardo Laura stranita, mentre lei rimane in silenzio. In un'altra occasione non avrebbe perso tempo ad insultarlo, ora invece non riesce a nascondere un leggero rossore.

Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra quasi che lo abbia accettato perché crede di esserselo meritato.

Ok, questo non è possibile. 

«Che succede?» chiedo cercando un contatto visivo.

«Niente» risponde mentre con un gesto nervoso comincia a mangiare una pellicina del pollice.

Ok, è sicuramente successo qualcosa.

«Cos'era quello?»

«Quello cosa?»

«Laura, non fare finta di niente, Alessandro ti ha urtata e non hai detto una parola»

Non ribatte subito e questo mi mette in allerta.

«È semplicemente Alessandro che fa l'idiota come sempre e non mi andava di discutere oggi»

«Dimmi la verità» dico perentoria.

«È la verità!»

Le lancio uno sguardo eloquente che la fa sbuffare.

«Possiamo parlarne un'altra volta?» suggerisce facendomi notare che siamo a portata d'orecchio di altri venti ragazzi.

Sospiro rassegnata sapendo che non sputerà il rospo così facilmente.

«Va bene, ma non finisce qui il discorso»

Annuisce distrattamente. Forse pensa di scamparsela ma non ha capito che voglio sapere  subito cosa sta succedendo tra quei due prima di ritrovarmi nel mezzo di una guerra.

«Quindi?» esclama all'improvviso.

«Quindi cosa?» domando confusa.

«Quando andiamo a firmare?»

Maledizione.

«Ehm veramente....»

***

Oreo o Nutella Biscuits?

Questo è il dilemma.

Con un carrello stracolmo in una mano e paio di pacchi di biscotti nell'altra, sono intenta da più di cinque minuti a pensare a cosa prendere per il pigiama party di domani.

Dopo aver fatto i compiti, mi sono munita di portafoglio e giacca per fare la spesa più calorica di sempre.

Avevo già preso i marshmallow e la cioccolata come mi aveva chiesto Vic, oltre che patatine, bibite, e altre schifezze.

Alla fine dopo un altro minuto di dubbio decido di prenderli entrambi. Male che vada li mangerò nei giorni a seguire.

Soddisfatta mi reco alla cassa, rendendomi solo adesso conto che ho decisamente preso troppa roba, e non ho idea di come farò a portarla da sola a casa.

Amanda sei veramente un genio.

Prevedendo già lo sforzo fisico a cui sottoporrò le mie braccia, faccio la fila e pago mettendo tutto nelle buste.

Quattro sacchetti, ce la posso fare.

Peccato che pesino un quintale.

Esco dal supermercato già stanca, dunque decido di appendere la busta più leggere al mio braccio, e di mantenere con le mani le altre. 

Proseguo incamminandomi fuori dal percheggio rassegnata al mio destino, quando vedo Michele parcheggiare il motorino e posare il casco nel baule.

Strizzo gli occhi, convinta di avere un'allucinazione, ma no, è proprio lui.

Dovrei andare a salutarlo?

È da quasi una settimana che non ci parliamo, precisamente dall'incontro vicino le scale antincendio, e sebbene ci fossimo incontrati spesso nei corridoi, abbiamo semplicemente scambiato un cenno di saluto.

Quei piccoli passi avanti che avevamo fatto si erano annullati in un singolo momento.

Forse sono stata troppo avventata con lui, e con tutto il discorso sulla fiducia.

Credo ancora che debba aprirsi con me, ma forse dovrei lasciargli il suo tempo. Se fosse stato lui a chiederlo a me, non mi sarei mai aperta così facilmente. 

Rilascio un piccolo sospiro e mi avvio nella sua direzione prima che entri nel supermercato.

Quando i suoi occhi incontrano i miei, non nasconde una leggera sorpresa.

Piccolo il mondo, eh?

«Ciao» lo saluto per prima.

Intanto le buste continuano a trascinare le mie spalle verso il basso, e a lasciare segni sul braccio.

«Ciao» 

Sorprendentemente mi sorride, e penso che non mi abituerò mai a vedergli un'espressione diversa da quella seria e composta dell'ultimo anno.

Mi guarda dall'alto in basso soffermandosi sulle buste assassine.

«Però, quanta roba!» nota subito.

Anch'io mi lascio scappare un sorriso, «Che dici, ho esagerato?»

Alza le spalle, «Beh dipende da cosa devi fare»

Ricordo ora di non avergli minimamente menzionato il pigiama party.

Mordo le labbra leggermente nervosa per la mia dimenticanza.

«Ho organizzato un pigiama party con Rebecca e le sue amiche» snocciolo subito.

«Ah» il suo sorriso si spegne lentamente. 

Ecco lo sapevo, ho combinato un disastro.

«Mi dispiace non avertelo detto, mi sono completamente dimenticata e..»

Alza le mani per fermarmi, «Amanda» inizia, «non preoccuparti, mi stai già aiutando non devi anche giustificarti» 

Quasi mi cadono le buste a terra per lo shock.

Ogni volta che mi mostra la sua gentilezza mi lascia sempre senza parole.

Ho sempre creduto che fosse un maleducato, e non manca mai occasione per dimostrarmi il contrario.

Eppure avrei dovuto imparare la lezione da Elizabeth Bennet.

E non mi resta che sorridere, sorridere veramente per la prima volta, un sorriso così sincero che forse lo spiazza.

«Ehm..quindi quando ci sarà questa festa? Cioè, il pigiama party intendo..» chiede 

«Domani»

Annuisce e cala il silenzio.

Mi sa che è il caso di tornare.

«Allora io vado» comunico interrompendo quella trance in cui sembra essere caduto.

«Eh? Sì certo, scusa. Ma ce la fai a portare tutto a casa da sola?» domanda acuto come sempre

«Ma certo! Sono forte come Braccio di Ferro io!» 

E per provare la mia incredibile goffaggine alzo un braccio per mostrare il muscolo inesistente, e provoco soltanto la caduta di una busta.

Michele scoppia a ridere sinceramente divertito. Si china a raccogliere il sacchetto e si avvicina al suo motorino.

E ora che vuole fare?

«Vieni, ti do un passaggio» 

Per un secondo penso stia scherzando, ma quando si mette il casco e me ne porge un'altro capisco che fa sul serio.

«Ma sei appena arrivato, e il supermercato fra poco chiude» gli faccio notare.

Non voglio che si senta in dovere di accompagnarmi, e non voglio impedirgli di fare la spesa.

«Dovevo comprare solo un pacco di pasta, ma posso farlo anche domattina, tranquilla»

Non mi muovo dalla mia posizione, ancora dubbiosa.

Michele mi sollecita con lo sguardo, e infondo non ho assoluta voglia di portare quattro massi di buste per un chilometro.

Afferro il casco con un sorriso e lo allaccio con un pò di difficoltà, e dopo aver posato le buste in modo da non farle cadere, circondo il busto di Michele pronto a partire.

«Grazie» sussurro prima che accenda il motore.

«Figurati» 

È la seconda volta che ci ritroviamo in questa situazione, io con le braccia intorno al suo corpo, e lui che mi offre un passaggio.

E anche questa volta, proprio come la precedente, non posso negare che stare così a stretto contatto con il suo corpo, mi provoca una sensazione che mi fa avvampare all'istante.

E mentre il vento soffia tra i capelli, e le persone ci passano di fianco, penso che Michele è un ragazzo tutto da scoprire.

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Capitolo 9
*** Pigiama Party ***


«Laura, mi passi quella ciotola di patatine per favore?»

La bionda che in teoria dovrebbe aiutarmi ma che in pratica sta solo mangiando la nostra cena fa un verso di protesta.

«Laura se continui così stasera staremo tutte digiune e tu tornerai a casa con due chili in più»

«E chissenefrega»

Sospiro rumorosamente cercando di farle capire che sto cominciando a perdere la pazienza, ma lei continua a mangiare tranquillamente ignorandomi.

Da quando ha varcato la porta di casa mi avrà rivolto all'incirca quattro frasi contate, e anche se di solito Laura è altamente lontana dall'essere loquace, percepisco che c'è qualcosa che non va.

Infondo l'unica cosa che mi riesce con facilità è capire gli stati d'animi altrui, ed è chiaro come il sole che il suo non è tranquillo.

«Vorresti almeno aiutarmi a sistemare i letti dato che in teoria sei venuta qui per questo?»

La bionda sbuffa ma fortunatamente si alza posando la ciotola ai suoi piedi.

Spero solo di non incapaci sopra per sbaglio.

Le passo il lenzuolo rosa e insieme lo stendiamo sulla brandina e lo sistemiamo con cura.

La sera del pigiama party è finalmente arrivata, e non posso negare di essere abbastanza nervosa per come procederà questa serata.

Rebecca con mia somma sorpresa aveva accettato entusiasta il mio invito alla Sleepover Club, così come anche la sua migliore amica Teresa. Un'altra sua amica invece ha rifiutato perché ha un appuntamento.

Meglio così in fondo, lo spazio nella mia stanza non è assolutamente adeguato per sei persone, e già in cinque dovremo stringerci un pò.

Ho pensato anche alle attività da fare, ma non me ne sono venute poi molte in mente: guardare un film, farci le mani, magari un karaoke (ma con i miei genitori nell'altra stanza non mi sembra proprio un'idea geniale) e ovviamente spettegolare come solo noi ragazze sappiamo fare.

La mia paura però è quella di cadere in silenzi imbarazzanti con praticamente due sconosciute. Per fortuna Vittoria stando in classe con loro sarà di grande aiuto, a differenza di Laura che mi sembra essere arrivata con l'intenzione di non aprire bocca per il resto della serata.

Guardo l'orologio e vedendo che mancano ancora una quarantina di minuti prima dell'arrivo delle altre decido di prendere in mano la situazione.

Laura è sempre stata molto riservata, piena di orgoglio e convinta di potercela sempre fare da sola, ma quando aveva bisogno di me non si è mai fatta scrupoli a chiedere il mio aiuto. 

Non capisco perché questa volta, sebbene abbia notato che da ieri stia rimuginando su qualcosa, abbia deciso di non sfogarsi.

Lentamente mi avvicino a lei per poi prenderle la federa del cuscino dalle mani. 

In risposta mi indirizza uno sguardo confuso.

«Siediti» le ordino indicandole il letto.

Alza le sopracciglia interdetta, anche se so che ha capito dove voglio arrivare.

«Ma non dobbiamo sistemare?» chiede con finta innocenza.

«Ho detto sediti» replico più sicura ma con tono rassicurante.

Ancora una volta uno sbuffo sfugge dalle sue labbra, ma fa come le ho chiesto.

Mi siedo anch'io per poi fissarla eloquentemente.

«Che c'è?» si scalda subito.

Ma io non demordo.

«Non ci alzeremo da questo letto fin quando non mi dirai che cos'hai» 

«Per me va bene» risponde sistemandosi meglio sul letto.

Tra poco la mia pazienza svanirà e sa benissimo quali saranno le mie reazioni.

«Laura possiamo parlarne adesso e far sì di trovare una soluzione al tuo problema, oppure puoi passare tutta la sera in questo mutismo assolutamente antipatico»

«Non me ne importa niente di sembrare antipatica» 

Ancora una volta un sospiro esce dalle mie labbra. Dannata testardaggine, tra lei e Alessandro non saprei dire chi è peggio.

«A me importa sapere perché stai così, dai dimmelo» le do una leggera spallata amichevole per riscuoterla.

Lei resta in silenzio ma leggo nei suoi occhi che l'ho convinta.

Intreccia le mani cominciando a giocare con l'elastico allacciato al polso mentre, credo, stia cercando le parole giuste per iniziare.

«È incredibile che ci stia ancora pensando» sbotta all'improvviso quasi arrabbiata con sé stessa.

Mi è automatico aggrottare le sopracciglia dalla confusione.

«Di cosa parli?» le domando dunque

«Di Colombo e i suoi compiti in classe impossibili!»

Un momento, sta così per la professoressa Colombo?

Eppure mi aveva detto che il compito era andato bene in fin dei conti.

«Guarda che non succede nulla se una verifica va male, lo recuperi subito»

Cerco di consolarla carezzandole il braccio.

Lei però scuote la testa.

«Non sto parlando del compito, o almeno non del mio»

«Cioè?»

Si umetta le labbra ancora incerta ma alla fine mi guarda negli occhi quasi intimorita.

«Sto parlando del compito di Alessandro»

Che c'entra Alessandro adesso?

Adesso sono ancora più confusa.

«Alessandro Mancini?» chiedo per sicurezza come una stupida.

Lei infatti mi lancia una mezza occhiataccia.

«Conosci un altro Alessandro in classe nostra?»

Ok, effettivamente ha ragione.

Ma questo non ha il minimo senso, lei detesta Alessandro e mi è difficile credere che abbia passato due giorni a pensare a lui.

«Ok allora, perché stai così per il compito di Ale?» le domando dunque.

«Perchè...» si alza dal letto di scatto per poi prendere a camminare per la stanza avanti e indietro, «perchè avrei potuto aiutarlo, e non l'ho fatto» ammette.

«In che senso?»

Si zittisce nuovamente, e proprio non riesco a capire perché abbia così tanta difficoltà a parlarne.

«C'è stato un momento...» riprende sedendosi accanto a me, «mancavano dieci minuti alla fine dell'ora e io avevo già concluso il mio compito. Lo stavo solo ricontrollando»

Non fiato, ma la guardo dritta negli occhi per farle capire che sto ascoltando.

«A un certo punto ho alzato lo sguardo e ho visto un bigliettino vicino il tuo astuccio» continua e in quel momento mi viene in mente l'esercizio che avevo provato a passare ad Ale prima che la professoressa mi spostasse. 

Deve essermi scivolato dal compito mentre mi alzavo ed è un miracolo che Colombo non l'abbia visto.

Ricordo che mancava solo un piccolo passaggio dei due esercizi che avevo ricopiato e che avrebbe potuto aiutare Ale a raggiungere quantomeno la sufficienza.

«L'ho visto e ho capito subito che si trattasse di un tuo biglietto. Ma...non gliel'ho passato» racconta continuando a negarmi lo sguardo, come se si vergognasse.

«Avevi paura che Colombo ti scoprisse?» cerco di comprendere il perché del suo gesto.

Laura non è mai stata una persona che nega il suo aiuto a qualcuno.

«No..» ammette però lei facendomi sgranare leggermente gli occhi, «ho scelto volutamente di non aiutarlo»

«Ma perchè?» mi viene spontaneo domandarle incredula

«Non lo so Amanda! In quel momento ho solo pensato che non era giusto che io mi facessi il mazzo sui libri mentre per lui doveva essere sempre tutto così semplice! A lui basta schioccare le dita per ottenere quello che vuole: l'ammirazione, la gloria, anche un semplice favore! Non volevo che ottenesse un qualcosa senza esserselo meritato» le parole le escono dalle labbra come un fiume in piena e anche se da una parte appoggio il suo discorso, dall'altra credo che un aiuto a un compagno di classe non si debba mai negare.

«È per questo che Alessandro è arrabbiato con te?» realizzo in quel momento ricordando la spallata di ieri.

Lei si limita ad annuire prendendosi qualche momento di silenzio prima di continuare, «Quando abbiamo consegnato e ci siamo alzati l'ha visto lì sul banco e per un secondo si è bloccato. Pensavo che avrebbe agito con indifferenza come suo solito ma poi mi ha guardato negli occhi con uno sguardo che non gli avevo mai visto addosso, e mi ha detto...»

Si blocca.

«Ti ha detto?» la sprono

«Mi ha detto "complimenti"...ed è andato via» conclude.

Continua a non guardarmi negli occhi, ed è lampante quanto si vergogni di quello che ha fatto.

Laura non è una cattiva ragazza, ma spesso si lascia trasportare e condizionare troppo dai suoi sentimenti.

«E adesso ti senti in colpa, vero?» Le chiedo conoscendo però già la sua risposta.

«Sì..» Conferma con un sospiro.

Stanca del suo sguardo sfuggente, mi avvicino maggiormente a lei, e le prendo una mano costringendola ad alzare gli occhi su di me.

«Laura non ti nego che secondo me hai sbagliato, ma esiste una soluzione semplicissima ovvero scusarsi. Tutti sbagliano, Alessandro soprattutto»

«Non è questo Amy, non si tratta solo di sentirsi in colpa nei confronti di Alessandro, si tratta del fatto che io non sono così, e non voglio esserlo»

«Ed infatti non lo sei, sei solo stata accecata dalla tua antipatia nei suoi confronti, ma forse questo ti è servito da lezione»

Non mi risponde, forse ragionando sulle mie parole.

«Però vorrei che capissi una cosa, e non lo dico perché Alessandro è il mio migliore amico oppure perché vorrei che tu lo apprezzassi, te lo dico come tua amica» continuo.

«E allora dimmi»

«Per Alessandro non è sempre tutto semplice, non gli basta schioccare le dita per ottenere quello che vuole. Da fuori può sembrare, anche perché è vanitoso ed egocentrico ai massimi livelli, ma non è così. Non tutto gli viene facile, soprattutto la matematica. Capisci perché te lo sto dicendo?» le rivolgo uno sguardo dolce per farle capire che non la sto giudicando.

«Credo di sì» risponde stringendo la mia mano ancora nella sua.

«Bene, allora per stasera basta pensarci. Adesso finiamo di sistemare prima che arrivino le altre!»

****

Quando Vittoria, Rebecca e la sua amica Teresa arrivano fortunatamente è tutto già pronto.

I cuscini sono stati appositamente spostati sul tappeto in modo da sederci tutte comodamente per guardare un film (cosa che stiamo appunto facendo), le ciotole sono piene di patatine di tutti i tipi, e i letti ben sistemati.

Mi sento elettrizzata per questa serata, certo un pò di disagio non manca perché altrimenti non sarei io, ma tutto sommato questa è stata l'occasione per realizzare un mio sogno da bambina: un pigiama party con le mie amiche.

«Che carino Landon! Ha realizzato il suo desiderio di essere in due posti contemporaneamente, non è romantico?» esclama con gli occhi a cuoricino Teresa.

«Hai voglia» commenta ironicamente Vittoria sottovoce.

Non è mai stata un tipo eccessivamente romantico...diciamo quasi per nulla.

Abbiamo deciso di guardare I passi dell'amore, film che avrò visto almeno una decina di volte, ma ho ovviamente omesso questo dettaglio.

Le ragazze ancora non sanno la tragedia che incomberà a breve, e chi più e chi meno, sono tutte prese dalla trama.

Sostanzialmente il film parla di un bad boy che si innamora della ragazza buona e gentile. Un gran cliché, ma che alla fine cattura sempre.

«Più che carino, io direi che è davvero un gran figo» aggiunge Rebecca, non staccando gli occhi dallo schermo.

Beh come darle torto, l'attore scelto è davvero un gran bel ragazzo, ma alla fine dove si è mai visto un bad boy poco attraente? 

«Secondo me è solo irrealistico tutto ciò» aggiunge Laura con un sopracciglio inarcato.

«Perché irrealistico?» le domanda Rebecca voltandosi verso di lei.

Laura alza le spalle ed indica il televisore dove adesso i due protagonisti stanno facendo una romantica passeggiata sul molo.

«Ti pare che un ragazzo che fino al giorno prima andava a fare il coglione in giro, all'improvviso si innamora di una ragazza casa e chiesa, e come se non bastasse ripudia tutti i suoi amici coglioni quanto lui?» 

«Direi che questo è il significato del film, no? L'amore ti cambia in meglio» interviene a quel punto Teresa.

Forse ho trovato una persona più romantica di me, perché sebbene io ami questo film non sono in completo disaccordo con Laura.

«L'amore non deve cambiarti, e se sei coglione per natura tale resti» è la pronta risposta della mia amica bionda.

Vittoria a quel punto mette in pausa il film, dato che anche se non lo ammetterebbe mai lo stava guardando con un certo interesse.

«È vero, ad esempio Marco era eccezionale già da prima che si mettesse con me» interviene allora lei.

Alzo gli occhi al cielo sopprimendo un sorrisetto. Non si rende nemmeno conto che quando parla di Marco diventa più dolce di una caramella al cioccolato. 

«Vic lo sappiamo che Marco è perfetto, non c'è bisogno che ce lo ricordi ogni volta» la prendo in giro, e in risposta ricevo un elegante dito medio.

«Quindi secondo te un ragazzo non può cambiare per amore?» chiede Rebecca rivolgendosi nuovamente a Laura.

«No» è la pronta risposta di lei.

«Ok, allora facciamo un esempio...Amanda!» mi chiama Rebecca facendomi sobbalzare.

Cosa c'entro io adesso?

Ti prego non chiedermi qualcosa riguardo la mia vita sentimentale, perché anche Leone Lucia Ferragni ha più esperienza di me.

«Dimmi» le chiedo con voce incerta.

«Tu sei Cupido, no? Quante coppie hai fatto mettere insieme?» 

«Qualcuna» rispondo pensando che anche lei è una vittima inconsapevole del mio arco.

«E come hai fatto a metterle insieme?» chiede lei con un sottofondo di curiosità.

A quel punto mi umetto le labbra cercando di dare una risposta soddisfacente.

La verità è che non ho mai avuto un modus operandi specifico, a volte ci sono ragazzi che si piacciono ma non lo ammettono, e dunque non devo far altro che dar loro una spintarella. 
Altre volte invece sono amori a senso unico che fortunatamente sono ricambiati nel futuro.

Ho sempre pensato che l'amore non potesse mai nascere a comando, ma allo stesso tempo erano gli eventi a far scoccare la famosa scintilla.

E io ero colei che creava questi eventi.

«Diciamo che dipende dai casi. La maggior parte delle volte scopro qualche dettaglio sulla persona da conquistare, e do suggerimenti di conseguenza»

Teresa difronte a me mi rivolge uno sguardo scettico.

«Ma non è tipo imbrogliare questo?» chiede infatti.

«Ma no! Sono suggerimenti banali alla fine, servono giusto per creare l'occasione di conoscersi meglio. E una volta che succede è poi la personalità a fare tutto il lavoro»

Devo anche ammettere che sono sempre stata  molto fortunata con le coppie che ho aiutato perché non ci sono mai stati cuori spezzati.

Il problema però è che con Michele questo è tutto da vedere.

«Ma allora è perfetto! Tu potresti aiutarmi!» esclama allora Rebecca.

Sgrano gli occhi nel panico e mi gelo sul posto.

Ti prego, non chiedermi quello che sto pensando.

«Aiutarti in che senso?» sonda il terreno Vittoria guardandomi di sottecchi.

Ancora non muovo un muscolo restando in silenzio a guardare la bellissima ragazza davanti a me.

Rebecca arrossisce leggermente prima di aprire nuovamente bocca e ammazzarmi definitivamente, «Beh...io ho una cotta pazzesca per Alessandro. Amanda lo conosce come le sue tasche, potrebbe darmi una mano a conquistarlo!»

Boom

Se prima ero congelata adesso sono completamente pietrificata.

Per un singolo istante penso di essermi immaginata tutto. O che qualcuno mi stia facendo uno scherzo.
Non è possibile essere così sfortunati, no?

Prima il ragazzo che meno sopporto mi chiede aiuto, poi scopro che la ragazza che gli piace ha a sua volta una cotta per il suo migliore amico, e adesso mi chiede addirittura di conquistarlo.

Qualcuno spenga le telecamere perché non è assolutamente divertente.
Proprio per nulla, mi viene quasi da piangere e vorrei solo sbattere la testa contro il muro.

Ma quando vedo le espressioni di Laura e Vittoria, capisco che no, non è uno scherzo. Che non mi sono immaginata tutto.

Rebecca mi ha chiesto davvero un aiuto da Cupido, e io non so cosa risponderle.

Vorrei solo che una voragine si aprisse sotto i miei piedi e mi facesse scomparire.

Per un minuto intero nessuno fiata, e a quel punto anche Rebecca si stranisce.

«Perché nessuno dice niente?»

Io continuo ad avere la mente annebbiata, troppo sconvolta per trovare una scusa.

«Ci hai solo colte di sorpresa» si riprende fortunatamente Vittoria.

Continua a lanciarmi delle occhiate mentre prosegue, «insomma Alessandro alla fine è un ragazzo abbastanza, come dire...libertino» prosegue cercando di aiutarmi.

Se solo potessi le farei una statua seduta stante.

«Ed infatti questo proverebbe il mio punto! Cioè che proprio come Landon in questo film, anche Alessandro nel momento in cui si innamorerà veramente, cambierà e diventerà serio» continua convinta Rebecca.

Se non fosse per il mio stato di shock e mutismo, scoppierei a ridere.

Cosa che in realtà fa Laura.

«Rebecca, stiamo parlando appunto di un film. Queste cose nella realtà non succedono!» le fa notare lei.

Facciamone due di statue.

«Perché non provi con un altro ragazzo? Ad esempio...Michele! Lui è bello, serio e ispira tanta fiducia» le da man forte Vittoria.

Ho davvero le amiche migliori del mondo, ma credo sia arrivato il momento di intervenire, anche perché direi che il mio stato di silenzio post traumatico sia durato anche con troppo.

«Vittoria ha ragione, Alessandro è un ragazzo d'oro, ma non ha ancora la serietà per iniziare una vera storia con qualcuno» intervengo allora io, dicendo l'assoluta verità.

Alla fine questa situazione potrebbe anche risvoltare a mio favore.

«Michele invece è un ragazzo...singolare» continuo, trovando effettiva difficoltà a descrivere Michele con un solo aggettivo.

In verità anche se ne avessi dieci, non saprei nemmeno quale scegliere.

«Certo è un tipo abbastanza silenzioso e introverso, però è un buon amico, un grande ascoltatore ed è...gentile» proseguo stupendomi per un attimo di me stessa.

Quando ho iniziato a pensare queste cose di Michele?

Sicuramente quando Ale si è ubriacato ho capito quanto fossero legati, e anche di quanto Michele sia un bravo amico. Poi mi ha ascoltata quando l'ho portato a Villa Borghese ed è stato gentile con me al supermercato.

Solo mettendo da parte il mio astio nei suoi confronti mi sono resa conto di queste cose.

«Inoltre è anche un bel bocconcino. Me lo mangerei volentieri» aggiunge Teresa indirizzando un occhiolino in direzione della sua migliore amica.

Mica è una bistecca.

«Vero, è molto affascinante» aggiunge Vittoria.

Le indirizzo un sorriso di ringraziamento che lei ricambia subito.

Negli occhi di Rebecca vedo quell'entusiasmo che l'aveva colta svanire sempre più, e non posso negare che mi dispiaccia vederla così.

Però infondo è la verità. 

Non escludo che Alessandro possa cambiare per amore, ma al momento è preso da troppe altre cose per poter pensare a qualcun altro.
Anche se si tratta di una ragazza bella e simpatica come Rebecca.

È meglio fasciarle la testa prima che si faccia male...o che faccia male a me.

«Ammetto che ragionevolmente avete ragione voi» comincia la mora, «però a me piace quell'animo ribelle che vedo in Alessandro! Vorrei qualcuno al mio fianco che mi stimolasse e mi facesse fare pazzie! E poi al cuor non si comanda, no?»

«Certo, però tu vuoi anche una persona seria al tuo fianco, e poi non conosci Alessandro così bene» le fa notare Vittoria.

Se non ci fosse lei questa sera sarei già caduta in un buco nero.

C'è anche da dire che hanno molta più confidenza essendo compagne di classe.

«Allora vuol dire che dovrò conoscerlo meglio...Amanda mi aiuterai?»

Quattro paia di occhi mi fissano in attesa.

Ecco, io adesso cosa dovrei fare?

Dirle "Non posso aiutarti perché Michele Costa mi ha già assunto?"

Com'è possibile che mi sia cacciata in questo guaio?

Lo sapevo che accettare la richiesta di Michele mi avrebbe causato solo danni.

A quel punto do la risposta più stupida di sempre, ma anche l'unica che mi viene in mente, «Vedrò cosa posso fare»

***

Il lunedì mattina sono un disastro.

Arrivo a scuola con delle occhiaie che manco la sposa cadavere, infatti Giovanni, seduto rigorosamente al banco in prima fila, quando mi vede entrare mi rivolge uno sguardo stranito.

Sarei molto tentata di ricambiare con un bel gestaccio, ma decido di lasciar perdere, preferendo accasciarmi sul banco e chiudere gli occhi.

La notte precedente avevo chiuso gli occhi giusto due ore, troppo presa da pensieri che mi avevano perseguitata per tutto il weekend.

Mi sono cacciata davvero in una guaio grande quanto una casa, una giostra da cui non so come scendere, ma che avrebbe sicuramente fatto vomitare qualcuno.

Non è un granché come metafora, ma almeno rappresenta il senso di nausea che mi provoca tutta questa faccenda.

Ed è così che passo le successive ore: ascoltando passivamente le voci dei professori, rispondendo a qualche domanda di Alessandro e nel frattempo cercando di capire come affrontare questa situazione.

Devo parlare con Michele, ma non posso farlo senza ferirlo.
Non voglio che si senta inferiore al suo migliore amico, è un cosa che non augurerei mai a nessuno.

Però se non sarò onesta con lui sento che il senso di colpa mi mangerà viva.

Quando suona la campanella dell'intervallo, vedo Laura avvicinarsi al mio banco. 

Sono già pronta a salutarla, quando sorprendentemente si volta verso Alessandro ancora seduto al mio fianco.

«Possiamo parlare?»

Alessandro alza i suoi occhi azzurri su di lei, con un'espressione che in un'altra circostanza mi avrebbe fatto decisamente molto ridere.

Se potessi gli scatterei una foto e la userei come reaction pic per qualsiasi cosa.

Sfortunatamente il ragazzo non si decide a fiatare, dunque decido di levare le tende.

«Vi lascio soli» affermo alzandomi e lanciando uno sguardo incoraggiante a Laura mentre le passo di fianco.

Sapevo che avrebbe fatto la cosa giusta.

