La casa dei gelsi

di ClostridiumDiff2020
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo –
 
 


All’ombra dell’albero poteva percepire la lieve brezza che gli riportava il salmastro odore del mare.
Aveva fatto il medesimo sogno, lei lo aveva osservato con suoi grandi occhi di smeraldo ricolmi di lacrime poi si era chinata per baciarlo e con la lama che giaceva al suo fianco si era pugnalata al petto.
Poteva sentire il profumo delle more di gelso, i suoi capelli scuri che gli solleticavano il volto e ogni volta si svegliava con quel senso di perdita.
Prima di arrivare in quel luogo, dopo l’incidente aveva solamente ricordi di sangue e grida.
Ma poi in quel parco, osservando le onde aveva trovato qualcos’altro, dalla profondità della sua mente erano emersi quegli occhi di smeraldo, quel bacio al sapore del sale e delle more.
Ma poi si svegliava solo in un letto sconosciuto, con quel senso di vuoto e nient’altro.
 
“Ti dispiace se mi siedo accanto te?”
Sollevò lo sguardo e un ragazzo con una camicia rosa gli sorrise.
Lo aveva visto arrivare quella mattina. Il ragazzo si strinse nella maglia cercando di nascondere alla vista le bende che aveva ad entrambi i polsi. Poi si scostò una ciocca di capelli castani dal volto in attesa.
 
Annuì e tornò a volgere i suoi scuri occhi smarriti oltre l’orizzonte.
“Mi chiamo John” esclamò il ragazzo sedendoglisi accanto.
“Mi chiamano William” rispose “ma non ho memoria di aver mai avuto questo nome.”
Il ragazzo gli prese la mano e la strinse con garbo tra le proprie. William si voltò ad osservare quel sorridente volto gentile. Aveva grandi occhi chiari da bambino, come la giada. “Credo che ti si addica, William…Ma potrei chiamarti Bill, che ne pensi? Potrebbe essere più adatto a te?”
 
Bill, quella parola aveva un retrogusto amaro ma familiare. Aspro, come un frutto acerbo dal menzognero incantevole profumo.
William scosse la testa lasciando scivolare via la mano dalla presa dell’altro. “No, William va benissimo.”
“Tu se preferisci invece puoi chiamarmi Johnny, lo fanno tutti. All’inizio mi infastidiva ma, ormai è come un paio di scarpe strette. A furia di indossarle si sformano e diventano perfette per i propri piedi.”
“Preferirei usare John”
Il ragazzo scoppiò a ridere e la sua risata giunse alle orecchie di William come un dolce scampanellio. “Non apprezzi molto i soprannomi vero?”
William scosse la testa. Non ricordava molto e quel poco appariva così sciocco e inutile. Come vuoti rituali svuotati di ogni senso o significato.
 
Sapeva di non volere lo zucchero nel tè e di non amare i diminutivi o i vezzeggiativi.
Di adorare camminare a piedi scalzi nell’erba e amare restare ore a fissare il mare da sotto quell’albero. Queste erano le sole cose che sapeva di se stesso dopo l’incidente.
 
Niente documenti, non una valigia, solo una giacca nera sporca di sangue, dei pantaloni strappati e un volto inciso da profonde cicatrici, recanti una storia che nessuno riusciva a decifrare.
Si osservava di rado allo specchio. Quei segni gli ricordavano ciò che non riusciva a recuperare facendolo solamente arrabbiare. Aveva preso a pugni la parete della sua stanza fino a farsi sanguinare le nocche, finché non lo avevano bloccato.
 
Sapeva bene dove quel sentiero lo poteva portare. Lo avrebbero dichiarato pericoloso per se stesso e per gli altri. Prima rinchiudendolo per sempre e se gli attacchi di rabbia non si fossero comunque placati, nonostante le docce gelate, i farmaci e le interminabili ore passate legato ad un letto a lacerarsi la pelle ruggendo alla notte, allora lo avrebbero cancellato dall’esistenza.
La chiamavano lobotomia transorbitale. Ne aveva già visto gli effetti su un altro paziente. Gli avrebbero piantato un punteruolo nell’occhio destro, spaccandogli il cranio, lacerandogli la mente trasformandolo in una bambola mansueta.
 
Per calmarlo, per aiutarlo a essere più sereno dicevano, ma di fatto cancellando quelle poche cose che lo rendevano ancora certo di esistere. Non si sarebbe ricordato di adorare il tè, e non avrebbe avuto più alcuna importanza in che modo lo avessero chiamato. Forse avrebbe ancora apprezzato quel profumo di fiori ma di certo non avrebbe ricordato di aver mai sognato una ragazza dagli occhi di smeraldo e a nessuno sarebbe importato. Sarebbe esistito sempre di meno fino a svanire del tutto.
Forse avrebbe vagato come un fantasma, raccogliendo sassi, alla ricerca di qualcosa che non avrebbe mai più potuto raggiungere.
 
