La Città dell'Immaginazione

di piratatommy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Città ***
Capitolo 2: *** La Baia della Città ***
Capitolo 3: *** Le Catacombe della Città ***
Capitolo 4: *** Il Mercante ***
Capitolo 5: *** La Landa della Lettura ***
Capitolo 6: *** Il Porto d'Estate ***
Capitolo 7: *** Il Palazzo della Città ***
Capitolo 8: *** Il Cielo della Città ***



Capitolo 1
*** La Città ***


La città dell’immaginazione è un luogo famoso eppure nascosto. C’è chi ci abita e c’è chi non c’è mai entrato, ma sono pochi quelli che una volta fuori conoscono la strada per ritrovarla.
D’altra parte esternamente appare di modeste dimensioni.
È circondata da un folto bosco scuro e ostile e un versante si affaccia sul mare. È protetta da mura che possono anche cambiare aspetto a seconda di chi le incontra, ma soprattutto da delle enormi porte; vengono aperte soltanto in determinati orari ed è molto difficile che qualcuno venga fatto entrare se non desiderato o degno. Ma appena entrati ci si accorge di una realtà di tutto differente: la città appare immensa e luminosa, e pochi ne conoscono tutti i meandri.
In genere chi ci abita non fa caso a tutto ciò, tanto è immerso nell’ambiente che lo circonda, e solo chi ne è stato esiliato volgendosi indietro si rende conto di ciò che ha perso. È raro che qualcuno ritrovi la strada e torni.
Solitamente si ha la possibilità di viverci tranquillamente durante l’infanzia e qualcuno resta anche dopo, ma in genere la maggior parte delle persone una volta sulla via della maturità se ne vanno o sono costrette a farlo, spesso e purtroppo per non tornare. Io stesso ho dovuto andarmene improvvisamente e forse è stato per pura casualità che sono riuscito a ritrovare la città.
Nonostante fossi esule mi è stato concesso di trovare le porte aperte, solo per un breve periodo; inizialmente distratto, stavo per perdere l’occasione ma sono riuscito ad intrufolarmi per un pelo nonostante le porte fossero ormai socchiuse: in ogni caso sapevo che il mio permesso di restare sarebbe durato soltanto fino al calar del sole, poi sarei dovuto andarmene per non rovinare tutto.
È un luogo speciale, che cresce e cambia nel tempo eppure si adatta sempre ai suoi abitanti o visitatori in base alla loro creatività, è un’influenza reciproca che prende vita.
Una volta per le sue vie mi sono emozionato rendendomi conto di quanto mi fosse mancata, e di quanto fosse cambiata, restando tuttavia uguale a come la conoscevo tanti anni prima. Ero solo un viandante di passaggio e vedevo tutto come un esterno, eppure mi sentivo a casa.
C’erano quartieri di tutti i generi, più o meno simpatici ma liberi e soprattutto tutti pieni di vita: dalle grandi aule e biblioteche e piazze dove si trovavano per discutere i veterani, gli abitanti più illustri o i più produttivi ai locali o alle bettole dove si trovava di tutto, da strani personaggi ai cittadini più cupi, dalle guardie della città ai pochi vagabondi come me, chi più malinconico e spaesato, chi più felice.
Io personalmente appartenevo alla seconda categoria: per un attimo davvero lontano dal resto del mondo, mi sono sentito di nuovo libero come non lo ero da tempo, e me ne andavo per i viottoli respirando l’aria fresca, scorgendo in lontananza, al termine della strada maestra, la spiaggia, e il sole che lentamente iniziava a chinarsi verso il mare.
Quel giorno però avevo chiaramente da fare, infatti sentivo che se ero riuscito ad entrare c’era una ragione, e dovevo riuscire a raggiungere il mio obiettivo nel tempo che avevo a disposizione; quando uno viene esiliato infatti significa che non è più capace di vivere in quel luogo serenamente, in armonia con il resto, con se stesso. Io quindi ero solo di passaggio e non avevo intenzione di sprecare quell’opportunità.
Mi sono diretto perciò dove sentivo di dover andare e lì, in un vicolo buio e in ombra ho trovato una vecchina seduta davanti ad una porta di legno, nel silenzio, sotto una piccola lanterna: doveva raccontarmi una storia. Ho ascoltato con attenzione i suoi sussurri per non perdere niente e alla fine, grato di quel regalo me ne sono andato, quando ormai il sole si era immerso tra le onde.
Sono uscito dalla città giusto in tempo, mentre questa si preparava per la sua vita notturna, dolce e segreta; mi sono voltato, ho dato un rapido, ultimo sguardo alle sue mura illuminate dalle stelle e me ne sono andato, i portoni chiusi e scuri alle mie spalle. Nella città dell’immaginazione infatti gli stranieri se non autorizzati non possono restare di sera: solo quelli che già ci vivono hanno la fortuna di poter disegnare le stelle e respirare le musiche e i profumi che porta la luna. Nel mentre tra le pietre delle strade ancora tiepide soffia una brezza dolce e delicata che sussurra sogni ai dormienti ed illumina gli occhi di coloro che, ancora alzati nei grandi saloni, sfruttano la pace e il silenzio per creare, scrivere e immaginare fino a tarda notte. Nascono realtà intense, passioni e crudeltà, storie e poesie che traboccano dalle finestre illuminate e vanno a posarsi sui tetti e sulle strade come nastri di seta color perla, delicati come castelli di carte.
Lì alla fine trovano riposo, e con il sorgere del sole entrano a far parte della città stessa.

