Wrecked

di Ortensia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Durante il temporale ***
Capitolo 2: *** 1. Diventare grandi ***
Capitolo 3: *** 2. Duecentosedici ***



Capitolo 1
*** 0. Durante il temporale ***


Wrecked





0.

Durante il temporale





Musutafu, Giappone
28 luglio 2315



Akemi è seduta sul sedile posteriore dell’auto di servizio di Endeavor e non vede nulla oltre alla pioggia grigia che continua a colare lungo il finestrino.
Le manca l’aria. È l’unica cosa che riesce a pensare da quando hanno ricevuto quella telefonata. All’aria che non c’è e alla sua piccola Hanami.
Il silenzio di Endeavor non l’aiuta, piuttosto lascia presagire qualcosa di terribile, un presentimento che la fa lentamente a pezzi.
Akemi ha vent’anni e opera attivamente per l’agenzia del secondo in classifica da quando ne ha compiuti diciotto, eppure le tremano le gambe. Le trema tutto il corpo e vorrebbe soltanto piangere come una bambina mentre l’auto si accosta di fronte alla casa di Akishiro Tomomi.


Il volto sconvolto del primo poliziotto che incrociano sul vialetto del cortile è fin troppo eloquente.
«Abbiamo già provveduto a isolare la zona» annuncia un altro agente che li raggiunge.
Akemi si ingarbuglia nei suoi stessi passi quando vede il nastro giallo e nero di fronte alla porta spalancata della casa.
«Si tratta di Tomomi» mormora a fior di labbra. Poi guarda il secondo poliziotto dritto negli occhi: «È Tomomi, vero?»
«Akabara» Endeavor la chiama mentre supera i poliziotti, avanzando con passo deciso verso l’entrata: lui non ha bisogno di alcuna risposta, è pronto a tutto e così deve essere anche per la sua assistente.
«Ce la fai?» le chiede.
Akemi non se lo fa ripetere due volte.
Respira, deglutisce e lo raggiunge, i capelli rossi grondanti di pioggia, la tuta appiccicata al corpo come una seconda pelle.


Endeavor è il primo a varcare la soglia e Akemi gli è grata di questa premura, anche se sa che non servirà a proteggerla, che niente sarà mai abbastanza per impedirle di avere incubi per i prossimi dieci anni.
«I vicini hanno sentito un grande frastuono e poi delle urla» spiega una poliziotta dalla pelle azzurra non appena li vede entrare in salotto.
Akemi viene accecata dal flash di una macchina fotografica: la scientifica è all’opera e hanno già provveduto a sistemare diversi cartellini numerati attorno al corpo riverso sul tappeto damascato.
«La porta era aperta quando siamo arrivati e non ci sono segni di effrazione» continua la poliziotta.
«Perché mi dice questo?» Endeavor la incalza con un ringhio a denti stretti. «Davvero pensa che un ladro avrebbe potuto fare questo a lei
Nel frattempo Akemi fatica a non vomitare nel vedere il corpo esanime dell’amica.
C’è una quantità di sangue spropositata, tanto che neppure le fibre del tappeto sono riuscite ad assorbirlo tutto e una parte è finita sul pavimento, raggrumato in una grossa chiazza dai bordi irregolari. C’è un cartellino giallo tra i fiori afflosciati e i frammenti di un vaso di vetro, un altro accanto al polso violaceo di Tomomi e ancora uno davanti al suo viso, gli occhi vitrei spalancati e la gola tagliata di netto.
«Mi scusi, ha ragione» ammette la poliziotta.
«Il marito?» la incalza ancora una volta Endeavor.
«Non si trova.»
Per Endeavor la risposta è sufficiente a fargli perdere completamente interesse nei confronti della poliziotta. Si rivolge quindi ad Akemi, pietrificata accanto a lui.
«Akabara, se non ce la fai…» mormora. Per oggi può permettersi di essere più clemente, dopotutto si tratta di un’amica di Akemi e lui stesso fatica alla vista di una giovane promessa assassinata brutalmente.
«C’è altro» li interrompe la poliziotta.
Akemi si morde la lingua e ingoia l’intenzione di andarsene, rivolgendo la sua completa attenzione all’agente dalla pelle azzurra.
«Vedete qui?» con il dito, la poliziotta traccia una linea poco più in là del polso violaceo del cadavere.
Endeavor coglie un leggero bagliore sul pavimento, qualcosa che Akemi riesce a scorgere appena qualche istante più tardi, quando avanza di un paio di passi e si ritrova controluce: cristalli. Rassomigliano alla brina che nelle mattine più fredde si può trovare sui contorni delle foglie del giardino e seguono una linea imprecisa sul pavimento.
La poliziotta dalla pelle azzurra intima loro di fare attenzione e di passare fra il tappeto e la finestra, poi torna a mostrargli con il dito la lunga linea di cristalli che ora paiono leggermente più grandi e meglio definiti.
Akemi si ferma appena intuisce che l’agente li sta conducendo vicino all’arco che collega il salotto con la cucina: non riesce ad avanzare oltre, non fino alla culla di legno dipinto di bianco da cui non proviene altro che un lugubre silenzio.
Lei e Tomomi si sono scambiate alcune foto delle figlie ieri, perciò non può farcela. Chiede scusa e si dirige a passo rapido fuori dalla casa, nel cortile battuto dalla pioggia.
Vuole soltanto andare a casa e abbracciare Hanami, tenerla stretta tutto il giorno e dirle che è al sicuro.


«I nonni materni arriveranno fra poco meno di un’ora» annuncia l’agente una volta giunta accanto alla culla.
Endeavor nota immediatamente una delle sbarre di legno spezzata a metà e si prepara al peggio quando sporge la testa per controllare all’interno del lettino.
«Ha tentato di fare del male anche a lei,» dice la poliziotta «ma sua madre l’ha protetta fino alla fine.»
L’agente continua a parlare ma Endeavor non la ascolta più. Allunga le braccia e afferra il blocco di cristallo all’interno della culla: è leggero e scricchiola come ghiaccio a contatto con le sue fiamme.
«Endeavor, dovrebbe aspettare che… umh–» la poliziotta si ingarbuglia nelle sue stesse parole quando viene intercettata dallo sguardo glaciale dell’uomo e decide di lasciar perdere. Una volta perfino il suo superiore le ha detto che è inutile tentare di avere a che fare con un arrogante come lui e a pensarci bene non ha intenzione di rendere la sua mattinata più avvilente di così.


Endeavor si ferma all’ingresso e guarda al di là della porta aperta, trovandovi un muro di pioggia scrosciante.
Per un momento, mentre stringe fra le braccia il blocco di cristallo, ha l’impressione che questo temporale estivo non cesserà mai.
Il cristallo scricchiola di nuovo e Endeavor abbassa lo sguardo sulla neonata imprigionata al suo interno: Crystal Clear ha creato uno scudo abbastanza resistente da riuscire a proteggerla fino all’arrivo dei primi soccorsi, ma adesso è fragile come vetro soffiato. Forse è così perché la volontà da cui è stato generato sta lentamente scomparendo insieme alla sua artefice.
Il cristallo scricchiola e stride e una crepa si apre la strada lungo le sue sfaccettature. In pochi istanti il pavimento attorno ai piedi di Endeavor viene ricoperto di infinitesimali frammenti luminosi.
La bambina è pallida e rigida come marmo fra le sue braccia, ma il tepore delle fiamme è provvidenziale.
Un lieve rossore si dipinge sulle guance paffute della neonata e prima ancora che nel suo petto si sollevi l’ombra di un respiro scalcia l’aria con entrambi i piedini.
E poi comincia a piangere. Piange così forte che tutti la sentono e, come per il temporale estivo, Endeavor ha l’impressione che le sue lacrime non si fermeranno mai.




