Gli ostacoli del cuore

di Little Firestar84
(/viewuser.php?uid=50933)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio #0: Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore ***
Capitolo 2: *** Episodio #1: c'è un cadavere in garage! ***
Capitolo 3: *** Episodio #2: Grave digging ***
Capitolo 4: *** Episodio #3: L'Ispettore Zenigata ***
Capitolo 5: *** EPISODIO #4: non è tutto oro quello che luccica... ***
Capitolo 6: *** Episodio #5: Il mandato ***
Capitolo 7: *** Episodio #6: Diamonds are a girl's best friends ***
Capitolo 8: *** Episodio #7: Freinds will be friends ***
Capitolo 9: *** Episodio #8: Bling Ring ***
Capitolo 10: *** Episodio #9: Bloom, clap ***
Capitolo 11: *** Episodio #10: batti, batti, batticuore ***



Capitolo 1
*** Episodio #0: Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore ***


Ed eccoci qui! Questa mia ultima fanfiction, che spero vi terrà piacevolmente compagnia nelle prossime settimane, è un ennesimo AU...ispirato da un'idea di Kalu Saeba, lei avrebbe voluto qualcosa che seguisse la linea narrativa della fiction italiana Del Commissario Manara... ma l'ispirazione ha preso il sopravvento, e del concept della fiction è rimasto poco o nulla. Ciò che spero siano rimasti sono loro...Ryo, Kaori, Saeko, Hideyuki, Reika e tutti gli altri, tanti, tanto dell'anime quanto del manga che faranno piccole o grandi comparsate in questa storia, che si svilupperà sul piano orizzontale per ciò che riguarda la casistica (ispirata a quel gioiellino semi-sconosciuto che è The Closer) e verticale in vece sul piano emozionale dei nostri. Detto questo... avanti, marche!

EPISODIO #0: 13 MESI, UNA SETTIMANA, DUE GIORNI E UNA MANCIATA DI ORE


“Sto benissimo! Perché, non si vede che sto divinamente?!” Davanti alla preoccupazione dell’amico e collega, Ryo strinse i denti quasi fosse stato un cane feroce in preda ad un attacco di rabbia, e, ogni singolo muscolo del suo corpo teso, incrociò le braccia – una posizione che avrebbe dovuto demarcare strafottenza e noncuranza, ma che Hideyuki Makimura lesse come un disperato tentativo del suo migliore amico di  proteggere il suo animo, apparentemente ruvido, ma in realtà fragile e delicato, bisognoso di affetto, come e più di chiunque altro.  “Cristo santo Maki, non so perché devi sempre guardarmi come se fossi un caso pietoso! Sono quindici anni che mi conosci, ancora non lo hai capito che a me, la vita da scapolo, piace?”

Sospirando, Hide – Maki, come lo chiamavano Ryo e Saeko, capo nonché fidanzata ufficiosa da anni del poliziotto- si sistemò gli occhiali dalla spessa montatura nera sul naso.

Era inutile. Oramai era più di un anno che Ryo si ostinava a negare l’evidenza, ovvero che lui non stava bene, e che la rottura con la sua fidanzata- praticamente nel bel mezzo del sì- gli pesava e lo attanagliava. Se nel breve periodo in cui era stato fidanzato Ryo aveva avuto un’esistenza, se non virtuosa, almeno decente, dopo essersi lasciato il detective era tornato a fare una vita dissoluta: tante donne, una diversa ogni sera (se non più di una), tanto alcol, molto cibo spazzatura e non una sola notte passata a dormire nel suo letto: a Hide era pure capitato di dover raccattare Ryo in strada, addormentato e ubriaco fradicio alle tre, quattro, cinque del mattino… sinceramente, come facesse ad essere ancora vivo, e soprattutto ad avere ancora quel fisico prestante, Hideyuki non lo avrebbe mai capito.

Ma Ryo continuava a dire che andava tutto bene. Che stava bene. Che a lui la vita dello scapolo piaceva. Che essere sul punto di sposarsi era stata la cosa più idiota che avrebbe potuto fare. Che lei gli aveva fatto un piacere mollandolo, e che tutto sommato lei aveva avuto ragione: la vita del maritino a lungo andare gli sarebbe andata stretta, quel loro ménage a lui piaceva solo perché rappresentava una novità, alla fine avrebbero finito per farsi del male, odiarsi, inimicarsi famiglie e amici… chiuderla lì, prima che fosse troppo tardi, era stata decisamente una scelta saggia: dopotutto, non aumentavano forse tutti i giorni i divorzi?

Ecco: questa era la tiritera che Ryo ripeteva incessantemente a tutti quelli che osavano porre quella fatidica domanda .

Poi però, a casa sua, guardava altrettanto incessantemente vecchi album, da solo o senza farsi vedere, quando se ne andava a zonzo per le trafficate strade di Shinjuku, piene di vita, cercava un qualcosa di lei in tutte le donne che vedeva, che incontrava, con cui usciva senza mai combinare nulla- il suo sorriso, il suo profumo, lo stesso taglio di capelli- e soprattutto, ogni sacrosanto giorno, contava da quanti giorni non l’avesse più vista. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevano fatto l’amore. Da quando si erano baciati la prima o l’ultima volta.

Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore da quando lei era uscita dalla Hall dell’albergo dove avrebbero dovuto unirsi in matrimonio, il rito civile celebrato da un Procuratore della polizia metropolitana di Tokyo. 402 giorni. 9650 ore. 579.000 minuti. Quasi trentacinque milioni di secondi.

A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà dentro si sentiva cascare il mondo addosso. A volte, era come morire.

A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà lei gli mancava da morire, come fosse stata l’aria che respirava, e contava ogni secondo da quando non l’aveva più vista.

La conosceva praticamente da sempre, l’aveva amata da quando era divenuta una giovane donna, irruenta e con un carattere peperino, ma dopo la rottura non aveva nemmeno avuto il coraggio di andare a salutarla quando era partita per Chiba, nonostante lei avesse detto a tutti, lui compreso, che voleva che lei e Ryo chiudessero la cosa da amici. Che sposandosi avrebbero fatto un errore.  Che lui si era lasciato affascinare, travolgere dalla novità, ma che lei lo vedeva, Ryo aveva i suoi dubbi, e quando erano stati costretti a fermare la cerimonia, quando quel giovane agente si era accasciato, ferito da un proiettile, sul pavimento di linoleum, lei aveva detto a Ryo di averlo visto quasi sollevato- come se quella morte lo avesse esonerato dal dire apertamente cosa davvero pensava: no, non lo voglio, non posso farlo.

Lei sapeva che lui la desiderava, lo aveva capito quando, in una giornata ventosa, quando lei era ormai ragazzina,  aveva visto Ryo tentare di sbirciare sotto alla gonna della divisa scolastica dopo che il suo corpo era finalmente sbocciato.

Sapeva che teneva a lei, che le era affezionato, e che, a modo suo, le voleva bene – Ryo frequentava la sua famiglia da quando lui e Hide erano entrati all’accademia insieme, e l’aveva vista crescere, era sempre stato di casa. Ma non era certa che lui la amasse nel modo giusto- non come Hide amava Saeko. Non come i loro amici Miki e Umi si amavano. Non come si erano amati i suoi genitori.

Annullare tutto- e non limitarsi a rimandare a data di destinarsi- era la cosa migliore, così lei gli aveva detto. Meno sofferenze in futuro, perché, lei ne era certa, non sarebbero potuti durare: presto o tardi avrebbero finito per divorziare, e magari a quel punto ci sarebbero stati dei bambini e sarebbero stati loro a pagare lo scotto di quelle nozze che, lei ne era certissima, Ryo aveva insistito per avere al più presto possibile proprio perché consapevole che, diversamente, se la sarebbe fatta addosso e avrebbe mandato tutto al diavolo.

Ryo si era limitato ad assecondarla, certo che lei avrebbe finito col ripensarci e ammettere di aver detto un mucchio di stronzate. Pensava davvero che la separazione le avrebbe fatto capire che erano fatti per stare insieme.

Non aveva avuto dubbi nemmeno quando lei gli aveva annunciato (al telefono) di aver vinto un concorso per un corso di formazione presso il miglior laboratorio forense del Giappone, a Chiba, della durata di un anno, che le avrebbe aperto nuove possibilità di carriera. Lei aveva scelto di trasferirsi lì: molto più comodo vivere là che dover fare quasi sessanta chilometri tutti i giorni.

Ryo si disse che non sarebbe partita: alla fine, l’amore che nutriva per lui avrebbe trionfato e lei ci avrebbe ripensato, avrebbe rinunciato a Chiba e sarebbe tornata da lui, sarebbero tornati insieme e alla fine si sarebbero sposati, vivendo, contrariamente a quanto lei diceva, per sempre felici e contenti.

Invece, alla fine, se n’era andata, valigia in mano - la stessa che aveva preparato per partire per la loro luna di miele, probabilmente. L’aveva disfatta, almeno?

Si disse che non sarebbe durata una settimana a Chiba, che un giorno lui sarebbe tornato dal distretto e se la sarebbe trovata rannicchiata sul tappetino, davanti alla porta di casa (perché, dopo il fidanzamento, avevano vissuto pochi giorni insieme, e a lui non era nemmeno mai passato per l’anticamera del cervello che lei potesse volere le chiavi, e aveva sempre posticipato) a piangere che lei senza di lui non poteva stare. L’avrebbe baciata, avrebbero fatto l’amore, sarebbero tornati insieme e si sarebbero lasciati tutto alle spalle.

La settimana era passata, e lei non era tornata.

Erano venute le feste, e lei aveva preferito rimanere a Chiba.

Il compleanno del fratello. L’anniversario di morte del padre. Quello della madre.

Nulla di nulla.

I giorni erano divenuti settimane, le settimane mesi- ed adesso era passato oltre un anno- un anno che, Ryo si rifiutava di ammetterlo ad anima viva, per lui era stato a dir poco orripilante. Beveva, mangiava, usciva, frequentava un mucchio di donne con cui non combinava mai nulla, ma era tutto come un susseguirsi di gesti automatici, senza alcun coinvolgimento emotivo, più per dare l’impressione di stare bene che perché se la sentisse di spassarsela.

Alla gente che glielo chiedeva diceva di stare bene ed essere in forma smagliante- era stato lui il povero cristo mollato, quindi era per lui che gli amici si preoccupavano, nonostante comprendessero il perché della decisione della giovane donna - ma in realtà, si sentiva come uno straccio. Per questo era lì quel giorno, al Cat’s Eye Cafè, ad attenderla per la festa a sorpresa che gli amici ed i colleghi le avevano preparato.

Per rivederla. Per guardarla in faccia. Prima, le avrebbe dimostrato di essere un uomo forte, fiero, che non aveva bisogno di chiedere nulla, mai; le avrebbe fatto vedere cosa si stava perdendo. E così, avrebbe capito cosa si stava perdendo. Solo allora Ryo avrebbe ceduto, dimostrandole che stavolta non avrebbe mollato: le avrebbe fatto capire che erano fatti per stare insieme, a qualunque costo. Le avrebbe dimostrato che, con tempo e dedizione, sarebbe stato capace di lasciarsi alle spalle la vita da scapolo e abbracciare quella di coppia: le avrebbe dimostrato che poteva e voleva essere un uomo degno di lei.

La porta del locale si aprì con un leggero cigolio, e Saeko entrò, ridendo leggera, seguita dalla ben più giovane collega; Ryo la guardò negli occhi, sorridendole con quell’espressione maschia che denotava sicurezza, e che da ragazzo aveva fatto capitolare tante fanciulle perché trasudava sex appeal.

Si aspettava di vederla arrossire, volgere lo sguardo altrove, timida, ma invece, negli occhi della sua ex fidanzata Ryo vide qualcosa che lo stupì, e lo colse impreparato. 

Pietà? No, non era pietà. Sembrava quasi che lo stesse studiando, valutando, come faceva con le sue stramaledettissime prove.

Ryo aggrottò le sopracciglia, e fece per avvicinarsi alla giovane donna alla ricerca di una risposta ai suoi tanti, troppi interrogativi, ma prima che la potesse approcciare un altro uomo le fu accanto; doveva avere all’incirca l’età di Kaori; capelli castani così chiari da tendere al biondo, occhi scuri dall’aria vispa ed intelligente, alto, atletico, serio e composto, indossava un completo grigio sì dall’aria anonima, ma anche costosa, e guardava la sua compagna come se fosse la cosa più preziosa che potesse esistere sulla faccia del pianeta, come se lei e lei sola fosse importante; teneva una mano sul fianco di lei, poggiata non con il fare possessivo che Ryo aveva tenuto durante la loro breve relazione, ma delicato, quasi volesse indicare che lei era sì sua, ma lo era per scelta della donna.

Sembrava un uomo raccomandabile ed adorabile, e Ryo provò un’immediata antipatia a livello di pelle: decisamente, lui e quel tipo non sarebbero mai stati amici.

Fu allora che lei si morse le labbra, quasi timida, non imbarazzata dal fatto che quell’uomo la stesse sfiorando, ma disabituata a pubbliche manifestazioni di affetto simili in generale; lo aveva fatto anche con lui, in passato, e Ryo l’aveva spesso presa in giro, dandole della sciocchina perché si vergognava che lui esternasse il suo desiderio per lei attraverso dei gesti che potevano sembrare piccoli e innocui, ma che per lei erano tutt’altro.

L’uomo gli sorrise, non in modo crudele, ma tutto sommato gentile, affabile- incuriosito, quasi - e vedendo Ryo avvicinarsi gli offrì la mano, che il detective afferrò, e la strinse- guardando tuttavia lei negli occhi, e non l’uomo che, con grande orrore del poliziotto, si stava comportando come un essere umano decente e pure simpatico, e non un coglione stronzo senza spina dorsale. Un vero peccato: non che servisse a farglielo piacere di più, Ryo aveva già deciso che quel tipo a pelle non gli piaceva per nulla, ma non gli sarebbe dispiaciuto avere una scusa in più – anche perché, così, almeno non sarebbe piaciuto a tutti, e non solo a lui.

“Piacere di conoscerla, sono Shinji Mikuni… lei è uno dei colleghi della mia adorabile fidanzata, vero?” Lanciò un’occhiata alla donna, stringendo la mano di Ryo con decisione. Aveva una bella stretta, e Ryo pensò che forse – forse – si era sbagliato su quel tipo, che non era il mollaccione nerd che aveva immaginato essere. Ma che, comunque, continuava a stargli sulle scatole.

Ryo strinse i denti stampandosi in faccia un sorriso così falso, che più falso non poteva essere, gli occhi stretti in due fessure, ed il suo cuore perse uno o forse qualche centinaio di battiti; ebbene, sì, alla mano sinistra lei portava davvero un anello di fidanzamento, con un rubino enorme circondato da tanti diamanti – tutta un’altra cosa rispetto alla  fedina sottile con quel singolo diamante minuscolo che le aveva preso lui, certo, ma che perlomeno non era stato una pacchianeria ma un oggetto elegante e delicato che ben si addiceva alle lunghe, affusolate e delicate dita della donna, nonché al suo carattere, dolce e semplice (ed al portafoglio di Ryo).

No, Ryo non stava bene, e forse non lo sarebbe stato mai più… o almeno, non fino a che non avesse di nuovo avuto al suo fianco l’amore della sua vita, o avesse accettato che lei non voleva saperne di tornare da lui, e che Kaori Makimura si era trovata un altro che, a dirla tutta, non faceva decisamente per lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Episodio #1: c'è un cadavere in garage! ***


EPISODIO #1: C’È UN CADAVERE IN GARAGE!

 

“Porca miseria, maledizione, ma proprio oggi quel catorcio doveva rompersi!” Ryo prese a borbottare a denti stretti mentre si portava una mano alla fronte, e tentava di asciugarsi il sudore che, dai capelli scuri, gli stava colando negli occhi.

Guardò affannato l’orologio che portava al polso – un cronografo che gli aveva regalato Kaori per il suo compleanno anni addietro, e che rifiutava di indossare quando c’era la possibilità di essere beccato da lei, non volendole dare la soddisfazione di farle vedere quanto la loro rottura ancora incidesse sul suo stile di vita. In preda all’angoscia più nera ed ad un senso di panico che non faceva che montargli dentro, aumentando col passare dei secondi, Ryo prese a singhiozzare, sentendosi sconfitto.

Ormai mancavano solo quindici minuti. Sarebbe riuscito ad arrivare in tempo? Non lo sapeva.

Concentrato, prese a cercare la chiave del vecchio garage della casa del suo amico dove teneva posteggiata la sua prima auto, quella che si era faticosamente comprato da ragazzo, appena presa la patente, una scalcinata Panda 4x4 che aveva messo a posto alla meno peggio, e che non aveva mai avuto a cuore di dare via – non certo per affetto, ma conscio che non ci avrebbe guadagnato nemmeno mezzo Yen.

Sperò che il motore partisse. Che la batteria funzionasse ancora, nonostante fossero ormai mesi che  non la usava: non ricordava nemmeno più quando l’aveva fatta partire l’ultima volta, o se avesse funzionato. Ma adesso  doveva funzionare.

Doveva arrivare in orario.

Col cuore a mille, occhi sgranati, Ryo lentamente aprì la saracinesca. Ingoiò a vuoto mentre, i muscoli tesi, il pavimento ormai impolverato veniva gradualmente irrorato dalla luce naturale del sole.

Una silenziosa preghiera lasciò il suo animo turbolento. Sperava che andasse tutto bene- tutto secondo i suoi piani.

Le ruote. Il parafanghi. I fari. Ryo sorrise: almeno la macchina c’era ancora. Sì- ce l’avrebbe fatta, ora ne era sicuro. E poi, fu il turno del  cofano di essere illuminato.

Insieme alla donna piuttosto giovane che ci era coricata sopra.

“Eh? Ma porca…!”  Ryo fece un paio di passi indietro, mentre la sensazione di pace che lo aveva allietato fino ad un attimo prima di nuovo lo lasciava, e lui sospirò, sconsolato, cercando di ricacciare indietro il senso di frustrazione e perdita che sentiva montare nel suo animo.

“Signorina?” domandò, restando a distanza di sicurezza. Quando non ricevette risposta, si avvicinò, e le sfiorò il polso prima e la giugulare poi, cercando un battito. 

Niente. Non che ci fosse da stupirsi- il corpo era freddo, quasi ghiacciato, ed era evidente pure a lui che era solo un investigatore che era già sopraggiunto il rigor mortis.

“Che iella!” L’uomo sbuffò, togliendosi il berretto da baseball bianco e blu, e gettandolo a terra, quasi tentato di prenderlo a calci o perlomeno di pestarlo. “Proprio oggi che ho i biglietti per la finale del campionato di calcio dovevo trovare un cadavere!”

Sbuffando, occhi al cielo, Ryo controllò il cellulare: zero tacche. Si chiese come fosse possibile che ci fossero ancora delle zone di Tokyo in cui c’era così poca copertura, ma poi si disse che, forse, era colpa sua: a fare il tirchio e prendere un operatore di quarta categoria poteva capitare quello e altro.

Scattò qualche foto con lo smartphone prima di lanciare un’ultima occhiata al corpo e con un colpo deciso, e una mandata, chiuse il garage, pronto col telefono in mano e gli occhi puntati sullo schermo, prese a camminare per i viali alberati e le casette monofamiliari ordinate, alla ricerca di una zona dove prendesse un po’ meglio.

Gli ci vollero dieci minuti buoni.

“Ehm, ehilà capo!” Tentò di suonare allegro quando lei, nonostante la linea disturbata, rispose. “Non crederai mai a cosa mi è successo! Eh, eh, eh!”

Dieci minuti dopo, il vialetto d’ingresso del garage affittato da Ryo brulicava di agenti in divisa che, in attesa dell’arrivo dei diretti superiori, stavano circondando la scena del delitto con nastro giallo, mentre Ryo se ne stava in un angolo con le mani in tasca dei pantaloni beige che aveva scelto per quella giornata che, contrariamente alle sue aspettative, si era rivelata tutt’altro che placida.

La Suzuki Hustler rossa di Hideyuki parcheggiò lungo la strada, e dal veicolo uscirono lui e la sorella; Ryo strinse i denti, leggermente seccato, anche se probabilmente avrebbe dovuto immaginare che, una volta allertato il capo della Prima Squadra Omicidi- alias Saeko  - lei avrebbe mandato i suoi sul posto, anche se Ryo avrebbe preferito evitare di avere la sua ex fidanzata ad indagare… beh, tecnicamente su di lui.

Ma non avrebbe potuto iniziare a lavorare una settimana dopo, dannazione? Sembrava essere una congiunzione astrale negativa: tutto e tutti erano contro di lui.

“Ryo.” Lei lo salutò freddamente, alzando un sopracciglio con quello sguardo che non faceva altro che giudicarlo e dirgli che non andava bene e che se voleva vivere a lungo doveva cambiare e conformarsi al vivere civile. Aveva odiato quell’espressione quando stavano insieme, anche se aveva provato a conviverci, e adesso la sopportava ancora meno. “C’è forse qualcosa che vuoi dirci?”

“Che credi, che io ne sappia qualcosa solo perché era sulla mia macchina in un garage che io affitto? Io quella non la conosco, non l’ho mai vista in vita mia!” Ryo rispose, inviperito, sputacchiando a destra e manca mentre guardava Kaori in faccia: lei non sembrava dare minimamente peso a quello che lui diceva, ed intanto Hideyuki si faceva sempre più piccolo, e cercava di capire se fosse possibile fuggire – detestava essere il terzo incomodo in quella situazione.

“Immagino.” Kaori sentenziò, altezzosa. “Come se tu potessi ricordarti di tutte le oche giulive con cui te la fai quando sei sbronzo!”

“Cos’è, sei gelosa? Certo, immagino che sia difficile passare da uno come me a quella mozzarella con cui stai adesso, ma la mia porta è sempre aperta se dovessi mai ripensarci, mia cara. ” Ryo la stuzzicò, mentre cercava di dimostrare alla sua ex donna quanto fosse macho sollevando la porta del garage con una sola mano. Socchiuse gli occhi, e le fece un sorrisetto compiaciuto, prima di aggiungere: “Specie quella della mia camera da letto… a casa mia era la tua preferita, se non sbaglio!”

Senza nulla dire, Kaori molto casualmente sollevò la mano sinistra; si lucidò l’anello di rubino e diamanti contro il top bianco, e poi allungo la mano verso di Ryo, sollevandola leggermente e mettendo bene in mostra il regalino del suo fidanzato.

Il messaggio era chiaro: una seconda possibilità, a te? Grazie, ma no grazie.

Un giorno rimpiangerai di avermi mollato, e allora vedrai se non verrai a piangere alla mia porta!

Meglio crepare che tornare con te!

“Ehm, Ryo, odio dover ripetere la domanda che ti ha fatto Kaori, ma, ecco…” interrompendo il silenzioso dialogo tra la sorella e l’ex quasi cognato, Hideyuki si allentò il colletto della camicia a maniche corte, e la cravatta marrone sottile che la accompagnava quel giorno. “Ecco, sei davvero sicuro di non doverci dire nulla?”

“Che razza di domande! Ti ho detto che non ho nulla da aggiungere! Tutto quello che so è che lì c’è un corpo e io quella non la conosco!” Ryo sbottò, indicando la sua Panda, sul cui cofano… non c’era assolutamente nulla.

“Ma che… giuro che c’era!” Prese a dire l’uomo, girando intorno alla macchina. Ma nulla. “Era qui! Guardate, ho pure fatto le foto!”

“Non riesco a credere che tu sia stato così idiota da lasciare un cadavere incustodito per quasi mezz’ora!” Kaori gli strappò il telefono dalle mani, e prese a guardare le immagini; una donna dai lunghi capelli scuri su cui già alcuni fili grigi avevano fatto la loro comparsa; non era più giovanissima, aveva forse cinquantacinque anni, e nonostante i capi da mercato delle pulci e l’aspetto non più florido, Ryo immaginò che un tempo fosse dovuta essere bellissima; nell’altra mano prese il suo telefono, e chiamò il numero diretto dell’ufficio, alzando gli occhi al cielo quando Reika Nogami- sorella di Saeko, oca giuliva innamorata di Ryo da circa dieci anni che lo aveva costantemente insidiato nel corso della loro vita- ripose. “Reika, sono Kaori. Nell’ultima mezz’ora ti risultano ritrovamenti di cadaveri nella zona da cui sto chiamando? Ah, ah, sì… ne sei sicura? Va bene…”

“Allora, ho una buona notizia e una cattiva. La buona è che Reika dice che è stato trovato il corpo della tua misteriosa bella, quella cattiva…” Kaori disse la telefonata e, sconsolata, abbassò gli occhi, mentre arrossiva un po’ e si mordicchiava il labbro. Ryo ingoiò a vuoto a quella visione, il pomo di Adamo che andava su e giù: quel fare innocente di Kaori lo aveva sempre attizzato da morire, scatenando in lui i suoi più bassi istinti. Quando erano stati una coppia, quando lei faceva così, nove volte su dieci lui trovava una scusa, una qualsiasi, e la trascinava da qualche parte per perdersi in quelle deliziose labbra, e venerare quelle meravigliose forme femminili. “Quella cattiva è che del caso si occupa Kitao  Kuwata.”

A sentire quel nome, Hideyuki quasi si strozzò nel tentativo di soffocare una risata, mentre vedeva Ryo mettere la schiuma alla bocca: tutto il mondo sapeva quanto quei due si odiassero. Anni addietro, prima di dichiararsi a Kaori, Ryo aveva “gareggiato” per il cuore della bella rossa con l’ex agente dell’Interpol, e non gli aveva mai perdonato di aver tentato di rompergli le uova nel paniere. Inoltre, le voci di corridoio dicevano che era stato molto, troppo felice di sapere che Ryo e Kaori si erano lasciati…

Riluttante, ma per l’enorme gioia di Kaori, che se la stava ridendo sotto baffi metaforici, Ryo salì sulla macchina dei Makimura, sul sedile posteriore come un ragazzino; un quarto d’ora dopo, trovarono una zona pattugliata da agenti in divisa, e scesero dall’auto, e non appena fatto, avvertirono subito le urla maschili e la stucchevole voce femminile, civettuola.

Hideyuki abbassò il capo, mettendo il broncio: detestava quando lei faceva così.

“NON AVETE L’AUTORITÀ PER PRENDERE IL CONTROLLO DI QUESTA INDAGINE!”

“Ma suvvia, Kitao… siamo qui su ordine del Capo Nogami in persona!” la donna gli rispose, svenevole. “Non vuoi far arrabbiare il mio paparino, vero?”

“NON ME NE IMPORTA NULLA! IL CASO È MIO!”

Il battibecco andò avanti per un tempo che parve lunghissimo, con il trio di poliziotti che, appoggiati al veicolo rosso, ascoltavano il tira e molla, nemmeno fosse stato un match di tennis giocato sul più importante campo del mondo; poi, ad un certo punto, la donna non ne poté più, perse la calma, sua proverbiale dote, e prese direttamente ad urlare.

“INSOMMA, ISPETTORE KUWATA! LE HO DETTO CHE IL CASO SARÀ DI NOSTRA COMPETENZA DA QUESTO MOMENTO IN POI! NON È TANTO L’IDENTITÀ DI QUESTA DONNA AD ESSERE IMPORTANTE, QUANTO…. QUANTO…. QUELLA DEL PROPRIETARIO DI QUESTO TERRENO!”

Ryo alzò un sopracciglio, stupito: la bella Saeko stava improvvisando, era evidente – non poteva aver già scoperto di chi fosse quel terreno, lungo una tangenziale, e di certo non poteva sapere se quella persona fosse davvero potenzialmente coinvolta. Ryo prevedeva guai, stavolta gliel’avrebbe fatta pagare cara, minimo lo avrebbe obbligato a fare da baby-sitter a quelle terribile creature che erano le sorellastre di Saeko, di anni sei, per mesi, e lui non lo aveva ancora capito bene il motivo, ma le Nogami- tutte e cinque- adoravano complicargli la vita e metterlo nei casini, un’attività in cui Ryo eccelleva già da solo, senza bisogno dell’intervento di terze parti.

Dopo aver vinto la diatriba, dopo alcune insistenze da parte dell’altro ispettore, Saeko si voltò, e sui tacchi alti si diresse a passo marziale verso Ryo; alzò una mano, e con l’indice gli mostrò una zona dall’altra parte della strada. Mogio, come un cane bastonato, sospirando, l’uomo eseguì.

“Si può sapere cosa diavolo sta succedendo, Ryo?” Saeko lo accusò, mani sui fianchi. Il volto pallido era rosso, chiara indicazione di quanto fosse innervosita. “Ho dovuto fare il nome di mio padre per mettere a tacere quella testa calda di Kuwata, e adesso puoi star certo che me la farà pagare cara! Allora, cos’hai da dire a tua discolpa?”

“Ma, ma io veramente ho già detto tutto a Maki e Kaori…” Disse, dicando la coppia che era rimasta dall’altra parte della strada; Hideyuki guardava Ryo provando pena per lui, Kaori invece aveva tutta l’aria di essere esasperata, sembrava una maestrina di scuola pronta a sgridare l’allievo, quasi una cosa dal genere da lui se la fosse aspettata- ed effettivamente, Ryo tendeva ad essere una calamita per due cose in particolare: guai… e donne! Sinceramente, era stupita che intorno a lui non fossero iniziati a fioccare cadaveri femminili prima, visti i giri che comunque lui frequentava, con la scusa di parlare con i suoi informatori…

“Vorrà dire che lo ripeterei anche a me, e lo farai anche una seconda volta e una terza se sarà necessario, hai capito?!” Saeko lo istruì. “Allora?”

“Beh, allora…” Ryo iniziò, sbuffando e grattandosi la chioma scura. “Beh, sai che la Mini ultimamente fa le grane, e allora io ho pensato di andare a prendere la Panda, perché avevo i biglietti per la finale di campionato. Ma quando ho aperto il garage mi sono trovato sul cofano un cadavere… donna, capelli neri lunghi, non più giovanissima, direi sulla cinquantina abbondante. Sono andato a telefonarti e quando sono tornato il corpo non era più lì ma era qui!

“Ryo, perché mi sembra che tu stia prendendo questa cosa poco sul serio?” Saeko gli domandò, leggermente esasperata. Disillusa, lasciò cadere il capo in avanti, mentre Ryo ridacchiava, e non per la prima volta da quando lo conosceva si chiese come un uomo potesse essere al contempo un tale bravo poliziotto e un totale cretino. “Vai.”

“Ehm… è il tuo modo di dirmi che sono licenziato?” Le chiese, mani giunte in preghiera, e vide salire la collera sul volto della donna.

“NO RYO, È IL MIO MODO DI DIRTI DI TORNARE SULLA SCENA DEL CRIMINE! KAORI! HIDEYUKI!” Li chiamò ad alta voce, digrignando i denti come un cane feroce che non aveva la benché minima intenzione di mollare il suo osso preferito. Hideyuki la raggiunse, mogio, prevedendo guai dato che il suo partner/migliore amico aveva fatto casini, mentre invece Kaori continuava a guardare Ryo storto, ritenendolo il solo responsabile di tutto quel casino in cui adesso si trovavano. ”Kaori, Ryo ti consegnerà il suo cellullare, ci sono delle immagini del cadavere e del garage, salvale e vedi se ci dicono qualcosa, ma prima vieni con noi, ci servirà aiuto da qualcuno che sappia come comportarsi su una scena del crimine. Hideyuki, cerca di parlare con Kuwata, fatti passare le informazioni che hanno già raccolto.”

“E a Reika, cosa diciamo?” Ryo domandò; mentre pronunciava il nome della bella collega- nonché sorella minore di Saeko – il detective guardò, sinistro e malevolo, la sua ex, per saggiarne le reazioni: Kaori e Reika non si erano mai sopportate, perché la Nogami aveva una vera e propria ossessione per lui, fin da quando si erano conosciuti, tramite Saeko, aveva tentato il tutto per tutto per infialarselo nel letto, ma Ryo aveva sempre resistito. Che alla fine fosse stata Kaori a farlo capitolare alla collega non aveva fatto piacere, lo aveva visto quasi come un affronto, e si era comportata come un’amante respinta ed abbandonata, e ci era voluta una sonora sgridata da parte del padre e della sorella maggiore per farla comportare di nuovo come un’adulta responsabile, ed i loro rapporti si erano fatti così amichevoli che, quando Kaori se n’era andata, nella loro unità era proprio Reika che era sopraggiunta, dimostrandosi una valida aggiunta.

“Per adesso lasciamola fuori, meno persone sanno che ti sei messo in questo casino meglio è.” Saeko affermò mentre  si incamminava verso la sua auto; si aspettava di vedere Ryo e Kaori alle sua calcagna, pronti a salire sul bolide fiammante, ma sollevò un sopracciglio quando vide la giovane poliziotta stava offrendo il palmo al suo ex, che fischiettava facendo finta di nulla.

“Ryo, dammi il tuo telefono, e mi serve il codice di sblocco.” Kaori, imperturbabile, gli disse. Ryo sospirò, triste come un cane bastonato: no, non si arrabbiava a sentire parlare di Reika. Non era gelosa. Per nulla. “Adesso.”

“No, guarda, te le mando… sai, potrebbe servirmi per lavoro… eh, eh, eh…”

“Se hai paura che trovi qualche maialata, non preoccuparti. Vorrei ricordarti che a vent’anni convivevi con mio fratello e me, e che ero io ad occuparmi delle pulizie in casa, mentre tu non sei mai stato esattamente ordinato o riservato… dopo aver visto la tua collezione di giornaletti porno sul tavolo del salotto, non mi spavento più di nulla.” La donna sospirò, mentre un brivido, e non certo di piacere, le percorse la schiena: quante volte, da ragazza, aveva dovuto mettere da parte, nascondere, le riviste sconce che quel cretino lasciava in giro, per non parlare di quando aveva acceso il televisore ed era partito un film porno! Ancora adesso, a distanza di anni, si chiedeva cosa le fosse passato per la testa di innamorarsi di lui. “Dai, Ryo, mi serve il telefono per fare l’autenticazione delle immagini!”

Occhi bassi, arrossendo timido, Ryo dette il telefono – nuovo di zecca - alla donna, e borbottò il codice.

“Come hai detto, Ryo? Non ho capito…”Gli domandò, con occhi sgranati e luminosi.

“Ah, uh…” Ryo si grattò il mento, su cui era già ricresciuta leggermente la barba. “Beh, ecco, è tre uno zero tre. Ma, ma non leggerci più di tanto, eh… insomma, è che, è sempre lo stesso. Lo sai che io non ho mai avuto una buona memoria, eh, eh, eh…”

Kaori arrossì, nonostante non lo volesse, e le apparve un sorrisetto felice e soddisfatto sul suo viso, che non riuscì a reprimere nonostante non volesse certo dare soddisfazione a Ryo;  per un attimo, uno solo, il suo cuore fu tempestato dai ricordi, dai bei momenti passati accanto a Ryo, e quasi – quasi - volle piangere, e forse, se fosse stata una donna diversa, se le cosse fossero state diverse tra di loro, lo avrebbe fatto.

Tre, uno, zero, tre.

Trentuno zero tre.

Trentun marzo: il giorno del suo compleanno.

Sorridendo, Kaori fece finta di nulla, immaginando che forse quella discussione sarebbe stata troppo complicata… inoltre, non era certa di volerne parlare, sapere cosa Ryo volesse esattamente da lei, ora che era tornata - non quando lei aveva finalmente trovato un uomo meraviglioso che la amava come lei meritava.

Inoltre, quelle parole che lei gli aveva detto il giorno in cui le loro nozze erano sfumate continuavano a perseguitarlo, e difficilmente se le sarebbe scordate, e per quanto fosse stato ferito nell’orgoglio, il suo affetto per la piccola Makimura era tale che non avrebbe mai potuto negarle qualcosa. Non era mai stato capace di resistere a Kaori, aveva sempre finito per cedere alle sue richieste, anche prima che divenissero una coppia, e non sarebbe stato certamente diverso ora che l’argomento che avrebbero forse dovuto trattare, ma che entrambi avrebbero certamente evitato come la peste, era il loro tumultuoso rapporto sentimentale.

La convivenza non fa per te, Ryo. Sì, stare con me ti è piaciuto, e lo so che mi vuoi bene, ma… quanto resisteresti da sposato? Io voglio sposarmi, Ryo, e… e avere dei bambini e non credo che tu sia pronto, o che tu….. che tu voglia la stessa cosa, anche se hai cercato di accontentarmi. Forse dovremmo vedere quello che è successo come un segno e  prenderci una pausa, fare un passo indietro… ritornare al tempo in cui eravamo solo… solo amici e colleghi. Credi che sia possibile? Io non voglio perderti, tu sei sempre stato il migliore amico mio e di Hide…

Mentre il poliziotto era perso nei suoi pensieri e rammentava il passato, Saeko arrivò sulla vera scena del crimine con la sua auto, mentre Ryo e Kaori la seguirono con quella di Hideyuki, che aveva chiesto un passaggio ad un collega. Trovarono il garage aperto, e controllato su tutti i lati da agenti in divisa; mani in tasca, Ryo entrò, seguito da Saeko e Kaori; con un pigro movimento del mento, indicò un piccola porta, posta sul retro della struttura, semi-nascosta dietro scatoloni e sacchi neri ricolmi di ciarpame vario.

“Quella porta era chiusa quando sono arrivato. Devono averla portata via da lì.”

Kaori si incamminò verso l’apertura; indossò i guanti bianchi di vinile, e, appoggiata la sua valigetta metallica a terra, si chinò, esaminando la serratura. “Non è stata forzata. Dovevano avere una chiave.”

“Toshio ha preso un permesso, è in America... la sua fidanzata si sta curando a Los Angeles e lui l’ha raggiunta.” Ryo spiegò, guardando Saeko, prevedendo le domande successive. “Il contratto di affitto però non gli scade ancora per più di un anno, e voleva avere un posto in cui tornare, anche solo per passarci le vacanze, magari, e così gli ho chiesto se potevo almeno subaffittare il garage, dato che io da me ho un solo posto macchina…”

 “Evidentemente il padrone di casa non aveva cambiato le serrature come dovrebbe…” Kaori li raggiunse, sospirando; in mano aveva tre schedari per le impronte digitali. “Ho trovato tre serie di impronte, quelle di Toshio e Ryo sono nel sistema, quindi potremo facilmente escluderli.”

“Guarda che non sono un completo idiota, io quella porta non l’ho mai toccata!” Ryo le sibilò, prima di sospirare e grattarsi il capo. Mani sui fianchi, si fece serio. “Mando una mail a Toshio e mi faccio dare il nome ed il numero del suo padrone di casa, avremo bisogno del nome dei precedenti inquilini. Magari qualcuno si è tenuto le chiavi o si è fato una copia prima di fare le valigie.”

“Io vado dal coroner, così appena saprà anche solo la minima cosa saprò riferirtela, e intanto inserisco le impronte nel sistema. Non sia mai che sia qualcuno di già registrato!”

 Saeko, con un sorriso magnanimo, guardò i due poliziotti; per quanto Ryo potesse essere rozzo, era bravo nel suo lavoro, e  quando entrava in modalità di indagine non lo fermava nessuno. E se si trattava di lavorare con Kaori… la cosa si capiva ancora di più. Insieme erano perfetti, una vera macchina rodata, e la donna non seppe se essere grata o meno che la loro relazione si fosse conclusa, perché sì, insieme erano stati felici e passionali, ma almeno erano riusciti a salvaguardare la loro integrità professionale.

“Beh, allora visto che siete così in gamba  a lavorare da soli, vi lascio qui ad arrangiarvi!” E così dicendo, fece loro l’occhiolino, mentre saliva in macchina; Kaori arrossì, mentre invece Ryo guardò la donna, sbattendo le palpebre, come se quasi non capisse cosa la donna stesse dicendo, anche se aveva la netta impressione che l’amica, che aveva sempre compreso cosa davvero Ryo provasse per Kaori - una forte attrazione prima divenuta un sentimento più profondo poi.

“Ehm, allora andiamo, socia?” Ryo le domandò, salendo in macchina, dal lato guidatore. Sbuffò, sbattendo leggermente la testa contro il tettuccio, il veicolo decisamente piccolo per uno come lui che era molto più alto del giapponese medio. “Ehi, dalle foto, non ti sembrava una faccia nota? Aveva un qualcosa di famigliare, non trovi?”

Finestrino abbassato, Ryo si accese una sigaretta. Guidava con un braccio appoggiato alla portiera, tenendo l’altra mano saldamente sul volante. Intanto, una canzone d’amore riempiva l’abitacolo, le dolci note che placide lasciavano l’autoradio. Kaori sospirò, mogia ed imbronciata, guardando fuori dal finestrino – mai come in quel momento, dal suo ritorno,  aveva avvertito una scarica di corrente tra lei e Ryo. Dovette guardare l’anello che portava al dito per ricordare che aveva un compagno, e che quell’uomo non era più Ryo- che avevano fatto entrambi le loro scelte.

“Sarà una delle tue ex. Ne hai talmente tante che nemmeno le ricordi tutte!” La donna sbuffò. Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, stringendo il filtro tra i denti, compiaciuto.

“Sei gelosa, Kaori?” le domandò di nuovo. Stavolta però la voce era dolce, morbida- come se stesse esprimendo un desiderio, più che fare una domanda.

Lei alzò il naso all’insù, proprio come quando era ragazzina, e lui sorrise, malinconico.

Gli era mancata, come l’aria, come l’acqua, ma sapeva che se avesse tentato di alzare l’asta, se ci avesse provato, se le cose fossero andate male, l’avrebbe potuta perdere, e non sapeva se osare, se allungare quella mano e cercare di sfiorarla, toccare le gote arrossate e delicate dal profumo e dalla consistenza di una pesca matura.  

I due entrarono nell’edificio dove aveva sede l’ufficio di medicina legale ed i laboratori della scientifica: Kaori, borsa in spalla,  si diresse verso questi ultimi, per chiedere che le impronte venissero esaminate, ma prima che potesse dividersi da Ryo l’uomo la tenne ferma, afferrandola per un lembo del giubbotto di jeans color panna.

“Senti, perché non vai tu a parlare col medico legale, eh? Io tanto lo sai che non ci capisco nulla di queste cose, eh, eh, eh…”

La donna sollevò un sopracciglio. Rimasero in silenzio, senza smettere di guardarsi, e Ryo non sembrava cambiare espressione, e Kaori dovette ammettere che quella faccia, lei, la conosceva bene. Gliel’aveva vista addosso decine di volte. Ryo l’aveva fatta un’infinità di volte, a Maki, quando aveva bisogno di essere salvato in un particolare frangente: donne.

Ed uno dei medici legali di cui si serviva il loro dipartimento era una donna, Kazue Natori, che, come tante altre donne- quasi tutte, a dirla tutta- aveva un debole per Ryo. Tanto per cambiare.

“Dio santo onnipotente, Ryo…” la donna sospirò, portandosi una mano alla fronte. “Non riesco a credere che tu ti sia fatto pure il medico legale…”

“Oddio, no, non me la sono portata a letto, ma sai, abbiamo avuto un paio di appuntamenti, e sai com’è… eh, eh, eh…”

“Hai trovato un’altra pupattola e ti sei scordato di lei.” Gli rispose alzando gli occhi al cielo. Senza aggiungere altro, stringendo di denti, Kaori gli passò accanto, dandogli una spallata; Ryo la seguì, come un cagnolino fedele, godendosi al contempo la celestiale visione del didietro della sua ex fasciato in quei bei jeans chiari.

“Buon pomeriggio, Kazue!” Kaori cercò di suonare allegra, vivace e amichevole quando giunse alla fine del corridoio; entrò nella sala autopsie, che era già stata ripulita, e trovò la donna dai lunghi capelli castani appoggiata ad uno schedario. Vestita elegantemente, stava finendo di compilare una checklist. “Immagino che l’Ispettrice Nogami ti avesse già avvertita del nostro arrivo!”

“Proprio così!” Kazue sorrise, e dette una controllata veloce a cosa aveva scritto; firmò con un ghirigoro svolazzante, e poi porse i fogli a Kaori, senza mai smettere tuttavia di guardare lui, che si nascondeva dietro alla schiena della partner come un bambino spaurito. “Ryo… come mai non mi chiami più? Mi manca tanto uscire con te…”

“La vittima è morta sei-otto ore prima di essere ritrovata in quella scarpata... rottura del collo con conseguente frattura della spina dorsale che ne ha portato al decesso.” Kaori lesse ad alta voce, senza mai smettere di guardare quei due cretini con la coda dell’occhio; Ryo continuava a nascondersi, Kazue continuava a fare la svenevole, entrambi era come se non la vedessero e lei sarebbe volentieri voluta essere altrove, magari su una spiaggia tropicale con il suo ragazzo. “La vittima è… Cavolo, ecco perché ti sembrava di conoscerla! Si tratta di Keiko Oohara, l’attrice per cui tu andavi matto!”

“Cosa? Accidenti, certo che è invecchiata malaccio, eh, dimostra minimo dieci anni in più di quelli che ha!” Ryo, grattandoli il capo, si avvicinò a Kaori, ed esaminò le immagini: non c’era nulla della donna giovane ed affascinante dietro cui aveva sbavato poco più di dieci anni prima. “Non che me ne meravigli, l’industria l’ha presa a calci nel culo quando è uscito fuori che aveva taciuto i sospetti sulle attività omicide del suo fidanzatino…”

“Sì, ricordo! Era stato il padre di Saeko ad arrestarlo, vero?” Kaori gli domandò, chiudendo la cartellina con un colpo deciso.

“Già, insieme al tuo fratellone! Il primo caso importante dell’agente Makimura!” Ryo le fece l’occhiolino, sorridente, ricordando quel caso; lui non aveva seguito le indagini, all’epoca membro di un’altra unità, ma aveva letto dell’accaduto, anche perché aveva adorato Keiko, un’artista tanto bella quanto brava che dalla vita avrebbe meritato molto di più. “Altro?”

“Niente, era pulita, anche se dai denti e dal setto nasale si evince un passato uso di stupefacenti. Però c’è una cosa interessante, guardate qua…” Kazue gli disse, aprendo il rapporto ad una pagina in particolare e segnando con l’indice smaltato di rosso un paragrafo del suo rapporto preliminare. “Tra le sue cose hanno trovato un’ecografia, sua, di cinque anni fa, anche se, curiosamente, lei ora  ha le tube legate. Non poteva più avere figli!”

“Strano davvero… faccio uno squillo a Maki. Qui forse abbiamo un indirizzo.” Ryo alzò un sopracciglio, ed intanto guardò lo scarno contenuto della borsa di plastica trasparente su uno dei tavoli: gli effetti personali della vittima. Non c’erano chiavi, ma una patente sì, su cui spiccava l’ultimo indirizzo noto della donna – era in una zona di Shinjuku che ritenere orripilante era un eufemismo. Droga, prostituzione, traffico di armi, persone, corse clandestine, merce rubata… un vero paradiso, per una donna come lei che era abituata a vivere in zone ben più belle. “Gli dico di andare a dare un’occhiata e fare quattro domande in giro.”

“Io intanto vado a inserire queste impronte nel database e vedo se esce qualcosa!” e mentre lo diceva, Kaori era già praticamente fuori dalla porta, con la cartelletta con le prove al petto. Ryo quasi cadde, perdendo l’equilibrio, per guardarla incedere con quel suo corpo meraviglioso, che per tanti anni aveva inondato i suoi pensieri, i suoi sogni, e che ancora lo faceva - quattordici mesi e cinque giorni. Tanto era passato dall’ultima volta che l’aveva baciata, quella che sarebbe dovuta essere la mattina del loro matrimonio. Kazue scoppiò a ridere, la sua risata delicata, femminile, tutta un’altra cosa rispetto a quella di Kaori, che era sempre stata vera, forte, di pancia, contagiosa. Che gli aveva sempre riempito il cuore.

“Si vede che sei ancora cotto di lei!” La donna lo pungolò; gli andò alle spalle, e gli gettò le braccia al collo, punzecchiandolo con l’indice destro; nonostante il lavoro, Kazue aveva mani curate, dalla manicure francese, l’opposto di Kaori, che guardava più al lato pratico che a quello estetico delle cose. “Secondo me dovresti dirle qualcosa… la dolce Kaori sembrava leggermente gelosa…”

“Ma figuriamoci!” Ryo sbuffò con falsa noncuranza, il cellullare all’orecchio. “Ha un altro e si sta pure per sposare!”

“Si, ma mica è già sposata, hai ancora tempo per conquistarla, stallone!” la donna ridacchiò. “E di solito quando ti metti in testa qualcosa tu la ottieni sempre…”

Ryo si staccò dalla bellezza, sollevando gli occhi al cielo, e lasciò la stanza, salutando la donna con un pigro gesto semplice, solamente alzando la mano in aria. Sviolinò le informazioni che aveva a Hideyuki, mentre camminava per i corridoi asettici, bianchi, e si guardava intorno. Quante volte era andato lì a trovare Kaori, quando stavano insieme? Per portarle fiori o un dolcetto, o anche solo lasciarle un bacio (o un caffè) quando faceva tardi…

Ogni angolo parlava di lei.

Ogni angolo parlava di loro.

Tutto gli ricordava come fosse stato stupido a lasciarla andare e non lottare più strenuamente per portare avanti il loro rapporto - ma forse c’era ancora tempo, una speranza. Lei ed il suo bello non avevano ancora fissato una data, Kaori era, se non single, ancora libera, da un certo punto di vista. Se avesse fatto attenzione… giocato bene le sue carte… magari Kaori gli avrebbe dato un’altra possibilità.

Ma se la meritava? E lui… la voleva davvero? Doveva ammettere che lei aveva avuto ragione: quando l’argomento matrimonio era venuto fuori, lui aveva premuto perché le cose venissero velocizzate perché c’era una parte di lui che temeva che, se avessero tergiversato, avrebbe finito per mandare tutto a puttane e rovinare la cosa migliore che gli fosse mai capitata.

Alla fine, però, tutto era andato a incasinarsi comunque, e lei lo aveva comunque lasciato. Adesso erano amici: gli sarebbe bastato? Ancora non lo sapeva. Francamente, ne dubitava.

Vide Kaori seduta quella che era stata un tempo la sua scrivania, quella che aveva occupato prima di andare a quel maledetto corso e di passare all’investigativa con lui e Maki, stava ridendo, felice, scherzando con delle colleghe.

Gli era decisamente mancata, realizzò con un sorriso. I mesi senza di lei erano stati vuoti, bui, tutti uguali, ma lei era come una sferzata di aria fresca e pulita, di vitalità. Lei lo spiazzava, in senso buono.

“Ehi, Sugar, hai qualcosa per me?” le domandò, appoggiandosi allo stipite della porta, sigaretta spenta in bocca. La camicia bianca aderiva perfettamente al suo possente torace, e la visione lasciò le ragazze del laboratorio a bocca aperta.

Piaceva alle donne, lo sapeva. E se per riavere Kaori avrebbe dovuto prima sedurla, beh, sarebbe ricorso anche a quel trucchetto, se fosse stato necessario.

“Ehm, ecco, sì. Più o meno.” La donna balbettò, arrossendo. “Ci sono le impronte di Toshio, del padrone di casa che è schedato per precedenti contro il patrimonio nazionale, e quelle di un terzo individuo non schedato.”

“Che iella! Mai che siano tutti schedati i criminali! Giuro che a volte non mi dispiacerebbe che tutta la popolazione mondiale fosse registrata, sarebbe tutto più semplice per noi poveri sbirri!” Ryo sospirò, aggiungendo più pathos del dovuto a quella sua affermazione. “Eh, speriamo che tuo fratello trovi qualcosa a casa della vittima!”