Una mano gli sfiorò il volto facendolo sussultare.
“Scusa” gli disse John ritraendola rapido “Solo che non volevo che andasse perduta”
Una goccia salata gli scivolò tra le labbra, inumidendo il suo amaro sorriso.
Non si sarebbe ricordato nemmeno quel momento.
Anche se la sua vita era fatta di brevi scintille non voleva che si disperdessero in un asettico mare di indifferenza.

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Capitolo 2
*** 1. ***


1.


 

L'odore del suo sangue gli riempiva le narici, mentre caldo gli colava lungo il viso.
Ringhiò contro se stesso riuscendo solo a tendere la stoffa della camicia di forza, torcendosi le braccia. L'infermiere si era affacciato e scuotendo la testa aveva bofonchiato. "Prima dovrà calmarsi, io non entro là dentro con quella furia"
Quelle parole lo avevano fatto infuriare ancora di più.
Con se stesso, con la sua stupida agitazione dopo un incubo, o per essersi dimenato così tanto da essere caduto dal letto urtando la testa e attorcigliandosi e finendo per farsi solo più male.
Nessuno era venuto per lui, mai... Che razza di stronzo doveva essere per essersi ridotto così, da solo...

"Will..."
La voce di John lo raggiunse da sotto la porta.
La speranza si fece strada per un attimo nel cuore di William, ma poi la rabbia lo travolse con forza, incontrollabile. "Vattene, maledizione, lasciami stare!"
Non voleva che se ne andasse, era forse la sola persona in quel maledetto posto che aveva mostrato del vago interesse nei suoi confronti. Per quanto non riuscisse a capirne la ragione.
Il silenzio che ne derivò riuscì solo ad aumentare la sua ansia e le lacrime arrivarono inesorabili.
Bruciavano roventi nei suoi occhi.
Stava per urlare quando la porta si aprì e John scivolò nella stanza richiudendosela alle spalle.
Come lo vide si precipitò al suo fianco e in un attimo William.

Sapeva che John voleva solo aiutarlo, ma non riusciva a permettergli di farlo.
John si accostò e rimase fermo ad osservarlo.
"Vattene..." ruggì di nuovo William con i grandi occhi scuri dilatati e ricolmi di lacrime.
"Ho preso le chiave all'infermiere di turno, non è difficile sai? Quando è appagato con i pantaloni alle caviglie non fa caso a nient'altro e... Ero preoccupato che ti fossi fatto davvero male... Hai fatto un bel tonfo sai?"
William si immobilizzò mentre con respiro ansante elaborava ciò che l'atro gli aveva detto.
John gli si accostò. Il respiro ansimante di William si regolarizzava e John ne approfittò per aiutarlo a districarsi dalla trappola di stoffa che lo bloccava.

John prese la manica del suo pigiama per tamponare la fronte sanguinante dell'altro.
William lo osservava cercando di ponderare ogni parola. Aveva notato gli sguardi che l'anziano guardiano rivolgeva a John ma non pensava che l'atro potesse essere interessato.
"Tu... lo hai fatto perché..."
"Mi servivano quelle chiavi, ti avrebbero lasciato a terra anche fino a domani..."
"Ma tu..." William non riusciva a trovare le parole ma la rabbia stava scemando.
"Avevi bisogno d'aiuto..."
"Sono solo... Io sto bene..." borbottò William con voce spezzata.
Sto bene, sto bene... Quelle parole risuonavano sempre più vuote e prive di significato.
Lacrime di rabbia avevano preso il posto del dolore.
"Sto benissimo..." ripeté con sempre meno convinzione.

John gli tamponò di nuovo la fronte. "Non riuscivo a dormire nemmeno io, sai osservavo il nostro albero fortunato e... Avrei giurato di aver visto una figura seduta sotto di esso. Mi sono detto... Sragiono, visto che solo tu e io i sediamo la sotto e tu eri qua in isolamento... Sai è davvero brutto passar e le ore là sotto senza di te..."
John parlava, parlava e William sempre di più sentiva la muscolatura rilassarsi e la tensione svanire.
E le parole emersero da sé.
"Sogno sempre la stessa cosa, vedo il mio riflesso in un vetro in frantumi. La mia... Faccia... Il mio volto è una maschera di rosso sangue. I capelli attaccati impastati di sangue e un dolore... Non credevo si potesse ricordare ogni sensazione. Ma non è un dolore fisico è... La sensazione di aver perso tutto quello che mi ha sempre definito, ogni possibilità di riscatto di realizzazione. Di essere completamente assolutamente... spezzato... Urlo e a quel punto dovrei svegliarmi e invece mi ritrovo sotto a quell'albero mentre una macchia di sangue si allarga sul mio petto. Tutto d'un tratto il mio desiderio di morte lascia il passo al terrore di perdere tutto. Ed è in quel momento che appare lei, con i suoi occhi di smeraldo... Volevo afferrare la lama che aveva tra le mani ma come ogni notte non sono riuscito a fermarla e sono caduto..."