Angolo autrice:
Buongiorno sezione di My Hero Academia! Non scrivo su questo fandom da un po', ma questa storia... oh, questa storia ha già almeno tre anni ma fino a ora è stata quasi tutta solo nella mia testa (forse avrebbe fatto meglio a rimanerci??)
Dunque, passiamo subito alle cose concrete:
Questa è una future, per cui sarà incentrata prettamente sui miei OC ma ci saranno anche i personaggi della serie originale, che però sono ormai adulti. Per farvi un esempio Midoriya avrà 30 anni. E ovviamente – essendo il manga non ancora concluso – le scelte sul destino dei personaggi canonici saranno deliberatamente personali.
Ho indicato nelle coppie sia het che shonen e shoujo-ai perché sicuramente saranno presenti: TodoDeku, MomoJirou, IidaChako, TamaKiri e BakuKage, ma saranno più che altro accenni (accenni con figli per le coppie het, ma non ho messo l'avvertimento kidfic perché i figli dei personaggi canonici saranno abbastanza marginali). Per quanto riguarda gli OC per ora non ho in previsione coppie perché vorrei fosse un'opera simile al manga (ecco perché ho messo lo stesso genere + drammatico), quindi al massimo ci saranno delle hint e non mancheranno i feels, ma le questioni amorose per ora non ci saranno o verranno affrontate più in là, siccome ho intenzione di seguire le vite di questi miei OC per tutti e tre gli anni di superiori e in parte anche post-diploma (sarà una cosa lunga, sì).
Questo capitolo è una semplice premessa (per questo ho voluto numerarlo con lo 0) ed è ambientato a quando Midoriya (uso sempre lui come metro di misura, va bene?) ha 15 anni. Non è dato sapere l'anno di ambientazione di My Hero Academia, ma su Internet molti sembravano d'accordo sul trovarsi nel ventitreesimo secolo, dunque...
Ovviamente il rating aumenterà andando avanti (come se l'inizio fosse tutto rose e fiori).
Non posso garantire i tempi di aggiornamento perché sono impegnata in più progetti di scrittura fra cui un romanzo, quindi vi chiedo di portare pazienza e mi aggrappo alla speranza che ci sia qualcuno così tanto interessato da perdonarmi tutte le attese che ci saranno (vi sto guardando con gli occhioni, giuro).
Lascio (qui) l'album degli OC che aggiornerò ogni volta che ne apparirà uno nuovo (con l'aiuto sacrosanto di Picrew e Paint perché non so disegnare anche se forse ci proverò per i costumi e qualche fanartina a caso).
Il titolo è preso da Wrecked degli Imagine Dragons che ieri mi ha accompagnato per tutta la stesura di questa premessa. Ci ho messo un'ora a pensare a un titolo decente, avevo considerato qualcosa con Shatter ma non mi piace il suono, altri erano troppo lunghi e in inglese suonano comunque sempre meglio che in italiano. Volevo qualcosa tipo "in frantumi" e poi mi sono resa conto che la canzone che stavo ascoltando voleva dire proprio quello! Avevo anche pensato di intitolarla "Crystal Clear" ma me pare il nome di un detersivo per piatti e quindi... nope.
Beh che dire piccoli spiedini di pollo? Ho finito di parlare. Spero che qualcuno legga e apprezzi e si appassioni alla storia dei miei bimbi (mi piacciono troppo le future e creare OC qwq)
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** 1. Diventare grandi ***


1.

Diventare grandi





Periferia di Musutafu, Giappone
05 aprile 2330



Non sa esattamente da quanto lo stia facendo, ma sta sorridendo. Seppur ancora avvolta nel tepore delle lenzuola e con le palpebre appesantite dal sonno, Shizuka sorride e le bastano le prime avvisaglie di lucidità mentale per capire il perché: è ancora buio e fa freddo, ma il cinguettio degli uccelli più mattinieri che occasionalmente stronca il silenzio è un graditissimo segno che fuori c’è bel tempo.
Da quando le è stata comunicata la data dell’esame non ha fatto altro che preoccuparsi della pioggia e non aspettava altro che questo giorno solo per potersi crogiolare nel sollievo di un cielo senza nuvole.
«L’esame…» mormora con la bocca impastata mentre si porta le mani al viso, per poi rantolarvi contro: oggi le sue scelte determineranno il suo futuro.
È il giorno che ha aspettato per anni e che, allo stesso tempo, avrebbe preferito non arrivasse mai.
Il letto sembra più comodo del solito questa mattina e Shizuka contempla l’idea di tornare a dormire, ma una lieve fitta al lato destro del volto la distoglie completamente dal torpore del sonno. Finalmente apre gli occhi e solleva appena il viso, tastando a più riprese la guancia dolorante che ora, libera dalla forte pressione esercitata su di essa per tutta la notte, comincia a pulsare fastidiosamente.
Shizuka si mette a sedere mentre tasta ancora la guancia morbida con le dita di una mano, scoprendo un solco sulla pelle.
La luce appena accesa dell’abat-jour svela l’arcano: anche questa volta si è addormentata sull’album di fotografie di sua madre.
Ora che ne osserva la copertina di cuoio giallo chiaro, con gli angoli logorati dal tempo, la sua guancia non fa più male. Ha sfogliato questo album per interi pomeriggi quando era bambina e la sola vicinanza la conforta, ma a volte la malinconia è più forte. Malinconia di qualcosa che, in realtà, non ha mai conosciuto.
Avrebbe potuto fare parte del mondo degli eroi professionisti fin dalla nascita e secondo i racconti della nonna è anche capitato che sua madre l’abbia portata con sé per mostrarla ad alcuni colleghi, ma tutto è finito prima ancora che potesse raggiungere l’età necessaria a ricordare qualcosa. Ora quel mondo non è altro che una realtà lontanissima, così diversa dalla sua umile vita da sembrarle la peculiare e irraggiungibile sfaccettatura di una dimensione parallela.
Shizuka afferra l’album di foto e lo stringe al petto, poi, non appena si sente più rilassata, lo ripone sul comodino. Spegne la sveglia con venti minuti di anticipo, distende le braccia e inarca la schiena per sgranchirsi le ossa e poi, finalmente, mette un piede fuori dalle coperte.


I primi passi fuori dal letto sono stati piuttosto traumatici a causa del pavimento congelato, ma di fronte allo specchio a muro Shizuka sembra avere già dimenticato il freddo che per un po’ le si è attorcigliato attorno alle gambe nude.
Indossa una maglietta termica a maniche lunghe, pantaloncini aderenti sotto una gonna sportiva e scaldamuscoli scuri. Non aggiunge alcun accessorio perché non ne possiede e se anche li avesse non riuscirebbe proprio a vederli come qualcosa di importante e immancabile in vista della giornata che la attende, solo raccoglie una parte dei suoi capelli castano ramato in due piccoli odango laterali più per abitudine che per un fatto estetico.
È pronta, ma resta ancora per un po’ davanti allo specchio, la schiena dritta e le spalle alte: ora più che mai sente il peso di quello che la attende e la paura di non farcela grava sul suo petto come un macigno.
Spalanca le labbra e aspira tutta l’aria che può, poi compie un paio di piegamenti laterali del busto e accenna una corsa sul posto: nonostante i duri allenamenti non avverte alcun indolenzimento o dolore muscolare, anzi ha addirittura la sensazione che il suo corpo sia più snodato del solito – che sia l’adrenalina?
Shizuka passa entrambe le mani sulla gonna, per sistemarla al meglio: un gesto abituale che ha sempre compiuto prima di andare a scuola ma che questa volta si rivela inutile. Dopotutto non indossa alcuna divisa plissettata, ma piuttosto i capi di abbigliamento più comodi che è riuscita a reperire, così da poter affrontare al meglio la prova pratica di ammissione del liceo Yūei.
«Va bene,» si dice, tentando di farsi coraggio «è ora di andare.»