A quel punto esco dall'aula indecisa sul da farsi.

Dovrei andare da Michele? Dirgli come stanno le cose? Oppure dovrei ignorarlo?

Amanda non puoi ignorarlo per sempre, non essere ridicola.

Anche il fato sembra essere d'accordo con me, perché dopo tre passi lo vedo vicino le macchinette a bere un caffè.

Non ce la posso fare.

Con che coraggio posso dirgli una cosa del genere?

Non morirà per un cuore spezzato....giusto?

Non lo so, e vorrei continuare a non saperlo.

Timidamente faccio dei passi nella sua direzione, anche se sembra perso in un mondo tutto suo.

Certe volte mi chiedo cosa gli passi per la testa, sembra sempre preso in riflessioni mistiche, un po' come un filosofo.

Indossa rigorosamente una polo azzurra, e per un attimo mi chiedo come sia possibile che Rebecca abbia escluso a priori la possibilità di stare con uno come lui.

Insomma, è uno dei ragazzi più belli del nostro istituto.

Quando sono ormai a due metri da lui, finalmente mi scorge puntandomi con il suo sguardo verde.

«Ciao» lo saluto per prima.

Mi pongo davanti la macchinetta, fingendo di star scegliendo qualcosa da mangiare, anche se ho lo stomaco chiuso.

«Ciao» ricambia il saluto con un mezzo sorriso, per poi continuare a bere il suo caffè.

Ecco, adesso che gli dico?

Incredibile che dopo esserci salutati finiamo sempre in questo silenzio imbarazzante.

Stranamente è proprio lui a romperlo.

«Com'è andata la festa?» chiede poggiandosi con la spalla al distributore.

«Intendi il pigiama party?» mi scappa una risatina involontaria.

Anche lui sorride, e ancora una volta non sono abituata a vederlo così, o almeno nei miei riguardi.

«Pardon, il pigiama party sí»

«È andato bene, ci siamo divertite»

O almeno io mi sono divertita fino a quando a Rebecca non ha deciso di voler far innamorare Alessandro.

Ecco, adesso che mi torna in mente non riesco neanche a guardare negli occhi Michele.

Le ho davvero detto "Vedrò cosa posso fare" come una cretina? 
Io non posso fare proprio niente, al massimo posso scappare via in un posto lontano e ricominciare una vita senza tutto questo drama.

E sì, sono melodrammatica. Lo so.

«Tutto bene?» Michele mi riscuote dai miei pensieri schioccandomi le dita davanti agli occhi, dato che mi sono incantata a fissare un punto sulla sua maglia.

«Si si, scusami! Mi sono distratta»

E stranamente a Michele scappa un altro sorrisetto.

Cosa c'è da ridere? Devo sembrare proprio una rimbambita ai suoi occhi.

«Ti capita spesso?» mi domanda.

Ecco, appunto.

Ma sì Michele, prendimi anche in giro, tanto ormai la situazione non può che peggiorare.

«Qualche volta» ammetto a malincuore, perché è pur sempre la verità.

«Comunque Rebecca è davvero una ragazza simpaticissima» cambio subito argomento, giusto per evitare di essere il clown di turno.

Michele al sentir il nome della sua amata, sorride ancora di più.

Dio, ma è proprio sotto mille treni per lei.

E ci rimarrà anche secco dato le circostanze.

«Lo immagino, è sempre così sorridente» 

Ah, allora non sono l'unica a pensare che abbia una paralisi facciale.

«Vero, è sempre così positiva, sarebbe bello vedere il mondo con i suoi occhi»

«Perché, tu il mondo come lo vedi?» mi domanda curioso, avvicinandosi leggermente, e cogliendomi anche impreparata.

Non mi sono mai definita una ragazza negativa,  anzi anche io mi reputo una persona positiva il novanta percento delle volte, ma soltanto nelle situazioni che non mi riguardano. La mia melodrammaticitá non me lo permette con me stessa.

«Diciamo che più che guardarlo, immagino come potrebbe essere» gli rispondo dopo averci pensato qualche secondo.

Michele continua a fissarmi con quegli occhi che non smetteranno mai di recarmi disagio, per poi fare una smorfia che non saprei proprio decifrare.

«Interessante» dice soltanto.

Interessante? Lui mi trova interessante?

No Amanda, trova interessante il tuo modo di vedere le cose, non te.

Prima che possa replicare, la campanella suona sancendo la fine dell'intervallo.

«Beh...ci vediamo» mi saluta buttando il bicchiere nel cestino, rivolgendomi un piccolo cenno prima di allontanarsi.

«...Ciao» e credo non mi abbia nemmeno sentito.

E mentre guardo la sua schiena andare sempre più lontano, realizzo che ancora una volta non gli ho detto la verità.

Sono proprio una codarda...oltre che una gran sfigata.

Qualcuno mi aiuti.

 

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Capitolo 10
*** Libro aperto ***


«Ho avuto un'idea!» è la voce di Vittoria che percepisco alle mie spalle per poi vedere la sedia al mio lato essere scostata e la sua figura trapelata sedercisi sopra.

Lancio un'occhiata a Laura intenta a svolgere gli esercizi di matematica assegnatoci per domani, che al sentire la voce della nostra amica alza lo sguardo verso di me guardandomi con aria interrogativa.

In risposta alzo le spalle ignara tanto quanto lei.

«Idea per che cosa?» le chiedo prendendo un sorso di cioccolata calda.

Sì, eravamo agli inizi di aprile, ma a mia discolpa posso dire che faceva ancora molto freddo e il meteo prevedeva temperature basse ancora per qualche settimana.

Io e Laura avevamo deciso di studiare insieme al Bar Camelia, un piccolo locale e pasticceria vicino scuola nostra che amavo alla follia.

Non solo vantava la scelta di tantissimi dolci da accompagnare a una tazzina di caffè, a un tè o come nel mio caso a una cioccolata calda, ma anche l'arredamento in stile un pò bohemian e un pò vintage al medesimo tempo mi aveva sempre affascinata.

«Per il piano Cupido ovviamente!» Esclama per poi acciuffare la forchetta e mangiare un pezzo della mia torta.

Le lancio di rimando una piccola occhiataccia perché sa che sono gelosa dei dolci.

Lei infatti ridacchia e alza le mani in segno di scusa.

«E che idea avresti avuto?» Le chiede Laura posando la penna sul tavolo sapendo perfettamente che non sarebbe riuscita a concentrarsi con le nostre chiacchiere.

Il piano Cupido stava andando inevitabilmente a rotoli e più il tempo passava , più non sapevo cosa inventarmi.

Era passata quasi una settimana dal nostro pigiama party e da quel momento avevo fatto il possibile per evitare Rebecca e sue possibili richieste.

Ormai non uscivo più durante l'intervallo nel timore di incontrarla e questo aveva fatto sì che non vedessi nemmeno Michele.

Beh tanto meglio, perché ogni volta che lo intravedevo all'uscita mi sentivo uno schifo.

«Stavo pensando che potremmo organizzare nuovamente un'uscita di gruppo, magari questa volta evitiamo locali e alcolici» propone memore della nostra disastrosa serata al Barracuda.

Faccio una piccola smorfia al ricordo di quella sera.
Non mi sembra un'idea geniale, proprio per nulla.

L'ultima volta io e Michele avevamo dovuto portare di peso un Alessandro ubriaco fino al suo letto e sinceramente non mi andava di replicare l'esperienza. Inoltre se Alessandro uscisse con noi Rebecca guarderebbe solo e unicamente lui, e un tipo arguto come Michele ci metterebbe un secondo a capire che la sua bella è innamorata del suo migliore amico.

«Vic, senza offesa ma questa idea fa acqua da tutte le parti. Rebecca non farebbe altro che provarci con Alessandro e a quel punto posso dire addio alla mia credibilità» le faccio presente

«Non sono mica così scema Amy! Ho pianificato anche questo»

«Cioè?»

«Sai cosa succede venerdì?» mi chiede prendendo un'altra forchettata della mia torta.

In risposta le schiaffeggio la  mano reprimendo però un sorriso.

Cerco di fare mente locale per ricordare che cosa succederà venerdì ma non mi viene in mente nulla.

«Illuminami tu» 

«La partita di calcetto» risponde come se questo desse effettivamente senso alla sua idea.

Cosa c'entravamo noi con l'incontro tra titani per eccellenza?

Mi era capitato più volte di andare a vedere delle  partite, soprattutto perché la squadra dove gioca Alessandro è composta per la maggior parte da ragazzi della mia scuola e della mia classe, ma non ci ho mai trovato nulla di entusiasmante.
Novanta minuti di adolescenti che si spingono a terra nella speranza di buttare la palla in una rete.

Francamente lo reputo uno sport abbastanza noioso.

«Quindi?» domanda Laura al posto mio.

«Quindi...» sospira teatralmente come se avesse la verità in tasca, «questa è un'ottima scusa per attirare Rebecca. Lei verrà per vedere Alessandro giocare ma alla fine della partita ci andremo a prendere qualcosa tutti insieme a un bar senza di lui e allora interagirà con Michele...si spera»

Sebbene non sia affatto un piano malvagio resta comunque il problema principale da risolvere 

«E cosa diciamo ad Ale? "Scusaci non sei il benvenuto al tavolo con i tuoi migliori amici"? » chiedo ironicamente.

Oltretutto la sua assenza improvvisa risulterebbe ancora più sospettosa.

«Ovviamente Alessandro sarà nostro complice, Michele è il suo migliore amico non si farà problemi ad aiutarlo» 

Peccato che Alessandro non sappia nulla.

Stanca e anche mezza esaurita mi metto le mani fra i capelli cercando una soluzione.

Ma chi me lo ha fatto fare a sedici anni di infiltrarmi nei drammi amorosi altrui?
L'unica cosa positiva dell'essere single è proprio evitare i drammi e le rogne e invece io me le vado a cercare volontariamente.

Io,  Amanda Croce, la regina del melodramma.

«Non funzionerà» le dico triste perché infondo era una bella idea la sua.

Vittoria inarca un sopracciglio perplessa.

«Perché?» chiede giustamente

«Perché Michele non ha detto nulla ad Alessandro»

A quel punto l'espressione di Vittoria muta in una sorpresa.

«Mi stai dicendo che Alessandro non sa nemmeno che a Michele piace Rebecca?» 

Le faccio segno di no con la testa e a quel punto si ammutolisce con espressione pensierosa.

Il silenzio regna sovrano tra di noi fino a quando non sento qualcuno schiarirsi la gola.

Lentamente alzo lo sguardo e lo poso di fronte a me. 
Laura che non ha detto una parola da quando Vittoria ha esposto il suo piano adesso guarda entrambe con espressione quasi...imbarazzata.

Laura imbarazzata? Ok, il mondo sta iniziando a girare al contrario ultimamente.

«Veramente Alessandro...non sarà un problema» ci informa quasi con difficoltà.

«E perché?» le chiedo ingenuamente.

Lei arrossisce un po' come se sapesse che quello che sta per dire non è qualcosa di poco conto.

«Perché dopo la partita sarà impegnato...con me» aggiunge all'ultimo quasi sussurrando.

A quel punto succedono due cose.

Io resto con un'espressione così imbambolata e oscenamente rimbambita che in confronto Ciuchino sembra Einstein se paragonato a me.

Vittoria invece inarca un sopracciglio e non può combattere la nascita di un sorriso malizioso sul suo volto.

«Stai scherzando?» è la prima cosa che mi viene da chiederle perché mi sembra semplicemente assurdo.

«Non farti strane idee Amy, gli darò solo delle ripetizioni di matematica» Laura sgancia questa piccolissima altra bomba.

«Ripetizioni?» ripeto ancora più sbigottita.

Come biasimarmi infondo? L'ultima volta che avevamo parlato di Alessandro mi aveva fatto capire che se fosse stato per lei non avrebbero nemmeno respirato la stessa aria.

«Sí, ripetizioni»

«Che noia» commenta Vittoria.

«E cosa ti avrebbe fatto cambiare idea? Pensavo ti fossi solo scusata con lui, non che avessi deciso di aiutarlo»

«Tu, Amanda» risponde senza esitare, «sei stata tu a farmi cambiare idea, perché sei una piccola Gandhi che va a dispensare consigli di saggezza ovunque e io mi sentivo in colpa. Quindi possiamo dire che l'ho fatto anche per me stessa, va bene?» 

«Ma di cosa state parlando?» chiede giustamente Vittoria, ignara della situazione.

«E lui ha accettato così? Orgoglioso com'è?» 

No, non era possibile. 

Anche se non fosse successo tutto quel casino durate la verifica di matematica Alessandro si era già esposto in precedenza chiedendole delle ripetizioni, e quando Laura aveva rifiutato semplicemente per lui la questione non si sarebbe mai più riaperta. Anche a costo di essere bocciato.

«Ovviamente no, ma neanche io lo avrei fatto senza un tornaconto. Sono sempre dell'idea che le cose bisogna guadagnarsele»

«E quindi che gli hai chiesto? Un orgasmo?» Le chiede Vittoria.

«Vittoria!» mi volto sconvolta verso di lei.

Non so con che coraggio abbia avuto la decenza di dire una cosa simile, ma le guance rosse di Laura mettono a dura prova il mio autocontrollo e mi costringono a trattenere una risata.

«Non ti rispondo nemmeno» è la sua laconica risposta.

«Secondo me è proprio quello che ti ci vuole, e credo proprio che il ragazzo ci sappia fare»

«Smettila» le do un piccolo schiaffo sul braccio.

Laura resta ancora in silenzio. 

«E allora cosa gli avresti chiesto? Dei soldi? Secondo me è anche più scandaloso di un orgasmo» 

«Vic per piacere, la pianti?» le chiedo perché so che Laura ha difficoltà ad aprirsi e così non la sta aiutando.

«Gli ho detto che dovrà far parte del musical»

«COSA?» 

Mi volto di scatto per capire se mi sta prendendo in giro ma è serissima. 

Alessandro ha accettato di sottostare a quella che lui definisce la più grande umiliazione pubblica? Per delle ripetizioni? Anzi rettifico, con delle ripetizioni con Laura?

«Dovrà fare la parte del protagonista....in realtà ci sono delle audizioni da fare ma dubito che qualcuno altrettanto bravo si presenti»

Io davvero non so più cosa dire.

Alessandro farà la parte di John Travolta....indosserà i jeans stretti che lui definisce osceni?

Non so davvero se ridere di lui o esserne orgogliosa, perché questo infondo altro non è che il sacrificio da compiere per perseguire il suo sogno.

«E tu ti proporrai come Sandy?» le chiede Vic

Possibile che le interessi solo questo?

Laura rimane un attimo sorpresa da questa domanda, probabilmente come me non se l'aspettava minimamente. 

«Credo di sí»

«Beh in effetti sareste perfetti; lui moro, tu bionda, lui sciupa femmine e tu...beh tu»

Laura in risposta le rivolge un dito medio che mi fa ridere.

«Non riesco davvero a crederci. Questa storia finirà male» espongo i miei dubbi ad alta voce.

«Oppure con una bella recita di fine anno» cerca di vederci positivo Vic, «e poi adesso sappiamo che il mio piano andrà a gonfie vele».

Ne dubito fortemente.

 

****

 

Dopo aver finito i compiti per il giorno successivo mi dirigo alla fermata dell'autobus pronta a tornare a casa.

Sono le sei e mezza di sera ma fortunatamente il cielo non è ancora così scuro in quanto la stagione primaverile è ufficialmente iniziata e così anche le giornate si stanno allungando, con mio sommo piacere.

Nell'attesa dell'autobus, che per quanto ne so potrebbe anche essere eterna decido di inforcare le cuffie alle orecchie e godermi il vento della sera e la vista del sole che cala oltre i palazzi.

In realtà questo è davvero il momento della giornata che preferisco, perché mi sembra sempre tutto così calmo quando il sole illumina le strade con il suo profondo arancione, e se casa mia non fosse così distante opterei decisamente per una passeggiata.

A distrarmi dai miei pensieri è però un messaggio.

 

Michele Costa: Che fai?

Per poco non mi casca il cellulare dalla sorpresa.

Da quando in qua Michele mi messaggia? 

In realtà lo ha fatto anche in passato ma sempre per chiedermi qualcosa, e non credo che questa sia un'eccezione dato che non mi ha scritto nemmeno un "ciao".

Decido di rispondergli il più vagamente possibile 

Io: Perché? 

Mi risponde dopo dieci secondi esatti.

Michele Costa:
Perché sei seduta da sola al gelo e guardi la strada come se stessi contemplando di buttarti sotto una macchina.

 

Di scatto alzo lo sguardo dal cellulare e lo poso prima alla mia destra e poi alla mia sinistra aspettando di vederlo lì come un fantasma.

Ma Michele non c'è .

Ok Amanda calmati.

Io: Come lo sai?

Anche questa volta la sua risposta mi arriva dopo poco. 

Michele Costa: 
Perché sono sul marciapiede di fronte al tuo

 

Nuovamente alzo lo sguardo e stringo gli occhi per osservare il marciapiede di fronte cercando di individuarlo.

Dopo poco lo vedo, e mi chiedo come abbia fatto a non riconoscerlo subito con i suoi pantaloni color kaki e il giubbino di jeans, e soprattutto i capelli così fastidiosamente sistemati e pettinati.

Ma come fa a tenerli sempre così in ordine e soprattutto con questa umidità?

Vedo che alza una mano per salutarmi e timidamente ricambio.

Questo incontrarci all'improvviso sta diventando sempre più strano.

Michele aspetta che il semaforo diventi rosso per attraversare le strisce pedonali per raggiungermi e in quei due minuti che gli occorrono per farlo sento il mio cuore battere forte per l'ansia.

Ok, tecnicamente adesso siamo amici e non dovrei essere così agitata , ma infondo non ci conosciamo così bene e io mi sento ancora tremendamente in colpa per aver accettato di aiutare la ragazza di cui è innamorato a conquistare il suo migliore amico.

Solo quando me lo ritrovo completamente davanti noto il borsone sulla sua spalla e capisco che deve aver appena finito gli allenamenti di calcetto.

«Ciao» mi saluta per primo con un piccolo sorriso che provo a ricambiare.

«Ciao» saluto a mia volta.

«Come stai?» mi chiede non distogliendo lo sguardo dal mio.

Questa differenza d'altezza data dal fatto che io sono seduta e lui ancora in piedi mi mette leggermente a disagio quindi decido di alzarmi a mia volta.

«Bene dai, tu?» 

In realtà questa è una bugia, e credo anche che l'abbia capito perché il suo sguardo mi sta comunicando quanto in realtà sia una pessima bugiarda

La verità è che mi sento così...stanca.

Sto combinando un casino dopo l'altro, facendo promesse che non potrei mantenere e mandando all'aria la mia sincerità.

Mi è sempre piaciuto essere Cupido perché anche se la mia vita sentimentale è sempre stata inesistente, piatta e priva di qualsiasi brivido, almeno ho sempre potuto far in modo che qualcuno potesse vivere queste emozioni.

Ma non mi era mai capitato di spingermi al punto di rischiare di far soffrire qualcuno.

Forse avrei dovuto essere sincera con Michele sin dall'inizio ma mi rendo conto solo ora che non volevo perdere la sua stima.

Da quando ci siamo conosciuti al compleanno di Alessandro l'anno scorso,  Michele ha rappresentato per me quasi una figura mistica, di quelle che ti ronzano sotto il naso e ti infastidiscono solo perché in realtà le invidi, e io ho sempre invidiato Michele. Invidiavo la sua amicizia con Alessandro, la sua intelligenza, la sua indifferenza verso il mondo, quando io invece mi lascio condizionare anche da un saluto mancato.

E quando si era rivolto a me, a me, volevo dimostrargli di essere anche io brava in qualcosa, che potesse fidarsi delle mie capacità.

Ma non avevo calcolato gli imprevisti.

Avevo sempre avuto la certezza che anche se non ci si potesse innamorare di tutti le circostanze comunque influenzassero molto la storia di due persone, soprattutto di due adolescenti.

E se in realtà non è così? Se non posso avere tutto sotto il mio controllo, come posso portare a termine il mio piano?

Sto illudendo due ragazzi innocenti quando avrei dovuto semplicemente dire la verità.

Prendo un respiro profondo e fisso lo sguardo in quello di Michele decisa a dirgli una volta e per tutte come stanno le cose. La conversazione al bar con Vittoria e Laura mi ha in un certo senso aperto gli occhi, non posso evitare per sempre che Alessandro, Michele e Rebecca siano nella stanza e di certo non posso aiutare Rebecca e Michele allo stesso tempo.

«Senti Michele...» inizio e sento già le mani sudare

Ma inaspettatamente lui mi interrompe.

«Ti va di fare una passeggiata?» propone dal nulla.

No Michele, sto provando a fare la cosa giusta e mi stai distraendo.

«Veramente sto aspettando l'autobus»

Michele si guarda intorno per qualche secondo.

«Credo che tu debba aspettare ancora parecchio visto che dell'autobus non c'è nemmeno l'ombra»

Dannati mezzi pubblici.

Posa di nuovo lo sguardo nel mio e fa un piccolo sospiro.

«Facciamo così, facciamo una passeggiata e ti accompagno io a casa»

Certo che ci sta prendendo proprio gusto a farmi da taxi personale, mi chiedo perché abbia così tanta voglia di passare del tempo con me.

«Perché vuoi fare una passeggiata?» gli chiedo infatti.

È più forte di me, non riesco proprio a tenere i miei pensieri solo nella testa.

Michele sembra preso in contropiede dalla mia domanda e non mi stupisco.

Magari ha solo voglia di godersi l'aria della sera e non vuole stare solo.

«Perché voglio conoscerti meglio» è la sua risposta inaspettata.

Per un secondo resto paralizzata dalla sorpresa e non riesco a registrare bene le sue parole.

Perché voglio conoscerti meglio.

Sì insomma, pensandoci è anche una risposta sensata. Ci eravamo ripromessi di essere amici anche per aiutare Alessandro, ma alla fine non so niente di lui oltre al fatto che prima viveva a Firenze e gli piace fare foto.

In pratica siamo quasi ancora due sconosciuti.

«Allora...andiamo»

E cominciamo a camminare.

Camminiamo per circa dieci minuti senza dire assolutamente nulla, ma non lo trovo un silenzio imbarazzante, io che il silenzio l'ho sempre odiato.

Sto ancora cercando di capire come possa dirgli la verità senza ferirlo, perché Michele non se lo merita.

Mi fa ridere pensare che due settimane fa non me ne sarebbe importato nulla, anzi forse sarei stata anche felice di vedere la sua faccia di bronzo scalfita, ma la cosa più assurda è che adesso proprio la sua faccia di bronzo è proprio ciò che apprezzo di più in lui.

Michele non è finto, se parla con poche persone non è perché si sente superiore ma perché da confidenza solo a chi trova interessante.

E anche io stranamente rientro in questa lista.

O almeno credo.

«Cosa hai fatto oggi pomeriggio?» inizia lui la conversazione e sono felice che l'abbia fatto perché significa che quello che mi ha detto è vero.

Vuole conoscermi.

«Sono stata al bar a studiare con Laura e Vittoria, tu?»

«Ho studiato anch'io»

Aggrotto le sopracciglia guardando il borsone sulla sua spalla.

«Non c'erano gli allenamenti di calcio oggi?»

Mi guarda per qualche secondo prima di rispondermi.

«Sì, però non volevo annoiarti parlando di calcio»

E questo suo pensiero mi fa sorridere perché solo poche ore fa stavo pensando a quanto il calcio fosse per me uno sport noioso.

Poi mi torna in mente la conversazione avuta con Laura.

«E Alessandro te l'ha detto?»

In risposta ricevo il suo sguardo confuso.

«Detto cosa?»

«Delle ripetizioni di matematica con Laura»

Michele si ferma di botto e io con lui.

Mi guarda con occhi sgranati quasi non credesse a quello che gli ho appena detto.

Come biasimarlo, Alessandro mangerebbe anche un verme se questo significasse smettere di studiare matematica.

«Ripetizioni di matematica?» mi chiede sorpreso.

Un sorrisetto spunta sulle mie labbra perché la sua reazione mi diverte.

«Ah ah»

«Con Laura

«Ah ah»

«Perbacco!» esclama.

E per me è impossibile trattenere una risata forte e assolutamente sincera.

Rido quasi fino alle lacrime, perché la sua espressione è davvero troppo comica, e non sentivo qualcuno dire "perbacco" dall'asilo, e forse nemmeno i bambini lo dicono più.

Michele schiude la bocca guardandomi con una genuina sorpresa, forse non capisce cosa ci sia di così divertente.

«Scusami è che..è che sei l'unico adolescente che dice ancora "Perbacco!"» gli spiego tra una risata e l'altra.

E Michele arrossisce.

Ripeto, Michele arrossisce.

La fine del mondo è vicina.

«Sei arrossito?» non mi trattengo dal chiedergli.

L'ho detto che devo esternare i miei pensieri ad alta voce.

«N-no!» balbetta spiazzato.

«E invece sì!» gli punto un dito contro con un grande sorriso sulle labbra.

Devo dire che c'è qualcosa di bello nel vederlo così in difficoltà e non composto e serio come sempre.

«E va bene sono arrossito! Diamine, ma tu sei sempre così schietta?» mi chiede anche lui, però non sembra arrabbiato.

«Solo con chi ho confidenza»

E a questa risposta anche il suo sorriso si allarga.

«E nessuno ti ha mai detto che è fastidioso?» mi prende in giro.

A quel punto riprendo a camminare e lui fa lo stesso al mio fianco.

«Che male c'è nell'arrossire?» 

Mi sono sempre chiesta perché i ragazzi abbiano questa paranoia di essere visti.

Non vogliono farsi vedere mentre piangono, mentre soffrono, mentre arrossiscono.

Ma arrossire è una reazione così umana che è impossibile da trattenere, anche se so che in certe circostante piò essere imbarazzante.

«Non c'è niente di male, solo che non è bello farsi vedere in imbarazzo»

«Vero, ma ti stavo prendendo in giro e l'imbarazzo è normale in questi casi. Sentiti libero di arrossire quando vuoi, non ti giudicherò per questo tranquillo»

Mi guarda in modo strano, come se non capisse se la mia risposta sia sensata o se sia io sia semplicemente una svitata.

«Sei strana Amanda Croce» mi dice infatti.

Non mi offendo perché non c'è niente malizia o cattiveria nel modo in cui lo dice, e infondo so che non essere tanto normale.

Continuiamo a passeggiare in silenzio quando decido di continuare il discorso intrapreso in precedenza.

«Comunque» comincio riattivando nuovamente la sua attenzione, «Non hai idea di cosa Alessandro abbia accettato di fare per queste ripetizioni»

I suoi occhi mi domandano tutto quello che non fanno le sue labbra, quindi rispondo alla sua tacita domanda.

«Ha deciso di partecipare al musical organizzato dalla professoressa Colombo»

Questa volta è lui a ridere così inaspettatamente da sentire il mio cuore battere più veloce per la sorpresa.

Non avevo mai sentito Michele ridere, mai.

E penso che è davvero un gran peccato perché ha una risata bellissima, non troppo forte ma nemmeno trattenuta.

Quando Michele ride i suoi occhi ridono con lui e il verde diventa uno smeraldo bellissimo.

Amanda ma che diavoli di pensieri stai facendo? 

Sbatto gli occhi e scrollo la testa cercando di scacciare dalla mia mente le parole che ho appena pensato, perché anche se Michele è oggettivamente un bel ragazzo non voglio pensare queste cose di lui.

«Seriamente? Alessandro ha deciso davvero di prestarsi a questa cosa?» mi domanda lui riscuotendomi completamente.

Alzo il braccio destro e poso la mano sinistra sul cuore.

«Te lo giuro»

«Perbacco!»

E questa volta la sua esclamazione è del tutto intenzionale perché ride insieme a me.

Non credevo che Michele fosse un tipo così spiritoso, e questa è una delle tante cose che non sapevo di lui e che ovviamente avevo sbagliato a giudicare.

«E tu parteciperai a questo musical?»

Mi scappa una smorfia involontaria pensando a quando Laura mi abbia praticamente costretta con la forza.

«Io non volevo ma Laura...» lascio in sospeso per fargli capire che non c'era modo do sottrarmi.

«È molto convincente?» conclude al posto mio.

«Diciamo così»

«Si vede che è una tipa tosta»

Mi torna in mente la nostra conversazione avuta la sera del pigiama party, a quanto si sentisse in colpa anche se per Alessandro non aveva mai provato simpatia.

«In realtà è molto più fragile di quel che da a vedere»

Non risponde a questa mia osservazione ma vedo il suo sguardo posarsi nuovamente su di me.

Credo lo faccia quando è indeciso se chiedermi qualcosa.

Proprio il mio contrario.

«Che c'è?» domando a quel punto perché non si decide a dire nulla e il suo sguardo continua a mettermi a disagio nonostante tutto.

Michele si morde leggermente le labbra e mi guarda nuovamente con curiosità come se non riuscisse a decifrarmi.

«Ti viene così facile capire le persone?»

Un tempo avrei risposto di sì, ma dopo di lui non ne soni poi così sicura.

Ho sempre dato per scontato che Michele fosse un ragazzo snob e altezzoso ma non lo è affatto, anzi a ben vedere sono io ad essermi messa su un piedistallo rispetto a lui.

«Dipende, alcune persone sono più facili da leggere di altre»

Fa una smorfia come se questa risposta non gli bastasse.

«E come fai a capire se una persona è un libro aperto o è semplicemente brava a fingere?»

Non ci avevo mai pensato in realtà.

Semplicemente ho sempre ritenuto alcuni gesti come delle verità non dichiarate, senza pensare che potessero essere effettivamente calcolati.

«Non so...osservando molto suppongo»

Lui annuisce leggermente, forse concordando con me.

«E io?»

«Tu cosa?»

«Io sono facile da leggere?»

