So Close So Far - Bonus Tracks

di Ananke_ildestino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Ricetta Perfetta ***
Capitolo 2: *** Missing Moment ***
Capitolo 3: *** Maschi che si Baciano ***



Capitolo 1
*** La Ricetta Perfetta ***


Le storie di questa raccolta sono tutte collegate alla long-fic So Close So Far (che potete leggere qui), ma questa one-shot è leggibile anche come stand-alone.


LA RICETTA PERFETTA


Kato ricordava chiaramente il momento in cui Kambe gli aveva fatto quell'assurda richiesta: erano in un momento di pausa dal lavoro, Haru si era appena riaccomodato sui divanetti dell'area relax portando un caffè per sé e per il collega. Kambe era seduto di fronte a lui e sembrava studiare con grande attenzione un tablet di ultima generazione che non gli aveva mai visto prima. Il poliziotto l'aveva osservato incuriosito mentre portava la tazza alla bocca. La sua curiosità venne immediatamente soddisfatta quando con uno scatto Daisuke alzò gli occhi dallo schermo.
- Haru, voglio fare una torta per il tuo compleanno. - gli disse guardandolo con un’intensità che non trapelava dal suo tono.
Kato rimase basito e solo dopo qualche secondo riuscì a proferire un banale - Eh?! -
Kambe non fece una piega - Voglio preparare una torta fatta in casa per il tuo compleanno. Cos'è che non capisci? -
Haru continuò a fissarlo sbalordito. Che il suo ragazzo fosse molto lontano dalla normalità l’aveva capito da tempo, eccentrico era un aggettivo che spesso lo descriveva bene; sapeva inoltre che Daisuke non aveva la minima idea di come accendere un fornello, figurarsi un forno, e ora voleva preparare una torta?!
Vide un sopracciglio del suo partner inarcarsi irritato. Cercò un modo carino di dirgli che forse non era il caso, o che se voleva imparare a cucinare forse era il caso di iniziare con una frittatina.
- Daisuke, perché una torta? Insomma non sei particolarmente abile in cucina... senza offesa... ma forse non sarebbe meglio comprarla come l'anno scorso? -
- No, voglio preparare la torta per il tuo compleanno. -
Quando si fissava era impossibile fargli cambiare idea, ma nel caso specifico doveva tentare il tutto per tutto, oppure Kambe avrebbe potuto far saltare in aria l'intera cucina con lui dentro!
- Daisuke... seriamente, non sai nemmeno da dove iniziare... - provò con tono supplichevole. Non voleva perdere l'uomo che amava in modo tanto stupido.
- Infatti voglio che mi aiuti. - ribatté calmo.
Per la seconda volta rimase bloccato dallo shock. Voleva prendere lezioni di cucina da lui? E su qualcosa che non era nemmeno tra le sue specialità? Per chi l'aveva preso, per il re dei fornelli?
Il miliardario continuò per nulla toccato dalla sua espressione: - So che è inappropriato chiedere aiuto proprio al festeggiato. Ho pensato a eventuali alternative, ma sono giunto alla conclusione che tu sia l'unica e la migliore scelta. -
Al momento poco gli importava per chi fosse quel dolce, era tutta il resto a spaventarlo.
- Ma Daisuke... - tentò un’ennesima protesta, bloccata sul nascere dall'intromissione di Kamei, che voltandosi dalla sua postazione gli aveva quasi urlato: - Eddai Kato, il lavoro di coppia fortifica le relazioni! -
- Ah! Kamei, fatti gli affari tuoi! - gli aveva gridato rabbiosamente di rimando - Se non te ne fossi accorto io e Kambe lavoriamo sempre in coppia! -
Avevano deciso, per mantenere un certo distacco tra la vita privata e quella lavorativa, di continuare a chiamarsi per cognome in servizio. Al solito per il miliardario sembrava una regola facilissima da rispettare, Kato invece faceva spesso confusione. Non era importante comunque, in ufficio tutti sapevano del loro rapporto.
Haru tornò a dare la sua attenzione all'amante, che ora lo fissava lievemente indispettito.
- Dicevamo... - provò a ricominciare, ma si bloccò all'instante quando Daisuke gli piazzò il tablet davanti al viso.
- Voglio fare questa. -
Maledetto testardo! Aveva già dato per scontato che avrebbe accettato!
Sospirò, non voleva litigare con Kambe, men che meno lì davanti a tutti. Lo avrebbe accontentato, si sarebbe reso conto da solo che stava facendo il passo più lungo della gamba. Svogliato guardò la ricetta visualizzata sullo schermo, già il nome della torta in una lingua a lui incomprensibile lo mise in allarme.
Man mano che leggeva iniziò a immaginare diversi scenari disastrosi. Cercò dentro di sé la forza per mantenersi tranquillo: - Daisuke, è troppo difficile, scegline un’altra. -
Lui continuò con quel suo piglio deciso: - Perché no? -
- Te l'ho detto è difficile! - scattò ormai al limite Haru - Avrei difficoltà io! Non sono un gran pasticciere! -
- La torta del mio compleanno era buona. - commentò atono il miliardario, facendo però ricordare momenti che fecero arrossire leggermente le gote del poliziotto.
- La torta del tuo compleanno era più semplice. - borbottò distogliendo lo sguardo. - Comunque ci vogliono o amarene o ciliegie per quella che hai scelto e non è stagione. -
- Posso comprarle, da qualche parte ci saranno. -
Maledetto riccastro, pensava sempre di poter comprare tutto!
- Non vale la pena comprare ciliege fuori stagione! Non sono buone Daisuke! Scegli qualcos'altro! Di più facile possibilmente. - A volte lo faceva veramente esaurire! Come aveva fatto a innamorarsi di un uomo del genere?! Eppure lo guardò riprendere a sfogliare con grazia il tablet e non poté non ammirare l'eleganza di ogni piccolo e misurato gesto.

La pausa non bastò per trovare una ricetta che soddisfacesse il miliardario e il suo partner in egual maniera, anzi, ci vollero altri due giorni di ricerche. Alla fine però, prima del sabato del compleanno, riuscirono a giungere a un compromesso, leggermente più a favore di Kato, probabilmente perché era lui il cuoco esperto. Decisero di fare l'esperimento culinario a casa di Haru, che anche Daisuke avesse messo in conto che sarebbe potuto esplodere qualcosa? All'amante sicuramente non sarebbe dispiaciuto più di tanto se avessero reso inagibile l'appartamento. Dopotutto erano settimane che tentava di convincerlo a trasferirsi alla villa. Non che gli facesse schifo l'idea di poter vivere con il suo ragazzo, ma era troppo presto, non erano passati nemmeno sei mesi da quando era iniziata la loro relazione! Inoltre tutto quello sfarzo ogni tanto gli dava il voltastomaco, anche se alcune comodità erano innegabili. Non per nulla passava spesso e volentieri i suoi weekend da Kambe, e non solo quelli.

Il venerdì pomeriggio, conclusa la giornata lavorativa, andarono insieme a fare compere. Haru si era fatto sfuggire stupidamente che avrebbe avuto bisogno di alcune cose per la realizzazione e da quel momento convincere Daisuke che la sua presenza non era indispensabile era diventato impossibile. Aveva sospirato molto e recitato parecchi mantra per riuscire a star calmo e sopportare l'idea che sarebbero andati nei negozi più cari di Tokyo. Ovviamente avrebbe pagato tutto il miliardario, come sempre, nonostante le proteste del poliziotto che sosteneva di potersi permettere un pacco di farina. Ma quando usciva con il suo ragazzo era sempre la stessa storia. Per quanto ne avessero parlato, spesso litigando, non c'era verso di far capire a Daisuke che si sentiva un mantenuto.
Questa volta però era riuscito a trattenere le lamentele al minimo, dopotutto stavano facendo acquisti per il suo compleanno e Kambe aveva tutto il diritto di non farlo spendere.
Durante il loro shopping aveva acquistato quasi tutti gli ingredienti e gli accessori che Kato non possedeva. Mentre ricontrollava la lista che si era fatto su un foglietto si era ritrovato a pensare ancora una volta che sarebbe stato sicuramente meglio acquistarla la torta. Chissà perché Daisuke era così fissato con questa idea!
In quel momento il pezzo di carta gli venne sfilato dalle dita.
- Perché ti sei fatto un foglietto che potresti perdere da un momento all'altro invece che chiedere a HEUSC di memorizzare il tutto per te? Tra l'altro è scritto in aramaico! -
Riprese con stizza le note e rabbiosamente se le ficcò in tasca. - Non è in aramaico! So leggere la mia scrittura! -
Spesso si era domandato se un rapporto come il loro fosse normale. Erano amanti, ma litigavano di continuo per ogni piccola cosa. Nei film gli innamorati erano sempre tutti coccole e cuori, e se discutevano era solo per scusarsi e ritornare a essere ancor più romanticamente uniti. Loro invece non facevano altro che battibeccare senza sosta. Haru avrebbe voluto avere meno scatti di rabbia con il suo ragazzo, essere più rilassato e dolce con lui, ma non ci riusciva proprio. Forse Kamei non aveva tutti i torti, avevano ancora bisogno di lavorare sul loro rapporto e quella poteva essere un'occasione, anche se stramba.

Il pomeriggio del giorno dopo, quando suonò il campanello, Kato non ebbe dubbi su chi avrebbe trovato all'ingresso. Kambe era raramente in anticipo, piuttosto la sua puntualità spaccava il secondo. Andò ad aprirgli con il sorriso in volto: quella mattina si era svegliato impaziente di scoprire quanto il suo ragazzo facesse sul serio.
Sulla soglia trovò il miliardario accompagnato da due fattorini. Non riuscì nemmeno a stupirsi quando Daisuke si fece strada nel suo appartamento, indicando ai suoi accompagnatori di lasciare quanto portavano proprio davanti alla cucina. Haru rimase paralizzato dallo shock fino a che, con un ossequioso inchino i due presero la loro cospicua mancia e uscirono chiudendo la porta.
- Ah! Daisuke!! Che diavolo hai portato!?! - urlò come liberato da un incantesimo al suono del chiavistello che si serrava.
Il miliardario si voltò verso di lui con il viso di chi non capisce quale sia il problema.
- Ti ho comprato un tavolo d'appoggio aggiuntivo con le ruote. Altrimenti questa cucina è troppo piccola per lavorare in due. - commentò placido.
Il poliziotto continuò a sbraitare: - Non te l'ho mai chiesto! -
Kambe incrociò le braccia trattenendo visibilmente il disappunto: - Ma era indispensabile. Consideralo un regalo di compleanno anticipato. -
Perché doveva sempre pensare a compare cose costose per lui! Come faceva a non capire che lo metteva a disagio!
- E quanti regali vorresti farmi!? - gli domandò con rabbia. Questa volta la reazione stizzita di Daisuke fu più che evidente: una leggera smorfia gli increspò le labbra, gli si inarcarono le sopracciglia e distolse lo sguardo.
- Quanti mi pare. E ora vado a cambiarmi, approfittane per calmarti. - gli rispose come sempre misurato nel tono, ma con un evidente retrogusto acido. Senza nemmeno attendere una risposta entrò nel piccolo bagno prendendo con sé una borsa che i fattorini avevano lasciato all'ingresso.
Con ancora la rabbia che montava Haru l'aveva seguito con lo sguardo, fino a che con un colpo secco la porta si era chiusa alle spalle del suo ragazzo. Aveva continuato a guardare torvo in quella direzione per un po', rimuginando sul fastidio che provava, sulle spese folli che quell'uomo continuava a fare per lui, su tutte le cose che aveva ricevuto. Si girò poi, intenzionato a iniziare a preparare la cucina, ma si trovò nel mezzo il nuovo tavolo. Non era particolarmente grande, ma dell'altezza perfetta per lavorare in piedi comodamente; aveva un paio di utili cassetti e dei ripiani sotto; il legno era massiccio e la superficie superiore era ricoperta di pietra, quarzo o marmo forse; le due rotelle lo rendevano facile da spostare, mentre i due piedi lo mantenevano fermo quando serviva; non c'erano dubbi, era un ottimo prodotto e gli sarebbe stato estremamente utile anche in altre situazioni, non solo quel giorno. Anche il colore si intonava con la sua cucina di terza categoria. Sospirò mentre carezzava il piano liscissimo, Daisuke aveva fatto una scelta oculata e anche se non gli aveva chiesto il permesso c'era poco da lamentarsi. Si era ripromesso di usare quella occasione per imparare ad arrabbiarsi meno con il suo ragazzo e l'aveva accolto urlandogli contro. Era proprio pessimo!
Doveva scusarsi, appena fosse tornato si sarebbe inchinato chiedendo perdono. Non era facile, perché sapeva che una parte di colpa l'aveva anche il miliardario che non ascoltava mai le sue lamentele e rimostranze; avrebbe però ignorato la sua irritazione e avrebbe teso per primo una mano verso un compromesso. Ci voleva tempo per imparare a vivere in sintonia, ma qualcuno doveva pur fare un primo passo.
Appena sentì la maniglia alle sue spalle muoversi si voltò pronto a fare la sua mossa, ma quando vide Daisuke si bloccò.
- Come ti sei conciato?! - si lasciò sfuggire dalle labbra.
Per tutta risposta l'altro si guardò, sistemando al contempo il polsino: - È una divisa da pasticcere. Piuttosto aiutami con il grembiule, per favore. -
Non sembrava per nulla toccato dalla bocca spalancata del padrone di casa che ancora guardava con occhi sgranati l'uniforme nera da chef di pasticceria.
Era ancora interdetto quando Kambe lo richiamò: - Allora Haru? Me lo allacci? - gli domandò girandosi di spalle proprio davanti a lui. La voce del collega così vicina lo riportò alla realtà, scosse la testa rassegnato: era proprio un tipo assurdo!
Lo prese sui fianchi, con delicatezza, e lo fece girare verso di sé.
- Si allaccia sul davanti, Daisuke. Non vedi quanto è lungo il nastro? - gli disse dolcemente, mentre gli prendeva i capi dalle mani e glieli allacciava in vita. Così vicino poteva sentire distintamente il suo odore, sempre così buono.
- Grazie. - gli rispose leggermente intimidito, forse dall’eccessiva vicinanza.
Haru alzò una mano a sfiorare il fazzoletto che teneva perfettamente legato al collo: - E questo? A cosa servirebbe? -
- A completamento. - gli rispose mantenendo lo sguardo fisso e sicuro sui suoi occhi, come a sottolineare che quello di poco prima era stato solo un lieve sbandamento.
Kato rise alla prontezza della risposta e alla sua insensatezza: - Insomma non serve a niente! -
In quel momento una mano lo prese sulla nuca e venne trascinato verso il basso, le loro labbra si unirono.
- E questo per cos'era? - gli domandò guardando incuriosito in quegli occhi blu profondo.
Daisuke lo lasciò andare con una smorfia: - Non posso nemmeno baciarti? -
Il poliziotto si rese conto d'aver dato l'impressione sbagliata con la sua domanda e sorridendo gli mise una mano sulla testa: - Certo che puoi. Eccome se puoi. -
A sottolineare il suo consenso gli lasciò un tenero bacio sulla tempia. Gli piaceva così tanto coccolarlo. Potevano urlare e litigare, ma era pur sempre la persona che amava, nulla era più piacevole che stare con lui e dimostragli i suoi sentimenti.
Il miliardario si staccò ancora leggermente infastidito, forse si sentiva trattato come un ragazzino o forse si era accorto ancora una volta che senza le scarpe la differenza d'altezza tra loro era evidente. Haru sorrise tra sé, conoscendolo probabilmente era proprio per quello, trovava quel suo complesso adorabile.
- Iniziamo Haru? - lo incalzò dirigendosi convinto verso i fornelli. Il poliziotto alzò gli occhi sospirando: era ora d'iniziare pregando che non succedesse qualche disastro irrimediabile.