Giunta in fondo allo stretto corridoio, Shizuka si ferma sulla soglia del salotto per osservare sua nonna che come sempre se ne sta inginocchiata sul tatami, davanti all’altarino commemorativo su cui sono incorniciate le foto di suo nonno e di sua madre.
L’odore acre di incenso le pizzica le narici, ma è immediatamente mitigato dal dolce profumo di zuppa di miso che sua nonna ha sistemato in due scodelle sul ripiano inferiore dell’altare. Offre sempre del cibo a sua madre e a suo nonno nelle occasioni speciali.
Confortata da questa affettuosa abitudine, Shizuka accenna un sorriso e si inginocchia accanto a sua nonna, che subito solleva gli angoli della bocca rugosa e le prende le mani, stringendole affettuosamente.
Entrambe congiungono le mani davanti al viso e chiudono gli occhi, esprimendo una breve e silenziosa preghiera per commemorare i loro cari.


«Hai paura?» le chiede sua nonna con la voce arrochita dalla vecchiaia non appena smettono di pregare.
Shizuka la guarda negli occhi dorati e brillanti e le vuole così bene da sentirsi improvvisamente forte, quindi sorride e nega con un rapido cenno del capo.
«Brava bambina,» sua nonna le accarezza affettuosamente la testa «su, adesso va’ a fare colazione.»
«Grazie» concentrata sulla carezza di sua nonna, Shizuka si ritrova a sussurrare. La scelta peggiore considerando l’avanzata sordità dell’anziana, ma a giudicare dal sorriso che compare sul suo volto rugoso sembrerebbe averla capita senza difficoltà.
«Con permesso, allora» dice poi con voce più alta mentre si rimette in piedi.
Sua nonna continua a sorriderle e la segue con lo sguardo. Avverte una leggera stretta al cuore e i suoi occhi si riempiono di lacrime di commozione mentre un’amorevole apprensione e l’orgoglio si fanno strada dentro il suo cuore, facendola sentire viva e felice come non succedeva da tanto.
Chiude gli occhi solo per un istante e inspira profondamente, alla ricerca del proprio equilibrio emozionale, poi si volta di nuovo verso suo marito e sua figlia, scoprendosi tuttavia in preda alle lacrime quando guarda la foto di quest’ultima.
«Hai visto, Tomomi?» chiede al vuoto con la voce rotta dalla disperazione per una perdita che non è mai riuscita ad accettare.
«Shizuka sta diventando grande.»


Shizuka non crede ai suoi occhi quando entra in cucina.
Non è possibile che ci sia tutta questa roba da mangiare sul loro tavolo! Forse – pensa con una certa angoscia – sta ancora dormendo e questo è un sogno.
Il suo stomaco brontola non appena si siede e una mistura di profumi si insinua nelle sue narici: non ci sono soltanto la solita scodella di riso bianco, quella più piccola con all’interno la zuppa di miso e la tazza di tè verde, ma anche del tofu speziato alla piastra, del pesce ai ferri e perfino una tamagoyaki con verdure.
Sua nonna deve aver risparmiato tanto per permetterle di fare una colazione nutriente prima dell’esame e Shizuka andrebbe anche subito ad abbracciarla, ma ha davvero fame ed è tutto troppo invitante perché possa anche solo pensare di tardare ulteriormente il momento dell’assaggio. Con le labbra increspate in un tremante sorriso di commozione congiunge le mani davanti al viso e china appena il capo, in segno di riconoscenza.
«Accetto con gioia questo cibo! Grazie nonna, ti voglio bene!» esordisce a voce alta, con energia, e finalmente inizia a mangiare.
Come immaginava è tutto buonissimo e le dispiace molto di dover fare attenzione alle quantità – la zuppa e il tè, ad esempio, potrebbero mettere in difficoltà la sua vescica e troppo pesce scombussolerebbe il suo stomaco: due problemi decisamente poco graditi e per niente vantaggiosi se si è sul punto di sostenere un esame importante.
Normalmente non si permetterebbe mai di essere così selettiva con il cibo, anche perché non avendo molti soldi lei e la nonna mangiano solo riso bianco e zuppe per gran parte dell’anno. Spera davvero che la nonna capisca e che non se la prenda a male quando vedrà gli avanzi.
Dopo le prime bocconate fameliche, Shizuka riesce a trattenersi e mangia con molta più calma, sbocconcellando di tanto in tanto il pesce e sorseggiando la zuppa un paio di volte.


«Nonna!» con le mani raccolte a conca ai lati della bocca, Shizuka urla a pieni polmoni.
L’anziana, ancora seduta davanti all’altarino commemorativo, si volta lentamente, incuriosita da quella che alle sue orecchie è parsa più come un’eco lontana. Con gli occhi socchiusi e le sopracciglia leggermente inarcate distende le labbra in un sorriso senza dire nulla.
«Io vado!» annuncia Shizuka.
La nonna amplia il sorriso e acconsente con un piccolo cenno del capo.
«Grazie per la colazione! Era tutto buonissimo!»
L’anziana annuisce di nuovo, felice che la nipote abbia apprezzato la colazione che ha preparato per lei con tanta cura.
«Buona fortuna per il tuo esame» la sua voce è bassa e la sua gola è stanca a causa della tosse, ma ci tiene a farle questo augurio affettuoso e lo accompagna perfino con il pollice destro sollevato verso l’alto.
Shizuka mostra i denti in un sorriso, sollevando anche lei il pollice. Non c’è bisogno di dire altro.
Shizuka si lascia la stanza alle spalle, percorrendo di corsa il corridoio.
Giunta all’ingresso infila i piedi nelle sneaker più comode che possiede e indossa la giacca a vento blu, poi si volta verso il corridoio che si è lasciata alle spalle come se si stesse preparando a vedere questa casa per l’ultima volta.
Prende un grande respiro e apre la porta.


Shizuka attraversa il piccolo cortile con passo rapido, gli occhi socchiusi per il freddo pungente che la coglie alla sprovvista e la testa incassata fra le spalle, nel tentativo di riparare almeno parte del viso dietro al bavero della giacca.
Non appena si richiude alle spalle il cancelletto da giardino, ritrovandosi in strada, inizia a correre, mantenendo tuttavia un’andatura calma – un piccolo riscaldamento per abituare i muscoli allo sforzo senza affaticarli prima dell’esame vero e proprio.
Sono circa sei chilometri per arrivare alla Yūei, ma non è un problema per lei. In questi ultimi mesi si è allenata percorrendo distanze ben più lunghe e con maggiore velocità.
Lungo le strette stradine di periferia si possono già vedere alcune automobili sfrecciare sotto le luci artificiali dei lampioni e i panifici e i konbini in via di apertura, ma il parco cittadino a cui Shizuka arriva dopo una decina di minuti è ancora chiuso.
Decide di fermarsi davanti al cancello sprangato così da riprendere fiato, ma è impaziente di arrivare alla Yūei e perciò ricomincia la sua corsa appena dopo aver stiracchiato braccia e gambe.
Avanza rapida e a testa alta, gli occhi persi a contemplare i primi, flebili raggi di sole che presto scacceranno via l’oscurità della notte.




Angolo autrice:
Ok, è rarissimo per me aggiornare a questa velocità, quindi lo ammetto: questo capitolo era a prendere polvere da una vita intera e oggi l'ho rispolverato per bene. Non vedevo l'ora di farvi conoscere effettivamente Shizuka!
Non ho molto da dire su questo primo capitolo, ma ringrazio di cuore chi già dalla premessa ha messo il seguito a questa storia. Apprezzo molto la vostra fiducia!
Per il prossimo capitolo ci vorrà un po' di più perché sarà bello corposo!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** 2. Duecentosedici ***


2.