Direi proprio di no, Michele. E lo sai benissimo.

«Tu che dici?» gli domando ironicamente rispondendogli.

In risposta alza le spalle con noncuranza.

«Sì lo so che non faccio trasparire molto, però ero curioso di sapere se tu fossi riuscita a capirci qualcosa di me lo stesso»

Mi sento quasi in colpa dopo questa affermazione, perché la verità è che indubbiamenteMichele è un tipo silenzioso e introverso, ma io non mi sono mai sforzata più di tanto nel capirlo sempre perché troppo presa dai miei pregiudizi nei suoi confronti.

«In verità non ci ho mai provato, sai non ti sopportavo molto» decido di essere sincera.

Infondo abbiamo detto di essere amici, no?

Che amicizia sarebbe senza la sincerità?

«Giusto, tu pensavi che io ti detestassi»

Nella mia mente si fa largo l'immagine di noi a Villa Borghese seduti su quella panchina, quando abbiamo deciso davvero di essere amici, o almeno di provarci.

"Sono io che non do molta confidenza alle persone, ma non ho nulla contro di te"

Queste erano state le sue parole, me l'aveva detto con sguardo colpevole lo stesso che mi sta rivolgendo adesso.

«Lo so che non è così Michele, tranquillo» lo rassicuro.

«Quando hai cominciato a pensare che non ti sopportassi?»

Me lo domanda con un tono che mi induce a pensare che se lo sia chiesto per molto tempo.

Ma la risposta è facile.

«Dalla festa di compleanno di Alessandro»

E dal modo in cui i suoi occhi si sgranano capisco che che non è questa la risposta che si aspettava.

«Cioè praticamente da quando ci siamo conosciuti?» è davvero incredulo.

Perché è così sorpreso? Non mi ha degnato della più minima attenzione a quella festa, cos'altro avrei dovuto pensare?

«Magari non ho pensato che mi detestassi, ma sicuramente che non volessi avere a che fare con me dato che a stento ti sei presentato»

Questa risposta mi esce più acidamente di quanto volessi e mi detesto per questo.

Non mostrarti così risentita Amanda.

Anche a lui non sfugge la nota infastidita nella mia voce e il colore dei suoi occhi diventa quasi più scuro.

«Mi dispiace Amanda» dice fermamente.

Lo sguardo che mi rivolge, così intenso e deciso mi mette davvero in imbarazzo perché non sono abituata ad essere guardata da un paio di occhi così espressivi.

«Non fa niente» quasi balbetto.

Ma perché abbiamo intrapreso questa conversazione? Pensavo ci fossimo già chiariti su questo punto.

«No davvero Amanda. Mi dispiace se hai pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in te che mi ha spinto a non volerti parlare. Non è così»

A questo non posso ribattere perché è assolutamente vero.

Io l'ho davvero pensato.

L'ho pensato così tante volte che l'unico modo per accettare la sua presenza era odiarlo.

E la cosa assurda è che Michele l'ha capito perfettamente quasi come se mi avesse letto nella mente.

Forse lui non è un libro aperto per me, ma non sono sicura che io non lo sia per lui.

«Grazie»

È l'unica cosa che mi viene in mente di dire.

Lui mi guarda per qualche altro secondo per poi farmi un piccolo sorriso.

Sì, decisamente mi capisce meglio di quanto credessi.

 

*****

 

Quando arriviamo sotto casa mia Michele mi blocca prima che possa addentrarmi dentro al palazzo.

«Voglio dirti una cosa» mi ferma con queste parole.

Che frase ansiogena.

«Dimmi»

Prende un respiro prima di aprire bocca.

«Ho deciso di venire in gita a Firenze»

Cosa?

«Cosa?» 

Niente, la connessione mente-bocca ha smesso di funzionare.

«Verrò a Firenze»

Sì questo lo avevo capito. 

Non è questo che non capisco.

«Perché?» riprovo allora.

Sembra in difficoltà adesso, ma non mi interessa.

Voglio sapere cosa gli ha fatto cambiare idea.

«Perché mi sono reso conto che non ti sto aiutando con il piano Cupido, se voglio che funzioni devo fare quello che mi dici»

Ah.

Perché mi sento quasi.. delusa ?

Certo, mi fa piacere che abbia questa fiducia in me ma ho l'impressione che non sia stato completamente sincero.

«Capisco» è tutto ciò che riesco a rispondere.

No, non mi convince per niente.

«Allora ci vediamo»

Sembra quasi abbia fretta di andarsene ora, o forse sono solo io che mi faccio mille film mentali.

Ecco, anche questa è una prospettiva molto probabile in effetti.

«Sì, ci vediamo»

Gli passo il casco e gli do le spalle, apro il portone ed entro dentro il palazzo senza girarmi.

C'è qualcosa che Michele non mi sta dicendo, di questo sono quasi certa.

Ma infondo non deve interessarmi, l'importante è che abbia deciso di venire e di avermi reso tutto più facile.

Sempre che in gita Rebecca non decida di provarci spudoratamente con Alessandro.

Ecco, adesso sono di nuovo depressa.

Sarà decisamente una gita stressante.


 

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Capitolo 11
*** Partita ***


Il fischio dell'arbitro mi fa saltare dalla seggiola degli spalti mentre Vittoria al mio fianco ridacchia divertita dalla mia reazione.

Io odio il calcio.

Cerco di ricordarmi il motivo per il quale sto passando il venerdì pomeriggio a guardare dei ragazzi in calzoncini rincorrere una palla gialla avanti e indietro sudando come non mai e urlandosi contro parole non certo riportabili qui e ora, dato che preferirei mille volte essere a casa a leggere un libro visto le nuvole grigie che fanno presumere un bel temporale, ma i miei doveri di cupido mi costringono a congelarmi il sedere su questa sedia di plastica assolutamente scomoda.

Mi sporgo dunque a guardare l'ingresso del campo da calcio, per verificare di aver almeno dato senso al mio pomeriggio, ma di lei non c'è traccia.

E manca solo un quarto d'ora alla fine della partita.

«Stai tranquilla, verrà» cerca di calmarmi Vittoria intuendo i miei pensieri.

Alla fine avevo accettato, seppur molto riluttante, il cosiddetto piano di Vic, perché anche se Michele aveva deciso di venire in gita, e non riuscivo ancora a spiegarmene il perché, era pur vero che non si erano mai davvero parlati oltre un insignificante saluto di circostanza quella sera al Barracuda, e ritenevo fosse una buona idea rompere il ghiaccio in questo modo.

Vittoria aveva chiesto a Rebecca di venire a vedere la partita con noi insieme alla sua amica Teresa, e lei aveva accettato entusiasta all'idea di vedere Alessandro sudato e puzzolente come un montone.

Sinceramente non ci vedo tutta questa meraviglia, non siamo mica nei film dove i ragazzi si versano le bottigliette d'acqua addosso per apparire belli e muscolosi  (anche perché fa un freddo cane e sarebbe molto stupido) ma a quanto pare a molte non interessa.

Quando sono arrivata infatti non ho potuto fare a meno di notare quante ragazze sono presenti, quando pensavo che saremmo state le uniche.

A quanto pare mi sbagliavo.

C'è un gruppetto di loro in particolare, proprio alle mie spalle e sicuramente della mia scuola dato i visi familiari, che non ha smesso di urlare versi di apprezzamento e incitazione ai miei compagni di scuola soprattutto, e che sorpresa, ad Alessandro.

E a Michele.

Ma sto cercando di evitare la sua figura quindi facciamo finta che non esista.

«Sei sicura?» chiedo a Vittoria stringendomi nel piumino in cerca di calore.

Mi volto a guardarla e vedo che sta fissando intensamente lo schermo del cellulare.

«Mi ha mandato un messaggio cinque minuti fa per dirmi che sta arrivando» mi conferma, ma la sua voce sembra quasi assente come se stesse pensando ad altro.

Mi avvicino e sbirciando oltre la sua spalla noto che sta guardando la chat con Marco senza però scrivere nulla.

«Tutto bene?» Le chiedo.

Nel frattempo la partita continua indisturbata e così le ragazze dietro di noi che mi stanno facendo venire il mal di testa.

Devo resistere solo un altro quarto d'ora.

Ce la puoi fare Amanda, non perdere la pazienza.

«Mh-mh» mugugna continuando a fissare lo schermo come se dovesse spuntare qualcosa da un momento all'altro.

«Vic, ci conosciamo da quando avevamo ancora i denti da latte, possiamo evitare la parte in cui insisto per estorcerti cosa succede?»

Con un sospiro blocca finalmente il cellulare e lo ripone nella tasca dei jeans.

Poi si volta nella mia direzione con uno sguardo incerto, come se non fosse nemmeno lei sicura di come spiegarsi.

«Marco non risponde ai miei messaggi»

«Avete litigato?» ipotizzo.

Mi sembra molto strano però, me lo avrebbe sicuramente raccontato e poi loro non litigano mai, o almeno mai per cose serie da arrivare ad evitare messaggi e chiamate.

«No» risponde infatti.

«E allora perché sei preoccupata?»

«Perché non abbiamo litigato e non mi risponde da ieri»

«Credi che gli sia successo qualcosa?» Mi preoccupo di conseguenza.

Marco è sempre stata una persona molto attenta e ricca di attenzioni, per questo posso capire perché Vic sia così stranita.

«No, si è connesso più volte. Credo che ce l'abbia con me»  

Vedo i suoi occhi rabbuiarsi e non mi piace per nulla.

So che tutte le coppie litigano, ma Marco non è il tipo che arriva ad ignorarti pur di non parlarti.

E non è nemmeno il tipo che si arrabbia silenziosamente, anzi cerca sempre di mediare qualsiasi tipo di contrasto.

«Sabato scorso non siete andati al concerto di Jovanotti?»

Quei biglietti Vittoria li aveva comprati con mesi di paghette messe da parte, e credo sia stato il gesto più romantico che si sia concessa.

Non mi ha raccontato per filo e per segno la serata, ma avevo dato per scontato che fosse andata bene e che si fossero divertiti, invece nemmeno una settimana dopo scopro che c'è qualcosa che non va.

E ripeto, non mi piace per nulla.

«Sì» 

«E..?»

Sospira per poi stringersi nelle spalle. Non so spiegare perché, ma ho l'impressione che stia facendo strani pensieri già da un pò.

«Siamo stati bene» dice soltanto

Siamo stati bene.

Manca tutta l'euforia della sorpresa pensata con tanta cura, la magia del concerto del cantante della loro canzone, lo sguardo sognante negli occhi.

«Ma?» Chiedo intuendo che c'è dell'altro.

Nel frattempo sento i giocatori urlare come dei matti, manca poco alla fine della partita e sono tutti carichi al massimo dato il pareggio fra le due squadre.

Non vedo l'ora che finisca questo supplizio.

«So che sembra assurdo ma...quando gli ho dato i biglietti sembrava quasi deluso. E quella sera, dato che i miei genitori non c'erano è rimasto a dormire da me, ma non mi ha nemmeno sfiorata» chiude gli occhi come se questa fosse la cosa che la facesse sentire peggio fra tutte.

«Nel senso...»

«Nell'unico senso Amy» si schiarisce la voce, «non mi importa del sesso, e nemmeno del piacere. Mi importa che l'abbia sentito distante come non mi era mai successo in quasi due anni di relazione»

Le sue parole mi colpiscono dritto al cuore e non posso far altro che restare in silenzio per un momento.

Non ho mai provato sulla mia pelle la sensazione di un tocco altrui, non ho mai capito davvero l'esigenza di trasmettere amore anche in modo fisico.

Certo a volte me lo sono chiesta, ma non ho mai saputo darmi davvero una risposta.

Non lo sai finché non lo provi.

Il sesso fa tanta paura, ma alla fine è una cosa  bella, no? E se manca in una coppia, davvero significa che non c'è più un sentimento?

Non lo so e forse non voglio nemmeno davvero avere questa consapevolezza.

Essere Cupido per me è sempre stato facile, i sentimenti sono una cosa così complessa ma alla fine anche estremamente semplice.

L'amore non l'ho mai provato, ma l'ho sempre visto.

Ma il sesso?

Quello non l'ho mai sperimentato, e forse il contatto con i ragazzi è proprio la mia più grande mancanza da Cupido.

Ecco perché non riesco davvero a trovare le parole per dare anche un semplice consiglio alla mia migliore amica.

«Credo che tu debba solo essere sincera con lui»

Emette una piccola risatina contrariata.

«E cosa dovrei dirgli?» Si ferma per un secondo prima di ricominciare a parlare, «Amanda... è già un miracolo che un ragazzo come lui stia con una come me»

«Non dire mai più una cosa del genere Vittoria» il mio tono si indurisce senza che possa controllarlo.

Mai avevo sentito una frase così priva di amor proprio da parte sua, e non potevo accettare che la causa fosse Marco, il ragazzo che la faceva sentire non solo bella ma anche speciale in ogni momento, come mi aveva sempre detto.

«Amy, io non sono insostituibile per lui» continua con un'altra frase di puro masochismo.

Mi avvicino maggiormente a lei e la costringo a guardarmi dritta negli occhi.

«Vic stiamo parlando di Marco, lo stesso ragazzo che è innamorato di te da quando avevi ancora una prima di reggiseno, lo stesso ragazzo che per conquistarti ti ha portato i garofani e la cioccolata presentandosi a casa tua senza nemmeno provare a inventare una scusa se non il puro e semplice fatto di essere pazzo di te. Lo stesso ragazzo che quando l'anno scorso ti slogasti la caviglia ti scrisse "ti amo" sul gesso perché avevi detto che non ti sentivi pronta a sentire quelle parole a voce alta e allora te le ha scritte perché sapeva che eri spaventata.»

Lei distoglie lo sguardo e vedo i suoi occhi farsi leggermente lucidi.

«Lo so, Amanda. Ma so anche che a questa età tutto è precario, che Marco è più grande di noi, che l'anno prossimo inizierà l'università mentre noi saremo ancora al liceo e ci vedremo sempre meno. E con la testa brillante che ha e il suo animo gentile, quanto credi che gli ci vorrà per trovare un'altra ragazza più intelligente e matura di me?»

«Vittoria adesso basta, stai esagerando credimi. Magari è solo un periodo difficile per lui, il sesso non significa sempre qualcosa, non devi dargli tutto questo peso»

Vittoria sospira stancamente, come se non riuscisse nemmeno lei a spiegarsi come vorrebbe.

«Ti ripeto non è solo questo, è già da un pò che lo sento strano. La settimana prossima andremo in gita e forse questi giorni distanti non ci faranno che bene»

Sto per replicare ma vengo bruscamente interrotta dal fischio dell'arbitro che mi trapassa il cranio e mi fa sobbalzare.

Immediatamente sposto lo sguardo sul campo e noto subito Alessandro urlare contro un ragazzo della squadra avversaria.

Non so cosa gli sta dicendo, ma non devono essere parole molto carine.

Con la mano sinistra si pulisce del terriccio finitogli sul braccio e dal cartellino giallo che l'arbitro tira fuori suppongo che abbia appena subito un fallo.

Sto cercando di capire meglio le dinamiche quando lui entra nel mio campo visivo.

E per quasi un'ora avevo fatto di tutto perché ciò non accadesse.

Lo vedo dirigersi verso Alessandro con quello sguardo sicuro che si porta sempre dietro, gli poggia poi una mano sulla spalla per tranquillizzarlo dunque lo porta via prima che la situazione degeneri.

Entrambi si allontanano verso fondo campo e vedo che iniziano a parlottare.

E io non riesco a distogliere lo sguardo.

«Mamma mia che visione che sono!» Sento dire a una delle ragazze alle mie spalle (che starà sicuramente guardando nella mia stessa direzione)  e un pensiero spaventoso mi attraversa la mente.

Ha proprio ragione.

Mi agito sulla sedia e distolgo lo sguardo immediatamente, arrossendo come un peperone maturo.

Sono una stupida. 

Una deficiente colossale con le guance così rosse che non mi sorprenderebbe se qualcuno pensasse che stia avendo un attacco allergico.

Oggi è successa una cosa strana. Mi sento particolarmente scombussolata perché per la prima volta ho visto Michele Costa con la divisa della squadra di calcio.

In teoria non dovrebbe essere un evento sconvolgente, si tratta solo di un capo d'abbigliamento, una maglietta e un pantaloncino che male possono fare?

Nessuno.

Il mio corpo però non la pensa così. 

Quando ho visto Michele in campo mentre si riscaldava non riuscivo a far altro che pensare a quanto fosse bello e attraente. E sono arrossita proprio come ora.

Non è che prima vivessi nel mondo delle favole, ho sempre saputo che fosse un bel ragazzo, e anche che attraesse su di sé sguardi languidi da molte ragazze, ma non mi era mai successo di guardarlo e pensarlo così.

Così insistentemente.

I miei occhi  ritornano su di lui  senza che possa impedirlo ed è come se si stesse spostando a rallentatore, vedo le sue mani prendere la bottiglietta d'acqua e avvicinarla alle labbra per bere, il movimento delle sue dita mentre si tira indietro i capelli scoprendo maggiormente i suoi occhi color prato, il suo sorriso rivolto ad Alessandro mentre continuano a parlare come se nulla fosse, come se dentro di me non fosse scoppiato un uragano di ormoni e pensieri sconnessi.

Amanda finiscila adesso! Sembri la protagonista scema di una commedia romantica qualsiasi.

Ma per quanto me lo ripeta non riesco a smettere, e mi fa sentire così strana.

Perché mi sta succedendo questo? 

Io non posso essere attratta da Michele. Non posso e non voglio.

Anche se è un ragazzo oggettivamente desiderabile non voglio che sia il mio oggetto del desiderio, non voglio neppure che un mio pensiero gli sia dedicato in quel senso.

Ed è per questo che ho cercato di evitarlo da quando siamo arrivate.

Il mio corpo però non ne vuole sapere di stare tranquillo, e ho paura che lui possa voltarsi e beccarmi a fissarlo come un cane che guarda la sua scorta di croccantini.

Cerco allora di pensare ad altro, ad esempio al film che ho visto ieri sera con Zac Efron.

Ecco lui sì che è bello e sexy. Altro che Michele Costa che tra l'altro è pure sudato e puzzolente in questo momento.

«Amanda!» Le dita di Vittoria scoccano davanti al mio viso e interrompono la mia fase di contemplazione.

Mi volto di scatto verso di lei che ha abbandonato per un secondo il suo sguardo triste per sostituirlo con uno incuriosito.

«A cosa stavi pensando?» Mi chiede infatti

«A nu-nulla» 

Il sopracciglio le si inarca segno che non mi crede per nulla.

«Qualsiasi cosa sia, accantonala. È arrivata Rebecca» fa cenno con la testa verso un punto alle mie spalle con uno sguardo che vale più di mille parole.

Sì, decisamente non se l'è bevuta.

Non mi resta che voltarmi e indossare il mio sorriso più finto mentre Rebecca ci raggiunge bella come sempre.

Ma come fa questa ragazza a non avere nemmeno un piccolo difetto?

Un brufolo, un pelo fuori posto, niente. Scommetto che non ha nemmeno le doppie punte perché avrà sicuramente i capelli lisci effetto seta naturali, altro che shampoo Pantene.

Indossa un semplice jeans e un maglioncino a righe con sopra un cappotto nero, sul viso non c'è un filo di trucco se non per un pò di mascara.

Nella sua semplicità è davvero bellissima.

Non mi sorprende che Michele sia pazzo di lei.

«Ciao ragazze!» Ci sorride per poi sedersi accanto a noi.

Vittoria decide saggiamente di spegnere definitivamente il cellulare, ma so che la sua testa sarà ancora da un'altra parte.

Dobbiamo necessariamente riprendere il discorso di prima perché non l'ho mai vista così abbattuta.

Cavolo, ma che succede ultimamente?

«Come va?» Chiede alla mora al mio fianco.

«Tutto bene, mi dispiace aver fatto tardi ma c'era tantissimo traffico» 

«Tranquilla, ti sei solo persa novanta minuti di noia mortale» le a rincuoro scherzando.

Ok, non poi così tanto.

«Non ti piace il calcio?» Mi chiede infatti.

«Non molto» mi sfugge senza pensarci troppo.

«E allora perché siete venute a vedere la partita?»

Mi gelo un attimo sulla sedia, e non di certo per il vento freddo che non vuole saperne di andare via.

Amanda sei proprio una deficiente.

Mi scambio un veloce sguardo con Vittoria che credo voglia buttarmi giù dalle gradinate per poi scrollare le spalle come se niente fosse.

«Ma sai, per dare sostegno ad Alessandro e al resto della classe. Alla fine non veniamo proprio a tutte le partite»  rispondo con una nonchalance che sorprende anche me.

Se prendessi lezioni di recitazione potrei anche prendere in considerazione l'idea di diventare un'attrice data la quantità di bugie che sto dicendo ultimamente.

A salvarmi poi da ulteriori domande è il fischio dell'arbitro che alleluia sancisce la fine di questa partita.

«Oddio hanno ottenuto il rigore!» grida Rebecca d'un tratto più eccitata di me quando vedo un buffet di dolci.

Poi registro le sue parole.

«Ma quindi non è finita la partita?» chiedo sconsolata.

Non uscirò più da questo stadio.

«No, l'arbitro ha fischiato calcio di rigore! Guarda, lo deve tirare Michele»

E improvvisamente mi ritrovo ad alzare lo sguardo e dirottarlo a fondo campo e vedere proprio lui che posa il pallone ai suoi piedi per poi fare qualche passo indietro.

Oddio che ansia.

La partita dovrebbe essere attualmente pari quindi questo rigore potrebbe cambiarne le sorti.

«VAI MICHELE!» urla Vittoria improvvisamente e così forte da attirare tutti gli sguardi dei presenti compreso quello del diretto interessato.

Che figura di merda.

Schiaffeggio nemmeno troppo gentilmente il braccio di Vic mentre continuo a guardare Michele che, non ci giurerei data la distanza, sembra stia facendo una piccola risatina.

«Ahia!» 

«Così impari a non sfracassarmi il timpano»

«Come se fosse questo il vero motivo»

«Che vorresti dire?» chiedo non capendo questa sua ultima affermazione.

Lei però decide di non rispondere e non mi resta far altro che guardare Michele tirare questo calcio.

E poi accade, mentre lo stadio diventa improvvisamente silenzioso e tutti lo fissano; Michele fa qualche passo indietro per poi prendere a correre e finalmente tirare.

Il pallone dritto in porta.

Non ho nemmeno il tempo di realizzare cosa sia successo che un boato si innalza alle mie spalle e mi ritrovo nell'abbraccio di Vittoria e Rebecca che, insieme a tutti, strillano e saltellano mentre io guardo Michele che a sua volta viene stritolato dai suoi compagni soprattutto da Alessandro.

Direi che la partita possa definirsi conclusa.
 

*****
 

Io, Vittoria e Rebecca stiamo aspettando che i ragazzi si facciano la doccia per poi andare tutti insieme a berci qualcosa, Laura invece dovrebbe essere qui a momenti. Verrà con noi giusto il tempo che serve a soddisfare Rebecca, dopodiché se ne andrà con Alessandro per le famose ripetizioni.

Al solo pensarci mi viene da ridere, me li immagino chiusi in una stanza a studiare con lei che inveisce e lui che sbuffa come un toro.

Quasi pagherei per vedere questa scena.

Poi, proprio come se l'avessi richiamata la vedo varcare il cancello del piccolo stadio e avvicinarsi a noi non troppo entusiasta.

Finalmente qualcuno che mi capisce.

Vittoria al contrario è quasi euforica per questa uscita; non so se sia perché stia cercando in tutti i modi di distrarsi o perché le diverte il piano Cupido.

Il che è strano, perché io che sono Cupido non sento scorrere nelle vene quell'ansia che invece mi sarei aspettata.

Forse sono più negativa di quanto pensassi, ma sarebbe anormale il contrario data la situazione in cui mi trovo: un terribile triangolo.

Laura intanto arriva al nostro fianco e ci saluta tutte con un mezzo sorriso.

«Non mi aspettavo venissi!» esclama Rebecca con un sorriso così luminoso che potrebbe illuminare anche New York.

In effetti lei non sa che Alessandro dovrà andarsene a fare ripetizioni con Laura a un certo punto.

«Già...a un'uscita non si dice mai di no infondo» mi regge il gioco lei, anche se il tono della sua voce rimanda la stesso entusiasmo che provo io quando devo fare il cambio di stagione.

«Vogliamo aspettare i ragazzi fuori?» propone Vittoria, e in risposta riceve tutti segni di consenso.

Mentre stiamo per varcare il cancello però, mi volto un attimo e noto Michele uscire dagli spogliatoi quindi decido di raggiungerlo, dato che non gli avevo nemmeno detto che saremmo venute.

Ok, è stata una mossa codarda la mia, ma l'ultima volta che l'avevo avvisato è andata a finire malissimo, magari l'effetto sorpresa avrà i suoi frutti.

«Vi raggiungo subito» sussurro all'orecchio di Vic indicandogli il punto alle mie spalle in cui si trova Michele.

Lei annuisce comprensiva e poi varcano finalmente il cancello.

Faccio un respiro profondo.

Amanda non essere agitata, non indossa più la divisa e non c'è motivo di provare imbarazzo.

Lo raggiungo a passi lenti mentre lui sta poggiato con le spalle al muro e smanetta con il cellulare. 

«Ciao» lo saluto e immediatamente attiro i suoi occhi su di me.

Stai calma. Non ha la divisa è vestito come sempre!

«Ciao!» mi saluta lui felice, fresco di vittoria.

E adesso che dico?

«Bella partita»

Ecco, posso vincere anche un premio per l'originalità.

Lui però sorride, «Grazie! Non mi aspettavo la vostra presenza»

«Si ehm...» inizio un po' in difficoltà «non ho avuto il tempo di avvisarti»

Come se per mandare un messaggio ci volessero più di due minuti, ma non ho scuse migliori.

La verità è che il piano di Vic mi sembrava alquanto ridicolo all'inizio, ma quando si è a corto di alternative bisogna provare tutto.

«Tranquilla, il vostro tifo poi è stato molto apprezzato» mi dice con un sorrisetto divertito facendomi arrossire.

Mi sta palesemente prendendo in giro.

Vittoria io ti uccido.

«Sei per caso arrossita?» continua lui, rimarcando la nostra ultima conversazione.

Ok, me lo merito.

«Non c'è niente di male nell'arrossire» gli rispondo come l'ultima volta.

I suoi occhi verdi si tingono di divertimento.

«Sentiti libera di arrossire quando vuoi con me» replica la stessa frase che gli dissi il giorno in cui abbiamo fatto quella passeggiata.

«Lo farò» 

Rimaniamo qualche altro secondo in silenzio poi Michele decide di romperlo.

«Comunque sono felice che siate venute»

«Sì beh, deve essere stato bello vedere Rebecca seduta lì a fare il tifo per te» 

Lui fa un piccolo cenno con la testa che non riesco a decifrare.

«È stato bello vedere tutte voi» dice soltanto.

E vorrei dire qualcosa ma non ci riesco.

E anche se avessi voluto l'uscita di Alessandro dagli spogliatoi mi impedisce ogni parola.

«Ciao piccoletta!» mi saluta anche lui entusiasta scompigliandomi la frangetta.

Lo fulmino con lo sguardo cercando di sistemarla, ma in testa però ho ancora l'ultima frase di Michele nella mente.

«Andiamo a festeggiare?» dice proprio lui.

«Certo! Giusto una mezz'ora che poi mi tocca fare ripetizioni con Satana» 

«Non parlare così di Laura, ti sta dando una mano» Lo rimprovero subito. 

Lui sbuffa in risposta, «E io in cambio parteciperò a quello stupido musical, direi che posso permettermi di chiamarla Satana»

Non vorrei, ma una risatina mi scappa.

«Se ti può consolare anche io sono stata costretta a partecipare anche se non so ancora cosa farò»

«Non vi invidio» è la ragionevole affermazione di Michele.

«No amico, devi partecipare anche tu! Non puoi lasciarmi in mezzo a delle pazze»

«Ehi!» Gli riservo uno schiaffo sul braccio.

Menomale che sono la sua migliore amica.

«Non ci penso proprio Ale» È la risposta divertita del castano.

«Dai non posso affrontarlo da solo! Magari puoi dare una mano dietro le quinte insieme ad Amanda. Infondo lei non sa ballare ed è stonata come una campana, non credo le lasceranno fare altro»

«La vuoi smettere di insultarmi?» 

Per poco non gli schiaffeggio nuovamente il braccio se non fosse per Michele che interviene.

«Ci penserò» Dice soltanto.

E inconsciamente mi viene da pensare che sarebbe divertente avere anche lui in squadra.

Ma cosa mi succede oggi?

«Dai andiamo!» 

Alessandro cinge le nostre spalle ed insieme varchiamo l'uscita pronti a berci qualcosa tutti insieme.

Spero solo che questa volta vada tutto liscio.

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Capitolo 12
*** La più bella ***


Quando ero bambina non vedevo l'ora di iniziare il liceo, sarà che film come High School Musical Cinderella Story mi avevano inculcato l'idea che le superiori rappresentassero il periodo migliore della propria vita, ma ricordo l'impazienza di raggiungere finalmente la fase dell'adolescenza, dei primi amori, dei pigiama party e dei baci sotto la pioggia.

Crescendo poi ho dovuto fare i conti con la triste realtà, non che tutto ciò non potesse accadere anche nella vita vera, ma non era accaduto a me. Quindi ho dovuto dirottare il mio entusiasmo verso eventi più realistici e a me più vicini, come le uscite del sabato con Vittoria e Laura, un caffè al bar con Alessandro, qualche festa di compleanno nella speranza di incontrare un ragazzo carino.

E le gite scolastiche.

La mia classe non è mai stata una di quelle molto unite; essendo la componente femminile in maggioranza rispetto a quella maschile è stato inevitabile che si formassero dei gruppetti, anche se non possiamo nemmeno definirci una classe litigiosa.