Alla fine avevano raggiunto un compromesso e deciso di fare una Cream Tart: grazie al miliardario il giorno prima erano riusciti a recuperare anche tutti gli ingredienti di difficile reperibilità. Kato aveva studiato la ricetta un paio di volte prima di accettare, a parte i tempi lunghi, il procedimento gli era parso piuttosto semplice. Non si sentiva comunque tranquillissimo, erano entrambi dei principianti, Daisuke ancor più di lui.
Si mise il suo grembiule blu, mentre il suo ragazzo faceva comparire sullo schermo del tablet la ricetta. Prese la bilancia e dei contenitori e iniziò a pesare la farina di mandorle.
- Haru, devo farlo io. Tu devi solo guidarmi. - lo ammonì a braccia incrociate Kambe, che evidentemente non voleva semplicemente leggere ad alta voce i passaggi, come invece sperava il padrone di casa.
Lo guardò titubante, ma poi gli lasciò spazio davanti alla pesa: - Va bene, continua pesando 25 grammi di zucchero. -
Daisuke senza esitazione posizionò una terrina sulla bilancia e versò lo zucchero.
- Ah! Fermo Daisuke! La tara! -
L'amante alzò gli occhi confuso, mentre Haru si portava una mano sul volto. Non aveva la minima idea di come usare una bilancia, figurarsi il resto. Il disastro era dietro l'angolo! Era solo questione di tempo!
Si impose di calmarsi. Dopotutto lui era lì proprio per evitare il peggio. Con molta pazienza spiegò al miliardario come doveva pesare e ricominciarono la preparazione degli ingredienti. Come da istruzioni misero il tutto in una ciotola abbastanza grande.
- ...e ora impastare il tutto con le mani. - lesse Kato.
Kambe alzò gli occhi poco convinto: - Dovrei mettere le mani là dentro? -
Haru trattenne malamente un sorriso, pensava che almeno a questo si fosse preparato: - E come altro vorresti fare? -
- Usare un’impastatrice, per esempio. -
- Non la ho, e comunque è specificato "impastare a mano". Vuoi che faccia io? - Era divertente vederlo in difficoltà per una tale banalità, allo stesso tempo non voleva infierire troppo.
L'amante tornò a fissare la ciotola con sguardo torvo: - No, faccio io. -
Aveva preso proprio seriamente questa cosa della torta. Il poliziotto s'intenerì.
- Va bene. Ma prima infarinati le mani, o ti si attaccherà tutto. -
Prese il sacchetto di farina per versarla sulle sue dita affusolate. Aveva proprio delle belle mani, decisamente inadatte per quello che s'apprestava a fare, ma perfette per suonare il piano.
Con una espressione disgustata Daisuke infilò le mani nella terrina. Sembrava un bambino costretto a fare qualcosa di sgradito. Lentamente iniziò a mescolare l'impasto. Un po' troppo lentamente, tanto che a un certo punto il padrone di casa fu costretto a incitarlo a metterci più energia. Quando finalmente il composto sembrò amalgamato a dovere venne il momento d'aggiungere l'uovo. Haru rilesse per sicurezza la ricetta: "impastare molto rapidamente", era il caso di sostituire il suo ragazzo, o la già scarsa percentuale di successo sarebbe ulteriormente calata.
Si avvicinò all'uomo ancora intento a pasticciare con le dita nella ciotola: - Ehi Daisuke! Ti do il cambio per quest'ultimo passaggio. Tu lavati le mani e prendimi la pellicola che è nello scaffale sopra il lavandino. -
L'altro fece solo un segno d'assenso con la testa mentre ritirava le mani evidentemente grato. Ovviamente la pasta era rimasta incollata alla pelle, nonostante la farina. Si fissò le dita rabbuiato, cercando di pulirle senza successo sfregandole tra loro. Haru si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, a cui rispose un'occhiataccia del miliardario.
- Prima lavati le mani. - gli disse ancora con un sorriso evidente, mentre rompeva l'uovo e con maggior manualità impastava tutti gli ingredienti.
Kambe si prese tutto il tempo per fare una puntigliosa pulizia di mani e unghie, al punto che Kato dovette richiamare la sua attenzione per convincerlo a smetterla con acqua e sapone. Riuscirono in fine a fare il panetto di pasta da mettere in frigorifero.
- HEUSC, informaci quando saranno passate due ore da questo esatto momento. - disse il miliardario portandosi caratteristicamente la mano all'orecchio sinistro.
Il padrone di casa lo guardò sconsolato scuotendo il capo: - C'è scritto "un paio d'ore" Daisuke, non due ore precise al secondo! Non essere troppo preciso. -
- Meglio essere precisi. -
Quindi il suo precisissimo ragazzo era ancora più rigoroso quando era insicuro? Era una scoperta molto interessante e ne avrebbe fatto tesoro, le occasioni in cui Kambe era in difficoltà non erano molte, ma quando si presentavano andavano colte al volo, essere un ragazzo su cui poter contare era uno dei suoi obiettivi, se non si faceva trovare pronto in quei momenti non lo sarebbe mai diventato. A tal proposito era il momento di un po' di coccole confortanti! Si lavò rapidamente le mani e s'avvicinò da dietro a Daisuke che stava studiando il resto della ricetta sul tablet. Gli mise le braccia attorno alle spalle e lo trascinò su di sé.
- E ora concentriamoci sulle nostre due ore di relax. - Gli sussurrò all'orecchio.
Inaspettatamente si ritrovò con la mano del miliardario sul volto che lo spingeva via.
- No. Prima dobbiamo preparare la sagoma che ci servirà più tardi. - gli disse serio.
Haru si staccò e lo guardò storto: - Lo puoi fare dopo! -
Ma il suo amante aveva già recuperato cartoncino e forbici: - No, voglio essere certo di non sbagliare i tempi. -
Era proprio testardo, e anche estremamente concentrato su quella torta! Perché era così importante?! Addirittura più che scambiare effusioni amorose con lui! Stava per arrabbiarsi di nuovo, quando notò con la coda dell'occhio il foglio che già Kambe stava tagliando. Al centro e in grande formato era stampato l’unico carattere del suo nome. Era palese che l'aveva fatto stampare in anticipo, calcolando anche le misure ridotte del suo forno elettrico.
Gli si sedette accanto, nell'altra stanza, osservandolo mentre con perizia, questa volta, seguiva le linee tracciate dalla stampante.
- Il mio nome? - domandò, cercando di spezzare il silenzio che si era creato.
Senza alzare lo sguardo l'altro rispose con prontezza: - È il tuo compleanno, ovviamente il tuo nome. -
S'appoggiò su un gomito al tavolino, il lavoro era già a buon punto.
- Pensavo solo che avremmo potuto iniziare da qualche forma più semplice. -
Gli occhi blu del collega gli si piantarono addosso: - Avevi detto che la forma non era importante. -
A quanto pare lo aveva fatto irritare di nuovo. Quella giornata stava diventando un disastro e non certo a causa della torta.
Cercò di salvarsi in extremis: - Appunto, va benissimo anche il mio nome, solo non me l'aspettavo, tutto qui. - Concluse con un sorriso tirato, che non si riflesse sul volto dell'amante, che tornò invece ad abbassare lo sguardo sul suo lavoro. Il padrone di casa si lasciò andare a una smorfia senza però interromperlo nuovamente. Forse era lui a essere dalla parte del torto. Daisuke gli aveva chiesto di aiutarlo con la torta, non aveva accampato una scusa qualunque per andare a casa sua ad amoreggiare. Non ne aveva bisogno dopotutto, e non era nemmeno il tipo che si faceva problemi a dire chiaramente quando aveva intenzioni romantiche o passionali. No, lui quel pomeriggio era lì per fare una torta e si stava giustamente impegnando per quello. Sicuramente era conscio dei suoi limiti e ce la stava mettendo tutta mentre, fino a quel momento, Haru aveva sottovalutato un po' la questione. Si morse il labbro colpevole. Aveva il dovere, come ragazzo di Kambe, di supportarlo con più convinzione nella sua piccola impresa. Il suo proposito vacillò rapidamente mentre il suo sguardo veniva rapito dal volto concentrato del suo amante. Era bello, tanto bello. Desiderava veramente essergli d'aiuto e farlo felice, ma anche baciarlo e coccolarlo fino allo sfinimento: perché le due cose non potevano andare di pari passo?
Era tanto ammaliato da quella visione che quando Daisuke riprese a parlare sussultò leggermente: - Non ti ho nemmeno fatto gli auguri... -
Non aveva alzato lo sguardo mentre terminava di tagliare il cartone, il tono dimesso così inusuale per lui.
- Ah, vero. Non me ne ero nemmeno reso conto. - sorrise Kato, cercando di allentare la tensione che invece sembrava crescere di momento in momento.
- Il tuo ragazzo non ti fa gli auguri e non te ne rendi conto? - gli domandò Kambe poggiando le forbici e alzando gli occhi gelidi su di lui.
- Non è quello! - si era incasinato di nuovo! Era tanto impaziente ed eccitato dall'idea di fare qualcosa di completamente nuovo con il suo ragazzo da mettere in secondo piano anche il suo stesso compleanno.
- In ogni caso è tutta colpa tua. Avrei voluto farteli come si deve quando sono arrivato ma tu hai iniziato subito a sbraitare per il regalo e ho perso l'occasione. - Lo disse con il solito tono impassibile, mentre si alzava e andava a poggiare la sagoma finita sul carrello da cucina oggetto della loro prima discussione di giornata.
Haru si morse la lingua, in poche parole aveva fatto un danno dopo l'altro. Irritato con sé stesso si sfregò furioso la nuca, cercando di trovare qualcosa da dire, qualcosa di giusto per una volta! Come solito alla fine s'arrese a fare la prima cosa che l'istinto gli suggeriva. Appena il suo ragazzo tornò vicino al tavolino si inchinò con la fronte a terra.
- Ti chiedo scusa! Lo so che ho rovinato l'atmosfera sin dall'inizio! Il regalo è molto bello e anche utile. Ti ringrazio! -
Ci fu un lungo silenzio, ma Haru non osò alzare gli occhi dal pavimento. Poi uno sbuffo di sufficienza giunse alle sue orecchie. Tirata su la testa vide il suo amante spostarsi verso il letto e sedersi con grazia, per poi accavallare le gambe. Dalla sua espressione non si capiva se avesse o meno accettato le scuse.
Dopo un attimo il miliardario batté una mano accanto a sé: - Vieni qui Haru. -
E lui come un cagnolino si sedette rapidamente vicino a lui. Istintivamente si era messo a pochi millimetri da lui, quella sua pelle candida era così invitante! Essere nell'intimità della sua casa rendeva Kato estremamente debole, ma non aveva il coraggio di muoversi, non sapendo se fosse stato perdonato o meno. D'improvviso gli occhi blu di Daisuke si piantarono nei suoi e una mano s'infilò rapida trai i capelli della sua nuca. Trascinatolo verso di sé gli sussurrò: - Buon Compleanno, Haru. -
Non ebbe tempo di reagire che le labbra dell'amante lo coinvolsero in un bacio intenso.
Quando si staccarono il poliziotto sorrise disteso. Lasciò un altro rapido bacio sulle labbra di Daisuke e poi lo prese per la vita, trascinandolo a carponi sul letto insieme a sé.
- Che diavolo fai Haru?! - reagì immediatamente l'altro che di certo non amava i cambiamenti bruschi. Kato invece adorava vederlo con quell'espressione un po' stupita e un po' irritata, che indicava il fatto di averlo colto di sorpresa. Agganciò con rapidità il fazzoletto che portava al collo, prima che Kambe potesse rialzarsi, e lo trascinò nuovamente in un lungo bacio, più passionale dei precedenti.
- Ora sì che questo affare ha un senso. - mormorò senza lasciare la presa. Il miliardario allora tirò indietro le spalle liberandosi.
- Sei un idiota. - gli disse, sistemandosi meglio sopra di lui. Il padrone di casa sorrise dolcemente, alzando una mano a carezzargli gentilmente la testa.
- Lo so. -
Come un gatto affettuoso Daisuke mosse leggermente il capo a cercare ancora la mano dell'amante.
- Ti amo. - gli sussurrò Haru trasportato.
- Anche io. - gli rispose il miliardario con un soffio prima di baciarlo di nuovo. Poi s'appoggiò appagato alla sua spalla, lasciandosi abbracciare alla vita dal suo ragazzo. Portò lentamente una mano sul viso di Haru, carezzandolo teneramente sul volto: - Anche se a volte fai di tutto per farmi credere il contrario. -
Il poliziotto fece una smorfia amara: - Non è quello che vorrei... - iniziò rapido prima di prendere fiato con un sospiro e ripartire più lentamente - So di scattare spesso per un nonnulla, so che mi irrito facilmente e so che a volte dico cose fraintendibili. E so anche che devo migliorare, perché altrimenti ti stuferai presto di me, - si girò a guardarlo dritto negli occhi - e se tu mi lasciassi non saprei cosa fare. -
Vide il volto di Daisuke arrossire leggermente e lo sguardo vacillare un poco. Aprì la bocca, ma la voce arrivò solo dopo un attimo: - Sei sempre stato così, Haru. Sapevo a cosa andavo incontro. - Ruppe il contatto visivo e cercò di tenere ferma la voce, ma la sua mano s'aggrappò con forza alla spalla del padrone di casa.
- Grazie. - mormorò Haru mentre si spingeva in avanti per baciargli la fronte - Farò comunque del mio meglio per migliorare. -
- In tal caso non mi lamenterò di certo. - ribatté il collega mentre si rialzava per schioccargli un altro bacio sulle labbra.
Quelli erano i momenti migliori, quelli per cui valeva la pena attendere ore e giorni. Haru amava coccolarlo, sentiva la sua anima in pace, anzi in paradiso! Kato lo cinse più forte in vita e una mano scivolò lenta ma inesorabile verso il fondoschiena del miliardario. Di colpo Kambe si drizzò a sedere su di lui: - Fermo lì. Non abbiamo tempo ora. -
Il poliziotto sorrise nervoso, inutile negare l'evidenza: - Ma abbiamo due ore! -
- Non sono più due ore. -
- Una cosa veloce... -
- Gli ormoni ti hanno dato alla testa, Haru? O sei tornato alla pubertà? Non mi piacciono "le cose veloci". -
Certo che anche lui con i suoi commenti sarcastici non aiutava certo una relazione serena. Il padrone di casa si lasciò andare ad una smorfia infastidita. In fondo sapeva benissimo che a Daisuke piaceva prendersi il suo tempo anche a letto, la cosa non lo disturbava, anzi! Era un amante paziente, meticoloso in un certo senso, sapeva come domare anche un animale irruento come lui evitando che consumasse una veloce ma inappagante passione.
Il miliardario non gli lasciò altro tempo per pensare, si sporse nuovamente su di lui sfiorandogli appena le labbra: - Stanotte avremo tutto il tempo che vorrai. -
Vero. Ma a Kato non sarebbe dispiaciuto avere un piccolo antipasto già in quel momento. Si ammonì da solo, forse gli ormoni gli avevano veramente dato alla testa come diceva Daisuke per fare certi pensieri!
- Ok... - mormorò ancora un po' titubante - ma ora che facciamo? -
Kambe si risollevò nuovamente con una smorfia insoddisfatta: - Quindi tutto quello che puoi fare con me è sesso o lavoro? -
- Ah! Non fraintendere volutamente! Sai benissimo che non ho detto quello! - scattò nuovamente incapace di trattenersi, ma questa volta un sorrisino furbo increspò le labbra dell'amante. Lo aveva provocato volutamente ed era caduto nella trappola come sempre. Maledetto riccastro! E maledetta quell'espressione che gli donava tanto!
Mentre la sua rabbia ribolliva, il miliardario si risistemò la divisa da pasticcere. Solo mentre si spostava a sedere più normalmente sul bordo del letto riprese a parlare: - Potremmo rivedere il programma di oggi, per esempio. -
Con uno scatto Haru si rialzò e si mise a sedere alle sue spalle, aprendo le gambe per accogliere Daisuke nel suo abbraccio. Era pronto a riempire di teneri baci il collo del suo amante, ma l'uniforme e il fazzoletto rendevano la cosa poco agevole, si concentrò allora sul lobo di un orecchio. Immediatamente Kambe si ritrasse.
- La vuoi smettere? - gli disse torvo portandosi una mano sul padiglione auricolare.
Kato sorrise leggermente: - Era solo un bacino... -
Lo sguardo glaciale del compagno fu sufficiente per farlo desistere dal suo intento, sospirò quindi sconfitto, senza però sciogliere le braccia che lo tenevano stretto in vita. Ormai aveva imparato piuttosto bene come stimolare il suo ragazzo, non solo dove, ma anche in che modo. Chiaramente però quel pomeriggio Daisuke non ne voleva affatto sapere.
- Vediamo questo programma. - borbottò mesto Kato, appoggiando il mento sulla spalla del miliardario.
- Lasciami prendere il tablet... - disse Daisuke mentre si sporgeva per raggiungere il dispositivo che giaceva sul tavolino a pochi passi da loro. Haru decise però di prendersi una piccola rivincita e strinse più forte l'abbraccio che bloccava il collega sul letto. Questi si voltò nuovamente infastidito: - Haru… - disse semplicemente.
- Sì? - finse ignoranza il poliziotto.
S'aspettava che Kambe cercasse di liberarsi con la forza, oppure lo insultasse, invece l'espressione dell'amante cambiò: prima si fece seria, quasi concentrata, poi un sorriso suadente gli illuminò il viso. Dolcemente una mano del miliardario sfiorò quelle del padrone di casa e carezzandolo risalì lentamente sino all'incavo del suo gomito. Gli occhi di Haru erano incollati alle iridi blu intenso di Daisuke, pronto a baciarlo da un momento all'altro, quando con uno scatto le dita del suo ragazzo gli pizzicarono dolorosamente la pelle.
- Ahi! - urlò mentre ritirava le braccia. Finalmente libero il collega si sporse giusto quanto bastava per recuperare il tablet, per poi tornare a sedersi nuovamente tra le sue gambe.
- Mi hai fatto male! - protestò con veemenza Kato massaggiandosi il braccio nel punto in cui era stato pizzicato. Nonostante tutto aveva notato come anche Daisuke avesse ridotto al minimo il tempo in cui il loro corpi non si erano toccati. In fondo anche lui aveva piacere nel fare le coccole.
- Se tu la smettessi di fare il ragazzino certi metodi non servirebbero. - aveva ribadito atono l'altro, mentre già sfogliava il tablet.
- Non serviva comunque farmi tanto male! -
Il miliardario lanciò una rapida occhiata al viso imbronciato del collega. Con uno sbuffo prese per il polso il braccio dolorante di Kato. Il segno lasciato dal pizzicotto era ancora rosso, non gli ci volle molto per trovare il punto dolente. A quel punto, lasciando Haru di stucco, si chinò per leccare teneramente la pelle arrossata.
Gli occhi del padrone di casa si sgranarono, poi ritrasse velocemente l'arto che con la stessa velocità riportò alla vita del suo ragazzo.
- Che diavolo fai, Daisuke!?! - urlò imbarazzatissimo. Quella era una provocazione bella e buona! Aveva rifiutato tutte le sue avance e ora si metteva a leccarlo in un punto tanto sensibile? Il sorrisetto soddisfatto di Kambe, mentre tornava a concentrarsi sul tablet, confermò la sua ipotesi.
- Sei tu che mi hai detto che con una leccatina passa tutto. -
Haru non poteva vedere bene la sua espressione da dietro, ma sapeva che il divertimento non era scomparso dal suo volto.
Maledetto! Perché si divertiva tanto a metterlo in difficoltà? Soffiò piano sulla sua nuca, prima di rimettersi con il mento poggiato sulla spalla dell'amante.
- Quel soffio è stato fastidioso. - gli disse piatto Daisuke.
- Siamo pari. - gli rispose piano. Alla fine il loro litigi erano così: subitanei e facili a essere superati. Che fosse in realtà meglio così? No, non doveva auto assolversi. Che fosse meglio, in una coppia, esternare le proprie emozioni, positive o negative che fossero, era certo, ma il loro tira e molla a volte era troppo violento: la corda avrebbe rischiato di spezzarsi.
Chiuse gli occhi e indugiò un attimo nell'assaporare il calore leggero che il corpo del suo amante emanava. Doveva assolutamente evitare che quella corda si spezzasse, Daisuke era ormai una presenza indispensabile nella sua vita.
La voce del miliardario lo riportò alla realtà: - Programma di oggi. Finita la torta tornerò a casa per prepararmi. Alle 18:30 inizieranno ad arrivare gli invitati al tuo compleanno, quindi sarebbe consigliabile che tu venga prima di quell'ora. -
- Pensavo saremmo tornati alla villa assieme. - mormorò Kato.
Kambe alzò un poco gli occhi su di lui: - Se vuoi, per me non c'è problema, ci sono bagni e stanze per prepararsi a sufficienza per entrambi. -
C'erano stanze per loro due e altre venti persone, pensò Haru.
- No, è meglio che mi prepari a casa mia. Approfitto già della tua ospitalità per la festa. -
- Non mi infastidisce affatto, lo sai. -
Istintivamente gli strinse la vita: - Lo so. -
Tra loro aleggiava lo spettro di quell'invito rifiutato a trasferirsi in pianta stabile alla residenza dei Kambe. Il poliziotto ne era stato felice e sapeva anche che prima o poi avrebbe ceduto, ma per il momento voleva mantenersi indipendente almeno formalmente. Poco importava che la sua vita dipendesse ogni giorno di più dal suo ragazzo, che non riuscisse a immaginare un futuro senza di lui.
Daisuke poggiò una mano sulle sue intrecciate, prima di continuare: - Tornando al programma. La cena verrà servita alle 20:00, seguirà un momento conviviale. Ho già fatto portare il biliardo nella sala della musica. -
Nei giorni precedenti Kamei era sembrato più interessato al biliardo che al suo compleanno. Kambe poteva sembrare un tipo freddo, ma non era capace di negare un desiderio tanto banale a un amico. Per punire il biondo collega avrebbe fatto di tutto per vincere ogni singola partita! Soprattutto se fosse stato messo in coppia con il suo amante come al compleanno di Daisuke.
- E quando finisce tutto? -
- Quando avranno voglia d'andare via. - rispose alzando le spalle il ricco detective.
- Ma io voglio fare l'amore con te il giorno del mio compleanno. - piagnucolò il padrone di casa.
Si beccò un’occhiataccia di risposta: - Evita le feste allora, non puoi cacciare via tutti alle 22 perché sei un erotomane. -
- Non sono un erotomane! - protestò senza convinzione. Era tanto sbagliato aver voglia del proprio ragazzo?
Una mano di Daisuke s'alzò a carezzargli dolcemente una guancia: - Non lo sei. E non preoccuparti della data, avremo un sacco di tempo fino a lunedì. -
Le sue dita sottili e affusolate erano così piacevoli e delicate. Avrebbe acconsentito a tutto quando faceva così.
- Cambiando argomento, - riprese il miliardario, continuando però a sfiorargli il viso - Mi pare una buona occasione per vagliare alcune idee per le nostre vacanze estive. Non ho intenzione di restare tutta l'estate in questo forno che è Tokyo come lo scorso anno. -
Kato sorrise, ogni tanto il lato viziato di Kambe faceva capolino. Gli rispose con tenerezza: - Va bene, vediamo cosa possiamo fare. -