Duecentosedici





Musutafu, Giappone
05 aprile 2330



Shizuka giunge di fronte alla scuola Yūei quando le sfumature rosate dell’alba sono ancora visibili in cielo, circa quaranta minuti prima del discorso introduttivo sull’esame pratico. Essendo ancora presto ha modo di osservare attentamente i pochi aspiranti eroi che come lei sono in largo anticipo, cosa che all'esame di teoria le è risultata impossibile, visto che al suo arrivo erano già presenti centinaia di studenti.
Alcuni ragazzi sono soli come lei, con le facce accartocciate dall’ansia o forse dal sonno, mentre altri si aggirano con aria spaesata attorno a piccoli crocchi rumorosi, presumibilmente composti da amici provenienti dalla stessa scuola media.
Shizuka si sofferma su una ragazza con il viso pallido e l’aria molto triste in piedi sotto a un albero: un’altra – probabilmente la sorella maggiore a giudicare dall’altezza e dalla somiglianza – le poggia il palmo di una mano sulla fronte, forse per assicurarsi che non abbia la febbre. Guardandole comincia a grattarsi una tempia senza nemmeno rendersene conto, le labbra contratte in una piccola smorfia di apprensione: ecco perché all’esame teorico tantissimi indossavano le mascherine chirurgiche. Si dà dell’idiota mentalmente per non averlo fatto e si augura che non le venga la febbre nel bel mezzo della prova pratica.
Finalmente riesce a distogliere lo sguardo dalla ragazza dal viso pallido, che nel frattempo ha cominciato a piangere.
Qualche ragazzo si sta già dirigendo verso la porta d’ingresso: sono pochi ma la sicurezza che ostentano con la testa alta e il passo deciso è più che sufficiente per renderli comunque temibili ai suoi occhi.
A Shizuka non sono mai piaciute le classifiche perché, pur comprendendo l’emozione che suscitano nel pubblico, non le paiono altro che gare di competizione fra persone che, invece, dovrebbero fare di tutto pur di promuovere un clima armonioso e maggiormente solidale, ma oggi anche lei è pronta a confrontarsi con gli altri e non cederà di un millimetro. Oggi le è improvvisamente chiara e comprensibile l’insana rivalità che si insinua nella società degli eroi e si sente quasi in colpa per averli biasimati per tutto questo tempo.


I lampioni lungo la strada sono ormai spenti e la luce del sole rischiare il breve tratto di sentiero che la separa dall’entrata della Yūei.
Ha già contemplato questo complesso di grattacieli verticali e corridoi orizzontali una settimana fa, in occasione dell’esame teorico, ma vederla dal vivo le fa ancora un certo effetto, forse perché per lei, fino a questo momento, è sempre stata la scuola della dimensione parallela e ora le appare più come un’estensione di questo mondo, un braccio che ne squarcia la barriera e si protende verso di lei per afferrarla e condurla in un posto nuovo.
Riuscirà davvero a entrarvi? E troverà il mondo che ha immaginato quando era bambina?
I pensieri di Shizuka vengono interrotti bruscamente da uno studente che, correndole accanto, la urta con una spallata.
«Oh!» il ragazzo l’ha già distanziata di almeno una decina di passi quando si volta per guardarla. Solleva le mani davanti al viso in segno di scusa e le rivolge un timido sorriso: «Perdonami, sono di fretta.»
Shizuka si limita ad annuire con un cenno del capo e questo ricomincia a correre, ma dev’essere alquanto scoordinato perché finisce per centrare in pieno altri due ragazzi che non lo assolvono con la stessa facilità con cui lo ha perdonato lei. Il ragazzo scoordinato riesce comunque a sgusciare via e così tutti e tre corrono a perdifiato per gli ultimi metri, venendo inghiottiti dall’ingresso della scuola dopo pochi istanti.
Shizuka, al contrario della maggior parte degli studenti, non corre. Forse, spera, per il braccio della Yūei sarà più facile afferrare chi si avvicina senza alcuna fretta.


