l'ultima volta

di anitavecchierellii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** nobody queues for a flat rollercoaster ***
Capitolo 2: *** SEI IN TESTA COME UN PEZZO IN RADIO ***



Capitolo 1
*** nobody queues for a flat rollercoaster ***


Chi farebbe la fila per una montagna russa piatta? Nessuno, solo degli stupidi. Il fatto è solo uno: quando sei su quel blue tornado di Gardaland, prima di iniziare la discesa, pensi a chi te l’abbia fatto fare, vorresti scendere, ma poi la discesa inizia inesorabile e li l’adrenalina sale e ti rendi conto di quanto il tuo pensiero di desiderare che si appiattissero di colpo prima della forte discesa era un pensiero al quanto stupido. Sotto sotto, ma nemmeno troppo sotto, la mia storia d’amore, la più grande storia della mia intera vita, era cosi: una montagna russa e nemmeno una di quelle semplici. Era alta, difficile e lunga, con giri della morte, salite ripidissime e discese spaventose. Niente che qualcuno potesse desiderare, vista dall’esterno, ma dopo tutti questi anni sono convinta ancora del fatto che la nostra montagna russa fosse unica e speciale, non come quelle di tutti. L’intesa nei nostri sguardi, la complicità e l’amore unica, le litigate feroci e l’amore che facevamo, i periodi di crisi e i periodi in cui tutto andava bene, davvero bene era qualcosa di speciale, non ho mai visto negli occhi di nessun’altra coppia quello che io vedevo nei nostri occhi. Non avevamo mai un periodo normale, o tutto andava estremamente bene, come una delle miglior favole, o tutto andava male, non avevamo vie di mezzo in niente. Ma d’altronde, in una montagna russa anche la fila ha la sua importanza: l’attesa del piacere è essa stessa piacere, quei momenti prima di iniziare qualcosa di uovo e spettacolare, che comunque vada lascerà un ricordo indelebile, bello o brutto che sia. Come tutto, però, anche le montagne russe migliori hanno una fine, un momento in cui ci si slaccia e si tirano le somme di come sia andato il viaggio, perché prima o poi bisogna scendere. Talvolta si rimane legati a quella particolare montagna russa e risulta difficile, talvolta impossibile slegarsi del ricordo di lei quando finisce, ma si scopre poi, con il tempo, che è necessario anche se è difficile e anche se non ci sii slegherà mai del tutto da lei. Perché ho parlato di montagne russe? Beh, perché come ho già detto, è la metafora più appropriata per descrivere la elazione più bella e importante della mia giovanissima e brevissima esistenza. Ho sempre creduto nell’amore, fin da bambina. Una bimba che gioca con le bambole e sogna di sposarsi, da gande, con il suo abito bianco e il principe azzurro delle favole. Quando si cresce, il sogno non svanisce, ma cambia, si avvicina e spaventa, forse. Inizia a diventare tutto così reale in così poco tempo che non ce ne rendiamo davvero conto. L’ultimo anno di liceo io ero immersa i tutti i casini che una ragazza di 18 anni può avere, stavo male, non me ne andava mai una giusta. Con il tempo, però, ho imparato che nessuno a 20 anni sta davvero bene, e l’ho imparato a mie spese. Insomma, innamorarsi non è mai sato il mio forte, devo essere sincera, ma quella volta, quella sola volta, in cui è accaduto è stato travolgente, spaventoso, emozionante. Solo chi ha provato un vero amore sa di cosa sto parlando. Ricordo bene ciò che mi sentivo dire su di noi: eravamo unici, rari, tutti ci dicevano che quello che vedevano nei nostri occhi quando ci guardavamo, quando parlavamo l’uno dell’altro, on era frutto di un amore normale. E adesso che è finito so che avevano ragione: l’ostro amore era unico e irripetibile. Il fatto è che questo tipo di amore non è mai semplice, anzi. È sempre complicato, ma soprattutto è sempre doloroso. Il fatto che l’amore facesse male l’avevo già messo in conto, ma non avrei mai pensato di provare tutto questo dolore. Io, Nicole, ho conosciuto il grande amore della mia vita a 18 anni. Un po' giovane, forse, sicuramente inesperta in materia, e anche un filo ingenua, se vogliamo. Non avevo mai avuto nessuno di così speciale prima di lui. E questo lui ha chiaramente un nome: Diego, 20 anni e due bocciature alle spalle perché non frequentava mai le lezioni, troppo tardi ho scoperto il motivo.

