Hands of Justice - 1 - La frontiera perduta

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Niflheim ***
Capitolo 3: *** 2. Un lavoro (im)perfetto ***
Capitolo 4: *** 3. Sgherri del Sindaco ***
Capitolo 5: *** 4. Battuta di caccia ***
Capitolo 6: *** 5. D&L: demolizioni e affini ***
Capitolo 7: *** 6. Nel mirino ***
Capitolo 8: *** 7. Gli uomini del Mastino ***
Capitolo 9: *** 8. Le risorse del Sindaco ***
Capitolo 10: *** 9. Un arsenale superiore ***
Capitolo 11: *** 10. Minaccia in agguato ***
Capitolo 12: *** 11. Cambio di piano ***
Capitolo 13: *** 12. Una nuova promessa ***
Capitolo 14: *** 13. Sotto assedio ***
Capitolo 15: *** 14. Cominciamo ***
Capitolo 16: *** 15. Evasione legale ***
Capitolo 17: *** 16. La vera frontiera ***
Capitolo 18: *** 17. Resa ***
Capitolo 19: *** 18. Voglia di riscatto ***
Capitolo 20: *** 19. Contrattacco ***
Capitolo 21: *** 20. L’Araldo dell’Apocalisse ***
Capitolo 22: *** 21. Missione compiuta ***
Capitolo 23: *** 22. Lunga vita al Sindaco! ***
Capitolo 24: *** 23. Vendetta e perdono ***
Capitolo 25: *** 24. Risveglio ***
Capitolo 26: *** 25. Fiducia ***
Capitolo 27: *** 26. Asso nella manica ***
Capitolo 28: *** 27. Una prova di forza ***
Capitolo 29: *** 28. Legge contro giustizia ***
Capitolo 30: *** 29. Sulle tracce del Sindaco ***
Capitolo 31: *** 30. La verità sul Sindaco ***
Capitolo 32: *** 31. Scomparsa ***
Capitolo 33: *** 32. La Valchiria Millenaria ***
Capitolo 34: *** 33. Buono a nulla ***
Capitolo 35: *** 34. Il verdetto del commissario ***
Capitolo 36: *** 35. I salvatori ***
Capitolo 37: *** 36. Un nuovo mondo ***
Capitolo 38: *** 37. (S)fiducia ***
Capitolo 39: *** 38. Pena capitale ***
Capitolo 40: *** 39. Assalto notturno ***
Capitolo 41: *** 40. Martire ***
Capitolo 42: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

«E finalmente potremo mantenere le nostre promesse!» esclamò l’ologramma del nuovo governatore. «L’elevata criminalità e la gestione scellerata dei miei predecessori saranno presto un lontano ricordo! Vi garantisco fin da ora che le forze dell’ordine lavoreranno di più e meglio. Nuovi uomini e nuovi mezzi sono già in arrivo. Ci riprenderemo la frontiera, e poi l’intero pianeta!»

Un oggetto metallico rimbalzò contro il proiettore e scatenò una violenta onda d’urto che lo distrusse completamente. Pochi istanti dopo una moto a levitazione della polizia sfrecciò accanto ai rottami, seguita a ruota da un’agente a piedi, talmente rapida da riuscire a tenere il passo con il veicolo.

«Merda, ce l’hanno tutti come me!» esclamò il goblin in fuga, anche lui su una moto volante. Indossava degli abiti piuttosto logori e aveva delle protesi metalliche al posto delle orecchie. «Guardate che era già rubata quando l’ho presa!»

La velocista, una teriantropa[1] di tipo ghepardo, gli sparò con la sua pistola d’ordinanza. Il fuorilegge schivò i proiettili d’energia, aprì una mano e sul suo palmo apparve una nuova granata. Anche questa aveva un’aria molto artigianale, ma funzionò a dovere e l’onda d’urto costrinse la poliziotta a rallentare.

Una piccola fata alta circa una spanna spuntò dalla giacca del goblin e si mise vicino al lunotto per fare dei segni al compagno.

«Lo so, lo so, è che in questo bracciale ho poca roba!» rispose il goblin. «Nell’altro avevo un mezzo arsenale, e ho pure perso il casco! Ci ero affezionato!»

Da una strada laterale spuntò un massiccio animale da traino, costringendo il goblin a una brusca virata che per poco non lo fece ribaltare.

La fata esclamò qualcosa nel linguaggio dei segni, stizzita.

«Sei tu che mi distrai!» ribatté l’altro. Notò un cantiere poco più avanti e si concesse un sorrisetto. «Forse mi è venuta un’idea.»

Con un’altra granata si aprì un passaggio nella barriera di sicurezza e si fiondò tra i robot impegnati nella costruzione di alti prefabbricati. Individuò una delle macchine più grandi e lanciò una bomba contro le sue tozze zampe. L’onda d’urto danneggiò l’articolazione del pesante robot, costringendolo a poggiare un braccio a terra per mantenere l’equilibrio.

Il goblin usò un comando mentale per cambiare il tipo di granata e saltò sul braccio della macchina come se fosse una rampa. Mentre la moto prendeva velocità, lasciò dietro di sé un manipolo di bombe che rimbalzarono fino a terra, pronte a far collassare il malcapitato robot.

La piccola fata afferrò il braccio del suo compagno, terrorizzata da quel folle piano. Se avesse potuto, avrebbe sicuramente urlato.

Nel locale l’aria era pesante, densa di fumo e odori. C’erano persone che bevevano, altre che mangiavano, altre che parlavano tra loro in maniera più o meno animata.

Seduti a un piccolo tavolo mezzo ammaccato, un elfo e un’orchessa stavano discutendo a bassa voce, i volti seri.

«Non metto in dubbio le tue capacità, ma capirai che il mio capo è abituato a un certo tipo di standard» affermò l’uomo, forse la persona dall’aria più rispettabile in tutto il bar.

«Certo, lo capisco molto bene» annuì l’orchessa. Aveva le lentiggini e i suoi capelli blu erano raccolti in treccine in stile egiziano. «È proprio per questo che voglio lavorare per lui. Sono appena arrivata qui alla frontiera, quindi mi va bene anche un lavoretto semplice. Vedrai che non vi deluderò.»

L’elfo si concesse un momento per riflettere. «D’accordo. Ci sarebbe un lavoretto da fare: tra un paio di giorni arriverà una spedizione con delle nuove attrezzature per le comunicazioni. Abbiamo già una piccola squadra, ma ci servirebbe qualche uomo in più per mettere fuori gioco la scorta. Ti intere-»

«Ehi, Mowatalji!» lo interruppe qualcuno. «Quel lavoro era mio!»

L’elfo alzò lo sguardo e riconobbe subito il goblin con le protesi al posto delle orecchie. «Salve, D’Jagger.» Si alzò per salutarlo. «Credevo fossi ancora in prigione.»

«Le celle qui fanno acqua da tutte le parti, è stato facile uscire» minimizzò lui prendendo una sedia libera. «Piuttosto, chi è la tua nuova…» La sua lingua si bloccò appena si voltò verso la giovane. Forse erano stati i suoi intensi occhi rossi, o più probabilmente il seno pieno messo in risalto dalla scollatura della camicia, fatto sta che ci mise alcuni secondi per completare la frase: «… amica?»

L’elfo si accorse che anche l’orchessa era molto stupita di vederlo, quasi preoccupata, così il dubbio gli venne spontaneo: «Vi conoscete?»

D’Jagger, ancora scioccato, ci mise alcuni istanti per elaborare una risposta, così lei ebbe modo di anticiparlo: «Purtroppo sì» ammise, visibilmente seccata. «Stavamo insieme, ma è successo molto, molto tempo fa.»

Mowatalji mosse lievemente il capo in segno d’assenso. «Capisco. In tal caso non intendo immischiarmi nelle vostre faccende personali, mi basta che il lavoro sia fatto. Se volete, c’è posto per entrambi. Ci state?»

«Io ci stavo fin da prima» confermò il goblin senza smettere di tenere d’occhio l’altra.

«Ci sto anch’io» aggiunse l’orchessa, altrettanto attenta a non perdere di vista il nuovo arrivato.

«Bene, domani vi farò avere i dettagli.» Si alzò. «Ora torno dalla mia famiglia, ma sia chiaro: se mandate a monte l’operazione per motivi personali, il Sindaco non sarà indulgente.»

«Rilassati, Mowatalji, siamo adulti!» commentò D’Jagger.

«Ti assicuro che non ci sarà nessun tipo di problema» affermò l’orchessa, abbastanza seria da risultare minacciosa.

«Bene, allora. Buona serata.»

I due risposero al saluto e seguirono con lo sguardo l’elfo finché non lasciò il locale.

Solo allora il goblin mise un gomito sul tavolo e appoggiò il volto sul pugno. «La mia ex, eh?» Lanciò un altro sguardo alla scollatura della giovane. «Beh, in effetti-»

Lei gli prese la testa con una mano e la schiacciò sul tavolo, sottolineando la disparità di forza tra i due. «Se provi a far saltare la mia copertura, ti risbatto dentro. E questa volta mi assicurerò che la tua cella non “faccia acqua da tutte le parti”.»


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[1] Il nome è una fusione delle parole greche “therion” (bestia) e “anthropos” (uomo).

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Capitolo 2
*** 1. Niflheim ***


1. Niflheim

Data:  3631,3 d.s.[2]
Luogo: pianeta Niflheim, sistema Hrím

Fin dall’antichità, Niflheim era noto per essere un pianeta poco accogliente. Il gelo e la nebbia perenne lo rendevano un luogo spettrale, dove si annidavano animali feroci e spiriti erranti. Non era un caso se molti lo scambiavano per il regno infernale della dea Hel.

I primi colonizzatori del pianeta erano stati i giganti di ghiaccio, discendenti dei titani, un popolo perfettamente adattato a vivere nei luoghi più freddi dell’universo, eppure nemmeno loro erano mai riusciti a prendere pieno possesso di quelle terre misteriose.