Erano ancora seduti nella stessa posizione quando HEUSC annunciò all'orecchio di Daisuke che le due ore erano passate.
- Torniamo al lavoro, Haru. – gli disse sciogliendo il suo abbraccio e rimettendosi in piedi.
Kato, che si stava godendo il momento, accolse la comunicazione con una smorfia infastidita e seguì l'amante in cucina sbuffando. Si rimise il grembiule, osservando Kambe che faceva lo stesso, questa volta allacciandoselo davanti con un elegante fiocco.
Il poliziotto preso il panetto di pasta dal frigorifero, lo scartò e lo mise su un foglio di carta da forno che il suo compagno aveva preparato. Il miliardario aveva già anche il mattarello tra le mani e sembrava più pronto a uno scontro che alla pasticceria. Haru non fece in tempo a prendere la farina che già Daisuke aveva poggiato l'attrezzo e inutilmente aveva cercato di stendere la pasta. Inevitabilmente il preparato si era solo leggermente allargato mentre si attaccava completamente al mattarello avvolgendolo.
L'espressione nervosa dell'amante strappò un nuovo sorriso a Kato. Era proprio ignorante in cucina!
- Haru, perché fa così? - domandò serio mentre il poliziotto tentava di riacquistare compostezza. Sembrava quasi che la pasta avesse gli avesse fatto uno sgarbo per questioni personali. Il padrone di casa si morse un labbro, era sempre più difficile trattenere le risate.
- Perché non hai infarinato il mattarello. - riuscì a rispondere affiancandolo e staccando con tranquillità l'impasto appiccicato allo strumento. Mentre Daisuke lo osservava con un misto di ammirazione e invidia, infarinò l'attrezzo e con pochi movimenti stese la pasta all'altezza desiderata. Kambe non apprezzò: - Avrei dovuto farlo io. -
- Ma sì, Daisuke, cosa cambia? - gli rispose scrollando le spalle - bucherellalo e taglia la forma piuttosto. -
Gli passò una forchetta e andò a recuperare degli stampini per biscotti che aveva in un armadietto. Quando tornò al carrello il lavoro era ancora in alto mare. Con la sua solita precisione Kambe stava facendo delle ordinatissime file di fori distanziate tra loro.
- Daisuke... - Haru non sapeva come dirgli che tutto quel che stava pazientemente facendo era inutile e lento.
Prima che riuscisse a trovare le parole il miliardario l'anticipò: - Che c'è? Sto facendo come mi hai detto. - evidentemente Kato aveva la perplessità stampata in volto.
- Non puoi essere un po' più veloce? - gli disse diplomaticamente.
Con un grugnito il collega aumentò di un poco la velocità. Cercando di non farsi notare il padrone di casa alzò gli occhi disperato, attendendo che il lavoro finisse.
Senza aspettare altre istruzioni, terminata la foratura, il suo ragazzo prese la forma che aveva ritagliato ore prima e iniziò a sagomare la pasta. Questa volta, nonostante la pignoleria non mancasse, fu molto più rapido e in pochi attimi riuscì a preparare sia il primo che il secondo strato.
Mentre i due kanji cuocevano nel forno, Kato si diede al suo personale esperimento. Prese l'impasto avanzato e con le formine ricavò una decina di biscotti a forma di stella.
- Dove hai preso quegli stampi? - gli domandò Daisuke, guardandolo lavorare incuriosito.
Il poliziotto non si fece distrarre e rispose velocemente: - A una svendita di quest'inverno. Ho pensato che prima o poi avrei anche potuto provare a fare dei biscotti. -
- Capisco. - rispose l'altro, mentre s'appoggiava con le braccia conserte al lavello e osservava attento le sue mani muoversi rapide.
Quando ebbe finito Haru guardò orgoglioso le sue stelline pronte per essere infornate.
- Sei bravo. - gli disse con una leggera nota amara il suo ragazzo. Poteva immaginare il perché di quel lieve dispiacere. Involontariamente aveva mostrato a Daisuke come lui fosse molto più pratico e rapido nel cucinare.
Lo guardò con tenerezza: - Sono solo abituato a cucinare, Daisuke. - poi gli si avvicinò per lavarsi le mani. Nonostante le rassicurazioni l'espressione dell'amante rimase torva. Povero il suo gattino! Con un movimento fluido lo abbracciò e lo baciò dolcemente. Questa volta lo stratagemma sembrò funzionare, perché Kambe si mosse per prendergli il viso tra le mani. Stavano per baciarsi di nuovo quando il timer suonò segnalando la fine della cottura anche del secondo strato di frolla. Con uno sbuffo irritato il padrone di casa si liberò dall’abbraccio e andò a sfornare la torta. La sua reazione stizzita fece ridere divertito il compagno. Daisuke non rideva spesso, quindi più che infastidito fu felice per la sua replica. Aveva un bel viso, ancor di più quando sorrideva disteso.
- Ora che la base è pronta cosa dobbiamo fare? - domandò Kambe mentre gli passava i biscotti a loro volta da infornare.
- La crema, credo. - rispose sovrappensiero.
Il miliardario recuperò il tablet per vedere i passaggi successivi: - Dunque serve una ciotola per la panna... forse è meglio preparare tutti gli ingredienti prima. -
Presa nuovamente la bilancia si mise a pesare quel che gli serviva, sotto lo sguardo attento di Kato che era pronto a lasciargli fare questa volta.
Quando fu la volta di aprire il baccello di vaniglia Daisuke guardò il grumo nero di semini contrariato.
- Siamo sicuri che questi siano commestibili? -
Incapace di trattenersi ancora gli mise una mano a spettinargli i capelli: - Sì che lo sono. Bambino viziato. -
- Cosa c'entra se sono viziato o meno? - domandò rabbuiato mentre raccoglieva con la punta del coltello i semi e li metteva nella panna.
Haru non si diede pena di rispondere, piuttosto gli mise tra le mani lo sbattitore elettrico: - Ora versa piano lo zucchero a velo e monta la panna. -
Chiaramente titubante il miliardario prese l'elettrodomestico e il contenitore. Lentamente fece scivolare un po' di zucchero nella ciotola più grande, poi azionò lo sbattitore quando ancora le fruste erano in aria, appena toccarono la superficie della panna questa schizzò verso l'alto, facendo ritrarre Kambe spaventato. Delle gocce bianche ora gli sporcavano la divisa nera, e una era arrivata anche sulla sua guancia.
Ridendo divertito Kato s'avvicinò e con un movimento rapido gli pulì la pelle, mettendo poi tra le labbra il dito: - Non sei proprio portato eh? Le fruste vanno azionate solo quando sono nel liquido. -
Lo sguardo di Daisuke si rabbuiò nuovamente, Haru lo baciò sulla fronte mentre gli rubava rapido l'attrezzo dalle mani.
- Ci penso io con la crema. - gli disse - Tu prepara l'affare per mettere la crema dopo. -
- Si chiama sac-à-poche, Haru. - gli rispose mesto. Al poliziotto non piaceva vederlo così. Forse avrebbe dovuto dargli una seconda opportunità, si disse, ma per Kambe sarebbe stato anche peggio non riuscire a portare a termine quella torta. Sembrava che fosse una questione di vitale importanza per lui.
Kato ancora non aveva terminato di mescolare a mano gli ultimi ingredienti che l'efficientissimo miliardario aveva già preparato la tasca da pasticciere e il primo strato di frolla su di un vassoio in argento portato per l'occasione dalla sua villa. Ebbe l'istinto di protestare, un vassoio più comune sarebbe andato bene uguale, ma si morse la lingua. Il suo ragazzo era già abbastanza depresso da non aver bisogno di un altro inutile litigio. Che stesse migliorando? Si chiese da solo Haru. Forse sarebbe stato sufficiente pensare qualche secondo in più per migliorare la loro relazione. La parte difficile era riuscirci, istintivo com'era!
- Bene! - esclamò terminato il suo lavoro - Ora la mettiamo nella saku... quell'affare lì. -
- Sac-à-poche. - lo corresse ancora una volta il suo ragazzo, mettendosi al suo fianco pronto a dargli il cambio.
Il padrone di casa lo guardò esitante: - Sicuro di volerlo fare tu? -
- Sì. - gli rispose secco Kambe, mentre con sguardo di sfida fissava la ciotola. Ancora sorpreso dalla sua determinazione, Kato si fece da parte. Dapprima non ci furono particolari problemi, ma durò poco. Poi la crema iniziò a finire ovunque tranne che dentro la tasca. Haru ebbe l'impulso di prendere nuovamente in mano la situazione, ma riuscì a frenarsi. No, doveva lasciarlo fare, ancora per un po'. Perdere della crema per strada non era importante come dare al suo amante la possibilità di fare qualcosa con le sue mani.
Quando finalmente il miliardario dichiarò finita e vinta la sua battaglia c'era crema un po' ovunque, ma la maggior parte, quanto meno, era dentro la sac-à-poche.
Si spostarono nuovamente sul tavolo mobile regalato quel giorno, per decorare la torta. Ovviamente Kambe non volle rinunciare nemmeno a quel passaggio. Sembrava un'attività molto nelle sue corde, quindi Kato lo lasciò fare. Invece si rivelò un altro mezzo disastro. Non che fosse importante, non per Haru, ma i ciuffetti di crema erano in modo evidente uno diverso dall'altro. Daisuke non riusciva a regolarsi né in un senso né nell'altro, un paio di volte uscì anche dalla base; eppure caparbio continuò sino a coprire tutta la frolla.
Fermatosi, osservò il suo lavoro corrucciato: - È terribile. -
Era la prima volta che Haru sentiva il suo amante giudicare così duramente qualcosa che aveva fatto. A quanto pare non era una persona particolarmente indulgente con sé stessa. Lui però non voleva affossarlo, poteva vedere chiaramente quanto si stesse impegnando: - Ma no, non è così male. Dopotutto non sei un pasticciere. -
- Nemmeno tu lo sei, ma sono certo che faresti di meglio. - ribatté asciutto passandogli la tasca.
Il poliziotto guardò dubbioso la sacca prima di prenderla tra le mani: - Vuoi che faccia io il secondo strato? -
- Sì. - rispose mentre poggiava delicatamente la seconda frolla sulla prima, come a nascondere il più rapidamente possibile il suo lavoro.
Il padrone di casa ponderò un attimo la situazione: mettersi d'impegno e magari fare meglio di Daisuke o fare un lavoro più simile possibile a quello del suo ragazzo per non avvilirlo? Decise che cercare d'imitarlo significava solo compatirlo. Avrebbe fatto del suo meglio!
Con cura iniziò a fare dei ciuffettini partendo dall'alto della sagoma. I primi non avevano una dimensione ben precisa, ma pian piano trovò una certa stabilità. Si concentrò tanto sul lavoro che nemmeno s'accorse dello sguardo attento di Kambe che lo seguiva passo passo.
- Ecco fatto! - disse soddisfatto mentre ritirava velocemente la tasca da pasticciere dall'ultimo ciuffo di crema.
Era evidente come non fosse un lavoro fatto da una mano esperta, ma rispetto a quanto fatto dal miliardario il tutto aveva un aspetto più armonico e piacevole.
Il collega a braccia incrociate stava contemplando il risultato: - Lo sapevo che tu avresti fatto molto meglio. -
- Dai Daisuke, è solo questione di abitudine e propensione! Nessuno può essere perfetto in tutto. -
La smorfia evidente di Daisuke diceva chiaramente che lui si sentiva assai distante dalla perfezione. Kato avrebbe voluto stringerlo in un abbraccio consolatorio, ma il miliardario, messo da parte il disappunto, era tornato a concentrarsi sul da farsi: - Ora dobbiamo solo decorarla, giusto? -
Ogni tanto il suo ragazzo aveva quella tendenza a nascondere i suoi sentimenti negativi anche al suo compagno, e generalmente il lavoro era un’ottima via di fuga. Haru ormai l'aveva capito e sapeva benissimo che quella fretta nel continuare era solo la variazione odierna sul tema. Lo assecondò, era l'ultimo passaggio, poi lo avrebbe coccolato come si deve, anche se sicuramente il collega avrebbe deciso d'andarsene il prima possibile.
- Sì, mancano solo le decorazioni. Con quel genere di cose sei sicuramente più bravo tu di me. - una piccola lusinga per confortare l'orgoglio ferito.
Kambe non rispose, prese soltanto gli ingredienti che avevano deciso di usare: fragole, piccole meringhe e scaglie di cioccolato fondente.
Il padrone di casa gli aggiunse anche la scatola con i biscottini a forma di stella: - Metti anche questi, se non ti rovinano la composizione. -
- No, staranno bene. - aveva commentato asciutto.
Mentre l'amante iniziava a distribuire le meringhe, Kato si era preso l'impegno di tagliare rapidamente le fragole. Lentamente la decorazione stava prendendo forma, Kambe aveva veramente un occhio artistico che il poliziotto non avrebbe mai avuto. Alla fine la torta aveva un aspetto invitante, quasi lussuoso!
Haru l'ammirò soddisfatto a braccia incrociate. Proprio un bel lavoro, i ragazzi sarebbero rimasti stupiti dal risultato del loro esperimento culinario!
Come se avesse letto nei suoi pensieri il suo ragazzo commentò: - Se non ci fossi stato tu sarebbe stato un disastro. Probabilmente non sarei nemmeno mai arrivato in fondo. -
L'attenzione del padrone di casa tornò all'uomo che amava.
- Ma io c'ero. - gli disse con un sorriso, spettinandogli leggermente i capelli. Daisuke però si sottrasse irritato.
- È ridicolo, lo era fin dall'inizio, chiedere aiuto al festeggiato. Avrei dovuto fare da solo. -
Kato lo guardò perplesso, era da tempo che Kambe non era così demoralizzato, e che lo fosse per quel motivo era ancora più stupefacente. Non riuscì a trovare immediatamente una risposta da dare, e nel suo silenzio il miliardario prese il frutto del lavoro di quel pomeriggio e lo mise in frigorifero. Perché Daisuke doveva fare tanta fatica e arrabbiarsi tanto solo per una torta? Dopotutto era la prima volta in assoluto che provava a cucinare, non poteva pretendere di raggiungere da subito alti livelli. Daisuke, in ogni caso, non era mai stato minimamente attratto né dalla cucina né dalla pasticceria, quanto meno non dal loro lato pratico, perché invece ora di colpo la cosa lo interessava tanto?
Attese che l'amante chiudesse lo sportello del frigorifero, quindi gli si parò davanti con uno dei biscottini avanzati all'altezza delle sue labbra.
- Su Daisuke, assaggia se è buono. -
Il miliardario gli lanciò uno sguardo dubbioso: - Avremmo dovuto controllarne la bontà prima, se avevi dei dubbi. -
- Mangialo e basta, Daisuke. - iniziò ad innervosirsi Haru, cercando di non perdere però il controllo.
Lentamente le labbra di Kambe si schiusero, quanto bastava per dare un morso al piccolo biscotto. Inevitabilmente una parte della mente di Kato trovò la scena vagamente erotica, ma venne immediatamente sopita dal desiderio di scoprire cosa stesse pensando il ricco detective.
Daisuke masticò un po', inghiottì e poi decretò: - È buono. -
Il padrone di casa sorrise: - Visto? L'hai fatto tu. Poco importa della forma o di cosa è successo mentre lo preparavi. -
Nuovamente l'unica risposta fu un'occhiataccia del suo ragazzo, che con nervosismo si slacciò il grembiule. Era stato troppo palese nel suo tentativo di consolarlo.
- Vado a casa. - annunciò mentre piegava diligentemente l'indumento. Come previsto. Haru si lasciò andare a un sospiro prima di decidere di usare le maniere forti. Gli si avvicinò e lo abbracciò forte da dietro mentre il suo ragazzo poggiava ordinatamente il grembiule nella borsa.
- No, - gli mormorò all’orecchio - non te ne andrai fino a che non avremo chiarito una cosa. -
La prima reazione del miliardario fu quella di arrossire leggermente e lasciarsi andare, abbandonando la rigidità che aveva mostrato sino a poco prima. A poco a poco riprese il controllo, si girò nel suo abbraccio: - Ok, ma non abbiamo molto tempo. E solo se mi prometti che non ricomincerai a farmi discorsi pietosi. -
Pietosi? Quel maledetto orgoglioso pensava che i suoi, forse maldestri, tentativi di consolarlo fossero in realtà commiserazioni? E anche se fosse? Insomma era il suo ragazzo, aveva tutto il diritto di provare compassione per lui!
Lo prese per le spalle, quasi a scrollarlo, poi si calmò. Haru gli arpionò una mano e lo trascinò a sedere attorno al tavolino dell'altra stanza.
- Ora parliamo. - esordì il poliziotto.
Daisuke semplicemente sbuffò, mostrando il suo solito viso inespressivo se non per una punta di tedio.
- Ah! Non ci provare Daisuke! - lo ammonì istantaneamente il poliziotto, incapace di trattenersi ancora - Sto cercando di capire che passa per la testa del mio ragazzo, per potermi comportare con lui come si deve. -
- Vai bene così, non c'è bisog... - il miliardario non riuscì a finire la frase, poiché Kato era diventato un fiume in piena: - No che non va bene così! Voglio vederti felice, voglio vederti sorridere, maledetto te! Perché devi sempre tenere la gente a distanza? Perché non puoi ammettere almeno a me cosa ti preoccupa? O cosa ti da fastidio? O qualunque cosa! Voglio capire! Ti amo, Daisuke. Non lo dico tanto per farti contento, né come merce di scambio per il tuo corpo! Ti amo veramente. Lo sai benissimo che non lo direi solo per dire, lo sai che... - Fu costretto a fermarsi. Kambe si era alzato di scatto e gli aveva tolto il respiro con un bacio travolgente. Preso completamente alla sprovvista Haru chiuse gli occhi solo dopo un momento, quando si lasciò andare, prendendo il suo amante alla vita, mentre lui gli spettinava i capelli. Le loro lingue danzarono l'una con l'altra per un tempo imprecisato, fino a che con il respiro affannato si staccarono alla ricerca d'aria.
- Grazie. - mormorò il miliardario a pochi centimetri dal suo viso, mentre continuava a carezzargli la capigliatura, ora con movimenti più lenti e dolci.
- Maledetto testardo. Non sono i tuoi grazie che voglio. - gli rispose ancora leggermente irritato nel tono, eppure le sue braccia erano salde attorno alla vita dell'amante.
Un sorriso appena accennato increspò le labbra di Daisuke: - Dimmi cosa vuoi. -
Haru non volle perdere l'occasione e fece la prima domanda che gli venne in mente: - Perché tanto disturbo per fare una torta che avresti tranquillamente potuto comprare? -
Improvvisamente intimidito Kambe cercò di ritrarsi, ma l'abbraccio di Kato glielo impedì.
Il miliardario sembrò ponderare la risposta ed infine sospirò: - Perché volevo fare qualcosa per te che ti facesse veramente contento. Odi sempre i miei regali e se non li odi, li accetti comunque con estrema difficoltà. -
- Non certo perché sono regali brutti o perché me li fai tu! - protestò. Ma il dito indice dell'amante lo mise a tacere.
- Quando mi hai regalato la torta al mio compleanno, mi sono sentito così felice! Non solo perché era un regalo da parte tua, ma perché era qualcosa che avevi fatto tu, con le tue mani, solo e soltanto per me. C'era più del semplice oggetto, c'era il tuo impegno in quel regalo. - fece una piccola pausa per carezzare delicatamente una guancia del padrone di casa.
- Volevo provare a fare qualcosa anche io, qualcosa che ti desse anche solo un pizzico di quella felicità che ho provato io. Ma non sono affatto in grado. L'unica idea che ho avuto è stata copiare quello che avevi già fatto tu e per di più mi sono dovuto appoggiare a te, che eri il destinatario del dono. Ho fatto peggio di quanto avrei potuto fare se avessi comprato anche quest'anno una torta d'alta pasticceria e t'avessi inondato di odiosi regali. -
L'espressione di Daisuke si era nuovamente intristita. Haru si sporse leggermente per sfiorargli le labbra. - Non è vero. Non hai assolutamente fatto male. Sono stato contento di fare questa cosa con te: ero così eccitato all'idea di provare a fare una torta con te oggi pomeriggio che mi sono completamente dimenticato che era il giorno del mio compleanno. Non mi sono accorto che non mi avevi fatto gli auguri proprio perché era passato tutto in secondo piano rispetto al nostro esperimento. Non mi interessa che tu mi faccia un regalo fatto a mano, non sei il tipo. Ma l'idea di fare qualcosa con me? Quello è stato un regalo di compleanno bellissimo! Anche se non era voluto! -
Sorrise di fronte all'espressione sempre più sorpresa del miliardario. Non aveva veramente capito di averlo reso così felice quel pomeriggio? Portò una mano sulla sua nuca e lo baciò di nuovo teneramente.
- Ti amo, Daisuke, il tempo passato con te è sempre il migliore. - gli sussurrò.
Finalmente anche sul volto di Kambe tornò un sorriso disteso e felice. - Anche io ti amo. - gli rispose mentre tornavano a baciarsi.

Passarono diversi minuti prima che riuscissero a spezzare quell'infinita catena di baci e parole dolci. Fu il miliardario che li riportò alla realtà: - Haru, ora devo andare sul serio. Faccio venire un addetto a prendere la torta più tardi, d’accordo? -
- Un addetto? - domandò confuso.
Daisuke si stava rialzando e risistemando l'uniforme: - La torta deve restare in frigorifero no? Mando un mezzo con la cella frigorifera. -
Haru scosse la testa incredulo: - Sei sempre esagerato. -
- Vuoi sprecare tutto il lavoro di questo pomeriggio? -
- No, no, assolutamente. - s'affrettò a correggersi. Ora che finalmente avevano ritrovato la giusta sintonia non era il caso di mandare tutto all'aria. Un lieve sorriso soddisfatto comparì sul volto dell'amante mentre si ritirava nel piccolo bagno per cambiarsi. Ne uscì un attimo dopo con il suo ben più usuale completo. Lo preferiva così, si rese conto Kato, la divisa da pasticcere non gli stava male, ma il vero Kambe era quello che indossava completi costosissimi in maniera impeccabile.
Mentre l'altro si allacciava le scarpe gli si avvicinò: - Ehi Daisuke. Non pensi anche tu che dovremmo imparare, entrambi, a parlare un po' di più tra noi? -
- Uh?! - gli rispose il miliardario non capendo bene perché stesse affrontando quell’argomento proprio in quel momento. Eppure per Kato era importante e non poteva attendere un'occasione migliore.
- Intendo per migliorare la nostra relazione: per non litigare inutilmente, per non creare futili malintesi. -
Il miliardario gli rispose dapprima con un’espressione intenerita, evidentemente gli faceva piacere che il poliziotto si preoccupasse per la loro relazione: - Sì, hai ragione. Cercherò di impegnarmi, ma tu vedi d'imparare a contare fino a tre prima di rispondere. -
Tasto dolente! Si grattò la nuca distogliendo lo sguardo, proprio mentre il suo ragazzo si rialzava.
- Lo so, - mugugnò - ci sto provando a mordermi la lingua, ma non è così facile come sembra. -
Inaspettatamente si ritrovò con le mani di Daisuke attorno al collo: - Non ho dubbi che per un istintivo come te sia difficile. Dopotutto ti ho scelto anche perché sei così adorabilmente spontaneo. -
Scoccò un rapido bacio sulle labbra di un attonito Haru: - Ci vediamo più tardi. -
- A più tardi. - rispose meccanicamente. Il miliardario stava uscendo dalla porta, quando si riprese, lo prese per un braccio e lo tirò nuovamente dentro.
- Mi impegnerò! Farò del mio meglio! - gli urlò. Il collega lo fissò evidentemente colpito, prima di ribattere: - Cercherò di migliorare anch'io. - poi si dileguò rapidamente chiudendo l'uscio dietro di sé. Sapevano entrambi che se avesse tentennato ancora sarebbero passati altri preziosi minuti.
Il padrone di casa rimase a fissare la porta per un po', assorto. Daisuke se ne era andato da pochi secondi e già non vedeva l'ora di rivederlo. Forse doveva ripensare seriamente alla proposta d'andare a vivere alla villa!
Sospirò, non aveva molto senso stare a preoccuparsi, si sarebbero rincontrati di lì a poco. Per prima cosa doveva lavarsi e cambiarsi. Si sarebbe messo la camicia nera che aveva comprato con il suo ragazzo qualche settimana prima. Ricordava il sorriso soddisfatto quando gliel'aveva fatta provare. Sì, era una buona scelta, ne sarebbe stato felice.
Prima di dirigersi verso il bagno però volle dare un’ultima occhiata alla loro torta. Aprì il frigorifero e la trovò disposta sul secondo ripiano. Un lieve sorriso gli increspò le labbra mentre l'ammirava. Chi l'avrebbe mai detto che loro due, con tutti i loro difetti e le loro incomprensioni, sarebbero riusciti a creare un dolce così bello e sicuramente anche buono? Era servita la sua abilità in cucina, ma anche la testardaggine e il gusto di Daisuke per raggiungere quel risultato: c'era un po' di entrambi. Alla fine dei piccoli disastri e degli errori non c'era traccia visibile, incidenti di percorso che restavano solo nella loro memoria. Chissà, forse quella torta era la miglior rappresentazione del loro rapporto: tutti gli scogli e i problemi erano solo passaggi intermedi rimediabili che non compromettevano la felicità dello stare insieme. Una relazione dolce, proprio come una torta.

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Capitolo 2
*** Missing Moment ***


Le storie di questa raccolta sono tutte collegate alla long-fic So Close So Far (che potete leggere qui), ma questa one-shot è leggibile anche come stand-alone.


MISSING MOMENT


Haru puliva freneticamente la cucina, non che ce ne fosse un effettivo bisogno, semplicemente per tenere le mani e la testa occupata. L'attesa lo stava divorando, più di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Una settimana era passata abbastanza in fretta e fino a quel momento non si era sentito affatto in ansia, ma nell'avvicinarsi di quell'istante il bisogno era cresciuto a dismisura dentro di lui.
Quando sentì il suono del campanello gettò lo straccio che teneva in mano sul tavolo e andò ad aprire di slancio.
Daisuke se ne stava là, con le mani nelle tasche del suo lungo cappotto nero.
- Tadaima. - gli disse solamente.
Con un breve esitazione Kato gli rispose: - Okaeri – mentre si spostava quel tanto che bastava per farlo entrare. Kambe iniziò a togliersi il soprabito mentre passava accanto al padrone di casa. La porta si chiuse quasi di schianto alle sue spalle. L'indumento cadde dalle mani del miliardario quando Haru lo strinse forte in un improvviso abbraccio. Prima ancora che l'altro potesse reagire, le sue labbra lo avevano coinvolto in un lungo bacio. Mentre le braccia di Kato si stringevano sempre più forti attorno alla sua vita, Daisuke aveva sollevato le mani a carezzargli lentamente il collo, prima di intrecciarle sulla sua nuca.
Si staccarono, il respiro leggermente affannato.
- Oh, a quanto pare qualcuno si è sentito solo questa settimana? - gli sorrise sornione Kambe, mentre lo teneva chinato su di lui, i nasi che ancora quasi si toccavano.
- Sta zitto. -
Nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi dell'altro. Rimasero un attimo in silenzio, rotto dal miliardario, che riprese quasi sussurrando: - Evidentemente devo aver capito male. - mentre faceva provocatoriamente scivolare le dita a stuzzicare l'amante dietro alle orecchie. Il volto di Haru avvampò all'istante.
Questa volta fu Daisuke a trascinarlo in un nuovo profondo bacio. Mentre le loro lingue si intrecciavano e Kambe gli spettinava la capigliatura, le mani di Kato si mossero su e giù lungo schiena dell'amato, per poi scendere inesorabilmente verso le sue natiche.
Ripresero nuovamente fiato, ma questa volta il padrone di casa si mosse rapidamente a baciare e mordicchiare il collo dell'altro.
Una mano sulla fronte però lo allontanò dal suo obbiettivo.
- Fermo lì lupo famelico. - gli disse Daisuke più calmo di quanto la sua espressione leggermente arrossata potesse far intendere – Fammi almeno togliere la giacca e le scarpe. -
Con un grugnito tra l'insoddisfatto e l'imbarazzato Haru si fece indietro, lasciando la presa.
L'altro con la sua consueta calma raccolse il cappotto, si tolse la giacca del completo e appese il tutto all'appendiabiti. Mentre si toglieva le scarpe e le lasciava ordinatamente all'entrata, Kato s'appoggiò alla porta scorrevole che divideva la cucina dalla stanza che fungeva sia da salotto che da camera da letto. Lo stava divorando con gli occhi, e anche Kambe lo sapeva: si godeva quello sguardo che lo seguiva in ogni singolo movimento.
Il miliardario si avvicinò lentamente, allentando scenicamente il nodo della cravatta, poi si tolse i gemelli dalle maniche della camicia.
- Ti sono mancato, vedo? - gli mormorò sporgendosi a sfiorargli il collo con le labbra.
Haru sorrise: - Non mi abituerò mai al tuo improvviso cambio di statura, con e senza scarpe. -
L'espressione di Daisuke si fece immediatamente contrariata, ma Kato lo prese per un braccio e si abbassò a sussurrargli nell'orecchio: - Così è più scomodo baciarti in piedi, andiamo a letto. -
- Idiota. - gli rispose l'altro, mentre si faceva trascinare verso il vicino letto.

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Capitolo 3
*** Maschi che si Baciano ***


Le storie di questa raccolta sono tutte collegate alla long-fic So Close So Far (che potete leggere qui), questa in particolare va letta al termine della storia principale.


MASCHI CHE SI BACIANO


Era un’afosa domenica di luglio e Akito imbronciato, sedeva in un angolo del salotto. Sarebbe dovuto andare alla piscina pubblica con i suoi amici, ma la mamma aveva deciso di festeggiare il suo compleanno e, di conseguenza, non gli aveva dato il permesso. Solo l'arrivo inaspettato dello zio Haru gli aveva ridato il sorriso, non lo vedeva spesso, ma da quando l'aveva portato a Disneyland era diventato il suo preferito. Gli aveva fatto anche un bel regalo per il compleanno! Gli era precipitato incontro, buttandosi tra le sue braccia. Lo zio, che secondo Daisuke-san era un poliziotto forte e capace, non ebbe problemi a prenderlo al volo e sollevarlo.
- Akito! Che modi sono! - lo richiamò immediatamente la mamma, ma lo zio lo difese rimettendolo a terra: - Non c'è problema, Natsuko. - poi si rivolse direttamente a lui: - Ciao Akito, è un po' che non ci vediamo. -
Gli mise una mano sulla testa regalandogli un sorriso aperto. Sì, lo zio Haru era proprio il suo preferito!
Anche lui, però, era venuto per la mamma. Le diede il regalo e sedette con gli altri adulti. Inizialmente Akito mise su un plateale broncio, ma non ottenendo alcun risultato decise di passare all'azione. Si avvicinò allo zio e iniziò a tirargli la maglia, invitandolo ad andare a giocare con lui.
- Va bene, Akito, vengo, ma non per molto che ho un impegno più tardi.- gli rispose mentre s'alzava. Il bimbo sorrise, ignorando completamente l'occhiataccia della madre.
Purtroppo, l'ora concessagli dal poliziotto volò in un lampo. Con sguardo mogio il bambino ripose il gioco che aveva usato in camera sua. Quando tornò nel salotto lo zio si era già volatilizzato. Volendo a tutti i costi salutarlo calorosamente, così che magari sarebbe tornato presto da lui, Akito corse verso l'ingresso. Trovò i due fratelli che discutevano tra loro, ma si bloccarono immediatamente quando si accorsero della sua presenza.
-Bene, io vado. - annunciò il poliziotto, prima di mettergli una mano sulla testa a spettinarlo. -Ci vediamo Akito. - gli disse con un sorriso.
Il ragazzino aveva già gli occhi che brillavano, ma venne anticipato dalla madre nella risposta: -Dovresti salutare anche me, Haru!-
-Ovviamente Natsuko. Ancora buon compleanno!-
Mentre un leggero nervosismo si notava nell'espressione dell'uomo, la donna si era lasciata andare a uno sbuffo. -Grazie. Per quella cosa ti faccio sapere, ok?- gli disse misteriosa.
Akito la guardò perplesso: -Quale cosa?-
La madre lo zittì subito: -Cose da grandi.-
Mentre il bambino metteva il broncio alla risposta sbrigativa, lo zio salutò ancora una volta e uscì.

Dovettero passare altri giorni prima che Akito riuscisse a scoprire di cosa avevano parlato i due adulti. Un pomeriggio, mentre la sorella Chifuyu stava giocando con la nonna nel giardino, la mamma l'aveva avvicinato e seduti l'una accanto all'altro gli aveva chiesto: -Akito, lo zio mi ha chiesto se poteva portarti in gita in montagna due giorni, ci andresti?-
Il bambino era scattato in piedi e quasi urlato: -Sì! Certo!-
La madre lo aveva preso per un polso e l'aveva rimesso seduto: -Dovrai stare via a dormire, senza né la mamma né il papà. Ti va bene comunque?-
Che domande! Non vedeva l'ora di vivere un'avventura da grande! Annuì con entusiasmo, cercando di mostrare tutta la sua sicurezza.
-Va bene, allora informerò lo zio. Però ricordati: dai sempre ascolto allo zio Haru, non fare niente di pericoloso e stai attento. Se quando ritornerai scoprirò che hai disobbedito potrai scordarti di uscire per il resto dell'anno, siamo intesi?- Gli disse con severità. Ma Akito ormai era sulla luna e continuò ad annuire senza dare troppo peso alle minacce. Si sarebbe comportato bene, con lo zio non si sarebbe annoiato comunque, ne era sicuro!

