DISTANCE

di Giulia K Monroe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** HARUKA | PRESENT; ***
Capitolo 2: *** CHE COLPO | PRESENT; ***
Capitolo 3: *** NIENTE DA TEMERE | PAST; ***



Capitolo 1
*** HARUKA | PRESENT; ***


                            

 
“Il giorno in cui Kacchan fece esplodere la scuola
È anche il giorno in cui ci lasciammo.”
 
Sono in infermeria, quando All Might entra nella stanza, portando sotto le grosse braccia due ragazzi ridotti piuttosto male. È l’esclamazione agitata e contrariata di Recovery Girl a costringermi a voltarmi e a prestare loro tutta la mia attenzione. All Might ha sul visto un’espressione un po’ desolata, anche se il suo immancabile sorriso è sempre lì, sulle sue labbra. Deposita i ragazzi su due letti: uno, un biondino dal fisico allenato, è proprio svenuto; l’altro, un tipo dai particolari capelli verdi, è ancora cosciente, ma dal modo in cui si sdraia a pancia sotto e dai molteplici lividi che gli coprono il corpo, capisco che è messo male.
Recovery Girl si mette subito al lavoro e applica il suo quirk di guarigione sul biondo, ma le ferite che questi ha riportato sono così pesanti che non si sveglierà prima di qualche ora, come l’anziana infermiera sta ora spiegando ad All Might.
L’altro ragazzo, quello che mi dà l’impressione di avere più ossa rotte che integre, guarda l’insegnante e Recovery Girl scambiarsi opinioni in merito a quanto successo – più che altro, ascolta l’anziana biasimare e rimproverare l’altro come se non fosse affatto il grande All Might.
Adoro l’eroe numero uno, come gran parte del resto del mondo, d’altro canto; rappresenta tutto ciò che voglio essere: un eroe senza macchia e senza paura, che mette in gioco la propria vita per salvare gli altri e che lo fa sempre con un bel sorriso stampato in faccia.
“Non c’è niente da temere... e sapete perché? Perché adesso ci sono io.” È questo il suo motto e io l'ho ripetuto insieme a lui innumerevoli volte, in ogni circostanza in cui mi sono ritrovata a guardare una delle sue imprese eroiche alla TV.
Riconosco, nel ragazzo ancora sveglio, lo sguardo di totale ammirazione che prova per All Might: l'ho visto riflesso nello specchio tantissime volte, specie quando mi alleno per sorridere proprio come fa lui.
Sono seduta su uno sgabello, vicino alla finestra. Sono piuttosto bassa per la mia età, quindi i piedi non toccano terra e li lascio oscillare nel vuoto. I miei occhi si muovono curiosi da Recovery Girl ad All Might ai due ragazzi sdraiati nei lettini.
Come eroe, All Might è il numero uno... ma come insegnante è una vera frana: ha esagerato con l’ultima lezione e ha ridotto i suoi due alunni in queste condizioni pietose. La cosa straordinaria è che, comunque, i ragazzi siano riusciti a superare la prova, anche se ora sono due stracci inservibili.
Indubbiamente, due futuri eroi da tenere d’occhio.
«Adesso» dice alla fine Recovery Girl, «vediamo di metterti a posto la schiena, ragazzo.» Si gira verso quello steso prono.
«Vi lascio alle sue cure, giovane Midoriya» dice All Might con un grosso sorriso dei suoi, quindi guarda me e ammicca, mostrandomi un pollice all’insù. «Posso affidarmi anche a te, giovane Aizawa?»
Annuisco e mi tolgo l’immancabile lecca-lecca dalla bocca per mostrargli un sorriso grande quanto il suo, come quelli che mi esercito a fare per somigliargli il più possibile.
Anche se sono una ragazza, questo non mi ha mai impedito di aspirare a diventare come All Might. Il mio sorriso, nello specchio, somiglia molto al suo e questo è per me motivo di vanto. Per il resto, non potrei essere più diversa da lui di così: sono tanto minuta quanto lui è imponente, i miei capelli sono lisci e neri tanto quanto i suoi sono biondi e ispidi e i miei occhi sono uno azzurro e l’altro verde, ma, scrutandomi bene nello specchio, mi illudo in continuazione che quello azzurro sia della stessa tonalità di quello degli occhi di All Might.
Sono un tantino ossessionata da lui, lo ammetto.
«Su, Haruka. Mettiamoci al lavoro» mi dice Recovery Girl, una volta che All Might se ne è andato.