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Capitolo 2
*** La Baia della Città ***


La Città dell’Immaginazione si affaccia su una piccola baia: una spiaggia di sabbia finissima accarezzata dal vento che profuma di libertà e felicità. Si può scorgere fin dalla via principale della città come una chiarore lontano all’orizzonte. Non molti ci vanno, è un luogo di poesia e riflessione, di bellezza e solitudine. Eppure è il luogo più spettacolare del paese.
Le onde del mare sussurrano brividi e desideri, mentre i rossi raggi del sole quando sorge o tramonta scaldano il cuore di passione, in un connubio di serenità e stupore. Nonostante ciò non è molto conosciuta nemmeno tra gli stessi cittadini; in pochi si arrischiano ad ascoltare le emozioni che ogni giorno si addensano lì da tutti i vicoli e abitazioni, impetuose e numerose come i granelli caldi e dorati baciati dalla sensualità delle onde.
Io ci arrivai per caso una mattina d’estate: esiliato da tanto tempo, non ci ero nemmeno mai stato. Nuotavo libero nel mare quando superata una barriera di scogli non trovai la solita spiaggia come mi aspettavo, ma le acque calme della baia.
Stupefatto e stanco giunsi fino a riva e lì mi sedetti, attendendo di essere asciugato dal sole brillante e alto nel cielo. Riconobbi subito la città alle mie spalle e fui felice di esserci tornato in qualche modo. Ancora una volta ero a casa. Mi sentivo onorato e in qualche modo ben accetto: questa volta non ero lì di nascosto, o almeno così speravo. Ma non provai ad entrare e rimasi lì, contemplando il panorama che avevo di fronte: il cielo terso e azzurro solcato da un bianco gabbiano, le alte scogliere rocciose che proteggevano quella mezzaluna paradisiaca. Tutto sapeva di tranquillità, il tempo fermo, scandito dalle onde, incantato anch’esso. Camminai lungo la riva osservando l’acqua turchese e, più vedevo e scoprivo, più il paesaggio sembrava arricchirsi e farsi ampio, come ad assecondare un’inespressa sete di meraviglia.
Il rumore della risacca mi cullava mentre il sole compiva il suo corso quando all’improvviso voltandomi vidi una vecchina seduta sulla sabbia che scrutava fissa davanti a sé, i lunghi capelli argentei mossi dal vento. Aveva il sapore di un dejà-vu, ma non avrei potuto dirlo con certezza. Mi avvicinai e mi misi accanto a lei. Era come se fosse lì di proposito ad aspettarmi, concentrando su di sé il significato di quella mia visita.
Si voltò verso di me e mi guardò, ed io la fissai, improvvisamente curioso di sapere quello che aveva da dirmi. Lentamente cominciò a sussurrare una storia, oltre a noi due condivisa solo dal vento e dal mare, un racconto che ascoltai attentamente ma con rispetto, cosciente che era un tesoro che mi sarei portato dentro, un altro pezzo di quella terra che avevo avuto l’onore di conoscere, nonostante tutto.
Con le parole scorrevano i flutti e il tempo, inarrestabile come sabbia che scivola tra le dita, finché il racconto cominciò a volgere al termine.
Il cielo ora era tinto di porpora, oro e sangue, il sole ormai prossimo a morire, irresistibilmente attratto dalla sinuosità e dalla freschezza misteriosa del mare: si ripeteva così ogni giorno, quest’immagine di amore e morte che feriva violentemente il cuore, facendone sgorgare pace mista inspiegabilmente ad una dolorosa nostalgia. La vecchia finì e volse nuovamente lo sguardo avanti, parte di quel mondo.
Seppi che era tardi, non sarei potuto restare oltre, non ne avevo il diritto; senza dire una parola mi alzai e misi in acqua un piede dopo l’altro, fino ad immergermi del tutto e nuotare verso dov’ero venuto, senza voltarmi indietro, fino a diventare un punto distante, fino ad oltrepassare la scogliera e sparire, ristabilendo l’equilibrio rotto dalla mia intrusione.
Non vidi il calare della notte su quella splendida spiaggia, dove la luna con la sua luce candida addormenta le calde passioni sulla sabbia d’argento, dove gli abissi del mare si risvegliano raccogliendo pazientemente i sogni più oscuri dei cittadini, che scorrono e si agitano profondi nelle correnti. Dove, dinanzi alla solennità dei flutti, verità ed intimità, protette tra le braccia della scogliera, si mescolano nel forte profumo dell’aria in modo violento e cristallino, in una visione folle che sopravvivrà fino all’alba.
Visione che allora, col primo raggio del nuovo giorno, si tingerà di saggezza.

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Capitolo 3
*** Le Catacombe della Città ***


La Città dell’Immaginazione nasconde un segreto che pochi conoscono. O forse, più che segreto sarebbe corretto chiamarla area riservata. Una fitta rete di canali, scale, passaggi, vie e stanze si snoda infatti sotto la superficie della città; nessuno sa bene quanto a fondo vada, o quanto vasta sia.

Le chiamano le Catacombe.

Si dice siano gli strati antichi della città che sprofondando durante i millenni hanno dato origine a quest’ambiente sotterraneo. Sono un luogo di cui molti cittadini ignorano l’esistenza, di cui pochi conoscono l’accesso, ma quelli che ne hanno bisogno sanno perfettamente come arrivarci. Questi cunicoli occulti, queste stanze, sono dei veri e propri laboratori: impregnati di magia e storie fin nelle fondamenta, sono ottimi rifugi segreti e discreti dove gli abitanti possono esercitare e sperimentare le loro abilità, per creare mondi e storie: progetti che una volta divenuti realtà e completi, potranno tramutarsi nelle opere che poi andranno nelle biblioteche della città, arricchendo e rinnovando il suo stesso tessuto.
È qui che tutto si produce, o comunque gran parte. Come un cuore pulsante e silenzioso che enorme e nascosto dà nuova vita alla città. La riservatezza a riguardo è garantita dagli stessi utilizzatori; ognuno ha infatti una propria stanza, spesso con un’entrata segreta, per cui ognuno conosce solo il proprio percorso. I veterani qualcosa sanno ma per rispetto non ne parlano, mentre i più giovani in genere non si rendono nemmeno conto del contesto in cui si trovano.
Non c’è né giorno né notte in quel luogo, solo silenzio, concentrazione e lavoro incessante; ognuno viene e va in base ai propri ritmi, alle proprie necessità.