Abbiamo un nostro equilibrio.

Questa che stiamo per vivere però è la nostra prima gita insieme, e in qualche modo spero che ci possa far legare di più.

Siamo appena arrivati a Firenze e l'entusiasmo dei miei compagni è palpabile, così come il mio. Ho sempre desiderato visitare questa città perché credo che sia tra le più affascinanti d'Italia e finalmente la scuola mi sta regalando qualcosa di bello dopo anni passati a soffrire di ansie e mal di pancia per interrogazioni e compiti in classe.

Appena scendiamo dal pullman la Professoressa Colombo e il Professor Parisi ci fanno dividere in base alle rispettive classi e vedo Alessandro allontanarsi da Michele per raggiungere il nostro lato dopo aver passato il viaggio seduto accanto a lui.

Essendo il professor Parisi anche insegnante di filosofia di Michele le nostre classi sono state riunite, mentre quella di Vittoria e Rebecca è stata accoppiata con un'altra terza.

Ovviamente non avrei mai potuto programmare una cosa del genere, e come sempre la fortuna non è dalla mia parte perché questo viaggio ha come fine proprio quello di avvicinare Michele e Rebecca. E ancora una volta sono lontani.

Più però lo guardo mentre parla con alcuni suoi compagni di classe più penso che non mi dispiaccia affatto che sia insieme a noi.

O meglio ad Alessandro.

Nei giorni precedenti alla gita Ale è diventato molto più scostante e a tratti apatico, sembra abbia sempre qualcosa per la mente e l'istinto mi dice che Laura c'entra in tutto questo.

Da quando hanno iniziato le ripetizioni il loro rapporto non è poi cambiato molto, continuano a ignorarsi in classe e a parlarsi lo stretto indispensabile ma so che c'è qualcosa tra loro.

Non qualcosa di romantico, ma qualcosa.

Inevitabilmente il mio sguardo ritorna su Michele.

Chissà se lui sa qualcosa. 

«Ehi» delle dita scoccano davanti il mio viso distogliendo la mia attenzione.

Alessandro mi guarda con un cipiglio confuso prima di seguire la direzione dei miei occhi e notare il suo migliore amico.

«Tutto bene?» mi chiede in tono strano.

«Sì, perché?» mi liscio la frangetta in un gesto nervoso guardando altrove.

Dover tenere nascosto anche a lui il piano Cupido e le inevitabili conseguenze si sta rivelando sempre più difficile.

«Posso chiederti una cosa?» 

«Certo» rispondo continuando a non guardarlo.

Ho come il sospetto che questa domanda non mi piacerà. Alessandro non è il tipo che chiede qualcosa, lui la fa e basta.

Si schiarisce la gola e come temevo mi paralizza con le sue parole.

«Amanda, ti piace Michele?» domanda cercando i miei occhi.

La prima cosa che percepisco è un calore intenso che mi brucia le guance. Sono così in imbarazzo che arrossire non è nemmeno il verbo giusto per descrivere la mia combustione facciale.

Ale però, nonostante lo noti, non si scompone e continua a guardarmi serio.

E realizzo che ci sto mettendo più tempo del necessario per rispondere.

«Ma come ti viene in mente?!» esclamo forse un po' troppo istericamente.

Come può pensare una cosa del genere? Le occasioni in cui ci ha visti insieme si possono contare sulle dita di una mano, sa benissimo che io e Michele non ci siamo mai dati troppa confidenza; almeno non fino agli ultimi tempi a causa del Piano Cupido.

Piano di cui Alessandro non sa nulla.

Anche lui sembra in leggero imbarazzo e si gratta la testa prendendo tempo.

«Non so, ultimamente ti becco a fissarlo e vi vedo insieme. Tipo alla partita di calcetto»

Partita a cui sono andata solo per portarci Rebecca.

Esausta porto una mano sulla fronte cercando di riordinare le idee.

«Ale non mi piace Michele, è assurdo che tu lo pensi!»

«Perché assurdo?»

«Perché...» inizio senza nemmeno sapere come finire la frase.

Già, perché?

Perché gli piace un'altra, è il primo motivo che mi viene in mente ma questo non posso dirlo.

E inoltre non è l'unico.

Perché è altezzoso, ma neanche di questo sono più certa.

Perché siamo amici, ecco questo è sicuramente un'ottima motivazione, ma anche in questo caso non posso spiegarlo ad Alessandro omettendo il resto.

«Perché lo conosco a malapena, come fa a piacermi qualcuno che non conosco?»

«Se lo dici tu» si arrende, ma non mi sembra troppo convinto.

Perfetto, ci voleva solo questa.

Devo parlare assolutamente con Michele e convincerlo a raccontargli di Rebecca. Ancora non mi spiego perché non gliel'abbia detto, insomma se non si parla di ragazze al proprio migliore amico con chi lo si fa?

Tra l'altro lo strampalato piano di Vittoria aveva davvero e stranamente funzionato, e c'è stata una piccola evoluzione nel rapporto tra Michele e Rebecca.

Non posso dire che è scattata la scintilla, ma sicuramente si è rotto il ghiaccio.

Ho scoperto che Rebecca ama il calcio più di quanto pensassi, e avrei dovuto intuirlo data la concentrazione con cui ha seguito la partita.

La conversazione tra loro era partita in modo completamente spontaneo, Rebecca ha cominciato a fare commenti tecnici sui giocatori che non ho minimamente capito e Michele la ascoltava rapito e completamente a suo agio.

Non un sintomo di nervosismo, nessun silenzio imbarazzante, nessuna domanda senza risposta c'era stata tra loro.

Da lì il discorso si è protratto per diverso tempo e anche quando Alessandro è andato via insieme a Laura, sebbene abbia scorto un lampo di delusione negli occhi di Rebecca, il suo sorriso non è mai svanito.

Io e Vittoria ci siamo guardate senza proferir parola, entrambe stupefatte dalla facilità con cui le cose si stavano parzialmente risolvendo.

Potevo scorgere sul viso della mia amica un sorriso soddisfatto e sebbene anche io ne fossi felice stava cominciando a innervosirmi il loro escluderci completamente.

Insomma mi ero sorbita novanta minuti di fischi e falli, non ce la facevo più a sentir parlare di calcio.

Mi sono dovuta però mordere la lingua, dicendomi che dovevo solo essere felice che finalmente il Piano Cupido stava funzionando, non solo infatti avrei adempiuto al mio compito ma anche il senso di colpa nel non aver detto a Michele della cotta di Rebecca per Alessandro sarebbe passato.

O almeno lo speravo.

E prima avrei concluso questa storia, prima sarei potuta tornare alla normalità di prima, priva di segreti e scene imbarazzanti.

Vabbè scene imbarazzanti c'erano anche prima e ci saranno sempre, diciamo meno imbarazzanti.

«Ale, ti assicuro che non mi piace Michele» ripeto nuovamente.

«Ma qualcuno che ti piace ci sarà , no?» 

«Perché improvvisamente sei così interessato alla mia vita sentimentale?» chiedo esasperata.

Ho già accettato da tempo il fatto di avere esperienze amorose pari a un bambino di tre anni, non c'è bisogno che rigiri il coltello nella ferita.

«Perché tu non mi racconti mai nulla!» 

E sento il cuore stringersi in una leggera morsa dopo queste parole. Il fatto è che io vorrei dirgli qualcosa, ma semplicemente non c'è nulla da raccontare. 

E di questo talvolta mi vergogno.

«Perché tu sì?» chiedo in un tentativo ridicolo di capovolgere la situazione.

Alessandro mi rivolge uno sguardo scettico.

«Io ti dico tutto, o almeno sto provando a farlo da quella volta in cui mi sono ubriacato» 

Resto un attimo in silenzio, indecisa se chiedergli quello che mi ronzava in testa prima.

«E di Laura che mi dici?» 

Vedo le sue spalle irrigidirsi leggermente al nome della mia amica, ma devo ammettere che il viso non mostra alcun tentennamento.

Sempre detto che potrebbe fare l'attore.

«Che c'entra Laura?» 

«Secondo te non mi sono resa conto che c'è qualcosa di strano?»

Alessandro abbassa lo sguardo e non proferisce parola.

«Chi è adesso quello che non mi dice le cose?»

So quanto è scorretto rigirare una situazione in proprio favore, ma non avere le cose sotto controllo mi destabilizza.

«Ok, hai ragione» 

Aspetto che continui la frase, ma non lo fa.

«E?»

«Ed è complicato. E ti chiedo anche la cortesia di non chiedere nulla a Laura»

Strabuzzo gli occhi allibita. Da quando Alessandro si prende la briga di mantenere la sua privacy così intatta?

«Non è che non mi fidi di te. Ma voglio spiegartelo io, ok?» continua.

«Non capisco cosa ci sia da spiegare. Mi stai solo facendo preoccupare così»

«Non c'è niente di cui preoccuparsi. Tu però fidati»

Provo a rispondere ma intravedo la figura slanciata di Michele avvicinarsi a noi e decido che rimandare questa conversazione sia molto più ragionevole.

Siamo appena arrivati a Firenze e voglio concentrarmi su questo al momento. Inoltre questo non è il luogo in cui si può parlare con tranquillità.

«Ciao ragazzi» ci saluta non appena giunge al nostro fianco.

Vedendo le nostre espressioni alterna lo sguardo tra me e il suo migliore amico.

«Tutto bene?» chiede infatti.

«Sì, vado a prendere la valigia dato che hanno finito l'appello»

E detto questo Alessandro si defila velocemente avvicinandosi al pullman.

Tipico di lui.

So che mi ha chiesto di non chiedere nulla a Laura, ma adesso sono solo più tentata di farlo.

«Ho interrotto qualcosa?» domanda Michele ancora al mio fianco.

«No, no.» mi affretto a rassicurare, «stavamo chiacchierando del più e del meno»

Per nulla convinto della mia palese bugia decide comunque di farmi il piacere di non insistere e cambiare argomento.

«Felice di essere a Firenze?»

I miei occhi si illuminano al solo pensiero di quello che faremo e visiteremo in questi giorni.

Firenze ha quel fascino che solo una città antica possiede, una magia che ho desiderato sentire sulla mia pelle da sempre.

«Moltissimo!»

Vedo i suoi occhi luccicare di divertimento davanti il mio entusiasmo.

«E tu sei felice di essere tornato nella tua città natale?»

Il suo sorriso si smorza leggermente e così impercettibilmente che mi sorprende anche averlo notato.

«Certo» 

Mostra sicurezza nella sua risposta ma questa volta sono io a non essere convinta. Decido però di ricambiare il favore e non indagare.

«Pronto alla fase due del Piano Cupido?» cambio argomento spiazzandolo leggermente.

Aggrotta le sopracciglia confuso.

«Fase due?» ripete scettico.

Ok, in realtà i miei piani non sono mai stati davvero costruiti ed elaborati con delle fasi prestabilite, ma so che questa gita potrebbe davvero essere un punto di svolta.

E il solo pensiero dovrebbe rendermi entusiasta ma non riesco a esserlo pienamente.

Forse ho solo troppi pensieri per la testa ultimamente.

«È arrivato il momento di fare la tua mossa!» chiarisco.

Michele mi guarda sorpreso e decisamente spaesato.

Da quando è iniziata tutta questa storia non c'è stata una singola volta in cui l'abbia avvertito tempestivamente delle mie azioni e delle mie idee.

Sono davvero un pessimo Cupido.

E credo che mi prenderò decisamente una pausa dopo che avrò finito.

Dato che non si decide a parlare, continuo il mio discorso.

«Conosci Firenze meglio di tutti»

«E quindi?»

«Quindi è un vantaggio! Conoscerai sicuramente qualche posto carino dove portare Rebecca nelle nostre ore libere, e inoltre questa è casa tua quindi sarai anche più a tuo agio»

Vedo le spalle di Michele irrigidirsi insieme al suo corpo diventato completamente teso.

«Questa non è casa mia» dice soltanto, con tono fermo.

E non so davvero cosa dire adesso. Nei suoi occhi leggo una freddezza che non avevo mai intravisto. E questa freddezza mi paralizza per una attimo.

«Ma lo è stata» bofonchio incapace di pensare ad altro.

A giudicare dalla sua espressione non è stata la risposta più intelligente che potessi dare.

Michele si gratta un orecchio prendendo tempo, poi sospira profondamente e punta quei suoi occhi illegali direttamente dentro ai miei.

E a me per un attimo scoppia il cuore.

«Amanda, non posso»

Ci metto un attimo a registrare le sue parole.

«Non puoi cosa?» ora sono io quella confusa.

Distoglie un attimo lo sguardo per poi ripiantarlo nel mio.

«Non posso portare Rebecca in giro. Mi dispiace» 

Non mi da nemmeno il tempo di chiedergli il perché che proprio come Alessandro scappa via.

E io mi sento una stupida a restare lì impalata.

Ma cosa diavolo prende a tutti ultimamente?
 

*****

La stanza che è stata assegnata a me e Laura è molto carina e spaziosa.

Le pareti sono di un azzurro chiaro e le coperte blu scuro dei letti, insieme alle tende del medesimo colore completano il quadro, dando l'idea di essere finiti in mezzo al mare.

Inoltre la vista che dà sui giardini dell'hotel è veramente magnifica.

«Dove preferisci stare?» chiedo a Laura una volta poggiata la valigia su un ripiano apposito.

«Ti dispiace se prendo il letto vicino la finestra? Mi sento mancare l'aria vicino al muro» mi domanda con occhi preganti.

Faccio una risatina, «Certo»

Mi rivolge un sorriso luminoso prima di dirigersi vicino il suo letto.

Se solo le persone capissero quanto sia semplice renderla felice.

Molti nostri compagni di classe vedono in Laura solo una ragazza scontrosa e scorbutica, e anche se non nego che spesso questi due lati del suo carattere sono quelli che emergono di più, Laura è anche tanto altro.

E mentre la guardo sistemare le sue cose continuo a domandarmi cosa stia succedendo tra lei e Alessandro.

E se queste ripetizioni invece che fare del bene stessero solo rompendo un equilibrio di cui non ero a conoscenza? Sono così tentata di chiederle perché nell'ultima settimana fosse sempre così distratta, perché ogni volta che Alessandro si avvicinava al nostro banco si irrigidisse e perché sembra così palesemente nascondermi qualcosa, ma Ale mi ha chiesto di non farlo e anche se non gli devo nulla dato che tengo a Laura sicuramente più di lui, non voglio tradire la sua fiducia.

Dunque mi costringo al silenzio.

Un leggero bussare alla porta però mi fa trasalire.

Io e Laura ci scambiano uno sguardo confuso, poi vado ad aprire.

«Ehilà amiche! Ma che bella stanza, è molto più grande della mia e dire che io sto in una tripla! Che ingiustizia è mai questa? Stasera allora faremo qui la festa, è deciso» 

Vittoria entra come una furia in camera nostra, travolgendoci con un fiume di parole che per un secondo mi tramortisce.

Poi finalmente registro il senso della sua frase e sgrano gli occhi.

«Una che?» mi esce con un leggero stridulo.

«Esatto una tripla! Sono con Rebecca e Teresa e, non fraintendetemi, sono molto simpatiche però volevo più spazio!»

Alzo il braccio e piazzo una mano sulla bocca di Vic inducendola a smettere di parlare.

«Non la camera Vic! Tu hai parlato di una festa. Quale festa?» 

Abbasso la mano aspettando una risposta ma lei mi rivolge solo uno sguardo colpevole.

Laura intanto la sta incenerendo come la migliore delle piromani.

«Potrebbe esserci la possibilità che io e le ragazze abbiamo deciso di fare un festino stasera dopo cena»

«Vittoria!»

«Eddai Amy, lo sai che mi devo distrarre!» 

Ok, questa è davvero una mossa scorretta.

«Non tirare in mezzo Marco solo per impietosirmi. Siamo arrivate nemmeno due ore fa Vic!»

Lei sbuffa per poi sedersi sul mio letto.

Io continuo a guardarla come una madre che sgrida la figlia.

«Amanda in gita si fanno queste cose! Saremo qui solo altri tre giorni, vediamo di goderceli» mi prega quasi.

Ammetto che sono tentata di cedere; da quando ha litigato con Marco sta facendo il possibile per non pensare a lui ma so che sta soffrendo.

Che poi non hanno nemmeno propriamente litigato, ma si scrivono pochissimo ed è evidente che ci sia qualcosa che non va.

«E perché questa festa dovrebbe farsi proprio in camera nostra?» domanda Laura.

«Perché è la più grande tra quelle che ho visto e di certo non posso mettermi a bussare alla porta di sconosciuti. E poi non è una vera e propria festa, verranno solo alcuni ragazzi  che hanno portato qualche alcolico. Musica a basso volume e qualche bevuta, questo faremo. Non possiamo fare troppo casino perché altrimenti ci beccano subito e non possiamo uscire perché è il primo giorno e i prof sono più in allerta»

«E noi quindi decidiamo di fare un festino. Mi sembra logico» commento.

«Amanda hanno avuto anche loro diciassette anni! Lo sanno che lo faremo e preferiscono saperci in Hotel piuttosto che fuori. E ripeto, sarà una cosa tranquilla. Ci saranno solo i ragazzi di classe mia e di classe vostra»

Ancora una volta io e Laura ci scambiamo un'occhiata e ci arrendiamo.

 

*****

Sarà una cosa tranquilla.

Così aveva detto Vittoria.

Peccato che la mia camera è così piena di ragazzi, molti che non avevo mai nemmeno visto tra l'altro, che si fa fatica a respirare, per non parlare della puzza di fumo causata da coloro che hanno deciso bene di mettersi sul balconcino per fumarsi una sigaretta.

Tra i tanti c'è anche Alessandro che, poggiato alla ringhiera, parla con Michele portando alle labbra la condanna ai suoi polmoni.

Michele ad esempio è qui, seppur non stia in classe con me o Vittoria, e ho il presentimento che non sia l'unico ad essersi "imbucato".

Credo che ci siano proprio tutti qui.

E quando dico tutti, intendo tutti.

Anche Giovanni.

Giovanni il secchione, Giovanni sono migliore di tutti voi messi insieme.

Ammetto che quando l'ho visto varcare la soglia della mia stanza dopo cena sono rimasta sconvolta, era davvero l'ultima persona che mi aspettassi di vedere.

Adesso ad esempio lo vedo seduto per terra (unico posto rimasto per riposarsi dato che i letti sono fuori uso) mentre sorseggia con aria disgustata il liquido nel suo bicchiere.

Mi ricorda me quella sera al Barracuda. È così ovvio che si senta a disagio che decido di avvicinarmi.

Tanto Laura è impegnata a parlare con Rebecca (ho notato che vanno davvero molto d'accordo) e Vittoria è impegnata con altre sue compagne di classe.

Appena mi siedo accanto a lui, Giovanni mi rivolge uno sguardo scettico.

«Ti serve qualcosa?» chiede con un sopracciglio inarcato.

Ecco, mi sa che era meglio se mi facevo i fatti miei.

«Volevo chiederti se ti andasse di interrogarmi in italiano» rispondo con un sorriso sarcastico.

Mi sa che le buone maniere non funzionano tanto con lui.

La sua espressione non muta di una virgola, «Molto divertente»

«Sì, in effetti è evidente quanto ti stia divertendo»

Le sue labbra non sorridono, ma lo fanno i suoi occhi, almeno per un secondo. 

O almeno credo dato che porta gli occhiali.

Adesso che lo guardo per bene, Giovanni ha davvero dei begli occhi, grandi e luminosi.

«Come mai sei venuto?» è la domanda che gli faccio dopo qualche secondo.

Scrolla le spalle e per un attimo nessuno dei due emette un fiato.

Poi come se non fosse passato il tempo ragionevole per rispondere a una domanda dice, «Meglio qui che il silenzio della mia stanza, no?»

«Pensavo ti piacesse il silenzio. Ogni volta che ti parlo mi sembra di essere una mosca che ti infastidisce»

Questa volta una risatina gli scappa davvero.

«Non mi piace quando chi non conosco rompe il mio silenzio, ma alla fine non disprezzo nemmeno un pò di rumore»

Mi ricorda così tanto Michele.

Involontariamente il mio sguardo cade proprio su di lui. Lo vedo proprio al di là del vetro, mentre continua a parlare con Alessandro e qualche suo altro amico.

Da fuori sembra una persona così aperta e socievole ma in realtà è estremamente selettivo nell'aprirsi, proprio come Giovanni.

Inoltre ho ancora in mente il suo "non posso" e continuo a chiedermi perché. Perché non puoi Michele? Cos'è che non mi dici?

E perché mi interessa così tanto?

«Scusa se ho disturbato il tuo silenzio, allora» dico infine cercando di non pensarci.

«Non fa niente, alla fine non ti definirei propriamente una mosca. Diciamo più un'ape»

«Io odio le api»

«Direi che è perfetto allora»

 

*****

Dopo un paio d'ore il nostro piccolo festino è quasi giunto al termine, siamo davvero rimasti in pochi adesso. C'è ancora qualche coppietta fuori al balcone a scambiarsi frasi nelle reciproche bocche, chi è intento a parlare con qualche amico, e poi ci sono io, insieme ai miei di amici, seduta in cerchio per terra a chiacchierare del più del meno.

Al mio fianco c'è ancora Giovanni, sono gli altri infatti che si sono avvicinati a noi e si sono adattati alla nostra seduta scomoda sul pavimento.

Per prima è arrivata Vittoria insieme ad altre sue compagne di classe, credo sia leggermente brilla, o almeno così mi suggeriscono i suoi occhi.

Devo parlare con Marco al più presto.

Dopo si sono aggiunte Laura e Rebecca insieme all'inseparabile Teresa, e dopo pochi minuti (e non credo per nulla sia una coincidenza) si sono avvicinati anche Alessandro e Michele insieme ad alcuni miei compagni di classe.

Adesso siamo tutti qui seduti, chi con gli occhi che si chiudono per il sonno, chi invece più attivo che mai. E in quest'ultimo caso l'esempio lampante sono Ilaria e Matteo, l'unica coppia della mia classe la cui attività preferita è togliersi l'aria dai polmoni, che incurante di stare tra un gruppo di persone continua indisturbata a baciarsi.

Beatrice, altra mia compagna di classe cotta di Matteo da tempi immemori, li fissa con un misto di disgusto e rabbia.

Non ho mai capito le dinamiche di questa storia ma a quanto pare alle medie Matteo e Bea sono usciti insieme una volta e poi lui l'ha liquidata per poi mettersi con Ilaria in prima superiore.

A volte Bea mi fa davvero una gran pena, non so se il suo sia davvero amore o una questione di principio, però sicuramente non deve essere semplice vederli insieme ogni giorno. 

Altre volte però si comporta in maniera così fastidiosa e antipatica che la mia compassione sfuma in cinque secondi.  Sa essere una vera iena quando vuole.

Anche adesso infatti le vedo sul viso un'espressione che non mo piace per niente.

«Che ne dite di fare un  gioco?» propone all'improvviso. 

Tutti, eccetto me che lo stavo già facendo, si voltano a guardarla con sguardo curioso.

Io invece rabbrividisco al solo pensiero di cosa possa esserle passato per la mente.

«Che gioco?» domanda Alessandro.

«Non saprei, che ne dite di obbligo e verità?» 

Quel non saprei  suona più falso di una moneta di tre euro. Chissà da quanto ci sta pensando e chissà che scopi vuole ottenere con questo giochino ridicolo.

«Obbligo e verità? E che stiamo in terza media?» interviene a quel punto proprio Matteo.

Le orecchie di Beatrice diventano così rosse che non mi stupirebbe se effettivamente uscisse del fuoco.

«Hai un'idea migliore?» sputa mal contenendo il fastidio.

Matteo le rivolge un sorrisetto oserei dire perculante, ma rimane in silenzio.

«Per me vabene» si intromette Alessandro, forse cercando di stemperare gli animi.

E ti pareva. 

Alla fine più o meno tutti si fanno convinti e Rebecca si alza a prendere una bottiglia vuota per farla girare.

Io invece resto in silenzio, con una sensazione di disagio addosso.

Detesto questo gioco con tutto il cuore. Non solo lo trovo assolutamente ridicolo ma anche infantile. E poi ho paura che mi chiedano di fare qualcosa che non voglio.

Dovrei dunque sempre propendere alla verità, ma ultimamente non è che mi riesca benissimo.

Il gioco inizia e provo a non mostrarmi troppo agitata.

Rebecca fa girare la bottiglia che punta a Giovanni al mio fianco.

Lui sceglie verità e Rebecca è abbastanza buona da chiedergli qual è il voto più basso che abbia preso, al che lui risponde «Sette meno»

Quasi tutti emettono una risatina, anche se non capisco cosa ci sia di divertente.

Il gioco continua per qualche altro turno fino a quando non tocca a Vittoria farla girare e la persona prescelta mi fa tornare la concentrazione.

La bottiglia punta verso Michele.

«Obbligo o verità?» gli chiede Vic scrutandolo come se lo stesse studiando.

Vedo Michele deglutire leggermente, ha gli occhi bassi mentre riflette per un attimo.

Ho la netta sensazione che detesti questo gioco quanto me.

Volge poi lo sguardo dritto in quello di Vittoria e dopo un secondo risponde in modo che non mi sarei mai aspettata.

«Obbligo»

Non avrei mai pensato che Michele potesse rispondere così, l'ho sempre visto come una persona che non si presta al volere degli altri e soprattutto che non ha nulla da nascondere.

Perché chi sceglie obbligo o è amante del rischio oppure ha qualcosa da nascondere.

Vittoria fa una smorfia che non riesco a interpretare.

Sembra al contempo delusa ed entusiasta.

«Ti obbligo a dare un bacio a chi secondo te è la più bella in questa stanza»
 

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Capitolo 13
*** Primo bacio ***


«Ti obbligo a dare un bacio a chi secondo te è la più bella in questa stanza»

Il silenzio regna sovrano, o forse sono io a non sentire nulla.
Per un attimo penso di essermi immaginata tutto, ma mi basta vedere l'espressione di Michele per capire che non è così.

Non mi reputo ancora lontanamente capace di capirlo con un solo sguardo, ma il suo in questo mi suggerisce solo una voglia di scappare.

E anche se sono passati solo pochi secondi da quando Vittoria ha scelto il suo obbligo, a me sembrano passati minuti interi a causa di questo silenzio tombale.

Che poi, a che scopo chiedere una cosa del genere?
Forse Vic vuole aiutarmi con il Piano Cupido?

In effetti questa sarebbe una scusa perfetta per permettere a Michele di baciare Rebecca, ed è assurdo che non ci abbia pensato io stessa.

Forse perché per me il primo bacio deve avvenire in maniera più intima, però questo è il mio pensiero; di certo non condiviso dalla maggior parte dei ragazzi della mia età.

L'importante è arrivare alla meta, no?

E anche Vittoria deve averlo pensato. Ha architettato in meno di cinque secondi una mossa che rivoluzionerà il rapporto di Michele e Rebecca.

Forse dovrei lasciare che sia lei ad aiutare Michele a questo punto. Prima la partita di calcio, adesso questo.

Sento un fastidio montare dentro di me a cui non so dare un nome.

Perché deve intromettersi?

So che mi sta facendo un favore, ma non riesco a percepirlo come tale.

Di sicuro non lo sta facendo Michele.

In questo momento è ancora immobile, lo sguardo ancora fisso in quello di Vittoria.

È passato troppo tempo per giustificare il suo silenzio. Adesso è il momento di agire.

«Daje Michi. Cosa potevi chiedere di meglio?» è l'intelligente commento di Matteo.

Preferisco quando si limona la sua ragazza. Almeno sta zitto.

Michele non risponde nemmeno, però capisco che sa che deve fare qualcosa.

Il suo sguardo scatta improvvisamente su di me, e capisco di essere impreparata.
Mi sento come quando Colombo distribuisce le verifiche e non so se aspettarmi quantomeno la sufficienza.

I suoi occhi sono di nuovo un mistero, non so come interpretare la sua espressione e sinceramente non so nemmeno cosa si aspetta da me.

Niente Amanda, cosa mai dovrebbe aspettarsi?

Forse un incoraggiamento.

Lancio una veloce occhiata a Rebecca, bella e perfetta come al solito per poi riposare lo sguardo su Michele. 

Gli faccio un piccolo sorriso per poi accennare un movimento con la testa che vuole essere un incoraggiamento. A giudicare dal suo sguardo non credo di riuscirci, ma non so davvero che fare.

Anche lui si volta verso Rebecca, la guarda per pochi secondi per poi ritornare su di me.

Forse si starà chiedendo se non sia troppo presto, ma alla fine è solo uno stupido gioco e potrebbe essere anche l'occasione giusta per dimostrarle l'interesse che prova per lei.

Mi ritrovo senza nemmeno sapere come ad annuire e Michele prende finalmente la sua decisione.

Si alza lentamente e a ogni suo passo sento una morsa stringermi il petto.

Fa qualche passo fino a fermarsi davanti Rebecca e si inginocchia. A quel punto è chiara a tutti chi sia la sua scelta e sento sussurri e risatine.

Rebecca invece ha un'espressione che rasenta lo stupore puro, e come biasimarla.

Io invece resto zitta a fissarli.

Amanda dovresti esserne felice, prima si mettono insieme, prima finisce questa storia.

Anche Alessandro di fronte a me li guarda con un cipiglio che non riesco a interpretare per poi voltarsi verso di me quasi preoccupato.

Oddio, avevo dimenticato che è convinto che mi piaccia Michele.

Alzo un pollice nella sua direzione per fargli capire che non c'è nulla che mi infastidisca e che sto bene, poi ritorno su Michele e proprio in quel momento succede.

Michele bacia Rebecca.

Poggia le labbra sulle sue per quelli che sembrano secoli, ma sono in realtà solo pochi secondi.

Urla di entusiasmo si elevano tra alcuni dei miei compagni anche se Michele si limita a un semplice bacio a stampo.