John si appoggiò alle spalle di William e i due rimasero in silenzio.
William neanche si era accorto di aver stretto il polso di John con forza.
"Vorresti uscire adesso e sgranchirti le gambe?" esclamò John improvvisamente.
"Non è rischioso se ci beccano?"
John gli sorrise divertito "Questa è la parte divertente... Tranquillo, conosco le abitudini di ogni lavoratore in turno, non ci beccheranno mai..."

...

L'albero lo osservava in silenzio, lo giudicava, William ne era certo.
"Mi detesta, sente la mia follia e vorrebbe solo che fossi colpito da un fulmine..."
A William scappò una mezza risata "Credo che osi molto di più me sai?... Se i miei sogni fossero veri... Il mio sangue lo ha insozzato e ha macchiato per sempre i suoi frutti... Credo odi più me che te..."
John lo guardò inclinando perplesso.
"Ho letto in un libro che... Pare che le more di gelso un tempo fossero solo bianche e... che il sacrificio di due amanti ai loro piedi ha cambiato le cose. L'albero si è nutrito del loro sangue come del loro dolore... Come nel mio sogno, un albero identico a questo ci osserva... Mi osserva e bevendo il mio sangue..."
"Gesù Will... che cosa macabra... Scusa so che non ami i soprannomi necessito di chiamarti in un modo più semplice e immediato..."
"Fa come vuoi..." borbottò William.
John gli sfiorò di nuovo la fronte "Cerchiamo di non nutrirlo di nuovo" era un gesto semplice ma William lo trovava stranamente confortante.

Aveva appena chiuso gli occhi quando una lieve brezza gli sfiorò la nuca portandogli un dolce profumo di mora.
Lei era davanti a lui e lo osservava con due occhi di smeraldo scintillanti. Era sopra di lui e lo osservava con sguardo colmo di rimprovero.
Per un attimo credette che fosse un'allucinazione, ma poi la donna parlò. "Voi due non dovreste stare qua a quest'ora"

 

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Capitolo 3
*** 2. ***


2.

 

 
William intravide John seduto sotto al loro albero e sorrise. Voleva raccontargli di Ellie, si sentiva un ragazzino emozionato con le farfalle nello stomaco. Ellie era reale, con il suo sorriso sarcastico, con i suoi occhi di smeraldo e quei lunghissimi capelli neri.
Ma soprattutto sembrava non detestarlo come tutti gli altri.
Per un attimo aveva sperato che lo riconoscesse, che se ne uscisse con qualche mirabile rivelazione. Ma forse si sarebbe dovuto accontentare che non aveva denunciato la loro piccola fuga.
 
Il sorriso di William morì in un attimo quando intravide il volto di John. Il labbro spaccato e un livido sulla parte sinistra del volto malcoperto dai capelli.
Quando William allungò la mano si sorprese che l’altro non si scostasse.
Come se avesse letto nel pensiero dell’amico gli sorrise “Ti riconoscerei tra mille…”
William si sedette accanto all’amico.
“Guarda la tua faccia, i tuoi occhi sembrano più grandi di sempre, la tu espressione… Non è niente…” sorrise amaramente John.
 
“Chi?” la voce di William vibrava mentre la rabbia cresceva.
John discostò lo sguardo.
“È stato quell’infermiere vero? Quello a cui hai rubato le chiavi, ha scoperto quello che hai fatto e… Si chiama Luc giusto? Io lo ammazzo, quel grandissimo stronzo…Io…”
“Ti prego no” ansimò John afferrandolo per la manica. “Non sai quanto sia pericoloso, non è un semplice infermiere lui… Se entrerai nella sua orbita lui ti distruggerà… Ti renderà la vita impossibile e poi la lobotomia non sarebbe solo una supposizione. Non avrà pace finché non ti avrà completamente annichilito… Ti prego… Non farlo…”
 
William prese la mano dell’amico. “Ti prego…” sussurrò John pieno di angoscia “Non voglio che ti faccia del male…”
“Non devi sacrificarti per me” sussurrò William sporgendosi verso l’altro per un bacio sulla fronte. John gli si aggrappò con disperazione. “Will ti scongiuro… Non hai idea di cosa possa fare… Qua tutto è suo… Suo padre glielo ha donato. Noi siamo i suoi giocattoli. Si camuffa tra i dipendenti ma ogni cosa gli appartiene, io gli appartengo… Non entrare nella sua scuderia. Se si focalizzerà su di te lui… Ti farà a pezzi…”
William prese il volto dell’amico tra le mani. “John, io sono già a pezzi…”
 