“Beh, intanto io ho trovato qualcosa!” Kaori gli rispose, sorridente e fiera, mani giunte sotto al mento, i gomiti sulla scrivania. “So che fine ha fatto il bambino e come mai la nostra ex attrice aveva le tube legate!”

“Ah ma allora tu e la tua famiglia avete davvero la stoffa dei poliziotti, piccola Sugar!” la prese in giro. Ryo si sedette su uno sgabello, e mise i piedi sulla scrivania, in pratica quasi in faccia a Kaori, incrociando le mani sul ventre. “Allora, sentiamo, cosa ha scoperto la nostra dolce e bella poliziotta?”

“Quanto sei scemo, Ryo!” Lo prese in giro, arrossendo, dandogli un colpo con le mani per fargli mettere i piedi nel luogo in cui appartenevano, per terra. “La Oohara dopo la fine della sua carriera di attrice ha iniziato a fare la madre surrogata, ma la cosa è stata breve perché il primo bambino è nato con problemi di dipendenza, il secondo così prematuro che non visse che due giorni. I servizi sociali presentarono un ordine del tribunale in cui veniva imposto al medico di legarle le tube, per evitare altre gravidanze.”

“Quindi lei si era ripulita, e l’orologio biologico aveva preso a ticchettare…. Ma solo nella sua mente.” Ryo sospirò, prendendo tra le mani la bustine delle prove contenente la foto del feto. “Tu cosa avresti fatto, nei suoi panni?”

“A parte non riempirmi di droga e mettere a rischio la vita di due bambini?” Lei gli domandò, leggermente alterata, stringendo i pugni. La maternità era sempre stata un suo sogno, seppure tutti l’avessero sempre trattata alla stregua di un maschiaccio. Amava i bambini, e non concepiva come una madre potesse svergognare il suo corpo in quel modo, mettendo in pericolo il suo stesso sangue.

Ma forse, nessuno più di lei si sarebbe dovuta stupire di una cosa simile- aveva o no il suo vero padre assassinato la moglie quando questa l’aveva lasciato, scappando con le due figlie? Lei e Sayuri si erano poi perse di vista, finendo in due case-famiglia diverse, e la sorella era stata adottata in America, mentre il poliziotto che si occupava del caso aveva preso lei in affido.

Il suo vero padre era un assassino: lei avrebbe protetto una vita sua con le unghie e con i denti.

Ryo le lanciò un sorrisetto, mentre nella mente di Kaori si accese una lampadina.

“Il bambino!” La giovane esclamò, radiosa, fiera del suo intuito. “Lei voleva il bambino!”

“Tombola, partner!” Ryo le fece l’occhiolino, facendo il gesto della pistola verso di lei, nemmeno fosse stato un pazzo pistolero del vecchio west. “Eh, è un vero peccato che avesse fatto tutto tramite un agenzia illegale, anche se...”

“Potrebbe aver comunque aver avuto un avvocato di riferimento, una qualche agenzia che lavorasse sotto banco.” Kaori sospirò, pigramente e distrattamente pigiando un po’ di tasti a caso sul suo computer, un po’ triste e scoraggiata: si sentiva come quando si facevano tre passi avanti, e cinque indietro. Sapere quelle cose, serviva loro qualcosa? Non ne era certa. “Certo, potremmo fare una lista di tutte le famiglie che nell’anno della nascita del bambino della vittima abbiano interrotto i contatti con le agenzie ufficiali, ma sai quante famiglie saranno, in tutto il Giappone?”

Sospirarono entrambi. Kaori si voltò sulla sua sedia girevole- o almeno, ciò che, in quella che le sembrava essere un'altra vita, era stata sua - e riprese a lavorare al computer, inserendo le impronte misteriose anche in altri database a cui l'accesso non era automatico ma richiedeva procedure più lunghe; intanto, Ryo continuò a guardarla, in quel silenzio che veniva solo interrotto dal suono di una centrifuga del DNA che, per conto di una collega, avanzava nei procedimenti di scissione ed analisi delle molecole.

Eppure, quel suono non lo disturbava, anzi, Ryo si beava di quella pace apparente. Perché Kaori era nel suo ambiente, era lei, e per un attimo, si permise di fantasticare di non aver accettato quando lei gli aveva chiesto una pausa di riflessione, per capire cosa entrambi volessero dalla vita.

Cosa lei volesse Ryo non lo sapeva, ma era certo che era lei che lui voleva. E non certo solo per scaldargli il letto o fargli da domestica, come una volta, nervosa dopo un paio di bicchieri di troppo, lei gli aveva rinfacciato.

Ryo, perso nella visione del ricciolo rosso alla base della nuca, che brillava per una goccia di sudore che lo imperlava per la intera lunghezza, aprì lo bocca per parlare, ma fu interrotto da una notifica, una mail proveniente da Saeko stessa.

“Beh, nulla di strano che la nostra bella attrice sia stata trovata lì… anni fa abitava in quella casetta!”

“Fai vedere!” allungandosi verso di lui, gli rubò il telefono di lavoro, e fece scorrere fino  a raggiungere quello che voleva; Ryo la fissava con gli occhi sgranati, cercando disperatamente di nascondere il bruciante desiderio che aveva provato nell’istante in cui lei era stata così vicina da permettergli di sentire il suo profumo di vaniglia nera.

La povera anima perduta aveva sì vissuto lì, ai tempi della sua gravidanza, ma lei appariva solo come abitante del palazzo, non come affittuaria: quel nome, decisamente maschile, apparteneva ad uno degli avvocati più squattrinati della città, tale Ace Toshiba, specializzato in diritto di famiglia, con numerose sospensioni della licenza per violazioni dell’etica professionale.

Un poco di buono, in poche parole. Che, probabilmente, aveva la chiave dell’appartamento che aveva affittato.

“Che dici, andiamo a fare una visita al tipo, partner?” le domandò. Ryo le sorrideva, e a Kaori il cuore perse un battito – ma solo uno. Si disse che era l’abitudine, che era il suo corpo, il suo essere, che ricordava il passato. Una sorta di riflesso pavloviano, null’altro.

Lei e Ryo erano amici. Erano colleghi. Lei adesso stava per sposarsi – con un uomo che più diverso di Ryo non poteva essere. Ci avevano provato ma non era andata.  Ed era meglio così: meglio bruciarsi all’inizio, salvare il salvabile, che farlo poi. Erano stati d’accordo. E poi, tecnicamente, mandare a monte tutto era stata una sua idea, quindi non aveva senso avere dubbi o ripensamenti o… o essere tradita così dal suo stesso essere.

Solo perché insieme avevano fatto scintille. Solo perché se la intendevano alla grande, sul campo, capendosi senza nemmeno bisogno di parlare. Solo perché lui era stato il suo primo amore, e aveva riempito i suoi pensieri fin da quando era una ragazzina. Solo perché il sesso era sempre stato meraviglioso, fantastico, da perdere la testa, e Ryo era sempre stato una amante attento e dedito. Solo perché…

“Beh, ti muovi o no, Kaori? Guarda che non abbiamo mica tutto il giorno!” Ryo sbottò. Kaori, destata dai ricordi, il corpo percorso da mille e mille fremiti, alzò lo sguardo verso di lui, arrossendo lievemente, sperando che Ryo credesse che fosse stata persa in chissà che pensieri e non certo a ricordare i loro bollenti incontri.

Lui la guardò con un sopracciglio alzato e l’aria confusa, e la donna sospirò internamente: non l’aveva presa in castagna. Grazie a Dio. Se Ryo avesse creduto di avere davvero un’apertura, anche una sola, un minuscolo spiraglio, si sarebbe gettato all’attacco, e Kaori non era certa che sarebbe stata capace di resistere a dei seri tentativi di seduzione da parte di un uomo da cui, in tutta franchezza, si sentiva ancora attratta, per lo meno dal punto di vista fisico, e Shinji non si meritava certo di essere cornificato così, alla vigilia delle nozze.

“Eh, si, sì, arrivo!” la donna balbettò, afferrando la sua borsa e camminando lesta verso Ryo, che percorreva placido i corridoi dove durante la loro relazione aveva rubato più di un bacio alla bella Kaori.

“Certo che però potresti essere un po’ più gentile con me, uffa!” la ragazza sbuffò, mettendogli il broncio mentre gli dava giocosamente una gomitata nel costato. “A volte mi fai fare delle figure davvero barbine!”

“Eh ma mica è colpa mia se tu a volte vivi nel mondo dei sogni, Sugar!” la prese in giro, ridendo, usando quel delizioso nomignolo che aveva cognato per lei quando Kaori aveva solo, cosa, quindici anni?

Era stato prima che partisse, con estremo dolore e preoccupazione di Maki, per uno scambio scolastico: l’aveva chiamata Sugar Boy perché era piatta come una tavola, coi capelli ribelli cortissimi, sempre in tuta da ginnastica, e con la passione per gli zuccheri.

Alla fine dell’anno scolastico Kaori era tornata a casa, e del boy non aveva più nulla; meno di un anno passato lontano da casa – e da un ambiente maschile e maschilista – e lei era fiorita. Il suo corpo era divenuto aggraziato, slanciato, erano comparse curve da capogiro, aveva allungato leggermente i capelli e aveva preso ad indossare la gonna. E lingerie. Ryo ancora ricordava una volta in cui era andato a trovare Maki, ed era andato in bagno… quel giorno pioveva a dirotto, e così lei aveva steso il bucato in bagno, nella doccia, ed in mezzo a tutti quei capi, uno in particolare aveva attirato l’attenzione di Ryo, che l’aveva sfiorato, ingoiando a vuoto…

Era un completo, reggiseno e slip dal delicato pizzo purpureo che raffigurava primaverili violette... non era osé, non era esagerato, eppure trasudava femminilità, era come un inno al cambiamento effettuato della ragazza. Ecco, lì aveva iniziato a sbavarle dietro, a farsi pensieri, ad immaginare: quel momento era stato l’inizio della fine.

“Sai, anche tu sembri perso nei tuoi pensieri… cos’è, pensi al tuo prossimo appuntamento? O non sai chi chiamare?” Lo stuzzicò lei, appoggiando i gomiti sul tettuccio della macchina. “Kazue sembrerebbe disponibile… magari potresti farci un pensierino.”

Ryo non la degnò di una risposta;  si limitò a sedersi al posto di guida, piccato, e cambiò discorso, tornando sui più sicuri terreni del caso ma soprattutto del lavoro, chiacchierando di chi era stato promosso e chi era stato trasferito, chi aveva cambiato professione, chi si era sposato…. I cambiamenti avvenuti nei mesi (per lui lunghissimi) in cui era stata lontana.

Ryo parcheggiò la macchina poco distante dalla porta d’ingresso dello studio legale, in quella che sembrava a tutti gli effetti una baracca semi-diroccata, indicazione che probabilmente gli affari del Toshiba non andavano così bene. Con la pistola nascosta sotto alla giacca per non dare nell’occhio, i due si diressero verso il campanello, pronti a fare qualche domanda. Prima, però, Ryo fece segno a Kaori di fare silenzio, portandosi un dito alle labbra, e dette un’occhiata intorno; notò una finestra, da cui vide il pingue avvocato senza capelli che stava facendo incetta di fascicoli e allo stesso tempo riempendo una logora sacca da viaggio buttandoci dentro capi spiegazzati. Ryo fece un rapido giro dell’edificio, e notato come non ci fossero altre uscite, in barba alle norme sulla sicurezza, tornò da Kaori, che impaziente lo stava aspettando all’ingresso, con le braccia incrociate.

“Alla buon’ora, si può sapere cosa stavi combinando?” gli domandò, leggermente irritata. Lui, di tutta risposta, fece scioccare la lingua contro il palato, e si accese l’ennesima sigaretta della giornata. “Senti, perché non vai tu a fare due domande all’avvocatuccio? Io ti aspetto qua e mi fumo una sigaretta!”

Lei si limitò a guardarlo di brutto, ed entrò nel palazzo. Suonò alla porta dell’appartamento che fungeva da ufficio ed attese risposta, battendo ritmicamente il piede per terra.

Un minuto, due, nulla. Suonò di nuovo. Poi suonò più  a lungo, e alla fine, all’ennesimo tentativo, la porta si aprì di uno spiraglio, da cui Kaori vide il faccione rosso a chiazze di un ometto di mezza età. Senza attendere oltre, spazientita, gli Sbattè in faccia il suo tesserino.

“Signor Toshiba, sono l’agente Makimura. Dovrei farle alcune domande su una sua ex cliente, tale Keiko Oohara!”

“Uhm, sì, sì, certo…” L’uomo si guardò intorno, divenendo sempre più paonazzo, il fiato corto. Kaori sollevò un sopracciglio: prevedeva rogne. “Potrebbe solo darmi un attimo? Per…. Per rendermi presentabile?”

“Sì.” La donna sibilò, anche se, nel momento stesso in cui l’uomo chiuse la porta sbattendogliela in faccia, capì cosa volesse fare, e comprese perché Ryo fosse voluto rimanere fuori, e la sua teoria fu resa ancora più verosimile dal rumore concitato che sentì provenire dall’interno dell’ufficio.

Piano B, pensò sospirando, girando sui tacchi e andando a cercare Ryo, anche se aveva una vaga idea di dove potesse essere; lo trovò infatti nel vicolo, che guardava con un sorriso sornione e un po’ malevolo l’avvocato, che, inginocchiato a terra e circondato da carte svolazzanti, batteva i denti, gli occhi fissi sulla Python di Ryo, la pistola non di ordinanza che lui si ostinava a portare perché metteva molta più soggezione di quella cosetta minuscola da femminucce che i colleghi avevano in dotazione.

Lei si limitò ad alzare un sopracciglio, guardandolo come se lo stesse silenziosamente rimproverando dall’alto della sua maturità ed esperienza.

Lui scoppiò a ridere, godendosi quel tipo che, improvvisamente impallidito, aveva solo più da farsela addosso.

“Ehi, Kaori, hai visto, ho raccolto la spazzatura… e tu che dicevi che me ne occupavo mai!”

Lei ridacchiò, scuotendo lievemente il capo, ed intanto prese dalla tasca le manette, assicurandole ai polsi dell’uomo, che non sembrava in grado di distogliere lo sguardo dalla pistola del poliziotto.

 

   “Toshiba ha cantato come un usignolo. La Oohara aveva deciso di chiedere l’affidamento del bambino, anche perché l’adozione da parte dei genitori non era stata esattamente regolare. Toshiba ha capito che per lui sarebbero stati guai, che tutti i suoi intrallazzi sarebbero venuti a galla e allora l’ha uccisa, strozzandola. Nel cruscotto, in mezzo a tutto il resto, aveva ancora le chiavi di quell’appartamento, e ha pensato di nascondere lì il corpo, ma poi gli è venuto il dubbio che qualcuno avrebbe potuto collegarlo a lui, e allora l’ha spostata. Non aveva nemmeno pensato che qualcuno l’avesse trovata.” Saeko gli disse più tardi nel suo ufficio.  Era ormai notte, e nell’open space che accoglieva la squadra investigativa era calato un quasi totale silenzio. Non c’era il brusio che la riempiva di giorno, giusto il rumore della fotocopiatrice, leggero, indicazione che forse una persona oltre a loro era rimasta- Ryo immaginava che fosse maki, che stesse aspettando che Saeko se ne andasse per accompagnarla a casa, o fermarsi  a mangiare da qualche parte.

Le veneziane che davano sulle scrivanie degli agenti erano abbassate, mentre invece erano alzate quelle che davano sulla città, facendo entrare le mille luci di Shinjuku dentro alle quattro mura, i neon rossi e blu che creavano giochi di luce sul viso dell’affascinante poliziotta. Ryo era rimasto in silenzio, le caviglie incrociate sulla scrivania, e guardava fuori.

Quello era il suo mondo. Quello era il suo ambiente, il luogo dove provava, ogni notte, a dimenticare le tribolazioni del suo cuore che non voleva ammettere una verità che la sua mente aveva compreso già da tempo.

Lei non era più sua.

“Ryo, perdendo un cadavere avresti potuto passare dei guai seri, e se non ci fossi stata io, forse avresti passato un brutto quarto d’ora, lo sai vero?”

“Sì, sì, lo so, tranquilla.” L’uomo alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Allora, cosa devo fare per farmi perdonare?”

“Oh, nulla, giusto due cosette!” Lei esclamò, sorridente, passandogli un foglio stampato di fresco. Al centro, scritti a caratteri cubitali, gli articoli di una lista…

SAEKO: DUE BOTTIGLIE DI BLACK OPIUM (PROFUMERIA METSUO)

REIKA: UNA CASSA DI MERLOT MARKIO (VINERIA SANTORI)

KAORI: FOULARD DI SETA ETRO CON PROFUMO (CHEZ ERIKO)

MAKI: COMPLETO CON CAMICIA  (DA TETSUO) E SCARPE (NEGOZIO KAWASAGI)

“Cosa? Solo perché mi sono perso, per puro caso, e per motivi che non dipendevano da me, un cadavere? Tutta questa roba mi costerà due stipendi! Vuoi vedermi andare in bancarotta?” Ryo le domandò, con sguardo circospetto. Saeko non aveva ancora smesso quel sorrisetto, che Ryo sapeva indicava che voleva qualcosa, guai, e che gliel’avrebbe fatta pagare cara. “Perché penso che ci sia qualcos’altro? Cosa trami? Sentiamo, cos’altro c’è?”

“Beh, sai, Kuwata è stato così gentile da lasciarci il caso senza andare a dire nulla a mio padre, che ho pensato che avresti potuto lascargli il tuo abbonamento per il prossimo campionato… anche lui è un grande appassionato di calcio, sai?”

Ryo si incassò nelle spalle, mentre piagnucolava, stritolando la lista tra le mani, il viso basso. “Ma non è giusto! Perché me la fate sempre?”

“Beh, cosa avresti preferito, essere sospeso perché ti sei perso un cadavere?” la donna abbaiò, e seccata incrociò le braccia. “Piuttosto, com’è stato lavorare con Kaori?”

Ryo la guardò, concentrato; era chiaro che la domanda avesse un significato ben più profondo di quelle meramente lavorativo. Prese un sospiro, e gettando la testa all’indietro, prese a fissare il lampadario spento.

“Bah, non saprei…come al solito, immagino.” disse, alzandosi, nonostante nella sua voce Saeko avesse avvertito una nota di apprensione, di tristezza e malinconia. Ryo era sempre stato bravo a fare lo sciocco, a nascondere i problemi e le insicurezze dietro le sue maschere, ed era certa che quella del dongiovanni incallito non fosse null’altro che una farsa, un modo per non far vedere al mondo quanto ancora stesse male per la rottura con Kaori. “Mi raccomando, capo, non fare troppo tardi col tuo bello!”

Saeko non gli rispose, si limitò a scrollare il capo, sorridendo triste. Aprì un cassetto della scrivania, e fissò la foto che aveva sul fondo: una di loro quattro, in vacanza al mare. Lei e Maki stavano già insieme, ma Kaori e Ryo fingevano di essere ancora solo amici, nascondendosi dietro indifferenze e piccole e grandi malignità, scherzi da ragazzini, eppure, se guardava quella foto, poteva vedere quanto Ryo avesse adorato Kaori, quasi avesse venerato il terreno su cui lei camminava.

L’aveva amata allora, e Saeko era certa che la amasse ancora.

Richiuse il cassetto con forza, e sospirò, mogia, sperando che le cose potessero solo migliorare, e non peggiorare.

E che nessuno dei suoi amici, e della sua famiglia, uscisse da quella storia con le ossa rotte.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Episodio #2: Grave digging ***


“Che palle, non so cosa siamo venuti a fare al funerale di quel vecchio coglione di Samura!” Ryo sbottò, senza controllare il volume della voce, mentre lui e Maki uscivano dal tempio, seguendo il feretro che conteneva i resti dell’Ispettore Samura, che era passato a miglior vita su una poltrona reclinabile guardando una gara automobilistica mentre tracannava birra, mangiava un mega-panino ai due salami e quattro formaggi e mentre la sua metà di sotto era affaccendata in peccaminose e squallide faccende con una ragazza che aveva l’età per essere sua figlia (se non sua nipote) e che decisamente non era sua moglie. “Non ci sopportava, non sapeva fare il suo lavoro, ha fatto carriera leccando il culo a tutti e piantando pugnali nelle spalle quando gli faceva comodo, e metteva pure le corna alla moglie!”

Maki si allargò il colletto della camicia, avvertendo sudori freddi, e vide una donna sui sessanta, dai capelli neri irsuti e piena di rughe, dall’aria di essere una megera, voltarsi verso di loro. Stava zitta, ma il suo silenzio, il suo ringhio dicevano tutto, e anche di più. 

“Eh, condoglianze signora Samura!” Maki iniziò, mentre Ryo si toglieva la cravatta e la metteva in tasca, con la faccia di chi cadeva dalle nuvole. Kaori, al loro fianco, si nascose il viso dietro alle mani, incredula che Ryo riuscisse a far fare loro delle tali misere figure tutte le sacrosante volte. 

Gli esseri umani avevano i filtri, avevano la connessione bocca-cervello… ma non lui. Ryo prima parlava e poi non rifletteva – se avesse riflettuto, Kaori era certa che Ryo ci sarebbe arrivato da solo a capire che chiederle di sposarlo era stata una colossale, per passarle il termine, cazzata. Ryo era sempre stato uno spirito libero, una storiella la poteva reggere, al massimo usciva con la stessa donna per due settimane, ma una vita intera con la stessa persona? Ne dubitava…

“Andiamo, avete poco da fare gli schizzinosi voi due, solo perché aveva lavorato con vostro padre! Nemmeno lui lo sopportava, cosa credi, lo dice sempre il padre di Saeko e Reika!” Ryo sibilò a bassa voce, chinandosi verso i due amici, con le mani in tasca. “E comunque, io mi limito a dire quello che stanno pensando tutti, e che tutti sanno, inclusa quella megera della vedova! Credi che ci fosse una sola persona del dipartimento che non sapeva che il buon Amato si scopava tutte le puttanelle di Shinjuku?”

“Santo cielo, Ryo, modera il linguaggio!” Kaori lo rimproverò con voce sibilante, dandogli una leggera gomitata nelle costole. “Siamo pur sempre in un tempio!” 

“Come se quello stronzo si meritasse una cerimonia religiosa!” Ryo rispose, molto, troppo, pimpante, alzando svogliatamente gli occhi al cielo. Sbadigliò sonoramente, senza nemmeno mettersi la mano davanti alla bocca, mostrando le sue tonsille a tutti i presenti. 

Il corteo funebre si arrestò all’improvviso, con la vedova che fremeva con i pugni chiusi lungo il corpo; Kaori divenne rosso fuoco, Hideyuki impallidì, mentre Ryo assunse la sua solita aria di noncuranza, dando una scrollata di spalle, e si limitò a chinare il capo sulla spalla, con fare interrogativo, sbattendo le ciglia come un cerbiatto che vedeva il mondo per la prima volta, quasi non capisse cosa stesse accadendo e perché si erano fermati tutti. 

La donna si voltò verso di lui, e sbattendo quelle scarpe da befana, rumorose e grossolane, si avvicinò al poliziotto. Ryo alzò le mani in segno di resa, sudando freddo, ma non servì a nulla: la donna  continuava, imperterrita, a marciare verso di lui, gli occhietti stretti iniettati di sangue, i denti digrignati, labbra bluastre e secche che erano poco più di una sottile linea…

“Ehm, posso ancora farle le mie più sentite condoglianze, signora Samura? Suo marito era un tale brav’uomo, eh, eh, eh…”  Ryo prese a balbettare. La donna non proferì parola, alzò la vecchia borsetta nell'aria a iniziò a colpire Ryo in testa, in faccia… presto si unirono a lei, piangendo disperati e rabbiosi allo stesso tempo, i figli, una ragazzetta alta e magra che sembrava una linea retta che diede una serie di ombrellate a Ryo ed un ragazzone che, dalla faccia, e con i muscoli da montagna che si ritrovava, sembrava avere solo forza bruta e zero sinapsi cerebrali.

“Signori, per favore! Smettetela!” Il direttore della casa funeraria li supplicò, fermo immobile davanti al feretro in legno scuro del defunto. Piccoletto, era praticamente un cubo, con occhietti ed un nasone che lo facevano sembrare un topo. La sua voce era simile ad uno squittio, mentre, a mani giunte, supplicava i presenti di cambiare atteggiamento. “Un po’ di rispetto per il defunto!” 

“RISPETTO???” Tuonò la vedova. Ryo, vedendola che si voltava e raggiungeva l’ometto, si lasciò cadere a sedere sulla scalinata di cemento, e sospirò, sollevato, mentre Kaori e Maki lo guardavano dall’alto in basso con le mani ai fianchi, furibondi. Ryo era stato cresciuto passando da famiglia affidataria in famiglia affidataria dopo che la madre era scomparsa ed il patrigno era finito in galera per traffico di stupefacenti, ma immaginava che nelle famiglie normali quello fosse lo sguardo che i genitori delusi dedicavano ai loro pargoli.

“Oh, povero Ryo, stai bene? Vieni, ti medico io...” Ryo alzò gli occhi, e fu immediatamente catturato, letteralmente, da Reika, che gettandogli le braccia al collo prese a tamponare con un delicato fazzoletto di pizzo bianco un minuscolo graffio che Ryo si era procurato. Ryo, che non aveva mai avuto la benché minima intenzione di incominciare un’altra relazione con una donna con cui lavorava, cercava di strapparsela di dosso, ma più lui si divincolava, più lei stringeva le sue spire attorno a lui, come un temibile serpente letale.

Gli era sempre piaciuto trovarsi con la faccia spiaccicata tra le sinuose grazie di una bella donna? Assolutamente sì. Voleva che quelle grazie appartenessero a Reika? Manco morto. La sua vita era già abbastanza complicata senza che lui si portasse a letto una collega quando in realtà pensava ad un’altra.

E lo sguardo di Ryo andò all’altra collega in questione; Kaori era in piedi e lo stava letteralmente fulminando, o forse stava fulminando Reika, ma la questione era che lui, quello sguardo, se lo ricordava molto, molto bene; lei quello sguardo aveva iniziato a lanciarglielo non appena si era resa conto che lui era un maschio dotato di un discreto fascino e che lei, in quanto femmina fertile con ormoni in subbuglio, a quel fascino non rimaneva certo indifferente. 

Quel fuoco che lei aveva negli occhi aveva un nome: gelosia.

“Sai Kaori, non ci avevo mai fatto caso, ma tutte le volte che mi metto a fare il galletto tu te la prendi, fai la scontrosa, e mi dici che ho un’amante. Però sono solo gli uomini sposati ad avere le amanti, mentre io sono scapolo… non è che ti sei presa una sbandata e mi vedi come una tua proprietà?” Ryo, impegnato a sorseggiare una tazza di tè al tavolo del soggiorno di casa Makimura, guardava la giovane Kaori, diciannove anni nemmeno, che senza degnarlo della sua attenzione si impegnava a fare tutto e nulla. 

“Ti piacerebbe, brutto porco!” Gli rispose, con tono saccente, continuando ad annaffiare le piante. 

Da dietro la tazza, Ryo la guardava di sottecchi: sì, gli sarebbe piaciuto, e anche molto. I mesi passati lontana da casa l’avevano cambiata, le avevano dato maggiore sicurezza, ma soprattutto avevano permesso alla giovane donna di prendere il posto della ragazzina che aveva fatto i bagagli in quella casa.

Se non fosse stata la sorella del suo migliore amico e partner, Ryo ci avrebbe provato volentieri; lui e Kaori erano anni che andavano avanti con i loro battibecchi, c’erano amici che li prendevano in giro dicendo loro che sembravano una vecchia coppia sposata, e Ryo era certo che sotto le lenzuola avrebbero fatto scintille. 

“PERCHÉ DIAVOLO DOVREI RISPETTARE QUEL LURIDO MAIALE PEZZO DI MERDA CHE NON HA MAI RISPETTATO ME O I SUOI FIGLI, EH? EH? ME LO DICA!”

I poliziotti si voltarono, guardando con sorpresa e stupiti la vedova che strepitava, litigando con l’ometto. Avanzava verso di lui, incedendo minacciosa, mentre lui si faceva piccolo, piccolo, camminando all’indietro, fino a che la sua fuga non fu arrestata dal feretro stesso, che tra le urla di panico dei presenti cadde, aprendosi. 

Due corpi rotolarono sulla scalinata: il defunto… e una donna dai capelli castani e dal bellissimo vestito rosso, con tacchi vertiginosi - ma tutto di classe. 

“Apperò, mica lo sapevo che ci si poteva portare la dolce compagnia nell’aldilà…” Ryo ironizzò. “Io ero fermo all’orologio!”

“Perché ovunque tu vada, ci sono dei guai?” Hideyuki gli domandò, retorico, abbassando il capo, insaccandosi nelle spalle. “Chiamo la centrale ed il medico legale.”

“Ehi, stavolta io non centro!” Ryo si lamentò. Ma Kaori e Hideyuki erano già andati a mostrare i loro tesserini e a fermare l’ometto prima che scappasse.

“Beh, allora, come ci è finita questa donna nella bara di un agente di polizia?” Ryo domandò, mani ai fianchi, piuttosto seccato e brutale, all’impiegato dell’agenzia funebre, che con gli occhi lucidi lo guardava tremando. Alle sue spalle, Kazue stava terminando l’esame preliminare del corpo in più:  per un caso fortuito, si era trovata poco lontano dalla “scena del crimine” ed era potuta intervenire prontamente. 

“Non lo so, giuro!” L’uomo piagnucolò, sul punto di mettersi in ginocchio. Tra il poliziotto che incuteva timore e tutto quello che stava accadendo, il suo animo stava cedendo sotto alla pressione. Temeva che per lui e per la sua ditta fosse giunta la fine.

Sfilandosi i guanti di lattice bianco, la dottoressa, con incedere civettuolo e sguardo da gatta, si avvicinò a Ryo, attendendo che lui rivolgesse a lei la sua attenzione piuttosto che a quell’ometto di poco conto, ma lui era troppo intento a fare domande a raffica per accorgersi di lei. 

Kazue si schiarì la voce: nulla. 

Provò a cantilenare il nome dell’uomo, nemmeno fosse stata una principessa Disney: zero. 

Alla fine decise di urlare il nome del poliziotto con tutto il fiato che aveva in gola, e con un tono che facesse capire quanto la seccasse essere stata ignorata. 

“Allora, mi vuoi stare a sentire o no?” gli domandò, sbuffando. Ryo intanto si stava massaggiando il timpano, che immaginava essere stato perforato dalla squillante voce della donna. 

“Porca miseria, tra te e Kaori e Saeko uno di questi giorni diventerò sordo!” si lamentò, petulante. “Allora, cosa c’è di così importante?”

“Non posso stabilire una data o un’ora precise per il decesso, il corpo è stato trattato chimicamente, come si fa con le salme prima di una sepoltura, ma non ci sono tracce evidenti di morte violenta, ad un primo sguardo.”

Ryo si voltò verso l’ometto, rimettendo le mani sui fianchi; gli si avvicinò talmente tanto che erano naso contro naso, quasi. “Allora, cosa dicevamo? Quella donna?”

“Non la conosco, giuro! Sono assolutamente certo che non sia una delle mie salme!” L’uomo si difese. Tuttavia, Ryo lo guardava di traverso: lui si fidava poco degli uomini, e ancor meno di quelli come quel tipetto. 

“Vada a controllare, non si sa mai.” Ryo gli lanciò addosso uno dei suoi biglietti da visita, guardandolo torvo e scuro. “Se scopre qualcosa mi chiami. E non lasci la città, siamo intesi?”

A rotta di collo, con la polvere dietro ai piedi nemmeno fosse stato un velocista, l’ometto si dileguò, prima che oltre ai poliziotti anche amici e parenti del defunto cercassero di fargli passare un brutto quarto d’ora. Ryo, con espressione annoiata, si voltò verso Kazue. 

“Beh, allora?” Le domandò. 

“Eh?” La donna, incredula, sbatté le palpebre ritmicamente. “Allora nulla, ti ho detto tutto quello che sapevo! Mica sono un mago o una macchina per i raggi X!”

“Come volevasi dimostrare, non ha documenti addosso.” Kaori li raggiunse, sbattuta e seccata e leggermente rattristita. Già odiava i funerali, poi lei, per quella giornata, aveva ben altri piani- piani che adesso sarebbero andati a monte. 

“Kaori, vai con Kazue e prendi le impronte alla morta. Magari la troviamo, anche se mi da l’aria di essere una persona fin troppo rispettabile per essere nel sistema.” Ryo soffiò, mentre cercava nelle tasche anche una sola sigaretta. 

La rossa si lamentò, sbuffando, mentre già camminava con le spalle basse in direzione del van nero su cui stavano caricando la sacca. “Meraviglioso, dovrò dire a Shinji che dobbiamo annullare l’assaggio delle torte…”

Ryo sogghignò, soddisfatto, Ma che cosa terribile… dare buca al principe azzurro,  e venne raggiunto da Maki, che lo guardò storto.

“Ryo, non dovresti essere così felice solo perché mia sorella non può passare del tempo col suo fidanzato.” L’occhialuto agente sottolineò la parola, fissando Ryo quasi avesse dei raggi laser al posto degli occhi. “Senti… non è che facessi i salti di gioia a saperti con lei, ma tutto sommato, con Kaori tu ti sei sempre comportato bene, anche se a modo tuo. Perciò, fai il bravo e lasciala in pace, va bene? A meno che tu non voglia davvero sposarla…”

Maki si era acceso una sigaretta; Ryo gli strappò l’accendino dalle mani, e se ne accese una a sua volta, digrignando i denti, stringendo tra di essi il filtro fino quasi a spezzarlo. 

Tutti gli dicevano la stessa cosa. Che lui era stato felice che la cerimonia fosse andata a monte. Perché non capivano che lui, con Kaori, il grande passo avrebbe avuto il coraggio di farlo? Che per lei era stato disposto a cambiare, a raggiungere un compromesso…

“E lei, Ryo Saeba, vuole prendere la qui presente Kaori Makimura come sua legittima sposa?”

Labbra leggermente aperte come  in meraviglia, ancora incredulo che Kaori avesse accettato di essere sua moglie, Ryo non disse nulla. Il matrimonio non aveva mai fatto parte dei suoi piani, aveva visto come l’amore avesse ridotto la madre, e per sé desiderava ben altro destino. 

Ma Kaori aveva sempre desiderato sposarsi, e se per stare con lei avesse dovuto compiere quel passo, allora, forse era un compromesso a cui poteva scendere. La cosa però un po’ lo spaventava: non conosceva nessuno con relazioni stabili e duraturi, per tutta la vita aveva sempre avuto a che fare con forme di amore malato. Kaori però era pura ed innocente… avrebbe saputo amarla come meritava? Avrebbe potuto renderla felice? E lui… sarebbe stato felice, passando tutta la vita con la stessa persona?

Il giudice di pace si spazientì. “Allora, Saeba?” domandò.

“Io….” Ryo però non ebbe tempo di terminare la frase; le porte della cappella sconsacrata, adibita a matrimoni civili, vennero spalancate con un boato, e un giovane entrò, barcollando, il viso pallido. Un rivolo di sangue scorreva dalla spalla destra, la camiciai bianca, un tempo forse immacolata, lacerata da quello che sembrava un colpo di arma da fuoco.

Si fermò, dopo due passi soli, e cadde a terra. Kazue e il suo vecchio mentore, l’anziano professore che per tanti anni era stato compare di bevute di Ryo, andarono immediatamente a controllare, ma non c’era più nulla da fare - il giovane era morto. Saeko, incedendo incerta stretta nell’abito da damigella, li raggiunse, e strinse gli occhi. 

“Lo conosco…. Era addetto al servizio di sicurezza!” la donna affermò. “Tetsuo Michigami, era appena rientrato alla prefettura di Tokyo, dopo aver passato diversi anni ad Osaka…” 

“Dì un po’, com’è che non sapevo che avevi organizzato un servizio di sicurezza per il mio matrimonio, eh?” Ryo la interrogò, seccato,  mani sui fianchi.  Kaori si era seduta su una sedia di legno bianco, e con lo sguardo perso nel vuoto fissava il suo bouquet.

“Con tutti questi poliziotti riuniti qui era il minimo, Ryo,” Maki lo rassicurò; allentò la cravatta che aveva indossato per accompagnare la sorella all’altare, e strinse la spalla del vecchio amico. “E direi che Saeko ha fatto bene. Adesso bisogna capire da dove è partito il colpo e soprattutto chi era il vero bersaglio.”

Sospirando, Ryo la guardò allontanarsi, con il cuore colmo di rammarico; i giorni dopo la mancata cerimonia erano stati intensi, colmi di paura per cosa era accaduto, il dubbio che uno di loro potesse essere il bersaglio…. Ed invece, si era trattato solo del caso, e della sfortuna. 

Il killer della Yakuza non era a loro che aveva mirato, e nemmeno a Tetsuo, anche se l’obbiettivo era stato, effettivamente, un Michigami: Abe, il gemello di Tetsuo. I fratelli, arrivati all’adolescenza, avevano preso strade diverse, uno era entrato nella mala, l’altro, su ordine della madre,  aveva fatto le valigie, messo più strada che poteva fra lui ed il fratello, ed era poi entrato in polizia. Aveva accettato di tornare a Tokyo per stare accanto alla madre, malata terminale, perché non fosse sola nei suoi ultimi giorni. Poche settimane prima, però, Abe aveva fatto uno sgarro ad un sindacato avversario, ritrovandosi una taglia sulla testa. Nessuno, vedendo Tetsuo uscire dalla casa, aveva pensato che non fosse Abe… e questo aveva firmato la sua condanna a morte. 

E aveva messo fine alla vita di coppia di Ryo e Kaori. Il tentennamento di lui ed il fatto che non fosse stato disperato per aver dovuto rimandare la cerimonia aveva spinto Kaori a decidere per tutti e due. Lei aveva parlato di pausa di riflessione, ma dopo nemmeno ventiquattro ore aveva già accettato di partecipare a quel corso di specializzazione a Chiba,  e meno di un anno dopo arrivava con un anello al dito. Di un altro.

“Ryo? Tutto bene?” Hideyuki gli domandò, notando che l’amico si era improvvisamente incupito, e che pareva lontano mille miglia. 

Ryo prese a calci una pietra, sbuffando. “Sì, sì, tutto a posto. Torniamo in ufficio? Voglio controllare quest’impresa funebre. Questa cosa mi puzza di bruciato…”

 

    “Ryo, vuoi sapere che cosa ho scoperto?” Reika, con voce canterina, andò a sedersi sulla scrivania di Ryo, accavallando le lunghe gambe messe in risalto da tacchi vertiginosi e dalla stretta gonna. Dietro di lei, Kaori, che indossava una semplice camicetta bianca ed un paio di jeans, con scarpe atte più alla comodità che al lato prettamente estetico, ringhiò, sbattendo il fascicolo sotto al naso dello stesso Ryo, che la guardò come se stesse cascando dalle nuvole. Si chiese per cosa fosse arrabbiata: per Reika che faceva l’oca, nonostante sapesse fin troppo bene che con lui non sarebbe mai andata a finire da nessuna parte, o perché  Reika stava cercando di prendersi tutti i meriti?

“Le impronte della defunta non erano nel sistema, ma ho usato un software di riconoscimento facciale, ed ho trovato un necrologio. La signora si chiamava Sakura Kagome, è morta di tumore, lasciando due figli, un maschio e una femmina, che vivono all’estero, sono emigrati in seguito allo scoppio della bolla tecnologica. Sono talmente indebitati che non sono nemmeno potuti venire a vedere la madre, e hanno organizzato tutto per telefono, non hanno mai incontrato l’addetto delle pompe funebri, che è…”

“Ma non mi dire, il nostro amichetto che assomiglia ad un cubo che diceva di non sapere un bel niente!” Ryo sospirò, guardando Kaori - no, lui, Reika, nemmeno la vedeva. “Mi sa che dovremmo andare a fargli qualche domandina!”

“Potremmo andarci noi…” Reika gli disse sbattendo le ciglia di quei suoi occhi resi grandi da un eccessivo trucco (cosa di cui Kaori non aveva assolutamente bisogno, la natura l’aveva naturalmente dotata di seducenti occhi da cerbiatta).

“Reika, ma tu non fai coppia con Maki di solito?” Ryo la apostrofò. Nonostante spesso e volentieri, in casi intricati, capitasse che potessero collaborare tutti alla stessa indagine, anche in virtù delle specifiche competenze di ognuno di loro, dal ritorno di Kaori era con Hideyuki che Reika faceva coppia pressoché fissa. “Su, dai, il suocero del sindaco dice che hanno tentato di entrargli in casa la notte scorsa, perché non dai una mano invece che stare tra i piedi a me e Kaori?”

Reika gli rivoltò la cartellina del caso addosso, i fogli che volarono in giro per la stanza, e Kaori ridacchio, sedendosi davanti a lui, con i gomiti appoggiati al tavolo. Fissava Ryo con uno sguardo che la diceva lunga: sapeva qualcosa che lui non sapeva e aveva una voglia matta di dirglielo.

“Sai, ho la netta impressione che tu voglia dirmi qualcosa di molto interessante…” le disse. Mettendo i piedi sulla scrivania, incrociò le caviglie. “Sputa il rospo!”

“La settimana scorsa c’è stato un inseguimento, terminato con un conflitto a fuoco. I sospettati sono riusciti a fuggire, ma si sono lasciati dietro l’auto e tutto quello che c’era sopra…. Inclusi dei documenti! E indovina di chi era una delle carte di identità?” Ryo le lanciò uno sguardo che sembrava dirle che sapeva esattamente di cosa lei stesse parlando. “Stessa data di nascita, luogo di nascita, indirizzo… cambia solo la foto! E per di più… la signora non ha il certificato di morte!”

Ryo rimase in silenzio, e poi prese a fissare il soffitto. “Sai cosa penso?” le domandò. Kaori non rispose, si limitò ad inclinare il capo di lato e guardarlo. “Che il piccolo verme grassoccio arrotonda vendendo i documenti dei morti, e che dato che sarebbe compito suo richiedere il certificato, lui non lo fa… documenti praticamente puliti. Vai a fare denuncia che ti hanno rubato la borsa, il portafoglio, e ne ottieni uno nuovo, con la tua immagine, e nessuno si accorge di nulla.”

“Che creatura orribile, guadagnare così sulle sofferenze altrui!” la donna abbassò il capo, stringendosi nelle spalle. “Però non capisco, perché la Kagome è finita in un’altra bara?”

“Probabilmente immaginava che i figli non sarebbero mai venuti a reclamarla, oppure avrebbe raccontato loro che era stata cremata…. Non poteva certo seppellire una donna che per tutti non era morta ma anzi, girava con la malavita locale!”

“E quindi, che si fa? Passiamo il caso all’anti-truffa, o cosa?” Lei gli domandò, un po’ rammaricata. 

“In realtà io avrei un’ideuccia…” La risata di Ryo non le lasciò presagire nulla di buono, e Kaori si preparò ad affrontare guai o ripercussioni… con Ryo non si poteva mai sapere cosa sarebbe successo. L’uomo, scattante, si alzò in piedi, e messa la pistola nella fondina, indossò la giacca, nascondendo l’arma. 

“Ma… ma Ryo, aspettami!” Lei, veloce, si alzò, quasi facendo cadere all’indietro la sedia, e lo raggiunse in ascensore, mentre le porte si stavano chiudendo: entrò per un pelo. “Si può sapere cosa ha in mente? E poi lo sai che a Saeko non piace che tu indaghi da solo… finisce sempre che combini qualcosa!”

“Piccola impertinente, non preoccuparti, lo so io cosa fare! Voglio far cantare quel galletto e soprattutto fare in modo che ridia il dovuto alla famiglia Kagome e a tutti gli altri!”

“Dici che non era la prima volta che capitava?” gli domandò, mentre scendevano, accompagnati dal ronzio elettrico del motore della piccola cabina, così piccola che i loro gomiti si sfioravano.

“Fidati, quel giochetto è vecchio come il mondo. Un mio amico dell’Interpol, Mick, una volta mi ha raccontato che aveva beccato una famiglia di becchini che rubava l’identità dei defunti per rivenderle. Usavano soprattutto immigrati, persone che non avevano fondi, conti, niente figli, magari solo nipoti alla lontana, che non lasciassero traccia, insomma.”

“Proprio come la Kagome,” convenne Kaori. “I figli vivono all’estero e non possono nemmeno permettersi di tornare in Giappone per seppellire la madre…”

“Già, per questo il citrullo non si è nemmeno preso la briga di ficcarla in una bara. Non doveva organizzare nemmeno il funerale. E intanto ha intascato i soldi… dai pargoli e dalla mala!” Mani dietro alla testa, Ryo uscì dall’ascensore, e percorse la hall della centrale, in direzione delle pesanti porte di vetro e metallo. Tenne la porta aperta ad una giovane mamma, che guardandolo arrossì, e Kaori alzò gli occhi al cielo, con estrema gioia di Ryo, a cui faceva piacere sapere che la partner non era poi così indifferente al suo fascino come voleva far credere, ma che anzi, provava ancora qualcosa per lui. Lo aveva immaginato quando Reika aveva preso a fare le moine, però Kaori poco sopportava la collega in generale. Adesso aveva la certezza che però quella reazione la scatenavano tutti gli elementi del sesso femminile. “Peccato che non abbia preso in considerazione che la stava ficcando nella stessa bara di uno sbirro, uno che per di più ha una moglie isterica!”

“Ho già detto che mi fa schifo quel tipo? E comunque, la vedova non è stata isterica fino a che tu non ti sei messo a cianciare a vanvera!” Kaori salì sulla macchina, sentendo il nervoso montare, nonostante non volesse ammettere cosa la stesse facendo arrabbiare in quel momento. Si disse che era il caso, quell’uomo orribile, ma temeva che non fosse così.

La mente le diceva una cosa. Il cuore un’altra.

Arrivarono, dopo un viaggio fatto di confortevoli silenzi e agitate riflessioni interiori, fuori dal palazzo di tre piani e due scale che, al pian terreno, era occupato per intero dall’agenzia funeraria. Ryo uscì subito, e chinatosi sul finestrino dal lato passeggero si avvicinò a Kaori, quasi come se le stesse confidando un segreto, o dovesse dare l’idea di essere impegnato in un romantico rendez-vous. “Aspettami qui, non voglio metterti nei casini se le cose vanno storte.”

“Ma...Ryo!” obiettò lei, gonfiando le guance come una ragazzina, facendo scoppiare Ryo in una calorosa risata: adorava vedere come, nonostante tutto, Kaori fosse rimasta fedele a sé stessa nel tempo, non fosse cambiata dentro, dove davvero contava.

“Tranquilla, cinque minuti massimo sono fuori!” le disse, facendole l’occhiolino mentre entrava. Guardandosi intorno con circospezione, Ryo si rese conto che non c’era nessuno in vista, il che gli garantiva una certa privacy. Tirò fuori dalla fondina la sua amata pistola, e da una tasca interna della giacca un piccolo silenziatore, che con gesti veloci e automatici assicurò alla canna. Socchiuse gli occhi, prese un respiro, si concentrò per avvertire la presenza di quel pingue ometto senza spina dorsale, e una volta trovatolo, aprì la porta: solo uno spiraglio, era tutto ciò che gli serviva. 

Vide l’ometto far passare fascicoli, documenti, pratiche… aveva una tazza di tè sulla scrivania, e Ryo vi mirò, facendola andare in mille pezzi. 

Lo sparo non fece rumore: quello che fece saltare l’ometto fu il rumore della ceramica che si spezzava. 

L’ometto cadde all’indietro, sul sedere, e si guardò intorno, mentre i pantaloni si inzuppano della bevanda che avrebbe voluto e dovuto bere. Con il cuore che batteva come un tamburo di guerra si guardò intorno. E poi, le cerniere della porta scricchiolarono, e Ryo fece il suo ingresso, arma in pugno e sorriso malvagio, quasi sadico. Crudele. Freddo, eppure colmo di determinazione: un’espressione che aveva riempito gli animi dei crinali di terrore, e fatto capitolare più di una donna, nonostante lui, dopo aver baciato quella seconda volta Kaori avesse continuato sì a compiacersi dell’effetto che faceva al gentil sesso - lasciando credere che spezzava cuori a destra e manca - ma non fosse stato più con nessuna se non lei. 

“Dì un po’, lo sai perché sono qui?” Mentre parlava, lento camminava verso di lui, avvicinandosi, la sua ombra il ritratto della Morte nelle rappresentazioni antiche.

L’uomo fece cenno di sì col capo, una goccia di sudore fredda gli scivolò dalla tempia fino al collo, incontrando il tessuto della camicia da quattro soldi. Non riusciva a staccare gli occhi né da Ryo né dall’arma che il poliziotto teneva in mano. 

“Queste me le tengo come assicurazione, ma adesso…” Ryo si sporse sulla scrivania, ed afferrò alcuni fogli, dei documenti, un po’ di cose, anche a caso, e se le ficcò in tasca. Si poggiò con la schiena contro il lato lungo della scrivania, e si accese una sigaretta, rimanendo in silenzio. Fumò, tranquillo, beandosi del terrore che attanagliava l’uomo, l'insicurezza- l’ignoranza. “Allora, veniamo a noi…”

“Vuoi… vuoi dei soldi? Ho tutti i soldi che vuoi!” L’uomo piagnucolò. Alzò il tappeto persiano, rivelando la piccola porta metallica di una cassaforte, che aprì, sbagliando un paio di volte la combinazione, gli occhi sfuggevoli che andavano ora al nascondiglio ora al poliziotto.

“Non voglio i tuoi soldi, stronzo! Quelli li puoi tenere per uno scopo leggermente più alto...!” Ryo sghignazzò, con una luce sinistra negli occhi. “Non mi piace che ci si prenda gioco di poveri morti di fame, o che dei poveri ragazzi debbano indebitarsi per pagare il funerale alla madre, per poi scoprire che è finita nella fossa con una mezza calzetta di poliziotto..”

Ryo si inginocchiò a terra, faccia a faccia con l’uomo, puntandogli la canna della sua amata e fidata Python alla fronte. 

“E lo sai cosa farai, adesso?” Ryo domandò, retoricamente, mentre faceva scattare il colpo in canna. “Perché se scopro che non sei stato bravo… la prossima volta beccherò il tuo bel capoccione o i tuoi gioielli di famiglia… non so se mi sono spiegato…”

Non ebbe bisogno di aggiungere altro, era stato fin troppo chiaro; l’uomo capì l’antifona e fece segno di sì con il capo. “La famiglia della signora Kagome non dovrà versare un centesimo.” L’uomo affermò, balbettando un po’, ingoiando a vuoto. 

“E…” Ryo alzò un sopracciglio. Spostò la canna della Python, dal cranio a sotto al mento dell’ometto, la pappagorgia che ballava al ritmo del tremolio dell’uomo. 

“… E rimborserò le famiglie di tutti gli altri a cui abbiamo fatto questo giochetto, e pagherò per nuove.. ehm…oasi di pace.”

“Così va bene…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, e mise la pistola nella fondina prima di girare i tacchi. Uscì dalla porta, ma si voltò una volta che ebbe la mano sulla maniglia, e fece un sinistro occhiolino all’ometto, che, inginocchiato a terra, tremava ancora. “Ah, mi raccomando, se dovesse mancare alla sua promessa, lo scoprirei… e lei non vuole che venga a farle un’altra visitina con la mia amichetta o, ancora peggio, coi colleghi, vero?”

L’ometto fece segno di no col capo, convulsamente, e Ryo scoppiò a ridere, scuotendo il capo. Raggiunse Kaori fuori, che lo attendeva, appoggiata alla Mini, con le braccia incrociate ed il suo bellissimo sorriso sul viso. 

