Work in progress

di MrsShepherd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfect ***
Capitolo 2: *** It's my life/Confessions ***
Capitolo 3: *** Girls just wanna have fun ***
Capitolo 4: *** I'm the greatest star ***
Capitolo 5: *** Brave ***
Capitolo 6: *** Here comes the sun ***
Capitolo 7: *** Roots before branches ***
Capitolo 8: *** Baby it's cold outside ***
Capitolo 9: *** The story of my life ***
Capitolo 10: *** I'll stand by you ***
Capitolo 11: *** Defying Gravity ***
Capitolo 12: *** Mine ***
Capitolo 13: *** Toxic ***



Capitolo 1
*** Perfect ***


CAPITOLO 1: PERFECT
CONOSCIAMOCI…
Riley fissava da dieci minuti il titolo del suo compito in classe, mordicchiando nervosa la penna a sfera blu navy.
Odiava scrivere i temi, non perché non ne fosse capace, anzi le piaceva raccontare un po’ del suo mondo attraverso la scrittura, solo che non voleva condividerlo con il professor Usborne.
Gregory Usborne era un uomo sulla cinquantina, con i denti gialli e le unghie delle mani sempre sporche. Aveva la capacità di parlare per ore di letteratura americana, senza cambiare il tono di voce. Una volta Adam Carr si era pure addormentato. Il professore se ne era accorto e paonazzo si era avvicinato al banco del ragazzo, spostandolo di colpo. Adam per fortuna era riuscito ad appoggiare le mani a terra prima del tonfo, altrimenti si sarebbe rotto entrambi gli incisivi.
Dopo quell’episodio, la classe aveva adottato un sistema di mutuo aiuto: quando qualche compagno stava per addormentarsi, il vicino affibbiava una discreta gomitata nelle costole, forte quanto basta per recuperare un po’ di dignità e non sprofondare in sonni pericolosi.
<< Signorina Lopez. Si è per caso incantata sul foglio? >>. Disse sprezzante Usborne, guardandola con i suoi occhietti neri e meschini. Non amava particolarmente gli studenti, per Riley però serbava un odio profondo, per diverse ragioni: prima fra tutte la sfrontatezza della ragazzina della settimana precedente, quando durante un altro tema dal titolo “Cosa mi piace” aveva scritto:
“Caro signor G.U. non so dire al momento cosa mi piaccia, ma sono certa che non mi piace vedere lei che si spazzola le orecchie con le dita durante la lezione. Gradirei che si lavasse le mani prima di incollare il suo cerume giallo e puzzolente sui nostri temi.” con tanto di prova circondata con il pastello rosso.
Inutile dire che il gesto non rimase impunito. Riley era finita dal preside e il tema gli era costato una F coronata da una nota disciplinare. Sua madre le aveva ritirato lo skateboard e lo teneva ancora sottochiave, perciò Riley considerava il professore come unico responsabile della sua punizione.
<< Lopez-Pierce…>> ringhiò tra i denti la ragazzina stringendo la penna con la mano sinistra.
<< C’è qualche problema?>> rispose il professore alzando leggermente il suo naso lungo e stretto. Riley poté scorgerne secche caccole sporgenti. Aprì la bocca per ripetere ciò che aveva appena detto, ma la sua amica Bette le diede un piccolo calcetto sotto il banco. << Lascia stare…>> sussurrò.
Riley si bloccò e trasformò la sua rabbia in un sorriso falso e cattivo: << Nulla professore, sto solo raccogliendo le idee.>>
Questo bastò all’uomo per abbassare lo sguardo e immergere il naso appuntito nella sua agenda di pelle marrone scuro. Riley avrebbe voluto prenderla per leggerne il contenuto (probabilmente qualche insulto ai suoi studenti), ma questo avrebbe voluto dire toccare il bordo di pelle, intriso di schifezze e orrori provenienti dal corpo del professore. Fece una faccia schifata quando lo vide strofinare l’indice sul retro dell’orecchio e poi mangiare qualsiasi cosa si fosse incastrata sotto quelle unghie unte.
<< Psst. A che punto sei?>> le chiese Bette osservando il suo foglio bianco preoccupata.
Riley continuò a fissare il professore: << Ad un punto schifosamente morto.>>
<< Inizia a scrivere qualcosa…qualsiasi cosa!>>
 
“Mi chiamo Riley Lopez-Pierce. Riley significa coraggio, perciò credo di essere una bambina coraggiosa. Ho 12 anni e vivo a New York con la mia mamma Santana Lopez.”
“Santana la mia mamma ha 35 anni ed è bellissima. Zio Kurt è sempre invidioso di lei e le dice che ha un corpo afrodisiaco. Non so bene cosa volesse dire, ma credo di averne intuito il senso perché una volta mentre eravamo al centro commerciale un tizio le ha toccato il sedere e le ha detto “FACCIAMOCI UN GIRO”. Lei gli ha risposto…più che altro ha gridato cose che non mi è concesso ripetere. Poi si è voltata e si è scusata dicendomi che era un retaggio di LIMA HEIGHTS. Lima è una città dell’Ohio, il posto dove Santana è nata e cresciuta; è a qualche ora di distanza da New York, perciò non ci andiamo molto spesso. A Lima vive l’altra mia mamma, Brittany. Lei è un’insegnante di danza e ha aperto una scuola di balletto insieme ai suoi amici del liceo. I ragazzini ci vanno per studiare e molti di loro poi sono riusciti ad iscriversi a scuole importanti, anche qui a New York, come la NYADA o la Julliard. Santana non torna quasi mai in Ohio; le mie nonne vivono lì però lei dice che non si sente a casa. Il suo posto è qui, nello stato di New York e così è sempre stato anche il mio. Le mie due mamme non vivono più insieme, si sono lasciate quattro anni fa, Brittany è tornata in Ohio e Santana è rimasta qui. Lei è una consulente per cheerleader: cioè le cheerleader che vogliono vincere le competizioni nazionali chiamano lei. E credetemi, non ne ha mai persa una. A Santana non piace perdere, così ha vinto la mia custodia e io devo stare con lei tutto l’anno, fatta eccezione per le vacanze di Natale, Pasqua e quelle Estive, che trascorro con mia mamma Brittany. L’Ohio mi piace, ha tanti laghi e boschi per camminare. Non ho amici lì, quindi passo i miei giorni a casa o in montagna con la mia mamma: con lei ho sempre qualcosa da fare o qualche posto verde da esplorare. New York invece è sempre tutta grigia e Santana non mi porta da nessuna parte (fatta eccezione per il centro commerciale) perché lei ha le sue competizioni e io le mie.
Una persona vincente infatti, cresce figli vincenti, soprattutto se adeguatamente spronati. Fin da piccola mi ha iscritta alle migliori squadre di calcio dello stato e adesso, sono ufficialmente nella rosa delle pantere nere della Andersen Middle school. Non so dire se sono contenta o meno di iniziare un altro campionato, mi piace correre e il mister dice che veloci come me in fascia non ne ha mai viste, però certe volte la paura di non arrivare prima mi terrorizza. Vorrei poter tornare a casa e non sentirmi così spaventosamente mediocre. Quando sono spaventata perdo la testa, mi arrabbio e combino guai. Sono già stata sospesa due volte quest’anno, e due volte l’anno precedente. Una volta ho buttato nel cesso lo zaino di un tizio, ma era un bulletto che aveva picchiato il mio amico Finnegan, il figlio di Rachel. E sempre quel tizio, mi ha messo in guai seri l’anno scorso: mi bloccava nei bagni dicendomi che per quello scherzo “innocente” dello zaino me l’avrebbe fatta pagare, facendomi il culo a strisce, a detta sua. Il culo però gliel’ho fatto io, abbassandogli i pantaloni in mensa. Il preside mi ha convocata dicendo che il bullismo nello stato di New York non è tollerato. Faglielo capire che si è trattata di legittima difesa…voleva espellermi, ma questo avrebbe portato automaticamente al mio abbandono nella squadra delle pantere, che doveva a tutti i costi vincere il campionato, così dimenticò l’accaduto.
Quest’anno ho ricevuto un richiamo perché con Finnegan e Bette abbiamo costruito un razzo e l’abbiamo fatto volare nell’aula di chimica. Il problema è che non avevamo calcolato bene le distanze e il razzo, che lasciatemelo dire era proprio un capolavoro, si è schiantato nell’armadietto dei Bakers, rompendoli più o meno tutti. Inutile dire che siamo stati puniti con diverse ore di servizi socialmente utili. Un mesetto fa invece, ho messo dei petardi sotto le sedie dell’aula insegnanti, ma sono stata colta sul fatto prima che esplodessero. Peccato. Forse questa è stata l’unica sospensione veramente meritata.
Non è che mi piaccia mettermi nei guai, è solo che ho tanta rabbia. È sciocco. E non so nemmeno il perché. Certe volte mi chiedo come sarebbe se non fossi nata a New York, se non giocassi a calcio, se non fossi così come sono. Magari avrei trovato il mio posto.”
Riley capì che le cose da scrivere sulla sua vita erano molte, ma il professor Usborne non le avrebbe apprezzate, quindi avrebbe dovuto fare una cernita.
“L’altra mia mamma si chiama Brittany. Vive a Lima in Ohio, che sta in un altro stato.”
“Probabilmente la domanda che si pongono tutti è chi sino i miei genitori, dato che biologicamente le mie mamme non possono avere un figlio che abbia gli occhi azzurri di Brittany e le curve “afrodisiache” di Santana. La mia mamma Brittany non ne parla mai, al contrario di Santana, che è sempre stata molto sincera, riguardo a questo argomento. Non so chi siano i miei genitori di fatto.
“Sono nata tramite FECONDAZIONE ARTIFICIALE, da un ovulo di una delle mie due mamme a cui è stato messo uno spermatozoo di un uomo che io non conosco, scelto a caso tra gli amici d’infanzia delle mie mamme. Il tutto poi è stato piantato nella pancia di Santana che 12 anni fa ha deciso di farmi nascere.”
<< Ti ho fatta uscire da un piccolissimo buco del mio sedere, quindi ho potere su di te!>> questa è la frase che mi sento dire spesso, quando indosso qualcosa di troppo largo o troppo sciatto, quando non mangio sano, quando lascio la casa in disordine, quando ne combino una delle mie. << Non so da chi tu abbia preso.>> mi dice ogni volta che faccio qualcosa che non le va a genio. Ma è davvero così importante?
“Gioco a calcio nelle pantere di Andersen come fascia. Segno tanti goal. Probabilmente da grande farò l’atleta professionista.”
“Non ho grandi aspirazioni nella vita. Mi lamento perché gli altri decidono per me, ma in fondo mi va anche bene e forse è anche un po’colpa mia. Non sono come le mie mamme, non ho passioni talmente forti da farmi puntare i piedi e spiccare il volo. Non torno a casa la sera tardi con i piedi doloranti per il troppo lavoro. Prendo la vita così com’è. Senza farmi troppe domande né darmi tante risposte. In fondo ho solo 12 anni e confido che prima della fine del liceo abbia l’illuminazione che cerco. Ad oggi però ci vorrebbe un miracolo. Sì, ho il calcio. Dico che farò l’atleta professionista, ma solo perché non mi sento di aver mai provato altro. E se penso che trascorrerò anni d’oro della mia vita adulta a correre dietro ad un pallone, per soddisfare le aspettative di qualcuno che vorrà sempre di più, la cosa non mi soddisfa affatto. Ma che ci devo fare, non so fare altro. Non ho la voglia necessaria per studiare e le alternative nello stato di New York per chi non va al college non sono allettanti.
Quindi sopravvivo. In attesa di un segno che mi faccia finalmente levare le tende da questo posto privo di passone.
Per fortuna, tra tutto questo grigiume monotematico si possono intravvedere delle macchie di colore.
“I miei migliori amici sono Elizabeth e Finnigan”.
Bette è la figlia di Rachel, Kurt e Blaine. È alta bionda, vagamente irritante a volte e con l’inquietante e precoce aspirazione di diventare avvocato divorzista. Frequentiamo la stessa classe e siamo come sorelle, mentre Finnegan è il figlio di Rachel e del suo ex marito Jesse St James. Quest’ultimo è peggio di Voldemort, perché nessuno lo nomina e nessuno ne può parlare: dopo aver origliato una conversazione tra Kurt e Santana, che lui ha lasciato Rachel e Finnigan per una ballerina ventenne di Los Angeles. Ora vive lì e si fa sentire solo con qualche biglietto durante le festività.
Finnigan ci è rimasto malissimo. Non ha più voluto saperne del padre e ogni volta che a scuola lo prendono in giro per questo, scatta come una molla. Spesso sono io che l’aiuto a difenderlo perché è troppo mingherlino per far testa a quegli armadi del terzo anno, che lo prendono sempre di mira. Lui risponde sempre a parole, ma non ha capito che con certi energumeni le parole servono a ben poco. Alla Andersen sei rispettato solo se picchi duro ed è una cosa che hai o non hai. Non diventi un vincente con la gentilezza e l’altruismo, ma lavorando più degli altri e scalzandoli a furia di gomitate tra le costole. È questo che mi è stato sempre insegnato. E fino ad ora ha sempre funzionato. Quando, come si dice qui, “piscio un po’ troppo fuori dal vaso”, ci pensa Bette a raddrizzare la rotta. Bette è l’anima del trio. È la più studiosa e coscienziosa e di solito è quella, che con molta diplomazia e qualche favore qua e là, riesce sempre a tirarci fuori dai guai. Bette ha la capacità di prendere sempre le decisioni corrette al momento giusto, beh quasi sempre, perché quando finisce nei guai con me e Finnegan diventa uno spasso. Se Bette si lascia andare è matta come un cavallo. Ha suggerito lei di preparare il razzo durante l’ora di chimica, perché il laboratorio era l’unico luogo con tutto il materiale necessario perché potessimo creare il propellente perfetto. Dato che mesi prima lì ci avevo creato dei petardi perfettamente funzionanti, il laboratorio di chimica era stato chiuso a chiave nelle pause. Il piano elaborato inizialmente era quello di prendere il materiale, fissarlo sul razzo e farlo partire nel retro della scuola alla fine delle lezioni. Perfetto, 0 vittime e 0 danni. Se non fosse che subito dopo era nata una discussione sul fatto che il razzo funzionasse o meno. Bette sosteneva che il razzo non sarebbe mai partito, mentre Finnegan, che non ha quasi mai ragione, affermava il contrario. La discussione si è talmente esacerbata che alla fine Bette ha praticamente imposto di accendere il razzo in classe, sicurissima che non si sarebbe mosso. Allora Finnegan ha scosso così tanto il razzo che per poco non volava giù dalla sedia e io l’ho acceso con un accendino rubato in portineria. Non mi importava se sarebbe partito o meno, in qualsiasi caso avrei vinto un gadget al Disney Store di Time Square insieme al vincitore, che era il premio per la scommessa. Poi il razzo è partito e per una volta, Finnegan aveva avuto ragione. Ci hanno messi in punizione tutti e tre, ma, nonostante ciò, Bette era più amareggiata di aver perso la scommessa piuttosto che di dover subire una settimana di “lavori forzati”.
I nostri genitori si sono arrabbiati molto per l’accaduto e non ci hanno permesso di stare insieme per due lunghe settimane. La sera stessa mentre noi tre eravamo seduti dietro alle pareti della cucina di Kurt e Blaine ad origliare, gli adulti hanno avuto una lunga discussione. Pare che questa volta, a differenza delle altre fossero tutti molto seccati con Santana per il mio comportamento. Dissero che stavo peggiorando e che ero diventata una cattiva influenza per i loro figli; mi aspettavo che la mia mamma mi difendesse, ma tutto ciò che si limitò a fare fu rimanere in silenzio a braccia conserte e portarmi via per un braccio a casa a metà della serata. Neanche loro si sono parlati nelle due settimane successive. E nessuno di noi ragazzi ha fatto obiezioni; tanto non era una vera e propria punizione, ci vedevamo comunque a scuola.
La cosa però mi turbò molto e mi lasciò molte domande che mi ronzano nella testa ancora adesso.
Insomma, sono davvero una brutta persona? Sono davvero una calamita per i guai? Le mie scelte sono davvero così sbagliate?”
Riley guardò Finnegan che era stato spostato due banchi più avanti a lei e a quello di Bette. Non poteva vederlo in faccia ma a giudicare da come i suoi riccioli scuri si muovevano avanti e indietro poteva giurare che stesse scrivendo molto e che non aveva mai smesso. Da quando aveva cambiato posto i suoi voti erano nettamente migliorati, un po’ perché sua madre Rachel non gli lasciava nemmeno il tempo di respirare, ma sicuramente anche perché non si trovava più in mezzo a due ragazzine adolescenti boriose e svogliate, che lo tediavano con questioni inutili e distraenti.
<< Vedo che è molto distratta signorina Lopez.>> la rimbeccò il professore. << Tic tac….tic tac.>> e indicò con le sue dita luride l’orologio da polso ancorato al suo braccio villoso. Persino i suoi peli sembravano unti e viscidi.
Riley si risvegliò da uno stato di trance, sospirò e rilesse le poche righe scritte. Uno schifo. Due interminabili ore per cinque misere righe. Ma come faceva a scrivere un tema sulla sua vita se nemmeno lei sapeva bene chi fosse?
Già immaginava la faccia di sua madre all’ennesimo voto basso ed era inutile dire che il professore Usborne ce l’avesse con lei. In questo caso i fatti parlavano da soli. Questo tema era un obbrobrio.
<< Che palle…>> sussurrò.
Bette si sporse leggermente verso il su banco, allungò il collo e dopo aver letto il lavoro della compagna sgranò gli occhi.
<< Come va?>> chiese con un filo di voce.
<< Come vedi.>> puntualizzò spenta Riley.
<< In due ore hai scritto solo questo?!>>
Riley si girò gongolando verso l’amica: << Eh già. Curioso vero?>> sentenziò sarcastica. Non aveva affatto bisogno di altri giudizi sul suo misero operato.
Bette scosse la testa e allungò il foglio verso di lei. << Dai una lettura veloce. Prendi spunto dal mio.>>
Riley guardò le quattro pagine fitte scritte dalla ragazza, cominciò a leggere la prima riga ma saltò in aria, come tutti i compagni di classe, spaventata da un urlo improvviso.
<< Ah-ha! Colte sul fatto!>> G.U. si era alzato di scatto puntandole il dito contro.
<< Infami, stavate copiando. Nella mia ora!>>
<< Che esagerazione…>> puntualizzò gentilmente Bette, alla quale sembrava di essere nel bel mezzo di una commedia Shakespeariana. << Professore, se mi permette, trovo difficile copiare un tema personale. Insomma, non posso mica scrivere la mia vita copiando la sua. >> disse indicando Riley che nel frattempo scuoteva la testa allibita.
<< Non lei signorina Hummel. Ho visto chiaramente la signorina Lopez leggere il suo tema. Vuole negare?>>
<< No, ma…>>
<< E allora la questione è chiusa. L’ennesima battuta d’arresto per la signorina Lopez che ora si alza e mi consegna il suo tema.>>
Riley era senza parole, guardò Finnegan che nel frattempo si era voltato e ricambiava il suo sguardo con un’espressione triste e comprensiva.
<< Ancora una volta, si è mostrata per quello che è…IL TEMA!>> continuò il professore.
<< Ma signor Usborne!>> cercò di intervenire Bette in difesa dell’amica, che non aveva nemmeno la forza di ribattere.
<< Inconcludente, irrispettosa…vuota!>>
<< La smetta!>> scattò in piedi Finnegan, buttando inavvertitamente l’astuccio a terra.
Il professor Usborne lo gelò con uno sguardo.
<< NO!>> urlò Riley e in classe piombò il silenzio. Sospirò e guardò gli amici amareggiata.
<< Lasciate perdere. Questo uomo di Neanderthal non cambierà mai idea.>> si alzò, mise le sue cose nello zaino e si avviò verso il professore.
<< Sono Lopez- Pierce comunque.>> concluse guardandolo fisso negli occhi. Poi si avviò verso la porta.
<< Non osare lasciare la mia lezione!>> disse lui con la penna scritta in pugno. Ma Riley era già in corridoio.
<< Tanto avevo già finito!>> urlò.

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Capitolo 2
*** It's my life/Confessions ***


CAPITOLO 2: IT’S MY LIFE CONFESSIONS
Riley si alzò dal letto e staccò il cellulare dal caricatore. La sveglia sarebbe suonata pochi minuti più tardi. Non aveva dormito molto perché era preoccupata per le lezioni pomeridiane. Oggi il professor Gregory Usborne avrebbe riconsegnato i temi. Aveva avvisato la classe all’inizio della settimana, guardando Riley con un sorriso beffardo. Probabilmente avrebbe preso un’insufficienza e questo avrebbe voluto dire niente skateboard per un’altra buona settimana. Riley si chiese se si sarebbe più ricordata come salirci.
Preparò i pancakes e prima di svegliare la madre andò a prepararsi.
Si pettinò i capelli castani raccogliendo le ciocche davanti in una coda dietro la nuca, lasciò che gli altri le ricadessero morbidi sul collo, come delle piccole fronde ondulate.
Portava due orecchini color ambra e un piercing ad anello sull’orecchio destro, che le davano un aspetto elegante e indipendente. Aveva due occhi verde muschio, attenti, che si posavano su ogni cosa e due labbra piene, che spesso mordicchiava sui lati quando era nervosa.
Indossò una maglietta a maniche corte a righe bianche e rosse, un paio di jeans a tubo risvoltati in fondo, una giacca di denim più scura e le sue Vans nere preferite. Aveva poche certezze nella vita, una di queste erano le sue scarpe. Le davano sicurezza; sentiva che con quelle ai piedi avrebbe potuto correre chilometri se ce ne fosse stato bisogno. E forse oggi sarebbe stato uno di quei giorni.
Sospirò davanti allo specchio, facendo scrocchiare tutte le dita delle mani. Poi si avviò in camera della madre.
Santana era ancora a letto. Dormiva. Riley la guardò sorridendo teneramente.
Sua mamma era una forza della natura. Tutto per lei era una sfida, che sapeva prendere di petto. Viaggiava a velocità doppia e dovevi stare al suo passo, perché non aveva tempo di voltarsi indietro e tenderti una mano. Faceva così nel lavoro, ma anche nella vita. E Riley si sentiva sempre metri dietro di lei. Era affascinante, ma anche estremamente frustrante. Sua madre aveva poco tempo per starla a sentire e Riley ne era consapevole. Se si fosse abituata a ciò, quella era tutt’altra faccenda.
Riley conosceva però anche il lato più intimo di Santana, quello che non voleva mostrare a nessuno. Sapeva quanto fosse faticoso per lei alzarsi la mattina, così come quanto le piacesse trovare pancakes, caffè e mela fresca appena alzata. Riley si svegliava sempre prima di lei, le preparava la colazione e andava a svegliarla, ma rimaneva sempre qualche minuto ad osservarla, così immobile, ferma nel tempo…non l’aveva mai detto a nessuno, ma quello era decisamente il momento migliore della giornata.
Si alzò dallo sgabello d’acciaio a tre gambe e si avvicinò alla mamma. Dormiva prona sul letto, abbracciando un vaporoso cuscino di piume d’oca, il resto del corpo era coperto da un piumone grigio tortora che la riparava dal freddo di fine Autunno.
Riley le scoprì un po’ le spalle e si chinò accarezzandole la schiena: << Mamma…>> la chiamò dolcemente: << È ora.>>
Santana strizzò gli occhi senza aprirli e mugugnò qualcosa di incomprensibile che fece sorridere Riley. << Tra 10 minuti sono pronta.>>
 Santana si presentò in cucina poco dopo, con i capelli lisci sciolti fino alla schiena e un vestito prugna molto elegante, dal quale spuntavano due collant nero vedo non vedo. Aveva un corpo perfetto, che non era appassito minimamente negli anni. Appoggiò la borsetta nera lucida su una sedia e si sedette a mangiare i pancakes con la figlia, che nel frattempo stava facendo le parole crociate.
<< Dimmi un indovinello.>> le disse soffiando sul caffè fumante.
<< Più la tiri, più si accorcia.>> disse la bambina staccando gli occhi dal foglio.
Santana ci pensò su poi addentò un pancake spiccia… << Non so, la maglia?>>
<< La maglia?>>
<< Sì, quella di lana…tu cosa dici?>>
<< Credo sia la sigaretta>> rispose Riley mettendo una forchetta in bocca. << Se la tiri, diventa più piccola.>> mimò il movimento del fumatore.
<< E tu come lo sai?>> disse la mamma con un sorriso indagatore. Attaccò l’ultimo pancake: << Anche la maglia però.>>
<< Sì.>> disse Riley sospirando. Pensò che avesse creato il terreno giusto per introdurre l’argomento: << Ehm…che fai oggi?>> chiese con falsa riluttanza giocherellando con la colazione.
<< Vado alla Columbia per le prove con la squadra, penso che mi ci vorrà tutto il giorno.>>
“Vestita in quel modo?” pensò Riley, ma decise di tenersi per sé quest’ultima opinione. << Torni tardi?>>
Santana smise di sorseggiare il caffè e lo posò sul tavolo << Può darsi…perché?>> chiese la donna lentamente, con sguardo inquisitore.
<< Nulla.>> si affrettò a dire a figlia: << Chiedevo.>>
Santana sospirò: << Riley, c’è un motivo per cui non dovrei fare tardi? >> disse con calma apparente scandendo ogni parola, memore delle volte in cui la scuola l’aveva chiamata i mesi precedenti.
<< Io…>>
<< Riley…>>
<< Non credo, insomma…>>
<< Che hai combinato>> il suo sguardo si fece più intenso. Riley deglutì a fatica la colazione.
<< Niente.>> disse. E pensò di essere stata abbastanza convincente dato che la madre spostò lo sguardo sul telefono per rispondere a qualche messaggio. Mise i piatti nel lavandino e inforcò la borsa con una mano e la giacca nera in loden con l’altra. Si avvicinò alla figlia e la guardò storta, cercando di capirne i pensieri.
<< Posso andare a scuola in skateboard stamattina?>> chiese la figlia con occhi dolci.
<< Scordatelo.>> rispose la mamma stampandole un bacio sulla guancia. << Mi farai morire.>> sentenziò scherzosamente prima di richiudersi la porta alle spalle.
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<< Secondo me stai esagerando.>> Bette la raggiunse con una pedalata e si piazzò esattamente accanto all’amica. << Vedrai che Neanderthal non farà lo stronzo questa volta.>>
<< Non lo farà?>> ribatté Finnegan affiancando la coppia di amiche.
<< Ehi!>> lo rimbeccò Riley: << Non tagliarmi la strada.>>
Il ragazzo non se ne curò e continuò la conversazione portando la sua solita vena di ottimismo: << Insomma, l’hai visto l’altro giorno. Non sembrava nemmeno umano da quanto era arrabbiato.>>
<< Grazie Finn, grazie tante.>> rispose l’amica sempre più sconsolata.
<< Dico solo che hai fatto bene a dirlo, almeno è pronta.>>
<< Pronta ad ammazzarmi, forse. Stamattina mi ha detto che la farò morire prima o poi.>>
<< Oh, ma sono cose che dicono tutti i genitori>>. La rassicurò Bette. << Mio papà quando abbiamo lanciato il razzo mi ha detto che gli ho fatto venire l’ulcera.>>
<< Chi, Kurt?>>
<< Blaine. Kurt ha detto che gli ho fatto venire uno sfogo nervoso.>>
<< Ehi Bette, dici che mi verrà il naso come il tuo?>> si inserì Finnegan dubbioso.
<< Ma cosa c’entra scusa…?>>
<< Niente, ma dato che siamo fratelli ci pensavo…>>
<< Deficiente! Semmai sono io che ho preso il tuo! >> le rispose offesa sferrando un calcio alla ruota dell’amico. Finnegan perse l’equilibrio e finì fuori dalla ciclabile, direttamente in strada.
I tre ragazzi urlarono terrorizzati quando una Prius nera suonò diretta verso il ragazzo, che sterzò repentinamente verso il marciapiede. Riley l’afferrò per il colletto della felpa prima di cadergli sopra, trascinando anche Bette per terra.
Riley, Bette e Finnegan si alzarono doloranti da terra. Riley si guardò le mani sbucciate e i jeans entrambi strappati sulle ginocchia, poi si voltò verso gli amici per accertarsi che stessero bene.
<< Doppiamente deficiente!>> disse l’amica seccata pulendosi da un cespo di foglie ingiallite che avevano evidentemente attutito la sua caduta. Finnegan si sentiva tremendamente in colpa: << Oddio. Sono rotte. Siamo spacciati, arriveremo in ritardo e ci uccideranno.>>
Riley, guardò l’orologio. Mancavano pochi minuti all’inizio delle lezioni e lei era ancora lontana dalla scuola, con i vestiti strappati, e la catena a terra. Finnegan aveva ragione. Era veramente spacciata.
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<< Il trio è arrivato in ritardo oggi…>> sogghignò a denti stretti Gregory Usborne
<< Ci si è rotta la bicicletta…>> si giustificò sussurrando Finnegan.
<< A tutti e tre?>> ringhio il professore sprezzante.
<< Alla prima ora…noi ora siamo alla terza.>> disse Riley.
<< Poco importa. Un ritardo è un ritardo e sarà segnalato a chi di dovere. Se non è stato già fatto.>>
<< Riley devi stare zitta.>> le sussurrò Bette al suo fianco: << O peggiorerai la situazione.>>
<< Già devo stare zitta…>> disse la ragazzina guardando impietrita la pila di temi che il professore aveva tirato fuori dalla sua cartelletta di cuoio ammuffita. Lì dentro c’era anche il suo.
Man a mano che il professor Usborne chiamava i nomi dei compagni sentiva il suo cuore farsi più pesante e l’espressione delusa sul volto della madre sempre più vicina e nitida nella sua testa. Toccò a Finnegan che non appena lesse il suo voto si voltò, mostrando il tema alle due compagne, con un sorriso che gli arrivava fino alle orecchie.
<< B+. >> indicò con il dito. Riley gli rispose con un pollice alzato e un sorriso forzato. Aspettando il suo turno come un imputato al patibolo.
<< Riley Lopez>> ringhiò G.U. sfregandosi le mani. Riley inghiottì tutta la paura e si avvicinò alla cattedra.
<< Uomo morto che cammina!>> sentì sussurrare da qualcuno accanto a lei. Si sporse per vedere il voto, ma il tema era rivolto a faccia in giù. Allungò la mano per afferrarlo, ma Usborne fu più rapido di lei e lo tirò verso di sé. << Preferirei discuterne con qualcuno di più competente.>>
Riley abbassò la testa; sapeva bene cosa volesse dire quella frase. Santana l’avrebbe raggiunta nel pomeriggio, saltando tutte le prove possibili della sua super squadra di cheerleader.
Fu solo quando tornò a posto che si rese conto che G. U. non aveva ancora fatto il nome dell’amica. Bette stava seduta con le mani arpionate al banco e gli occhi sbarrati. Riley le appoggiò una mano sulla schiena e le diede una leggera spinta che la fece alzare quando l’uomo alla cattedra pronunciò il suo nome. Le consegnò il tema sena dire nulla.
Bette si sedette con le lacrime agli occhi, tenendolo stretto in mano per minimizzare l’onta di vergogna che la stava investendo dalla testa ai piedi. Riley prese il suo tema, lesse il voto dell’amica e tutta la sua rassegnazione si tramutò immediatamente in rabbia. Si drizzò dalla sedia e inveì contro il professore: << Spero stia scherzando.>>
<< Prego?>>
<< Perché quel voto?>> gridò irritata.
Bette la tirò per la giacca in denim invitandola a sedersi. Ma Riley era già partita in quarta.
<< Stavate copiando. Inequivocabile.>> ribatté il professore con un’espressione da freddo calcolatore.
<< Ma si svegli. Bette ha scritto quattro pagine. Quattro! E io cinque fottutissime righe. Come avrebbe fatto a copiare scusi?!>>
<< Il male si nasconde in ogni angolo più recondito.>>
<< E la scemenza invece ce l’ha tutta lei.>>
<< Riley basta.>> mormorò l’amica alzandosi e afferrandola per le spalle.
<< Ha superato il limite signorina Lopez.>>
<< è un vero stronzo.>>
<< RILEY BASTA!>> disse in lacrime Bette, per poi scappare fuori dall’aula con le mani sul volto.
In classe regnava il silenzio più assoluto. La tensione tra Riley e Gregory Usborne si poteva tagliare con un coltello.
<< Professore>> disse Finnegan: <>
<< Non si muova.>> ringhiò G.U. tenendo gli occhi fissi su Riley, che non accennava minimamente ad interrompere quel contatto visivo.
Finnegan ignorò l’ordine del professore e uscì dalla stanza, con o stupore di tutti. Riley, conscia che il rispetto e l’autorità del professore si stavano sgretolando sotto ai suoi occhi, sollevò un sopracciglio sprezzante.
Gregory Usborne spostò lo sguardo sul tema della ragazzina e sempre tenendolo coperto lo rinchiuse nella sua cartelletta.
<< Riferirò tutto ciò che è successo questo pomeriggio.>> sentenziò scandendo ogni parola.
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Quel viaggio in macchina verso casa sembrò interminabile. Riley si era seduta sui sedili posteriori, per sfuggire alle occhiatacce della madre, che comunque le dedicava sguardi fiammeggianti dallo specchietto retrovisore. Un senso di nausea le pervadeva tutto il corpo; aveva provato ad abbassare il finestrino per farselo passare, il vento tra i capelli le aveva sicuramente dato un po’ di sollievo, ma Santana aveva subito tirato su i finestrini, perché voleva fare una chiacchierata a quattr’occhi con la figlia e il rumore intermittente dell’aria non rendeva il momento abbastanza drammatico.
Durante il colloquio con il preside e il professor Usborne Riley non era stata ammessa, era rimasta chiusa in macchina della madre, a mangiarsi le unghie per una buona mezz’ora. Avrebbe voluto scappare e tornare a casa a piedi, o magari restare a dormire da Finnegan o Bette, ma entrambi gli amici non le avevano più parlato per tutto il giorno. Forse era stata colpa sua, non avrebbe dovuto rispondere ad Usborne in quel modo. Le stava venendo il panico: aveva la sensazione che questa sua ultima bravata fosse stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: Bette e Finnegan non le avrebbero più rivolto nemmeno uno sguardo, già sentiva la voce di Rachel risuonare nella sua testa “tua figlia è deleteria” e Santana…oh, Santana non l’avrebbe più guardata allo stesso modo. Non l’avrebbe più guardata. E questo la spaventava più di tutte.
Quando scorse la madre ancheggiare verso la macchina tirò un respiro di sollievo, che si tramutò immediatamente in panico quando la vide togliersi gli occhiali da sole e fulminarla con uno sguardo raggelante.
Entrò in macchina, non disse nulla e cominciò a guidare verso casa. Quel silenzio pesava, ma Riley non aveva il coraggio di aprire bocca, per paura che le parole della madre scivolassero fuori come saette in un temporale.
<< Salti la partita.>>
<< Cosa?>>
<< E gli allenamenti. Per una settimana.>> disse secca la donna.
Riley sospirò fregandosi il volto con le mani.
<< è il meglio che sono riuscita ad ottenere.>>
<< Ok.>> Rispose la bambina torturandosi le mani.
Santana continuò piatta: << Hai altro da dire?>>
<< Bette non stava copiando.>>
<< Lo so. >>
Gli occhi di Riley si illuminarono di speranza: << Mi credi?>>
<< Non ho detto questo.>> disse guardando Riley afflosciarsi cupa sul sedile. Sospirò e scosse la testa.
<< Dovevi restare zitta Riley.>>
<< Dovevo dire qualcosa!>>
<< No invece.>>
<< Mamma quel deficiente ha dato a Bette una F! A Bette! Per una cosa che non aveva nemmeno fatto.>>
Santana guardò la figlia sorpresa per un attimo, poi si ricompose e sospirò: << Non era affare tuo…>>
<< Avrei dovuto asciare Bette così…a piangere per una cosa che non aveva fatto? Come fa a non essere un problema mio!>>.
Santana accelerò di colpo è Riley sussultò aggrappandosi con due mani alla cintura. Si sentiva il vomito fino alle orecchie. Guardò la mamma con la faccia pallida in attesa che continuasse il discorso e supplicandola in silenzio di guidare piano.
Santana lo notò e alzò una mano in segno di scusa: << Mi hanno dato l’ultimatum oggi Riley.>> respirò forte con il naso e guardò la figlia riflessa: << Un’altra cazzata e sei fuori.>>
<< L’hanno detto anche l’ultima volta.>>
<< Già, ma questa volta sono d’accordo. Non possono tenerti ancora, non se ti comporti così.>>
<< Ma non ho fatto niente! Stavolta…>>
<< Dio santo Riley stavolta…c’è sempre una scusa buona per te! È possibile che non riesci a capire la situazione?!>>
Riley incrociò le braccia seccata: << Spiegamela te allora, visto che sai sempre tutto...>>
<< Questa è la nostra migliore opzione. Se fallisci nessuna scuola ti prenderà. Nessun istituto vorrà avere l’onere di sobbarcarsi una ragazzina con problemi di comportamento e un rendimento non così eccellente. Andrai in scuole mediocri e la tua educazione crollerà a picco.>>
<< Ah è questo il problema allora…>> ribattè furiosa la figlia: << Non essere al top per Santana Lopez. La leggenda di New York!>>
<< Smettila Riley…vedi come fai?!>>
<< Ammettilo che non sono la figlia che vorresti. Dodici anni fa hai perso la tua libertà e adesso la sconfitta brucia!>>
<< Riley basta.>>
<< Hai fallito come madre, hai fallito come compagna, un bel fallimento per la campionessa di New York!>>
Santana inchiodò l’auto in mezzo alla strada, facendo scattare Riley in avanti che picchiò la testa contro il sedile anteriore. La figlia si portò le mani sul volto, respirando forte per smaltire tutta la frustrazione che aveva in corpo. Santana allentò la presa sul volante e le sue nocche gialle e contratte tornarono del colore normale.
<< Scendi.>>
<< Cosa?>>
<< Adesso prendi le tue cose, scendi dall’auto e te ne torni a casa a piedi.>> espirò: << Ti fai una bella doccia e rifletti sul tuo comportamento deludente. Poi domani vai a scuola a piedi e recuperi la bicicletta per il ritorno.>>
Santana scese dalla macchina, aprì la portiera e attese sul lato della strada che la figlia uscisse. Riley spuntò silenziosa, con l’Eastpack viola in spalla, dalla Ford Fusion nera laccata e guardò la mamma, come un cane bastonato guarda il suo padrone.
La donna le porse un foglio di carta: << Scegli bene quali battaglie combattere Riley. >> disse prima di risalire sull’auto. << Non aspettarmi alzata.>>
Riley Lopez Pierce guardò il foglio con il suo nome scritto sopra. C-.
Vomitò sul ciglio della strada. Adesso si che era nei guai.
Sua madre non si fece vedere la sera e non fu in casa nemmeno il mattino dopo. Riley trangugiò una tisana e qualche biscotto. Lasciò un messaggio scritto su un foglietto alla madre e si avviò a piedi verso la scuola. Fu una giornata grigia. Nessuno si fermò a parlare con lei. Nemmeno Finnegan e Bette, che cercavano di evitarla come la peste. A fine scuola prese la bicicletta rotta e si incamminò verso casa. Iniziò presto a piovere e Riley ne fu grata. Con la pioggia nessuno avrebbe potuto notare le sue lacrime.
 