Il piccolo palco in fondo all’auditorium è l’unico spazio illuminato.
È una stanza gigantesca che vanta una capienza di tremilacinquecento posti ed è impressionante pensare che, calcolando gli iscritti di quest’anno, questa mattina resteranno vuote solamente duecentoquindici sedie.
Le aule scolastiche sono piuttosto piccole in confronto all’auditorium e da ciò ne consegue che fra più di tremila ragazzi riusciranno a entrarne, divisi in undici sezioni diverse, soltanto duecentoventi. Anzi: duecentosedici, perché quattro fortunatissimi hanno già il posto assicurato tramite raccomandazione.
Duecentosedici. Tanti quasi quanto le sedie vuote. Guardandole, Shizuka realizza quanto sia remota la possibilità di farcela e si sente schiacciare dallo sconforto.
Inspira dalle narici e raccoglie le mani in grembo, impaziente: quando comincia questa maledetta prova? Vuole eliminare il pensiero dell’esame dalla propria testa il prima possibile.
«Troppe luci!» tuona la voce di una donna al microfono.
Shizuka sobbalza e rivolge la propria attenzione al palco, ma le luci sono effettivamente troppo forti per permetterle di vedere qualcosa.
«Abbassate le luci! Abbassatele!» strepita la donna.
Mentre alcune luci vengono spente e l’intensità di altre viene visibilmente abbassata, il ronzio delle chiacchiere si affievolisce sempre di più, fino a svanire definitivamente.
Sotto i fari centrali, ora meno luminosi che in precedenza, una donna se ne sta ritta dietro un leggio vuoto, il microfono sorretto dalla mano destra. È molto bassa, con lunghi capelli lilla e un seno prosperoso che stona sia con la sua statura che con la sua corporatura esile; ha l’aria severa e sembra molto scocciata dalla situazione – dà l’idea, per dirla tutta, di una persona che farebbe volentieri a meno di presenziare su un palco.
Shizuka si è documentata riguardo ai professori e secondo le informazioni in suo possesso dovrebbe trattarsi della signorina Hōgo, una pro hero dotata di un’unicità alquanto versatile ma che, nonostante ciò, è sempre stata oggetto dell’attenzione delle riviste più che altro perché ha il doppio degli anni che dimostra.
Shizuka protende leggermente il collo verso destra, alla ricerca del tratto distintivo che confermerebbe la sua ipotesi, ma il leggio davanti alla donna le è d’intralcio e le impedisce di procedere con il suo umile sforzo spionistico.
«Buongiorno a tutti e benvenuti al Liceo Yūei» esordisce la donna, interrompendo le nuove conversazioni nate negli istanti di silenzio che hanno accompagnato lo spegnimento di alcune luci di scena.
«Fra meno di mezz’ora inizierà il vostro esame pratico, ma prima di darvi istruzioni sul suo svolgimento vi verranno consegnati un piccolo registratore e una tessera personale contenente i vostri dati e il punteggio che avete totalizzato all’esame scritto» fa una piccola pausa. «Questo procedimento ci permetterà anche di verificare se ci sono assenti: consideratelo come una sorta di appello. Avete dieci minuti per consultare la vostra tessera e se doveste riscontrare degli errori siete pregati di segnalarlo tramite il registratore, che andrà poi riposto nella scatola rossa che vedete alla mia sinistra. Se non ci sono errori dovrete invece metterlo in quella blu. E inoltre…»
La donna esita. Sembra cercare qualcuno sotto il palco.
«Se farete gli spiritosi e registrerete qualcosa di inappropriato verrete espulsi immediatamente, sempre che siate riusciti a superare l’esame pratico.»
Non sembra molto convinta di questa affermazione. Forse non era sul copione e l’ha pronunciata a propria discrezione.
In ogni caso l’attenzione di Shizuka viene attirata da uno squittio alla sua sinistra. Si ritrova quindi a osservare di sottecchi una ragazza alquanto particolare: a una prima occhiata, complice il buio, sembra che porti un grande cappello, ma dopo una più attenta osservazione si rende conto che il copricapo diafano che svetta sulla sua testa è in realtà parte integrante della sua anatomia.
«Sarò bocciata, sarò bocciata,» l’appena scoperta ragazza-medusa dondola entrambe le gambe avanti e indietro e si dà alcuni schiaffetti sulle guance paffute «sarò sicuramente bocciata!»
Le luci del palco si spengono e contemporaneamente si accendono quelle adibite a rischiarare gli spalti, più fioche e calde. Ora che può vederla meglio, Shizuka si sofferma ancora per qualche istante sul viso dell’altra, circondato da tentacoli azzurri, domandandosi se non sia il momento opportuno di parlare con qualcuno e fare amicizia, ma la ragazza-medusa riceve la sua tessera con una rapidità incredibile e questo la fa desistere da ogni intenzione di dialogare.
La ragazza-medusa esordisce con un grande sospiro di sollievo per aver passato l’esame scritto seppur con un punteggio basso e Shizuka sente l’ansia montare dentro di lei.
Rivolge la propria attenzione agli spalti nel tentativo di distrarsi e pensa a quanto sia bizzarro che un luogo così formale sia ora stracolmo di ragazzi di ogni forma e colore in tenuta sportiva.
Fortunatamente anche per lei il tempo di attesa non dura più di qualche minuto, terminando nel momento in cui un piccolo drone di servizio dotato di braccia robotiche le porge una tessera. Shizuka la afferra subito e si assicura soltanto che la foto e il nome siano i suoi prima di capovolgerla.
«Ottantasette!» senza neppure rendersene conto se lo lascia sfuggire di bocca e la ragazza-medusa si volta con aria trafelata, gli occhi scuri e allungati fissi su di lei.
«Ottantasette?» ripete la ragazza-medusa e Shizuka si sente in soggezione per quell’improvvisa attenzione che le viene rivolta. Per un attimo teme perfino che l’altra possa insultarla perché ha preso un voto ben più alto del suo, ma le guance paffute della ragazza-medusa si sollevano all’improvviso e un grande sorriso si fa strada sul suo volto pallido.
«Complimenti! È un ottimo voto!»
«Ti… ti ringrazio» Shizuka distende le labbra, ma sente che l’imbarazzo la ostacola e che è riuscita a malapena a mostrare un’espressione cordiale, tuttavia la ragazza-medusa sembra non preoccuparsene e continua a sorriderle.
Forse è questo il momento giusto per provare a fare amicizia, ma proprio quando Shizuka si accinge a presentarsi ecco che le luci si spengono. Restano accese soltanto quelle centrali, a illuminare nuovamente la professoressa Hōgo.
«Il vostro tempo è scaduto» annuncia la donna senza particolare entusiasmo. «Prima di darvi le informazioni necessarie per sostenere la prova d’esame, però, desidererei rivolgermi a coloro che non hanno superato lo scritto: il vostro ingresso qui è già compromesso e sarà molto difficile che riusciate a ribaltare la situazione a vostro favore, perciò se non ve la sentite quella è la porta. Non sarete giudicati.»
Shizuka deglutisce: non è già questo un giudizio? Colmo di cinismo ed espresso in tono sprezzante, per di più.
Il ragazzo alla sua destra azzarda una risatina divertita, attirando su di sé sia la sua attenzione che quella della ragazza-medusa.
«Non esiste!» esclama mentre si tocca l’ampio petto con il pollice. «Ho preso undici nello scritto» le guarda con i suoi tre occhi, ma non si preoccupa del fatto che siano pietrificate per lo stupore – e l’orrore – provocato da un voto così basso e continua a sproloquiare liberamente «ma nella prova pratica otterrò il massimo dei voti perché sono un grande!»
La ragazza-medusa distoglie lo sguardo, esalando un sospiro rassegnato e inquieto. Al contrario, Shizuka si ritrova suo malgrado a seguire la traiettoria appena indicata dal ragazzo.
«Quei due idioti se ne stanno andando per davvero!» esclama lui con una risata di scherno.
Shizuka non fiata mentre osserva i due ragazzi uscire dall’auditorium. Non vede che cosa ci sia da ridere, anzi è veramente avvilente che su più di tremila presenze solo due abbiano abbandonato. La possibilità di riuscire a entrare non si è ridotta nemmeno un po’.
«Possiamo cominciare» riprende la professoressa Hōgo mentre rivolge un’occhiata proprio al punto da cui sono usciti i due ragazzi, per poi tornare a guardare il buio davanti a sé. «Dunque, sulla vostra tessera avrete notato una lettera dell’alfabeto latino stampata accanto al punteggio dell’esame scritto. Ebbene, quella lettera corrisponde al padiglione dove sosterrete il vostro esame pratico. Il terreno di simulazione è stato costruito appositamente per tutti voi e riprodotto alla stregua di una zona disastrata, perciò adottate tutte le precauzioni del caso.»
La donna si volta solo per un istante così da verificare che il proiettore olografico sia stato azionato e non appena vede la riproduzione di uno dei robot da combattimento disseminati nei padiglioni ricomincia a parlare.
«Il vostro obbiettivo è quello di abbattere più robot possibili. Questo che vedete alle mie spalle è di medie dimensioni e molto resistente. Assomiglia a un piccolo carro armato se considerate la sua struttura e il cannone di cui è dotato. Non appena vi troverete a meno di due metri di distanza dalla sua posizione comincerà a spararvi. Vale cinque punti.»
Fa una piccola pausa, in attesa che le immagini olografiche cambino, poi riprende a illustrare i vari tipi di robot: i più piccoli, laccati di nero, sono poco resistenti ma molto veloci, mentre i più grandi, di colore verde, hanno una corazza dura ma i loro movimenti sono limitati, e le due categorie valgono rispettivamente tre e sei punti. Se si collabora nell’abbattimento di un robot, i punti vengono assegnati nella loro totalità a chiunque abbia contribuito, perciò non bisogna comportarsi da egoisti. In ultimo vi sono i droni aerei, piccoli, veloci e autorizzati a sparare, con la differenza che la maggior parte di questi non vale alcun punto.
«Una piccola percentuale, però,» precisa la professoressa «è contraddistinta da un cerchio viola sulla parte superiore e vi fornirà ben dieci punti.»
Alcuni ragazzi parlottano fra loro, eccitati dalla notizia dei dieci punti.
Shizuka, al contrario di molti, non è così entusiasta e si abbandona a una breve quanto infelice riflessione: se i droni che valgono dieci punti hanno un segno distintivo sulla parte superiore ma volano sopra le loro teste come riusciranno a capire quali sono quelli da abbattere e quelli evitare? E che cosa significa “piccola percentuale”? Per quanto ne sanno potrebbe indicare che su cento droni aerei solo uno vale dieci punti. Dopotutto sarebbe pur sempre una percentuale.
Questi droni aerei sono senz’altro un pretesto per sottrarre del tempo prezioso agli esaminandi più sbruffoni e lei non ha intenzione di cadere in una trappola simile. Si concentrerà unicamente sui robot.
«Meglio specificare…» borbotta la professoressa Hōgo, come se qualcuno le avesse ricordato qualcosa di importante dal sottopalco, prendendola alla sprovvista «i droni e i robot di prima categoria sono dotati di munizioni di gomma. Sono pericolose in quanto rilasciate ad alta velocità, ma non mortali.»
Le immagini olografiche alle sue spalle si dissolvono e sullo sfondo torna a svettare il logo della Yūei.
«È cosa nota che il tasso di criminalità sia diminuito di più del venti per cento negli ultimi anni, ma come sapete la Lega dei Villain non è mai stata completamente debellata ed è una realtà ben radicata nella nostra società, per questo per noi è così importante valutare le vostre capacità e sottoporvi a una selezione certosina. In quanto eroi dell’epoca moderna è dovere mio, così come dei miei colleghi e del preside Aizawa, trovare tra di voi tutti coloro che un giorno renderanno il nostro paese ancora più sicuro e prospero, perciò è ora che andiate là fuori e che vi diate da fare. E ricordate…» la professoressa Hōgo alza il pugno verso l’alto e per la prima volta si può percepire un tono diverso dalla noia nella sua voce: «Plus Ultra!»