Per millenni nessuno aveva provato a espandere la frontiera – i rischi erano troppo alti se confrontati con i potenziali vantaggi – ma adesso le cose erano cambiate: una grande multinazionale, la Orborum Domini, aveva deciso di incaricarsi della terraformazione dell’intero pianeta, garantendo terre fertili e clima gradevole a chiunque fosse stato in grado di pagare.

La prima colonia, ora capitale del pianeta, si era rivelata un successo, ma lo stesso non si poteva dire delle successive. La città più occidentale, con il suo elevato tasso di criminalità e i continui cambi di governatore, era diventata l’emblema delle fallimentari scelte della Orborum Domini. Quella che un tempo era l’ultima frontiera dell’espansione della civiltà, adesso era conosciuta semplicemente come la Topaia.

Era notte fonda nella Topaia e per le strade illuminate da freddi lampioni non si vedeva anima viva. Approfittando della situazione, un manipolo di persone si avvicinò alle alte inferiate di un cortile. Uno di loro aprì le braccia e tutti e sei si sollevarono in aria, riuscendo così a intrufolarsi all’interno.

I sei aggirarono i due veicoli parcheggiati e raggiunsero il pesante portone blindato del deposito.

«Nanerottolo, vediamo se sei bravo quanto dici» sussurrò uno dei presenti, forse il capo della banda.

Il diretto interessato, poco entusiasta dell’appellativo, si fece avanti per controllare gli spessi muri dell’edificio. In effetti era piuttosto basso e le sue proporzioni suggerivano fosse un goblin: una specie agile ma non particolarmente robusta. Come gli altri, indossava un casco per celare la sua identità, il suo però era diverso: la parte frontale era costituita da uno schermo curvo su cui poteva mostrare scritte ed emoji, una funzionalità sicuramente estetica più che pratica.

In pochi secondi completò le sue valutazioni e spruzzò una specie di gel sulla parete.

«Fossi in voi farei un passo indietro» suggerì ai colleghi. «Questo farà scattare l’allarme» proseguì, «dovrete essere veloci.»

«Sappiamo fare il nostro lavoro» ribatté il capo della banda, seccato.

Il nanerottolo attivò il detonatore. «Ma non mi dire!»

L’esplosione perfettamente controllata coprì il suo commento sarcastico senza però svegliare l’intero quartiere, consentendo alla banda di entrare indisturbata nel deposito.

Il capo si concesse giusto un momento per ammirare i macchinari da costruzione custoditi all’interno. «Veloci, prendete tutto quello che potete» ordinò ai suoi subordinati.

Mentre gli altri si affrettavano ad ammassare più roba possibile nelle tasche dimensionali dei loro bracciali, l’artificiere venne raggiunto da una piccola fata alta una spanna. Aveva la pelle azzurro violaceo e due grandi occhi lilla. Indossava un vestito scuro e aveva dei ciuffi color petrolio che spuntavano dal berretto.

«Vedi se riesci a trovare quello che ci serve» le disse D’Jagger. «Abbiamo poco tempo.»

Lei annuì e volò via, attenta a non farsi notare dagli altri fuorilegge.

«Ho informato il commissario del tuo arrivo» proseguì l’ologramma del gigante di ghiaccio. «Domani ti farò avere i dettagli della missione.»

«Ricevuto» annuì l’orchessa. Aveva la carnagione verde chiaro su cui risaltavano le lentiggini e gli intensi occhi rossi. Il suo fisico era atletico ma comunque femminile – ben lontano da quello possente degli orchi maschi –, in particolare il seno abbondante. Dai lati del labbro inferiore spuntavano le caratteristiche zanne verso l’alto, anch’esse molto meno pronunciate rispetto a quelle dei maschi della sua specie. I suoi riccioli blu erano raccolti in una pratica crocchia e indossava la divisa d’ordinanza della polizia.

Una notifica apparve sulla plancia della sua navetta.

«Un momento.»

Aprì il messaggio e una voce artificiale la informò della richiesta di soccorso immediato di un paio di colleghi.

«Capisco quello che stai pensando, ma non farlo» la ammonì l’ologramma. «La tua missione è troppo importante.»

«Sono proprio qui sotto, non posso andarmene!» ribatté la poliziotta. «Non me ne starò con le mani in mano quando ci sono delle vite in pericolo!»

«Freyja, non farlo!» la ammonì l’uomo. «È un ordine!»

«Mi spiace, signore: lo sto già facendo.» L’orchessa interruppe la chiamata e aprì la schermata delle informazioni.

«I malviventi dispongono di mitra e fucili d’assalto» la informò l’intelligenza artificiale. «Questo veicolo non è attrezzato per il combattimento.»

«Basta che mi fai arrivare sopra di loro.»

La navetta eseguì l’ordine e in pochi secondi era già a destinazione, una decina di metri sopra il deposito preso di mira dai fuorilegge.

La poliziotta aprì la portiera e guardò di sotto. Individuò i colleghi: si erano posizionati ai lati del cancello del cortile per ripararsi dal fuoco nemico, ma era chiaro che non avevano alcuna speranza di farcela. Con ogni probabilità i fuorilegge ne stavano approfittando per rubare più macchinari possibile prima di dileguarsi.

Freyja impugnò la pistola stordente d’ordinanza, disattivò la sicura e la impostò al massimo.

Era pronta a fare il suo dovere.

D’Jagger sapeva che stavano forzando troppo la corda: era solo questione di tempo prima che arrivassero i rinforzi della polizia, tuttavia nemmeno lui poteva andarsene a mani vuote.

Interruppe un momento la sua ricerca per guardare verso il cancello. I due all’entrata stavano tenendo a bada i poliziotti, ma proprio in quel momento alzarono lo sguardo. Qualcosa impattò con violenza davanti al deposito: era una persona. L’agente sparò due impulsi ionizzati e i fuorilegge caddero a terra storditi.

«Quella sì che è un’entrata in scena!» riconobbe il goblin, ma non aveva tempo per distrarsi: aprì la mano destra e sul suo palmo apparve una granata. Lanciò il piccolo ordigno artigianale e questo esplose a contatto con il terreno, scatenando una violenta onda d’urto dal diametro di circa tre metri e mezzo. La poliziotta venne scaraventata indietro, ma lui era sicuro che non sarebbe stata a terra per molto.

Corse ad avvisare gli altri fuorilegge: «I due all’entrata sono andati! È ora di filarcela!»

«Merda!» imprecò il capo della banda. «Recuperateli e leviamo le tende!»

Avevano appena raggiunto l’uscita quando una raffica di proiettili d’energia li investì: erano i poliziotti al cancello, che grazie all’improvviso aiuto avevano ripreso un po’ di coraggio.

«Cazzo! Dobbiamo andarcene da qui!» ordinò il leader dopo essersi messo al riparo.

«Capitan Ovvio ha detto una cosa sensata» commentò tra sé D’Jagger. Aprì di nuovo la mano e dal suo bracciale si attivò un’altra tasca dimensionale. Lanciò la granata a onda d’urto, questa volta un po’ più grande delle precedenti, e con un colpo solo mandò al tappeto entrambi gli agenti.

«Via libera, andiamo!» ordinò il capobanda dopo essersi messo in spalla uno dei compagni svenuti.

Il goblin si accodò agli altri: i due poliziotti erano ancora a terra, potevano lasciare il deposito. Ma dov’era la terza agente?

Uno dopo l’altro gli altri fuorilegge caddero sotto i colpi della pistola stordente. Anche D’Jagger venne colpito, ma la sua armatura energetica riuscì a proteggerlo. Con la barriera ormai sovraccarica, fece comparire un’altra granata e si rialzò. Tempo di voltarsi, la poliziotta era già di fronte a lui. Con la sinistra gli bloccò il braccio e con la destra gli rifilò un poderoso diretto. Una ragnatela di crepe si aprì sul casco del goblin, che cadde rovinosamente a terra.

Sistemato l’ultimo fuorilegge, la poliziotta si guardò intorno per assicurarsi che non ci fossero altre minacce in agguato. Dopo aver ammanettato i criminali, si sincerò delle condizioni dei colleghi. Uno era ferito a una gamba ed entrambi erano ancora storditi per l’onda d’urto, ma se la sarebbero cavata.

«Grazie, ci hai salvato la vita» affermò uno degli agenti.

L’orchessa tornò a bordo della sua navetta e riaprì il canale di comunicazione con il gigante di ghiaccio. «Qui Valkyregard, la situazione è sotto controllo. Mi dirigo al punto di incontro.»

«Riconosco che hai fatto un buon lavoro, ma sei stata avventata» affermò l’ologramma. «Ricorda: non sei venuta fin qui per prendere qualche pesce piccolo, il tuo unico obiettivo deve essere il Sindaco.»

«Emh, sono sicuro che possiamo trovare un accordo» affermò D’Jagger, la testa ancora schiacciata sul tavolo. La sua pelle verde scuro metteva in risalto gli occhi dorati, vivaci e insolenti. I capelli rossi, rasati ai lati, erano un po’ disordinati e probabilmente avevano bisogno di una spuntatina. «A proposito, mi piace il nuovo look.»

Freyja lo lasciò andare e incrociò le braccia. Si era tagliata i capelli e aveva cambiato vestiti, ma non era stato difficile riconoscerla. «Dammi un buon motivo per non farti tacere una volta per tutte.»

«Ehi, calma, non c’è bisogno di essere così aggressivi. Facciamo così: tu mi fai riavere il mio casco e il mio bracciale, e io starò al tuo gioco. Ah, vorrei anche un’uscita gratis di prigione: sai, nel caso si verificasse un altro “malinteso”…»

«Perché dovrei fidarmi?»

«Mowatalji non è stupido: se mi succedesse qualcosa capirebbe che sei coinvolta e comincerebbe a fare domande. Non sarebbe un bell’inizio per te, no?»

Lei lo trafisse con gli occhi. «Siamo d’accordo allora.»

«Parola di scout!»