Mordo il lecca-lecca per staccare la caramella dal bastoncino e scendo dallo sgabello. «Sono pronta!» Mi avvicino al ragazzo ancora sveglio: ha un viso tondo e pulito, con grandi occhi altrettanto tondi, di un bel verde speranza, e capelli scarmigliati. Gli sorrido e lui ricambia, ma la piega delle sue labbra è più incerta della mia, quasi imbarazzata. «Tranquillo» gli dico, «non sentirai nulla, promesso.» Stendo le mani verso di lui e gli poggio i palmi sulla schiena.
Cavoli se è teso... non riesco a capire se lo sia per le ferite riportate, per il fatto che lo stia toccando o per un mix delle due cose. Avverto i suoi muscoli irrigidirsi sotto i miei polpastrelli.
Prendo un profondo respiro, chiudo gli occhi e faccio la mia magia. Un calore piacevole si sprigiona dalle mie mani e contemporaneamente comincio ad avvertire piccole scosse alla schiena, alle gambe, alle braccia: è come se mi stessero pungendo con un grosso ago, a volte rovente, a volte ghiacciato. Sudore freddo mi imperla la fronte e, quando Recovery Girl mi si affianca e mi poggia una mano su una spalla, trasalisco e riapro gli occhi: sulle mie braccia ci sono vene scure in rilievo.
«Basta così» mi dice l’anziana infermiera, «ora ci penso io.»
Annuisco e sollevo le mani dalla schiena del ragazzo che, quasi sciolto dalla forte tensione che lo obbligava a stare sdraiato in quella posizione scomoda, con la testa sul cuscino, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le gambe raccolte al petto e il fondoschiena per aria, si rilassa fino a riuscire a stendersi completamente.
Appena perdo il contatto con lui, le mie braccia tornano normali e tutte le vene in rilievo spariscono di nuovo sotto pelle.
Il ragazzo – Midoriya, così lo ha chiamato All Might – mi guarda con un certo stupore, ma anche con curiosità: sembra stia cercando di decifrare che tipo di quirk io abbia e perché ora non senta più alcun dolore.
Mi limito a sorridergli e mi riaccomodo sullo sgabello, quindi scarto un nuovo lecca-lecca mentre osservo Recovery Girl completare il lavoro.
Sono ancora troppo piccola per frequentare la Yuei – ho quattordici anni –, ma, per allenare al meglio la mia unicità, i miei genitori hanno chiesto al preside Nezu la possibilità di farmi cominciare una sorta di affiancamento con Recovery Girl, che grazie al suo quirk, Guarigione, potrebbe essere per me la migliore delle insegnanti. Io non sono in grado di accelerare il processo di guarigione come fa lei, con un solo bacio, ma il mio potere ha comunque a che fare con l’ambito medico. Anestesia, questo è il mio quirk: grazie al contatto diretto con una persona, posso assorbire il suo dolore, ma non guarire le ferite che lo causano; farlo mi costa molto dispendio energetico e un gran calo di zuccheri, motivo per il quale ho sempre un lecca-lecca o una caramella a portata di mano.
«E anche qui abbiamo fatto» conclude Recovery Girl, dopo aver sbaciucchiato per bene Midoriya.
«Grazie mille» dice lui, con ancora quel sorriso imbarazzato. Ha una voce pulita proprio come il suo viso.
«Sei qui da poco tempo e hai già visitato la mia infermeria per tre volte, Izuku. Comincerò a pensare che ti sia preso una cotta per me» lo prende in giro Recovery Girl. Il ragazzo diventa ancora più rosso e balbetta qualche scusa confusionaria, che la fa ridere. Anch’io non riesco a trattenere una risata. «Haruka» dice poi lei, rivolta a me. «Va’ pure a casa, per oggi non credo avremo altre visite.»
«Le dispiace se rimango qui a studiare? Mia mamma è in ospedale e papà rimarrà a scuola fino a sera tardi, quindi…» Oscillo di nuovo i piedi nel vuoto.
Non mi sfugge l’occhiata ancora incuriosita di Izuku, che ora è poggiato sui cuscini in una posa del tutto rilassata. Mi chiedo se abbia sentito come All Might mi ha chiamata e se si stia domandando chi io sia.
Recovery Girl sospira, ma annuisce. «D’accordo, ma non disturbare questi due, hanno bisogno di riposo, chiaro?»
«Sissignora» rispondo e quasi mi metto sull’attenti.
Midoriya cerca di nascondere una risata dietro la mano, che ora riesce miracolosamente a muovere.
Assorbire il suo dolore è stata una delle applicazioni più dure del mio quirk da quando ho cominciato a lavorare al fianco di Recovery Girl. Arrivano spesso ragazzi feriti, per un allenamento andato male o per un utilizzo sbagliato del proprio quirk, ma nessuno è mai arrivato in infermeria ridotto in quel modo, con numerose ossa frantumate.