“Scommetto che lo hai convinto a dare una degna sepoltura a tutti quelli di cui aveva approfittato…”gli disse, non appena lui fece scattare la chiusura centralizzata ed aprì le portiere. La donna salì a bordo, ed allacciò la cintura, senza mai smettere di guardarlo con quello sguardo birichino. “Fai tanto il duro ma hai il cuore più tenero di quello che dai a credere.”

“Sì, ma non dirlo in giro, ho una mia reputazione, Sugar… e comunque posso aver detto a quell’ometto grassoccio che non lo arresterò, ma non ho mai promesso che non avrei detto all’unità anti-truffe di questo suo piccolo traffico di documenti!” Le disse, sorridente, scherzoso, mentre il rombo del motore riempiva l’aria, infrangendo la quiete del pomeriggio, ed intanto lui toglieva i fogli dalla giacca e li gettava sul cruscotto. “Allora, dove ti porto? Ti vedi con il Bill Gates Giapponese per assaggiare le torte?”

 “No, Shinji è dovuto partire per affari. Tornerà solo la prossima settimana. Mi toccherà assaggiarle da sola, quelle torte!” Sbuffò, tenendo sul ventre la borsetta di pelle bianca. 

“Come se per te fosse un problema! Perché credi che ti avessi soprannominata Sugar, eh?” Continuò a stuzzicarla. Kaori arrossì, ricordando la sua adolescenza, il tempo che avevano passato insieme… quando il suo cuore aveva iniziato a battere per l’amico del fratello, nonostante Ryo fosse sempre stato… beh, Ryo, con tutti i pro ed i contro.

“Smettila di guardarmi così, mi metti in imbarazzo!”  Kaori tossicchiò, nascosta dietro a una tazza di caffè allungato con acqua, in cui aveva messo almeno due cucchiai di zucchero. 

“Sai dove andrà tutto quello zucchero? Proprio qui!” La canzonò; allungandosi, prese a piantarle l’indice destro ripetutamente… nel fondoschiena. Kaori arrossì, ed infervorata ed imbarazzata, gli rovesciò sull’inguine il contenuto della tazza. 

“Ma porca miseria, non ti si può dire nulla!”

“Tu… tu sei solo un maniaco!” E così dicendo, sbattendo i piedi, lei se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle con un rombo che quasi fece tremare i muri, mentre Ryo ridacchiava, un po’ imbarazzato. 

Con la coda dell’occhio, Kaori guardò il suo ex guidare, i capelli mossi dal vento che entrava dal finestrino semi-aperto, prima di voltarsi a guardare fuori dal finestrino il paesaggio urbano scorrerle davanti agli occhi. 

Andava bene così. 

Ne era certa. 

Lei era felice: Shinji era l’uomo perfetto per lei, il suo futuro… si conoscevano fin dalla più tenera età, le loro famiglie erano sempre state amiche, e ricordava ancora come le loro madri avessero riso e scherzato, certe fin dal principio che avrebbero finito per stare insieme. Anche suo padre glielo aveva detto, arrivata al liceo, forse percependo che Kaori si stesse infatuando di quel cadetto, compagno di studi di Hide, ben più grande di lei, dall’aria vissuta e dal passato turbolento. Suo padre aveva sempre apprezzato Ryo, ma Kaori immaginava che per la figlia avesse potuto volere qualcosa di diverso.  

Alla fine, aveva avuto ragione il padre, per quanto le dolesse doverlo ammettere. Ryo ormai era solo più il suo passato: di lui, avrebbe sempre avuto i ricordi, alcuni belli, altri – molti -  meno, e la sua amicizia.

Quello, ne era certa, non sarebbe cambiata mai.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Episodio #3: L'Ispettore Zenigata ***


“Vedo che avete la compagnia, oggi! Cos’è, hanno deciso che hai bisogno della tata, Saeba? Ih, Ih, ih!” Mentre, seduti ad un tavolino del Cat’s Eye, Ryo e Hideyuki tentavano di fare colazione, Umibozu, il gestore del locale insieme all’eterna fidanzata Miki, se la rideva di gusto sotto ai baffi e dietro ai grossi occhiali da sole che servivano a celare una parziale cecità, causata da una ferita da arma da fuoco che l’ex poliziotto aveva ricevuto in servizio anni prima, dopo essere accorso sul luogo di una rapina ad un furgone portavalori – un’operazione a cui anche Ryo, allora giovane poliziotto, aveva partecipato. 

Ryo e “Umi” erano sempre stati legati da un curioso rapporto, erano “nemici-amici”, sembravano non tollerarsi, eppure erano uniti da un curioso senso di cameratismo, e a lungo Ryo si era chiesto se quella ferita, che aveva posto fine alla carriera del promettente poliziotto, fosse in parte colpa sua… se avesse agito più velocemente, fosse stato pronto, avesse sparato lui la prima raffica di proiettili? Umibozu però gli aveva detto più e più volte di smetterla di farsi problemi, che aveva lasciato un lavoro ma ne aveva trovato un altro (con tanto di fidanzata annessa) e che, comunque, lui sapeva compensare benissimo con tutti gli altri sensi quello che gli stava venendo a mancare.

Maki non rispose a quella che sapeva essere a tutti gli effetti una provocazione, si limitò a sorseggiare il suo caffè, mentre Ryo, che aveva messo così tanto zucchero che usciva dalla tazzina, lui che le cose dolci le detestava, grugniva risposte intellegibili facendo il muso, seccato da Umibozu che continuava a prenderlo per i fondelli e dall’uomo un po’ troppo felice che aveva davanti. 

Daiatsu Nogami. Alias il padre di Saeko e Reika. Alias il capo della polizia. In poche parole: il suo capo.

“…e allora ho pensato che fare un giro di pattuglia con due dei miei migliori agenti fosse importante, per far risalire la mia popolarità tra i ranghi e far capire che io sono uno di voi! Ah, ah, ah!” L’uomo stava letteralmente brillando di luce propria, e aveva uno sguardo compiaciuto, quasi avesse avuto un’idea brillante e meravigliosa. “Sapete, far capire che vogliamo tutti la stessa cosa, la giustizia, che alla fine siamo tutti un solo, unico dipartimento, nonostante ognuno di noi abbia la sua specializzazione! D’altronde, è così anche per voi, no? Saeba è l’esperto di omicidi, tu Makimura te ne intendi di criminalità organizzata, Reika si occupa prevalentemente di rapine e la piccola Makimura è un’esperta forense… tante specializzazioni, ma un solo corpo!”

Secondo Ryo, era una cazzata, tanto il suo discorso quanto l’idea di girare con loro per apparire più umano: nessuno sopportava il Capo Nogami, convinti che fosse stato messo lì perché era parecchio cretino e manipolabile. Inoltre, il filtro bocca-cervello dell’uomo funzionava ancora meno di quello di Ryo (che non era scemo, ma sincero) e lo sapevano tutti, ma proprio tutti, che Daiatsu, Ryo, non lo poteva vedere. 

Maki, invece, se ne stava zitto e buono per il quieto vivere: dopotutto, quello era il suo probabile futuro suocero, sempre che con la bella Saeko riuscisse finalmente ad intavolare il discorso matrimonio.  Dubitava però che un giro di pattuglia potesse aiutare il capo a fare bella figura, non dopo che si era lamentato in un bar, con quello che si era rivelato poi un reporter, dell’inettitudine dei suoi uomini e che, se fosse dipeso da lui, avrebbe fatto fare armi e bagagli a circa tre quarti del corpo di Polizia di Tokyo.

Un’auto della polizia passò. Poi fu la volta di un veicolo dei pompieri. Seguì un’ambulanza. Si fermarono dall’altra parte della strada, esattamente davanti al locale.

Il capo Nogami guardò fuori dalla vetrata, poi si voltò verso Ryo e Maki, seduti davanti a lui. Non disse nulla. Si limitò ad alzare un sopracciglio, certo che si capisse dove voleva andare a parare.

Ryo fissava il suo capo: non avrebbe ceduto, non per primo. Se il capo voleva qualcosa, avrebbe dovuto dirlo, chiederlo. 

“Beh?” L’uomo domandò, imperturbabile. “Che state aspettando?”

“Che ci chiamino.” Ryo rispose, secco, freddo, portandosi la tazzina alla bocca. Bevve un sorso, e fece una smorfia. Disgustoso. Non capiva come Kaori potesse amare il caffè così dolce. “Questa non è prettamente zona di nostra competenza. Un conto è inciampare in un caso, un altro è vedere una pattuglia ferma e andare a dirgli che gli freghiamo il caso dalle mani.”

Maki guardò Ryo di traverso: curioso però come, quando gli faceva comodo, l’amico facesse esattamente quello, se non di peggio. 

“Beh, io però non sono legato a simili formalismi!” Nogami sbuffò; si alzò in piedi, e si sistemò la giacca della divisa, stirando delle pieghe immaginarie. “E se permettete, io vado ad aiutare i miei agenti!”

Senza aggiungere altro, l’uomo lasciò il locale, marciando a passo militare, tronfio, il petto gonfio, mentre raggiungeva la scena del crimine; Maki emise un flebile respiro, che suonò come un singulto disperato, e si voltò verso il vecchio amico. “Ryo…”

“No.” Rispose secco l’altro, facendo segno a Umi di portargli un’altra tazzina- stavolta non ci avrebbe messo dentro nulla. E per pulirsi la bocca magari si sarebbe pure preso un bel bicchiere d’acqua. Meglio naturale o frizzante? Nel dubbio, avrebbe bevuto un sorso per tipo.

“Ryo, tu non conosci il padre di Saeko, non come lo conosco io…” Il fatto che Maki suonasse così disperato era normale - era melodrammatico per natura – ciò che tuttavia fece suonare un campanello di allarme nella testa di Ryo era  il fatto che il collega avesse definito il capo il padre di Saeko: sembrava che pure Makimura avesse dei dubbi sulle reali capacità dell’uomo più anziano. 

“Va bene, ho capito, che rompipalle che sei, però!” Sbuffando, Ryo si alzò, gettando una manciata di banconote sul tavolino, e raggiunsero nel garage del palazzo di fronte il loro capo, che dietro al nastro giallo della polizia stava dando delle pacche ad un poliziotto sulla quarantina, chino sul  cadavere di un maschio sui trentacinque - quarant’anni. 

“Signori, posso presentarvi l’ispettore Koichi?” Il capo Nogami eruppe in una fragorosa risata, dando pacche sulle spalle dell’uomo, che, Ryo ci avrebbe giurato, portava il parrucchino, nonostante non dovesse avere più di quarant’anni. “Ispettore, le presento i colleghi Makimura e Saeba della prima squadra omicidi!”

“Ottimo lavoro, signori, un grande tempismo!” Koichi si complimentò, sbattendo il pugno sul palmo destro. “Vi ho fatto chiamare cinque minuti fa e siete giù qui!”

Nogami fissò Ryo con una sinistra luce nello sguardo: desiderava far sapere al giovane che aveva avuto ragione lui, e che Saeba era un cretino. 

Ryo si limitò ad alzare gli occhi al cielo e grattarsi la testa. “Allora, Koichi, cosa abbiamo?”

“Thomas Satoro, di origini giapponesi ma residente in Brasile. Gli hanno sparato circa tre quarti d’ora fa, un solo colpo alla nuca, grosso calibro, distanza ravvicinata. Addosso aveva ancora i documenti, al polso il Rolex, non sembrano mancare documenti, denaro o carte di credito. Viveva nel palazzo, e quella laggiù,” Koichi annunciò, fiero, “è la sua auto. La chiave era accanto al corpo. Escluderei la rapina, preferendo un angolo più prettamente personale, anche data la vicinanza dell’assassino alla vittima. Abbiamo due testimoni, uno ha visto una ragazza sui vent’anni, capelli neri, alle spalle, lisci, in uniforme scolastica correre verso l’uscita di sicurezza, un altro ha visto una BMW nera rallentare e  gettare qualcosa in un cespuglio lungo la strada. Agenti in divisa hanno recuperato quella che sembra essere l’arma del delitto.”

Ryo sbuffò. “Beh, noi allora esattamente cosa cavolo ci siamo venuti  a fare qui? Koichi mi sembra più che capace di cavarsela da solo!” 

“Oh, ma io non sono in servizio, o fatto il turno di notte… in realtà stavo tornando a casa quando ho sentito le sirene e ho pensato di fermarmi, tutto qui!” Lui disse, scrollando con falsa noncuranza le spalle, con un sorriso che sembrava non a trentadue, ma a sessantaquattro denti. “Volete che passi io in centrale a lasciare le prove? Bossoli, il portafogli, la pistola…”

“Vedi, Saeba?” Nogami sbottò, con le lacrime agli occhi dalla commozione  mentre dava una pacca sulla spalla a Koichi e gli metteva tra le braccia tutte le prove del caso; gli si era quasi stravaccato addosso, nemmeno fossero stati vecchi compari di bevute o di goliardate. “Questo è il tipo di poliziotto che voglio! Dovreste essere come lui!”

Koichi diede, in modo impacciato, la mano al superiore, poi, gettate le prove sul sedile passeggero della vecchia utilitaria, di forse oltre vent’anni prima, incamminò il motore, che partì non con un ruggito ma con un sibilo, quasi fosse pronto a morire e abbandonare il suo proprietario da un momento all’altro. 

Quello, è un vero agente! Dovete fare come lui, hai capito, Saeba? Prendere esempio!” Nogami continuò, mettendo ulteriormente il dito nella piaga. Mani ai fianchi in una posa da presunto super-eroe, guardava il veicolo allontanarsi con malcelato orgoglio. “Tutti voi dovreste essere un po’ come l’ispettore Zenigata Koichi!”

“Co… cosa?” Maki balbettò, mentre Ryo scoppiò a ridere. 

“Voi due imbecilli! Si può sapere cosa diavolo avete tanto da ridere? E Makimura, cosa stai lì impalato con la bocca aperta!?!” Sbottò, sputacchiando, a due millimetri dal naso di Ryo. 

“Capo, la prego, mi dica che quel tizio le ha fatto vedere il tesserino…” Maki lo supplicò, mani giunte in preghiera ed una goccia di sudore che gli calava dalla tempia destra.

“No, ma… perché?”

“Beh, perché, capo,” Ryo scoppiò a ridere. “L’ispettore Koichi Zenigata è il co-protagonista del manga di Lupin Terzo!”

“Ma… ma…. Ma lui sapeva cose…” Nogami iniziò a balbettare. “E ha citato un mio discorso… e… deve essere una coincidenza, per forza!” 

“Grande! Adesso non potremo usare nessuna delle prove raccolte perché la catena di custodia è stata compromessa! Gli avvocati difensori ci vanno a nozze con queste cose!” Ryo sospirò, mani nelle tasche dei jeans neri, certo che quell’uomo fosse nel miglior caso un mitomane, nel peggiore un criminale.  “Questa volta Saeko mi fa la pelle. Dirà che non sono stato attento al suo paparino… eh, fortunato tu Maki che sai esattamente come placare le ire della nostra bella…”

“NO! Le mie figlie non devono saperlo! Nessuno deve sapere, ne andrebbe della mia credibilità, diventerei lo zimbello dell’intero corpo di Polizia di Tokyo, che dico, diventerei lo zimbello dell’intero Giappone!” Nogami urlò, afferrando Ryo per il colletto della giacca. “Risolveremo questo caso da soli! Zenigata ha parlato di un testimone che vive nel palazzo… dobbiamo trovarlo!”

“Se esiste davvero!” Hide borbottò, per nulla sollevato. “Quell’uomo è, nel migliore dei casi, un mitomane… come possiamo essere certi che non abbia mentito su tutto e che magari non è proprio lui l’assassino?”

Lo sgangherato trio passò ore a suonare ad ogni singolo citofono nella speranza di tirare fuori un ragno da quel buco, con Ryo seccato, Hideyuki rassegnato ed il capo Nogami che se e stava dietro di loro imbarazzato, piccolo come un bimbetto, tirando su con il naso. Nessuno sembrava sapere nulla, e pensavano di essere arrivati alla frutta e che quel “Zenigata” si fosse inventato tutto quando, invece, una donna rotondetta, dai capelli ricci di un rosso tendente al fucsia, il viso ricoperto di lentiggini, disse che sì, era lei la testimone, e che comunque, aveva già detto tutto all’altro poliziotto…quindi perché ripetersi?

“Anche se… c’è una cosa che non sono certa di avergli detto…” ammise a malincuore; fissava Ryo con i suoi occhioni, mangiandoselo con lo sguardo da panterona, e sbatteva le ciglia palesemente finte. “Vedete, io AMO i gialli, ed ero andata alla premiazione di un importante concorso tempo fa, e la ragazza che ho visto sono certa che fosse la vincitrice!”

“Chi era? Chi? Parli!” Nogami la incitò, afferrandola per la scollatura dell’abito leopardato. 

“Yuka Kitano, il giovane talento della narrativa!”

L’uomo lasciò andare la donna, e si lasciò cadere mollamente a terra, con aria disfattista e rattristata- quasi delusa. Aveva preso a singhiozzare, e a ripetere quel nome, Yuka, ancora, e ancora, e ancora. 

“Ci pensi bene!” L’uomo sibilò tra una lacrima e l’altra. “Lo ha detto a quel tipo che era la Kitano che ha visto?”

La donna sbatté gli occhioni da cerbiatta, e guardandolo in volto se ne uscì con… “Io…non lo so proprio!” Il tutto accompagnato da una risata sciocca ed infantile, di quelle tipiche di certe donne che assomigliavano più a bambole gonfiabili che ad essere umani.

“E adesso cosa gli prende?” Ryo si domandò ad alta voce, guardando Nogami che aveva una crisi isterica. Certo, avere a che fare con dei VIP era sempre una scocciatura, ma trovava che l’uomo stesse avendo una reazione esagerata.  Fu allora che Hideyuki lo avvicinò, dandogli una gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione, e parlargli con quel tono cospiratorio tipico di chi teneva segreti. 

“Gli prende che quello è solo un nome d’arte... prova ad indovinare come fa di cognome il genio della letteratura gialla contemporanea?”

 

“Allora, tesoro, in che guaio ti sei cacciata questa volta?” A casa sua, il capo Nogami stava davanti a sua figlia, Yuka Nogami, alias Yuka Kitano, seduta, ancora con l’uniforme della sua scuola, sul divano, con il capo chino. 

Ryo però non si lasciò intenerire, e nemmeno suo padre, sembrava: quella ragazzina aveva lo stesso sguardo di Saeko, il che significava che era una bugiarda nata con tendenze alla manipolazione. Lui stesso era stato troppe volte vittima di occhi identici a quelli per cascarci con tutte le scarpe dentro un’altra volta, poco importava che adesso fosse un altro membro della famiglia a fare la femme fatale bisognosa di aiuto.

“Ecco…” la ragazzina ciondolò i piedi giù dal divano, sembrando, improvvisamente, molto più piccola dei suoi anni (qualunque essi fossero, e a Ryo questo particolare non interessava minimamente). “Sto avendo, come dire, il blocco dello scrittore, e allora, ehm… ho chiesto ad una mia amica di… di entrare nel computer di Saeko.”

“Ancora non capisco cosa centri tua sorella con questo caso,” il padre la avvertì, freddo e fiero, impassibile quasi quasi, nonostante la presenza di una vena sulla tempia che sbatteva, minacciando di scoppiare da un momento all’altro. 

“Beh…” La ragazzina sbatté i suoi occhioni, stupita. “Saeko ha un file alto come una casa su Satoro. Non te lo ha detto quando le hai parlato del caso?”

Hideyuki guardò Ryo, alzando un sopracciglio. Ryo guardò la ragazzina sbattendo le palpebre. Il capo Nogami guardò altrove, facendo finta di nulla, mentre iniziava a sudare e pure parecchio. 

“Eh. Certo, certo, certo che lo sapevo, eh, eh, eh..” accennò mentre si allentava il colletto inamidato della camicia bianca. “Ma, ma voleva sapere tutta la storia da te. Per, per metterti alla prova.”

Yuka inclinò il capo sulla spalla, guardando suo padre come se avesse due teste; gli altri due uomini lo guardavano come se fosse un cretino totale- il che, forse, era vero, dopotutto.  La ragazzina sospirò, e prese a parlare, fissando il padre, leggermente seccata: quell’uomo era il suo eroe, lui e le sue sorelle erano il suo esempio, ma a volte sapevano davvero come frustrarla. 

“Allora, avevo un po’ di blocco dello scrittore, e dato che ho già speso in tasse scolastiche l’acconto del prossimo libro, il mio editore mi ha fatto una testa così che entro un mese vuole qualcosa, e allora ho chiesto ad Ai di hackerare il computer di Saeko alla ricerca di qualcosa di interessante, e mi sono ritrovata tra le mani questo caso di traffico di armi…”

“E hai pensato bene di investigare per i cavoli tuoi per avere di nuovo l’ispirazione?” Ryo le domandò, severo e arcigno come solo lui sapeva essere con certi ragazzini, ma a vedere l’aria colpevole dell’adolescente, il suo cuore perse un battito, e fissò la giovane Nogami intontito: non vide lei, ma un’adolescente, un’altra ragazzina della sua stessa età… tanti anni prima. 

“Allora ragazzina, si può sapere cosa cavolo vuoi da me? Mi segui da due giorni!” Ryo sbuffò mentre le offriva una cioccolata calda al bancone di un bar; guardandosi intorno, alzò un sopracciglio in segno di apprezzamento ad una stangona mozzafiato, che però, vedendolo in compagnia di una liceale, si voltò indispettita dall’altra parte, e Ryo sospirò. “Mi stai rovinando la piazza, sai?”

“Volevo solo sapere che tipo di persona è il partner di mio fratello, tutto qui.” Gli rispose, con il broncio, leggermente indispettita. Sebbene giovane- piccola, agli occhi di molti- Kaori si occupava di tutto in casa, era un’adulta al pari del fratello. “Da quando siete compagini passa con te anche tutto il suo tempo libero…”

“Ah ma allora dovevi dirmelo che eri gelosa!” Le rispose, sornione, con un sorriso che gli illuminò gli occhi, mentre le stropicciava i cortissimi capelli rossi. “Guarda che non ti devi preoccupare, perché è impossibile portare il tuo fratellino sulla cattiva strada… ma sai com’è, si è deciso che vuole farmi diventare una persona onesta a tutti i costi!” 

Facendole l’occhiolino, Ryo piantò la cannuccia nella tazza della ragazzina, e prese a succhiare rumorosamente il nettare ormai tiepido, sorridendole in un modo che non poté fare a meno che farla arrossire…

Riportato al presente, Ryo abbassò gli occhi e si sentì avvampare, mentre le farfalle gli sbattevano le ali, pazze, sconvolte, nel petto, come ogni volta che pensava alla sua rocambolesca storia d’amore con Kaori.

Gli mancava. Era lì, a due passi da lui tutto il giorno, ma gli mancava da morire, e non passava istante che non si pentisse di averle detto che aveva ragione, nel lasciarlo. Si voltò verso il vecchio amico, pronto ad aprirgli il cuore ed ammettere le sue colpe, chiedergli come fare per recuperare il suo sodalizio con la di lui sorella, quando un rumore li destò dal loro stupore generale: qualcuno stava bussando alla porta.

“E adesso chi diavolo è a quest’ora?” Nogami senior sbottò, marciando verso la porta sbattendo i piedi a terra in una perfetta imitazione di Godzilla che sarebbe potuta essere degna di un Oscar. “Beh allora?”

Aprì la porta, e fece un passo indietro mentre guardava l’uomo davanti a sé, vestito di un vecchio spolverino beige che aveva visto decisamente giorni migliori, il pugno ancora alzato nell’atto di bussare. 

Zenigata: o meglio, l’uomo che si faceva passare per lui nel migliore dei casi, che si credeva l’immaginifico poliziotto nel peggiore.

Dopo un attimo di suspense, in cui nessuno di loro sembrava intenzionato a fare nulla, Ryo scattò, nell’esatto istante in cui “Zenigata” tentava la fuga, e lo placcò a terra, bloccandolo con la sua non indifferente mole, sibilando che era in arresto. 

Non aveva la benché minima intenzione di passare per scemo, o peggio, cretino o incapace, a causa del padre di Saeko. 

“Lasciatemi andare! Sono un collega!” L’uomo prese a strepitare; sotto a Ryo, si muoveva, si dimenava, cercava di assestare pugni, calci, colpi di qualsiasi tipo, ma nulla: l’altro era più forte, più deciso…. Aveva sempre e comunque la meglio.  Alla fine, stremato, dopo una lotta impari che parve durare ore, si arrese, accasciandosi sul pavimento, singhiozzando, piagnucolando come un bimbetto dell’asilo che la madre aveva appena mollato davanti alla porta.. “Perché non volete che vi aiuti a risolvere il caso? Perché?”

Ryo e Hideyuki si scambiarono un’occhiata a metà tra l’incredulo ed il seccato: chiunque fosse quello “Zenigata” credeva davvero di essere un poliziotto, o almeno così sembrava!

Ryo ed il capo si scambiarono un’occhiata, mentre Yuka li guardava con gli occhi brillanti, felice come una pasqua, eccitata all’idea di avere davanti un vero caso su cui indagare, materiale reale per poter sbloccare la sua crisi creativa e creare l’ennesimo capolavoro che le sarebbe valso l’ennesimo premio ed altra fama… e avrebbe potuto osservare dei veri poliziotti, non solo sentire suo padre che si vantava come un pomposo pavone!

“Lei ha visto tutto! Sa chi è stato!!!” L’uomo prese a gracchiare, nonostante la sua voce si facesse sempre più flebile, a causa forse anche del corpo di Ryo su di lui.

Tre paia di occhi si voltarono verso la ragazzina, che, all’improvviso, impallidì, facendosi sempre più piccola. 

“Yuka…” il padre la intimò. “Hai visto gli scagnozzi di questo tipo farlo fuori?” Le sibilò, avvicinandosi minaccioso verso di lei; mai come in quel momento la giovane aveva sentito, avvertito la figura del padre incombere su di lei: lo aveva sempre visto come un bambinone egocentrico, tutto casa e lavoro, un po’ scemotto… e francamente, era sempre stata convinta che, in casa, quelle col cervello fossero solo lei e Saeko!

“Ehm, veramente, è stata una donna a farlo fuori…” la ragazza dovette ammettere. “Una donna che… che lui ha chiamato Ciccina…”

 

“Ryo… cosa avete combinato tu e Hide con il capo tutto il giorno? Non siete mai stati in ufficio!” Kaori gli domandò, dondolandosi sui talloni mentre teneva le mani sulla scrivania. Lui alzò lo sguardo dai fogli che stava compilando, e gli occhi, allontanatosi un attimo da Zenigata, che stava complottando con il padre delle Nogami,  gli brillarono per un attimo. 

Era ancora lei, la ragazzina di cui si era assurdamente infatuato tanti anni prima, a cui aveva rubato la cioccolata calda, con cui, nonostante gli anni di differenza, si era trovato a fare il galletto. La sua Sugar. Sì, al dito aveva l’anello di fidanzamento di un altro, ma… ma non significava nulla, no? I fidanzamenti venivano rotti in continuazione, non erano certo promesse di amore eterno, lo sapeva bene, lui! 

“Hide fa così tanto il misterioso… avanti, c’è sotto qualcosa?” Gli domandò, con voce peperina, sorridendogli leggermente, e mettendo allo stesso tempo il broncio, proprio come quando era una ragazzina e si erano incontrati per la prima volta.

Con circospezione, Ryo si guardò intorno; solo Reika li stava guardando male, ma quello era normale, lei voleva sempre Ryo tutto per sé, dopotutto. Si alzò, ed afferrò la compagna per la vita, guidandola nell’ascensore. Le avrebbe detto cosa stava accadendo, sarebbe stato onesto e avrebbero condiviso un segreto: c’era modo migliore di creare intimità tra un uomo e una donna? Ne dubitava… “Andiamo al bar a mangiare qualcosa, ti spiegherò tutto lì!”

Ryo prese la sua amata Mini dal parcheggio del palazzo, e Kaori salì al suo fianco, senza nemmeno bisogno che lui glielo chiedesse, come fosse stata la cosa più naturale del mondo, automatico, quasi come respirare. Viaggiarono nella notte di Shinjuku che li cullava in un silenzio confortevole, che sembrava avvolgerli in una bolla di pace e tranquillità, estraniandoli dal resto del mondo. Ryo volgeva ogni tanto lo sguardo su Kaori, che, con un leggero sorriso, poggiava la fronte sul finestrino, le luci dei neon del quartiere che si riflettevano nei suoi occhi. 

Ryo strinse con forza il volante, con tale energia che le nocche si imbiancarono, e fece schioccare i denti. Quella era la casa di Kaori, il luogo dove lei era nata, cresciuta… che lei amava. Come poteva pensare di andarsene per seguire quello spocchioso bell’imbusto?

“Ryo?” gli domandò, incerta, avvertendo l’improvviso cambiamento all’interno del veicolo, l’incantesimo che si era spezzato. Il poliziotto parcheggiò, scuotendo leggermente il capo, come a farle credere che tutto stesse andando per il meglio, che non ci fosse problema alcuno, e con le mani in tasca del giubbotto di tela azzurra si incamminò verso il locale dei loro amici.  Una volta entrato, non ebbe alcun dubbio su dove andare: il loro tavolo, quello un po’ isolato dove erano stati soliti sedersi e scambiarsi baci furtivi, tenersi per mano mentre si guardavano come due ragazzini alla prima cotta. 

“Prendi sempre il solito, Kaori?  Quell’obbrobrio che chiami tramezzino con petto di tacchino arrosto, salsa allo yogurt e lattuga scondita?”

La donna si infuriò, però non poté esimersi dall’arrossire: Ryo la conosceva davvero bene, e sebbene fosse passato parecchio dall’ultima volta che avevano mangiato al bar insieme, si ricordava ancora cosa fosse solita prendere. E come una volta la prendeva in giro: aveva iniziato a prendere quello che lui aveva chiamato Obbrobrio perché lui aveva fatto battute sul suo peso e sulla sua voracità, e alla fine non aveva mai smesso di usare quel club sandwich così particolare come spuntino o talvolta cena. 

“Beh, allora si può sapere cosa è successo? Non me lo vuoi proprio dire?” lo supplicò, mettendogli il muso- e a quello, Ryo non aveva mai saputo resistere. 

Le raccontò cosa era successo, del capo e del suo discorso, che entrambi ritennero idiota, del comportamento screanzato che aveva tenuto, di come era stato ingannato da Zenigata… e della scoperta del loro testimone, che era la figlia stessa del capo, novellista che Kaori conosceva ed apprezzava, fino alla risoluzione del mistero: come nella più banale partita di Cluedo, la colpevole era la sua donna, che insospettita dai movimenti furtivi del suo amante aveva creduto di essere sul punto di essere rimpiazzata da un modello più recente – mentre invece Satoro commerciava in armi modificate e prive di matricola. Avevano anche scoperto chi fosse Zenigata: il suo vero nome era Toshio Kawai,  era un ex guardia di sicurezza che aveva tentato per ben tre volte di entrare in polizia, superando sempre le prove con il massimo rendimento, per essere poi accompagnato alla porta non appena venivano a galla  quelle sue peculiari nevrosi.

“Certo che però solo voi potevate mettervi in una situazione del genere!” lei scherzò, pulendosi la bocca dalle briciole del delicato pane bianco. Ryo scoppiò a ridere, in modo sguaiato, ma sincero, la stessa risata che aveva spesso fatto quando erano insieme, una coppia, e scherzavano e giocavano- mentre si gettava in bocca  una manciata di patatine fritte. 

La donna sospirò: certe cose non sarebbero cambiate mai, anche le più semplici, come il fatto che il suo ex sembrava bruciare calorie semplicemente respirando. Ryo sembrò avvertire il suo sguardo su di lei, e i loro occhi si incontrarono ai due lati opposti del tavolo; l’uomo mosse le dita, tentato di sfiorare la mano di quella che era stata la sua donna, ma quando vide la luce dei neon far risplendere il diamante che Kaori portava al dito si fermò, riflettendo su come agire. 

Fare o non fare… non c’è provare!  Si disse, e mentre rifletteva, lei avvertì quello sguardo, e forse… forse anche i suoi pensieri, i desideri di Ryo, perché nonostante tutto, lei era sempre stata quella che lo conosceva meglio, che lo capiva come nessun altro, e che sembrava leggerli nella mente. 

All’esterno, una campana batté la mezzanotte, i rintocchi che risuonavano forti, decisi, implacabili, segnando il loro destino.

“Io…devo andare adesso!” La donna si alzò in tutta fretta, e afferrando la borsetta si chinò un attimo su di lui; diede un veloce bacio sulla guancia a Ryo, che come fosse stato bruciato sfiorò quel pezzo di pelle, quasi potesse avvertire ancora la pacifica presenza di Kaori, il corpo di lei premuto, anche se solo per una frazione di secondo, contro il suo. 

Alla fine, non aveva provato, e non aveva fatto. E lei se n’era scappata ai cento all'ora dal locale. 

Alzò la mano per richiamare l’attenzione di Umibozu, desideroso di buttare giù un bicchiere del suo drink preferito, un liquore bello forte, mentre dentro di sé sorrideva soddisfatto, e sentiva il suo cuore battere, ed il suo animo si permetteva di sognare, ancora, di nuovo. 

Kaori non era così imperturbabile come voleva fargli credere; nonostante lo avesse lasciato, nonostante dicesse che erano solo amici, nonostante stesse organizzando il suo matrimonio, c’era ancora un barlume di speranza per Ryo. 

Non lo aveva dimenticato. Non ancora. 

Per terra, qualcosa prese a luccicare, e l’uomo si chinò per raccoglierlo: era un orecchino, ed era, se non si ingannava, lo stesso che aveva indossato Kaori quel giorno. Mettendoselo in tasca, l’uomo sorrise: la sua Cenerentola non seminava scarpe, ma orecchini. 

La gente riempiva le strade di Shinjuku, ma mai come allora Ryo si sentì a casa, in pace, come forse non si era sentito da molti mesi a quella parte, ed il tutto perché stava germogliando nel suo cuore il seme della speranza.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** EPISODIO #4: non è tutto oro quello che luccica... ***


“MA QUALCUNO VUOLE VENIRE A SERVIRMI OPPURE NO? MA PORCA MISERIA, NON LO SAPETE CHE IL CLIENTE HA SEMPRE RAGIONE?!” Appoggiato al bancone di un compro-oro, Ryo stava strepitando come una ragazzetta isterica, sbattendo i pugni sulla pellicola logora di simil-legno, che aveva visto giorni migliori.

Accanto a lui, Hideyuki si tappava le orecchie, stringendo al contempo denti e occhi quasi quelle urla in quel modo potessero risultare meno nocive per la sua salute psico-fisica.

“Senti, Ryo…” L’occhialuto poliziotto sospirò, mettendosi le mani nel logoro impermeabile. “Non c’è nessuno, o di te non gliene frega nulla. Perché non torniamo un’altra volta?” O magari lasciamo perdere.

“No, non se ne parla nemmeno! Si tratta di una questione di principio! Rivoglio quell’anello indietro, e se vogliono i soldi indietro li chiedano a tua sorella! Lei non aveva il diritto di venderlo! Quello era il mio anello di fidanzamento, ed è stata lei a lasciare me!” Mentre parlava nervosamente, così velocemente che le parole sembravano quasi ingarbugliarsi le une con le altre, Ryo sbatté nuovamente il pugno sul bancone, facendo volare in aria la vecchia e logora ricevuta della gioielleria che aveva ritrovato, dopo accurate ricerche, nella sua beneamata Mini, mischiata a vecchie ricevute, multe, incarti di cibo e di sigarette e accendini ormai scarichi.

Quando il foglietto, su cui faceva bella mostra di sé  la cifra di 121.000 Yen, ricadde nuovamente sul tavolo, Hideyuki si allungò sulla spalla del partner, e dopo aver sollevato un sopracciglio con fare interessato, fece un sorrisetto malizioso, ridacchiando, all’indirizzo di Ryo.

“Dì un po’, ma gli anelli li compri quando ti va nel caso ti venga voglia di fidanzarti?”  gli domandò, ridendo sotto i baffi.

“Ma la pianti di dire assurdità? Lo sai benissimo che quello lo avevo comprato apposta per tua sorella!” Ryo lo guardò con curiosità, quasi non capisse cosa l’amico volesse dire, poi però vide Hideyuki fare un sorrisetto, mentre tamburellava con un dito su una cosa in particolare, un dato che, col tempo, si stava ormai sbiadendo… ,a che tuttavia era ancora abbastanza ben visibile.

La data di acquisto. Risalente a parecchi anni prima - e di parecchio precedente al tempo in cui Ryo aveva deciso di comportarsi da uomo e dire a Kaori che voleva provare ad avere una relazione con lei.

“Ehm…” Ryo prese a sudare, goccioloni che gli scendevano dalle tempie mentre il suo migliore amico se la rideva di gusto; poi però un pensiero fugace gli balenò per la mente, e si avvicinò ad Hideyuki. I due uomini erano ad un solo respiro di distanza, quando Ryo prese ad incombere sull’amico, sghignazzando con la stessa espressione di un genio malevolo.

“Vorresti dirmi che tu a Saeko l’anello non lo hai ancora comprato?” Lo schernì. “Che non lo tieni nascosto da nessuna parte?”

Hideyuki strinse i denti, volgendo lo sguardo altrove. Non se la sentiva di parlarne, né tantomeno di scherzarne, e Ryo avrebbe dovuto sapere quanto quel tira e molla tra lui e la sua (ex) donna lo facesse imbestialire; erano anni che lui e Saeko si mettevano insieme, si lasciavano, e poi tornavano insieme, e dopo che alcune settimane prima, all’ennesima richiesta dell’uomo di rendere ufficiale il loro rapporto, lei aveva risposto che non era pronta e che aveva ancora bisogno di preparare psicologicamente papà, lui ha certe idee su che tipo d’uomo le sue figlie debbano sposare Hideyuki se n’era andato sbattendo la porta, seccato che lei non lo amasse abbastanza da lottare per la loro relazione. Lui era rimasto fermo nella sua decisione, e lui e Saeko avevano preso ad essere di nuovo solo colleghi… anche se lei sembrava sentire la sua mancanza. Ma Hideyuki non si sarebbe piegato, non stavolta: adesso spettava a Saeko offrirgli la sua mano perché l’uomo la accettasse.

Peccato che, quando lei aveva provato  a fare un mezzo passo verso di lui, avessero finito per litigare di nuovo, quando a Maki era quasi scappato ciò che era successo con Yuka e con quel finto poliziotto… lui aveva accusato il padre di lei di essere superficiale, lei gli aveva risposto che parlava a sproposito,  parole erano state gridate, porte erano state sbattute, e lui era tornato a dormire sul divano-letto di Kaori.

“Sai, non mi sei mai sembrato il tipo da fidanzamento,” Hideyuki gli domandò, desideroso di riportare l’attenzione sull’amico e su sua sorella. “Figuriamoci se ti ci vedevo a cercare anelli…”

Ryo sbuffò; si appoggiò mollemente sul bancone, mentre ancora tamburellava, nella speranza che arrivasse qualcuno – ma nulla. Guardò il collega, ed immaginò che fosse giunto il momento di parlare – e che comunque, il buon Makimura non avrebbe mollato l’osso tanto facilmente, soprattutto visto e considerato che non sembrava voler parlare di Saeko.

“L’avevo preso per lei,” Ryo gli rispose, con una scrollata di spalle che voleva far pensare che gli importasse poco o nulla di cosa stava accadendo e di cosa aveva fatto in passato. “Kaori era da quando era piccola che la faceva andare con tutta quella storia della proposta perfetta, no?”

“Eri, ma dove andiamo?” Camminando con gli occhi coperti dalle mani dell’amica, Kaori procedeva sul terreno erboso, incerta sui tacchi, fasciata in un elegante abito da sera azzurro polvere.

“Non preoccuparti, è una sorpresa!” L’amica le disse, col sorriso sulle labbra e nella voce. “E adesso, tieni gli occhi chiusi!” Eriko lasciò andare Kaori, che, come promesso, mantenne gli occhi chiusi una volta che si furono fermate. Un brivido la percorse da capo a piedi quando avvertì una carezza sulla pelle nuda del braccio, ed avvertì il calore che sapeva associare a Ryo e Ryo solo.

Sorrise, stupita, mordendosi le labbra, e quando una musica di violini attaccò, lei aprì gli occhi, e se lo trovò di fronte. Vestito in un elegante completo grigio, la guardava timido ed impacciato, come fosse stato un ragazzino.

“Ryo? Ma cosa…” Tante lucine si alzarono all’improvviso, riempendo il prato e rendendolo magico, come una radura incantata; Ryo la prese per mano e la condusse vicino ad un tavolino di metallo bianco, apparecchiato per due con una coppa di cristallo contenente una peccaminosa crema al cioccolato con due cannucce, e accanto due calici di quello che sembrava champagne.

Lo sapeva- Kaori sapeva cosa stava accadendo, ed il cuore le martellava nel petto per l’emozione.

Era perfetto, era come l'aveva sempre immaginato, sognato, come lo aveva raccontato ad Eriko ed Hideyuki tante volte da quando era ragazzina.

Si voltò a guardarlo, e trovò Ryo inginocchiato a terra, con in mano una scatola di velluto nero aperta, su cui faceva bella mostra di sé un sottile anello in oro bianco con un piccolo diamante al centro.

“Kaori, vuoi… ecco, vorresti…. Vorresti, vorresti sposarmi?” Le chiese infine, dopo aver balbettato per minuti che gli erano parsi ore.

Scoppiando a piangere, Kaori gli gettò le braccia al collo.

Hideyuki lasciò ricadere il capo sulla spalla, guardando l’amico con un misto di tenerezza e rimpianto; quando si erano lasciati, Kaori aveva ritenuto Ryo, a suo modo, responsabile- aveva detto che non era stato abbastanza maturo, che non era pronto. Che non voleva la responsabilità della famiglia. Ma adesso il poliziotto iniziava a chiedersi se anche la sorella non avesse avuto la sua parte di colpa: forse che Kaori vivesse l’amore in modo infantile, idealizzandolo in modo esagerato, pretendendo che l’uomo che aveva desiderato essere suo cambiasse in tutto e per tutto per lei? Nulla di quella proposta parlava di Ryo, un tipo più da convivenza che da matrimonio, e che comunque avrebbe visto meglio chiedere alla sua donna di sposarlo negli attimi di vita vissuta, con un bacio magari, ma senza anelli, pura spontaneità.

Che fosse per questo che le piaceva tanto questo Shinji… lui era già come lei si era immaginata l’uomo ideale da ragazzina, prima ancora di incontrare Ryo: intelligente, fascinoso, carismatico, maturo… e per di più, ricco, elegante e raffinato, ed i rispettivi genitori li avevano sempre visti bene insieme. Quale donna non avrebbe fatto pazzie per uno come lui? Anche se Hideyuki iniziava a domandarsi se non fosse troppo perfetto, soprattutto per Kaori… dov’era la passione, il fuoco? Shinji non sembrava essere in grado di darglieli… ma con Ryo era stata tutta un’altra cosa.

Ryo l’aveva fatta vivere, e adesso… adesso sembrava, a volte, essere solo in grado di sopravvivere, e la cosa lo faceva soffrire, perché era certo che Kaori si meritasse di più dalla vita- ma non poteva certo impicciarsi, né Ryo né Kaori avrebbero apprezzato intrusioni sue o di chicchessia.

“Ah! Alleluya! Finalmente!” Ryo esclamò all’improvviso, sbraitando talmente tanto ad alta voce che fece accapponare la pelle al socio, e urlare la giovane donna dai lunghi capelli neri che stava passando nel retro, e che aveva appena intravisto. “Signorina, venga subito qui, devo parlare con qualcuno del mio anello!” Sibilò all’indirizzo della giovane, che, tremante – soprattutto alla vista della pistola nella fondina – si avvicinò al bancone.

“Ehm.. cosa… come posso aiutarvi?” Domandò, arrossendo lievemente, una reazione che fece sbuffare Hideyuki che iniziava a stufarsi di vedere le donne svenire alla vista del suo socio.

“La mia ex fidanzata è venuta qui a vendere l’anello di fidanzamento!” continuò, facendole vedere la ricevuta. “Dato che è stata lei a lasciarmi, avrebbe dovuto restituirmelo, e non controllando voi siete passabili di denuncia per ricettazione!”

La donna impallidì; fece alcuni passi indietro, andando a sbattere con la schiena contro una vetrina espositiva mezza vuota, lasciata socchiusa; era tesa e nervosa, e Hideyuki non mancò di rendersene conto; lentamente, scostò l’impermeabile, mostrando alla donna che anche lui era armato- e provvisto di distintivo.

La donna strinse i denti.

“Ryo…”  Hideyuki sibilò, a bassa voce, lo sguardo tagliente incatenato a quello della donna, che muoveva lentamente, quasi al rallentatore, una mano, nella speranza che il suo movimento fosse impercettibile.

“Non mi interessa se la legge dice che di un regalo si può fare quello che si vuole… quello è un anello di fidanzamento! Il galateo parla chiaro, se la donna rompe il fidanzamento è tenuta alla restituzione dell’anello! E lei adesso se l’è venduto per… no, non voglio nemmeno pensarci!” Ryo ribatté, non comprendendo esattamente cosa l’amico volesse dire.

“Senti, Ryo, per curiosità, quanto avevi pagato il mio anello di fidanzamento?” Kaori gli domandò, giocherellando con una penna.

“Guarda che lo so pure io che non è elegante chiedere il costo di un regalo!” Ryo, da dietro la scrivania, nascosto da una miriade di fascicoli, sbuffò. Poi però alzò lo sguardo verso di lei, e sollevò un sopracciglio. “Come mai all’improvviso ti interessi del mio anelo di fidanzamento, Kaori? Vuoi fare il paragone con quello del nuovo fidanzatino perfettino?”

“Guarda che mi preoccupo della gentaglia che frequenti, cretino. Credo che tu sia stato truffato.” Kaori gli tirò fuori la ricevuta di un compro-oro, e la passò sotto al naso di Ryo. “Sono andata a venderlo e me lo hanno valutato una miseria, nemmeno trentamila yen!”

“Cosa?! Ma io l’ho pagato cinque volte tanto! Se c’è qualcuno che si è fatto fregare quella sei tu, Kaori!” Ryo afferrò la ricevuta, stringendola tra le mani mentre, in piedi, i dentro stridevano. “E comunque, avresti dovuto ridarmelo, l’anello, o tenertelo, non venderlo!”

“E farmi pagare le nozze con Shinji dal mio fidanzato o da mio fratello? Non se ne parla! “

 “Ryo…” L’amico sibilò a denti stretti, facendogli cenno col capo verso la donna; la bellezza velocemente cercò di afferrare qualcosa che teneva nascosto dietro la schiena, e alzata la mano pronta a colpire, Ryo, compreso finalmente cosa stesse accadendo – con grande gioia del compagno – agì prontamente. Rapido, estrasse la sua arma, sparando un singolo colpo per disarmare la donna senza tuttavia ferirla, e mentre lei, intontita, si massaggiava la mano, Hideyuki la raggiunse dall’altra parte del banco con un balzo, e dopo aver dato un calcio al pugnale la ammanettò.

“Certo che però potevi dirmelo prima che era una rapina, eh…”  Ryo sbuffò, in modo teatrale, prima di guardare la bellissima donna, avvolta in un completo pantalone nero che faceva risaltare le sue forme. “Allora, bellezza, cosa stavamo combinando?”

La donna – giovane e bellissima, Ryo lo poteva facilmente ammettere – voltò lo sguardo altrove, quasi indispettita; nello stesso momento, i due poliziotti avvertirono una certa commozione provenire dal retro del negozio, ed Hideyuki, veloce, face per andare a vedere cosa stesse accadendo, ma un uomo- un armadio sui venticinque, trent’anni, lo buttò a terra con una gomitata prima ed un calcio nello stomaco poi, mentre la donna guardava la scena arrabbiata ed inferocita. 

Prima che fossero riusciti a raggiungerlo, se n’era già andato in sella ad una scattante motocicletta, che agile si muoveva nel caotico traffico cittadino, sfrecciando tra i veicoli fermi nel traffico di Tokyo.

“Quel dannato traditore doppiogiochista… e mia nonna crede che sposerò quel… quel….quel cretino codardo?!” La donna strillò; iniziò a gridare, a strillare, isterica, inferocita, e sembrava non voler smettere, mai, per nessun motivo al mondo…

Continuò a strillare anche una volta che furono arrivati alla centrale, dove, ammanettata, la accompagnarono nella sala interrogatori, ma nulla: lei continuava a imprecare, inferocita, contro la sua famiglia e contro lui,  e che sarebbe morta prima di sposarlo…

“Cos’è, hai spezzato un altro cuore?” Kaori domandò scherzosamente a Ryo, mentre sedeva davanti allo specchio cieco, studiando la donna che continuava a sbraitare isterica e furibonda; Saeko era dentro, con Hideyuki, ed entrambi si stavano tappando le orecchie, stringendo denti e occhi nella speranza che quello aiutasse  a placare cosa stava accadendo.

“Spiritosa,” Lui le rispose, un po’ scocciato. “Ero andato a riprendermi il mio anello, quando invece del gioielliere mi sono trovato davanti questa che faceva piazza pulita di tutti i gioielli. Aveva anche un partner ma il tuo fratellino se l’è fatto scappare.”

“Il tuo…. Vuoi dire…” Lo sguardo della donna cadde sulla sua mano sinistra, quasi avesse potuto trovare lì la risposta alle sue domande, quell’anello che per troppo poco tempo aveva indossato.

Guardò Ryo, lo squadrò, lo studiò, cercando di capire cosa lo avesse davvero mosso ad agire in quel modo, cercare di riavere qualcosa che da tempo non era più suo: cocciutaggine, orgoglio ferito? Per forza, si diceva Kaori, rifiutando che Ryo avesse ragioni ben più profonde per voler riavere quell’anello - che per lui, che  aveva sempre detto di non credere al matrimonio, non avrebbe dovuto significare nulla. E invece, ora sembrava quasi… quasi rammaricato. Ma era perché lo aveva venduto… o perché avrebbe preferito incassare lui, quei soldi?

“Sappiamo chi è la tua estimatrice?” Gli domandò curiosa; stava usando un tono un po’ civettuola, quasi infantile – lo stesso che aveva usato da ragazza quando lo voleva manipolare nel fare qualcosa per lei o lo voleva prendere in giro.

“Solo il nome di battaglia, a quanto pare si fa chiamare Ladra 305 ed ha una lista di precedenti lunga da qui all’Europa… Saeko dice che potrebbe appartenere ad una banda, perché ha trovato lo stesso modus operandi in casi anche di quindici, vent’anni fa… e dubito che la nostra bella scassinasse le serrature con le spille di sicurezza del pannolino.” Ryo sogghignò, sghignazzando.  “Ah, e sappiamo anche che a quanto pare pure il suo di matrimonio è saltato… il complice che l’ha mollata? Era il suo ragazzo.”

La coppia, in piedi l’uno accanto all’altra davanti al finto specchio, così vicini che quasi si sfioravano, che potevano avvertire l’uno il calore dell’altra, tornò a prestare attenzione a cosa stava accadendo dentro, a Saeko che, imperterrita, fredda e glaciale come solo lei poteva essere, si apprestava ad interrogare la giovanissima donna, ammanettata al tavolino di metallo.