I due si strinsero la mano e D’Jagger dovette stringere i denti per mantenere un’espressione neutra e fiduciosa: era pronto a giurare che l’orchessa gli aveva appena rotto tutte le ossa.

«Non mi hai detto come ti chiami» le fece notare, sforzandosi di ignorare il dolore.

«Infatti» confermò Freyja mentre si alzava. Indossò la sua giacchetta di pelle e si diresse a grandi falcate verso l’uscita.

Una volta fuori dal locale imboccò una stradina laterale e finalmente poté sfogare tutte le sue emozioni: portò le mani al capo e le scosse con forza, facendo ondeggiare le treccine in una reazione un po’ infantile.

«Aaah! Stupida! Stupida! Stupida!»

La sua operazione era appena cominciata e già aveva combinato un casino! Non si pentiva di essere intervenuta in soccorso dei colleghi, tuttavia l’idea di dover riferire quanto accaduto la copriva di imbarazzo. Avrebbe fatto la figura della pivella alle prime armi!

Rassegnata all’idea di venire derisa dai suoi nuovi colleghi, infilò le mani in tasca e si avviò verso il suo misero monolocale, mogia mogia.

Era arrivata fin lì per sgominare la più pericolosa organizzazione criminale del pianeta e il suo primo ostacolo qual era? Un idiota qualsiasi che nemmeno c’entrava con la sua operazione!

L’orchessa se n’era ormai andata quando la piccola fata che era con D’Jagger si decise a uscire. Era visibilmente arrabbiata e non mancò di esprimere tutto il suo disappunto nella lingua dei segni.

«Ehi, così almeno potrò riavere il casco e il bracciale! Tanto nessuno sa che so chi è.»

La sua amica non mancò di ribattere.

«E questo che c’entra? Non è colpa mia se ho gli occhi a quell’altezza!» Le rivolse un sorrisetto saccente. «Non sarai mica gelosa?»

La fatina arrossì e si voltò dall’altra parte, le braccia incrociate sul petto minuto.

«Dai, non fare così, stavo scherzando! Piuttosto, non ho ancora visto se ne è valsa la pena di farsi arrestare.»

Lei sollevò ancora di più il nasino e lo ignorò.

«Lunaria, per favore, mi fai vedere cos’hai trovato?»

Questa volta la piccola fata gli lanciò uno sguardo di sufficienza e, dopo un attimo di attesa, aprì una tasca dimensionale dalla sua cintura. Dal nulla apparve un piccolo congegno dalla forma vagamente cilindrica da cui uscivano vari cavi: era sicuramente un componente, ma a una prima occhiata era difficile stabilire quale fosse la sua funzione.

D’Jagger lo prese in mano e lo studiò con occhio attento e soddisfatto. «Ottimo, sembra in buone condizioni.» Lo ripose in una delle molte tasche del suo bracciale. «Quando arriviamo a casa farò un’analisi più approfondita, in ogni caso direi che ci siamo: ora ne manca solo uno.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente è giunto il momento di iniziare una nuova saga! Questo racconto è il secondo della nuova cronologia e segue AoE - 1 - Eresia, tuttavia le due storie fanno parte di saghe diverse, quindi potete iniziare da questa senza particolari problemi.

Questa volta ho voluto partire subito con due protagonisti: D’Jagger e Freyja. L’orchessa ha ben chiaro in mente il suo obiettivo, ma anche il goblin sta preparando qualcosa. Vedremo se la tensione tra di loro si evolverà in vera ostilità o se invece decideranno di unire le forze.

La storia è ambientata su Niflheim, uno dei nove mondi della mitologia norrena, che come avrete intuito fa parte di un universo sci-fi pieno di tecnologie futuristiche e raffinate magie. Ovviamente l’universo è lo stesso di Eresia, quindi non mancheranno i riferimenti tra le due saghe ;D

Come per Eresia, pubblicherò due capitoli al mese, quindi il prossimo arriverà tra due settimane (il Prologo è un extra).

Prima di salutarvi, ringrazio la mia beta Hesper che mi sta dando una mano a raffinare anche questo racconto.

Grazie per essere passati e a presto! ^.^

PS: i “tradizionali” disegni in stile chibi arriveranno più avanti XD


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[2] La sigla d.s. indica la datazione standard. L’anno standard ha una durata di circa 1,12 anni terrestri. Le cifre decimali indicano il periodo dell’anno, quindi inserire una sola cifra decimale è come indicare un mese senza specificare il giorno.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/terminologia/#Datazione standard (d.s.)

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Capitolo 3
*** 2. Un lavoro (im)perfetto ***


2. Un lavoro (im)perfetto

Il convoglio viaggiava relativamente spedito sulla strada appena abbozzata. Ormai non mancava molto per raggiungere la colonia occidentale, ma la nebbia era talmente fitta che era difficile vedere a più di cento metri di distanza.

Al centro della colonna c’era un portavalori: non era molto più grosso degli altri veicoli, ma le dimensioni non erano più un problema dalla scoperta delle tasche dimensionali. Grazie a un simile prodigio della scienza era possibile nascondere oggetti enormi in spazi irrisori, rivoluzionando completamente il settore dei trasporti.

A proteggere il mezzo corazzato c’erano due veicoli della polizia, sei droidi a levitazione armati di cannoni al plasma e una cupola energetica per tenere alla larga gli animali selvatici.

«Arrivano» annunciò la sentinella attraverso il comunicatore a corto raggio.

D’Jagger, appostato non molto distante dalla strada, osservò in silenzio i veicoli in avvicinamento. Aveva di nuovo il suo casco, e per sua fortuna le vistose crepe non ne avevano intaccato le funzionalità: il freddo pungente era confinato all’esterno, i sensori funzionavano a dovere e anche lo schermo sembrava in buono stato.

Al momento giusto attivò il detonatore e le mine piazzate sulla strada esplosero. I due boati fecero saltare i mezzi della polizia, che schizzarono verso l’alto e si ribaltarono. Consapevoli della minaccia, gli uomini a bordo del portavalori ordinarono al mezzo di accelerare, ma qualcosa li arpionò: un uncino gravitazionale si era attaccato saldamente alla fiancata, impedendo loro di allontanarsi.

I droidi passarono in modalità di combattimento e avviarono la ricerca dei bersagli.

Freyja, nascosta dietro ad alcune rocce insieme ad altri due fuorilegge, aspettava solo l’ordine del comandante. Indossava un casco e un robusto completo, in più disponeva di un’armatura energetica per proteggersi dai proiettili nemici.

«Ora!»

L’orchessa e gli altri uscirono allo scoperto e aprirono il fuoco con i loro fucili d’assalto Woltan C-6. Lei aveva già maneggiato armi simili in passato, sapeva che gli uomini del Sindaco disponevano di equipaggiamento militare, quindi non si era scomposta quando gliene avevano affidata una. In realtà quelle armi forse erano addirittura legali: con la scusa di proteggersi dagli animali selvatici, spesso nelle colonie di creazione più recente veniva autorizzato quasi ogni tipo di arma.

I droidi risposero al fuoco, ma tutti i fuorilegge disponevano almeno di uno scudo energetico. Il leader poteva vantare addirittura un’armatura leggera, utile sia per proteggersi dai colpi che per incrementare le sue capacità fisiche.

Freyja concentrò il fuoco sul bersaglio più vicino e in pochi secondi i proiettili fisici da sei millimetri riuscirono a sovraccaricare lo scudo del robot. I sei droidi disponevano di una discreta corazzatura, ma D’Jagger non era l’unico armato di esplosivi: uno dei fuorilegge sparò con il suo lanciagranate e centrò in pieno il nemico, abbattendolo al primo colpo.

Nel giro di mezzo minuto tutti i droidi vennero distrutti, ma nel frattempo i veicoli della polizia avevano completato il riavvio. Con un balzo tornarono sulle quattro ruote e attivarono le mitragliatrici.

Contro armi simili gli scudi energetici non sarebbero durati a lungo, ma D’Jagger si affrettò a lanciare altre due granate EMP. Sapeva fin dall’inizio che le due mine piazzate sulla strada non sarebbero state sufficienti per distruggere i mezzi della scorta, ma il capo dell’operazione aveva preferito procedere comunque in quel modo per non rischiare di danneggiare il portavalori e il suo carico.

Con i veicoli fuori uso e i droidi distrutti, gli agenti capirono di dover uscire all’esterno per fare il loro dovere. Aprirono le portiere e provarono una controffensiva ad armi spianate, ma i fucili d’assalto dei fuorilegge li abbatterono uno dopo l’altro.

L’esito dello scontro sembrava già deciso, ma un fascio di vento cominciò a neutralizzare i fuorilegge uno dopo l’altro.

«Velocista!» gridò il comandante.

I suoi uomini cercarono di radunarsi per coprirsi le spalle a vicenda, ma l’agente sembrava comunque in grado di sopraffarli.

Anche Freyja avvertì la pressione su di sé: per evitare fughe di notizie, solo due persone al comando sapevano della sua operazione: il commissario incaricato di dirigere le forze dell’ordine nella colonia occidentale e il suo vice, il gigante di ghiaccio con cui aveva parlato. Per gli agenti sul campo in quel momento, lei era una comune fuorilegge che attentava alla loro vita.

In una situazione del genere il fucile d’assalto non le sarebbe stato di grande aiuto, così lo gettò a terra e impugnò il suo manganello d’ordinanza. Appena il velocista provò ad avvicinarsi, lei menò un colpo deciso. Il poliziotto venne colpito solo di striscio, lo scudo energetico lo schermò dalla scarica elettrica, ma l’impatto gli fece perdere l’equilibrio e cadde a terra. Era una donna, una teriantropa a giudicare dalle gambe da felino, dalla coda e dalle protuberanze per le orecchie sul casco. Freyja sapeva di dover agire in fretta se voleva salvarle la vita: con un balzo si avventò su di lei e la colpì con il manganello. Il primo colpo fece collassare lo scudo energetico, quindi la colpì di nuovo, questa volta cercando di dosare la forza: la poliziotta era talmente mingherlina che temeva di romperle qualche osso di troppo. La violenta botta e la scarica elettrica la fecero gridare di dolore e dopo pochi istanti perse i sensi.