John sospirò e una stanca rassegnazione affiorò nel suo sguardo. Chiuse gli occhi e quando li riaprì era il solito scherzoso John. “Le hai parlato?”
William sorrise “Si chiama Ellie… Lei era andata a trovare la sorella, per questo non l’avevamo mai vista prima… Lei è… Così simile alla donna dei miei sogni…”
“Magari è lei o lo era…”
 
William rise “certo perché tu credi che io… che uno come me possa davvero essere destinato a qualcosa di bello? Seriamente? Non Può esserci un lieto fine, non per me… Ma per te sì, devi lasciare questo posto infernale e iniziare un nuovo percorso”
“Non senza di te…”
William sorrise amaramente “Vivevi benissimo senza di me prima di conoscermi e lo farai anche dopo…”
John gli strinse la mano “No”
 
….
 
“Ci vediamo dopo Luc” la ragazza dagli occhi di smeraldo congedò il collega che lanciò uno sguardo carico di odio nella direzione di William.
Lui gli sorrise di rimando beffardo. Se ne stava seduto sul suo letto in attesa. Dalla porta aperta penetrava un po’ di luce nella buia stanza senza finestre dove William era chiuso. Ellie indossò il camice ed entrò chiudendosi la porta alle spalle.
Fingeva di leggere distratta. William la osservava in attesa, poi lei poggiò la cartella e allungò una mano verso il volto di lui che d’istinto indietreggiò.
“Tranquillo, ho promesso a John che avrei controllato la ferita alla tua testa, porti abbastanza segni...”
 
William chiuse gli occhi “Perché ti importa?”
Credeva che avrebbe avuto delle risposte quella sera, ma lei li aveva riportati in camera senza aggiungere una parola e William non aveva avuto il coraggio di parlargli.
“Non apprezzo il comportamento dei miei colleghi, John mi ha detto che ti ha trovato a terra, aggrovigliato nelle contenzioni. Potevi farti molto più male di così…”
La ragazza lasciò scivolare le dita sulle cicatrici del volto di lui.
“John ti ha anche detto come ha ottenuto le chiavi per entrare nella mia stanza?”
La ragazza sollevò lo sguardo, lui la osservava, i suoi grandi occhi scuri improvvisamente duri e freddi. Al silenzio di lei inarcò le sopracciglia “Perché non lo lasciate andare? Lui è una brava persona, quale sarebbe la sua colpa da meritare di essere rinchiuso qua?
“Perché è pericoloso per se stesso quanto tu lo sei per gli altri…”
“E qui è più al sicuro che là fuori? Dove chi dovrebbe assisterlo lo usa come una bambola?”
 
“Non lo sapevo… Non fino a quando non ho visto i segni sul suo volto questa mattina. Te lo prometto, cercherò di impedire che lo tocchi di nuovo. Hai la mia parola, anche se forse non è poi molto…”
Quando Ellie gli sfiorò il braccio William lo vide, una parte dei suoi sogni troppo spesso sbiadita.  Lei gli porgeva la mano “Tornerò da te, ci troveremo sotto al nostro albero, te lo prometto…
 
Sbattè le palpebre lentamente e Ellie lo osservò come se potesse vedere in quelle pozze oscure le stesse cose che lui vedeva nella propria mente.
 
“Hai mai…” William si interruppe, come poteva porgerle quella domanda senza risultare completamente pazzo? “Ci siamo mai incontrati prima?”
Gli occhi di lei esitarono ma poi scosse la testa lentamente “Ho solo visto le tue foto sul giornale, prima… Prima dell’incidente. Ma non ti ho mai visto prima che arrivassi nell’istituto, quando amministravi la tua compagnia, dopo aver lasciato l’esercito. Insomma, prima che quel vigilante ti…”
William scattò sentendo il suo cuore accelerare, non voleva sentire, per quanto si era interrogato sul suo passato, non voleva sapere altro. Ad ogni parola sentiva le cicatrici sul suo volto bruciare e pulsare. “Chiaro, mi sono sbagliato. Non mi conosci…”
 
Scese dal letto “Vorrei uscire per la mia passeggiata, gradirei vedere John”
Ellie annuì e si gli indicò la porta camminandogli accanto.
Camminarono in silenzio, William se ne stava con le mani serrate mentre le parole di lei gli riecheggiavano nella testa. Avrebbe potuto chiederle altro per riempire quei vuoti che turbavano i suoi sogni. Aveva avuto una compagnia quindi e un giustiziere lo aveva ridotto in quello stato e da come lei lo aveva detto sembrava quasi che se lo fosse meritato. Avrebbe dovuto desiderare altre informazioni, forse un tempo sarebbe stato così. Ma era prima che i suoi sogni cambiassero, prima dell’albero di gelso. Prima di John.
Adesso non era certo di voler sapere altro.
 
