Il matrimonio di Marcello e Roberta

di Helen_Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storia di un matrimonio ***
Capitolo 2: *** Until death do us part ... And beyond ***
Capitolo 3: *** Responsabilità ***



Capitolo 1
*** Storia di un matrimonio ***


Marcello segue con lo sguardo suo figlio Andrea, un terremoto di soli tre anni in grado di provocare un cataclisma intorno a sé, o peggio - dal suo punto di vista di genitore apprensivo, naturalmente - a sé stesso: quel bambino è un grado di ficcarsi nelle situazioni più rocambolesche e di ferirsi nei modi più fantasiosi. Si dice che i maschi abbiano molta energia da smaltire; se si unisce questo luogo comune alla proverbiale furbizia e scaltrezza dei secondogeniti, che, imitando i fratelli maggiori, risultano inevitabilmente precoci, allora Attila capo degli Unni e flagello di Dio in formato mignon, Andrea Francesco, è proprio a cavallo, con una sorella più grande di ben cinque anni. Il punto è che, di certo, Vittoria Emma non aveva tutto quell'argento vivo addosso, e per fortuna. Essere la figlia "semplice" - non preferita, ci mancherebbe altro; solo in casa Barbieri - Pellegrino non si esplicitano le preferenze sui figli ad alta voce, benché li si ami in ugual modo, com'è ovvio che sia - di sicuro è un motivo di vanto per la piccola Vittoria, che, tuttavia, aiuta i genitori molto magnanimamente a sedare quella peste del fratello, cercando di giocare con lui e di farlo sentire grande e importante. A onor del vero, Andrea è anche un bimbo molto dolce e sensibile, ubbidiente, sempre disposto a condividere i propri giocattoli con gli amichetti dell'asilo, e non sopporta che qualcuno venga escluso solo perché sta antipatico a un membro del gruppetto o, molto più semplicemente, per sfizio. Da questo punto di vista - così come per altri versi - , è decisamente figlio di suo padre.  Pretenderebbe di vedere concentrate su di sé tutte le attenzioni degli adulti, molto spesso, ma ha imparato autonomamente che, se la sua mamma e/o il suo papà si addormentano mentre giocano con lui o gli leggono una fiaba, di sera, sfiniti dalla lunga giornata di lavoro, non deve disturbarli - per quanto nulla li salvi dall'assalto nel lettone della domenica mattina, alle 9 in punto, sia chiaro -; perciò, si dirige verso la cameretta della sorella, per vedere se ha voglia di giocare insieme.
Quella bambolina bionda è stata una vera benedizione, per quanto inaspettata; e la dedizione che Roberta ha per i suoi bimbi è qualcosa di fuori dal comune: severa, sì, ma incredibilmente amorevole e paziente.

Marcello guarda sua moglie con occhi adoranti. Non più del giorno in cui ha capito di esserne innamorato, no; la freschezza e l'incredulità dei primi tempi, quando la persona amata è ancora tutta da scoprire, non tornano più, ed è giusto così. Asserire, tuttavia, assurdità come il fatto che il matrimonio rappresenti la tomba dell'amore, e che sia un luogo comune dire: "Ti amo quanto e più rispetto a quando ti ho conosciuto/a", è tipico di chi non sa cosa sia davvero, l'amore. La distinzione tra innamoramento e amore non è affatto sottile, né banale, e sfugge ai più: non si conosce mai fino in fondo chi si ha accanto - anche perché noi stessi non ci conosciamo a fondo - e si spera che ci sia sempre qualcosa di nuovo da scoprire, per non soccombere alla noia; ciò, tuttavia, non significa che il consolidamento del rapporto e l'abitudine non siano un elemento chiave per un aumento esponenziale della grandezza del sentimento che lega alla persona amata. Più tempo si trascorre insieme, più si vorrebbe averne; il legame si rafforza e, alla fine, non si sa più distinguere neppure dove finiamo noi e comincia l'altro/a. La connessione diventa così profonda, quasi simbiotica, che non si riesce più a immaginare la propria vita senza quella persona. Il fuoco dell'innamoramento divampa in modo potente, è vero, ma può anche spegnersi velocemente, in modo spontaneo e se la situazione lo richiede; e per quanto possa sembrare impossibile, alla fine si può tornare alla vita precedente. Ma dopo un fidanzamento, un matrimonio che durano da 5, 10, 20, 30 anni ... Come si può? Sicuramente esisteva una vita prima, ma non la si rivorrebbe più indietro. È così.

L'esperienza insegna molte cose. Roberta ha cambiato la concezione dell'amore che aveva Marcello: per lui, ha sempre coinciso con la protezione, in ogni senso possibile.
Tuttavia, ha dovuto fare i conti molto presto con la riluttanza di Roberta riguardo all'essere una damigella in pericolo, piccolo o grande che fosse il rischio. Dunque, Marcello ha dovuto imparare a contenere questo suo lato preponderante e a capire che, certamente, è normale e giusto preoccuparsi, ma senza soffocare l'altra persona, pretendendo di metterla sotto una campana di vetro, di decidere cosa sia meglio per lei, poiché solo lei lo sa. Ciò non significa che la moglie non gli sia ogni giorno più cara e indispensabile, anzi, tutto l'opposto, proprio perché ormai sono una cosa sola, molto più di quando per lei, sulla carta, non era nessuno, ma 'solo' un ragazzo che la amava più di sé stesso, benché quell'espressione non la facesse impazzire; eppure, si è ormai arreso all'idea che imporle le proprie paranoie significherebbe perderla per davvero, definitivamente, senza avere scampo. Perciò, ha cercato di adottare lo stesso principio con entrambi gli amatissimi figli, seguendo i suggerimenti della moglie, onde evitare che pensino di non potersi fare neppure un piccolo graffio.
Naturalmente, qualora dovesse capitare qualcosa di lontanamente grave a un membro della sua famiglia, o a uno dei suoi affetti più in generale, Marcello sarebbe pronto a dare la vita, se fosse necessario, se solo servisse. Per Roberta vale lo stesso, solo che lo dà meno a vedere; di recente, ha imparato ad imitarla.

Quanto l'ha fatto penare. Quanto filo da torcere gli ha dato, con quell'apparente imperscrutabilità, che in realtà lui sapeva aggirare perfettamente, avendo imparato a conoscerla come le proprie tasche anche quando sembrava impossibile poterle estorcere il più piccolo complimento, il benché minimo segnale di speranza per la buona riuscita della loro relazione. Ma lui sapeva. Sperava, certo. Ma sapeva tutto.