«E con questo è sistemata» annunciò l’orchessa prima di rialzarsi.

Il capo del gruppo chiamò un appello per verificare le condizioni della squadra. Nessuno era ferito gravemente, così diede ordine di assaltare il portavalori.

«Ehi, tu, sbaglio o quello è un manganello della polizia?»

Freyja annuì con naturalezza. «Esatto. L’ho preso a un agente tempo fa. Se riesci a fartene hackerare uno, ti assicuro che ne vale la pena.»

«Mmh, lo terrò a mente» annuì l’uomo. «Staccate l’arpione gravitazionale, ci troviamo al punto prestabilito» ordinò agli altri prima di salire sul portavalori.

Terminato l’hacking del veicolo, il fuorilegge al posto di guida azionò la leva dell’acceleratore e lasciò la strada battuta, sparendo ben presto nella gelida nebbia di Niflheim.

Anche gli altri fuorilegge lasciarono la strada per tornare ai loro veicoli, parcheggiati non lontano. Cercando di non farsi notare, l’orchessa lanciò qualche rapida occhiata ai colleghi a terra. Per alcuni di loro poteva essere già troppo tardi, tuttavia le uniformi antisommossa sarebbero riuscite a tenere in vita gli altri ancora per un po’. L’allarme doveva essere scattato nel momento stesso dell’attacco: sperava solo che i soccorsi riuscissero ad arrivare in tempo.

D’Jagger, meno interessato all’incolumità dei poliziotti, scansionò l’area davanti a sé finché non riconobbe la traccia di Lunaria. La fata lo raggiunse e lo squadrò rapidamente per controllare che non fosse ferito.

“Sei tutto intero” gli disse nella lingua dei segni. “Peccato.”

Un’emoji arrabbiata apparve sul casco del goblin. «Ehi!»

Al contrario degli altri, la piccola fata non era per nulla infastidita dal freddo pungente, anzi: quella tetra nebbia sembrava l’ambiente perfetto per lei.

I due salirono su uno dei fuoristrada a levitazione e il mezzo li riportò alla colonia occidentale. Come gli altri insediamenti del pianeta, anche la Topaia poteva vantare una grande cupola energetica in grado di schermarla dal freddo e dalla nebbia, così come dai fenomeni atmosferici e dalla maggior parte degli animali selvatici.

Il veicolo attraversò indisturbato alcuni quartieri dall’aria spartana ma funzionale, poi però l’atmosfera cominciò a cambiare: i lampioni divennero sempre più radi e le fermate del trasporto pubblico parvero interrompersi di colpo. Guardando fuori dal finestrino antiproiettile, Freyja notò diverse persone che giravano armate, come a voler mettere in guardia gli altri passanti.

Quell’intera zona era stata costruita abusivamente dagli uomini del Sindaco e la polizia non osava metterci piede: non avevano abbastanza agenti per fronteggiare tutti i fuorilegge che vi si annidavano. L’appellativo di “Sindaco” era dovuto proprio al fatto che in alcune parti della colonia la sua influenza criminale era tale da soppiantare l’autorità del vero governatore.

Il fuoristrada si fermò in un magazzino ampio ma rozzo, dove alcuni uomini stavano già armeggiando sul portavalori. Una volta sbloccato il vano di carico, cominciarono ad aprire le varie tasche dimensionali per controllare la refurtiva. Come previsto, si trattava prevalentemente di apparecchiature per la comunicazione e la sorveglianza: perderle sarebbe stato un duro colpo per la polizia.

«D’Jagger, è sempre un piacere» affermò il leader del gruppo. I tratti del suo volto, simile a un teschio, rendevano difficile inquadrarlo in una delle specie più diffuse, quindi doveva essere un demone. «I soldi sono sul solito conto. Guarda pure per i pezzi che ti servono, ma occhio: il Sindaco vuole che quella roba funzioni. Chiedi agli altri per sapere cosa puoi prendere.»

«Sissignore!»

Il goblin andò a esaminare l’attrezzatura appena rubata, l’insettoide invece raggiunse l’orchessa.

«Frida, giusto? Hai fatto un ottimo lavoro. Anche per te i soldi sono sul conto che ci hai indicato.»

Freyja annuì. «È stato un piacere. Anzi, se vi servisse ancora una mano, chiamatemi.»

«Me ne ricorderò» le assicurò il demone.

La poliziotta aveva molte domande, per cominciare perché il Sindaco era interessato a quella tecnologia: voleva rivenderla o voleva usarla? E con quale scopo? Quello però non era il momento adatto: il comandante sembrava positivamente colpito dalle sue capacità, non era il caso di farlo insospettire.

Aveva già restituito il Woltan C-6, così lasciò il prefabbricato per tornare al suo appartamento, anch’esso nei quartieri controllati dal Sindaco.

Una volta sola, non poté non ripensare a quello che aveva visto durante lo scontro a fuoco. Si era sforzata di non battere ciglio mentre quei fuorilegge sparavano ai suoi colleghi, ma dentro di sé aveva urlato ogni volta di dolore. Sapeva fin dall’inizio che sarebbe dovuta scendere a compromessi per mantenere la sua copertura, che il suo incarico l’avrebbe costretta a compiere dei sacrifici, ma niente poteva cancellare il suo senso di colpa.

In quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era come far avanzare in fretta la sua operazione, così da scoprire l’identità del Sindaco e porre fine il prima possibile ai suoi crimini.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

La missione per conto del Sindaco è stata un successo, ma sia per D’Jagger che per Freyja/Frida non è che un piccolo passo avanti per raggiungere i loro obiettivi.

L’orchessa ha appena cominciato a comprendere la reale complessità dell’organizzazione criminale gestita da Sindaco, il goblin invece ha ottenuto dei componenti che gli serviranno per… qualcosa :P

Nel frattempo ho avuto modo di dare qualche dettaglio in più sul futuristico universo in cui si svolge la storia, dalle tecnologie a disposizione alle armi più usate. Ma anche qui ci sarà molto altro da dire XD

Per ora è tutto, il prossimo capitolo uscirà il primo sabato di marzo.

A presto ^.^


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Capitolo 4
*** 3. Sgherri del Sindaco ***


3. Sgherri del Sindaco

 

Come la maggior parte dei fuorilegge, D’Jagger si era stabilito in una delle zone costruite abusivamente dal Sindaco, per la precisione in un modesto monolocale pressoché identico agli altri prefabbricati del quartiere. C’era disordine ovunque, dal sacco a pelo al macchinario per il cibo, passando per una quantità spropositata di congegni elettronici che affollavano parte del tavolo di lavoro e parte del pavimento.

Mentre il goblin armeggiava con saldatore, stampante per microchip, computer e altri attrezzi di precisione, uno schermo olografico proiettava le ultime notizie riguardanti la colonia.

«Governatore, pare che le attrezzature per la sorveglianza partite ieri dalla capitale siano state rubate» affermò un giornalista. «Alcuni sostengono che il mandante del furto sia il Sindaco. Cosa può dirci in merito?»

«La notizia è assolutamente falsa» rispose il dirigente della colonia, così convinto da apparire sincero. «Si è verificato un banale ritardo con le spedizioni, i sistemi di sorveglianza di ultima generazione che ho richiesto per la colonia arriveranno nei prossimi giorni. Il tasso di criminalità è già diminuito del cinque percento negli ultimi venti giorni: andando avanti così, entro la fine dell’anno la colonia occidentale sarà la più sicura del pianeta e potremo riprendere l’espansione verso ovest.»

«Metti un po’ di musica che è meglio» ordinò il goblin allo schermo. «Comincio a chiedermi se quel tipo sia davvero un bravo bugiardo, o se è solo un gran coglione.»

Lo schermo olografico si spense e dagli altoparlanti integrati nel suo casco venne diffusa una canzone energica e ritmata estratta dalla sua ricca playlist.

Mentre il goblin lavorava, Lunaria se ne stava seduta su una palla gommosa dall’altra parte del monolocale, impegnata a seguire una lezione interattiva di lingua dei segni. Ormai era a un livello piuttosto avanzato, ma desiderava comunque ampliare il più possibile le sue competenze.

Dopo una mezz’ora abbondante, il goblin posò i suoi attrezzi e si tolse il casco, utile sia come protezione che come lente d’ingrandimento.

«E con questo, il prototipo è finito!» annunciò con soddisfazione. «Dai, Lunaria, vieni a provarlo.»

La fata mise in pausa la sua lezione e andò a studiare il congegno con occhio critico. Ora che D’Jagger l’aveva sigillato, aveva una forma circolare, come un banale disco di metallo spesso pochi centimetri.

“Esploderà?”

«No, purtroppo questo non esplode» ammise l’artificiere. «Allora? Lo vuoi provare o no?»

Lei si posò al centro del disco e subito si accese una piccola spia luminosa, ma per il resto non accadde nulla.

Il goblin prese un altro congegno, un rilevatore, e lo accese. E di nuovo non accadde nulla.

«Ok, prova a uscire.»

Lunaria saltò fuori dal cerchio di metallo e subito il sensore si attivò, segnalando la posizione della fata.

«Rientra.»

Lei fece come richiesto e appena superò il bordo del disco, il rilevatore smise di captare la sua presenza. Un genuino sorriso apparve sul suo visino azzurro violaceo.

«Ottimo, direi che funziona» sentenziò D’Jagger, soddisfatto. «Peccato solo che non esplode.»

Era ormai tarda mattina quando Freyja cominciò la manutenzione del suo manganello. Si trattava di un’arma semplice, ma anche molto pratica grazie al robusto bastone telescopico. Ne esistevano innumerevoli versioni, ma la sua era quella specifica in dotazione alle forze dell’ordine: più resistente e capace di infliggere una scarica più potente. Il meccanismo di sicurezza integrato garantiva che solo gli agenti di polizia potessero estenderlo e attivarne la funzione stordente, ma ovviamente nessun dispositivo era davvero a prova di manomissione. Grazie alle modifiche ricevute, chiunque avrebbe potuto impugnarlo, anche uno degli uomini del Sindaco.