La data fissata per la partenza era un sabato d'inizio agosto. Dopo una settimana di preparativi e assillanti raccomandazioni da parte della madre Akito era eccitatissimo, tanto che quella mattina non fu necessaria la sveglia, s'era svegliato quasi all'alba! Mentre l'aiutava a vestirsi e lo assisteva nel controllare che nella borsa non mancasse nulla di necessario, la mamma continuava anche a avvertirlo di non sottovalutare nessun rischio. Il bambino l'ascoltava, ma solo a metà, l'altra parte del suo cervello era già pronta a correre sui prati e scalare rocce!
Anche durante il tragitto in auto la donna non smise di fargli raccomandazioni di ogni genere. Il bambino sopportava perché sapeva che di lì a poco sarebbe iniziata un’avventura sicuramente indimenticabile! Non era mai stato lontano dai suoi genitori così a lungo! Non vedeva l'ora di scoprire come potesse essere una sera senza la mamma che lo mandava a letto presto, come poteva essere la montagna, che animali avrebbe visto e incontrato. Inizialmente aveva pensato che avrebbe dormito in una tenda, sull'erba e sotto un cielo stellato, la madre gli aveva spiegato che invece sarebbero stati ospiti a casa di Daisuke-san. Avrebbe preferito poter riposare tra i grilli che cantavano, ma sicuramente anche la casa di Daisuke-san sarebbe andata bene.
Il bimbo osservò dal finestrino la strada farsi pian piano sconosciuta. Erano in un quartiere della città in cui probabilmente non aveva mai messo piede. Infine si fermarono davanti a un enorme cancello, il più grande e maestoso che Akito avesse mai visto. Rimase a osservarlo con occhi sgranati mentre lentamente si apriva, senza che nemmeno la madre uscisse dalla macchina per suonare il campanello. Diede un'occhiata alla mamma anche lei sembrava leggermente agitata, di certo non per l’entusiasmo come il figlio. Appena oltre il cancello incrociarono un signore vestito elegantemente che gli fece segno di seguirlo, prima di salire su un mezzo elettrico.
Percorsero un ulteriore viale alberato, molto lungo. Sembrava di essere già nel bosco, come poteva esserci una foresta del genere nel mezzo di Tokyo? Il bambino aveva già la bocca aperta dallo stupore. Se la gita iniziava così non avrebbe potuto essere altro che fantastica!

Quando gli alberi si diradarono per lasciar spazio a uno spiazzo, si ritrovarono vicino a una piazzola d'atterraggio. Natsuko fermò la macchina accanto alla golf cart che li aveva guidati sin lì e scese per prima. Akito fremeva, ma sapeva che sua madre non voleva che scendesse senza permesso e ora che il suo viaggio era così vicino non voleva farla arrabbiare per nessun motivo. Distratta a sua volta dall'ambiente incredibile in cui si trovavano, la donna girò attorno all'auto per aprirgli la portiera. Il bambino scese con un balzo, correndo poco avanti alla macchina ad ammirare l'elicottero nero che si stagliava davanti a loro.
- Ehi Natsuko! - sentì gridare da poco lontano. Distolse lo sguardo lentamente, verso la sua destra, dove vide lo zio Haru e accanto a lui Daisuke-san con altre persone. Una era una ragazza perché portava la gonna e aveva i capelli lunghi, l'altro era un uomo vestito come quello che li aveva accompagnati là. Nuovamente colmo d'eccitazione superò la mamma e si buttò tra le braccia dello zio.
- Ciao Akito. - gli rispose assorbendo l'urto del suo abbraccio come se nulla fosse.
Il saluto dello zio venne però nascosto dall'urlo della madre: - Akito! Non correre in quella maniera! Comportati bene! -
Stava anche per partire uno scappellotto, ma venne salvato in extremis da Haru, che lo strinse a sé: - E dai Natsuko, è solo un po' agitato, lo puoi capire, no? -
- No. - rispose secca, ma lanciò uno sguardo che lasciava intendere altro al figlio.
Senza che quasi se ne accorgessero il padrone di casa aveva fatto un passo verso di loro, con un elegante inchino si rivolse prima alla donna: - Buongiorno Koshikawa-san. È un piacere conoscerla. -
Daisuke-san era sempre elegante e calmo! Anche la mamma sembrava un po' in difficoltà, come lo era stato lui la prima volta che lo aveva incontrato. Si era raddrizzata imbarazzata, poi aveva fatto un profondo inchino: - Buongiorno a lei, Kambe-san. Mi scuso per il disturbo che le arrecherà mio figlio... e mio fratello. - aggiunse poi alzando gli occhi sullo zio.
- Ehi, Natsuko! - gridò subito l'altro uomo, facendo sorridere soddisfatta la sorella.
Kambe s'intromise subito: - Sono certo che Akito mi darà molti meno problemi di suo zio. -
- Ah! Non mettertici anche tu, Daisuke! -
Altro sorrisetto sarcastico, questa volta sul viso del padrone di casa. Lo zio sembrava pronto a esplodere, quando si fece avanti la ragazza che aveva notato poco prima. Akito era solo un bambino, ma sapeva riconoscere le belle donne, e quella era la donna più bella che avesse mai visto! Quando parlò anche la voce gli sembrò bellissima: - Daisuke-sama, posso presentarmi? -
- Certo. Anzi, permettimi... - rispose Daisuke-san prima di voltarsi verso i due Koshikawa: - Koshikawa-san, Akito-kun, vi presento mia cugina Kambe Suzue. Sarà lei a pilotare l'elicottero che ci poterà alla villa in montagna quest'oggi. -
Akito era incantato: era una donna bellissima, con una voce angelica e sapeva anche pilotare gli elicotteri! Di colpo la mano della madre gli spinse la testa in un inchino, mentre lei faceva la stessa cosa: - Molto piacere Suzue-san, le affido mio figlio. -
Appena la presa della mamma cedette, Akito rialzò di scatto la testa: - Quindi andiamo con quello, Daisuke-san?! - domandò eccitatissimo indicando l'elicottero.
- Sì. L'elicottero è il mezzo più rapido e comodo. -
- E qualcuno l'altra volta sembrava tanto interessato agli elicotteri... - suggerì lo zio spettinandogli i capelli.
- Daisuke-sama, io vado a iniziare la procedura di decollo. - disse quindi Suzue-san avviandosi al mezzo.
La mamma la seguì con lo sguardo, impensierita. Probabilmente aveva paura che sarebbe potuto succedere qualcosa. D'improvviso Akito ebbe paura che potesse decidere di non lasciarlo più andare! Era già pronto a piangere fino all'ultima lacrima per farla capitolare, quando intervenne Daisuke-san: - Koshikawa-san, immagino sia preoccupata, ma stia tranquilla, Suzue ha anni d'esperienza e ore di volo. Inoltre la giornata è splendida e ho fatto ricontrollare appositamente l'elicottero in ogni singolo componente ieri. Io per primo non voglio che accada nulla a suo figlio o a suo fratello. -
La mamma l'aveva guardato un po' stupita, forse credeva che non si notasse la sua espressione turbata? Poi aveva solo annuito.
D'improvviso a spezzare il silenzio s'alzò il rumore del motore che s'avviava e le grandi eliche iniziarono a girare. La madre s'acquattò davanti a lui e gridò per farsi sentire: - Mi raccomando, Akito, fai il bravo. Ascolta lo zio e Kambe-san. Non fare i capricci e non dimenticare mai il cappello, ok?! -
- Sì! - urlò forte affinché la mamma lo sentisse. Questa lo trascinò verso di sé e gli scoccò un bacio rapido sulla guancia. Istintivamente sentì di dover fare lo stesso e si sporse per ricambiare. Poi si ritrovò di colpo delle cuffie davanti agli occhi.
Lo zio gliele stava facendo dondolare davanti mentre indossava le sue. Daisuke-sama stava invece mettendole stando attento a non spettinarsi. Akito le guardò per un attimo confuso, poi la mamma le prese tra le mani e gliele pose sulle orecchie.
- Mi senti bene, Akito? - sentì la voce dello zio forte e chiara.
- Sì! Benissimo! - rispose eccitato, senza attendere che la madre sistemasse il microfono davanti alla sua bocca.
- Bene, Akito-kun, ricorda di non toglierle mai fino a che non te lo diremo noi, ok? - anche la voce di Daisuke-san si sentiva bene.
- Va bene. - rispose deferente.
- Daisuke-sama, siamo pronti a decollare. - era la ragazza bellissima a parlare, la sentiva come se fosse lì, accanto a lui, ed invece era sull'elicottero con i comandi tra le mani.
Kambe diede uno sguardo allo zio e poi alla mamma, prima d'avviarsi verso il mezzo. Lo zio invece si tolse un attimo un auricolare e gridò qualcosa alla sorella, Akito non riuscì però a capire cosa. La mamma fece solo sì con la testa. Lo zio andò alla ricerca della mano del nipote e tenendola stretta s'avviò. Akito ebbe appena il tempo di girarsi ancora verso la madre e salutare con la mano, così come stava facendo lei.

Arrivati al mezzo il rumore era tanto forte che si sentiva anche attraverso le cuffie. Lo zio lo prese per la vita e lo sollevò, aiutandolo a salire. Una volta a bordo Daisuke-san gli allacciò un sacco di cinture di sicurezza, mentre anche lo zio si metteva a sedere. I portelloni si chiusero un attimo dopo e anche gli adulti allacciarono le cinghie.
- Daisuke, hai ricordato ai tuoi domestici che devono riaccompagnare mia sorella al cancello, vero? -
- Certo che sì. -
Akito si era immediatamente voltato a guardare la madre dal finestrino e salutarla ancora, lei non si era ancora mossa, non sembrava intenzionata ad andare via.
- A proposito di domestici, hai mantenuto la tua promessa, vero? Solo il minimo indispensabile? -
Uno sbuffo provenne dalle cuffie amplificate: - Stai forse dicendo che non sono una persona di parola, Haru? -
- Non ho detto quello! -
- Comunque sì, minimo indispensabile: un cuoco, un aiuto e sei camerieri. -
- Perché sei?! - sentì lo zio urlare, mentre gli si sovrapponeva la voce di Suzue-san: - Iniziamo ad alzarci. -
L'elicottero si staccò da terra e in un attimo la mamma e le altre persone fuori dal finestrino divennero sempre più piccole e lontane. Akito cercò di sporsi un po' di più, per continuare a salutare la madre, ma le cinture lo tenevano contro il sedile. Poi la sua attenzione fu attratta dall'azzurro del cielo tutto attorno a sé. All’improvviso si rese conto che stava volando e l'eccitazione salì ancora di più. Gli occhi fissi fuori dal finestrino, non sentiva nemmeno più di cosa stessero parlando i due adulti apparentemente disinteressati a quel panorama. La città di Tokyo enorme e caotica si stagliava sotto di loro, poteva distinguere alcuni punti focali e anche la baia, laggiù in fondo.
- Akito-sama. - si sentì chiamare - tutto bene? -
Ci mise un attimo a registrare la domanda: - Sì, sì, tutto bene. È bellissimo! -
- Se ci fosse qualche problema, Akito, dimmelo. - si raccomandò lo zio. Ma lui stava benissimo, anche più di prima! Chissà se i suoi amici gli avrebbero creduto quando tornato a scuola gli avrebbe raccontato di essere andato in vacanza in elicottero!
- Dillo a Suzue, piuttosto, che è più affidabile di tuo zio. - aggiunse Daisuke-san, che già aveva accavallato le gambe e guardava sornione verso l'altro uomo.
- Ehi! - fu l'unica risposta offesa dello zio.
Akito li osservò per un attimo scambiarsi occhiate silenziose. Rispetto alla gita a Disneyland sembrava che tra i due fosse cambiato qualcosa. Non riusciva bene a capire cosa, ma c'era un'atmosfera diversa tra loro.
- Stiamo per uscire dall'area metropolitana di Tokyo. - annunciò Suzue e allora la sua attenzione venne nuovamente attirata dal paesaggio sottostante, dove le case e le strade stavano lentamente lasciando spazio ai boschi.
Il terreno sotto di loro iniziò ad alzarsi, colline e monti toglievano spazio a strade e case. Anche il loro volo prese quota, Akito riusciva a sentire la sensazione di salire sempre più in alto, nonostante la guida sicura e senza scossoni di Suzue.
Il paesaggio si fece rapidamente sempre più montuoso, solo qualche strada o fiume tagliava la distesa di alberi verdi che ricopriva completamente il terreno. Notò solo un paio di paesi mentre sorvolavano il parco nazionale di Chichibu-Tama-Kai.
Rimase a fissare estasiato fuori dal finestrino per diversi minuti, ma pian piano il ripetersi continuo di boschi e prati lo annoiò un po'. Tornò quindi a interessarsi a quanto accadeva nel velivolo. I due adulti stavano discutendo, pareva, ma le loro espressioni erano molto rilassate. Sentiva i loro discorsi attraverso le cuffie, ma non ne capiva il senso. Daisuke-san sedeva ancora con le gambe accavallate, la testa leggermente reclinata poggiata su un gomito. L'attenzione del miliardario era tutta per l'uomo che gli sedeva di fronte, proprio accanto ad Akito. I suoi occhi blu non sembravano volersi staccare dallo zio, che al contrario distoglieva spesso lo sguardo, per poi tornare al punto di partenza. Akito ricordava molto bene la prima volta che aveva visto quei due insieme. Lo avevano portato a Disneyland per una giornata indimenticabile per quanto improvvisata. Anche allora avevano litigato, tante volte, eppure la discussione a cui stava assistendo era diversa. Lo zio, come la mamma, solitamente scoppiava e alzava la voce, questa volta stava invece facendo delle strane espressioni e rispondendo seccato, ma sembrava rilassato e tranquillo. Anche Daisuke-san sorrideva, molto più di quanto ricordasse dall'estate precedente.
Quando al parco lo zio li aveva lasciati soli Akito aveva sfrontatamente chiesto al miliardario perché aveva deciso di accompagnarli a Disneyland anche se non gli interessavano i giochi. Kambe era rimasto per un attimo in silenzio, poi lo aveva avvicinato e gli aveva detto: - Ti svelerò il perché, ma deve restare un segreto tra noi, sei disposto a giurarmi che non lo rivelerai ad anima viva? -
Il bambino sentitosi trascinare in un gioco di misteri e segretezza aveva giurato senza indugio. Aveva sperato in qualche missione segreta da poliziotti o spie, invece aveva ricevuto la più banale ma sorprendente rivelazione: - Voglio avvicinarmi il più possibile a tuo zio, voglio diventare una persona speciale per lui, quanto lui lo è per me. -
Il bimbo non aveva bene capito cosa intendesse con "persona speciale", ma non volendo sfigurare con quell'uomo di cui suo zio si fidava così tanto da lasciarli soli decise di sorvolare e cambiare argomento. Il miliardario gli aveva sorriso, allora, e aveva volentieri continuato a chiacchierare con lui, dandogli anche il permesso di chiamarlo per nome.
Aveva rispettato la sua promessa, non aveva mai raccontato quella cosa a nessuno. Non che avesse motivo per farlo. A chi sarebbe mai interessata una cosa così banale? Eppure ora, mentre osservava i suoi due accompagnatori, le parole di Kambe gli erano tornate in mente. Che fosse riuscito nel suo intento? Ancora non sapeva cosa "persona speciale" significasse, ma probabilmente era solo un modo da nobile per dire che voleva diventare il migliore amico dello zio. Effettivamente ora i due adulti sembravano molto più amici di prima.
Mentre cercava di capire cosa gli desse quell'impressione lo zio si accorse del suo sguardo.
- Ti stai annoiando Akito? - gli chiese.
S'affrettò a negare: - No, no. -
- Tra un attimo saremo arrivati, stai tranquillo. - la voce pacata di Daisuke-san s'intromise. Ebbe una scusa per spostare nuovamente la sua attenzione sul miliardario. Sì, ora era più sorridente e rilassato di quanto lo ricordasse. Anche se al primo incontro si era un po' spaventato e sentito in soggezione aveva imparato in fretta che Kambe era gentile e disponibile. Eppure ora gli sembrava ancora più aperto.
Sorrise ai due adulti, prima di tornare a guardare fuori dal finestrino, così da non impensierirli. Il panorama non era cambiato, ancora boschi a perdifiato. Di un verde più intenso forse e ancor più fitti.
Dopo pochi minuti come aveva preannunciato il miliardario Suzue annunciò: - Stiamo per arrivare, inizio le procedure di atterraggio. -
L'elicottero volo sempre più basso, le cime degli abeti si distinguevano ora con chiarezza. La ragazza doveva essere veramente brava: non ci fu nessun colpo secco, nessuno sbalzo. Con rinnovato interesse il bambino si aggrappò al finestrino come se la vista potesse sfuggirgli dalle mani. Vide un lago riflettere chiaramente il cielo azzurro, gli passarono molto vicino, poi ancora bosco. Con una virata Suzue fece inclinare leggermente il mezzo, Akito si trovò sul lato interno, schiacciato contro la parete in metallo poteva vedere chiaramente una villa con un giardino curatissimo stagliarsi nel mezzo del bosco. Il velivolo si rimise completamente in orizzontale, ormai le punte degli alberi erano pochi metri, forse nemmeno due, sotto di loro. Dopo poco un altro spiazzo si aprì, c'erano anche delle altre strutture e un’intera pista d'atterraggio. L'elicottero iniziò la sua discesa verticale, mentre Akito si rendeva conto che quelli accanto erano degli hangar: chissà se c'erano anche degli aerei!?
Con un urto non particolarmente accentuato Suzue fece atterrare il velivolo. Appena il mezzo fu completamente poggiato a terra Daisuke-san fece aprire il portellone. Nel frattempo lo zio gli stava slacciando le cinture: - Ora non fare di testa tua, Akito. Può sembrare un gioco da ragazzi scendere da un elicottero, ma non è così. Seguimi e fai come ti dico. -
Lui annuì e cercò di frenare il suo istinto di correre sulla pista. Kambe era già a terra, lo aiutò a scendere e accanto a lui attese che anche Haru mettesse piede sulla piattaforma d'atterraggio. Lo zio gli prese immediatamente la mano e s'incamminarono lontano dall'elicottero con ancora le eliche che ruotavano vorticosamente. Proprio davanti a loro un uomo elegante li stava aspettando accanto ad una jeep.
Appena furono vicini all'auto il miliardario si voltò, fece un cenno con la mano e poi disse: - Puoi andare Suzue. Buon rientro. -
- Grazie, Daisuke-sama, - giunse la voce della ragazza - Buon fine settimana anche a voi. -
Akito perplesso si girò verso lo zio: - Ma non viene anche lei con noi? -
- Suzue ha da fare, Akito, ci verrà a prendere domani sera. - gli rispose l'adulto, che ancora non aveva lasciato la sua mano.
- Spero si diverta, Akito-sama. - aggiunse la donna alzando una mano dalla sua cabina di pilotaggio per salutare il bambino. Lui rimase un po' imbambolato, era la prima volta che una donna tanto bella si rivolgeva a lui soltanto e in modo tanto formale. Arrossendo alzò solo un braccio titubante.
- Buon viaggio, Suzue-san - aggiunse Kato un attimo prima che l'elicottero riprendesse quota e sparisse in cielo.