“Signorina… mi scusi, ma sa, non so come chiamarla…” Le disse con un sorriso disarmante, che stupì tutti. Le si sedette davanti, improvvisamente cambiando, dimostrando di essere una manipolatrice nata non solo quando si trattava di uomini ma anche con elementi del cosiddetto gentil sesso- non che al dipartimento qualcuno avesse mai osato definire lei o Kaori in quel modo.

La ladra non rispose, si limitò a guardare in basso, rattristata, sembrava svuotata, delusa… ma dalla vita, o dall’uomo con cui pensava che avrebbe passato il resto dei suoi giorni?

“Ascolti…” Saeko posò la mano su quella della donna, guardandola dolce, mentre Hideyuki invece assumeva un’aria sempre più severa e dura, rendendo palese il loro gioco di poliziotto buono e poliziotto cattivo. Ma la stagionata poliziotta immaginava che avrebbe potuto funzionare: la ragazza sembrava abbastanza abbattuta e sconvolta da fidarsi di lei. “Non esistono i fantasmi. Tutti hanno un’identità, e presto o tardi scopriremo la sua, e quella del suo…fidanzato.”

Saeko sottolineò la parola in modo quasi sibilante, ponendo su di essa l’accento; la donna sembrò quasi svegliarsi dal torpore furibondo in cui era caduta, e strinse i denti, mentre due grosse lacrime le lasciavano gli occhi: era la reazione in cui Saeko aveva sperato.  

“Se dovessimo arrivare a lui… non mi meraviglierei se decidesse di parlare. Se la vendesse… la abbandonasse, come ha già fatto.”

“Kasumi.” La donna sospirò, il volto basso, le mani strette, unite, quasi in preghiera. “Il cognome che ho usato maggiormente negli anni è Aso, ma… non sono certa che sia il mio vero cognome. La mia famiglia fa questo… lavoro da tempo. Non so nemmeno più io chi sono veramente, se non la Ladra 305.”

“Abbiamo controllato i dossier,” Hideyuki interruppe; camminò deciso verso di lei, mentre, dall’altra parte del vetro, Ryo lo guardava, come fosse fiero dell’amico e partner. “I compro-oro da quattro soldi non sono mai stati obbiettivi nelle vostre corde. Cos’è, avete sentito la crisi pure voi?”

“Noi non scegliamo cosa rubare- noi veniamo ingaggiati per farlo. Un uomo mi ha pagata milioni di Yen perché andassi in quel buco e rubassi per lui una moneta antica. Quel buzzurro del proprietario nemmeno sapeva cosa aveva tra le mani…”

“Una moneta antica?” Saeko domandò, stupita, mentre Kasumi faceva cenno di sì col capo.

“Una moneta romana, per la precisione in puro oro. Rarissima. Unica.” Spiegò. “Una leggenda narra che chi la possiede sarà incoronato capo del Clan dei Gitani…”

“Chi?” Ryo si domandò ad alta voce dall’altra parte del vetro, alzando un sopracciglio. Kaori sospirò, un po’ esasperata: a volte, il suo ex era un po’ cieco a cosa non accadeva proprio sotto al suo naso, mentre conoscere a menadito la cronaca nera dell'intero Giappone era la sua specialità.

“Una banda di Rom, provenienti dalle ex Repubbliche sovietiche, lavorano tra la Bulgaria e la Slovenia, principalmente, ma hanno cellule in tutta l’Europa centrale e meridionale. Hanno un comportamento mafioso, e per questo erano stati allontanati dal resto della loro comunità- ma non per questo hanno cessato di delinquere.”

“Quindi…” Iniziò lui, spronando la sua ex a continuare nella spiegazione, tenendo tuttavia l’orecchio teso ad ascoltare cosa accadeva dietro al vetro.

“Siamo stati contattati da uno dei pretendenti al titolo di Capofamiglia….” La ladra continuò nel suo racconto. “Il vecchio patriarca è morto e adesso i suoi quattro figli si contendono l’impero, nonostante tecnicamente sia solo il più grande ad averne diritto. Ma… ma il figlioletto minore vorrebbe essere lui a dettare legge. Dice che è così che il padre avrebbe voluto, perché era il figlio prediletto. Il ragazzo aveva scoperto che la moneta era da qualche parte in Giappone ed ha incaricato il mio clan di recuperarla.”

“E ci siete riusciti?” La donna domandò, lasciando calare leggermente la maschera. Kasumi si guardò intorno; le era stato insegnato a detestare la polizia, odiarla, l’amore ed il rispetto era solo per la famiglia.  Ma… lei era stata abbandonata.

Nessuna si aspettava che potesse tradire il sangue del suo sangue ma… non avevano forse fatto lo stesso con lei?

Poteva fidarsi solo di coloro che le erano di fronte.

Sghignazzando malevola, si avvicinò a Saeko. “Allora, signora detective… vuole sapere dove avverrà lo scambio? Duemila yen che quel cretino del mio ex non ha minimamente pensato a cambiare luogo e ora dell’appuntamento!”

 

“Eh? E questo cos’è?” Kaori domandò a Ryo quando, alcuni giorni dopo, a sera, le luci nella loro unità quasi tutte spente, soltanto loro e pochi altri rimasti dopo che avevano finalmente finito di compilare tutte le scartoffie del caso, lui le lasciò scivolare una busta sulla scrivania. Ryo le rispose con una scrollata di spalle, e quando lei la aprì, si trovò davanti un assegno, intestato a lei- Kaori Makimura. “Ma, Ryo, un assegno? Io non…”

“Quello è il reale valore dell’anello che ti avevo regalato. Avevi ragione, su tutta la linea: mi avevano fregato alla grande. Ma soprattutto,  era tuo ed era giusto che, se ti servivano i soldi, lo usassi per te.” Le rispose, scrollando con noncuranza le spalle, seppur il suo volto fosse macchiato dal segno della tristezza. “Quindi, lasciami fare questa cose per te, va bene?”

“Ryo, non è giusto...ti ho lasciata io e quindi avresti dovuto tenerlo tu, non darmi dei soldi...” La donna provò a spiegargli, nascondendo le sottili e delicate labbra dietro al foglietto. “E poi, lo hai almeno recuperato?”

Ryo si morse la guancia, volgendo per un solo attimo lo sguardo altrove, e si schiarì la voce. “Ehm, dovevano già averlo venduto a qualcun altro, un vero peccato, eh? Eh, eh, eh…”

“Oh…” Kaori abbassò gli occhi, e a Ryo parve di vedervi dentro come una nota di tristezza, di rammarico, ma durò solo una frazione di secondo: poi, lei si ricompose nuovamente. “Io… io non me la sento di accettare, sono davvero troppi soldi…”

“Senti, mettiamola così: è il mio regalo di compleanno, dato che oggi festeggi… e dato che trent’anni si festeggiano una volta sola, invece di regalarti qualche cazzata che non userai mai e che magari tra due giorni butteresti via, ti do qualcosa che ti serve davvero!”  Senza aggiungere altro, senza permetterle di dire la sua, Ryo si incamminò lungo le scale; mani nelle tasche dei pantaloni, sospirava mentre giocherellava con la scatola di velluto nero, contenente l’anello di fidanzamento: lo aveva ritrovato, ed era riuscito a tenerlo fuori dalle prove, e lo avrebbe tenuto ancora con sé, per un po’... o forse per sempre.

Perché forse quella proposta l’aveva fatta perché Kaori la desiderava, ma quell’anello lui l’aveva acquistato perché lui lo aveva voluto, perché aveva visto quella gemma in vetrina ed aveva pensato a lei, e questo sarebbe stato sempre vero, una delle poche verità da cui, almeno nel suo animo, Ryo non sarebbe scappato… mai e poi mai si sarebbe potuto disfare di quell’anello, simbolo del loro amore.

“Tutto bene, vecchio mio?” Sobbalzando, Ryo si voltò, e trovò Hideyuki che gli stringeva la spalla. Si limitò a sorridergli, di un sorriso triste, mesto, e sospirò, alzando gli occhi verso il cielo di Tokyo, da cui non si vedeva alcuna stella, troppe erano le luci artificiali della città.

“No ma… me la caverò.” Lo pensava davvero, dopotutto, se l’era sempre cavata, qualsiasi cosa la vita gli avesse messo davanti, lui era sempre sopravvissuto. Era sempre andato avanti. Lo avrebbe fatto anche stavolta: solo, sarebbe stato più complicato del solito. Più doloroso.

“Ryo… perché non provi a parlare con Kaori? O se vuoi….” L’amico tentennò, impacciato, ma parlando dal più profondo del cuore, desideroso di vedere la sua famiglia per quanto strampalata che fosse, felice ed unita. “Potrei farlo io.”

Ma Ryo scosse il capo: forse, ormai, era troppo tardi. Forse davvero era ora di andare avanti, guardare in faccia la realtà, affrontare i fatti.

Kaori era stata pronta a  vendere il suo – loro- anello di fidanzamento, questo la diceva tutta, mostrava che le cose con Shinji andavano ben oltre che avere semplicemente al dito l’anello dell’altro: forse era davvero giunta l’ora di rassegnarsi.

“Beh, se ti può essere di consolazione, sarai casinista quanto vuoi, e anche rozzo, un po’ ignorante, e non possiedi nemmeno un grammo di stile..” Hideyuki iniziò, facendo arrabbiare Ryo, che si gonfiò nemmeno fosse stato un palloncino. Però poi l’occhialuto poliziotto gli sorrise, e gli fece l’occhiolino prima di scoppiare a ridere. “Però credimi, preferirei avere te come cognato a quel pallone gonfiato di Shinji!” 

Mentre si incamminavano verso le loro auto, entrambi gli uomini scoppiarono a ridere.

Uniti come solo loro potevano essere- fratelli senza condividere il sangue.

Ryo alzò lo sguardo, e nel cielo vide una singola stella illuminare il firmamento, quasi avesse voluto mostrare la strada ai viandanti, ai navigatori. Era forse un segno? Il destino gli diceva di non perdere la speranza, che c’era ancora qualcosa che poteva fare per riavere Kaori nella sua vita, al suo fianco?

Mano sulla spalla del vecchio amico, si incamminò verso un bar, pronto ad offrire all’altro cuore solitario da bere: chissà, forse si sbagliava, e c’era ancora, davvero, speranza per tutti loro...

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Episodio #5: Il mandato ***


“Servizio in camera!” Ryo sbraitò mentre se ne stava un po’ nascosto contro il muro, aspettando che la sua preda se ne uscisse fuori. Dall’altra parte della camera d’albergo, Maki, che con la macchina fotografica in mano aspettava che il loro pollo aprisse.
Ryo squadrò l’amico: era decisamente strano. Teso, denti stretti, le dita serrate intorno all’apparecchio fotografico, ed un’espressione sì seria, ma quasi distaccata. Rabbiosa. La cosa puzzava, ma Ryo sapeva che le cose erano, in realtà, molto più semplici di quanto il buon Makimura non le volesse far apparire: se stava agendo così era principalmente per ripicca, perché lui e Saeko avevano avuto un’altra delle loro solite litigate.
Ryo aveva ormai perso il conto delle volte che era successo, nel corso degli anni: almeno due o tre volte l’anno da quando erano tutti e tre insieme in Accademia. Litigavano per qualcosa (principalmente per ragioni familiari), stavano qualche settimana imbronciati, comportandosi con professionale distacco, oppure da semplici amici, poi cedevano e tornavano insieme.
Ma stavolta sembrava diverso: Maki era piuttosto distaccato e seccato con Saeko, lei sembrava alternare momenti di rattristato rammarico a malcelata indignazione, quindi non solo non avevano ancora fatto pace, ma sembrava che stavolta le cose fossero messe peggio del solito, come indicato dal fatto che quell’idea malsana non fosse, per una volta, partita da Ryo…
“Ryo, senti… ti andrebbe di arrotondare un po’?” Maki gli chiese, a bassa voce, facendo attenzione che nessuno intorno a loro li ascoltasse.
Ryo alzò un sopracciglio, chiedendosi se fosse una trappola: che Maki lo volesse mettere alla prova? Lui, serio e ligio, non aveva mai contemplato di fare dei lavoretti per arrotondare, e anzi, tutte le volte che Ryo aveva anche solo avanzato tale ipotesi, si era beccato un sermone morale sull’onore, e la sacralità del loro lavoro che avrebbe fatto addormentare chiunque, e che aveva fatto venire il dubbio a Ryo che fosse il buon Makimura a scrivere i discorsi al loro capo…
“Dove sta l’inghippo?”
“Nessun trucco, niente inganno.” Maki sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Un amico avvocato mi ha chiesto di consegnare un mandato di comparizione, e mi serve qualcuno che mi fotografi mentre lo faccio. Tutto qui. Dodicimila yen ciascuno per cinque minuti del nostro tempo. Allora, ci stai o no? ”
 “Ma io non ho chiesto il servizio in camera!” Un uomo sibilò, aprendo la porta con un colpo secco, con tale forza che la fece quasi sbattere contro il muro. Ryo gli Sbattè, quasi letteralmente, il mandato sotto il naso, e si posizionò di fianco all’ometto, un tizio comune, forse sui sessant’anni, come ce n’erano tanti. Ryo lo squadrò velocemente, facendo fatica a credere che potesse essere un delinquente: sembrava più che tutto un cretino un po’ sciocco. “Cosa volete!?”
“Signor Suzuki Ado, c’è un mandato di comparizione per lei!” Ryo sghignazzò, mentre Maki scattava due istantanee con la vecchia Polaroid. “Su, sorrida!” 
Rapido, mentre l’ometto aveva in mano il mandato, Hide scattò re foto; gettò una copia in mano ad Ado, mentre mise in tasca le altre due. Ado guardava il mandato, la foto, e Ryo e Maki, ma dalla sua bocca non usciva un singola suono: tuttavia, aveva preso a sudare, ed una singola goccia gli era scesa dalla fronte fino al labbro.
“A… aspettate…. Io… io non… c’è un errore... per favore…”
Ma ormai era troppo tardi: i due uomini se n’erano già andati.
“Sai, avevi proprio ragione… i soldi più facili che abbiamo mai fatto!” Ryo sghignazzò, mentre apriva la portiera della Mini. Mentre però stava per salire, si irrigidì, e fermò l’amico con un gesto brusco, gettandolo a terra; Ryo si nascose dietro al veicolo, pistola in pugno, certo di cosa aveva sentito, il rumore di una sicura disinnescata, e di un proiettile che andava in canna, pronto per essere sparato…
Un colpo. Due. Tre… andò avanti, ancora e ancora e ancora, un intero caricatore svuotato, poi un altro ed un altro ancora: chiunque fosse, non stava certamente scherzando. L’echeggiare degli spari mandò nel panico la gente, che correva alla rinfusa, urlando, cecando riparo da qualcosa che non riuscivano né a vedere né a percepire. Ryo e Maki si guardavano intorno, ma non capivano da dove provenissero gli spari: dalla hall? No. Il giardino, il parcheggio, la piscina? Nemmeno…
Cosa stava accadendo?
E poi, un tonfo, e schegge di vetro e vernice rossa volarono nell’aria intorno a loro, mentre un corpo sanguinante si accasciava sul tettuccio del veicolo. Cessata la sparatoria, Ryo si alzò, e controllò rapido, cercando per prima cosa il polso, ma nulla: non c’era battito, e gli occhi, vitrei, erano spalancati, eppure ormai privi di vita, nonostante rimanesse da vedere cosa lo avesse ucciso, se gli spari oppure la caduta.
Poco importava, comunque: Suzuki Ado giaceva privo di vita sul tettuccio della macchina di Ryo.
 
            In piedi di fianco all’auto storica, l’affascinante medico legale Kazue stava segnando i parametri della vittima, mentre lanciava occhiate curiose a Ryo e Maki, che Saeko, in versione impassibile, stava letteralmente bruciando vivi: il suo sguardo di fuoco non sembrava lasciare loro scampo, la pietà, in quel momento, non era nelle sue corde.
“Giusto per capire, cosa diavolo ci facevate voi due insieme a Suzuki Ado, a meno di una settimana dall’ultima udienza del suo processo?” sibilò la bella poliziotta. Aria marziale, sembrava voler indirizzare le sue ire principalmente su Maki, che rispondeva nel medesimo modo: sguardo tagliente  e lingua aguzza. Ryo fece un mezzo passo all’indietro, nella speranza di divincolarsi e sparire, certo che, presi da quelle loro baruffe romantiche, i due non se ne sarebbero nemmeno resi conto, ma nel momento in cui Saeko gli ringhiò contro come un mastino, nonostante il soprannome di Pantera, si fermò all’istante, decidendo che, tutto sommato, rischiare la sorte non gli sarebbe dispiaciuto.
“Processo? Che processo?” Ryo Sbattè le ciglia, grattandosi il capo come un ragazzino ingenuo, facendo finta di cadere dalle nubi; si portò un dito al mento, come per meglio concentrarsi, ma di nuovo lei lo gelò all’istante, facendolo sentire in colpa per aver finto di non essere a conoscenza di quella vitale informazione, quel tassello di cui tutto il dipartimento parlava. “Ah, sì, Suzuki Ado, era quello che ha rubato i fondi della sua ditta…”
“Fondi???” Saeko sbottò, battendo una scarpa col tacco sul pavimento incatramato del posteggio. “Quell’uomo ha svuotato i conti della sua azienda, rubato il fondo pensione integrativo, il TFR, non ha mai pagato un solo centesimo di cassa pensione…” Saeko sbuffò, abbassando moscia il capo, già immaginandosi le ore di straordinario e i fogli che avrebbe dovuto compilare per togliere quei due dai guai. La cosa che più la preoccupava, però, era sapere che stavolta Maki sembrava esserci dentro fino al collo, e peggio, le sembrava di aver inteso che era stato il suo “ex” a scatenare quel putiferio, e la cosa…
La addolorava. La preoccupava.
Maki era sempre stato quello con la testa sulle spalle; tra lui e Ryo, era il secondo il combina guaì, quello che era un miracolo se era ancora vivo, ed in servizio- e tutto per merito di Makimura, ma dall’ultima volta che si erano lasciati, per l’ennesima volta, sembrava che qualcosa si fosse rotto nel suo caro amico ed ex amante: era come se Hideyuki si fosse sentito vecchio, stanco, stufo ed arrabbiato, tutto insieme, all’improvviso.
La donna lanciò un’occhiata triste e compassionevole al suo (ex) uomo, che distolse lo sguardo, quasi volesse addossare a lei delle colpe; decisa e determinata, Saeko si voltò verso Kaori, che stava parlando con Reika e con Kazue.
“Reika, Ado aveva moglie e figlia, notifica il decesso. Kaori, molti degli ex dipendenti della ditta di Ado gli avevano fatto causa presso il tribunale civile. Controlla che nessuno di loro abbia precedenti per reati contro la persona, e dopo che Reika ha fatto la notifica, vedi di scoprire se la nostra vittima avesse ricevuto minacce.”
Kaori emise un flebile gemito di disperazione: aveva seguito il caso attraverso la stampa, e ricordava che si parlava di 700 soggetti che avevano fatto causa… quindi, minimo 700 sospettati. Non sarebbe mai tornata a casa, altro che passare la serata con il suo fidanzato ad organizzare il matrimonio!
E la colpa era, ancora una volta, di un casino combinato da Ryo in cui, come al solito, era stato trascinato anche Hide… Sembrava quasi che quei due complottassero per impedirle di arrivare all’altare, e la cosa iniziava a non divertirla più, nemmeno un po’.
Kaori diede loro le spalle, allontanandosi con Reika digrignando i denti e mugugnando parole intellegibili nel maggiore dei casi, e nel restante parole che non potevano essere riportate, e che mai e poi avrebbero dovuto lasciare le labbra di una vera signora.
“E adesso veniamo a noi…” Saeko sbuffò, una volta che le colleghe si erano allontanate; prese da parte i due uomini, sistemandosi con loro in una zona d’ombra, tranquilla, dove difficilmente sarebbero stati disturbati, e alzò gli occhi al cielo sospirando. “Cosa stavate facendo qui?”
“Beh, ecco…” Ryo iniziò a balbettare, alla disperata ricerca delle parole, di una scusa che non gli avrebbe fatto passare troppi guai. Stranamente, però, Maki, diversamente dal suo solito, prese l’iniziativa, e sporse al capo la fotografia che vedeva Ryo in posa con mandato e Ado.
“Arrotondiamo lo stipendio. “ Si limitò a rispondere, senza mai distogliere lo sguardo dalla donna, fuoco nel fuoco. “Serviva qualcuno che consegnasse un mandato per conto di uno degli avvocati della parte civile e io mi sono offerto. E comunque, un giorno potrei decidere di fare l’investigatore privato a tempo pieno, questa sarebbe una solida base da cui partire.”
“Solo alcuni dei più alti membri delle forze dell’ordine sapevano che Ado era rintanato qui,” Saeko disse a voce bassa, lentamente, distogliendo lo sguardo dall’uomo che ancora amava, cercando di non far trasparire il duro colpo che le sue parole le avevano inferto, e decise di cambiare discorso. “Come l’avete trovato?”
“Informatori, Saeko…non è poi così difficile se sai a chi chiedere…. E poi Ado era noto. Non era certo il tipo che passava inosservato.” Maki le rispose, sistemandosi con una nonchalance che era lungi dal provare gli occhiali. “Qualcuno deve averlo riconosciuto e deve aver sparso la voce in giro. Quindi puoi stare tranquilla, non siamo stati noi a far ammazzare Ado, né abbiamo utilizzato risorse ufficiali per rintracciarlo.”
“Beh, ci sarebbe mancato solo quello, già siete nei casini così…” Kazue intervenne, raggiungendoli con passo deciso. Aveva in viso la sua solita espressione determinata, quella da donna che non permetteva a fatti privati di inferire sulla sua ferrea etica lavorativa. Con cipiglio deciso, sollevò una pinzetta, simile a quelle delle sopracciglia, e mostrò agli agenti quello che appariva essere un baffo posticcio dello stesso colore di quello di Ado. “Ha anche un parrucchino e lenti a contatto.”
“Cosa?” Saeko sbattè le ciglia, guardò il baffo, poi si avvicinò al cadavere per studiarlo attentamente, infine gettò un’occhiata alla foto che Maki le aveva dato; lei stessa aveva lavorato alla sicurezza di Ado, quindi sapeva che doveva trattarsi di lui… eppure… eppure, era così: nonostante l’incredibile somiglianza, non si trattava del loro uomo, ma di qualcun altro… e senza quei travestimenti, la cosa era ben chiara.
Ryo chinò il capo, abbattuto, affranto, avvertendo la delusione montargli dentro: nemmeno questa l’aveva fatta giusta, era riuscito a fare un casino anche per una cosa semplicissima. 
 
            “Allora, le forze dell’ordine hanno accompagnato Ado in Hotel appena uscito dal tribunale, quindi abbiamo la certezza che era lui in quel momento. “ Reika spiegò, seduta alla scrivania nella grande sala che accoglieva la loro unità. “Le telecamere di sorveglianza ci dicono che c’era qualcuno di somigliante a Ado ieri pomeriggio sul balcone, ma è difficile capire se fosse lui o l’attorucolo…”
“E di lui, cosa sappiamo?” Saeko domandò, a braccia incrociate, voltandosi verso Kaori; Ryo e Maki erano in un angolo, ad ascoltare senza la possibilità di parlare, sentendosi colpevole e vergognandosi l’uno, indisponente e cocciuto l’altro.
“Kudo Senso, di anni cinquantasei. Attore e truffatore a tempo perso.” Kaori appese alla lavagna un'istantanea, presa forse da internet, o un ingrandimento della carta di identità; l’uomo che vi era ritratto era simile ad Ado, decisamente somigliante nei lineamenti, ed era evidente come, con qualche espediente, fosse  potuto passare per lui: era bastato che cambiasse colore degli occhi e dei capelli, ed aggiungesse un paio di baffi. “Le pallottole che lo hanno ucciso sono compatibili con quelle di una Glock 17, non ho trovato riscontri nel database… non mi meraviglierei se qualche americano della base navale l’avesse venduta denunciandone lo smarrimento, conscio che sarebbe apparso solo nel registro statunitense e non nel nostro.”
“La vera domanda è, chi era la vittima, lui o Ado?” Ryo intervenne scendendo dalla scrivania su cui era seduto e raggiungendo la lavagna.
“Cosa vuoi dire?” Saeko gli domandò, alzando un sopracciglio, non con tono rancoroso e dubitevole, ma aperto e disponibile- fiera dell’apporto alle indagini dei suoi uomini.
“Beh, se Ado era l’obbiettivo, abbiamo quasi mille sospetti tra cui indagare, ma se l'obiettivo fosse stato Senso…” Ryo fece un sorrisetto. “Potrebbe benissimo essere stato Ado ad ucciderlo, per far sparire le sue tracce, far credere a tutti di essere morto e godersi i soldi.”
“Quindi in questo caso qualcosa potrebbe essere andato storto…” Maki si massaggiò il mento. Sembrava leggermente più rilassato, quasi più dolce, ma c’era qualcosa in lui che indicava quanto ancora si sentisse fuori luogo, non fosse a suo agio, anche se nemmeno chi lo conosceva bene era in grado di dire se fosse una questione di lavoro… o di cuore. “Forse la nostra presenza lo ha agitato? Probabilmente aveva in mente di fare qualcosa per cui avremmo pensato che si trattasse di Ado senza tuttavia usare DNA o le impronte dentali… o forse voleva soltanto guadagnare tempo. L’assassinio di questo tizio distoglie l’attenzione dal suo caso e lui ne approfitta per lasciare il paese e scappare in qualche nazione senza estradizione, magari un paradiso fiscale, facendo fessi tutti quanti.”
“Io intanto ho fatto venire l’avvocato che aveva contattato i nostri e la vedova e la figlia...” Reika aggiunse con un sorrisetto, indicando i due uomini con fare malizioso. “Ho fatto andare in sala interrogatori uno lui mentre le signore sono nella due…. ci pensiamo noi due insieme, sorellina, a farli cantare?”
“No,” Saeko le rispose, volgendosi verso il corridoio. “Ci pensiamo Hideyuki ed io a parlare con l’avvocato, voglio proprio sentire cosa ci dirà… le due signore, invece, lasciamole stare ancora un po’ lì da sole, voglio che si sentano nervose e sotto pressione, se sanno qualcosa potrebbero anche tradirsi!.”
Mani in tasca dei pantaloni di tessuto scuro, Hide la seguì, senza tuttavia proferire parola; i due entrarono nella stanza con il falso, enorme specchio, dove li attendeva l’avvocato, una vecchia conoscenza di Maki e Ryo; non proprio un amico, ma un tizio che bazzicava i loro stessi posti, e con cui avevano stretto una specie di legame cameristico: Mamoko Rensuke.
“Mamoko…” Maki lo chiamò, sedendosi davanti a lui al tavolo, sistemandosi gli occhiali. “Vorremmo chiacchierare con te del signor Ado…”
“Di Ado? E di cosa vorresti parlare? Sono rovinato!” L’uomo piagnucolò, mettendosi le mani nei capelli ingrigiti e crespi; aveva un’aria trasandata, che sembrava gridare che fosse solo un avvocato da quattro soldi, di quelli che finivano spesso e volentieri per perdere le cause e prenderle dai clienti. Maki ricordava che Ryo una volta gli aveva parlato di tipi del genere, dicendo che lavoravano raccogliendo i dolori delle disgrazie altrui: a Ryo gli avvocati non erano mai piaciuti, ma quel tipo di avvocati, ancora di meno, era solito dire di loro che rincorrevano le ambulanze alla ricerca di feriti e morti... “Proprio adesso che stavamo vedendo la luce alla fine del tunnel!”
“Mi dica, potrebbe fornire un alibi per ieri sera? Diciamo...le nove?” Saeko gli domandò; si era seduta davanti a lui, composta ed elegante nel suo abito color pervinca. Aveva un’aria quasi angelica, rassicurante, studiata per mettere a suo agio le persone che le stavano intorno, specie chi desiderava interrogare.
“Beh, ero dove sono tutte le sere alle nove…” L’uomo sospirò, grattandosi il capo. “Alla mia scrivania, stavo studiando il caso. L’avvocato di Ado aveva presentato tutta una serie di mozioni e volevo capire come  rispondere…”
“Capisco…” la donna giunse le mani, guardando davanti a sé. “E mi dica, da grande conoscitore del caso… ha idea di chi potrebbe aver voluto uccidere Ado?”
“Ha l’elenco telefonico delle prefettura di Tokyo?” le domandò ridendo, incrociando le braccia. “Persino sua moglie e sua figlia gli stavano facendo causa!”
I due alzarono contemporaneamente un sopracciglio, guardandomi negli occhi, la loro intesa chiara. Saeko si alzò, e andò nella stanza accanto, preferendo però come secondo Ryo; uomo dall’indubbio fascino, sapeva far andare in tilt i cervelli delle donne più sagge e mature, e sarebbe potuto essere utile per destabilizzare le donne.
“Signore, sono Saeko Nogami, dirigo questa unità, e questo è uno dei detective incaricati del caso, Ryo Saeba…” Ryo, conscio del gioco dell’amica, si sedette sul tavolo, gambe che ciondolavano, guardando in viso le due donne: era lampante che la signora Ado non fosse la prima moglie, perché le due dovevano essere coetanee; ma dove la figlia del ladro era semplice, la sua vedova era un concentrato di silicone e firme.
“Piacere di Conoscerla, io sono Ana Ado, la quarta moglie di Suzu, questa invece è nostra figlia, Keiko.”
“Io non sono tua figlia, Ana, dannazione, brutta oca, andavamo a scuola insieme!” Keiko alzò gli occhi al cielo, e dopo la sfuriata sospirò. “Io sono nata dal primo matrimonio di mio padre, e prima che me lo chiediate voi, mia madre vive in America, non torna in Giappone da anni ormai. Dove siano le moglie numero due e tre, non chiedetemelo, non sono solita stare dietro alle donne di quel grosso dongiovanni da strapazzo!”
“E mi dica, signora Ado…” Ryo le domandò, chino verso la consorte dell’uomo, cercando di manipolarla con il suo fascino, la voce suadente, bassa. Ado non era certo sexy, ed c’era da scommetterci che una come Ana amasse più il suo portafogli che lui: facilmente la fatalona se la faceva con qualcuno di aitante (e scroccone) alle spalle del marito, e questo la rendeva facilmente manipolabile con un bel viso e qualche moina – ed in questo, Ryo era perfetto. “Quando ha visto suo marito l’ultima volta?”
“Tre giorni fa...abbiamo avuto un bruttissimo litigio, io, io gli ho detto che alla sua salute potevo pensare io, e che non ci serviva più un personal trainer… e lui se n’è andato sbattendo la porta… io… io ho sentito dentro di me che stavolta non sarebbe stata come le altre e che pucci-pucci non sarebbe tornato da me, ma… ma non pensavo sarebbe morto…. Che non lo avrei rivisto mai più…”
Dopo aver proferito queste parole, la donna scoppiò in un pianto isterico; le lacrime le lasciavano gli occhi chiari, e prese a soffiare rumorosamente il naso con un delicato fazzoletto di sangallo bianco che aveva nella minuscola borsetta; Keiko, invece, alzò gli occhi al cielo, borbottando.
“Chiedo scusa, ma invece di ascoltare questa lagna potremmo parlare di cose serie? Come il certificato di morte di mio padre? Devo sistemare le questioni dell’eredità, preparare il suo funerale, tutto quanto!”
Il telefono di Ryo squillò, e l’uomo si allontanò discretamente per rispondere; in un angolo della sala interrogatori, appoggiato con la schiena contro il muro, il volto girato verso la bella vedova che lo stava mangiando con gli occhi, rispose a monosillabi, prima di uscire senza dire nulla… e soprattutto, senza dare spiegazioni al suo capo.
 
            “Sai Ryo, mi ricordavo che quando eravamo all’accademia tu mi facevi il filo… ma non credevo che saresti arrivato al punto di invitarmi in albergo!”
Nella struttura fatiscente, un love hotel per coppie clandestine, Ryo aprì la porta al capo, spalancandola, e le fece segno di entrare; in piedi in un angolo, la schiena contro il muro, un vecchietto dall’aria dimessa, probabilmente uno dei barboni di cui Ryo si serviva come informatori, stava stropicciando un vecchio cappello di stoffa che aveva visto giorni migliori, mentre seduto sul letto c’era Ado.
“Vedo che Maki aveva ragione sui tuoi informatori..” la donna gli disse, con una risata secca e rapida, prima di incedere come una letale pantera nel minuscolo locale, verso l’uomo che tutti credevano morto; si mise davanti a lui, mani ai fianchi, decisa e determinata. “Signor Ado, ho delle domande per lei.”
“Io non rispondo a nulla” L’uomo rispose, secco. “Io non sono un criminale! Io sono vittima di un errore finanziario! Prendetevela col mio commercialista!”
“Beh, certo, lei dice di essere vittima di un errore, ma secondo me…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato; mani in tasca, scostò leggermente il tessuto della giacca lasciando che si intravedesse la fondina, facendolo apparire quasi come un gesto svogliato o non voluto. “Lei ha ucciso quell’attore. Cos’è, sperava che ce ne saremmo accorti quando lei era già ai Caraibi?”
“Caracas,” L’uomo grugnì, sollevando gli occhi al cielo, quasi fosse esasperato. “Volevo scappare in Venezuela con la mia amante.”
“La sua amante?!” Saeko si stupì, mentre Ryo scoppiò a ridere. “Cosa se ne fa di un’amante che ha una moglie che avrà vent’anni?”
“Trentuno,” Lui rispose piccato, quasi lei lo avesse offeso, sentendosi indignato e colpito nella sua virilità. “Mia moglie ha trentun anni, mentre la mia amante ventidue… Ana aveva insistito tanto per assumerla, sa, era un’atleta della nazionale Olimpica Venezuelana di Ginnastica artistica!”
“Signor Ado!” Saeko sibilò a denti stretti, sbattendo i piedi e chiudendo i pugni. Incombeva su di lui come un minaccia, creatura di puro terrore e rabbia che sentiva il bisogno di sfogarsi su qualcuno… preferibilmente maschio, dato che era un maschio che le stava mandando messaggi contrastanti e la stava facendo andare su tutte le furie. “Le do due minuti d’orologio per convincermi che la vera vittima di questo crimine doveva essere lei… perciò smetta di dire fesserie e mi dica subito chi poteva volerla morta!”
“Mia moglie che era incazzata che mi ero fatto l’amante, mia figlia che era incazzata che mi facevo una sua ex compagna di scuola e una più giovane di lei e che ero ritenuto un criminale, le mie tre ex mogli, tutti gli oltre settecento tizi che mi hanno fatto causa, i loro avvocati, i loro amici e le loro famiglie, tutti quelli che ci avevano rimesso ma non mi hanno fatto causa perché non se lo potevano permettere, il mio allibratore a cui dovevo dei soldi, dei tizi poco raccomandabili della Yakuza che non volevano ridarmi i soldi che gli avevo prestato… mezzo Giappone, in pratica.”
“Saeko cara, credo che potrebbe essere arrivato il momento di far tornare in vita il nostro signor Ado, anche perché inizio a pensare che forse abbiamo guardato a questa cosa nel modo sbagliato, e che lui potrebbe effettivamente essere innocente…” Ryo si voltò verso di lei, sorridendole sornione prima di volgere lo sguardo verso l’uomo; rideva, il sorriso malevolo, ma stranamente e crudelmente soddisfatto. “Ed intanto signor Ado lei è in arresto per sostituzione di persona e compravendita di documenti contraffatti, e chissà che non riusciamo a far aggiungere anche qualcosa d’altro, eh? Ih, ih, ih!”
 
            Nella sala interrogatori uno, la “vedova” Ado, la figlia di quest'ultimo e Rensuke era seduti l’uno accanto all’altro; tesi, si scambiavano occhiate furtive, certi che nessuno se ne accorgesse; Saeko li guardava con un sopracciglio alzato, mentre Ryo se la stava ridendo sotto i baffi. Era seduto a cavallo di una sedia, le braccia incrociate sul tavolo di ferro, e si stava godendo con malcelata soddisfazione quello spettacolo un po’ grottesco, ed un po’ penoso.
“Allora…. siamo a conoscenza che lei sapeva dove si trovava suo marito….” Ryo disse alla signora Ado, prima di voltarsi verso l’avvocato, indicandolo con l’indice destro. “E un uccellino mi ha detto che lei ha una Glock, non registrata, dello stesso calibro di quella usata per uccidere la nostra vittima…. e per quello che riguarda te, bella signorina, sulla tua macchina abbiamo trovato tracce di sangue della vittima… io direi che dopo che la signorina Ado è venuta da lei per parlare della causa vi siete messi tutti d’accordo, ognuno fornendo un pezzo del piano… peccato che non sapevate che Ado avesse scritturato quell’attore per fingere di essere lui e guadagnare tempo.. che lui morisse non aveva faceva parte del piano originale, vero? Era ad Ado che voi puntavate!”
“Sì, però non abbiamo ucciso mio marito...quello era un attore!” La procace Ana rispose con voce melliflua, sbattendo le ciglia e mettendo il petto in fuori, un gesto che fece grugnire la figliastra che sbattè la borsetta sul tavolo con un tonfo deciso: voleva solo andarsene, a quel punto, anche le manette erano meglio di starsene con quella sciocca oca.
“Sì,  noi non abbiamo mai avuto intenzione di uccidere l’altro uomo,” L’avvocato rispose, tronfio e sicuro di sé; fu il turno di Ryo di guardare sconcertato i tre occupanti di quel tavolo: non era solo la moglie, tutti e tre erano senza cervello; forse, a salvarsi, era solo la figlia di Ado, che sembrava sconcertata lei stesa dalla stupidità di chi le stava intorno.
“Guardi che non conta, se pianifica un omicidio e uccide la persona sbagliata, sempre omicidio è!”
“Ah, davvero?” L’avvocato sbatté le palpebre, incredulo, mentre le donne si mordicchiavano l’una un’unghia, l’altra alzava gli occhi al cielo. “Ehm… ne siete sicuri?”
“Rensuke, ma davvero hai studiato diritto?” Ryo gli domandò, e l’uomo abbassò il capo, mormorando le parole Università on-line dei Caraibi Orientali a mezza voce, probabilmente vergognandosi, quasi certamente a ragione. Ryo prese un sospiro, alzando gli occhi al cielo, le mani incrociate dietro alla nuca. “Allora… direi che qui abbiamo due delle tre ragioni per cui si uccide un uomo… gelosia, denaro e vendetta… o ci sono tutte e tre?”
Squadrò le tre persone: sì, era così. Doveva esserlo per forza.
La moglie aveva ucciso per gelosia, perché lui la stava lasciando per un modello più recente.
La figlia, per vendetta: il padre aveva abbandonato la madre, che ora viveva in povertà e rifiutava di incontrare la figlia, troppo orgogliosa.
L’avvocato aveva ucciso per denaro, perché convinto che così sarebbe stato più facile ottenere i soldi per i suoi clienti.
“Siete tutti in arresto…” Saeko sospirò, sistemandosi con un gesto una ciocca di capelli prima di lasciare la stanza; ringraziando tutti i suoi uomini, andò nel suo ufficio, avvolto nelle tenebre, e fu sorpresa di trovarvi Maki seduto sul divano. Al buio, guardava fuori dalla finestra, bevendo una birra dalla bottiglia – cosa insolita per lui.
Sussultando, la poliziotta accese una luce, e  si voltò verso di lui, raggiungendolo con passi lenti e cadenzati. “Maki! Cosa ci fai qui? Credevo fossimo rimasti solo più Ryo ed io…”
“Volevo chiederti scusa…” le disse con voce bassa. Si alzò, andando a posare la bottiglia sulla scrivania della donna, e si tolse gli occhiali. Appoggiato al tavolo, guardava Saeko, con aria triste, parendo molto più vecchio dei suoi effettivi anni. “Non mi sono comportato bene con te ultimamente. Ho lasciato che i miei sentimenti personali oscurassero la mia ragione e mi sono… sono stato scorretto. Con gli altri, ma soprattutto con te. Non… non sono stato professionale. Un buon poliziotto.”
“Maki, no!” La donna gli disse, correndogli incontro. Si gettò nelle sue braccia, battendo delicata i pugni sulla camicia dell’uomo: piangeva, mentre lo faceva. “Sono io che ho sbagliato. Tu… avevi ragione. Hai ragione. Avrei dovuto essere onesta con tutti...con mio padre, tutta la mia famiglia, e… e con te, soprattutto. Ti criticavo tanto perché da giovani mettevi Kaori prima di noi, e adesso che invece mi volevi mettere davanti a tutto il resto, sono io che ti ho delusa.”
“No, Saeko, non dire così…” le poggiò le mani sulla spalle, delicato, mentre con il dorso della mano la donna si cancellava le lacrime. “Io ti avevo chiesto tempo allora, avrei dovuto darlo a te adesso… solo che… ero stufo di aspettare, e venire sempre per secondo. Per una volta, volevo essere al primo posto per te.”
“Non è stato solo questo. Quando te ne sei uscito con la storia che mio padre non fosse un buon poliziotto e fosse stato messo al suo posto solo perché è un po’… un po’ manipolabile, ecco, io mi sono arrabbiata, credevo che parlassi a sproposito. Ma… ma Yuka mi ha detto cosa è successo, cosa tu e Ryo avete fatto per lui, e forse…” la donna scoppiò in una timida risata che le arrossì le gote, nascondendo la cosa dietro le dita delicate di una mano. “Forse tutti i torti non li hai!”
Hideyuki arrossì anche lui, un po’ in imbarazzo, e si grattò il collo. Allentò il nodo della cravatta, iniziando a boccheggiare, quasi fosse alla ricerca delle parole giuste da usare, ma la compagna di tanti anni scosse il capo, fermandolo: toccava a lei questa discussione.
“Maki lasciami finire, per favore!” La donna lo pregò; posò i palmi sulle mani dell’uomo, e tra le lacrime gli sorrise, guardandolo dritto in quegli occhi profondi. “Maki, ormai non siamo più due ragazzini, e credo che abbiamo sprecato fin troppo tempo. Quindi.. ecco… ciò che voglio dirti è…” si morse le labbra, quasi alla ricerca delle parole giuste. Hideyuki le strinse le dita, e le sorrise, facendole un cenno col capo, dandole il permesso, e l’incoraggiamento, per andare avanti. “Hideyuki, mi vuoi sposare?”
Con un sorriso radioso, lui si chinò a baciarla: Saeko non aveva bisogno di ulteriori risposte, quel gesto, e come lo aveva fatto, parlava per lui più di tanti discorsi, quel dolce, lento bacio languido esprimeva tutto ciò che entrambi nutrivano l’uno per l’altra, e che finalmente erano pronti a mostrare al mondo intero.
Era giunto per entrambi il momento di smettere di scappare, e di vivere appieno il loro amore.
 
Quando Kaori arrivò al Cat’s Eye Cafè, dopo che Hide l’aveva chiamata per darle la notizia che lui e la compagna avevano deciso di fare finalmente il grande passo,  vide che amici e colleghi erano quasi tutti a circondare la coppietta innamorata che, leggermente imbarazzata, si tenevano ora per mano, ora si stringevano l’un l’altra, scambiandosi dolci sguardi carichi d’amore. Saeko sembrava perfino più serena – più umana, vera, qualcuno avrebbe potuto dire. I capelli erano meno impeccabili del solito, c’era qualche piega nella camicetta immacolata, e si permetteva di apparire quasi stanca.
Kaori lanciò un sorriso alla donna che presto o tardi sarebbe divenuta sua cognata: finalmente, Saeko si permetteva di apparire per chi voleva essere veramente, una donna comune, come le altre. Una donna innamorata.
Tuttavia, una cosa stupiva Kaori: Ryo, la cui Mini era parcheggiata in bella vista davanti al locale,  non era con Hide e Saeko. Certo, lui era, come noto, allergico ai matrimoni, ma possibile che avesse rinunciato all’opportunità di bere a sbafo?  Prese a guardarsi intorno, finché, in un angolo oscuro, rintanato da solo ad un tavolo in fondo al locale, non lo vide; stava sorseggiando un liquido da un bicchiere – che tipo di superalcolico fosse, Kaori non lo sapeva dire con certezza - e aveva davanti a sé parecchi bicchieri vuoti e una bottiglia trasparente sul cui fondo rimaneva ben poco.
Scuotendo leggermente il capo, Kaori si fece forza e lo raggiunse; sapeva bene quanto Ryo fosse sempre stato restio tanto a chiedere aiuto quanto ad accettarlo, ma lei era sempre stata caparbia e testarda, e non aveva mai accettato un no come risposta - e non aveva la benché minima intenzione di farlo adesso.
“Ehi, cretino, dammi le chiavi della macchina!” esordì senza troppi preamboli, le mani ai fianchi, col tono da maestrina. Ryo si limitò a sbuffare, e guardare altrove, nella speranza che Kaori sparisse o smettesse di prestargli attenzione. “Andiamo, Ryo, dammi le chiavi, sei più sbronzo di una spugna, non puoi andare a casa in questo stato!”
“Guarda che un taxi me lo so chiamare pure io, sai! Non c’è mica bisogno di essere sobrio, per quello… e poi, peggiore dei casi, lo fa Umi per me!” biascicò lui, seccato, voltandosi così velocemente verso la sua ex che avvertì un leggero capogiro e le vertebre scricchiolare. “E poi, cosa ti impicci sempre? Mica stiamo più insieme, no? Valla a fare al tuo fidanzatino la morale… oppure lui è così perfetto che non ha mai alzato il gomito una sola volta da quando state insieme, eh? Scommetto che mister perfezione bionda è pure astemio!”
Kaori sollevò un sopracciglio: ed ecco che Ryo iniziava a sputare sentenze, e dire cosa veramente pensava, mostrare i suoi reali sentimenti. Era sempre stata una sua caratteristica: se Kaori aveva la sbornia allegra, lui aveva quella triste – ma soprattutto onesta.
“Non sarò più la tua ragazza, ma sono sempre tu amica, Ryo - e tua collega.” Gli rispose con un sorriso che era sì dolce, ma aveva un qualcosa di malinconico. Gli mise le mani intorno ad uno dei bicipiti d’acciaio, e lo strattonò, cercando di sollevarlo a forza. “Dai, ti accompagno a prendere un po’ d’aria fresca e nel frattempo aspettiamo un taxi insieme, va bene?”
Controvoglia, l’uomo accettò, perché, nonostante il penoso stato in cui si trovava, sapeva che Kaori non avrebbe desistito fino a che non avesse ottenuto quello che voleva; uscirono dal locale, con lei che salutò gli amici e mandò un bacio al fratello- e Saeko che, imbarazzandola, le faceva l’occhiolino- sorreggendo con il suo solo apparentemente fragile corpo Ryo. Si allontanarono di qualche metro dall’entrata, alla ricerca di maggiore tranquillità, e si appoggiarono entrambi con la schiena contro una parete di solidi mattoni rossi, fingendo di non rubarsi occhiate piene di significato, le loro menti avvolte dai ricordi di tutte le volte che lei o Maki lo avevano raccattato in strada, troppo sbronzo per tornarsene a casa sui suoi piedi.
“Tutto bene?” Gli domandò lei, titubante, dopo un silenzio che era parso quasi interminabile. Ryo aveva il capo rivolto verso l’alto, la brezza della sera che gli accarezzava il viso, che gli scompigliava i già ribelli capelli, e accennò un sorriso di assenso, mugugnando qualcosa. Poi, si voltò verso di lei, e lentamente la guardò, studiandola con un’espressione di meraviglia quasi la stesse vedendo per la prima volta. Si scostò dalla parte e, con le mani nelle tasche dei jeans, si mise davanti a Kaori, cercando i suoi occhi.
“Sai a cosa sto pensando?” Le domandò, e lei, arrossendo, fece cenno di no col capo – una reazione che fece divenire ancora più grande il sorriso di Ryo, che aveva la netta impressione che la stessa cosa stesse passando per le loro menti. “Alla prima volta che ci siamo baciati… anzi… alla prima volta che tu mi hai baciato.”
“Guarda che non ci posso fare niente se hai litigato con Hide. Lo sai che lui è più cocciuto di te!” Kaori, vestita nella sua divisa scolastica, nelle mani la cartella di cuoio marrone, camminava per la stradina del parco cittadino, mentre le foglie, i cui colori andavano dal giallo al rosso più acceso, volavano nel vento come quasi in una favola. Ryo era andato ad attenderla fuori scuola, nella speranza di cavarle qualche informazione su cosa avesse reso così suscettibile Hideyuki, con cui aveva avuto un litigio che era quasi scaturito in una rissa vera e propria, ma la diciassettenne ne sapeva quanto lui. “E comunque, tendo a credere che sia colpa tua se avete litigato!”
“Ma come sei simpatica!” Ryo sbuffò. Ridendo, Kaori fece uno scatto per superare quell’uomo che le appariva quasi come un gigante, nel suo oltre metro e novanta, ma non vide, nel terreno, una radice che spuntava… si inciampò, e perdendo l’equilibrio cadde Ryo che, colto alla sprovvista, rovinò a terra, con Kaori sopra di lui, e le labbra della ragazza a sfiorare, seppur involontariamente, le sue…
“Non l’avevo fatto apposta…” lei gli rispose, volgendo il capo di lato e mordendosi il labbro. “Mi ero inciampata!”
Un braccio appoggiato al muro, a fianco dei ricci rossi, con un sorriso luminoso Ryo si chinò su di lei, per assaporare ancora una volta quelle labbra, certo che Kaori avrebbe ricambiato il bacio- che nel profondo lo amasse ancora, non avesse mai smesso.
Lei dischiuse le labbra con un gemito, accettando quel sensuale attacco, nella sua mente ricordava ogni bacio, ogni carezza, tutti i bei momenti passati con Ryo… le risate, gli abbracci, com’era bello stare insieme, felici, spensierati, giovani… e poi, ricordò anche altro, il resto.
Per quanto fosse sempre stato tenero a volte, appassionato altre, dedito sempre, soprattutto tra le lenzuola, non le aveva mai detto di amarla.
Non era stato in grado di dire quel sì alle loro nozze.
Non l’aveva fermata quando era partita.
E ora, lei portava al dito l’anello di un altro, che pesava come un’incudine sulla sua mano, bruciava come un marchio a fuoco vivo.
“Sei ubriaco, Ryo, è l’alcool che parla…” Kaori appoggiò i palmi sul petto virile, e spinse con quanta forza aveva in corpo, allontanandolo da sé. Sentiva montare dentro di sé una profonda rabbia feroce, anche se non era certa contro chi fosse indirizzata: Ryo, se stessa, Shinji, la vita, il destino…. “Ryo, è troppo tardi adesso… Io sto con un altro! Sono fidanzata, sto per sposarmi!”
“Non potrà mai essere troppo tardi per noi, Kaori, e poi… poi, i fidanzamenti possono rompersi!” le rispose sibillino, ma lei scosse il capo. Si mordeva le labbra, rattristata, delusa, non sapeva se da lui o se dal fatto che, nonostante tutto, una parte di lei desiderava ardentemente cedere a Ryo e alle sue avances. Lo desiderava ancora, nonostante ricordasse le concenti delusioni più volte provate nel corso della loro altalenante relazione. “E poi… poi, lo so perché volevi vendere l’anello, sai? Avevi paura di essere tentata di rimettertelo al dito… e che avresti finito per non toglierlo più…hai paura di voler tornare da me,  perché lo sai che siamo fatti l’uno per l’altra!”
“Questo lo dici tu!” La donna lo attaccò, sentendosi punta nel profondo, colta in fallo. “E sentiamo, per cosa dovrei lasciare Shinji? Per farci una scopata in nome dei vecchi tempi?” Gli rispose, con voce sibilante, le lacrime che le bruciavano gli occhi, pronta a dirgli finalmente tutto quello che in quei mesi, in quell’ultimo anno, si era così disperatamente tenuta dentro per non mandare a monte tutto- per poterlo avere almeno ancora come amico e collega, e per non rovinare il rapporto di Ryo e Hide. “Ryo, io voglio farmi una famiglia, essere madre…. e tu? Tutte le volte che parlavamo di matrimonio o famiglia cambiavi discorso, dicevi vedremo… l’unico motivo per cui mi hai chiesto di sposarti è perché era quello che ti dicevano tutti di fare! Giuro,  a volte sembrava che tu volessi solo qualcuna da portarti  a letto e che ti tenesse a posto la casa!”
“Ma… ma non è vero, Kaori, adesso non esagerare!” Provò a difendersi lui – tuttavia, senza troppa convinzione: Ryo, dopotutto, sapeva che  alcune  delle cose che Kaori stava dicendo erano vere.
“Ryo, prima che venissi da te casa tua era un porcile con tutti scatolini chiusi in giro, nonostante tu vivessi in quell’appartamento da anni, e quando ti chiedevo di dare una mano, tu avevi sempre qualcosa da fare in giro, e sparivi! Io mi arrabbiavo ma ti preparavo cena lo stesso, tu tornavi mezzo ubriaco dai tuoi giri, ti mangiavi la cena scaldata poi tornavi dalla cretina che ti aveva aspettata sveglia a letto, mi facevi due moine, e io come una scema credevo a tutte le panzane che mi dicevi!” Gli sibilò contro, con una voce sì arrabbiata, ma stranamente controllata: sembrava quasi che si stesse, finalmente, liberando di un peso.
“E a parte che se mi volevi tanto indietro avresti potuto benissimo prenderti la briga di aprire quella tua dannata boccaccia quando ti ho lasciato, o quando sono partita, o mentre ero via, ma invece no, il signorino lo fa adesso…” Kaori continuò, parlando con tale velocità che Ryo, anche avesse voluto, non sarebbe riuscito a fermarla. “Lo sai cosa succede, se adesso accetto di venire con te, lo sai, eh, eh? Te lo dico io! Che torneremo insieme, ma tutte le volte che io proverò a intavolare il discorso nozze o figli tu svicolerai, e tra dieci anni io sarò ancora lì a tavola ad aspettarti che te ne torni dai tuoi giri, incazzata e sola come un cane, mentre tu scorrazzerai in giro per locali con i tuoi amichetti, facendo il cretino con tutte con la scusa del lavoro!”
“Non è vero!” Controbatté l’uomo, mettendo tanta rabbia quanto lei nelle sue parole, anche un po’ indispettito. “Lo sai che tengo a te e a tuo fratello più della mia stessa vita! Tra noi non potrebbe mai essere solo sesso… né ti tratterei come una cameriera!”
“Credi che non lo sappia che ci vuoi bene? Questo non è mai stato in dubbio!” Le parole di Kaori le uscivano come fuoco dalle labbra, una dopo l’altra, senza controllo, censure, filtri, pura onestà. “Ma io non voglio qualcuno che mi voglia solo bene, io voglio qualcuno che mi ami, che metta sempre e solo me al primo posto, che sia disposto a fare delle rinunce per me… e tu non sei in grado di farlo! La colpa non è tua… sono io che… che mi ero illusa di poterti cambiare!”
“Posso farlo!” Sbraitò lui, dando un pugno nel muro. “Voglio farlo!”
“Non è vero, Ryo, sei solo geloso e ferito e orgoglioso, tutto qui.” Gli accarezzò la guancia, con le lacrime agli occhi, lasciando poi un delicato bacio nel punto su cui aveva depositato quella carezza, delicata e leggera come una piuma. “Ma tu non mi vuoi nel modo in cui io ti voglio. Non nel modo in cui mi vuole Shinji. Non avrei mai dovuto cercare di cambiarti…premere per il matrimonio... te l’ho già detto, ho sbagliato… e mi spiace. E sono ancora più dispiaciuta se ti ho fatto credere che ci potesse ancora essere qualcosa tra di noi. Che le cose potessero tornare come prima.”
Senza aggiungere altro, si allontanò, stringendosi forte nelle sue esili braccia,  lasciando Ryo solo con i suoi rimpianti.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Episodio #6: Diamonds are a girl's best friends ***


“Allora… tutto questo casino per un’auto abbandonata?” Ryo quella mattina era di pessimo umore, e da come si comportava con tutti, anche con Hideyuki, che di solito prendeva alla leggera gli sbalzi d’umore del vecchio amico, come un toro a cui avessero appena sbandierato davanti il drappo rosso della corrida; senza farsi troppi problemi, Ryo diede un calcio alla gomma posteriore, lato guidatore, dell’elegante vettura, e guardò all’interno attraverso i finestrini abbassati di alcuni centimetri: la macchina era vuota, mancavano le chiavi, ma in compenso, cosa abbondava nell’abitacolo era spazzatura, per la precisione, cibo spazzatura:  enormi bicchieroni giganti con tanto di cannuccia, incarti panini, scatole di ristoranti cinesi e della pizza, tovaglioli unti più altre zozzerie varie di varia ed incerta natura.