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Capitolo 3
*** Girls just wanna have fun ***


CAPITOLO 3: GIRLS JUST WANNA HAVE FUN
Riley aspettò che La porta di casa si chiudesse e quando ne fu veramente sicura scattò dalla sedia e si diresse in camera da letto. Si infilò la sua tuta adidas preferita, nera con le inconfondibili strisce bianche sui lati, la sua storica giacca in denim, le Vans, lo scaldacollo, cuffie per la musica e usci furtiva da casa. Corse per una trentina di minuti, scegliendo le vie principali, con il volto coperto per evitare di essere vista e poi raggiunse uno spiazzo a due isolati dalla Andersen school. Guardò in alto e lesse: CYRUS MAGNUS LUNAPARK. Lasciò finire la canzone di Billie Eilish e poi varcò la soglia del parco giochi; sapeva che lì ci avrebbe trovato Finnegan e Bette, perché ne avevano parlato a scuola e lei aveva origliato la loro conversazione. Sapeva che era un’occasione d’oro per chiarire le cose. Zampettò come un segugio tra la folla, con le mani in tasca e gli occhi vigili, in attesa di scorgere la testa riccioluta dell’amico. Cinque minuti dopo li vide intenti a mirare con una finta carabina una serie di lattine per vincere.
<< Serve una mano?>> chiese avvicinandosi ai due.
Bette roteò la sua alta coda di cavallo color miele verso di lei e la osservò sorpresa. Indossava un Loden verde salvia con gli alamari neri e una gonna tutta pieghe dalla quale spuntavano due gambe ossute e un paio di stivali foderati. Alla vista dell’amica strinse lo schioppo giocattolo tra le mani così forte che Riley credette volesse colpirla ed esitò.
Finnegan fece un passo avanti, prese il fucile dalle mani dell’amica e glielo porse con un mezzo sorriso. Riley ricambiò, mettendogli tra le mani una monetina, poi prese la mira e iniziò a colpire i bersagli uno dopo l’altro. Alla fine, il trio riuscì a rimediare un unicorno gigante che venne regalato a Bette, decisamente meno arrabbiata di prima.
Dopo un’ora, il sole era tramontato e Riley doveva tornare a casa, in tempo per arrivare prima della mamma che sarebbe rincasata di lì a poche ore. Era contenta di essere riuscita a trascorrere un pomeriggio tranquilla con i suoi amici e nonostante tutto, si sentiva molto leggera. Era riuscita, anche se per poche ore, a non pensare a nulla. Nessuna partita di pallone, nessun Gregory Usborne ad infastidirla, niente mamma con il fiato sul collo. Solo lei, i suoi amici e quello che sapeva fare meglio: correre e divertirsi.
Saluto Finnegan e Bette, rispettivamente con un abbraccio e con una stretta di mano. Si ricalò il cappuccio in testa e impostò il timer sul bracciale di 30 minuti.
<< Ehi, aspetta!>> la chiamò Bette prendendola per una spalla. << Senti io…>> sussurrò guardando per terra.
Riley si tolse le cuffie e la guardò intensamente. I suoi occhi verdi incontrarono quelli nocciola dell’amica, che stavano iniziando a gonfiarsi di lacrime. Riley le prese la mano.
<< Parlo io, se per te va bene.>>
Bette annuì tirando su con il naso.
<< Mi dispiace per tutto quello che è successo. Io non ho mai voluto metterti nei guai. Giuro che se potessi tornare indietro starei zitta. Anzi, non avrei nemmeno sbirciato sul tuo foglio.>>
<< Usborne è uno stronzo. E l’unica cosa che vuole fare è metterci una contro l’altra>>.
<< E ci è riuscito mi pare…>>
<< Siamo state stupide. Ma la prossima volta andrà diversamente.>>
Riley alzò gli occhi al cielo e si strinse nelle spalle: << Non ci sarà una prossima volta. Non da me almeno. Mi hanno dato l’ultimatum.>>
<>
<< Il preside l’ha detto a mia mamma. Un'altra cazzata e sono fuori.>>
<< Fuori nel senso…sospesa?>> chiese l’amica temendo la risposta che si aspettava.
<< No, fuori, fuori. Dalla scuola. Mi manderanno via.>>
<< Impossibile. Non succederà.>> sentenziò Bette categorica.
<< Tu lo dici, ma non serve un genio per capire che combino solo casini. Insomma, guarda cosa è successo con il tuo tema…>>.
<< Lo considero uno scivolone che non si ripeterà se è questo che vuoi…>> disse a Riley alzando le mani in segno di resa. << In fondo anche Annalise Keating ha perso qualche processo nella sua carriera.>>
Riley rivolse a Bette uno dei suoi rari e illuminanti sorrisi. L’amica ricambiò con un abbraccio che le scaldò il cuore.
<< Peccato…quella F non l’ho proprio digerita. Avrei tanto voluto fargliela pagare…>> la canzonò Riley sciogliendo l’abbraccio.
<< Odio essere arrabbiata con te.>> rispose l’amica.
<< Facciamo che mi devi un favore. Che riscuoterò al momento opportuno.>> Si alzò il colletto del cappotto. << Ora ti conviene andare, altrimenti tua mamma ti scoprirà…>>
<< Già.>> disse Riley guardando l’orologio: << Sarà il mio giro più veloce.>>
<< Vado ad aggiornare Finnegan che si sarà gelato il naso a stare dietro alle nostre litigate tra donne.>>
<< Conoscendolo avrà svuotato mezzo negozio di frittelle.>>
<< Peggio ancora.>> disse Bette salutando l’amica con la mano, che ormai si era avviata.
<< Grazie per l’unicorno!>>
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Riley rincasò esattamente un paio di minuti prima che la mamma aprisse il pesante portone di casa. La ragazzina aveva appena fatto in tempo a sistemare il cappotto nell’armadio e a rivestirsi, ma aveva ancora il naso e la punta delle mani ghiacciate e sperò con tutto il cuore che la madre non le notasse.
Nascose le dita tra le cosce e completò al volo un’espressione di matematica, tanto per dare l’apparenza di aver studiato qualcosa.
<< Fatta matematica?>>
<< Quasi tutta.>>
<< Cinese stasera?>>
<< Si dai, sto morendo di fame.>>

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Capitolo 4
*** I'm the greatest star ***


CAPITOLO 4: I’M THE GREATEST STAR
Il piano di Bette aveva funzionato alla grande. Riley aveva rigato dritto: non un’insufficienza, nessuna lite nei corridoi, nessun comportamento insubordinato. Finnegan e Bette si comportavano come i bodyguard delle celebrità: accompagnavano Riley ovunque andasse, anticipandole ogni angolo ed evitando i luoghi frequentati da gente con cui la ragazzina aveva avuto qualche screzio passato. A Riley divertivano parecchio i loro discorsi in codice e tra sé e sé pensava che forse avessero preso quel compito troppo sul serio, ma in fondo le piaceva passare un po’ di tempo con i suoi amici, che da lì a breve non avrebbe visto per due intere settimane. Si stavano avvicinando le vacanze di Natale e Riley avrebbe trascorso le festività da Brittany in Ohio, come tutti gli anni. Bette e Finnegan sarebbero rimasti a casa con Blaine, Kurt, Rachel e Santana, che da quando si erano trasferiti a New York, amavano festeggiare il Natale “in famiglia”, come diceva sempre sua madre, e guardare la cerimonia del nuovo anno nella piazza di Times Square. Riley avrebbe tanto voluto prendere parte ai festeggiamenti, ma sapeva che quelle settimane erano le poche che poteva trascorrere con Brittany e passare del tempo con lei era egualmente importante. Riley adorava tutto di Brittany: i suoi occhi azzurri come l’oceano, il sorriso gentile, il suo modo di fare sempre dolce e attento; si volevano molto bene e durante il periodo che Riley trascorreva a Lima, Brittany non aveva occhi che per lei. Ogni giorno trovava sempre qualche ora da dedicarle e la ragazzina si sentiva molto amata. Le settimane a Lima erano come una pausa dalla vita frenetica di New York e Riley era ben contenta di non dover confrontarsi sempre con il mondo, di non dover dimostrare nulla a nessuno, ma di essere semplicemente lei.
Quella mattina si era alzata di buon umore, nonostante il solito tempo bigio cittadino. Spalancò la finestra e una ventata di aria gelida rinfrescò tutta la stanza: il freddo pungente e le decorazioni natalizie per le strade significavano solo una cosa per lei. ATLETA D’INVERNO.
Ogni anno, prima delle vacanze natalizie, la Andersen middle school organizzava una grande cerimonia in auditorium, nella quale veniva premiato, con tanto di statuina in falso oro, lo studente o la studentessa che avevano ottenuto ottimi risultati dal punto di vista atletico, accompagnati però da ottimi voti e da una condotta esemplare. Solitamente il premio andava a René Bjorken, una promessa dell’atletica leggera simpatica quanto un pennello secco intriso di colla vinilica. Quest’anno però, anche Riley si era candidata e aveva buone possibilità di vincere, perché al di fuori degli indiscussi insuccessi del calcio, anche i suoi voti erano nettamente migliorati. Spinta dall’entusiasmo di Finnegan e Bette, aveva iniziato a studiare ed impegnarsi sul serio, ottenendo A e B in tutte le materie, tranne in italiano, che nonostante i suoi sforzi, aveva sempre una C risicata, questo confortava un poco Bette, che con una punta di invidia (molto nascosta) sentiva usurpato il suo ruolo di migliore del trio. Riley non l’avrebbe mai ammesso, ma in queste settimane aveva scoperto un piacere segreto per lo studio e per la lettura. Era diventata segretamente famelica di novità e divorava libri e documentari in tv con la stessa velocità con cui macinava chilometri sul campo. Non aveva nemmeno più il tempo e le energie per combinare guai. Ora aveva uno scopo: dimostrare alla madre di valere qualcosa, di essere meglio di come lei si aspettava, di non essere per lei una delusione.
Doveva solo superare la giornata e il premio sarebbe stato suo. Bette le aveva detto che le probabilità erano tutte in suo favore: sicuramente perché la commissione di valutazione era l’unica a cui Gregory Usborne non prendeva parte, ma anche perché il premio sarebbe stato il giorno dopo la sua ultima partita. Secondo uno studioso che Bette aveva citato molte volte, ma che non aveva fatto breccia nella memoria di Riley, gli eventi successi per ultimi sono quelli che restano più impressi. Quindi disputare una buona partita quella sera stessa, avrebbe portato alla vittoria assicurata.
Preparò la colazione, la borsa calcio, andò come tutte le mattine a svegliare la madre e si mise a leggere. Quando la madre entrò in cucina e la vide immersa nel suo libro non poté fare a meno di sorridere.
<< Cosa leggi di bello?>> chiese soffiando sul caffè bollente.
<< Fannie Flag. Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle stop.>> rispose la figlia senza alzare gli occhi dal libro.
<< Interessante?>>
La figlia annuì, addentando un pancake inzuppato di succo d’acero.
Anche a Santana piaceva molto leggere. Quando era alle superiori tra una pausa e l’altra tirava sempre fuori il cellulare e mentre tutti i suoi amici pensavano che stesse consultando qualche rivista gossip online, in realtà le era immersa in letture di pagine segrete, fotografate la mattina stessa e impresse nella memoria del telefonino. Alcune volte era talmente presa dalla lettura che finiva i capitoli fotografati in mattinata e passava tutto il pomeriggio con la voglia di tornare a casa per continuare le sue storie, delle quali sognava sempre di prendervi parte. La realtà era che la lettura l’aveva salvata. Quando aveva appena compiuto dieci anni il padre era uscito a comprarle il regalo di compleanno e non era più tornato. Mesi dopo si scoprì che aveva un’altra famiglia in Indiana e che i numerosi viaggi di lavoro erano in realtà visite di piacere. Sparì completamente lasciando la madre senza un soldo e senza lavoro. Santana passava le giornate da sua nonna, che aveva l’abitudine di raccontarle storie avvincenti sempre nuove e soprattutto, sempre a lieto fine. Quando frequentò le medie decise di iscriversi come volontaria alla biblioteca della città, non era un lavoro pagato, ma di tanto in tanto il bibliotecario allungava qualche mancia che il comune di Lima donava per la manutenzione dei libri. Non era tanto, ma bastava per pagarsi le lezioni di danza. Parallelamente frequentava anche dei corsi propedeutici di ginnastica gratuiti, tenuti da Sue Sylvester, che poi sarebbe diventata il suo coach durante il liceo. Le restanti ore libere le trascorreva con il naso immerso nei libri, un passatempo piacevole che addolciva le sue giornate. Quest’abitudine continuò anche alle superiori, anche se la sua posizione “popolare” non le permetteva di ostentarlo al mondo. Solo Brittany, la sua fidanzata, sapeva di questa sua passione, perché durante i pomeriggi trascorsi insieme a studiare Santana si sentiva libera di poter aprire i suoi libri, senza sentirsi minimamente giudicata. Ricordava con nostalgia quei momenti spensierati, nei quali le uniche preoccupazioni erano i vestiti, le acconciature e con quale cavaliere sarebbero andate al ballo della scuola. Ricordò il ballo a tema dinosauri organizzato da Brittany e quella bellissima fotografia con lei che faceva il segno di “vittoria” con le dita, ricordò i sorrisi, gli abbracci, i baci e le parole dolci e per un breve istante ebbe il desiderio di essere ancora lì, ferma nel tempo. Come era arrivata a tutto ciò? Ad inseguire la fama correndo da un posto all’altro, a vivere senza godersi la vita e i suoi affetti più cari. A perdere l’unica persona che l’aveva sempre accettata per quello che era.
La sua mente attraversò altri momenti, più bui, a New York: le sere in cui rincasava tardi, gli sforzi per arrivare a fine mese, i litigi con Brittany per l’educazione di Riley ed infine la scelta di separarsi per sempre. Era stata davvero la decisione giusta?
Dopo anni Santana non era ancora riuscita a darsi una risposta, sapeva solo che lei era bravissima a prendere delle scelte sbagliate sotto pressione, per poi pentirsene poco dopo.
<< Sai, l’ho letto anche io…>> disse rimanendo incantata nei suoi pensieri.
Riley sollevò lo sguardo sorpresa: << Davvero?>>
<< è stato…è stato tanto tempo fa…>>
La donna si guardò in giro, cercando di scacciare tutti quei ricordi dalla testa, osservò la borsa bordeaux della figlia appoggiata sul lato corto del divano panna.
<< Hai tutto?>> disse indicandola con il naso. Riley chiuse il libro e lo appoggiò sulla mensola della cucina.
<< Penso proprio di sì>>.
<< Sono forti?>> chiese Santana riponendo il suo piatto nel lavandino.
<< Abbastanza. Ma la vinciamo.>>
<< è lo spirito giusto, brava.>> le rispose con fierezza.
Riley si avvicinò alla mamma, nascose le mani nelle tasche della tuta fornita dalla squadra, anch’essa bordeaux e disse abbassando il tono di voce: << Sai, non te l’ho detto perché avevo paura di non essere dentro ma, in queste settimane mi sono impegnata tanto e…sono tra i candidati per l’atleta di inverno. Non è molto ma, insomma per il futuro…>>
Santana la strinse tra le braccia e la sollevò da terra entusiasta: << Ma stai scherzando!? È una notizia spettacolare! I licei ti cercheranno e faranno la fila per averti nella loro scuola. È fantastico!>>
<< Non c’è ancora nulla di certo, perché oggi c’è la partita, ma se gioco bene, cioè se la vinco…insomma magari…>> disse Riley infilando il mento nel colletto della tuta.
<< Certo che la vinci>> tagliò corto Santana con un grande sorriso: << Anzi, che ne diresti se venissi a vederti?>>
Gli occhi verdi di Riley si illuminarono raccogliendo tutta la luce presente nella stanza e sulla sua bocca si formò un sorriso. << Dici sul serio?>> rispose, non credendo a quello che aveva appena sentito: << Riesci ad esserci?>>
<< A che ora è?>>
<< Alle 18.>>
Santana ci pensò un attimo, ma poi disse senza troppi problemi: << Massì! Non capita tutti i giorni che tua figlia riceva un premio. Ci sarò!>>
<< Mamma il premio me lo danno domani, se l’ho vinto.>> rispose gioiosa Riley.
Santana si chinò verso la figlia, le abbottonò la giacca e le mise il pesante borsone sulle spalle.
<< Non ho alcun dubbio.>> disse scoccandole un bacio in fronte e sistemandole la chioma arruffata: << Ora va’ e fatti valere.>>
Riley si diresse verso la porta di casa al settimo cielo, pronta per uscire e salire sulla macchina di Rachel, che oggi faceva il turno mattutino per portare i ragazzi a scuola. Prima di chiudersi la porta alle spalle rivolse un ultimo sguardo verso Santana: << Mamma!>> la chiamò: << Sei contenta?>>
Santana le sorrise dolcemente: << Certo. E tu?>>
Anche Riley sorrise. E uscì.
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“Resta calma, resta calma”.
Chiusa nello spogliatoio sentiva le urla dei tifosi nel piccolo stadio della Andersen Middle School. Non era una partita come le altre questa, c’era di mezzo il premio dell’atleta d’inverno, tutti ne parlavano e l’ansia la stava divorando da dentro, come un verme famelico che addenta una mela.
Doveva solo giocare bene e non pensare alle sue mani strette sulla piccola scarpa decorata in falso oro. Chissà se fosse pesante o leggera, magari non era nemmeno nulla di che. Scosse la testa allontanando questi inutili pensieri, per sessanta minuti avrebbe pensato solo al calcio e a nient’altro.
Zero pressione.
Guardò l’allenatore, che come sempre dedicava i pochi minuti prima della partita per il suo discorso motivazionale.
<< Ragazze.>> iniziò: << Abbiamo tra di noi la futura campionessa d’inverno.>>
Appunto.
<< E mi rifiuto di lasciare il titolo alla Bjorken quest’anno. Questa partita non è come le altre. >> indicò Riley con le sue grandi mani rosse e callose per il freddo: << Questa volta la partita è sua. Lei deve brillare. Perciò ogni passaggio, ogni tattica, ogni uscita, deve finire con lei che segna. O almeno che prenda attivamente parte all’azione. Intesi?>>
Le ragazze annuirono e Riley si sentì profondamente in imbarazzo; sapeva bene che era la più forte della squadra e questo non le era mai importato molto. Dava sempre il massimo ad ogni partita cercando però di supportare anche le compagne, che giocavano per divertirsi ed erano molto migliorate. Questa volta però rimase zitta e annuì come le altre. C’era in ballo tanto, forse troppo e non aveva alcuna intenzione di rinunciarvi.
<< Ora mi rivolgo direttamente a te.>> disse l’allenatore parandosi davanti. Il suo capo stempiato rifletteva la debole luce al neon dell’umido spogliatoio sotterraneo. << Senti quelle urla là fuori? Sono tutte per te. Sono la tua forza e la tua carica. Ora tu esci e lì stendi tutti e alla fine della partita non uno di loro tornerà a casa dicendo “Quella Lopez è scarsa”. Vinci e dimostra loro quanto vali.>>
Riley chiuse gli occhi e impallidì. Tutta la squadra si mise in fila e cominciò ad uscire sul campo da gioco. Riley fece appello a tutto il suo coraggio e varcò la soglia che portava al campo della Andersen Middle School. E lo stadio esplose.
Strinse gli occhi per ripararsi dalla pioggia che le pizzicava il viso e cercò tra gli spalti gli unici volti conosciuti ai quali avrebbe realmente prestato attenzione.
Riparati sotto la tettoia, con il naso nascosto nelle sciarpe, Bette e Finnegan agitavano le mani, con la speranza di essere visti dall’amica; accanto a loro Kurt e Blaine, stretti tra loro indicavano la loro figlioccia e poco più accanto c’era Rachel, visibilmente infreddolita e con le mani sul naso per la paura di essere colpita dalla palla. E poi c’era lei, il suo inconfondibile cappotto in loden scuro e il colbacco grigio in finta pelliccia. Era riuscita veramente ad esserci.
Riley la salutò con la mano e poi si concentrò per la partita, aspettando impaziente il fischio d’inizio.
Evidentemente la strategia di puntare solo su Riley non era quella vincente; avevano sfiorato il goal un paio di volte, ma poi i continui passaggi su di lei erano risultati sempre più prevedibili e in pochi minuti gli avversari l’avevano raddoppiata. La pioggia scrosciante aveva fatto il resto. Alla fine del primo tempo le pantere di Andersen erano ancora a secco e Riley si sentiva esausta, fradicia e dolorante per tutti i colpi subiti dagli avversari che le impedivano di tenere palla.
<< Ragazze>> aveva detto all’inizio del secondo tempo: << Questa partita la dobbiamo portare a casa. Lasciate perdere la strategia del coach e ascoltate la mia.>> Le ragazze avevano fatto gruppo intorno a lei e ascoltavano la compagna più esperta con orecchie attente. Riley si sistemò la fascia di capitano: << Giochiamo come al solito. Non passatela per forza a me. Se si presenterà l’occasione segnerò, altrimenti, facciamo girare palla al centro campo, appena troviamo un buco la mettiamo agli esterni, cioè io. Attacchiamo subito, per evitare che ci prendano sul tempo. Se c’è spazio rientriamo e tiriamo, altrimenti si passa alla punta che fa l’uno due o segna.>>
<< E in difesa?>>
Riley si pulì il volto dalla pioggia: << Palla agli avversari, ci chiudiamo e spingiamo col corpo le fasce d’attacco verso l’esterno, senza schiacciarci.>>
La squadra parti con più frecce al suo arco rispetto al tempo precedente, perché riuscirono a tenere testa ai tori rossi della New York Middle Empire.
Dopo dieci minuti, le pantere erano passate in vantaggio, grazie al goal sottoporta di Lindsey Johnson, la punta della squadra che era riuscita a sfruttare l’assist di Riley in scivolata. Pochi minuti più tardi le squadre erano finite in pareggio, per un intervento troppo duro del difensore Amber Parrots sull’attaccante avversario, che le era costato un rigore.
Riley si sentiva le gambe pesanti e le sembrava di essere dentro un film, tutti si muovevano rapidamente per il campo, mentre lei si sentiva incatenata al terreno. Aveva corso talmente tanto che le cosce le pulsavano e sentiva i polpacci bollenti esplodere nei parastinchi. Cercò di levarsi le gocce di fango dal viso pulendosi con la spalla della maglietta fradicia e stava per fermare la sua corsa, quando vide Maryem Zinab il terzino della squadra lanciare il pallone verso di lei. Nonostante la pioggia negli occhi, riuscì con uno stop perfetto a mantenere viva la palla, ma sentì subito due avversarie chiudersi dietro di lei e attaccarsi con il petto verso il suo corpo. Erano molto più alte e l’avrebbero sicuramente buttata a terra, così decise in un nanosecondo di appoggiarsi con la schiena e di saltarle con un sombrero. Le due ragazze non poterono far alto che vedere la palla volare sopra le loro teste, mentre Riley sfruttava la loro spinta per mettersi in piedi e girarsi completamente. Sgusciò via dalle due ragazze e recuperò immediatamente palla, un’avversaria la bloccò sulla fascia in prossimità della linea, ma lei riuscì a scartarla, tirando la palla verso l’interno del campo, uscendo dal campo per poi tagliare in obliquo al doppio della velocità. Ormai aveva fatto breccia nelle fila nemiche, avanzò di qualche metro, fino a ritrovarsi sotto porta, fece una finta al portiere che si buttò a sinistra e tirò secca dall’altro lato. Nello stadio si udirono boati di gioia; a pochi minuti dalla fine Riley Lopez Pierce era riuscita a segnare e quel goal valeva tanto. La ragazzina venne travolta dalle compagne, che la buttarono a terra e la abbracciarono, immergendola nel fango. Quando si rialzò Riley pesava almeno due chili in più ma non le importava, voleva solo guardare la sua mamma dritta negli occhi e urlarle che finalmente ce l’aveva fatta. Spostò lo sguardo sugli spalti in direzione della sua famiglia e alzò entrambi i pollici in aria in segno di vittoria. Tutti ricambiarono saltando animatamente sul posto e agitando in aria ombrelli e cappelli. Persino Rachel aveva tolto le mani dal naso ed esultava indiavolata verso la sua direzione. Riley sorrise. Poi guardò meglio. Santana non c’era. Accanto a Rachel era rimasto un posto vuoto. Subito si guardò in torno per vedere se per caso si fosse spostata a bordo campo o in un’altra zona, ma non la vide. Perse immediatamente il sorriso e a testa bassa ritornò in campo per giocare gli ultimi minuti. Non mollò nemmeno di un centimetro, forse era arrabbiata, forse era concentrata, forse voleva il premio più di ogni altra cosa, ma nonostante la delusione continuò fino alla fine. Quando l’arbitro fischiò sua mamma non c’era ancora. Scosse la testa e percorse la strada che la portava alle docce: fu fermata da molti, che le facevano i complimenti o le chiedevano un selfie, proprio come aveva previsto il suo coach. Era tutto quello che aveva sempre sognato, ma non si sentiva felice. Era solo triste, perché aveva fatto il goal più importante della sua vita e sua mamma non era rimasta lì a vederla. Non doveva sentirsi così, in fondo non era né la prima né l’ultima volta che Santana saltava una sua partita, ma la speranza che lei fosse presente per una cosa per lei così importante, aveva preso il sopravvento. Si fece la doccia e pianse, lacrime di rabbia, lacrime calde e amare, poi per paura che le compagne se ne accorgessero, si versò accidentalmente un po’ di shampoo negli occhi, lamentandosi a voce alta per il bruciore della schiuma. Quando si rivestì, un’ora dopo era come nuova. La tuta del mattino ricadeva aderente sul suo esile corpo e i capelli arruffati ora profumavano di pulito e di vaniglia. Uscì dallo spogliatoio e fu subito accolta dagli applausi di tutti. Santana era ricomparsa e le si avvicinò strizzandole una mano sulla spalla.
<< Non sono riuscita a vedere tutto tesoro. >> le disse sorridendo fiera: << Ma mi hanno detto che stasera li hai fatti secchi tutti.>>
<< Li abbiamo. Tutte insieme>> la corresse la figlia.
<< Riley la tua modestia mi commuove.>> trillò Rachel radiosa: << Mi domando da chi tu possa averla presa.>> sogghignò tirando una frecciatina alla madre, che scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
<< Beh, sono le otto passate. Che ne dite se andiamo a mangiare tutti insieme?>> chiese Blaine gioviale.
Bette e Finnegan erano entusiasti della proposta e saltellarono scuotendo l’amica per le spalle.
<< In realtà avevo promesso a Riley che avremmo fatto una cenetta di sole donne io e lei.>> precisò Santana.
<< Scusaci, non sapevamo che era un incontro privato per mamma e figlia! >> La canzonò civettuolo Kurt.
<< Noi avevamo detto così, vero Riley?>> chiese la madre alla figlia: << Però se vuoi possono unirsi anche loro.>>
Riley guardò tutti con l’aria di chi si sente in dovere di fare quello che le era stato appena chiesto, ma le scoppiava la testa e non aveva proprio voglia di festeggiare.
<< Sì, però in realtà sono stanchissima.>> simulò un finto sbadiglio: << Scusatemi, ma correre sotto la pioggia mi ha distrutto…poi quella doccia calda! Sto buttando fuori tutta la fatica e credo che chiuderò gli occhi appena toccherò il letto.>>
Poté leggere l’espressione di delusione sugli occhi dei presenti, soprattutto di Bette e Finnegan, che speravano di poter essere ripagati di tutti quegli sforzi dell’ultimo mese di fronte ad una pizza dal formaggio fumante e filamentoso.
<< Ma possiamo fare domani o dopo!>> aggiunse: << O quando avrò veramente il premio tra le mani!>> concluse con un sorriso forzato.
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Riley era stanca e sconfortata, si sentiva le palpebre pesanti. Si strinse nella giacca di denim, che però non le teneva più così caldo e si lasciò cullare dallo scorrere ritmico e veloce dei lampioni sulla strada. Chiuse gli occhi e si addormentò tremando.
Santana parcheggiò la macchina sotto casa, spostò Riley leggermente dal lato del guidatore in modo da non farle male una volta aperta la portiera. Sua figlia dormiva già profondamente, provata dalla valanga di emozioni giornaliere. Scaricò prima tutte le borse in casa, poi tornò e la ritrovò nella stessa identica posizione, assorta in un sonno profondo. Si chinò e la sollevò. Stava diventando grande, ma era ancora una ragazzina minuta tutta pelle ed ossa e finché restava “la sua bambina” Santana poteva ancora permettersi di prenderla in braccio. La tenne stretta e al caldo, fino a che non arrivarono nell’appartamento. Una volta entrate, l’adagiò delicatamente sul letto, levandole giacca e scarpe. Andò in bagno, svuotò la borsa infangata direttamente in lavatrice e torno dalla sua bambina. Riley dormiva con la testa leggermente piegata da un lato, respirando silenziosamente, senza emettere alcun rumore. Come faceva quando sua figlia era piccola, Santana le appoggiò una mano sul cuore e si rassicurò nel sentire il battito, accompagnato dal suo respiro regolare.
Riley voltò la testa dall’altro lato e una lacrima rigò il viso corrucciato. Santana turbata l’asciugo con la punta delle dita. Poi si chinò a baciarle entrambe le guance e la fronte, un rituale abituale che usava per farla addormentare quando era piccola.
“Un bacio da Brittany. Uno da Santana. E uno per la bambina più importante del mondo.”
Riley era il suo mondo e le voleva bene più di se stessa, anche se non glielo diceva così spesso.
<< Sono molto fiera di te.>> Le sussurrò commossa.