Per quanto riguarda l’altro ragazzo… non ho idea di cosa abbia, ma Recovery Girl non mi ha lasciata avvicinare a lui per anestetizzarlo, quindi o le sue ferite non sono così gravi da richiedere il mio intervento oppure lo sono troppo perché il mio corpo possa sopportare il dolore che potrei sottrarre a lui. Comunque, è ancora svenuto e non dà segno di volersi riprendere tanto presto.
Recovery Girl mi lascia sola nella stanza poco dopo che ho aperto i miei libri per studiare. Midoriya non mi ha rivolto parola e immagino sia stato perché c’era ancora l’infermiera, così non appena lei se ne va, mi giro in sua direzione, pronta per scambiare subito due chiacchiere; tuttavia, quando i miei occhi si posano su di lui, lo trovo addormentato.
Poverino, doveva essere davvero stanco.
Do di nuovo le spalle ai due ragazzi e cerco di concentrarmi sul libro di aritmetica che ho di fronte: gli esercizi non sono difficili e ho già risolto con successo due equazioni, ma mi sono incastrata su un passaggio della terza e non perché sia più complicata delle precedenti, ma perché non riesco a focalizzarmi. La mia mente continua a vagare sui due ragazzi addormentati dietro di me, istigandomi a lasciar perdere tutti quei numeri e ad avvicinarmi per scrutarli da vicino.
No, non ti alzare. Sono due ragazzi normalissimi, non c’è alcun bisogno che tu…
Prima ancora di finire quel pensiero, sono già in piedi. Ho decisamente la forza di volontà di un’ameba.
Rimango ferma per qualche istante, ma una volta in piedi, tanto vale avvicinarsi, no? Così, in punta di piedi, mi appresso a Midoriya, che dorme ora della grossa: ha un viso d’angelo, con quelle lentiggini adorabili, eppure il suo fisico muscoloso tradisce la sua dedizione per gli allenamenti. Mi chiedo che tipo di quirk abbia, perché il suo costume da supereroe non mi dà alcun indizio. La maschera mezza bruciata da coniglio, che pende floscia sul cuscino, mi fa erroneamente pensare a qualcosa che abbia a che fare con salti veloci o affinità con roditori.
Un gemito appena accennato cattura la mia attenzione. Distolgo lo sguardo da Midoriya per posarlo sull’altro ragazzo. È ancora addormentato, ma forse sta cominciando a riprendere conoscenza; forse, inizia a sentire qualche dolore residuo alle cure di Recovery Girl. In fondo, lei è in grado di accelerare notevolmente il processo di guarigione, ma non di sottrarne il dolore come posso fare io.
Sempre in punta di piedi, mi avvicino a lui. Rimango a fissarlo qualche istante, indecisa sul da farsi. A differenza di Midoriya, lui ha un viso affilato e spigoloso, che apparirebbe severo anche se non corrugasse la fronte come sta facendo ora; anche lui deve allenarsi molto perché, sotto al costume attillato, riesco a scorgere un busto atletico e le braccia scoperte hanno muscoli e vene in rilievo, anche se è del tutto rilassato.
Geme di nuovo, questa volta più forte, così decido di smetterla di esitare. Prendo un profondo respiro. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie tanto sono agitata. Non ho mai alleviato il dolore di un paziente senza la supervisione di Recovery Girl o di mia madre: non so ancora quando fermarmi né quando sia il caso di intervenire e se il mio fisico sarebbe in grado di sopportare il dolore che patisce l’altro, eppure sento di dover agire, per provare almeno un po’ ad alleviare la sofferenza che gli ha ora fatto serrare anche la mascella.
In fondo, se voglio essere come All Might, non posso esitare in questo modo ad aiutare qualcuno che ha bisogno di me.
Le mie dita sono ormai prossime alla sua spalla, solo pochi centimetri ci separano. Chiudo gli occhi, pronta ad accogliere il suo dolore su di me…
Un secondo dopo, mi ritrovo stesa sul letto, ma come ci sia arrivata non saprei dirlo. Riapro gli occhi, spaventata dal movimento repentino e incontrollato che ha fatto il mio corpo, e mi ritrovo a fissare un paio di furenti iridi rosse a un centimetro dalle mie.
«Dimmi chi cazzo sei o ti faccio esplodere la testa.»