Successivamente si alza e ritorna al suo posto senza guardare in faccia nessuno.

Starà sicuramente morendo d'imbarazzo.

Io invece ho la sensazione che quel pollice alzato sia la bugia più grande che abbia mai detto.

Dopo qualche altro secondo imbarazzante il gioco riprende ma io non riesco a seguire i discorsi o preoccuparmi della possibilità che la bottiglia punti verso di me.

Non riesco a smettere di pensare al bacio tra Michele e Rebecca.

Devi esserne contenta Amanda, mi ripeto. 

Il Piano Cupido sta andando nella giusta direzione. Se tutto ciò fosse successo due settimane fa avresti fatto i salti di gioia.

Ed è così. Sarei stata felice di togliermi questo peso dal cuore, smettere con le bugie e tornare alla mia felice spensieratezza. Avrei finalmente potuto aiutare qualcun altro nella prossima conquista e sentirmi più leggera.

Ma mi sentivo tutt'altro che leggera, anzi sentivo proprio un peso nella pancia, come quando mangi troppo al pranzo di Natale e hai paura che anche un sorso d'acqua possa essere letale per il tuo povero stomaco.

Non riuscivo nemmeno a guardare Michele in faccia. Ogni tanto avevo la percezione che i suoi occhi si posassero su di me, ma non potevo averne la certezza.

La verità è che avevo capito cosa mi fosse successo.

Quel bacio mi aveva aperto sugli occhi sulla possibilità di vedere il Piano Cupido giungere al termine.

E uno dei miei più grandi difetti è affezionarmi alle persone. Velocemente.

Michele si era avvicinato a me per Rebecca, per aiutarlo a farla innamorare di lui. Certo, non serve solo un bacio per parlare d'amore, ma quello è di sicuro il primo passo. E non avevo mai pensato alla concreta fine della nostra alleanza. 

Cosa succederà quando Michele e Rebecca si metteranno insieme? Tornerò ad essere l'insignificante amica di Alessandro per lui?

Vorrei che questo pensiero non mi ferisse così tanto, ma purtroppo è così.

In Michele ho trovato una persona diversa da quella che immaginavo e vedermi nuovamente rinnegata da lui mi avrebbe ferita inevitabilmente.

Persa nei miei pensieri mi rendo conto in ritardo che il silenzio è calato nuovamente tra di noi.

Cavolo, mi sono estraniata così tanto da non capire cosa sta succedendo.

Cerco nello sguardo dei miei compagni qualcosa che mi faccia intuire la situazione, e la mia attenzione viene catturata da Laura.

Sul viso ha un'espressione che non le ho mai visto. Mai, nemmeno una volta.

Gli occhi sono leggermente spalancati, le labbra schiuse e le pupille dilatate, come se l'avessero colpita in un punto che nemmeno lei sapeva fosse così scoperto.

Il mio sguardo si sposta automaticamente su Vittoria e noto che si è irrigidita, anche lei guarda Laura con espressione tesa, ma alterna lo sguardo tra lei e Beatrice.

Ok, mi sta decisamente infastidendo questa ragazza.

«Allora? Vuoi rispondere o no?» dice proprio quest'ultima guardando fisso Laura.

Dal tono con cui pone la domanda e dalla reazione della mia amica capisco subito che non si tratta di una questione innocente.

Laura non è una ragazza che ispira molta simpatia, anzi tutto il contrario e credo che Beatrice si stia togliendo qualche sassolino dalla scarpa.

Quella serpe.

Il punto è che non so nemmeno che domanda le abbia fatto e di conseguenza non so cosa fare.

Maledetta me e maledette le mie elucubrazioni mentali su Michele.

«Bea lascia stare» 

Quasi mi casca la mascella quando capisco che è stato Alessandro a parlare.

Sta davvero...difendendo Laura?

Laura però pare tutt'altro che felice del suo intervento, anzi da smarrita e senza parole mi sembra che improvvisamente stia bruciando.

«Le ho solo chiesto di dirci chi è stato il suo primo bacio, non mi sembra una domanda così intima» si difende Beatrice con finta innocenza.

Non ho mai avuto così voglia di schiaffeggiare qualcuno.

Da quando abbiamo iniziato le superiori Laura non si è mai fatta vedere con un ragazzo,  per quanto ne sanno tutti lei non ne ha mai nemmeno avuto uno. 

Nemmeno io l'ho mai vista innamorata, o quantomeno interessata a qualcuno.

Beatrice crede che Laura non abbia mai baciato nessuno e vuole umiliarla. E dentro di me sento crescere la rabbia e la preoccupazione perché se lo avesse chiesto a me non so come mi sarei sentita.

Probabilmente avrei solo valuto sparire.

Viviamo in una generazione dove si fa tutto di fretta, dove si bruciano le tappe e se rimani indietro allora sei tu quello strano, non gli altri.

Faccio per aprire bocca, pronta a difendere la mia amica, ma vengo preceduta.

«Credo invece che questa sia una domanda molto personale» è il sorprendente commento di Rebecca.

Ha uno sguardo duro mentre pronuncia queste parole e le mani strette a pugno.

Involontariamente il mio sguardo si posa sulla sua bocca. La stessa che fino a cinque minuti fa era attaccata a quella di Michele.

Amanda, smettila! 

Scuoto la testa per scacciare simili pensieri e la fisso leggermente sorpresa.

Avevo visto che Laura e Rebecca andavano molto d'accordo ma non pensavo fossero diventate così amiche. E il fatto che le piaccia Alessandro non fa che aumentare la mia stima per lei.

«E credo anche che non interessi a nessuno» le do man forte guadagnandomi un sorriso da parte sua.

Beatrice a quel punto serra le labbra non sapendo come replicare dato che nessuno interviene in sua difesa.

Decido dunque di agire e le strappo la bottiglia dalle mani, pronta a farla girare e continuare questo gioco pessimo.

Beccati questo, stronza.

Peró prima che possa farlo la voce di Laura mi blocca.

Non ha pronunciato parola per tutto il tempo, ma nei suoi occhi vedo sempre quelle fiamme bruciare da quando Alessandro è intervenuto.

Ed è proprio il suo nome ad uscire dalla sua bocca.

«Alessandro» dice con voce ferma guardandolo dritto negli occhi.

Per un secondo credo lo stia chiamando, ma mi basta sbattere le palpebre e fare due più due per capire che non è così.

Sta rispondendo alla domanda di Beatrice.

Oddio.

Sposta lo sguardo da lui a Beatrice e con espressione ferrea ripete per la seconda volta il suo nome.

«Il mio primo bacio l'ho dato ad Alessandro»

E non c'è bisogno di chiedere di chi Alessandro stia parlando perché è chiaro a tutti.

Il silenzio cade di nuovo nella camera.  
Sono tutti sbalorditi, c'è chi cerca di nascondere la sorpresa e chi invece la mostra apertamente.

Io rientro in quest'ultima categoria.

Per un attimo spero che Laura sbotti in una risata per poi dirci: "Sto scherzando, ma vi pare?".

Però non succede.

Semplicemente si alza ed esce dalla stanza, senza aspettare una reazione.

Io non so cosa dire o cosa fare, ho il cervello in completo blackout.

Alessandro e Laura si sono baciati.

Non so quando, non so dove e non so perché ma è successo.

E adesso mi spiego anche lo strano comportamento di Laura negli ultimi giorni.

Gli occhi di tutti sono puntati su Alessandro che invece mantiene lo sguardo fisso sulla porta da dove è uscita Laura.

«Direi che il gioco è finito» 

Michele si alza improvvisamente in piedi per poi avvicinarsi e chinarsi verso di me.

Sento un brivido trapassarmi la schiena.

I nostri sguardi si incontrano per un attimo, poi mi prende delicatamente la bottiglia dalle mani e la getta nel cestino.

Prima però mi guarda in un modo che non mi so spiegare, è come se stesse cercando di capire a cosa sto pensando.

A troppe cose.

«Andiamocene tutti» continua con un tono che non ammette repliche.

Nessuno protesta, l'aria è diventata decisamente tesa e il gioco non è più divertente.

Tutti si alzano ed escono dalla stanza.

Vedo Michele dirigersi verso tutte le persone che non erano nel nostro gruppetto per poi invitarle ad andarsene.

Il suo atteggiamento così sicuro mi lascia senza fiato, non si perde in chiacchiere con nessuno e da nessuno ammette repliche.

La festa è finita, punto e basta.

Mi chiedo perché si stia comportando così, forse per proteggere Alessandro dalla bomba che gli è caduta addosso.

E la bomba sono io.

Per tutti gli altri un bacio non conta niente, figurarsi se a darlo è il ragazzo più bello della scuola.

Il punto è che Laura non è una ragazza qualunque, specialmente per me e questo Michele lo sa benissimo.

Sa che tra poco scoppierò e non vuole che ci sia nessuno ad assistere.

Piano piano la stanza si svuota e Vittoria si avvicina a me.

«Vuoi che resti?» 

«No, non ti preoccupare»

Le rivolgo un piccolo sorriso incitandola a non preoccuparsi. Ho bisogno che non ci sia nessuno per mettere in ordine i pensieri.

Vic mi fa una leggera carezza sul braccio per poi uscire, seguita dagli ultimi rimasti.

In camera ora ci siamo solo io, Alessandro e Michele.

Quest'ultimo ci guarda con sguardo indecifrabile. Non capisce se litigheremo oppure no.

La verità è che non so nemmeno io cosa fare. Non sono arrabbiata ma sono delusa.

«Vi lascio soli» esclama Michele dopo un intero minuti di silenzio.

Di scatto volto la testa verso di lui, e una piccola parte di me vorrebbe che restasse qui.

È incredibile la sicurezza che riesce a trasmettermi.

Però non lo fermo quando va via, perché so che questa conversazione deve esserci solo tra me e Alessandro.

Non mi interessa che abbia baciato qualcuno, probabilmente sono davvero poche le ragazze che non ha baciato nella nostra scuola. Quello che mi ferisce è l'avermelo tenuto nascosto dopo  avergli chiesto esplicitamente cosa stesse succedendo con Laura.

So con certezza che non prova nulla per lei, e non riesco a spiegarmi questo bacio.

«Non so da dove iniziare» spezza il silenzio lui.

Mi guarda un attimo prima di retrocedere e sedersi proprio sul letto di Laura.

Ometto questo dettaglio e decido di imitarlo sedendomi sul mio letto, di fronte a lui.

«Da dove vuoi. Basta che mi spieghi» dico cercando di mantenere un tono di voce calmo.

Sarebbe inutile attaccarlo, e infondo non è nella mia natura arrabbiarmi troppo a lungo.

Alessandro fa un respiro profondo e si passa una mano nei capelli cercando di riordinare le idee.

«Ti ricordi quando ti ho chiesto di non chiedere nulla a Laura e lasciar spiegare me?»

Mi limito ad annuire.

«Il motivo è che lei ha un punto di vista diverso della storia, e volevo che tu sapessi prima il mio»

«Quale storia?» 

«La nostra storia»

Ok, non ci sto capendo niente.

Scuoto la testa mentre un pensiero assurdo mi passa per mente.

Forse ho frainteso.

«La storia tua e di Laura?»

«Sì»

«Mi stai dicendo che tu e Laura siete stati insieme?» domando incredula e pronta a essere smentita.

No, non può essere.

Laura me lo avrebbe detto.

Alessandro me lo avrebbe detto.

Giusto?

«Sì»  risponde però ancora una volta.

Per un attimo non so cosa dire, non so essere sconvolta o arrabbiata.

«È successo prima che iniziassimo il liceo, quindi chiamarla storia mi sembra esagerato però sì, siamo stati insieme. Per poco»

Lo ascolto in assoluto silenzio ancora tramortita, così decide di continuare.

«Ci siamo conosciuti l'estate prima dell'inizio della scuola. A fine giugno sono andato in vacanza con i miei in Sicilia, a Cefalù. Ci siamo incontrati in spiaggia» inizia.

«Quanto è durata?» mi ritrovo a chiedere.

Sto cercando di capire quanto sia stata importante per lui, ma soprattutto per Laura.

«Siamo stati insieme un mese, fino a fine luglio. Sapevo che anche lei era di Roma ma pensavo non ci saremmo più rivisti»

«Quindi l'hai lasciata quando sei tornato?»

So di averlo interrotto nuovamente, ma non riesco a restare in silenzio.

«Non l'ho lasciata. Entrambi sapevamo che non ci saremmo più visti e abbiamo deciso insieme di chiuderla lì»

«Non capisco perché però. Vivete entrambi a Roma e oltretutto siete finiti anche in classe insieme»

Alessandro fa un grosso sospiro, e capisco che adesso arriverà la sua parte di storia.

«Amanda, io non dovevo fare le superiori qui ma a Milano»

Le sopracciglia mi scattano in alto per la sorpresa mentre metabolizzo le sue parole.

«Milano?»

«Sì, i miei volevano che frequentassi una scuola privata molto prestigiosa lì. Ho degli zii che ci vivono e quando sono partito alla fine delle vacanze in Sicilia sono andato a Milano. Laura sapeva che non sarei tornato a Roma»

È incredibile che stia venendo a conoscenza di questa storia solo ora.

«E poi cosa è successo?» chiedo in un sussurro.

Capisco che mi sta raccontando qualcosa di estremamente personale dal tono con cui ne parla.

«È successo che non volevo vivere a Milano. La mia vita era a Roma, avevo i miei amici e le mie passioni qui. E inoltre quello non era il mio ambiente e non lo sarebbe mai stato. Io sono un casinista, amo fare rumore e non mi interessa la competizione, almeno non quella scolastica. Lí invece era tutto il contrario»

Si ferma un attimo, fa un altro respiro e continua.

«Così ho deciso che avrei disubbidito. Forse non ci crederai ma prima ero molto accondiscendente con i miei, facevo tutto quello che mi dicevano poi però mi sono stancato. Mi sono trasferito da mio zio e per tre settimane mi sono comportato in modo deplorevole, l'ho fatto diventare pazzo. Mi ha cacciato di casa ed ero felice perché era quello che volevo. Quando sono tornato a Roma i miei non hanno potuto fare nulla ma mi hanno tolto le lezioni di basso e di canto perché sapevano che era la cosa a cui tenevo di più»

Sono sconvolta mentre lo ascolto parlare.

Sapevo che Alessandro avesse un rapporto complicato con i suoi genitori, ma non pensavo avessero tutta questa storia alle spalle.

Sento il cuore stringersi in una morsa. Ha vissuto più di quanto avrebbe dovuto un ragazzino di quattordici anni.

Io probabilmente non avrei avuto il coraggio di ribellarmi così.

«Comunque» si schiarisce la voce prima di riprendere, «quando sono tornato a Roma non ho sentito Laura. Siamo stati bene insieme e mi piaceva ma avevo appena perso la stima dei miei genitori e non avevo la testa per pensare ad altro. Immagina la mia sorpresa quando me la sono ritrovata in classe il primo giorno»

«Immagino anche la sua» 

«Già. Ricordo ancora la sua espressione quando mi ha visto in mezzo alla folla. Le brillavano gli occhi Amy e ancora oggi mi sento una merda per come l'ho trattata»

Sento le mie spalle irrigidirsi perché sto finalmente collegando i punti, però voglio sentirlo da lui.

«Come l'hai trattata?»

Si prende un attimo prima di rispondere, lo sguardo fisso in un punto. Credo stia rivivendo quella scena nella sua mente.

«Il primo giorno, dopo le lezioni lei mi ha aspettato fuori al cancello. Era felicissima di vedermi, mi ha tempestato di domande e ricordo che ho avuto paura. Sapevo di piacerle parecchio e questo mi ha spaventato. Primo perché come ti ho detto non avevo la testa per iniziare qualcosa di serio, anzi per una volta nella vita avevo ottenuto la libertà e la volevo in ogni campo. E poi sono anche un ragazzo e per quanto possa essere brutto da dire volevo fare le mie esperienze senza vincoli e legami. Capisci?»

«Credo di sí» mi ritrovo a rispondere.

E lo capivo veramente, ma nulla toglie che abbia ferito una delle mie più care amiche.

«Così l'ho interrotta e le ho detto che mi faceva piacere rivederla ma che non volevo continuare la nostra storia. Che ci eravamo divertiti ma che per me era stato un passatempo»

Chiudo gli occhi al sentire queste ultime parole.

«Le hai detto che era stato un passatempo?»

Abbassa gli occhi come se si vergognasse.

«Sì e non me ne pento Amy. Da quel momento ha iniziato ad odiarmi ed è stato meglio così. Preferivo che mi detestasse piuttosto che continuasse a provare qualcosa per me»

«E così l'hai costretta a passare le superiori vedendoti ogni giorno baciare una ragazza diversa»

«Che ci posso fare se siamo in classe insieme? E poi non le piaccio più, non vedo come le mie storie possano darle fastidio»

Oddio avevo dimenticato che i ragazzi a certe cose non ci arrivano proprio.

Immagino Laura, i suoi sentimenti per il primo ragazzo che le ha fatto perdere la testa sotto il sole estivo. Penso al suo primo cuore spezzato con una semplice frase, e la punizione di vedere lo stesso ragazzo diventare il più bello, popolare e amato della nostra scuola.

Decido però di non condividere i miei pensieri con Alessandro. Non spetta a me e Laura merita conforto da parte mia, non che spiattelli i suoi sentimenti al suo ex.

«Perché non me l'hai raccontato prima?» decido dunque di domandagli.

«Perché sei la prima persona con cui ho fatto amicizia in classe, ma allo stesso tempo tu e Laura avete legato subito. Pensavo che prima o poi te lo avrebbe raccontato lei ma non è successo e io non volevo che pensassi male di me»

Mi trovo inevitabilmente a sorridere leggermente dopo questa frase.

«Non sono felice per come hai trattato Laura, ma non potrei mai pensare male di te. Soprattutto dopo aver saputo quanto sei stato coraggioso con i tuoi genitori»

Anche lui mi rivolge un sorriso e vedo che tira un sospiro di sollievo.

«Quindi non sei arrabbiata con me?» domanda in tono speranzoso.

Mi avvicino a lui per poi avvolgerlo in un abbraccio.

Alessandro è complicato, ma è come se fosse mio fratello. E ai fratelli si vuole bene sempre, anche quando fanno cazzate.

«No, ma comincerò ad esserlo se continuerai a non dirmi le cose»

Lui ricambia la mia stretta.

«Giuro che da ora lo farò sempre. Te lo prometto»

E restiamo abbracciati ancora per un minuto.
 

***
 

Oggi il cielo è plumbeo sopra Firenze, e l'aria non è di certo tra le più calde sebbene sia metà Aprile.

Sistemo la sciarpa intorno al collo e seguo i miei compagni di classe mentre ci dirigiamo agli Uffizi. Fortunatamente e per pura coincidenza nel programma era prevista la visita di uno dei musei più famosi al mondo, ed è un bene dato che credo verrà a piovere a breve.

Sbatto gli occhi e reprimo uno sbadiglio. Stanotte ho dormito pochissimo.

Ho aspettato Laura sveglia per due ore prima di sentirla entrare in stanza con passo felpato e mettersi nel letto.

Siamo rimaste in silenzio, non sapevo cosa dire o cosa fare. 

Laura non è una persona che parla facilmente e da quanto mi aveva raccontato Alessandro sapevo che quella era una ferita che voleva restasse chiusa.

«Vuoi parlarne?» mi sono però ritrovata a chiedere nel buio e nel silenzio della nostra camera.

«Preferirei di no»

Così ho rispettato la sua volontà e sono rimasta in silenzio fin quando non ho sentito il suo respiro farsi pesante.

Io però non riuscivo a prender sonno.

Ho continuato a pensare a quella storia, a come avessi quasi costretto Laura a dare ripetizioni al suo ex. 

E poi li immaginavo mano per mano su una spiaggia intenti a darsi un bacio.

Solo che poi la loro immagine veniva sovrapposta da un altro bacio.

Il bacio tra a Michele e Rebecca.

Ho continuato a pensarci fino ad addormentarmi e quando mi sono svegliata è stato il primo pensiero che mi ha accolta.

Sei stupida, Amanda.

Quando entriamo agli Uffizi decido semplicemente di chiudere la mente e godermi la bellezza dell'arte.

Ho sempre desiderato visitare questa città e i suoi monumenti e ora che sono finalmente qui non voglio e non posso lasciarmi distrarre.

All'ingresso ci danno delle radioline con delle cuffie, ci spiegano il percorso che dovremo intraprendere e come usare il nastro per ascoltare la spiegazione dell'audio guida.

Io sono semplicemente felice di questo ulteriore mezzo per isolarmi.

Infiliamo le cuffie e iniziamo il nostro tour.

Poco più avanti vedo Michele smanettare con la sua macchina fotografica, prima di allacciarla al collo e infilarsi le cuffie.

Non oso immaginare quante foto farà qui dentro.

Dopo un paio d'ore mi ritrovo a pensare che l'arte fa proprio miracoli.

Non solo mi ha liberato la mente ma ha anche instaurato in me un sentimento di dolce malinconia.

Tutte le opere presenti raccontano una storia, un tormento, un'idea. La bellezza architettonica poi non fa altro che completare il quadro.

La stessa Galleria è un edificio di pura maestosità e bellezza e poter passeggiare all'interno di questi corridoi è semplicemente meraviglioso.

Quando entriamo nella stanza in cui sono esposte sia La nascita di Venere che La Primavera di Botticelli sento il respiro spezzarsi.

Wow.

«Bello, vero?» 

Al mio fianco si materializza proprio Michele, macchina fotografica alla mano e sguardo fisso nel mirino.

Sento di nuovo quella sensazione opprimente alla pancia ma decido di ignorarla.

«Molto» è l'unica cosa che riesco a dire.

Restiamo in silenzio mentre percorriamo insieme i pochi passi che ci separano da due delle opere più famose al mondo.

Le contempliamo insieme, ognuno perso nelle proprie osservazioni.

All'improvviso Michele fruga tra le sue tasche, per poi estrarre una monetina.

Dalla grandezza direi che è quella dei dieci centesimi.

Alza la mano e la solleva proprio dinanzi a noi.

«Non è strano che tutti i giorni abbiamo la Venere a portata di mano e adesso ce la ritroviamo davanti?»  mi chiede voltandosi verso di me.

Io strabuzzo gli occhi per poi concentrarmi sulla monetina.

Ed è proprio così.

Sulla moneta di dieci centesimi c'è proprio la Venere di Botticelli.

«Non lo sapevo nemmeno» mi ritrovo a dire ammettendo la mia ignoranza.

Ecco, adesso mi sento nuovamente inadeguata vicino a lui.

«Se ti può consolare io l'ho scoperto ieri» ammette facendomi sorridere.

«È incredibile quante cose abbiamo sotto al naso senza accorgercene, vero?»

E mi ritrovo a pensare a Laura e Alessandro.
Forse se fossi stata più attenta avrei capito che il loro non era semplice disprezzo ingiustificato.

«Già» mormora Michele con tono sommesso.

Passa qualche altro secondo prima che riapra bocca.

«Come è andata ieri?» mi chiede delicatamente.

Pensavo che Alessandro gli avesse già detto tutto, ma evidentemente non è così.

«Bene, credo» mi ritrovo a sospirare.

«Sei arrabbiata con lui?» domanda scrutandomi in volto.

E ancora una volta mi sento in soggezione sotto quello sguardo.

«No, perché dovrei esserlo? Mi dispiace solo che nessuno dei due me l'abbia raccontato, ma alla fine non sono veramente fatti miei» 

Ed è così, però continuo a sentirmi un'amica inutile.

«A volte è difficile parlare di certe cose» 

«Suppongo di sì» 

A disagio continuo a rivolgere lo sguardo alle opere davanti a me.

Più lo guardo di sottecchi più mi torna in mente il bacio di ieri sera.

Vorrei chiedergli così tante cose. Se è felice di aver baciato la ragazza che desidera, come si è sentito quando ha posato le labbra sulle sue.
Allo stesso tempo però non voglio nemmeno che mi dia una vera risposta, non voglio sapere niente. Ma voglio anche sapere tutto.

Sono una contraddizione vivente.

Per questo decido di non fiatare, ma è nuovamente lui a riprendere parola.

«Ti va se dopo parliamo?» 

Sono costretta a guardalo e quando lo faccio sento il nodo allo stomaco farsi ancora più grande.

Di questo passo perderò dieci chili.

Vorrei chiedergli di cosa dovremmo parlare io e lui, poi ricordo che sono ancora il suo Cupido personale e probabilmente vorrà sapere come comportarsi dopo quello che è successo.

«Certo»

Mi fa un cenno prima di allontanarsi leggermente e riprendere a fotografare.

Io invece mi limito a fissarlo dimenticando le opere intorno a me. 

Continuo solo a pensare che parlare di lui e Rebecca sia l'ultima cosa che voglia fare.



 

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Capitolo 14
*** Colpo di fulmine ***



Se pensavo che per quella giornata i miei occhi non si sarebbero posati su opere più belle della Venere e La Primavera di Botticelli, è solo perché non avevo ancora visto il David di Michelangelo.

Dopo la visita agli Uffizi e un veloce pranzo a sacco siamo andati dritti alla Galleria dell'Accademia, altro famoso museo di Firenze dove sono esposte numerose scultore di Michelangelo, e appunto anche il David.

Tante volte l'avevo visto in televisione o sui libri di storia dell'arte, ma quelle immagini non rendono giustizia alla sua imponenza e magnificenza.

Sono rimasta davvero senza parole.

Dopo la visita durata più di un'ora il cielo è ancora molto grigio e nuvoloso, e ogni tanto una goccia di pioggia cade sulle nostre teste.

Siamo tutti radunati accanto ai nostri professori, che dopo aver fatto l'appello per assicurarsi che siamo ancora tutti vivi e soprattutto presenti, ci si rivolgono con un leggero sorriso.

«Bene ragazzi, dato che è il primo giorno e il tempo non è a nostro favore abbiamo pensato di lasciarvi il pomeriggio libero» annuncia il Prof Parisi, che a mio parere si è semplicemente stancato dopo ore passate in piedi.

Beh, come biasimarlo.

Accanto a lui la Professoressa Colombo pulisce i suoi  occhiali pieni di schizzi d'acqua sulle lenti , ma ciò non le impedisce di scrutarci sempre con quell'espressione severa.

«Stasera ceneremo in hotel, quindi vi raccomando di non rientrare troppo tardi e di rispettare gli orari della cena. Avete un paio d'ore di libertà e confido che le sfruttiate con la giusta responsabilità» continua il Prof Parisi con la sua voce pacata.

Non l'ho mai sentito alzare la voce, nemmeno quando visibilmente infastidito dai nostri comportamenti. Parla sempre con calma e tranquillità , potrebbe anche leggere un annuncio pubblicitario e spacciarlo per una favola se volesse.

Al suo fianco invece la Professoressa Colombo rappresenta il suo completo opposto, non è infatti una sorpresa quando ci si rivolge con tono fermo.

«Se vi comportate male ovviamente lo verremo a sapere e ci saranno delle conseguenze, quindi vi consiglio di pensarci bene prima di agire in maniera sconsiderata» 

Guarda tutti noi ma il suo sguardo si posa per qualche secondo in più su Alessandro e ne sono certa dato che si trova proprio al mio fianco.

Sento infatti il mio amico emettere un piccolo sbuffo stizzito, ma è abbastanza intelligente da non farsi notare.

«Bene, divertitevi!» conclude il Prof Parisi battendo le mani.

Subito i miei compagni si dividono nei classici gruppetti, altri invece si allontano velocemente già consapevoli di dove andare.

Guardo il cielo ancora plumbeo e pieno di promesse poco allettanti e per un attimo sono tentata di tornare in hotel, ma sono finalmente a Firenze e non posso di certo perdere tempo a non fare nulla nella mia stanza quando sono qui.

Mi volto verso Alessandro con un piccolo sorriso e nel frattempo cerco Laura tra la folla nella speranza che non si sia già allontanata.

Non abbiamo più parlato da ieri sera e questa situazione comincia a starmi un pò stretta. Capisco che possa sentirsi a disagio ma non ho intenzione di trattare questo argomento finché non sarà lei a volerlo.

«Tu cosa fai ora?» chiedo ad Alessandro impegnato a smanettare al cellulare.

«Credo che tornerò in albergo» risponde dopo qualche secondo.

In un attimo ha tutta la mia attenzione.

«Cosa? Perché?»

Alessandro non è proprio il tipo che resta chiuso in una stanza, soprattutto quando c'è la possibilità di andarsi a divertire.

«Ieri sera ho dormito pochissimo e sto morendo di sonno» si giustifica.

Effettivamente le occhiaie che contornano i suoi occhi azzurri suggeriscono che stia dicendo la verità, ma non credo che sia l'unica ragione.

«Non è che vuoi evitare Laura?» domando comprensiva.

In riposta ottengo una piccola risatina.

«Credo che anche Laura abbia voglia di fare qualcosa in queste ore che non includa me, non c'è bisogno di andare in hotel per evitarla»

Tutti i torti non ha, ma l'immagine di lui solo in una stanza mi rattrista lo stesso.

Lui nota la mia espressione perché mi fa un sorriso e una piccola carezza sul viso per rassicurarmi.

«Amy, stai tranquilla davvero. In questi giorni ci aspettano tante cose da fare e vorrei non crollare di sonno per godermele»

Annuisco leggermente non sapendo cosa dire.

Mi rivolge un altro piccolo cenno e poi mi da le spalle per tornarsene in hotel.

Sbuffo scocciata e mi guardo intorno sperando almeno di scorgere Laura da qualche parte. Vittoria essendo in un altro gruppo non è qui con noi, quindi al momento sono completamente sola.

Sto ancora scrutando la folla come un cecchino quando sento un tocco sulla spalla che mi fa saltare per lo spavento.

Mi volto trovando Michele proprio davanti a me e più vicino di quanto non sia mai stato.