Io venni a conoscenza di questo segreto per caso. Mi stavo incuneando per le calli di Venezia diretto verso la stazione; avevo appena finito lezione e con la testa divagavo per i pensieri più strani, quando all’improvviso girato l’angolo mi ritrovai di fronte ad un muro. Credevo di aver sbagliato strada sovrappensiero. Mi voltai ma di fronte a me non c’era più Venezia: ero in un piccolo vicolo ricco di edifici strani, ognuno diverso dall’altro. Lo percorsi fino in fondo. Respiravo un’aria fresca che sapeva di libertà e di vita. Sbucai sulla via principale: gente e personaggi di ogni genere la percorrevano con vivacità.

Io rimasi immobile, incantato, col viso immerso nella luce del sole caldo e brillante che calava nel mare lontano, al termine della strada.
Tutto si fermò per un attimo: il senso di familiarità e di felicità, la bellezza di quel panorama, l’atmosfera inconfondibile: ero di nuovo nella Città dell’Immaginazione. Tutte le preoccupazioni, le ansie per lo studio, la frenesia, sparirono finendo in qualche luogo molto lontano da me, mentre mi pervadeva un senso di pace e allegria. In qualche modo, per quanto inspiegabile, ci ero entrato ancora.

Poi di colpo tornai in me e mi resi conto che non potevo stare lì: era ormai il tramonto, e soltanto i cittadini avevano il diritto di permanere entro le mura dopo quel momento. Decisi di nascondermi: non capivo, ma ancora una volta non me ne sarei andato prima di aver scoperto il motivo del mio arrivo, o per lo meno non prima di aver approfittato un po’ di quell’occasione.

Tornai in mezzo ai vari vicoli mentre il mare in lontananza abbracciava gli ultimi raggi di sole, e dopo aver vagabondato un po’ decisi di entrare in una taverna, e di ordinare qualcosa da mangiare, senza pensare a come avrei potuto pagare.
Fantastico. Si percepiva nell’aria una calda ospitalità, la convivialità dei clienti che consumavano i loro pasti tra brindisi e risate, persino la luce diffusa dalle lampade pareva dare il benvenuto.

Avevo appena cominciato a mangiare rincuorato quando entrarono un paio di omaccioni enormi sussurrando che c’erano degli intrusi nella città, e che bisognava trovarli ed eliminarli.

Ecco, fine del divertimento’ pensai, capendo che dovevo andarmene alla svelta e realizzando che non sarei potuto uscire dalla porta principale a causa delle due guardie. Il brusio cominciava ad aumentare, così mi alzai e con tutta la naturalezza possibile mi diressi verso il retro del locale: sarei uscito dalle finestre del bagno.
‘Addio ospitalità e tutto il resto’, pensai con malinconia. Allarmato aprii la porta e guardandomi le spalle la richiusi.

Buio. Arretrai barcollando e finii addosso a delle lunghe aste di legno. Porco cane. Il ripostiglio delle scope. E adesso? Cominciava a crescere la tensione quando vidi uno spiraglio di luce tremolante alla mia sinistra. Tirai un sospiro di sollievo, forse non mi ero sbagliato del tutto. Mi diressi verso la luce inciampando su un secchio e finii contro un piccolo portoncino sghembo con una grossa chiave arrugginita inserita. Senza pensarci due volte armeggiai con energia per riuscire ad aprirlo, mentre alle mie spalle giungeva attutito il vociare della gente. La serratura finalmente scattò: il passaggio dava su una scalinata in pietra che scendeva ripida. Non sembravano i bagni, ma non avevo scelta. Richiusi la porta alle mie spalle e cominciai a scendere.

Sbucai in un lungo corridoio sotterraneo. I muri erano composti da grossi blocchi di pietra grigi, con delle torce appese per illuminare il percorso. Lungo le fughe scorrevano rivoli luccicanti che sembravano stillare dalla roccia stessa per poi sparire nel pavimento. L’aria che si respirava era densa e umida, caratteristica degli ambienti sotterranei; un soffio di vento proveniente da chissà dove, un gocciolio lontano. Ad intervalli regolari su entrambe le pareti c’erano dei portoni, chiusi, antichi. Eppure l’atmosfera era carica, come se fosse tutt’altro che un luogo abbandonato, come se stesse per accadere qualcosa.

Benvenuto nelle Catacombe”, mi sentii dire dal mio fianco.

Era la vecchia signora che già avevo incontrato le volte scorse. Preso dall’ambiente non mi ero nemmeno accorto del suo arrivo.

Prendi, questa è per te, aprila una volta fuori” mi disse consegnandomi una pergamena. Preso dall’ambiente non mi ero nemmeno accorto del suo arrivo. Ma da dove era arrivata? E se lei era lì voleva dire che altri stavano per arrivare? Che mi sarebbe successo?

Non preoccuparti ora, camminiamo un po’” disse, come leggendo le preoccupazioni sul mio volto.

Venni così a sapere cos’era quel luogo in cui ci trovavamo, la sua storia, la sua importanza. Noi per la precisione eravamo sul livello più superficiale. Volendo si poteva scendere, nessuno sapeva per quanto.

Decise di farmi vedere come funzionavano le stanze, e così, aperta una porta, mi fece entrare.

Fu incredibile. Davanti a me non c’era una piccola sala come mi aspettavo. Eravamo nel bel mezzo di un bosco fittissimo: le cime degli alberi si perdevano alte nel cielo, un tappeto di aghi di pino stava sotto i nostri piedi, in lontananza si scorgevano delle montagne, da cui provenne un lungo fischio, come un richiamo.

Ecco, ci siamo appena introdotti di nascosto in una storia durante la sua creazione” mi disse la vecchia con un sorriso bonario.

Ero completamente affascinato.
Camminammo tra gli alberi e qua e là cominciammo a vedere sparse a terra spade, frecce e scudi.

Chissà che stava succedendo.
Mi disse che all’inizio l’autore si trova in una camera vuota come qualunque altra; poi immaginando i suoi pensieri prendono forma, e mano a mano che ci riflette e crea, il suo mondo si arricchisce, fino a diventare indefinitamente vasto. Una volta conclusa la storia tutto resta impresso in un libro e la camera si svuota.
Chiunque se ha abbastanza fantasia può sperimentare ed elaborare finché lo desidera. Quando un cittadino o un autore ne sente il bisogno, scopre una stanza. A lui o lei sembrerà di averla creata con la fantasia, ma in realtà la stanza c’è già, semplicemente troverà il modo per raggiungerla.
O forse era destino che la trovasse.
O forse l’ha fisicamente cercata.
“Non è ancora ben chiaro quest’aspetto”. Dal bosco provenne un urlo e un rumore di zoccoli al galoppo.