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Capitolo 2
*** CHE COLPO | PRESENT; ***


                                               

“Non scorderò mai l’odore di Kacchan.
Sapeva di polvere da sparo e mandorle dolci.”
 
 
«Dimmi chi cazzo sei o ti faccio esplodere la testa.»
La voce che ha pronunciato questa minaccia improvvisa è cupa come il ringhio di un lupo selvatico.
Sono ancora così stordita dal fatto che un attimo prima fossi sui miei piedi e quello dopo io sia bloccata contro il materasso, che in un primo momento non riesco a reagire in alcun modo. Il ragazzo mi tiene incollata al letto, un ginocchio premuto su una coscia, una mano stretta attorno al polso di quella delle mie che ha cercato di toccarlo; l’altra è sul mio collo. Le sue dita sono calde, incredibilmente calde. Odora di polvere da sparo… e di mandorle dolci.
Il cuore mi schizza in gola e mi domando incoerentemente se, sotto i polpastrelli, riesca a sentirlo anche lui. Provo a pronunciare qualcosa, ma le mie labbra si muovono senza produrre alcun suono, la mia voce bloccata tra le corde vocali dalla sorpresa.
Lui mi scruta, senza muoversi, i suoi occhi rossi tanto intensi che sembrano volermi scavare nella testa e tirarmi fuori le parole che non riesco a pronunciare. Provo di nuovo a parlare, senza successo, e questo sembra sconcertarlo un po’, come se si rendesse conto, solo in questo istante, di aver appena intrappolato sotto di sé una ragazzina minuta e spaurita, e non qualche pericoloso Villain che ha tentato di attaccarlo nel sonno. Tuttavia, capisco subito che è un tipo diffidente per natura perché, anche se i suoi occhi assumono un’espressione meno minacciosa, il suo corpo rimane teso sul mio, pronto a scattare alla prima avvisaglia di pericolo.
«Allora?» sbraita, dopo interminabili secondi di silenzio.
Sussulto sotto di lui e questo, in qualche modo, lo convince a rilassare un po’ la presa delle sue dita, sia attorno al mio polso che attorno al mio collo. Assottiglia lo sguardo, studiandomi con più attenzione.
Chissà cosa vede di me... cosa pensa, di me.
Sei proprio coraggiosa, Ruka, e tu vorresti diventare una supereroina?
Stringo la mano libera in un pugno, cercando di trovare un po’ di audacia, e riesco finalmente a schiarirmi la voce. «Io...»
«KACCHAN!» La voce che esplode copre del tutto il mio timido tentativo di parlare. Tempo un battito di ciglia e mi ritrovo da sola sul lettino, di nuovo senza riuscire a capire cosa sia successo.
Un colpo poderoso è apparso dal nulla e ha scaraventato Kacchan contro il muro dell’infermeria. Mi tiro su di scatto, spaventata, e giro la testa verso l’altro letto, che ora è vuoto. Spostando ancora lo sguardo, mi ritrovo a fissare Midoriya, adesso in piedi accanto a me, con il braccio ancora teso nel pugno col quale ha colpito l’altro ragazzo. Volto ancora il capo e incontro la figura accasciata di “Kacchan”, svenuto in terra in una posa scomposta.
«Oddio! Che ho fatto? Che ho fatto?» esclama Midoriya, gli occhi sgranati sul viso pallido. Si agita sulla punta dei piedi e sventola la mano dolorante nell’aria. Sembra poi ricordarsi di me, e del perché abbia agito in quel modo tanto sconsiderato, e mi si avvicina, ancora con quegli occhioni grandi e spaventati. «Stai... stai bene? Io...»
Agitato è ancora più carino.
Mi metto a sedere e mi massaggio il collo. Kacchan non mi ha fatto davvero male, il fantasma delle sue dita su di me è fermo, ma non violento.
«Io... sì, sto bene,» rispondo e accenno un sorriso che spero sia rassicurante. «È stata solo colpa mia, mi sono avvicinata a lui e devo averlo colto alla sprovvista, non... ma, ei! Ti sei fatto male?» gli domando, notando come si stia ancora massaggiando il braccio.
«Oh, io... no, non è niente» smentisce lui e si porta la mano dietro la nuca, a scompigliare i capelli, «non so ancora utilizzare bene il mio quirk e quindi...»
«Fammi vedere.» Scendo dal letto e, senza aspettare un suo consenso, gli afferro delicatamente un braccio.
«No, non è niente, davvero...» cerca di sottrarsi lui, ma lo ignoro e gli tiro su la manica del costume.
Il braccio è fasciato, dopo le cure di Recovery Girl. Gli prendo la mano tra le mie, respiro a fondo, quindi chiudo gli occhi e assorbo un po’ del suo dolore. Piccole vene scure si disegnano sui miei avambracci, ma le punture d’ago rovente e ghiacciato sono niente in confronto a quelle che ho sentito la prima volta che l’ho toccato: non si è fatto eccessivamente male, sento solo un senso di intorpidimento.
Lascio la sua mano e riapro gli occhi. Lo trovo a fissarmi con la stessa espressione stupita e curiosa della prima volta che ho applicato il mio quirk su di lui.
Di nuovo, gli sorrido. «L’effetto di guarigione di Recovery Girl è ancora in circolo, questo ha attutito il danno, ma comunque non avresti dovuto fare uno sforzo del genere» lo rimprovero.
Sembra preso in contropiede da questo mio atteggiamento d’un tratto apprensivo e severo, perché sussulta e arrossisce.