Shizuka è immobile sulla linea di partenza del Ground C e non riesce in alcun modo a scorgere la fine dello spazio organizzato per l’esame pratico. La grossa strada asfaltata su cui si trovano si estende in avanti per centinaia di metri e si snoda in scorci laterali dietro ad alti edifici di cemento e lamiera. Alcuni fabbricati sono intatti, altri hanno tetti divelti o facciate squarciate, con macigni e calcinacci crollati in strada come in una zona di guerra.
Dalla linea di partenza si intravede già un robot, uno di quelli grandi, di colore verde scuro: a giudicare dalla sua immobilità è probabile che sia ancora spento.
«Buongiorno a tutti,» una voce lugubre e insofferente, per niente adatta a mettere a proprio agio i più insicuri, gracchia attraverso gli altoparlanti «sentirete dieci rintocchi e poi il suono della sirena che decreterà l’inizio dell’esame pratico. Avrete un’ora a disposizione. La prova di tutti coloro che supereranno la linea di partenza prima che suoni la sirena non verrà considerata valida. Buona fortuna.»
La trasmissione si interrompe e dopo qualche secondo suona il primo rintocco.
Tutti si preparano a partire: centinaia di occhi sono ora fissi sulla linea di partenza, le orecchie in attesa del suono della sirena. Qualche bocca pronuncia a bassa voce il numero dei rintocchi e i muscoli di gambe e braccia si contraggono in vista di un primo scatto.
È al terzo rintocco che Shizuka nota che la ragazza alla sua destra ha appena sollevato un braccio e sta strattonando leggermente un filo di gomma nera. Ha delle bombole sulla schiena, simili a quelle per l’ossigeno, e uno strumento piuttosto bizzarro attaccato alla cintola. Nella sua mano stringe uno spinotto che attacca alla nuca, proprio sotto la linea del caschetto castano.
Sono arrivati a sette rintocchi e Shizuka non riesce a distogliere lo sguardo dalla ragazza, sorpresa e in parte turbata da tutta quella complessa struttura di tubi e bombole che questa si porta appresso. Ma non è questo a tenere viva la sua attenzione, bensì il fatto che la ragazza abbia voltato il viso di tre quarti e la stia guardando con occhi che, da scuri, pare stiano divenendo sempre più trasparenti.
Ora sono azzurri.
E un momento dopo rossi.
Shizuka ode un clic metallico e tre luci poste in fila verticale sullo strano aggeggio appeso alla cinta della ragazza si accendono, emanando un bagliore rosso.
La sirena suona e la ragazza afferra lo strano arnese, staccandolo dalla cintura. Scatta in avanti, scoppiando in una risata sguaiata mentre solleva l’oggetto verso l’alto e con un dito preme il grilletto sotto l’impugnatura: una grossa fiammata si libra nell’aria, investendo in pieno il drone che dall’edificio più vicino è appena sceso in picchiata verso di loro.
Shizuka la vede correre via, svoltare a destra e scomparire dietro all’edificio più vicino, poi, confusa e intimidita, si ritrova a osservare i resti carbonizzati del drone.
«Quella è matta!» è il commento di un ragazzo che le passa accanto a scuoterla dal torpore inflittole dall’avvilente sorpresa di trovarsi fin da subito di fronte a una quirk così strana e, presume, anche molto potente.
Shizuka si riscuote e scopre di essere l’unica rimasta dietro la linea di partenza.
«Oh! Merda!» sbotta mentre scatta rapidamente in avanti, incredula all’idea che intere giornate colme di pensieri ansiosi siano state appena spazzate via da un’unica distrazione. Almeno non passerà il resto della giornata a domandarsi se per caso non abbia varcato la linea di partenza prima del suono della sirena, ma si vergogna all’idea che i professori l’avranno vista imbambolata come un’idiota o la vedranno quando analizzeranno le registrazioni per determinare i promossi. Non è esattamente il modo migliore con cui iniziare un esame.


Finalmente anche Shizuka si è lasciata alle spalle la linea di partenza e le sue orecchie sono già ricolme delle urla e dei boati dei primi scontri.
Mentre corre pensa di dirigersi verso il robot più vicino, ma non appena giunge all’imbocco della strada e vede almeno una ventina di esaminandi attorno al grosso macchinario verde decide di passare oltre. Ci sono certamente più possibilità di guadagnare punti in una zona lontana, dove la maggior parte degli aspiranti eroi non è ancora arrivata.
Mentre corre a perdifiato, Shizuka ripensa alla ragazza con il lanciafiamme e al drone incenerito. Alla possibilità che questo valesse dieci punti. Stringe i denti per la frustrazione quando prende in considerazione l’eventualità che fosse l’unico e che ora quella ragazza si trova in testa alla classifica.
Il drone carbonizzato che ancora fluttua nei suoi pensieri si materializza improvvisamente di fianco a lei, ma non è incenerito: questo è perfettamente funzionante, veloce, e le ha appena sparato contro una munizione di gomma ad alta velocità.
Shizuka non indugia più: una spessa barriera traslucida si solleva alla sua destra e il drone aereo, così come la munizione appena sparata, vi rimbalza contro con un tonfo sordo, ritrovando la stabilità dopo pochi istanti. Shizuka non ha intenzione di perdere tempo, le basta riuscire a proteggersi dai proiettili e la sua unicità le offre senza dubbio un ottimo riparo.
Continua a correre, decisa a raggiungere il prima possibile un robot che possa garantirle punti sicuri, quindi procede dritta ancora per una quindicina di metri e poi svolta a sinistra, scoprendosi subito ben felice di trovarsi di fronte a uno di quelli laccati di nero.
È veloce, ma lei di più, tant’è vero che il robot riesce ad avanzare solo di un paio di metri prima di essere investito da una grande ondata di cristalli appuntiti.
Il robot viene trafitto da entrambi i lati, cadendo a pezzi per la forza dell’impatto.
«Tre punti per me!» esclama Shizuka senza smettere di correre. Transita accanto ai pezzi squarciati di lamiera e fra gli ingranaggi e le viti sparse sull’asfalto, lasciandoseli alle spalle senza alcuna esitazione.
Giunta in fondo alla strada svolta a destra così da continuare ad avanzare verso la parte più lontana del Ground C, tenendosi tuttavia ai margini dell’arena.
Corre di buona lena, il respiro per nulla affaticato grazie ai lunghi allenamenti a cui si è sottoposta durante tutto l’inverno. Supera altre due case diroccate, alla ricerca disperata di un secondo robot, ma non trova nulla; al contempo, però, alcuni esaminandi l’hanno raggiunta: un ragazzo avanza con lunghi balzi da un tetto all’altro ed è seguito a ruota da una ragazza dalle gambe lunghe e affusolate che le ricordano quelle di una cavalletta. Dietro di lei, sulla strada, ci sono altre due ragazze e un ragazzo.
«A sinistra!» urla il ragazzo alle sue spalle e Shizuka vede i due sul tetto scendere giù in un balzo e imboccare subito il vicolo più vicino.
Rallenta e lascia che gli altri tre la superino: vanno tuti a sinistra. Esita solo per qualche attimo, poi si decide a seguirli: tentare non nuoce, in fin dei conti è difficile vedere i robot fra gli edifici e non è da escludere che il ragazzo che li sta guidando sia dotato di un radar o di qualcosa di simile.
«State attenti! È un carro armato!» annuncia la ragazza dalle gambe lunghe, che fa da vedetta su un tetto parzialmente scoperchiato.
Shizuka è contenta di questa notizia, ma non così entusiasta all’idea di dover collaborare. Ma non ha scelta.
I suoi cristalli trafiggono il terreno e si sollevano rapidamente verso l’alto, raggiungendo in fretta il cannone del robot, che riesce a sparare solo una munizione prima di ritrovarsi avvolto e bloccato dalla durezza del diamante.
«Woah! Bravissima!» esclama il ragazzo che li ha guidati fino a lì subito dopo aver evitato il proiettile.
«Come sapevi che si trovava qui?» Shizuka gli si affianca mentre la ragazza dalle gambe lunghe salta sul robot e una delle altre due gli sferra un potente calcio alla fiancata sinistra.
«Sonar!» risponde il ragazzo. «È la mia unicità.»
Per Shizuka la risposta del ragazzo è più che sufficiente.
Manipolando altre stalagmiti di diamante lacera il ventre metallico del carrarmato, per poi rivolgere un sorriso al ragazzo: li seguirà. Ora come ora è il modo più rapido che ha per accumulare punti.