Quando vide John seduto sotto all’albero si voltò verso Ellie. “Dì questo al tuo collega, non deve mai più avvicinarsi a John o ti assicuro che se ne pentirà”
Poi si voltò e se la lasciò alle spalle.
 
L’amico si voltò e gli sorrise quando William gli si sedette accanto. “Non credo che lei sia davvero connessa alla persona del mio sogno…”
“Sai credo tu sia davvero bravo a raccontarti bugie…”
William sorrise, poteva ancora vederla con la coda degli occhi che li guardava da lontano.
Non voleva sapere altro perché aveva paura, che conoscendo il suo passato forse John sarebbe finito con l’odiarlo.
“Se ti dicessi che sono una persona orribile, che questo…” si bloccò indicandosi il volto. “Tutto questo mostra quello che sono veramente, te ne andresti via?”
John si scoprì il polso mostrandogli un groviglio di cicatrici che gli segnavano il polso.
Allungò la mano sfiorandogli la guancia “No”

 

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Capitolo 4
*** 3. ***


3.
 


 
Aveva le mani sporche di sangue, il suo. Sollevò lo sguardo, uno specchio rotto gli rimandava un’immagine distorta e deformata, spezzata in più punti.
William osservava con i suoi grandi occhi scuri ricolmi di orrore il suo volto ricoperto di sangue. La nausea lo attanagliava allo stomaco. Si premette sull’addome mentre il sangue continuava a uscire. “Ti prego uccidimi… Ti prego…” sussurrò il suo riflesso nello specchio. William sollevò lo sguardo mentre l’altro sé oltre lo specchio spezzato si protendeva verso di lui “Ti prego…” Ripeté il suo riflesso. …
Poi un grido lacerò l’oscurità, era la voce di John.
 
William si svegliò di soprassalto. Era madido di sudore, si sollevò sul letto e su massaggiò le tempie. Perché la voce di John lo aveva raggiunto nel suo incubo?
Ma poi ogni dubbio fu spazzato via quando lo sentì di nuovo e stavolta non ebbe dubbi, non stava sognando, John stava urlando davvero.
 
Balzò giù dal letto e si lanciò contro la porta. Era una semplice porta di legno, poteva romperla, avrebbe sempre potuto farlo ma non aveva mai avuto la giusta motivazione ma adesso tutta la sua forza, ogni fibra del suo essere bruciava e fremeva, doveva aiutare John, doveva salvarlo da quell’essere abbietto, da Luc.
 
Dette una spallata, ignorò il dolore, anche quando il vetro andò in pezzi e i frammenti gli si conficcarono nel braccio, stava per colpire di nuovo quando una voce lo supplicò di fermarsi. Ellie si affacciò e lo guardò con i suoi occhi di smeraldo.
“Will fermati di stai ferendo”
“Che vuoi che mi importi, non senti la voce di John? Devo andare da lui” ruggì lui furioso.
Lei si guardò attorno terrorizzata e in quel momento la voce di John li raggiunse di nuovo.
William colpì la porta e un frammento di vetro gli si conficcò nella mano.
“Will fermo, fermo… Ti prego…”
“Apri questa maledetta porta” urlò lui.
Lei esitò e lui riprese a colpire con forza la porta e con un sordo CRACK la serratura cedette. William uscì e senza esitare corse verso la stanza di John. La porta era socchiusa, lui la spalancò senza riflettere e si slanciò contro l’uomo che torreggiava sul suo amico.
Ellie lo raggiunse ma non da sola, un vigilante la seguiva William era riuscito a sferrare un pugno a Luc quando lo strapparono da lui. John lo guardò con i suoi occhi di giada ricolmi di lacrime e William e si gettò addosso a lui tremando.
 
William lo strinse frapponendosi tra lui e la guardia, mentre Ellie fremeva cercando ergendo un muro di parole tra loro e quell’estraneo che li scrutava ostili.
Luc, nel frattempo si era seduto sul letto e si tamponava il labbro spaccato.
Nei suoi occhi un misto di confusione e furia. Nessuno doveva averlo sfidato mai e questo pensiero fece apparire un sorriso sul volto di William.
 
 

 
William strattonò con rabbia la camicia di forza che gli avevano messo per legarlo al letto.
Non gli avevano dato nemmeno il tempo di dire niente a John e a nulla erano valse le proteste di Ellie. Ma Comunque William era furioso anche con lei.
Era una vigliacca, inutile erano le sue lacrime se poi restava ad osservare un innocente pestato come una bestia da macello e per cosa? Perché Luc era una persona potente? Perché per lui ogni vita in quello squallido posto era un giocattolo che il padre gli lasciava usare?
 