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Capitolo 5
*** Brave ***


CAPITOLO 5: BRAVE
Riley si svegliò rinvigorita. La delusione del giorno precedente era quasi del tutto sparita e un nuovo sentimento stava prendendo posto nel suo cuore: l’orgoglio.
Oggi sarebbe stata la sua giornata: era spuntato finalmente il sole, aveva vinto la partita e il premio sarebbe stato praticamente suo.
Si alzò dal letto pimpante, si vestì e fece colazione con la madre, fu un momento felice e raramente spensierato, che alimentò il sorriso e l’autostima di Riley. Stamattina era il turno di Santana per portare i ragazzi, che salirono in macchina allegri. Finnegan cantò durante tutto il viaggio e Bette lo accompagnò solo nelle canzoni che conosceva. Il ragazzino riccioluto dagli occhi color corteccia sapeva quasi tutte le canzoni che passavano in radio. La madre Rachel, cantante professionista si occupava personalmente della sua formazione artistica, dandogli lezioni di canto giornaliere. Non c’era musica che Finnegan non conoscesse e che le sue squillanti corde vocali non sapessero intonare. Bette invece aveva una dolce voce bianca che serbava solo per le sue canzoni preferite. Stravedeva per gli One Direction e più che altro si limitava a cantare quelli. Un repertorio piuttosto limitato rispetto a Finnegan, che era in grado di mettere in musica anche i bugiardini dei medicinali. Riley non cantava, neanche credeva di saperlo fare, si limitava a tenere il tempo e ad ascoltare gli amici e i loro genitori, che alle feste dedicavano sempre una canzone a qualcuno dei presenti. Non si era mai posta il problema se sapesse cantare o meno e nemmeno Bette e Finnegan se l’erano chiesti; la loro amicizia era sempre stata complementare: Finn era la voce, Bette la mente e lei le gambe. Sapeva correre e questo le bastava. Soprattutto oggi.
Ascoltò gli amici cantare a squarciagola battendo il tempo con le mani e prima di scendere dall’auto scrisse un messaggio a Brittany. Aveva l’abitudine di scrivere sempre un pensiero alla madre, anche banale, su cosa avrebbe fatto durante la giornata. Le piaceva renderla partecipe della sua vita e sapeva che ad entrambe questo faceva bene. Si videochiamavano tutte le settimane, ma per lei questo piccolo rito era una certezza e si sentiva di averla sempre un po’ accanto a lei.
“Ciao mamma, oggi sarà una bellissima giornata. Ieri abbiamo vinto la partita e ho segnato! Oggi mi consegneranno il premio di ATLETA D’INVERNO. Lo dedico a te e alla mamma. Buona giornata, ti voglio bene!”
Sorrise nuovamente e si apprestò a scendere dall’auto; era come se la felicità quel giorno le si fosse appiccicata addosso e niente o nessuno avrebbe potuto strapparla via. Nemmeno il ghigno beffardo di Renè Bjorken che la guardava con occhietti malefici. Ma stava guardando proprio lei?
Riley si girò e vide Santana che rientrava nell’auto e metteva in moto. Rimase interdetta, ma il suono della campanella non le diede il tempo di elaborare.
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La mattinata era trascorsa veloce, senza alcuna turbolenza. Riley aveva ascoltato la pesante lezione del professor Usborne con il cuore leggero e nell’ora di chimica era riuscita a ricavare il DNA di un kiwi senza sforzo e soprattutto senza rompere nessun Baker.
Durante la mensa lei e i suoi amici erano stati invitati a sedersi con alcune compagne di squadra, per pranzare insieme e rivivere i momenti più salienti della partita.
<< Non ho mai preso così tanta acqua in una partita sola! >> constatò il portiere Dorothy Windthorpe.
<< Eh beh ci credo, eri tutta spugna tu! >> la prese in giro Zinab, per il modo in cui era costretta a vestirsi ad ogni partita, con pesanti imbottiture su braccia e gambe per proteggersi dagli urti durante i tuffi.
<< Effetto spugna per i piatti >> risero le compagne.
<< Ridete ridete! >> mugugnò lei con finto broncio: << Però Riley dopo il bagno di fango che le avete fatto era sicuramente più zuppa di me! >>
<< Concordo. >> confermò la diretta interessata alzando entrambe le mani in segno di resa.
<< Beh dopo la magia che ha fatto con i piedi, ci stava tutta l’esultanza dai! >> commentò Lindsey Johnson mimando uno chapeau.  
<< Sono d’accordo. >> disse Bette gustandosi la sua insalata e mais: << Dagli spalti si è visto tutto benissimo.>>
<< Ti meriti il premio.>> fece eco Finn con la bocca piena.
<< Dite?>> chiese Riley con un gran sorriso. Era talmente immersa nella conversazione che si era scordata di mangiare.
<< Scherzi?!>> le disse Lindsey: << Hai fatto un’azione da paura e ci hai diretto per tutto il tempo!>>
<< Se avessimo seguito la strategia del coach saremmo state sotto di almeno tre goal.>> commentò severa Amber. << Ci avrebbero letteralmente asfaltate.>>
<< Già erano degli armadi a quattro ante.>>
La conversazione proseguì ancora un poco su questa scia quando Dorothy disse: << Sapete cosa mi rende più felice?>> fece una pausa ingoiando un pezzo di pane soddisfatta: << Che quella cavallona della Bjorken non vincerà il premio quest’anno.>>
<< Già>> disse Bette: << Ci vorrà molto più che menare la coda per essere prima. La “cavalleria” è arrivata!>>
Tutte risero. << E noi abbiamo il nostro cavallo vincente!>> fece eco Lindsey.
Riley rideva a crepapelle: << Piantatela con queste battute o mi farete schiattare prima della cerimonia.>>
<< Non sia mai.>> gracchiò una voce gelida alle sue spalle. Riley si volto e vide Renè Bjorken che la guardava dall’alto in basso.
Indossava un paio di leggings aderenti neri che risaltavano le sue gambe lunghe e nodose e una maglietta sportiva rosa salmone dal collo largo, coperta da una pesante felpa Nike grigia. Aveva un fisico alto e atletico, una coda di cavallo chilometrica e un volto spigoloso. Frequentava l’ultimo anno della scuola media ed era già nella lista delle migliori scuole di New York, che la volevano come figura di punta nel loro programma di atletica leggera. Non vincere l’ambito premio di atleta d’inverno, oltre ad essere uno smacco per la sua carriera, la faceva ribollire di rabbia. Riley l’aveva capito dalla curiosa vena sporgente sopra l’occhio destro, che sembrava sul punto di esplodere.
<< Stavate parlando di me suppongo.>> constatò acida.
<< Veramente stavamo commentando la partita di ieri sera.>> le rispose Dorothy fissando i suoi piccoli occhi scuri.
<< Già, quella dove Riley ha spaccato.>> la sostenne Lindsey sistemandosi la coda di cavallo in segno d’orgoglio. Renè fece una smorfia verso Riley di disgusto, che però si trasformò immediatamente in un ghigno malefico.
<< Oh, sì c’ero anche io alla partita. I miei complimenti.>> Riley la fissò attenta, cercando di capire dove volesse andare a parare. << Ho apprezzato soprattutto gli squallidi tentativi di andare a goal del primo tempo…e il rigore poi…>>
Dorothy strinse i pugni e si alzò in piedi per risponderle a tono, ma Riley non si sarebbe lasciata rovinare la giornata. Non oggi. Tirò la compagna per una maglietta e la invitò a sedersi: << Tranquilla, ci penso io.>> si alzò a sua volta e andò verso Renè Bjorken. La ragazza cavallo era più alta almeno di una spanna, ma a Riley non incuteva alcun timore. Le sorrise impassibile: << Grazie.>> sospirò: << è stata una bella sfida tra me e te quest’anno e mi dispiace che tu sia arrivata seconda, ma come si dice…in partita chi non vince, perde.>>
Renè avrebbe voluto strapparle gli occhi verdi dalle orbite e schiacciarli uno per uno sotto i le scarpe. La sua vena pulsava e il sangue amaro le ribolliva in corpo. << Hai ragione. Devo ammettere che dalla nullità che sei sempre stata quest’anno ti sei data molto da fare. E sono sorpresa che tu ci sia riuscita. DA SOLA.>> sogghignò sprezzante dardeggiando uno sguardo furente verso Bette e Finn: << Tu e tutti i tuoi altri esperimenti di laboratorio avrete sicuramente avuto uno scopo, per una volta nella vita.>>
Riley serrò la mascella. Odiava quando lei, Bette e Finnegan venivano presi in giro per come erano nati e per come vivevano. Erano speciali è vero, ma erano sempre stati voluti e amati.
<< Sapete cosa ho sentito dire?>> alzò la voce Renè rivolgendosi a tutta la mensa. << Che Riley è un mostro della scienza, selezionata in laboratorio come un cane. Il padre ha donato lo sperma in maniera anonima. Cioè nessuno sa chi sia.>>
<< Bjorken finiscila!>> urlò Bette arrabbiata per gli insulti verso Riley e la sua famiglia.
<< Forse non voleva accollarsi una piaga come lei.>> continuò la ragazza, suscitando le risate di alcuni suoi compagni.
Riley aveva perso il sorriso, ma fortunatamente riuscì a mantenere la calma. Si girò verso Bette e ritornò al posto. << Lasciala perdere Bette >> le disse sistemando nel vassoio gli avanzi del pranzo: << è solo invidiosa. Andiamocene.>>
<< Brava, fai quello che nella tua famiglia sanno fare meglio.>>
Riley si fermò: << Scusa?!>>
<< Prima tua madre è scappata da te in Ohio. A mezza giornata di distanza per non dover vedere la tua brutta faccia. Sarà stata felice.>>
<< Lascia stare Brittany, Bjorken.>> rispose secca la ragazzina.
<< Ieri l’altra tua madre invece è stata la ciliegina sulla torta…>>
<< Che ne sai tu di quello che è successo ieri alla partita.>>
<< Oh, mi scuso…>> disse con falsa innocenza: << Credevo che Bette e Finnegan ti avessero raccontato di cosa è successo nel backstage.>>
Riley si voltò a guardarli, loro la guardarono stupiti, non sapendo affatto dove la ragazza dalla coda di cavallo volesse andare a parare.
<< Mi stai dicendo una cazzata. Loro non sanno nulla. Quindi chiudi quella fogna e fatti gli affari tuoi.>> ringhiò Riley a denti stretti.
<< Loro forse no, ma io sì.>>
Riley si voltò verso Bette e Finnegan lanciò loro uno sguardo truce. L’amica la guardò allarmata, ma ciò non basto a frenare la curiosità della ragazzina dagli occhi verdi che anziché andarsene sbatté il vassoio a terra e guardo Renè negli occhi invitandola tacitamente a proseguire.
<< Vedi, la tua “mamma”, se così si può chiamare, mentre tu eri in campo impegnata a salvarti le chiappe è fuggita dietro gli spalti. Io l’ho seguita e l’ho sentita parlare al telefono e sicuramente da ciò che diceva non parlava alla tua Brittany.>>
Riley rimase stupita dalle parole della ragazza e indietreggiò confusa. Bjorken ne approfittò per rincarare la dose. << Mi pare che la chiamasse Amore…ti viene in mente qualcuno? Qualcuno tra le tante insomma…>>
<< Sta’ zitta.>>
<< Oh, e ha anche detto che presto sarebbe venuta a vivere da lei. E che non vedeva l’ora. Ora io mi domando, in quella misera casa che ti ritrovi in tre la convivenza è sempre stata un po’ difficile, mi pare. >> si avvicinò all’orecchio della ragazzina: << Chissà chi sarà il prossimo ad andarsene…>>
Riley la spinse così violentemente da farla cadere a terra, sentiva una rabbia incontrollata montarle dentro e non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito.
<< Bugiarda!>> urlò accaldata: << Non farebbe mai una cosa del genere.>>
<< Dici?>> ghignò Renè rimettendosi in piedi: << Perché non guardi tu stessa?>> tirò fuori il telefono e mostrò a Riley una fotografia di sua madre che rideva al telefono.
Riley le diede un altro spintone, Bette si avvicinò e la prese per un braccio, ma la ragazzina la scostò malamente. << è solo una fotografia >> disse l’amica a Renè: << Non prova niente.>>
<< Può darsi, ma il tempo rivelerà tutto. E poi…>> e si rivolse a Riley << Se fosse vero il dubbio ti sarebbe già venuto.>>
La ragazzina sussultò e Renè, tutt’altro che sprovveduta, colse l’espressione di panico sul suo volto: << Già mi immagino: torna tardi la sera. Non c’è la mattina dopo. Ha sempre meno tempo da dedicarti. Tutto torna non è vero?>>
Riley vedeva rosso, si sentiva come un topo in gabbia che ha una sola via di scampo, reagire, ma lei non doveva, non poteva, ma non riusciva a controllarsi.
<< Lasciami in pace Renè.>> strinse i pugni talmente forte da sentire le unghie conficcarsi nei palmi delle mani.
<< Povera Riley Lopez. Neanche tua madre vorrebbe uno scherzo della natura come te. Avrai anche vinto un premio, ma per questa scuola non sei nessuno. E poi, se dovessero assegnare l’atleta di inverno anche per la condotta delle mamme, la tua sarebbe sicuramente NELLA bocca di tutti…anche se credo lo sia già. >> qualcuno rise: << Saranno stati molto “sudati” i suoi di premi, non so se mi spie…>>
Non fece in tempo a concludere la frase perché un pugno la colpì in pieno volto. Riley si era scagliata contro il suo collo con forza ed era riuscita ad atterrarla; Renè si era trovata spalle al pavimento, in una posizione di svantaggio. La ragazzina infuriata le sbatteva la testa per terra gridando come una dannata: << Non insultare mia madre, pezzo di merda!>>
Renè non riusciva a liberarsi dalla furia della ragazzina, la graffiò in volto con le unghie, ma lei non si spostava e non mollava la presa. Il sangue era mischiato con grosse lacrime calde che scendevano dal viso paonazzo di Riley.
<< La uccide, la uccide!>> urlavano alcuni ragazzini con la speranza che qualche adulto intervenisse a fermare la situazione.
Bette e Finnegan si precipitarono contemporaneamente dall’amica, tentando di allontanarla da Bjorken, che a sue spese era riuscita nell’intento di farla scattare. La presero per entrambe le braccia staccandogliele con forza dal collo della ragazza dalla coda di cavallo. Riley era indomabile e ad esse sostituì i piedi, mollando un poderoso calcio sullo stomaco della ragazza. Ci vollero due sorveglianti per placarne la furia: uno la tenne prona sul pavimento con la testa schiacciata al freddo linoleum e l’altro le bloccò le gambe. Quando Riley non riuscì più a muoversi finalmente si calmò.
<< Non respiro, non respiro!>> frignava Renè con più aria in corpo di quanta volesse mostrare.
<< Questa la portiamo direttamente in presidenza.>> disse uno dei due sorveglianti sollevandola di peso. Ormai Riley non reagiva più. Aveva capito cosa sarebbe accaduto e il premio atleta dell’anno non le era sembrato mai così irraggiungibile.
Bette e Finnegan si guardarono all’unisono con le lacrime agli occhi. Tutto ciò non prometteva niente di buono.
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Santana si sedette in presidenza. Questa volta Riley non era seduta in macchina, ma accanto a lei. Aveva gli occhi rossi, un graffio sulla faccia, sangue sui vestiti e un viso completamente stravolto. Santana la osservò con la coda dell’occhio preoccupata: non l’aveva mai vista in quello stato. Le sollevò la faccia con due dita, per accertarsi che stesse bene e che il sangue si fosse fermato.
<< Signora Lopez, ci scusi per l’urgenza, ma l’abbiamo chiamata immediatamente.>>
Santana capì definitivamente che quella non era una chiamata di cortesia. Sospirò affranta:
<< Che ha combinato stavolta?>>
Il preside guardò la bambina con aria severa, poi si sistemò i baffi brizzolati e continuò: << Questa volta è la peggiore di tutte.>>
<< Cioè?>>
<< Ha aggredito una compagna. L’ha quasi strozzata.>>
Santana era incredula. Sgranò gli occhi neri e prese la figlia per una spalla: << Dimmi che non è vero.>> Riley abbassò lo sguardo senza proferire parola e la madre capì da quel gesto che l’uomo stava dicendo la verità. Spalancò la bocca e lasciò immediatamente la figlia, come se scottasse, come se fosse pericolosa.
<< E per…>> si ricompose: << Per quale motivo l’avrebbe fatto scusi…?>>
<< Eccesso di rabbia, credo. Signorina Lopez?>> chiese chiarimenti il preside.
<< Eccesso di rabbia sì.>> rispose frettolosamente Riley. Avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto in quel momento, ma certamente non lì.
<< E quindi. Adesso che si fa?>>
<< Ovviamente non riceverà il premio Atleta d’Inverno. Sicuramente capirà la situazione…>>
<< La capiamo, vero Riley…?>> La ragazzina non capiva se quella della madre fosse una risposta o un’affermazione e si limitò ad annuire.
<< Poi dovrà scusarsi con la compagna.>> continuò il preside.
<< Chiederai scusa…?>> ancora non capiva: << Chiederò scusa.>>
<< Finirà sui documenti ufficiali…>>
<< Naturalmente.>> commentò Santana con rammarico.
<< E…con lei presente, la dichiaro espulsa da questa scuola.>>
<< Cosa?!>> dissero le due Lopez all’unisono. Riley avrebbe dovuto prevederlo, ma gli ottimi voti e la condotta piuttosto esemplare dell’ultimo mese le avevano fatto erroneamente sperare che le cattive azioni precedenti sarebbero state cancellate.
Santana sembrava aver perso quel suo modo di fare schietto e autorevole: << La prego preside, non la mandi via. Lei…noi non sappiamo dove altro andare. A metà anno iniziato…cerchi di fare il possibile.>>
<< Le assicuro che l’ho già fatto. I Bjorken volevano sporgere denuncia. Ho convinto loro a non farlo perché pare che Renè Bjorken l’abbia provocata. Ma questa non è un’attenuante. Mandarla via da questo istituto, visto i continui comportamenti mi sembra il minimo…>>
L’uomo baffuto estrasse un bigliettino di carta dura da uno dei cassetti della pesante scrivania di noce. Lo porse a Santana che sgranò gli occhi: << Consiglierei anche assistenza psicologica per la signorina Lopez.>> concluse con comprensione.
Santana capì che non ci sarebbe stato più nulla da fare, si alzò amareggiata e mise il biglietto nella tasca della sua Louis Vuitton scura.
<< Il suo nome e Riley comunque. E lei sta facendo un grande sbaglio. Rispettiamo comunque la sua scelta e la ringraziamo per tutto quello che ha fatto per noi.>> diede un colpetto alla figlia che approvò con un cenno del capo. Salutarono freddamente il preside e uscirono dalla porta. Santana l’aspettava all’ingresso sorvegliandola a vista, mentre Riley svuotava lentamente il suo armadietto, infilando tutto nella cartella stracolma che pareva dovesse esplodere.
<< Puoi dare qualcosa a noi se non ci sta tutto…>> disse Finnegan tirando su con il naso. Era tremendamente dispiaciuto per tutto.
<< Riley ti giuro che noi non sapevamo di questo. Davvero.>> singhiozzò Bette attaccandosi al collo dell’amica.
<< Non piangere. Vi credo. Non me ne sto andando per sempre, ci vedremo fuori, lo sapete. Ora ci sono le vacanze e poi…vedremo…>> disse tremante Riley cercando di trattenere le lacrime. Le compagne di squadra si avvicinarono e si strinsero a lei in uno stretto abbraccio.
<< Guarda come ti ha conciato quella scema.>> constatò Dorothy accarezzandole il volto. << Mi dispiace per tutto.>>
<< Faremo ritirare il tuo numero>> le promise Lindsay: << E lotteremo per una tua riammissione.>>
<< Già. Faremo striscioni e proteste!>>
Riley sorrise: << Grazie ragazze, apprezzo molto. Ma non è il caso che vi mettiate nei guai. Me la caverò. Come sempre.>> guardò la madre che stava osservando la scena in fondo al corridoio, appoggiata al muro, con le gambe incrociate, stretta in un piumino aderente verde smeraldo. Aveva lo sguardo triste e anche quando Riley le si avvicinò con la faccia livida e sbattuta, Santana non riuscì a fissare i suoi penetranti occhi verdi. Trascorsero il viaggio in auto in completo silenzio. Riley non aveva praticamente toccato cibo e si sentiva lo stomaco in fiamme, lottò con tutte le sue forze per non vomitare. Si portò le gambe al petto e rimase rannicchiata a guardare un punto imprecisato dell’auto. Santana guidò lentamente, con una calma che denotava rassegnazione più che risentimento. Sperava che Riley avesse capito la gravità della situazione e sinceramente non aveva proprio idea di cosa avrebbero fatto adesso. Quando dodici anni fa aveva partorito quel piccolo esserino tutto le era sembrato così chiaro: avrebbe sputato sangue per donare a quella bambina la vita che lei non aveva mai avuto, avrebbe cercato per lei le migliori scuole, le migliori opportunità. E in tutto questo non era da sola, ma con Brittany, la compagna della sua vita.
Si ricordò quando aveva stretto per la prima volta sua figlia tra le braccia, il dolore e la stanchezza del parto che erano state spazzate via in un solo istante. Aveva guardato i suoi occhi verdi, già aperti verso il mondo e si era commossa. Brittany l’aveva baciata in fronte ed entrambe già sapevano che la loro vita era definitivamente cambiata da quel preciso momento: << Riley.>> aveva deciso la moglie: << Significa coraggio. E mia figlia sarà la bambina più coraggiosa del mondo.>>
Avevano cominciato la loro vita crescendo una piccola Riley, coraggiosa e intraprendente come Santana, dolce e leale come Brittany. Il sangue non importava, era la loro bambina, solo loro e basta e Santana era certa che nulla sarebbe cambiato.
E invece adesso erano arrivati a questo punto. Lei, una donna sola di 35 anni con una figlia di 12 che nessuno voleva. Senza certezze, senza piani, senza scopi.
Si richiuse la porta di casa alle proprie spalle. Riley si sedette sullo sgabello della cucina, troppo alto per le sue gambe corte e sottili, con i palmi premuti contro le barre di acciaio. Guardò la madre, aspettandosi una punizione o quantomeno una ramanzina memorabile, ma Santana non disse nulla. Sospirò e si preparò un bicchiere di vino rosso sotto gli occhi di Riley che la osservava turbata. Si sedette di fronte a lei, fece roteare il vino nel bicchiere di cristallo e sorseggiò lentamente, assaporando l’aroma fruttato.
<< Mamma…>> la chiamò la figlia. Santana sollevò un sopracciglio invitandola a parlare.
<< No, niente.>> disse d’un tratto Riley scendendo dallo sgabello.
<< Se devi dire qualcosa parla, su.>> la esortò la madre aspettandosi una spiegazione per tutto l’accaduto.
<< Tu sei proprio…insomma…lesbica?>>
La madre appoggiò il bicchiere di vino, tenendolo stretto con la punta delle dita: << Scusa?>>
<< Nel senso…>> tentò di spiegarsi sua figlia: << Stai con le donne o…con qualcun altro insomma.>>
<< è davvero di questo che vuoi sapere?>> le chiese Santana che si era figurata una conversazione ben diversa.
<< Chiedo. Perché l’altra sera alla partita te ne sei andata via.>>
<< La partita sì…>> sbuffò lei alzando gli occhi al cielo: << mi è suonato il telefono.>>
<< Chi era?>>
<< Sei tu a farmi il terzo grado ora?>> le disse la donna ridendo acida: << Non credo che siano affari tuoi.>>
Riley improvvisamente risentì quella morsa allo stomaco provata poche ora prima con Renè. Respirò profondamente cercando di tenere a bada l’agitazione.
<< Lui deve essere così importante se non ne vuoi nemmeno parlare.>>
<< Non c’è nessun lui.>>
<< Allora è una lei.>>
<< Non ho detto questo.>> ma effettivamente non aveva nemmeno smentito il contrario. Santana si sentì estremamente a disagio e sapeva che se avessero continuato quella conversazione la sua natura impulsiva avrebbe preso il sopravvento. Cercò di dare la spiegazione più esaustiva e diplomatica possibile.
<< Non credo che tu sia nella posizione ideale per parlarmi di queste cose. Soprattutto con quel tono supponente, che come abbiamo visto, ti ha portato fino a qui. Chi frequento non ti interessa, sono problemi miei, sono adulta ed è passato tanto tempo da…da tua madre. È un mio diritto.>>
<< è anche un mio diritto avere mia madre presente alla partita. Invece come sempre non c’eri...ma non è una novità.>> bofonchiò la figlia a pugni stretti.
<< Sono mancata 10-15 minuti massimo. Non mi sembra una tragedia.>>
<< Per me erano importanti!>>
<< Non così tanto, visto che ti sei fatta soffiare il premio in meno di 24 ore.>> disse aspra Santana sorseggiano il suo vino rosso, che le si impastava in bocca.
<< Ecco che torniamo sempre lì…al maledettissimo premio.>>
<< Mi pare lo volessi anche te, se non sbaglio.>>
<< Vuoi sapere la verità!?>> gridò Riley balzando giù dalla sedia: << Non me ne frega un cazzo di quello stramaledettissimo premio. Avrei voluto che per una volta tu mi supportassi e fossi fiera di me.>>
<< Che stronzata, io sono fiera di te!>>
<< Sempre?>>
La donna aprì la bocca per dire di sì, ma si fermò perché quella, in quel momento, non era la verità.
<< Sei contenta solo quando vinco, o prendo un bel voto, o ti rendo perfetta.>> continuò la figlia.
Santana strinse la mano attorno al sottile manico di cristallo e la guardò con occhi piccoli: << Mi rendi perfetta?! Ma ti ascolti quando parli?>>
<< A Santana importa solo di Santana.>> sentenziò Riley amareggiata.
<< Non è così.>>
<< Dimostramelo.>>
<< Se non tenessi a te non sarei preoccupata adesso. E sono molto preoccupata Riley. Stai gettando all’aria tutta la tua vita e per cosa? Cosa vuoi dimostrare, che non sono una buona madre? Non ho nulla da rimproverarmi, mi sono fatta il culo per portarti a dove sei adesso e non sono nel torto se voglio che sfrutti al meglio tutte le possibilità che IO ti ho procurato.>>
Si versò un altro calice di vino. Riley la osservò turbata, quando beveva era ancora più schietta e velenosa del solito.
<< Stai bevendo troppo.>>
<< Faccio quello che mi pare.>> sorseggiò: << Oggi, in cinque minuti, hai buttato via ciò che ho costruito da quando sei nata e tutto ciò che ti preoccupa è una partita di calcio. Incredibile. Sei davvero incredibile.>>
<< Non ti ho mai chiesto nulla. Volevo…voglio solo essere normale.>>
Santana rise: << Sveglia Riley, non sei normale. Sei figlia di due lesbiche che erano insieme al liceo. Vivi e fai la spola tra New York e Lima. Non hai una casa fissa, non hai una borsa di studio, non hai più una scuola. Non hai niente che possa contare per il futuro. In questo mondo o sei Renè Bjorken o le cose te le devi guadagnare e nel tuo caso, visto che adesso ci troviamo qui, dovrai sudare il doppio degli altri.>>
<< Non voglio che sia così. Io non sono così. Non sono come te!>>
<< Lo so e mi dispiace!>> urlò la donna creando gelo nella stanza.
Riley la guardò fissa rimanendo in silenzio.
<< Wow.>> mormorò sarcastica: << Finalmente l’hai ammesso.>>
<< Ammesso cosa?>>
<< Che hai passato tutti questi anni ad investire sulla persona sbagliata. Non sono ne sarò mai la tua prima scelta, non sono brava come te, o resiliente come te. Non lotto come te. Non sono nemmeno “normale”, l’hai detto tu.>>
<< Io…>>
<< Magari non sono nemmeno figlia tua, ma di quella “lesbica di Brittany”. Meglio, così puoi avere una scusa per lasciarmi andare. >> respirò profondamente: << Brittany…>> raccolse tutto il coraggio che aveva: << Brittany alla partita sarebbe rimasta.>>
Santana sbatté il bicchiere su tavolo così energicamente che andò in mille e pezzi e il contenuto rossastro schizzò fuori bagnando entrambi i volti delle due. Gli occhi di Riley si gonfiarono di lacrime, ma non voleva darle la soddisfazione di piangerle in faccia. Per fortuna il telefono della madre vibrò, stemperando un poco la tensione.
<< Dovresti rispondere. Sembra importante.>> ringhiò sarcastica la ragazzina.
<< Vai a darti una pulita. E poi in camera tua.>> ribatté la mamma sostenendo il suo sguardo.
<< Me ne stavo già andando.>>
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Riley sbattè la porta della sua camera. Si tolse le scarpe e le scagliò contro l’armadio. Premette il cuscino sulla faccia e ci soffocò dentro un urlo di rabbia. La odiava, ma soprattutto odiava sé stessa, per non riuscire mai a trattenere la lingua. Forse il preside aveva ragione, era pericolosa e nessuno l’avrebbe mai voluta. Eppure, lei non si sentiva tale, aveva solo bisogno di un po’ di serenità e silenzio. Niente più Santana, Brittany, la squadra, Renè Bjorken, Gregory Usborne. 
Si rannicchiò sul letto e guardò il telefono.
Ciao Little Bee, sono fiera di te e di quello che sei. Il premio lo devi dedicare a te stessa e all’impegno che ci hai messo per ottenerlo. Sono molto felice per te! Bacio in fronte e mandami la foto del premio. Ti voglio bene!
Riley strinse il cellulare al petto e iniziò a piangere. Le mancava sua madre, i suoi abbracci e il suo profumo. Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Era così spaventata…
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Santana aveva pulito tutto il macello che aveva causato rompendo il bicchiere. Si era pure tagliata un dito che aveva opportunamente medicato con un cerotto. Nel cestino del bagno aveva notato le garze intrise di sangue della figlia e si era trovata come un ebete a fissarle, mentre la sua testa vagava e ritornava alla spiacevole conversazione avvenuta poco prima. “Il karma avrà colpito tutte e due” si disse guardandosi l’indice ferito. Recuperò dalla cucina lo straccio intriso di vino e si diresse verso il bagno per buttarlo. Si fermò davanti alla camera della figlia. La porta color panna aveva inciso il suo nome, come aveva voluto Brittany dodici anni prima.
<< Questa sarà la camera di nostra figlia e di quelli che verranno.>>
<< Quelli che verranno?>> chiese Santana con un sorriso: << Ti cedo il turno però…>>
Brittany l’aveva baciata. Aveva preso tra le braccia sua figlia appena nata e l’aveva portata verso quella porta. << Questa è tua.>> le aveva sussurrato all’orecchio, prendendole la manina e appoggiandola sulla porta di legno d’abete. << Riley Lopez Pierce, la coraggiosa. Crescerai sincera come la tua mamma e sarai per me la cosa più importante al mondo.>>
Santana si commosse ricordando quel momento e quando sentì sua figlia dall’altra parte della porta, tutta la tristezza che fino ad adesso era riuscita a controllare la investì come un treno. Si appoggiò con entrambi i palmi alla porta e guardò la scritta incisa sul muro. RILEY LOPEZ PIERCE, LA CORAGGIOSA.
Strinse i pugni per bussare, ma poi si fermò come paralizzata. Si accasciò a terra con l’orecchio teso alla porta e con una mano premuta sul volto soffocò le sue lacrime che scendevano a fiotti segnando le sue guance scavate. Non era mai stata così spaventata.
 

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Capitolo 6
*** Here comes the sun ***


CAPITOLO 6: HERE COMES THE SUN
Tutta la positività che Riley aveva immagazzinato nei giorni precedenti si era ormai definitivamente esaurita. Quel giorno, 21 dicembre, sarebbe stato l’ultimo di permanenza a New York prima delle due settimane di vacanze natalizie. Riley era sdraiata a letto, con il piumone che le copriva la testa. Se ne sarebbe stata lì così, a fare niente almeno fino all’ora di pranzo, come il giorno precedente e quello ancora prima. Nonostante non avrebbe più potuto vedere Bette e Finnegan per due intere settimane, non aveva per nulla voglia di sentirli: l’avrebbero trattata in modo diverso. Finn l’avrebbe guardata con occhi da cerbiatto, come si guarda un cane che viene abbandonato in autostrada e Bette avrebbe iniziato a parlare ininterrottamente per evitare che la conversazione finisse sull’argomento bomba: LA SUA ESPULSIONE. Non rivederla più tutti i giorni avrebbe fatto male ad entrambi gli amici, che erano cresciuti insieme come fratelli.
Non voleva nemmeno andare a Lima. Brittany sapeva quello che aveva fatto, Santana glielo aveva sicuramente raccontato in una tra le sue lunghe e private conversazioni telefoniche. La madre aveva provato diverse volte a videochiamare, ma Riley aveva sempre evitato di rispondere. Con che faccia si sarebbe presentata da lei domani? Tutta questa faccenda non le aveva fatto chiudere occhio e il pensiero di essere già là, colpevole e senza premio, le toglieva il respiro. Forse avrebbe potuto salire su un altro treno durante il viaggio e partire per destinazioni sconosciute, ma non voleva creare un ulteriore motivo di dispiacere per Brittany, che in questa storia centrava davvero poco.
Improvvisamente qualcuno le tolse la coperta dal corpo; un’ondata di gelido la pervase fino alla punta delle orecchie.
<< Che modi!>>
<< In piedi su!>> le ordinò Santana: << Hai dormito abbastanza.>>
<< Lasciami qui.>> brontolò la figlia ricoprendosi dalla testa ai piedi: << La valigia la preparo nel pomeriggio.>>
<< No signorina. La valigia la fai adesso.>> le spalancò le finestre: << Puoi anche decidere di non fare nulla e di buttare via la tua vita, ma non ti starò a guardare.>> La donna raccolse un paio di vestiti già messi che Riley aveva gettato a terra e glieli lanciò sul letto. << Stamattina andiamo a fare compere, prenderai tutto il necessario per il viaggio. Ho parlato con tua madre e abbiamo deciso che starai da lei.>>
<< No! Non voglio!>> urlò Riley scoprendosi. Santana non l’ascoltò: << Starai da lei per le vacanze e per tutto l’anno scolastico.>>
<< Cosa?!>>
<< Per quest’anno ti iscriverai alla scuola media di Lima.>>
<< Ma stai scherzando?!>>
<< Affatto. C’è solo una persona che può tenerti testa in questo momento e il suo nome è Sue Sylvester.>>
<< Non mi interessa nulla di Silveste o quel che è…>> disse Riley turbata: << Non posso stare via tutto l’anno. Non ho amici lì!>>
<< Conoscerai nuove persone. Migliori magari.>>
<< E Bette e Finnegan? Non posso lasciarli!>>
<< Oggi pomeriggio andremo da Kurt e Blaine. Ci sarà anche Rachel. Passerai del tempo con loro e gli spiegheremo tutto.>> disse Santana guardando la figlia in preda allo sconforto.
<< Non voglio farlo.>> sussurrò Riley desiderando di riportare il tempo a quattro giorni prima. Non avrebbe vinto la partita, Renè avrebbe vinto l’atleta d’inverno, ma le sarebbe andata bene lo stesso, purchè fosse rimasta alla Andersen.
<< Proviamo. Per quest’anno…>> le sussurrò Santana cercando nonostante tutto di rassicurarla: << L’anno prossimo si vedrà.>>
<< Non vedi l’ora di liberarti di me.>>
Santana le rispose con un mezzo sorriso non cogliendo la provocazione: << Hai ragione. Così tanto che verrò con te.>>
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Kurt e Blaine le accompagnarono alla stazione. Non si fidavano a lasciarle andare da sole, ne tantomeno a rimanere ad aspettare il treno delle 23. Santana aveva deciso di partire la sera stessa per poter arrivare i 22 in mattinata, lasciare giù la figlia e ritornare a casa. Avrebbe rivisto la sua città e ciò la spaventava parecchio. Aveva seppellito lì troppi ricordi, alcuni belli, ma altri dolorosi e temeva che riviverli tutti sarebbe stato il peggior regalo di Natale di sempre. Sapeva che quando sarebbe tornata a New York, per trascorrere le feste con Kurt e Blaine, la sua nuova famiglia, non avrebbe più avuto così tanta voglia di festeggiare. Magari era l’occasione per passare il Natale da sola e riflettere sulle penose scelte della sua vita.
Era stato un viaggio in macchina strano, carico di silenzio e malinconia. Blaine le aveva chiesto del viaggio e di come si sarebbero sistemate una volta arrivate.
“Come sempre”. Aveva risposta Riley per lei, perché per Santana era come la prima volta. Non metteva piede a Lima da tredici anni. Dopo che si erano sposate e trasferite a New York aveva giurato a se stessa che non avrebbe messo più piede in quella città. Troppi ricordi. Troppo di sé, troppo di lei. In realtà sapeva che la sua paura più grande era quella che una volta lì non sarebbe più voluta tornare a casa. Così si era preparata preventivamente: il contenuto della sua valigia bastava a malapena per un paio di giorni, ma lei sarebbe rincasata la sera stessa. Non era sicuramente un viaggio di piacere quello: lei e Riley avrebbero visto la scuola, sistemato qualche faccenda burocratica e poi se ne sarebbe tornata a New York, più veloce di come era partita. Rachel l’avrebbe ripresa alla stazione. Sarebbero andate in un bar, avrebbero bevuto e pianto un po’ per poi addormentarsi ognuna nel proprio letto vuoto.
Semplice. Indolore.
Quando scesero dall’auto fu tentata di chiedere a Kurt di tornare indietro perché l’improvviso pensiero di quanto Riley le sarebbe mancata la stava quasi facendo desistere. Ancora non aveva realizzato che il giorno successivo sarebbe stato l’ultimo insieme a lei e che poi non si sarebbero viste per un pezzo. Capì immediatamente, senza provarlo sulla sua pelle, come si era sentita Brittany in questi quattro anni di astinenza forzata. Le mancò per un momento la terra sotto i piedi, ma poi si ricordò che aveva deciso di fare tutto questo per un bene superiore, la carriera di Riley.
Aspettarono in silenzio il treno, stretti l’uno all’altro, per il freddo notturno, ma soprattutto per rimanere vicini, ancora per un po’. Kurt aveva voluto tenere Riley tra lui e Blaine. La sua figlioccia se ne sarebbe andata via per nove lunghi mesi e solo al pensiero di non vederla più scorrazzare per la casa con Bette e Finnegan, gli si gelava il cuore. Sapeva bene quanto fosse importante la loro amicizia, quanto siano indissolubili e unici i legami stretti a quell’età. Aveva conosciuto Rachel e Santana solo pochi anni più tardi di loro e ora le considerava come parte della sua famiglia allargata, che comprendeva anche i ragazzi del glee che aveva conosciuto al liceo; non si sentivano proprio tutti i giorni, perché ognuno aveva preso le loro strade, ma sapeva che quando ce ne fosse stato bisogno ci sarebbero stati sempre l’uno per l’altro. Sperava che il destino avesse riservato questo finale anche per Bette, Finnegan e Riley.
Quando il treno arrivò Kurt la strinse ancora di più a sé. Santana allungò un braccio per segnalare la sua presenza e poi prese le valige. Blaine si staccò da Kurt e lo guardò con occhi dolci, poggiando una mano sulla sua spalla: << Coraggio.>>
Aiutarono Santana a caricare le valige e si strinsero a Riley in un abbraccio che sembrava infinito, come le raccomandazioni che Kurt fece alla ragazzina:
<< Fatti rispettare, copriti perché fa freddo, mangia e soprattutto non finire nei guai.>>
<< Va bene.>> aveva risposto Riley confusa.
Poi Kurt si avvicinò a Santana, la cinse in vita e le raddrizzò il colbacco di finta pelliccia: << Chiamaci appena arrivi. E non farti mettere in ginocchio da Sue. >> le sistemò amorevolmente il colletto: << Saluta il professor Shuester e quelli che sono rimasti da parte mia.>>
Presero posto in un vagone solo per loro. Riley si sedette al finestrino e rimase con i palmi aperti premuti contro il vetro. La fronte, appoggiata sulla fredda lamina trasparente era imperlata di piccole goccioline di vapore. Kurt guardò Santana con occhi sinceri carichi di mille significati.
“Coraggio!”
<< Lo so.>> rispose lei dal finestrino senza voce.
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Erano ormai in viaggio da un paio d’ore e ne mancavano ancora una decina per arrivare a Lima. Il treno sfrecciava rapido tra i binari, percorrendo paesaggi sempre meno cittadini e sempre più simili a quella che tredici anni fa Santana avrebbe chiamato “casa”.
Diversi motivi l’avevano spinta ad andarsene: quel luogo gli ricordava Finn, uno dei suoi migliori amici, che aveva perso qualche anno prima della sua partenza. Entrare al McKinley High, ripercorrere i corridoi, l’aula canto, l’auditorium le metteva sempre un po’ di soggezione. Si sentiva catapultata in una realtà distopica che non le apparteneva più. Si ricordò quanto aveva odiato Finn quel giorno che aveva detto davanti a tutti quello che era, chi amava, chi avrebbe dovuto essere. Poi quel video, Santana aveva passato davvero dei momenti infelici: le compagne di squadra l’avevano presa in giro, la madre non le aveva parlato per mesi e sua nonna…
Alma Lopez era sempre stato il suo modello, la sua roccia. Santana l’amava alla follia e la nonna adorava ogni cosa di lei, eccetto la sua “natura”. Quando Santana le aveva confessato di essere lesbica Alma l’aveva cacciata fuori di casa. Non si erano più viste per quattro anni. Brittany e Sue l’avevano convinta a presentarsi al matrimonio e lei aveva partecipato al momento più importante della sua nipotina, anche se con molta riluttanza. Quando seppe che Santana e Brittany aspettavano un bambino però non fu affatto felice. Si presentò a casa in Ohio con un prete, che a detta sua, avrebbe liberato Santana dal demonio che cresceva nel suo grembo. Quando la latina aveva capito cosa la donna volesse realmente fare, la cacciò immediatamente di casa, chiedendo a sua mamma di prendere posizione nei suoi confronti, ma Alma Lopez era pur sempre una donna anziana e malata e Maribel non se l’era sentita di lasciarla sola. In tutto ciò però, la persona che più l’aveva sorpresa fu Brittany. Quel giorno…non l’aveva mai vista così arrabbiata. Aveva letteralmente preso a spintoni il prete fino alla porta di casa sua e avrebbe fatto la stessa cosa anche con Alma, se solo Santana non l’avesse fermata.
<< Brit, calmati! >>
<< Vogliono uccidere il nostro bambino!>> gridava la bionda trascinando il prete verso l’ingresso.
<< Questo figlio è innaturale! >> commentò Alma Lopez in preda al panico per la reazione della ragazza.
<< Io l’ammazzo!>>
<< Senti! È il demonio che parla!>>
<< FUORI!>> aveva urlato Santana. La sua voce aveva trionfato su tutte le atre presenti nella casa.
Il prete chiamato da Alma non ci pensò due volte e scappò immediatamente dalle grinfie di Brittany, mentre la nonna non demordeva.
<< Davvero osi dire questo a tua nonna? Osi buttarmi fuori casa?!>>
<< Sì.>> aveva risposto decisa accompagnandola alla porta.
<< Ti ho cresciuta, sei sangue del mio sangue.>>
<< Anche questo bambino lo è. Possibile che non riesci ad accettarlo?!>> Santana aveva le lacrime agli occhi, ma non avrebbe ceduto di un millimetro. Si toccò la pancia.
<< Non sarà MAI sangue del mio sangue. O ti liberi di quell’essere o ti libererai di me.>>
Brittany le gridò accigliata: << Non può farle questo.>>
<< No.>> la fermò con un braccio Santana decisa: << Se è questo che vuole…così sarà. Non avrai mai a che fare con nostro figlio. E non mi vedrai mai più.>>
Quando la donna era uscita Santana si era accasciata al pavimento, con le mani al volto, piangendo disperata. Brittany si era avvicinata a lei e l’aveva stretta forte.
<< Sta tranquilla Sanny, ci sono io. D’ora in poi sarò io la tua famiglia e potrai sempre contare su di me. Nessuno di loro ti merita. Nessuno di loro merita il tuo amore.>>
<< Andiamocene via da questo posto ti prego.>>
 