I suoi occhi non sono mai stati così verdi. 

Oddio, sembro la perfetta protagonista scema di una fanfiction che sbava per un paio di bulbi oculari.

Mentre mi trovo a deglutire manco avessi ingurgitato un peperoncino intero e stessi per soffocare, Michele si allontana velocemente facendo una passo indietro.

Mi rendo conto che la nostra vicinanza non deve essere durata più di cinque secondi che a me sono sembrati cinque minuti. La devo seriamente smettere di reagire così ogni volta che Michele è nei paraggi.

Ci manca solo che mi prenda una cotta per lui. Poi chi glielo dice ad Alessandro che aveva ragione?

«Scusami non volevo spaventarti»

«Tranquillo, non mi hai spaventata»

Infatti sei saltata in aria perché ti stavi divertendo.

Ma quanto puoi essere deficiente Amanda?

Anche lui deve aver pensato che la mia sia bugia perché vedo gli angoli delle sue labbra contratti, come se si stesse sforzando di non sorridere.

Più che Cupido dovrei prendere in considerazione l'idea di diventare lo zimbello di questa scuola.

Di certo sarebbe meno stressante.

Il silenzio cade fra noi e cerco qualcosa di intelligente da dire.

«Ehm, dunque...brutta giornata eh?»

Se potessi mi allontanerei solo per andare a sbattere la testa contro al muro.

Michele però sembra solo più divertito di prima.

«Già, speriamo che domani esca il sole» 

Il silenzio ritorna ad essere presente.

Se potessi, mi scaverei una fossa solo per scappare via come un topolino rincorso da un gatto.

«Ti va se andiamo da qualche parte?» mi chiede all'improvviso.

Sembra abbia quasi sputato fuori queste parole di getto, come se avesse costretto se stesso a pronunciarle prima di ripensarci.

Mi blocco, sbigottita.

La verità è che temevo una domanda del genere.

Non ho dimenticato la sua richiesta agli Uffizi di parlare, e non mi sento pronta ad affrontare una conversazione sul bacio tra lui e Rebecca.

In realtà non mi sento nemmeno pronta a capire perché non mi sento pronta. So solo che quel bacio avrà delle ripercussioni sul nostro rapporto. Siamo amici da pochissimo e non sono ancora così certa che Michele continui ad avere a che fare con me solo per lei. 

Come sempre, è complicato. Non posso certo dirgli che non voglio stare con lui e una parte di me nemmeno lo vuole. Devo ammettere che non mi dispiace l'idea di andare in giro per Firenze con lui.

Abbiamo già passeggiato insieme un pomeriggio, e si sono rilevate ore divertenti. 

Michele è divertente, e anche gentile. Ed è un bravo amico.

E sta aspettando una tua risposta Amanda.

«Certo, dove ti va di andare?» rispondo alla fine.

Michele mi scruta un attimo, poi mi fa un piccolo sorriso che non comprendo.

«Ti ricordi quando siamo andati a Villa Borghese?» 

La sua domanda mi confonde, ma mi ritrovo ad annuire ricordando quel pomeriggio come se fosse ieri.

«Mi hai portato nel posto in cui ti piace fermarti a pensare» continua.

La confidenza che gli ho fatto quel giorno su quella panchina mi fa sorridere in risposta.

Ripensandoci è proprio quel giorno che abbiamo deciso di diventare amici.

«Vero» confermo.

«Vorrei ricambiare il gesto»

Per un attimo non capisco cosa significa, ma quando realizzo quello che sta dicendo mi ritrovo a sgranare gli occhi per la sorpresa.

Michele, così taciturno e riservato, vuole portarmi nel suo posto speciale?

Il sorriso che illumina il mio viso lo fa ridere in risposta, forse perché sa che apprezzo il fatto che si stia aprendo con me.

Quando è iniziata questa storia gli ho chiesto di fidarsi di me e mano a mano mi sta dimostrando che ci sta provando. E forse anche riuscendo.

«Davvero?» chiedo ancora incredula.

In risposta si allontana da me e mi fa cenno di seguirlo.

«Spero tu abbia indossato scarpe comode, ci sarà da camminare».

 

***
 

Michele non mi porta immediatamente nel suo posto speciale.

Come prima tappa ci dirigiamo All'Antico Vinaio, una paninoteca famosissima a Firenze dove infatti troviamo una folla sconcertante.

«Ma non hai pranzato?» gli chiedo sperando di evitare la fila chilometrica che mi si presenta davanti.

Seriamente, c'era meno fila per entrare agli Uffizi.

«Certo, ma questa è una tappa obbligatoria»

Il sorriso non abbandona il suo viso, e la cosa mi destabilizza non poco.

Non lo vedo così felice da...mai.

Continua a guardarsi intorno con aria meravigliata, come se non conoscesse questa città a memoria, come se non ci avesse vissuto per quasi tutta la sua vita.

È evidente quanto ami Firenze.

E lo capisco.

«Sei sicuro che vuoi perdere tempo per un panino?» gli chiedo ancora sperando di convincerlo.

La sua attenzione è tutta per me ora.

«Primo, non mangeremo un panino ma una schiacciata»

Automaticamente alzo gli occhi al cielo. Tendo a dimenticare quanto sia puntiglioso.

«Secondo» continua umettandosi le labbra e mandando in cortocircuito il mio sistema ormonale per cinque secondi, «la fila è più scorrevole di quel che pensi»

«E terzo?»

«Fidati di me»

E dopo questa non ho nulla da aggiungere, anche perché temo di rispondere nella mia solita sciocca maniera.

Decido di fidarmi di lui e dopo un quarto d'ora capisco che si trattava di una fiducia ben riposta.

Quello che sto mangiando è decisamente il nettare degli Dei.

«Potrei mangiare questi panini per il resto della mia vita!» gemo mentre addento un altro boccone come se non mangiassi da tre giorni.

Miss Eleganza proprio.

«Schiacciate» puntualizza nuovamente Michele, ma si vede che è divertito.

«Come ti pare!» lo ignoro totalmente.

Quasi quasi me ne prendo un'altra.

Nell'atto di perdizione che solo il cibo può dare è solo il suono di uno scatto che mi fa alzare la testa verso Michele.

Ha la fotocamera davanti al viso e quando vede la mia espressione trattiene a stento una risata.

Io invece mi paralizzo come se avessi incontrato lo sguardo di Medusa.

Ingoio il boccone con un sonoro sforzo.

«Mica mi hai scattato una foto?» domando impaurita.

«Credo proprio di sì» risponde con un sorrisetto oserei dire perculante.

Oddio, non oso immaginare come sono venuta.

Probabilmente come il bambino super goloso della Fabbrica di Cioccolato intento a mangiarsi l'ennesima barretta di Willy Wonka.

«Fammela vedere!» mi altero immediatamente.

Non ci ho minimamente pensato, ma è da ben cinque minuti che Michele mi osserva e più che guardare una ragazza, avrà pensato di star ammirando un orso appena uscito dal letargo.

Che figura di merda.

«Magari dopo»

Ma da quando è diventato così impertinente?

«Michele!» lo sgrido.

Vorrei continuare a sembrare arrabbiata ma la verità è che se mi immagino quella foto mi viene solo da ridere.

Forse è davvero meglio che non la veda.

«Mi vuoi ricattare per caso?» gli chiedo scherzosamente.

Michele abbassa la fotocamera e mi rivolge un'occhiata divertita ma anche seria.

«Assolutamente no, credo solo che le foto più belle siano quelle spontanee»

«Certo, se si è fotogenici» contesto.

Sbuffa dopo la mia replica.

«Sei libera di scattarmi foto imbarazzanti se vuoi, così saremo pari»

«Non sarebbe la stessa cosa»

«E perché?» si perplime.

Perché tu sei bello come un Dio e verresti bene anche vestito da sacco dell'immondizia.

Mi schiarisco la voce cercando una riposta veloce da dargli.

«Perché non mi sembri il tipo che si imbarazza per una foto. Anzi secondo me non te ne può fregar meno dell'opinione degli altri»

In fondo è la verità.

Michele mi è sempre sembrato una persona imperturbabile e sicura di sé, una di quelle che non da peso a pettegolezzi o voci di corridoio.

Una persona che non da adito a chi cerca di fare polemica e a cui non importa cosa si dica sul suo conto.

Proprio il mio contrario.

Il suo sguardo allegro  diventa però improvvisamente duro e distante dopo le mie parole.

Volge lo sguardo altrove come se non volesse che lo guardassi, osserva le persone intorno a noi come se le vedesse la prima volta e dopo qualche secondo punta di nuovo i suoi occhi nei miei.

«Mi importa invece» risponde soltanto.

Il tono fermo, la voce quasi atona.

Per un attimo penso di averlo offeso dunque apro la bocca per scusarmi ma lui cambia subito argomento.

«Sarà meglio muoversi o non riusciremo ad arrivare dove volevo portarti»

Ancora una volta lo seguo senza dire una parola più confusa che mai.

 

***

Camminiamo per  più di un'ora e le parole tra noi non sono tante ma per la prima volta nella mia vita il silenzio non mi pesa.

Michele mi mostra tantissime cose, mi racconta piccole curiosità che non possono trovarsi in una guida turistica ma solo in persone che conoscono questa città come le proprie tasche. Ad esempio mi fa notare come nel nostro cammino ci imbattiamo spesso in piccole finestrelle nei muri dei palazzi chiamate buchette dove in antichità veniva venduto il vino ai passanti.

Mi dice che è una vecchia usanza di Firenze realizzata per  favorire il mercato del vino , che alcune di queste finestre sono di nuovo in utilizzo ed è possibile chiedere un bicchiere di vino per pochi euro.

Tutto ciò che vedo mi affascina, è incredibile quanto la realtà superi addirittura le aspettative che avevo su questa città.

Qui c'è semplicemente una magia che non si può spiegare, e con Michele vicino che si comporta da perfetto Cicerone non potrei chiedere nulla di meglio.

Il mio entusiasmo però viene smorzato quando una goccia fredda mi bagna il naso.

Alzo lo sguardo verso il cielo e altre gocce mi colpiscono gli occhi sempre più assiduamente.

Sta decisamente piovendo.

«Michele forse dovremmo tornare in hotel» suggerisco facendogli notare che tra poco diventeremo dei pulcini bagnati.

Tornare all'albergo è l'ultima cosa che vorrei fare, ma il buon senso mi suggerisce anche di evitare di prendere un raffreddore.

«No» risponde senza esitazioni.

Torno a guardarlo sorpresa. Non pensavo potesse essere così categorico ma anche i suoi occhi mi dicono che è irremovibile.

«Michele sta iniziando a piovere» provo a farlo ragionare.

Altre gocce sempre più forti cominciano a bagnarmi i capelli e i vestiti ma provo a ignorarle.

«Siamo quasi arrivati, non possiamo tornare ora»

«Ma...»

Provo a contestare ancora una volta ma fa una cosa che mi zittisce e mi fa salire un brivido lungo la schiena. E non è per il freddo della pioggia che perpetra dagli abiti.

Mi prende la mano.

Se non fossi così sbalordita probabilmente arrossirei.

In realtà non mi da neanche il tempo di realizzare il calore della sua pelle perché fa la seconda cosa che mi lascia di stucco.

Inizia a correre. 

E mi trascina con sé

«Michele!» urlo sorpresa.

Ma lui non si ferma e io non smetto di seguirlo.

Corriamo salendo dei gradini addentrandoci in una salita che in altre circostanze mi avrebbe tolto l'aria dai polmoni e mi avrebbe fatto fermare dopo cinque passi.

Ma con la mano ancora stretta a quella di Michele non sento la fatica ma solo l'adrenalina.

La pioggia cade fitta, i miei capelli sono completamente zuppi e anche lui è completamente stravolto. Mi rendo conto che questa è anche la prima volta che lo vedo totalmente in disordine e mi piace tantissimo.

Corriamo per altri due minuti poi lui si ferma di botto e per poco non gli cado addosso.

«Siamo arrivati» dice sereno senza il minimo cenno d'affanno.

Io invece sembro una ottantenne prossima al collasso.

Prendo fiato e non posso evitare di guardarlo sbalordita. 

I suoi capelli completamente bagnati risaltano ancora di più i suoi occhi che a loro volta mi scrutano. Probabilmente sembro davvero un pulcino bagnato.

Forse dovrei sentirmi a disagio sotto il suo esame ma non ci riesco perché sono troppo impegnata a fissarlo.

I capelli che gli ricoprono la fronte, gli occhi seri, le spalle larghe che risaltano ancora di più con la maglia zuppa. La sua mano ancora stretta alla mia.

La sua bocca.

Non posso evitare di far cadere il mio sguardo sulle sue labbra. Non mi sono mai soffermata a guardarle prima d'ora, forse perché non volevo ammettere che anche queste sono bellissime come tutto ciò che lo riguarda.

Pero sì, lo sono. 

Non troppo carnose, ma ben delineate.

Ma è proprio mentre fisso la sua bocca che mi viene in mente che non è passato nemmeno un giorno da quando ha baciato Rebecca. È successo solo ieri sera.

Con questo pensiero mi scosto da lui e separo le nostre mani.

«Allora? Questo posto?» mi schiarisco la voce a disagio.

Michele resta in silenzio per qualche secondo poi scuote la testa come se si fosse incantato e si fosse appena risvegliato.

Distoglie lo sguardo e mi fa nuovamente cenno di seguirlo.

Dopo pochi passo entriamo in quella che mi sembra una sottospecie di parco, ma è decisamente  troppo piccolo per essere definito tale.

Superiamo un arco fiorito e mi guardo intorno notando che in realtà tutto questo spazio è pieno di alberi, piante e fiori. 

Specialmente rose.

Attraversiamo piccoli spazi d'erba circondati da panchine, e ci avviciniamo a una ringhiera che mi rendo conto altro non è che un belvedere sulla città di Firenze.

Da qui riesco a scorgere perfettamente la Cupola di Brunelleschi.

«Wow» è l'unica cosa che riesco a dire.

Alleggia tra noi una pace assoluta, anche perché siamo completamente soli.

Michele si avvicina e mi affianca davanti la ringhiera.

Anche da qui continuo a vedere fiori di tutti i colori.

«Benvenuta nel Giardino delle rose» sorride leggermente.

« È bellissimo! Sembra di essere...» sono senza parole.

«In una foresta incantata?» mi suggerisce.

Proprio come davanti al mio orologio a Villa Borghese.

Mi volto a guardarlo rilasciando un piccolo sospiro.

«Sì» ammetto.

«Capisci perché volevo portarti qui?» mi chiede pacato.

«Credo di sì»

Resta in silenzio ponderando bene cosa dirmi.

«Quando mi hai portato a vedere il tuo orologio ho provato la stessa sensazione che provavo ogni volta che venivo qui. Non ho realizzato quanto mi mancasse questo posto fino a quel momento» mi confessa.

Questa ammissione accende in me il fuoco della conoscenza. Voglio sapere tutto quello che non so su di lui.

«Anche tu venivi qui a pensare?» gli chiedo curiosa.

Si sta aprendo con me e non voglio davvero farmi sfuggire l'opportunità che mi sta dando.

«Anche. Da piccolo mi ci portavano sempre i miei genitori e ne conservo sempre un bel ricordo»

Sorrido immaginandomi un piccolo Michele che si guarda attorno con occhi curiosi ma seri come ora. Non riesco proprio a vedercelo come un bambino esuberante.

«Sai è qui che si sono incontrati la prima volta, i miei genitori intendo» mi racconta.

«Davvero? Che posto romantico!» esclamo con la luce negli occhi.

«Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Sei troppo romantica per poterlo disprezzare» mi prende in giro.

«E tu che ne sai che sono romantica?» gli chiedo un po' per gioco e un pò seriamente.

Lui invece mi scruta. 

«Sei Cupido, no?» è la sua semplice affermazione che in realtà dice tutto.

«Touchè» 

Ridiamo insieme e ritorniamo a guardare il panorama.

Io però sento delle parole premere sempre di più per uscire.

«Grazie per averi mostrato questo posto Michele» dico con sincerità.

Non c'è bisogno che dica che questo gesto va aldilà della semplice voglia di farmi da guida o di raccontarmi di un momento romantico. Ha voluto mostrarmi una parte di sé, ha voluto dirmi che se ho pazienza piano piano sa aprirsi come gli ho chiesto. Ed è risaputo che io abbia poca pazienza ma in questo caso non mi pesa aspettare. 

Lui fa un piccolo movimento con la testa ed è tutto quello che serve per capire che ci siamo intesi.

«Sei stanca?» mi domanda dopo qualche minuto.

«Non troppo. Perché?»

«Perché se continuiamo a salire arriviamo a Piazzale Michelangelo, e credimi li c'è una vista che non vuoi perderti» 

In risposta sorrido e per la prima volta sono io anticiparlo mentre lui mi segue.




 

***

 

Devo ammettere che una delle cose che meno apprezzo di Michele è che ha sempre ragione.

Anche adesso che sbuchiamo su Piazzale Michelangelo non riesco a non pensare quanto sia fastidioso il suo non sbagliare mai.

Se nel Giardino delle Rose eravamo completamente soli, qui la situazione è decisamente diversa. Sono letteralmente circondata dai turisti che nemmeno la pioggia (che fortunatamente ha smesso di cadere) ha potuto fermare. Ma non posso dar loro torto.

Michele ha detto che la vista mi sarebbe piaciuta.

Piacere non rende minimamente l'idea.

Se nel Giardino delle Rose riuscivo a vedere solo parte del Duomo di Firenze qui riesco a vedere tutta Firenze. Ed è uno spettacolo che non può che riempirti il cuore di meraviglia.

Ancora con gli occhi persi nella città del Rinascimento Michele mi conduce su degli scalini dove centinaia di turisti sono seduti ad ammirare il panorama.

«La vuoi una foto?»

Ha appena sollevato la macchina fotografica appesa al collo e me la punta contro mettendomi in imbarazzo.

«Giuro che non è per ricattarti» scherza.

Rido, ma comunque l'imbarazzo non va via.
Farmi fare una foto da lui in queste condizioni non è proprio il mio concetto di ideale.

La pioggia ha smesso di colpirci e finalmente sta uscendo il sole prossimo al tramonto, ma sono ancora tutta zuppa dalla testa ai piedi.

Non oso immaginare in che condizione versi il mio mascara.

«Non mi sembra il caso» gli dico infatti.

«Perché no?» abbassa la macchinetta per guardarmi.

Vorrei non essere sotto il suo sguardo proprio ora.

«Perché sono in condizioni pietose e non mi va»

«Non ti ho detto che le foto migliori sono quelle spontanee e che rispecchiano la realtà?» ci riprova.

Ho appena capito un'altra cosa che non sopporto di lui. È testardo.

«Sì, ma non mi va lo stesso» è la mia risposta definitiva.

Pare preso in contropiede e non riesce a dirmi nient'altro.

Che poi, perché ci tiene tanto a farmi queste foto? Le facesse al panorama!

«E se i soggetti spontanei nella foto fossero due invece che uno?» mi chiede all'improvviso.

«In che senso?» 

«Facciamoci una foto insieme»

Cosa? 

«Sei serio?» 

«Cosa c'è di strano?» non capisce.

"Tutto!" vorrei urlare.

Ma in realtà non c'è proprio niente di strano. Gli amici si fanno foto in continuazione da pubblicare su Instagram. Ogni giorno i miei compagni di classe si fanno un selfie. 
Una volta mi sono persino fatta una foto con uno sconosciuto in discoteca.

Quindi perché mi stupisco di una cosa così stupida?

Forse perché per Michele la fotografia ha un significato.
Ma è un pensiero talmente profondo e astratto che nemmeno la mia psiche poteva arrivarci.

Forse, la verità è che farci una foto insieme in questo punto mi sembra una cosa da coppia.

Ce ne sono decine al nostro fianco intente a mettersi in posa. 

E se le persone pensassero che siamo fidanzati?!

«Amanda!»

Michele richiama la mia attenzione distraendomi dalle mie paturnie. 

Devo smetterla di farmi tutti questi problemi.

«Scusa» abbozzo un sorriso ma ne esce più una smorfia, «Non c'è nulla di strano, ma non sei obbligato a fartene una con me» continuo.

Un po' sorride, un po' mi guarda con rimprovero.

«Parli come se fare una foto insieme fosse un sacrificio»

Ok, dopo questa era impossibile non arrossire.

E lui lo nota perché ride della mia reazione.

Ma quanto ha riso oggi? È completamente diverso da come sono abituato a vederlo a scuola.
Adesso capisco perché lui e Alessandro vanno così d'accordo.

«Siamo amici Amanda, come puoi pensare che non mi piacerebbe fare una foto con te? E voglio un ricordo di questa giornata, quindi adesso vado da quel tizio per chiedergliene una e tu non ti lamenterai»

È tornato il suo lato categorico.

Mi ritrovo soltanto ad annuire.

Michele comincia ad allontanarsi ma prima di raggiungere la persona prescelta a scattarci questa foto aggiunge, «E comunque, sentiti libera di arrossire quando vuoi con me»

E questo mi fa arrossire ancora di più ma anche ridere in memoria di questa battuta.

Dopo un paio di minuti Michele torna affiancato da un uomo altissimo e biondissimo con addosso dei semplici calzoncini corti e una maglietta a mezza manica. 

Non capirò mai la temperatura corporea degli stranieri.

Michele gli passa la fotocamera e gli da le dovute istruzioni poi si posiziona al mio fianco.

Cerco di darmi una sistemata alla frangetta stravolta e mi passo le dita sotto agli occhi per togliere il nero del mascara.

Spero solo di non sembrare un pagliaccio, anche perché Michele mi fa sfigurare anche se sembra uscito da una lavatrice.

Il castano mi si avvicina e mi cinge la vita con un braccio.

Istantaneamente mi irrigidisco come se mi fossi appena tuffata al mare e non fossi pronta allo shock termico.

«Are you ready?» ci incalza il signore.

Ready un cazzo! 
Se mi scatta una foto ora sembrerò un cane abbagliato dai fari.

Mi impongo di calmarmi e di non pensare che la mano di Michele sia poggiata sopra il mio fianco e che dunque non abbia minimamente problemi a percepire la ciccia che lo ricoprire.

Raddrizzo la schiena e mi stampo un sorriso, ma sembro solo Hide the pain Arold, il signore anziano re indiscusso dei meme che circolano ovunque.

«Closer» ci istruisce ancora lo straniero.

Fai questa foto e finiamola!

Michele fa come gli ha detto e si avvicina di più.

Ora la nostre spalle si toccano e la sua stretta sul mio fianco è più forte.

Oddio tra poco esplodo per autocombustione.

«Rilassati Amanda, è solo una foto!» mi rabbona Michele.

Se prima pensava che fossi normale, probabilmente ora non lo pensa più.

Provo a fare come mi suggerisce e visualizzo la giornata che abbiamo appena passato insieme.

Istantaneamente sorrido ed è in quel momento che sento il click della macchinetta.

Dopo aver ringraziato il signore Michele si siede sugli scalini che fanno da supporto alla vista meravigliosa che abbiamo davanti agli occhi e io lo imito sedendomi accanto a lui.

«Come è venuta?» chiedo provando a sbirciare lo schermo.

Lui lo allontana con mio sommo disappunto.

«Non puoi vederla» 

«Perché no?» 

«Perché non volevi nemmeno farla, quindi non ne hai il diritto» 

«Cosa sei? L'avvocato della fotografia?»

«Solo un giudice molto severo» scherza con me.

In risposta mi limito ad alzare gli occhi al cielo.

Ho capito che è inutile insistere con lui.

Intorno a noi i turisti formano un grande via vai ma non mi dispiace questa folla che ci circonda. 
Il sole sta iniziando a tramontare tingendo d'arancio la città che ci è davanti ed è veramente tutto così bello che non ci sono parole.

Noto anche un ragazzo intento a smanettare con una chitarra ed è solo dopo pochi momenti che una nota melodia comincia ad alleggiare nell'aria.

«Oddio no» mi deprimo subito.

Le persone, attirate dalla musica, si voltano verso il ragazzo e gli si avvicinano curiose.

Lui sistema il microfono e comincia a cantare.

Every breath you take
And every move you make
Every bond you break
Every step you take
I'll be watching you

«Che c'è?» mi domanda Michele udendomi.

«Odio questa canzone!» mi lamento.

Lui aggrotta le sopracciglia e si sistema i ciuffi che gli ricadono sugli occhi.

«Odi una delle canzoni più romantiche e famose che sia mai stata scritta?» si stupisce.

Io invece quasi mi arrabbio.

«Questa è la canzone meno romantica della storia!» mi difendo.

«Ed io che pensavo fossi tu quella romantica» continua a punzecchiarmi.

«Lo sono! Ma nei limiti della decenza. Questa canzone parla di un maniaco che si è fissato con la sua ex e praticamente la stalkera!» mi altero.

Michele invece sembra proprio rallegrato.

«Ma se dice anche qualcosa tipo "Ci apparteniamo"» continua.

«Appunto, è inquietante!» non mollo l'osso.

Incredibile che le persone ballino questa canzone ai loro matrimoni.

«Sono davvero sconvolto. Non ti facevo così cinica» insiste, ma si vede che vuole solo farmi ridere.

«Non sono cinica, sono romantica per le cose giuste»

«E quali sarebbero?»

Ci penso un attimo.

«L'incontro dei tuoi genitori ad esempio» 

Si blocca, stupito.

«Non sai nemmeno come è andata» mi fa notare

Alzo le spalle indecisa su come rispondere.

Penso ancora a quel giardino così romantico e grazioso.

«Sento che è stato un colpo di fulmine o qualcosa del genere»

Michele resta in silenzio. I suoi occhi celano una storia che vorrei leggere dalla prima all'ultima pagina.

«È così?» chiedo in un sussurro.

Ci guardiamo e percepisco il suo tentennamento.

«Sì» ammette però alla fine. 

«E tu ci credi? Al colpo di fulmine?» domando dopo qualche attimo.

«Dovrei dirti di sì a questo punto. Ma non lo so» ammette, «E tu?»

«In realtà no» 

È una cosa a cui ho pensato spesso. Mi è impossibile pensare che ci si possa innamorare di qualcuno che nemmeno si conosce.

Michele ride della mia schiettezza.

«Però! Sei più cinica di quanto pensassi»

«Forse» convengo, «Però il mio lato romantico mi impedisce di pensare che ci si possa innamorare così. La parte più bella di una storia d'amore è la conoscenza degli amanti, cosa che manca totalmente nel concetto di colpo di fulmine»

Michele mi ascolta attento e annuisce capendo il mio punto di vista.

«Però...» continuo e mi blocco.

«Però?» mi esorta.

È incredibile quanto sia facile conversare con lui. Quando parli con Michele lui ti presta tutta la sua attenzione, e questo non è da tutti.

«Non credo nel colpo di fulmine» ripeto, «Però credo che alcune persone si riconoscano. Credo che ci possano essere casi in cui guardi una persona e vedi in lei qualcosa che ti spinge a volerla conoscere a tutti i costi, senza un motivo preciso. Non è amore, ma un rivedere in quella persona qualcosa che a te manca o che al contrario ti rispecchia»

Mi zittisco.

Come sempre le parole sono scivolate come un fiume in piena e non ho saputo fermarle.

Michele al mio fianco non dice nulla, ma mi guarda con uno sguardo che non gli ho mai visto addosso.
E che non riesco minimamente a decifrare.

«Pensi sia una cosa stupida?» smorzo il disagio con una piccola risata poco convincente.

Michele mi fissa con un'intensità sconvolgente. È come se mi stesse guardando ma allo stesso tempo stesse guardando aldilà di me.

«Credo sia molto più romantico di un colpo di fulmine» sussurra.

E io sorrido e basta.

Insieme torniamo a guardare il panorama dinanzi a noi.

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Capitolo 15
*** Lento ***


Dopo quella prima giornata piovosa Firenze era stata clemente con noi. I successivi due giorni li passammo sotto un bellissimo sole splendente, visitammo i luoghi e i monumenti più famosi e ciò non fece che confermare l'idea che avevo di questa città.

Oggi era l'ultimo giorno e l'idea di tornare a casa mi rattristava non poco.

«Cosa indosserai stasera?» mi domanda Vittoria beatamente stesa sul mio letto.

In teoria questa non è la sua stanza, ma ha passato più tempo qui dentro che nel suo letto. 

«Non lo so ancora» rispondo fissando i pochi vestiti che ho portato. 

Non c'è nulla che mi convinca pienamente.

Domani torneremo a casa e per festeggiare l'ultimo giorno i professori hanno deciso di portarci ad una festa.

Ok festa è un termine esagerato, è semplicemente una serata organizzata da questo locale in centro, ma ci sarà della musica e la possibilità di ballare e stuzzicare qualcosa offerto dal bar. Non possiamo lamentarci più di tanto, infondo è meglio che restare chiusi in un queste quattro mura.

Forse l'unica a non pensarla così è Laura.

Anche lei è stesa sul letto con il cellulare in mano, indossa solo una cuffietta all'orecchio destro così da poter ascoltare la musica ma anche la nostra conversazione.

«Laura tu che ti metti?» la interpello.

La bionda alza le spalle con fare indifferente come se non le importasse più di tanto.

«Credo che cambierò giusto la maglietta» si indica la t-shirt grigia a mezza manica e il mio sguardo si abbassa involontariamente sui suoi jeans strappati.

«Tesoro, perché per una volta non metti in mostra quelle belle gambe che ti ritrovi indossando una gonna?» la punzecchia Vittoria con finto tono zuccheroso.

«Non pensavo davvero di dirlo, ma sono d'accordo» intervengo.

Infondo è la nostra ultima sera, sarebbe bello festeggiarla come si deve.

«Fa freddo» è la laconica risposta di Laura.

«Infatti si vede quanto hai freddo con quella maglietta» replica subito la riccia facendo un cenno alla maglia leggera che indossa.