E lei, pian piano, cominciò a dargli piccole e grandi soddisfazioni. Fino al giorno del loro matrimonio - e anche oltre - , in cui lo spiazzò completamente, per la prima volta.
Nell'intervallo tra l'ennesima portata e un'altra, Roberta decise di farsi coraggio e prendere la parola. Sapeva troppo bene che, se avesse continuato a rimandare, alla fine le sarebbe passato l'impulso.

"Allora. So che i nostri migliori amici vorrebbero tutti farci gli auguri e spendere due parole per noi, e tra pochi minuti avrete l'occasione di farlo, ve lo prometto.
Prima, però, vorrei fare io un discorso. Gabri è appena tornata da New York e mi ha raccontato che lì, durante i matrimoni, è d'usanza scambiarsi delle vere e proprie promesse personalizzate, durante la cerimonia delle nozze, al di là delle classiche formule di rito. Qui, ovviamente, la Chiesa Cattolica non lo prevede, e non ho neppure pensato di chiederlo al prete; ma ho dato per scontato che avremmo potuto decidere noi, al ricevimento ... Quindi, ho preparato le mie promesse a te, Marcello. Stai tranquillo, so che non hai scritto nulla: era una sorpresa che volevo farti, e non c'è bisogno che mi imiti solo per una questione di parità ... Consideralo il mio regalo di matrimonio per te: in realtà, mi riempi di rassicurazioni e dimostrazioni d'amore, a parole e coi fatti, ogni giorno, e ho come la sensazione che, per via del mio carattere non così espansivo, io non ne dia abbastanza. Quindi, ecco, come prima cosa prometto di dimostrarti più spesso ciò che provo per te, perché te lo meriti".

Suo marito passò dall'essere sorpreso, al sentirsi in colpa per non aver preparato una sorpresa altrettanto personalizzata e unica, all'essere piacevolmente incredulo davanti alla spontaneità con cui Roberta esprimeva i suoi sentimenti più profondi.

"Prometto di crescere insieme a te, ogni giorno di più; di smussare la spigolosità in certi aspetti del mio carattere, o almeno di provarci. Prometto di non darti mai per scontato, ma so, qualunque cosa succeda nella mia giornata o nella mia vita, di poter venire da te, a farmi preparare uno di quei tuoi meravigliosi caffè che farebbero resuscitare anche i morti, e a convincermi anche a mettere qualcosa nello stomaco...
E ascoltarti per davvero, quando mi ricordi che andrà tutto bene, che posso affrontare qualunque sfida mi si presenti davanti: tanto, lo sai benissimo che potrei anche farcela senza di te, ma non lo vorrò mai. Decisamente non potrei dare per scontato un uomo che, negli anni '60, considera la carriera della propria fidanzata come più importante della propria. Se non ti avessi convinto a restare a Milano, avresti rivoluzionato tutta la tua vita per me: uomini come te non capitano tutti i giorni, Marcello Barbieri; ma sei prenotato, ormai.
Prometto anche di non soffocarti con le mie ansie, nonostante sia forse troppo tardi per questo genere di buon proposito, e di ascoltarti, in qualunque momento tu ne abbia bisogno: siamo una squadra, no? Da oggi, siamo anche una famiglia a tutti gli effetti, e della propria famiglia ci si prende cura: ti piace dare a vedere che sei indipendente emotivamente, che sei tu a sostenere gli altri, e, beninteso, non sto negando nessuna delle due cose; ma se mi permettessi di essere al tuo fianco sempre e comunque, per quanto cupa o scomoda possa essere la verità che vorresti condividere con me, sarei la donna più felice del mondo. È da quando stiamo insieme che non ho dubbi sul fatto che la nostra sia una relazione duratura; non è questo ciò che mi stupisce - non sto iniziando a darti per scontato, sia chiaro - , bensì mi stupirebbe il constatare che ti sia reso conto di non essere di peso per me.
Immagino, dunque, di dover promettere di non essere una bambolina di porcellana. Prometto di non essere sempre la solita perfettina maniaca del controllo e di farmi trasportare un po' di più: mi fido di te, lo sai.
Prometto di tornare a casa e non essere troppo stanca per fare semplicemente due chiacchiere con te: è quando si smette di comunicare e si vive col proprio marito come se si fosse separati in casa, che iniziano i veri problemi. Però, magari, una sera a settimana da soli concediamocela. Prometto di tenere conto dei tuoi desideri, delle tue opinioni; di cercare compromessi.
Non posso promettere che, la sera, non andremo mai a dormire arrabbiati, ma ti assicuro che non ti costringerò a dormire sul divano, o peggio, fuori casa; oltre a ciò, spero di avere la saggezza per capire su cosa valga la pena tenere il punto, e cosa invece sarebbe meglio lasciar correre ... Il tipo di automobile è decisamente una di quelle cose su cui lasciar correre: tanto, so che non ti fidi delle mie abilità alla guida. Sì, ragazzi, ogni tanto è imperfetto pure lui. Promessa da marinaio: imparerò finalmente a cucinare senza bruciare forni, padelle, nonché il loro contenuto. Spero.
Forse, prometterti che ti amerò sempre è azzardato, ma voglio provarci comunque.
E spero che questo elenco di promesse non risulti una specie di lista della spesa sterile, come quella che Renzo recitò a Lucia riguardo a cosa avesse imparato, ma siano tutti propositi da realizzare con te".

Se Marcello ripensava al loro rapporto, era proprio il caso di dire che Roberta non gli aveva mai fatto promesse, ma, a giudicare da come aveva svolto gran parte del percorso verso quegli obiettivi che si era posta nelle promesse appena lettegli, le aveva mantenute tutte. Così come, ne era certo, avrebbe continuato a mantenerle.

Terminato il suo discorso, Roberta si avvicinò a Marcello e gli sussurrò: "Desideri aggiungere qualcosa anche tu?"
"Vorrei semplicemente chiederti se pensi che io abbia mantenuto la promessa fatta nel giorno in cui ti ho chiesto di sposarmi: se, secondo te, grazie al tuo amore, sono davvero diventato un uomo migliore"
"Certo che sì. Ogni giorno di più, amore. Sei la dimostrazione vivente del fatto che le cose migliori che possano accadermi, sono quelle che non posso - o non vorrei - programmare. E non hai mai disatteso tutto questo, da quanto ti conosco"
"Non avrei mai potuto aspettarmelo, anche e soprattutto perché credevo di dover aspettare che ti laureassi e avessi una carriera avviata prima di metterti questa fede al dito, signora Barbieri. Ti amo"
"Anch'io e molto, ma non incominciare con questo signora Barbieri. Pellegrino. Eh".

Chi avrebbe mai potuto avvisarli, quel 19 maggio 1963, del fatto che l'amatissima primogenita, Vittoria Emma, avrebbe proseguito l'eredità del padre nel prendere alla sprovvista e spiazzare in positivo Roberta Pellegrino, ingegnere, maniaca del controllo, sotto sotto inguaribile romantica.