«Se Recovery Girl sa che ti sei alzato per colpa mia, è la volta buona che mi caccia. Devi tornartene al letto, subito! aggiungo.
Lo afferro per un gomito e lo costringo a voltarsi, quindi lo spingo verso il suo letto, prima di ricordarmi dell’altro ragazzo, che ancora giace svenuto in terra. Mi arresto e tiro Midoriya per una manica. Quando lui si gira a guardarmi, ancora rosso in viso per l’imbarazzo, mi trova a fissarmi le scarpe con innaturale interesse. Adesso anche le mie guance devono aver assunto una tonalità più scura.
«Scusa... potresti prima aiutarmi a rimettere anche lui al letto?» dico, con un sorriso impacciato, ed entrambi guardiamo il ragazzo ancora riverso al suolo.
«Oddio, Kacchan!» esclama di nuovo Midoriya e corre da lui, inginocchiandosi al suo fianco. «Questa è la volta buona che mi uccide... cavoli, ma che cosa mi è venuto in mente?» Se lo carica in spalla e, sebbene Kacchan non dia l’idea di essere leggero, con tutti quei fasci di muscoli e nervi, Midoriya non ha alcuna difficoltà a riportarlo al letto. «Speriamo che quando si sveglia non ricordi nulla o sono un Deku morto.»
«Deku?» ripeto confusa. «Non è un modo molto carino di definirti.»
«Oh, no! È il modo in cui Kacchan e anche Uraraka…»
Sorrido. «Siete molto amici, vero?»
Midoriya fissa prima il ragazzo biondo, poi torna a guardare me e storce le labbra in una smorfia peculiare. «Sì, diciamo di sì. È… complicato.»
«Capisco. Non sono affari miei, quindi…» Scrollo le spalle. «Grazie, comunque, per quel colpo. Ka… Kacchan,» ripeto, certa che sia a sua volta un soprannome e non il vero nome del ragazzo, «non mi stava davvero facendo male, ma credo di averlo colto di sorpresa, io…» Mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «È che sembrava sentire dolore e così volevo…»
«È il tuo quirk, vero?» mi chiede Midoriya, interessato.
Annuisco e mi fisso le dita. «Riesco a sottrarre il dolore alla gente, sì. Diciamo che lo trasferisco dalla persona che tocco a me, ma a differenza della gente comune, ho una soglia del dolore molto più alta. Quello che assorbo è il dolore, non la ferita, quindi una volta che allontano le mani, la sensazione di malessere sparisce» spiego e torno a guardare Midoriya, che mi fissa ancora interessato. Sembra stia prendendo appunti mentali e il modo in cui muove inconsciamente le dita mi dà la sensazione che vorrebbe avere con sé una penna per trascrivere le mie parole.
Mi sento lusingata, nessuno si è mai mostrato così appassionato a ciò che ho da dire. Non sono una persona molto espansiva e faccio difficoltà a relazionarmi con gli altri, motivo per il quale sono quasi sempre da sola. Probabilmente è per questa ragione che la mia migliore amica è una ragazza egocentrica ed egoriferita come Mei Hatsume: il totale opposto della sottoscritta, insomma.
«Ma è un quirk fichissimo!» esclama Midoriya, sorprendendomi. «Sarai utilissima agli eroi, in futuro! Qualunque agenzia sarebbe fortunata ad avere una guaritrice tra i suoi membri!» aggiunge, forse con fin troppo entusiasmo.
Mi ritrovo mio malgrado ad arrossire. «Dici? Insomma, è un quirk utile, sì, ma in battaglia non mi servirebbe a granché contro i Villain, senza contare che non sono in grado di guarire propriamente le ferite, come fa Recovery Girl, ma solo togliere il dolore che causano, un po’ come una potente anestesia istantanea.»
«Con il problema che ho io col controllo del mio quirk, mi sarebbe senz’altro utile avere qualcuno come te nella mia squadra, in futuro. Potrei anche rompermi le ossa, ma continuare a combattere in caso in necessità, e poi…»
Midoriya ha preso a borbottare tra sé e perdo velocemente il filo dei suoi ragionamenti contorti. Sembra rinchiudersi in una sua bolla personale, due dita ad afferrarsi il mento, le labbra che si muovono veloci al ritmo dei suoi mormorii e gli occhi bassi che sembrano vedere calcoli e prospettive che mi rimarranno per sempre inaccessibili.
Non riesco a trattenermi dal ridacchiare e questo lo fa tornare alla realtà.
«Scusami» dice, e si porta di nuovo una mano a scompigliare i capelli dietro la nuca. Deve essere un gesto che fa spesso e dà un senso alla piega scarmigliata dei suoi capelli.
«Sei uno spasso» rispondo, ridendo di cuore.
Mi rendo subito conto che Izuku è qualcuno con cui potrei facilmente diventare amica… sempre che lo voglia anche lui, ovvio.
«Oh, ecco, io…» Anche lui ridacchia imbarazzato.
«Su, ora rimettiti al letto» ordino di nuovo e gli indico il materasso. «Devi riposare. Su, su!» lo incito, battendo le mani.
Midoriya china il capo e si trascina di nuovo al letto.
«Bravo! Ti sei meritato…» frugo nella tasca della mia felpa e ne tiro fuori un lecca-lecca, «ecco, tieni!» Glielo porgo, con un grosso sorriso.
«Grazie» fa lui, stupito, ma lo afferra e lo scarta.
Ne prendo uno anche per me, quindi torno alla scrivania, per recuperare le mie cose. «Tu sei… Midoriya, giusto?» dico, una volta che ho sistemato libri e quaderni dentro lo zaino.