Laura sbuffa sonoramente ma ha l'intelligenza di non replicare perché sa che ha ragione. So però che non è il tipo a cui piace indossare gonne corte o vestitini , non so se sia perché semplicemente non le piacciono o perché si sente a disagio ad indossarli, ma non voglio che sia costretta a vestirsi come non vuole.

«Perché non proviamo una via di mezzo?» propongo cercando di venire incontro a entrambe.

«Cioè?» chiede Vittoria.

«Magari può restare con i jeans che ha ma cambiare la maglia con una più adatta. Ce l'avrai un top carino in quella valigia da venti chili che ti sei portata, no?» domando alla bruna.

Vittoria mi guarda un attimo e poi finge di riflettere sulla mia proposta.

«Può andare» accetta alla fine.

Mi volto verso la bionda in cerca del suo sguardo.

«Laura?»

«Va bene, ma non indosserò i tacchi» 

«Perfetto, però ti trucco io così siamo pari» 

Vic sorride ampiamente sapendo di averla spuntata su questo punto.

Laura infatti rimane in silenzio ma si vede che preferirebbe farsi sbranare da un cane piuttosto che permettere a Vittoria di mettere le mani su di lei.

Reprimo un sorriso e riprendo a cercare qualcosa di carino da mettere. Avevo preso in considerazione l'idea che avrebbero potuto portarci fuori una di queste sere ma ho davvero preso le prime cose che avevo nell'armadio o rischiavo di metterlo sottosopra nell'intento di cercare qualcosa di perfetto.

Ne è venuto fuori che la cosa più carina che ho in valigia è un semplice pantaloncino di jeans e un top bianco senza spalline. 

Non so se mi convince pienamente, soprattutto gli shorts che hanno visto tempi migliori.

Vittoria nota finalmente la mia indecisione e si avvicina scrutando gli indumenti che ho in mano.

«Mh...» mugugna spostando gli occhi tra il pantaloncino e il top come se stesse guardando una partita di tennis.

«Il top è molto carino» me lo prende dalle mani osservando il tessuto in pizzo, «ma il pantaloncino è assolutamente bocciato»

«Non ho altro» 

Vic sbuffa rumorosamente e alza gli occhi al cielo, come se non potesse credere di avere delle amiche come me e Laura. Credo fermamente che ci consideri senza speranza.

Si avvicina alla porta e fa per aprila quindi la fermo.

«Dove vai?» chiedo perplessa

«A recuperare delle cose dalla mia camera. Lasciatemi una presa libera per la piastra»

«Non credo che Laura ti lascerà anche piastrare i suoi capelli» scherzo.

La bionda ancora stesa sul letto emette un verso indistinto che mi conferma però che ho ragione.

«Oh ma la piastra non è per lei ma per te, magari proviamo a lisciare quel nido che hai in testa. Torno subito» 

Detto questo sguscia via velocemente sbattendo la porta con un tonfo.

Mi tocco i capelli leggermente offesa ma effettivamente li ho particolarmente crespi a causa dell'umidità. Involontariamente mi torna in mente quando io e Michele siamo tornati in hotel dopo il pomeriggio passato insieme sotto la pioggia.

Non oso immaginare cosa avrà pensato guardando l'obbrobrio che erano i miei capelli semi asciutti.

Scuoto la testa scacciando quel pensiero e mi volto a guardare Laura che già esasperata si gira a pancia in giù e soffoca la testa nel cuscino.

«Secondo te se fingo di essere morta posso non venire?»

 

***
 

Il locale scelto dai nostri professori si trova in pieno centro e per la sorpresa di tutti noi è abbastanza affollato da ragazzi pronti a festeggiare il weekend. Tutti intorno a noi sono intenti a ballare e bere un drink, la musica è alta ma non così tanto da dare fastidio o impedire alle persone di chiacchierare.

Sono davvero sorpresa. 

Non è che ci aspettassimo di andare in una bettola, ma dato che il Prof Parisi ha più di sessant'anni e il massimo del divertimento che sembra concedersi la Professoressa Colombo  è traumatizzare i suoi studenti avevamo tutti delle perplessità. Invece devo ammettere che il locale (ancora non capisco se sia una discoteca con un gran piano bar o un bar con una grande pista da ballo) è veramente bello e anche la musica non è male. 

Deve esserci lo zampino della Professoressa Rossi. 

Quest'ultima, poco più che trentenne e con un sorriso smagliante ci fa radunare in un piccolo angolo per farci le dovute raccomandazioni. 

La Professoressa Colombo ci segue in silenzio, per l'occasione non ha indossato i suoi soliti occhiali da vista e devo dire che vedere il suo viso scoperto la rende quasi più umana ai miei occhi. 

Quasi. 

Il Professor Parisi invece si guarda attorno quasi terrorizzato da tutto questo caos. Se non va in pensione dopo questa gita, non so cos'altro potrebbe convincerlo.

«Allora ragazzi» inizia la Prof Rossi guardandoci tutti, o almeno ci prova dato i fari di luce colorati che ci accecano, «Noi andremo a cenare nel ristorante proprio qui di fianco, quindi vi lasceremo due orette di autonomia. Dopodiché verremo qui a controllarvi e massimo per mezzanotte torneremo in hotel. Non voglio sentire lamentele. Tutto chiaro?»

Mormorii di assenso si elevano dal nostro gruppetto.

«Ci siamo assicurati che il barman non vi dia alcolici quindi evitate anche solo di provarci. Sapete che ad ogni azione corrisponde una conseguenza quindi siate responsabili» aggiunge Colombo con tono mortalmente serio. 

Ci fissa con espressione torva e senza occhiali il suo strabismo è ancora più evidente e minaccioso.

Rimangio tutto quello che ho detto prima.

Detto questo i professori si dileguano (Parisi è praticamente corso via) e il nostro gruppo si divide, ognuno andando in direzioni diverse.

Sono ancora intenta ad osservare la particolarità del locale quando ricevo una gomitata nello stomaco che mi toglie il fiato per qualche secondo.

«Scusa!» urla Laura guardandomi in viso per accertarsi che non mi sia fatta male.

Mi accarezza il braccio per scusarsi per poi sbuffare rumorosamente.

«È colpa di questa dannata maglietta!» si lamenta strattonandola verso il basso. Deve avermi colpita nell'intento di sistemarsi.

È da quando Vittoria l'ha costretta ad indossarla che non fa altro che tirarla e stropicciarla. In realtà non posso biasimarla del tutto dato che sto facendo lo stesso con la mia gonna. 

Almeno però non la sto maltrattando.

Laura invece continua a provare a coprirsi la pancia lasciata scoperta dal top verde per poi cambiare idea dato che la stoffa le lascerebbe la scollatura in bella vista.

«La vuoi smettere di rovinarmi la maglietta? La vorrei indossare ancora dopo questa serata» la sgrida Vittoria.

Laura la guarda male ma smette di toccarsi, e rassegnata sacrifica la pancia per coprirsi il seno.

In realtà se smettesse di lamentarsi si accorgerebbe di quanta attenzione ha attirato da quando si è presentata nella hall dell'hotel vestita in questo modo.

Vittoria si è davvero superata con il trucco sfumato abbinato al top che le risalta anche gli occhi verdi.
La pancia piatta in bella mostra e i jeans a zampa d'elefante hanno fatto tutto il resto e da quel momento tanti ragazzi hanno preso a fissarla anche abbastanza spudoratamente. Tra questi ho notato con mia preoccupazione anche Alessandro.

Ormai non so più cosa pensare.

Anche Laura deve essersene accorta perché non fa altro che lanciargli occhiate di rimando per poi distogliere lo sguardo velocemente.

Lo osservo anch'io, ed eccolo lì bello come sempre con la camicia nera che gli fascia il petto e circondato da amici.

Il perfetto quadro del ragazzo irraggiungibile. 

Non so se lui e Laura hanno avuto occasione di parlare da quando abbiamo giocato a obbligo o verità ma la tensione è palpabile.
Cerco con lo sguardo anche Michele sicura di trovarlo al suo fianco ma di lui non c'è traccia.

L'ho intravisto solo in albergo e non sono nemmeno riuscita a salutarlo. 

Rivolgo lo sguardo alla folla e lo cerco ancora ma mi imbatto invece nella figura di Rebecca che si avvicina a me, Laura e Vittoria.

Indossa un vestitino bianco con le spalline sottili che le calza a pennello. I capelli neri e lucenti le ricadono sulle spalle in morbide onde e il trucco leggero le mette in risalto gli occhi scuri contornati da lunghe ciglia.

È praticamente una Dea nonché il sogno erotico di mezza scuola.

Cerco di non provare invidia mentre la vedo avanzare verso di noi, di non paragonare i suoi fianchi sinuosi ai miei, le sue gambe magre alle mie, il suo fisico tonico e la sua altezza alla mia, ma è davvero difficile.

Mi sono rassegnata ad avere un fisico morbido da quando a sei anni la mia maestra di danza classica mi ha detto senza mezze misure che non avevo i requisiti fisici per diventare una ballerina di successo. Ecco perché ho poi optato per il modern.

Ma questa è un'altra storia.

«Ciao ragazze!» ci saluta raggiante.

Si avvicina per baciarci sulle guance e si intrattiene qualche secondo in più con Laura dicendosi qualcosa che non riesco a sentire.

Non ho la più pallida idea di cosa abbiamo da dirsi ma in questa gita hanno stretto molto amicizia sebbene siano praticamente due antipodi.

Persino Laura è riuscita ad avvicinarsi a Rebecca ma non Michele. In realtà qualche scambio di battute c'era stato e un pomeriggio, nelle ore libere che avevamo a disposizione, sono anche andati a prendere un gelato completamente soli.

Ma non c'erano stati progressi nel vero senso della parola.
Certo il bacio che si erano scambiati aveva messo in chiaro che Michele provasse un'attrazione per Rebecca, ma chi non prova attrazione per lei nella nostra scuola? 

Michele deve fare il passo successivo e dirle chiaramente cosa prova. Non voglio che anche questa gita si riveli completamente inutile.

«Amanda!»

La voce di Rebecca mi raggiunge e di colpo me la ritrovo a un palmo di naso, le sue guance contro le mie nell'intento di salutarmi.

«Ciao!» ricambio l'entusiasmo accantonando i miei pensieri.

Si allontana velocemente per poi scrutarmi. Se possibile il suo sorriso diventa ancora più ampio.

Avrà un limite al fascino?

«Come sei bella stasera! Stai benissimo con i capelli lisci»

Imbarazzata arrossisco leggermente e mi tocco le punte. 
Devo ammettere che anche a me fa piacere non sembrare Hermione Granger per una sera. La frangetta è perfettamente dritta e i capelli cadono lisci e voluminosi sulle mie spalle.

Ancora una volta merito di Vittoria e dei suoi prodotti per capelli.

Sotto al top mi ha costretto ad indossare una gonna viola decisamente troppo corta per i miei standard (ma non ho potuto obiettare) e che mi sta pian piano comprimendo lo stomaco ma cerco di non maltrattarla come Laura ha fatto con la sua maglia. 

Sia mai che si strappa e resto con le mutande in bella vista.

«Grazie, anche tu stai benissimo» ed è la pura e semplice verità.

Quello che mi piace di Rebecca è che non solo è sempre solare e allegra, ma anche gentile con chiunque. È bella ma non è vanitosa, è popolare ma amichevole, è invidiata da tante ragazze ma fa complimenti a chiunque. 

Vorrei avere anche io questa tempra. 

Non mi ha mai stupito l'interesse di Michele nei suoi confronti proprio per questi motivi ma devo ammettere che ogni volta che ricordo a me stessa questo dettaglio la cosa non mi lascia più indifferente come credevo.

O almeno come all'inizio.

«Grazie! Proprio bello questo posto vero?» si rivolge anche a Laura e Vittoria.

«Verissimo! Hanno decisamente scelto bene» concorda Vittoria.

Con tutte queste luci mi è difficile vedere per bene lo stile del locale, ma i divenenti sparsi un pò ovunque, il bancone del bar completamente di marmo bianco e la pista affollata rendono questo posto decisamente accattivante.

C'è anche il dj in bella mostra che proprio in questo momento sta abbassando leggermente il volume della musica per avvicinare il microfono alle labbra.

«BUONASERA E BENVENUTI AL BARFLY! VI RICORDO CH IL TEMA DI QUESTA SERA È LOVE IS IN THE AIR QUINDI RAGAZZI PRENDETE LA VOSTRA BELLA E PORTATELA SULLA PISTA DA BALLO!» 

Love is in the air? Stiamo scherzando? 

«San Valentino non è già passato?» è il commento di Laura e mi sorprende essere d'accordo con lei.

Vorrei proprio capire che amore si possa trovare nell'aria di un disco pub.

«Invece è un'idea carina secondo me! Magari finalmente qualcuno trova il coraggio di farsi avanti» dice Rebecca.

E in questo momento capisco che ha ragione.

È l'occasione perfetta per farsi avanti definitivamente. 

Devo trovare Michele.

Lo cerco con gli occhi ovunque e finalmente lo individuo. 
Con mia somma sorpresa lo trovo seduto su un divanetto intento a parlare con Giovanni. 

Cosa avranno mai da dirsi quei due?

Entrambi hanno un drink in mano e giuro che non ho mai visto Giovanni ascoltare qualcuno con così tanto interesse. 

E lo conosco da ben tre anni.

Faccio per raggiungerli quando vedo Alessandro fare altrettanto nella nostra direzione, gli occhi puntanti sulla bionda accanto a me.

Allarme rosso! Allarme rosso!

Sento Laura al mio fianco irrigidirsi e prima che il mio migliore amico riesca ad arrivare scappa via urlando.

«Vado un attimo in bagno!»

Non ho neanche il tempo di fermarla che corre via come una gazzella inseguita da un leone.

Questa situazione sta diventando ridicola.

Quando Alessandro arriva sbuffa così rumorosamente che riesco a sentirlo benissimo nonostante la musica.

«Non può scappare per sempre!» sbraita a nessuno in particolare.

Sono d'accordo con lui ma evito di dirlo ad alta voce.

Alessandro chiude gli occhi e sospira. Sembra indeciso sul da farsi ma poi si muove per seguirla nuovamente.

«Aspetta» poso una mano sul suo petto per fermarlo, «se non vuole parlare non la costringere» provo a dissuaderlo.

Alessandro mi guarda negli occhi e per la prima volta mi rivolge uno sguardo irremovibile.

«Amy ti voglio bene, ma non ti immischiare» e detto questo scappa via anche lui ignorando completamente le mie parole.

Bene, fai pure come vuoi.

Lo seguo con lo sguardo finché la sua figura si mischia con la folla. 

Purtroppo quando si mette una cosa in testa non c'è verso di fargli cambiare idea.

Non so davvero cosa abbia da dirle ma non posso negare che questa sua insistenza sia strana. Di solito sono le ragazze a inseguire lui, non il contrario.

Ma so anche che qui la situazione è molto più complessa, e non capisco perché abbia voglia di risolverla dopo tre anni.

«Forse dovrei lasciar perdere» sento dire alle mie spalle. 

Quando mi giro trovo Rebecca con un'espressione triste che non le ho mai visto in viso.

Sembra abbattuta ma anche scoraggiata. Del suo sorriso da pubblicità non c'è più traccia.

Mi scambio un veloce sguardo con Vittoria, entrambe curiose e perplesse.

«Con Alessandro intendo. È evidente che c'è qualcosa in sospeso con Laura e non voglio complicare ancora di più le cose»

Oh, questo non me lo aspettavo.

Cerco di trovare le parole giuste ma non riesco a formulare i pensieri. È come se questa sera stesse tutto andando a mio favore.

Prima il dj promuove una serata romantica, poi Rebecca si rende conto che Alessandro non è proprio la persona giusta con cui sperare di fare coppia fissa.

Deve per forza succedermi qualcosa di brutto a breve per compensare tutta questa fortuna.

«Sinceramente non sappiamo nemmeno noi cosa sta succedendo» prende parola Vittoria.

Rebecca ci guarda entrambe con ancora quell'espressione demoralizzata. È un crimine vedere un viso così bello così infelice.

«Secondo voi a Laura piace?» domanda quasi con enfasi.

È come se questo dubbio le stesse occupando i pensieri da un po'.

«Abbiamo stretto amicizia in questo viaggio e non potrei mai perdonarmi se facessi stare male una mia amica per un ragazzo che alla fine non mi considera nemmeno» spiega.

Oddio ma come fa a essere così perfetta?

Il ragazzo di cui si innamorerà sarà davvero fortunato e se quel ragazzo sarà Michele anche lei sarà fortunata.

Ancora non sa quanto sia bravo ad ascoltare e quanto anche lui dia importanza all'amicizia. Quanto sia silenzioso ma anche attento e premuroso. A quanto a volte possa essere categorico ma sempre gentile.
A come gli brillano gli occhi, più del normale, quando si perde a scattare delle foto o parla della sua città.

A quanto sia bello semplicemente essendo lui stesso, impenetrabile e fiero.

Oh cazzo.

«Amanda» mi richiama Vittoria riscuotendomi dai miei pensieri.

La guardo con occhi persi.

«Sì?»

«Stavo dicendo a Rebecca che non pensiamo che a Laura piaccia Alessandro ma che comunque non è la persona con cui vale la pena perdere tempo. Ci sono tanti altri ragazzi in giro, no?»

Mi lancia uno sguardo come per suggerirmi di fare la mia mossa.

Come darle torto, me la sta servendo su un piatto d'argento.

«È vero» deglutisco cercando di non balbettare a causa dei miei pensieri di prima, «mi sembra di ricordare che qualche giorno fa c'è stato un bacio tra te e Michele» 

E dirlo mi sembra quasi sbagliato.

Vedo per la prima volta Rebecca arrossire.

«Oh Michele sì» bisbiglia quasi.

La sua espressione è assolutamente indecifrabile.

«È un bel ragazzo, no?» prova Vittoria dubbiosa anche lei dal suo comportamento.

La bruna si limita ad annuire.

«Sì, è che non avevo mai pensato a lui in quel senso. Non lo vedo tanto come il mio tipo ma devo ammettere che è molto bello e molto educato»

E anche molto cotto di te.

«Potresti provare a dargli una possibilità se si fa avanti. Cosa hai da perdere infondo?» la sprono.

E tu cosa hai da perdere Amanda?

«Sì forse hai ragione» si convince.

Vic mi guarda vittoriosa ma io non mi sento una vincitrice.

Devo assolutamente parlare con Michele.
 

***

Dopo una mezz'ora passata a chiacchierare del più e del meno Vittoria convince Rebecca ad andare a prendere qualcosa da bere e io ne approfitto per avvicinarmi a Michele.

Non lo trovo più seduto ai divanetti a parlare con Giovanni ma solo in un angolo del locale intento a fissare un punto imprecisato ai miei occhi.

Dalla mia posizione vedo che per questa sera ha deciso di indossare una camicia azzurra e un semplice jeans, i capelli sono come sempre pettinati e in ordine e ai piedi indossa un paio di sneakers.

Sarà la folla presente nel locale che piano piano sta togliendo aria ai miei polmoni e attentando alle mie facoltà intellettive, ma non l'ho mai trovato così bello.

Amanda datti una calmata. Ricordati cosa devi fare. 

Prendo un profondo respiro, liscio la frangia e raddrizzo la gonna, poi seguendo le istruzioni di mia madre -pancia in dentro e petto in fuori- mi avvicino.

Mi sento molto ridicola mentre provo a mantenere la schiena più dritta di un manichino, ma cerco di dare una parvenza di sicurezza. 

Sto sicuramente fallendo miseramente.

Quando poi Michele mi vede sento un brivido correre lungo la schiena. 

Calmati calmati calmati.

Mi sento come quando da bambina mi costringevano a recitare la poesia di Natale davanti tutta la famiglia e puntualmente sbagliavo l'ultimo verso dell'ultima strofa.

Ed infatti quando sono a due passi da lui inciampo.

«Attenta!»

Due braccia mi stringono la vita e mi impediscono di finire faccia a terra.
Trattengo il respiro per lo spavento e per l'imbarazzo consapevole di aver fatto l'ennesima figuraccia.

Quando poi realizzo che le braccia che mi stanno stringendo sono quelle di Michele mi sento andare a fuoco.

«Tutto bene?»

Michele si avvicina al mio orecchio per farsi sentire meglio e questo non fa che agitarmi di più. Lo guardo in viso e lo trovo più vicino di quanto mi aspettassi.

Mi allontano di scatto spaventandolo.

«Tutto bene» 

Mi sistemo la frangia per quella che credo sia la centesima volta e gli sorrido.

L'intento di sembrare disinvolta è naufragato insieme al Titanic.

«Sicura?»

Mi scruta il viso per poi passare al mio corpo. 
Non so se stia controllando se mi sia fatta male ma i suoi occhi su di me fanno formicolare la mia pelle.

Fissa per qualche secondo la gonna che Vittoria mi ha costretto ad indossare e che mi sta togliendo ancora più aria dai polmoni.

Probabilmente pensa che sembri una melanzana.

«Certo! Che ci fai qui tutto solo?» gli chiedo cercando di cambiare argomento e distrarlo.

Torna con lo sguardo sul mio viso e scrolla le spalle.

«Stavo cercando Ale ma non lo trovo»

Effettivamente è scomparso insieme a Laura da più di mezz'ora.

«Ti ho visto parlare con Giovanni prima» non trattengo la mia curiosità.

«Sì è un ragazzo simpatico»

Simpatico? 

Ammetto che non è male come sembra ma credo che sia la prima persona che lo reputa simpatico alla prima conoscenza.

In realtà io stessa ho pensato qualche sera fa che si somigliassero quindi non dovrei esserne così sorpresa. Hanno la stessa faccia imperturbabile.

«Sei uno dei pochi che lo pensa credo» gli faccio notare.

Sorride leggermente ma non con allegria. 

«Credo sia un ragazzo coerente con se stesso, non è disposto a cambiare per piacere agli altri e lo apprezzo» spiega brevemente.

Su questo ha ragione. Non l'ho mai visto fare qualcosa che non gli andasse di fare solo per l'approvazione altrui. Pensandoci è una qualità da ammirare.

«Anche tu sei così» gli faccio notare.

Fa una smorfia poco convinta e distoglie lo sguardo dal mio.

«Tu credi?» sussurra quasi.

«Certo! Secondo te perché non ti sopportavo all'inizio?»

Questo lo fa sorridere nuovamente.

«Perché non ti salutavo?» mi sfotte.

Ecco, ora mi è salito l'istinto di prenderlo a pugni.

«No» lo trucido con lo sguardo, «Perché piaci a tutti senza nemmeno sforzarti» 

La smorfia colpevole sul suo viso mi fa capire che ne è consapevole anche lui. Non è così ipocrita da negarlo.

«Non mi interessa piacere alla gente, ma non sono indifferente all'opinione altrui come credi» 

Ricordo ancora quando mi ha detto la stessa cosa qualche giorno fa. Non so perché mi abbia sempre dato l'idea che fosse indifferente a tutto, forse che sa mascherare le sue emozioni meglio di quanto pensassi.

Cosa provi Michele?

Non so a cosa stia pensando ma non deve essere qualcosa di piacevole perché il suo viso si rabbuia nuovamente e punta lo sguardo altrove. 

Non voglio vederlo così .

«Rebecca l'hai vista?» cambio nuovamente argomento.

Devo rammentare a me stessa la ragione per cui sono qui ovvero parlargli e convincerlo ad avvicinarsi a lei.

Devo smetterla di cercare di capirlo meglio, sono già entrata in un territorio pericoloso da quando ho ammesso a me stessa quanto sia attraente.

«Sì l'ho intravista prima» si limita a dire.

Come sempre non mi aiuta minimante. 

Sono stanca di questa situazione, è il momento di mettere un punto a tutto.

«Ok, credo sia il momento di parlarci chiaro»

Mi guarda confuso ma non protesta. Il mio cipiglio severo deve convincerlo che sono seria.

«Una delle ragioni per cui siamo qui è portare a termine il Piano Cupido. Non voglio costringerti ad essere quello che non sei o a fare qualcosa che non vuoi fare ma non posso nemmeno creare e offrirti mille opportunità senza che poi tu ne sfrutti mezza» inizio.

Prendo fiato e continuo. Lui resta in silenzio ma mi fissa intensamente e attento.

«Voglio davvero aiutarti non solo perché me lo hai chiesto ma anche perché siamo amici ma tu non mi vieni mai incontro»

Abbassa lo sguardo colpevole e annuisce leggermente.

«Hai ragione. Mi dispiace» dice sinceramente.

Mi guarda davvero dispiaciuto ma non mi basta. Lo capisce anche lui.

«Cosa vuoi che faccia?»

Sospiro e provo ad assumere un tono quanto più fermo possibile.

«Dieci minuti fa il dj ha detto che a breve metterà dei lenti in onore del tema della serata. Voglio che tu chieda a Rebecca di ballare al primo lento»

Michele sembra poco convinto. So che non ama mettersi in mostra ma bisogna fare qualche passo avanti. 

Anche lui lo sa perché annuisce.

«Va bene» acconsente. 

Il destino però deve avercela con me perché non appena finisce di parlare la musica pop viene sostituita con una più dolce e romantica.

Subito tanti ragazzi fanno quanto chiesto dal dj, cioè avvicinarsi e portare le ragazze sulla pista da ballo.

Sarebbe un momento perfetto se non fosse che la prima canzone della serata è Every Breath You Take dei Police.

Qualcuno dall'alto si diverte a prendersi gioco di me.

«Deve essere uno scherzo» esclamo incredula.

Giuro, se non fossi sull'orlo dell'esaurimento nervoso riderei.

Ed è proprio quello che fa Michele.

Scoppia a ridere come un pazzo. 

Mi volto a guardarlo nervosa ma vederlo ridere mi fa ancora un certo effetto.

Non ci sono abituata.

Ride così forte che gli salgono le lacrime agli occhi e si tiene la pancia a causa del dolore agli addominali.

Cerco di assumere un'espressione infastidita anche se viene da ridere anche a me.

«La vuoi smettere?» lo sgrido.

Gli do anche un leggero schiaffo sul braccio per ribadire il mio sgomento.

Lui però non smette e cerca di riprendere fiato.

«Dici che posso chiederle di ballare sulle note della "canzone meno romantica della storia"?» mi cita.

Si ricorda ancora come ho definito questa canzone quando siamo stati insieme a Piazzale Michelangelo. 

«Ha ha ha, molto divertente» 

«Devi ammettere che lo è»

Provo davvero a mantenere una facciata risentita ma non ci riesco.

Involontariamente mi scappa una risatina.

«Ok lo ammetto»

Lui mi tende la mano.

«Dai vieni»

La risatina mi muore sulle labbra.

«Vieni dove?» non capisco.

Michele si gratta una guancia ma resta con l'altra mano tesa verso di me.

«A ballare»

Ok, questa sera devo essermi intontita del tutto.

«Ti ho appena detto di chiederlo a Rebecca»

Sono confusa ma dentro di me sento anche un movimento nello stomaco che mi destabilizza. Se non sapessi di non aver mangiato niente per cena oserei dire che dovrei scappare alla toilette.

«Non vorrai mica che le chieda di ballare con questa canzone dopo che mi hai detto che parla di uno stalker? Direi invece che e è la colonna sonora perfetta per un ballo tra amici»

Lo guardo senza parole. Non so davvero cosa dire.

Una parte di me rifiuta categoricamente l'idea di andare su quella pista, di farmi vedere da tutti mentre balliamo (specialmente da Rebecca) e di mettermi in ridicolo pestandogli i piedi.

Ma c'è un'altra parte di me invece che mi spinge ad afferrare la sua mano e di fregarmene di tutto. Una parte che vuole ancora sentire le sue mani sui miei fianchi, che vuole vedere i suoi occhi ancora più da vicino solo per ammirarli per qualche minuto. 

«Mi aiuteresti anche a far sbollire il nervosismo. Vedilo come un lento di prova»

Non ci mette molto a convincermi. 

Ancora un po' timorosa accetto la sua mano e insieme andiamo in pista.

Non riesco nemmeno a guardarlo quando lo sento avvicinarsi a me, quando le sue mani si mettono in posizione insieme alle mie sul suo collo.

Non siamo mai stati così vicini e sento che sto per impazzire.

Uno, due, tre respira.

Fisso ostinatamente i suoi piedi troppo spaventata all'idea di sbagliare qualcosa ma la sua voce mi rassicura.

«Sai che le possibilità di pestarmi i piedi ballando così lentamente sono minime?» mi prende in giro.

È sufficiente per farmi tornare gli occhi su di lui.

Quasi non vorrei averlo fatto perché avere il suo viso a così poca distanza dal mio mi sta spingendo a pensieri innominabili.

Del tipo che vorrei che fossimo ancora più vicini.

Mi schiarisco la gola, tanto per fortuna non può sentirlo con la musica così alta.

«Mi fai meno maldestra di quanto sono»

Ride sommessamente.

«Ci sono ancora tante cose che non so di te Amanda» 

Qualcosa nel mio cervello scatta e di colpo mi viene in mente una domanda che volevo già fargli da tempo.

«Perché mi chiami sempre Amanda?» 

Inarca le sopracciglia perplesso.

«Non è il tuo nome?»

«Sì, ma tutti mi chiamano Amy. Tu invece mi chiami sempre con il nome completo»

Forse può sembrare una scemenza ma non è la prima volta che ci faccio caso.

Michele rimane in silenzio, vedo che prova a darmi una risposta ma è come se fosse titubante.

Alla fine però si decide.

«Sai il significato del tuo nome, no?» chiede.

Annuisco semplicemente.

«Colei che deve essere amata» traduce anche se già lo sapevo, «Credo sia un bellissimo nome, e non mi va di rovinarlo con dei nomignoli»

Spero che le luci del locale stiano coprendo la combustione facciale che si sta espandendo sul mio viso.

Apro la bocca per parlare ma non so cosa dire. 

Questa sua risposta mi ha destabilizzata.