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Capitolo 2
*** Until death do us part ... And beyond ***


 
 
"Vittoria, non esiste! No, non esiste proprio che vi fermiate a dormire a Torino! Non mi interessa che Antonio vi passi a prendere domani e vi accompagni in stazione; non ci credo minimamente che in albergo tu dorma in camera con Francesca! Perché non sono nato ieri, ecco perché! Vorresti farmi credere che Samuele ed Edoardo prendano anche loro una camera doppia e se ne stiano per fatti loro? Sì, certo, e io ho sposato Marilyn Monroe ... Scusa amore, naturalmente tu sei molto più bella ... Sì, un attimo, parlavo con tua madre, mi sono distratto! Vittoria, ti ho detto di no. Punto. Vittoria Emma Barbieri, non osare riattaccarmi il telefono in faccia! Vittor ...".
Si girò stupefatto verso Roberta: "Fino a qualche mese fa non si sarebbe neanche mai azzardata a rispondermi male, e ora questo ... È cambiata dalla A alla Z, te lo dico io, e la colpa è tutta di quell'Edoardo! Ah, ma ora Antonio mi sente: che cosa sono queste offerte di passaggi a mia insaputa? Se ci fosse stata una sua figlia ipotetica, al posto della nostra, non avrebbe mai acconsentito, te l'assicuro!"
"Lo credo bene" replicò Roberta, divertita.
Sconsolato e privo di qualunque appiglio, Marcello le rivolse una domanda più che mai retorica: "Dov'è finita quella bambina che mi considerava l'unico uomo esistente sulla faccia della terra e mi supplicava di sposarla, quando sarebbe cresciuta?"
"È sempre lei, ma più grande" rispose sua moglie, intenerita.
"Che tragedia!" sbottò, melodrammatico.
"Ma non credi che stiamo esagerando, Marcello? In fondo, ha già vent'anni ..."
"Appunto! Sapessi cosa facevo io, alla sua età! Certo, galera a parte ... Meglio che tu non lo sappia; preservo la tua ingenuità"
"Veramente, ricordo benissimo cosa IO ho fatto a vent'anni" ribattè lei, sogghignando. "Per una brava ragazza del 1961, era una cosa assai scandalosa lasciare il primo fidanzato per uno scapestrato come te".
Marcello sbuffò, sconfitto. Si avvicinò a sua moglie e le cinse la vita con un braccio.
"Te ne sei mai pentita?".

Che domanda sciocca. Finse di pensarci.
"Sai, fino ai 19 anni ho sempre pensato che i miei studi e, successivamente, il mio lavoro mi avrebbero resa felice, facendo di me chi sono e chi sarei stata. Almeno in parte, avevo indubbiamente ragione: ciò per cui ho studiato e che ora svolgo con passione mi dà una motivazione per alzarmi dal letto ogni mattina, uno scopo ben preciso; mi fa sentire capace, intelligente, mi sprona ogni giorno a voler essere parte di qualcosa di più grande; mi fa sentire indipendente, realizzata, stabile. Probabilmente, senza il mio lavoro avrei perso una parte fondamentale di me e, per fortuna, non è avvenuto neanche dopo due gravidanze e due pargoli in carne e ossa.
Sono anche stata fortunata dal punto di vista dei fidanzati che mi sono scelta: né tu, né Federico mi avreste mai chiesto di rinunciare a tutto questo per fare la vostra mogliettina a tempo pieno, grazie al cielo".

Roberta sogghignò di fronte allo sbuffo malcelato del marito, sapendo benissimo che la presunta rivalità che Marcello ancora esibiva nei confronti di Federico, in realtà era pura scena. Due persone intelligenti, quali Roberta e Federico erano, non avrebbero potuto non restare amici, dopo il tipo di relazione e il tipo di rottura a cui erano andati incontro; e una persona altrettanto intelligente quale Marcello era, non avrebbe potuto non capirlo e rispettarlo, alla luce del loro passato limpido e nel quale, se proprio bisogna essere precisi, era stato lui a intromettersi. Tra l'ex fidanzato e il marito vigeva il più completo rispetto reciproco, tant'è che, spesso, Roberta e Marcello organizzavano uscite a quattro con Federico e Clara, sua moglie, tedesca, più giovane di lui, giornalista impegnatissima e con la quale, almeno nell'imminenza, non erano state programmate delle creaturine. Si dà il caso, infatti, che Federico e Marcello appartessero a quella rarissima specie, all'epoca - ma per certi versi, tuttora - , che non si fa(ceva) intimidire da donne decise, emancipate e determinate a costruirsi il proprio posto nel mondo; anzi, loro le rispetta(va)no ancor di più per questo.
Avendo realizzato che uomini così esistevano, per Roberta non era stato così difficile innamorarsi di loro ... O meglio, questo vale nel primo caso, ovviamente. Ecco perché, ogni tanto, sentiva proprio il bisogno di ricordare a Marcello quanto lo amasse e quanto le fosse indispensabile, ogni giorno di più, da tanti, troppi anni.

"Ma, anche se non volevo né potevo credere a chi mi diceva che l'ambizione non era tutto nella vita, che quando sarei diventata moglie e mamma avrei capito ... E, a onor del vero, Clelia è stata l'unica persona che conosca a usare l'ipotetico 'SE': se avessi voluto diventare mamma ... Beh, avevano proprio ragione. Non so se valga per tutte le stakanoviste sfrenate come me, ma io di sicuro ho capito che, per quanto ami il mio lavoro e per quanto non vorrei mai rinunciarvi, ciò senza cui decisamente non sarei la stessa siete proprio tu e i nostri meravigliosi figli" confessò, con uno dei sorrisi a 32 denti che le spuntavano in viso senza alcuno sforzo da quando aveva potuto dichiararsi prima la fidanzata e poi la moglie di Marcello Barbieri, e infine la mamma di Vittoria Emma e Andrea Francesco.

Ed è di queste parole che Marcello cerca di ricordarsi, ogni volta in cui deve darle la mano per salire le scale, perché una appoggiata alla ringhiera non basta più - anzi, converrà che la spostino di sotto - ; ogni volta in cui le passa le medicine dalla scatola dove sono ordinate per giorni della settimana; ogni volta in cui lei sembra non ricordare piccoli e grandi dettagli della loro vita presente, ma, in maniera sorprendente, ne ricorda moltissimi della loro vita passata, anche "molto" passata, in realtà ... Ogni volta in cui gli sembra di non farcela, a vederla spegnersi piano piano; in cui pensa che sia ingiusto che sia lei ad andarsene per prima, che lui è un uomo ed è risaputo che le donne sappiano sopravvivere a queste cose molto meglio degli uomini, perché rispetto a loro sono molto più forti e autosufficienti; ma soprattutto, in cui pensa che sia ingiusto il venire privato per primo dell'amore della sua vita, della sua persona, della sua migliore amica, senza la quale fatica a stare per pochi giorni, figuriamoci mesi, anni, forse decenni ... 78 anni sono davvero troppo pochi per morire, o almeno lo sembrano a lui, alla luce della Medicina moderna, del benessere, del fatto che da bambina sia sopravvissuta a una Guerra Mondiale, per la miseria!, e poi al risollevarsi da quel dramma, al lavorare mentre studiava, alla loro lontananza, a ben due parti - quando le ostetriche e i ginecologi non erano certamente quelli di oggi -, a una carriera brillante sostenuta mentre era una mamma e moglie presente.