 La sua mente ritornò a quel giorno e ripensò per un attimo a cosa sarebbe successo se Riley non fosse mai nata. Le mancò il respiro.
<< Riley!>> la chiamò. Aveva un lato della faccia premuto contro il freddo vetro del finestrino ed era coperta con un piumino grigio chiaro che avevano comprato la mattina stessa. A Lima il tempo era più freddo perché a differenza di New York, lì l’inverno era già arrivato da un pezzo.
<< Riley, dormi?>>
<< No.>> le rispose la figlia con gli occhi ancora chiusi.
<< Provaci.>> le disse la madre sistemandole il piumino.
La ragazzina si raddrizzò e aprì gli occhi: <> Appoggiò sul sedile l’Eastpack viola, ormai privato di tutti i libri scolastici e ne estrasse un mazzo di carte. << Giochiamo?>>
<< A cosa? >> chiese la donna afferrando il mazzo.
<< A quello che vuoi.>>
 
Erano le cinque del mattino e nessuna delle due aveva sonno.
Santana guardò la carta che Riley le aveva dato. Un 5, non un granché considerato che non aveva più carte nere da puntare. Raramente le capitava di perdere e non era abituata a subire le ripercussioni emotive di una sconfitta, anche se era una semplice partita a carte. In quel momento però, più che indispettita era piacevolmente sorpresa. Aveva sempre saputo che Riley era una ragazzina intelligente, ma non l’aveva mai vista all’opera: in una lenta guerra di logorio aveva battuto Santana a 7 e Mezzo, un vecchio gioco che le aveva insegnato sua nonna, del quale era letteralmente la regina indiscussa. Sapeva bluffare e decurtare le puntate di un avversario in poche mosse e per la prima volta in questa partita si era trovata in difficoltà.
<< Punto tutto.>> aveva detto lei guardandola negli occhi in attesa di un segno. Se proprio avesse dovuto perdere, l’avrebbe fatto con onore.
Riley sorrise: << Anche io.>> spostò tutto il suo cospicuo mazzo di carte a centro del banco: << O tutto o niente.>>
<< Carta.>> le disse Santana. Un 1, bene. Era ancora in gara. Ora era il turno di Riley.
<< Io mi fermo invece.>>
Santana la guardò dritta negli occhi e la bambina sostenne decisa il suo sguardo. Non riusciva a leggere nulla in quelle enormi pozze verde muschio. Che Riley dicesse la verità o mentisse non faceva alcuna differenza. La sua mente viaggiò alla velocità della luce.
Non poteva avere sette e mezzo o l’avrebbe detto. Nemmeno una carta più bassa di quella che Santana avesse sul banco, altrimenti sarebbe stato stupido fermarsi e perdere così rovinosamente. Aveva sicuramente una carta come la sua o più alta, il che avrebbe voluto dire vincere, dato che in questa manche il mazziere era lei. Oppure era tutto un grande bluff e sperava che ci cascasse. Non sapeva che fare.
<< Dammi un'altra carta. >> sospirò la donna mordendosi un labbro.
<< Sicura?>> disse Riley. Perché? Era ancora più confusa.
<< Vai.>>
Un altro 5. Era fuori. Alzò gli occhi al cielo e voltò la carta coperta sul tavolo.
<< Ho vinto allora.>> disse sorridendo la figlia. Prese tutte le carte e le mise in un unico mazzo.
<< Aspetta, fammi vedere la tu carta coperta.>> le disse Santana curiosa. Riley le regalò un sorriso furbetto e voltò la carta. Donna di picche.
<< Stronzetta.>> le sorrise la madre. << Brava, mi hai battuta. Bell bluff.>>
<< Per una volta. Nevicherà a New York!>> disse Riley, la sua risata divenne improvvisamente malinconica. Quanto avrebbe desiderato essere ancora nel suo caldo appartamento vicino a Times Square. Santana cercò di riportare la figlia alla realtà.
<< Allora.>> le disse sbadigliando e stringendosi ancora di più nel plaid color cipria che aveva portato da casa. << Cos’altro hai in quello zaino per il viaggio?>>
<< Questa.>> disse sventolando le parole crociate. << Le facciamo insieme?>>
<< Vai.>>
Riley iniziò con qualche definizione ma si fermò quando si accorse che la madre era scivolata in un sonno profondo. Si sporse verso il tavolino e allungò una mano per spegnere la luce accesa dalla parte della madre. Si accorse che la donna aveva lasciato il cellulare incustodito sul tavolino e presa da un impeto di curiosità lo afferro e iniziò ad esplorarne il contenuto: provò ad andare su WhatsApp, ma le conversazioni erano protette da password. La galleria conteneva più che altro video di allenamenti e fotografie di schemi e coreografie scarabocchiati. Qua e là spuntavano anche fotografie sue, davanti al centro commerciale o ad un caffè, praticamente i loro unici luoghi abituali. Realizzò con rammarico che non avevano nessuna foto delle feste, dato che le trascorreva sempre con Brittany. “Sarà triste per Santana passare tutte le feste da sola.” Pensò, come d’altronde lo era un pochino anche la ragazzina; quando apriva i regali di Natale senza sua madre un po’ le dispiaceva.
Anche Instagram e Facebook non davano informazioni utili sulla vita della donna. Raccontavano più che altro il lavoro da consulente di cheerleader e non quali fossero le sue frequentazioni. Riley voleva a tutti i costi scoprirlo. Non so se fosse stata Renè ad insinuarle il dubbio, oppure sua madre durante la conversazione avvenuta pochi giorni prima, ma qualcosa non le tornava. Magari possedeva anche lei il “terzo occhio da latina” come sua mamma, o magari non ci voleva un’intelligenza sovrumana per capire ce la donna aveva semplicemente trovato un nuovo amore. Doveva vedere per credere e per ora niente dava l’idea che la madre stesse nascondendo una relazione clandestina. Aprì il registro delle chiamate: Kurt, Rachel, Scuola Andersen, Brittany… e Cass. Cass chi? Cassandra forse? Poteva significare mille cose, ma a giudicare la frequenza delle chiamate quella Cassandra (aveva deciso di chiamarla così per ora) era, diciamo, una “cliente abituale”. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo telefono e fece una fotografia al cellulare della madre, poi inviò la schermata a Bette.
“Missione per te: scoprire chi è Cass.”
Non si aspettava che l’amica visualizzasse il messaggio alle 6 del mattino, ma sapeva che lei e Finnegan si sarebbero attivati subito e presto il mistero della misteriosa Cass sarebbe stato svelato.
Fu distratta da un rumore improvviso, qualche valvola del treno aveva soffiato e Santana si era quasi svegliata. Per lo spavento Riley aveva lanciato in aria il cellulare, che però aveva immediatamente ripreso, con una silenziosa acrobazia. Agitata e con il timore di essere scoperta, ripose lo smartphone della madre al suo posto e si alzò lentamente dal suo sedile per sgranchirsi le gambe. Attraversò il corridoio e andò in bagno. Quando tornò, particolarmente schifata per le condizioni igieniche dei servizi, notò che lo scompartimento opposto al suo era vuoto. Si infilò dentro e si piegò verso il finestrino per guardare il paesaggio. Il cielo non era più nero e senza nuvole come poche ore prima, ma violaceo tendente al pesca. Riley o guardò con ammirazione: avrebbe voluto scattare una fotografia per mostrarla a Kurt e Blaine, che amavano i colori rosati alla follia, ma non lo fece. Non sarebbe stata la stessa cosa; quello spettacolo dal vivo era di una rara e straordinaria bellezza, difficile da descrivere e da raccontare.
“Solo gli occhi sanno” pensò la ragazzina estasiata. In quell’istante realizzò una cosa precisa sull’amore. “Il vero amore è come l’alba.”
Rimase qualche minuto a contemplare lo spettacolo, poi decise di tornare nella sua cabina per poter ammirare il sorgere del sole con la madre. Quando rientrò la vide ancora profondamente addormentata, tremante per il freddo. Il paesaggio era cambiato e piccole colline verde foresta, spruzzate di neve sulla cima, avevano sostituito le grigie metropoli dello stato di New York. Riley rabbrividì per il freddo; aprì nuovamente lo zaino e ne estrasse un pesante maglione di lana rossa dalla trama intrecciata. Lo indossò e si sentì subito meglio. Poi andò vicino alla madre e si sistemò sotto il plaid con lei. La strinse forte, conscia che non sarebbero più state insieme fino alla fine delle vacanze estive, per la prima volta da quando era nata.
<< Mi devi promettere una cosa. Anche se saremo lontane, mi scriverai tutti i giorni e avrai sempre un pensiero per me. Bevi tante cioccolate allo Spotlight Diner e mandami tante foto della pista di pattinaggio a Times Square. Non crescere solo in altezza, fai amicizia, mangia sano e non scappare davanti alle novità. Sei una bambina intelligente, coraggiosa e di buon cuore, non scordartelo mai. Stai vicino alla mamma, specialmente quando fa freddo e fuori non c’è il sole. Fa sempre la dura, ma qualche volta ha tanto bisogno che qualcuno l’abbracci. Non dimenticarti di me e quando sarai triste, alza il telefono e chiamami, a qualsiasi ora. Sarai sempre nei miei pensieri. Sei la mia forza e mi rendi felice. SEI MIA FIGLIA.>>
Il vuoto che aveva provato quel giorno. Era solo una bambina, ma non l’avrebbe mai dimenticato. E si era ripromessa di non provare mai più quell’emozione. E invece la vita aveva scelto diversamente.
Si accoccolò ancora di più sotto il braccio della madre, arpionandosi alla sua sottile vita. La respirò a fondo: sapeva di smalto, del caminetto acceso di Kurt, di candele alla vaniglia, sapeva di casa.
Guardò fuori dal finestrino e si godette il sole che faceva capolino tra le verdi radure dello stato dell’Ohio.

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Capitolo 7
*** Roots before branches ***


CAPITOLO 7: Roots before branches
<< Sveglia, Riley.>>
La ragazzina si strofinò gli occhi cisposi, poi li aprì. La luce del sole risplendeva in tutto il vagone del treno, riflessa in un debole arcobaleno, sulle parti d’acciaio argentate. La madre era già vestita e aveva provveduto a scaricare le valige dallo scompartimento superiore, che ora traballavano al centro del vagone.
<< Che ore sono?>>
<< Quasi le 11.>> le rispose la donna. Aveva una faccia stravolta, mascherata dal trucco sempre impeccabile. << Ti ho lasciata riposare un po’, ma tra tre minuti siamo a Lima.>>
Entrambe erano molto nervose: Riley non aveva avuto il tempo di realizzare e il pensiero di presentarsi così alla madre, con le valige piene di vestiti e di vergogna, le provocava non poco imbarazzo. Santana invece si torturava le mani agitata, per nulla a suo agio in quel tuffo nel passato forzato.
Il treno rallentò la corsa e sbuffò, segno che erano giunti a destinazione. Presero le valige in silenzio, uscirono dal loro scompartimento e si avviarono verso l’uscita. Scesero dal treno e si misero a scrutare la stazione in cerca di qualche volto conosciuto. Riley notò la madre pochi metri avanti a loro. Si fermò, non sapendo bene cosa fare e come avrebbe reagito vedendola. In quell’istante Brittany si voltò e la vide: un largo sorriso le illuminò il volto, urlò il suo nome e si chinò per accogliere la figlia tra le braccia. La ragazzina si rallegrò in un istante, lasciò cadere le valige ai piedi di Santana e corse incontro a Brittany, lanciandosi tra le sue braccia. La donna la sollevò e la strinse forte, riempiendola di baci sul volto. << Mi sei mancata tantissimo!>> le aveva detto tenendola stretta stretta. << Anche tu.>> aveva sussurrato la figlia al suo orecchio. Si erano sussurrate parole segrete, che Santana non riusciva a carpire da lontano, così si avvicinò titubante, trascinandosi a fatica le pesanti valige.
Brittany volse lo sguardo su di lei e dopo aver messo a terra la figlia, si mosse nella sua direzione. Si fermarono a mezza distanza, guardandosi negli occhi. Poi la bionda fece qualcosa che Santana non si sarebbe mai aspettata: le saltò al collo, abbracciandola forte. <>
Santana si irrigidì; un brivido percorse tutta la colonna vertebrale fermandosi nel bassoventre. Ricambiò maldestramente il suo abbraccio per poi staccarsi e osservarla bene da vicino. Il tempo era stato clemente e l’aveva resa ancora più bella. I suoi capelli biondi color del grano erano raccolti in una treccia a spina di pesce che ricadeva dritta sul collo coperto da una voluminosa sciarpa di lana rosa. Indossava un pesante cappotto nero, che nascondeva le forme, ma Santana poteva giurarci che c’erano ancora e le aveva sentite molto bene. I suoi occhi, di un azzurro intenso non erano cambiati affatto: comprensivi, attenti, penetranti. Santana si sentì scavata dentro: un senso di colpa la pervase dalla testa ai piedi e le venne da piangere; dovette fare appello a tutta la sua forza d’animo per non farlo. Brittany rimase a fissarla pensierosa: << Com’è andato il viaggio?>> le chiese, prendendo una valigia e indirizzandola verso l’uscita con un cenno del capo.
<< è andato.>> rispose piatta Santana.
<< Sarete stanche…>>
<< Un po’.>> disse Riley afferrando la mano della madre. << Non abbiamo dormito molto.>>
<< Come mai?>> chiese Brittany rivolgendosi a Santana.
La mora scrollò le spalle: << Pensieri…>> si guardò intorno, riconoscendo tutto ciò che la circondava come familiare. << Non è cambiato molto qui.>>
<< Quasi nulla.>> rispose la bionda: << Nemmeno le persone.>> commentò: << A proposito, alcuni di noi hanno chiesto se vuoi che ci vediamo oggi.>>
<< Chi?>>
<< Qua siamo rimasti in pochi: Sam, il profess…Will, Quinn.>>
Santana ci pensò sopra: << A che ora abbiamo l’incontro per la scuola di Riley?>>
La ragazzina fece una smorfia contrariata, poi tornò a camminare a testa bassa, ascoltando attenta la conversazione dei genitori.
<< Alle 14. Ma dovremmo finire prima di cena, comunque. Pensavo che fosse una bella cosa vedersi tutti…a loro farebbe piacere.>>
<< Sì sì anche a me.>> rispose rapida Santana. Non sapeva se avesse realmente voglia di vederli, si sentiva stordita, come se fosse stata catapultata in uno strano sogno e si chiese per un momento se stesse ancora dormendo. Ogni fibra del suo corpo le suggeriva di riposarsi e si sarebbe volentieri stesa su un letto quella sera, ma non aveva la forza di sollevare questioni inutili. Ormai era lì, tanto valeva ballare. << Mi farebbe molto piacere. Ho il treno per tornare a New York a mezzanotte però. Contavo di finire prima.>>
<< Tranquilla.>> le rispose Brittany radiosa, appoggiando una mano sulla sua spalla: << Hanno tutti figli piccoli. Saremo tutti a casa per le 23.>>
Salirono sulla macchina di Brittany che le portò nella loro vecchia casa.
La casa di Brittany e Santana era una piccola villetta a due piani, costruita anni prima in una delle vie alla periferia di Lima. Era distante circa un chilometro dalla scuola e altrettanto dal centro, che si poteva raggiungere a piedi o in bicicletta. Aveva un piccolo giardino con la piscina, un canestro e l’orto. Era di proprietà del signor Pibody, un vedovo tozzo e tarchiato del paese, un po’ burbero, ma che per le due donne aveva sempre avuto un debole. Era vedovo da una vita e la figlia aveva lasciato il paese anni prima per trasferirsi in Giappone a lavorare. Arthur Pibody non aveva più contatti con lei, perciò si era preso a cuore delle due ragazze. Quando seppe che le due donne si erano lasciate, aveva sofferto molto anche lui, ma da uomo con il cuore buono, era stato vicino a Brittany consolandola nelle serate più dure. Brittany lo considerava come un padre, dato che i suoi genitori, da quando avevano vinto alla lotteria un premio in denaro piuttosto cospicuo, si erano trasferiti in Europa e venivano a trovarla solo una volta l’anno, se era particolarmente fortunata.
Santana percorse il vialetto recintato che portava alla scala esterna, collegata con il loro appartamento.
<< Signor Pibody!>> lo chiamò Riley aggrappandosi con le dita ghiacciate alla recinzione verde. Un uomo sulla settantina si avvicinò trotterellando, accompagnato da un maremmano bianco e grassottello, che assomigliava estremamente al suo padrone.
<< Ma guarda un po’ chi c’è! Riley Pierce…>> notò Santana: << Riley Pierce Lopez.>>
<< Ciao Mrs Robinson!>>. La ragazzina salutò il cane bianco premendo la sua guancia contro la recinzione di ferro intrecciata. Il grosso cane le leccò affettuosamente la faccia, lasciandole un bavoso bacio caldo.
<< Un uccellino mi ha detto che siete qui per restare.>> disse con gli occhi puntati su Santana.
<< Solo io fino alla fine della scuola. Mamma riparte stasera.>>
<< Certo.>> commentò il vecchio guardandola torvo. Santana deglutì e ricambiò l’occhiataccia. Il respiro pesante dell’uomo faceva condensa in quella fredda mattina d’inverno, uscendo come nuvole di vapore caldo dalla bocca. La donna giurò di vedere anche le orecchie fumare in quel momento e desiderò per un attimo essere altrove.
<< Mi fa molto piacere.>> disse l’uomo da sotto i baffoni grigio topo: << Sarà meglio che non vi trattenga oltre allora. Riley quando vuoi venire a giocare in giardino, suona il campanello. Sei sempre la benvenuta qui. Saluti.>> si voltò e tornò a con passi lenti e pesanti in casa.
Le tre salirono le scale esterne che portavano al piccolo appartamento che anni prima era stata la loro casa. Quando Brittany aprì il portone d’ingresso Santana si guardò intorno meravigliata. L’appartamento era stato riarredato secondo i gusti eccentrici della sua ex compagna. Il salotto, con le pareti bianche era riscaldato da una grande stufa a parete, che Brittany si premurò subito di ricaricare, con un grosso ceppo che iniziò subito a scoppiettare. La televisione al plasma torreggiava accanto ad una libreria carica di libri, dvd e giochi da tavolo. Di fronte ad essa era posto un divano di pelle rosso fiammante, coperto da una serie di vaporosi cuscini dai motivi allegri.
Le donne lasciarono i bagagli all’ingresso e si sistemarono in cucina.
<< Hai rifatto tutto.>> commentò Santana guardandosi intorno. Le pareti, di un giallo acceso, riflettevano la luce del sole d’inverno, illuminando tutta la stanza. Brittany aprì gli armadietti bianchi a scorrimento costellati di adesivi e glitter colorati e ne tirò fuori tre bicchieri. << Sete?>>
<< Anche acqua del rubinetto.>>
<< Quelli sono gli unici che non ho sistemato.>> Disse Brit indicando il tubo d’acciaio, poi aprì il frigorifero e ne tirò fuori una bottiglia di vetro. Ne versò il contenuto nei bicchieri. << L’acqua qui non è buona.>>
Santana la ringraziò sedendosi al tavolo di legno massello. Guardò Riley, che nel frattempo aveva preso una caramella frizzante dal vassoio del salotto ed era intenta a trattenere smorfie di fastidio. Brittany la guardò e rise di gusto: << Ne hai presa una che pizzica! Puoi anche sputarla se non vuoi. Per pranzo farei il pollo con le patate. Per voi va bene?>>
<< Certo, non devi disturbarti.>>
<< Per me è un piacere. Mi aiuti a preparare?>> chiese la bionda a Santana, desiderando di stare un po’ di tempo da sola con la donna. Riley comprese la situazione e chiese di poter fare un bagno, prima di vedere la nuova scuola. Santana per una volta fu d’accordo con lei, la figlia doveva assolutamente fare un’ottima impressione.
<< Ti trovo bene.>> ruppe il ghiaccio Santana lavandosi le mani. Brittany le passò uno strofinaccio e le gliele asciugò. Santana la guardo imbarazzata, ma la bionda non se ne curò. Era sempre stata una donna sensibile e premurosa e per lei era normale essere gentile. Si arrabbiava raramente e soprattutto non portava mai rancore ed era una qualità che Santana apprezzava intensamente.
<< Anche tu sei bellissima. Non sei cambiata per niente.>>
Santana arrossì, prendendo un coltello per tagliare e patate. Sapeva ancora dove fossero le posate, perché certe cose non erano rimaste uguali nel tempo.
<< Come…come hai sistemato la casa?>>
<< Oh beh sono cambiate un sacco di cose. Da quando mamma se n’è andata ho chiuso il piano di sotto perché da sola non riesco a mantenere le due case.>>
<< Come stanno i tuoi?>>
<< Bene credo. Hanno deciso di girare un po’ in Europa alla fine. Non hanno un posto fisso e con i soldi della lotteria hanno deciso di…godersi la vita.>>
Santana conosceva i genitori di Brittany. Erano gentili e giulivi come lei, ma non si erano mai preoccupati molto dell’educazione della figlia. Le volevano molto bene, ma diciamo che erano quel genere di persone che se la figlia fosse andata a scuola con il pigiama e le pantofole al posto della solita divisa da cheerleader non se ne sarebbero nemmeno accorti.
<< Da quanto non si fanno sentire…>> sospirò Santana che aveva il terzo occhio per queste cose. La bionda smise per un attimo di tagliare le patate. << Da un anno, forse di più. Ho perso il conto.>>
Santana scosse la testa. Gli inverni a Lima erano molto freddi e Santana poteva solo immaginarsi come Brittany potesse sentirsi sola la sera, a cenare con pollo e patate su quel triste tavolo massello apparecchiato per una persona. Si allungò verso di lei e le posò titubante una mano sulla spalla. << Mi dispiace.>>
<< Adesso ci siete voi, quindi.>> le sorrise: << Va meglio.>>
Oliò una teglia e accese il forno, ci adagiò il pollo mentre Santana lo copriva versandoci sopra le patate.
<< è stato bello rivedere il signor Pibody.>> disse la mora cambiando discorso. << Per poco non mi divorava però…forse dobbiamo dare anche a lui una fetta di pollo!>>
Brittany rise di gusto. Adorava quando Santana si lasciava andare. Lei era una delle poche che conoscevano quel lato che la latina cercava di tenere nascosto a tutti. Era sempre stata quella forte, sicura e senza peli sulla lingua. Intransigente, centrata sull’obiettivo. Ma non quando stava con Brittany. Con lei aveva il permesso di togliersi la maschera e di mostrare le sue insicurezze.
<< Hai ragione. Il signor Pibody fa paura a volte. Ma con noi è tanto caro. Si è preso cura di me quando…>> non finì la frase e Santana fece un cenno d’intesa con il capo. << Quando sono tornata a Lima abbiamo sistemato casa. Controllava lui i muratori quando ero al lavoro.>>
<< Riley mi parla molto di te sai…mi ha raccontato della tua scuola di danza, complimenti!>>
<< Davvero ti racconta di me?>> la guardò con occhi sognanti: << La scuola che abbiamo costruito io Jake e Mike è stupenda. Mike però vive a Los Angeles e torna raramente. Solo per tenere qualche lezione. Se potessi vederla…>> ma poi si ricordò che Santana sarebbe ritornata a casa la sera stessa. << Magari un’altra volta…>> concluse.
<< Sì.>> annuì lei conscia che non sarebbe tornata per molto tempo. Le due donne smisero di guardarsi e rimasero in silenzio per un tempo che a Santana parve infinito.
<< Raccontami di te Sanny. Come va la tua vita a New York?>>
<< …Apparecchiamo, ti va?>>
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La McKinley middle school sorgeva proprio accanto alla scuola superiore che Santana aveva frequentato per quattro anni. Era un edificio moderno costruito di recente, con un piccolo cortile all’ingresso, che si differenziava dall’altro stabile per i serramenti color giallo polenta. Il rosso e il bianco erano i colori del McKinley mentre il giallo doveva essere quello del McKinley 2.0, almeno così dedusse Santana varcata la soglia. Su tutte le pareti, infatti, era evidente una spessa striscia orizzontale di vernice gialla, che percorreva tutto l’istituto. Le porte e gli armadietti erano di legno chiaro e di acciaio. Era una normalissima scuola di città, con ragazzini normali e insegnanti altrettanto monotoni. Santana non aveva ragione di preoccuparsi.
<< Riley, sta’ vicino a me.>> la richiamò afferrandola per un braccio. La ragazzina si guardava intorno con occhi attenti, era arrabbiata per essere ad infiniti chilometri di distanza dal suo mondo e dai suoi amici, ma la paura di perdersi in quell’enorme edificio era un deterrente valido per obbedire alla richiesta della madre. Santana era irremovibilmente convinta che questa orrenda scuola gialla, capitanata da una misteriosa Sue Sylvester fosse la panacea di tutti i mali, non era affatto d’accordo con la sua assurda convinzione, ma ormai era lì e non sarebbe servito più a nulla protestare. Voltarono l’angolo e si trovarono di fronte ad un uomo alto, muscoloso, con i capelli da vichingo e una barba che celava una bocca insolitamente larga.
<< Non ci credo. Santana Lopez è qui.>> camminò con passo svelto verso di loro poi prese la madre per le spalle e se la trascino letteralmente al petto: << Fatti abbracciare!>>
<< Ciao Sam.>> mugugnò lei con la faccia schiacciata sul corpo dell’uomo: << è un piacere anche per me vederti.>> I suoi occhi chiari si spostarono sulla ragazzina accanto alla mora.
<< Tu sei Riley vero? Assurdo…guarda come se grande! Assomigli un po’ a una mini-Brittany.>>
<< Sam…>> lo guardò la diretta interessata con occhi eloquenti.
<< O ma anche a Santana…in effetti…>>. La mora alzò gli occhi al cielo: erano passati anni, ma Sam era sempre lo stesso. Le prime impressioni non erano il suo forte.
<< Sei venuto ad accompagnarci?>> chiese Santana per cambiare argomento.
<< Sì, vi faccio strada per la presidenza. Andate pure da tutte le parti e sentitevi liberi di esplorare, tanto il sabato pomeriggio i ragazzi non ci sono.>>
Riley lo guardò sorridendo, questa era una notizia positiva, non aveva voglia di vedere altre facce nuove. Si allontanò per sbirciare dentro qualche aula e constatò con sollievo che sembravano delle normalissime classi di scuola media.
<< Prima facciamo una tappa obbligata…per di qua.>> Sam li indirizzò in un’aula dalle pareti insonorizzate, con un grande pianoforte al centro, qualche chitarra e un impianto stereo che l’amico Finn avrebbe definito da paura.  Seduto su una sedia girevole, con uno scatolone sulle gambe un uomo sulla trentina era intento a scandagliare una serie di fogli di carta, alla ricerca di quello desiderato. Quando li vide, si spinse con la sedia verso il quartetto: << Santana Lopez.>> le tese la mano, frenando appena in tempo con la punta delle scarpe: << Non ti ricordi di me vero?>>
<< Mi sottovaluti. Non dimentico mai un volto.>> affermò con sicurezza la donna: << Ryder Lynn. Non sapevo insegnassi qui.>>
<< Già. Nonostante Sue mi abbia cacciato dal McKinley, sono riuscito comunque a rimanere in zona. In un modo o nell’altro.>>
<< Ryder è l’insegnante del Glee club della scuola. Cantano che è una meraviglia. Hey Riley, come sei messa a canto o ballo?>> chiese Sam rivolgendosi alla bambina: << Se hai preso da Brittany…o Santana >> ammiccò alle donne: << non dovrebbe essere un problema per te!>>
<< SAM!>>
<< Ehm…in realtà non canto.>> disse Riley a voce bassa: << E non ballo…io gioco a calcio.>>
<< Non è detto che tu non possa fare entrambe le cose.>> rispose con un sorriso che lasciò Riley interdetta. Si salutarono e Sam li scortò verso l’ufficio del preside.
<< Quindi giochi a calcio. Bene. Ci vedremo molto spesso allora.>>
<< Perché?>> chiese Riley affiancandolo nella camminata.
<< Perché insegno educazione fisica nella scuola. E sono il coach di calcio. BrittBritt mi ha raccontato un sacco di te, sei molto brava eh? Ricordati di iscriverti, non serve il provino per te. Ti credo sulla parola!>>
<< Lo faremo.>> aveva risposto per lei Santana.
<< Magari è la volta buona che le mie studentesse vinceranno il campionato.>>
Pochi metri più avanti si fermarono davanti all’ufficio del preside. Sam le salutò con un’epica citazione da Star Wars, raccomandando caldamente l’iscrizione alla squadra per Riley e se ne andò fiero con la promessa che si sarebbero viste più tardi al Bel Grissino.
Santana respirò a fondo, agitata per la donna che avrebbe visto di lì a pochi minuti. Sue Sylvester, maestra di vita, ma anche il suo incubo. Quella donna era letteralmente pazza; Santana ricordò la terra nell’armadietto, come le bombe che aveva messo nell’aula canto, che a sentire i racconti di Brittany avevano fatto perdere ai suoi amici almeno dieci anni di vita. Ricordò anche il cannone umano comprato per lanciare le sue cheerleader in aria, che per qualche fortunato cavillo legale non era stato mai utilizzato. Il coach Sylvester aveva sicuramente dei metodi poco ortodossi e pedagogicamente discutibili, ma confezionava solo atleti vincenti e sapevi per certo che chi finiva nel suo mirino sarebbe diventato o il futuro presidente degli stati uniti…o un fallimento totale. Santana non era sicura di essere nella prima categoria.
Allungò una mano per bussare alla porta chiusa, ma una voce profonda l’anticipò: << Avanti.>>
Sue Sylvester in tutti i suoi 185 centimetri d’altezza la guardava comodamente seduta su una sedia girevole, dietro una pesante scrivania di ebano. Indossava una delle sue solite tute monocolore, braccia conserte, solito taglio di capelli, lineamenti duri, sguardo cattivo.
Brittany la guardò storta: << Ma che cosa…?>>
<< Il figliuol prodigo è tornato all’ovile. Con tutto il suo seguito.>> constatò senza degnare gli altri presenti di uno sguardo: << Sei tornata strisciando da me Sandbag?>>
Santana stava per risponderle un secco NO, ma poi capì che ripensandoci, era proprio quello che stava facendo. << Sono venuta ad iscrivere mia figlia in questa scuola.>>
<< Capisco.>> rispose con finta comprensione, guardando Riley con aria di superiorità: << E come mai tu che hai così tanta presunzione da lasciare il college che IO ti ho procurato, per accettare un patetico mezzo lavoro da consulente di Cheerleader, in università talmente prestigiose che usano gli assegni anche per pulirsi il culo, hai deciso di rifrequentare i bassifondi dell’Ohio?>>
Riley guardò le due donne, sicuramente dovevano esserci dei rancori irrisolti. Santana era visibilmente a disagio: stava seduta come un palo sulla sedia e si torturava ossessivamente le cuticole delle mani, che avevano iniziato a sanguinare. << Io, io…>>
<< Sue aspetta un attimo…>> Brittany la fermò interdetta: << Deve essermi sfuggito qualcosa, tu che ci fai qui seduta? Noi cercavamo…>>
<< SUE SYLVESTER! Ti sei ancora seduta sulla mia sedia!>>. Emma Pillsbury entrò zampettando dentro l’ufficio e invitò la donna ad alzarsi.
<< Hai sempre questa brutta abitudine, non posso nemmeno andare in bagno cinque minuti!>>
Santana guardò le due donne incredula: << Io credevo che…Brittany…?>> la guardò confusa, ma Brittany era ancora più turbata di lei.
<< Credevo che l’avesse sostituita. Sam non mi aveva avvisato.>>
<< Non mi ha sostituita infatti. E adesso se ne sta andando.>> la accompagnò indispettita alla porta che si chiuse alle spalle.
<< Che fatica.>> rispose la rossa alzando gli occhi al cielo.
<< Non capisco.>> disse Santana: << Sue non era…>>
<< Sì.>> rispose Emma Pillsbury: << Dopo che Will è diventato preside della McKinley High, Sue ha deciso di costruire anche la middle school. In pochi anni ha creato questa scuola ed è diventata preside, l’anno scorso però ha finalmente “deciso” di andare in pensione.>>
Santana rimase un po’ delusa dal racconto di Emma. Avrebbe voluto che Sue fosse stata presente nella vita di Riley proprio come anni prima lo era stata nella sua. Era contenta che la figlia cambiasse ambiente, ma temeva che il suo piglio poco autoritario, unito alle modalità educative anarchiche di Sam e Brittany fossero un male per la sua educazione. Decisione sbagliata o meno, non si poteva tornare indietro.
<< E cosa ci faceva qui?>>
<< Oh lei gestisce il reparto DETENZIONI, sia qui che al McKinley. Cioè se uno studente si comporta male…e per fortuna ce ne sono pochi…deve per forza passare da lei. E ci auguriamo che non accada per te questo, vero Riley?>>
La ragazzina guardò Emma annuendo. Era una donna sulla cinquantina che un tempo doveva aver avuto i capelli di un rosso brillante, ma che adesso erano alternati a ciocche grigio chiaro. Portava un paio di occhiali da vista tondi dalle lenti grandi in montatura dorata. L’aveva chiamata per nome, gesto che all’apparenza denotava sincero interesse. A Riley ricordava tanto la Signorina Honey descritta nel famoso libro di Roald Dahl. “Sembra gentile. Ha fiducia in me.” Pensò, chiedendosi per quanto tempo sarebbe durata.
La donna si rivolse direttamente a lei, raccontandole della scuola, con la stessa vena di passione che di Bette quando le raccontava un giallo di Agatha Christie. Riley ascoltava attenta cercando di non perdersi ogni parola, che poi avrebbe riferito la sera stessa ai suoi due amici di New York. Alla fine di quell’intenso sermone la Pillsbury porse alla ragazzina dagli occhi verdi un opuscolo che raccontava in poche immagini la McKinley middle school e la invitò ad aspettare fuori in corridoio, mentre loro tre avrebbero fatto una “conversazione tra adulti”.
Riley obbedì. Appena uscita si attaccò alla porta cercando di udire qualche parola, ma evidentemente il legno era troppo spesso o le donne parlavano troppo piano. Si adagiò con la schiena al muro accanto e si lasciò scivolare a terra. Prese l’opuscolo e lo trasformò in una minuscola pallina, che fece rimbalzare da un piede all’altro.
<< Allora tu sei la nuova stella del momento.>> la stessa voce che prima aveva fatto gelare il sangue a Santana si fece sentire alle spalle della ragazzina, che mancò il palleggio e si voltò di scatto. << Ero a chiudere lo strozzatoio.>> disse la signora agitando un paio di chiavi.
Inspirò a pieni polmoni: << La tua puzza di snob arriva fino a qui. Non vedo l’ora di averti nelle mie ore di detenzione.>>
<< Non succederà.>> le rispose Riley tenendole testa. Due anni a sopportare quella cavallona di Renè Bjorken le avevano indurito le ossa.
La donna le sorrise maliziosa: << Oh certo che accadrà. È quando succederà sfoggerò uno dei miei sorrisi migliori e ti dirò: TE L’AVEVO DETTO. Perché Sue Sylvester non sbaglia mai.>>
<< Ha già capito tutto di me allora.>> disse Riley con una smorfia di sfida.
<< Ho già avuto una testa calda come la tua. Alzate le mani, fate qualche casino, ma poi siete mansuete come degli agnellini il giorno prima di Pasqua. E tornate dalla mammina con la coda tra le gambe, perché tutto ciò che volete è qualcuno che vi dica che siete brave.>>
Riley strinse i pugni: << è evidente che lei e mia madre avete litigato, ma non mi metta in mezzo. E la smetta di trattarla così. Non abbiamo bisogno che qualcuno ci complichi ancora di più la vita.>>
Sue Sylvester si avvicinò lentamente alla ragazzina e si fermò a pochi centimetri di distanza. Era tremendamente alta e da vicino faceva ancora più paura. Riley sussultò quando la donna si chinò verso il suo orecchio. << Lascia che ti dica una cosa little lamb, perché è così che ti chiamerò d’ora in poi, ora non ti torcerò un capello, perché so che se lo facessi la tua cara mammina dai meloni d’oro mi strapperebbe la giugulare a morsi e muore dalla voglia di farlo da anni. Ma appena andrà via e prima o poi lo farà, sarà mio immenso piacere rendere la tua fugace permanenza qui a scuola un vero inferno. Prima della fine dell’anno scolastico abbasserai quella cresta newyorkese che ti porti tronfia sulla testa e il fatto di sapere che sei figlia di non una, ma due ingrate, che hanno buttato le loro carriere stellari, per racimolare un po’ di soldi qua e là, renderà la mia impresa ancora più esilarante.>>
Riley impallidì. Questa sarebbe stata decisamente e indiscussamente la prima cosa che avrebbe raccontato a Bette e Finn.
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Dopo aver accompagnato Riley dal signor Pibody, le due donne guidarono fino al Bel Grissino, il ristorante più famoso di Lima Heights. Seduti al tavolo ad aspettarli erano seduti Sam e sua moglie Mercedes, Puck, Quinn e Will. Quando videro le due donne arrivare le accolsero con calorosi saluti.
<< Professor Shue!>> Brittany lo chiamava ancora così: << Emma l’hai lasciata a casa?>>
<< Sì, con il fatto che Riley frequenterà la nostra scuola non ci sembrava opportuno.>>
<< Davvero?>> chiese Sam che aveva realizzato in quel momento: << San, l’hai iscritta?>>
<< Sam, non metterle pressione!>> aveva detto Mercedes mettendogli una mano sul petto.
<< Cosa ci racconti Santana?>> aveva chiesto Will alla donna. << Le tue cheerleader hanno vinto anche quest’anno?>>
Santana realizzò che non avrebbe voluto parlare del suo lavoro, ma a parte quello non aveva molti argomenti per sostenere una conversazione.
<< Come sempre. >> rispose sorridendo: << Kurt, Blaine e Rachel vi portano i loro saluti.>>
La serata passò in fretta e Santana fu piacevolmente contenta di conoscere le vite dei loro amici che aveva lasciato congelati nel tempo tredici anni prima e che ora le sorridevano come se nulla fosse accaduto. Lei e Brittany erano praticamente fuggite da Lima, in fretta, con addii frettolosi. Ma il pensiero di vivere in una città dove non era accettata e di crescerci un figlio non le aveva dato altra scelta. Cercava un luogo più progressista nel quale Riley potesse crescere sicura, libera da pregiudizi ed etichette. E invece, ironia della sorte, paradossalmente, Sentiva che per sua figlia ora Lima poteva essere la libertà tanto sperata.
Qualche volta, durante la cena, Brittany e Santana si guardavano. Inizialmente degli sguardi fugaci, poi sempre più intenzionali e carichi di significato. Ogni volta che qualcuno faceva una battuta o diceva qualcosa degno di attenzione, Santana cercava istintivamente gli occhi della sua compagna e li trovava ogni volta, attenti e brillanti e si sentiva come se nulla fosse cambiato. Era il loro linguaggio segreto, comunicavano con gli occhi. Verso le 22 inoltrate Brittany capì che Santana era esausta. Le sue risposte erano più che altro monosillabiche e i suoi tentativi di nascondere gli sbadigli con il tovagliolo erano sempre più frequenti ed evidenti. Si allungò verso l’orecchio della donna, che si spaventò temendo per un istante che, come era consuetudine, volesse lasciarle sul collo un soffice bacio. Invece la bionda si limitò a chiederle se volesse tornare a casa. Santana annuì lievemente con il capo ed entrambe si congedarono, dato che a mezzanotte sarebbe dovuta ripartire. La latina era ben felice di lasciare la festa: malgrado amasse passare del tempo con i suoi amici d’infanzia, preferiva trascorrerlo con sua figlia, che poi non avrebbe rivisto per tutto l’anno. In macchina non disse una parola perché era troppo impegnata a trattenere le lacrime. Brittany guidava dolcemente, osservandola con la coda dell’occhio ad ogni stop.
<< Puoi rimanere se vuoi.>> le disse guardandola intensamente negli occhi.
<< No. >> rispose Santana scuotendo il capo: <>
<< Non scappano sai…>>
<< è meglio che vada.>> gli occhi le si riempirono di lacrime: << Se vado via più in fretta, magari sarà meno doloroso.>>
Brittany fermò l’auto davanti al vialetto di casa e la strinse forte. Apprezzava che Santana nonostante tutto riuscisse a confidarsi ancora con lei. << Coraggio. Si sistemerà tutto, basta solo crederci.>>
La donna pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto in questi giorni per lei estremamente destabilizzanti. Brittany le accarezzava la schiena tenendola stretta con la faccia incastrata nell’incavo del suo collo scoperto.
<< Scusami.>>
<< Per cosa?>> chiese Brittany prendendole amorevolmente il viso sbavato.
<< Ti ho sporcato tutta la maglietta.>>
<< Non fa niente San, tranquilla. Ora ti dico quello che facciamo: andiamo a prendere Riley dal signor Pibody, non ci facciamo mangiare…>> disse facendola ridere: << poi saliamo in casa, tu ti dai una sistemata, saluti Riley e torni a casa, se è questo che vuoi.>>
Santana Annuì ed insieme si avviarono dal vecchio Arthur. L’appartamento di Arthur Pibody era estremamente singolare. Sembrava che nessuno avesse pulito da secoli: gli armadietti erano pieni di libri di ogni genere, dai fumetti a quelli più enciclopedici, alcuni ingialliti e impolverati, altri nemmeno aperti. Nello scaffale basso erano riposti dei volumi di arte e scienza, libri con molte immagini che Riley potesse maneggiare senza mettersi in situazioni pericolose. Negli scaffali alti invece, più vicini al soffitto che al terreno c’erano più che altro cimeli di famiglia e altri o altri oggetti che avevano fatto la storia nel passato di Arthur, ma che ora erano lì solo a prendere la polvere. Sulle mensole invece erano riposte diverse fotografie di famiglia: Arthur e la moglie sposati, Arthur e la moglie in vacanza, la figlia Elaine nelle varie fasi della sua vita, SPANKY, un lunatico cocker Spaniel che avevano avuto in precedenza e che Santana ricordava fin troppo bene. Sulle pareti invece erano appesi poster e tessuti provenienti da diverse parti del mondo. Erano souvenir che il signore e la signora Pibody amavano comprare ogni volta che facevano un viaggio. Arthur Pibody era stato un giramondo da giovane: faceva l’autista dei treni e infatti sapeva tutti i percorsi ferroviari dello stato, ma durante l’anno a parte per il lavoro non viaggiava molto. Ogni estate però amava concedersi delle vacanze con la moglie, in posti esotici e lontani come l’Egitto, Africa, Isole Galapagos. Pensava di aver vissuto una vita piena e il giorno in cui la moglie morì di cancro aveva decise che sarebbe stato il momento perfetto per posare la valigia a terra e abbracciare una volta per tutte la vera sedentarietà. Ora era solo un anziano signore più che settantenne con le gambe malandate e la schiena rotta. Accolse le due donne nella sua casa senza parlare molto, tenendo la voce bassa, dato che Riley dormiva. Scambiò due parole con Brittany, mentre Santana raggiungeva il salotto per andare a svegliare la bambina.
<< Non la svegliare…>> le sussurrò Brittany dopo averla raggiunta. << è talmente bella così. Sembra una fata.>>
Ed era vero. Riley dormiva serena sul pesante divano di stoffa consumata in posizione fetale, tenendo stretto tra le braccia un libro intitolato: I MISTERI DELLO SPAZIO. Santana glielo tolse delicatamente dalle mani e lo passò alla bionda. << è uno dei suoi preferiti.>> bofonchiò il signor Pibody: << Potete tenerlo se volete. Io non lo leggo.>>
Brittany ringraziò e porto con sé il libro, mentre Santana si caricava sulle spalle la figlia, aggrappata e ancora nel dormiveglia. Salirono senza fare rumore in casa e mentre Brittany si preoccupava di sigillare imposte e finestre, la mora ne approfittò per portare la figlia in cameretta.
Accese la luce per non cadere e si guardò intorno: la stanza di Riley era ben diversa da quella di new York. Sulle pareti non grigio tortora, ma verdi pastello era documentata tutta la vita di Riley. C’era l’impronta di un piedino in gesso, la prima fotografia in bicicletta, una gita in montagna, accanto ad un pupazzo di neve, sui pattini, su un albero a testa in giù. E in ogni foto c’era anche Brittany che vegliava sorridente sulla figlia come una mamma orsa. Una parete aveva scritto a caratteri cubitali WORK IN PROGRESS ed era piena di disegni a mano, impronte, frasi copie dal vero, racconti, che Riley aveva scritto di suo pugno durante questi anni di separazione. A New York sembrava che l’unico interesse della bambina fosse il calcio, mentre le erano bastate meno di 24 ore per scoprire che Riley…Riley era una scoperta e forse Santana non la conosceva affatto.
Adagiò la figlia sul letto per un attimo penso di svegliarla, per salutarla un’ultima volta prima di partire, ma poi si convinse a non farlo. “Meglio così.” Pensò: “Per tutte e due…” se ne sarebbe andata in silenzio, lasciandola dormire serena e finalmente in pace.
Si sdraiò accanto a lei, appoggiando il mento sulla sua spalla e la strinse forte. Voleva ricordarsi il suo profumo, il suo volto, la sua voce, perché sapeva che quando avrebbe rivisto la sua bambina sarebbe stato diverso, bello, forse migliore, ma non come prima. Il pensiero che sarebbero state lontane per la prima volta dopo dodici anni le faceva male al cuore.
<< Quindi è finita.>>
<< Sì…penso di sì.
<< Non può andare così San. Ci deve essere un altro modo.>>
<< Non c’è Brit. Non possiamo farci la guerra tutto il giorno.>>
<< E allora smettiamo. Possiamo tentare di far funzionare la nostra vita. Per Riley. Per noi. Tu vuoi che funzioni vero?>>
<< Abbiamo priorità diverse in questo momento. Su tutto. Non ci fa bene, né a me e te né a Riley. Lei capisce quello che sta succedendo.>>
<< Torniamo in Ohio allora. Prendiamoci una pausa.>>
<< Non si può. Io non posso, ma tu sì. È quello il tuo posto.>>
<< No, se Riley non è con me. San cos’è quella faccia... Riley starà con me giusto? giusto?!>>