Hanno già distrutto altri due carri armati e tre robot neri quando Shizuka si stacca dal gruppo.
Finalmente ha individuato uno dei robot più grandi e non vuole lasciarsi sfuggire l’occasione di guadagnare sei punti. Il gruppo del ragazzo-sonar non fa più al caso suo, anche perché è ormai evidente che vogliano continuare ad affrontare soltanto i robot più piccoli, ovvero le due categorie che forniscono il punteggio più basso. In più – offensivamente parlando – è stata lei a fare il grosso del lavoro e in questo modo finirà per totalizzare il loro stesso risultato e a ritrovarsi come una fra tanti. Affrontare più nemici in solitaria, al contrario, le permetterà di accumulare punti aggiuntivi e di distinguersi – o almeno è questo ciò a cui anela.
«A-aiutami!»
Un grido giunge dalla sua destra e Shizuka si ferma per rivolgere la propria attenzione a uno dei vicoli secondari: una ragazza è seduta a terra, la schiena contro un grosso macigno. Le sta tendendo la mano, mentre con l’altra si massaggia lo stomaco: è tutta impolverata e il sangue le è colato sul viso da un taglio alla tempia. Ad appena mezzo metro di distanza c’è un carro armato spento ma ancora totalmente integro: probabilmente la ragazza è riuscita a danneggiarlo ma è stata colpita più volte dai proiettili di gomma e ora è troppo debole per rimettersi in piedi e finire il lavoro.
D’istinto Shizuka muove un paio di passi rapidi verso di lei, ma poi si ferma e rivolge la propria attenzione davanti a sé: il grosso robot verde dista appena un isolato da dove si trovano e se non si sbriga qualcuno lo distruggerà prima di lei.
«Mi fa troppo male lo stomaco» mormora la ragazza impolverata. «Ho… ho paura che arrivi un altro di questi.»
Shizuka non capisce cosa le stia chiedendo. Vuole essere portata da qualche parte e restare nascosta fino alla fine dell’esame? Ha già accettato il fallimento? O vuole soltanto che l’aiuti a rimettersi in piedi?
In ogni caso, qualsiasi cosa voglia questa ragazza, le farà perdere un sacco di tempo.
«Io…» Shizuka deglutisce: i suoi piedi si stanno già muovendo nella direzione opposta «scusami!»
E corre. Corre velocissima perché sa che le possibilità di arrivare laggiù e trovare il robot ancora intatto si sono ridotte a dismisura per colpa di questa interruzione.
E mentre corre stringe i pugni fino a ficcarsi le unghie nei palmi delle mani: non è per niente fiera della sua scelta, ma adesso deve soltanto pensare a superare questo esame con un margine di punti talmente alto da garantirle la promozione.
Da poco la voce del preside Aizawa ha annunciato che è trascorsa la prima mezz’ora e se ha contato bene fino a ora dovrebbe aver accumulato ventisette punti, che in confronto a quelli che ha totalizzato nello scritto le sembrano davvero pochi.
È un vero sollievo per lei incrociare sulla propria strada uno dei robot laccati di nero: lo distrugge immediatamente, sollevando un grosso ventaglio di diamanti appuntiti.
Trenta punti iniziano a sembrarle accettabili e l’aiutano a gestire con più serenità la fatica che comincia a farsi sentire nel respiro e nelle gambe.
Finalmente giunge sul posto, dove un ragazzo e una ragazza stanno già cercando di abbattere il grosso robot. A una prima occhiata, Shizuka nota dei leggeri bagliori vicino alle ruote gommate del macchinario e presto scopre essere opera della ragazza che, toccando una delle fiancate con entrambe le mani, genera una scarica elettrica violacea che tuttavia non è sufficiente a danneggiarlo.
La corazza di questo robot è molto resistente, ma Shizuka è certa di poterla fracassare facilmente grazie alla propria quirk, tuttavia, prima che riesca a manifestarla, un proiettile di gomma le colpisce il braccio.
«Ah!» Shizuka si volta tenendo premuta con la mano la zona dolorante e fortunatamente riesce a spostarsi in tempo per non essere colpita di nuovo dal carro armato che li ha appena raggiunti.
Anche gli altri due ragazzi riescono a spostarsi in tempo per evitare di essere colpiti, ma la situazione si ribalta nuovamente a loro sfavore dopo qualche istante.
I proiettili di gomma giungono da ogni direzione. Su ognuna delle quattro strade che attorniano il piazzale, infatti, vi è un carro armato che spara contro di loro.
Shizuka ha appena il tempo di sollevare una barriera di cristallo per proteggersi dai proiettili. Il ragazzo, invece, è già stato colpito un paio di volte ed è a terra, mentre la ragazza cerca di tirarlo su e guarda inquieta i carri armati.
«Andate via!» urla loro Shizuka, avendo compreso che le unicità di cui sono dotati non potranno essere d’aiuto in questa circostanza.
È una situazione difficile, ma provvidenziale.
Ora Shizuka torna a concentrarsi sui movimenti dei robot e solleva appena il braccio, così da accertarsi di aver recuperato la sensibilità, poi rilascia tutta la sua forza nel terreno.
I diamanti invadono tutto lo spazio disponibile fra gli edifici, squarciano il cemento e sospingono verso l’alto le macerie che si trovano ai piedi dei fabbricati: tutti e quattro i carri armati vengono distrutti nello stesso momento, mentre il robot più grande, ancora fermo al centro, viene danneggiato solo in minima parte.
Gli altri due ragazzi si sono già dileguati quando Shizuka ritira i cristalli e si dirige di corsa verso il robot più grande, stupita di quanto la sua corazza sia effettivamente dura. Ma non è un problema. Basterà ancora un attacco, massimo due, per distruggerlo.
Quando Shizuka giunge ai piedi del grande robot ed è ormai in procinto di attivare di nuovo la sua quirk, qualcosa la colpisce al centro della schiena. L’urto è così forte che il respiro le si blocca in gola mentre le gambe cedono a quell’improvviso squilibrio. Si ritrova con la faccia contro il cemento e porta immediatamente le braccia a protezione della testa quando vede un proiettile di gomma schiantarsi contro il robot più grande.
Non respira ancora ma vuole rimettersi in piedi, per cui si gira in fretta sulla schiena e tenta di rialzarsi, ma non ci riesce. Le sue dita arrancano contro l’asfalto caldo ma per qualche motivo il suo busto non si stacca da terra: la schiena le fa male e la pelle delle braccia tira e brucia, indurita a causa dell’abuso della sua unicità. Purtroppo, però, non può fare a meno di usarla se vuole proteggersi dal carro armato che la sta raggiungendo.
Shizuka riprende a respirare e riesce a sollevare leggermente il viso: i cingoli sono sempre più vicini a lei e se non riuscirà a farsi da scudo con i propri cristalli o a spostarsi verrà schiacciata. Come se non bastasse, poi, proprio ora anche il robot più grande ha iniziato a muoversi.
Il cannone del carro armato si abbassa e punta verso di lei: presto le colpirà le gambe.
Shizuka si divincola, o almeno tenta di farlo, ma in realtà riesce a muovere solo le mani e la testa. Continua a stringere la presa sull’asfalto con la speranza di farsi leva, ma l’unico risultato concreto sono i polpastrelli che si lacerano e il sangue che comincia a fuoriuscire dai tagli e dalle spellature.
Poi realizza qualcosa di spaventoso mentre scalcia l’asfalto con i piedi per tentare di sottrarsi dalla traiettoria del carro armato: il cannone si è fermato, ma non tanto in basso come credeva. Non sta mirando alle sue gambe, bensì alla sua faccia.
Forse morirà.
Anche se la professoressa Hōgo ha detto che i proiettili non sono letali, questo robot è veramente troppo vicino.
Sì, lei sta per morire.