Mi disse che probabilmente l’autore non si era reso conto della nostra intrusione, ma fortunatamente ci trovavamo ai margini delle terre in cui si stava svolgendo il tutto.

Appoggiò una mano su quello che sembrava solo un tronco rugoso ed improvvisamente sulla sua superficie comparve la forma di una porta. In un batter d’occhio ci lasciammo alle spalle chissà che intrighi e battaglie,e fummo di nuovo fuori, o meglio dentro il corridoio.

Continuammo a camminare scendendo scale, attraverso cunicoli e diramazioni.
Mi spiegò che inspiegabilmente i vari ambienti venivano contagiati in qualche modo dal genere della storia, e che stanze che ospitavano storie di uno stesso genere si trovavano allo stesso livello.

In effetti il contesto cambiava: i muri diventavano intonacati di bianco, il pavimento diveniva sabbioso e soffiava un vento caldo e secco, al posto delle torce c’erano lampade; salita una scalinata e aperta una botola ci trovammo in quello che sembrava un tipico corridoio d’albergo, illuminazione elettrica, un vago odore di tabacco nell’aria.

Domandai cos’erano quei rivoli che continuavamo a vedere lungo i muri.

Quelli”mi disse, “sono effettivamente prodotti dalle stesse pareti. Questo luogo è così impregnato della storia antica della città, di nuovi racconti che esplodono all’interno delle stanze e di luce, di meraviglie, di segreti, di fantasia, che alla fine i muri ne trasudano l’essenza.”

E dove va a finire tutto ciò?” domandai.

Si dice che scenda giù in profondità fino al centro, dove fu fondato il primo insediamento, nessuno sa quanti metri sotto di noi. Da lì irrora il terreno e poi risale fino ad andare a costituire le fondamenta attuali della città, fondendosi con gli edifici.”

Accidenti, e qualcuno è mai arrivato fino in fondo?” chiesi sempre più stupefatto.

In teoria è possibile” mi disse, “ma di fatto nessuno l’ha mai fatto. Più si va giù più si trovano stanze di storie complesse, elaborate. Si arriva al punto in cui non c’è nessuna stanza precisa. Realtà e finzione smettono di avere contorni definiti e si fondono insieme. Non deve essere facile né giungerci né uscirne.”

Persi in queste dissertazioni giravamo per altri corridoi, salite, discese, finché giungemmo ad una scala a pioli che terminava con una grata da cui giungeva la fredda aria notturna.

Salimmo e ci trovammo di fronte alle mura della città.

Eravamo alla fine. Degli enormi cancelli chiudevano l’entrata, e stavano evidentemente per aprirsi per la mia partenza. Era notte inoltrata ed ero già stato fortunato ad essere rimasto lì fino a quel momento.

Volgendomi non potei fare a meno di notare una donna che camminava silenziosa e sola. I fluenti capelli biondi e ricci che le ricadevano sulla spalle erano illuminati dalla luna. Elegante in un vestito blu, misteriosa, seguita da due gatti, uno bianco e uno nero. Era bellissima, e si allontanava inesorabilmente, come se non ci avesse nemmeno visti. Era la Signora dei Sogni, mi disse la vecchia, che di notte camminava per la città sola, unica protettrice e dispensatrice dei sogni degli uomini. Pochi avevano avuto la fortuna di scorgerla.

Era un ultimo privilegio che mi era stato concesso, non ne avrei avuti altri. Qualcosa mi diceva che non sarei tornato.

Sì, questa è la tua ultima volta nella città” mi disse la vecchia confermando il mio pensiero, “te ne andrai da qui: fuori da questi cancelli si stende la sterminata Foresta della Lettura. Lì potrai rimanere e tornare quanto e quando lo desideri. Potrai imparare a conoscerne i rischi e le bellezze, le fatiche ed i tesori. Dovrai imparare a sopravviverci. E se mai un giorno ti fosse concessa l’opportunità di tornare, sarà solo giungendo da lì.”

Dicendo questo sfiorò i cancelli e questi si aprirono. A malincuore oltrepassai quel limite dopo averla ringraziata.

Feci qualche passo e poi mi ricordai della pergamena che mi aveva dato. La presi dalla tasca e la aprii. Conteneva una storia, forse l’ultima che mi avrebbe mai dato. Mi voltai verso la vecchia.

Sparita.

Non c’era più nessuno nella notte.

Silenzio.

Ero solo. Solo con le imponenti mura e i cancelli.

Socchiusi.

Sorridendo me li lasciai alle spalle insieme alla città, alle sue bellezze a me interdette, inoltrandomi tra gli alberi scuri.

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Capitolo 4
*** Il Mercante ***


Il mercante, o meglio, l’uomo che era conosciuto come tale scese rapidamente le scale, arrivando al lungo corridoio sotterraneo illuminato da torce.

Non aveva particolari incombenze quel giorno, così poteva dedicarsi alla sua attività preferita: creare.

Giunse davanti ad un grosso portone di legno borchiato; inserì la pesante chiave di ferro e lo aprì, per poi richiuderlo alle sue spalle.
Si trovava in una stanza vuota, apparentemente identica al corridoio: stesse torce, stessi pesanti blocchi di pietra che costituivano le pareti. Unica particolarità: la pavimentazione era costituita da pietre ordinate in cerchi concentrici.

L’uomo si sedette esattamente in mezzo alla stanza che stava silenziosa, come in attesa di qualcosa.

Bene, pensò, sarebbe partito da zero. Chiuse gli occhi e si concentrò sull’idea che da qualche giorno gli frullava in testa. Una città antica, in mezzo al deserto, portatrice di leggende e avventure. Carovane che entrano ed escono, aromi diversi per le strette vie tra le abitazioni.

Mentre immaginava tutto ciò dai muri cominciò a cadere polvere, come se la malta si stesse sgretolando. Tra le fessure iniziò ad insinuarsi un alito di vento.