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Capitolo 2
*** SEI IN TESTA COME UN PEZZO IN RADIO ***


La mia classe era estremamente piccola: 15 anime, stanche e affaticate dalla preparazione a quell’esame di maturità che tanto ci faceva paura. La prof. Di fisica alle prime due ore dei freddi e spenti lunedì mattina di dicembre era una torturi credibile, nonostante dalla grande finestra che si affacciava sulla città, Firenze, entravano già di mattina presto tutti i colori delle luci natalizie che già da tempo avevano invaso tutte le vie e tutti i negozi. La mia compagna di banco, Elena, ed io non abbiamo mai nemmeno provato ad ascoltar una lezione che fosse una della materia, già ci avevamo rinunciato, e cosi passavamo le due ore a raccontarci il weekend scrivendo sul banco bianco e ruvido a matita, scambiandoci di tanto in tanto qualche occhiata di rimprovero o qualche smorfia divertita. Il mio weekend era stato piuttosto tranquillo: ero uscita a prendere un aperitivo con le solite amiche, al solito bar per poi finire a fare il solito giro per Firenze, niente di troppo speciale, insomma. Elena aveva sempre qualcosa da raccontare: sbronze, ragazzi, discoteche, solite serate da diciottenne, insomma. Solo dopo venti minuti dall’inizio della spiegazione sull’elettrodinamismo, la porta si spalanca quasi di colpo e entra Diego, in ritardo, ma almeno questa volta aveva deciso di presentarsi. Aveva gli occhi stanchi e arrossati i capelli scuri spettinati e la giacca aperta, messa di fretta. Non apre bocca e si infila al suo banco in ultima fila, esattamente dietro di me. Non aveva nessun compagno, non era esattamente un ragazzo socievole. Parlava poco e mai di cosa gli passasse per la testa. È strano, visto dal fuori, e mi sono sempre chiesta come mai si tenesse così chiuso in sé stesso, sembrava non gli interessasse di nulla, né di questioni scolastiche e nemmeno di questioni extrascolastiche. Con il passare dei minuti lo sento sempre più agitato, non capisco il motivo e non penso che qualcuno lo capisse. Lo vedo uscire dalla classe dopo poco tempo, con la felpa che lo copriva fino a metà coscia e quasi lo posso sentire correre via nei corridoi. Non siamo grandi amici, e a dire il vero, nessuno è suo grande amico. è considerato quello “strano”, quello evitato da tutti perché chissà cosa passa nella sua testa, ma se sapessero cosa passa nella mia, non oserebbero più guardarmi nemmeno in faccia. La campanella della fine della prima ora suona e mi dispero al solo pensiero che manca ancora alla fine di questo cavolo di lezione, ma un pensiero mi salta in mente: digo era fuori da quasi mezz’ora. Esco anche io dalla classe e prendo un caffe macchiato, come piace a me, ma non torno subito in classe, anzi mi avvio verso il bagno, dove sento dei respiri profondi, quasi affannati, affranti, che sembrano essere soffocati e mi cheap come nessuno se ne sia accorto fino ad adesso. Busso alla porta dell’unico bagno chiuso, ma non risponde nessuno. Riprovo, con u po' di convinzione in più. Sento muoversi qualcuno, ma nessuno risponde, di nuovo, provo a dire qualcosa. “oi Diego, tutto bene?” Sbatte un pugno9 contro la porta ma non dice nulla. Probabilmente sto solo peggiorando la situazione che già sembra essere una merda, ma riprovo. “oi Diego, aprimi per favore” Continuo. “non diro niente a nessuno, non mi interessa, ma ho bisogno che tu apra sta porta. Non mi interessa se non hai voglia di dire niente, va ben cosi, ma apri.” Attendo fuori ancora per 10 minuti, dicendogli di tanto in tanto che ero nera li. E finalmente decide di aprire la porta. Guardando la disperazione che trapela da tutto il suo corpo mi chiedo che cosa stia succedendo nella sua vita, ma non oso chiederglielo. Si siede per terra, fuori dal bagno, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il volto tra le mani. Lo osservo, cercando di cogliere più dettagli possibili. Noto le nocche tagliate, le mani