Quando il velivolo fu sufficientemente lontano lo zio gli disse: - Ora puoi toglierti le cuffie, Akito. -
Il bambino si portò subito le mani agli auricolari e con prontezza se li tolse. All'improvviso un mondo di suoni che non si era nemmeno accorto mancassero gli riempì le orecchie. Il bosco non era fatto solo di silenziosi e alti alberi, c'erano uccellini che cantavano, fruscii e lo stormire delle fronde al leggero soffiare del vento. Si guardò attorno meravigliato: era veramente in montagna, nel mezzo della natura, non in un giardino pubblico o una qualche altra imitazione per bambini.
- Akito, andiamo? - lo richiamò lo zio, che già aveva aperto la portiera della jeep per lui. La sua borsa veniva messa in quel momento nel bagagliaio dall'uomo in completo che aveva visto poco prima attenderli.
- Chi è il signore? - domandò mentre saliva sul sedile posteriore.
Il poliziotto si girò un po' titubante e allora si intromise Daisuke-san: - È uno dei miei domestici, starà con noi questi due giorni. Si chiama Otsuka. -
- Piacere Otsuka-san - inchinò il capo cercando di mostrarsi educato come la mamma gli aveva raccomandato d'essere. I'uomo sorrise mentre ricambiava: - Onorato. -
Solo dopo un attimo tirò la maglia allo zio: - Zio, cos'è un domestico? -
Haru alzò gli occhi al cielo. - Daisuke, non potevi usare delle parole più semplici? -
- Quindi ora è colpa mia se tuo nipote ha delle lacune? - gli rispose immediatamente l'altro che sedeva sul sedile anteriore.
Akito continuava a guardare interdetto il parente, non capendo nemmeno la risposta di Daisuke-san. L'uomo si grattò la nuca pensoso: - Vediamo... come posso dirlo in modo più semplice senza risultare scortese... -
- Cameriere? - lo anticipò Kambe.
- Ah! Sì lo so cos'è un cameriere! Ma guidano i camerieri? -
Otsuka-san nel frattempo aveva messo in moto e l'auto si stava avviando per un sentiero che attraversava la foresta. Con un sorriso divertito stava seguendo tutta la discussione; evidentemente a lui poco importava della parola con cui veniva definito.
- Haru, spiegagli direttamente cosa fa un domestico. - concluse il miliardario, mentre l'altro adulto era ancora alla disperata ricerca di una risposta adatta.
- Non darmi ordini. - scattò guardando con fastidio verso la nuca corvina dell'amico.
Poco dopo però iniziò a spiegare confusamente quali fossero i compiti di Otsuka. Akito non capì proprio tutto, ma riuscì a farsi una idea.
Lo zio riuscì a concludere la discutibile spiegazione quando l'auto aveva svoltato in uno spazio più aperto, ora la villa che prima avevano sorvolato si vedeva chiaramente.
Daisuke-san si girò verso di loro: - Haru, io mi occupo di far scaricare i bagagli, tu se vuoi mostragli il giardino. -
- Ok. Allora ti aspettiamo là. -
Lo zio fece un sorriso incredibilmente radioso per essere uno che si era offeso solo un attimo prima. Ciò che però aveva improvvisamente realizzato colpì Akito come una freccia ben scoccata: si chiamavano per nome! Forse era troppo eccitato quella mattina per accorgersene, ma a ripensarci non avevano mai nascosto la cosa! L'anno precedente si erano sempre rivolti l'un l'altro solo per cognome, si ricordava bene lo stupore dello zio quando l'aveva sentito usare "Daisuke-san"! Li guardò entrambi, con occhi stupiti, poi scoppiò a ridere. A quanto pare il miliardario era veramente riuscito a diventare il miglior amico dello zio! Non c'era altro motivo per cui avrebbero dovuto iniziare a usare i loro nomi. Era molto contento per Daisuke-san, e anche per lo zio. Akito si sentiva sempre molto fortunato e felice di avere Sasaki, il suo migliore amico, accanto, non doveva essere diverso per lo zio.
- Che ti prende Akito? - gli domandò Haru colto di sorpresa.
Tra le risate gli rispose: - Sono solo contento. -
- Avrai fatto qualche espressione idiota come sempre. - lo canzonò Kambe rimettendosi composto sul suo sedile.
- Ehi Daisuke! - s'infuriò lo zio, senza però ottenere risposta. Il bimbo rise ancora un po' a quella scenetta, poi s'impose di smettere per non far arrabbiare il parente.
Un attimo dopo la macchina si fermò e fu facile archiviare l'accaduto. La jeep li lasciò vicino alla villa, vi si incamminarono a piedi lungo un sentiero in terra battuta perfettamente curato. Quando furono davanti al porticato il padrone di casa s'avviò alla porta, mentre loro due si diressero lungo un altro vialetto che attraversava aiuole e fiori ordinatissimi. Al centro si trovava una fontana altissima. Sembrava il parco di uno di quegli anime ambientati in Europa che tanto piacevano alle bambine. Visto dall'elicottero il giardino non era sembrato molto grande, invece la fontana che si notava già dall'ingresso della villa era più lontana di quanto pensasse! Da vicino il rumore dell'acqua e lo spettacolo delle cascate artificiali gli strapparono un'esclamazione stupefatta. Girò varie volte attorno alla struttura in pietra decorata, mentre lo zio lo guardava seduto su una panchina. Sembrava non entusiasmarsi tanto quanto lui, che frequentare Daisuke-san lo avesse abituato a certe cose tanto straordinarie?
- Zio, zio. - lo chiamò - c'è un uccellino lassù! - gli indicò il piano più alto, dove un pettirosso stava bevendo a brevi sorsi.
Haru s'alzò e gli andò vicino. - Non urlare troppo, Akito, oppure lo spaventerai. -
Si chinò accanto a lui con gli occhi fissi sul volatile.
- Zio, che uccello è? -
Il poliziotto fu preso alla sprovvista, Akito poteva leggergli in faccia che non sapeva rispondere. Solo dopo un attimo abbassò la testa sconfitto da sé stesso: - Non lo so. - ammise, ma poi si riprese: - Facciamogli una foto, magari Daisuke sa rispondere, oppure lo farà fare a HUESC... anzi! Facciamolo fare noi a HEUSC! -
Il bambino rimase perplesso dinanzi a quel fiume di parole, per lo più sconosciute, che lo zio stava dicendo.
- A chi? - azzardò.
- A HEUSC. È un’intelligenza artif... insomma è un computer che sa tutto e ti risponde. -
Lo zio aveva estratto il telefono mentre parlava e scattato una foto all'uccellino che ancora incurante di tutto e tutti beveva allegramente.
- Tipo il cellulare che gli parli e fa le cose? - domandò ancora Akito.
- Sì, tipo, ma HEUSC è meglio. - concluse lo zio, tornando accanto a lui e mostrandogli la foto, non proprio bellissima. Poi armeggiò con l'orologio che portava al polso e disse ad alta voce: - HEUSC dimmi il nome dell'uccello che compare nella mia ultima foto. -
Akito continuava a guardarlo dubbioso, perché chiedere all'orologio e non al telefono?
Dopo una frazione di secondo una voce suadente rispose: - Si tratta di un luscinia akahige, comunemente detto pettirosso o komadori. -
Gli occhi del bimbo si sgranarono. Dall'orologio dello zio sembrava aver parlato una persona vera! Era incredibile!
- Zio! Ma è bellissimo!! Puoi rifarlo? Possiamo chiedergli qualsiasi cosa?! - Il bambino saltò quasi tra le braccia di Haru, arpionandogli il braccio.
- Chiedere a chi? - entrambi quasi balzarono nel sentire la voce piatta di Kambe intromettersi. Non si erano nemmeno accorti del suo arrivo. Akito lasciò la presa, mentre Kato si raddrizzava: - Ho solo mostrato a Akito come funziona HEUSC. -
- Era necessario? - gli rispose l'altro incrociando le braccia. Il poliziotto si limitò ad alzare le spalle, mentre il ragazzino partiva alla carica: - Daisuke-san, tu lo sapevi che lo zio poteva chiedere le cose al suo orologio?! -
Il miliardario inclinò la testa incerto: - Certo, gliel'ho dato io. -
- Davvero?! - Ora il bimbo era ancora più interessato, ma una mano dello zio gli schiacciò la testa verso il basso, cercando di riportarlo sulla terra.
- Akito, perché invece che parlare di un computer non andiamo a vedere la tua camera? - E così dicendo lo indirizzò verso la villa.
Daisuke non mancò di correggerlo: - È un AI maggiordomo, Haru. -
- Quel che è. Devo farmi capire da Akito, non da te! - gli rispose l'altro mentre camminandogli accanto scortava il nipote.
- Come vorrei che ti impegnassi così anche con me. - sospirò teatralmente il miliardario. Anche Akito s'era accorto che era una esagerazione, ma lo zio sembrò prenderla sul serio: - Io mi impegno! -
- Daisuke-san, non capisci lo zio? - domandò più per cercare di inserirsi nella conversazione che altro.
Kambe gli rivolse un sorriso: - No, io lo capisco, è lui che non capisce me. -
- Sei tu che sei complicato e non dici mai quel che ti passa per la testa! - ribatté a stretto giro il poliziotto. I due si scambiarono occhiate cariche. Per quanto Akito cercasse di partecipare sembrava che fossero finiti in un mondo che apparteneva solo a loro. Decise che tanto valeva lasciarli fare, con uno scatto corse in avanti verso l'edificio. Era liberatorio poter correre così, lì in montagna la temperatura era anche più mite, non si sentiva affatto accaldato come a casa.
Arrivò al porticato molto prima dei due adulti, che nel frattempo avevano continuato il loro battibecco amichevole. Si era seduto sull'ultimo gradino della scala ad attenderli. Era una sua impressione o adesso erano più attaccati? Le loro mani sembravano quasi sfiorarsi; che avessero qualcosa di segreto da dirsi, così vicini?
Quando furono a pochi metri da lui, come accortisi della sua presenza, si divisero lentamente. Arrivati alla scala Daisuke-san prosegui, mentre lo zio gli diede una mano per aiutare ad alzarsi. Entrarono nella villa e per Akito fu un nuovo shock. Era gigantesca! Piena di cose lussuose e stravaganti! Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma sapeva perfettamente che tutto ciò che vedeva valeva una marea di soldi. A bocca aperta si guardò attorno, ancora all'ingresso, ruotando su sé stesso varie volte. Nel frattempo su un lato della stanza sei persone stavano in fila, tra loro riconobbe anche Otsuka-san.
- Akito. - lo fermò Haru, prendendolo per le spalle. Capendo di star reagendo in modo esagerato il bambino si sforzò di calmarsi e comportarsi in modo educato. I sei, tutti vestiti uguali, lo guardavano con uno sorriso. S'inchinò per scusarsi, poi la voce di Daisuke lo fece rialzare: - Akito-kun, questi sono i sei domestici che ci assisteranno in questi due giorni: Otsuka-san, che hai già conosciuto, Kaneda- san, Uchihara-san, Inagawa- san, Sayano-san, Shinohara-san -
Il miliardario snocciolò tutti i nomi facendo una breve pausa tra l'uno e l'altro. C'erano tre donne e tre uomini, ma Akito non era affatto sicuro di riuscire a ricordare tutto. Stava cercando di imprimere a fuoco in memoria ogni viso associandolo al giusto cognome, quando Daisuke-san continuò: - Per non crearti problemi ognuno di loro avrà un cartellino con il nome appeso al petto, non ti preoccupare. Saranno in servizio solo in due alla volta, questa mattina con noi ci saranno Otsuka-san e Uchihara-san. -
- Molto piacere. - disse facendo un nuovo inchino, a cui tutti e sei risposero con un movimento identico ma estremamente più elegante.
- Potrai rivolgerti a loro in qualunque momento, sono persone di cui mi fido. - concluse il miliardario.
Aveva dei camerieri a sua disposizione! Si sentiva di colpo come un piccolo lord! I suoi sogni a occhi aperti vennero bruscamente interrotti dallo zio: - Bene, Akito, ora lasciamo che tornino alle loro occupazioni e noi andiamo in camera, ok? -
Gli prese la mano e quasi lo trascinò verso la scalinata che portava al piano superiore. Nel frattempo Akito guardò con la coda dell'occhio i sei domestici che ancora restavano perfettamente in fila.
- Perché non vanno via? - domandò poi, girandosi verso lo zio.
Fu però Daisuke che li seguiva a rispondere: - Perché non è educato che un domestico esca dalla stanza prima del padrone, se non gli è stato dato preciso ordine di farlo. -
- Oh! - commentò assorto. Se aveva capito bene quindi si sarebbero mossi solo quando Daisuke-san fosse uscito dalla loro visuale. Sembrava veramente una cosa da nobili!
Sentì lo zio sospirare, mentre saliva l'ultimo gradino. A volte somigliava veramente tanto alla mamma, quel sospiro significava che non approvava, ma non poteva fare altro che accettare le cose come stavano. Cos'era, però, che non andava? Che ci fossero dei domestici? O che fossero così educati?
La questione passò subito in secondo piano quando il bambino mise piede nel nuovo ambiente. Il corridoio che portava alle camere sembrava veramente uscito da un castello. C'erano anche le lampade dorate alle pareti e il tappeto rosso!
Lo zio, che sembrava incredibilmente pratico del luogo, lo portò davanti alla prima stanza.
- Ecco, Akito, questa è la tua stanza. Abbiamo scelto la prima così la puoi trovare facilmente. -
Il bimbo annuì, mentre l'adulto abbassava la maniglia. Ormai convinto di essere in un castello senza torri, Akito si era aspettato una camera meravigliosa, ma le dimensioni lo stupirono lo stesso. Aveva in mente l'appartamento dello zio, e in quella stanza probabilmente ci sarebbe stato tutto quanto! Al centro c'era un letto matrimoniale con un baldacchino degno dei libri di fiabe.
Con gli occhi che luccicavano si era avvicinato indicandolo: - È tutto per me?!? -
- Sì, certo. - gli aveva risposto Daisuke, mentre andava ad aprire un armadio in legno massiccio: - E qui ci sono le tue cose. -
Della sua borsa ora non gli interessava, ancora meravigliato aveva messo le mani sul copriletto morbidissimo. Si era poi girato verso lo zio: - Posso salire? -
Haru aveva riso prima di rispondere: - Certo, Akito, non vorrai dormire sul tappeto, spero. -
Ancora titubante aveva poggiato entrambe le mani e si era issato sul materasso, molto più alto di quello di casa. Era fantastico! Sembrava super elastico! Istintivamente avrebbe voluto saltarci sopra per provarlo, poi aveva pensato alle urla di sua madre ogni volta che saltava sul letto. Era a casa di Daisuke, doveva comportarsi bene.
- Va bene, Akito-kun? - gli chiese il padrone di casa.
Il ragazzino annuì energicamente: - Benissimo! -
Nel frattempo lo zio si era allontanato verso una porta laterale: - Akito, vieni qui. -
Scese immediatamente per affiancarsi allo zio.
- Qui c'è il tuo bagno in camera. Vedi? C'è anche la vasca, ma non usarla da solo, ok? -
Somigliava alla mamma anche nel preoccuparsi, evidentemente.
- Sì, zio. Ma il bagno è solo mio? Voi ne avete un altro? - Faticava ad immaginarsi una casa con due bagni.
Lo zio sembrò stranamente in difficoltà: - Sì, le ville della gente ricca sono tutte così, ognuno ha il suo bagno. Sono esagerati. -
- Sono comodi, Haru. - s'intromise Kambe.
- ... esagerati ma comodi, mi tocca ammetterlo. - concluse lo zio. Un lieve sorriso comparì sul viso di Daisuke-san, che però non commentò oltre.
Gli lasciarono ancora un paio di minuti per contemplare la sua stanza, poi il poliziotto, mani ai fianchi lo invitò ad uscire: - Su Akito, adesso andiamo, prima pranziamo prima partiamo per la nostra prima gita. -
Nel sentir parlare di gita le orecchie gli si drizzarono e in un lampo schizzò in corridoio. Dietro di lui i due adulti se la presero molto più comoda.
Akito fece per mettere un piede sul primo gradino della scala, quando un dubbio lo assalì.
- Ehi zio, dove sono la tua camera e quella di Daisuke-san? -
Senza nessun preavviso Haru si bloccò come una statua e arrossì palesemente. Il nipote sbatté gli occhi incredulo. Che cosa aveva detto di strano?
A quel punto Daisuke-san passò accanto all'amico, dandogli una leggera sberla sulla nuca: - Perché lo chiedi Akito-kun? -
- Beh, se avessi bisogno di qualcosa... - si sentiva anche lui intimidito.
Il miliardario si chinò davanti a lui: - Non ti preoccupare, c'è un campanello sul comodino, suona quello e arriverà un domestico immediatamente. Se poi vorrai comunque lo zio lo chiamerà lui. -
- Ok...- mormorò il bambino. Non avrebbe voluto disturbare tanta gente, era meglio che non si facesse prendere dalla paura quella notte. Inaspettatamente la mano di Kambe si posò delicatamente sul suo capo leggermente chino. Era una sensazione completamente diversa da quella che le pacche dello zio gli davano!
- Rilassati Akito, non vogliamo darti troppe informazioni che potrebbero confonderti. Andrà tutto bene. Sei un bambino grande, ormai. -
Il ragazzino alzò gli occhi, il suo sguardo fisso in quello di Daisuke-san. Le sue parole gli diedero tutta la sicurezza di cui aveva bisogno. Era vero, ormai aveva otto anni, una notte da solo non era la fine del mondo! Sarebbe andato tutto bene!
Con un gesto deciso della testa confermò le parole dell'uomo che gli sorrise prima di alzarsi e togliere la confortante mano dalla sua testa. Nel frattempo anche lo zio si era ripreso da quel misterioso imbarazzo, anche se ancora si grattava la nuca incerto. Scambiò un'occhiata con Daisuke-san, poi sospirò come ad arrendersi e s'incamminò verso il piano inferiore prendendo il nipote per mano.

Il pian terreno della villa si rivelò un mezzo labirinto, Akito non avrebbe saputo rifare lo stesso percorso a ritroso se glielo avessero chiesto. Il pranzo fu servito all'esterno, in un cortile coperto da un grande gazebo e circondato su tre lati dall'edificio. Nonostante fossero fuori tutto sembrava elegantissimo. Il cibo poi era straordinario! Non aveva mai mangiato niente di così buono in vita sua! Le porzioni però erano così piccole che non poté certo abbuffarsi, ma forse era meglio così, riuscì ad assaggiare tutto quanto! Mentre lui si godeva le specialità del cuoco della famiglia Kambe lo zio e Daisuke-kun avevano iniziato a discutere sul menu della cena. Il bambino non li capiva, mancavano ancora così tante ore alla cena, perché preoccuparsi adesso? La questione lo riguardò d'improvviso quando il miliardario si girò verso di lui: - Akito-kun, a te va bene la cucina europea? -
- Daisuke! Sono sicuro che non abbia mai mangiato nulla di straniero, lascia che si senta a suo agio! - s'intromise lo zio.
Ma Akito era già stanco di quel discorso, e soprattutto non gli importava affatto che cosa avrebbe mangiato, bastava fosse buono: - Mi va bene! - rispose di getto.
- Akito... traditore... - mugugnò Haru, mentre l'altro adulto lo guardava sogghignando.
Avevano sicuramente uno strano rapporto, pur essendo amici. Lui non litigava tanto con Sasaki. Se però a loro andava bene così...
- Adesso andiamo? - domandò intromettendosi in uno dei loro strani discorsi silenziosi. Si girarono entrambi verso di lui leggermente sorpresi, poi sorrisero.
Il primo a muoversi fu il poliziotto, alzandosi disse: - Va bene, una bella passeggiata favorisce la digestione! -
Il bimbo balzò immediatamente in piedi pronto a partire così com'era, occhi che luccicavano all'idea della prima avventura del fine settimana. Con molta più calma anche il padrone di casa si rialzò, chiamò vicino a sé uno domestico e gli disse qualcosa. Poi si rivolse a loro due: - Bene, possiamo andare. - così dicendo s'avviò verso una delle tante porte che s'affacciavano sul cortile. Seguendo passo passo Kambe riuscì a tornare all'ingresso senza perdersi. Iniziarono entrambi a mettersi gli scarponcini, nuovissimi per Akitio, quando lo zio li richiamò: - Ehi voi due, non vorrete uscire così, vero? -
Era in piedi dietro di loro con le mani ai fianchi e li fissava in tralice, il miliardario e il bambino si guardarono l'un l'altro cercando di capire quale fosse il problema. Erano vestiti in modo adatto sin dal mattino e si stavano mettendo le scarpe giuste, non c'era nulla che fosse fuori posto in loro.
- Ah! Ho capito! Aspettatemi qui! - quasi urlò lo zio girandosi e prendendo la via delle scale.
Akito tornò a guardare Daisuke-san: - Cosa abbiamo sbagliato? -
- Non ne ho idea. - gli rispose piatto il miliardario tornando ad allacciarsi le calzature. A quel punto anche il bimbo decise di fare lo stesso, lanciando però frequenti sguardi indagatori verso l'adulto rimasto con lui. Sembrava calmissimo, nonostante nemmeno lui capisse cosa passasse per la testa dello zio.
Come avesse letto nel suo pensiero Kambe riprese: - Non ti preoccupare, tuo zio ogni tanto ha di questi momenti. Sarà sicuramente qualche sua idea balzana alla quale dovremo adattarci, ma nulla di grave. -
- Non è una idea balzana! - Si sentì protestare dietro di loro, mentre Kato scendeva velocemente i gradini, portando con sé qualcosa. Si avvicinò velocemente ai due che uno accanto all'altro lo attendevano in piedi davanti all'ingresso, con un movimento rapido di entrambe le mani mise loro in testa due cappelli.
- Non osate uscire di qui senza cappello, capito? Dico anche a te Daisuke! -
In risposta l'altro incrociò le braccia sbuffando. Akito invece cercò di risistemarsi il copricapo senza levarlo. Senza dar peso all'espressione infastidita dell'amico Haru si chinò per mettersi a sua volta rapidamente le scarpe.
- E perché tu no? - domandò leggermente risentito il miliardario.
Haru, si rialzò mostrando il capello alla pescatora che portava legato al collo e gli ricadeva sulla schiena.
- Ma non l'hai in testa. - continuò la rimostranza con una testardaggine piuttosto sciocca, secondo Akito. Lo zio non se ne lamentò, con un gesto si pose sul capo il cappello.
- Ecco. Come sto? Mi dona? - gli sorrise avvicinandosi ad abbassare leggermente con un dito la visiera del copricapo di Kambe. Questi si ritrasse imbarazzato, rispondendo comunque atono: - Per nulla. -
- Non è vero, sei arrossito un po', - continuò allegro lo zio andando a sfiorare una guancia dell'amico - quindi non mi sta così male. -
Il ragazzino non capiva cosa stesse succedendo, ma in ogni caso stavano perdendo tempo, che importanza ha tra maschi l'aspetto fisico? Quelle erano cose per donne!
- Zio, andiamo? - domandò tirando il parente per la maglia.
Haru sgranò gli occhi voltandosi, poi fu lui ad arrossire profusamente. Daisuke-san alzò gli occhi, prima di dargli anche questa volta uno scappellotto e prendere la mano del bambino.
- Su, andiamo. E lasciamo quell'idiota di tuo zio a pensare alla sua mancanza di comprensione della situazione. -
Desideroso di uscire il prima possibile il bimbo non si fece pregare e si mise al passo.
Una volta all'aperto azzardò una domanda: - Cosa è la comprensione della situazione? -
- La capacità di capire quando è il momento di fare le cose e come farle. -
- E lo zio non è capace di capirlo? -
- Evidentemente no. -
D'improvviso un urlo s'intromise tra loro: - Sì che lo capisco! Mi sono solo lasciato prendere! Non offendermi davanti a mio nipote! -
L'uomo si frappose tra loro anche fisicamente, prendendo la mano di Akito sfilata da quella del miliardario. Sembrava seriamente offeso, ma Daisuke-san, anziché scusarsi, sorrise ancora più beffardamente: - Fai tutto da solo, Haru. -
Inizialmente il poliziotto parve intenzionato a non lasciarsi scalfire dall'annotazione, tenne lo sguardo fisso davanti a sé e allungo leggermente il passo, poi di colpo si fermò mettendo la mano libera sul viso: - Ah! Lo so! -
Akito rimase frastornato da quella reazione imprevista, notò a malapena la compostezza di Daisuke-san che s'affiancò al collega, gli batté leggermente sulle spalle come a consolarlo e gli disse: - Vorrà dire che ci metterò una pezza anche la prossima volta. -
Lo zio fece solo una smorfia infastidita prima di borbottare un "grazie".

Dopo quello strano siparietto iniziale le cose si normalizzarono. Seguirono un sentiero ben battuto, lo zio dopo poco lo lasciò anche libero di correre qui e là, restando a portata di sguardo. I due adulti lo seguivano affiancati, solo ogni tanto parlottavano tra loro, spesso restavano semplicemente in silenzio, eppure sembravano a loro agio. Almeno così pareva ad Akito, per quel poco d'attenzione che gli concesse. Tutta il suo interesse era per ciò che lo circondava: la natura nel suo massimo splendore! Era nato e cresciuto nella metropoli, le occasioni per poter stare nel mezzo del verde così erano state fin ora rarissime e spesso in luoghi ben più affollati. Qui per la prima volta invece poteva sentire il vero rumore di una foresta, gli uccellini che cantavano, il ronzio degli insetti, il frusciare delle foglie. Poi c'erano così tanti animaletti! Anche quelli conosciuti gli sembravano diversi! Le formiche, le mosche, tutto sembrava più autentico! Quando una libellula gli tagliò la strada rimase sorpreso dai suoi movimenti rapidi e scattanti. Vide anche uno scoiattolo che scendeva da un albero, ma nel notarli fece immediata retromarcia. Sentirono anche dei versi particolari provenire da un qualche punto nel bosco più a monte e Daisuke-san gli disse che erano probabilmente dei cervi sika. L'idea di poter vedere un cervo selvatico dal vivo gli mise le ali ai piedi, ma alla fine quel giorno non ne videro.