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Capitolo 8
*** Baby it's cold outside ***


CAPITOLO 8: Baby It’s cold Outside
Santana si svegliò di colpo, destata da un rumore improvviso proveniente dalla cucina. Mise a  fuoco la stanza e capì che, a differenza del sogno che stava facendo, non si trovava affatto nella sua camera di New York, ma in quella della figlia, a Lima. Roteò gli occhi all’impazzata alla ricerca di un orologio. Le 10 passate. Cercò il suo telefono e lo trovò ai piedi del letto, riverso sul tappeto spumoso. Decine di chiamate perse da Kurt, Blaine e Rachel. Imboccò il corridoio e si fiondò in cucina passando obbligatoriamente per il salotto. Riley era seduta comodamente sul divano, con un joystick in mano e i piedi nudi incrociati sul tavolino. Santana la guardò interdetta, posando gli occhi sul televisore al plasma, sul quale undici giocatori in divisa correvano meccanicamente dietro ad un pallone. Riley non se ne curò. << Buongiorno mamma.>> le disse senza staccare gli occhi dallo schermo. Santana pensò di star ancora sognando.
<< Brittany è in cucina. Sta scegliendo il menù di Natale. Secondo me ti conviene darle una mano. Io non sono un’esperta, ma non credo che la carne e il pesce dovrebbero essere mangiati nello stesso piatto.>>
<< Ok…>> disse la madre confusa.
<< Mamma >> disse mettendo il gioco in pausa: << Sono contenta che tu sia rimasta oggi.>>
Santana si avviò in cucina e lì trovò Brittany sul tavolo intenta a sfogliare un grosso libro di cucina intitolato “ La cucina delle feste”. Quando trovava una ricetta interessante, ci inseriva un segnalibro e poi passava oltre, le ricette preferite venivano scritte a mano su un foglietto volante, con tre pastelli colorati differenti: il rosa per i primi, il verde per i secondi e arancione per i dolci.
<< Ciao Sanny! Dormito bene?>>
<< Sei seria?!>>
<< Sì, perché?>>
<< Brit, sarei dovuta partire ieri sera!>>
<< Lo so…colazione?>> chiese la bionda porgendole una scatola di biscotti: << Ti faccio un tè?>>
Santana era livida di rabbia, dopo tutto quello che si erano dette la sera precedente…non poteva aver fatto questo di proposito.
<< Avresti dovuto chiamarmi. Non mi sarei dovuta fidare…>>
<< Guarda che l’ho fatto. Sei tu che mi hai chiesto di lasciarti dormire. Forse non te lo ricordi…>>
<< Non ti credo. L’hai fatto apposta!>>
A quell’offesa Brittany perse per un’istante la sua dolcezza, si alzò e si fiondò verso Santana con passi pesanti. Quando fu a pochi centimetri dal suo viso richiamò la figlia dalla stanza accanto.
<< Riley, è ora di andare da Arthur.>> disse seria. Si sentì un gran trambusto e pochi secondi dopo la ragazzina piombò in cucina con un maglione a righe dal collo alto e un paio di jeans neri.
<< Oh…>> mormorò guardando le due donne osservarsi in cagnesco: << Forse è meglio che vada…torno per pranzo ok?>>. Aveva assistito a molti litigi come quello, ma non aveva proprio voglia di sopportarne un altro.
Brittany si chinò per prendere un bacio dalla figlia che poi titubante abbracciò anche Santana e, più in fretta di come era piombata in cucina, uscì.
<< Adesso puoi continuare. Non volevo che Riley sentisse quanto tu non vedessi l’ora di andartene.>>
Santana abbassò lo sguardo, non potendo ribattere di dovere alle giuste parole della bionda.
<< Scusa. È che ho del lavoro da sbrigare.>>
<< è il 23 Dicembre, cosa avrai di così importante da fare?>>
<< Cose mie.>> brontolò la mora schiva.
Brittany restò in silenzio un’istante, poi la guardò intensamente: << Perché non vieni con me e Riley a comprare i regali di Natale oggi?>>
Santana ci pensò su e sorrise. << Non so. Dovrei fare qualche telefonata…>> si specchiò negli occhioni da cerbiatto di Brittany che le facevano sempre dimenticare la nozione del tempo, e la bionda lo sapeva bene.
Consapevole che le abilità d’incantatrice di Brittany avrebbero avuto la meglio su di lei, si allontanò e raggiunse la finestra che dava sul cortile del signor Pibody. Ma la bionda non demordeva così facilmente: << Facciamo un patto: passa questa giornata con noi. Poi se alla fine vorrai andartene, non dirò nulla. Nemmeno se me lo chiederai nel sonno.>>
Santana scosse la testa: << Brit io…>> si fermò perché vide Riley raggiungere il centro del giardino, con un’ascia grande quanto una sua gamba. “Che diavolo pensa di fare?” pensò la donna allarmata. Tentò di spingere in su la finestra per aprirla, ma come si ricordò qualche istante dopo, era sempre stata difettosa.
<< Cosa c’è?>> chiese Brittany raggiungendo la mora.
<< Riley!>>
Brittany si precipitò alla finestra preoccupata, ma quando osservò sorrise.
<< Si farà male!>>
<< Guarda meglio.>> le disse la bionda avvicinandola alla finestra.
Riley prese un pezzo di legno, brandì l’ascia e con un colpo secco ed esperto spaccò il legno in due, mise in una cassetta i ceppi dimezzati e continuò il suo lavoro.
<< Riley a tutti i giorni da Arthur. Lo aiuta con la legna, il giardino e i lavori di casa. Gli fa anche la spesa.>> picchiettò le nocche contro la finestra, la figlia si voltò attirata dal rumore, guardò le due donne e gridò sollevando l’ascia:
<< Sono come Thor!>>
Brittany le sorrise alla finestra: << Sei Thor.>> le rispose senza voce.
Santana fissò la figlia dal vetro di quella finestra malandata. Ripensò alla loro vita a New York e a quanto le sembrasse patetica ora. Aveva sempre voluto che sua figlia fosse la migliore in qualunque cosa facesse, perché aveva imparato che crescere significava capire la propria strada e fare di essa il proprio centro, come lei aveva fatto con il cheerleading. Ma forse si era sempre sbagliata, perché lì, a pochi metri di distanza, c’era una ragazzina, che era diventata così grande, senza correre dietro ad un pallone, senza dover dimostrare niente a nessuno.
 
<< Brittany così non va bene!>>
<< Santana ci stavamo solo divertendo un po’…abbiamo deciso di mangiare al fast food qui all’angolo e poi abbiamo chiacchierato. Non abbiamo fatto nulla di male.>>
<< C’era la partita oggi!>>
<< Riley mi ha chiesto di non andarci.>>
<< E da quando in qua ci facciamo guidare dalle opinioni di una bambina di 8 anni?>>
<< Dio San, è solo una cavolo di partita di calcio! Non è così grave.>>
<< Brit ne avevamo parlato. Se Riley vuole frequentare le migliori scuole deve iniziare ad impegnarsi da piccola.>>
<< è vero, ma mi sembra che avessimo anche deciso che dell’educazione di Riley me ne sarei occupata principalmente io. “DIVISIONE DEI POTERI”. Tu porti il pane a casa e io…io sto con Riley?>> aveva detto la moglie con una vena di sarcasmo che proprio non le si addiceva.
<< è così.>>
<< E allora fammi fare il mio lavoro!>>
<< Non se…>>
<< Avanti…dillo…è la tua specialità farmi sentire meno di zero.>>
<< Lasciamo stare. Brittany, lo dico per l’ultima volta, Riley NON PUO’ saltare le partite.>>
<< Non DEVE vorrai dire.>>
Santana aveva allargato le braccia: << E che diavolo di differenza fa?>>
<< Ne riparliamo tra cinque anni…>>
 
Maledetta Brittany. Maledettamente geniale. Santana si voltò verso la donna e sospirò.
<< Andata.>>
________________________________________________________________________________
Le tre donne salirono sulle scale mobili che portavano al primo piano del centro commerciale di Lima Heights. Santana si guardava intorno, cercando di ricordarsi cos’era cambiato e cos’era rimasto esattamente come quando era al liceo. Notò con gioia che alcuni dei suoi negozi preferiti erano rimasti lì dov’erano.
<< Allora, come ci organizziamo?>> chiese Brittany alla figlia?
<< Organizziamo?>> rispose l’altra donna interdetta.
<< Dato che siamo in tre vado prima con te a prendere il tuo regalo, poi con lei.>>
<< A te andrebbe bene se io e Riley prendessimo il tuo regalo insieme? È una nostra tradizione, poi quando abbiamo finito ci diamo il cambio.>> le chiese Brittany appoggiandole una mano sulla spalla. << Non ci allontaneremo, facciamo solo un giro in centro.>>
<< Ehm…sì.>> rispose titubante la mora.
Riley saltò eccitata sul posto: << Perfetto! Allora ci vediamo tra mezz’ora davanti al Costa Coffèe.>> la ragazzina partì come un razzo e Brittany le corse dietro, si voltò a guardare Santana e alzò le spalle con un’espressione spensierata.
<< Brit!>> le gridò la mora: << E io nel frattempo cosa faccio?>>
La donna si fermò e raggiunse Santana, quando la mora la vide avvicinarsi nuovamente al suo viso ripenso alla cena al Bel Grissino e per un attimo credette che Brittany volesse di nuovo baciarla. Si irrigidì, sentendo il fiato caldo della bionda nell’orecchio.
<< Potresti prendere un regalo a Riley.>> le scoccò un bacio sulla guancia, << A dopo.>>
 
Santana sapeva esattamente dove andare, o almeno sperava con tutto il cuore che quell’ala del centro commerciale fosse rimasta intatta e che il tempo non avesse cambiato le cose. Salì di un altro piano per raggiungere il negozio che era stato la sua salvezza quando era una ragazzina. Svoltò l’angolo e sorrise alla vista dell’insegna nera di HIBBETT SPORTS. Si ricordò dei pomeriggi passati con Brittany a provare le nuove collezioni; scaldamuscoli improponibili, felpe catarifrangenti e maglie termiche così attillate da sentire gli addominali pulsare. Varcò la soglia del negozio e cominciò a passeggiare tra i reparti, toccando con la mano qualche abito dal tessuto particolarmente resistente. Aveva in mente un k-way o qualche altro abito contro la pioggia. O magari delle scarpe da calcio nuove o dei parastinchi personalizzati, con qualche frase ad effetto sulla parte davanti. La verità era che non aveva idea di cosa avrebbe regalato alla figlia. Ogni anno andava sul sicuro con vestiti sportivi o materiale per gli allenamenti e le pareva che la figlia fosse contenta. Le sorrideva e ringraziava. Insomma, una persona se non gradisce qualcosa non ringrazia giusto?
Sbuffò e optò per una maglia termica rossa, il colore preferito di Riley, poi, convinta che il rosso acceso sarebbe stato come un pugno in un occhio, ne recuperò al volo una bianca. Pagò e uscì, avendo cura di nascondere il suo regalo nella sua Louis Vuitton color ebano.
Cominciò a girare su sé stessa cercando di orientarsi per raggiungere il Costa Coffèe e credette di aver imboccato la strada giusta per un attimo, quando si trovò di fronte una serie di negozi di alta moda, che non aveva mai visto a Lima Heights. Pensò che quel posto fosse davvero cambiato e stava per ritornare sui suoi passi, quando il suo occhio attento cadde su un negozietto incastrato tra gli altri. L’insegna al neon aveva qualche lettera non illuminata e l’atmosfera vintage non contribuiva ad attirare la clientela, che probabilmente percorreva quella strada solo per un nuovo abito di chiffon. Santana non seppe mai cosa l’avesse attirata in quel negozio, forse perché era minuscolo e nascosto, o forse perché come lei sembrava potesse crollare da un momento all’altro. Varcò con passi titubanti la soglia e un odore di plastica bruciata le invase le narici. Dopo un attimo di disorientamento decise comunque di guardarsi intorno e di esplorare la merce. Era una specie di biblioteca, dagli scaffali di ferro coperti di lucida vernice nera. Le pareti in finta tappezzeria erano tendenti al bordeaux e rendevano l’angusto locale ancora più piccolo e opprimente. Santana passò un dito su ogni scaffale, che conteneva DVD di ogni genere ed epoca. Sul fondo del locale c’era anche u reparto speciale VHS; la donna si fermò a guardare le custodie ingiallite, rimembrando i film che lei e la sua abuela amavano guardare alla televisione. Sorrise quando lesse il titolo Mulan; aveva visto quella pellicola così tante volte che il nastro si era consumato e saltava sempre nella sua parte preferita, quando la protagonista riesce a raggiungere la freccia.
<< Cosa vedono i miei occhi! Santana Lopez!>>
A Santana si gelò il sangue. Da dietro il pesante bancone di legno massiccio, un ometto sulla sessantina dalla pelle scura e i capelli brizzolati pettinati all’indietro guardava la donna con occhietti piccoli, spalancati in un’espressione di compiacimento più che di sorpresa.
<< A volte ritornano!>> commentò.
<< Pr…Preside Figgins!>> incespicò lei come un reo colto sul fatto.
<< Oh, chiamami pure Caleb.>>
La donna lo guardò stranita. << Non ti aspettavi di vedermi qui vero?>> Tra tutti i nomi possibili, non si sarebbe immaginata che si chiamasse così.
<< Ehm…no?>> disse Santana cercando di ricomporsi.
<< La sorpresa è reciproca. Che ci fai in questa topaia a Lima Heights? New York non è abbastanza per te?>>
Santana aprì la bocca per rispondere, ma non ci riuscì. L’unica cosa da fare sarebbe stata quella di dileguarsi e di dimenticare di essere stata lì. Fissò l’uscita allarmata.
<< Oh capisco, sei tu che non sei abbastanza per New York! La sindrome di Rachel Berry ha colpito anche te. Sei una meteora Santana Lopez…>>
Santana si senti profondamente irritata, voleva uscire e doveva assolutamente raggiungere Brittany e la figlia: << Senta…sa una cosa…non mi interessa nulla delle sue idee, adesso io esco e ci dimentichiamo tutto e…>> si bloccò vedendo un oggetto che catturò chiaramente il suo interesse: << Quello lo vende?>>
Santana corse più che potè e quando vide la scritta Costa Coffèe tirò un sospiro di sollievo.
<< Mamma! Dov’eri finita?>>
<< Io…mi sono persa.>> disse Santana con il fiatone, incrociando lo sguardo di Brittany che ricambiò con un sorriso.
<< Allora>> continuò la mora cambiando discorso: << Facciamo una pausa caffè prima di continuare? Le fanno ancora le brioches alla mandorla?>>
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<< Rilassati Sanny, non sta andando sulla luna. Sta solo girando per il centro commerciale, in cerca di un pensiero per Arthur. È una cosa carina.>>
<< Sì, ma da sola…>>
<< Siamo in una piccola città. È al sicuro.>> la rassicurò Brittany stringendole una spalla.
<< E se si perde? Ti ricordo che tu ti perdevi quotidianamente nei centri commerciali.>> continuò la mora torturandosi e cuticole. Brittany le prese le mani e la fermò: << Mi sembra molto improbabile.>> le sorrise.
Santana guardò distrattamente lo smart watch nero da polso, poi si appoggiò alla metallica ringhiera nera che delimitava il centro del centro commerciale e guardò in alto in cerca di un po’ di luce. Il sole non era più alto nel cielo e si accingeva a tramontare, ma le pareti bianche e il grosso lucernario posto in cima catturavano la luce come un cacciatore di farfalle in azione.
<< Allora come si chiama?>> chiese Brittany appoggiandosi accanto alla mora. Santana la guardò con incredulità, ma gli occhi sinceri di Brittany le dimostravano che sapeva.
<< Non ti si può nascondere nulla…>> sospirò: << una volta ero io che avevo il terzo occhio…>>
<< Ho una laurea in Santana Lopez, ricordi?>> la canzonò lei, spingendola leggermente con la spalla. Santana si appoggiò al suo braccio, sorretta dal suo peso. Era strano come anche se era passato così tanto tempo, le due donne si cercassero fisicamente, come le prime volte. Era naturale, speciale, era bello.
<< Si chiama Cassidy. Ha 30 anni ed è il coach della Columbia.>> disse la latina aspettandosi una reazione isterica da parte della bionda, che però non arrivò.
<< E com’è?>> chiese Brittany stringendosi nelle spalle.
<< Non è te.>> Santana si voltò e la guardò negli occhi. Si fissarono per un tempo che parve infinito, quando Brittany annullò le distanze: << Tu la ami?>> le chiese ad una ventina di centimetri dal suo viso. Santana aveva perso ogni tipo di spavalderia, ma trovò la forza per dire: << Credo di sì.>>
La bionda si fermò un attimo, gli occhi bene aperti, un’espressione indecifrabile sul volto. Poi abbracciò la mora e la strinse forte a sé: << Sono contenta per te.>>
Santana aveva la testa a viole; si sentiva avvampare e non riusciva a comprendere il comportamento di Brittany. Insomma, era davvero felice per lei? E lei, era davvero felice e innamorata come voleva far credere? Il turbinio di emozioni che le vorticava in testa scese senza troppa fatica nello stomaco e Santana sentì un senso di nausea pervaderla immediatamente. Si staccò dall’abbraccio imbarazzata.
<< Non devi comprare tutto il cibo per Natale?>> tergiversò allontanandosi da Brittany.
<< Magari mangeremo qualcosa al cinese. A Riley piacciono i ravioli di gamberi.>>
<< E tutte le ricette che hai annotato? Rinunci?>>
<< Dipende.>> rispose la bionda on un mezzo sorriso.
<< Da cosa?>>
<< Da te.>> la guardò maliziosa, cercando di strapparle un sorriso genuino. Santana era il suo regalo di Natale e non avrebbe desiderato altro, se non di averla accanto a sé in uno dei giorni più belli dell’anno. La mora scosse la testa e le donò uno dei suoi sorrisi più brillanti:
<< Andiamo a fare la spesa Britt-Britt.>>

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Capitolo 9
*** The story of my life ***