Un tonfo sordo e poi lo stridio pungente del metallo.
Il cannone del carro armato si spezza a metà e Shizuka vede il macchinario accartocciarsi rovinosamente dall’alto verso il basso.
Dischiude le labbra per lo stupore e sente i muscoli rilassarsi, complice il sollievo di vedere il carro armato completamente distrutto.
Non appena il fumo scuro si dissolve, Shizuka vede un ragazzo svettare sul robot accartocciato: ha un’espressione imbronciata e capelli neri corti con un ciuffo appuntito fra gli occhi, ma ciò che attira davvero l’attenzione della ragazza è il particolare colore della pelle, fra l’ocra e l’arancione. Guardandolo meglio, Shizuka si accorge che il suo viso non è ben definito e che alcune delle sue parti riflettono la luce. Sembra quasi indurito e sfaccettato come una pietra preziosa e i sottili cristalli che fanno capolino tra i capelli del suo salvatore accrescono il sospetto che le loro unicità siano simili.
Finalmente Shizuka riesce a rialzarsi e se il suo primo istinto è quello di ringraziare il ragazzo, lo sguardo ostile di quest’ultimo le fa cambiare subito idea e la mette sulla difensiva. La sta squadrando dalla testa ai piedi e ormai le pare più che evidente che si tratta solo di una coincidenza se lui ha distrutto il robot che stava per ferirla. Ucciderla.
Shizuka si volta, decisa a distruggere il robot più grande, ma ha appena il tempo di realizzare che questo si trova ancora lì prima di vederlo inclinarsi con un cigolio straziante e poi disfarsi pezzo per pezzo.
Si pietrifica mentre vede il ragazzo arancione uscire dal ventre dilaniato del macchinario e salire sui macigni più alti. Lui le rivolge ancora una volta un’occhiata a dir poco irritante e poi balza giù dai resti del robot, imboccando in fretta la strada di destra.
Shizuka se ne resta imbambolata per un po’, incredula che con un solo, rapido movimento sia riuscito a sfondare la corazza del robot e a infliggergli così tanti danni, ma soprattutto offesa all’idea che le abbia rivolto in più occasioni quell’espressione altezzosa, come se la considerasse… debole.


Mossa dalla rabbia, Shizuka non sente più alcuna fatica nella corsa. Le braccia bruciano, ma può resistere – in fin dei conti non dovrebbe mancare più di un quarto d’ora alla fine dell’esame e se non farà il possibile per accumulare punti aggiuntivi in questi ultimi minuti non se lo perdonerà mai.
Shizuka supera l’ennesimo edificio e trova finalmente uno dei robot più piccoli. Si muove in fretta verso di lei, ma viene immediatamente sgominato dalle punte di cristallo manipolate dalla ragazza, che riprende subito a correre.
Aggirandosi fra le case cerca un altro robot di grosse dimensioni, ma l’unico visibile oltre i tetti è in parte celato da un’ampia nuvola di fumo scuro ed è quindi probabile che sia questione di secondi prima che venga distrutto, per cui si arrende all’idea che la strategia che adotterà in questi ultimi minuti sarà semplicemente correre e sperare di trovare più robot possibili. Le aspettative, però, sono misere, perché a quest’ora molti dei macchinari saranno già stati distrutti e in ogni caso avrà bisogno di una grande dose di fortuna per imbattersi nei superstiti.
Trascorrono diversi minuti e non si sorprende di non trovare altri robot.
Come annunciato dal preside, fra l’altro, mancano appena due minuti alla fine dell’esame, ma ecco che un rombo alle sue spalle attira la sua attenzione. A Shizuka brillano gli occhi quando guarda in alto: un drone aereo!
«Due minuti…» si dice mentre corre, per poi pensare che probabilmente manca ancora meno.
Tanto vale provare, in fin dei conti non crede riuscirà a trovare altri robot in così poco tempo.
Il drone è ormai sopra la sua testa e comincia a sparare. I proiettili sono più piccoli e perciò vengono sparati a una velocità e a una frequenza maggiori rispetto a quelle dei carri armati, per cui Shizuka è costretta a usare la sua quirk come uno scudo: pianta i piedi a terra e arresta la sua corsa, sollevando una muraglia di cristalli trasparenti davanti a sé.
Dietro al suo grande riparo di diamante ha appena un momento per respirare e riflettere, difatti il drone lo sorvola in fretta e riprende a spararle contro, ma Shizuka è veloce e riesce a evitare i proiettili con un rapido balzo indietro.
Riprende a correre, osservando con attenzione l’ambiente circostante.
Approfitta di una svolta per cambiare strada e all’imbocco del vicolo si ferma di nuovo, ma questa volta la barriera di cristallo che solleva da terra, proprio dietro al drone, è molto più grande, l’ultimo sforzo sancito dal primo rintocco che segnala i dieci secondi che la separano dalla fine dell’esame.
Il drone si muove rapidamente verso di lei, ma l’ondata di cristallo avanza con la stessa velocità e a mano a mano che si alza si incurva come un’onda, un imponente cavallone sfaccettato e brillante, di un incantevole bianco trasparente a tratti sfumato di azzurro. Nel punto più alto dell’onda di diamante, lì dove la gemma si ripiega in una cupola, Shizuka riesce a vedere il dorso del drone.
Mancano quattro rintocchi.
Shizuka balza in avanti non appena vede nel cristallo il riflesso del cerchio viola sul dorso del drone.
Tre rintocchi.
Si muove rapida, a zig zag per evitare i proiettili.
Due rintocchi.
Solleva un’altra parete di cristallo alla sua destra, così da disorientare il drone e limitargli i movimenti almeno per qualche secondo.
Un rintocco.
Una grossa stalagmite appuntita si solleva verso l’alto e trafigge in pieno il drone, proprio mentre il suono assordante della sirena annuncia la fine dell’esame pratico per aspiranti eroi.




Angolo autrice:
Yay! Mamma mia, pensavo di non finirlo più questo capitolo!
Ammetto di essermi un pochino annoiata durante la stesura, ma sentivo che era necessario descrivere l'esame di Shizuka e comunque sono sollevanda perché rileggendolo non mi sembra così male qwq (almeno spero!)
Non ho molto da dire, come sempre vi lascio (qui) l'album degli OC dove trovate anche Shizuka e che aggiornerò nei prossimi giorni con la professoressa Hōgo!
Come sempre ci vorrà un po' di tempo per il prossimo capitolo, ma spero continuiate a seguirmi numerosi!
Alla prossima!

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