«Esatto. Tu invece…» Si ferma, quasi non sapesse come proseguire. Con buone probabilità, ricorda il modo in cui mi ha chiamata All Might.
Mi giro verso di lui. «Sono Haruka Aizawa» mi presento.
Midoriya si morde il labbro inferiore, sembra a disagio. Mi scruta per qualche istante. «Aizawa come… il professor Aizawa?» chiede alla fine.
Annuisco.
«E sei sua nipote, sorella o..?»
«Sua figlia.»
Izuku si strozza con la sua stessa saliva. «C-cosa?» pigola, battendosi una mano sul petto per cercare di fermare l’accesso di tosse.
Scoppio di nuovo a ridere: sapevo che sarebbe andata a finire così.
«Ma quanti anni hai, scusa?» domanda ancora lui.
«Quattordici» rispondo, ancora con la stessa espressione candida.
«Ma il professor Aizawa… no, non può essere… insomma, o se li porta estremamente bene, oppure…» Midoriya ha ripreso a borbottare tra sé. Proprio come il gesto di scompigliarsi i capelli, anche quel continuo rimuginare sulle cose a bassa voce deve essere un suo vezzo caratteristico.
«I miei genitori mi hanno avuta giovani» spiego, venendo in suo aiuto.
Midoriya si blocca e mi guarda.
«Avevano entrambi diciotto anni, non sono stata propriamente voluta» mi stringo in una spalla e sorrido ancora, «ma, nonostante questo, hanno deciso di tenermi e quindi eccomi qui.»
Izuku è evidentemente sorpreso da quelle rivelazioni sul professor Aizawa: in effetti, non dà l’aria di uno che possa avere un passato del genere, con la sua aria sempre seria… ma, in fondo, è anche quello che dorme in un sacco a pelo in classe, prima delle lezioni, quindi c’è davvero da stupirsi che non sia un tipo ordinario?
«E dimmi» fa ancora Midoriya, «che quirk ha tua madre?»
La domanda mi colpisce, perché mi aspettavo altro dopo la mia rivelazione. «Guarigione, come Recovery Girl, ma lei non sbaciucchia la gente per curarla» ridacchio, «le basta toccare le persone, come faccio io» aggiungo e gli mostro i palmi delle mani, neanche siano strumenti particolari.
«Immagino che sia un sollievo per tuo pad… cioè, per il professor Aizawa» considera Midoriya e rieccolo a scompigliarsi i capelli. «Insomma, non so se sia un tipo geloso o meno… voglio dire, non è che sia uno facile da leggere e…» e riecco anche i soliti borbottii.
Sorrido, ma non commento.
I miei genitori hanno divorziato ormai molto tempo fa, quando avevo solo quattro anni. È stato quando ho sviluppato il mio quirk e una parte di me si è sempre domandata se sia stata una coincidenza o se c’entri qualcosa con la loro separazione. A essere onesti, non sono mai andati d’accordo, da che ne ho memoria, ma l’unica questione su cui non litigano sono io: non si sono mai contesi la mia attenzione, non hanno mai gettato ombre sull’altro in mia presenza e non hanno mai discusso sul mio affidamento; passo tanto tempo con la mamma che con papà e se trascorro più giorni con uno che con l’altro è solo per via dei vari impegni come eroi (e come professore, nel caso di mio padre) che possono avere.
Per il resto, sono come cane e gatto: ogni volta che si incontrano, si lanciano continue frecciatine e semplicemente non sopportano di stare per più di un minuto nella stessa stanza, a respirare la stessa aria. A volte mi chiedo che fine abbia fatto l’amore che li univa in passato, che li ha spinti a volermi tenere, che li ha portati a sposarsi… immaginarli insieme adesso è strano come immaginare un matrimonio tra All Might e Endeavor.
«Ah, ecco! Ora ho capito» esclama Midoriya, riportandomi alla realtà. «Il tuo quirk è una miscela perfetta dei due ereditati dai tuoi genitori: Eraser Head può cancellare le unicità altrui, tua madre può curare le ferite… tu puoi eliminare il dolore delle ferite; fico, davvero fico.» Annuisce e, ancora, sembra davvero colpito.
«Sì, beh… immagino che sia così» rispondo. «Tu invece?»
«Eh?» fa lui e mi rivolge uno sguardo confuso.
«Il tuo quirk» dico, avvicinandomi di nuovo a lui, piena di curiosità. «Di che tipo è? Direi che sei molto forte, per aver schiantato così Kacchan con un solo colpo, ma non sono riuscita bene a capire di cosa si tratti.»
«Oh, ehm… ecco…» D’un tratto, sembra a disagio e non riesco a capirne il motivo. Piego il capo verso una spalla, in attesa. «Il mio è un quirk di potenziamento.»
«Mmm» annuisco, meditabonda. «E tu da chi lo hai ereditato?»
Midoriya si strozza di nuovo con la sua stessa saliva. Mi chiedo se abbia problemi di disfagia o cosa: non è normale strozzarsi in questo modo ogni due per tre.
Mi avvicino a lui e gli batto gentilmente una mano al centro della schiena, perché questo accesso di tosse è stato più violento del precedente.
Prima che possa chiedergli se si senta bene, la porta dell’infermeria si apre di scatto, facendoci sobbalzare entrambi. Midoriya si riprende in modo incredibilmente veloce per essere uno che sembrava stesse per morire soffocato.