La passeggiata che gli adulti avevano deciso di fare quel pomeriggio non era particolarmente impegnativa. In poco tempo raggiunsero il laghetto che si trovava vicino alla villa. Non era particolarmente grande, stando a quanto diceva il miliardario, ma per Akito era comunque bellissimo: soprattutto perché c'erano molti più animali da ammirare e cercare d'avvicinare senza molto successo.
Se lui si sentiva disposto a correre attorno a tutto il lago almeno un paio di volte, i due uomini che lo accompagnavano se la stavano invece prendendo comoda. Un po' Akito scalpitava, ma poi ricordava la promessa fatta alla madre di comportarsi bene e si accucciava in qualche angolo a studiare lo svolazzare assurdo delle libellule oppure si metteva vicino alla riva a scrutare i pesci che incuranti sguazzavano tranquilli. Non dovevano esserci molti pescatori da quelle parti.
Stavano seguendo la stradina che circondava completamente lo specchio d'acqua, non erano distanti dal completare il giro, quando lo zio, vista una spiaggetta di sassi lo chiamò.
- Akito. Fermiamoci un attimo. Facciamo un gioco. - gli disse dirigendosi deciso verso la riva.
Immediatamente incuriosito il bambino lo seguì. Dietro loro arrivò anche Daisuke. Lo zio si era subito chinato a cercare qualcosa, dopo un attimo si rialzò con una pietruzza tra le mani.
- Ecco qui, Akito, guarda bene. -
Si mise di fianco, non lontano dall'acqua, e poi con un movimento rapido lanciò il sasso. La pietra schizzò veloce sull'acqua, la colpì una, due, tre volte prima di inabissarsi.
- Oh! - riuscì solo a dire meravigliato.
- Non era un gran lancio. - commentò Daisuke-san. Ma per il bimbo era già incredibile quel che aveva visto.
- Zio, zio! Come si fa? Posso imparare? - domandò eccitato appena si riprese dalla meraviglia.
La mano di Haru si posò sul suo capo, come a fermare la molla che era diventato: - Certo che puoi. Prima di tutto devi cercare una pietra bella piatta; più piatta e liscia che puoi. -
Il bambino si mise subito in cerca. Fece varie proposte che vennero scartate, lui e lo zio s'aggirarono con la schiena piegata per alcuni minuti. Infine vennero raccolti una decina di sassi considerati adatti, che non bastarono però per la lezione. Riuscì solo a far fare un fortunoso balzo all'ultima che lanciò. Esaltato dall'ormai insperato mezzo successo, Akito si rimise a scrutare il terreno.
- Haru, - chiamò il miliardario in quel momento - ti va una sfida? Tre tentativi a testa. Chi riesce a far fare più rimbalzi vince. -
Akito incuriosito alzò lo sguardo, allo zio non servì nemmeno pensare, gli occhi gli ardevano: - Ci sto. -
Entrambi gli adulti si misero a scansionare il terreno: Daisuke-san si chinava solo per raccogliere i pezzi che considerava migliori, mentre Haru studiava ogni singola pietra inclinandola e passandola più volte tra le dita.
Il ragazzino intanto aveva nuovamente raccolto una manciata di pietre per sé.
- Zio, prima posso provare ancora io? - chiese, temendo che la competizione avesse ormai preso il sopravvento.
Il parente alzò gli occhi su di lui e sorrise- Certo, Akito. Anzi, facciamo un bel video per la mamma? -
Akito abbassò lo sguardo e strascicò i piedi: - Ma se non riesco... -
Un'altra volta la mano del poliziotto gli si posò sulla testa: - Gli invieremo solo il video dove ci riesci. Sono sicuro che farai un bel lancio questa volta. -
Il volto del bimbo s'illuminò: - Ok! Allora vado? -
- Ah, aspetta! - lo richiamò Haru - fammi cercare un'ultima pietruzza per la sfida con Daisuke, poi sono da te. -
Akito si mise ad attendere allora in riva, giocando con l'acqua, quando Daisuke gli si avvicinò:
- Prima di tutto, Akito, fai un po' di esercizio con il polso. Il segreto sta nel muoverlo velocemente. Così. - gli mostrò il gesto rapidissimo. Il ragazzino lo fissò: - Daisuke-san, sei bravo con questo gioco? -
- Quanto basta. -
Cosa voleva dire? Tanto o poco? Iniziava a pensare che forse aveva ragione lo zio a dire che non era colpa sua se faticava a comprenderlo, Daisuke-san a volte parlava veramente in modo complesso.
- Eccolo! - urlò in quel momento lo zio.
- Direi che ha trovato quel che cercava. - commentò il miliardario dandogli una mano per rialzarsi.
I due contendenti misero le loro sei pietre su un fazzoletto poco distante, poi tornarono dal bambino per aiutarlo nei suoi tentativi. Prima di iniziare Akito fece un tentativo nel muovere il polso a vuoto come Kambe gli aveva suggerito. Fu corretto un paio di volte, ma infine il miliardario sembrò soddisfatto. Lo zio lo mise poi in posizione: gambe allargate, torso leggermente piegato verso il basso. Gli mosse il braccio lentamente, cercando di fargli memorizzare il movimento ancora una volta. Poi si spostò indietro e prese il cellulare.
- Bene Akito, ora inizio a filmare, tu prova. Daisuke ti darà una mano al posto mio. Poi manderemo alla mamma il lancio migliore. -
Il bambino annuì improvvisamente teso.
- Rilassati, non siamo obbligati a mandare nulla. - gli disse allora Kambe. Forse era difficile da capire, ma sicuramente lui comprendeva bene gli altri. Fece un profondo respiro, poi iniziò i suoi tentativi. Non aveva trovato tantissime pietruzze e le vide quasi tutte andare subito a fondo senza nemmeno rimbalzare una volta.
Era deluso, voleva tanto fare bella figura con la mamma, e mostrargli che aveva imparato qualcosa di nuovo, che anche lui poteva fare le cose dei grandi. Daisuke-san gli si avvicinò da dietro.
- Akito, sei troppo macchinoso, devi essere più fluido. Lascia un attimo quella pietra e segui i movimenti che ti faccio fare io. -
Con gentilezza gli prese il polso, gli fece ulteriormente allargare le gambe, gli disse esattamente in che momento lasciare la pietra. Gli fece ripetere da solo tutto un paio di volte. Poi gli diede un primo sassolino.
- Prova ora, quando te lo dico io lascia la pietruzza, ok? -
Era troppo serio per fare l'insegnante, eppure Akito sapeva di potersi fidare.
Fece un primo tentativo che non andò a buon fine. Un secondo: il sasso rimbalzò solo leggermente e poi finì in acqua. Lo zio gli fece comunque i complimenti e lo esortò a provarci ancora.
Aveva ancora solo due tentativi. Prese un bel respiro profondo, chiuse gli occhi e ripensò alle istruzioni che i due adulti gli avevano dato. Quando li riaprì era profondamente concentrato, sentì appena il "lascia" di Daisuke-san. Mollò la pietra che questa volta volò velocissima verso la superficie dell'acqua, rimbalzò una volta, poi due inabissandosi. Akito urlò di gioia saltando felice. C'era riuscito! Aveva tentato tante volte, vero, ma c'era riuscito da solo, senza nessuno che lo facesse al posto suo!
I due adulti gli fecero i complimenti applaudendo.
- Che dici Akito, fai un altro tentativo o mando questo alla mamma? -
Di colpo il ragazzino si sentì come svuotato, non aveva più voglia di provare ora che aveva raggiunto il suo scopo: - Manda questo, adesso sono stanco. Voglio vedere voi! -
Nessuno dei due adulti fece commenti e lo zio si mise subito ad armeggiare con il cellulare per tagliare il video.
- Ehi, Daisuke. Perché non ci riesco? - domandò dopo un attimo. Il miliardario sospirò mentre gli si avvicinava, senza troppe cerimonie gli prese il telefono dalle mani: - Perché sei un incapace, ecco perché. -
Si notava subito che il collega era decisamente più pratico. Mosse rapidamente le dita sullo schermo e in pochi attimi riconsegnò lo smartphone al suo legittimo proprietario.
- Ecco fatto, puoi inviare. -
Haru lo riprese guardandolo di traverso, ma ringraziò comunque. Risolta la questione messaggio alla mamma, i due si prepararono alla loro grande sfida.
- Akito, vai a cercare due fili d'erba, uno più corto e uno più lungo, per favore. - gli disse lo zio, mentre si toglieva il cappello e si sistemava la maglia, come se stesse per fare un enorme sforzo fisico.
Il bimbo tornò in un batter d'occhio. Chi avrebbe preso il più lungo avrebbe iniziato per primo. Akito strinse i pugni a nascondere l'estremità sottostante prima di girarsi verso i due adulti e farli pescare. La sorte volle che cominciasse per primo il miliardario. Haru gli batté sulle spalle nel vedere il suo viso non contento: - Tranquillo Daisuke, sarò buono e mi limiterò a batterti di soli due balzi. -
Quindi lo zio poteva addirittura modulare il tiro?! Incredibile!
Kambe rispose con freddezza: - Vedremo. - e s'apprestò a tirare.
Non si preparò molto, poi con un guizzo lanciò il suo primo sassolino: riuscì a fare ben quattro salti prima di affondare.
Akito era strabiliato, eppure il miliardario non sembrava soddisfatto.
Lo zio si mise al suo posto, con l'espressione di chi sa che vincerà facilmente, fece un paio di movimenti di riscaldamento con le braccia, un respiro profondo e si mise in posizione. Lanciò ma la pietra fece solo due rimbalzi. Akito era allibito, quando gli aveva fatto vedere era riuscito subito a farne tre.
Daisuke invece rise soddisfatto: - Non dovevi battermi, Haru? -
- Era solo il primo tiro! Mi devo scaldare! - gli rispose il poliziotto seccatissimo mettendosi da parte.
Ripreso il solito contegno Kambe si posizionò e ancora una volta con una rapidità incredibile lasciò andare il sasso che rimbalzò rapidissimo ben cinque volte!
- Bravissimo Daisuke-san! - Esclamò Akito estasiato. Quello era un vero colpo da campione!
Il miliardario rispose educatamente con un piccolo inchino: - Grazie mille. -
Poi regalò un sorriso beffardo al collega che lo stava sostituendo. Haru gli fece una smorfia, si mise in posizione e ispirò profondamente due volte prima di fare il suo colpo: due lunghi rimbalzi, ma al terzo la pietra affondò.
Schioccò la lingua infastidito all'amico che questa volta non fece commenti. Evidentemente era stato un buon lancio, nonostante tutto, si disse Akito. Guardò con intensità il miliardario mettersi per l'ultima volta in posizione e senza attendere un attimo lasciar andare il suo ultimo sassolino. Quattro balzi, uno in meno di prima.
Toccava nuovamente allo zio, il bambino aveva voglia di urlargli un incoraggiamento, ma aveva paura di rovinare la sua concentrazione. Aveva appena imparato che era una componente importantissima di quel gioco. Perciò rimase seduto sulle pietre, stringendo con forza le ginocchia al petto. Sperava di incanalare in qualche modo le sue forze verso lo zio.
Haru si preparò nuovamente con calma, solo quando si sentì veramente pronto scattò nel movimento che aveva insegnato al nipote. La pietra filò quasi sibilando: un salto, due, tre, quattro! Ma non ci fu un quinto.
Il poliziotto che aveva quasi incitato il sasso a saltare oltre di sua volontà, si era afflosciato in avanti: - Ammetto la sconfitta. - aveva detto con un filo di voce.
- Haru, puoi parlare più ad alta voce? Non ho capito. - lo rimbeccò subito il miliardario con un sorriso ironico. Daisuke-san era una persona gentile, ma forse non era lo sfidante ideale con cui perdere. Sembrava divertirsi molto a pungolare lo zio.
Il parente intanto si era raddrizzato con impeto, chiaramente arrabbiato. Aveva fissato Kambe nei suoi profondi occhi blu senza dire una parola, infine aveva deglutito prima di ripetere ad alta voce: - Ammetto la sconfitta, contento? -
- Molto. - ammise candidamente il collega, prima di girarsi verso Akito: - Bene, credo sia il momento di tornare a casa. -
Così dicendo s'incamminò stranamente solo verso il sentiero principale. Nipote e zio rimasero sulla spiaggetta, in quel momento il bambino s'avvicinò all'uomo tirandogli la maglia: - Non fa niente se hai perso zio, sei stato comunque bravissimo secondo me! -
Voleva tirargli su il morale. Era vero che Daisuke-san era stato più bravo, ma senza lo zio lui non avrebbe mai imparato quel gioco! Forse Daisuke-san era stato solo fortunato, dopotutto.
Haru si voltò verso di lui, con un sorriso intenerito, gli spettinò i capelli: - Grazie Akito. L'importante è che ti sia divertito. -
- Mi sono divertito tantissimo! Ma tanto tanto! - continuò, mentre entrambi si mossero per raggiungere il miliardario che li stava aspettando pazientemente qualche decina di metri più in là.

Conclusero il giro completo del lago e rientrarono per la stessa strada che avevano percorso alcune ore prima. Akito non si era reso conto dello scorrere del tempo, ma era ormai quasi sera. Appena rientrato gli venne offerto un ghiacciolo, che consumò all'ombra degli alberi sul retro dell'immensa villa, mentre silenziosamente attendeva di vedere qualche scoiattolo scendere dai rami per raccogliere delle nocciole che aveva lasciato per loro. Lo zio era seduto accanto a lui sull'erba e giocherellava con il suo smartphone. Daisuke-san invece aveva dovuto rispondere ad una telefonata. Quando ormai stava perdendo le speranze che succedesse qualcosa, finalmente un musetto comparì dalle fronde. Il bambino trattenne il respiro e allungò una mano verso il braccio dello zio. Non staccò un attimo gli occhi dalla scena, temendo che l'animale scomparisse improvvisamente. Lo scoiattolino scese lentamente, sempre all'erta, si avvicinò al punto in cui erano state messe le nocciole sgusciate. Le osservò tentennante, poi le annusò e infine, evidentemente convinto, ne prese una e la mise in bocca. Ne fu tanto soddisfatto che ne agguantò immediatamente altre due e le portò via di corsa.
- Zio le ha mangiate! - esclamò Akito quando l'animale scomparve sull'albero.
Kato sorrise: - Ho visto. Ma non fare troppo rumore, potrebbe tornare a prendere anche le altre. -
E infatti un attimo dopo, questa volta con decisione, lo scoiattolo tornò a prendere altro cibo e fare piazza pulita delle esche messe per attirarlo.
Quando la bestiolina scomparve del tutto alla vista il bambino si girò di nuovo verso lo zio: - Zio, possiamo rifarlo?! -
- Certo, magari domani però. Non vorrei farlo mangiare troppo. -
In quel momento sentirono dei passi dietro di loro, era Kambe che stava tornando.
- Ehi Daisuke, tutto ok? - domandò il poliziotto gettando indietro la testa. Il miliardario gli si avvicinò, mise una mano tra i suoi capelli e lo spinse a rimettersi diritto: - Sì, era solo una noiosa telefonata per alcune autorizzazioni formali. -
Akito lo guardò perplesso, non aveva capito nulla tranne "noiosa".
- Cose da miliardari, Akito, non farci caso. - aggiunse lo zio che si beccò una occhiataccia da Daisuke-san.
L'ultimo arrivato decise però di non dar peso alle parole dell'altro uomo: - Come è andata con lo scoiattolo? -
- Benissimo! - balzò subito in piedi Akito. - È venuto due volte e ha portato via tutte le nocciole! -
Kambe sorrise leggermente: - Si starà abbuffando allora. -
- Ehi Akito guarda. - lo richiamò lo zio che ancora armeggiava con il cellulare - ha risposto la mamma. -
Gli passò il telefono e sullo schermo lesse il commento entusiasta della madre che gli faceva i complimenti. Un sorriso luminoso gli apparve in viso.
A quel punto, il padrone di casa che stava ancora in piedi, s'intromise: - Tra un ora circa verrà servita la cena, sarebbe indicato fare un bagno prima. -
- Giusto. - gli rispose lo zio alzandosi dalla sua sedia. - Akito, se ti facciamo preparare la vasca sai lavarti da solo o hai bisogno di me? -
Il bimbo si prese del tempo per rispondere. Era grande, sapeva lavarsi da solo ovviamente, però si sentiva improvvisamente un po' insicuro. Si morse un labbro, non sapeva cosa fare. Farsi aiutare dallo zio anche se ormai aveva otto anni?
Prima che lui trovasse una risposta Haru si chinò verso di lui: - Facciamo così, ti facciamo preparare la vasca, poi io resterò ad aspettarti in camera, se avrai bisogno basterà chiamarmi, ok? -
Akito annuì energicamente, era una soluzione perfetta. Che lo zio avesse capito cosa stesse pensando? In ogni caso, meglio così.
Daisuke-san mise una mano all'orecchio e disse a HEUSC di far preparare le vasche. Come facesse HEUSC, se era un computer, a farlo Akito non lo capì. Si avviarono poi senza fretta verso le loro stanze.

Come promesso lo zio andò con lui in camera. Lo aiutò a svestirsi e a rimettere tutto in ordine, poi lo invitò a entrare nell'enorme bagno privato. In quella villa era tutto così ordinato e pulito, non voleva fare brutta figura, quindi si lavò con molta attenzione. Poi si buttò nella vasca che era grande il doppio di quella di casa. La mamma sarebbe stata felicissima di poterne avere una così! Se la godette per un po', poi si ricordò dello zio che lo aspettava nell'altra stanza e uscì di fretta. Si asciugò con cura e quasi si precipitò nella camera. Lo zio era seduto su una poltrona vicino a una finestra e guardava il paesaggio, chissà a cosa stava pensando. Sentiti i suoi passi si voltò verso di lui: - Già finito, Akito? Pensavo ci mettessi di più. -
- Non volevo farti perdere tempo, devi lavarti anche tu. - gli rispose mentre andava a issarsi sul letto.
- Nessun problema, tanto Daisuke ci metterà una vita come solito. - gli rispose sovrappensiero alzandosi per asciugargli meglio i capelli.
Akito lo guardò senza capire: - Non c'è il bagno nella tua camera? Devi usare quello di Daisuke? -
Improvvisamente l'asciugamano gli cadde sugli occhi e le mani dello zio lo obbligarono a distogliere lo sguardo. L'adulto non rispose subito, si schiarì la voce prima.
- Non è per quello... - iniziò e si fermò.
- Puoi usare il mio bagno se vuoi, zio. - gli disse, pur senza capire per quale motivo non potesse usare il suo.
Le dita del parente iniziarono finalmente a massaggiargli la testa, poi la voce nuovamente calma di Haru riprese: - Non ti preoccupare Akito. Non voglio che tu stia solo, tutto qui. -
E non poteva dirlo sin dall'inizio?
- Nessun problema zio! Starò qui in camera! Ho un manga da leggere in borsa! -
Il poliziotto gli tolse il panno dagli occhi e gli chiese: - Sicuro? -
- Certo. - voleva farsi vedere affidabile. Aveva già iniziato ad abituarsi a quel posto, doveva solo mettersi sul letto o in poltrona a leggere e si sarebbe anche dimenticato d'essere solo. Poi, come aveva detto Daisuke-san c'era sempre il campanello sul comodino per ogni evenienza.
Kato lo guardò per un attimo, poi tornò ad asciugargli i capelli: - Va bene, allora, finisco qui e vado. -
Sembrava contento, sperava che fosse almeno un po' orgoglioso del fatto che aveva deciso di restare da solo.
Non ci mise molto a terminare il lavoro, un paio di minuti e lo zio s'era già rialzato, aveva messo a posto l'asciugamano e si era avviato alla porta: - Allora io vado, mi raccomando, per qualunque cosa chiama i domestici, ok? -
Lui annuì e guardò l'adulto uscire richiudendo la porta alle sue spalle. Akito si stese allora sul letto, guardando il baldacchino sopra di lui. La prima gita era stata breve, ma si era divertito già tantissimo! Era anche riuscito a far rimbalzare la pietra sull'acqua! Chissà cosa l'aspettava il giorno dopo! Lo zio aveva detto che avrebbero fatto una camminata più lunga e più faticosa, ma non gli importava della fatica: non vedeva l'ora!
Di scatto si rialzò, aveva detto che avrebbe letto il manga che si era portato. Andò all'armadio e cercò tra le sue cose, erano state tutte riordinate per bene: lo aveva fatto lo zio o i camerieri di Daisuke-san? Trovò facilmente il fumetto, appoggiato su un ripiano in bella vista, lo prese, quasi si lanciò i nella poltrona che aveva usato il parente e s'immerse nella lettura.

Era arrivato alle ultime pagine, quando sentì bussare alla porta. Lo zio aprì appena senti la sua voce dire "avanti".
- Posso finire? Sono solo un paio di pagine. - disse guardando il manga che aveva tra le mani.
Haru annuì, proprio mentre accanto a lui comparve anche Daisuke-san: - Ti aspettiamo qui fuori. - gli rispose mentre richiudeva la porta. Si ributtò rapido nella lettura e dopo pochi minuti gettò il volume sulla poltrona mentre si fiondava alla porta. I due adulti erano proprio lì fuori, lo zio era poggiato di schiena alla ringhiera delle scale, mentre il miliardario era esattamente davanti a lui, vicino, estremamente vicino. Che volessero parlare tra loro ma avessero paura di disturbarlo?
- Sei stato veloce. - gli disse il padrone di casa allontanandosi di un passo e facendosi di lato.
Haru si rizzò e lo perse per mano: - Su, andiamo a cena. -

Cenarono sempre all'esterno, sotto lo stesso gazebo in cui avevano mangiato a pranzo. Questa volta gli vennero serviti dei piatti mai visti e assaggiati. Non era molto pratico di posate occidentali, ma lo zio l'aiutò a tagliare la carne, mentre Kambe gli insegnava come si tenevano in modo elegante. Era la prima volta che se ne accorgeva, ma Daisuke-san aveva quella bizzarra mania di infilarsi il tovagliolo nel colletto quando mangiava, Era quasi buffo. Era suo ospite, quindi s'impegnò a non sghignazzare. Terminarono il pasto con una coppa di gelato fantastica. Era la prima volta che mangiava una cosa tanto dolce e fresca. Suo zio gli pulì la bocca con un tovagliolo quando ebbe finito: - Era buono, vero, Akito? -
- Sì, buonissimo! - confermò.
Daisuke-san si sporse sul tavolo, come a fargli una confidenza: - È uno dei dessert preferiti di tuo zio. -
Akito guardò verso il parente, non pensava che allo zio piacessero le cose dolci! Alle feste a casa solitamente rifiutava le torte, era sempre la mamma a costringerlo con le cattive a mangiarle. Certo, le torte che comprava la mamma non somigliavano molto a questo gelato.
- Lo zio ha dei buoni gusti, allora. - disse senza pensare, mentre riponeva il cucchiaio che ancora stava tenendo in mano.
- Ovvio! - ammise trionfante Haru, pavoneggiandosi un po'. Kambe si poggiò su un gomito, lo guardò in modo strano e poi disse con dolcezza: - Sì, ha buon gusto. -
Subito il poliziotto distolse lo sguardo e lo riportò sul bambino: - Akito, sei stanco? Non è il caso d'andare a dormire? -
- No, non sono per niente stanco! Facciamo ancora qualcosa! - rispose energico! La mamma non lo faceva stare sveglio tanto dopo cena, voleva tanto provare a farlo ora che ne aveva l'occasione!
Lo zio lo guardò lievemente deluso. Forse non sapeva cosa proporre? Il bimbo tentennò un attimo, poi si riprese subito: avrebbe proposto lui. - Perché non facciamo qualche gioco da tavolo? -
Haru ancora non sembrava convintissimo, ma il miliardario rispose prontamente: - Per me non c'è problema. Che gioco avevi in mente? -
Il ragazzino venne preso alla sprovvista, aveva avuto una idea estemporanea, ma non ben chiara. Provò a disimpegnarmi: - Beh, quello che c'è... -
- Ce ne sono molti, prova a suggerire quello che preferisci. - Daisuke-san era incalzante.
Akito decise di sparare il primo titolo che gli veniva in mente: - Monopoli? -
Questa volta fu lo zio a mettersi in mezzo: - Akito, sinceramente non vorrei giocare a monopoli con un ultra miliardario. -
Improvvisamente ebbe un’idea, scaricare la pressione sullo zio: - Tu zio a cosa vorresti giocare? -
L'adulto ebbe un palese attimo di confusione, forse non s'aspettava di essere tirato in mezzo, poi si mise a pensare senza successo, sino a che Kambe non risolse la situazione: - Akito, sai giocare a hanafuda? È molto che non gioco, mi piacerebbe fare una partita.
L'hanafuda lo conosceva ovviamente, capitava spesso di giocarci a capodanno, ma non lo ricordava benissimo. Era però ospitato da Kambe, era giusto fare quello che lui preferiva.
- Sì, ci gioco a capodanno di solito. - rispose, nascondendo poco l'insicurezza. Ancora una volta lo zio venne in suo soccorso: - Akito, perché non giochiamo io e te contro Daisuke? Facciamogli vedere cosa sappiamo fare! -
Nuovamente sicuro Akito spostò rapidamente la sua sedia vicino al parente.
- Prima però, - gli disse, mentre lo sollevava di peso - andiamo a mettere il pigiama, così sarai più comodo, ok? Intanto Daisuke farà portare le carte. -
Per Akito non c'era nessun problema, quindi seguì lo zio senza lamentarsi. Tornarono in un lampo, non vedeva l'ora di sfidare Daisuke-san. Voleva assolutamente aiutare lo zio ad avere la sua rivincita dopo la sconfitta al lago.
Il miliardario li attendeva seduto su una poltroncina, poco distante dal tavolo che avevano usato per cenare e stava già mescolando le carte. Alzò gli occhi su di loro e li invitò ad accomodarsi di fronte a lui con un gesto elegante.
Mentre Akito si guardava attorno alla ricerca di una terza poltrona o almeno di una sedia, lo zio si sedette e lo prese per la vita, issandolo sulle sue ginocchia.
- Così vedrai meglio le carte. - gli disse, mentre iniziava a prendere le carte che Daisuke stava distribuendo sul tavolino che li divideva.

Si accordarono per fare tre partite, ognuna di dodici mani. La prima riuscirono a vincerla loro sette a cinque. Festeggiarono molto, ma Daisuke li interruppe bruscamente ricordandogli che c'erano ancora due partite da giocare. Della seconda Akito ricordò solo le prime quattro mani, di cui tre andate al padrone di casa, poi la stanchezza ebbe il sopravvento e lentamente s'addormentò tra le braccia dello zio.