grandi e secche per il freddo. L’unico momento in cui mi permette di vedere il suo volto è quando toglie le mani per mettersi il cappuccio in testa. Mi siedo accanto a lui senza dire niente. Appena gli appoggio una mano sulla spalla fa uno scatto, come se l’avessi morso. Tolgo la mano e lui mi guarda fissa, con i suoi occhi scuri. “perché ti interessa di me? Torna in classe, ascolta la lezione o fai il cazzo che ti pare.” Non so bene cosa rispondere, ma mentre sto per aprire becca, mi blocca. “non voglio sentire culle stornate del tipo ‘ah ma io ti voglio bene’ perché sappiamo benissimo che non è così. Non ho bisogno di nessuna pietà” Mi innervosisco molto a queste parole “vaffanculo Diego, volevo solo darmi una mano. Sono cazzi tuoi allora. Ciao.” Mi alzo e torno in classe, dove la prof non fa domande e non penso nemmeno che si sia accorta il fatto che Diego non c’è. Elena dorme sul banco da non so quanto tempo, la sveglio per raccontarle cosa è appena successo. ma che cazzo di problemi ha quello? Me lo scrive sul banco. Rispondo che non lo so, ma che vorrei scoprirlo. Te non sei apposto ni La guardo per qualche secondo e poi mi metto anche io a dormire sul banco. Quando tiro su la testa mi accordo che Diego è tornato si è messo nella mia stessa posizione. Lo ignoro per tutto il resto della giornata, che è infinita. Quando finalmente entro in casa mi metto sul letto a guardar Instagram, ricevo un messaggio così inaspettato che quasi mi spavento. Era Diego. Senti, scusa per quello che ti ho detto, sono stato uno stronzo. Non volevo. Grazie comunque. Sono sorpresa da quell’ammissione di colpa che mai mi sarei aspettata da lui. In realtà, non sapevo proprio cosa aspettarmi da uno come lui, non lo conoscevo affatto. Gli rispondo con un semplice non ti preoccupare e inizio a studiare, ma la concentrazione mi manca. Non riesco a smettere di pensare a Diego, e a cosa stesse succedendo nella sua vita. Chiamo subito Camilla, mia sorella, che era nell’altra stanza e le racconto tutto. “perché non ti ho mai sentito parlare di questo?” “è stato bocciato due volte, non parla mai in classe, è uno abbastanza strano. Non è che abbiamo mai parlato molto” “ah perché tu mi vuoi dire che hai mai parlato con qualche tua compagna di classe se non per litigare? Tranne che con Elena, chiaro” “okay hai ragione, ma a paté oggi, con lui non ho mai nemmeno litigato. Non lo capisco e non è da me non capire le persone” Sono sempre stata molto empatica, con tutti, ma alla frase mia sorella scuote i suoi capelli biondi e si gira per prendere il mio telefono “ma ti ha scritto?” “ma sei scema? Ti ho detto di sì” “rilassati Nicole, ho solo chiesto” “si vede perché mamma e papa hanno investito solo sulla mia di istruzione” dico, ridendo. “vaffanculo Nicole” replica lei, fingendosi incazzata ma con la risata pronta sotto i baffi. Riprendo possesso del mio telefono e noto di avere dei messaggi: rima di tutto c’è Elena, a cui avevo ovviamente già scritto, e poi ci sono altri messaggi di Diego, che ovviamente non aspettavo. Senti, so che son stato una merda, ma hai voglia di uscire a bere un caffè? se ti va, io sono a parco delle cascine Fammi sapere Mando lo screen a egena e leggo i messaggi a Camilla. “vacci, cosa te ne frega” “ma come vacci?” “stai studiando? Hai di meglio da fare piuttosto che uscire?” “beh in realtà si, starei studiando.” “ma se è un’ora che sei qua a parlare con m” “ma tu non dovevi essere al lavoro adesso?” Camilla alza gli occhi al cielo e mi salita uscendo dalla stanza, per poi uscire anche di casa. Anche Elena mi ha etto che dovrei uscire, ma non ne sono per niente sicura. Per una volta, però, decido di fare qualcosa che non avrei fatto normalmente. Non sono mai stati impulsiva, ho sempre riflettuto troppo sulle mie azioni, e per una volta, una sola, ho deciso di fare qualcosa di diverso. Metto le scarpe e esco di casa.

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