CAPITOLO 9: The story of my life
<< Funziona?>>
<< Un attimo Sanny, si sta connettendo!>>
<< Kurt…Kurt, ci sentite?>>
<< …adesso sì.>>
Kurt e Blaine erano seduti a gambe incrociate sul letto della loro camera davanti al loro laptop, fissando Brittany e Santana sedute nella stessa posizione dall’altro capo dello schermo.
<< Hey Brittany, ciao!>> gridò pieno di gioia Blaine sentendo la voce dell’amica di lunga data. Non si erano mai più visti, da quando lei aveva lasciato New York senza farvi ritorno, però si scrivevano regolarmente, per aggiornarsi sulle loro vite. Kurt non era molto legato alla bionda, ma grazie al suo compagno era sempre al corrente di tutto, cosa che lo rendeva particolarmente loquace.
<< Ciao Blaine, Kurt. Che bello vedervi dopo tanto tempo!>> disse lei con un largo sorriso << Come state?>>
Santana la osservò. Era radiosa. Quando si erano divise e Brittany aveva perso la custodia esclusiva, Santana era stata spietata. Aveva avuto così tanta paura di non vedere più la sua piccola Riley, che il solo pensiero l’aveva portata a combattere con le unghie e con i denti per la custodia esclusiva, calpestando totalmente i desideri della sua compagna. Le aveva creato intorno terra bruciata e alla fine di tutto, si era trovata a New York a gestire una bambina senza il tempo di farlo e Brittany a Lima, da sola e senza uno straccio di lavoro. Il senso di colpa per ciò che le aveva fatto era arrivato più tardi. Aveva anche pensato di chiederle scusa, soprattutto adesso, che aveva visto quanto duro lavoro avesse fatto per tirare su sua figlia, nonostante le condizioni poco favorevoli. Ma Brittany era l’essere umano migliore su questo pianeta e il rancore non era un sentimento presente nel suo DNA.
<< Stiamo bene, insomma, lo schianto che hai accanto ci manca, però…The Show Must Go On.>> rispose Kurt con un sorriso sincero.
<< Già quest’anno hai il pacchetto completo!>> commentò Blaine.
<< E non potevo desiderare di meglio!>>
<< San, Riley dov’è?>> chiese Blaine alla donna. << È fuori a giocare a casa del signor Pibody.>> rispose lei.
<< Il famoso signor Pibody!>> disse Kurt gonfiandosi il petto, con l’aria di qualcuno che sa: << Sei sopravvissuta Santana o ti ha azzannato prima del dolce?>>
La mora guardò Brittany imbarazzata; aveva confidato a Kurt che non era propriamente nelle grazie di Arthur Pibody, ma non si aspettava che lo dicesse così senza filtri lì davanti a lei.
<< Kurt ti prego, che imbarazzo.>> disse lei avvampando di calore. Si nascose il volto nella maglietta, desiderando inutilmente che Brittany non avesse sentito le parole dell’amico.
La bionda la guardò ridendo e le mise una mano sulla schiena, fu un gesto talmente discreto che Kurt nemmeno lo notò.
<< Te la vado a chiamare?>> chiese Santana.
<< No no, tranquilla. La sentiremo più tardi.>>
<< Ha già aperto i regali? Dovrebbe essere già arrivato il nostro e quello di Rachel no?>>
<< Sì sono arrivati>> aveva risposto Brittany: << Ma noi li apriamo stasera…>>
<< Tradizione di Brit.>> aveva risposto Santana
<< D'altronde non si dice, “paese che vai, usanza che trovi”?>> chiese Blaine.
<< Peccato, vorrà dire che indosserò la mia blouse D&G per Capodanno.>> commentò altezzosa Santana.
<< Ah no San, non ci provare nemmeno! Non ti diremo cosa ti abbiamo regalato nemmeno sotto tortura!>> disse Blaine ridendo: << Fa così anche con te?>>
<< è tutto il giorno che tenta di saperlo.>> replicò Brittany strizzando l’occhio alla mora: << Ma non glielo dirò mai!>>
<< Non ti facevo così perfida Brittany!>> rispose ridendo Kurt: << Pensa che io e Blaine ci siamo regalati la stessa cosa! Insomma, quante possibilità c’erano che entrambi ci regalassimo lo stesso dvd di My fair lady con i contenuti extra?>>
<< Mi fate venire il diabete, vi prego basta.>>
<< Perdonami, è vero che non sei abituata a tutta questa gioia!>> constatò Kurt scherzoso: << A proposito di gioia, rullo di tamburi…Artie ha chiamato stamattina!>>
<< Si farà?>> chiese Santana illuminandosi in volto.
Brittany la guardò confusa: << Cosa si farà?>>
<< Oh, Blaine è stato scelto da Artie per un nuovo film con ripresa a passo uno, che sta girando a LA>>. Rispose Kurt abbracciando fiero il suo compagno.
<< La ripresa a passo uno è quella che si gira in stop motion. Non so se lo sai…>> le disse Santana comprensiva.
<< Nightmare before Christmas, lo so!>>
<< Si…quel genere.>> rispose la donna sorpresa, che Brittany sapesse queste cose. Poi si ricordò che era praticamente la regina del Natale.
<< Sono contenta per te Blaine, ma come farai con le lezioni di piano?>> le disse Brittany, che sapeva degli impegni didattici dell’uomo.
<< Ho spostato le lezioni dei ragazzi al mattino, così nel pomeriggio posso comporre per il film…>>
<< E la sera può suonare al Harmonia Gardens!>> concluse tronfio Kurt.
<< Sì Brit, non te l’ho detto, ma da un paio di mesi mi hanno preso per fare il pianoman all’Harmonia. Non suono tutte le sere, ma pagano bene e mi fanno suonare musica originale o provare qualche arrangiamento mio.>>
<< Che bella notizia Blaine! È come una palestra per te, puoi esercitarti nella composizione! Non era quello che volevi?>>
<< Sono ancora agli inizi Brittany, ma sono entusiasta!>>
Brittany batté le mani per la gioia: << E tu Kurt? Come va il lavoro?>>
L’uomo si gonfiò il petto e guardò le amiche incrociando le gambe e con sguardo altezzoso: << “Superbamente a pezzi cara.”  Gestire lo studio di Vogue è estremamente impegnativo. Specialmente sotto Natale, pieno di incompetenti che non hanno ancor capito che rosso carminio e verde pisello NON sono colori da abbinare!>>
Blaine spinse via il suo partner avvicinandosi alla webcam: << Se la tira!>> scherzò facendo l’occhiolino e suscitando le risate delle due donne.
<< E piantala!>> rispose lui sistemandosi il ciuffo ossigenato.
Santana guardò Brittany che si teneva la pancia ridendo di gusto. Quando rideva era ancora più bella e avrebbe voluto che quel momento fosse infinito. Invece dopo qualche secondo, la bionda si ricompose e rivolse una nuova domanda ai due: << E Rachel?>>
Santana la guardò sgranando gli occhi: << Perché non la senti? È tutta la chiamata che canta >>. Brittany tese l’orecchio verso il pc e si accorse di un fastidiosissimo e costante sottofondo musicale.
<< Magari. È tutto il giorno che va avanti…insopportabile. Dobbiamo ricordarci di bandire il karaoke durante le feste.>> disse Kurt affranto massaggiandosi le tempie.
<< Gli anni scorsi Santana la teneva delicatamente a freno, ma quest’anno…>> Blaine si alzò e aprì la porta: << Poniamo fine a questa tortura. Vado a chiamarla.>> sparì dietro la porta scorrevole della camera e in pochi secondi si sentì un gran trambusto nell’altra stanza, ma la musica cessò. Quando la porta si riaprì Rachel Berry fece capolino trillando come suo solito: << La prossima seduta dalla logopedista me la pagate voi. Credo che mi verrà una laringite.>> si sedette con una posa da diva sul divano, reggendo un bicchiere di champagne che si svuotò quasi tutto non appena poggiò il sedere sul materasso. Kurt alla vista del liquido fruttato sulla coperta di vero lino lanciò a Rachel un’occhiata furibonda, ma la donna, già un po’ alticcia, non se ne curò.
<< Allora! Sei sopravvissuta al famoso pranzo con il “mastino Pibody”?>>
<< RACHEL!>> urlarono tutti in coro.
________________________________________________________________________________
Fu una cena semplicemente perfetta. Avevano mangiato gli avanzi del pranzo, preparati da Brittany e Santana il mattino stesso. Avevano riso, scherzato e per la prima volta dopo anni, parlato serenamente. Per un attimo Santana pensò di essere tornata a qualche anno prima, quando i loro animi erano più leggeri e niente poteva levare loro la spensieratezza. Ma poi si ricordò di essere a mille chilometri da casa e che quella giornata stava giungendo al termine. Aprirono i regali gustandosi la specialità di Brittany, la torta al limone decorata con piccole fettine di limone zuccherato, ovviamente preparata con il prezioso aiuto di Santana, che sapeva come le ricette la confondessero. Ed ora erano tutte e tre sul tappeto ad onorare la “tradizione più bella di tutte”, a detta sua.
<< Ne apriamo uno a testa ok?>> propose Brittany: << Inizia tu, Riley che ne hai di più.>>
La ragazzina scartò con impazienza il regalo della famiglia di Kurt e Blaine: << Che bello.>> disse gentile sollevando in aria un maglione di lana dalle tonalità arcobaleno. Lo infilò sopra la salopette di denim e fece un giro su se stessa. << Come sto?>>
<< Sembri una bandiera LGBTQ>> le rispose Santana. Brittany mise una mano sulla spalla alla donna: << Stai benissimo Riley. Qualcosa mi dice che ti conviene aprire quello di Rachel.>>
<< Concordo. >> disse Riley agguantando il pacchetto. << Ma che cos’è?>>
<< Credo di saperlo…>> sospirò Santana: << Credo sia una pendrive o simile con tutte le canzoni cantate da Rachel. Con tanto di lista.>> concluse sventolando un piccolo foglietto di carta recuperato da terra.
<> rispose Riley più confusa che contenta.
<< Un regalo alla Berry…>>
<< A proposito…forse è il caso che tu apra il tuo.>> disse Brittany porgendo alla donna un pacchetto dorato.
Santana lo scartò lentamente, cercando di leggere negli occhi delle due cosa potesse contenere. Quando finalmente lo aprì la sorpresa fu tale che non riuscì a proferire parola.
<< Per certe cose il tempo non conta non credi?>> le rispose Brittany guardandola con quegli occhi azzurri come il cielo senza nuvole.
<< Ti piace mamma?>> le chiese Riley in apprensione.
<< …è un regalo stupendo.>> La donna stringeva tra le mani il CD originale di Amy Whinehouse, con il cuore in gola. Era sempre stata la sua cantante preferita e aveva trascorso i migliori anni della sua vita ad ascoltarla, Amy era stata la sua compagna di avventure. Ascoltava back to black quando si sentiva triste, Valerie quando era felice e con Rehab, si sentiva pronta a spaccare il mondo. Quando aveva deciso di lasciare Lima, sua madre non poteva tenere in casa tutta quella “roba inutile” e allora aveva deciso di buttare gran parte delle sue cose, compreso quel favoloso CD, che tanto aveva amato. Riaverlo tra le mani le provocò una fitta allo stomaco. O forse era il profumo alla vaniglia di Brittany che le si era appena seduta accanto.
<< Questo uccellino qui, mi ha detto che ti piace ancora ascoltare i CD quando sei in macchina. Non è quello che avevi, ma pensavamo che così potrai ricordarti sempre di noi.>>
<< E di questo Natale.>> concluse Riley avvicinandosi pure lei alla madre.
Santana tossicchiò imbarazzata: << Brit dai tocca a te!>>
La bionda sollevò il suo pacchetto rettangolare e lo scosse con sospetto.
<< Ferma! È fragile!>>
<< Una cornice? Vuota…Perché?>> chiese rivolta alla donna. Santana, che non si era del tutto ripresa dalla sorpresa precedente, fece cenno a Riley di spiegare.
<< è vuota perché la riempiremo con una nostra fotografia che scatteremo nei prossimi giorni.>>
Brittany si voltò sorpresa verso Santana, che rispose ai suoi occhi cristallini: << Ho deciso che rimarrò per tutte le vacanze natalizie.>>
A quella notizia Brittany le saltò al collo e la strinse forte. Santana questa volta non fu sorpresa, né imbarazzata, desiderava quell’abbraccio. Respirò intensamente il suo profumo, affondando il suo viso nei capelli chiari che le ricadevano sciolti sulle spalle. Ricambiò l’abbraccio con tutto l’affetto possibile e si godette a pieno la solita sensazione farfallina nello stomaco. Si staccarono entrambe allo stesso momento, anche se di malavoglia.
<< Riley, apri i nostri…>>
<< Prima quello di Brittany, il mio…non è niente di che.>>
<< Smettila San, Riley è quello blu il mio.>> disse Brittany indicando un pacchetto grande quanto una gamba di Riley.
<< Non ci credo!>> disse la ragazzina saltellando: << con le decorazioni sul retro. E le rotelle di…>>
<< Poliuretano sì. Per fare tutti i trick che vuoi!>>
Riley guardò la nuova tavola con venerazione: passò la mano sulla ruvida faccia superiore e lo girò per ammirarne le decorazioni, ramificate in alberi dalle sfumature azzurrine. << è il regalo più bello del mondo. Le disse stampandole un bacio sulla guancia.>>
Santana si sentiva a disagio a doverle dare il suo regalo, insomma, come poteva competere con una diavolo di tavola con le ruote. Un altro interesse di Riley che lei non conosceva fino in fondo; se l’avesse saputo avrebbe provveduto a regalarle casco e ginocchiere, quantomeno.
<< Questo è il mio.>> bofonchiò Santana porgendole un misero pacchetto rettangolare. Riley fu grata che non avesse la forma di un paio di parastinchi. Non avrebbe sopportato l’ennesima coppia decorata con la facciona di Abby Wambach. Non aveva mai osato dirle che quella donna aveva smesso di giocare da un secolo ormai. Scartò il pacchetto con curiosità e rimase sorpresa nel vedere che non si trattava nemmeno di una maglia termica.
<< Oh…>> disse solamente, facendo dondolare le gambe sopra la tavola regalata da Brittany.
<< Lo sapevo, non ti piace…>> constatò Santana mortificata: << Ho fatto una cagata…lo riporto al negozio e…>> la sua mente ritornò alla faccia del preside Figgins e a quanto avrebbe gongolato nel vederla di nuovo, per un reso per giunta. Sulla sua faccia comparve un’espressione di disgusto. Si allungò per prendere il regalo, ma Riley lo strinse nelle mani.
<< è bellissimo.>> sussurrò ammirandone la copertina: << Non sapevo avessero fatto anche il film.>>
<< Sapevo che avevi finito di leggere il libro…ho pensato fosse un pensiero carino.>>
<< Lo è!>> si affrettò a dire la figlia, tenendo gli occhi fissi sul titolo: << Pomodori verdi fritti alla fermata del treno…non ci credo.>>
Santana comprese di avere per una volta fatto centro e indovinato il regalo perfetto per sua figlia: << Spero ti piaccia.>>
<< Mamma, posso vederlo adesso?>> chiese rivolgendosi a Brittany. << Certo se ti fa piacere!>>
Riley non ci pensò due volte, agguantò il DVD e lo inserì immediatamente nel lettore. Prima che partisse scoppiò in una sonora risata.
<< Che c’è?>> chiese Santana
<< Credevo mi regalassi la solita maglia termica!>>
<< Eh già…>> rispose la mora sudando freddo: << …sorpresa!>> incrociò lo sguardo di Brittany che ricambiò con un’occhiata rivelatrice. Si avvicinò alla mora e le lasciò un leggero bacio sul volto.
<< Per che cos’era questo?>>
<< Ti adoro.>>
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<< Lo sapevo che le sarebbe piaciuto.>> sussurrò Brittany mettendo le stoviglie sporche nel lavandino. << Dorme?>>
<< Stt. Brit, fai piano>> rispose Santana indicando la figlia sul divano: << è crollata.>>
<< beh, è stata una giornata intensa per lei. Un Natale pieno di novità. >>
<< Hai ragione. Vuoi una mano?>> chiese la mora vedendo Brittany trafficare con i piatti.
<< Tranquilla, domani sistemo tutto. Vuoi sederti un momento?>> disse prendendo posto al pesante tavolo di legno della cucina. Santana obbedì curiosa.
<< Ti ho preso un pensierino.>>
Santana la guardò in difficoltà: << Brit grazie, ma non dovevi. Io non ti ho preso nulla.>>
<< Non importa, avervi qui tutte e due è per me il miglior regalo che potessi farmi.>> estrasse dalla borsa un sacchetto di plastica e lo porse alla mora. Santana lo prese e ne estrasse un pezzo di stoffa bianco. << Che cos’è? Un'altra maglietta come al liceo?>> chiese aprendola davanti ai suoi occhi: << Santana Lopez. Perché c’è scritto il mio nome? Brit, perché mi hai fatto questo regalo? Non capisco…>>
Brittany era nervosa, guardava la mora con apprensione e continuava ad agitare la gamba accavallata. << Brittany, ma cosa c’è?>>
<< Credo che sia ora che…che tu vada a trovare tua nonna.>> disse tutt’ad un fiato.
<< Devi avere bevuto troppo…>> le rispose Santana dopo una breve pausa: << Non sai quello che dici.>>
<< So benissimo quello che dico e credo veramente che sia ora che tu la perdoni.>>
<< Proprio tu lo dici, che a momenti l’ammazzavi quel giorno.>>
<< Lo so, ma si cambia…>> rispose la bionda abbassando lo sguardo.  Santana si allontanò, guardando fuori dalla finestra, il cielo nero le metteva paura.
<< Non posso tornare da lei. Non dopo quello che è successo.>>
Brittany la prese per le spalle e la guardò fissa negli occhi, Santana si sentì l’aria mancare, ma non poteva affatto fuggire da quella morsa, che erano le mani della bionda che la tenevano salda sulle sue gambe.
<< Ti chiedo solo questo. Sarà il mio regalo di Natale, non avrai più nient’altro da me giuro.>>
Santana ci pensò su: << Maledetta…sei più impertinente di Riley lo sai?>> la guardò: << Ad una condizione. Ci andrò da sola. Non vorrei si ripetesse la scenata di dodici anni fa…>>
Brittany allentò la presa, ma la osservò dubbiosa: << Ci andrai davvero?>>
<< Certo, lo prometto. Anche perché non vorrei che si scatenasse l’uragano Brittany su di me se non ci andassi.>> quella battuta servì per stemperare la tensione. La bionda ridacchiò e scosse la testa. << Va bene. Mi fido.>>
Si avviò verso il divano e con un abile movimento sollevò Riley, che si aggrappò nel dormiveglia come un koala sulla sua schiena.
<< Sanny >> disse con sua figlia sulle spalle: << Indossa quella maglietta.>>

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Capitolo 10
*** I'll stand by you ***


CAPITOLO 10: I’ll stand by you
Santana era ferma sul ciglio della strada. Cercava di muovere le gambe, ma le sentiva pesanti come macigni. Era nervosa perché non sapeva come avrebbe potuto reagire quando la sua abuela avesse aperto la porta di casa, ammesso che volesse farlo. Sarebbe stato un incontro breve o lungo? Probabilmente avrebbero continuato l’accesa discussione iniziata una dozzina di anni prima, avente come oggetto la sua inguaribile malattia che l’aveva portata non solo a provare attrazione per persone del suo stesso sesso, ma addirittura a sposarne una. Alma Lopez non aveva mai visto Riley, il frutto dell’amore di lei e Brittany perché dopo quella sera, dopo il “presunto esorcismo”, Santana aveva definitivamente rotto i rapporti. Nemmeno sua madre le era stata molto vicina; aveva sempre compreso le sue scelte, l’aveva sempre sostenuta economicamente, prendendosi cura della nipotina, ma negli ultimi anni si era parecchio allontanata. Fino a quando non aveva deciso un paio di anni fa di lasciare Lima e di trasferirsi a Miami con il suo nuovo compagno. Anima gemella a quanto pare. Almeno era ricco e non avrebbe dovuto rinunciare alla messa in piega per arrivare a fine mese.
Né lei né Brittany erano così legate ai propri genitori: loro erano famiglia l’una per l’altra e questo le era sempre bastato. Quando poi si erano lasciate, lei si era creata una nuova famiglia a New York, strana, poco tradizionale, ma fatta di persone speciali in grado di accettarla, con tutti i suoi innumerevoli difetti. Decise di muovere ancora qualche passo e pochi metri più avanti si trovò di fronte al porticato di cemento, l’ingresso della casa della nonna. Si fece coraggio ed entrò. Il complesso di case dove risiedeva Alma Lopez era uno dei primi insediamenti di Lima, lo si poteva notare dalla struttura delle fondamenta e dei serramenti, che sembrava risalissero direttamente dagli anni ’60. Il cortile era di cemento chiaro, liscio e levigato, ma chiuso dalle case, che lo lasciavano in ombra per tutto il giorno. I bambini che ci giocavano ora erano cresciuti e lo spiazzo centrale, che Santana amava usare per esercitarsi in ruote e rondate, era stato adibito a parcheggio per auto. Alzò lo sguardo verso i balconi del piano superiore. Erano perlopiù chiusi, con le persiane sbarrate, segno che i proprietari erano morti, se ne erano andati o avevano venduto la casa. Su uno di questi un uomo sulla sessantina, che la donna non conosceva, magro e impalato, dall’aria sporca e sudaticcia la fissava sospettoso.
<< Sono venuta per trovare Alma Lopez.>> si giustificò la donna.
L’uomo si riempì i polmoni ispirando un’ingente quantità di fumo dal suo drum fatto a mano e indicò la porta d’ingresso della casa dell’anziana signora. Santana lo ringraziò con un cenno del capo. Sapeva dove abitasse sua nonna, ma aveva preferito chiederlo, per non sembrare una sconosciuta con cattive intenzioni. Prese la scala sulla destra e incespicando salì fino a raggiungere la porta blindata di legno scuro. Pensò che quello sarebbe stato un momento buono per abbandonare quella folle impresa, ma poi si ricordò della promessa fatta a Brittany e della delusione che sarebbe comparsa sul suo volto se avesse desistito senza nemmeno provarci.
Suonò il campanello senza pensarci troppo e sbirciò dalla finestra per capire se in casa ci fosse qualcuno. Una donna tarchiata decisamente non somigliante a sua nonna si avvicinò alla porta. Quando la aprì Santana se la trovò davanti. La guardò interdetta, anche perché non sapeva cosa dire. Stando ai racconti di Maribel, sua madre, Alma soffriva ancora di diverticolite acuta e altri fastidi vari; perciò, la donna aveva assunto per lei una donna di servizio, che si occupava della casa l’aiutava a sbrigare le faccende, evitandole sforzi inutili.
<< Ci conosciamo?>> disse la donna con un evidente cadenza spagnola.
<< Io…>> Santana aveva perso del tutto la salivazione: << No…io sono Santana Lopez.>>
La donna alla porta si illuminò: << Santana! Alma parla sempre di lei!>>
<< Solo cose belle spero…>> disse con finta spavalderia, temendo che non fosse così.
<< Certo, vuoi entrare?>>
Santana annuì e varcò titubante la soglia. La casa era esattamente come si ricordava, piccola, poco illuminata. Il pavimento cerato color terra da Siena, la tappezzeria a fiori, i mobili scuri, gli accessori tradizionali. Soltanto l’odore era cambiato: l’odore di torta di mele e cannella era stato sostituito da un aroma di cibo messicano che le faceva storcere il naso. Si chiese se la diverticolite di Alma Lopez potesse sposarsi bene con una dieta decisamente troppo piccante.
<< Vi lascio parlare da sole.>> disse la latina accompagnando Santana in salotto: << Se c’è bisogno sono in cucina.>>
La signora Lopez era seduta al tavolo del salotto, intenta a sorseggiare una bevanda scura che sembrava tè. Il tempo non era stato clemente con lei: i capelli un tempo castani e lucenti ora erano bianco zucchero filato e gli occhi vispi color nocciola sembravano intrappolati in un’intricata ragnatela di rughe. Quando la vide si illuminarono e sul viso comparve un sorriso raggrinzito, ma sincero, che si riflesse in quello non scontato della mora.
<< Tesoro!>> fece per alzarsi, ma la mora la bloccò.
<< Resta seduta per favore.>> le disse Santana rimanendo sulla porta. La donna anziana la invitò a sedersi e lei titubante accettò.
<< Togliti pure la giacca, fa caldo qui!>>
<< Sono a posto così grazie.>> le rispose freddamente Santana. Sapeva cosa pensasse la nonna di lei e il suo sorriso buonista non la incantava. Avrebbe fatto un minimo di conversazione per poter dire a Brittany di averci parlato. E basta. << Come…come va la diverticolite?>>
<< Oh, certi giorni va bene altri va male…>>
<< Ma cosa senti?>>
<< Dolori alla pancia e dappertutto. Non ti vuoi togliere la giacca cara? Davvero?>>
Santana accennò un sorriso: << Va bene così, non rimango molto.>>
<< Capisco. La bambina ti impegna molto.>> disse la donna dolcemente.
<< Non sai quanto…>> rispose senza pensarci Santana, ma poi si ricordò delle opinioni estremiste della donna: << Me la cavo comunque.>>
<< Cresce bene?>> le chiese soffiando dentro la tazza fumante. << Posso offrirti un tè?>>
<< No ti ringrazio. La bambina sta diventando grande. Cresce impertinente come la sua mamma temo.>>
Alma Lopez rise: << Non direi impertinenza cara. Determinazione tesoro. Noi donne latine abbiamo una forza dentro che si trasmette di generazione in generazione.>>
Santana la fissò a lungo e sorrise, le erano mancate le massime di sua nonna. Quando Santana si sentiva giù per qualcosa si affidava ad Alma Lopez, maestra nell’alzare l’autostima e sua fidata sostenitrice. Tutto questo prima di conoscere Brittany. Essere una lesbica latina, cresciuta in una famiglia conservatrice di stampo cristiano, non era stato facile, ma quella era la sua vita. E per la prima volta oggi sembrava che la nonna l’avesse accettata, o quantomeno in questa occasione aveva evitato i commenti su quanto fosse meglio avere un marito forte e sprizzante di testosterone, che porta il pane a casa. << Lo spero.>> disse accennando un mezzo sorriso.
<< Può venire da me quando vuole. Lo spazio per giocare c’è.>>
La giovane donna sgranò gli occhi incredula: << Dici sul serio?>>
<< Certo cara farei di tutto per la mia nipotina.>> rispose sorridendo la nonna.
Santana era interdetta, non capiva se fosse una sorpresa di Brittany o tutta una farsa. Forse era in difficoltà economiche e questo era il suo bizzarro modo di chiedere aiuto.
<< Ma va tutto bene? Hai bisogno di una mano, soldi, qualcos’altro…?>> chiese preoccupata.
Alma la guardò mortificata: << Oh, no tesoro! Non devi preoccuparti per me, non sono io ad essere in difficoltà. Ora dobbiamo occuparci della nostra famiglia. E io farò tutto il possibile perché la nostra bambina cresca forte e amata.>> le prese le mani e le strinse. Anche Santana ricambiò la stretta. << Grazie.>> le si inumidirono gli occhi e ci pensò molto prima di aprire bocca: << Se vuoi te la posso portare. Io riparto per New York la prossima settimana, però…>>
<< New York?>>
<< Oh sì, è la nostra casa.>>
<< Che assurdità!>> disse Alma scuotendo il capo: << La mia nipotina non può vivere in una città del genere così lontano…>>
<< Tranquilla>> la rassicurò Santana: << Ora starà a Lima per qualche tempo. Possiamo vederci nei prossimi giorni se vuoi!>> le disse concitata avvicinandosi alla nonna: << E quando sarò a New York potrò chiedere a Brittany di portarla da te tutte le settimane se ti va.>>
<< Brittany?>> domandò la strana donna confusa.
Santana si irrigidì, ricordando l’infelice giorno in cui la bionda era quasi venuta alle mani con la nonna. Rabbrividì al pensiero che si potesse ripetere una situazione del genere. << Sì, Brittany.>> disse con fare sbrigativo: << So che i vostri rapporti non sono buoni, ma non devi per forza vederla. Brit può accompagnarla con l’auto e lasciarla giù all’ingresso.>>
<< Ma cosa stai dicendo?! Non capisco di chi tu stia parlando...>>
Santana si ammutolì e la guardò profondamente delusa. Aveva davvero sperato che la donna fosse tornata sui suoi passi. Aveva sperato che si sarebbe scusata per le sue azioni e invece…Alma Lopez era proprio come tutte le donne della sua famiglia. Determinata. Determinata a non ammettere di avere torto. La voglia di gridare le si fermò in gola e strinse le mani, che le prudevano calde desiderose di rompere qualcosa. Avrebbe fatto una scenata.
<< Complimenti.>> sputò amareggiata: << C’ero quasi cascata. La pantomima della nonna premurosa… “togli la giacca tesoro…vuoi un tè”, il tuo interesse improvviso. Credevo ti importasse davvero di me. Credevo fossi cambiata. Non ti avrei mai chiesto di perdonare Brittany, ma far finta di non sapere nemmeno chi sia…è troppo.>>
Alma Lopez le rispose sgranando gli occhi: << Non dire sciocchezze! So benissimo chi è Brittany.>> rivelò facendo alzare gli occhi al cielo alla mora: << Solo che non capisco come una bambina di 10 anni possa portarne un’altra in macchina!>>
Santana rimase letteralmente con la bocca spalancata, non sapeva che pensare, se non che la donna fosse completamente uscita di senno. Delirava? Scattò verso la tazzina di tè per annusarne il contenuto, il gesto repentino spaventò la donna anziana che sussultò sulla sedia, facendo tremare il tavolino di fronte a lei. La porta della cucina si spalancò e la signora di prima cacciò fuori la testa preoccupata: << Va tutto bene?>> chiese a Santana che si sentiva come se un enorme braccio meccanico l’avesse trasportata su un palcoscenico nel bel mezzo di un’opera teatrale dalla trama intricata e macchinosa.
<< Io…stavo solo…>> improvvisamente capì tutto. La ragazza alla porta…la diverticolite…la conversazione appena avuta…tutto ebbe un senso. Grosse lacrime le riempirono gli occhi appannandole la vista. Santana si girò per non mostrare alla nonna il suo immenso dolore e soffocò il pianto con la mano. Con quella libera afferrò la zip del suo piumino foderato in pelle e la abbassò lentamente. Proprio sul suo petto c’era la verità: quella buffa maglietta bianca, con il suo nome scritto sopra…
<< Tutto ok?>> chiese Alma Lopez notando che la mora le dava le spalle in lacrime: << Maribel! Maribel! Perché piangi?>>.
Il nome di sua madre la trafisse come un pugnale. Santana sentiva come se una mandria di bufali le avesse galoppato sopra il petto. Fece un respiro, senza catturare aria: << Niente Alma. Sono solo felice di vederti, tutto qui.>>
<< Oh, anche io tesoro. Siediti e togli la giacca, vuoi una tazza di tè?>>
<< No. Me ne stavo andando in realtà.>> concluse riallacciandosi la giacca. << La piccola Sanny mi aspetta a casa.>>
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Brittany parcheggiò la macchina rapidamente. E si addentrò nel rumoroso pub, sgomitando tra uomini dalle giacche in cuoio e le palle larghe. Accasciata sul bancone di marmo scuro c’era aggrappata una Santana molto poco presente a se stessa. Accanto a lei il suo amico Puck, tornato dall’aviazione per le vacanze natalizie cercava di reggerla in piedi.
<< Meno male che sei qui.>> disse sollevato vedendola: << è messa piuttosto male.>>
<< Quanto ha bevuto?>> chiese la bionda seria.
<< Meglio che non te lo dica.>> rispose lui. << Non so se ha preso qualcos’altro…>> sollevò la donna dal bancone tenendola salda per le spalle.
<< Ma sei scemo!? Non prendo quella roba, sono una madre.>> gracchiò Santana ondeggiando pericolosamente.
<< è pulita.>> disse la bionda a Puck: << Non farebbe mai una cosa del genere a Riley…>>
<< Hey…>> la salutò la mora accorgendosi della sua presenza: << Hey gente!>> urlò attirando l’attenzione dei presenti: << Ci sono qua i miei unici amori! I miei veri amori stasera! Uno è un pilota è l’altra…insomma… “She drives me crazy!” …non so se mi intendete…Sono una donna fortunata!>>
Puck cercò di tenerla il quanto più possibile su due gambe, ma la donna continuava a perdere l’equilibrio, rendendo l’impresa dell’uomo estremamente complicata.
<< Ma al liceo non aveva la sbronza triste? Così è anche peggio…>>
<< Già. Da adesso me ne occupo io…>> mormorò Brittany e cercando di non suscitare troppo trambusto, la prese per la vita e se la portò attaccata al suo petto.
<< Hey>> sorrise Santana pericolosamente vicina alla sua bocca. La bionda allontanò il viso disgustata dall’odore dolciastro dell’alcool che trasudava dal corpo della mora.
<< Posso fare ancora qualcosa?>> chiese Puck estremamente a disagio.
Brittany annuì, porgendogli dalla tasca interna dei jeans le sue chiavi di casa: << Prendi Riley e portala dal signor Pibody. Digli che sei un amico di mamma del liceo e che è un’emergenza, capirà. Lascia le chiavi sotto lo zerbino.>>
L’uomo annuì e si precipitò verso l’uscita, ma la bionda lo trattenne per un braccio: << Non parlare a Quinn di questa storia né a nessun altro. C’è una ragione perché si comporta così e se venisse a sapere che anche voi…insomma non lo sopporterebbe.>>
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Brittany si richiuse la porta alle spalle pregando che Riley non avesse visto quella patetica scena dalla finestra del piccolo appartamento di Arthur. Santana era ancora ubriaca fradicia nonostante fossero rimaste un’ora in più in macchina perché si riprendesse. Avevano fatto le scale una accanto all’altra ondeggiando come abeti in tempo di tempesta. Le mani della mora l’avevano toccata ovunque, anche nelle parti più intime, ma lei aveva sempre respinto i suoi gesti molesti, perché sapeva che erano unicamente dovuti all’alcol. Santana era sempre perfetta e controllata in tutto, o almeno cercava di mostrarsi tale. Per chi non la conosceva la prima impressione era di una donna sicura di sé, determinata e di forte integrità. Ma la sua Sanny era molto di più. Santana era ambiziosa, perseverante, intuitiva ed estremamente empatica. Riusciva a prevedere le cose ancora prima che accadessero. Aveva previsto la loro rottura settimane prima e Brit l’aveva capito perché la donna aveva smesso di parlarle e si era preventivamente allontanata. Il guaio però era quando il famoso “terzo occhio” della donna non funzionava a dovere. Quando capitava qualcosa di inaspettato e fuori dal suo controllo la donna perdeva completamente la voglia di vivere e tutto diventava improvvisamente nero. Perché Santana era così: il mondo per lei era bianco o nero, veloce o lento, giusto o sbagliato. Il grigio non era contemplato.
La vide avventarsi come una furia sugli armadietti, in cerca di un’altra bottiglia con la quale annegare i suoi pensieri. Brittany la trascinò via malamente. Era capitato solo una volta di vederla in quello stato, ma in quella determinata circostanza uno dei suoi migliori amici era morto all’improvviso. << Datti un contegno San o ti sentiranno anche Riley e Arthur.>>
<< Perché…non ti piace se mi lascio andare?>> disse la mora arpionandosi al suo collo. Si avvicinò al suo orecchio: << Una volta ti piaceva.>> le morse un lobo, facendola sobbalzare.
Brittany la allontanò bruscamente: << Non sai quello che dici, sei ubriaca San.>>
<< Sì lo sono…>> rispose lei ridendo: << Ma sono anche tremendamente eccitata.>> le prese il viso tra le mani e la baciò famelica. La bionda evitò di rispondere a quel bacio, si staccò da lei e si pulì il viso nella manica della giacca. << Andiamo in bagno!>> gridò arrabbiata afferrandola per il colletto della giacca. Appena varcarono la porta Santana la fece sbattere sulla pesante parete di marmo e si avventò sul suo collo, stava per marchiarlo con la sua bocca, quando la bionda le appoggiò un ginocchio sullo stomaco e la allontanò facendo pressione.
<< Brittany, facciamolo ora, qui, in questo bagno. Non lo saprà nessuno.>> ansimò Santana
<< Lo saprò io. E lo saprai anche tu. E non vorrai più guardarti in faccia.>> rispose lei.
<< Scopriamolo.>> scattò verso la bionda che però aveva i riflessi più rapidi. Ribaltò le posizioni e la trattenne con le spalle al muro. << Non approfitterei mai di te. Non così.>> aveva gli occhi umidi e Santana, nonostante la sua poca lucidità, se ne accorse e allentò la presa sui suoi polsi.
<< Non ti ho mai dimenticata…>> sussurrò senza forze.
<< Ed è così che vuoi ricordarmi?>>
Santana si tirò la bionda a sé, ma non per baciarla. Questa volta si chiuse portando le mani al suo petto e pianse, come non aveva mai fatto prima d’ora. Un pianto incontrollato, di rabbia, di delusione, di tristezza, di aria.
Brittany la strinse forte e si sedette a terra accompagnandola nella discesa. Pianse anche lei, senza che la mora lo notasse, poi le prese delicatamente il volto e raccolse i suoi capelli corvini in una coda di cavallo. Le asciugò le lacrime sul viso e la guardò fissa.
<< Non voglio stare qui.>> le disse la mora.
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Avevano trascorso le prime ore della giornata in bagno. Brittany era rimasta accanto a Santana, massaggiandole la schiena, mentre lei si infilava sapientemente due dita in gola e rigettava tutto il contenuto del suo stomaco nel gabinetto. Alla fine, la mora si sentiva esausta e svuotata. Ebbe appena la forza di raggiungere il letto che Brittany aveva riesumato dalla camera dei suoi genitori, ormai inutilizzata. Era un po’ polveroso, ma ancora in buono stato e di certo in quel momento Santana non aveva le forze per contestare la sua conservazione non proprio impeccabile. Stava per sdraiarvisi sopra, ma Brittany la guidò verso il suo letto, che aveva decisamente un profumo migliore. La adagiò delicatamente, immergendola in un piumino d’oca caldo e vaporoso. Rimase accanto a lei assicurandosi che continuasse a respirare, intanto con la mano le accarezzava il volto sbattuto.
<< Da quanto è così…>> chiese Santana strizzando gli occhi imperlati ancora di lacrime.
<< Un paio d’anni, ma sicuramente da molto di più. Maribel non voleva dirtelo, ma era giusto che sapessi…mi dispiace se io…>>
<< Hai fatto bene.>> le rispose la mora: << Fai sempre la cosa giusta.>>
<< Non è vero. Se fosse così dodici anni fa sarei rimasta.>>
<< Brit, posso chiederti una cosa senza che tu pensi male?>> chiese Santana alzando un po’ la testa verso di lei. Brittany annuì. << Ti sdraieresti qui accanto a me solo per stanotte?>> aveva ancora calde lacrime che le scendevano dagli occhi: << Ti prego. Questa sera ho tanto bisogno che qualcuno mi abbracci.>>
Brittany non se lo fece ripetere due volte: si adagiò dolcemente dietro al corpo della mora e le cinse la vita da dietro, piegando leggermente le gambe e appoggiando il volto sull’incavo del suo collo. Sentiva Santana singhiozzare e la strinse ancora più forte.
<< Per dodici anni ho riversato tutto il mio odio su quella donna. Dodici anni a pensare che lei fosse il male e che andare a New York fosse la scelta giusta. Poi torno qui e…lei nemmeno sa chi sono. Perché è tutto così maledettamente diverso?>>
<< Mi dispiace tantissimo San.>> le rispose Brittany posandole un bacio sul collo morbido.
<< Come fai tu?>>
<< Cosa?>>
<< Come fai ad essere così serena. A non essere arrabbiata con lei…con me. Dopo quello che ti ho fatto…>>
Brittany sospirò soffiando aria calda sul volto della mora, che rimase immobile in attesa di una sua risposta.
<< Ho messo da parte il mio orgoglio. E ho perdonato.>>
Santana le prese una mano e la portò al petto. Stringendola forte.
<< Brittany…non dimenticarmi.>>
<< MAI.>>.