Si è goduta appena vent'anni di pensione, ed ecco che una malattia maledetta deve strappargliela via, consumandola giorno dopo giorno. Ringrazia almeno che non si tratti di Alzheimer, che l'avrebbe resa irriconoscibile agli occhi di tutti quanti e, soprattutto, avrebbe impedito loro di far tesoro di quell'ultimo periodo insieme. Va da sé che i figli e i nipoti, più o meno grandi, passino a trovarli tutti i giorni, e di domenica si piazzino in casa loro dalla mattina fino al pomeriggio inoltrato; ovviamente, nel momento in cui Roberta deve riposare, cercano di non disturbare.

Lei, dal canto suo, si sente la donna più fortunata del mondo nel constatare che la sua famiglia e gli amici più stretti le fanno visita non per cortesia o per senso del dovere, ma per affetto reale, perché in un qualche modo ha lasciato un segno nelle loro vite, e desiderano stare in pianta stabile nella sua per quanto sarà concesso.
Non è mai stata quella mamma presente al primo dentino, forse neanche per tutti i primi giorni di scuola, visti gli impegni lavorativi; ma c'è sempre stata quando era necessario che ci fosse, nei momenti che davvero contavano, magari anche più quotidiani, e pertanto fondamentali, per un consiglio, un incoraggiamento, un sorriso.
È così che si comportava in tutti i suoi rapporti interpersonali: non amava i grandi gesti e le apparizioni clamorose per gli eventi cruciali, e poi sparire subito dopo; le piaceva esserci spesso nella quotidianità.

Marcello, specialmente ora, è il marito più premuroso che si possa desiderare, ma su questo non aveva mai avuto dubbi; a parti inverse, avrebbe messo la mano sul fuoco per una sua scena madre alla: 'Lasciatemi morire da solo: non voglio che mi vediate così e che perdiate il vostro tempo appresso a me, prendendovi cura di questa vecchia carcassa come se foste i miei badanti; sono disposto a spendere fior fior di quattrini per avere del personale apposito; voi ripresentatevi al funerale'. Se la signora Agnese fosse stata ancora in vita, lo avrebbe minacciato di rincorrerlo con una cucchiara per tutto l'isolato, e con l'altra mano, di prenderlo a timpulate forti e mirate, e ne avrebbe avuto ogni ragione. Ma purtroppo o per fortuna, chi può dirlo, quella malata è Roberta, e suo marito è quasi diventato un infermiere specializzato.
Lei non fa in tempo a formulare un desiderio che l'ha già visto esaudito; ma è troppo stanca, anzi, sfinita, per ribattere.
È preoccupata di come Marcello andrà avanti quando lei non ci sarà più, indubbiamente; ma d'altronde, ha sofferto più di chiunque lei conosca e si è sempre risollevato dalle difficoltà senza sforzi ... Certo, questa sarà una bella botta, ma è certa del fatto che la vecchiaia non l'abbia indebolito, e del fatto che Salvo, i loro figli, i nipoti e gli amici gli staranno dietro peggio di mille segugi. È egoisticamente contenta del fatto che tocchi per prima a lei: a dispetto dell'apparenza stoica, forse solo Marcello sa davvero cosa li unisce e quanto lui significhi per lei, e viceversa. Solo loro sono a conoscenza della natura del loro rapporto, della simbiosi che li lega da quasi sessant'anni, ormai; almeno, hanno potuto festeggiare i 50 anni di matrimonio, e hanno reso felici i loro figli.

A dispetto delle sue convinzioni, le dispiace non esserci per gli eventi cruciali della vita dei suoi nipoti, come matrimoni, lauree, nascita dei figli, o durante decisioni importanti che si troveranno a prendere. Gabriele Marcello, figlio di Vittoria, e Virginia Ambra, la bimba che Andrea prese in affidamento a pochi mesi di vita e che poi riuscì ad adottare, avranno bisogno della sua guida, perciò decide di lasciare qualche lettera a loro, ai figli e a Marcello. Per lui, una sola ... Forse la più difficile da elaborare, ma dovrà comunque provarci.

"Amore mio,

È stranissimo scriverti questa lettera senza avere uno scopo ben preciso, un tuo obiettivo per cui consigliarti, incoraggiarti. È ormai da sessant'anni che viviamo tutto insieme, che affrontiamo qualunque situazione mano nella mano, con la stessa andatura o, se serve, rispettiamo i tempi dell'altro/a, per poi ripartire con più spinta.

Qualcosa o qualcuno deve aver deciso diversamente, per gli ultimi anni che trascorrerai in questa vita: ti lascerò solo per un po', e credimi se ti dico che, per quanto sia felice di non dover essere io a fare a meno di te, se dipendesse da me, non ti farei mai un torto simile. So bene di essere insopportabile e piena di difetti, che una vacanza spirituale dal mio caratterino ti farà più che bene ... Ma so anche quanto mi ami, e quanto 55 anni di convivenza, più tre di conoscenza e fidanzamento, non si cancellino così, con un colpo di spugna. Wow, che numeri grandi abbiamo riempito insieme; e dire che mi hanno sempre fatta sentire a mio agio, nel mio mondo, senza mai spaventarmi o atterrirmi ... Sapere di aver avuto così tanto tempo a disposizione da passare insieme a te, invece, mi fa dubitare di non averne fatto il miglior uso possibile; ma in fondo, chi può dire di aver sfruttato appieno ogni secondo e ogni minuto di ogni giorno, mese, anno vissuto su questa terra, no? L'importante, come ho imparato standoti accanto, è sempre e comunque dimostrare l'amore che si prova per le persone che ci circondano ogni volta che si può; solo così si lascia un segno.