L’uomo aprì gli occhi; con la mano sfiorò il pavimento e questo si sfaldò come se fosse solo disegnato sulla sabbia, cosa che effettivamente era diventato.

Si alzò, si avvicinò al muro e spinse: il grosso blocco di pietra cadde dall’altra parte, facendo entrare uno sbuffo d’aria calda e secca. Continuò, finché riuscì ad uscire.

Fu subito colpito dall’accecante luce del sole mentre il vento implacabile polverizzò e portò via ciò che era rimasto della stanza in cui si trovava.
Era tra alcune palme, al limite di una piccola oasi.

Si sciacquò il viso gustando il gusto dell’acqua dolce e si guardò intorno. Prese il cavallo che sapeva essere legato dietro una pianta e si avviò rapidamente in mezzo alla sabbia, incontro al sole nascente.

Dopo pochi minuti giunse su un’altura, e vide ai suoi piedi una valle: il fiume scorreva enorme e pigro in mezzo alla grande città già brulicante di vita, costruita con mattoni dello stesso colore della terra che la circondava. Al centro il palazzo e il maestoso tempio, simbolo di potere e vicinanza agli dei. Fuori dalle mura c’era già una lunga fila di gente che attendeva di poter entrare, si poteva scorgere il bagliore delle armi bronzee dei soldati che rilucevano. E anche se da qui non si vedeva, il mercante sapeva già del passaggio segreto scavato dal palazzo alla collina a nord in caso di emergenza. Tutto come previsto.

Eccellente, pensò l’uomo sorridendo felice, ora non restava che mettersi in coda per entrare con gli altri. Dopodiché avrebbe scoperto cosa aveva da dirgli quella millenaria città che non sapeva di essere appena nata.

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Capitolo 5
*** La Landa della Lettura ***


La Landa della Lettura si estende appena fuori dai cancelli della Città dell’Immaginazione, e tutti dovrebbero meritare di avere l’occasione di perdercisi almeno una volta nella vita.

È una regione vastissima e misteriosa, in continua crescita e in perenne mutamento, tanto che nessun uomo può vantarsi di averla visitata tutta nel corso di una sola esistenza.

Per la maggior parte si presenta come una fitta foresta. È un luogo pieno di vita ed energia, che a seconda della zona può apparire più o meno selvaggio e impenetrabile, popolato da antichi alberi millenari o da un fitto e giovane sottobosco; si può passare dalla giungla tropicale ad una distesa di abeti e pini.

In un contesto tanto irregolare è facile smarrirsi, trovando sfide che vanno oltre le proprie capacità e che possono scoraggiare. Immerso nel verde, il viaggiatore viene portato e trascinato da una parte all’altra da venti diversi, che sussurrano promesse di speranza o urlano versi di sventura, tormentano con la fragranza dell’amore e della passione, confondono con pensieri e parole di grandi uomini, intrigano e catturano con storie e racconti più o meno reali o verosimili.

Una volta dentro la selva, il lettore può e rischia di ritrovare o abbandonare se stesso; soltanto dopo un lungo vagabondare può giungere a destreggiarsi nell’ambiente, ad adattarsi per sopravvivere.

Proseguendo il terreno comincia ad elevarsi finché si giunge ai piedi di un’alta e brulla catena montuosa.

Qui, dove le parole incontrano mal volentieri la sistematicità e la razionalità umane, si estendono le Gallerie della Manualistica scolastica.

Affondano le proprie radici nella solida roccia, eppure appaiono sempre ostili e disabitate. Spesso cercano di riprodurre e riportare alla luce ruderi grigi di civiltà ed epoche scomparse, e in ogni caso provano a disciplinare colui che vi si avventura. Per quanto l’intento del loro creatore sia nobile, questi oscuri cunicoli restano privi della luce e dell’aria fresca della spontaneità.

Se con ferrea pazienza e determinazione si riesce a sbucare dall’altra parte del crinale, scendendo la blanda vegetazione si dirada nello sterminato e sabbioso Deserto dell’Erudizione accademica. Le dune si susseguono una dopo l’altra fino al limite dello sguardo e anche oltre, dove i granelli di sabbia e il vento si confondono con il tempo. Il sole picchia implacabile e sempre più rare sono le oasi che possono dissetare il viandante, mentre numerosi sono i miraggi che conducono alla follia.

Questa è forse la zona più complessa ed enigmatica, nonché la più solitaria.

Se si ha la fortuna di giungere ai suoi confini ci si trova di fronte all’enorme mare, che spalancandosi nell’oceano infinito arriva fino alla spiaggia opposta, quella della dura e fredda realtà.

I confini tra le diverse zone non sono mai così netti, si dice che ci siano spazi in cui deserto e foresta confluiscono spontaneamente, scogliere che fanno sprofondare direttamente in mare.

Per quanto riguarda le persone che si possono incontrare durante il viaggio, ce ne sono di tutti i generi.

Personalmente, una volta esiliato dalla Città, ho cominciato le mie peregrinazioni in lungo e in largo. Posso testimoniare: gente smarrita nella foresta, guide che si ostinano ad abitare ed edificare le gallerie in modo insano, spesso ingannando i visitatori.

Alcuni attraversando il Deserto hanno perso la ragione ed hanno deciso di viverci, ritenendolo l’unico luogo degno della propria grandezza: sono figure asciutte e secche, spesso sole, che si ostinano a contare i granelli sotto il sole, mettendo poi in mostra le loro conoscenze di fronte ai viaggiatori assetati. I saggi che consigliano il cammino e sanno indicare la strada per le oasi sono davvero pochi.

Colpito ed inquietato da questo fatto, intimorito dalle difficoltà, ho ritardato a lungo il mio viaggio nel Deserto, limitandomi ad avanzare timidamente di quando in quando, rifugiandomi subito alla prima oasi non appena la sete si faceva sentire.

Tanti, una volta giunti alla fine sulla spiaggia provati dalle fatiche, dal sole e dal cammino partono nel mare senza voltarsi indietro, scordando la Foresta e perfino la strada per arrivarci.