Il suo assistente virtuale la informò di una chiamata in arrivo. «È l’ispettore capo Smidr.»

«Passamelo.»

Il bracciale dell’orchessa, in quel momento appoggiato sul tavolo, proiettò davanti a lei l’ologramma del gigante di ghiaccio.

«Freyja, ho quello che mi avevi chiesto. Ho controllato i filmati ed è come pensavi: il goblin e i suoi soci sono evasi perché una fata ha attivato l’apertura di emergenza.»

Lei annuì: quell’informazione le avrebbe fatto comodo. «Perfetto, grazie. A proposito, avete trovato gli altri?»

L’ispettore Smidr scosse il capo. «Ancora niente. Per quanto ne sappiamo, potrebbero essersi nascosti nella Topaia come su un altro pianeta.»

«Ricevuto, cercherò di fare attenzione.» Dopo un attimo di esitazione, guardò l’ologramma negli occhi. «I colleghi come stanno?»

Il gigante di ghiaccio serrò le labbra. «Uno non ce l’ha fatta, ma gli altri se la caveranno. Due di loro sono già stati dimessi.»

Freyja abbassò il capo. Nonostante tutto, si sentiva responsabile.

«Capisco come ti senti, ma cerca di tenere duro: il destino della colonia occidentale potrebbe dipendere da te.»

«Farò del mio meglio» annuì l’orchessa, ancora triste, ma allo stesso tempo determinata.

«Ho anche fatto una ricerca sul demone di cui mi parlavi» proseguì l’ispettore. «Shiburo Hioki, trentatré anni, a diciassette è entrato in un’accademia militare e ha proseguito la carriera nell’esercito del suo paese fino a cinque anni fa, quando ha abbandonato l’uniforme per diventare un mercenario. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che tra gli uomini del Sindaco ci sono anche professionisti addestrati.»

«Come ti ho anticipato, quel tipo non mi è sembrato molto in alto nella gerarchia, quindi è probabile che ci sia anche gente con più esperienza di lui. Comunque appena ho altre informazioni ti faccio sapere.»

«D’accordo. Buona fortuna» si congedò l’ispettore prima di chiudere la chiamata.

L’ologramma si dissolse e le spalle di Freyja si afflosciarono leggermente. Si alzò dalla sedia e andò ad abbracciare il grosso peluche che teneva sul letto: una specie di cane cartoonesco che doveva fungere da mascotte della polizia. Per quanto fosse ben tenuto, si vedevano i segni del tempo sulla sua pelliccia color caramello: con ogni probabilità aveva quasi la stessa età dell’orchessa.

Poco dopo una notifica anticipò la voce della IA: «È arrivato un nuovo messaggio da parte di Mowatalji.»

«Cosa dice?» chiese Freyja lasciando il peluche e alzandosi dal letto.

«“Ho un incarico da proporti. Se sei disponibile, possiamo incontrarci tra un’ora al locale dell’altra volta”» citò l’assistente virtuale.

«Perfetto, digli che ci sarò.»

Superato il momento di sconforto dovuto alla morte del collega, l’orchessa tornò a occuparsi del manganello. Non ci volle molto per concludere la manutenzione, dopodiché si preparò per incontrare l’uomo del Sindaco. Quel tipo sembrava molto furbo e attento, ma si era addestrata proprio per riuscire a ingannare anche persone come lui. Doveva solo restare concentrata, e tutto sarebbe andato per il meglio.

«Non si tratta di un incarico complesso, ma è importante che sia concluso il prima possibile» affermò l’elfo, seduto insieme all’orchessa a un piccolo tavolo di metallo. Anche questo era un po’ ammaccato: evidentemente quello era uno dei tratti distintivi del locale. «Un branco di animali selvatici ha danneggiato già due piantagioni, e quindi va eliminato. Anche questa volta lavorerai al fianco di alcuni dei nostri. Ti interessa?»

«Sì, non c’è problema» confermò Freyja. Non voleva dimostrarsi troppo entusiasta, ma la verità era che si sentiva molto sollevata all’idea di non dover affrontare altri poliziotti. «Di che tipo di animali si tratta?»

«Da quel che ho capito sono simili a cinghiali, ma non ho approfondito. In ogni caso mi hanno detto che useranno fucili d’assalto e mitragliatrici leggere.»

«Ho capito. Per curiosità, sarò nella stessa squadra dell’altra volta?»

«No, questa operazione sarà gestita da un gruppo di cacciatori. La partenza è fissata tra un’ora e mezza, quindi ti invio subito i dettagli» affermò l’elfo, e subito attivò lo schermo olografico del suo bracciale.

Poco dopo l’orchessa ricevette la notifica di avvenuta ricezione. «Arrivato.»

«Perfetto. Buona giornata» si congedò Mowatalji.

«Buona giornata. E grazie ancora per avermi ricontattata.»

Una volta sola, Freyja sentì la pressione scivolare fuori dal suo corpo. Usò il device sul tavolo per ordinare qualcosa da bere e poi tornò a riflettere sulle parole dell’elfo: aveva parlato di piantagioni e di cacciatori, quindi come sospettavano l’organizzazione criminale gestita dal Sindaco era piuttosto strutturata. Con ogni probabilità le piantagioni in questione erano di un qualche tipo di stupefacente, e scoprire dove si trovavano era un’informazione molto preziosa. In più aveva parlato di cacciatori: che il Sindaco disponesse di uomini specializzati nella cattura di animali selvatici? In effetti la fauna di Niflheim era piuttosto insolita, quindi probabilmente c’era qualcuno disposto a pagare per avere degli esemplari.

«Ehi, tu guarda che si vede! Dunque di chiami Frida, eh?»

Al solo sentire quella voce, l’espressione dell’orchessa si incrinò. «Pensavo fossimo d’accordo di non rivolgerci la parola.»

D’Jagger prese posto davanti a lei. «Beh, io invece pensavo che il mio casco fosse ancora integro. Ma quanta forza hai in quei pugni?! Fammi indovinare: sei una cyborg. No, anzi: potenziamento genetico. Di sicuro hai degli ottimi geni…»

Un drone cameriere passò sul tavolo per consegnare il drink ordinato dall’orchessa.

Freyja serrò i pugni. «Senti, sei vuoi essere il mio ex, allora comportati come tale e fingi che io non esista. Ho visto le registrazioni, sai? So della tua piccola amica. Non credere che non ci siano celle anche per lei.»

Il goblin divenne improvvisamente serio. «So come sono fatte le gabbie per fate.» Dopo un momento alleggerì il tono: «Comunque non posso restare: il Sindaco vuole che faccia saltare in aria un cantiere.» Si alzò. «Sai, sarebbe stato molto più semplice se il mio bracciale non fosse stato svuotato…»

L’orchessa fece spallucce. «Dovevi fare più attenzione a non perderlo.»

Lui si lasciò scappare un mezzo sorrisetto. «Alla prossima, Frida.»

«Spero mai, D’Jagger.»

Il goblin si alzò e si diresse verso l’uscita. Solo allora la fatina che era con lui spuntò dal suo cappuccio per mostrare il dito medio alla poliziotta.

Una volta fuori dal locale, la piccola fata si mise a svolazzare davanti all’amico per dire qualcosa nella lingua dei segni.

«No, Lunaria, non le faremo esplodere la casa. Non so neanche dove abita!»

Lei non si scoraggiò e avanzò un’altra proposta.

«Dai, non piazzerò mine in mezzo alla strada!»

Di nuovo la fata rilanciò con un’altra idea.

«E tu che ne sai che passerà vicino al cantiere? E comunque lo sai che il Sindaco vuole un lavoro pulito.»

Vedendo respinte tutte le sue proposte, lei lo mandò a quel paese e si voltò dall’altra parte.

«Dai, non fare così» la esortò D’Jagger, divertito. «Vedrai che tra qualche capitolo finiremo nello stesso party e diventeremo un’ottima squadra come nei film sugli amici animali.»

Lunaria mise il broncio. “Non farò squadra con quella mucca!”

Il goblin si concesse una sana risata. «Piuttosto, vediamo dov’è questo cantiere.»

Consultò la mappa e non dovette fare altro che seguire il percorso suggerito per raggiungere la destinazione. Si trovava in una delle aree esterne della colonia, piena di robot per le costruzioni e prefabbricati in fase di assemblaggio.

Grazie alla funzione di realtà aumentata, D’Jagger non ebbe difficoltà a individuare il suo obiettivo, ma la sua reazione non fu delle più entusiaste: «Che cazzo, ma che ha quel cantiere?!»

Cercando di non sembrare troppo sospetto, si spostò dietro un angolo, attivò il casco e diede un’altra occhiata veloce. «È più sorvegliato della centrale di polizia!»

Sulla zona interessata c’erano infatti diversi piccoli droni, inoltre i sensori del casco riuscirono a individuare anche un robot da combattimento. Data la scarsità di mezzi a disposizione delle forze dell’ordine, in effetti quello poteva essere considerato un sistema difensivo di ottimo livello.

«E ovviamente è l’unico cantiere con un droide da guardia!» brontolò il goblin. «Grazie tante, Mowatalji!»

“Cosa stanno costruendo?” chiese Lunaria.

«Boh, mi sembra un normale prefabbricato. Probabilmente al Sindaco non piace la ditta responsabile.»

Con un sospiro di rassegnazione fece sparire il casco e si incamminò. «Va be’, torniamo a casa e vedrò di inventarmi qualcosa.»

“Non vorrai farmi disattivare tutti quei droni” fece segno la fata con aria preoccupata.

«No, solo quello da combattimento.»

Lei incrociò le braccia e gli rivolse un’espressione imbronciata.

«Tranquilla, abbiamo ancora un po’ di tempo: Mowatalji ha detto che il Sindaco vuole che distruggiamo sia i macchinari che il prefabbricato, quindi abbiamo tempo fino a quando non finiscono i lavori. E poi ti ricordo che quei soldi mi servono per comprare i componenti degli occultatori.»