«Ma insomma!» esclama Recovery Girl, avanzando lentamente nella stanza. «Cos’è tutto questo baccano?» Mi guarda con i suoi piccoli occhi severi e io mi allontano da Midoriya con la stessa velocità di un gatto beccato a infilare la zampetta in un acquario. «Non ti avevo forse detto di lasciar riposare questi due ragazzi? Il mio quirk accelera il processo di guarigione, ma se non si dà modo al corpo di ristorarsi, allora è tutto inutile.» I suoi occhietti esigenti si spostano su Izuku, che balbetta qualche scusa, alla quale mi unisco.
«Su, ora fuori di qui, signorinella» dice alla fine l’infermiera e, con forza insospettabile per il suo corpo attempato e minuto, mi spinge fuori dalla stanza senza tante cerimonie.
Mi giro appena in tempo per vedere Midoriya sventolare la mano in segno di impacciato saluto. Lo reciproco, ma il secondo dopo Recovery Girl mi sbatte la porta in faccia, lasciandomi a salutare l’uscio.
Sospiro e mi sistemo meglio lo zaino in spalla.
«Che hai combinato, stavolta?» La voce divertita ed esasperata alle mie spalle mi costringe quasi a mettermi sull’attenti.
Mi giro, fino a incontrare la figura di Aizawa, poggiato al muro a braccia conserte, un sorriso a mezza bocca sulle labbra sottili. «Ciao papà» lo saluto, con una smorfia strana.
«Allora?» fa lui. Si stacca dalla parete e mi si avvicina. Con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, china la schiena fino ad avere il viso a pochi centimetri dal mio. Gli mostro il più innocente dei miei sorrisi, ma questo non serve a farlo desistere. «Haruka.»
«Non ho fatto niente, giuro!» Faccio un passo indietro, per ristabilire le distanze, e agito le braccia di fronte al viso. «Stavo solo parlando con un ragazzo e…»
Gli occhi scuri di Aizawa si accendono di una scintilla pericolosa. «Un… un ragazzo?» ripete e un nervo teso gli fa ballare l’occhio destro, proprio poco sopra la cicatrice.
Arrossisco. «Non è come pensi!» Agito di nuovo le braccia di fronte al viso.
Aizawa mi afferra per un polso, fermandomi. «Voglio ben sperarlo, signorina. Sei troppo piccola per pensare ai ragazzi.»
Vorrei far notare a mio padre che ho quattordici anni, non dieci, ma non lo dico ad alta voce, perché so che mi ritroverei avvolta dalle bende che porta al collo prima ancora di finire di pronunciare una singola parola della mia protesta.
Sempre tenendomi il braccio, ma senza rudezza, mi trascina accanto a sé e prende a camminare a passo spedito verso l’uscita della Yuei.
Gli trotterello accanto.
«Chi era, comunque?» chiede dopo un po’.
«Il ragazzo in infermeria. Chi era?»
«Oh. Izuku Midoriya.»
«Tsk.» Aizawa scuote il capo. «E chi altri poteva mai essere? Quello si rompe ogni due per tre, è senza speranza.»
«Io l’ho trovato molto sim…» Mio padre mi guarda male e io mi azzittisco subito. «È uno dei tuoi allievi?» chiedo poi, mentre usciamo nel cortile ormai deserto della scuola.
«Mh» risponde Aizawa, «non uno dei migliori, di certo. Sta ancora imparando a usare il suo quirk, neanche avesse ancora quattro anni. Però ha del potenziale ed è il pupillo di Toshinori, anche se lui cerca di nasconderlo.»
«Il pupillo di… All Might?»
«Mh» fa di nuovo mio padre, ma non aggiunge altro. «Com’è andata oggi, comunque?» mi chiede poi e si volta a guardarmi.
«Bene» rispondo, flettendo i muscoli inesistenti del mio braccio destro. «Ho usato il mio quirk su Midoriya e non sono svenuta neanche una volta! Sto diventando più brava, vero?»
«Questo dovrebbe essere Recovery Girl a dirmelo, non tu» risponde Aizawa, rinfilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni.
Mi fermo e metto il broncio. «Ma sono migliorata davvero!»
Aizawa si ferma a sua volta e mi lancia un’occhiata strana da sopra la spalla. Alla fine mi sorride. «Ne sono certo» dice e torna sui suoi passi. Allunga una mano e mi scompiglia i capelli. «Continua così e l’anno prossimo mi farai fare un figurone qui alla Yuei.»
Le mie labbra si tendono in un sorriso enorme e i miei occhi brillano contenti. «Vi renderò fieri di me!»
Il modo in cui Aizawa mi guarda denota che lui lo sia già, ma non è il tipo di persona da esternare quei sentimenti, nemmeno con me che sono sua figlia.
Però si china e il secondo dopo mi afferra le guance e le tira. «Non aspettarti un trattamento di favore solo perché sei la figlia di un professore. Non entrerai qui sotto raccomandazione, ma farai il test come tutti gli altri, chiaro? Io e quella diavolessa di tua madre non abbiamo cresciuto una pappamolla!»
«Ahia, papà! Mi fai male!»
Lui mi molla e le guance tornano al loro posto, nemmeno io abbia la faccia di gomma. Me le massaggio.
«Su» fa poi Aizawa, tirandosi di nuovo in piedi. Mi porge una mano. «Andiamo, stasera ti porto a cena fuori.»
Il dolore alle guance passa subito. Annuisco con un nuovo sorriso entusiasta e gli afferro la mano. «Scommetto che non c’è più cibo in casa, vero?» commento divertita, mentre usciamo dal cortile.
Le spalle di Aizawa si irrigidiscono. «Ma come ti viene in mente?! Un padre non può portare una figlia a cena fuori senza che ce ne sia un motivo?!»
Ho ragione io, cento per cento.
Scoppiamo entrambi a ridere.
Amo mio padre. Non sarà perfetto, ma è l’uomo della mia vita.