Nonostante tutto questo, nelle notti di luna piena, quando l’aria è fresca, o all’alba quando spira la brezza della speranza, si possono scorgere scure figure che si spostano rapide.

Sono esperti viaggiatori dallo sguardo profondo, avvezzi a tutte le difficoltà, che girano la Landa della Lettura a proprio piacimento, padroni della propria mente e della propria libertà.

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Capitolo 6
*** Il Porto d'Estate ***


Splende un sole perenne nel lontanissimo Porto d’Estate, una luce calda e vitale che si staglia nel cielo azzurro e cristallino. Una nave, una delle rare che giungevano da oltre l’Oceano stava ora attraccata al molo: prima e unica tappa intermedia prima di ripartire il giorno successivo alla volta della Baia della Città dell’Immaginazione.

D’altra parte nessuno in genere giungeva lì per restare: pochissimi fortunati arrivavano via terra, qualcuno dal mare, ma in genere se passavi per il Porto d’Estate significava che la tua meta era un’altra, o che ti eri spinto troppo lontano e potevi tornare indietro. I pochissimi autoctoni erano cordiali, dal cuore sempre aperto: accogliere chi viene, lasciare andare chi se ne va.

La ragazzina dai capelli scuri, che era sulla nave, girovagava per le strade deserte e silenziose nel primo pomeriggio. La danza del vento fresco mescolava circonvoluzioni di profumi provenienti dalle abitazioni con il sentore penetrante dei pini marittimi e lei continuando a camminare giunse infine sulla spiaggia, lontano dal molo.

Scorse sulla riva una piccola locanda coperta da palme: lì nell’ombra gruppi delle più varie persone stavano a sorseggiare da recipienti colorati di varie forme.

Incuriosita si avvicinò, e mentre i più la ignoravano, venne notata subito da un uomo che sedeva in disparte con una donna in un angolo, quello più esterno del porticato.

Buongiorno ragazzina”, la apostrofò lui con un sorriso gentile, “che ci fai da queste parti?”.

A ben guardarlo l’interpellata si accorse che era il più strano di tutti. Non riusciva a capire di dove fosse: portava al collo una kefiah come gli abitanti del deserto, aveva una camicia chiara e stivali da marinaio, eppure i pantaloni stretti e pratici erano color bosco e sulla sedia stava un grosso mantello, come se avesse viaggiato per le montagne.

Portava qualche anello e al braccio un fazzoletto colorato, il volto era abbronzato e gli occhi scuri, attenti e vigili nascondevano molto più della serenità che ora lasciavano trasparire.

La donna al suo fianco era invece decisamente più vecchia, anche se i suoi lineamenti suggerivano che in passato doveva essere stata molto bella. Quelli che colpivano erano però i suoi occhi: verde scuro, profondi ed estremamente svegli, dovevano averne viste parecchie.

Già che aveva interrotto la conversazione la ragazzina rispose: “Abbiamo fatto una sosta con la nave prima di ripartire per la Città dell’Immaginazione, così passeggiavo e sono arrivata qui”.

Dimmi”, riprese l’uomo “ti piace qui?”.

Sì, mi piace” rispose lei dopo averci pensato un po’ “anche se è un posto strano. Dicono che non si ferma mai nessuno, e che ci sono soltanto viaggiatori come voi. Tu per esempio da dove vieni?”

L’uomo e la donna si guardarono per una frazione di secondo, poi lui disse sorridendo sotto i baffi “vuoi conoscere la mia storia?”.

Sì, per favore!” Disse lei con gli occhi brillanti di curiosità.

Lui prese un bicchiere e ci versò dentro una bevanda fumante, poi glielo porse. Era caldo e aveva un gusto forte, ma dissetante. “Toh, beviti un po’ di questo mentre ti racconto”.

Il mare cantava, il profumo del salso che sapeva di complicità si mescolava frizzante all’aroma della sabbia calda bruciata dal sole. Gli occhi fissi sull’orizzonte, l’uomo cominciò a raccontare.

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Capitolo 7
*** Il Palazzo della Città ***


Nella zona nord-occidentale della Città si trova il Palazzo.

Detto da alcuni Palazzo Comunale, da altri semplicemente il Castello, conosciuto altrove addirittura come la Fortezza, è un luogo misterioso, sconosciuto alla maggior parte degli stessi cittadini. La sua stessa ubicazione non è del tutto chiara. Certi giorni pare a ridosso degli edifici del centro città, altre volte, spiccando oltre il Parco, sembra quasi un vecchio edificio relegato ai confini, assediato dalla vegetazione. Anche le sue dimensioni effettive non sono conosciute. Camminando per le vie e giungendo alla piazza antistante si può vedere la scalinata che conduce al portone d’ingresso che è come una bocca aperta nelle possenti pareti. Grossi blocchi di pietra emergono dal terreno, accatastati con metodo uno sull’altro, dando forma a geometrie e ambienti. Vaste porzioni dei muri sono tenute insieme da lunghi catenacci d’acciaio, così tesi da essere incastonati nella roccia stessa. Le finestre appaiono irregolarmente, come se l’edificio fosse stato rimaneggiato in epoche successive.

In alto spicca la Torre di Osservazione, dal cui pinnacolo che si eleva spesso oltre le nubi si può osservare il Cielo. Dalle torri più alte, attraverso il corpo centrale, il Palazzo si radica in profondità nel terreno con i suoi sotterranei, fino ad intrecciarsi con le Catacombe. Un rombo sordo, come una pulsazione bassa e costante emana sempre dalla sua struttura. Si sa soltanto che all’interno ci sono gli organi dirigenziali della Città, parte del suo cuore pulsante, ma in che cosa ciò consista di preciso pochi lo sanno, perché pochissimi sono entrati. Anzi, in effetti non ci entra mai nessuno.

La verità è che all’interno si trovano quelli che Immaginano Duro, detti anche i Sognatori.

Sono rari, e molto instabili, e spesso neanche si accorgono di dove si trovano. L’atmosfera è di determinazione e concentrazione assolute. Ognuno ha un proprio ambiente all’interno del Palazzo, e ciascuno scrive su un libretto caratteristico, che in qualche modo li rappresenta. Possono consultare altri testi, muoversi intorno, ma alla fine scrivono lì. Che cosa? Ricerche, storie, scoperte?