È soprattutto l'idea di avere poco tempo a disposizione rimasto a spaventarmi, anche perché non so bene quanto, effettivamente.
Sai benissimo quanto sia stata pessima, specie in passato, nel reagire di fronte alle situazione di cui non ho il controllo; se poi si tratta della mia stessa vita, figuriamoci.
Questa lettera sta diventando più un mio sfogo personale che altro; ma è anche un modo per dirti che sei sempre stato più più di me a dare un ordine ai miei pensieri intricati, che non sapevo sbrogliare se non grazie al tuo aiuto. È grazie a te se sono diventata più brava ad esprimere ciò che provo e a darvi un nome, apparentemente così difficile da scrivere o pronunciare, ma fondamentale per rimettere ordine in testa. Tu sei sempre stato bravo sia nei fatti, che con le parole, ma insomma, ci ho lavorato.

Ho avuto così tante amiche, negli anni ... Alcune, anzi tante, troppe le ho perse di vista, soprattutto quelle che conoscevo dall'infanzia; con altre il rapporto si è un po' affievolito, ma è ancora vivo; con altre si è rafforzato, o per una vicinanza geografica riacquistata, o grazie a un momento della vita in particolare, che ci ha riavvicinate. Di sicuro, posso dire con certezza che Elena, Tina, Gabriella, Clelia e Irene siano i miei punti fermi, a dispetto di qualunque cosa; il rapporto con Angela non c'è neanche bisogno che te lo spieghi, per quanto viva dall'altra parte del mondo con il suo, anzi, il nostro Matteo - che ti adora sempre di più - , sicuramente le videochiamate aiutano.

Ma tu sei il mio punto fermo, decisamente. Sei la mia famiglia, il mio migliore amico, mio marito, e a volte ti piace anche sentirti padre, nonostante l'età e per quanto il mio sia stato ineccepibile, perché è proprio insito nella tua natura, e ti amo per questo. Essere stata presa alla sprovvista da te è stata in assoluto la cosa migliore che potesse capitarmi, anche perché non ci sarebbero i nostri meravigliosi figli e nipoti.
Hai rivoluzionato le mie certezze in un modo che dapprima mi ha atterrita, ma poi si è rivelato necessario come respirare.

A proposito di paternità incorreggibile ...
Grazie perché non sbrani i nostri figli se non si mostrano forti come te. Vedo con quanta fatica ti trattieni dal rimproverarli, ma sai benissimo anche tu che inscatolare le emozioni in un angolo recondito della nostra mente non porta da nessuna parte. O peggio, verso direzioni sconsigliatissime.

Grazie per non esserti mai arreso con me. Non solo all'inizio, ma quando gettare la spugna e uscire da quella porta sarebbe stato infinitamente più facile e liberatorio. Hai sempre e comunque continuato a scegliere me, ovvero noi, come dovrebbero fare tutti coloro che si sposano amandosi davvero, ma in pochissimi riescono; come se i nervosismi, la stanchezza, le liti, le mancanze pesassero più di una vita intera.

Quando mi hai chiesto di sposarti, mi hai detto che se avessi accettato, per te sarebbe stato un onore. Dopo ben 55 anni, credo sia arrivato il momento di dirti che l'onore è sempre stato esclusivamente mio.
Sei un uomo eccezionale, Marcello Barbieri. Forse, anzi sicuramente, da piccolo non te l'hanno detto spesso, e a maggior ragione chi viene a sapere della tua fedina penale non proprio immacolata tende a storcere il naso e a formarsi dei pregiudizi sul tuo conto, anche dopo tutti questi anni. Non sanno quanto si sbaglino, né cosa si siano persi, non conoscendoti. Peggio per loro: più Marcello per tutti noi. Hai regalato a me, ai nostri figli, ai nipoti e a chiunque ti sia stato amico, una quantità di amore incondizionato, una vita stupenda.

Ti aspetterò con un quaderno di appunti in mano, per continuare a far quadrare tutti i conti che lo necessiteranno: ti ho mai detto che sei più intelligente di tanti degli ingegneri che ho conosciuto messi insieme? Beh, ora, se non altro, lo sai. Accetto di essermi rammollita solo per te.

Con amore,

La tua cervellona".

L'unica istruzione lasciatagli era stata quella di aprire la lettera nel momento in cui ne avesse sentito il bisogno; perciò, chiese ai figli di leggergliela pochi giorni prima di morire, per ricevere un po' di conforto. Questo avvenne a malapena quattro mesi dopo la morte di Roberta. Non erano certamente l'unico caso di una coppia che non era riuscita a stare separata a lungo, ma di sicuro, Marcello e Roberta avevano formato un duo indissolubile, destinato a durare in eterno.


 
   
 
 

 
   
 

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Capitolo 3
*** Responsabilità ***


Salvo pregò l'amico di sedersi; stava letteralmente consumando il pavimento del corridoio ospedaliero, a furia di percorrerlo forsennatamente avanti e indietro. Sembrava quasi posseduto.
“Marcello, ti supplico, ti scongiuro proprio; se anche ti fermi per una volta ogni cinquanta minuti, l'intervento non finirà prima” sbottò il socio, al culmine dell'esasperazione per via dell'agitazione implacabile di Marcello. Se ne pentì subito dopo averlo detto e tentò di scusarsi, ma l'anima in pena fece un gesto come per dire: ‘lascia perdere’ e obbedì senza fiatare. 
 
Si sforzò di ricordare un momento della sua vita in cui avesse sofferto in maniera così atroce, e dire che la sua esistenza era stata tutt'altro che tranquilla: era rimasto orfano da ragazzino, avendo avuto per di più un padre incommentabile; lui e Angela avevano versato in condizioni di povertà estrema, per anni; poi, la gravidanza inattesa della sorella, il carcere, la partenza di Angela per l'Australia...
Ognuna di queste situazioni lo aveva dilaniato in misure e forme diverse; ma no, si ritrovò a concludere che niente era stato peggio di attendere di sapere se l'amore della sua vita sarebbe sopravvissuta.
Marcello aveva affrontato tutte quelle altre situazioni con i suoi proverbiali ottimismo e spavalderia, rimboccandosi le maniche e guardando sempre avanti; perché non aveva alternative, ma anche perché, se ti abitui a contare unicamente su te stesso, è solo a te stesso e riguardo a te stesso che devi rendere conto, trovare gli strumenti per affrontare le cose al meglio, rialzarti. 
 
Ma se ti abitui a procedere in due, in particolar modo con una donna come Roberta e avendo per giunta due figli piccoli, tornare ad arrangiarti non ti sembra proprio un'opzione percorribile.
Per non parlare dell'area emotiva, al di là di quella strettamente pratica e di abitudine; Marcello non aveva proprio intenzione di contemplare l'idea di dover fare fisicamente ed emozionalmente a meno della sua metà; perfetta perché era la sua, con i pezzi del puzzle che sembravano non incastrarsi mai davvero, laddove la realtà era che, ogni tanto, la loro mente si divertiva a scombinarli un po', giusto per tenerli in allenamento e non farli adagiare sul rapporto, che aveva trovato il suo incastro in perfetto equilibrio ormai da tempo immemore, anni, forse secoli.
E quel lato irresponsabile di sua moglie aveva decisamente scombussolato tutto. 
 