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Capitolo 11
*** Defying Gravity ***


CAPITOLO 11: Defying Gravity
<< Riley! Ha detto la mamma che tra cinque minuti e si esce.>>
<< Mamma sono al PC con Bette e Finn!>>
<< Salutali e poi mettiti giacca e scarpe.>> Santana fece irruzione nella camera della figlia, tenendo in mano un paio di anfibi rossi lucidi.
<< Per favore! È una conversazione privata!>> gridò la bambina spingendo la mora fuori dalla stanza. << Dovrò mettere una chiave anche qui a Lima adesso…>>
<< Non ti servirà.>> disse sicura Bette: << Non rimarrai per tanto in Ohio.>>
Finnegan alzò gli occhi al cielo: << Ci risiamo…Riley, questa qua ha una teoria folle.>>
<< Che sarebbe?>> chiese Riley speranzosa.
<< Secondo Bette quella di farti passare l’anno in Ohio è tutta una balla che tu madre ha inventato per metterti paura.>>
<< O perché voleva vedere tua madre.>> concluse la ragazzina dai capelli chiari.
Riley scosse la testa: << è una bella teoria…ma non so se sta in piedi. Punto primo, se fosse come dici tu perché mi avrebbe fatto portare una valanga di vestiti qui?>>
<< Magari sono brutti e vuole sbarazzarsene…>> disse la ragazzina solo per vedere la faccia di Finnegan ad una motivazione così assurda.
<< Punto due...>> continuò Riley spenta: << Mi ha già iscritta a scuola.>>
<< Ecco vedi?>> la rimbeccò Finnegan agitando un bastoncino di zucchero in aria, prima di portarselo alla bocca.
<< Quella sciatta scuoletta di provincia intendi? Confido che cambierà idea entro l’epifania. E sputa quel dannato coso Finnegan St. James che rischi di finire in coma diabetico.>>
Il ragazzo lasciò a malincuore il dolcetto che stava gustando, perché malgrado Bette fosse una stronza rompiballe di prima categoria, il più delle volte aveva ragione. << Hai già fatto amicizia con qualcuno lì?>> chiese per cambiare discorso.
<< No, a parte il signor Pibody e il suo cane, non conosco proprio nessuno. Vorrei dire di aver fatto amicizia con Sue Sylvester, ma mi ha chiaramente detto che mi ucciderà quando metterò piede al McKinley 2.0>>
<< SE metterai piede al McKinley vorrai dire.>> fece eco Bette.
<< PUNTO TRE.>> continuò Riley alzando la voce, ma poi l’abbassò di colpo: << Cas.>>
<>
<< Non sappiamo se si chiama così Finn.>>
<< Già, ma cosa sappiamo?>> chiese Bette impaziente.
<< Niente di niente. Non le ho chiesto nulla e da qui non posso fare molto. Tiene il telefono sempre con sé e non so se si sono chiamate o altro…>>
<< Vedi! Devi tornare qui e scoprirlo da sola, non ci sono scuse!>>
<< Riley, ma tu vuoi tornare a casa vero?>> le chiese Finn titubante.
<< Certo che voglio tornare a casa, voi mi mancate tantissimo…ma non voglio lasciare qui la mia mamma da sola…>> rispose lei abbassando lo sguardo.
<< Ma torni sempre a New York dopo le vacanze. Non cambierebbe nulla…>> precisò Bette rivolgendosi all’amica.
<< Devi vederla Bette. Adesso che Santana è qui sembra…è diversa.>>
<< In che senso?>> le chiese Finnegan curioso.
<< è più…non saprei…sembra felice, è felice…non l’ho mai vista così.>> gli occhi verdi le diventarono lucidi per la commozione.
<< Tutto molto bello insomma, ma fidati se ti dico che tornerai qui da noi molto presto. Non posso pensarti in quella città per tutto l’anno. Mi viene il magone.>>
<< Se solo si potesse tornare come prima, vivere a New York tutte insieme, come una famiglia.>> sussurrò Riley quasi vergognandosi di quello che aveva fatto uscire dalla bocca.
<< Ti capisco…>> disse Finnegan guardando altrove.
<< Scusami Finn…io non volevo.>>
<< No tranquilla, dico che ti capisco. Anche io volevo che mio padre tornasse…ma ho capito che forse è meglio che stia lì dov’è adesso. Mamma ci starebbe troppo male. Non si può più tornare indietro…devi pensare ad un nuovo inizio.>>
Bette lo interruppe colpita: << Da quando sei diventato così saggio Finn? Ti ho lasciato l’altro ieri e non eri mica così zen.>>
<< Forse è la lontananza da te!>> gli rispose a tono il ragazzo rimettendosi in bocca il bastoncino di zucchero per dispetto. Riley rise di gusto, contenta di aver ritrovato in pochi secondi il buon umore. Senti una morsa al cuore però quando pensò che se la madre stesse veramente facendo sul serio, non avrebbe più visto i suoi migliori amici per diversi mesi. Al suo ritorno sarebbero stati più grandi, più belli, più saggi e magari l’avrebbero pure dimenticata. << Sì dai, ci credo.>>
<< Ai nuovi inizi?>>
<< No.>> disse Riley tirando fuori dall’armadio un paio di scarponcini Timberland marrone scuro, che si infilò ai piedi al posto delle scarpe che le aveva portato Santana. << Tornerò da voi il più presto possibile. Ve lo prometto.>>
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<< Riley ma come sei vestita?>> commentò Santana guardandola da capo a piedi. Indossava, oltre ai suoi scarponcini un paio di pantaloni joggers grigio topo e una giacca a vento arancio acceso. Si infilò imbronciata un set colorato di sciarpa, cappellino e guanti da neve.
<< Non dobbiamo mica andare all’Harmonia Garden.>> disse Riley sarcastica. Fortunatamente Brittany fece capolino dal garage con uno slittino in mano e stemperò l’atmosfera già tesa.
<< Andiamo allo Slippery Elm.>> canticchiò allegra caricando lo slittino in spalla.
<< Con quello?!>> chiese Santana guardando le due, che annuirono come se fosse la cosa più naturale del mondo. La bionda guardò la mora interdetta, decisamente il suo stile non era adatto: << Tradizione di famiglia.>>
Santana alzò gli occhi al cielo, Brittany se ne accorse e si avvicinò con calma verso di lei: << Se non te la senti andiamo solo io e Riley. Non ti devi sentire in dovere di fare nulla…>>
<< No va bene.>> disse Santana mettendo le mani avanti in segno di resa, ormai si sentiva pronta a tutto: << Non salirò mai su quel coso, ma camminare mi farà bene. Tutte queste feste mi hanno appesantita.>>
Brittany la guardò e sul suo viso apparve un sorriso raggiante come non mai.
<< Ferma ferma, non farmi quella faccia!>> la fermò Santana con un dito alzato e una faccia maliziosa: << A una condizione>>. Si voltò verso Riley: << Prima di andare a pattinare sulla pista stasera, torniamo a casa a darci una sistemata. Non voglio che Riley esca in pubblico conciata così.>>
Riley spalancò la bocca per replicare, ma un’eloquente occhiata di Brittany la fece tornare sui suoi passi. Si guardò i vestiti: eh sì, non era proprio la versione migliore di sé.
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Santana Lopez affondò il naso nella morbida sciarpa di lana che le copriva il collo: aveva freddo fin dentro alle ossa e tremava, ma non sapeva se per la temperatura vertiginosamente bassa o per l’agitazione. Raramente si era trovata ad affrontare situazioni nuove, perché cercava sempre di informarsi su tutto, per essere ben preparata e fare bella figura. Odiava, con ogni fibra del suo corpo quel suo carattere di sé, che non le permetteva di stare tranquilla finché non aveva il controllo di ogni cosa e provava una recondita, ma insaziabile invidia, per quelle persone che non si preoccupavano minimamente delle conseguenze delle loro azioni sul futuro. Brittany era l’unica persona in grado di tranquillizzarla: la sua intraprendenza, la sua calma e la sua affidabilità erano sempre state per Santana un porto sicuro e quando aveva lei accanto sapeva che poteva abbassare un po’ le difese e metaforicamente uscire da quella sciarpa cucita con false sicurezze, apparentemente tanto calda e confortevole. Ma era passato del tempo e non era certa di provare ancora la stessa spavalderia di un tempo. Camminavano da qualche minuto ormai, avvolti dal rumore dei passi attutiti dalla neve che ricopriva gli scarponi fino alle caviglie. Santana si sentiva le dita congelate e la sua preoccupazione di morire assiderata cresceva sempre di più. Dopo un’impervia salita raggiunsero la cima dello Slippery Elm; il luogo era deserto e la neve bianca che ricopriva gli alberi ghiacciati era brillante quanto un led puntato dritto negli occhi. Santana inforcò gli occhiali da sole e si avvicinò ad un cartello fatto a mano piantato nella terra poco più avanti.
<< PISTA PER SLITTINO…Stai scherzando Brit?>> gridò allibita guardando la bionda negli occhi.
<< Affatto.>> rispose Brittany con un largo sorriso: << Chi si fa il primo giro?>>
<< Io!>> gridò Riley prendendo lo slittino dalle spalle della bionda e posizionandolo sull’apice della discesa con il muso rivolto verso il basso.
<< San, Sali tu?>> chiese la bionda con gentilezza.
<< Ma non ci penso nemmeno…e non dovreste farlo nemmeno voi!>>
<< Perché mamma?>>
<< Forse perché è pericoloso!?>>
<> le rispose Riley a tono: << L’abbiamo fatto un milione di volte e non è successo nulla. Se si cade c’è la neve. E poi si può fare, lo dice il cartello!>>
Santana si tolse gli occhiali adirata: << Il cartello di certo non dice, pericolo di spaccarsi il collo durante la discesa!>>
<< Quindi cosa fai, non vieni?>> chiese Brittany alla donna, che si rifiutò categoricamente e proibì anche alla figlia di scendere. Invano servirono le spiegazioni di Riley, che aveva fatto quella discesa fino alla nausea gli anni precedenti.
<< Allora scenderò da sola!>> gridò imbronciata Riley.
<< NO!>> risposero le due mamme all’unisono. Nonostante non fosse pericoloso anche Brittany non avrebbe mai lasciato sua figlia vagare sola nei boschi, indipendentemente dal fatto che conoscesse o meno la strada. Quando era piccola si era persa al percorso vicino al fiume e i suoi genitori non si erano preoccupati di cercarla, non era certamente questo il caso, perché Riley era costantemente monitorata da adulti piuttosto apprensivi, ma quella sensazione di solitudine e impotenza, provata decisamente troppe volte nella sua vita, non l’avrebbe augurata a nessuno.
Riley guardò Brittany con aria supplichevole: << Ma siamo venute fino a qui…>>
La bionda pensò qualche secondo prima di voltarsi verso Santana: << Senti, io e Riley scendiamo. Lo slittino è per due quindi tu puoi aspettarci qui.>> disse con un tono talmente risoluto che la mora la guardò sorpresa, senza riuscire a proferire parola. Il suo lato intimidatorio, che teneva nascosto anche a se stessa, la spaventò anche lei un poco, quindi si affrettò a tranquillizzare la ex compagna: << Se tra venti minuti non ci vedi arrivare sei autorizzata a chiamare la polizia o i soccorsi o chi vuoi.>> le mise il suo telefono in mano e si sedette sul retro dello slittino. Dopo aver aspettato che Riley prendesse posto e impugnasse le redini, diede una leggera spinta per sbilanciarsi in avanti << Ci vediamo tra poco!>> urlò sovrastata dalle grida di gioia della figlia.
<< ASPETTA!>> gridò Santana senza essere ascoltata: << Non lasciarmi sola…>>
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Santana camminava avanti e indietro, soffiando grossi aloni di vapore dalla bocca inumidita dall’aria ghiacciata che le bruciava nei polmoni. Erano passati pochi minuti e il pensiero che Riley e Brittany si fossero ammazzate durante la discesa le impediva di stare tranquilla. Si picchiò la testa autopunendosi per essere stata poco accorta, per essersi lasciata convincere. “Scema, scema, scema…non avresti dovuto lasciarle scendere.” Disse fra sé. La sua caparbietà che tanto le era servita per arrivare al successo, su Brittany non aveva effetto e aveva sempre ritenuto ciò una cosa positiva, salvo casi eccezionali. E questo lo era decisamente.
<< Ok, ok…cosa faccio?>> sussurrò da sola: << quindici minuti sono passati, dovrebbero salire ormai…ne aspetto altri cinque e poi chiamo…chi chiamo…?>> Ansimò in preda al panico: << Perché mi hai lasciata da sola Brittany…dove sei…>>. Si guardò intorno, solo neve. Tutto dannatamente bianco e silenzioso.
<< Riley!>> urlò nella valle senza avere risposta: << Brittany!>> stessa cosa.
Subito la testa cominciò a viaggiare a cinquecento chilometri orari: pensò ai loro corpi senza vita distesi sulla neve, al silenzio, pensò che avrebbe dovuto fare un funerale e seppellire la sua famiglia,…pensò al dopo. NO. Fermò i suoi pensieri. “Stai esagerando. Mancano ancora pochi minuti. Aspetta venti minuti, poi…poi scendi a cercarle” si disse per calmarsi, ma la sua voce in testa suonava più come una frase detta da Brittany che da lei. Era però logicamente la cosa più giusta da fare. Avanzò qualche metro verso la direzione dove aveva visto sparire Riley, ma ben presto la condensa bianca l’avvolse e la costrinse a fermarsi. Non conosceva quei boschi e proseguire comportava anche il rischio di perdersi. Guardò il cellulare, due minuti e poi…poi cosa avrebbe fatto?
Respirava male; d’un tratto la sciarpa cominciò a stringerle il collo, la tolse. Slaccio la giacca, sfilò i guanti. << Brittany!>> gridò senza voce. Cominciò a piangere dalla paura, una paura incontrollata e irrazionale. Forse aveva paura di perdersi, forse aveva paura di averle perse per sempre. Si accucciò a terra e sussurrando i loro nomi chiuse gli occhi.
Passò un tempo indefinito, che a Santana sembrò durare un’eternità. Due braccia la sollevarono e la scossero violentemente, quando riaprì gli occhi vide Brittany che la chiamava e la scuoteva preoccupata. << Santana! Cosa stai facendo?>>.
La mora non riusciva a parlare, aveva troppo freddo. Brittany la trascinò verso la cima, le rinfilò i vestiti e la coprì con una coperta di lana che aveva portato con sè. Dopo pochi minuti, la donna riacquistò colore e vigore; guardò la bionda e gridò avvampando: << Venti minuti?! Venti cazzo di minuti ho aspettato e voi non c’eravate…e sono venuta a cercarvi e mi sono persa.>>
<< San…>>
<< Potevate morire o farvi male o…Riley dov’è?>>
<< Sono qui…>> disse ansimando la bambina con la slitta sulle spalle: << Ho perso la slitta a metà strada mentre stavamo tornando da te. La mamma è andata avanti per avvisarti, io sono scesa a riprenderla.>>
<< Non volevamo farti preoccupare…>> commentò Brittany mortificata, stringendo Santana nella coperta.
<< Torniamo a casa.>> mormorò Santana asciugandosi gli occhi.
<< Va bene.>> le rispose Brittany vedendola in quello stato.
<< Scherzi?! Ho fatto tutta questa strada per poi andare via?>> ribattè Riley, ma si fermò notando che la madre aveva un’espressione strana sul volto. Decise per il suo bene di non indagare. Aveva capito che era meglio non mettere troppo il becco nelle faccende che riguardavano le sue mamme. << Posso almeno scendere con lo slittino?>>
<< Non da sola, lo sai.>> le rispose Brittany seria.
<< Dai! Conosco la strada, scendo fino alla fine della pista e poi vi aspetto alla macchina.>>
<< Riley, non lo ripeterò un’altra volta. Da sola non scendi.>>
<< Puoi venire tu con me?>> chiese Riley alla bionda, che si voltò a guardare Santana. La mora scosse la testa convinta non lasciando adito a dubbi sulla sua posizione. Riley capì e con profonda delusione si sistemò la slitta sulla schiena.
<< Ferma.>> le disse Brittany senza smettere di fissare la donna, prese un bel respiro e disse seria: << Santana, scendi con lei.>>
<< Cosa?>> chiese la mora convinta che la donna stesse farneticando.
<< Scendi con Riley.>>
<< Tu sei completamente fuori di testa. Non scenderò mai da quella discesa, nemmeno sotto tortura.>>
Brittany rimase di sasso per le parole dette da Santana, odiava quando qualcuno le dava della stupida o della stramba, o della matta. Nonostante ciò, non cedette nemmeno di un millimetro: la guardò fissa negli occhi e Santana rimase sorpresa dalla determinazione del suo sguardo: << Allora vado io e tu scendi da sola.>>
<< Assolutamente no.>>
<< Vedi, è semplice San. O vai con Riley o ci vado io. Siamo venuti qui per scendere con lo slittino ed è quello che faremo.>> disse risoluta: << Queste sono le MIE condizioni.>>
<< Io non credo di…>> tentennò la mora.
<< Perfetto.>> concluse la bionda prendendo lo slittino della figlia e posandolo a terra. << Ci vediamo giù.>>
Santana strinse i pugni e la gola le si bloccò in una morsa. La recente sensazione di panico si ripresentò più repentina di prima e l’ultima cosa che voleva era mostrarsi di nuovo in quello stato a Brittany, che sembrava dannatamente decisa a perseguire il suo scopo.
<< Va bene, va bene!>> gridò per fermare la donna. La fissò delusa, perché le aveva promesso una sola cosa: non farai nulla che non ti andrà di fare. Invece, in meno di mezz’ora si era trovata prima sperduta in mezzo al nulla e ora a rischiare la vita per un capriccio.
<< Scenderò.>> disse sprezzante: << Ma se io e Riley usciamo vive da tutto questo, sappi che staserà rimarrò a casa. andate pure da sole a pattinare e a divertirvi, io ho chiuso.>>
<< Non vieni perché fai una cosa che non ti aspettavi di fare?>> commentò senza filtri Brittany.
<< Non vengo perché ci sei tu.>> disse notando gli occhi brillanti della bionda diventare tutt’un tratto tristi. << Non voglio stare dietro.>> disse alla figlia posizionandosi nella parte anteriore della slitta: << preferisco vedere la strada.>>
Riley la guardò sollevando un sopracciglio: << Sei mai salita su uno slittino? Lo sai guidare?>>
Santana aprì la bocca per rispondere saccentemente, ma pensò che per la sua vita sarebbe stato meglio dire la verità. Scosse la testa.
<< Allora potremmo morire sul serio.>> guardò la madre diventare paonazza: << Scherzavo!>>
La battuta di Riley fece tornare un mezzo sorriso a Brittany, che fu ben sollevata di vedere la mora spostarsi verso il fondo della slitta. Attese che Riley si posizionasse e armandosi di una buona dose di pazienza, si avvicinò a Santana: << Regole del viaggio: Uno, ascoltare sempre il guidatore. Due, puntare il tallone destro o sinistro per curvare. Tre, divertirsi. Quattro, aspettatemi all’arrivo e cinque…>>
<< Cinque, adesso scendo!>> disse convinta lei puntando i piedi per alzarsi.
<< Non ci provare!>> Senza nemmeno lasciarle in tempo di prendere fiato Riley, diede una spinta talmente forte che lo slittino iniziò a scendere favorito dalla pendenza della strada. Santana cacciò un urlo e si aggrappò alla figlia. Incastrò i piedi ai lati dello slittino e spalancò gli occhi. L’aria fredda e le goccioline sprigionate dalla neve le graffiarono il viso. Affondò la faccia nella schiena della figlia.
<< Mamma, sveglia. Devi concentrarti perché adesso iniziano le curve. Ascolta bene quello che ti dico perché altrimenti ci ribaltiamo. Mi senti?>>
<< Si.>> balbettò la donna ritornando a guardare la strada.
<< Bene. Adesso ascoltami: quando ti dico di puntare il piede destro, freni puntando leggermente il tallone. Leggermente, ok?>>
Santana annuì.
<< Mamma non posso capire se non mi parli. Ok sì o no?>>
<< Sì>> non che avesse molta scelta.
<< Bene, DESTRA!>>
La donna puntò leggermente il tallone, la bambina spostò leggermente il peso e la slitta virò sapientemente verso destra. Santana si quietò un poco, tranquillizzata dalla guida esperta della ragazzina che manovrava la slitta come se andasse in bicicletta. Sorprendentemente e superando tutte le più disastrose aspettative scesero per il pendio e Santana cominciò anche a provare una sana adrenalina, che le fece dimenticare l’infausto episodio di pochi minuti prima. Malgrado l’aria glaciale che le sferzava sul volto, si sentì accaldata e piacevolmente eccitata. Questa sensazione di libertà voleva durasse in eterno e in pochi secondi si chiese come mai in tante competizioni affrontate non avesse mai provato nulla di simile. Si destò quando la figlia la chiamò.
<< Mamma, non ti spaventare, ma adesso c’è la curva della morte.>>
<< La curva di che!?>>
<< è tosta ma se fai quello che ti dico non avremo problemi. Punta il piede destro e contemporaneamente sposta il peso del corpo sulla sinistra.>>
Santana notò in lontananza un cumulo di neve che si parava davanti a loro come un muro: << Fallo tu!>> disse in preda al panico.
<< Ascoltami, fai così e poi fai la stessa cosa con la sinistra. La slitta farà due sgommate, ma poi si raddrizzerà.>>
Il muro di neve si faceva pericolosamente vicino: << Riley non ce la faremo!>>
Riley la ignorò: << Fai come ti dico. Fidati di me.>>
<< Moriremo!>>
<< TRE, DUE, UNO…>>
Santana chiuse gli occhi, tutta la vita le passò davanti in una frazione di secondo e lei fece l’unica cosa che l’istinto le diceva di fare: puntò entrambi i piedi sulla neve, con l’idea logica che si sarebbero fermati. Invano Riley tentò di far virare la slitta, la velocità era troppo alta e lei troppo leggera. Finirono dritte verso il cumulo di neve, che non era un cumulo, ma una rampa di lancio. La slitta schizzò in cielo e mamma e figlia vennero sbalzate fuori. Fu quasi surreale: Santana vide la scena a rallentatore e le sembrò quasi di volare. In quei pochi secondi sospesa in aria le tornò in mente la faccia squadrata di Sue Sylvester che le diceva: “Se aumenti la tua superficie l’atterraggio sarà meno doloroso. Non sono responsabile di eventuali paralisi permanenti!”. Repentinamente si voltò e allungò braccia e gambe come un nuotatore di dorso prima di entrare in acqua. Atterrò su un cumolo di neve fresca che le attutì la caduta e rimase qualche secondo a fissare il cielo, per capire se fosse viva o morta.
<< Riley.>> disse tutt’ad un fiato. Si alzò di scatto e cercò la figlia nella neve, riversa a pancia in giù con ancora lo slittino in mano. Tremava. La prese per il cappuccio e la girò senza troppi convenevoli, fu in quel momento che si accorse che gli spasmi della figlia non erano altro che risate. Riley era lì sdraiata nella neve che rideva di gusto, come non l’aveva mia vista prima.
<< Sei tutta matta!>> disse a Santana senza fiato. La donna soffiò sollevata tutta l’aria che aveva in corpo e rimase qualche secondo a fissare il vuoto, poi la sua espressione ebete si tramutò in un sorriso. Si sdraiò nella neve accanto alla figlia e testa contro testa risero a crepapelle senza riuscire a fermarsi.

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Capitolo 12
*** Mine ***


CAPITOLO 12: Mine
Santana si svegliò come destata da un incubo, strizzò gli occhi e guardò in su. Il soffitto color panna della camera di Brittany le sembrava lontanissimo visto dal materasso appoggiato al pavimento di legno ciliegio, sulla quale Santana si era offerta di dormire nelle ultime settimane. Si alzò a fatica, la schiena le faceva male e aveva avuto un sonno talmente agitato quella notte, che si accorse di aver dormito di traverso. Mugugnò dolorante e lanciò un’occhiata furtiva alla sveglia a forma di gatto, posta sul comodino accanto al letto a due piazze di Brittany. La coperta era tirata, il pigiama ben piegato sul cuscino. Erano quasi le 11. Dopotutto era sempre stata una dormigliona. Non perse tempo, rovistò nella sua valigia e si infilò un paio di jeans di denim nero che le valorizzavano le gambe lunghe e una blusa di cotone verde foresta. Diede una spazzolata veloce ai capelli e si sistemò il trucco. Quando uscì dall’antibagno Brittany era nella stanza, intenta a sistemare nell’armadio dei vestiti appena stirati.
<< Buongiorno!>> trillò la bionda allegramente facendo storcere la bocca a Santana, che non si era ancora svegliata del tutto.
<< Hey Brit.>> le rispose stiracchiandosi dolorante.
<< Ti fa male la schiena perché stai invecchiando?>> le chiese con sincero interesse.
<< Non dire sciocchezze Brit! Abbiamo la stessa età io e te…è quel maledetto materasso che mi spacca le ossa!>>
Brittany scosse la testa: << Ti ho detto di fare a cambio, ma tu hai la testa dura e non mi ascolti mai.>>
<< Non è affatto vero!>> replicò lei con finta colpevolezza: << Guarda!>> indicò la pesante valigia aperta sulla moquette: << Mi avevi detto di prepararla ieri sera e l’ho fatto!>>
Brittany osservò l’ammasso di vestiti ammucchiato nella valigia rosso acceso: << Come no…>> ridacchiò: << Scommetto che ti serve una mano per chiuderla vero?>>
<< Se proprio non hai niente da fare…>> sorrise maliziosamente la mora. Brittany sospirò sconsolata e con un gesto deciso afferrò la valigia di Santana e la rovesciò sul letto: << Ma quanti vestiti hai comprato da quando sei qui!?>> constatò incredula.
<< Pochi per i miei standard.>>
<< Ricordo bene i tuoi standard.>> sorrise rimboccandosi le maniche: << Diamoci da fare.>>
Piegarono pazientemente tutti i capi buttati alla rinfusa sul letto, riponendoli ordinatamente, ma, nonostante ciò, le due donne costatarono senza troppo sforzo che la valigia faticava ancora a chiudersi. Brittany salì sul letto e faticosamente portò una metà della valigia sull’altra tenendola ferma con il suo peso. Alla vista dei bicipiti contratti della bionda Santana perse un battito, ma cercò di non darlo a vedere.
<< Ehm…giuro che ti rispedirò la valigia appena tornerai.>>
La bionda fece un cenno a Santana perché chiudesse la valigia aperta sotto il suo ventre: << Tranquilla, tanto non la uso poi così spesso.>>
Santana si sentì a disagio, si ricordò della furiosa litigata avuta con lei anni fa. Brittany non era mai riuscita a resistere lontana dalla sua famiglia così, di tanto in tanto, lasciava la sua vuota casa in Ohio per andare a New York a trovare la figlia. L’aspettava spesso fuori scuola, per offrirle una cioccolata calda o fare una passeggiata fino a Manhattan per ammirare il tramonto del sole. Quando Santana aveva scoperto delle “improvvisate” della donna si era arrabbiata molto, forse perché aveva paura: non aveva mai trovato il tempo per fare quelle cose con Riley e dopo la separazione…temeva di non essere la persona giusta, la mamma con la quale la figlia avrebbe voluto passare il resto della sua adolescenza. Dopotutto lei non si sentiva una persona particolarmente simpatica e amorevole con i bambini. E si sa, che quando Santana Lopez ha paura, un istinto animalesco di profonda conservazione si fa strada in lei, come un tarlo, come una piaga. Le aveva fatto del male e si sentiva profondamente in colpa. Una parte di lei era sempre terrorizzata che Brittany non l’avesse perdonata e si sarebbe vendicata un giorno. E ora, nella sua massima vulnerabilità, le aveva affidato ciò che più amava al mondo, sua figlia. Per fortuna il cuore buono di Brittany non aveva spazio per il rancore.
Santana si abbassò per trovare la cerniera della valigia, si sporse verso la bionda e afferrò quella piccola linguetta di metallo con le dita. La fece scorrere lentamente finché l’estremità esterna non ebbe raggiunto l’altra. Solo allora si accorse che il suo volto era decisamente e pericolosamente vicino a quello di Brittany. Le due donne si guardarono, perdendosi una negli occhi dell’altra.
<< Sai, forse è meglio che la tenga tu la valigia.>> la sua voce si era fatta improvvisamente più grave: << Almeno hai una scusa per tornare.>>
Santana non riusciva più a capire nulla, sembrava che tutto in torno a lei si muovesse ad una lentezza disarmante, mentre nella sua testa un turbinio di pensieri roteava e si aggrovigliava senza riuscire a dipanarsi. Vide la Brittany in slow motion farsi sempre più vicina alle sue labbra. Che cosa avrebbe dovuto fare? Spostarsi? Toccare quella bocca che tanto desiderava?
Un rumore improvviso riportò le due donne alla realtà. Riley le fissava appoggiata allo stipite della porta e quando si accorse di essere stata scoperta scappò nella sua camera.
<< Cazzo!>> si lasciò sfuggire Santana allontanandosi da Brittany. Si precipitò verso la camera della figlia, con l’intenzione di chiarire quello spiacevole malinteso, ma la bionda la bloccò trattenendole fermamente il braccio: << No. Vado io.>> la guardò fissa negli occhi, il suo sguardo era cambiato: non c’era più nulla di malizioso, solo determinazione e maturità. Santana non osò opporsi e lasciò che la donna varcasse la soglia della stanza di Riley. Lei si premurò di lasciare uno spiraglio aperto, così che Santana potesse sentire la loro conversazione.
Riley era supina sul letto, con le braccia conserte e il viso incastrato nell’incavo del gomito. Brittany si sedette ai piedi del letto e scosse delicatamente una gamba della figlia: << Little bee?>> la chiamò più volte senza ricevere risposta. << Sarò costretta a fare questo allora…>>. Si tuffò sul corpo della figlia e cominciò a farle il solletico dappertutto. Riley tentò di liberarsi in tutti i modi, ma il suo fisico mingherlino non le impediva di sfuggire agli artigli della madre che la punzecchiavano amorevolmente su tutto il corpo.
<< Basta! Ti prego non respiro!>> disse senza fiato. La madre si sdraiò accanto a lei, incontrando i suoi occhi lucidi: << è tutto ok?>> le chiese scostandole i capelli castani dal volto.
<< Sì>> rispose Riley poco convinta. Per tutta risposta Brittany la solleticò di nuovo. << Riley, è tutto ok?>>
<< Io…>> disse lei tornando seria: << Non voglio che la mamma torni a casa oggi.>>
<< Neanche io Bee.>>
<< Non sono mai stata lontana da lei così tanto…e se non ce la faccio? Se mi mancherà troppo?>> trattenne un singhiozzo.
<< Stai tranquilla…>> le disse lei stringendola più forte.
<< Io non ci riesco…non voglio provare questo…ancora.>> nascose nuovamente il volto per non farsi vedere turbata dalla madre.
<< Riley…>> mormorò Brittany dopo una breve pausa: << Vuoi tornare a New York con la mamma?>>.
La ragazzina si mise seduta e guardò Brittany perplessa: << Perché si può fare?>>
<< Tutto è possibile se lo vuoi.>> sospirò: << Tu vuoi tornare a casa?>>
La ragazzina ci pensò su: << Vorrei che tutto questo rimanesse così per sempre. Vorrei che fossimo sempre una famiglia.>>
Brittany guardò verso la porta: << Anche io lo vorrei…>> indugiò convinta che Santana stesse sentendo quelle parole: << Ma non è semplice.>>
<< Ho paura.>> disse Riley guardando il soffitto.
<< Di cosa?>>
<< E se mi cacciano anche da qui? Se non sono capace di fare niente? Forse è vero…>>
Brittany si fece seria: << Primo, nessuno ti caccia e non pensare nemmeno un momento che non vali niente.>> le prese le mani: << Non ne hai mai parlato con la mamma di questo?>>
Riley si ritrasse e si guardò la punta dei piedi con imbarazzo: << Non è facile parlare alla mamma di queste cose…>> sospirò: << Ultimamente non è facile parlare con lei in generale.>>
<< Lo so. Tua mamma è come un forziere dei pirati.>> si girò nuovamente verso la porta. << Serve la chiave giusta.>>
Santana stava ascoltando dall’altro lato del legno, con entrambe le mani strette sugli stipiti della porta e le orecchie tese. Avrebbe voluto entrare, ma per dire cosa? Era vero che lei e Riley non si parlavano più come un tempo, era vero che non erano più una famiglia e soprattutto era stata lei ad inculcarle quelle malsane preoccupazioni.
<< Tu vuoi bene alla mamma, vero?>> chiese Riley alla madre.
<< Certo che ne voglio, gliene vorrò sempre.>> alzò la voce: << Vieni qui e abbracciami.>> disse alla figlia appoggiando la schiena sul muro. Riley la raggiunse e appoggiò la testa sulla sua spalla.
<< Cosa ti ha fatto innamorare della mamma?>>
Sul volto di Brittany si stampò un enorme sorriso: << Tante cose. Sai quando ero una ragazzina sono stata presa in giro tante volte…non ero, insomma…non sono la persona più brillante del mondo.>>
<< Non è vero!>> replicò la figlia indignata.
<< Sei gentile.>> le rispose cordiale: << Ma a scuola non la pensavano così. Santana, la mamma, è stata l’unica che non mi ha mai dato della stupida. Lei ha…lei vede come sono le persone veramente ed è come un superpotere. Per questo mi sono innamorata di lei.>>
<< E poi.>>
La bionda guardò nel vuoto, quasi trasportata da un ricordo lontano che mai avrebbe potuto rivivere. << La sua voce.>> guardò sua figlia con aria sognante.
Riley spalancò la bocca incredula: << La mamma non sa cantare.>>
<< Certo e la sua voce è la più bella del mondo. Al Glee club era una delle più brave. Non l’hai mi sentita?>>
<< Credevo che lei fosse nel Glee solo perché c’eri tu.>>
Brittany rise: << Semmai è il contrario. Sai, quando tua madre cantava mi commuovevo sempre. Ogni canzone sembrava fosse dedicata a me o a Lord Tubbington.>>
<< Chi è Lord Tubbington?>>
<< Niente, niente. Storia lunga…non ti ha mai cantato nulla?>> chiese Brittany alla figlia.
<< No.>> Riley scosse il capo: << Rachel e Blaine cantano già abbastanza per tutti. Cantare è una perdita di tempo.>>
<< Te lo ha detto lei!?>> chiese Brittany accigliata: << Lascia perdere, non voglio saperlo.>> guardò ancora verso la porta semi-aperta: << Mi dispiace che abbia smesso di cantare.>>
Riley si alzò arrabbiata: << Ha smesso di fare molte cose da quando ti a cacciato di casa…>>
<< Riley, non è andata così.>>
<< Piantatela, non sono scema. Con lei non si può parlare, mentre tu nascondi le cose come se avessi tre anni. Non c’è nessun grande segreto, l’ha detto anche Renèe Bjorken prima di Natale.>>
<< Che ha detto scusa…?>>
Riley non si curò della domanda: << Non ci vuole un genio per capire che per la mamma siamo solo un peso. Fa sempre così, quando una cosa non le va smette di darle attenzione.>>
<< Non è vero…>>
<< L’ha fatto con te quando ha trovato quel suo stramaledetto lavoro di cheerleader. E adesso lo fa con me perché ha trovato quella Cass…>>
<< Sai di Cass?>> chiese la madre sorpresa.
Santana dall’altro lato della porta sussultò. Come diavolo faceva a sapere sempre tutto? Ma poi si ricordò di Bette e Finnegan che da degni figli dei loro genitori, quando si trattava di scoprire qualche altarino erano peggio del KGB.
<< A quanto lo sai anche tu. Bene. Anzi no…a te sta bene che la mamma ci butti via così? Per quella?!>>
<< Non ho detto questo. Dico solo che non la conosciamo e non possiamo giudicarla.>>
<< Non mi interessa.>> disse Riley in lacrime: << Mi ha lasciato qui perché non le interessa più nulla di me. Non le è mai importato, ci dimenticherà e io la vedrò sempre meno, come con te…e poi smetterà di mancarmi e non voglio…non voglio che succeda.>> si accucciò a terra e con le ginocchia al petto iniziò a singhiozzare. Santana aprì la porta incrociando lo sguardo di Brittany. Gli occhi azzurro cielo erano stretti in piccole fessure e per la prima volta le sembrarono diversi: parlavano. E dicevano solo una e una sola cosa: VAI VIA.
Con la stessa velocità di un’onda sulla sabbia Santana si ritrasse nell’ombra e sperò con tutto il cuore che Riley non l’avesse notata. Brittany sposto l’attenzione su sua figlia, si chinò verso di lei e le prese il volto con le mani.
<< Riley guardami. Guardami e respira. Vuoi sapere davvero cosa mi ha fatto innamorare di tua madre? Con lei puoi fare qualsiasi cosa, con lei la paura non esiste e sai perché? Perché quando lei tiene ad una persona la protegge e la cura con tutta se stessa. L’ha fatto con me quando ne ho avuto bisogno. E lo fa con te dal primo momento che hai aperto quei bellissimi occhioni verdi sul mondo. Mettitelo in testa: LEI NON SCAPPA. Non scapperà mai e non ti dimenticherà mai perché sei sua figlia.>>
<< Ma Jesse e Finn…>>
<< Jesse e Finnegan non siamo noi. Tua mamma è molto meglio di questo. E se si è dimenticata di com’è avere una famiglia glielo ricorderemo. Oggi e tutti gli altri giorni ok?>> guardò la figlia con apprensione: << Ok?>>
Riley ricambiò lo sguardo tirando su con il naso e pulendosi le lacrime con la manica della felpa.
<< La mia Little Bee…>> disse amorevolmente Brittany baciandola in fronte: << Ora vai in bagno, ti dai una sciacquata e ci raggiungi in cucina. Passeremo la giornata più bella del mondo. TUTTE INSIEME. Ok?>>
La ragazzina annuì e si alzò da terra. Santana la vide avvicinarsi verso di lei e in pochi secondi si fiondò nella lavanderia per non essere scoperta. Sentì i suoi piedi leggeri percorrere il corridoio e allontanarsi verso il bagno. Quando fu sicura che fosse abbastanza distante tirò un sospiro di sollievo e si afflosciò su una parete libera. Si sentì sopraffatta e inadeguata: non sarebbe mai stata capace di gestire tutto ciò. Tutto questo. Le serviva tempo per pensare a cosa dire, a quali parole usare per farle capire che tutto ciò che Riley pensava di lei non era vero. Che non l’avrebbe mai dimenticata perché era sua figlia e il suo valore era inimmaginabile, indipendentemente dalle circostanze. Le serviva tempo, che non aveva perché sarebbe ripartita il mattino dopo. Si maledisse per aver atteso così tanto. Un colpo alla porta la fece sobbalzare.
<< Brit?>> attese la sua risposta che arrivò dopo qualche istate.
<< Esci.>>
Santana sbucò timidamente dalla porta e si guardò intorno furtiva: << Lei è…>>
<< Sì…hai sentito tutto?>>
Santana annuì profondamente a disagio: << Brit senti io…>>
Brittany alzò il dito e ciò bastò per zittire la mora, che era ben contenta di non dover aggiungere altre penose giustificazioni al suo biasimabile comportamento.
<< Una cosa.>> disse la bionda: << Ti chiedo solo questo: comportiamoci come una vera famiglia, almeno per oggi, per Riley.>> non attese nemmeno la risposta della mora: << Adesso mi serve una mano. Pensavo di fare un dolce tutti insieme, ma sai…le ricette mi confondono. Ti aspetto in cucina.>>
Si allontanò fredda dalla mora che non poté far altro che guardarla imboccare il corridoio, la seguì pochi secondi dopo Riley che quando le passò accanto abbassò il volto senza degnarla di uno sguardo. Santana guardò allontanarsi anche lei e rimase impietrita senza riuscire a muoversi. Si sentiva fuori posto. Era sempre stata lodata per la sua intraprendente maturità, eppure in quel momento le sembrava di essere tornata un’adolescente petulante e fastidiosa.
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La giornata era giunta al termine e nonostante le preoccupazioni mattutine, per Santana, Brittany e Riley era appena trascorso un pomeriggio piuttosto piacevole. Dopo la preparazione di una dozzina di Muffin, che Santana avrebbe dovuto portare in valigia nel viaggio di ritorno a New York, il trio aveva deciso di trascorrere il pomeriggio allo storico Age of Mood, una pista di pattinaggio di Lima Heights frequentata dalle due donne fin da ragazzine. Sebbene Riley si trovasse più a suo agio con un paio di roller ai piedi, non trovò faticoso abituarsi ad un paio di rigidi quattro ruote bianchi: dopo qualche falcata incerta, era riuscita a stare dietro alle due donne che si muovevano esperte sulla pista. Alla fine del pomeriggio solo la promessa del pollo fritto per cena la fece desistere dal perfezionare la sua tecnica del “super-gambero”, ovvero un salto all’indietro con rincorsa, che faceva perdere a Santana almeno dieci anni di vita, ogni volta che la guardava.
Dopo una gustosa cena e una partita a carte finita con una schiacciante vittoria di Santana, Brittany soddisfatta della giornata andò a dormire, seguita subito dopo da Riley, che nonostante la piacevole giornata, non aveva ancora bene metabolizzato il discorso fatto dalla bionda quella mattina. Dal canto suo Santana aveva bisogno di tempo per capire come stare nella stessa stanza con sua figlia senza litigare. Entrambe erano due teste calde e volevano sempre dimostrare di aver ragione, ma questa volta Santana voleva davvero passare con serenità gli ultimi momenti con sua figlia e questo avrebbe voluto dire rinunciare per una volta ad averla vinta e fare una cosa che a quanto pare ultimamente non le riusciva: ascoltare. Aspettò che la figlia si mettesse a letto e raggiunse la porta della sua camera. Fece un respiro e bussò. Varcò la soglia solo quando si sentì dire AVANTI.
<< Posso sedermi?>>
Riley annuì e le fece spazio ai piedi del letto. Osservò da sottinsù la madre che sembrava più tesa di una corda di violino. << Posso…posso passare un po’ di tempo qui con te?>>
La ragazzina le rispose con un largo sorriso, dopotutto la cosa non poteva farle che piacere. Annuì lascandole un po’ di posto nel letto. Santana accettò l’invito posizionandosi sopra le coperte. Entrambe erano sedute sul letto, una accanto all’altra, con tanto da dire, ma senza sapere come iniziare.
<< Ci chiameremo tutte le sere vero?>> ruppe il ghiaccio lei.
<< Certo.>>
Riley la guardò cercando di trattenere l’emozione: << Me lo prometti vero? Non è che poi dici così e poi non ci sei…>>
<< Perché non dovrei esserci scusa?>> guardò la figlia alzando un sopracciglio e capì dove volesse andare a parare: << Ah…tu vuoi sapere di Cass, vero?>>
<< Cassandra?>>
<< Cassidy, in realtà>> il KGB non aveva fatto proprio il suo dovere.
<< Ah…>> commentò lei. << è per questo che non puoi restare?>>
<< No…>> rispose la mora, ma il suo tono non risultava molto convincente nemmeno per lei. In quel momento, in quel luogo, fuori dal tempo e dallo spazio, non sapeva dire con certezza cosa la tratteneva in Ohio e cosa invece la spingeva a New York. Era decisamente, totalmente confusa. Si ricordò benissimo di quando aveva provato una sensazione simile; al liceo, l’ultimo anno. Non sapeva cosa fare della sua vita, allora Sue aveva scelto per lei, poi il discorso di sua madre, poi aveva scelto New York, più per allontanarsi da Brittany che per inseguire un sogno, che fortunatamente era arrivato anni dopo. Anche in quell’occasione, non aveva proprio “scelto”, ma aveva imboccato una strada sperando che fosse quella giusta.
<< Devo tornare a New York, lo sai. La nostra casa è lì. Il lavoro.>>
<< Ma la tua famiglia è qui vero?>> incontrò i suoi occhi ebano: << Vero?>>
Santana preferì arrivare dritta al punto, come suo solito odiava chi tergiversava: << Chiariamoci subito, non ti libererai mai di me.>> poi capì subito che la risolutezza con cui aveva affermato quella frase poteva benissimo essere erroneamente percepita come una minaccia e corresse il tono. << Sei tu la mia famiglia. Ovunque tu sarai ci sarò anche io.>> aveva pronunciato quelle parole tutt’ad un fiato, velocemente, perché sapeva cosa significassero per lei. Per loro.
 