“Perché è stato denunciato il furto di questo veicolo. La macchina appartiene al proprietario della Diamond International Incorporate, il cui figlio Matsuo è sparito nel nulla alcuni giorni fa…” Maki gli spiegò, con un gemito che gli uscì dalle labbra; guardò sua sorella, che prendeva le impronte sul veicolo ostinandosi a rifiutare lo sguardo di Ryo, che un attimo ringhiava, un attimo dopo invece sembrava supplicare anche solo un briciolo di attenzione da parte della ragazza nemmeno fosse stato un cagnolino abbandonato. “…dopo aver svuotato la cassaforte di papà. Diamanti acquistati negli Stati Uniti per tre milioni di dollari.”

Ryo fece un fischio, grattandosi il capo, guardando intorno all’auto alla ricerca di qualcosa, cosa non lo sapeva bene nemmeno lui, un indizio qualsiasi. “E come mai ci hanno chiamato? Non potevano pensarci quelli delle rapine?”

Senza proferire parola, Maki diede un calcetto alla porta posteriore dell’auto, che si aprì con un cigolio sinistro che non lasciava proferire nulla di buono. “Perché oltre ai diamanti scomparsi c’è anche questo,” il poliziotto di limitò a dire, mostrando il cadavere nel bagagliaio: un giovane, forse una ventina d’anni, barba sfatta, vestito con larghi abiti scuri, le occhiaie profonde, gli occhi aperti, privi di vita, che guardavano verso l’alto, quasi a supplicare qualsiasi cosa… forse una salvezza che per lui non sarebbe mai più giunta.

 

            “Matsuo Kurama, di anni 21. A diciassette anni si è chiuso nella sua stanza, ha abbassato le tapparelle e ha smesso di comunicare con il mondo. Erano mesi che i suoi stessi genitori non lo vedevano più, poggiavano il vassoio col cibo fuori dalla porta e lui, una volta certo che se n’erano andati, lo recuperava.” Saeko, nella sala riunioni dell’unità, fece scattare una serie di diapositive; la prima mostrava il giovane Matsuo prima di divenire quello che veniva definito come Hikkomori,  un ragazzo dall’apparenza non solo serena ma tranquilla, spensierata, nella sua divisa scolastica blu. La seconda mostrava invece la sede della società del padre- e fu allora che la parola passò a Maki, che si sistemò gli occhiali, seduto al tavolo rotondo.

“Venerdì il giovane ha fatto irruzione nella società del padre, utilizzando il codice di sicurezza- l’anniversario di matrimonio dei genitori- e sotto lo sguardo delle telecamere ha svuotato la cassaforte.”

“Tre milioni di dollari…” Ryo rifletté, piedi sul tavolo, braccia incrociate dietro al capo, facendo schioccare la lingua contro il palato. “Cosa sono, quasi 350 milioni di Yen? Una bella cifra…”

“A Matsuo sono serviti meno di cinque minuti per fare quello che doveva, e non sappiamo ancora il perché, o è stato così stupido da rubare tutti quei diamanti con una telecamera, oppure, ed il fatto che lo abbiamo trovato morto sembrerebbe corroborare questa ipotesi…”

“…stava lavorando con qualcuno che lo aveva convinto di avere un piano di fuga a prova di bomba. Qualcuno con cui aveva costruito un legame così forte da convincerlo ad abbandonare la vita di reclusione che si era auto-imposto.”  Con un gesto fluido, Ryo si sistemò sulla sedia in modo composto, e prese a guardare i sacchetti trasparenti, in cui le prove erano tutte conservate in modo perfetto, al limite del maniacale- uno dei tanti lati positivi di Kaori, a cui Ryo gettò uno sguardo, colmo di rimpianti. La donna si voltò verso di lui, ma sentendo quegli occhi di fuoco scrutarle dentro, voltò il capo dall’altra parte, mordendosi le labbra come per soffocare un gemito. “…e questo cos’è?”

“Una delle tante ricevute di pagamento che abbiamo trovato nella macchina, ma quella è di un fast food a Shinjuku di poche ore dopo il furto. Matsuo ha usato una carta di credito intestata alla madre. Vivendo solo più nel mondo virtuale, era così che effettuava tutte le spese.” Kaori prese la parola; si alzò con un gesto elegante, quasi felino nelle sue movenze che mise tutte quelle sue forme sinuose al centro dell’attenzione di Ryo, che sentiva sempre con maggiore forza e prepotenza il profumo della donna riempirgli le narici: non si parlavano più dal giorno del bacio, e lui era confuso… certo, lei aveva detto no, gli aveva dato tante, troppe ragioni, e se n’era andata, ma…. Ma lei aveva risposto al bacio, inizialmente, e aveva detto di nutrire ancora qualcosa per lui, e lui sapeva che era gelosa, che lui la tentava… perché si comportava in questo modo, negando ad entrambi la felicità che potevano avere, che era lì, a due passi da loro? Davvero non credeva che Ryo potesse voler cambiare?

“Abbiamo nastri di videosorveglianza?” Saeko domandò, e la sorella, Reika, rispose di sì; fu il suo turno di prendere il telecomando, facendo partire il nastro, su cui si vedevano seduti al tavolo, due ragazzi, Matsuo ed un altro, di cui però era difficile comprendere l’identità, vista la posizione e la grana dell’immagine, color seppia, sbiadita, di scarsa qualità.

“Kaori…” Saeko si voltò verso Kaori, negli occhi la forza della determinazione; il padre della vittima era un uomo potente, ricco, influente, e stavano ricevendo pressioni da chiunque, persino dal loro stesso padre, per risolvere quel caso, che mostrava come davvero i soldi potessero aprire qualunque porta. “I genitori del ragazzo ci hanno consegnato l’hardware del giovane. Potresti andare alla scientifica ed analizzarlo con i tecnici?”

La giovane dai capelli rossi annuì, e lasciò la stanza, mentre invece Saeko si voltò verso Ryo e la sorella; guardò il vecchio amico con il cuore in gola, gli occhi pervasi da lacrime di pietà e pena che mai e poi mai avrebbe versato, non per sé, ma conscia che Ryo stesso non lo avrebbe mai permesso. Non sapeva cosa fosse successo tra lui e la sua quasi cognata, ma era chiaro che i due erano più distanti che mai… forse perfino più di quanto non lo fossero quando Kaori aveva preso un aereo e se n’era andata. Si sentì rattristata ed amareggiata, perché sapeva che quello che nel loro rapporto non aveva funzionato era stato generato da equivoci, malintesi e non detti, e poi… Ryo aveva reso felice Kaori. Con lui, lei aveva sorriso spesso e volentieri, e adesso, accanto a Shinji, quel sorriso spontaneo non c’era più, era tirato e di cortesia… alcuni giorni prima, Saeko si era svegliata, trovando Maki che fissava il soffitto, che preoccupato, pensieroso, le aveva detto che non ricordava l’ultima volta che aveva sentito ridere davvero, di felicità, sua sorella.

Ryo, Kaori l’aveva sempre fatta sorridere – anche quando erano stati solo amici. Saeko capiva che avessero avuto incomprensioni e problemi, ma era possibile che fossero così grandi, insuperabili? Perché rifiutavano di trovarsi a metà strada, ostinati com’erano nello stare immobili nelle loro posizioni? Kaori voleva una famiglia, possibile che davvero Ryo non sognasse di avere un bambino con lei, di essere padre di una creatura che assomigliasse a lui e Kaori?

Saeko stessa aveva quasi perso l’uomo che amava per bugie, sotterfugi e paure… e sperò con tutta se stessa che non dovesse accadere lo stesso ai suoi amici, che, per loro, la felicità potesse arrivare, e presto. Anche se era conscia di una cosa: avrebbero dovuto superare le difficoltà, i muri che si erano costruiti intorno dopo che si erano lasciati, per poterlo fare.

E non era certa che Kaori fosse pronta a fare una cosa del genere… o che lo volesse.

 

            “Ehi, hai scoperto qualcosa?” Ryo bussò alla porta di quello che era stato l’ufficio di Kaori alla scientifica fino a non molto tempo prima, e la donna, all’interno della stanza, si immobilizzò, i muscoli tesi quasi fino allo stremo, mentre il suo corpo era percorso da brividi.

JJ, il giovane tecnico informatico che la stava aiutando nell’indagine, avvertì immediatamente la tensione, quasi fosse palpabile nell’aria e si potesse tagliare, e guardò prima alla donna e poi all’uomo che l’aveva raggiunta. Neo assunto, non conosceva la storia della coppia, ma era facile per lui intuire che ci fosse qualcosa che bolliva sotto la superficie. Era giovane, al suo primo incarico, e con quei capelli un po’ troppo lunghi, ribelli, tinti color platino dava più l’idea di essere una rockettaro fallito che tagliava scuola, ma era bravo nel suo lavoro - così bravo che aveva imparato ad intuire gli stati d’animo di coloro che gli stavano accanto.

Kaori strinse i denti, serrando i pugni intorno al tessuto della gonna color cioccolato fondente che indossava quel giorno, e prese un profondo respiro per dimenticare, togliersi dalla testa quel bacio che ormai da giorni la perseguitava. Vi aveva messo fine, ma inizialmente lo aveva accettato, e aveva risposto al sensuale attacco con altrettanta passione, ed una parte di lei aveva desiderato approfondire il contatto, che Ryo la prendesse lì, in quel vicolo, e al diavolo tutto e tutti.

Arrossì, le parole, anche solo un semplice saluto, che le morivano in gola, mentre le sue gote si imporporavano.

A casa sua, nel letto che condivideva col suo fidanzato quando Shinji non era troppo preso dall’ampliare il suo impero,  non era stata in grado di levarsi dalla testa il bacio e cosa lei e Ryo avrebbero potuto fare - di nuovo, ancora- se lei non si fosse fermata…  e subito dopo si era vergognata come una ladra, aveva cercato disperatamente di mettere in quella fantasia non Ryo ma il suo compagno, ma nulla… per quanto si sforzasse di concentrarsi sull’uomo che le aveva donato l’anello che portava al dito, ad un certo punto la sua mente compiva una rotazione completa, e Kaori tornava a pensare agli occhi divertiti ed intensi, sorridenti di Ryo, scuri come la notte ma che brillavano con la luce di milioni di stelle, le tornavano in mente i bei momenti, gli istanti di bruciante passione, la spensieratezza, come avevano vissuto nel momento, cogliendo l’attimo giorno per giorno.

Nonostante durante quel bacio avesse avvertito il fuoco scorrerle nelle vene, riflettendo a mente lucida si era sentita sporca, sbagliata, quasi avesse davvero tradito il suo compagno, e questo l’aveva spinta a fare un’avventatezza, prendere in mano il telefono lasciando che fosse l’istinto – o forse la paura che alla fine Ryo potesse fare nuovamente breccia nel suo cuore - ad agire.

“Kaori? “La giovane donna si girò di scatto, avvertendo il tocco lieve di Ryo sulla spalla, che cercava di richiamare la sua attenzione; sussultò, e JJ sollevò un sopracciglio, interrogativo, prima di dare una leggera scrollata di spalle: cosa quei due facessero non era affare suo, a lui bastava che sapessero fare il loro lavoro, ed a detta di molti, erano davvero bravi nel farlo, anche se doveva ammettere di essere sempre stato un grande appassionato di soap opera, e aveva la netta impressione che quel nuovo lavoro gli avrebbe dato non poche possibilità di nutrire questo suo appetito.

“Sì, scusa, ero… sovrappensiero.” La donna confessò, sminuendo la causa del suo malessere interiore, sperando che Ryo credesse che fosse dovuto al caso.

Gli rubò un’occhiata: Ryo aveva ritratto la mano, che era ferma a mezz’aria, quasi non sapesse cosa farci, e la guardava con occhi colmi di tristezza: aveva capito. Sapeva – lui era il motivo del suo turbamento.

La donna si fece forza, e si ricompose, rammentandosi che già quando lei e Ryo avevano iniziato la loro relazione si era ripromessa di rimanere imparziale e professionale quando si trovava al lavoro, nonostante paradossalmente fosse adesso, che non erano più una coppia, che trovava difficile seguire i suoi propositi.

Sistemando una ciocca ribelle dietro l’orecchio, si schiarì la gola, ma le parole non sembravano voler uscire, era sempre sul punto di balbettare. JJ, allora, giunse in suo soccorso, e prese la parola per lei, dicendosi che comunque lui era il tecnico informatico e quel compito sarebbe comunque spettato a lui: nessuno avrebbe letto più del dovuto in quel fatto, anzi, magari avrebbe permesso di distogliere l’attenzione di Ryo da Kaori, magari il poliziotto avrebbe pensato che il nuovo tecnico era un novellino egocentrico che non aspettava null’altro che l’occasione di mettersi sotto ai riflettori e basta.

“O il vostro amico era un cretino che non sapeva nemmeno pulire la cronologia del suo browser, o davvero credeva di avere un piano a prova di bomba per scomparire e quindi non gli importava un fico secco di lasciarsi dietro una caterva di indizi.” Il giovane, togliendosi dagli occhi una ciocca bionda, sbuffò, mentre apriva sullo schermo del suo portatile la cronologia del pc del giovane, e decine di schede si aprirono allo stesso momento, sovrapponendosi le une alle altre. “Era iscritto a questo sito, illicitlyyours.com…”

“Ah, il sito in cui gente senza vita sociale, scambisti, cornificatori  e pervertiti si trovano per fare sesso virtuale…” Ryo sogghignò, chinandosi sullo schermo con le mani in tasca dei jeans. “Lo conosco.” Il poliziotto prese a grattarsi il mento, mentre strizzava gli occhi e pensava: c’era qualcosa che non gli tornava… o era forse il contrario? Aveva il netto presentimento che gli stesse sfuggendo qualcosa, ma non sapeva cosa, esattamente...

Kaori lo congelò all’istante, immaginando fin troppo bene come mai Ryo conoscesse quel sito - evidentemente, allo stallone fare sesso dal vero non bastava… e lei che si era pure lasciata incantare da quel maledetto bacio!

Avvertendo l’astio che aumentava provenire da Kaori, Ryo sospirò, alzando gli occhi al cielo, e strinse la spalla del giovane tecnico. “Parlava con qualcuno in particolare?”

“Sì, ma c’è un problema…” Il ragazzo si mordicchiò il labbro, stringendo leggermente gli occhi mentre, seduto sulla sedia girevole, si voltava a guardare Ryo. “Abbiamo solo il suo nickname, Despacita, e senza mandato la società proprietaria del sito non può darci né copia delle chat né fornirci l’indirizzo Ip della tizia, con cui poter arrivare a quello fisico.”

“Nessun problema, posso pensarci io!!” Facendo loro l’occhiolino, Ryo lasciò la stanza, molto eccitato- forse fin troppo per i gusti di Kaori, che, sospirando, si disse che sentiva puzza di guai… in particolare, di guai in gonna e tacchi a spillo, perché qualcosa le diceva che se c’era una grana da risolvere, Ryo poteva solo sperare di chiudere tutto utilizzando il suo indiscusso fascino e flirtando in modo vergognoso… non che la cosa le dovesse importare, ormai lei non era più la sua compagna, anche se… anche se questo sfruttare il suo ascendente sulle donne l’aveva sempre seccata, perché anche quando erano stati insieme Ryo aveva continuato a farlo, dicendole, scocciato, che non significava nulla… quante litigate si erano fatti per quel motivo? Tante, troppe: un motivo in più per preferire Shinji, che con le donne era un pezzo di ghiaccio, nonostante lo stuolo di ammiratrici che si trovava sempre dietro, donne attratte dal suo successo, dal suo denaro - dal suo potere. Ma lui non le aveva mai incoraggiate, mai guardate.

Kaori tornò a fissare lo schermo del computer sentendosi ormai certa di aver fatto la scelta giusta: Ryo non poteva essere il suo futuro.

 

            “Eh? E quella chi sarebbe?” Kaori era tornata un attimo a recuperare dei fogli, in compagnia di una sua amica, prima di andare via ad occuparsi di un paio di questioni private, quando vide Ryo, seduto alla sua scrivania, intrattenere una bellona dal fisico atletico ed asciutto, il cui corpo era elegantemente drappeggiato in un abito color smeraldo, contornato da false pietre preziose che ne esaltavano la ricercatezza, ma che facevano risaltare soprattutto la donna che lo indossava.

“Sai, quella lì sarebbe davvero ricercatissima, come modella!” L’amica disse a Kaori, indicando la bella sconosciuta. “Ha una bellezza particolare, quasi androgina… sai che la modella più desiderata e pagata al mondo al momento è un uomo? E quando calca le passerelle delle collezioni femminili nessuno si accorge che sia un ragazzo!”   

Kaori vide Eriko guardare la giovane con desiderio ed intento, mentre svogliatamente fingeva di sfogliare la rivista di abiti da sposa che le aveva portato: Eriko era la proprietaria di uno dei maggiori atelier di moda di Tokyo, ed era un’apprezzatissima stilista emergente… che Kaori si fosse rivolta a lei in quel frangente era logico, e che lei si intendesse di modelle e avesse un occhio particolare per trovarle lo era ancora di più.

“Anche Ryo, d’altra parte, non farebbe la sua brutta figura su una passerella… non mi sarebbe dispiaciuto avervi entrambi per la mia collezione sposi, sai?” La donna sospirò, quasi rattristata, invidiosa. “E quel vestito? Hai visto gli Swarovski che lo rifiniscono? Brillano come pietre preziose vere, catturano la luce e la riflettono in un modo del tutto particolare, quasi magico… ah, cosa darei per sapere dove si fornisce quello che ha confezionato quella meraviglia!”

Kaori emise un grugnito che aveva ben poco di signorile, e tornò a cercare i fogli per cui era tornata; intanto però, per il grande divertimento di Eriko, non riusciva a staccare gli occhi da quella scena.

Era come quando si assisteva ad un incidente e non si riusciva ad andare via: ecco, lei continuava a guardare Ryo che flirtava vergognosamente con quella bella oca giuliva con un fisico mozzafiato, come accadeva sempre… perché Ryo non poteva mai attirare le attenzioni di racchie oppure donne normali o vecchie,  no… lui attirava sempre belle donne, che finivano per innamorarsi di lui e farsi mille film in testa.  Ryo flirtava anche lui, ed un po’ incoraggiava quelle cotte colossali. Con alcune, Ryo ci era anche stato, aveva avuto relazioni con dottoresse, modelle, musiciste, insegnanti, anche un’attrice, di tutto un po’…. Ma tutto prima che si mettessero insieme.

Era certa che lui non l’avesse mai tradita, ma tuttavia, quel modo in cui aveva sempre continuato a comportarsi l’aveva ferita, l’aveva fatta sentire piccola ed insignificante, forse perché Ryo, a lei, quelle attenzioni non le aveva mai dedicate,  dandola per scontata. Adesso non era più da oltre un anno la sua compagna, e da quando era tornata Kaori aveva passato il tempo a ripetere a chiunque quanto fosse stato meglio per tutti finirla lì, eppure in quel momento vedere quella donna che faceva la gatta morta con il suo ex la faceva accendere di collera.

Era sciocco, stupido ed infantile, ma Kaori si rifiutava di indagare nei meandri della propria anima, né voleva sapere esattamente il perché Ryo sembrasse compiaciuto di questi rari momenti in cui lei sembrava quasi rimpiangere di aver rotto con lui, nonostante lui non avesse mai detto una sola parola fino a quel maledetto bacio… ma forse aveva pensato che non ce ne fosse bisogno,  loro non ne avevano mai avuto bisogno, da quando era ragazzina, loro due avevano sempre conversato attraverso i loro occhi, tra silenzi pregni di significato… ecco, in quei momenti lei si rattristava, ed iniziava a farsi mille domande, nonostante la sua razionalità le dicesse che i suoi pensieri dovessero andare solo a Shinji.

“Beh, allora, Reika?” Kaori ringhiò, quasi rabbiosamente, vedendo che l’attenzione di tutti era concentrata sulla bella oca che faceva la svenevole con Ryo, ridacchiando in maniera insulsa alle sue battute di quarta categoria. “Si può sapere chi diavolo è quella donna?”

“La coinquilina del tizio con cui Matsuo chattava,” Reika le rispose con una scrollata di spalle, dimostrando scarso interesse per il caso… e troppo interesse per come Ryo continuava a flirtare con la bella di turno. “Dice che è sparito alcuni giorni fa, ma dato che avevano litigato crede che sia andato a prendersi una sbronza o fumarsi qualcosa per farsela passare… e dubito che intendesse sigarette.”

La poliziotta diede un’altra scrollata di spalle, tornando a guardare Ryo; poi, si accomodò sul bordo della scrivania di Kaori, e gettò lo sguardo sulla rivista di abiti da cerimonia, notando solo in quel momento Eriko. “Oh, che sbadata, non mi sono nemmeno presentata… sono Reika Nogami, amica e collega di Kaori! Ci conosciamo? Sa, ha un’aria, come dire… famigliare...”

Kaori quasi scoppiò in una risata isterica: conosceva Reika da anni - da quando suo fratello era entrato in polizia ed aveva iniziato a frequentare casa Nogami- e lei e Reika non erano mai state amiche, anzi: non si erano mai potute sopportare, a malapena si tolleravano sul lavoro, ma la poliziotta figlia d’arte era così curiosa da manipolare la verità a suo uso e consumo.

 “Oh, io sono Eri Kitahara, sono una vecchia amica di Kaori, piacere di conoscerla!” Sorridendo, Eriko - che spesso e volentieri si presentava solo con l’abbreviazione che aveva assunto come nome d’arte - fece un leggero inchino a Reika, pur rimanendo seduta. Reika sbatté le palpebre alcune volte, boccheggiando in silenzio dopo che le sue sinapsi cerebrali avevano fatto tutte le connessioni del caso, collegando quel volto familiare al ben più noto nome, quello di una delle stiliste emergenti del paese da cui le star facevano la fila per poter indossare una sua creazione sul red carpet…

“Tu... tu conosci Eri Kitahara e ti vesti così???” Reika sbottò, sibilando le parole che le si strozzavano in gola; una reazione che a Eriko non andò molto giù, perché nonostante dal bel fisico, quella donna non aveva portamento e nemmeno stile, al contrario di Kaori, che sarebbe potuta essere pagata una fortuna per sfilare e che sapeva mixare i capi alla perfezione, facendo risultare femminile anche una camicia da uomo.

“Sappi pupattola che Kaori ha stile da vendere, al contrario di qualcuno qui,” Eriko le rispose, piccata e saccente. “Ed il giorno in cui camminerà verso Shinji e l'altare con una mia creazione esclusiva addosso sarà ancora più bella… oh, Kaori, ci pensi? Abbiamo solo pochi mesi prima del grande giorno, e poi finalmente ti sposerai… una sposa di Giugno, come vuole la tradizione!”

“Eh?” Dalla sua scrivania, Ryo si voltò verso Kaori, che era arrossita, e la fissò pallido, la bocca aperta in una silenziosa espressione di sorpresa e angoscia, quasi fosse stato la rappresentazione tangibile dell’Urlo di Munch… ma poi passò, quando capì cosa era successo: lo aveva fatto dopo il bacio. Doveva sentirsi offeso, oppure lusingato? O semplicemente, era la prova che Kaori non ne voleva sapere più nulla di lui, e che doveva rassegnarsi?

Una cosa però era certa: ancora una volta lei aveva mentito per omissione… gli aveva nascosto di aver accettato quel posto, di essersi fidanzata… e adesso scopriva che aveva pure fissato la data delle nozze!

Kaori voleva mettere una pietra sopra al loro rapporto? Che facesse come voleva, non sarebbe certo andato a supplicarla, avrebbe dovuto capirlo da sola che stava facendo la più rossa idiozia del creato!

Il volto scolpito in un’espressione che ricordava una belva feroce, impazzita, Ryo riprese a parlare con la bellissima donna, all’apparenza latina, ma stavolta lo fece avvicinandosi di più a lei, che sembrò percepire il turbamento dell’uomo. Lei si avvicinò a sua volta, la sua voce si abbassò e assunse una qualità roca. Occhi languidi, da cerbiatta, sbatté le lunghe ciglia che di naturale avevano poco o nulla, e sfiorò la guancia di Ryo con una mano delicata e soffice, su cui spiccavano artigli da megera, lunghe unghie laccate di rosso e tempestate di lustrini. Solo a guardarla Kaori sollevò un sopracciglio: quella sembrava uscita direttamente dal Kabuchico!

“Oh, papito, quella brutta strega ti ha spezzato il cuore, vero? Vieni qui, che ci pensa Esperanza a te!”

“Eh?” Ryo non poté nemmeno pensare a cosa dire, perché lei si era già avventata sulla sua bocca. Lo aveva agguantato per il tessuto della maglietta, trascinandolo verso di sé, e lo baciava con passione, ardore, ma con una dolcezza senza confini, quasi davvero avesse voluto consolarlo.

Con la coda dell’occhio, vide che ad alcuni colleghi cadevano le braccia (Maki), altri si seccavano ed alzavano sconsolati gli occhi al cielo (Reika e Saeko) mentre invece Kaori era furibonda… aveva preso la rivista in mano, e la stava strozzando, quasi avesse potuto spezzarla in due.

Ryo sorrise compiaciuto contro la bocca di Esperanza: Kaori, che nemmeno gli aveva detto che si sposava dopo quel bacio da capogiro, era gelosa.

Beh, se voleva giocare… allora anche Ryo avrebbe giocato con lei.

L’agente socchiuse gli occhi e approfondì il bacio, facendo uscire la lingua a solleticare la bocca della donna, a cui languidi sospiri di piacere morirono in gola. Nonostante avvertisse come un formicolio, come se in tutta quella situazione ci fosse una nota stonata, anche se non capiva di cosa si trattasse, Ryo alzò una mano per accarezzarla, stringerle la nuca per accompagnare il movimento, e sentì il cinturino dell’orologio - un regalo di compleanno di Kaori di alcuni anni prima  - impigliarsi in qualcosa; aprì gli occhi tirando leggermente, e sentì la bella Esperanza urlare, e quando aprì gli occhi staccandosi  da lei… Si ritrovò con una parrucca attaccata al braccialetto del cronografo, fissando ciò che gli stava davanti quasi non ne capisse il perché… Esperanza era senza capelli… che fosse malata? Eppure aveva un’aria sana…

E poi... poi Ryo colse lo sguardo atterrito della donna, e si rese conto che aveva qualcosa di famigliare, anzi… tutto quel caso aveva qualcosa di familiare, e adesso sapeva cosa, lo ricordava! C’erano stati altri casi… rampolli solitari di ricche famiglie adescati in rete, derubati dopo aver portato via gli averi dei loro cari e poi uccisi… subito Ryo non aveva fatto il collegamento, perché i siti usati per contattare i fanciulli erano diversi e la vittimologia spaziava molto, ma evidentemente il punto di contatto c’era, eccome!

“Sei tu!!!” Sibilò strozzato, in piedi, indicando chi li stava davanti. “Sei tu che chattavi con la nostra vittima… sei tu che eri al fast food con lui la sera in cui è morto!”

Il giovane - perché donna non era, se non quando fingeva di essere qualcun altro per mimetizzarsi nel mondo circostante- si guardò intorno concitata, cercando una via di fuga… ma come poteva anche solo concepire una cosa del genere? Era nella tana del lupo, dopotutto!

“Voi…” Singhiozzò. “Voi non potete arrestarmi solo perché sono un travestito… è anticostituzionale!”

“Sì, ma per possesso di merce rubata possiamo eccome!”

Davanti allo sguardo inebetito e sbigottito di tutti, Kaori si alzò, e con un colpo deciso afferrò la cintura dell'abito della donna, anch’essa ricoperta di gemme, e la strappò con decisione; l’abito a pareo si aprì, mostrando un reggiseno con coppe generosamente imbottite e un paio di shorts contenitivi a celare il sesso del giovane uomo, che prese ad arrancare nel disperato tentativo di impossessarsi nuovamente del capo di vestiario.

“Ma, Kaori!” Saeko la redarguì. “Cosa ti è passato per la testa?”

La ragazza non le diede retta; alzò la cintura e vi alitò sopra, ed osservò il risultato… Nulla. Nessun alone.

“Scommetto che se porto queste pietre in laboratorio e le esamino al microscopio scopro che non solo sono diamanti, ma sono quelli rubati!” Le disse, con un ghigno di sinistra soddisfazione stampato in volto. “Eriko lo ha capito subito che non erano pietre qualunque, catturano e riflettono la luce in un modo del tutto diverso dalle gemme finte che si usano per gli abiti!”

“Voi… voi non potete provare nulla!” Il giovane squittì. La sua voce si era abbassata, fatta squillante… e colma di terrore: stava anche per scoppiare a piangere. “Lui me li ha regalati!”

“Già, ma possiamo tenerti in gabbia per tre giorni, ed intanto perquisire casa tua, far passare tutti i tuoi vestiti, distruggere tutto...e scommetto che casualmente troveremo tutto ciò che nel Paese negli ultimi due anni è stato rubato ad alcune famiglie parecchio ricche con figli problematici.” Ryo lo guardò, facendogli un sorriso sornione, sghembo. Fingeva di essere nel pieno controllo delle proprie facoltà, di non essere turbato- anzi, che fosse tutto parte del piano per smascherare quel ladro assassino. “Fammi indovinare: facevi fare il lavoro sporco a quei poveri figli di papà a cui nessuno voleva bene e poi, una volta ottenuto quello che volevi, li facevi fuori… nessuno con cui condividere il bottino, e meno testimoni in giro a raccontare il tuo giochetto!”

“Dannati! Me la pagherete cara!” L’uomo strillò mentre lo portavano via, privato del capo di abbigliamento tempestato di diamanti, le mani ammanettate davanti ai genitali. “Avresti dovuto assecondarmi come avevano fatto loro! In men che non si dica sarei stato fuori dal Paese!”

Ryo si mise in una posizione disordinata, piedi incrociati sulla scrivania, e mani dietro la testa, stravaccato sulla sedia; sorriso strafottente, soddisfatto, fingeva che tutto andasse bene, e che il caso fosse stato effettivamente risolto grazie ad un suo colpo di genio, e non certo la casualità.

“Dì un po’, Stallone di Shinjuku…” Kaori gli disse, sorridente, dandogli un buffetto sulla testa; vicinissima a lui, china,  gli fece un occhiolino, i capelli che sfioravano il viso di Ryo sollecitandolo… e facendolo arrossire per l’emozione. “Lo avevi capito che era un uomo o la tua era tutta una finta?”

Lui si allontanò leggermente, facendo scorrere la sedia sul pavimento, ed aprì gli occhi, guardando Kaori in viso - fingendo, come aveva fatto per tanto, troppo tempo, che non gliene importasse nulla, né di lei, né di cosa lei facesse, ed evitò di rispondere alla domanda, preferendo ribaltare le carte in tavola.  “E così, ti sposi.”

“Io…”  Kaori abbassò il capo, e prese a stringere le dita, con tale forza che avvertì le unghie piantarsi nella pelle delicata. “Il terzo sabato di giugno. Una cosa semplice, in comune. Non sono nemmeno certa di volermi mettere l’abito da sposa. O di voler avere gente intorno.”

Così dicendo, Kaori arrossì, e distolse lo sguardo; si portò una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio, e la cosa svegliò qualcosa in Ryo, lo intenerì. Lui le sorrise, e le diede un leggero bacio sulla fronte, colmo di tristezza, malinconia, e rimpianto, in cui riversò tutto il loro trascorso, ogni attimo passato insieme in tutti quegli anni, dal giorno in cui Hide aveva portato al parco, quel lontano ventisei marzo, il suo compagno di accademia, perché passasse con loro quella giornata del festival dell’Hanami… e forse, per la prima volta, si sentì davvero geloso, col cuore spezzato, perché se Kaori si fosse sposata, quando Kaori si fosse sposata, lui non avrebbe più avuto alcuna chance con lei: sarebbe stata la fine, davvero, perché se Ryo aveva sempre pensato che un fidanzamento fosse qualcosa che poteva essere rotto, così non era per il matrimonio… soprattutto se poi, nel frattempo, fossero arrivati dei figli. Lui stesso aveva provato sulla sua pelle la desolazione, la solitudine di una famiglia spezzata, aveva visto cosa rimanere sola avesse causato a sua madre, e non lo avrebbe augurato a nessuno.

Né, tantomeno,  sarebbe stato lui a causare un tale dolore.

“Devi,” le disse, con voce bassa e triste. “Ti capiterà solo una volta di sposarti, dopotutto, e quello è sempre stato il tuo sogno. Me lo dicevi sempre anche tu, no? Solo perché io non ho saputo fartelo realizzare…. Non dovresti rinunciare.”

Alzatosi dalla sedia, Ryo si diresse verso l’ascensore, la mano in tasca alla ricerca di una sigaretta, la mente vuota ed il cuore pesante – o forse, solo congelato, avvolta in una morsa gelida destinata a non abbandonarlo mai più, ora che sapeva che i sorrisi di Kaori non sarebbero più stati per lui.

Ci aveva sperato, davvero. Ci aveva creduto. Ma forse Kaori aveva avuto ragione, quella sera che si erano baciati.

Era stata solo una pia illusione, un sogno, e adesso era ora di svegliarsi, ed affrontare la realtà.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Episodio #7: Freinds will be friends ***


“Ma quei due non hanno intenzione di darsi una mossa ed arrivare?” Battendo nervosamente e ritmicamente il piede sul cemento del marciapiede della stazione ferroviaria, Ryo controllò l’ora al suo cronografo per l’ennesima volta, mentre, al suo fianco, Reika sbuffava, alzando gli occhi al cielo: era dalla volta in cui, ai tempi dell’Accademia, Saeko si era portata dietro una domenica Ryo e Hideyuki che lei gli correva dietro, era pazza di lui, aveva tentato qualsiasi cosa per farlo cadere ai suoi piedi, ma negli anni l’unica donna verso cui Ryo avesse mai mostrato di provare qualcosa di più di un freddo interesse sessuale era stata Kaori… e quando poi si comportava come un bimbetto impaziente, era davvero poco sopportabile.

“Ryo, il treno è appena arrivato, cosa ti aspetti? Che si teletrasportino qui direttamente dal loro vagone?” Gli domandò, piccata, sibilando tra i denti. Per quanto fosse grata che Ryo desiderasse passare del tempo con lei, aveva capito che il motivo per cui sempre più spesso ultimamente facevano “coppia fissa” sul lavoro era dato dal fatto che il matrimonio di Kaori con l’altro era cosa ormai fatta, e Ryo stava dimostrando di non essere in grado di lavorare con la donna con cui lui stesso era stato in procinto di sposarsi oltre un anno prima. Per quanto una parte di lei fosse grata per questo suo interesse, Reika non poteva che non rattristarsi, perché era certa che fosse dettato da motivi palesemente sbagliati… e non andasse oltre l’ambito lavorativo.

Mordendosi il labbro, guardò Ryo, sospirando sognate: sarebbero mai cambiate le cose tra di loro, o sarebbero rimasti sempre e solo un po’ di più di colleghi, ma meno di amici?

“Beh, dico solo che dovrebbero darsi una mossa, ma quei due cretini sono sempre stati così…” L’uomo praticamente imprecò, corrucciato, mentre però allo stesso tempo gli appariva un sorriso un po’ malandrino sulle labbra, dettato dai ricordi del passato, dei mesi passati a lavorare fianco a fianco con quei due agenti dell’FBI per risolvere un caso di traffico internazionale di stupefacenti, una droga particolarmente odiosa che il suo creatore aveva chiamato Polvere degli Angeli…. Una sostanza che creava dipendenza fin dalla prima assunzione, e che altrettanto velocemente annullava la volontà  dei tossici che si iniettavano in vena quel veleno, morendo lentamente  tra atroci dolori mentre i loro organi, l’uno dopo l’altro, smettevano di funzionare.

E come era arrivato, il sorriso svanì dal viso di Ryo. Era stato un anno infernale, per lui, per quanto con Mick e Jack fosse nato immediatamente un certo senso di cameratismo dato dalle similitudini caratteriali; per mesi aveva mentito su cosa stesse facendo, e nonostante nessuno gli avesse portato rancore (il bello di avere tutti gli amici nella polizia come lui) a lui era pesato eccome.

E poi, odiava i casi di droga; dopo che suo padre se n’era andato a cercare fortuna lontano dal Giappone, era nell’oblio di droga e alcool che sua madre aveva cercato ristoro… ma invece che la pace dei sensi, la donna aveva trovato la dannazione; suo padre le aveva voltato le spalle, certo che sarebbe tornata da lui strisciando in ginocchio, ma invece era dal suo spacciatore che lei era andata, un patrigno che si era rivelato un vero mostro, a causa di cui Ryo ancora portava cicatrici sul corpo, le ustioni delle sigarette che quella creatura infame gli spegneva sulla schiena e sul torace, mentre sua madre tremava in angolo senza fare nulla, spaventata più dall’idea di rimanere senza una dose che dalle urla strazianti del proprio figlio.

Mentre il suo cuore rallentava, istintivamente Ryo prese a massaggiarsi attraverso il tessuto della camicia bianca la cicatrice che aveva sotto alla scapola destra; sapeva che era impossibile provare ancora, a distanza di quasi trent’anni, dolore, che gli bruciasse… eppure, tutte le volte che la sua mente andava a quel tempo, e a quel lurido appartamento, era come se avvertisse il dolore per la prima volta. Come se fosse successe un attimo prima.

Ma, almeno, aveva avuto la sua vendetta su quell’uomo… vendetta che fino a che Jack e Mick non fossero arrivati per testimoniare nuovamente contro Shin Kaibara e Sonia Fields non sarebbe stata comunque completa. Per un cavillo, quel demone rischiava di poter di nuovo camminare libero per le strade, e Ryo non lo avrebbe permesso; se fosse stato necessario, si sarebbe macchiato lui stesso del delitto, ma aveva giurato sulla tomba della madre che non ci sarebbero stati altri morti per la Polvere degli Angeli.

Avvertì qualcosa sfiorargli la spalla, e istintivamente fece uno scatto, cercando la pistola nella fondina; poi però vide Reika indietreggiare, impallidita, le labbra dischiuse in un’espressione di…forse paura? Ryo ingoiò a vuoto, e scosse lieve la testa, come sperando di chiarirsi le idee, e allontanare le nubi scure che affollavano la sua mente.

“Io… ero sovra pensiero.” Si limitò a dire; non chiese scusa, un po’ per la vergogna di aver agito in quel modo, un po’ perché non era nelle sue corde; mani in tasca, prese a guardarsi intorno, fingendo una nonchalance che era lungi dal provare realmente.

“Ryo, tu sai che se tu avessi bisogno di conforto… insomma… se volessi parlare con qualcuno... ecco… io… il fatto è che è da tanto tempo che…” Reika abbassò lo sguardo; mentre parlava, arrossiva, quasi fosse stata una timida ragazzina impacciata, e prese a stritolarsi le dita. Aprì la bocca per finire la frase, ma le parole le morirono in gola perché fu interrotta sul più bello, prima di fare quella che voleva essere a tutti gli effetti… una dichiarazione, atta a smuovere le cose tra lei e Ryo.

“EHY, RYO!” Un tornado biondo dalla voce baritona gli piombò alle spalle, dandogli una pacca così sonora che Ryo quasi traballò, nonostante le articolazioni della mano guantata non fossero mai tornate quelle di prima;  il poliziotto giapponese guardò, sotto gli occhi attoniti di Reika, che mugugnava per l’occasione persa, cercando uno sprazzo di cielo fra gli sbuffi dello smog urbano, il vecchio compare, massaggiandosi la spalla indolenzita, su cui l’agente dell’FBI continuava a fare violenza, ridacchiando. “My old friend, non ci vediamo da un sacco di tempo ma non sei proprio cambiato… sempre circondato da belle donne, eh? E lei chi è, la famosa Kaori di cui parlavi sempre? Però me la immaginavo molto più, come dire, angelica dalle tue descrizioni.”

“Ryo! Il tuo amico mi sta forse dando della facile?” Reika ringhiò, stringendo i pugni, infuriata, il viso che diveniva paonazzo per il confronto con la coetanea con cui non aveva mai avuto nulla con cui spartire se non il lavoro e la disarmante attrazione verso Ryo. “Digli qualcosa!”

“Mick, lei è Reika Nogami, una collega!” Si limitò a dirgli, con un tonno piuttosto freddo e distaccato; nessun’altra spiegazione, nessun complimento, nessun aggettivo…. Solo una collega, e per qualche motivo, essere definita così, quasi fosse una persona qualsiasi, le provocava un tonfo al cuore… era quasi peggio di quando Ryo faceva lo stupido donnaiolo e flirtava con lei, senza però mai concludere nulla… sapeva che Ryo era sempre stato un gran donnaiolo, ma, come aveva avuto una relazione seria con Kaori, era certa che avrebbe potuto averne nuovamente una…quindi, perché non con lei? Lei lo amava, eppure… eppure, Ryo sembrava non volerla ricambiare.

 “Allora, dov’è quel vecchio marpione di Jack?” Ryo fece una grossa, grassa risata, mentre dava manate sulle spalle di Mick, voltato però verso Reika, di cui non aveva nemmeno pensato di prendere le difese dopo quella frase, perché nonostante fosse stata insultata, Ryo riteneva l’affermazione piuttosto veritiera. “Avresti dovuto vederlo, Reika! Jack fece sbavare la socia di Kaibara, quella donna voleva talmente tanto farselo che gli ha spiattellato ogni sacrosanto dettaglio sull’Union Teope senza nemmeno che li chiedessimo! Quell’uomo è un magnete, Reika, se c’è Jack Knife in giro… puoi star certa che ci saranno anche un mucchio di pollastre in calore! Ah, ah, ah!”

“Ehm, a proposito di Jack, ci sarebbe una cosa che forse dovresti sapere, Ryo…” Mick, imbarazzato, prese ad allentarsi il colletto della camicia elegante azzurrina, divenendo improvvisamente paonazzo; guardava il soffitto, e rifiutava categoricamente di incontrare gli occhi di Ryo, che invece, immaginando qualche risvolto tragicomico, rideva della grossa.

“Cosa?” Domando con voce argentina. “Non dirmi che è tutto pelato… anzi, no… si è rifatto il naso? Ha fatto un lifting ed adesso ha la faccia tutta tirata? Fammi indovinare, Sayuri lo ha mollato e lui ha avuto una crisi di mezza età anticipata!”

“Beh, più o meno…” Mick si schiarì la voce, parlando però con un tono così basso che Ryo fece fatica  a sentirlo.

Cosa sentì bene però fu la voce in farsetto che lo chiamava per nome, con un tono quasi smielato però, e quando Saeba si voltò, incontrò occhi castani che ben riconosceva, brillanti, spiritosi, pieni di energia…

Ma quegli occhi erano circondati da ombretto color mattone, da pesante eyeliner e un quintale di mascara, e anche le labbra, erano rese più piena da una mano di  rossetto dalla tonalità decisamente accesa, molto più adatta alla vita notturna di Shinjuku che al traffico di mezzogiorno. Inoltre, erano attaccati ad un viso che stava su di un corpo dai lunghi capelli rossicci sciolti che sembravano danzare nel vento, su di un corpo dalla stazza decisamente maschile ma che aveva addosso un tubino rosso fuoco ed una pelliccia ecologica bianca- il tutto completato da un paio di tacchi da capogiro in vernice rossa.

“Jack?” Gli domandò, allungando un dito verso il vecchio amico, sbattendo le palpebre così velocemente che sembrava che gli occhi non si chiudessero mai, nemmeno per una frazione di secondo, nemmeno le sue fosche pupille fossero state fisse.

“In realtà, Ryo, non uso più quel nome da parecchio tempo…” Gli rispose.

“Ehm, già, è quello che volevo dirti…” Mick si schiarì la gola, passando in una frazione di secondo dal rosso al pallido e poi di nuovo al rosso acceso. “Beh, eco, vedi Ryo… ti presento Erika Knife!”

 

            “Come sarebbe a dire che tu non ne sapevi nulla?” Chiuso nell’ufficio di Saeko, che guardava fuori dal vetro gli agenti dell’FBI prendere un caffè e scherzare con altri colleghi, fissava sbalordita la scena. Non se l’era aspettata: ricordava quando lei stessa aveva incontrato quel gran donnaiolo di Jack, quando aveva partecipato all’operazione che aveva portato all’arresto di Kaibara e allo smantellamento dell’Unione Teope- era stata in quell’occasione che Hideyuki era rimasto gravemente ferito, lottando tra la vita e la morte per giorni… Ryo era rimasto accanto a Kaori durante quei giorni ed il conseguente duro periodo di riabilitazione, quando il polizotto aveva creduto che non avrebbe camminato più, e Saeko era certa che fosse stato allora che Ryo avesse capito di non essere solo attratto dalla sorella del suo migliore amico, ma di provare qualcosa di ben più profondo.

Ed adesso… Lei aveva sprecato anni con Hideyuki e lo aveva quasi perso, Ryo e Kaori non si parlavano più, e Jack era diventato Erika.

“Senti, Saeko, non credere che per me sia stato facile… chiedi a Mick come ho reagito quando l’ho vista, appena scesa dal treno, che mi chiamava Ryuccio!” Ryo sbuffò. Mani incrociate dietro la testa. “Ma a noi cosa cambia? Ci serve la sua testimonianza, mica i suoi testicoli!”

“Ryo!” La donna lo redarguì, sbattendo i piedi e divenendo rossa- copia sputata di Reika quando si innervosiva, prova che erano indubbiamente sorelle.

La poliziotta si lasciò cadere sulla sua sedia, e si massaggiò la fronte, occhi chiusi. “Gli avvocati di Kaibara e Fields sono squali, Ryo. Diranno che se Knife era confuso su chi voleva essere, forse non era nello stato mentale per prendere una testimonianza, che potrebbe aver travisato… e la giuria non lo vedrà per quello che è ma, ma…”

“Ma un pagliaccio, lo so, l’ho capito. Non sono tutti di mentalità aperta come me o Mick.” Ryo sospirò, incrociando le braccia e guardando i suoi piedi. “Ma non posso chiedere ad Erika di testimoniare come uomo… è stata chiara, farlo per lei sarebbe come mentire sotto giuramento, e comunque lei adesso è Erika sotto ogni punto di vista!”

“Dì un po’…” Saeko incrociò le braccia, e fissò il collega alzando un sopracciglio perfetto. “Da quando in qua sei politicamente corretto e di così ampie vedute, Ryo?”

Ryo non le rispose; rimase in silenzio, a fissare il vuoto, pensieroso, e la donna fu quasi del tutto certa di aver visto una lacrima che gli usciva dagli occhi, ma fu solo un attimo, un lieve luccichio alla luce artificiale della lampada, e poi svanì… che si fosse immaginata tutto?