Lei si strinse un braccio al corpo, incerta. Dopo un momento però annuì: era pronta a rischiare.

«Dovremmo avere almeno un paio di giorni» rifletté D’Jagger. «Se quelle ali reggono, potrei provare a costruirti un occultatore portatile. E mal che vada posso sempre dare sfoggio della mia pessima mira col lanciagranate!»


Note dell’autore

E rieccoci qua!

In questo capitolo più tranquillo ho avuto modo di svelare qualche piccolo retroscena sulla Topaia e sui nostri protagonisti, così da cominciare a conoscerli un po’ meglio. Per il momento il loro rapporto è ancora di aperta ostilità, vedremo se in futuro diventeranno davvero un’ottima squadra come nei film sugli amici animali XD

Quel che è certo è che entrambi hanno ricevuto degli incarichi da Mowatalji, quindi avranno modo di portare avanti i loro obiettivi: Freyja deve raccogliere più informazioni possibili sull’organizzazione del Sindaco, D’Jagger invece ha in mente qualcos’altro, e di qualunque cosa si tratti ha bisogno di soldi.

Nel prossimo capitolo darò di nuovo spazio all’azione, non mancate!

A presto ^.^


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Capitolo 5
*** 4. Battuta di caccia ***


4. Battuta di caccia

Il robusto orco era in piedi davanti al vano di carico di un imponente pickup, impegnato a esaminare il suo minaccioso coltellaccio. La spessa lama era dotata di innumerevoli dentelli che sembravano fatti apposta per strappare la carne e spezzare le ossa. Dopo essersi assicurato che ogni punta era ben affilata, passò a controllare la sua mitragliatrice leggera. Si trattava di una AS11, un’arma dalla potenza notevole e dal rinculo non indifferente, dotata di componenti esclusivamente meccanici e molto affidabili.

«Capo, è arrivata quella nuova» lo informò un demone, che come l’orco indossava abiti dalla foggia mimetica. Non erano vere divise, e questo li faceva sembrare più dei guerriglieri che dei veri soldati.

L’altro appoggiò la mitragliatrice leggera e andò ad accogliere la nuova arrivata.

«Sono Frida Vollan» si presentò Freyja, ormai abituata alla sua falsa identità. «Mowatalji mi ha detto che vi può servire una mano.»

«Sono Luca Pricolici, ma qui mi chiamano il Mastino» si presentò lui stringendole la mano. Era alto almeno due metri e dieci, ma questo non stupì la poliziotta: per i maschi della loro specie era un’altezza abbastanza comune. «Il Capitano mi ha detto che te la cavi bene con le armi, sono sicuro che ti godrai la caccia. Hai mai cacciato un suskera[3] di Niflheim?»

«A essere sincera, non so nemmeno cosa sia. Mi hanno detto solo che sono simili a cinghiali.»

Luca si concesse un mezzo sorriso. «Diciamo di sì: è un cinghiale da una tonnellata abbondante. Oggi ci faremo tutti una bella grigliata.» Si rivolse agli altri cacciatori. «Giusto ragazzi? E si fottano quegli stronzi del Branco!»

Un convinto coro di imprecazioni si sollevò unanime, al punto che Freyja si domandò cosa fosse questo “Branco”.

L’orco doveva aver intuito il suo interrogativo, perché cominciò a spiegare: «Sai, ci sono vari gruppi di cacciatori che lavorano per il Sindaco, ma quelli del Branco si credono superiori a tutti gli altri solo perché sono stati i primi a unirsi alla sua organizzazione.» Mentre parlava chiuse il vano di carico del suo pickup e le fece strada verso la portiera accanto al guidatore. «Ma non farti ingannare: sono solo dei figli di puttana pieni di sé. Quelle mezze seghe non riuscirebbero a seguire nemmeno un mammuth in calore.»

«Allora direi che sono stata fortunata a lavorare con voi» commentò la poliziotta con un sorriso affabile.

Lui le sorrise di rimando. «Puoi dirlo forte.»

Chiuse la portiera e raggiunse il posto di guida, ignorando completamente un suo compagno lì fermo con aria seccata: probabilmente Freyja gli aveva appena rubato il posto, costringendolo a sedersi dietro con altri due uomini.

I due veicoli dei cacciatori partirono a tutta velocità e in breve si lasciarono alle spalle la colonia e la sua confortevole cupola per immergersi nella fredda nebbia di Niflheim.

Il viaggio non fu molto lungo e in una manciata di minuti avvistarono una grande piantagione. Era circondata da un’alta recinzione, ma evidentemente non era abbastanza per tenere alla larga dei suskera affamati.

Prima di indossare il suo casco, Freyja passò le mani sulle sue treccine e le spinse all’indietro. Quando abbassò le mani, le treccine rimasero aderenti al capo grazie ai pendenti metallici posti alle loro estremità, la cui funzione non era esclusivamente estetica.

Tutti quanti sistemarono i loro vestiti pesanti e uscirono all’esterno, le armi in pugno. Il freddo pungente li avvolse in un attimo e i filtri nei caschi cominciarono a fare il loro dovere.

Si erano mossi verso ovest, quindi avevano raggiunto una delle aree di interferenza dove sia la tecnologia che la magia davano problemi. Freyja era stata avvisata per tempo del problema e, non potendo affidarsi al suo scudo energetico, si era assicurata di coprirsi bene. Ora che ci faceva caso, tutti i cacciatori imbracciavano armi balistiche prive di componenti elettroniche, e anche il vecchio fucile che le avevano dato funzionava in maniera esclusivamente meccanica.

L’orchessa si guardò intorno e si stupì di vedere così tanti braccianti impegnati a coltivare la terra. Riconobbe diversi giganti di ghiaccio, ma non mancavano gli esponenti di altre specie. Con ogni probabilità si trattava di immigrati irregolari, fatti arrivare dal Sindaco per avere della manodopera a basso costo e facilmente manipolabile.

Mentre i sette cacciatori raggiungevano uno dei responsabili della piantagione, Freyja ne approfittò per osservare più da vicino le piante che venivano coltivate. Ricordavano vagamente delle spighe di grano molto scure, con chicchi dai riflessi bluastri. Non era un’esperta, eppure quella non le sembrava una delle piante usate per produrre stupefacenti.

Cercando di non farsi notare strappò una foglia, provò a farlo sparire in una delle tasche dimensionali del suo bracciale, ma questo non si attivò. Imprecò mentalmente: era così abituata ad affidarsi alla tecnologia da darla per scontata. Si affrettò a nascondere la foglia in una tasca e si riunì al gruppo.

Dopo aver scambiato due parole con un altro uomo armato, Luca fece segno ai suoi cacciatori e a Freyja di muoversi.

«Ora dovremo seguire le tracce dei suskera» spiegò il cacciatore all’orchessa. «Ma non preoccuparti: basta che ci segui senza fare rumore. Quegli animali sono grossi e abitudinari: non ci vorrà molto per trovarli. Ah, quando li troviamo, vorrei tenerne vivi un paio. Non sarà un problema trovare un compratore.»

Il gruppo si lasciò alle spalle il campo coltivato e si addentrò nella lugubre nebbia di Niflheim. Le piante alte e tetre sembrano tutte uguali e per la poliziotta era difficile trovare punti di riferimento, gli uomini del Sindaco invece si muovevano con grande sicurezza.

Pur non avendo mai partecipato a una battuta di caccia, Freyja capì subito che quegli uomini erano dei professionisti: erano completamente assorti nella loro ricerca e si muovevano senza quasi fare rumore. In quell’ambiente selvaggio forse erano perfino più temibili di un gruppo di militari addestrati.

Dopo una ventina di minuti, Luca fece improvvisamente segno di fermarsi. Fece un gesto con la mano e subito i suoi uomini si divisero in coppie e si sparpagliarono. Freyja rimase con l’orco, pronta a fare fuoco, ma senza capire se ci fosse un predatore in agguato o se avevano trovato i suskera. Udì dei rumori e finalmente anche lei individuò i grossi animali che stavano cercando: erano proprio degli enormi cinghiali, con delle zanne estremamente sviluppate, tanto da far invidia al corno di un rinoceronte. L’ispida pelliccia aveva una colorazione grigio bluastra che in alcuni punti sfumava fin quasi al nero, aiutandoli a confondersi tra la nebbia.

L’esemplare più grande doveva superare i due metri, e insieme a lui ce n’erano altri tre più piccoli che comunque sfioravano il metro e mezzo. Forse erano una madre con i cuccioli.

Quando il suskera più grande sollevò il muso per guardarsi intorno, i cacciatori si erano già posizionati. L’animale percepì il pericolo e drizzò le orecchie, ma era già troppo tardi. Luca fu il primo ad aprire il fuoco e scatenò una raffica con la sua AS11. Per essere una mitragliatrice leggera non aveva una cadenza di fuoco particolarmente elevata, tuttavia la potenza dei proiettili era davvero devastante e il corpo della madre venne martoriato da zampilli di sangue. L’animale lanciò un grido strozzato e i suoi cuccioli cominciarono a correre, ma il fuoco incrociato degli altri cacciatori bloccò loro ogni via di fuga, gettandoli nel panico.

Freyja concentrò il fuoco sulla madre, che nonostante i colpi subiti non ne voleva sapere di cadere. Mossa dalla disperazione si lanciò alla carica contro Luca, costringendolo a gettarsi a terra. Il suskera, pesante com’era, abbatté l’albero dietro a cui l’orco si stava nascondendo e continuò la sua corsa per parecchi metri prima di riuscire a fermarsi. Con profonda sorpresa di Freyja, Luca non ne approfittò per attaccarlo alle spalle, anzi depose la sua mitragliatrice, si levò la maschera antigas e avanzò a mani nude, come a voler sfidare la sua preda.