Le sue mani su di me, il suo sguardo nel mio, le mie braccia intorno al suo collo mi stanno confondendo sempre più e non riesco a capirci niente. 
Mi sembra di impazzire e di perdermi nel verde dei suoi occhi, sono in una bolla da cui non voglio più uscire. 

Voglio che questo momento duri per sempre, con lui che ripete all'infinito "colei che deve essere amata".

C'è solo una cosa che l'istinto mi suggerisce di fare ma non posso.

E capisco di essere fregata davvero.

Cazzo.

Ma non ho nemmeno il tempo di processare l'enorme catastrofe che si è abbattuta su di me perché un corpo mi viene letteralmente addosso.

«Amanda!» 

È Laura che si è aggrappata alle mie spalle per evitare di cadere.

Ho solo il tempo di trattenerla e vedere i suoi occhi annacquati prima che mi vomiti addosso.

Mi sa che Vittoria non potrà più indossare questa gonna.

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Capitolo 16
*** Promessa ***


Se c'è una cosa che ho capito nell'ultimo mese è questa: feste e alcool non vanno d'accordo. 

Mai. Soprattutto con i miei amici.

Nella testa rivivo la scena a rallentatore; avverto le mani di Laura che si aggrappano alle mie spalle, vedo Michele farsi avanti per aiutarmi a sorreggerla, sento la mia amica sbilanciarsi, provare a fermarsi. 

E poi la vedo vomitare. Precisamente addosso a me.

Non è una bella immagine. E posso confermare che non ha nemmeno un buon'odore.

Per un attimo resto così sconvolta che non emetto un fiato.

Il mio sguardo si posa sulla gonna che mi ha prestato Vittoria e devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non vomitare anch'io. 

Ok Amanda fai un respiro profondo e cerca di trattenere i conati.

Non aiuta che metà dei miei pensieri siano ancora incentrati sulla realizzazione che mi è piovuta addosso come un missile terra-aria.

Ecco, alla sola idea viene da vomitare anche a me.

In questo momento vorrei tanto essere Giulietta per prendere un bel sonnifero potente e fingermi morta. Almeno smetterei di pensare.

«Oh cazzo!» è l'elegante commento di Vittoria appena ci raggiunge.

Lo direi anch'io se non avessi paura di aprire bocca e fare la stessa fine di Laura.

Michele intanto la tiene ancora stretta fra le braccia per evitare di farle sbattere la testa al suolo.

Sono messa così male che la sto invidiando.

Amanda smettila non è il momento!

«Cosa diavolo è successo?» urla Vittoria avvicinandosi pericolosamente alla chiazza di vomito per terra.

Fortuna che ha i riflessi pronti come una pantera e la scansa con grazia, per poi affiancare Michele e aiutarlo a sorreggere Laura.

Decido saggiamente di non rispondere.

«Amanda?!» mi richiama però lei.

Faccio un cenno con la testa per farle capire che non posso parlare. Mi guarda confusa non interpretando il mio silenzio. 

Non capisce che qui c'è il serio rischio di mettere in atto una scena splatter, solo che al posto del sangue ci sarà la mia cena sulle pareti.

A peggiorare la situazione ci pensa Alessandro che individuando le nostre figure si avvicina quasi correndo.

«Oh cazzo!» esclama appena gli si presenta la scena davanti.

E siamo a due.

Non appena nota Laura mezza svenuta tra le braccia del suo migliore amico sgrana gli occhi e impallidisce.

Sembra quasi preoccupato.

Le si avvicina cautamente ma appena le è di fianco Laura rinsavisce come la bambina dell'esorcista.

«Non mi to-toccare!» urla, o almeno ci prova dato la voce impastata e balbettante.

Poi scoppia a piangere.

Ci mancava solo la sbronza triste.

Alessandro sembra ancora più sconvolto e automaticamente fa due passi indietro.

Interverrei se non avessi questo piccolo problema e se la testa non iniziasse a farmi male.

«Cosa diavolo le hai fatto?» gli inveisce contro Vittoria.

Sembra una mamma orsa che difende i suoi cuccioli.

«Niente!» risponde Alessandro esterrefatto.

«L'hai fatta ubriacare tu?» continua come se non l'avesse sentito.

Gli si avvicina rabbiosamente puntandogli il dito contro.

«No!» nega lui.

Vic marcia verso di lui costringendolo ad indietreggiare leggermente.

«L'hai costretta contro la sua volontà?» 

«Cazzo, ma sei impazzita?!» si innervosisce il mio amico.

La situazione sta decisamente degenerando in fretta e provo a trovare una rassicurazione in Michele. Quando mi volto verso di lui però lo becco già a fissarmi. 

Oddio chissà quanto faccio schifo in questo momento.

«Non sono impazzita, so solo che quando Laura sta male è sempre per colpa tua!» continua intanto la mia amica alzando i toni.

Ale non parla per alcuni secondi, colpito da queste parole. Vittoria non ha torto ma non può biasimare Alessandro per le azioni di Laura. 

Ma sarebbe inutile provare a farla ragionare in questo momento.

Alessandro si passa le mani tra i capelli tirandoli nervosamente e prova a calmarsi.

«Non sono stato io a darle da bere ma quei deficienti che ci provavano con lei»

Indica con un gesto stizzito della mano verso il bancone, ma c'è decisamente troppa gente per individuare le persone di cui sta parlando.

«Ho provato ad allontanarla da loro ma non ha voluto sentire ragioni» conclude con un sospiro.

«E dovremmo crederti? Laura è praticamente astemia! E non accetterebbe mai da bere da degli sconosciuti» 

Vittoria non demorde e non ho nemmeno la forza di spiegare che Alessandro non la farebbe mai e dico mai ubriacare.

È irresponsabile solo con se stesso.

«Beh, lo ha fatto!» risponde Alessandro decisamente arrabbiato adesso.

Michele intanto non ha smesso di guardarmi e percepisco i suoi occhi addosso come una sciarpa calda in una fredda giornata invernale.

Ricambio il suo sguardo e non so cosa legge nel mio viso, ma qualsiasi cosa sia lo spinge ad intervenire.

«Adesso basta, smettetela!» esclama con tono perentorio zittendoli.

I miei due miglior amici smettono di guardarsi in cagnesco e gli rivolgono la loro attenzione.

«Vittoria, Alessandro non farebbe mai nulla di tutte le cose di cui lo hai accusato, e lo sai anche tu»

Vittoria presa in contropiede abbassa lo sguardo non contraddicendolo.

Infondo ne è consapevole anche lei, è solo il suo modo di gestire la preoccupazione per Laura.

«Siamo tutti molto agitati, ma non è questo il momento di litigare» va avanti Michele.

Mi lancia un'occhiata veloce per poi riprendere a parlare.

«Forse non lo avete notato ma Laura è quasi totalmente incosciente e Amanda è ricoperta del suo vomito»

Immediatamente sento la mia faccia prendere fuoco.

Meno di mezz'ora fa ho realizzato che Michele non mi è indifferente come speravo, e adesso ricorderò sempre questo momento con lui che mi indica mentre verso in condizioni pietose.

Fantastico.

«Adesso portiamo Laura in bagno, proviamo a darle una sistemata e poi la riportiamo in albergo» conclude Michele pratico.

L'unica cosa che posso fare è annuire. Voglio solo darmi una ripulita, riportare la mia amica nella nostra stanza e poi sotterrarmi al centro della terra per non vedere più la faccia di Michele.

«Ma come facciamo con i prof? Se la vedono così rischia una sospensione e non possiamo di certo tornare in hotel per conto nostro» interviene Vittoria.

Ha pienamente ragione.

Laura non riesce nemmeno a reggersi in piedi ed è già tanto che abbia smesso di piangere preferendo appoggiarsi alla spalla di Michele e chiudere gli occhi.

Quanto vorrei farlo anch'io.

Esausta mi scosto la frangetta che continua a incastrarsi tra le ciglia e provo a cercare una soluzione.

Al momento però non mi viene in mente nulla.

«Ci serve un diversivo» borbotta Alessandro catturando la nostra attenzione.

«Cioè?» gli chiede Michele.

«Tu resta con loro, al resto ci penso io» 

Fa per allontanarsi ma Michele lo blocca per un braccio tenendo Laura ancora semi incosciente per l'altro.

«Cosa vuoi fare?» gli chiede preoccupato.

Alessandro fissa la sua mano e tentenna per un momento.

«Quello che so fare meglio» vaga per pochi secondi con lo sguardo su Laura, le guance sporche di trucco e lacrime, per poi ritornare sul suo migliore amico, «Vado a distruggere qualcosa»

«Ale...»

«Pensa a prenderti cura di loro, per favore» lo interrompe.

Michele resta in silenzio per un attimo ma poi annuisce.

«Sai che lo farò»

Si scambiano un ultimo sguardo poi Alessandro si allontana.

Guardando le sue spalle allontanarsi avverto una brutta sensazione allo stomaco e registro per bene le sue parole.

Che vuol dire che vuole distruggere qualcosa? E se si mettesse davvero nei guai?

Vorrei inseguirlo e pregarlo di non fare stupidaggini ma la folla lo ha già risucchiato nella sua mischia.

E io sono ancora ricoperta di vomito.

«Dai, andiamo» Vittoria mi prende la mano e mi allontana dalla pista.

Con al seguito Michele e Laura (che cammina a fatica) raggiungiamo i bagni solo per trovare una fila sconcertante.

Ovviamente tra le tante seccature che subiamo noi donne dobbiamo anche includerci le file chilometriche ai bagni.

Con l'imbarazzo alle stelle mi accorgo anche di alcune ragazze che si voltano nella nostra direzione con sguardo confuso che poi passa a disgustato quando mi notano. Non che le biasimi, non emano esattamente un buon profumo.

Ma resta comunque imbarazzante.

In particolare una ragazza bionda poco più avanti di noi ci fissa con una certa insistenza. Cerco di non guardarla troppo ma sento i suoi occhi sondarci con un'attenzione quasi maniacale.

Sarei tentata di andare da lei e di intimarla di smetterla ma è solo dopo qualche minuto che capisco che non sta guardando me ma il ragazzo alle mie spalle.

Mi volto verso Michele e i miei dubbi vengono confermati.

Anche Michele la sta guardando. 

Nei suoi occhi leggo sorpresa misto a qualcosa che non riesco a decifrare.

Ritorno con lo sguardo sulla ragazza e la studio con più attenzione.

Deve avere la nostra età più o meno, ed è vestita in modo impeccabile ed elegante nonostante siamo in un locale non propriamente chic. 

Ha dei capelli biondissimi e liscissimi, occhi verdi da gatta e dei lineamenti che la fanno assomigliare a una specie di regina delle nevi.

La cosa che mi salta all'occhio però è l'aura che emana, quasi regale.

Se mi dicesse di essere una principessa di un paese ignoto, non mi stupirei.

Mi volto nuovamente a guardare Michele e noto che non le ha ancora staccato gli occhi di dosso. Sento il suo corpo rigido alle mie spalle ed è come se si fosse completamente bloccato.

Entrambi si guardano per un minuto buono senza proferire parola, mentre io sento crescere in me un sentimento che non ho mai provato prima.

Il fatto che questa ragazza sia bellissima mentre io sono qui davanti a lui ricoperta dai resti della cena di Laura non aiuta di certo.

Qualcuno mi faccia diventare la Donna Invisibile.

Proprio quando la ragazza accenna un passo nella nostra direzione Michele mi stringe un braccio e mi allontana.

«Andiamo nel bagno dei maschi» proferisce con tono singolare.

Provo a ribattere ma non me ne da il tempo.

Mi prende la mano e mi trascina via con Vittoria che è costretta a seguirci senza capire perché.

Mi guarda perplessa e in risposta alzo le spalle confusa quanto lei. Non so cosa sia preso a Michele ma infondo non mi dispiace allontanarmi da quella sottospecie di Margot Robbie adolescente.

Raggiungiamo il bagno dei maschi e per fortuna troviamo solo due ragazzi in fila che ci guardano sconcertati , ma almeno non mi fissano nauseati .

Anche perché non è che profumi di acqua di rose qui dentro.  

Dopo che entrambi se ne vanno Michele chiude la porta principale del bagno e con l'aiuto di Vittoria accompagna Laura in uno dei cubicoli.

«Non mi sento bene» si lamenta la mia amica.

Dopo il pianto isterico di prima è entrata in una fase di mutismo e mugolii non ben distinti, forse perché il suo stomaco si sta rivoltando come un calzino in una lavatrice.

«Lo sappiamo Laura, stai tranquilla» la rassicura Vittoria.

Pratica prende l'elastico che porta al polso e lega i capelli di Laura in una coda spettinata.

Io intanto vado verso i lavandini e mi do una ripulita. Altri cinque minuti così non li reggo.

Mi sciacquo la faccia con acqua gelata e prendo un respiro profondo.
Cerco di metabolizzare quello che è successo negli ultimi venti minuti.

Laura si è ubriacata.

Mai mi sarei immaginata il giorno in cui l'avrei vista in questo modo. Quello che mi spaventa di più è come si sia lasciata offrire da bere da degli sconosciuti.

Di questi tempi è una delle cose piu pericolose che si possa fare.

Non me ne riesco a capacitare.

Alle mia spalle sento Vittoria mormorare un  «Ci penso io» a Michele per poi chiudere la porta della toilette.

Alzo la testa e attraverso lo specchio vedo il riflesso del ragazzo che mi sta dando il tormento.

Ha le spalle leggermente ricurve, e anche se solo di profilo riesco a vedere quanto sia perso in un mondo tutto suo.

Non gli ho mai visto questa espressione sul viso.

Non è preoccupazione, almeno non solo.

È come se fosse da un'altra parte, in un'altra dimensione.

E se c'entrasse la ragazza di prima? Forse sta pensando a lei.

Ma qualcosa dentro di me mi dice che non è così.

Non so quanto tempo resto a contemplarlo, a cercare di capire cosa gli passi per la testa, ma quando si volta verso di me resto comunque impreparata.

I suoi occhi incontrano i miei nello specchio, ma non scosto lo sguardo e non faccio finta di non essere stata beccata in pieno.

Sarebbe del tutto inutile.

Lentamente mi si avvicina, e quando mi arriva alle spalle sento un brivido correre lungo la schiena.

Cerco di mantenere un'espressione neutra ma dentro mi sento soffocare. Ci guardo e il nostro riflesso non potrebbe essere più diverso.

Lui è come sempre impeccabile, nonostante le ore in pista e il caldo del locale.
Non un capello è fuori posto, solo la camicia è leggermente stropicciata e noto anche una piccola macchia nera sulla sua spalla sinistra.

Probabilmente gliel'avrà lasciata Laura mentre piangeva.

Io invece sono un disastro.

I capelli accuratamente piastrati sono diventanti nuovamente gonfi a causa del sudore, la frangetta è sparata in tutte le direzioni e ho del trucco sbavato sotto agli occhi dopo aver avuto la geniale idea di sciacquarmi il viso senza fare attenzione.

Per non parlare dei vestiti inevitabilmente rovinati.

Mi sento così umiliata, anche se so che non è colpa mia.
Non riesco ad accettare quello che ho capito su quella pista mentre ballavamo, anzi non voglio accettarlo. Averlo così vicino mi destabilizza solo di più.

E mi fa sentire una stupida.

Sono anni che faccio da Cupido nella mia scuola, e mai mi è successo di provare qualcosa per un ragazzo che ho aiutato.

Nel momento stesso in cui mi vengono a cercare è come se mi creassi un muro virtuale che mi impedisce di infatuarmi di loro.
È un rischio che non mi sono mai concessa, e fino ad ora sono sempre stata convinta che fosse accaduto perché sono pretenziosa.

Non mi basta che un ragazzo sia carino, vado oltre l'aspetto fisico perché non riesco a sciogliermi con facilità se non conosco bene una persona.

Vittoria mi ha sempre rimproverata per questo, mi ha sempre consigliato di vivere la mia adolescenza con più scioltezza, di fare le mie esperienze senza metterci troppo sentimento, giusto per sperimentare.

E io mi sono sempre rifiutata.

Ripensandoci forse, aveva ragione lei.

Se avessi avuto le mie avventure non mi sentirei così impacciata in questo momento.
Probabilmente non proverei nemmeno attrazione per Michele e...altro.

Non riesco neanche a pensarlo.

Ancora un po' frastornata prendo un fazzoletto di carta e mi tampono gli occhi cercando di ripulirmi il viso. Sembro appena uscita da un film di Halloween.

Michele dietro di me mi osserva in silenzio aumentando il mio disagio.

«Stai bene?» chiede a un certo punto con calma.

Con gli occhi bassi annuisco.

«Mi dispiace» borbotta sottovoce.

Mi volto verso di lui stranita.

«Di cosa?»

«Che Laura ti abbia vomitato addosso» 

Imbarazzata sento nuovamente le guance arrossire, ed è proprio guardandolo meglio in viso e vedendo quanto stia cercando di trattenere il sorriso, che capisco che mi sta prendendo in giro.

«Ti diverte proprio mettermi in imbarazzo, eh?» sto al gioco.

«Oramai ci ho preso gusto. La vedo come una sfida personale» 

Sorride, adesso.

E io muoio dentro.

«E la sfida sarebbe farmi arrossire ogni volta?» 

«Hai iniziato tu»

Cerco di reprimere un sorriso, ma mi è impossibile.

«E non hai intenzione di perdere, presumo»

«Mai»

Non mi sarei aspettata risposta diversa.

La serietà nella sua voce mi fa scoppiare a ridere, e farlo dopo una serata disastrosa come questa è un vero regalo.

«Grazie» gli dico infatti.

«Di cosa?» chiede confuso lui questa volta.

«Di star aiutando Laura. E di starmi distraendo»

Non dice nulla, ma non ho bisogno di una risposta.

D'improvviso si fa di nuovo serio.

Un cipiglio gli si forma sulla fronte e quello sguardo perso ritorna nei suoi occhi.

«È la prima volta che Laura si ubriaca in questo modo?»

«È la prima volta che si ubriaca in generale» specifico.

La mia risposta però non gli basta.

«Quindi di solito non beve?»

Confusa nego col capo. Non capisco il perché delle sue domande.

«È praticamente astemia»

Nonostante la mia conferma, i suoi occhi sono ancora in quel mondo a cui solo lui ha accesso.

Perché non riesco mai a leggerti Michele?

Mi sento però in dovere di rassicurarlo.

«Senti, lo so che da fuori è una brutta scena ma ti assicuro che è già tanto se Laura beve spumante a Capodanno. Non so cosa le sia preso, ma sono abbastanza convinta che non lo farà più. E infondo a tutti una volta nella vita capita di prendere una bella sbronza, no?» cerco di buttarla sull'umorismo.

L'espressione di Michele si fa ancora più cupa.

«Già» 

«Beh oddio, a me non è mai successo ma io sono un caso disperato. Vittoria ogni tanto mi suggerisce di provare qualche drink particolare ma non ce la faccio proprio. Mi fa proprio schifo, anzi non capisco cosa ci trovino le persone nell'alcol. Fa bruciare la gola, ha un saporaccio ed è difficile da...» 

Continuo a parlare quasi senza prendere fiato per poi bloccarmi quando vedo tornargli il sorriso sul viso.

Da cupa la sua espressione passa a divertita e...intenerita.

Può essere? 

Oddio probabilmente mi sta prendendo ancora una volta per una povera scema.

Il modo in cui mi sta guardando adesso però mi destabilizza. 

C'è un intensità che mi ruba il fiato, che mi fa ritornare su quella pista, quando eravamo solo io e lui e nessun altro.

«Che c'è?» mi ritrovo a chiedergli.

Scuote la testa come in trance.

«Nulla, è che mi fai ridere» spiega semplicemente.

Wow, questo sì che è un punto a favore per la mia autostima.

Praticamente sono un pagliaccio.

«Ed è raro che qualcuno ci riesca» continua però seriamente guardandomi dritto negli occhi.

Amanda non arrossire. Non. Arrossire.

Mi faccio pena da sola.

«Questo è un altro tentativo di mettermi in imbarazzo?» provo a scherzare. 

Michele però nega col capo, i suoi occhi ancora mi scrutano.

«No, è semplicemente un dato di fatto»

Il suo sguardo si fissa poi su un punto del mio viso.

Si allontana leggermente e prende anche lui un fazzoletto di carta e prima che possa realizzare cosa stia facendo, lo posa sulla mia guancia strofinando con leggerezza.

«Sei sporca di trucco» spiega ma quasi non lo sento. 

Il respiro si blocca, e sgrano gli occhi impreparata alla sua vicinanza e al suo tocco.

Michele invece sembra tranquillissimo.

Continua a tamponare, concentrato su quello che sta facendo. 

Io invece resto a fissarlo paralizzata.

Mi domando come potrò andare avanti così. Se è questo l'effetto che mi fa stargli vicino come farò ad aiutarlo con Rebecca?

Il solo pensarci mi fa ritornare la nausea.

Finita la sua operazione, butta il fazzoletto ma non si allontana.

Perché non ti allontani?

Resta immobile, silenzioso e pensieroso.
Quando ritorna con gli occhi nei miei ci leggo una indecisione che non gli appartiene.

«Amanda, devo dirti una cosa» inizia sorprendendomi.

Il suo tono mi scombussola e mi fa preoccupare.

«Cosa?» sussurro.

Un tonfo però ci distrae.

Entrambi sobbalziamo e ci avviciniamo di corsa al cubicolo in cui sono Vittoria e Laura.

Spalanchiamo la porta e le troviamo entrambe con il sedere per terra.

Vittoria, schiacciata sotto il peso di Laura ci guarda senza fiato.

«Mi date una mano a sollevarla?» 

***

Dopo altri venti minuti passati in bagno Laura finalmente si riprende un pò. Non è ancora del tutto lucida ed è spaventosamente pallida in viso, ma almeno riesce a camminare sulle sue gambe.

Quando usciamo e ritorniamo nella sala principale mi rendo conto però che è scoppiato il caos.

Noto subito i nostri compagni di scuola ammassati in un angolo insieme ai nostri professori.

Sono tornati decisamente troppo presto dal ristorante. Qualcosa non va.

Alessandro è il mio primo pensiero. E infatti non mi sbaglio.

Lo intravedo subito tra la gente, circondato dalla Prof Rossi, il Prof Parisi e con mia somma preoccupazione anche dalla Prof Colombo.

Tutti e tre hanno un'espressione grave sul viso, in particolare Colombo sembra pronta a prendere una pistola dalla borsa e ucciderlo.

Michele al mio fianco notando la scena corre verso di lui mentre io mi avvicino con Vittoria e Laura, ma decido di restare in disparte.

Anche se leggermente lontano vedo chiaramente la Prof Colombo perdere le staffe.

«In più di dieci anni in questa scuola non ho mai visto uno studente così indisciplinato! Addirittura scatenare una rissa in una gita! Mancini lei è in un mare di guai e le posso giurare che questo gesto non resterà impunito!» Colombo urla così forte che anche le altre persone nel locale si voltano a guardarla.

Appena registro le sue parole strabuzzo gli occhi sbalordita.

Alessandro è sempre stato impulsivo, ma nemmeno lui è così stupido da fare a botte con i nostri professori a poca distanza.

Il mio sguardo vaga per la pista e noto un ragazzo più grande di noi tenersi il naso con una mano insanguinata. Il suo sguardo è posato proprio sul mio migliore amico e definirlo assassino è riduttivo.

Al suo fianco altri due ragazzi si godono divertiti la scena.

Ci metto un attimo a collegare i punti ma alla fine ci arrivo.

Quelli sono i ragazzi che hanno dato da bere a Laura.

E Alessandro ha picchiato uno di loro.

Per distrarre i nostri prof. E proteggere Laura.

Una parte di me vorrebbe schiaffeggiarlo  per la sua scemenza, ma il suo piano funziona.
Dieci minuti dopo infatti i prof ci fanno andare via e nonostante sia palese che Laura non sia in forma, non ci fanno nemmeno caso, troppo presi a sgridare Alessandro.

Non riesco a credere che l'abbia fatto sul serio. Rischia seriamente un'espulsione e non oso immaginare cosa faranno i suoi genitori.

Prima di uscire dal locale lo individuo nuovamente nella folla accanto a Michele.

Quest'ultimo gli posa una mano sulla spalla e stringe leggermente come per rassicurarlo.
Alessandro però ha uno sguardo funereo e non posso biasimarlo.

Correrei da lui ad abbracciarlo ma non posso. 

Spinta dai miei compagni mi avvio verso l'uscita ma prima di varcare la soglia avvisto la ragazza bionda del bagno.

I suoi occhi sono fissi su Michele.

***

Una volta tornati in albergo siamo tutti spediti nelle nostre stanze.

Dopo aver fatto una doccia aiuto Laura a lavarsi e a mettersi il pigiama per poi accompagnarla a letto.

Si addormenta subito.

Mi perdo qualche minuto a guardala, immaginando cosa l'abbia spinta a comportarsi così.

Forse voleva semplicemente svuotare la mente per una volta.
So già però che domani le conseguenze del suo gesto la tormenteranno.

È troppo ligia alle regole per non essere così.

E non so come reagirà quando saprà cosa ha fatto Alessandro per lei.

Mando un messaggio al mio amico chiedendogli come sta ma resta non visualizzato.

Quando siamo tornati in hotel i professori l'hanno preso in disparte e immagino che siano andati ad avvertire i suoi genitori.

Mi si stringe lo stomaco al pensiero di come lo puniranno. Proprio adesso che si stava sforzando di andare bene a scuola.

Stanca mi metto anche io a letto e provo a mandargli un altro messaggio.

Anche questo rimane non visualizzato.

Mi giro e rigiro nel letto ma non riesco a prendere sonno.

Ho troppi pensieri per la testa.

Laura, Alessandro e anche la ragazza bionda che abbiamo incontrato al locale.

Chi è? E perché fissava Michele così insistentemente?

Di norma penserei semplicemente ad una ragazza che ammira un bel ragazzo. Non è di certo la prima volta che Michele attira l'attenzione con il suo aspetto.

Ma è il modo in cui si è irrigidito quando l'ha vista ad avermi fatto capire che c'è dell'altro.

La conosce.

Forse è una delle sue vecchie conoscenze di qui. Magari una sua ex compagna di scuola.

Ma perché non salutarla in quel caso?

Un leggero bussare alla porta mi ridesta.

Perplessa mi alzo dal letto e quando apro la porta mi trovo proprio lui davanti.

«Michele!» esclamo sorpresa.

Per poco non gli chiudo la porta in faccia quando mi ricordo di aver indosso il pigiama con i fiorellini comprato da mia madre.

Pazienza, oramai mi ha vista ricoperta di vomito figuriamoci se si scandalizza per una pigiama.

Michele infatti non sembra nemmeno farci caso dato che resta focalizzato sul mio viso.

«Scusami se ti disturbo, volevo aggiornarti su Alessandro» 

La sua accortezza nei miei riguardi quasi mi commuove.

Deve aver immaginato quanto sono preoccupata per lui ed è venuto qui nonostante non sia proprio il caso farsi trovare in giro dopo il casino di stasera.

«Parliamone fuori, Laura sta dormendo»

Prendo la chiave poggiata sul comodino e chiudo la porta cercando di fare meno rumore possibile.

Una volta in corridoio la sua figura mi appare più nitida.

Indossa ancora gli stessi abiti, probabilmente non è nemmeno tornato in camera.

Con mio sommo sgomento, dato quanto ci tiene a non stropicciarsi mai i vestiti, lo vedo sedersi a terra sulla moquette e poggiare la schiena al muro.

In silenzio decido di imitarlo.

«Come sta Laura?» mi chiede.

«Meglio» lo rassicuro.

Mi prendo qualche secondo prima di chiederglielo.

«Alessandro?» non resisto più.

Michele si scosta i capelli in un gesto nervoso e fissa la parete dinanzi a sé.

«I prof hanno chiamato i suoi genitori»

Lo immaginavo.

«Hanno detto che sarà la preside a decidere quali provvedimenti adottare. Probabilmente non rischia l'espulsione ma dubito che non sarà sospeso»

Non cosa dire. Mi sento completamente inutile.

«Tu l'hai visto?»

«L'ho aspettato fuori la sua stanza»

«E come stava?»

Non mi risponde ma non ce n'è bisogno. La mia è una domanda stupida.

Chiudo gli occhi e provo a capire cosa posso fare per lui.

Non riesco a starmene con le mani in mano, mi fa stare male. 

«Michele se Alessandro continua così rischia di perdere l'anno» sussurro dopo poco.

Immaginarlo mi spaventa. Dopo la storia che mi ha raccontato di Milano non mi stupirei nemmeno se i suoi genitori lo spedissero in un collegio.

Michele mi guarda di nuovo. Sa che ho ragione. Probabilmente sa anche tutta la sua storia.

«Perché i nostri amici si mettono sempre nei guai?» continuo ancora.

Ride leggermente, ma capisco che anche lui è preoccupato.

Vedo in lui lo stesso senso di sconfitta che sento anche io.

Alessandro è anche il suo migliore amico e so che si vogliono bene come fratelli.

«Non lo so, Amanda. L'unica cosa che so è che noi li aiuteremo sempre»

«E se non riuscissimo ad aiutare Alessandro?»

«Ce la faremo»

Il suo tono è così fermo che riesce quasi a convincermi.

La sicurezza che mi trasmette questo ragazzo è uno dei motivi che mi spinge ad avere paura di lui e dei miei sentimenti. Al momento però sono troppo stanca per combatterli.

Proprio per questo appoggio la testa alla sua spalla in cerca di conforto. 

Sento che lui è l'unico che può capirmi.

«Me lo prometti?» sussurro.

Parlo a voce così bassa che temo non riesca a sentirmi.

Michele però mi prende la mano facendo schizzare i miei battiti a mille e la stringe forte.

Nel silenzio di questo corridoio lo sento rispondermi.

«Te lo prometto»

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