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Capitolo 3
*** NIENTE DA TEMERE | PAST; ***


                                             


“Devo la vita ad All Might… a Toshinori.
Se non fosse per lui, a quest’ora non sarei la donna che sono.”
 
Passato
 
 
Le scale sono buie davanti a me. Salgo un gradino alla volta, tenendomi una mano sul fianco ferito. Avere un quirk di guarigione e non poterlo usare su me stessa è un vero schifo. Sto lasciando una scia di sangue lungo la parete, mentre mi trascino a fatica ancora più in alto, verso l’uscita di questo palazzo che non sembra voler mai arrivare.
Un ultimo sforzo, Kasumi, ci sei quasi.
La fatica mi fa bruciare i polpacci, l’aria gelida mi raschia la gola a ogni respiro brusco che compio per cercare di riempirmi il petto. Il cuore fa male, la ferita fa male. Tira e pizzica e va in fiamme a ogni movimento che faccio. La visuale si quadruplica di fronte ai miei occhi stanchi, i gradini da dieci paiono venti, poi quaranta, in una spirale continua che mi sta facendo girare la testa.
Ancora un po’. Resisti ancora un po’.
Non doveva andare a finire così. È tutta colpa di All Might: lui, col suo stupido sorriso, che arriva a salvare la gente in ogni circostanza. Il nostro diversivo non è stato abbastanza. L’esplosione di quel camion, tutte quelle vite innocenti messe in pericolo, per trovarci comunque con un pugno di mosche.
Black List è davvero morto? Non lo so. Quando il soffitto gli è crollato addosso, dopo l’ultimo colpo micidiale di All Might, mi è sembrato di vederlo allungare un braccio verso di me, ma non sono rimasta così a lungo da capire se potessi fare ancora qualcosa per lui. Sono allo stremo delle forze… l’ho guarito più volte di quante avrei mai pensato che il mio corpo fosse in grado di reggere, ma adesso, con questa dannata stecca di ferro conficcata in un fianco, non potrei guarire nemmeno il morso di un cucciolo.
Io…
Le gambe perdono forza, le ginocchia tremano. Crollo sull’ultimo gradino e mi accascio contro il pianerottolo, la porta d’uscita a pochi metri di distanza.
«Maledizione!» impreco a denti stretti, la sbarra che nella caduta ha penetrato più a fondo la carne. Sento lembi di pelle strapparsi a contatto col ferro ruvido che mi trafigge.
È dunque questa la mia fine? Me la meriterei, in fondo. Sono una Villain, nessun Eroe verrà mai a salvarmi.
È sempre stato così, fin da quando ero piccola. Ho sempre e solo potuto contare su me stessa e su nessun altro. È per questo che alla fine ho ceduto alla proposta di Black List. Nonostante tutto, lui è riuscito a farmi sentire in famiglia, quella famiglia che non ho mai avuto e che mi è stata strappata via proprio perché un Eroe non è stato in grado di fare il suo lavoro. Non ho mai voluto sentire giustificazioni: gli Eroi sono arrivati troppo tardi, mia madre e mio padre sono annegati nell’oceano, dopo essere precipitati giù da una scogliera. Gli Eroi dovrebbero sempre salvare tutti, no? Beh, non avevano salvato i miei genitori. Non avrebbero salvato me adesso.
Riapro gli occhi di scatto con un rantolo spaventoso persino per me che l’ho prodotto e mi rendo conto che devo essere svenuta, anche se spero sia stato solo per qualche secondo.
Rimettiti in piedi, Kasumi. Raggiungi il punto di estrazione.
L’elicottero deve essere ancora sul tetto. Black List è di sotto, forse bloccato dalle macerie che gli sono crollate addosso, ma non possono essersene andati senza il loro capo. I suoi fedeli cagnolini devono essere ancora lì, in attesa di vederlo arrivare. Non sanno che forse, per lui, non c’è più alcuna speranza.
Non sono rimasta a vedere la fine della battaglia, ma nemmeno lui può essere sopravvissuto a...
Un terremoto scuote il pavimento e le pareti tutt’intorno a me. Il dolore alla ferita diventa lancinante, tanto da farmi gridare, ma le mie urla si perdono nel boato rombante che sale dai piani inferiori. La battaglia sta ancora infuriando, ma come è possibile?
Basta, non posso fare più niente, non nelle mie condizioni. Non c’è disonore nel ritirarsi da una guerra che sai di non poter vincere... da una battaglia nella quale non sei più un valore aggiunto, ma solo un peso.
Mi puntello sulle ginocchia e, con uno sforzo che mi pare disumano, faccio leva sulle braccia tremanti, ricoperte di graffi ed ematomi. Riesco a rimettermi in piedi e barcollo fino alla porta, che si spalanca sotto il mio peso.
L’aria fredda della notte mi investe. Sa di fumo, di incendio, di sangue... di morte. Mi poggio contro l’anta aperta, cercando di rimanere in piedi, di restare cosciente. Ho chiuso gli occhi, di nuovo senza rendermene conto, così li riapro e li punto di fronte a me.
Il tetto è vuoto.
No... dov’è l’elicottero? Sono andati via? Sono andati via senza Black List... senza di me?
Sbatto le palpebre ripetute volte, sperando il mio sia solo un problema di vista; come se, se la pulissi abbastanza da riuscire a vedere nelle tenebre blu e rossicce, l’elicottero comparirà davanti ai miei occhi.
Ovviamente non succede.
Non vado neanche nel panico, ormai a cosa servirebbe? Sono bloccata quassù, con una ferita che se non riceve cure mediche al più presto finirà con l’uccidermi, senza più un boss da servire, senza più nessuno che mi protegga, fosse anche solo per interesse personale.
Ho vissuto in solitudine. Morirò in solitudine.
Non c’è niente da temere, direbbe quello stolto di All Might. Però, forse, ora ha ragione… non c’è niente da temere.
Lascio alle mie gambe la possibilità di cedere sotto il mio peso e mi ritrovo col sedere sul pavimento, la sbarra di ferro che compie un altro spostamento nella carne, strappandomi un nuovo gemito, questa volta soffocato. Non ho più la forza nemmeno per gridare. Voglio solo chiudere gli occhi e…
«Hey? Hey, giovane ragazzina, mi senti?»
La voce è lontana, mi richiama da un luogo che per me non ha più alcuna consistenza. La realtà è un buio fumoso, non ci sono che tenebre intorno a me.
«Merda…» impreca ancora la stessa voce. Ha qualcosa di famigliare, mi innervosisce. «Hey, ho bisogno di una mano quassù!»
Vattene via, vorrei dirgli, lasciami in pace. Non salvarmi…
«Andrà tutto bene» mi dice ancora la voce.
Una mano grande e calda mi tira su la testa, ma è talmente pesante che la sento ciondolare sul mio collo come se questo non riuscisse più a sostenerla. Eppure, quelle dita ruvide e gentili sulla guancia mi fanno sentire improvvisamente al sicuro.
«Non c’è niente da temere» mormora la voce nel buio e finalmente la riconosco. Sorriderei beffarda, se solo avessi ancora la facoltà di muovere le labbra. «E sai perché?» aggiunge la voce.
Il secondo dopo, mi sento sollevare da terra. Le mie gambe oscillano nel vuoto, prive di volontà. Vengo stretta a un petto ampio e caldo e rassicurante.
Lo odio.
Eppure, vorrei che questa sensazione che avverto adesso al cuore non finisca mai.
«Perché adesso ci sono io.»

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