Ricordava quando John era corso da lui, si era prostituito senza pensarci per avere la chiave della sua stanza, per liberarlo e medicare le sue ferite. Ma non aveva curato solo il suo corpo, aveva cercato di mettere una pezza anche a quel suo cuore lacerato. Non poteva pensare di non poterlo aiutare ricambiando quel gesto.
John doveva scappare, non sapeva come ma doveva assolutamente far in modo che accadesse o quel bastardo avrebbe finito per ucciderlo.
Con quel pensiero si addormentò, un chiodo piantato nel cranio, un pensiero dilaniante.
 
 
William si svegliò quando percepì un respiro solleticargli le orecchie.
“Svegliati ragazzone…”
Il volto di Luc un passo dal suo.
“Se ti sottomettessi, manterresti quel tuo sguardo altezzoso? Se ti trasformassi nel mio giocattolo… Manterresti forte il tuo coraggio?”
William ruggì e strattonò i lacci che lo bloccavano al letto mentre l’altro scivolava divertito sopra di lui. “Credi di poter proteggere il piccolo John ma lo vada? Non riesci nemmeno ad avere il pieno controllo di te stesso…” Gli sfiorò i fianchi. Giocherellando con il laccio dei suoi pantaloni.
“Tu… Non lo toccherai mai più…” ruggì William. Quando percepì la sua mano sulla sua coscia strattonò le corde con ancora più forza. “Non puoi farmi niente che non possa sopportare… E quando sarò libero ti pianterò un pugnale nell’orbita…”
Luc rise divertito e spinse in basso i pantaloni dell’altro. “Vediamo… quanto sei realmente in grado di sopportare…”
William strattonò le corde con rinnovata forza, detestava quella sensazione, esposto, inchiodato come una farfalla in una teca di vetro alla mercé delle rapaci mani di Luc.
“Forse ho trovato il punto giusto…” gli sussurrò divertito mordicchiandogli il lobo.
 
“Che diavolo…”
Luc si sollevò con un sorriso soddisfatto, carezzando le lunghe gambe della sua preda.
Ellie lo osservava dalla porta. Avanzò ad ampi passi ma Luc non si scompose. “Sei venuta ad assaggiare? Vedo come lo osservi… Posso comprendere quello che vuoi… Ma se permetti, avrei altri programmi per il ragazzo stasera…”
 
William ne approfittò della distrazione dell’altro. Il sangue gli scivolava tra le dita. Avrebbe dovuto ferirsi solo un altro po’ ma se Luc avesse allentato il peso solo un po’, si sarebbe liberato. Ellie lo distraeva, William sorrise soddisfatto e con uno strattone deciso il laccio si spezzò e con un ruggito furioso afferrò Luc per la gola spingendolo via da sé. Luc cadde dal letto trascinandosi Willam con sé.
William imprecò, Se solo avesse potuto liberare la seconda mano.
Stringeva con rabbia. “Guardami bene… Guarda la morte negli occhi”
Ellie gridò e prima che Luc perdesse i sensi delle braccia gli strapparono William di dosso.
Non importò cosa Ellie dicesse gli furono addosso in un attimo.
Lottò come un leone, ci vollero dieci persone per bloccarlo e iniettargli un tranquillante.
L’ultima cosa che William vide fu il terrore nello sguardo di Luc e questo lo fece sorridere.
“Sta lontano da John…” farfugliò William prima di svenire.

 

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Capitolo 5
*** 4. ***


4.


 
 
“Will…”
Era di nuovo sdraiato sotto l’albero e il profumo dei fiori di gelso riempiva l’aria.
Una figura era china su di lui. L’immagine di Ellie si sovrapponeva a quella di John.
“Ti ho aspettato… Ti aspetterò ancora…”
Gli occhi di quella donna, che per lungo tempo aveva scambiato per quelli di Ellie, adesso erano così simili a quelli di John. L’immagine di Ellie si sgretolava lasciando spazio al volto di John. Il profumo dei fiori sostituito da quello del sangue
“Will…” questa volta il suo richiamo fu limpido, cristallino.
Dai suoi occhi sgorgavano lacrime di sangue.
“Ti aspetterò sempre sotto questo albero e ci ritroveremo…”
Il sangue gli scivolava sugli occhi velandogli la vista, scivolandogli sulle labbra, poteva sentirne il sapore, percepirne il calore.
“Will…”
 
William si svegliò ritrovandosi di nuovo inchiodato nel letto, avvolto dal telo che conteneva i suoi movimenti. Ellie era seduta sul bordo del letto, gli occhi di smeraldo ricolmi di lacrime. “Will hanno deciso di effettuare l’intervento… Dicono che la tua aggressività ti rende eccessivamente pericoloso e che questo aiuterà anche te. Volevo solo che lo sapessi…”
William la osservò ansante. Lobotomia, Luc di certo aveva fatto pressioni, non doveva aver apprezzato l’essersi fatto rompere il naso e quasi soffocare. Ne di non essere riuscito a marchiarlo come desiderava. Forse non gli sarebbe importato ma, se lui non avesse fatto fuggire John, Luc si sarebbe nutrito di lui fino a consumarlo completamente.
 