Si risvegliò tranquillamente, nel silenzio più totale. Si girò un paio di volte nel letto e una sensazione diversa dal solito lo convinse ad aprire gli occhi. La prima cosa che vide fu un materasso che si estendeva ben oltre le sue braccia. Poi di colpo si ricordò che era nella villa di Daisuke-san in montagna. Si girò supino, fissando per un attimo il baldacchino sopra di lui. Ai lati delle leggere zanzariere bianche erano state chiuse, probabilmente per farlo dormire in pace. Ma come era finito a letto? Non ricordava di esserci entrato. L'ultima cosa che ricordava era la partita ad hanafuda con lo zio, poi tutto s'annebbiava. Si rese conto d'essersi addormentato tra le sue braccia, che vergogna! In solitudine arrossì. Si tirò il lenzuolo sul viso come a nascondere a qualcuno il rossore.
Non c'era niente da fare, si disse poi, l'unica soluzione era scusarsi. Si alzò dal letto e guardò l'orario sulla sveglia del comodino: le 7:07. Era ancora presto rispetto all'orario per cui si erano accordati i due adulti durante la cena della sera prima. A quanto aveva capito Akito, Daisuke-san era un dormiglione e quindi avevano deciso di fare colazione insieme per le 8:00. Si guardò attorno, cosa poteva fare in quell'ora? Il manga ormai l'aveva letto e di stare a guardare il soffitto non ne aveva voglia. Quasi quasi poteva andare a cercare lo zio, lui era uno che si svegliava presto! Magari avrebbero potuto aspettare Daisuke-san insieme!
Uscì in corridoio convinto sul da farsi, con le ciabattine ai piedi e il pigiama ancora stropicciato. Quando si ritrovò sul tappeto rosso circondato da porte sconosciute e mai aperte però ebbe un tentennamento. Quale poteva essere la stanza dello zio? E se come al piano di sotto una porta ne avesse nascoste altre due? Se si fosse perso? Sarebbe passata un'altra ora prima che qualcuno iniziasse a cercarlo.
Deglutì e si guardò indietro, la sua porta spalancata era l'unico luogo conosciuto a cui ancorarsi. D'improvviso si ricordò del campanello. Daisuke-san gli aveva detto che avrebbe potuto usarlo per farsi accompagnare dallo zio se voleva. Tornò rapidamente nella sua stanza e s'avvicinò al campanello antiquato. Insicuro provò ad appoggiarci la mano, si sentì solo un leggero tintinnio. Riprovò più deciso: lo scampanellio fu solo un poco più forte. Osservò perplesso l'oggetto metallico che pareva uscito da un film d'epoca: come poteva un suono così delicato chiamare dei camerieri che stavano chissà dove?!
Eppure, mentre ancora cercava di convincersi che forse era il caso di tentare la ricerca dello zio, sentì bussare alla porta.
- Avanti? - chiese con un po' di paura. Chi poteva essere? Forse lo zio?
Lentamente la porta si aprì, sulla soglia comparve una signora vestita come tutti gli altri domestici della casa. Lo salutò con un radioso sorriso: - Buongiorno Akito-sama, ha bisogno? -
- Ah! - chissà perché aveva ormai deciso che non sarebbe arrivato nessun cameriere. Velocemente si ricompose e rispose educatamente: - Buongiorno a lei. -
Non ricordava il nome della donna e da così distante non riusciva a leggere il cartellino. La domestica fece un altro sorriso e poi con dei passi leggeri e mai affrettati entrò chiudendo la porta alle sue spalle. Ora che era più vicina poteva leggere cosa c'era sull'identificativo: "Shinohara".
- Shinohara-san, ecco... - iniziò impacciato, non sapeva come doveva comportarsi con un domestico, il giorno prima avevano sempre interagito solo gli adulti, lui si era limitato a ringraziare.
Lei notò il suo imbarazzo: - Mi dica, Akito-sama, ha dormito bene? -
- Sì, benissimo! - rispose istintivamente.
La donna s'avvicinò ancora: - Quindi non mi ha chiamata perché ha dei problemi a dormire. Ne sono felice. -
- No, va tutto bene. - l'atmosfera gli suggerì di continuare senza vergogna - mi sono svegliato presto e non so cosa fare prima di colazione. Volevo andare a cercare lo zio, ma non so dov'è la sua camera. -
Shinohara-san lo guardò intenerita: - Non c'è problema Akito-sama. Che ne dice se prima l'aiuto a vestirsi? Poi l'accompagno da Kato-sama, se sarà sveglio. -
Tranquillizzato dalla calma e sicurezza della cameriera Akito accettò la proposta: - Va benissimo. Grazie Shinohara-san! -
Mentre il bimbo si lavava, la donna preparò i vestiti per la giornata, aveva già ricevuto ordine di vestirlo in modo che fosse pronto all'uscita in montagna. Quando il ragazzino tornò lo aiutò a sistemarsi al meglio. Akito era capace di farlo, ma era piacevole non essere completamente solo, perciò accettò volentieri l'aiuto.
- Akito-sama, - gli disse infine - vado a chiedere se vostro zio si è svegliato. Mi potete attendere un attimo? -
- Va bene. - disse un po' demoralizzato all'idea di restare solo.
Lei sorrise e gli fece un occhiolino: - sarò il più veloce possibile. -
In effetti il tempo che passò seduto sulla poltrona a guardare dalla finestra il giardino fiorito fu brevissimo. In un lampo Shinohara-san tornò: - Mi spiace Akito-sama, suo zio ancora non è uscito dalla sua camera. Vuole che lo chiami lo stesso? -
Pensò di rispondere affermativamente, ma poi si bloccò. Shinohara-san era molto gentile e non era educato svegliare in anticipo chi dormiva. Magari poi lo zio se ne sarebbe lamentato con la mamma. Provò ad azzardare: - Shinohara-san, potrebbe farmi compagnia lei prima di colazione? Non voglio svegliare lo zio, ma non mi piace stare da solo. -
Lei sorrise e si avvicinò per prendergli la mano: - Volentieri, Akito-sama. Che ne dice di una passeggiata nel giardino? -

Passò il tempo restante nel parco antistante la villa, a guardare i giardinieri che sfruttavano le prime ore della mattina per lavorare senza il solleone a martoriarli. Shinohara-san lo accompagnò mentre si faceva spiegare i nomi e le proprietà delle piante, poi si sedette su una panchina a guardarlo giocare con l'acqua della fontana e gli uccellini che vi facevano il bagno. La temuta ora passò in un lampo.
A un certo punto uno suono come di campanello giunse da una tasca della domestica.
- È ora di rientrare Akito-sama. Il signore e vostro zio vi attendono per la colazione. -
Al bimbo dispiacque un po', avrebbe voluto passare qualche minuto in più con Shinohara-san. Era però il giorno della gita più lunga, non poteva far attendere i suoi accompagnatori. Prese la mano della donna e si fece accompagnare sino al gazebo.
- Buongiorno Akito! - lo salutò allegro lo zio, mentre gli indicava il suo posto a tavola.
- La ringrazio Shinohara-san per essersi presa cura di lui tutto questo tempo, mi hanno detto che è sveglio dalle sette. - concluse rivolgendosi alla signora.
Akito s'intromise: - Le 7:07! -
- Si figuri Kato-sama. Mi ha fatto piacere stare con Akito-sama, i miei figli sono ormai grandi, mi ha fatto tornare giovane. - rispose sinceramente lei.
Haru le sorrise: - Grazie lo stesso. -
A quel punto Akito si rese conto che la donna stava per andare via: - Grazie mille Shinohara-san, - disse di fretta inchinando il capo - Mi ha fatto molto piacere stare con lei. -
- Grazie Akito-sama. Siete molto educato. - Lo salutò con una carezza sulla testa, poi si ritirò in casa.
Quando il bimbo rialzò lo sguardo vide lo zio che lo fissava, questa volta l'orgoglio era ben chiaro nella sua espressione. Si gongolò un po' d'essere riuscito nel suo intento, mentre cercava di capire cosa prendere per colazione tra le mille proposte che c'erano in tavola.
Non si era nemmeno accorto della mancanza di Kambe, che arrivò un attimo dopo, quando finalmente il bambino aveva iniziato a mettere qualcosa nel suo piattino. Il miliardario li raggiunse con una certa flemma, mentre ancora si sedeva un domestico già gli aveva portato un caffè nero, che pareva bollente.
- Buongiorno Akito. - mormorò quando lo notò.
Il ragazzino non riuscì a rispondere, perché il poliziotto al suo fianco si mise in mezzo: - Daisuke, vedi di svegliarti, non abbiamo tempo da perdere, la montagna non aspetta. -
- Lo so. - rispose semplicemente mentre sorseggiava dalla sua tazzina.
Akito lo guardò preoccupato: - Daisuke-san, non hai dormito bene? -
Ancora una volta Haru, che pareva di ottimo umore, s'intromise: - Ha dormito benissimo, è solo un riccastro viziato. Se non dorme le sue otto ore a notte poi sembra uno zombie. -
Il caffè doveva aver già iniziato a fare effetto perché la risposta secca di Kambe sembrò fredda e calcolata come solito: - E di chi credi sia la colpa? Tua. -
Il bambino si sarebbe aspettato una reazione irritata dello zio, invece quello si limitò a scrollare le spalle con un sorriso.
Ma come faceva ad essere colpa dello zio se Daisuke-san era andato a dormire tardi? Ci pensò un attimo, poi ebbe una illuminazione: - Ah! Avete giocato fino a tardi ieri sera?! -
- Non direi... - iniziò a rispondere Haru, ma gli si sovrappose la voce chiara del miliardario, che fissava con i suoi occhi blu intenso lo zio in modo strano: - Oh sì, abbiamo giocato parecchio. -
Il volto del poliziotto avvampò, divenne rosso intenso ma le sue iridi non si staccarono per un secondo da quelle del collega.
Ancora una volta Akito non capiva cosa stesse accadendo. Guardò lo zio che muto e immobile sembrava essere incapace di distogliere lo sguardo dal sorrisetto misterioso dell'altro uomo. Perché imbarazzarsi tanto per aver giocato a carte fino a tardi? Poi si ricordò della mamma che lo sgridava sempre quando non andava a letto all'orario che lei aveva stabilito. Forse lo zio trovava vergognoso aver fatto tardi proprio quando era con il nipote. Ma per lui non c'erano problemi! Lo zio era grande, poteva fare quello che voleva. Avrebbe voluto anche lui provare l'emozione di stare sveglio più del solito.
- Zio, - lo richiamò, tirandogli la maglietta.
Come risvegliato da un sogno il poliziotto si girò verso di lui: - Sì, Akito? -
Sembrava essere tornato alla normalità, quindi decise di cambiare argomento: - Quando partiamo? -
Lui gli mise la sua classica mano sulla testa: - Lascia che Daisuke finisca di fare colazione, poi partiremo subito. -

Il miliardario non si trattenne molto a tavola, in poco più di mezz'ora si ritrovarono tutte e tre sotto il porticato, cappello in testa perché lo zio non sindacava a riguardo, e pronti a partire. Questa volta s'addentrarono quasi subito nel bosco, seguendo un sentiero molto più stretto, chiaramente percorribile solo a piedi. Rispetto alla gita del giorno prima c'era sicuramente più da faticare. Nelle sue fantasie aveva pensato di correre liberamente come aveva fatto andando al lago, ma aveva dovuto arrendersi alla realtà, correre in salita e su quel percorso non era consigliabile. L’ascesa fu comunque fantastica! Avevano visto ruscelli e tanti animali diversi. Inoltre la foresta più fitta regalava molte più sorprese: bastava girare un attimo attorno a qualche grande albero, scostare un cespuglio e d'improvviso il paesaggio cambiava o ti rivelava una macchia fiorita che fino a un attimo prima non potevi nemmeno immaginare fosse lì. Lo zio e Daisuke-san furono molto pazienti, lo attendevano quando con il suo passo da bambino rimaneva un po' indietro, o quando s'infilava nella boscaglia all'inutile inseguimento di qualche bestiolina. La salita si rivelò impegnativa, ma non sentiva la stanchezza. Dopo alcune ore di cammino giunsero a una piccola radura, da cui si poteva vedere tutta la valle.
Appena Kambe sbucò dal sentiero si rivolse allo zio: - Alla fine arrivi sempre qui. -
Haru che guidava il gruppo in quel momento s'era fermato ancora all'ombra degli alberi: - Ti dispiace? -
Akito aveva capito subito che stavano parlando di qualcosa che non lo riguardava ma non riuscì a frenare la curiosità: - Siete già venuti qui? -
Daisuke andò a sedersi su una roccia al limite della foresta, mentre gli rispondeva: - Sì, un paio di volte. A tuo zio questo posto piace molto. E per rispondere a te, Haru: no, non mi dispiace affatto. Mi evoca dei ricordi piacevoli, dopotutto. -
Il parente si concesse solo un sorriso soddisfatto, ma forse nello sguardo che lanciò al miliardario c'era anche altro. Al bambino però non interessava, era chiaro che non gli avrebbero detto di più, preferiva poter correre finalmente su un prato aperto.
Si lanciò in avanti, ma subito gli giunse la voce del poliziotto: - Akito, stai attento. Non siamo ai giardini pubblici, ok?! -
- Sì! - gli urlò di rimando, continuando la sua corsa liberatoria.
Mentre lui girovagava nella piccola radura, Kato era andato a sedersi ai piedi della roccia su cui era accomodato il miliardario e aveva parlottato con lui di chissà cosa.
Il ragazzino si era invece spinto più avanti, in pieno sole. Stanco si era messo a terra, a un metro dallo strapiombo che delimitava il prato. Era incredibile quanto distante si potesse vedere! E quanto piccolo sembrasse ora l'aeroporto in cui erano arrivati. La villa invece non si vedeva nemmeno. Per qualche minuto rimase a terra a contemplare il paesaggio con il fiatone, poi si girò per chiamare a gran voce lo zio.
Haru s'alzò e lo raggiunse: - Cosa c'è Akito? -
- Zio, puoi fare una foto del paesaggio e mandarla alla mamma?! - gli chiese.
Voleva che in qualche modo la sua famiglia fosse testimone di quella gita meravigliosa. Anche se non erano lì con lui magari sarebbero stati contenti di vedere almeno un poco di quello che aveva visto lui.
- Certo che sì, vado a prendere il telefono. - gli rispose, tornando da Daisuke-san. Il bimbo intanto studiò la vista migliore da fotografare, quando lo zio tornò gli disse convinto: - Fotografa quelle montagne là! -
Non fu semplice accontentarlo. Lo zio non riusciva mai a inquadrare la veduta come avrebbe voluto Akito. Al quinto scatto rifiutato Daisuke-san si avvicinò, prese il telefono dalle mani di Haru con un gesto rapido.
- Faccio io, cosa vuoi fotografare Akito? - gli domandò, mentre teneva a bada un brontolante Haru.
Il bambino indicò gli stessi monti che aveva indicato allo zio. Con calma, studiando un po' la luce e il riflesso, il miliardario fece il suo tentativo.
- Va bene? - chiese passando lo smartphone al ragazzino che s'illuminò. Quella sì che era una fotografia fatta bene!
Con un sorriso esagerato ringraziò: - È perfetta! Grazie Daisuke-san! -
Lo zio si lasciò andare a un grugnito infastidito. La mano del miliardario si mosse rapida a spettinargli leggermente i capelli. Stranamente quel gesto cambiò quasi completamente l'umore del parente.
Inviata la foto alla madre, Haru estrasse un dolcetto; un antipasto, disse, per aiutarli in un ultimo sforzo verso la destinazione di quel giorno.
Ripresero il cammino subito dopo, inoltrandosi nuovamente nel bosco e proseguirono lungo un sentiero ancora più stretto del primo. Ci vollero altre due ore affinché raggiungessero la meta decisa dallo zio. Il mezzogiorno era passato da molto, Akito era affamato, nonostante l'abbondante colazione e il dolce di qualche ora prima.
- Zio, manca tanto? - domandò mentre lo stomaco brontolava.
Il poliziotto s'era girato verso di lui con un sorriso: - No. Lo senti questo rumore? - gli disse chinandosi accanto a lui e indicando verso destra.
Il bambino si fermò e drizzò le orecchie, ora lo poteva sentire anche lui quel suono diverso e nuovo che non aveva mai sentito e sembrava un rombo leggero. Si dimenticò del tutto della fame, era di nuovo eccitato. La curiosità gli mise le ali ai piedi, Haru poté anche allungare il passo perché ora il bimbo lo seguiva senza problemi. Man mano che s'avvicinavano il rumore diventava sempre più forte. Ormai erano vicinissimi e qualunque altro suono era coperto da quel rombo. Svoltarono ancora una volta, poi si fecero largo attraverso degli alti cespugli e davanti ad Akito si stagliò una serie di tre cascate consecutive. Non erano molto alte, ma erano comunque maestose. L'acqua che zampillava arrivava in piccole goccioline fino a loro, c'era un forte odore di bagnato, ma soprattutto il rumore e il vorticare delle acque.
Akito rimase colpito, e a bocca aperta fissò il torrente che si buttava verso il basso per alcuni minuti. Chissà se sotto c'era pure una caverna, come in tutti i libri d'avventura. Preso dalla voglia di scoprirlo fece un passo in avanti, ma venne immediatamente preso per un braccio dallo zio.
- Fermo lì, Akito. Il terreno qui è scivoloso, non lasciare la mia mano. -
Il bambino guardò a terra per la prima volta, effettivamente c'erano rocce piene di muschio e lucide d'acqua poco distanti. Si voltò allora verso il parente: - Volevo solo vedere se sotto c'è una caverna. -
La smorfia sul viso dello zio disse chiaramente che non capiva di cosa stesse parlando. Daisuke-san invece si fece avanti: - Non c'è. Credo che non possano esserci caverne al di sotto di cascate così piccole. -
Quella cascata era piccola? Com'era allora una cascata grande? Non riusciva proprio ad immaginarsela. Finora aveva creduto che nei film quando si sentiva la gente urlare per parlarsi vicino ad una cascata fossero solo esagerazioni, ma ora capiva che invece era una cosa realistica.
Kato lo tirò delicatamente verso di sé: - Akito, che ne dici se andiamo a pranzare e torniamo dopo a vedere la cascata? -
Il bimbo non avrebbe voluto andare via, ma ora che lo zio ne aveva parlato il suo stomaco aveva ricominciato a brontolare.
- Dobbiamo andare distante? - domandò deluso.
La solita mano consolate dello zio si posò sulla sua testa: - No, dobbiamo solo spostarci dove il rumore non è troppo forte, prima dobbiamo guadare il ruscello però. -
All'idea di dover superare quel fiumiciattolo saltando sui sassi Akito tornò subito di buon umore.
Senza lasciargli la mano lo zio lo accompagnò più a valle dove Daisuke-san li stava aspettando. La cascata era ancora bene in vista, ma il torrente scorreva più lento lì e le rocce affioravano con regolarità.
- Vado io per primo. - annunciò Kambe. Non era un gran fiume da superare, probabilmente lo zio in due passi lo avrebbe scavalcato, ma per Akito era più complicato, inoltre i sassi coperti di muschio non davano tanto appiglio.
Il miliardario fece un primo passo verso l'altra riva, scegliendo con attenzione dove mettere i piedi, poi si voltò: - Vieni Akito. Metti i piedi lì. -.
Gli indicò esattamente dove poggiarsi, erano appigli alla portata della falcata ridotta del ragazzino. Lo zio gli tenne comunque saldamente la mano, mentre con un primo e poi un secondo balzo s'avvicinava al miliardario, che a quel punto diede il cambio al collega, prendendo la mano libera del bimbo. Quando anche lo zio si mosse, più vicino a lui, allora Daisuke continuò la traversata raggiungendo la riva opposta. Nuovamente seguendo le sue istruzioni e tenendosi saldo allo zio, Akito proseguì, fino a trovarsi a un balzo dalla riva. Rassicurato dall'aver concluso il momento più critico saltò, senza considerare il terreno fangoso che avrebbe trovato. Per sua fortuna Daisuke-san aveva degli ottimi riflessi e lo afferrò al volo prima che scivolasse a terra, o addirittura in acqua.
Arrossendo si rimise in equilibrio: - Grazie mille, Daisuke-san. -
Il miliardario lo guardò dolcemente: - Quando arrossisci assomigli molto a tuo zio. -
Non riuscì a domandargli se vedeva spesso lo zio arrossire, perché quest'ultimo arrivò di slancio, quasi investendo Kambe, che se lo ritrovò addosso e quasi non finì a terra.
Haru rise dell'espressione scioccata del miliardario, che al contrario si limitò ad un'occhiataccia, ma non ci fu altro tra i due, al contrario di quel che si sarebbe aspettato il bambino.

Poco distante attraversando ancora una volta alcuni cespugli si ritrovarono in uno spazio d'erba aperto, ma completamente ombreggiato dagli alberi circostanti. Non era particolarmente grande, ma sufficientemente perché lo zio potesse disporre la coperta da pic-nic che aveva portato con sé.
Si sederono tutti e tre a terra ed Akito scoprì di averne proprio bisogno. Le sue gambe gli furono riconoscenti di quella tregua, dopotutto erano in cammino da quasi quattro ore e avevano fatto solo delle brevissime pause.
Mangiarono un bento preparato appositamente per loro dal cuoco di Daisuke-san. Era tutto buonissimo, eppure il miliardario si lamentò che non l'aveva preparato lo zio. Anche la mamma diceva che lo zio cucinava bene, ma non pensava fosse così bravo da riuscire a superare il cuoco della famiglia Kambe! Iniziava a essere veramente curioso di assaggiare qualcosa. Mentre pranzavano Daisuke-san gli aveva raccontato che era diventato bravissimo anche con i dolci! Voleva veramente provare una torta fatta dallo zio, doveva trovare il modo di convincerlo a farne una per lui! Forse se si fosse alleato con Daisuke-san ci sarebbe riuscito. Magari più tardi gliene avrebbe parlato.

Mangiarono con calma, godendosi il fresco e l'ombra. Nonostante le rimostranze i bento vennero spazzolati via. La camminata era stata lunga e stancante anche per gli adulti. Terminato il pranzo lo zio mise via le scatole e si sdraiò sulla coperta.
- Dormirei qui. - disse sospirando.
Daisuke gli si avvicinò leggermente, spettinandolo con una mano: - Se vuoi puoi anche restare mentre io e Akito ce ne torniamo ai nostri comodi letti. -
Il bambino si sentì improvvisamente a disagio, mentre guardava i due uomini che si guardavano negli occhi come se al mondo esistessero solo loro due. Si alzò di scatto e si mise ad ispezionare gli alberi vicini, lasciando i due in pace. Facendo così però attirò immediata la reazione dello zio.
- Ehi Akito, vuoi andare a vedere la cascata più da vicino? - gli domandò. Subito il disagio di poco prima scomparve e annuì vigorosamente.
Daisuke-san si prese il compito di sistemare le ultime cose mentre zio e nipote si avviavano zaini in spalla verso la cascata. Dal lato opposto si poteva andare molto più vicino al torrente in caduta libera. Grazie al parente che lo teneva saldamente poté avvicinarsi sino a mettere la mano tra le acque turbinose. Era freddissima, nonostante fosse piena estate!
Rimase a osservare le acque per un po', fino a che non sentirono un fruscio particolarmente vicino. Daisuke-san si avvicinò a loro e gli fece cenno di restare in silenzio, mentre prendeva la mano di Akito sottraendolo allo zio. Con passi brevi e leggeri si spostarono appena lungo la riva, verso valle. Poi il miliardario si fermò e chinandosi alla sua altezza gli indicò un punto sul lato opposto del fiumiciattolo. Là un piccolo cervo si stava abbeverando tranquillo. Gli occhi del bambino si riempirono di meraviglia. Era un cervo sika, un cervo selvatico vero! Non quelli addomesticati! Ed era anche così vicino!
Inavvertitamente, cercando di richiamare anche lo zio, mosse un sassolino sotto i suoi piedi; subito l'animale se ne accorse, alzò lo sguardo che s'intrecciò per un attimo con quello del bimbo, poi rapidissimo si infilò nuovamente nella foresta.
- Zio hai visto! Era un cervo! Mi ha anche guardato! - esultò lui, ora libero di alzare la voce.
I due adulti si scambiarono un'occhiata soddisfatta. Evidentemente speravano di fargli vivere un'esperienza come quella.