O forse…

La donna avvertì una morsa al cuore mentre si sentiva avvolta da una cappa di tristezza e delusione, emanati da Ryo, che con la mente stava viaggiando a ritroso nel suo passato, nella sua infanzia.

Quando la madre aveva iniziato la relazione con Kaibara, era parso a tutti un uomo responsabile, un giovane imprenditore di successo con idee e talento, ma invece colui in cui in troppi avevano  riposto la loro fiducia aveva finito per deludere le  aspettative di chiunque: dietro la facciata, Shin era uno sporco spacciatore che faceva il suo denaro vendendo morte, e alla fine dei giochi avevano scoperto che l’uomo non era solo parte di quella banda criminale, ma ne era uno dei pilastri.

E per giunta, era un sadico crudele, che si divertiva a far spettacolo col dolore che causava alle sue vittime.

Oh, Ryo…

Saeko sentì forte il desiderio di consolare l’amico, quasi fosse stato ancora quel bambino bisognoso di protezione, ma non lo fece; Ryo non era tipo né da smancerie, né da mostrare i propri sentimenti - per quel  che Saeko ne sapeva, le parole ti amo non gli erano mai uscite di bocca, nemmeno con Kaori. E comunque, nemmeno lei era mai stata eccessivamente prona a gesti di affetto, soprattutto fuori dalle mura domestiche, entro la cui sicurezza si permetteva qualche libertà in più, smettendo anche solo per poco i panni della fredda femme fatale e dell’indomita poliziotta senza macchia né paura.

Ciò però non significava che non comprendesse il dolore del suo caro amico.

Quello per la morte della madre, e il rischio che Hideyuki affrontasse un simile destino- non per mano di un ago, ma di una semiautomatica. La paura che Kaori rimanesse sola al mondo come era accaduto a lui.

Quello per il tradimento di un uomo che, seppure per breve tempo, aveva chiamato papà.  Lo stesso uomo che aveva causato tutto quel dolore. Che ancora lo stava causando.

L’uomo che Ryo aveva contribuito a mettere dietro le sbarre.

L’uomo che adesso rischiava di uscire di galera, ed essere libero. Libero di vivere. Libero di delinquere. Di vendicarsi.

Sospirando, Ryo si alzò in piedi, e si diresse verso la porta; stava per uscire, la mano poggiata sulla maniglia, quando si fermò.

“Magari Jack non era il mio migliore amico, ma eravamo sotto copertura insieme. Ci fidavamo l’uno dell’altro. Lui mi ha guardato le spalle… e quando Kaibara ha sparato a Maki, gli ha salvato la vita mettendo a rischio la sua, proprio come Mick aveva fatto con me.”  Fece un piccolo sorriso, triste, mentre le parole gli uscivano naturali e sincere, il cuore aperto come poche volte. “Lui ci ha guardato le spalle, ed è giusto che il ripaghi il favore, e guardi quelle di Erika.”

“Beh, vorrà dire…” Scrollando le spalle, Saeko sorrise. “Che la procura ed io troveremo un altro modo.”

Il giovane uomo uscì dall’ufficio, e vide, seduta alla scrivania, Erika, che stava parlando con Kaori e Mick. Sorrise, lieto che i due si fossero finalmente incontrati, ricordando il passato, nonostante fosse leggermente seccato dal modo in cui Mick guardava la scollatura della bella rossa cercando di non farsi vedere, nonostante l’anello faraonico che lei portava al dito – o forse proprio per quello. A Mick le sfide erano sempre piaciute e non c’era nulla che gli facesse alzare l’adrenalina come correre dietro a donzelle innamorate di altri e farle cedere, per lui corteggiare una donna impegnata era una tentazione a cui non poteva resistere.

Il locale in riva al mare, che ricordava le balere di certi film francesi dal sapore antico, era colmo dell’odore acre di fumo, alcol e sudore, e paradossalmente, tutto ciò che Ryo voleva era uscire fuori e fumarsi una sigaretta, in pace, accompagnato solo dal suono delle onde che si scagliavano contro il molo e quello delle sirene delle navi che si avvicinavano al porto.

Sussurrò una bugia alla donna seminuda che gli si era avvinghiata, e lasciò il localino per appoggiarsi pigramente contro il muro, il viso alzato con la sigaretta in bocca, a guardare le stelle. Da sud soffiava un venticello tiepido, che gli portò alle narici un odore del tutto particolare, e sorrise, ripensando a casa- e a chi quel profumo gli ricordava, chi per lui era casa: la piccola Kaori, di cui, dopo tanto tempo, gli sembrava di poter ancora sentire il sapore sulle sue labbra.

La porta si aprì, e dal locale uscirono le risate ubriache degli avventori, quelle false delle donne di facili costumi, la musica a tutto volume che faceva scoppiare la testa, l’odore di perdizione che quel luogo emanava.

Ed uscì l’agente dell’FBI con cui Ryo stava lavorando: Jack Knife. Ryo non aveva ancora capito se quel nome fosse vero o solo un soprannome, o magari un nome in codice. 

“Non sapevo che ti piacessero gli uomini…” Jack si accese una sigaretta e si mise accanto a Ryo, stringendo il filtro tra i denti. “Devo preoccuparmi che ci provi con me?”

Ryo lo guardò storto, ritenendo  che non fosse nemmeno degno di una risposta. Tuttavia, il federale nippo-Americano non sembrava intenzionato a desistere, ed anzi, prese ad insistere ancora di più nel pungolare l’agente nell’orgoglio.

“Cos’è, a casa hai la fidanzatina che ti aspetta, Saeba? Paura che si incazzi e ti prenda a martellate se  fingi di metterle le corna con le sgualdrine di Kaibara?” Jack scoppiò a ridere, mentre, invece, a Ryo venne un forte attacco di tosse, nemmeno quella fosse stata la sua prima sigaretta, e volgendo lo sguardo colpevole altrove, arrossì. “Ah, ma allora vedi che ho ragione!”

“Non è la mia ragazza!” Ryo biascicò. “Lei… è la sorella del mio migliore amico. E collega. Ed è giovane. Tanto giovane.”

“Quindi ti piacciono le ragazzine? Non ti facevo così maniaco, quando vuoi sembri pure un bravo ragazzo!”  Jack fece una piccola risata, e poi fu il momento di Ryo di sospirare, mentre si grattava il capo, la sigaretta a terra, spenta col piede.

“Guarda che non è mica una bambina, per chi mi hai preso? Non è così giovane… lei… ha diciotto anni, mica quindici!”

“Ah, una maggiorenne… ma allora, vecchio mio, il problema sei tu!” Jack si mosse verso la staccionata di legno che teneva al sicuro dal mare, e gettò tra i flutti il filtro ormai masticato, poi tornò accanto a Ryo, e gli posò una mano sulla spalla, con fare amichevole. “Sai, alcuni pensano che se si ama veramente una donna fare questo lavoro sia impossibile… io ho una ragazza, ma non credo di essere così innamorato di lei da lasciare questa vita. Però ricordati, solo perché non si è impegnati seriamente, non significa che si possa fare i donnaioli quanto ci pare!”

“Perché, ti sembro un donnaiolo?” Ryo gli domandò, semi-serio.

“In realtà mi sembri uno che di cuori ne ha fatti palpitare tanti, ma anche un uomo innamorato che però non è ancora pronto ad ammetterlo e che si machera dietro l’idea di essere solo attratto da una persona. Fossi in te, vecchio mio, ci penserei due volte prima di dire che ti sei solo preso una cotta per una ragazzina da cui non verrà fuori niente…”

Facendogli l’occhiolino, Jack tornò dentro, e per prima cosa si gettò tra le braccia di una conturbante ballerina esotica… lasciando fuori Ryo a pensare.

“Oh, Ryo!” Kaori saltò in piedi, e con il sorriso sulle labbra si voltò in direzione dell’ex. Ryo non arrossì, tuttavia il suo imbarazzo era ben visibile a chi lo conosceva bene, e che stesse accadendo qualcosa fu da subito ben chiaro a Mick, che da dietro a Kaori gli sorrise con la medesima espressione del celeberrimo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, mentre invece Erika si era messa a tirare su col naso, ed aveva gli occhi lucidi, quasi fosse stata intenerita da quello spettacolo ridicolo.

Ryo sospirò, abbassando il capo rassegnato: Erika era davvero una donna a tutti gli effetti- era anche una sognatrice romantica adesso, e l’uomo pregò con tutto se stesso che non volesse mettersi pure a giocare a fare Cupido.

“Ehm…sì?” Ryo iniziò a pensare ad una scusa per allontanarsi; temeva che Kaori, che dopo quel bacio e la notizia della data del matrimonio a malapena gli rivolgeva la parola, avesse scoperto qualcosa di… sconveniente tramite quei due imbecilli patentati, ma poi scrollò il capo con veemenza: non poteva essere così, perché la ragazza era decisamente troppo cordiale!

 “Erika ed io abbiamo avuto un’idea!”

Sbattendo quelle lunga ciglia da cerbiatta, la giovane gli fece un sorriso che… che sembrava preannunciare guai. Non che facesse troppa differenza, però: a Kaori, alla fine, lui non era mai stato in grado di dire di no.

“Non so perché, ma ho la netta impressione che potrebbe non piacermi…” le disse, alzando un sopracciglio. Kaori tuttavia sembrò incupirsi a come lui stava reagendo, e prese a stringersi le dita. Occhi bassi, si morse le labbra, e volse lo sguardo altrove.

Erano nel bel mezzo di una caotica stanza, piena di agenti che lavoravano al meglio delle loro possibilità, eppure era come se fossero soli.

“Noi… io voglio solo aiutarti a metterti Kaibara alle spalle, Ryo.” Gli disse, la voce spezzata, senza guardarlo negli occhi. Eppure, Ryo sapeva che Kaori stava trattenendo a stento le lacrime, e la cosa gli spezzava il cuore. “Lui ti ha tradito, e capisco perché provi odio per lui, ma… ma io non voglio solo aiutarti per vendetta, perché… perché credo che se si combattesse solo per odio e vendetta, presto o tardi si arriverebbe all’autodistruzione. Io invece…vorrei solo che non ci fossero altre persone che debbano soffrire… come te, come me, come Hide… e poi… io ho sempre tenuto molto a te, e anche se adesso non stiamo più insieme, ecco… io desidero esserti ancora amica, Ryo, come una volta.”

Ryo assunse un’espressione pensierosa, ma al contempo serena; sorrideva leggermente, e la guardava in un modo strano, che le fece mancare il fiato… un modo profondo come non aveva mai fatto, neppure quando stavano assieme, quasi le sembrava che lui la stesse controllando ai raggi X, o potesse leggerle dentro.

La destabilizzava, le faceva dimenticare tutto, e la cosa non le piaceva.

Lei non era più sua, non si appartenevano più… ora aveva Shinji nella sua vita, ma a volte era come se una parte di lei volesse accantonare quel pensiero, quella consapevolezza, ed esplorare, anche solo per poco, la possibilità che il loro passato fosse stato diverso.

Che avesse funzionato, tra loro.

Ryo la afferrò per il polso, e la trascinò a sé, lasciandole un casto bacio sulla fronte, che però la accese e la fece improvvisamente divenire consapevole di ogni nervo del suo stesso corpo.

“Grazie, Sugar.” Sussurrò a fior di pelle, le sue parole quasi come fuoco sulla pelle della donna tanto le era stato vicino.

Sugar. Il soprannome che Ryo aveva coniato per lei quando era solo una ragazzina. Solo il sentirlo le accendeva il cuore con la luce ed il calore di milioni di fuochi di artificio, era come se la sua stessa anima esplodesse con la potenza di una supernova.

Una parola, una sola, ed il suo perfetto mondo rischiava di cadere in frantumi ai suoi piedi.

Kaori rimase immobile a fissare il vuoto, mentre Ryo la lasciava andare e raggiungeva Mick ed Erika, che lo guardavano come se sapessero qualcosa che solo loro capivano, come se loro tre condividessero un qualche tipo di segreto. 

“Beh, allora, quale sarebbe questa grande idea?”

 

            “Non riesco a capire…. Alla sbarra no, ma in sala interrogatori sì?” Saeko fissò attraverso il falso specchio l’interrogatorio che stava per iniziare; Sonia Fields, contabile che si era trovata immischiata in un traffico di droga, avrebbe nuovamente visto la persona a cui aveva confessato, tra le lacrime, i suoi peccati e le sue colpe, consegnando nelle mani della giustizia Kaibara.

La porta si aprì, ed in controluce fece la sua entrata una figura possente, eppure dal fisico slanciato. Il suono delle scarpe che facevano scricchiolare il pavimento in vinile era l’unico rumore che si poteva udire in quella quiete surreale.

“Sonia… ne è passato di tempo.” Sonia, le labbra dischiuse in un’espressione di meraviglia, si ritrovò a fissare un uomo Impeccabile, dall’elegantissimo completo grigio, completato da una cravatta blu su camicia bianca, capelli castani tagliati corti e pettinati col gel a creare un falso effetto ribelle: Jack Knife.

“Che tu ci creda o no, vederti è sempre un piacere. La prigione non ha minimamente scalfito la tua bellezza.” La donna assunse un sorrisetto cinico, di circostanza, tirato, ad udire quelle parole, e accavallando le lunghe gambe, fasciate dalla tuta arancione da carcerata, prese a giocare con una ciocca di capelli biondi.

“Non cascherò per un trucchetto del genere due volte, Jack.” Gli rispose, beffarda, fissandosi svogliatamente le unghie; era chiaro che Sonia sapesse muoversi all’interno della galera, che ricevesse favoritismi e avesse chi le copriva le spalle: non c’era un centimetro del suo corpo che non fosse ancora perfetto, a partire dai capelli biondi (tinti di un biondo talmente chiaro da sembrare bianco) fino alla french manicure.

A Sonia non mancava nulla… anzi, una cosa sì, le mancava: la libertà. Buona parte del denaro dell’Unione non era mai stato recuperato, ed era logico pensare che la loro contabile fosse a conoscenza del nascondiglio. Contro di lei non c’erano vere prove, solo sospetti e poi quella fortuita confessione, e se avesse riottenuto la libertà, erano tutti certi che tempo ventiquattro ore l’uccellino avrebbe riempito di contanti le valigie e preso il volo verso qualche isoletta sperduta che fosse al contempo un paradiso fiscale e non concedesse l’estradizione.

“Sonia, ascolta… come anni fa ho ottenuto la tua confessione… è stato imperdonabile. Il modo in cui ho tentato di sedurti… quando ti ho lasciato credere che per noi potesse esistere un futuro se tu fossi stata onesta, è qualcosa di cui mi pento amaramente.”

Seduto accanto a Saeko nella stanza adiacente, Ryo, caviglie incrociate sul tavolo, sorrise beffardo: non c’era che dire, Knife sapeva ancora mentire e manipolare i suoi polli alla perfezione. E per giunta, senza trucco, con un completo maschile e quella guaina super-aderente a celare le forme dono di ormoni e chirurgia plastica, nessuno avrebbe potuto dire di trovarsi davanti una donna – e che donna!

“Una donna come te, costretta a vivere in una minuscola cella… il tuo mondo dovrebbe essere una passerella, non uno squallido carcere.” Knife le rivolse un sorriso affascinante, ammaliante…. Le parole erano come miele, ambrosia, uscivano dalle belle labbra sottili incantandola, esattamente come era accaduto anni prima. Con calcolata ingenuità e titubanza, Knife mosse una mano sul tavolino, andando a coprire quella della donna, che sussultò, mentre lacrime le lasciavano i glaciali occhi azzurri e le gote si imporporavano. “Sonia, adesso capisco che Kaibara ti aveva sempre manipolato, e che  ha cercato di metterti in mezzo per alleggerire la sua posizione… ma tu, tu sei sempre stata una vittima, vero? Vittima di uomini come me e lui che ti hanno usato per ottenere quello che volevano. Tu eri solo una contabile che voleva fare il suo lavoro, si stata trascinata dentro a quella brutta storia contro la tua volontà, e una volta dentro, non ti avrebbero mai permesso di uscirne.”

Sonia si morse le labbra, il capo chino, e rilassò la mano sotto al tocco delicato di Knife; singhiozzando, fece un cenno di assenso col capo così accennato che chi la guardava appena se ne accorse.

“Davvero ci sta cascando? Di nuovo?” Saeko domandò, quasi incredula. Aveva parlato lei stessa con Sonia, nel tentativo di farla nuovamente collaborare, ma la donna si era rimangiata tutto e non voleva sentire ragioni… fredda, cinica, calcolatrice, maliziosa… eppure, era come creta nelle mani di chi già una volta l’aveva portata alla caduta nel baratro.

“Eh, Jack ci sapeva davvero fare con le donne, e pure Erika a quanto pare ci sa fare con il gentil sesso…” Mick sghignazzò, braccia incrociate. “Quando eravamo a Quantico insieme e il venerdì sera andavamo per locali,  ci raccontavamo sempre che gli bastava guardarle per convincerle ad abbassarsi…”

Due paia di occhi presero a fissarlo con ostilità, capendo fin troppo bene dove l’uomo volesse andare a parare, e le due donne presenti all’interrogatorio videoregistrato si schiarirono la gola, fulminandolo, e Mick fece un passo all’indietro, sbattendo la schiena contro il muro, ed ingoiò a vuoto. 

“Non riesco a credere che sia stata Erika ad avere quest’idea… non mi sembrava il tipo da voler mettere i panni dell’uomo, ma dice che dato che si tratta di sala interrogatori e non del banco dei testimoni,” Kaori sorrise, seduta sul tavolo che faceva dondolare le gambe. “Non si tratta di spergiuro, ma di lavoro sotto copertura…. Si sta pure divertendo!”

Ryo le lanciò un’occhiata sorniona, sorridendole sghembo: quando Kaori gli aveva proposto quell’idea l’aveva giudicata malsana, ma doveva ammettere che stava funzionando, e che l’aveva giudicata male, guidato forse dal dolore che provava nel petto all’idea che lei, ora, stesse per diventare definitivamente di qualcun altro- che lei lo avesse rifiutato ancora.

Ed in sala interrogatori, Knife continuava la sua sviolinata.

“Detto tra noi, Sonia, credo che tu mi abbia mentito non solo per compiacermi, ma per alleggerire la posizione di Kaibara... ma non credere nemmeno per un secondo che  lui voglia fare lo stesso per te. Dirà che lo hai sedotto, manipolato, che gli hai fatto firmare documenti senza che lui sapesse cosa fossero. Si inventerà che hai usato un povero vecchio per i tuoi piani… Lo so, Sonia…” Knife prese un profondo sospiro, ed abbassò gli occhi, calcolando il giusto tempo per continuare il suo discorso. “Lo so perché è quello che ci ha detto lui stesso quando ha chiesto un nuovo processo. Ma io lo so, Sonia… tu sei una donna che ha tanto amore da dare, che è stata usata da un vecchio psicopatico maniaco…”

“Dopo tutto quello che ho fatto per lui… tutte le colpe che mi sono presa… come osa…”

La donna scoppiò a piangere, e Knife le strinse la mano, guardandola con dolcezza e comprensione, accogliendo ogni parola pronunciata per ciò che era: una benedizione, la loro fortuna. La garanzia che Shin Kaibara e Sonia Fields sarebbero marciti in una minuscola cella umida fino al giorno che non fossero morti.

L’ennesima confessione.

 

            Un paio di giorni dopo, Ryo e Mick guardarono Erika salire sul treno, ritornata al suo stile da femme fatale; aveva mantenuto i capelli corti, preferendoli ad una parrucca, ma li aveva acconciati in una maniera che la rendeva estremamente sensuale, adottato una piega spettinata e ribelle..

Mentre la guardavano allontanarsi sul convoglio, Ryo girò i tacchi, e si accese una sigaretta, voltandosi verso il vecchio compare. “Beh, e tu rimani qui a rompere ancora a lungo?”

“Eh, che vuoi, a me testimoniare tocca, e per almeno due settimane non sarà il mio turno, e chissà quanto a lungo tutta questa storia andrà avanti…” Mick si limitò a scrollare le spalle, assumendo quella beffarda aria falsamente angelica che era solito stamparsi in faccia quando prendeva un po’ in giro amici e conoscenti (e donne). “Dovrai sopportarmi ancora un po’!”

Appoggiando una mano sulla schiena di Ryo, lo guidò verso un piccolo locale leggermente appartato, da cui proveniva una musica giapponese tradizionale ma soprattutto suoni di risate, ma non quelle tipiche degli ubriachi: erano risate vere, oneste, di gente che si divertiva.

I tavolini erano quasi tutti impegnati, perciò i due detective si appoggiarono pigramente al bancone. Ryo fece segno al barista, vestito anch’egli in maniera tradizionale con un semplice kimono maschile dai toni dell’azzurro, di portargli due bottiglie di birra, e con un leggero inchino l’uomo eseguì.  Stappate le bottiglie ambrate, gli uomini le fecero battere l’una contro l’altra in segno di buon auspicio, sorridendo e ridendo, unendosi alla baldoria degli altri avventori, le schiene appoggiate al bancone mentre loro assaporavano tanto l’alcolico quanto l’atmosfera gioiosa che si godeva dentro il curioso establishment.

“Certo che è davvero carina… un po’ troppo seria, forse, ma decisamente carina, sì….” Mick lo punzecchiò, sorridendo sornione. Aveva una strana luce negli occhi, sembrava quasi che provasse invidia per Ryo, in quel momento. “Sai, quando ci siamo incontrati, anni fa, mi eri subito sembrato, ecco… distruttivo, ma questi ultimi giorni, standoti accanto, non lo, ti ho trovato cambiato, Ryo…”

“Non so di cosa tu stia parlando…” Ryo si mise a guardare altrove, quasi sperasse che l’altro volesse cambiare discorso: ma fu inutile.

“Davvero, Ryo. Sei entrato in polizia per rincorrere quel desiderio di bruciarti, ma credo che qualcuno ti abbia convinto a cambiare… saranno stati i fratelli Makimura… o solo Kaori?” Ryo non rispose; cupo, poggiò la bottiglia sul bancone, e prese a contare le minuscole crepe che decoravano il soffitto come un dedalo di sottili ragnatele. “Perché non le dici che ci tieni ancora a lei, che sai che avete sbagliato a lasciarvi?”

Ancora in silenzio, Ryo si voltò verso l’amico e lo guardò in silenzio - un silenzio che parlava più di mille parole; in quell’istante, era come se Ryo stesse aprendo il suo stesso cuore, spalancando, a Mick, ed era un atto di onestà e fiducia che non avrebbe riservato a nessun altro.

Ma d’altronde, gli altri non lo avevano salvato… non come Mick aveva salvato lui…

“Il tuo patrigno è uno stronzo, Ryo…” Mick sibilò tra atroci fitte di dolore; il viso imperlato dal sudore, era pallido, e sentiva bruciare nel punto in cui gli uomini di Kaibara gli avevano forzatamente somministrato la Polvere degli Angeli.  Sentiva lentamente la lucidità scivolargli tra le dita… ancora poco, e poi sarebbe stato servo del volere folle e atroce di Kaibara, niente di più che una macchina da guerra, il suo soldatino personale.

Non poteva permetterlo: meglio la morte che un destino del genere, e se morendo avesse potuto salvare il suo amico, o anche solo mettere in difficoltà Kaibara… sarebbe stata una bella morte. Una morte degna.

Strisciando  a terra, si avvicinò al quadro comandi della nave carica di droga e armi destinati a tutto il mondo: la rotta era stata fissata, entro poco avrebbero incontrato gli acquirenti, e Kaibara gli avrebbe ordinato di uccidere Ryo come prova dell’efficacia della sostanza, e lui lo avrebbe fatto.

Con mano tremanti, aprì il piccolo sportello metallico, per poi afferrare i fili che vi erano all’interno, tutti insieme. Il suo corpo venne percorso da una scarica di energia elettrica devastante, Mick sentiva di andare a fuoco, ma stavolta non si trattava solo di una semplice sensazione, le sue terminazioni nervose e i muscoli stavano davvero bruciando.

La nave sbandò, per poi arrestarsi improvvisamente, e tra atroci dolori Mick ricadde all’indietro, sorretto da Ryo che era corso in suo aiuto…

“Non si ha sempre quello che si vuole, dalla vita.” Ryo gli disse, enigmatico. Mick fissò i guanti bianchi che indossava da quel giorno, dopo che anche esteticamente le sue mani erano rimaste compromesse durante l’assalto a Kaibara.

Da allora, non era stato più lo stesso… aveva perso tono muscolare ed i nervi erano rimasti irrimediabilmente lesionati, non era nemmeno più in grado di sparare...ormai, faceva solo più lavoro di ufficio, ma non gli bastava più; non chiedeva certo di ritornare ad essere un agente operativo, ma almeno un analista… poter almeno investigare, fare domande… era chiedere troppo?

“Non dirlo a me, Ryo, però, quando si trova qualcosa per cui vale la pena lottare, lo si dovrebbe inseguire, no?”

“Si sposa fra nemmeno tre mesi, Mick…” Ryo sospirò. Tirò fuori dalla tasca della giacca una scatolina, e la posò sul bancone, accanto all’amico. Mick, sollevando un sopracciglio, la aprì: all’interno c’era un anello ed un solo orecchino. “Non so nemmeno perché cavolo li ho tenuti. Kaori ha ragione… noi siamo amici da tanti anni. Dovremmo concentrarci su quello. Ed il lavoro.”

“Ryo, secondo me lo sai benissimo anche tu perché li hai tenuti…” Mick lo prese in giro, dandogli delle leggere pacche consolatorie sulla schiena. “Perché speri di poterle di nuovo dare  questo bell’anello di fidanzamento e potertela sposare tu!”

“No, no, Kaori ha ragione. Kaori ha sempre avuto ragione.” Ryo borbottò; si stava battendo ritmicamente l’indice contro il mento, assorto in pensieri apparentemente seri, nonostante la birra avesse già iniziato a fare effetto e le parole gli uscissero dalla bocca nemmeno fossero stato un flusso di pensieri. “Io non sono fatto per il matrimonio. Non sono capace ad avere una sana vita di coppia. Di letto sì, ma, no, no… le relazioni non fanno per me. Non ho nemmeno mai avuto un buon esempio!”

Mick rimase a bocca aperta; sembrava che Ryo la stesse buttando sul ridere, ma  solo ora capiva che la riapertura di quel caso, il dover testimoniare nuovamente, ricordare quel tempo della sua vita passata, aveva riaperto ferite che non si erano mai rimarginate del tutto.

Quando si erano conosciuti, anni prima, Ryo, nonostante fosse molto legato a Kaori - e avesse confidato a lui e a Jack di provare forse qualcosa di più di una semplice amicizia o affetto fraterno per la bella rossa - era un dongiovanni; un po’ come un marinaio, aveva una donna diversa ovunque andasse.

Ma poi… poi, lui e Kaori si erano avvicinati, e col tempo avevano deciso di darsi una possibilità, ma Mick aveva l’assoluta certezza che fosse stato Ryo stesso a mandare tutto a puttane, ritenendosi indegno dell’amore di lei - incapace di amarla perché nessuno aveva mai amato lui.

Stronzate.

Forse Ryo non aveva conosciuto il classico amore familiare, ma come poteva credere che la famiglia fosse quella delle pubblicità - che esistessero davvero quelle famiglie col papà in completo elegante che prima di andare al lavoro elargiva baci e consigli per la giornata, per leggere poi alla sera le fiabe, e madri con impeccabili vestitini azzurri e gialli che, con tacchi e perle, facevano tutto, dal preparare la colazione al verniciare, il tutto in case impeccabili, luminose, ariose, senza la minima traccia di disordine nonostante la presenza di cane, gatto e pesce rosso.

Va bene, Ryo non aveva avuto una mamma ed un papà amorevoli, ci stava, ma davvero quel cretino non capiva che era circondato da amore ed affetto? Da amici che gli volevano bene come e più che fosse un membro della loro famiglia? Gente che aveva scelto Ryo come suo fratello…

“Vuoi che te lo custodisca io in attesa di tempi migliori, old brother?” Mick lo prese in giro, sorseggiando la fresca bevanda dal collo della bottiglia ambrata.

“Puoi pure tenertelo, se vuoi.” Ryo scrollò le spalle. “A me non serve più.”

Lasciando la scatolina sul bancone, il poliziotto si alzò, e salutò l’amico con un cenno della mano. Mick scrollò il capo, sospirando… Ryo era davvero un caso da manuale, disperato quando voleva.

Con un lieve sorriso sulle labbra, afferrò la scatolina e se la mise in tasca: l’avrebbe tenuta con sé fino a che Ryo non avesse deciso di fare l’uomo e chiedere la mano di Kaori, e stavolta, dicendole la verità - quella verità di cui ormai tutti erano a conoscenza: che l’amava.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Episodio #8: Bling Ring ***


EPISODIO #8: BLING RING

 

La camera era avvolta nell’oscurità, soltanto un lieve bagliore filtrava attraverso le veneziane. All’interno di quelle quattro mura, silenzio, tolto per quei respiri affannosi ed i sommessi gemiti di piacere.

Premuta con la schiena contro il muro, Kaori gettò le mani nei capelli di Ryo, avvicinandolo a sé, mentre lui afferrava il ciondolo  che la donna portava al collo e lo strappava, gettandolo a terra in un angolo dopo averci trafficato un po’ per disattivare la microspia: c’erano già troppi testimoni, non avevano bisogno di nessun altro che sentisse cosa stavano facendo, non voleva voci riguardo a cosa stava succedendo tra lui e la sua ex in quel preciso istante.

Ansimando, gemendo, Ryo premette l’inguine contro il corpo della donna, avvolto in quel tubino color verde smeraldo che faceva risaltare il suo incarnato e lo splendore dei suoi lucenti capelli rossi, e le fece sentire la potenza del suo desiderio.

Strinse i denti, maledicendo se stesso, la vita, il destino, Shinji… e anche Kaori.

Lei lo strattonò per i capelli, attirandolo a sé, mentre Ryo afferrava la stoffa del vestito, all’altezza dei fianchi, sollevandola fino a lasciare intravedere il sensuale intimo di pizzo color nero, e le sorrise compiaciuto contro la pelle del collo, mentre le lasciava un succhiotto.

Lo riconosceva: quel completino era stato un regalo di Kaori per il suo compleanno un paio di anni prima. Che lo avesse scelto con lui in mente, immaginando - o forse sperando - in un simile epilogo… o era stato semplicemente il caso? Aveva magari perfino dimenticato di averlo acquistato per lui?

“Sai, questo è tanto per me quanto per te…dopotutto, compiamo gli anni a soli cinque giorni di distanza! Così,  io mi godo un completino nuovo… e tu ti godi la vista di me che lo indosso!” Gli disse lei, mentre si metteva ai piedi del letto con addosso solo quella meraviglia di sensualissimo pizzo nero. Stava in punta di piedi, quasi fosse una ballerina, piroettando con il sorriso sulle labbra, ridendo felice e allegra, spensierata.

“In realtà, per quanto quello straccetto ti stia bene addosso, preferirei godermi la vista di te che te lo togli lentamente per me, bimba.”  Si leccò le labbra, e seduto sul letto fece scivolare a terra il lenzuolo, l’unica cosa che celava la sua prorompente virilità. Kaori rimase immobile, ed arrossì, e quando Ryo la raggiunse, non oppose resistenza.

“Non…” iniziò a dire lei, prima che Ryo la zittisse, unendo le loro labbra in un focoso bacio che portò entrambi indietro nel tempo, un bacio lussurioso, ma che eppure sembrava gridare della disarmante innocente sensualità di quella donna meravigliosa che Ryo poteva finalmente tenere nuovamente tra le braccia.

Una nebbia spessa si impadronì della mente di Ryo: cosa voleva dire Kaori, con quella parola?

Non possiamo.

Non significa nulla: è solo per la copertura.

Non voglio.

Non lasciarmi mai più.   

Forse nemmeno Ryo sapeva esattamente cosa voleva dirle, mentre assaporava la gioia della vita ed il fuoco della passione in quel bacio, e forse, qualunque cosa avesse voluto dire, Kaori non era pronta a sentirlo… né, forse, lo voleva.

Però, mentre la sua lingua assaporava le calde lacrime che bagnavano il volto della donna che aveva quasi sposato, l’unica che  avesse mai veramente significato qualcosa per lui… Ryo era certo di una cosa e di una cosa sola: quel bacio meraviglioso sapeva di una cosa sola.

Addio.

Quarantotto ore prima…

“Dite quello che volete, ma non capisco perché dovremmo occuparci di questo caso… si tratta di un semplice furto!” Ryo sbuffò, mani incrociate dietro la schiena, con i piedi sulla scrivania. Davanti a lui, Saeko digrignò i denti, e fu quasi tentata di prendere uno dei suoi coltelli e tirarglielo addosso: quando faceva l’insubordinato lo tollerava davvero poco, e lo faceva ancora meno quando metteva arbitrariamente in discussione le sue decisioni semplicemente perché gli andava così.

“Non si tratta di un semplice furto, ma di una banda organizzata di ladri d’arte che da anni razzia il paese…” Saeko spiegò con tutta la calma che aveva, diplomatica e distaccata. “Il capo della polizia stessa ci ha passato il caso, perché nel loro ultimo colpo ci è scappato il morto, e ritiene che l’unità Crimini Bianchi non sia abbastanza ben equipaggiata a fronteggiare una cosa del genere.”

“E loro sono d’accordo?!” Reika domandò sbattendo gli occhi, stupita.

“Non solo sono d’accordo, sono stati perfino felici di mollare a noi la patata bollente!” Hideyuki sbuffò, leggermente cupo, gli occhiali che gli ricadevano sul naso. “Sono due anni che stanno dietro a questo caso, e non sono ancora riusciti a risolverlo…”

“...e così adesso gli incompetenti che non saranno stati capaci di arrivare al dunque saremo noi!” Ryo continuò, immaginando fin troppo bene quale potesse essere stato il ragionamento dei colleghi. Improvvisamente interessato, visto e considerato che c’era di mezzo il suo orgoglio, si mise composto, ed osservò la lavagna bianca contro il muro. “Quindi, indizi? Piste?”

“Un mozzicone di sigaretta con del DNA, trovato poco lontano dalla scena del crimine. Appartiene a Satoshi Hisato, è stato dentro per rapina a mano armata ed aggressione… si tratta di un ex lottatore di lotta libera, che non è mai riuscito a fare carriera. Si ferì gravemente durante un incontro e sviluppò dipendenza dagli antidolorifici e agli oppiacei, e questo lo mise fuori dai giochi.”

“Sì, ma un mozzicone non significa nulla...” Seduta sul ripiano della scrivania, Kaori guardò alcuni fogli, e lesse quelle poche informazioni che aveva; si mordicchiò il labbro, mentre, concentrandosi, le apparve una ruga sulla fronte. Era una cosa semplice, che le capitava sempre quando si concentrava tanto, troppo, e aveva sempre fatto sorridere Ryo. Lei, quasi avvertendo quel sorriso, si voltò verso il suo ex, ma Ryo distolse lo sguardo, mettendosi a fischiettare come se nulla fosse, e Kaori si limitò a scrollare le spalle. “Sappiamo che è stato lì, non quando.”

“Già, però Hisato ha un avvocato un po’ troppo costoso per un tossico, e allora ci siamo permessi di mettergli un agente dell’intelligence alle costole e abbiamo fatto un paio di domande in giro ai nostri informatori…”

“Oh, mi piace sempre questa parte!” Ryo sghignazzò, più attento che mai. “Quando metti in mezzo i tuoi informatori, succedono sempre cose interessanti, Saeko!”

“Beh, grazie per il complimento, Ryo…. e comunque, qui entrate in gioco voi…” Gettandosi una ciocca di capelli che le ricadevano sugli occhi sulle spalle, Saeko sorrise soddisfatta e compiaciuta a quell’affermazione. “Abbiamo scoperto che Hisato parteciperà ad una festa organizzata dal suo capo, in cui verranno messi in mostra alcuni dei capolavori che hanno rubato… e a questa festa sapete anche chi è stata invitata?”

“La nostra Kasumi?” Ryo domandò; aveva sul volto un sorriso compiaciuto, un ghigno che Kaori ricordava fin troppo bene dal tempo in cui lei lo amava e lui invece usciva ogni sera con una o più donne diverse… sembrava che il semplice pensiero della bella ladra che già una volta ci aveva provato con lui gli facesse venire la bava alla bocca, nemmeno fosse stato un cavernicolo in calore.

“Proprio lei!” Saeko continuò. “JJ ha intercettato un messaggio per lei sul dark web: lei ed il suo partner sono attesi per presentarsi al capo della banda per una sorta di provino!”

“Sì, ma credevo che Kasumi fosse nel programma protezione dopo aver testimoniato contro l’uomo che l’aveva assunta per rubare quella moneta…” Kaori continuò; stava stringendo i denti, dicendosi che era seccata solo perché Ryo si stava comportando in maniera poco professionale, ma stentava a crederlo lei stessa.

“Infatti… ma questo nessuno lo sa. Come nessuno conosce il suo aspetto. Ed è per questo che ho deciso di mandare due di voi sotto copertura per incastrare questo assassino. Ryo, tu interpreterai il ruolo di Sanpei Agatomo, l’ex di Kasumi, mentre ad interpretare la nostra ladra…”

Prese a guardarsi intorno con un sorrisetto compiaciuto sul viso, studiando le donne presenti nella stanza… alla fine dei giochi, a poter interpretare quel ruolo potevano essere solo Reika oppure Kaori, ed era facile capire a chi avrebbe dato quell’incarico…

Reika era brava nel suo lavoro, tanto. Ed era perfetta per interpretare la femme fatale, forse perfino troppo, certa della suo fascino fino ad essere quasi egocentrica e piena di sé, mentre Kaori era sempre stata una ragazza semplice, senza troppi fronzoli, a volte così timida da apparire impacciata.

Ma Kaori aveva una cosa dalla sua parte, un punto a suo favore: la sua chimica con Ryo, una sintonia così profonda che quando avevano iniziato a lavorare insieme non avevano nemmeno avuto bisogno di parlarsi per comunicare: bastava uno sguardo. E lo avevano dimostrato più volte…

Saeko guidava all’inseguimento del veicolo su cui i rapinatori avevano preso in ostaggio Kaori, che si era trovata semplicemente nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Al suo fianco, Ryo teneva stretta nel pugno la sua fidata Python, stringendo i denti per la rabbia.

“Non vorrai sparare alla macchina su cui c’è Kaori!” la donna lo redarguì, con la voce tremante rotta dal terrore di perdere una cara amica, qualcuno che per lei era divenuta, col tempo, alla stregua di un’altra sorella. “Lo so che vuoi sparare ai pneumatici, ma quella macchina va ad una velocità assurda!”

“Non preoccuparti!” le rispose, sporgendo il braccio dal finestrino e mirando, socchiudendo l’occhio destro; guardò fisso davanti a sé, e per una frazione di secondo, quasi gli parve di incrociare lo sguardo di Kaori nello specchietto retrovisore dell’altra auto… e che lei gli sorridesse, compiaciuta, certa.

La stessa espressione che Ryo aveva sul viso.

Il colpo partì, e nello stesso istante in cui lui premeva il grilletto, Kaori si abbassò, coprendosi il capo con le braccia; una volta colpito, il veicolo volò fuori dalla strada, atterrando contro un cartellone pubblicitario di tela. I due criminali che l’avevano tenuta in pugno erano spaventati, sorpresi, e con un calcio veloce e un paio di pugni la donna facilmente si liberò di loro, e scese dalla macchina, soddisfatta.

Saeko, stupefatta, si voltò verso Ryo, le labbra dischiuse in un’espressione di pura sorpresa… sembrava quasi sconvolta. “Ma… ma come avete fatto?”

“Mi sono fidata Ryo…” lei rispose, radiante, guardando il vecchio amico.

“E io mi sono fidato dell’istinto di Kaori!” Continuò lui, con una scrollata di spalle.

Tuttavia, si guardavano negli occhi, e a Saeko fu chiaro qualcosa che forse nemmeno loro avevano ancora capito: avevano un cuore in due… anche se forse ancora non lo sapevano, o non erano pronti ad accettarlo.

“Kaori, andrai tu sotto copertura con Ryo!” Esclamò con decisione.

“Ma… ma, veramente, io….” Kaori si imbarazzò, prendendo a balbettare leggermente mentre abbassava gli occhi e si stringeva le dita; lei e Ryo si erano nuovamente riavvicinati dopo che lui, alcune settimane prima, si era ritrovato ad affrontare i fantasmi del proprio passato, l’ombra del suo stesso patrigno, ma la donna era consapevole che il loro rapporto era ancora traballante e delicato.

E poi... poteva davvero interpretare la sua amante, lei che la sua donna lo era stata davvero, e che adesso stava per sposare un altro?

“Saeko, stai facendo un grosso errore!” Reika si intromise, alzandosi in piedi di scatto e sbattendo un pugno sulla sua scrivania. “Lo sanno tutti che sono io quella abituata ad andare sotto copertura... e poi Kaori è solo un topo di laboratorio, l’hai presa in quota alla scientifica, porca miseria! Vuoi davvero mandare tutto a quel paese per… per cosa, far contento il tuo fidanzatino?!”

“Ehi!” Kaori la zittì; braccia tese lungo i fianchi, pugni chiusi, i suoi occhi sembravano lanciare scintille… e se Ryo la trovava sexy da morire, Saeko ne era altrettanto compiaciuta, sapeva che la futura cognata era una donna con gli attributi e che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto da una donna spocchiosa come poteva spesso e volentieri essere Reika. “Se vuoi posso darti l’elenco completo di tutti i casi che ho risolto da sola, scientifica o no… non mi serve certo che mio fratello interceda per me perché io possa avere un incarico!”

Reika però non sembrò voler demordere; la guardò come se avesse voluto prenderla in giro, schernirla, braccia incrociate ed un sorrisetto furbo… e cattivello.

“Sei stata via per un bel po’, Kaori… te la senti davvero? Magari sei arrugginita…”

Kaori si limitò ad alzare un sopracciglio: a volte non sopportava davvero Reika, e l’idea di dargliela vinta… beh, non ci pensava nemmeno lontanamente. E comunque, avrebbe  tollerato la presenza di Ryo come suo falso consorte: dopotutto, non era stata lei stessa a dirgli che voleva che fossero amici, che rimanessero in buoni rapporti… soprattutto sul lavoro?

Poteva farcela – doveva farcela.

“Reika, mi piace pensare che quando si è trattato di decidere se mandare me o te a Chiba la scelta sia ricaduta sulla sottoscritta per i miei meriti, non per chi è mio fratello o chi si porta a letto.” Le rispose, piccata, mentre a Hideyuki andava di traverso il caffè e prendeva a tossicchiare. E Saeko ridacchiava, nascondendo dietro la mano le labbra sorridenti, grata che qualcuno stesse mettendo la sorella un po’ troppo spavalda al suo posto. “E comunque, io e te abbiamo la stessa esperienza, non ho nulla da invidiarti. Il fatto che oltre a saper usare un coltello ed una pistola io conosca anche il metodo di sequenziamento del DNA non vuol dire che valga meno di te – anzi.”

“Kaori ha ragione,” Ryo intervenne a supportarla, nonostante avesse compreso che Kaori sapesse combattere e vincere le sue battaglie benissimo senza il suo aiuto né quello di qualche altro cavaliere dalla lucente armatura. Le mise una mano sulla spalla e la strinse, facendo arrossire Kaori, che si  sentiva all’improvviso impacciata e ragazzina, timida ed insicura… proprio come quando, tanti anni prima, Ryo le riservava anche solo una piccola, semplice attenzione. “E comunque, Kaori ed io ci conosciamo così bene da saper lavorare insieme senza problemi, e  sarà più complicato per quella banda smascherarci!”

Le fece l’occhiolino, quasi a sottintendere che, dato che erano stati amanti, avrebbero potuto interpretare alla perfezione quel ruolo, e Kaori arrossì ancora di più: il suo volto era dello stesso colore dei suoi capelli, ormai, e pareva stesse per andare a fuoco.

Il silenzio cadde sulla stanza, e Saeko si guardò intorno, compiaciuta.

La sua squadra. I suoi uomini e le sue donne. La sua famiglia.

Lei aveva la massima fiducia in loro, e loro… in lei.

“Bene,” concluse, battendo le mani. “Kaori, JJ ti aspetta nel mio ufficio con un paio di cose per te… e poi vedremo insieme il piano. Questa banda è passata dal rubare opere d’arte al non farsi problemi ad uccidere: facciamo loro vedere di che pasta siamo fatti!”

 

            “Signora…” Galante come solo lui sapeva essere quando voleva, Ryo offrì la mano a Kaori aiutandola a scendere dalla decappottabile sportiva a due posti che avevano preso in prestito nel magazzino delle prove. Lei accettò, con un sorriso ammaliante, e scese con un movimento sensuale che mise in mostra le lunghe gambe da modella, enfatizzate da tacchi a spillo da urlo.  Eriko, la sua amica stilista, le aveva prestato un tubino verde smeraldo, dal taglio irregolare, e aveva completato l’ensemble con una parrucca dai lunghi capelli del suo stesso colore naturale, e un ciondolo che sembrava un ricercato monile moderno in acciaio, in cui però era nascosto un microfono, e che avrebbe permesso a Saeko e gli altri di monitorare ogni loro mossa ed intervenire nel caso fossero sopraggiunti guai.

“Sai, non ricordavo fossi così galante…” Lei gli disse, civettuola, mentre cammina tenendolo per il braccio, guardandosi davanti sicura e determinata, come se il mondo le appartenesse o fosse il suo personale parco giochi.

“Beh, mi piace pensare che tu ti fossi innamorata di me per com’ero, non per come fingevo di essere per portarmi a letto le sventole!” Malizioso, le fece l’occhiolino, e lei alzò il viso, leggermente indispettita, eppure… eppure, sentendosi anche un po’ colpevole, quando le parole che lei stessa gli aveva sussurrato settimane prima le tornarono alla mente.

Sono io che… che mi ero illusa di poterti cambiare.

“Tutto bene?” Le chiese, leggermente preoccupato. “Guarda che stavo scherzando, Kaori!”

Lei si limitò a scuotere il capo, e stamparsi un sorriso il più verosimile in viso mentre, finalmente, raggiungevano l’ingresso della villa nella periferia di Tokyo, e sussurravano al buttafuori  la parola d’ordine allegata al messaggio intercettato sul Dark Web.

Entrarono nel salone, riccamente decorato; dal soffitto dell’enorme sala scendeva, luminoso ed abbagliante, un lampadario di cristallo finemente decorato, statue di ghiaccio raffiguranti creature eteree decoravano ogni tavolo, mentre nell’aria si diffondono le note di un quartetto d’archi.

Lusso ed eleganza: così Kaori avrebbe descritto quel luogo. Sfarzoso, tronfio e pacchiano sarebbero state invece le parole usate da Ryo.

 “La famosa Ladra 305, immagino…”  Sentendo il nomignolo con cui Kasumi era nota nell’ambiente, Kaori si fece forza, ed indossò la sua migliore maschera. Schiena dritta, calice alle labbra, si voltò verso l’uomo che l’aveva additata: giovane, massimo trentacinque anni, dal fisico atletico, aveva l’aria di essere il tipo d’uomo che sapeva esattamente cosa voleva e soprattutto come ottenerlo. L’uomo si sistemò i gemelli con calcolata nonchalance, e si avvicinò alla donna, senza nemmeno dare un’occhiata a Ryo. “O posso conoscere il tuo nome?”

“Potresti…” Con un gesto rubato a Saeko, Kaori gettò all’indietro una ciocca di capelli che le ricadeva sugli occhi, e lo guardò maliziosa e seducente; camminò verso l’uomo, eliminando la piccola distanza che li divideva, muovendosi sinuosa, elegante e sensuale, azzerando la salivazione di Ryo che non ricordava di averla mai vista così sexy- una pantera, solo così avrebbe potuto descriverla. “Ma non capisco perché rovinare tutto con dei nomi…”

Chiuse l’atto poggiando il palmo sul petto dell’uomo, sul tessuto tirato all’inverosimile della camicia, che lasciava intravedere i muscoli. Lui le sorrise, prima di gettare il capo all’indietro in una forte risata.

“Ah! Mi Piaci davvero, donna!” Afferrò da uno dei camerieri che passavano un calice, e lo sporse nella direzione della donna per brindare. “Sono Yoichi Makechi, e sarei molto interessato ad offrire a te ed al tuo uomo un ingaggio…”

Kaori afferrò il braccio dell’ospite, e camminò con lui, facendo segno a Ryo di seguirla, cosa che lui, riluttante, fece, mani in tasca ed espressione truce. “Aso - è il cognome che uso al momento. Se non vuoi chiamarmi col mio numero… allora posso essere Miss Aso per te, Yoichi.”

Lui le sorrise, affascinante e seducente; il suo era lo sguardo di un uomo che non doveva chiedere mai, che sapeva cosa voleva e come ottenerlo, e Ryo capì immediatamente dal modo in cui sottilmente passava la punta della lingua sulle labbra che quell’uomo,  collezionista di cose belle, desiderava aggiungere alla sua raccolta la bella Ladra 305.

Non ci stava. Non poteva permetterlo: né poteva permettere che quell’uomo si sentisse autorizzato anche solo a pensare di poter allungare le mani su ciò che era di un altro.

“Allora Makechi, cosa possiamo fare io e la mia donna per te?” Ryo gli domandò, secco; afferrò Kaori per un fianco, stringendola a sé, fissando dritto l'altro negli occhi, marchiando il territorio - un comportamento da villano e cavernicolo, che portò la donna a dargli una gomitata nel fianco.

“Così presto? Forse dovremmo conoscerci meglio prima!” L’uomo lo prese in giro, ridacchiando - col risultato che Ryo strinse ancora più forte il fianco della donna, e Kaori dovette stringere i denti… la morsa di Ryo sul suo fianco era quasi dolorosa, e cercò di immaginare come avrebbe potuto spiegare nei giorni a seguire i lividi sul suo corpo. “Divertitevi un po’… fate conoscenza se volete… quando gli altri saranno andati via, potremo parlare di affari!”

Così dicendo, diede loro le spalle, e si mosse verso un altro gruppetto di persone, e con loro si comportò con altrettanto calore ed ironia; Ryo dovette ammettere che era un ottimo padrone di casa, una persona decisamente piacevole, ma quello che lo turbava era ben altro: Makechi sembrava dubitare di loro- o forse di lui solo, dopo la sua teatrale uscita - e c’era un solo modo per mettere a tacere quella voce nella testa dell’uomo.

Senza fiatare, sguardo scuro e determinato, magnetismo animale, appoggiò la mano destra sulla schiena di Kaori, e la guidò lungo la scala a chiocciola ricoperta di peccaminosa moquette color rosso: sembrava di camminare con un velluto sotto ai piedi.

Raggiunsero il piano superiore, con lei che lo guardava senza capire cosa stesse accadendo, e senza darle una spiegazione lui la spinse in una camera, senza nemmeno accendere la luce: eppure, la luce che filtrava dall’esterno lasciava ben intendere che quella fosse una camera da letto.

“Ma cosa…” Lei gli disse, cercando una spiegazione, ma Ryo non le dette il tempo di finire la frase; la spinse contro il muro, ed attaccò il collo della sua ex donna con le sue labbra piene, baciando e succhiando la delicata pelle dal profumo di vaniglia nera. Le mani di Ryo presero ad esplorare, sfiorare… andarono alla gonna, sollevandola con lenta e studiata malizia. Ryo teneva la stoffa chiusa nei pugni, all’altezza dei fianchi, e questo gli permetteva di vedere cosa lei aveva indosso: un completo intimo di pizzo nero, e non uno qualsiasi: quello, Kaori se l’era comprato per il suo compleanno… presentandosi però così agghindata per quello di lui.