“Spero sopravviva, così da poterla ammazzare io stesso, con le mie mani.”
A Salvo sfuggì una risata fragorosa. “Amico mio, scusami di nuovo, ma con ’ste minacce non sei proprio credibile.”
“Ma io non sto scherzando. Questo spavento me lo pagherà carissimo.”
“Come se avesse deciso spontaneamente di finire con la macchina in un fosso... Ti prego, Marcello, non perdere la lucidità...”
“Ti sembra che mettere seriamente in discussione le sue azioni avventate, per una volta, sia mancare di lucidità? Credi che si possa reagire bene a quattro ore in sala d'attesa, prima per avere i risultati di tutti gli esami e poi di fronte al blocco operatorio, aspettando di sapere se tua moglie vivrà oppure no perché si ostina a guidare quella maledetta auto ‘per spirito di indipendenza’ nonostante sia chiaramente negata? Non che non possa imparare, con INFINITA pratica in più, perché come dire, è in grado di fare qualsiasi cosa...” -la voce gli si incrinò vertiginosamente, ma fece un profondo respiro e proseguì, inferocito- “Ma io non sarò qui ad assistere, ecco tutto: vuoi perché mi manderà al Creatore, con lo spavento che mi sta facendo prendere; vuoi perché mi sarò immolato per la causa di istruttore di scuola guida avanzata e ci rimetterò le penne; o, molto più semplicemente, nessuno di noi starà qui a guardare perché non monterà più alla guida di un mezzo di trasporto che non sia la bicicletta, finché avrò vita. Anzi, occhio pure con quella, ché la scioltezza di Sofia e Irene se la sogna; a momenti, ci sa andare meglio Vittoria, già senza rotelle. Si sposterà a piedi, accompagnata da me o coi mezzi.” Finalmente, respirò. Uno, due... 
 
Salvo non aveva osato interromperlo: meglio che si sfogasse in quel modo, piuttosto che con una crisi di pianto inconsolabile o, peggio, uno svenimento.
Tanto, sapeva perfettamente che Marcello non pensava davvero nessuna delle cose che aveva detto: era fondatore, azionista e promotore unico e solo dell’associazione che mirava all’idolatria di Roberta Pellegrino in Barbieri dall'alba dei tempi; non le avrebbe mai impedito di fare qualcosa che desiderasse, tantomeno credeva davvero nelle invettive così severe appena lanciate riguardo agli ambiti in cui le abilità della suddetta erano più carenti.
A parlare era il puro, semplice terrore implacabile di un marito innamorato. 
 
Salvo lo capiva perfettamente: era pazzo ogni giorno di più della sua Sofia, una vera compagna a 360°, nel lavoro e nella vita.
Ma sapeva altrettanto bene quanto ogni aspetto del rapporto che legava il socio alla moglie fosse inspiegabilmente unico.
Ci sono le coppie solide, durature, tenere; poi ci sono le anime gemelle, che ovunque e comunque tu le piazzi, riusciranno in ogni caso e circostanza a creare quella magia che in pochi vivono, che non si può descrivere. Se qualcosa si spezza, in queste persone, perché viene a mancare l'altro/a definitivamente, non c'è proprio modo di riuscire a vivere di nuovo; si può sopravvivere, certamente, ma nulla di più.
E, forte di questa consapevolezza, Salvo pregava con tutto il fervore di cui era capace che Roberta uscisse illesa da quel brutto incidente, o perlomeno mantenendo le sue facoltà cerebrali intatte; provava per lei lo stesso affetto che aveva per Tina, oramai, ma soprattutto, non voleva proprio affrontare l'idea del suo migliore amico irreparabilmente, indefinitamente spezzato. 
 
Qualcuno doveva averlo ascoltato, perché il chirurgo, finalmente, uscì dalla sala operatoria e si avvicinò a Marcello.
“L'intervento è riuscito perfettamente; sua moglie non ha riportato danni alla spina dorsale, e il trauma cranico è rientrato. Certo, come avrà visto, è ancora piuttosto acciaccata; niente che non si possa sistemare con un gesso al braccio sinistro e un po' di trucco per nascondere i graffi e gli ematomi” scherzò, per far capire al giovane uomo che aveva davanti di non preoccuparsi. Ne aveva viste tante, in 25 anni di carriera, e di sicuro quell'intervento non era stato dei più determinanti, per la paziente e per lui.
Il sospiro di sollievo che tirarono i due soci si sentì fino a Partanna, probabilmente.
“Sua moglie è ancora sotto anestesia, naturalmente, ma tra un po' dovrebbe svegliarsi. La stanno portando nella sua stanza, quindi tra poco avrà il permesso di raggiungerla. Presumo sia inutile suggerirLe di tornare a casa, darsi una rinfrescata, mangiare qualcosa... Vero?”
L'espressione di Marcello confermò pienamente la supposizione del chirurgo.
“Come immaginavo. Suppongo che possa farsi portare dei ricambi puliti e forse anche l'occorrente per la signora... Lei è il fratello?” sorrise in direzione di Salvo.
“Si può dire di sì” confermò Marcello, posando la mano destra sulla spalla corrispondente dell'amico, che ricambiò la stretta con vigore.
“Non c'è alcun problema, dottore; penserò io a portare a Roberta... Intendo, alla signora Barbieri tutto il necessario.”
“Molto bene. Ora potete rilassarvi. Vi devo lasciare; ho dei post-operatori da controllare e una montagna di scartoffie da compilare. Passerò più tardi anche da Sua moglie. Buona giornata” li congedò.
Marcello si rivolse a Salvo, perplesso: “E poi dicono che i chirurghi sono di poche parole e non si fanno mai vedere... Che brava persona. Grazie di tutto, amico mio.”
“Non dirlo neanche per scherzo. Hai visto che è andato tutto bene? Che ti dicevo?”                         “Ma resta il fatto che non guiderà mai più.”
“Seh, seh; come dici tu. Vado ad avvisare mia madre e Irene, che stanno ancora nella cappella.” Salvo gli strizzò l'occhio e si allontanò a passo sicuro, svelto, festante.
Marcello scosse la testa. Il pensiero di riferire immediatamente a Roberta quell'avvenimento inaudito, e la realizzazione di dover quantomeno aspettare qualche ora, lo colpì con una violenza sorda, atroce. Come avrebbe mai potuto essere separato da lei a vita; come... 
 