No, scrivono loro stessi, la propria vita. Scolpiscono il proprio essere, nelle più diverse maniere. Parola dopo parola si costruiscono, aggiungono tassello su tassello mano a mano che il loro lavoro procede.

È un atto creativo potentissimo, estremo, che rimbomba e scuote la trama della realtà ad ogni lettera annotata. Ecco da dove quel rombo che si percepisce dall’esterno.

I Sognatori. Sono quella cerchia ristretta di persone che hanno visto in faccia i propri limiti e le proprie paure, e nonostante questo non sono stati presi dal nichilismo, non si sono lasciati andare alla deriva, ma hanno colto la loro essenza, hanno abbracciato i loro sogni e hanno deciso di proteggerli e portarli a compimento. Non evadono, ma sono profondamente presenti, e lavorano costantemente, persistono nel loro proposito con animo limpido. Fluiscono come un torrente attraverso la vita, per giungere inevitabilmente al mare. Si mettono in gioco al 100%, coscienti di cosa rischiano. Il loro contributo è talmente determinante da condizionare gli altri, e la struttura stessa della Città. Non prendono decisioni esplicite, ma le loro azioni quotidiane guidano lo scorrere degli eventi.

Le stanze in cui lavorano sono instabili: è come essere in bilico, come i funamboli, ed è un attimo essere trascinati via.

C’è chi studiando alacremente si fa assorbire dall’obbiettivo e risucchiato dal vento rovente si trova disperso nel Deserto Accademico; chi preso alla sprovvista cade e si ritrova bloccato nella routine quotidiana del mondo reale; altri col tempo lentamente sprofondano, il loro contributo diminuisce. A quel punto c’è chi sparisce, chi si ritira nelle Catacombe, chi divenuto un riferimento per altri si tramuta in una pietra fondante del Palazzo stesso. Vero è anche che è difficile uscirne, e di solito le anime coraggiose e nobili che sperimentano tale luogo spesso trovano una via attraverso le asperità per tornarci.

Io ho avuto la fortuna di intravedere le stanze. In un paio di occasioni, e soltanto ultimamente, mi sono trovato a lavorare a prescindere da orari e scadenze, in un’unione rara tra passione e dovere. Dal mio tavolo, alzando lo sguardo, mi sono sentito per un momento parte di questi eroi temerari. Ho percepito l’aria di concentrazione e determinazione che devono respirare loro; ho visto di fianco a me una figura dai lunghi capelli neri mossi dal vento del deserto, gli occhi azzurri concentrati sul suo quaderno. Una vista fugace, e un leggero senso di comprensione. Ma quando cerco di fissare lo sguardo sulle pagine che io tengo in mano, la vista si annebbia; intravedo soltanto, senza riuscire a mettere a fuoco. E un attimo dopo sono fuori, distratto dal mondo che mi circonda.

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Capitolo 8
*** Il Cielo della Città ***


Il Cielo della Città

Sopra la Città si estende il Cielo del Tempo.

Vasto, insondabile ed eterno circonda tutto in un abbraccio ineluttabile.

Puro nella sua semplicità, assiste brillante all’affaccendarsi giornaliero dei cittadini, e di notte ne veglia il riposo, le fantasie, i segreti. È attraverso di lui che scorrono il sole, la luna, gli astri; i suoi moti provocano calore, freddo, pioggia, arsura. È il fratello del mare e della terra, con cui si congiunge all’orizzonte. È il testimone impassibile delle creazioni umane, ne scandisce silenziosamente l’avvenire. Si estende oltre qualunque confine, e tocca tutti i mondi circostanti.

Per poterlo ammirare meglio, nella Città c’è un luogo in particolare in cui si può andare: il palazzo a settentrione, che si trova nella parte destra della città, se dalla via principale si è rivolti verso la baia.


Mi sono reso conto della bellezza del Cielo solo poco tempo fa, quando mi ci sono trovato in mezzo. Coinvolto nelle mie faccende, concentrato, ho spinto lo sguardo un po’ troppo in là e ho cominciato a precipitare. Costellazioni scorrevano, scintille di luce frizzavano nella densa oscurità animando la mia discesa vertiginosa.

Una trapunta grigia sotto di me. Una volta attraversata quella, la piazza della città si è aperta ai miei occhi, ingrandendosi rapidamente. Ero in caduta libera, esattamente come le mie emozioni: sorpresa, eccitazione, stranamente nessuna paura.

Qualcosa mi ha fermato a pochi centimetri dal suolo. Nel momento in cui ho appoggiato mani e ginocchia sui ciottoli della piazza, un tuono ha scosso la Città dell’Immaginazione, annunciando l’arrivo della pioggia. Ho alzato la testa incredulo, mentre le gocce fredde mi scorrevano sul viso, assicurandomi che non stavo sognando.

Di fronte a me c’erano tre distinti signori, alti, con eleganti cappelli a punta in testa. Uno era interamente abbigliato di giallo, il secondo di rosso, quello al centro di blu. Alle loro spalle iniziava a fermarsi qualche curioso.

Ho realizzato che li conoscevo molto bene. Tutti li conoscevano.

Erano i Tre Maggiori, la massima autorità della Città.


Rispetto alle volte precedenti l’atmosfera era particolarmente nitida. Loro mi guardavano lentamente, sembravano incuranti della pioggia. Provavo un senso di soggezione, ma prima di tutto ero perplesso e lusingato dal fatto che fossero lì per me. Mi domandavo cosa avessi combinato di così grave da meritare la loro attenzione.

Ahahah! Che atterraggio! Allora, cosa ci fai qui?”

La risata cristallina di quello in blu aveva spezzato il silenzio, la domanda mi aveva lasciato sorpreso. Era tutto fuorché una situazione usuale. D’altra parte se ne stava lì, con gli altri due alle spalle, ad aspettare in silenzio una mia risposta. L’ho fissato negli occhi, ma il suo sguardo era limpido, e l’attesa era sincera. Che le mie precedenti incursioni fossero state tutte scoperte? O che avessi combinato qualcosa di ancora peggiore, così grosso che nemmeno loro ne erano ancora al corrente?