Sai, questo è tanto per me quanto per te…

Voleva domandarsi se lui lo ricordasse, ma il modo in cui le sorrise contro la pelle del collo, mentre saliva verso il mento e la mascella fu la sola risposta di cui aveva bisogno: lo ricordava. Lo sapeva… e per lui, quella conoscenza era come un sensuale incoraggiamento ad andare avanti, approfittare della sceneggiata per far ricordare alla donna come potevano essere loro, insieme.

Gemendo, desiderosa di lasciarsi andare un’ultima volta, complice la copertura che le serviva da alibi, Kaori gettò le mani nei capelli di Ryo, avvicinandolo a sé; lui afferrò il ciondolo  che la donna portava al collo e lo strappò, gettandolo a terra in un angolo dopo averci trafficato un po’ per disattivare la microspia, non volendo testimoni per quel loro momento di debolezza. Pensando che lo stesse facendo per lei - per proteggerla, salvaguardarla - Kaori fu travolta da un moto di tenerezza e affetto, dal desiderio di stringerlo forte a sé e non lasciarlo andare mai più.

Ansimando, gemendo, Ryo premette l’inguine contro il corpo della donna, avvolto in quel tubino color verde smeraldo che faceva risaltare il suo incarnato e lo splendore dei suoi lucenti capelli rossi, facendole avvertire la potenza del suo desiderio, e solo allora lei avvertì come una scarica elettrica percorrerla nel profondo.

Non desiderio: ma vergogna, e senso di colpa. Lei non era più sua, non poteva più esserlo… ed apparteneva ad un altro.

Non avrebbe fatto una cosa del genere a Shinji, che negli anni l’aveva supportata e incoraggiata, da buon amico.

“Non…” iniziò, ma lui non le permise di terminare la frase, e Kaori gliene fu grata, nel momento in cui le loro bocche e le loro lingue si ritrovarono finalmente, dopo settimane… baciare Ryo era sempre nuovo ed emozionante… ogni bacio era come il primo, che la riempiva di emozione, così tanto da farle sanguinare il cuore, farla piangere di gioia mentre le ginocchia le cedevano, perché nessuno l’aveva mai baciata come lui, anche quel loro primo bacio, fortuito, per errore, l’aveva fatta sentire così, e dopo non ne aveva più avuto a sufficienza.

Sai a che cosa sto pensando? Alla prima volta che ci siamo baciati… anzi, alla prima volta che tu mi hai baciato!

Avrebbe voluto di più, allora - avrebbe sempre voluto di più. Tutto ciò che Ryo, volente o nolente, non poteva darle… ma quello che lui aveva da offrire, adesso non era più abbastanza, 

 Ciò che desiderava era Shinji che glielo stava offrendo. Lui stava avverando i suoi sogni. Lui le diceva di amarla. Stava con lei. Le faceva i complimenti. Stava ad ascoltarla quando parlava del suo lavoro. Desiderava sposarla, non tergiversava, e sperava nell’arrivo di almeno due bambini.

Con le dita dalle unghie laccate da smalto color pavone, Kaori strinse nei pugni la stoffa della camicia grigia di Ryo, e  fece per allontanarlo, ma la presa feroce e brutale di lui sulle sue spalle glielo impedì; gli morse il labbro come deterrente, ma ottenne invece il risultato opposto: appena avvertì il sapore ferroso del sangue, Ryo mugolò di piacere contro la sua bocca, ed approfondì ulteriormente quel sensuale assalto, allacciandosi la gamba sinistra di Kaori in vita e sfregando ritmicamente l’inguine contro quello di lei.

Con le lacrime agli occhi, Kaori decise allora di godersi quell’ultimo bacio, di arrendersi per quell’ultima volta a quell’amore che non era destinato a fiorire; il calore, il fuoco divennero un dolce abbraccio, una carezza piena di affetto, di rimpianto...era come se assaporassero il loro passato in quel bacio.

Era il loro modo di dirsi addio.

Ryo le respirò contro la bocca, borbottò qualcosa mentre le cancellava le lacrime coi pollici, la teneva stretta a sé con dolcezza ed amore, quasi fosse stata una creatura ultraterrena da venerare, quando la luce venne improvvisamente accesa.

“Ah! Certo che potevate scegliere almeno la camera degli ospiti!” Battendo le mani, Makechi eruppe in una fragorosa risata, mentre si avvicinava alla coppia che arrossendo leggermente si sistemavano i vestiti. “Non che mi meraviglio di te, amico mio. Difficile resisterti, signorina Aso!”

Kaori si sistemò una ciocca di capelli, e diede una scappellotto alla mano di Ryo, quasi avesse voluto trovargli da dire per quel comportamento. Poi, fredda, si portò una mano al fianco e fissò il capo della banda di ladri.

“Sono venuta qui pensando che avrei avuto delle offerti interessanti, ma quando ci si annoia perché non c’è nulla da fare qualcosa bisogna pur farlo…” Affermò, e parve che volesse quasi lanciare un guanto di sfida.

Makechi si massaggiò il mento, e la fissò, incantato ed incuriosito. Le girò intorno, quasi a volerla studiare, e si sedette sul letto, accavallando le gambe.

“Hai qualcosa di interessante a cui stai lavorando?” L’uomo si domandò, curioso, con una luce negli occhi che non lasciava presagire nulla di buono. “L’esposizione dei Monet, magari quella del tesoro imperiale?”

“Lavoro su commissione,” Kaori gli rispose secca. “Se ti rivelassi il nome del mio cliente o ti parlassi dei miei colpi non sarei più degna del lavoro che faccio.”

“Capisco,” L’uomo sospirò, avvicinandosi a lei e posandole una mano sulla spalla. “Sarebbe come umiliare il tuo orgoglio del professionista… quindi, mia bella signorina Aso,  che ne dici di iniziare a parlare di affari?”

Kaori gli sorrise, affabile, mentre Ryo le si avvicinava alle spalle; le baciò il collo, proprio sul punto in cui si poteva vedere il succhiotto, e vi posò sopra le labbra, per un tempo fin troppo lungo, indugiando in quella sensazione, che era tanto paradisiaca quanto infernale. Con maestria, le rimise la catenina al collo.

“Scusa piccola,” le disse, con voce roca ma al contempo carica di erotismo. “Non volevo strappartela di dosso, ma sai com’è, nella foga del momento…”

Fece l'occhiolino a Makechi, che emise una leggera risata gutturale, quasi comprendesse lo stato d’animo dell’altro, e Ryo emise un sospiro di sollievo: ci era cascato. Aveva avuto la sensazione che il ladro non credesse loro, e allora aveva messo in scena quella sceneggiata, approfittandone per sentire un’ultima volta le labbra di Kaori contro le sue, senza immaginare quanto sarebbe stato scosso nel profondo - e cosa gli avrebbe fatto capire.

Con Kaori al braccio, Makechi li condusse nel salone; ormai la festa era finita, c’erano solo più quelli che dovevano essere i suoi uomini presenti, ed  il personale, che, legato in qualche modo al ladro, lui era certo non avrebbe mai parlato. Entrambi però si resero conto di una cosa immediatamente: mancava Hisato, che secondo le informazioni sarebbe dovuto essere il braccio destro del capo della banda. La sua mancanza giustificava l’ingresso di Kasumi e del suo compagno, ma che non ci fosse dopo essere stato beccato ed interrogato dalla polizia era un chiaro indizio che le cose non stavano davvero andando per il meglio, e che si sarebbero potute mettere ancora peggio se non avessero fatto attenzione.

L’uomo abbassò le luci e toccò un tasto su di un telecomando dal ricercato design moderno, e subito partirono delle diapositive, proiettate sul muro bianco: Kaori e Ryo non conoscevano il nome dell’opera, ma lo stile lo definiva chiaramente come un Van Gogh.

“Secondo i gossip, Vincent lo dipinse per la donna che amava, ma che aveva scelto un altro. Un amore più semplice, e che le avrebbe dato la possibilità di migliorare la propria estrazione sociale.” Ryo a quelle parole lanciò un’occhiata involontaria a Kaori, che si sentiva rabbrividire dentro: era così che la vedevano, gli altri? Era così che la considerava lui?

E soprattutto… la biasimava per non aver lottato maggiormente per il loro rapporto?

Guardò Ryo, ed i loro occhi si incontrarono; lui le lanciò un sorriso triste, che senza bisogno di parlare le diceva molto più di certe conversazioni durate ore avute con altre persone nel corso della sua vita.

“Hai già un piano?” Ryo gli domandò, dando una scossa alla situazione e forzandola a tornare a concentrarsi sul presente, e sul lavoro - indugiare in quegli sciocchi pensieri non sarebbe servito a nulla, perché quel bacio che si erano scambiati aveva sancito definitivamente la fine del loro rapporto, era un qualcosa che avvertivano entrambi nel profondo.

“Certo che sì,” Makechi gli rispose, accendendosi una sigaretta e fissando l'immagine sul muro; quel dipinto sarebbe potuto arrivare a decine di milioni di dollari ad un’asta, ma aveva già un compratore pronto a sborsarne cinque per la gioia di avere quel pezzo nella sua collezione segreta. “E se le cose dovessero mettersi male…”

Con espressione cinica, Makechi scostò leggermente la giacca, lasciando intravedere una semi-automatica che brillava nella fondina ascellare; Ryo la riconobbe immediatamente, si trattava di una Browning Buckmark Plus, unica per via del grilletto d’oro massiccio su quell’arma di splendente acciaio, ed a occhio e croce doveva essere una calibro 22- proprio come l’arma che aveva ucciso il proprietario della galleria visitata dalla banda. Ryo aveva anche la netta sensazione che, anche quando avessero trovato Hisato - se lo avessero mai trovato - sarebbe stato sotto la forma di cadavere con un proiettile del medesimo calibro piantato in mezzo agli occhi.

Sarebbe bastata la pistola per incastrarlo? Forse sì, o forse no - avrebbe potuto raccontare storie, instillare il dubbio nei giudici. Ma era indubbio che avesse un piano - che stava pure spiegando alla perfezione, ai presenti e alla polizia - e comunque Kaori aveva notato un paio di dipinti nella camera da letto, che era certa essere decisamente opere originali e non mere copie - opere che erano nell’elenco di quelle rubate dal celeberrimo ladro.

Quello, ne era certa, sarebbe stato abbastanza; e comunque, leggere il mood generale della stanza era decisamente facile; l’unico veramente a suo agio era Makechi, mentre i suoi uomini erano preoccupati e sembravano sudare freddo, ulteriore indizio della misera fine che sembrava aver fatto il secondo di Makechi.

“Allora, qualche domanda?” l’uomo domandò, sistemandosi i polsini dell’elegante e raffinata camicia.  Ryo e Kaori si scambiarono uno sguardo, consci che avevano già abbastanza prove e che non sarebbe stato necessario procedere col colpo per prendere l’uomo in flagranza. Lei allora, giocherellando con il ciondolo che aveva al collo, si avvicinò al ladro, occhi fissi sulla gigantografia del Van Gogh che faceva ancora bella mostra di sé sul muro.

“Dovremo fare attenzione…” sentenziò, seria, eppure con un sorriso soddisfatto sul viso. “Puoi avere un certo livello di controllo sulle tue azioni ma quasi nessun controllo sui loro risultati, dopotutto.”

Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, le mani in tasca dei pantaloni eleganti: quella era la frase di controllo concordata per far entrare in azione Saeko, Maki e Reika.

Un attimo dopo, due finestre venivano rotte dal lancio di bombe fumogene, mentre la porta veniva abbattuta e in tenuta d’assalto la squadra faceva il suo ingresso nella proprietà, pistola in pugno, pronta finalmente all’arresto ed a chiudere un caso che era andato fin troppo per le lunghe.

 

Una volta tornati al distretto, Ryo e Kaori si erano a malapena parlati, concentrandosi su argomenti di lavoro; avevano steso un veloce verbale ed aiutato negli interrogatori, prima di potersi concedere la tanto agognata libertà, l’uscita che avrebbe permesso loro di tornare a casa e farsi finalmente una doccia, liberandosi del puzzo di fumo che aveva impregnato la loro stessa pelle – e che Kaori sperava avrebbe cancellato dal suo corpo la sensazione di bruciante desiderio che ancora avvertiva al mero pensiero di essere stata quasi posseduta, di nuovo, da Ryo.

Stavano lasciando insieme la centrale, in silenzio, l’uno accanto all’altra; non si stavano toccando, nonostante Ryo avesse avvertito forte la tentazione di allungare la mano e sfiorarla, prendere le dita di lei e stringerle, portarle al cuore, alle labbra… ma non lo aveva fatto, perché non l’aveva mai sentita così distante negli anni.

Aveva perso quel diritto: ora lo sapeva, lo capiva… mentre si baciavano, fingendo di essere la coppia di amanti ladri, lei aveva pianto, sentendosi probabilmente in colpa per quel bacio, leggendolo alla stregua di un tradimento. E doveva essersi sentita ancora peggio, sapendo quanto Shinji avesse sempre detestato Ryo, e trovasse disdicevole il fatto che lui e Kaori fossero ancora così vicini ed uniti.

Ryo si era deciso a mettersi l’anima in pace, ad accettare che lei fosse finalmente andata avanti con la sua vita: ciò però non significava che gli dovesse piacere, o che non sentisse il suo cuore spezzarsi in due all’idea che l’avrebbe persa per sempre, e che le cose non sarebbero mai più tornate come prima.

“Ryo, senti…” davanti a lui, Kaori si fermò, e si voltò a guardarlo in volto, fronteggiarlo; titubante, si mordeva le labbra, e sembrava stesse per scoppiare a piangere. Fece un paio di passi verso di lui, alzò finalmente gli occhi verso il suo ex, a cui il fiato morì in gola, e fece per dire qualcosa… ma le parole non le uscivano dalle belle labbra piene.

Forse non sapeva cosa dire. O forse, semplicemente, la ragione le suggeriva di non dire ad alta voce ciò che il cuore le sussurrava incessantemente ormai da settimane, se non da mesi… quasi avvertisse questo bisogno impellente della donna di risolvere la situazione tra loro, Ryo fece quell’ultimo passo che li separava… il cuore gli batteva all’impazzata nel petto, quasi avesse voluto scoppiare, ma non gli importava.

Il suo cuore batteva... e lo faceva per lei. Allungò una mano, pronto a sfiorarle il viso, avvicinarla a sé e baciarla… non un bacio di rabbia e possesso, non un bacio per ingannare dei criminali, ma un bacio vero, di desiderio onesto e sincero.

Forse si era sbagliato. Forse quel bacio non era stato un addio, ma un ben tornato. Forse non era troppo tardi. Forse, per loro, c’era ancora una possibilità.

Gli occhi luminosi, le sorrise, avvicinandosi sempre di più.

“Kaori!”

Quasi fosse stata bruciata, appena sentì la voce provenire dalle sue spalle Kaori si allontanò da Ryo, che inebetito la fissava con occhi tremuli, delusi. Tremando, la donna si voltò in direzione della voce, ed al fondo della scalinata lo vide… sorridente, la salutava con un braccio alzato, e correva verso di lei.

Shinji. Il suo fidanzato. L’uomo che stava per sposare. Colui che aveva fatto cicatrizzare la ferita della delusione di Ryo. Che quando vedeva una scuola, diceva che avrebbero mandato lì i figli.

“Ryo, io…” si voltò un’ultima volta verso di lui, timida ed impacciata, di nuovo la ragazzina adolescente che lo aveva incontrato per la prima volta, ma Ryo si limitò a scrollare le spalle, sorridendo, triste, ma comprensivo. 

“Va tutto bene, partner.” si limitò a dirle, allontanandosi a sua volta, scendendo lento quelle scalinate. “Doveva andare così.”

Shinji, perfetto nel sue vestito elegante, bello come un Dio, raggiunse Kaori e la prese tra le braccia, facendola volteggiare nell’aria; Kaori squittì, gettandogli le braccia al collo, e rise – una risata tirata, forzata, in cui lei tentò di mettere tutta se stessa. Ormai aveva fatto la sua scelta: Shinji la amava, la rispettava… e non aveva paura ad esternare i suoi sentimenti. E, per di più, era raffinato, colto e benestante.

Il contrario di Ryo… anche fisicamente: capelli neri l’uno, chiarissimi, quasi biondi l’altro; occhi come la pece Ryo, verdi l’altro. Fisico possente Ryo, Shinji era invece alto “solo” come Kaori, ed era così magro da apparire mingherlino.

Il giorno e la notte.

Da lontano, Ryo guardò la scena. Ormai era chiaro, Kaori aveva deciso, e non sarebbe tornata indietro. Aveva fatto la sua scelta.

Lo accettava. Ma non significava che gli piacesse.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Episodio #9: Bloom, clap ***


Occhi vuoti, colmi di tristezza,  che avevano perso la loro scintilla, quella luminosità che li aveva sempre contraddistinti; Ryo, inginocchiato accanto al cadavere, fissava il giovane dall’addome trivellato di colpi e dal viso che era stato picchiato così selvaggiamente dal renderlo ormai irriconoscibile come se quel cadavere non fosse veramente lì – quasi come se il corpo fosse stato trasparente. 

Si voltò verso Kaori, che analizzava la scena del crimine alla ricerca di indizi, la presenza di eventuali bossoli, e si perse per un attimo in un mondo tutto suo. Lasciò che la sua mente vagasse, andasse al passato, al presente, e al futuro- uno che non li vedeva condividere la vita, come un tempo avevano sognato, immaginato.

Ormai mancava poco: poche settimane e Kaori si sarebbe sposata con un altro, sarebbe divenuta la signora Mikuni…

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, mentre stringeva il ponte del naso, sforzandosi di concentrarsi sul presente, l’immediato, il lavoro… si alzò, guardando verso Hideyuki, e lo raggiunse dalla porta, dove il giovane stava parlando con una donna evidentemente scossa, che arrossì appena vide Ryo avvicinarsi.

Segretamente compiaciuto, l’uomo le sorrise, confortandola silenziosamente, maledicendosi perché il suo dannato fascino funzionava con tutte tranne che con una, l’unica di cui gli fosse mai veramente importato qualcosa.

“Ryo, questa è Victoria Kenpai, è stata lei a chiamarci.” Maki gli spiegò, mettendo via il blocco degli appunti, rimettendolo nella tasca dell’immancabile spolverino. “Mi dica, signora, potrebbe ripetere quello che ha detto a me anche al mio collega?”

 “Ho sentito degli spari provenire dall’appartamento di Bento, e vi ho chiamato.” Arrossendo, la donna fece un leggero cenno di assenso col capo, che abbassò poi prontamente, rivolgendo gli occhi altrove, quasi guardando la porta d’ingresso del suo dirimpettaio avesse potuto scorgervi i suoi resti mortali. “Io… non credo di potervi aiutare di più. Lo conoscevo appena. Io… io non so nemmeno il suo cognome. Si era presentato solo come Bento, mi aveva stretto la mano e… e basta. Ci dicevamo solo buongiorno e buonasera, cose così.”

Ryo scrollò le spalle: non se ne meravigliava affatto. La gente già normalmente si faceva i fatti propri e non conosceva mai davvero chi gli stava accanto, ma questo era ancora più vero a Shinjuku, un quartiere dalla criminalità così elevata che meno sapevi dei tuoi vicini, meglio era, perché non potevi mai sapere chi potevi avere alla porta accanto.

“Grazie mille signora, la lascio nelle mani del mio collega!” Le sorrise, salutandola, e tornò dentro. Kaori era ancora inginocchiata sulla moquette color tortora, ingrigita dagli anni, e cercava in mezzo a quel ciarpame ed al caos degli indizi, come pure Reika, che la guardava con malcelata ostilità, non perdonandole di averle rubato l’incarico sotto copertura che alla collega era valsa una menzione di merito.

“Ditemi che almeno voi avete qualcosa…” Ryo sospirò, sentendo però già la delusione che montava in lui – delusione che percepì in tutta la sua potenza quando la sua ex lo guardò innervosita, chiaramente a corto di idee anche lei.

“Se vuoi posso dirti che sulla cassetta delle lettere c’è scritto Tensei, ma non ha fotografie in giro, documenti addosso, e conciato in questo stato dubito che la vicina ci potrebbe dire se quest’uomo è effettivamente Bento oppure no.”

“Quindi, cosa potrebbe essere, una rapina, ?” Domandò, guardandosi intorno con fare guardingo: difficile capire cosa potesse essere accaduto, ma la rapina sembrava effettivamente la migliore delle ipotesi, visto e considerato che non c’era una sola cosa che fosse al suo posto, che tutti i cassetti erano stati svuotati, i pochi quadri spostati…. Ma cosa cercava il ladro? Bento era solo un povero carpentiere di vent’anni: in che casino si era ficcato quel povero ragazzo per essere ridotto ad un colabrodo a cui era rimasto poco o nulla di umano?

“Beh, sì, anche se mi chiedo cosa potessero voler rubare ad un morto di fame come lui… l’unica cosa apparentemente di valore è il computer, e lo hanno lasciato!” Reika rispose secca, voltandosi verso Ryo e sbattendo le sue lunghe ciglia da cerbiatta. “Questo posto è una porcilaia peggio di quanto non fosse mai stata casa tua…. E per essere peggio di te ce ne vuole di impegno!”

Mentre Ryo ingoiava a vuoto, imbarazzato ed a disagio nel trovarsi nel mezzo di quella discussione- che Kaori, nonostante il suo status di ex, non pareva apprezzare -  le due donne si lanciavano saette dagli occhi, mostrandosi a gesti e sguardi il rispettivo disprezzo.

Lo so benissimo com’è la casa di Ryo…. Perché, sai Kaori, io ci sono stata… e pure parecchie volte.

Come buona parte delle donne di Tokyo… quella però che ha condiviso la camera da letto con lui sono io, tu al massimo ti sei seduta al tavolo della cucina, e lo so benissimo che Ryo, con te, non ci è mai stato, nonostante tu non faccia altro che fare la svenevole!

Ehm, volete che ci pensi io a controllare con la motorizzazione? Magari hanno una sua foto…” Ryo provò a dire, allentandosi il colletto della camicia rossa che indossava quel giorno. “Maki può controllare se magari aveva famiglia, qualcuno da avvisare… voi intanto potete continuare a vedere se trovate qualche indizio, va bene? Sì? Perfetto!”

Senza nemmeno attendere risposta, Ryo riprese a girare per la stanza, fino a che non notò qualcosa per terra: un quaderno a quadretti, a spirale, formato A5, di quelli usati anche a scuola; era stato gettato malamente a terra, e lasciato aperto. 

“Trovato qualcosa?” Maki gli domandò, raggiungendolo.

“Non lo so…” Infilandosi i guanti neri, Ryo si inginocchiò e raccolse il blocco; prese a sfogliarlo, concentrato, quasi si aspettasse una fulminazione, e quasi in ogni pagina trovò lo stesso ed identico disegno: una T, in stampatello, bordi rossi ed argentei, colorata di azzurro, con cinque semplici stelle sopra ed una sesta alla base della stanghetta.

Il poliziotto sollevò un sopracciglio, interessato e curioso: forse che il ragazzo fosse parte di un gruppo antisemita? No - quella non era la stella di David, e comunque non avrebbe certo disegnato quel motivo così ossessivamente se così fosse stato. 

Qualcosa di matrice politica? Magari legato al comunismo, o a un movimento indipendentista… o forse qualche setta: in Giappone erano sempre andate forte.

O forse, più semplicemente, era il logo di un albergo extra lusso? Anche a Tokyo i cinque stelle più una si potevano contare sulle dita di una mano, e non ricordava nessuno che avesse un’immagine simile…

O magari le cose erano ancora più semplici e banali di cosa Ryo immaginasse, magari quello era stato un disegno così, fatto nella foga del momento, e lui stava semplicemente guardando nella direzione sbagliata e non verso la più ovvia.

“Ehi, Reika!” La chiamò, sollevando un braccio in direzione della donna, mettendo in mostra il taccuino. "Ti risulta che sia il tag di qualche gang, magari una banda di Yakuza?”

Reika, che aveva intanto fatto accomodare Kazue, che stava controllando il corpo, si avvicinò a Ryo, e prese il blocco dalle sue mani. Pagina dopo pagina, guardò quella semplice lettera. 

“No, non mi sembra, ma potrebbe essere qualche nuova gang… ma potrebbe benissimo essere un logo commerciale, oppure l'iniziale di una donna, o di un uomo…”

“Qualsiasi cosa sia doveva piacergli parecchio!” Kazue urlò da accanto al corpo, mentre sollevava leggermente il polsino della semplice maglia a maniche lunghe di cotone nero, mostrando il polso sinistro del ragazzo. “Se l’era pure tatuata sul corpo. A giudicare dal rossore, non più di una settimana fa…"

“Professionale o casalingo?” Le domandò, avvicinandosi sommessamente e guardando dall’alto del suo metro e novantadue il disegno sulla pelle del giovane, effettivamente identico a quello sul quaderno che aveva appena imbustato.

tattoo

“Beh, non me ne intendo molto…” Kazue rispose con un sorrisetto, mentre prendeva in mano un paio di pinzette, non dissimili da quelle usate dalle estetiste per le sopracciglia, ed iniziava a controllare meglio il cadavere. “Ma i contorni sono precisi e netti, i colori luminosi, e stava guarendo bene. Direi che era un lavoro professionale.”

“Faccio un giro dai tatuatori della zona. Magari si ricordano di averlo fatto o ne sanno qualcosa di più…” Ryo avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma lo sguardo concitato di Maki, serio e preoccupato, lo fermò. Rimasero in silenzio, mentre il più anziano dei fratelli Makimura continuava a guardare i colleghi come se un’ombra nera fosse caduta su di lui, avvolgendo il suo intero essere. “Accidenti, Maki, che faccia… cos’è, devi andare ad un funerale?” Ryo scherzò.

“Venite a vedere.” Così dicendo, fece segno di seguirlo; entrò in un piccolo sgabuzzino, angusto, con mensole fino al soffitto. Era caotico come il resto della casa, ma nell’aria si poteva distinguere chiaramente un certo odore, concentrato, che tutti loro conoscevano bene.

Polvere da sparo.

Per terra, scatole di munizioni, tante… quasi tutte vuote.

“Accidenti, al ragazzo doveva piacere fare le scampagnate…” Prese uno dei proiettili e lo esaminò, sollevando un sopracciglio. “Questi li usano per i fucili da caccia grossa…”

“Accidenti…” Kaori fischiò. “Ci sono abbastanza scatole da far sembrare questo posto un’armeria… ma fucili zero. Credete possa averli presi l’assassino?”

“Forse non è il caso di concentrarsi tanto sui fucili…” Kazue prese a balbettare, i denti che le scricchiolavano in bocca mentre, inginocchiata accanto al cadavere, con in mano il portafoglio che aveva recuperato dal corpo,  impallidiva. “Ragazzi… non è stato ucciso da colpi di pistola… le contusioni sono state effettivamente causate da pugni, ma al petto… questo… questi non… non sono frammenti di proiettile, ma… ma schegge!”

“Appunto: schegge di proiettile!” Ryo ridacchiò, senza capire il senso dell’affermazione di Kazue, né perché fosse così preoccupata: un proiettile frantumato non era esattamente una novità, capitava più sovente di quanto si pensasse, lo sapeva anche lui, a volte si frantumava all’interno del corpo, se il proiettile colpiva un osso con una certa forza ad una determinata angolazione, oppure succedeva che rimbalzasse contro una superficie, si infrangesse, e schegge andassero a colpire un povero disgraziato che a volte non era nemmeno la vittima designata. “Sai che cosa strana!”

“Ti ho già detto che non è un frammento di proiettile, brutto idiota!” La donna sibilò, guardandolo dalla sua posizione con occhi infuocati, eppure sembrava che stesse facendo il possibile per controllarsi. ”Ho già visto cose del genere quando facevo la volontaria in Afghanistan con MSF, dopo che erano saltate delle bombe!”

“Bombe?” Kaori balbettò, aprendo e chiudendo gli occhi alla velocità della luce, impallidendo a sua volta, mentre si guardava, concitata, intorno. “Ma… ma qui si tratta solo di disordine, non sembra che la camera sia saltata in aria!”

“Sì, probabilmente perché la carica era a basso potenziale e questo idiota ha assorbito l’onda d’urto col suo corpo, per questo la vicina credeva di aver sentito degli spari... ma Dio solo sa se c’è altro esplosivo qui intorno!”  La donna, risoluta, affermò, alzandosi in piedi senza nemmeno preoccuparsi di prendere alcunché, nemmeno di recuperare i suoi effetti personali. “Dobbiamo uscire subito di qui!”

“Ma…. Ma io non ho ancora finito di analizzare la scena del crimine e se ce ne andiamo adesso ed arriva la squadra artificieri faranno un macello e la contamineranno e…” A denti stretti, senza darle la possibilità di continuare, già capendo l’antifona, Ryo afferrò Kaori per la vita e la sollevò in aria, mettendosela sulla spalla quasi la donna fosse un sacco di patate. “Ma… ma Ryo, cosa fai?”

“Ti porto via, ecco cosa faccio, sennò sei capace di startene qui a raccogliere prove!” La redarguì, abbaiando come un cane inferocito.

“Ma… ma… ma mettimi subito giù!” Fu la risposta. Sbraitata. “Adesso!”

“Stai buona, sorellina, guarda che lo facciamo per te…” Maki sospirò, sistemandosi gli occhiali. Doveva chiamare Saeko e avvertire gli artificieri, ma avrebbe aspettato di arrivare all’auto di servizio ed utilizzare la radio, evitando il cellulare, nel malaugurato caso ci fossero state altre bombe… sarebbe potuta bastare la minima interferenza a far saltare tutto e tutti in aria! “Preferirei venire al tuo matrimonio, piuttosto che al tuo funerale!”

Alla sola menzione dell’imminente cerimonia, Kaori arrossì, e decise di rimanere zitta e buona, e non cercare di divincolarsi oltre, dato che quei movimenti la mettevano fin troppo a stretto contatto con il suo ex - cosa che era certa Ryo avesse capito, se quel sorrisetto compiaciuto significava qualcosa.

“Brava bambina, vedi che quando vuoi sai essere ubbidiente?” Facendole l’occhiolino, le diede una pacca sul sedere, facendole digrignare i denti per l’indignazione.

 

            “Allora, cosa abbiamo fino ad ora?” Saeko domandò, secca, determinata e distaccata, guardando dall’alto in basso i suoi uomini; per pura fortuna gli artificieri erano riusciti a salvare la scena del crimine, nonostante fosse stato trovato, nascosto, un secondo ordigno inesploso: era forse prova che qualcuno aveva avuto intenzione di nascondere l’omicidio del Tensei… o forse era tutta opera del Tensei stesso, e la sua morte non era stata null’altro che un increscioso incidente? “Sappiamo chi era, se era in contatto con gruppi estremisti o altro?”

“Per adesso sappiamo solo il suo nome e l’età.” Ryo attaccò alla lavagna un ingrandimento della patente. “La nostra vittima era effettivamente Bento Tensei, l’affittuario dell’appartamento, di anni diciannove. Lavorava come muratore in una piccola impresa edile.”

“E…” Saeko sollevò un sopracciglio, guardando il suo sottoposto e attendendo che aggiungesse qualcosa, ma Ryo la guardava come se non comprendesse quell’uscita- o peggio, non avesse nulla da dire.

“Nel portafoglio abbiamo trovato copia di una fattura di un negozio di articoli per l’edilizia.” Kaori interruppe, prendendo la sua borsa da un cassetto e mettendosela in spalla. “Cosa non strana, dato che molti muratori fanno anche piccoli lavoretti per conto loro. Mi sono fatta mandare l’elenco dei prodotti a cui corrispondono i codici a barre e vado con gli artificieri a controllare se avesse qualcosa in casa o nel garage.”

“Cos’era?” Saeko afferrò il foglio che Kaori le porse, e prese a leggerlo, recitando le voci una ad una, un elenco che solo a sentirlo, nonostante apparisse nulla di che, visto e considerato ciò che era avvenuto poteva rappresentare un pericolo. “Una decina di tubi zincati, un paio di scatole di fiammiferi, un trapano,  e due scatole di chiodi…”

“Cose che qualunque carpentiere ha, ma che se aggiungi un po’ di polvere da sparo…” Kaori sospirò, guardando i colleghi.

“Hai un po’ di bombe per le mani. Ed il nostro amico aveva non so quante scatole di proiettili!” Ryo terminò la frase per lei, grattandosi il collo. Sospirò; tutta quella situazione preoccupava anche lui, aveva un brutto presentimento.

“C’è altro.” Kaori riprese. “Leggi l’ultima voce della ricevuta.”

“Due bombole di gas?” Saeko sbattè gli occhi, incredula. Quella storia le puzzava, e le piaceva una volta di meno. Pregò con tutta sé stessa di sbagliarsi, ma purtroppo anni di lavoro sul campo, l’esperienza acquisita ed il suo istinto le dicevano di prepararsi al peggio. “Qualcosa mi dice che non  gli servivano per cucinare o scaldare l’acqua…”

“E avresti ragione: non abbiamo visto bombole in cucina, né sul balcone.” Reika sospirò; seduta alla scrivania, sollevò gli occhi verso l’alto, sconsolata. “Io ho controllato tutti i database che mi sono venuti in mente, ma non ho trovato nulla sul tatuaggio. Ciò significa che molto probabilmente è personale, ma non sappiamo a chi chiederlo perché i suoi genitori stanno facendo un viaggio in barca a vela e non abbiamo la più pallida idea di chi possano essere i suoi amici.”

“Mentre Kaori ispeziona la casa di Tensei, ho bisogno che qualcuno vada alla sede della ditta per cui lavorava,” Saeko rifletté; sapeva che si trattava di una remota possibilità, dato che il ragazzo lavorava lì da poco, ma valeva forse la pena provare. “Magari qualcuno dei suoi colleghi sa cosa vuole dire il tatuaggio e ci sa dire qualcosa di più su di lui.”

“O magari ha lo stesso tatuaggio.” Hideyuki continuò, serio, sistemandosi gli occhiali sul viso, suo vezzo abituale. “Non sappiamo ancora se si tratti di incidente o omicidio, potrebbe benissimo essere che il colpevole sia qualcuno con cui lui stava pianificando qualcosa.”

“Ma cosa? Questo ragazzo era un santarellino, l’unica pecca sul suo curriculum era un richiamo per disobbedienza civile alle superiori, quando ha intrapreso una protesta contro il preside che voleva obbligare una sua compagna di classe a tingersi i capelli perché il suo colore non era considerato abbastanza nipponico...” Ryo lesse il fascicolo, sorridendo, quasi stava per scoppiare a ridere… era difficile credere che un ragazzo del genere potesse costruire bombe. “Lui ed i suoi compagni si sono tinti i capelli di biondo con un ciuffo della frangia viola, come la testa del leader dei Beehive!”

“Già, ma un semplice atto di disobbedienza gli ha segnato la vita…” Hideyuki prese la cartella di mano a Ryo, e continuò a leggere; occhi lontano, rattristati, parlava con l’animo pesante. “Il preside non ha preso bene la protesta e lo ha sospeso, lui non si è diplomato e invece di essere all’università a studiare architettura come voleva è finito a fare il muratore grazie alla raccomandazione del padre, ed il tutto per due soldi!”

“Abbiamo già i tabulati telefonici? Un elenco delle mail inviate, dei siti visitati?”

“Telefono usa e getta ricaricabile da bravo terrorista e computer protetto biometricamente, il che significa che ci servono i suoi occhi e l’impronta del suo pollice… ma lui dovrebbe essere vivo per funzionare!” Ryo indicò le prove, incellofanate sulla sua scrivania. “JJ sta già venendo qui. Proverà lui a craccare il sistema.”

“Bene, così scopriremo con chi si sentiva e se c’era qualcosa di cui lui si interessava particolarmente… oh, Reika, fai un salto al negozio dove aveva acquistato tutta questa roba, voglio sapere se hanno dei nastri della videosorveglianza e se si ricordano del nostro caro defunto.”

“O se magari non era andato da solo a fare acquisti ma in buona compagnia!” Reika esclamò, soddisfatta di sé, sistemandosi una ciocca di capelli ribelli alle spalle, con la stessa identica movenza della sorella maggiore. “Vado subito!”

“Il centro commerciale dove ha comprato tutta quella roba è il Nakano, vero?” Ryo domandò; raggiunse Reika, che aveva in mano copia della ricevuta d’acquisto, e guardò da sopra la sua spalla il foglio, con un sorrisetto sornione un po’ sciocco, quasi volesse farle credere che era ben altro che i suoi occhi scuri stavano assaporando. “C’è anche un negozio di articoli da campeggio, caccia e pesca. Potrei approfittarne e rubarti un passaggio, e fare qualche domandina anche a loro..  magari il nostro terrorista ha acquistato lì i proiettili e tutto il resto del suo armamentario!”

“Hai già sentito i tatuatori, Ryo?” Saeko gli domandò; il suo tono con lui però non era secco, e nonostante fosse chiaro quanto fosse autoritaria - anche con lui e Hideyuki - c’era anche una certa nota frizzante nella sua voce, amichevole, sintomo di quanto si fidasse di loro, e che li riteneva suoi pari, non meri subordinati a cui abbaiare ordini.

“Che palle, Saeko! Ma certo che li ho già sentiti! Per chi mi hai preso?” Lui sbuffò, mani incrociate dietro al capo. “Si è tatuato in un piccolo negozio di Shinjuku, ha portato lui il disegno e non ha detto cosa volesse dire. Adesso che lo sai posso andare o no?”

“Allora ve bene, ma portatevi dietro Maki, sei occhi sono meglio di quattro!” Con un sorrisetto sul volto, la donna fece un gesto un po’ svogliato con la mano, quasi fosse stata una regina che permetteva agli umili sudditi di lasciare la sua presenza, un comportamento dettato dall’impertinenza di Ryo.  Mentre la “coppia” si allontanava ed entrava nel piccolo ascensore, la bella ispettrice sorrise sotto ai baffi, segretamente compiaciuta da ciò che aveva notato quando Ryo aveva proposto a Reika di andare con lei:: Kaori sembrava voler strozzare l’altra donna con le sue stesse mani.

Era gelosa, nonostante tutto.

“Su, forza, mettiamoci tutti al lavoro!”  Braccia incrociate, Saeko tornò nel suo ufficio, sedendosi dietro alla sua scrivania molto soddisfatta per come stava andando la giornata: ormai sembrava che il caso fosse destinato ad essere chiuso, presto e con successo - l’ennesimo  per la sua unità.

 

            “Credi davvero che un commesso potrebbe ricordarsi di Tensei?” Reika gli domandò, dubbiosa, mentre salivano le scale del centro commerciale dove i due negozi si trovavano.

Ryo, mani in tasca, si voltò a guardare Maki, rimasto indietro, un po’ in disparte, intento a parlottare al telefono, probabilmente con la sua dolce metà.

“Beh, con il basso numero di armi che si vendono in Giappone,” Ryo sbuffò scrollando le spalle; “spero che all’emporio si ricordino di un ventenne che ha comprato un piccolo arsenale.”

“Se le ha comprate qui... non hai pensato che forse avrebbe potuto acquistarle al mercato nero?” Gli domandò, onestamente curiosa.

“No,” Ryo le rispose, sorridendo sicuro di sé. “quel tizio era un agnellino, Reika, tolto quel problema a scuola non aveva precedenti, nemmeno una multa. Se voleva qualcosa, non gli serviva andare al mercato nero. Non penso nemmeno avesse gli agganci per sapere cosa comprare e da chi…”

“Ryo,” la donna sollevò un sopracciglio, poco convinta. “Quel tipo  preparava bombe.”

“Già, ed era così furbo che si faceva fare la fattura per i materiali, dai!” Sghignazzando, sollevò un braccio a mo’ di saluto, mentre Maki lo raggiungeva, ed entrambi entravano nell’armeria, mentre Reika sbuffava, innervosita da come Ryo a volte sembrasse trattarla da sciocca - o peggio, da bambina.

Con un diavolo per capello e la foto del ragazzo, Reika si diresse verso la cassa centrale, al momento vuota, e sbatté il distintivo sul top in legno chiaro, facendo sobbalzare il ragazzo che c’era dietro al bancone; occhialuto, sui vent’anni, mingherlino, il cartellino sul taschino della polo giallo canarino lo indicava come Satomi.

“Mi servirebbero le fatture degli acquisti effettuati da Bento Tensei negli ultimi sei mesi.” Si limitò a ringhiare. Balbettando e sudando, il ragazzo prese a dire scuse, spiegare come gli sarebbe servito un mandato, ne era quasi del tutto certo, che quello fosse abuso di potere… senza battere ciglio, Reika gli sbattè un’altra foto sotto al naso: stavolta, era quella dell’autopsia del ragazzo. “Tensei è morto, e gradiremmo scoprire il perché. Allora, non vuole che la arresti per intralcio alla giustizia, vero?”

Il giovane prese ad ingoiare a vuoto, smanettando al computer, rubando di tanto in tanto un’occhiata a Reika; la trovava bellissima, dal carattere deciso… e forse fin troppo. Un po’ dispotica ed acida, ecco, ma un sogno per uno come lui. Stampò una fattura per altro materiale edile - delle travi di legno, della colla a caldo, silicone, chiodi, nulla di strano per un carpentiere - e poi fece un passo indietro, intimorito dall’aura di potere emanata dalla donna.

“Altro? Sai se Tensei avesse fatto acquisti solo con scontrino, se è mai venuto qui con qualcuno?” gli domandò, quasi ringhiando. Si sentiva stufa ed arrabbiata, innervosita… non c’era nulla che stesse andando come voleva, nella sua vita. Poche prospettive di carriera, Saeko metteva su famiglia mentre lei era ancora single, e l’unico uomo che lei avesse mai amato non sembrava minimamente interessato…. a volte sembrava che il destino si accanisse con lei.  Anzi: contro di lei.

“Io… no, cioè….” Satomi balbettò; Reika non gli disse nulla, né lesse troppo in quel comportamento, immaginando il ragazzo come un timido soggetto che andava in crisi alla vista di una donna, e ancora peggio se suddetta donna gli parlava insieme. “Non… non ci sono sempre io.”

“Io... devo andare.” le disse all’improvviso, guardando in lontananza verso un vecchietto che stava girando spaesato tra gli scaffali. “Ma, ma se vuole posso chiedere in giro, magari qualche collega si ricorda…”

Reika si limitò ad alzare gli occhi al cielo e lasciargli il suo biglietto, certa che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, e poi uscì, sistemandosi i capelli come faceva sua sorella Saeko… lo faceva inconsciamente, ma odiava quel gesto, quasi avesse cercato di imitarla, eguagliarla - cosa che sapeva impossibile: Saeko aveva tutto, dall’amore incondizionato del padre al fidanzato fino alla carriera.

Raggiunse Maki e Ryo, che stavano chiacchierando con un altro ragazzo davanti all’armeria; anche lui era molto giovane, un segno dei tempi, che impiegavano in massa manovalanza a bassa specializzazione con stipendi che poco mancava che fossero da fame. Il giovane fissava la foto, strizzava gli occhi quasi a volersi concentrare meglio, sembrava incerto, o che non sapesse nulla, ma poi il suo corpo fu percorso come da un brivido.

“Cosa hai ricordato?” Ryo gli domandò, scuro in volto, certo di ciò che affermava.

“Non era un nostro cliente, però…” Il ragazzo corrugò la fronte, inspirando. “Io credo di averlo visto una volta… sì, ne sono sicuro, era con Satomi nel parcheggio, lo stava aiutando a caricare la macchina, e sembravano, beh, amici.”

“Satomi?” Reika domandò, sgranando gli occhi, irrompendo nella discussione. Sentiva come un brivido correrle lungo la schiena, e si maledisse… aveva creduto che il ragazzino fosse giovane, inesperto, timido… e invece era un criminale bugiardo, e lei non lo aveva capito, si era a malapena accorta di chi aveva davanti, nemmeno fosse stato invisibile. “Quello del negozio di utensileria e ferramenta?”

“Sì, è lui… è parecchio strano quello…” Il ragazzo fece un sorrisetto, restituendo la foto a Ryo. Poi però gli strappò di mano un’altra fotografia, quella del polso del giovane Tensei. “Come mai avete una foto del suo tatuaggio?”

“Suo?” Makimura si sistemò gli occhiali, avvertendo che qualcosa non andava. “Suo di chi?”

“Di Satomi, ovvio… perché, non è suo?”

Ryo strappò la foto di mano al ragazzo, e la mise davanti ai suoi occhi, mentre Reika scostava leggermente la giacca per avere accesso più rapido alla fondina e si incamminò a passo spedito verso la ferramenta, pronta a interrogare quel sospetto che adesso era chiaro avesse mentito fin dal principio: Satomi aveva qualcosa da nascondere, e questo poteva significare una cosa sola, che fosse coinvolto in quella faccenda.

Ma in cosa, esattamente? Le bombe, l’omicidio… o forse una sparatoria?

Ryo e Maki fecero per voltarsi e raggiungerla, quando però Saeba si immobilizzò davanti alla mappa del centro commerciale, e sentì il cuore smettere di battere nel petto per lo spavento… una T - quell’edificio realizzato in mattoni rossi e vetro azzurro cielo era a forma di T.

Avvertì come un oscuro presagio, e prese a correre verso il tetto, temendo cosa vi avrebbe potuto trovare, ma soprattutto desideroso di avere una visione dall’alto… che fosse la stessa cosa che Satomi e Tensei avevano pianificato?

Cinque stelle: cinque bombe per far collassare quella parte dell’edificio, e bloccare le uscite su quel lato. E poi la sesta stella, dove Ryo sapeva esserci una cupola in vetro… quasi un punto panoramico. Da lì, avrebbero potuto sparare a tutti quelli che fossero usciti dal centro commerciale, massimizzando attraverso il caos il numero di vittime potenziali.

“Dannazione!” Ryo sibilò, fermandosi su uno scalino e chiamando Reika a squarciagola; la donna si fermò, e tornò indietro, raggiungendolo. “A quest’ora il ragazzo sarà sul tetto… scommetto che la nostra presenza e la morte del suo socio gli ha fatto velocizzare il piano!”

“Già… se il piano originale era di far esplodere le bombole di gas, avrà deciso di evitarlo per non perdere tempo! Io faccio chiudere tutte le porte. Dobbiamo far rimanere i clienti all’interno dei negozi… e chiamo Saeko, ci serviranno rinforzi!” Maki controllò dove si trovasse la sicurezza, e si avviò, veloce, cercando di dare il meno nell’occhio possibile, sapendo che ogni altra reazione avrebbe potuto scatenare l’isteria totale. Aveva visto masse fuggire come branchi inferociti e fuori controllo, e alla fine i più deboli rimanevano schiacciati dalla calca, morendo soffocati o massacrati, e non voleva venire ricordato come l’agente che aveva permesso una cosa del genere.

Non aveva ancora fatto dieci passi però che l’allarme anti-incendio scattò, mentre una serie di esplosioni prendeva luogo all’esterno della struttura; in serie, una dopo l’altra, ognuna leggermente più potente della precedente. I muri vibrarono, e gli sembrò quasi che gli dovesse mancare la terra da sotto i piedi, e nonostante quasi tutti i palazzi del Giappone fossero dotati della più moderna tecnologia antisismica, questi non servì a nulla.

Il muro collassò - la stanghetta della T - e fu il caos.

Urla. Grida. Gente che fuggiva. gente che si rannicchiava in posizione fetale, muta. Bambini che gridavano terrorizzati.

Distintivo in pugno, alzato perché tutti potessero vederlo, Maki si fece strada tra la folla, cercando di guadagnarsi l’uscita; dalle porte già in molti si stavano accalcando, facendo il gioco del giovane criminale, che prese a sparare, ridendo… una risata acuta, forte, malata, che superava il rumore degli spari, quello delle urla di terrore.

Urla. Sangue. Spari. Il mondo divenne improvvisamente rosso e nero, mentre il poliziotto estraeva, stringendo i denti, la pistola dalla fondina, e spingeva una giovane mamma dentro al centro commerciale. Alzò l’arma, tenendola saldamente con entrambe le mani, mentre sudava e il suo cuore batteva all’impazzata, e puntò verso la macchia sul tetto… giallo e verde, come la divisa della ferramenta, e nero… nero come il giubbotto antiproiettile che indossava.

Maledisse Ryo: a quanto sembrava, si era sbagliato. O forse il profilo che aveva fatto di Tensei era giusto, ma non avevano preso troppo in considerazione il suo complice.

Ragazzini. Poco più grandi di Kaori quando aveva deciso di entrare in polizia, dopo che lui era quasi morto a causa di Sonia e Kaibara.

Ragazzini. Provenienti da brave famiglie, come Kaori. Bravi studenti, come lo era stata lei… ma ad un certo punto avevano avuto un singolo intoppo, e quello aveva causato una reazione a catena che li aveva fatti precipitare nel baratro, trasformandoli da giovani promettenti in poco più che sguatteri. Erano stati traditi dalla società, e adesso avrebbero pareggiato i conti, ottenuto la loro vendetta.

Satomi gli puntò l’arma addosso, e Maki fu quasi certo di vedere un sorriso pazzo dipinto sul viso, mentre premeva il grilletto; il poliziotto sparò un caricatore, cercando di non colpire il loro sospettato ma disarmarlo, o perlomeno far guadagnare a Ryo e Reika tempo; le scintille della pistola lo accecano, sentiva i colpi rimbalzargli dentro, fargli mancare l’equilibrio, nemmeno fosse stato un novellino, ed intanto una singola goccia di sudore gli cadde nell’occhio destro, annebbiandogli la vista…. ma continuò a sparare.

Fino a che il grilletto andò a vuoto: era rimasto senza munizioni.

 Un proiettile gli sfiorò la gamba destra, lacerando la stoffa del pantalone beige, che si inzuppò di sangue mentre una macchia cremisi si espandeva sul tessuto; barcollando, Maki cercò riparo dietro ad un vaso di terracotta azzurra particolarmente grande, in cui era stata piantata una palma, e cambiò caricatore. Prese nuovamente la mira, sparando però a lato del giovane, volendolo distrarre, e sperando che funzionasse…

E poi, altri spari: ma guardando dal basso verso l’alto, Hideyuki era certo che non fosse stato il giovane a sparare.... mentre legava la cravatta intorno alla ferita, emise un flebile respiro di sollievo, mentre gli sembrava che il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica che partiva dal punto in cui era stato ferito: quel rumore era inconfondibile.

La Python di Ryo.

 

            Coperti da due lucernari, Ryo e Reika, ai lati opposti del tetto, tenevano le pistole in mano e cercavano di disturbare il più possibile il ragazzo - e fargli sprecare munizioni; più sparava a vuoto, prima avrebbe terminato i proiettili, e più persone si sarebbero salvate dalla sua folle furia omicida - e Ryo era certo Maki stesse facendo la stessa cosa dabbasso.

In silenzio, Ryo e la collega guardarono il ragazzo, puntandogli le loro armi addosso: aveva un borsone accanto a sé. Armi? O peggio… Bombe? Se così fosse stato, una mossa sbagliata e sarebbero saltati tutti in aria.

Dannazione, Ryo pensò tra sé e sé.

Satomi prese nuovamente la mira, e allora Ryo e Reika fecero altrettanto, iniziando a sparare a loro volta; con una mossa veloce però il ragazzo rotolò a terra, in maniera quasi militare, con fare da soldato. Cercò un punto dove potesse avere copertura, e mentre l’aria si riempiva del suono delle sirene - vigili del fuoco, ambulanze, polizia - ed elicotteri si avvicinavano, implacabili, lui prese a sparare nuovamente.