 
Stava tenendo la mano sinistra di Roberta tra le sue ormai da un po' di tempo; le sentiva intorpidite, ma non avrebbe mollato la presa per nulla al mondo.
Si era categoricamente rifiutato di lasciare che qualcuno attendesse con lui, in stanza; a maggior ragione, di appisolarsi, anche fosse per pochi istanti. Doveva essere il primo volto, per quanto sfinito, che sua moglie avrebbe rivisto una volta che avesse aperto gli occhi; non c'era alcun margine di trattativa con amici e parenti. 
 
D'un tratto, gli sembrò che Roberta avesse mosso l'anulare: che la fede al dito le stesse portando fortuna? Non era solo un'impressione, infatti: si stava svegliando.
Aprì gli occhi lentamente; li fissò dritto davanti a sé, poi mosse le pupille un po' verso destra, tornarono in asse e, infine, si spostarono nella direzione di Marcello.
Non sarebbe stato da lui, se non avesse sdrammatizzato con una battuta: “Ce l'hai fatta a trovarmi, finalmente.”
Poi, tacque, piuttosto nel panico di fronte a una nuova preoccupazione: che stesse benissimo nel fisico, ma potesse aver perso la memoria; non se la sentiva di tenere aperta la scatola dei ricordi a tempo pieno, portando su di sé tutto il peso di quel passato meraviglioso che avevano condiviso.
Quel dubbio lancinante venne fugato immediatamente: “Marcello...” si sforzò di pronunciare Roberta, lentamente; lui si preoccupò un po', perché la voce non sembrava neanche la sua, ma le fu implicitamente grato di non aver ricorso ai nomignoli, neanche a un banale 'amore'.
Sua moglie si schiarì la voce e ritentò, più sicura: “Devi sempre fare lo scemo?”.
Era fatta. Era lei. Era sempre stata lei. 
 
Marcello si sporse leggermente per darle un bacio sulla tempia e rimasero fronte contro fronte per un tempo indefinito.
“Non farmi mai più una cosa simile.” Non riuscì a trattenersi, a dispetto degli sforzi.
Roberta si girò lentamente verso di lui e domandò, cercando di scandire le parole: “Ce l'hai con me, vero?”.
Lui sospirò. “Non è questo il momento di affrontare l'argomento... Mi interessa solamente che tu stia bene e che ti sia risvegliata. Poi ne parleremo.”
Lei azzardò una battuta: “Mi vuoi lasciare?”.
Lui, che non aveva colto del tutto l'intonazione del quesito, aspettò che la moglie riuscisse a formulare anche un sorrisetto furbo per replicare: “Ti piacerebbe, eh? Ma ormai stai qua; non posso rimandarti indietro, poi chi me le stira, le camicie?” … Come se lo avesse mai fatto; se le stirava lui, da solo, o al massimo, se ne occupava la signora Ortensia. Roberta avrebbe voluto tanto alzare gli occhi al cielo, ma ogni più piccolo movimento le costava fatica, o le veniva impedito dall'intorpidimento generale. 
 
“Forse dovresti avvisare qualcuno... O interessa solo a te che sia ancora tra i vivi?”
“Ti dico solo che Irene è andata in cappella a pregare con Agnese.”
“Sei crudele, Marcello; vorrei riderti in faccia e non posso, o mi salteranno i punti”
“Ma io sono serissimo. Ti dico solo che, quando Rocco ha visto la direzione che stava prendendo, si è preoccupato quasi più di me. Poi ha dovuto per forza tornare in magazzino, ma passerà stasera, credo.”
Il sorriso sconfinato che si dipinse sul suo volto gli fece dimenticare per pochi istanti di avercela terribilmente lei. Solo per poco.
“Vado a chiamare la banda e la fanfara. Tu non muoverti.” Una battuta che solo lui sarebbe stato capace di fare; ma lo amava anche e soprattutto per quel motivo, no?
E com'era bello sentirsi riamati così. 
 

 
Quando Marcello tornò il giorno dopo, rispettando gli orari di visita, dato che li aveva sforati completamente restando anche a dormire di notte, era più che mai determinato a chiarire il punto con Roberta. Aveva voluto lasciare che si riprendesse un attimo, per non sparare sulla croce rossa; ma a maggior ragione dopo ciò che gli aveva riferito Armando, non poteva aspettare ulteriormente.
“Da quanto tempo” ironizzò Roberta; erano passate giusto poche ore da quando si erano salutati e Agnese gli aveva dato il cambio. Era appena andata via, perché non voleva restare troppo indietro con le faccende di casa sua e loro, dato che si era autoproclamata domestica e bambinaia della famiglia Barbieri finché Roberta non si fosse ripresa completamente -noncurante del fatto che avessero già una domestica a ore- . Andare in pensione le aveva infuso ancor di più l'argento vivo, se possibile.
 