“John…” ansimò William
Ellie si portò al volto una mano tremante “Mi dispiace Will… ho provato a farli ragionare, a permettergli di venire da te. Ci ha provato così tante volte, ha persino provato a corrompere di nuovo Luc…”
William strattonò le contenzioni e scosse la testa. Non riusciva a pensare che dopo quanto successo John avesse ricercato quell’essere, e per cosa? Per lui? Avrebbe dovuto ripetergli mille volte che non ne valeva la pena.
“Dovevi tenerli lontano…” le ringhiò con voce impastata “Avresti dovuto proteggerlo…”
“Voleva sapere che stessi bene, era così preoccupato all’dea che tu fossi solo, legato a un letto… Qualunque cosa gli dica non è abbastanza, vuole vederti lui non si fida delle mie parole…”
William sentiva di parola in parola la stanza stringerglisi addosso. “Perché dovrebbe fidarsi… Sei rimasta a guardare, mentre Luc approfittava del suo potere. Sei rimasta a guardare anche mentre si divertiva con lui?”
“Will smettila, io non ne sapevo nulla… Mi ha sconvolto vederlo con te, usarti come un oggetto… Mi uccide pensare che non possa far niente…”
“Tu non vuoi far niente, lo hai scelto”
 
Ellie abbassò lo sguardo. “Non posso impedire che ti sottopongano alla lobotomia transorbitale ma, posso provare a organizzare un ultimo incontro con John e poi, posso prometterti che cercherò di farlo uscire da questo posto…”
William distolse lo sguardo con rabbia e chiuse gli occhi. Sentiva solo parole vuote, vane promesse che la ragazza sapeva che non avrebbe potuto mantenere.
 
 

 
 
La porta si aprì con un lieve cigolio, William la ignorò. Era quasi certo che fosse Ellie e non voleva guardarla. Non voleva vedere i suoi occhi colmi di false speranze. Poi delle braccia lo avvolsero e qualcosa di caldo gli cadde sulle guance.
John sussurrò singhiozzando il suo nome. Lo ripeteva come una litania, come se aggrapparsi al suo nome potesse dargli conforto.
William sentì le labbra dell’altro sfiorargli la fronte “Vieni via con me… Non voglio che ti… Non voglio che ti cancellino, che ti cambino…”
Lo sentì armeggiare con le cinghie che lo bloccavano, le su mani tramavano e lo sentì imprecare diverse volte frustrato.
“John… ti prego… J…” riuscì a dire prima che una mano gli coprisse la bocca. “No, so che vuoi chiedermi di andarmene, ma non … Non lo farò senza di te!” John poggiò la sua fronte su quella di William. “Dovevamo andare via da tempo, ma temevo di non averne le forze e non volevo essere un peso per te ma… Adesso è necessario…”
 
I grandi occhi scuri di William rilucevano di lacrime. Le dita dell’amico scivolarono via dalle sue labbra tornando ad occuparsi dei lacci che lo imprigionavano.
“Sono io il peso… Che ti frena… Che ti ingabbia… Sono io…Devi andartene…”
 
John sorrise quando il primo gancio finalmente si aprì “No, lo faremo assieme…”
Una volta liberato John lo aiutò ad alzarsi e gli gettò le braccia al collo.
“Stai bene? Ellie mi ha detto che Luc ti… Avrei fatto qualsiasi cosa per venire da te…”
William gli carezzò la testa affondando le dita tra i capelli dell’altro, poi gli prese la mano.
Non voleva aggiungere altro, voleva solo portarlo via.
Avanzarono, sentiva la mano di John stretta alla propria mentre l’oscurità li avvolgeva.
Poteva vedere la porta, l’uscita e la luce che filtrava mentre il cuore gli martellava in petto.
Immaginava di sentire il freddo della notte, il terreno sotto i piedi e la libertà davanti agli occhi. Ma a un passo dalla porta John lo chiamò, c’era panico nella sua voce e prima che potesse voltarsi verso di lui qualcosa lo colpì con forza alla testa.
 