A quel punto della giornata e con la stanchezza che iniziava a mostrasi sempre più palese in Akito, decisero di tornare alla villa. Tornarono al guado e questa volta più velocemente, ma con maggior attenzione, passarono all'altra riva senza problemi. Ripercorsero il sentiero che avevano fatto all'andata, evitando la deviazione verso la radura che piaceva tanto allo zio. Anche il tragitto di ritorno regalò al bambino tante belle sorprese, compreso l'inaspettato incontro con un piccolo scoiattolo volante che se ne stava aggrappato al suo ramo proprio vicino a dove passarono loro.
Quando furono però in vista della villa le gambe di Akito iniziavano a protestare, non aveva mai camminato tanto in montagna prima d'ora. La stanchezza gli aveva portato via anche l'entusiasmo, e gli ultimi passi furono veramente pesanti. Mancava poco, lo sapeva, ricordava quel pezzo di strada fatto la mattina, eppure non si sentiva in grado di continuare. Non si accorse nemmeno che lo zio aveva già capito tutto. D'improvviso si ritrovò la sua grande schiena davanti agli occhi.
- Salta su Akito. - gli disse, facendogli segno con le mani. Da un lato non avrebbe voluto approfittare dello zio, ma era troppo fiacco per fare l'educato. Più che salire sulle spalle, gli si gettò sopra sfiancato.
Ora che il bambino era saldamente a cavalcioni di Haru i due adulti proseguirono più spediti e in pochi minuti raggiunsero l'edificio della famiglia Kambe.

Decisero di fare una doccia veloce, e questa volta Kato si prese il compito di aiutare il nipote, mentre una domestica preparava dei vestiti puliti per il bambino. Nel frattempo anche Kambe era andato a rinfrescarsi e venne a dare il cambio allo zio mentre Akito finiva di vestirsi da solo.
Il miliardario attese con calma, poggiato a braccia incrociate allo stipite della porta. Quando finalmente il ragazzino si voltò, con i calzoncini e la maglietta ben indossati, il miliardario aprì bocca: - Akito-kun, perché non andiamo in salotto ad attendere lo zio? Mi ha inviato tutte le foto fatte oggi, possiamo riguardarle insieme e sceglierne una decina da inviare a tua madre. -
La proposta piacque subito al bimbo, che lo seguì volentieri al piano di sotto.
Il padrone di casa lo portò in una stanza nuova, c'erano alcuni divanetti attorno a un tavolino in vetro e oro. Su una parete spiccava un grande caminetto, probabilmente d'inverno avrebbe dovuto scaldare tutta quella stanza. Daisuke-san andò direttamente verso la parete opposta dov'era appeso un grande quadro raffigurante un giardino fiorito, senza dare nessuna attenzione alla tela la prese e la poggiò a terra, poco più in là. Si spostò davanti ad uno dei divani e fece cenno al bambino d'andarsi a sedere sull'altro che gli stava di fronte. Akito era confuso, non capiva bene perché entrare in una stanza e togliere un quadro, ma aveva ormai imparato a fidarsi di Daisuke-san. Mentre il bimbo s'accomodava, con un movimento fluido il miliardario si levò l'orologio da polso e lo poggiò sul tavolino che li divideva, con il quadrante rivolto verso il muro ormai spoglio.
- HEUSC - chiamò poi - mostraci una ad una le foto di oggi inviate da Haru. -
La parete s'illuminò di colpo e la prima delle foto scattate dallo zio apparve sul muro bianco.
Akito aprì la bocca strabiliato. Non c'era un proiettore, non c'era un computer, solo un piccolo orologio da polso e il computer speciale di cui gli aveva parlato lo zio solo il giorno prima. Era incredibile!
Stava ancora contemplando la meraviglia, quando s'accorse di Daisuke-san che lo fissava pensieroso: - Akito-kun, puoi promettermi che non dirai a nessuno di HEUSC? È un’invenzione speciale che ho concesso in uso solo alla polizia, per ora. -
Ora finalmente capiva perché era tanto straordinario! Non era una semplice cosa da telefono, era un programma supertecnologico che serviva per le missioni speciali della polizia! I criminali non dovevano sapere assolutamente che la polizia aveva uno strumento tanto incredibile, non ne avrebbe parlato con nessuno: - Non lo saprà nessuno Daisuke-san! Lo giuro! -
- Benissimo. - gli sorrise tornando a voltarsi verso lo schermo improvvisato - Diamo un’occhiata a queste foto. -
Iniziarono a sfogliare le immagini della giornata, non erano nemmeno a metà quando lo zio arrivò. Si sedette accanto al nipote e continuò con loro il lavoro di cernita. Gli scatti non erano molti, ma il bambino era parecchio indeciso. Infine riuscirono a selezionarne dieci, e con un ordine diretto a HEUSC vennero inviate alla mamma.
Completato anche quel compito la stanchezza tornò prepotentemente a farsi sentire in Akito. Involontariamente sbadigliò più di un paio di volte mentre parlava con i due adulti. La doccia, i vestiti puliti, il comodo divano, tutto gli faceva venir voglia di chiudere gli occhi, anche la luce soffusa che era stata ricreata nella stanza per vedere meglio la proiezione sul muro. Stava lottando per tenere gli occhi aperti, quando la mano dello zio si posò più delicatamente del solito sul suo capo: - Akito, perché non schiacci un pisolino? Ti sveglieremo noi quando sarà il momento di andare. Hai fatto un grande sforzo oggi, è normale essere stanchi. -
- No... - provò a biascicare, ma un altro sbadiglio lo interruppe. Lo zio gli sorrise, mentre gli sistemava un cuscino vicino.
Incapace di negare ancora si allungò sul divano, mentre il parente si rialzava per lasciargli spazio. In pochi minuti cadde in un sonno profondo e ristoratore.

Si risvegliò da solo, ancora sul divano. Aveva una gran sete, sentiva la bocca impastata. Si mise a sedere ancora assonnato. Lo zio non c'era e nemmeno Daisuke-san, che fossero andati altrove per non disturbarlo? Si stropicciò gli occhi. Aveva proprio bisogno di bere. S'alzò e uscì in corridoio pensando di trovare lì un cameriere che lo avrebbe aiutato, invece sembrava che l'intero edificio fosse deserto. Rientrò nella stanza, alla ricerca di un campanello come quello che aveva in camera, ma non vide nulla del genere. Si mise a sedere nuovamente sul divanetto, indeciso: restare dov'era, solo e assetato, oppure andare alla ricerca di qualcuno ma rischiare di perdersi?
Si guardò attorno e notò un orologio antico poggiato su un mobile dietro di lui, se ricordava bene mancava ancora più di un'ora e mezza all'arrivo dell'elicottero che li avrebbe riportati a Tokyo.
S'alzò di slancio, quella sera sarebbe tornato alla sua solita vita in città, tanto valeva tentare un'ultima avventura e cercare almeno la cucina. Uscì più convinto di prima, ricordava di essere venuto da destra, ma non aveva visto nulla che somigliasse ad una cucina. Decise perciò di andare a sinistra. Cercò di concentrarsi per sentire i suoni provenienti dalle altre stanze, ma ancora sembrava di camminare in un castello abbandonato stranamente ben pulito e illuminato. A un certo punto però si accorse di una leggera melodia che proveniva dal fondo di un lungo corridoio. In assenza di altri indizi decise di seguire quel suono, avvicinandosi però cautamente. Sul fondo del passaggio una grande porta a due battenti era socchiusa e proprio da lì si sentiva fuoriuscire la musica. Man mano che s'avvicinava riuscì a capire che si trattava di un piano suonato dolcemente.
Arrivato al termine del corridoio decise prudentemente di spiare soltanto dalla fessura tra i due battenti. Non sapeva cosa o chi avrebbe potuto celarsi in quella stanza. Si accucciò a terra e senza toccare le porte diede un'occhiata al di là. Un ampio salone era illuminato da grandi finestre da cui si poteva ammirare la foresta con i suoi alti alberi e il fitto sottobosco. C'erano poi delle poltrone eleganti, ma ciò che attirava subito l'attenzione era il pianoforte a coda bianco che era posizionato proprio al centro. Ma non fu quello a far quasi sobbalzare Akito, piuttosto chi vi stava seduto. Aveva una visuale leggermente obliqua, vedeva soprattutto la schiena di suo zio accomodato sullo sgabello con le gambe larghe e le braccia strette attorno alla vita di Daisuke-san che seduto davanti a lui suonava con perizia. Perché erano messi così?! C'erano molti altri posti a sedere per lo zio, perché stava così attaccato a Daisuke-san? Il corpo del bambino si bloccò dov'era, l'istinto gli disse che non era affatto il caso d'entrare, anche se aveva trovato chi cercava.
Il ragazzino cercò di concentrare la sua attenzione sulla musica: il miliardario stava suonando con incredibile eleganza una melodia allegra, ma con una vena di dolcezza. Rimase stregato dal suono e ancora più dai movimenti rapidi e sicuri delle mani di Kambe sulla tastiera.
Si accorse leggermente in ritardo quando lo zio alzò lentamente un braccio e sfiorò delicatamente una guancia di Daisuke-san. Le sue dita poi proseguirono, quasi a tempo con la musica, lungo il suo collo, poi sotto il suo mento. Si sporse leggermente con il viso mentre spostava appena la testa del musicista per baciarlo teneramente sulle gote.
La musica si fermò, così come il respiro di Akito.
- Haru, mi spieghi come posso suonare con te che fai così? - domandò il miliardario, meno contrariato di quanto il bambino si sarebbe aspettato.
Lo zio sorrise tornando a carezzare il viso del padrone di casa: - Scusa, scusa. - gli disse senza nessuna convinzione.
- Come se non fosse abbastanza scomodo suonare seduto così. - continuò la lamentela Kambe cercando di riaccomodarsi.
Haru spostò le mani accanto a sé, come a puntellarsi sullo sgabello: - Vuoi che mi sposti? -
- No. - fu la risposta secca e decisa mentre Daisuke tornava a mettere le mani sulla tastiera.
Kato rise leggermente, tornò ad abbracciarlo e si sporse in avanti per dirgli direttamente all’orecchio : - Allora cos'è che vuoi? -
Il miliardario gli rifilò un'occhiataccia voltandosi verso di lui: - Dovrei chiederlo io a te: vuoi che suoni o che ti baci? -
Lo zio finse platealmente di riflettere sulla domanda, poi rispose mentre carezzava nuovamente il suo collega: - Ora come ora, credo di preferire i baci. -
Kambe sbuffò: - Volubile. -
Un'altra parola di cui Akito non conosceva il significato di cui in quel momento però non gli importava affatto: Daisuke-san fece per girarsi, proprio nella sua direzione. Rapidamente si nascose dietro a uno dei battenti della porta, restando però in ascolto dal suo nascondiglio.
Aveva sentito i loro vestiti frusciare, poi il miliardario riprendere soddisfatto: - Così sono decisamente più comodo. -
- Di là verità, ti piace solo perché puoi illuderti di essere più alto di me. - ridacchiò Kato.
- Potrei strappartela via quella lingua, lo sai? - fu la risposta piccata.
Sorprendentemente lo zio rise di gusto alla minaccia.
- Potresti, - ribatté infine, con un tono caldo e avvolgente che mai Akito gli aveva sentito usare - ma sono certo che preferisci che resti dov'è. -
Dopo quella frase non ne seguì un’altra, solo un suono leggero e mai sentito prima. Il bambino prese coraggio e tornò a sbirciare dalla fessura. Ora Daisuke-san sedeva sulle ginocchia dello zio, voltato verso di lui, le braccia di Haru lo stringevano ancor più stretto a sé, le mani del miliardario invece si erano infilate nei capelli dell'altro e lo spingevano verso di lui, mentre le loro bocche erano unite da un bacio profondo. Il bambino avvampò: quello era un bacio, un bacio vero, tra due maschi! Eppure lo zio aveva detto che non facevano quelle cose! Però era anche passato un anno da allora e anche Akito si era accorto quanto il rapporto tra loro fosse cambiato. Eppure che si baciassero era qualcosa di così inimmaginabile per il ragazzino!
Nonostante si sentisse le gote in fiamme per la vergogna non riusci a distogliere lo sguardo, fortunatamente entrambi gli adulti avevano gli occhi chiusi ed erano concentrati su loro stessi. Sasaki gli aveva raccontato di aver guardato i manga della sorella e di quanto facessero schifo tutti quei maschi che si baciavano, eppure, mentre spiava lo zio amoreggiare con Daisuke-san non vide nulla di brutto o vomitevole. Era imbarazzante essere lì e spiarli, ma quello che percepiva era tutt'altro che negativo: c'era affetto, dolcezza, desiderio. Si volevano bene e volevano dirselo in tutti i modi possibili. Nulla era fuori posto o sbagliato in quel bacio.
Anzi, si disse, c'era qualcosa di sbagliato: lui! Era chiaro che lo zio e Daisuke-san non volevano che li vedesse così, invece lui stava spiando come un criminale! Arretrò, distogliendo lo sguardo. Non aveva il diritto di stare lì a sbirciare. A gattoni s'allontanò lentamente lungo il corridoio. Sperava con tutto sé stesso che i due adulti fossero ancora tanto presi dal loro bacio da non accorgersi di nulla. A quanto pare la fortuna girò dalla sua parte. Quando ebbe messo tra lui e la porta almeno due stanze si rialzò e sempre in punta di piedi, il più rapidamente possibile, arrivò in fondo al lungo passaggio e svoltò in un'altra saletta. Si poggiò inspirando profondamente allo stipite di una porta.
Aveva visto qualcosa di proibito? O semplicemente qualcosa che lui, in quanto bambino, non doveva sapere?
No, lo zio non avrebbe mai fatto qualcosa di proibito, e non era nemmeno qualcosa di sbagliato, nessuna cosa sbagliata avrebbe potuto far sorridere lo zio così come aveva visto. Ne era certo, lo zio e Daisuke-san erano felici, li aveva visti molto più contenti e rilassati delle altre volte in quei due giorni, e ora sapeva perché: perché si volevano bene e se lo erano detti.
Era felice per loro, tanto, ma era anche tanto imbarazzato. L'amore e tutte quelle smancerie non erano cose da maschi, non sapeva come reagire.
Non sapeva nemmeno come comportarsi con loro! Anzi, lo sapeva benissimo, doveva far finta di niente, non avrebbe saputo come scusarsi per averli spiati così impunemente in un momento in cui volevano essere soli. Scosse la testa e decise di tornare nella sala dove si era addormentato, la sete ormai dimenticata.

Nonostante le buone intenzioni Akito si perse nella grande villa, era certo che svoltato l'angolo si sarebbe ritrovato nel corridoio che portava alla saletta, invece c'erano stanze completamente diverse! Si girò per ritornare sui suoi passi quando si ritrovò a incrociare lo sguardo con uno dei domestici. Istintivamente si mise a correre verso di lui.
- Avete bisogno di un aiuto, Akito-sama? - gli domandò l'uomo. Era così cortese da non mettere in evidenza l'ovvio, ossia che si era perso.
Il bambino alzò lo sguardo alla ricerca del cartellino con il nome: - Si, grazie Inagawa-san. Mi sono svegliato da solo e volevo trovare qualcosa da bere, ma mi sono perso. - Glissò completamente sul fatto di aver in realtà trovato suo zio in un momento scomodo.
Il cameriere si abbassò al suo livello: - Capisco, Akito-sama. La riaccompagno nella saletta e le porto qualcosa da bere. Vuole che vada anche a chiamare suo zio? -
- No! - urlò immediatamente. Non voleva che lo zio Haru fosse disturbato ora che era solo con Daisuke-san. Soprattutto non voleva che i domestici scoprissero il loro segreto!
Inagawa-san sembrò sorpreso dalla sua reazione, ma non fece domande: - Come desidera, Akito-sama. Venga, l'accompagno. Nel frattempo cosa desidera da bere? -
Akito prese la mano che gli veniva offerta: - Mmm... non lo so. Cosa c'è? -
- Possiamo offrirle moltissime bevande, Akito-sama. -
- Avete anche qualcosa alla fragola? -
Il domestico sorrise: - Sicuramente. Le porterò qualcosa alla fragola, allora. -

Il cameriere lasciò nuovamente da solo Akito nella sala in cui si era addormentato per pochi minuti, poi tornò con un bicchiere rosa estremamente invitante. Glielo poggiò con cura sul tavolino, poi rimase lì in attesa. Chiaramente voleva fargli compagnia.
- Akito-sama, vuole uscire in giardino dopo aver finito la sua bevanda? - chiese gentilmente.
Il bambino però si sentiva ancora confuso, non aveva voglia di giocare ora. Stava cercando di accettare quanto aveva visto poco prima. Prese la cannuccia tra le labbra e fece segno di no con la testa.
- Come desidera. - fu l'unico commento di Inagawa-san che non sembrava in alcun modo offeso.
Bevve lentamente, dapprima sovrappensiero, poi il sapore dolce della fragola lo riportò al presente e assaporò con gusto il resto della bevanda preparata apposta per lui.
Quando ebbe finito e riappoggiato il bicchiere sul tavolino, il domestico si fece nuovamente avanti: - Desidera altro, Akito-sama? -
Negò ancora una volta con la testa. Lanciò un'occhiata all'orologio dietro di sé, che non passò inosservata. Il cameriere capì subito i suoi pensieri: - Akito-sama, vuole che le faccia compagnia mentre attendiamo il signore e Kato-sama? -
Il bambino lo fissò sorpreso, non s'era aspettato di essere tanto evidente! Decise però di accettare l'offerta, la sua testa stava già scoppiando per il troppo pensare, meglio rilassarsi.
- Sì, Inagawa-san. Posso chiederle di giocare con me? -
- Certo, Akito-sama. Ha qualche idea in mente? - il domestico sembrava intenerito dalla sua educazione.
Il bimbo pensò un attimo. Doveva trovare un gioco divertente anche per un adulto, ma che non durasse molto, aveva visto l'ora e tra una cosa e l'altra adesso aveva circa mezz'ora. Era tanto assorto che non si accorse quando la porta si aprì.
- Oh, Akito, sei sveglio? - domandò Haru appena lo vide.
Notando lo zio e subito dietro Daisuke-san Akito divenne rosso come un pomodoro! Si vergognava così tanto d'averli visti quando non doveva!
Lo zio lo guardò perplesso: - Che è successo Akito? -
Lui nemmeno riuscì ad aprire bocca per rispondere, bloccato dall'imbarazzo. Vide Daisuke-san fare un cenno silenzioso al suo domestico che immediatamente spiegò: - L'ho trovato che girava per i corridoi cercando qualcosa da bere, si è svegliato da solo e non sapeva dove trovarvi. -
Sentita la breve spiegazione Haru gli si avvicinò, si chinò e gli mise una mano sulla testa: - Di cosa ti vergogni Akito? Anche io mi sarei perso in questa casa enorme! -
Gli fece un largo sorriso, allegro, ma così diverso da quelli che lanciava a Daisuke-san. Ora che sapeva cosa guardare era tanto evidente anche per lui! Inspirò profondamente, prendendo tempo e cercando di calmarsi. Nel frattempo Kambe s'era fatto avanti: - Haru, credo sia tempo di preparare le valige, se vogliamo essere puntali con Suzue. -
Akito vide in quelle parole la scappatoia che cercava!
- Giusto! Inagawa-san può aiutarmi a sistemare le mie cose? - domandò guardando il domestico. Lui sorrise: - Se per Kato-sama non è un problema. -
Il poliziotto alzò le spalle: - No problem. -
Il ragazzino sentì appena il commento piccato di Daisuke-san mentre usciva dalla stanza con il domestico: - Non parlare in inglese che mi vengono i brividi. –
Li lasciò a una delle loro solite discussioni e affrettò il passo per scappare il più lontano possibile da quei due.
Con l'aiuto di Inagawa-san la sua borsa venne ricomposta in un batter d'occhio, anzi era molto più ordinata di quando era partito! Con la scusa di voler provare ancora un po' il materasso del suo letto rimase ancora qualche minuto in più nella camera, facendo di tutto per tranquillizzarsi.
Probabilmente impiegò più tempo del previsto, perché ad un certo punto la testa dello zio fece capolino dalla porta: - Akito, non sei ancora pronto? -
Strinse i denti, ma poi s'alzò allegro: - Sì, sono pronto, grazie a Inagawa-san ho fatto in un lampo! -
Doveva essere naturale, proprio così. Non era cambiato niente in fondo. Lo zio era lo zio, e Daisuke-san era una persona gentile anche se dai modi un po' strani.
- Siamo pronti allora? - chiese Daisuke dal corridoio.
- Sì, arrivo. - rispose scendendo di corsa dal letto. Fece un inchino e un ringraziamento ancora al cameriere mentre prendeva da lui la borsa.
- Me la lasci pure, Akito-sama, devo accompagnarvi io all'eliporto. - gli rispose sorridendo.
Il poliziotto era entrato e s'era affiancato al nipote: - Mi spiace Akito, ma in questo mondo di ricchi non si capisce mai cosa devi e cosa non devi fare. -
Il bambino alzò lo sguardo, poco più in là Daisuke-san sospirò incrociando le braccia. Chissà che senso avevano quelle frasi tra loro due? Non l'avrebbe mai capito, ne era certo. Innamorarsi era una cosa troppo complicata.

Scesero in giardino, lo zio gli fece fare un'ultima visita alla fontana mentre Inagawa-san caricava le loro valige in auto. Gli dispiaceva andare via, si era divertito così tanto! E anche se solo alla fine aveva scoperto di non aver capito nulla o quasi di quei due, la loro compagnia era divertente, così diversa da quella degli altri adulti! Quando la voce di Kambe li chiamò, per dirgli che l'auto li aspettava s'immobilizzò. Voleva restare lì, con lo zio e con Daisuke-san. Non voleva ancora tornare dalla mamma. Sarebbe bastato solo un altro giorno Lacrime di testardaggine stavano per riempirgli gli occhi quando le mani dello zio si posarono teneramente sulle sue spalle - Su, Akito. È ora di andare. Ci torneremo un'altra volta. -
"Un'altra volta". Ci sarebbe stata un'altra occasione? Lo zio lo avrebbe ancora preso con sé per un'avventura speciale? Alzò lo sguardo pieno d'aspettativa.
- Basterà chiedere a Daisuke-san. Non ti preoccupare, quel tipo fa tanto il superiore e il distaccato, ma in realtà non è capace di negare un favore, men che meno ad un bambino. -
Akito annuì e seguì lo zio quando si rialzò per raggiungere la macchina che li attendeva.
Fecero il breve tragitto verso la pista d'atterraggio in silenzio, appena salito in auto aveva visto l'elicottero che scendeva poco oltre gli alberi e d'improvviso tutti i suoi patemi d'animo erano scomparsi. Solo quando fu sceso, nel vedere Daisuke-san che passava le cuffie allo zio ebbe un impeto: - Daisuke-san! Posso venire ancora qui? Con te e lo zio? -
L'uomo fu colto di sorpresa, ma dopo un breve momento si riprese, si chinò davanti a lui: - Certo che puoi, Akito. -
Così dicendo gli mise le cuffie sulla testa.
- Daisuke-san - gli disse di nuovo controllando che lo zio fosse ancora senza cuffie e lontano: - sei riuscito a diventare speciale per lo zio, vero? -
Era una domanda di cui conosceva già la risposta, ma voleva vedere quanto l'uomo si fidasse di lui.
- Sì. Ci sono riuscito. - gli rispose con un sorriso incredibilmente bello.
Akito gli si gettò al collo: - Congratulazioni! -
Avrebbe voluto dirlo anche allo zio, con tutto il cuore, ma non poteva smascherarsi così.
Il miliardario lo strinse a sua volta, ma poi si liberò dall’abbraccio per prepararsi alla partenza, lanciando un’occhiata al collega che li guardava incuriosito. A quello sguardo dello zio Akito rispose con una linguaccia divertita. Anche lui aveva un segreto con Daisuke-san!

Il viaggio di ritorno in elicottero fu meno emozionante dell'andata, forse per la stanchezza e i tanti pensieri che affollavano la mente del bimbo. Mentre volavano verso casa si era reso conto che, in fondo, era felice, veramente tanto. Erano stati due giorni emozionanti, pieni di scoperte, di avventure e divertimento. Con una inaspettata rivelazione finale: due maschi che si baciano non sono affatto una brutta cosa!

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