Stavolta però non sulla gente, sui passanti… ma sui due poliziotti, che avevano interrotto il fuoco incrociato per caricare le loro armi.

Fu allora che Ryo lo vide, e quella scena quasi prese vita come al rallentatore…. Reika, inginocchiata a terra che cambiava il caricatore  della sua semi-automatica, e il ragazzo che la vedeva, e prendeva la mira, e sparava…. una raffica di proiettili, alla cieca. Annebbiato dalla rabbia, quasi la presenza di quei poliziotti fosse un’offesa a qualunque fosse il suo folle progetto, sembrava ormai incapace di controllare la sua arma.

I proiettili schizzavano ovunque, in tutte le direzioni, senza ragione apparente… ogni colpo rimbombava nelle orecchie, faceva tremare ogni osso del loro corpo, mentre i nervi sembravano quasi bruciare, come i muscoli, tesi oltre ogni misura.

Erano solo attimi, nemmeno secondi, forse solo frazioni… eppure capitavano tante cose, troppe, tutte assieme, lasciandoli senza fiato, senza nemmeno la capacità di riflettere.

Potevano solo agire: e fu questo che Ryo fece quando vide Reika che sembrava quasi esitare… cercava di caricare la sua arma, ma qualche meccanismo doveva essersi inceppato, e lei aveva perso tempo - tempo che Satomi aveva ogni intenzione di usare a suo vantaggio.

Ryo si gettò senza troppo riflettere, con un movimento rapido ed agile, rotolando a terra mentre l’aria si riempiva dell’odore di polvere da sparo, ed il rumore degli spari e delle pale degli elicotteri, sempre più vicini, faceva scoppiare i timpani; fece scudo a Reika, e la spinse via, lontano dal fuoco, ma ormai era troppo tardi.

Un colpo, due, tre, quattro…. quante volte era stato colpito?

Non lo sapeva, ma di una sola cosa era certo: adesso non sentiva più sparare.

Vista incerta, dolorante, senza sentire più il proprio corpo, Ryo mosse leggermente il capo, e vide Reika in piedi, gambe divaricate, pistola fumante in pugno… il tempo che Ryo le aveva fatto guadagnare le era servito, e aveva approfittato dello smarrimento del giovane, forse euforico per aver ucciso uno sbirro, per colpirlo a sua volta.

Un solo sparo, e Reika aveva fatto centro, colpendolo in mezzo alla fronte, uccidendo il ragazzo sul colpo.

Ryo sorrise, facendo schioccare la lingua contro il palato, ma questo semplice gesto gli provocò enorme dolore; tossì, avvertendo un sapore metallico in bocca, che nel retro della sua mente capì essere sangue… era messo davvero così male?

Tentò di muoversi, e tossì ancora mentre tutto il suo corpo era pervaso dal dolore più acuto: sì, doveva essere messo davvero male.

Sentì il rumore di passi, singhiozzi - e qualcuno che lo chiamava. Una voce femminile. Chi? Non lo sapeva: era solo certo di avere tanto freddo. E che altre persone stavano arrivando. Qualcuno urlava. Qualcuno correva.

Qualcuno accarezzava il suo viso, con delicatezza- lo stesso viso su cui stavano cadendo calde lacrime. Sue? No - aveva scordato l’ultima volta che aveva pianto.

Qualcun altro stava piangendo, ma chi? Chiuse gli occhi, mentre sentiva il battito del suo cuore rallentare, e l’oscurità avvolgerlo. Tentò di inspirare, ma tossì di nuovo, eppure…. eppure, fu quasi certo di sentire quel profumo inconfondibile, ma era sogno o realtà?

Diverse persone gli si erano messe intorno, forse curiosi, o infermieri e medici, o magari colleghi; Ryo non poteva esserne certo, non riusciva a vedere bene nessuno di quei visi, la vista era annebbiata.

“Ryo, Ryo ti prego, non morire!” Una donna gli disse, pregandolo, disperata, stringendolo al proprio petto. “Non farmi questo!”

“Andiamo Ryo, tieni duro!” Stavolta, a parlare era stato un uomo. Lo conosceva? Non ne era certo. Ormai, non era più certo di nulla.

“Resisti, Ryo, resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo ancora e ancora e ancora. Sembrava disperata. Ryo la sentì parlare, e la voce… lentamente, cambiò… o forse la riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una mano verso il viso.

E poi, quel profumo… inebriante, che gli riempiva i sensi.

“Ti amo…” le disse, tossendo tra una parola e l’altra, mentre si sentiva venir meno, ma sapeva di dover parlare, ammettere, dire quelle parole, per la prima volta… e forse l’ultima.

Lei. Solo lei. Sempre lei. “Ti amo… così tanto… da sempre…”

Lei sgranò gli occhi, sorridendogli felice, come mai prima di allora; le lacrime continuarono a lasciare i suoi bei occhi castani, ma stavolta erano lacrime di gioia, non più di paura o dolore.

“Oh Ryo….non lasciarmi!” La donna lo supplicò, lasciandosi cadere sul tetto ricoperto di asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo, nonostante le proteste dei soccorritori che tentavano di farla allontanare, di separarli. Ma lei non voleva… e Ryo la capiva benissimo. Perché provava lo stesso. Lo aveva sempre provato, lo aveva sempre saputo,  ma non aveva mai capito quanto profondo fosse stato quel legame.

Loro. Solo loro. Sempre loro.

L’aveva data per scontata per troppo tempo, e adesso se ne pentiva - adesso che la morte avrebbe potuto dividerli per sempre. Ma avrebbe lottato, per sé stesso, per lei, per il loro futuro.

Non si sarebbe arreso. L’angelo della morte non lo avrebbe avuto.

“Amore mio, sei qui con me…” Le sorrise, in pace, certo che ce l’avrebbe fatta. Aveva gli occhi lucidi, ma non era abbastanza in forze da piangere vere lacrime. “Ti amo… Sugar.”

E poi… poi, l’oscurità ebbe la meglio, e Ryo non sentì più nulla, nemmeno il freddo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Episodio #10: batti, batti, batticuore ***


“Ryo?” Mick Sbattè gli occhi, perplesso, alla vista dell’ex amico che se ne stava spaparanzato nel letto d’ospedale, con quel pigiama consunto, a strafogarsi di riso. L’americano era a braccetto della bella Kazue, che stringeva un mazzo di garofani dalle mille sfumature di bianco e rosa, e delicati fiorellini di nebbia, mazzo che lui le aveva portato in dono, dopo essere passato a trovarla dall’obitorio dove aveva fatto un turno extra: stavano per iniziare insieme una serata che lei sperava essere romantica, e lui bollente.

Mick aveva finto di passare casualmente davanti alla stanza dell’amico, aveva sperato che non lo avrebbe trovato più lì, visto e considerato cosa stava per accadere, ma purtroppo aveva scoperto di aver avuto ragione: Ryo non si era mosso dal suo letto, dove se ne stava tranquillo e beato come un pascià. “Ma che diavolo ci fai ancora qui?”

“Che razza di domanda, mangio!” gli rispose, guardandolo come se fosse stato un completo idiota. “Le infermiere sono tutte pazze di me, dovranno cacciarmi fuori di qui a forza! Ah, ah, ah!”

“Sì, ma….” Il biondo si grattò il capo, guardando prima Kazue, poi Ryo, che sghignazzava come un completo idiota. Mick era a dir poco senza parole, e si chiese se le conseguenze della sparatoria non fossero state più nefande di quello che avevano creduto all’inizio. O, se per caso, Ryo non fosse semplicemente un completo idiota: la giuria doveva ancora esprimersi al riguardo. “Insomma, tra poco inizia il matrimonio di Kaori, e speravo saresti andato a fermarla. A impedirle sai, di, ehm, sposarsi. Con un altro.”

“No.” lui si limitò a dire, secco, deciso e distaccato, mentre l’uomo e la donna si guardavano, senza capirci nulla: Ryo era stato parecchio chiaro riguardo cosa provasse ancora per Kaori, e Mick era certo che avrebbe finalmente messo le palle e compiuto un gesto grandioso, andando a rovinare quelle nozze con quel riccastro da strapazzo, e invece, eccolo lì. Stravaccato in un letto che si rimpinzava di riso bollito mentre l’amore della sua vita sposava un damerino che, con tutta probabilità, tempo sei mesi l’avrebbe convinta che bisognava fare qualche cambiamento.

“No?” Mick sbatté le palpebre alla velocità della luce, più e più volte, il viso che esternava la sua perplessità. “In che senso, no?”

“No vuol dire no. Nel senso che stiamo meglio così.Ryo rispose con una scrollata di spalle, con totale aplomb, prima di mettersi in bocca un’altra dose di riso. “Noi siamo amici. Noi siamo colleghi. Kaori ha sempre avuto ragione, io non sono fatto per la vita da uomo sposato, sono un single incallito… lo stallone di Shinjuku, il fidanzato di tutte… e poi lei si sta per sposare, ed io, con le donne sposate, non ci provo, è una questione di principio, non sono mica come te, sai!”

Così dicendo, Ryo eruppe in una sonora risata, preferendo far credere che quella, tutto sommato, fosse anche una sua scelta, mentre invece lui a rimettersi con Kaori, da quando lei era tornata a Tokyo, ci aveva provato eccome, ma non era servito a nulla, nemmeno quel bacio favoloso, dato in un vicolo fuori dal Cat’s Eye, le aveva fatto cambiare idea, nonostante lei in un primo momento lo avesse assecondato, non solo rispondendo a quella sua esplicita avances ma prendendo lei stessa da lui tutto quello che voleva… ma poi si erano baciati di nuovo, sotto copertura, e lei era stata molto… distaccata, e Ryo lì aveva capito di aver perso la sua opportunità.

Per giunta, quando era andata a trovarlo in ospedale, nonostante si fosse chiaramente dimostrata preoccupata per le sue condizioni, si era comportata come se nulla fosse, da quel punto di vista. Avevano parlato del più, del meno, e davanti ai colleghi gli aveva pure detto che sperava che Ryo si riprendesse per il matrimonio, che lui era il suo più caro amico e che sarebbe stata felice di averlo accanto nel giorno più importante della sua vita.

“Vedo che ti senti già meglio… e così corriamo dietro alla infermiere, eh?” Kaori lo punzecchiò, entrando in camera e sedendosi accanto al letto. Ryo si mise a sedere dritto, e si grattò la nuca, ridendo imbarazzato.

“Eh, eh, sai com’è, cercavo di ottenere un rilascio anticipato, eh, eh, eh…”

La donna si mise a guardare fuori dalla finestra, con aria pensierosa; stringeva in grembo i pugni, e sembrava stesse lottando, ma contro cosa, o per cosa, nemmeno Ryo, che la conosceva meglio di chiunque altro, sapeva dirlo.

“Tutto bene a casa e al lavoro?” Le domandò con voce calda, desideroso di farla uscire da quell’imbarazzante situazione, e Kaori sembrò risvegliarsi dallo stato di torpore in cui era caduta.

“Ryo….” Iniziò, incerta, incapace di guardarlo negli occhi. “Tu…. Tu eri mio amico, vero? Prima di… insomma, tu sei sempre stato il mio migliore amico, lo sai vero?”

“Lo so, Sugar.” Le rispose con tono suadente, stropicciandole i capelli. “E credimi, le cose non sono cambiate. Non sarò più il tuo uomo ma…  ma rimarrò sempre tuo amico.”

Dire quelle semplici parole per lui fu come morire, non aveva mai faticato tanto a parlare, mai aveva avvertito una simile coltellata al petto: le pallottole avevano fatto meno male.

Ma l’amicizia era meglio di nulla.

Kaori era andata avanti: in un modo o nell’altro, lo avrebbe fatto anche lui. Un giorno. Forse.

“Mi fa piacere sentirtelo dire, Ryo.” Gli strinse le mani, con gli occhi che piangevano. “Ryo, io… tu mi sei sempre stato accanto nei momenti più importanti della mia vita, e… e spero che riuscirai ad esserci anche… anche al mio matrimonio. So che potrebbe sembrare strano ma… ma vorrei davvero che le cose tornassero a com’erano una volta. A, a prima che ci mettessimo insieme, insomma.”

Ryo ingoio, mentre il suo cuore smetteva di battere ed il suo intero essere veniva percorso da un’ondata di gelo.

“Lo sai quanto ti ho sempre voluto bene, Kaori…” Le disse, abbassando gli occhi, incapace di guardarla in faccia, temendo che, s ei loro occhi si fossero incrociati, lei avrebbe capito. “Il giorno del tuo matrimonio sarà il più bello e felice della tua vita… e sarei onorato se tu volessi condividerlo con me.”

Kaori scoppiò a piangere, e gli gettò le braccia al collo, stringendolo, ringraziandolo – quasi con quelle parole lui le avesse dato la sua benedizione.

Ryo assaporò per un’ultima volta il suo profumo, sentendosi male, un essere orribile, alla sola idea di averle appena mentito.

Col cavolo che andava a vederla che si sposava con un altro: molto meglio starsene in ospedale coccolato dalle infermiere che lo celebravano come un eroe per aver fermato il cecchino e salvato la sua partner. E poi… poi avrebbe deciso cosa fare della sua vita. Rimanere lì, con lei, era fuori discussione: vederla sposarsi, avere figli da quel demente di Shinji? Starsene a guardare mentre lui, quel finto bravo ragazzo, la manipolava nell’abbandonare      i suoi sogni, per seguire quelli di lui?

Non se ne parlava. Erika gli aveva chiesto se fosse interessato ad un posto all’Interpol, e Ryo adesso stava iniziando a pensare seriamente ad accettare quell’offerta; avrebbe preso due piccioni con una fava, anzi, tre: sarebbe stato lontano da loro due, avrebbe comunque mantenuto il suo lavoro, e avrebbe vissuto nel Paese del topless. Cosa avrebbe potuto chiedere di più dalla vita?

Solo, per adesso, nessuno lo sapeva: aveva solo accennato la cosa ad Erika, per telefono…

Mick, intanto, non riusciva a credere a ciò che sentiva; si stava letteralmente mettendo le mani nei capelli, strappandoseli tanto era indignato e arrabbiato con il suo cosiddetto migliore amico che si stava rivelando per quello che era- un emerito deficiente. Mollata Kazue nel corridoio, con la bava alla bocca nemmeno fosse stato una belva feroce ammalata di rabbia, si precipitò nella stanza del poliziotto, e lo afferrò per la giacca del pigiama.

“Ma sei un coglione o cosa?!” Mick sibilò. “Tu quella donna la ami, non puoi lasciartela scappare così!”

“Non è vero! Io non amo nessuno! Sto benissimo da solo!” Ryo abbaiò, petulante, praticamente sputacchiando in faccia all’amico. “Passerò la mia eterna gioventù a saltare da un letto all’altro! Basta trattenersi!”

“Ah sì?” Mick fece un sorrisetto furbo, stringendo gli occhi a fessura. “E allora la tua dichiarazione d’amore, cosa mi dici di quella? Ih, ih, ih!”

“Eh? Ma di che parli?” Ryo arrossì leggermente, guardandolo incredulo. “Io non l’ho mai detto a nessuna che... che, Insomma, quello!”

Mick quasi si strozzò dalle risate: Ryo era un caso così disperato che nemmeno parlare d’amore gli era possibile, quella parola gli scatenava delle reazioni fisiologiche viscerali – iniziava a capire perché Kaori avesse deciso di mandare a monte le nozze e si fosse cercata una persona più emotivamente matura e normale.

“In realtà, caro il mio Ryo,  lo hai detto eccome: per la precisione,  a Reika, dopo che ti hanno sparato!” Il biondino iniziò a raccontare; la sua voce assunse un tono in farsetto, quasi a voler dare un maggiore effetto comico a tutta quella faccenda assurda; intanto, Ryo impallidiva, ed ingoiava a vuoto, mentre il suo stomaco si chiudeva. “Oh, avresti dovuto vedervi, Ryo…. giuro che solo a sentire Maki che la raccontava sembrava di essere lì!”

“Eh? Ma…” Ryo sbattè le palpebre, boccheggiando nemmeno fosse stato un pesce fuor d’acqua; guardava il vecchio amico in tralice, incerto se credergli o meno.

“Eh, guarda che è non mica una bugia, eh! Maki dice che la piccola Reika era davvero al settimo cielo!” Mick continuò, sghignazzando. “Tutta sorridente, tutta contenta e felice, ti stringeva, voleva riempirti di baci,  si è pure messa a piangere, e tu avevi una tale faccia da idiota… a quanto pare  c’era da morire dal ridere, ma purtroppo Maki ha pensato a chiamare i soccorsi piuttosto che registrare tutto per i posteri!”

Brividi iniziarono a percorrere l’intero corpo di Ryo, che sudava freddo mentre vedeva materializzarsi nella sua mente tutti i suoi incubi… lui con Reika. Ma cosa gli era passato per la testa? Sì, certo, era una bella donna, era graziosa, ed era capace, nel lavoro, ma lei non era proprio il suo tipo, lui non l’aveva mai vista in quel modo….

 “Andiamo, non posso averle detto che, sì, insomma, quello! Me lo ricorderei!” Ryo insistette. Era certo che se ne sarebbe ricordato: quelle parole erano per lui un tabù, lui era cinico e un po’ stronzo, un dongiovanni, lui teneva alle persone, ma da lì a provare quell’emozione ce ne passava… ci era andato vicino solo una volta, ma non aveva mai detto quelle parole, nemmeno a lei, al massimo, quando Kaori gli aveva sospirato languida di amarlo, al tempo della loro fugace relazione, Ryo si era limitato ad annuire e dire anch’io…

“Ammetto che avevo creduto che sarebbe stato più semplice far passare un cammello dalla cruna di un ago, visto quanto tu ed io siamo sentimentalmente immaturi ma, amico mio, sono propenso a credere a questa versione dei fatti, anche perché ci fosse solo la bella Reika come testimone oculare della tua confessione potrei nutrire dei dubbi, ma anche Maki t’ha sentito e mi ha raccontato tutto!” Ridacchiando, Mick gli diede una manata sonora sulle spalle, facendo venire al poliziotto tutta una serie di colpi di tosse; il riso gli tornò su, fermandosi a metà tra stomaco e bocca, e Ryo fulminò Mick.

“E com’è che, se ho detto a Reika che la amo, tu mi vuoi vedere con Kaori, eh?” Ryo domandò, mentre sentiva l’irritazione montargli dentro. “E comunque io mica ci credo ancora a questa storia, secondo me vi siete inventati tutto!”

“Ma perché…” Mick prese a ridacchiare, il viso così vicino a quello di Ryo che l’ex collega poteva sentire il profumo del suo dopobarba, una cosa che invece di profumare sembrava più un olezzo- Mick aveva ottimo gusto per alcune cose, pessimo per altre. “Tu, mentre deliravi in preda al dolore, a chi credi di averlo detto, eh? Caro il mio stallone! Ih, Ih, Ih!”

Ryo sbatté gli occhi, senza capire dove l’amico volesse arrivare.

Lo aveva detto? O Mick lo stava prendendo per il culo?

“Andiamo, Ryuccio, pensaci bene…se ti impegni dico che te lo ricordi…” Mick lo prese in giro, dandogli delle leggere pacche sulla schiena, mentre Ryo fissava il vuoto.

Era come se la sua mente fosse avvolta dalla nebbia, ma lentamente, un tiepido raggio di sole prese a farsi strada nei suoi pensieri, in quel turbinio tempestoso.

Un immagine. Un ricordo. E poi un altro ed un altro ed un altro ancora.

A Terra, Ryo aveva freddo. Si sentiva soffocare, circondato da tutte quelle persone, ma non riusciva a vedere bene nessuno di quei visi, la vista era annebbiata.

“Ryo, Ryo ti prego, non morire!” Una donna gli disse, e Ryo sentiva sul suo volto le lacrime della donna. “Non farmi questo!”

“Andiamo Ryo, tieni duro, i soccorsi stanno arrivando!” Udì; stavolta, a parlare era stato un uomo – sembrava la voce di Maki.

“Resisti, Ryo, resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo. Sembrava disperata. Ryo la sentì parlare, e la voce…lentamente, cambiò… o forse la riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una mano verso il viso.

“Ti amo…” le disse, tossendo tra una parola e l’altra, mentre in bocca avvertiva il sapore ferroso del sangue. “Ti amo… così tanto… da sempre…”

Lei sgranò gli occhi, sorridendogli felice, come mai prima di allora; le lacrime continuarono a lasciare i suoi bei occhi castani, ma stavolta erano lacrime di gioia, non più di paura o dolore.

“Oh Ryo….non lasciarmi!” La donna lo supplicò, lasciandosi cadere sull’asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo.

“Sei tornata da me…” Lui si voltò verso di lei, sorridendole, in pace. Aveva gli occhi lucidi, ma non era abbastanza in forze da piangere vere lacrime. “Ti amo…Sugar.”

“O merda.” Ryo ingoiò, fissando il muro bianco asettico davanti a lui, passandosi una mano nei capelli. “L’ho detto davvero. Ho detto a Reika che… ma non l’ho detto davvero a lei, insomma, io credevo… ero convinto che  fosse Kaori!”

 “Già…” Mick continuò a canzonarlo. “Quando dalla bocca ti è uscito quel nomignolo lei è rimasta di sasso, non capiva, poi Maki si è messo a strillare che chiamassero Kaori e allora le si sono aperti gli occhi e ha capito che avevi pensato di parlare con la tua ex… e invece che strozzarti le hai fatto pena e si è messa addosso a te nemmeno fosse stata, non so, dell’edera! Sembrava pure ancora più innamorata di te!”

“Cazzo!” Ryo sibilò, grattandosi i capelli ribelli, a denti stretti, sentendo una sensazione inusuale nel petto - come qualcosa che gli batteva nel petto. Poi, all’improvviso, impallidì, e guardò il suo vecchio amico, ingoiando a vuoto, quasi temendo la risposta. “Mick… lei… Kaori lo sa?”

“Beh… ecco… noi speravamo che, come dire…” Mick sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Che tu ti facessi furbo e glielo dicessi tu.”

All’improvviso, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa di importante, Ryo afferrò il polso di Mick, e guardò l’orologio: era tardi. Se non si fosse sbrigato, non ce l’avrebbe mai fatta. “Mick, sei in macchina?”

“Certo che sono in macchina! Cosa credi, che mi potrei mai muovere sui mezzi pubblici, io?” Gli domandò, mentre guardava Ryo arrancare nella stanza e buttare tutto fuori dall’armadietto che aveva accanto al letto, alla disperata ricerca di qualcosa che non fosse un pigiama da nonnetto. “E come mai vuoi saperlo, Ryuccio caro?” Lo schernì, braccia incrociate mentre stava appoggiato allo stipite della porta. Immaginava il perché, ma voleva che fosse il suo amico a dirlo ed ammettere la verità, una volta per tutte.. ed ad alta voce!

Ryo trovò una borsa con quello che cercava, pochi capi basici, non un granché né il meglio che avrebbe potuto offrire il suo armadio a casa ma era meglio di nulla, e si vestì, senza nemmeno prendersi la briga di infilarsi boxer o calzini.

“Perché? Come perché?” gli domandò con una vocina stridula mentre lo afferrava per il bavero della giacca e lo scuoteva. “Ma perché devo fermare Kaori! Devo fermare quel dannato matrimonio prima che sia troppo tardi! Non può sposarsi senza sapere che… che cosa provo per lei!”

“Bravo, my friend, così si fa!”  Mick gli dette una pacca sulla spalla, sghignazzando, menefreghista del pallore sempre più forte di Ryo, che intanto si era fatto una corsa in corridoio e aveva strappato dalle mani di Kazue il mazzo di fiori, che erano, guarda caso, e grazie alla sua buona stella, i preferiti di Kaori. Mick scrollò il capo, divertito: trovava adorabile che Ryo ancora non riuscisse a usare quella parolina, e sperò con tutto se stesso che, almeno una volta che fosse trovato davanti la rossa del suo cuore, avrebbe trovato la forza e la determinazione di ammettere la verità, solo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità su cosa tormentava il suo animo. “E adesso andiamo a prenderci la tua sposina, e ringrazia che a me piacciono le macchine veloci, altrimenti con te che ti svegli all’ultimo minuto mica ci arriviamo in tempo al municipio di Tokyo!”

Tocchi leggeri alla porta della sala destarono Kaori, che, mettendosi a posto il corto velo, si voltò verso l’ingresso, col cuore che le martellava in gola, allo stesso tempo emozionata e spaventata dall’idea di chi potesse essere che la disturbava in quel momento. Si dette della sciocca, scrollando lieve il capo per non far andare fuori posto i capelli che Eriko le aveva accuratamente acconciato dopo che aveva indossato l’abito lungo sotto alle ginocchia: probabilmente era solo suo fratello, o la stessa Eriko che era andata a controllare a che punto la futura sposa fosse: lui le aveva detto e ripetuto che amava troppo la vita da scapolo, che non sarebbe mai potuto cambiare, e che quindi era meglio che le cose fossero andate così.

Schiena dritta, Kaori si schiarì la gola, preparandosi, ed indossò la sua solita armatura di donna composta e dalla rigida etica e morale. “Avanti.” disse con un tono che però lei stessa reputò troppo alto di almeno un’ottava.

La porta si aprì con un leggero cigolio, e da essa fece capolino la testa bruna di Reika; la presenza della donna spiazzò la poliziotta, che non si era aspettata di vedere li la collega che, anzi, aveva più volte ribadito di non essere interessata a partecipare alla cerimonia, nonostante le due fossero quasi imparentate, ora che Saeko e Hide erano sul punto, finalmente, di sposarsi, dopo aver passato tanti anni a fare tira e molla.

“Reika!” Kaori esclamò, facendo un paio di passi verso l’altra, stampandosi sul viso il suo migliore sorriso. Non era certa che Reika le piacesse, ma sapeva che era brava nel suo lavoro, ligia, e per questo meritava almeno di essere rispettata, nonostante i suoi tanti difetti. “Non mi aspettavo che tu venissi.”

“Nemmeno io, in realtà.” Reika le rispose. Occhi bassi, le sue labbra erano tirate, come in un pigro sorriso di rassegnazione. “Ma desideravo parlarti. C’è una cosa che credo tu debba sapere. Riguarda Ryo, e cosa è successo al Centro Commerciale, quando gli hanno sparato.”

Kaori si irrigidì, e perse la sua proverbiale compostezza. Ogni muscolo del corpo teso, si voltò, dando le spalle all’altra; ricordava fin troppo bene cosa era successo quel giorno, e forse lo avrebbe ricordato per sempre - perché Ryo avrebbe sempre avuto un posto speciale nel suo cuore. Ma adesso era ora di andare avanti… perché, nonostante anche lei avesse atteso per ore col cuore in gola il medico che dicesse loro come stavano le cose, che li rassicurasse sul fatto che il loro amico, fratello, compagno si sarebbe salvato, aveva visto lo sguardo di Reika, e quello di Ryo mentre lo facevano scendere dall'ambulanza.

Amore: lui stava andando avanti, e vedere, sapere che lo stava facendo era come avere la sua benedizione, essere certa che sposare Shinji era la cosa giusta da fare.

“Non mi interessa nulla di cosa c’è tra voi, Reika. Ryo ed io ormai non stiamo più insieme da tempo, ed ognuno di noi è libero di farsi la propria vita… per questo mi sto sposando oggi!”

“C’è una cosa che devi sapere prima di decidere se vuoi andare fino in fondo con questo matrimonio,” Reika le disse, proferendo le parole con decisione, il suo sguardo triste sì, ma che bruciava col fuoco della determinazione. Stringendo i pugni, fece i pochi passi che la dividevano da Kaori, e la afferrò per le spalle, obbligandola a voltarsi e guardarla in faccia- a smetterla di nascondersi. “Quando il cecchino l’ha ferito ed era andato in shock, lui ha cercato te! Mi ha chiamato col tuo nomignolo, dicendoti che ti ama ancora!”

L’esitazione di Kaori durò un solo attimo.

“Ryo? Ammettere di amare qualcuno?” Kaori quasi sibilò, con la voce impastata dalle lacrime e dalla rabbia. Ogni parola di Reika era stata come una stilettata per lei, che faceva sgorgare lacrime dai suoi occhi e sangue dal suo cuore. “Ma per favore, è più facile che il Mar Rosso si divida ancora piuttosto che lui ammetta di amare qualcuno! Anche l’altra volta diceva di essere pronto e di volere che ci fosse un noi, ma quando siamo andati a vivere insieme lui non era mai a casa, e continuava a flirtare con tutte… a volte sembrava quasi che fossi trasparente, che mi trattasse più come la serva che la sua compagna! Ryo è allergico al matrimonio, lo ha sempre detto che non si sarebbe mai sposato e che di figli non ne voleva nemmeno sentir parlare... sono stata sciocca io a credere che avrei potuto cambiarlo, ma adesso me ne sono fatta una ragione, ed ho accettato che noi potremo solo essere amici… e poi io… io credevo di poter rinunciare ad un figlio mio, ma voglio davvero avere un bambino, e crescerlo con il mio compagno!”

“Kaori...” rattristata, con il cuore in subbuglio, Reika alzò una mano verso la donna per sfiorarla e darle conforto, ma poi decise che non sarebbe stata una mossa saggia- era evidente che a Kaori non piacesse essere consolata, che preferisse armarsi di tutto punto per affrontare i problemi da sola, e comunque, loro non erano certo così intime: non era bastato loro essere entrambe donne in quell’ambiente così profondamente maschile per cadere in un cameratismo che, non fosse stato per la bruciante attrazione che entrambe provavano per Ryo, sarebbe potuto apparire naturale.

La donna fece un paio di passi indietro, poi si voltò verso la porta, e sfiorò l’intelaiatura, quasi cercasse un motivo per indugiare ulteriormente all’interno di quell’ambiente. “Ryo ti ama davvero, Kaori, e credo che stavolta lui sia cambiato. Credo che tu dovresti dargli una possibilità.”

“Una? Gli ho dato cento, mille possibilità negli anni! Sono stufa di essere sempre io quella che si sacrifica, che si preoccupa, che aspetta, che scende a compromessi! Con Shinji ho trovato una mia stabilità... lui mi rispetta, come donna e come professionista e di certo non mi chiude in casa perché si è scordato che sono andata a vivere da lui… e poi vogliamo la stessa cosa, costruirci un solido futuro, insieme, con i bambini che arriveranno!” Kaori sbottò, sbattendo i piedi per terra. “Non ho intenzione di perdere tempo dietro ad un ragazzino troppo cresciuto che non è sentimentalmente maturo e che non sa cosa vuole, non quando ho un uomo perfetto che mi ama e che mi sta aspettando adesso per farmi diventare sua moglie!”

Ma tu non lo ami, Reika pensò, con un sorriso amaro sulle labbra. Guardò Kaori: si stringeva nelle braccia, trattenendo a stento le lacrime.

“Ha avuto così tanto tempo, quando me ne sono andata…” Kaori disse a bassa voce, il tono così lieve che non si capiva se stesse parlando o riflettendo. “Più di un anno, ma non è mai venuto da me. Non ha mai lottato per riportarmi da lui. Solo quando ha capito che un altro aveva preso il suo posto ha iniziato a corteggiarmi… se non fosse stato per Shinji, lui non avrebbe fatto nulla…”

“Volevo solo che lo sapessi, Kaori. E dirti che…” Reika sorrise- un sorriso triste, colmo di amarezza. C’era tuttavia una luce nei suoi occhi, che sembrava essere quella della speranza. “Non so se te lo hanno già detto, ma Saeko mi ha detto che le cose nei prossimi mesi cambieranno. Lei ha avuto una promozione e dirigerà il dipartimento, e Maki prenderà il suo posto all’unità… e io...io ho deciso di cambiare lavoro. Il mio ex partner ha aperto un’agenzia investigativa e mi ha chiesto di divenire sua socia, e anche Mick sarebbe interessato ad unirsi a noi, sai? Sembra aver fatto amicizia con la dottoressa che si è occupata di Ryo, e credo che voglia rimanere qui in Giappone per starle accanto, anche se adesso il processo contro Kaibara e Sonia Fields è terminato.”

“Reika, non è necessario che tu…” Kaori si voltò, quasi sconvolta, e si avvicinò con irruenza alla giovane donna. “Sei un’ottima poliziotta, non andartene per me!”

“Non lo faccio per te, Kaori,” le rispose, posandole le mani sulle spalle. “E nemmeno per Ryo. Lo faccio per me. Non voglio struggermi per un uomo che non mi amerà mai, ma costruirmi il futuro che voglio io. Voglio reinventarmi, fino a che ho l’età per farlo!”

Sorridente, diede un leggero bacio sulla guancia alla sposina, quasi a suggellare un patto di pace tra due donne che, per anni, erano state avversarie, tanto sul lavoro quanto per il cuore del bel tenebroso detective. “Qualsiasi cosa tu decida di fare, auguri, Kaori, e sii felice!”

E così dicendo, se ne andò; si chiuse la porta alle spalle, il cigolio ancora più sinistro, quasi che volesse rappresentare una caduta rovinosa…. un equilibrio spezzato. Kaori si chiuse nelle sue spalle, portandosi le mani al cuore, e sospirò. Si voltò, e vide il suo riflesso nello specchio, lei con indosso l’abito da sposa di alta moda che Shinji aveva insistito perché lei acquistasse.

Lui non le aveva permesso di occuparsi di nulla, aveva promesso di pensare a tutto lui, perché lui voleva sposarla. Non come Ryo, che aveva iniziato ad avere addirittura le coliche non appena la data delle nozze aveva iniziato ad avvicinarsi.

Shinji voleva una moglie. Ryo…lei non sapeva cosa Ryo avesse voluto dalla loro relazione, ma alle volte le era sembrato che lui si accontentasse di  una governante che gli scaldasse il letto.

Non c’era proprio nulla da decidere. La scelta razionale era semplicissima da fare: da una parte un uomo che la voleva, dall’altro uno che non sapeva cosa voleva.

Stringendo i denti, si raddrizzò, pronta ad andare a sposarsi con Shinji.

           

Shinji e Kaori erano l’uno accanto all’altra, davanti all’ufficiale del comune. Lei teneva tra le mani un delicato bouquet di gigli e pan di cuculo, che lei guardava timida, le gote arrossate. Shinji, bellissimo nel suo completo blu scuro, dai riflessi iridescenti, la guardava come se lei fosse stata la cosa più bella del mondo, certo che la donna fosse timida ed emozionata.

Saeko e Hideyuki, in piedi accanto a lei, guardavano la porta della sala consiliare con trepidazione, attendendo che capitasse qualcosa… non una cosa qualunque, ma una in particolare, che Ryo arrivasse e ponesse fine a quella scempiaggine.

Shinji era un bravo ragazzo, e sì, voleva bene a Kaori, e la amava anche, in pratica venerava il terreno su cui lei camminava… ma la capiva davvero? La conosceva? Kaori e Ryo avevano una chimica invidiabile, erano sempre stati in grado di capirsi  con un solo sguardo, e Hideyuki era stato certo che quella chimica che avevano in campo si sarebbe potuta replicare benissimo nella vita di tutti i giorni, e renderli una coppia- di amanti, amici, genitori- invidiabile..

Ryo e Kaori erano fatti per stare insieme: lo sapevano tutti, solo loro due avevano da capirlo. L’errore non era stato mettersi insieme, ma troncare quella relazione senza darsi una vera possibilità.

“Se qualcuno conosce un motivo per cui questa coppia non debba essere unita in matrimonio, parli ora o taccia per sempre!” disse con un sorriso benevole il vicesindaco. Shinji guardò Kaori, Kaori guardò il fidanzato, gli ospiti dello sposo sorrisero benevoli, quelli della sposa presero a mormorare continuando a fissare le porte, in attesa che quel qualcosa in particolare avvenisse.

“Vuoi tu, Shinji, prendere Kaori come tua legittima sposa?” L’ufficiale, con un sorriso stampato sul viso, gli domandò. Shinji si voltò verso Kaori, prese tra le sue mani quelle della fanciulla, e radioso rispose: sì.

L’ufficiale porse la medesima domanda a Kaori; lei guardò Shinji mordendosi le labbra prima di fissarsi i piedi, mentre il compagno la guardò incerto, sollevando un sopracciglio con fare interrogativo.

“Kaori?” la apostrofò leggermente spazientito. “Il vicesindaco ti ha fatto una domanda. Potresti rispondere, per favore?”

Dal lato degli ospiti di Kaori, si alzò un mormorio, e molti fra i suoi conoscenti presero a ridacchiare, mentre altri scossero il capo alzando gli occhi al cielo. Alcuni presero anche a far passare denaro di mano in mano, indicazione che erano state fatte scommesso circa l’esito della cerimonia, e che quelle persone erano convinte che ancora una volta Kaori si stesse tirando indietro.

“Signorina Makimura, allora?” il vicesindaco le domandò, spazientendosi sempre di più; occhi sottili e venati di rosso, stava perdendo la pazienza, e come un bambino piccolo stava per mettersi a sbattere i piedi. “Guardi che io ho un altro matrimonio fra pochi minuti!”

“LEI NON LO VUOLE!” Le porte della sala si spalancarono, sbattendo contro il muro, e Ryo, vestito con un paio di jeans neri e una maglietta rossa, vecchie scarpe da ginnastica ai piedi, fece il suo plateale ingresso, marciando verso il suo obiettivo tra i mormorii di sdegno degli invitati di Shinji e i languidi sospiri e le risate di quelli di Kaori.

“Ci mancava solo questo pezzo di idiota decerebrato!” Shinji sibilò a denti stretti, non appena Ryo gli fu vicino; il detective sorrise compiaciuto, mentre Kaori sbatteva i suoi grandi occhioni nocciola, quasi scioccata che il suo fidanzato si comportasse in quel modo, dopo essersi dimostrato tanto affabile. “Possiamo andare avanti, per cortesia?”

“Guarda che Kaori non ti ha risposto, brutto damerino da strapazzo!” Ryo lo accusò, la voce bassa e quasi stridula, prima di voltarsi verso Kaori, che gli dava le spalle, rigida, e rifiutava di guardarlo negli occhi. Un lieve murmure a livello delle spalle tradiva il fatto che, in preda all’emozione, stesse tremando, e questo fece sorridere Ryo, il cui cuore era infuso di contentezza e felicità, conscio che forse non tutto era perduto. “E comunque, Shinji ha ragione: sono stato un vero idiota. Perché non ho capito quanto tu fossi importante per me fino a che non ti ho persa!”

“Importante?!” Sentire quelle parole fece scattare la giovane donna dai capelli rossi; Kaori si voltò, e chiuse la distanza che la divideva da Ryo, che prese a colpire sul petto con il semplice bouquet. “Ma se mi hai chiusa in casa  perché ti eri dimenticato che mi ero trasferita da te!”

“Andiamo, è solo successo una volta…” lui si giustificò, balbettando e ridacchiando, mentre, mani alzate, muoveva alcuni passi all’indietro.

“E alla sera, eri sempre in giro per i tuoi maledetti locali di Shinjuku, pieni di donnine che non aspettavano che l’occasione giusta per strusciarsi addosso ad un uomo impegnato!” Continuò lei, perseverando nel colpirlo con il mazzolino di fiori.

“Sempre… sarà successo qualche volta… e poi lo sai che lo faccio per cercare informazioni…”

“E quando è saltato il matrimonio e noi ci siamo lasciati? Tu non hai fatto nulla per fermarmi o farmi cambiare idea! Non sei mai nemmeno venuto a cercarmi! Hai preso la palla al balzo, ammettilo!”

“Ehy, quella volta non è stata direttamente colpa mia!” Ryo si giustificò, il tono di voce alterato mentre smetteva di fare passi indietro e ne faceva alcuni verso di lei. “Che ne sapevo io che c’erano dei mafiosi che ce l’avevano col gemello di una delle guardie di sicurezza! E poi io il matrimonio volevo solo rimandarlo, sei tu che mi hai lasciato e hai annullato tutto!”

“E sentiamo, cosa avrei dovuto fare? Aspettare che tu decidessi su una nuova data? Aspettare altri cinque o sei anni?” Lo apostrofò, sbattendogli addosso il bouquet come un pugno, mentre Ryo continuava ad indietreggiare. “Ma cosa credi, che non lo sappia che lo sposarmi è stato solo un contentino? Povera piccola Kaori, già le ho detto che figli non ne voglio, diamole almeno questo!”

“Potremmo smetterla con questa pagliacciata ed arrivare al dunque?” Shinji domandò, alzando gli occhi al cielo, nonostante avesse la netta sensazione che nessuno gli stesse dando la benché minima attenzione; Ryo e Kaori erano persi in una loro bolla, nel loro mondo, e non vedevano niente e nessuno.

“La smetteremo quando avrò detto ciò per cui sono venuto qui. Kaori, io… ecco, il fatto è che…. Insomma…” Ryo ingoiò a vuoto, e prese a sudare. Il cuore gli scoppiava nel petto, e sentiva il sangue che cessava di fluire verso gli organi vitali ma, la bocca impastata da quel tripudio e rimescolio di emozioni, l’uomo non si dette per vinto: sapeva che, se avesse tergiversato ancora, se le avesse negato quelle parole, l’avrebbe persa, e stavolta per sempre. “KAORI, IO TI AMO!”

“Oh insomma, adesso basta! Saeba, fai un favore a tutti e smettila di metterti in ridicolo!” il magnate della tecnologia lo apostrofò, mentre, intanto, intorno a loro, gli amici di Ryo e Kaori battevano entusiasti le mani, incoraggiando la coppia a compiere quell’ultimo passo che li divideva dalla felicità. “Kaori, rispondi al vicesindaco, così almeno la facciamo finita una volta per tutte e ce lo leviamo dai piedi!!”

Con gli occhi lucenti di lacrime, ed il cuore che le batteva con tale forza nel petto che Ryo credette di vederlo,  Kaori guardò l’uomo che nemmeno due anni prima aveva quasi sposato; in tutti quegli anni, Ryo non le aveva mai detto quella frase, né a lei né a nessun’altra.

Ryo si limitò a sorriderle, incatenato alla meraviglia dello sguardo di lei.

“Rispondi, Kaori.” le disse con disarmante semplicità, mentre portava una mano a sfiorarle il viso.

Kaori guardò Ryo, poi il fratello, che le fece cenno di sì col capo, sorridendole benevole e comprensivo e quasi grato, mentre, Saeko al suo braccio, la sua compagna piagnucolava come una ragazzina emozionata, le lacrime che le distavano il trucco raffinato e ricercato ed infine si voltò verso Shinji, che spalancò gli occhi, incredulo.

“Kaori, andiamo, non starai davvero pensando di…” Sibilò, capendo fin troppo bene quale aria tirasse. “Non vorrai fare la sciocchezza di rimetterti con lui! Lo sai che tu ed io siamo perfetti insieme, ce lo dicevano tutti da ragazzi! Vogliamo anche le stesse cose… e poi, io non ti farei mai piangere, non come faceva lui!”

“Kaori non ha bisogno di un uomo che le dica cosa vuole dalla vita,” Ryo sentenziò, colpendo Shinji con uno sguardo glaciale, e quelle parole, quello sguardo, le parlarono molto di più di quella confessione d’amore: Ryo la stava lasciando libera di scegliere, dandole però tutte le informazioni necessarie perché la sua scelta fosse consapevole. “Lei lo sa benissimo cosa vuole, e chi vuole!”

Ed in quel momento, c’era solo una possibilità. Forse sarebbe stato un errore, forse sarebbe tornato tutto come prima, ma Kaori voleva provarci, voleva credere che i loro amici, che il suo cuore, quello di Ryo stessero dicendo il vero, e che lui fosse davvero cambiato: se non lo avesse fatto, sapeva che se ne sarebbe pentita per il resto dei suoi giorni, vivendo chiedendosi come sarebbe potuto essere tra di loro.

“Mi spiace, Shinji. Sei sempre stato un bravo ragazzo ed un mio carissimo amico. Tengo davvero tanto a te e hai ragione, in teoria saremmo potuti essere perfetti insieme, ma non credo che ci siamo mai davvero amati. Ci piaceva giocare alla coppietta, alla famigliola felice, ma…” piangendo, ma con il sorriso sulle labbra, Kaori si voltò verso Ryo, e gli portò la mano destra alla guancia. Ryo, col sorriso, si lasciò andare a quel contatto, emettendo un sospiro di sollievo, mentre il suo cuore si placava, forse per la prima volta davvero in tanti anni.

Kaori non aveva bisogno di dirgli nulla: i loro sguardi parlavano più di mille parole. Era sempre stato così, e sempre sarebbe stato.

“Ma, anche se sei pieno di difetti, non riesco a smettere di amarti, Ryo.”

Ridendo felice come un ragazzino, Ryo la afferrò per il polso, coperto dal delicato guanto di pizzo, e come la prima volta che l’aveva baciata di sua volontà  la tirò contro di sé, affondando il naso nei ricci profumati, la veletta che gli solleticava piacevolmente la pelle, e Kaori si lasciò andare a quel contatto mentre il vicesindaco gettava a terra i fogli e se ne andava via sbattendo i piedi e Shinji li guardava con la bocca aperta e gli occhi sgranati, incredulo che una cosa del genere fosse potuta accadere.

“Su, su, andiamo, mica è la fine del mondo, il Giappone è pieno di donne, non lo sa?” Il magnate dell’industria si voltò, e vide che una bella donna dai lunghi capelli castani lo aveva preso a braccetto. Batté le palpebre un paio di volte per capire se fosse vero e stesse capitando davvero, e dovette ammettere che non era tutto frutto della sua fantasia.

Kaori era davvero abbracciata a Ryo Saeba e lui aveva davvero una graziosa ragazza che lo stringeva contro il proprio prosperoso seno.  Forse Kaori aveva ragione: erano innamorati entrambi dell’idea dell’amore, non l’una dell’altra, e la loro amicizia era così forte e salda che nemmeno il suo orgoglio sembrava essere stato scalfito da quel rifiuto.

“Sono Reika Nogami, lavoravo con Ryo e Kaori… cosa ne dice, andiamo ad annegare le nostre sofferenze in un paio di bicchieri di sakè?”

L’uomo arrossì, e sorrise ebete grattandosi la nuca, mentre intanto  amici e colleghi della sposa fuggitiva e del suo bel tenebroso li incitavano a scambiarsi un bacio, Ryo e Kaori non gli dettero ascolto, e, corsero fuori dal comune, mano nella mano, ridendo e scherzando proprio come quando erano stati ragazzini; nel piazzale, Ryo raggiunse Mick, che lo attendeva mollemente appoggiato allo sportello della sua macchina italiana.

“Ce ne hai messo di tempo, vecchio volpone!”  l’americano lo prese in giro, prima di fare l’occhiolino a Kaori, con sommo disappunto di Ryo che lo fulminò. “Ma almeno vedo che è servito a qualcosa tutto questo can-can… la bella sposina l’hai salvata!”

“Quanto sei scemo, Mick!” Kaori ridacchiò, nascondendosi la bocca scarlatta dietro alla manina guantata. Si voltò indietro, e vide riuniti tutti i loro amici, i loro colleghi, quelli che negli anni erano divenuti la loro famiglia, ed in quel momento comprese cosa le era sfuggito fino a quel giorno: quella era le perfezione, la felicità. Non aveva bisogno di trasferirsi in una casa con tre bagni, giardino e cinque camere da letto, né che Ryo le mettesse l’anello al dito. Voleva solo quelle tre parole, da lui, e stare con lui, circondata dall’affetto dei loro cari.

E poi, chissà: Ryo aveva saputo fare quella ammissione… magari, col tempo, le sarebbe venuto ulteriormente incontro, e le avrebbe dato ciò che aveva sempre desiderato da lui… un figlio loro.

Ma avevano ancora tempo, per quello. Adesso erano Ryo e Kaori, e per lei era abbastanza. Era tutto quello che voleva, che aveva sempre voluto… l’inizio della loro storia, anzi: di un nuovo capitolo di quel racconto iniziato tanto tempo prima, quando lo aveva incontrato per la prima volta, innamorandosene all’istante nonostante Ryo all’epoca non fosse chissà quale bel soggetto.

“Oh, prima che mi dimentichi… Ho una cosa per te!” Le disse facendole l’occhiolino. Ryo le mise nel palmo della mano un piccolo oggetto metallico, freddo, e la donna si stupì che fosse uno dei suoi orecchini preferiti, che aveva smarrito mesi prima. “L’hai perso mesi fa, una sera che siamo andati a prendere un panino insieme, e io… io aspettavo l’occasione giusta per ridartelo!”

Il poliziotto si voltò velocemente verso Mick, e gli fece l’occhiolino, mimando con la bocca la parola grazie: aveva fatto bene a darlo a lui. Aveva affidato la scatolina portagioie al vecchio amico in un momento di sconforto, ma Mick, come sempre, aveva avuto la vista lunga - e non se n’era mai separato, attendendo l’occasione giusta per ridarglielo.

“Ho anche l’anello, sai… quello lo avevo scelto per te, e non me ne sarei mai potuto separare, ma…” le disse, giocherellando con la scatola che teneva in tasca. “Ma non voglio mettere a nessuno di noi due fretta, Kaori… per adesso… per adesso puoi accontentarti di essere mia?”

Strinse nelle sue le mani di Ryo, ed accennò un timido sì con un gesto del capo. Ryo aveva conservato l’anello, non lo aveva venduto… quell’anello che lei una sera aveva gettato contro il muro, che aveva passato ore e ore a riguardare… e che quel giorno, mentre Shinji lavava i patti, lei aveva indossato all’anulare, sorpresa quando poi era stato Shinji ad entrare in camera, e non Ryo. Si era così arrabbiata – così spaventata – per  quella sua reazione che aveva deciso di liberarsi di quel ninnolo, lo aveva venduto, svenduto, aveva perfino cercato di instillare in lei (ed in Ryo) la falsa consapevolezza che per lei non avesse significato nulla… eppure, quando aveva creduto che Ryo non fosse stato in grado di ritornarne in possesso, lei ci era rimasta, segretamente, male, e si era sentita male, sbagliata, per questa sua reazione.

Ma lui lo aveva trovato. E lo aveva tenuto con sé.

Ryo le sorrise, con occhi pieni di amore; adesso, ne era certo: un giorno, sarebbe stato pronto per fare quel passo. E anche tutti i successivi. Non solo le avrebbe detto, ancora e ancora e ancora, che l’amava, ma l’avrebbe sposata, e le avrebbe dato la casa e la famiglia che Kaori aveva sempre desiderato.

Quasi avesse percepito cosa stesse pensando, e forse era davvero così, Kaori gli sorrise, dolce ed innamorata, sguardo incantato ed incantevole, e lanciò il bouquet alle sue spalle, ridendo quando, sotto lo sguardo timido di Falcon, che arrossì come un ragazzino, finì nelle mani di Miki, che con aria sognante ne inspirò a fondo il profumo: la donna guardò di sottecchi l’uomo che amava da tanti, troppi anni, e gli sorrise, timida ma determinata, desiderosa di poter condividere con il suo amore quella gioia che adesso Kaori stava provando, ripromettendosi di fare qualunque cosa fosse necessaria per convincere l’ex poliziotto a camminare verso l’altare con lei, immaginandosi già il vestito che avrebbe indossato, e la chiesetta dove avrebbero celebrato le loro nozze…

Mentre le campane in lontananza suonavano a festa, Kaori gettò le braccia al collo di Ryo, e chiudendo gli occhi, lo baciò, lenta, languida e dolce, assaporando il sapore di quel bacio ed il dolce sorriso di lui contro le sue labbra… quello non era il loro primo bacio, eppure ne aveva tutto il sapore… perché era il primo della loro nuova vita insieme.

L’avventura era appena cominciata!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3991205