Pensavo me l’avreste detto voi, dato che siete tutti qui. Mi dispiace se ho causato qualche problema” ho risposto alla fine, forse un po’ imprudentemente.

I tre si sono scambiati un’occhiata, mentre il resto degli astanti assisteva. Quello blu ha fatto un cenno di assenso.

Molto bene. Riproviamo con una domanda più semplice allora. Perché, secondo te, non dovresti essere qui?”.

Questa la sapevo, anche se l’ammissione di colpa era un po’ imbarazzante. Ma non sembrava esserci malizia sul volto del Maggiore. D’altra parte, era giusto affrontare l’argomento. Era giunto il momento.

Non dovrei essere qui perché sono stato esiliato, dato che non ero degno di...”.

Ma non mi hanno lasciato finire la frase:

Ah sì, certo. Ma…ricordi come è avvenuto di preciso il tuo esilio?” mi ha chiesto.

Mi sono ritrovato qui dopo molto tempo, e sapevo che non avevo il diritto di starci. È stato… non ricordo. Ora che ci penso, non ricordo nemmeno più esattamente cosa fosse successo”. Cominciavo ad essere davvero perplesso. Aveva smesso di piovere.

Ahahah! C’è un po’ di confusione a quanto pare… sarà stato il volo. Ad ogni modo, a quanto pare non ricordi quando o se l’esilio sia stato decretato. E se l’evento scatenante non sussiste, suppongo siamo finalmente qui presenti, di fronte a tutti, per darti il benvenuto. O il bentornato”.


Com’era possibile. Non ci volevo credere. “Un momento per favore. Io sono fuggito per anni, e quando mi ritrovavo qui sapevo di essere fuori luogo, sentivo chiaramente di non essere il benvenuto. Cos’è cambiato ora?”.

Il rosso ha incrociato le braccia, mentre il giallo si è avvicinato al blu sussurrandogli qualcosa all’orecchio. “Certo”, ha detto quello. Poi si è rivolto a me.

Uhm, manchi un po’ di immaginazione per essere un avventore ed un estimatore della Città. Ma per amore dei lettori, a costo di risultare pleonastico, ecco come funziona la questione” ha cominciato a spiegare con voce ferma e paziente.

Qui è letteralmente possibile qualsiasi cosa, per chiunque vi si trovi, condizione che comporta conseguenze e garanzie. È come uno spazio virtuale sconfinato ed illimitato, in cui i cittadini possono incontrarsi, interagire, mantenendo allo stesso tempo la propria autonomia. La distinzione tra il singolo e l’insieme permane, ma allo stesso tempo sfuma... Facciamo un esempio, una situazione estrema. Se un individuo immaginasse di distruggere tutto, ciò sarebbe del tutto reale nella sua mente, ma d’altra parte, in quanto fantasia, sarebbe anche soltanto un tassello che si aggiunge alla Città”.

Non esiste una reale possibilità di danneggiare la Città o i suoi abitanti – ha continuato - quella resta una caratteristica del mondo materiale là fuori. Qualsiasi partecipazione, in quanto atto creativo, contribuisce in modo neutro a edificare la città, a prescindere da bene e male”. Momento di silenzio.


Avevo intuito qualcosa di importante, che cercava solo una conferma esplicita. Incrociando lo sguardo del Maggiore giallo ho colto un lampo di intesa e un cenno di assenso.


Il blu ha continuato: “Come hai capito, tutto questo è possibile grazie alla profonda connessione tra la Città e il cittadino, totalizzante, che coinvolge tutte le dimensioni, razionale, emotiva, spirituale. E non potrebbe essere altrimenti. Di conseguenza, anche i criteri per essere ammessi o esiliati dalla Città vengono definiti dalla coscienza e dal subconscio di ognuno. Se vogliamo è il miglior sistema di sicurezza, sebbene di fatto non ce ne sia davvero nemmeno bisogno”.

Ecco. l’avevo pensato, ma non mi pareva vero, o possibile. Forse era troppo facile così. Però non faceva una piega, ed era effettivamente verosimile. Conoscendomi, che mi fossi cacciato da solo in tutto questo macello era più che probabile . Non sapevo nemmeno bene come sentirmi, se sollevato o indispettito, o addirittura deluso.


Esatto, quindi noi non ti abbiamo mai formalmente e definitivamente esiliato. Tu hai deciso di andartene. A quanto pare non ti conosci ancora così a fondo. In ogni caso è un piacere per noi che tu abbia scelto, o ti sia permesso, di tornare ad abitare qui. Sentiti libero di andare e venire quando vuoi. Puoi anche usare l’ingresso principale d’ora in avanti, se ti fa piacere”.

A quelle parole ho deciso di lasciar perdere i dubbi per una volta. Per un attimo mi sono fermato e ho apprezzato il momento di pace in cui mi trovavo.

Il cielo sopra di me era limpido ora, e le stelle lo trafiggevano, minuscole, chiare quanto incantevoli. L’aria era fredda, frizzante, e tutto intorno a me sembrava precipitata una penombra blu come il mantello del Maggiore.


Le sue parole mi risuonavano in testa, quando un nuovo dubbio mi ha fulminato: “Ma allora, tutto questo è reale?”.

Ahahah!” ha riso lui, i colleghi lo guardavano divertiti.

Molto bene, questa domanda merita un’altra bella chiacchierata! Magari un giorno al Palazzo. Cittadino, bentornato!”.

Ho seguito il suo cenno che mi invitava a guardarmi alle spalle.

Le luci della strada si erano accese, e intorno a me numerosi volti mi fissavano, ognuno con un’espressione diversa.

Vite, storie, abissi, enigmi.

Finalmente avrei potuto conoscerli serenamente, senza sentirmi di troppo, senza fuggire. Quando mi sono voltato i Tre Maggiori non c’erano già più.

La notte era scesa ancora una volta sulla Città. Silenziosa, con nuove promesse, nuove prospettive, mentre io mi incamminavo lentamente.

Un passo dopo l’altro, avanzavo con una nuova consapevolezza.

E mi sentivo a casa.

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