Il suskera, accecato dal dolore, lanciò un grido furioso e partì alla carica. La poliziotta non sapeva che fare: doveva provare a fermare l’animale o doveva farsi da parte? Un criminale in meno sarebbe stato di sicuro un vantaggio per la polizia, d’altra parte quel cacciatore non sembrava avere tendenze suicide, quindi doveva avere per forza un piano.

Abbassò l’arma e si accorse che il corpo di Luca si stava ingrandendo a vista d’occhio. La sua pelle cambiò leggermente colore, diventando più tendente al grigio scuro, e anche i suoi muscoli si gonfiarono. Solo allora la poliziotta si rese conto che quel cacciatore era una chimera mutaforma: il suo corpo stava assumendo i tratti di un ordogue[4], un grosso canide originario di Svartalfheim, senza pelliccia ma con una pelle estremamente coriacea. Gli orchi l’avevano addomesticato nel corso dei millenni, rendendolo un compagno fondamentale sia nelle battute di caccia che nelle guerre.

Luca, forte della sua forma ibrida, afferrò le zanne del suskera e lo schiacciò a terra. Ci vollero alcuni metri, ma alla fine riuscì a fermare lo slancio del grosso cinghiale e lo ribaltò su un fianco. L’animale provò a dimenarsi, ma l’orco estrasse fulmineo il suo coltellaccio e lo affondò nel collo della preda. Bastarono pochi istanti e il suskera smise di muoversi: era stato completamente surclassato dalla potenza del cacciatore.

Nel vedere Luca che estraeva la sua lama insanguinata, Freyja non poté non avvertire un fremito di paura. Anche con la magia disturbata, era riuscito a sopraffare completamente quel cinghiale da una tonnellata. Dunque erano questi i nemici che avrebbe dovuto affrontare.

«Non farci caso, è solo un esibizionista.»

L’orchessa per poco non sobbalzò: non aveva minimamente sentito arrivare l’altro cacciatore.

«Ehi, capo, abbiamo catturato i tre cuccioli» annunciò il demone.

L’orco annuì e tornò gradualmente alla sua forma originale.

«Troviamo un punto dove far arrivare i pickup e torniamo a casa» disse prima di rimettere la maschera antigas. «Oggi è stata un’ottima giornata. Ci hai portato fortuna, bellezza» aggiunse in direzione di Freyja.

«In realtà credo che ve la sareste cavata benissimo anche senza di me» ammise l’orchessa. Non le andava molto a genio quando la chiamavano “bellezza” o simili, ma quello non era proprio il momento di fare la permalosa.

«La caccia è una cosa imprevedibile, e comunque i suskera non sono gli animali più impegnativi di questo pianeta» minimizzò Luca. «Anzi, ci conviene sbrigarci prima che il sangue attiri qualche predatore.»

Invece di provare a portare via tutte le prede, i cacciatori decisero di abbandonare la carcassa della madre, troppo grossa e pesante da trasportare, e si limitarono a condurre via i cuccioli. Erano stati legati saldamente al collo e ognuno era tenuto a bada da due uomini, in questo modo sarebbero riusciti a condurli abbastanza agevolmente fino ai pickup.

Freyja pensava che avrebbero dovuto percorrere a ritroso tutta la strada che avevano fatto, invece i due veicoli li raggiunsero quasi a metà strada, dove la vegetazione era ancora abbastanza rada da consentire ai grossi veicoli di passare.

L’orchessa osservò stupita i cacciatori che assicuravano le corde degli animali a degli appositi ganci. «Pensavo che l’interferenza fosse troppo forte qui.»

«In teoria sì, ma a quanto pare i cervelloni del Sindaco sono riusciti a inventarsi qualcosa» le spiegò Luca. «È ancora un prototipo, ma se stiamo lontani dalle zone più disturbate riusciamo a cavarcela.»

Freyja cercò di non scomporsi troppo, ma quella era un’informazione estremamente preziosa: la polizia non aveva idea che il Sindaco disponesse di una simile tecnologia.

Durante il tragitto verso la colonia dovettero tenere un’andatura moderata per consentire ai suskera di tenere il passo e Luca ne approfittò per chiedere all’orchessa di unirsi a loro per il pranzo: «Abbiamo preso più animali del previsto, quindi uno possiamo tenercelo. La carne dei suskera è ottima, e quella dei cuccioli è particolarmente tenera.»

A livello personale Freyja non aveva nessuna intenzione di entrare troppo in confidenza con il cacciatore, d’altra parte ogni contatto poteva essere utile per risalire la gerarchia.

«D’accordo, grazie» annuì. «Allora mi unirò a voi.»

Aveva ancora molto da fare prima di riuscire a comprendere la portata della complessa organizzazione criminale messa in piedi dal Sindaco, e quella grigliata sarebbe stata parte integrante del suo lavoro.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo ho potuto presentare altri uomini del Sindaco, ma ho anche mostrato alcune delle attività messe in piedi dal criminale: bracconaggio, piantagioni irregolari, immigrazione clandestina.

La caccia è andata bene e ora Freyja e gli altri potranno godersi una bella grigliata, ma l’orchessa non ha certo perso di vista il suo obiettivo: in attesa delle analisi sulle piante simili a grano, deve raccogliere più informazioni possibile sui suoi nuovi compagni, il tutto ovviamente senza farsi scoprire.

Il prossimo capitolo sarà incentrato su D’Jagger e Lunaria, così da dare un po’ di spazio a tutti i protagonisti XD

E a proposito di D’Jagger, eccolo in versione chibi:

D’Jagger Rahoud (HoJ-1)

A presto! ^.^


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[3] Da Sus scrofa, il nome scientifico del cinghiale, e keras, corno in greco.

[4] Il nome deriva da “orco” e “dogue”, il sottogruppo di molossi anticamente selezionati come cani da guerra.

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Capitolo 6
*** 5. D&L: demolizioni e affini ***


5. D&L: demolizioni e affini

A causa della fitta nebbia, su Niflheim era difficile usare il sole per stabilire l’ora. Per di più il giorno aveva una durata piuttosto lunga, quindi le variazioni di luce erano ancora più sfumate. Per ovviare al problema, la Orborum Domini aveva dotato le cupole delle colonie di un sistema in grado di simulare un ciclo giorno-notte, così da favorire il corretto metabolismo di tutti gli abitanti.

In quel momento era tarda sera e dei lampioni compensavano la ridotta luminosità della cupola, garantendo una visibilità quasi perfetta per le strade. O almeno così era per i quartieri costruiti legalmente: nelle aree abusive i lampioni erano piuttosto radi e ampie zone erano lasciate nel buio più totale.

In ogni caso a D’Jagger importava poco di tutto ciò. La sua finestra era chiusa da un pezzo e in quel momento se ne stava appoggiato con la schiena e i gomiti al suo disordinato tavolo di lavoro. «Allora, come ti sembra?»

Lunaria svolazzò avanti e indietro per la stanza un paio di volte, ma la sua usuale leggiadria era quasi completamente annullata dal congegno che doveva trasportare. Si trattava di una versione rimpicciolita dell’occultatore, comunque molto ingombrante per la taglia della fata, la quale doveva trasportarlo usando un’imbracatura.

Finalmente Lunaria poté adagiare il fastidioso carico sul tavolo, lo sganciò dall’imbracatura e poi incrociò le braccia a formare una contrariata X.

«Lo so che è pesante, ma senza soldi non posso procurarmi dei componenti più piccoli» le fece notare il goblin.

“Non sono un elicottero, non posso volare con quello!” ribatté la fata.

«Mi spiace, ma dovrai adattarti. O usi quello, o dovrai fare a meno dell’occultatore.»

Lei gli voltò le spalle, incrociò le braccia e cominciò a battere il piede con fare nervoso.

«Fino ad ora te la sei cavata anche senza, non devi usarlo per forza» le fece notare D’Jagger.

Lei scosse il capo. “La mucca mi ha già scoperta, non voglio che succeda ancora.”

«Allora dovrai fare uno sforzo. Quelle ali possono reggere il peso senza problemi, vedrai che andrà bene. E con i soldi del lavoro potremo costruire almeno altri tre occultatori.»

Lunaria rimase incerta per alcuni istanti, poi esalò un sospiro di rassegnazione e sollevò un pugno.

Il goblin sorrise e lo batté con il proprio. «Andiamo a far esplodere un po’ di roba!»

Il suo stomaco emise un sommesso brontolio.

«Ok, prima mangiamo qualcosa.»

Nonostante la scarsità di lampioni, per D’Jagger non fu un problema raggiungere il cantiere indicatogli da Mowatalji. Come per le altre zone in costruzione, c’erano dei potenti fari che illuminavano l’area, così da supportare i sensori dei robot e avvisare i passanti dell’attività in corso.

«Cavolo, devo procurarmi un mezzo di trasporto!» brontolò il goblin, stufo della lunga camminata. «Sarebbe bello se mettessero anche qui dei mezzi pubblici, ma ho come l’impressione che sparirebbero in un paio di giorni.»

Lunaria uscì dal suo cappuccio e si stiracchiò tranquillamente, come a voler sottolineare il poco sforzo fatto per arrivare fin lì.

«Comoda, eh» l’apostrofò il goblin prima di indossare il suo casco. Avviò una scansione e il dispositivo impiegò pochi istanti per completare la sua analisi.

«Ok, il nostro amico è ancora lì a fare la guardia. Non vedo nessuno in giro: possiamo cominciare.»

Lunaria, che già indossava l’imbracatura, fece comparire l’occultatore e lo agganciò.

«Ok, la granata EMP è nella tua cintura, dovrebbe bastare a metterlo fuori gioco per un po’. Ricordati di stare abbastanza lontana quando la lanci.»

“Non sono stupida!” fece segno la fata, stizzita.

«Conto su di te» le sorrise D’Jagger, divertito dalla sua reazione.

La piccola fata cominciò a svolazzare verso il cantiere, ondeggiando di qua e di là a causa del peso aggiuntivo. Mentre avanzava, continuò a salire di altitudine, in modo da riuscire a passare sopra l’impalcatura che circondava il cantiere. Doveva anche stare attenta ai droidi di sorveglianza, per questo appena fu abbastanza vicina si fermò un momento per cercare di trovare un modo di aggirarli.