<< Il treno sta partendo Brittany, lo perderai.>>
<< Non posso andare, non ancora. Prima mi devi promettere…>>
<< Promettere cosa?>>
<< Che in qualsiasi direzione andrà la tua vita, un giorno tornerai. Tornerai qui, dalla tua famiglia.>>
<< Io…>>
<< Per Riley e spero un giorno anche per me. Siamo un disastro lo so, ma insieme abbiamo creato qualcosa di unico. Comunque vada saremo sempre una famiglia, quindi promettilo.>>
<< Brit…>>
<< SANTANA! PROMETTILO.>>
<< Va bene, va bene. Prometto che ci sarò, ovunque saremo, va bene?>>
 
Non sarebbe stato come quella volta. La promessa a Riley non era un “contentino” per tenerla buona. Non avrebbe rovinato tutto come faceva sempre dal liceo. Era il Re Mida delle cazzate, qualsiasi cosa le passasse tra le mani finiva per essere distrutta. Il matrimonio dei suoi genitori, la relazione con sua nonna, la sua carriera universitaria,…forse era per quello che aveva deciso di lasciare Brittany, non avrebbe voluto rovinare un essere così tanto puro, non questa volta. Al mondo ci sono due tipi di persone: che creano e che distruggono. E oggi Santana desiderava moltissimo essere nella prima categoria.
<< Riley..>> sussurro mettendole una mano sulla spalla: << Forse non siamo una famiglia perfetta e forse non lo saremo mai. Ma non pensare nemmeno per un secondo che tutto questo sia colpa tua o che tu non abbia valore per me. Sei inestimabile e insostituibile. Ricordatelo sempre.>>
Riley guardò la mamma stupita; era la prima volta che lei e sua madre riuscivano a stare nella stessa stanza senza ignorarsi o litigare furiosamente. Per un attimo capì cosa volesse dire Brittany e come mai i suoi occhi si illuminassero così tanto quando parlava di lei.
<< Io…ti ho preso un regalo.>> si sporse verso il comodino di legno accanto al suo letto, aprì un cassettino e ne estrasse una collana. << Un’ape…come…>>
<< Little bee.>> sorrise lei accettando il regalo della figlia. Se lo mise al collo e tastò con i polpastrelli il piccolo ciondolo dorato. << è bellissima. Ma io non ti ho preso nulla.>>
<< Non importa.>> le disse la figlia ritornando sotto le coperte: << Mi hai fatto una promessa. Mi basta che tu la mantenga…>> chiuse gli occhi, ma poi li riaprì di colpo: << Anzi…c’è un regalo che puoi farmi…>>
Santana la guardò interdetta.
<< Canta.>>
<< Come!?>>
<< La mamma hai detto che sai cantare, quindi sentiamo…>>
<< Ehm…non puoi fidarti della sua parola?>>
Riley la guardò con un sorriso malizioso: << Assolutamente no.>>
Santana arrossì, aprì la bocca per fare ciò che la figli le aveva chiesto, ma si bloccò. Non cantava più da troppo tempo e la paura che non uscisse alcun suono dalla sua bocca la paralizzava. Aveva sempre adorato cantare, fin da piccola, era un passatempo che lei e sua nonna amavano fare insieme, accompagnate da suo padre, che sapeva suonare la chitarra. Quando Emmanuel Lopez se ne era andato lasciandole sole, la piccola Santana aveva realizzato che non le era solo stata portata via una chitarra, ma anche un pezzo della sua felicità, della sua innocenza. Aveva così chiuso in un cassetto quella parte di sé, che aveva poi piacevolmente riscoperto al liceo, con il Glee club. Con falsa riluttanza accettava i compiti assegnati dal professor Shuester, per non rovinare l’immagine che si era faticosamente costruita nel corso degli anni. Quando tornava a casa però la sua mente varcava territori inesplorati, musiche di ogni genere e melodia, che le scaldavano il cuore, come i baci in inverno. Spesso non riusciva nemmeno a decidersi su quale canzone fosse la migliore, allora chiamava Brittany e gliele faceva sentire tutte. Non era un giudice molto obiettivo e i pomeriggi con lei finivano sempre con loro due sul letto e tutti gli spartiti gettati a terra alla rinfusa, ma almeno con lei sentiva di poter levare quella maschera di odio e acidità che alcune volte le impediva di respirare.
<< Io…non canto da tanto tempo. Non sono più capace.>> notò la delusione sul volto della figlia e ritentò, senza successo.
<< Non conosco nessuna canzone.>> ed era vero. La sua mente era totalmente vuota. Riley, che nel frattempo aveva preso il cellulare, lo ripose sul comodino e disse sommessamente: << Non importa.>>
Santana si alzò per andare alla porta, ma come colta da un improvviso colpo di genio si fermò. Si ricordò del giorno in cui suo padre se ne era andato. Sapeva che era successo qualcosa perché Maribel e Alba parlavano nascondendosi la bocca con la mano. Si ricordò di una piccola Brittany, bionda e lentigginosa che era passata a trovarla quello stesso giorno. Le avevano piazzate davanti alla televisione, per tenerle buone forse. Santana, che faceva della perspicacia la sua virtù, aveva le orecchie tese per riuscire a carpire qualche parola da quel mormorio sommesso e furtivo, ma le due donne sussurravano frasi in spagnolo per lei poco comprensibili. Aveva stretto la mano di Brittany forte, ancora e ancora, pregando. Pregando senza sapere per cosa. Quella sera Brittany si era fermata a dormire da lei e la nonna come sempre era passata ad augurarle la buona notte. Solitamente Santana era sempre stata la prima a crollare, ma quella notte, che ricordava come se fosse ieri, non riusciva a prendere sonno. Quando Alma Lopez era entrata in camera, Brittany era già nel mondo dei sogni da un’oretta. Sua nonna si era avvicinata e le aveva raccontato tutto, senza fronzoli, senza indorare la pillola. Suo padre le aveva lasciate sole, punto. Santana aveva impresso ogni parola nella sua mente e non era riuscita a versare nemmeno una lacrima. Talvolta la delusione non si serve delle lacrime, ma si nutre di disprezzo.
“Cantiamo una canzone insieme..” le aveva detto sua nonna. E Santana accettò, e quelle parole, quelle note,…si portarono via per sempre un pezzo di lei. Un capitolo si era chiuso.
<< In realtà conosco una canzone.>> si sedette nuovamente sul letto e guardò il volto di Riley che si era improvvisamente illuminato di gioia. << Non prendermi in giro però…>>
Ay, de mí, llorona
Llorona de azul celeste
Ay, de mí, llorona
Llorona de azul celeste

 
Y aunque la vida me cueste llorona
No dejaré de quererte
No dejaré de quererte

 
Si fermò senza fiato. Quelle parole le si bloccavano in gola risvegliando emozioni che Santana aveva represso ormai per molto tempo. Inspirò profondamente e chiuse gli occhi.
<< Continua.>> le disse Riley: << Per favore…>>
 
Me subí al pino más alto llorona
A ver si te divisaba
Me subí al pino más alto llorona
A ver si te divisaba…

 
Quando ebbe finito di cantare si accorse che Riley era sotto le coperte con gli occhi chiusi. Convinta che la figlia si fosse addormentata si alzò, ma la ragazzina la fermò per un braccio invitandola a rimanere ancora un po’ lì con lei.
<< La mamma aveva ragione.>> disse con occhi chiusi.
<< Su cosa?>>
<< Blaine e Rachel dovrebbero vergognarsi.>>

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Capitolo 13
*** Toxic ***


!!! ATTENZIONE !!! CAPITOLO HOT

CAPITOLO 13: Toxic
Santana aprì gli occhi lentamente. Intorno a lei regnava solo il buio e capì di essersi svegliata nel bel mezzo della notte. Il suo telefono era sotto carica perché l’indomani avrebbe dovuto affrontare molte ore di viaggio in treno per ritornare nella sua New York. Non aveva portato con sè nessun libro che le facesse compagnia e odiava stare sola nel silenzio e sapeva che il telefono sarebbe stato il suo unico passatempo. Si rigirò nel letto più volte, maledicendosi per essersi svegliata; sapeva che non avrebbe ripreso sonno tanto facilmente. Voleva tornare a casa, era giusto così. Voleva rivedere Kurt, Rachel, Blaine e Cassidy, ma voleva anche rimanere con sua figlia. Sapeva che ormai non era più possibile avere entrambe le cose, ed era il giusto prezzo da pagare perché Riley avesse tutte le possibilità che lei non aveva mai avuto, almeno non gratis.
Essere adulti non era di certo facile, ma nemmeno per Riley questa situazione lo era e Santana si chiese se nell’altra stanza sua figlia avesse preso sonno o si stesse rigirando senza pena nel letto come lei. D’un tratto si accorse che la camera era insolitamente vuota e silenziosa; tese l’orecchio in scolto, ma non sentì il respiro regolare di Brittany. La chiamò, senza ottenere risposta. Ormai incapace di riaddormentarsi si alzò dal materasso con un colpo di reni e allungò una mano verso il letto in cerca della bionda, ma lo trovò vuoto. Camminò a tentoni verso il corridoio per non svegliare Riley e raggiunse il salotto. La luce della lampada le bruciò gli occhi, ma quando mise a fuoco la stanza si accorse che Brittany non era nemmeno lì. << Brit?>> sussurrò mettendo il naso in cucina. Stava per sedersi sul divano per aspettarla, quando con la coda dell’occhio notò che la porta di collegamento con la casa dei genitori di Brittany, che era rimasta sempre chiusa da quando loro erano partiti, era semiaperta e uno spiraglio di luce illuminava il pavimento sotto di essa. Rabbrividendo per il freddo notturno di gennaio, Santana si drizzò in piedi e aprì il massicico portone vetrato. Sentì in lontananza una musica lenta e prendendo coraggio scese a piedi nudi le scale in moquette che portavano alla casa dei Pierce. La casa dei coniugi Pierce era un labirinto di porte e porticine, situate su piani e livelli diversi, un tempo arricchita con quadri e decorazioni floreali su muri e ringhiere, che però erano stati imballati e spediti in Europa, dopo il loro trasferimento. Ora i muri color verde salvia spogli e le porte chiuse, davano più l’ida di una casa iniziata e mai finita. Santana si chiese come potessero essere rimaste le stanze al loro interno, ma non riusciva a figurarselo: magari tutto era impolverato e imperlato di ragnatele, ma in fondo lei sperava ingenuamente che al di là di quei portoni sigillati tutto fosse rimasto com’era quando era bambina. Le stanze illuminate, i mobili color panna pasticciati e decorati da Brittany con i pastelli a cera, l’odore di Waffles e marmellata…
Percorrendo quei corridoi semibui, le sembrò di sentire voci e rumori lontani, si ricordò di quando lei e Brittany giocavano a nascondino con il signor Pierce, un ometto asiatico con il cuore e le abitudini di un bambinone troppo cresciuto. Amava prendere parte ai giochi delle ragazzine e Santana era quasi certa che non perdesse di proposito, come fanno i grandi per accontentare i piccoli. Le stramberie dei Pierce non l’avevano mai troppo turbata da bambina, anzi la mettevano di buon umore, soprattutto nei giorni in cui era costretta a misurarsi con le sue compagne perfettamente ricche, pulite e alla moda, mentre lei aveva a sento i soldi per pagarsi il pranzo. I Pierce non avevano mai dato importanza a tutto ciò e nemmeno Brittany era stata educata a discriminare in base ai soldi; la sua filosofia era più semplice: se amavi i gatti avevi ottime possibilità di essere sua amica. Santana era decisamente più un tipo da “pianta grassa” e si teneva ben alla larga dal gatto di famiglia Lord Tubbington, un felino obeso e viziato che le soffiava contro tutte le volte che Brittany si allontanava. Non di meno, fu dispiaciuta quando “l’essere peloso”, come lo chiamava lei aveva tirato le cuoia e la tristezza provata al suo funerale, organizzato da Brittany in persona, era davvero autentica.
Sbattè contro l’appendiabiti dell’ingresso, che traballò come un pino al vento, per poi crollare al suolo.
<< Cazzo.>> urlò Santana sedendosi a terra e portando le mani su un piede dolorante. Con quello sano diede un calcio al mobile appena caduto, imprecando come se si aspettasse di ricevere qualunque risposta. Forse nemmeno i signori Pierce avevano voluto portarselo dietro.
<< Santana sei tu?>>
<< Brit, sono qui!>> disse lei alzandosi a fatica. Batté le mani sulle cosce per levare la polvere dal pigiama chiaro. << Che ci fai qui? Non avevi chiuso questa parte della casa?>>
Brittany scosse la testa e la invitò ad entrare nella stanza che una volta era stata un caldo e accogliente salotto. Le pareti, un tempo color salmone ora erano ricoperte da conetti di spugna scura che avevano la funzione di insonorizzare la stanza. Il mobilio chiaro, il divano con i motivi floreali, i quadri dalle forme bizzarre, erano spariti lasciando posto ad una dozzina di materassini morbidi impilati uno sopra l’altro come gli strati di un sandwich. Accanto alla finestra anch’essa sigillata, Brittany aveva montato un impianto stereo a rotelle. Una debole lampadina illuminava la stanza, senza però fare molta luce. Santana si stropicciò gli occhi: << Che ne è stato del salotto?>>
<< Ho tolto il divano.>> disse Brittany porgendo alla mora un puff lilla nascosto nella penombra, l’invitò con un cenno a sedersi, ma la mora era più interessata a guardarsi intorno.
<< Cosa fai qui dentro?>> chiese passando il dito indice sullo stereo.
<< Niente.>> le rispose Brittany rossa di vergogna. Santana, alla quale non si poteva nascondere nulla, accese lo stereo e subito ne partì una musica che lei conosceva bene: Another Love di Tom Odell. Brittany sentendosi ormai scoperta abbassò il volume al minimo: << Non riuscivo a dormire.>>
<< Nemmeno io.>> rispose Santana: << Perché?>>
<< Pensieri.>>
<< Pensieri…>> sospirò: << E vieni qui quando hai questi pensieri?>>
La bionda annuì senza proferire parola.
<< Riley sa di questo posto?>>
Brittany scosse la testa e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si voltò per evitare lo sguardo inquisitorio della mora, che ovviamente se ne accorse. Santana si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
<< Lasciami stare.>> disse secca, per poi pentirsene all’istante: << Dovresti andare a dormire. Domani mattina parti presto.>> concluse apprensiva.
<< E invece resto. E tu mi dici che cos’hai.>>
<< Non ho nulla. Sono solo molto confusa.>>
Santana si avvicinò di più a lei: << Per cosa?>>. Brittany si allontanò più spaventata che infastidita, quella situazione la metteva a disagio, ma non sapeva perché: << Non lo so San, se sono confusa non posso saperlo.>>
<< Ti ho fatto qualcosa?>> chiese Santana non riuscendo a decifrare il comportamento della bionda.
<< Sì, cioè no. Non so. È solo…che avrei voluto avere più tempo.>>
<< Per cosa?>>
<< NON LO SO SANTANA! Per stare con voi, per…>> non terminò la frase e le rivolse uno sguardo torvo: << Mi stai interrogando? Sai che non ho mai sopportato queste cose, mi metti in difficoltà…>>
Santana si sedette sul puff lilla incrociando le gambe e portandosele al petto: << Sei sulla difensiva stasera…>>
<< Non mi fai ridere. Sei qui per aiutarmi o per criticare?>>
<< Dai, ballaci sopra, se la cosa ti turba così tanto, come una volta…è ancora così no?>>
<< Non ho voglia San.>>
La mora raggiunse l’impianto stereo e portò la canzone all’inizio: << Lo dico per darti una mano. Mi ricordo che al liceo quando eri turbata per qualcosa, io e te soltanto andavamo al parchetto di Lima Adjacent, mettevamo la musica e iniziavamo a danzare. Tutto era più chiaro alla fine.>>
Fece partire la musica e raggiunse Brittany e le sollevò le braccia. << Coraggio…>>
<< San…>> sospirò la donna: << L’hanno chiuso quel parchetto.>>
Santana appoggiò il suo corpo sulla schiena della bionda, incastrando il mento nella sua clavicola: << Chiudi gli occhi.>> sussurrò: << Senti la brezza dell’autunno, gli alberi che si muovono al vento, l’odore dell’erba bagnata. Ascolta il silenzio e immagina di essere là. Siamo solo io e te.>>
Sentì le spalle della bionda rilassarsi e il respiro farsi sempre più profondo e regolare. Come un bambino che fa volare la sua prima coccinella così fece Santana: spostò le mani sui suoi fianchi e la spinse leggermente in avanti e lei si librò in aria come una fata e con grazia iniziò a danzare.
Santana si ritrasse fino a toccare con la schiena il muro della stanza. La osservava calcare quei pavimenti, seria e concentrata come la prima di un balletto, ma leggera e divinamente inafferrabile. Ad ogni giravolta della bionda, ad ogni falcata che muoveva verso la sua direzione, Santana veniva inebriata dal suo profumo di rosa fresca e sentiva come se le mancasse la terra sotto i piedi. Scariche elettriche frequenti come brividi vibravano nella parte bassa dello stomaco, facendole tremare le gambe; fu costretta a chiudere gli occhi e a reggersi al muro per non cadere. Ma cosa le stava succedendo? Lo sapeva benissimo, ma non voleva. Non se l’era più concesso da tanto, non credeva più di meritarsi sensazioni così.
“Non adesso, non con lei”. Pensò a corto di fiato e con la salivazione ormai assente. Distolse lo sguardo sospirando rumorosamente. Ma la musica era finita e fu costretta a riaprire gli occhi perché quel profumo si era fatto improvvisamente troppo intenso.
Brittany la stava fissando: le sue braccia come una prigione la bloccavano tra il suo volto e il muro. Gli occhi blu ormai diventati scuri e lucidi la stavano fissando libidinosamente, anche lei aveva il respiro pesante. Santana si specchiò nel suo sguardo. E non ci capì più nulla.
Entrambe si sporsero in avanti per cercarsi in un bacio famelico, dimenticato e improvvisamente ritrovato. Si schiacciarono l’una all’altra, come se volessero essere una cosa sola. Dagli occhi di Brittany scendevano lacrime calde che inumidirono anche il volto della mora. Si staccò dall’intenso bacio, la guardò per un momento, ma non disse nulla.
ANCORA. Pensarono entrambe per poi cercarsi di nuovo con passione. La bionda prese l’altra per i fianchi e la sollevò schiacciandola ancora di più al muro, la sua intimità calda era pericolosamente vicina a quella di Santana, che iniziava a gemere sulle labbra di quest’ultima. In un attimo la mora si ritrovò con le gambe di nuovo a terra, tremanti e insicure sotto il suo peso. Brittany scese verso il basso, le slacciò il cordino del pigiama viola e indugiò pericolosamente vicina al suo centro del piacere.
<< Britt…>> sussurrò Santana ritrovando un minimo di lucidità: << Che stiamo facendo?>>. La bionda le aveva abbassato i pantaloni e le mutande in un colpo solo e lei poteva sentire il calore del suo respiro su di lei. Era esposta, vulnerabile, aperta.
<< Vuoi che smetta?>> disse Brittany rivolgendole lo sguardo e appoggiando il mento sul suo bassoventre. Santana le afferrò la nuca e affondò la testa della bionda nella sua intimità, ma non ci fu bisogno che la guidasse. Brittany la conosceva bene; fin dalla prima volta sapeva dove toccarla, dove amarla e in quali punti darle piacere. E Santana non si tirava certo indietro.
Sentì e labbra di Brittany chiudersi sul suo clitoride, si muovevano agili, senza fatica al contrario di lei che aveva le gambe molli e reggersi su di esse stava diventando un’impresa impossibile. Brittany capì anche questo, la sorresse prendendola per i fianchi e affrettò il ritmo, assecondata dai gemiti di piacere della mora. Dischiuse le labbra e la penetrò con la lingua, con spinte regolari e decise. Santana iniziò a tremare convulsamente e a sibilare parole incomprensibili sotto i denti serrati per il piacere. Si portò una mano al volto e strinse l’altra ancora più forte sulla testa di Brittany, guidando le sue ultime spinte. Poi venne copiosamente, urlando il suo nome. Come se lo facesse da sempre, Brittany l’accompagnò nella discesa, poi si sedette con la schiena contro il muro, ansante, con ancora il suo sapore su volto. Santana si accasciò accanto a lei e la fissò sconvolta. La bionda guardava il vuoto senza proferire parola, poi si voltò e la guardò cercando di leggerle dentro, ma per la prima volta nessuna delle due riuscì a comprendere nulla. Sospirò, poi si pulì il viso con la manica della maglietta e si alzò. La mora la guardò allontanarsi incredula, stava per distogliere lo sguardo, ma un particolare la fece desistere: tra le gambe muscolose della bionda Santana notò una macchia. Era bagnata quanto lei. Ancora una volta il cervello di Santana smise di ragionare. La donna ritrovò improvvisamente la forza, si alzò e l’afferrò per un braccio, obbligandola a voltarsi; poi la intrappolò in un bacio famelico, che sapeva di rose, ma anche di lei.
Con un incrocio di gambe la spinse sui materassini all’angolo della stanza e poi la coprì con il suo corpo. Iniziò a baciarla sul volto per poi arrivare al collo, che divorò famelica con baci appassionati e piccoli morsi. Brittany era immersa in ondate di piacere, che aumentarono quando sentì le mani della mora navigare ed esplorare tutto il suo corpo. Si fermarono sui seni, pieni e ancora sodi come un tempo. Santana li strinse entrambi nelle mani, senza smettere di baciarla, poi le sollevò la maglietta e incontrò la sua pelle morbida alabastro. Brittany sussultò quando le mani fredde della mora le afferrarono con forza i seni, ma poi gemette di piacere alla vista di Santana che si faceva strada dentro la sua maglietta larga. Catturò un capezzolo con le labbra, ma anziché morderlo, lo stimolò fino a farlo diventare duro, poi passò all’altro. Brittany sentiva l’eccitazione tra le gambe aumentare e un piacevole calore scaldarle il petto e le gambe. Santana si abbassò e le stuzzicò l’ombelico con la lingua, poi indugiò un poco e scese verso le gambe di Brittany. Quest’ultima però la fermò, prendendole il volto con le mani.
<< Ti voglio qui, con me.>> le disse portandole il volto vicino al suo e catturando le sue labbra in un dolce bacio. Santana non si oppose e rispose prontamente all’iniziativa della bionda. Continuarono a baciarsi e Brittany presa dalla passione infilò la mano nei pantaloni della mora; erano un casino, fradici per l’orgasmo di pochi minuti prima, zuppi per il piacere di adesso. Senza troppi indugi la penetrò con un dito, provocandole un gemito inaspettato. Ma Santana voleva ripagarla della stessa moneta e non avrebbe aspettato a lungo. Le mise una mano dietro la schiena e la sollevò leggermente poi inserì una mano dentro i suoi leggins viola scuro e incontrò immediatamente la sua intimità, già inumidita dal piacere. Mentre la bionda la penetrava, con uno sforzo immane iniziò ad esplorare le pieghe della sua vagina e trovò quel punto nascosto che faceva impazzire entrambe, una di piacere e l’altra per aver provocato in lei così tanto godimento. Cominciò a stuzzicarlo con cerchi irregolari che divennero sempre più piccoli e rapidi non appena Brittany chiese di più. E lo fece inarcando il bacino verso la sua direzione: allora Santana inserì il dito indice nella sua apertura. Entrambe si davano piacere entrando e uscendo dalle loro aperture con una foga che denotava astinenza. Si erano cercate, si erano mancate e ora, come per soddisfare un bisogno impellente, si erano trovate.
<< Di più…>> la sussurrò Brittany all’orecchio. E Santana obbedì, inserì un altro dito e avvicinando il suo bacino alla sua intimità iniziò a spingere con movimenti rapidi e decisi, seguendo il ritmo della mano della bionda che non accennava a rallentare. Brittany urlò e la mora ne soffocò il rumore portandole una mano alla sua bocca, poi chiuse le sue labbra sul suo polso, perché anche lei aveva un’immensa voglia di urlare, ma il pensiero che Riley le potesse scoprire la terrorizzava enormemente. Si guardarono negli occhi e con un’ultima spinta vennero all’unisono. Era stato fisico, quasi animale, ma, nonostante ciò, erano comunque venute nello stesso momento, guardandosi negli occhi, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Si lasciarono andare una sul corpo dell’altra e rimasero con le mani nei loro vestiti impregnati nei loro umori e odori per qualche minuto, finché entrambe smisero di ansimare. Volsero i loro sguardi imbarazzati verso al soffitto e restarono in silenzio per un po’. A realizzare quello che era appena accaduto.
Santana era più il tipo o tutto o niente. Ci mise un po’ ma le conseguenze di ciò che aveva fatto le arrivarono tutte insieme. Troppo rapidamente perché potesse gestirle con razionalità. Pensò a Riley, a Cass, al fatto che sarebbe tornata a New York, ai mesi senza Riley, al suo lavoro, a cosa avrebbero detto Kurt e Blaine, che sapevano fiutare il torbido da uno sguardo. Ma non pensò a quello che aveva appena fatto a Brittany. Perché per ora e per molto tempo non era stata per lei una priorità.
<< Cazzo.>> disse ripulendosi nella maglietta e sistemandosi in fretta i pantaloni. Si portò la mano sul volto e scappò la stanza correndo in camera sua. CAZZO. Riuscì a dire solo questo. Si infilò come un rettile nel letto, sgusciando dentro alle coperte e cercando di fare meno rumore possibile. Restò immobile, con l’odore della bionda addosso, senza riuscire a chiudere occhio.
Brittany però era diversa, lei aveva realizzato piano piano, sdraiata e svuotata su quel materassino freddo e vuoto, con lo stesso odore addosso, che quella era stata la più bella notte della sua vita.
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La stazione di Lima era quasi deserta quella mattina di gennaio, una signora impellicciata si apprestava a caricare il suo cagnolino di piccola taglia nella gabbietta, rivolgendogli parole che si dovrebbero dire ad un bambino, mentre lui le ringhiava con un’espressione piuttosto contrariata. Poco più in là un gruppetto di amici pendolari chiacchieravano del tempo, sbadigliando nell’attesa del treno che li avrebbe portati al lavoro. Brittany trascinava la pesante valigia riempita con i nuovi acquisti di Santana, lasciando le altre due donne della famiglia più avanti, a godersi gli ultimi momenti insieme. Santana e Riley però non erano persone da baci e abbracci, preferivano dimostrare il loro affetto con i fatti e con gli oggetti. Perché non sapevano farlo in alcun altro modo.
<< Tu…cerca di comportarti bene, ok?>>
Riley annuì.
<< Davvero, è la tua ultima…>>
<< …Possibilità, sì lo so.>> restarono un attimo in silenzio: << Sarai contenta di non avermi più in giro a New York.>>
<< Sai che non è vero.>> e Riley sapeva. Santana sospirò: << Questi giorni a Lima sono stati…un respiro. Siamo stati bene, ma sai che devo tornare a New York e tu non puoi farlo. Ti prego però non discutiamone ancora, adesso.>>
<< No, no.>> rispose Riley per una volta d’accordo con la madre. Ormai la decisione era stata presa, solo che...sentiva alla gola un nodo che le impediva di deglutire e uno strano calore nel petto. Era triste. Nonostante i continui litigi. Nonostante si sentisse spesso soffocare in sua presenza, realizzò improvvisamente che quando l’avrebbe vista allontanarsi su quel treno le sarebbe mancata la terra sotto i piedi, il suo puto di riferimento. E capì che è proprio quando una cosa viene a mancare che ne si comprende realmente la sua importanza.
Il suono della voce metallica che chiamava il treno per New York la fece sobbalzare. Si voltò immediatamente indietro per cercare lo sguardo di Brittany, che affrettando il passo la raggiunse in pochi secondi.
<< Ci siamo.>> disse Santana con ancora la colazione sullo stomaco. Controllò l’ora sul telefono e poi se lo rimise nella tasca del suo piumino peloso. Si chinò verso Riley e le sistemò il colletto del cappotto della giacca a vento color tortora.
<< Non andare fuori di testa. Conta sempre fino a 10 prima di dire o fare qualcosa di stupido. E ascolta sempre la mamma. >> le disse con gli occhi lucidi.
<< Lo so.>>
<< Non far disperare i tuoi professori.>>
<< Lo so.>>
<< E studia.>>
La ragazzina annuì nuovamente; niente che non le aveva già ripetuto all’infinito nelle settimane precedenti. Eppure, avrebbe voluto sentirsi dire altro: che le voleva bene, che aveva cambiato idea, che sarebbero tornate tutte insieme a New York, come una famiglia. Ma nulla di tutto ciò sarebbe mai uscito dalla sua bocca.
<< Mi chiami vero?>> chiese Riley con un filo di preoccupazione. << Non ti dimentichi di noi…>>
<< Mai.>> le ripose spostando la figlia lontano dal treno. Non riuscì a trattenersi, la strinse forte a sé: << Mai, mai, mai.>>
RIMANI.
“Ti prego, rimani.” Avrebbe voluto sussurrarle all’orecchio, ma dalla sua bocca uscì solo un singhiozzo soffocato. Santana la baciò in fronte, poi si alzò e prese la valigia dalle mani di Brittany.
<< Io…sono stata bene.>> le disse cercando di guardarla negli occhi.
<< Sì.>> l’abbracciò. Brittany respirò forte l’odore di Lime proveniente dalla sua pelle ambrata e fu sicura che Santana stesse facendo lo stesso, mentre passava una mano tra i suoi capelli biondi. Santana risentì di nuovo le forme piene della donna e decise di staccarsene per non provare ancora quelle sensazioni incontrollate della sera prima. La prese per le spalle e l’allontanò.
<< Fai buon viaggio.>> disse Brittany arretrando un poco alla vista del treno con le porte spalancate. << Vuoi una mano con la valigia?>>
<< No.>>
La bionda allungò una mano verso la figlia che si attacco ad una sua gamba in preda alla tristezza. Affondò il viso nel cappotto della madre e nascose le lacrime. Piangeva, perché la storia si stava ripetendo. Di nuovo. Ma, nonostante ciò, faceva sempre male.
<< RIMANI!>> urlò quando la vide dietro al finestrino. Santana non capì.
RIMANI.
Riley correva. Passando tra gambe, valige e persone molto più alte di lei. Senza curarsi contro chi stesse andando a sbattere. Doveva superarli tutti, doveva correre più veloce del treno. Arrivò alla fine del binario di cemento, il treno era poco lontano. Fece un grande salto, avrebbe seguito i binari, aveva fiato, aveva gambe, aveva una voglia matta di raggiungere Brittany fino a Lima.
Due braccia l’afferrarono e la tirarono giù, ingabbiandola come una preda affondata nelle sabbie mobili. Più tentava di liberarsi, più quelle braccia la bloccavano a terra.
<< Lasciami, lasciami!>>
<< Mamma non può tornare…>> le sussurrava all’orecchio Santana stringendola forte. << Non può tornare.>>

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