 

 
Scivolava sulla superficie dell’acqua, mentre i fiori dell’albero di more di gelso danzavano attorno a lui. Scivolava sotto la superficie dell’acqua, il mondo scompariva in quel gelido abbraccio.
John…
 
Si svegliò tossendo quando il getto d’acqua lo colpì. La testa gli pulsava mentre il sangue gli gocciolava dalla ferita aperta sulla fronte.
Quando si mosse si accorse di essere incatenato al pavimento.
Era in una cella spoglia, duro cemento con una piccola finestra sprangata posta in alto, una cantina, una cella di isolamento che non aveva mai visto.
Luc lo osservava divertito, assieme a lui altri due uomini, sguardo inespressivo e assente.
Entrambi trattenevano John che cercava di urlare e di liberarsi da quella presa. Il bavaglio che gli avevano messo era stretto e un rivolo di sangue scendeva segnandogli il mento.
Luc lo indicò con la lama che teneva in mano. “Voglio raccontarti come finirà la tua storia, mi sembra giusto” Luc prese una sedia e si sedette di fronte a William ma a una distanza di sicurezza. Sorrise quando lo vide scattare strattonando le catene con rabbia.
“La tua storia finirò così… Hai tentato di fuggire dopo aver aggredito questo povero ingenuo ragazzo che si è lasciato convincere da te ad aiutarti. Non sapeva quanto profondamente violento tu fossi e non sia aspettava di certo che tu potessi ucciderlo. Ti abbiamo fermato e incatenato qua sotto. Ma non siamo riusciti a salvare quel povero ragazzo. Ma… Per nostra fortuna, domani mattina presto sarai reso inoffensivo. Peccato non averlo fatto prima…”
 
Mentre parlava la rabbia di William si trasformava in disperazione, scuotendo la testa cercò con lo sguardo John, che lo osservava terrorizzato. Avrebbe voluto correre da lui ma le catene lo bloccavano. Le strattonò ma non aveva possibilità di spezzarle “Lascialo… Ti prego…”
Luc rise ponendosi alle spalle di John “Riconosci la paura?” sussurrò appoggiando la lama sul collo della sua preda. “Rammenta, se tu non fossi mai sopravvissuto al tuo incidente… Se non fossi mai esistito, non sarebbe mai accaduto” e detto questo affondò la lama nel collo di John.
 
William gridò e per un attimo credette di sentire la voce dell’amico unirsi alla propria ma era il solo ad urlare. Luc gli si avvicinò e gli poggiò la lama sul volto. “Vorresti dire qualcosa?”

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo



Lo adagiò con cura e gli si sedette accanto, mentre la pioggia cadeva incessante su di loro, la pioggia si univa alle sue lacrime. Il corpo di John abbandonato a braccia allargate.
William gli scostò una ciocca di capelli dal viso, gli chiuse gli occhi, mentre l’erba sotto di lui si macchiava di sangue. Lo prese per le spalle e lo trasse a sé, stringendolo.
“Perdonami… Mi dispiace così tanto…” singhiozzò William nascondendo il volto.
Non sentì i passi di Ellie né si mosse quando la ragazza puntò la torcia contro di loro.
 
Aveva trovato i corpi di Luc e dei suoi due sgherri nel seminterrato, le manette a terra sporche di sangue e una grande chiazza. Chiunque lo avesse perso era di certo morto.
Il panico la aveva travolta. Aveva scoperto il piano di Luc per puro caso.
Adesso che aveva visto il corpo di John e la disperazione di William tutto le era chiaro.
Gli si accostò e finalmente notò un piccolo ritaglio di carta a terra.
Una foto.
William doveva averla presa dagli uffici al piano terra, forse cercava qualcosa per aiutare l’amico, ma aveva trovato solo vecchie scartoffie inutili.
 
“Ho sognato te… E poi ho sognato lui… E in entrambi i sogni mi lasciavate solo… Ma non avevo capito che questa cosa si ripeteva da tempo. Che il dolore mi avrebbe riportato qua, sotto questo albero… Forse ci torneremo di nuovo…”
La voce di William tremava, si infrangeva nel dolore.
 
Ellie prese la foto, era ingiallita dal tempo era di un secolo prima.
Un ragazzo molto simile a John sorrideva appoggiandosi alle spalle di un altro ragazzo.
Granfi occhi neri, i capelli decisamente più lunghi, una strana cicatrice sul labbro superiore ma quello sguardo era inconfondibilmente quello di William.
Ellie ricordava quella foto, ma non l’aveva mai davvero guardata.
C’erano tante foto nella cassa presente nello studio, apparteneva ai vecchi proprietari.
Foto di vite spezzate dalla guerra, molti anni prima eppure poteva vedere in quella foto due volti così simili. Poteva un fato crudele averli riportati in quello stesso posto?
 
William poggiò la fronte su quella dell’altro.
“Forse ci ritroveremo ancora… Sotto questo stesso albero…”

 

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