Marcello si sedette sulla sedia, grave.
“Roberta, dobbiamo parlare, o rischio di esplodere. La situazione a casa è completamente degenerata: Armando mi ha appena riferito che ieri pomeriggio, Vittoria non si riusciva a tenere per fare i compiti: ha piazzato una scenata isterica al secondo problema che non riusciva a risolvere, quando di norma sta lì anche per ore, pazientemente, finché non ha finito.”
“Ma che stai dicendo? Vittoria?” sbottò Roberta, a dir poco incredula.
“Proprio lei. Ti dico solo che l'ha dovuta portare a fare una passeggiata e a prendere un gelato, per calmarla; fortuna che non ero presente, altrimenti sarei stato capace di smollarle il primo e unico schiaffo della sua vita, dal nervoso.”
“Adesso non esagerare... Sarà stata spaventata per me. Non le avete spiegato che era un'operazione da nulla?”
“Un po’ difficile dissimulare, se sei completamente in panico tu stesso. Deve avermi sentito mentre ricevevo la telefonata che avvisava dell'incidente; ero pallido come un morto, un fascio di nervi.”
“Poverina, mi dispiace... Ma Andrea?”
“Andrea, vista la sua beata incoscienza, è quello che sta meglio di tutti. Ma non è questo il punto”
“Come sarebbe a dire? Sono i miei figli, mi preoccupo per loro”
“Appunto! Appunto, Roberta: dovresti preoccupartene di più! Se non avessi questa fissa di voler guidare a tutti i costi, non ci saremmo mai trovati in una situazione di questo tipo.” sentenziò, duro.
Roberta sbuffò, già spazientita. “Non ci posso credere; non ci molli proprio mai, su questa cosa”
“Finché non migliorerai, sotto le indicazioni di qualcuno di esperto, non prenderai mai più l'auto da sola o ancor peggio, con qualcuno a bordo: ci siamo intesi?”
“Non se ne parla neanche; non mi hai mai dato ordini e non comincerai proprio ora”
“E invece sì, dato che c'è qualcosa di piuttosto serio in ballo”
“Sarebbe?” replicò, provocatoria in quanto infastidita dalla piega sessista che quella conversazione stava prendendo; e chiunque la conoscesse abbastanza bene, sapeva che non avrebbe mai ceduto.
“La tua vita, non capisci?! Nonché la mia e quella dei bambini, di riflesso.”
Il giorno dopo un'operazione avrebbe preferito riposare, ma non era da lei tirarsi indietro di fronte a una discussione che non aveva cominciato, specialmente se basata su pretesti assurdi. “Non essere melodrammatico, Marcello, ti prego; un incidente può capitare a tutti, te incluso, e non mi sono fatta nulla di grave”
“Stavolta! Stavolta ci è andata bene”
La tentazione di cacciarlo fuori dalla stanza stava crescendo a dismisura. “Vorresti insinuare che ce ne sarà un'altra, per caso?”
“Voglio semplicemente mettere bene in chiaro di voler evitare a ogni costo di rivivere ciò che ho passato negli ultimi due giorni. Non so se te ne sia resa conto, ma Vittoria non aveva mai fatto storie, men che meno capricci, per essere stata lasciata sola con Armando o chiunque altro; certo, di solito in caffetteria ci siamo anche io e Salvo, che ogni tanto buttiamo lì due castronerie e veniamo tacitati da Armando, che ci accusa di confonderla solamente.” Gli scappa un sorriso, è inevitabile.
“Non vorrai dire che se l'asfalto era scivoloso e non stavo capendo dove volesse andare quel pazzo furioso, la colpa sarebbe comunque mia!” controbatte lei, determinata a tenere il punto.
“Certo che no; ma un autista più esperto sarebbe riuscito ad aggirare la cosa diversamente. Asfalto scivoloso perché, tanto per cambiare, hai voluto prendere la macchina nonostante piovesse a dirotto.”
Tutte quelle puntualizzazioni avevano un che di surreale. “Perché, tu prima di guidare controlli il meteo, di solito? È perché sono donna? Dillo, già che ci siamo; ammettilo.”
Questa, poi… Rinfacciata proprio a lui. “Non sparare cavolate, sai benissimo cosa intendo! Non voglio dovermi preoccupare per te in questo modo, non è ammissibile, punto.”
“Punto un corno! Punto e a capo. Mi dispiace, Marcello, ma fa parte della vita: anch’io, a volte, mi preoccupo per te, ma non vengo continuamente a fartelo sapere, e men che meno a fartelo pesare.”
 
Marcello era disarmato; non sapeva più in che modo potesse farle capire l’angoscia che provava.     “Ma è possibile che tu non capisca?! Io non voglio contemplare una quotidianità in cui tu non mi rompi le scatole sulla tecnica giusta per piantare un chiodo, o montare la gamba del tavolo; o cambiare le ruote della macchina con i bulloni serrati tutti allo stesso valore di coppia, giusto perché sei forse l’unica donna ad aver imparato come sostituire una gomma prima di imparare a guidare.” Roberta cercò di nascondere un sorrisetto, senza riuscirci; sapeva sempre che punti deboli toccare. “Questa sei tu, siamo noi; io potrei benissimo fare tutte queste cose da solo, ma ti ascolto perché mi insegni sempre qualcosa di nuovo in quanto a precisione e tecnica; così come tu saresti perfettamente in grado di preparare una torta di mele, ma è mio compito ufficiale starti col fiato sul collo, perché Sofia è iper pignola e le sue direttive sono legge. E men che meno voglio pensare a nostra figlia, da sempre autonoma nei suoi pomeriggi, che si strugge all'idea di non poterti raccontare la sua giornata, a sera; o al fatto che Andrea non imparerebbe a conoscerti, se te ne andassi troppo presto.” E ora tirava pure in mezzo i loro figli! Colpo basso, bassissimo; le dighe erano già rotte, a quel punto.
 
“Questa storia che tutti siamo necessari, ma nessuno è indispensabile, è la più grande cavolata mai sentita: tu sei indispensabile per me, per la nostra famiglia; senza di te non siamo niente.”           Stoccata finale, come se servisse farla sentire ancor più in colpa di così. Lei, che aveva passato la sua intera esistenza a cercare di fare sempre la cosa giusta, a non far preoccupare mai nessuno; ad essere autosufficiente, autonoma in ogni ambito, per evitare di dover chiedere aiuto e di far preoccupare. Per una volta, una sola, in cui aveva inconsciamente commesso un’imprudenza che l’aveva posta nella condizione di essere assistita e, soprattutto, di far soffrire chi amava, il fatto che Marcello glielo rinfacciasse con quella durezza sofferente la stava ferendo molto più dell’impatto durante l’incidente. Le persone eccessivamente responsabili convivono assai a fatica col senso di colpa; minimizzare, tentare di scacciarlo, è una tecnica collaudata per accettarlo senza lasciarsene toccare troppo… Ma non può essere una soluzione a lungo termine, per poche che siano le volte in cui lo si affronta.
 
Marcello conosceva a memoria ogni singolo ingranaggio della mente e dei sentimenti della moglie, quasi meglio di quelli fisici che lei spiegava ai suoi studenti; ma non poteva esimersi dal condividere con lei le proprie sensazioni e paure, anche se, per una volta, riguardavano lei in prima persona. Proprio perché le leggeva nel pensiero, si sedette, prendendo le sue mani tra le sue, e la rassicurò: “Amore mio… Non ti dico queste cose perché voglio farti star male, o sminuirti, o dissuaderti dal ‘ritornare in sella’… Quel che volevo dirti è semplicemente di fare un’attenzione in più a quel che fai, perché… Tu sei tutta la mia vita; la nostra vita. È una consapevolezza che devi assumere, per forza”.
Roberta, scura in volto, affermò: “Non posso giurarti che non ricapiterà più… Però mi dispiace.”
“Lo so. Anche a me dispiace di aver esagerato.” Marcello sorrise per stemperare la tensione e il peso di quella confessione, accarezzandole la guancia sinistra con la mano e permettendole di appoggiarcisi contro. “Puoi anche prenderla come una minaccia, eh; quella sulla consapevolezza da assumere”
“Ah, mi è concesso di scegliere, quindi: ‘tengo troppo a te’ versus ‘non puoi liberarti di me’ ”
“Vedi che accollarsi meno pesi aiuta? Cos’è che ti dico sempre?”
“Ah, questa la saprei a memoria anche se battessi la testa mille volte: ‘la vita è troppo seria per prenderla seriamente’… Certo, con quel predicozzo hai dimostrato proprio tutto il contrario…”
“Shhh, andavi bene fino alla frase precedente, bimba.”
“Non avevo dubbi. Ti amo, nonostante e soprattutto perché sei il mio scudo umano.”

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