I piccoli robot volanti erano stati pensati per sorvegliare soprattutto il suolo, ma evidentemente i responsabili temevano anche un attacco dall’alto, infatti c’era sempre almeno una macchina che controllava il cielo sopra il cantiere.

Lunaria arricciò il naso, contrariata: perché dovevano capitare sempre a lei i compiti più impegnativi?

Appena individuò un’apertura, si lanciò in avanti più rapida che poté. Il peso dell’occultatore era un vero fastidio per lei, abituata a muoversi con eleganza e leggerezza, ma non poteva fare altrimenti: dopo quello che aveva passato, la sola idea di essere vista da un estraneo la faceva tremare di paura.

Superò con un’ampia parabola il robot che aveva davanti e si infilò tra i pilastri che avrebbero costituito lo scheletro dell’edificio. Il robot da costruzione era tanto grande quanto lento: anche con il suo carico aggiuntivo, la piccola fata non avrebbe avuto difficoltà ad evitarlo.

Sentì il ronzio di un drone in avvicinamento e si tuffò dietro un pilastro. Se non altro l’occultatore stava facendo il suo dovere e nessun robot dava l’idea di averla individuata.

Imboccò un profondo passaggio verticale, presumibilmente la tromba di un futuro ascensore, e così facendo raggiunse i piani più bassi dell’edificio. Era ancora curiosa di capire di che edificio si trattasse, ma l’ambiente era troppo spoglio per farsi un’idea più chiara. Quegli spazi potevano diventare dei semplici appartamenti così come degli avanzati laboratori.

Individuò il robot armato, nettamente più grande degli altri: era posizionato in bella vista proprio al centro del cortile. Stava per avviarsi, quando udì il ronzio di un altro drone.

Anche lì mancavano le pareti interne, quindi si fiondò più veloce che poté verso uno dei pilastri. Per un attimo si era fatta prendere dal panico, ma tanto bastò per farle dimenticare del peso extra che si portava dietro: invece di fermarsi dietro al pilastro, l’inerzia la spinse più avanti, fino a lasciarla in bella vista.

Con il suo piccolo cuoricino che batteva all’impazzata, Lunaria vide il drone che si fermava. Si nascose di nuovo, ma adesso il ronzio si stava avvicinando: l’avevano scoperta!

Doveva trovare una soluzione, e in fretta. Si guardò intorno, cercando un punto dove nascondersi, ma l’ambiente era quasi completamente spoglio.

Con il drone ormai a due passi, individuò un possibile nascondiglio: senza pensarci due volte schizzò verso il condotto dell’areazione – o qualunque cosa fosse – e lo percorse per almeno tre metri, sperando che fosse sufficiente per uscire dal raggio d’azione del suo inseguitore.

Si fermò, il fiato corto, e attese. Continuò ad aspettare, ma non successe nulla. Dopo più di un minuto si decise a tornare indietro. Sbirciò cautamente dal buco da cui era entrata e non vide nulla di sospetto: il drone se n’era andato.

Tirò un profondo sospiro di sollievo: per stavolta se l’era cavata.

Si sistemò meglio l’imbracatura dell’occultatore e, dopo aver controllato più volte che non ci fossero altri robot nei paraggi, uscì allo scoperto. Era al secondo piano, quindi da quell’altezza avrebbe potuto lanciare la granata EMP senza finire nel suo raggio d’azione. Probabilmente. Per sicurezza decise di salire di un altro piano, a quel punto si avvicinò alla facciata rivolta sul cortile. Individuò diversi droni di pattuglia, ma sembravano interessati soprattutto a pattugliare il cortile stesso, piuttosto che ciò che stava sopra di loro.

Lunaria prese un bel respiro, controllò un’ultima volta che non ci fossero droni in arrivo e poi agì: attivò la cintura e da una tasca dimensionale apparve la granata EMP. Volò fuori dall’edificio, si piazzò sopra il robot da combattimento e lasciò l’ordigno. Non aspettò che la granata esplodesse, ma si affrettò a tornare indietro. Superata la finestra, già udiva il suono delle eliche dei droni, attirati dall’attivazione della sua tasca dimensionale.

Individuò un altro condotto per l’aerazione e vi si fiondò dentro, solo a quel punto avvisò D’Jagger. In realtà non sapeva se l’EMP aveva fatto centro, ma era troppo spaventata per andare a controllare. In quel momento tutto quello che riusciva a fare era sperare che il suo compagno arrivasse presto.

Ricevuto il segnale, D’Jagger si avvicinò al cantiere. Conoscendo Lunaria, prima di aprirsi la strada con le cariche, usò il casco per controllare lo stato del robot da guardia. I sensori lo davano fuori uso, ma non sarebbe rimasto inattivo a lungo: doveva mettersi al lavoro.

Spruzzò una striscia di gel sul muro che circondava il cortile e attivò il detonatore. L’esplosione controllata aprì il passaggio, ma allo stesso tempo mise in allerta i droni. Lo sciame di macchine si fiondò su di lui, ma nessuno dei quei piccoli robot era dotato di armi da fuoco.

D’Jagger li salutò con un cenno della mano e poi si affrettò a piazzare l’esplosivo sui pilastri e sul robot da costruzione. Poteva sembrare un compito facile, ma doveva valutare con attenzione posizionamento e potenza di ogni carica, altrimenti i danni collaterali sarebbero stati considerevoli. E di sicuro il Sindaco non sarebbe stato contento.

«Vediamo di far valere tutti gli esami che ho dato!»

Il goblin stava finendo di sistemare le ultime cariche quando Lunaria lo raggiunse.

«Ehi, gentile da parte tua farti viva.»

“Riposavo le spalle, quest’affare pesa più di me” si difese lei con nonchalance.

La fata si guardò intorno, intimorita da tutti i droni che stavano ronzando loro intorno. Le dava ancora fastidio l’idea di essere vista, ma non poteva restare nascosta per sempre, soprattutto considerato che entro pochi minuti quell’edificio si sarebbe trasformato in un cumulo di macerie.

Guardò verso il minaccioso droide da combattimento. Sembrava del tutto inerte, finché il suo corpo metallico non venne scosso da un leggero tremito.

Preoccupata, andò ad avvisare D’Jagger.

«Sì, ho visto» annuì lui senza neanche voltarsi. «Dammi un secondo, ho quasi finito.»

La fata guardò di nuovo verso la macchina. Ogni secondo che passava, sembrava sempre più sul punto di risvegliarsi.

«Fatto, andiamocene!» ordinò il goblin. «E metti via quell’EMP! Mi farai saltare di nuovo le protesi!» aggiunse prendendo la granata che lei aveva appena fatto comparire.

Sotto lo sguardo attento dei droni, corsero verso l’apertura nel muro. Stavano per varcare il passaggio quando il robot da combattimento si riattivò. Con le sue armi da fuoco li avrebbe fatti a brandelli in un attimo, e anche lasciare il cantiere non avrebbe garantito loro la salvezza.

L’automa individuò i bersagli e allineò i cannoni a energia. Era pronto a sparare quando la granata EMP lo colpì. L’impulso elettromagnetico mandò in cortocircuito i suoi sofisticati processori e di nuovo rimase paralizzato.

«Per un soffio, eh?» ironizzò D’Jagger.

Lunaria, la cui pelle azzurro-violaceo era diventata insolitamente pallida, minacciò di strozzarlo con le sue manine.

Una volta a distanza di sicurezza, D’Jagger attivò il detonatore e la raffica di esplosioni si propagò tonante in tutta la zona.  L’edificio collassò su sé stesso in una nuvola di polvere e anche il robot da costruzione venne sventrato dagli scoppi, così come l’automa da guardia.

«Aaah, l’hai sentito anche tu, vero? Mi sarò anche giocato le orecchie, ma le vere esplosioni sono quelle che ti rimbombano nel petto.» Si concesse un momento per ammirare la magnificenza della sua demolizione, il cui unico effetto collaterale era stata una nuvola di polvere nelle strade limitrofe. «Che dire: bravo me.»

“Ora però mi fai un occultatore più leggero” sottolineò Lunaria, che nel frattempo si era liberata dell’ingombrante peso aggiuntivo.

 «Certo, Lunaria, tutto quello che vuoi. Prima però andiamo a prendere qualcosa da mangiare, sperando che le scorte non siano finite di nuovo. A proposito, dovrò chiedere a Mowatalji se conosce qualcuno a cui chiedere per avere un po’ di razioni extra. Dubito che il Sindaco abbia tirato su un impero criminale solo per far morire di fame i suoi uomini.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Dopo il capitolo dedicato a Freyja, eccone uno dedicato a D’Jagger e Lunaria (gli esperti di demolizioni e affini XD).

I due vanno d’accordo, ma non mancano di punzecchiarsi un po’ a vicenda. In questo capitolo ho disseminato qualche indizio sul passato di entrambi, e nei prossimi capitoli avrò modo di approfondire ulteriormente.

Dunque missione compiuta per il goblin e la fata, che ora possono investire i proventi dell’incarico. Sempre ammesso che riescano a riempirsi la pancia.

Nel prossimo capitolo vedremo come se la cava Freyja con i cacciatori del Mastino.

A presto ^.^


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Capitolo 7
*** 6. Nel mirino ***


6. Nel mirino

Fucile in mano, Freyja correva per la lugubre foresta più veloce che poteva. Aveva il fiato corto, ma non poteva rallentare: intorno a lei poteva sentire i passi fulminei di Luca e dei suoi cacciatori, decisi a non farsi sfuggire la loro preda.

Con un agile balzo superò una grossa radice e continuò a correre.

La selva di Niflheim era ancora più oscura del solito, con solo le stelle a brillare nel cielo, ma per fortuna in quella zona l’interferenza era molto lieve e poteva affidarsi ai sensori del casco.

«Eccola!» gridò Luca. «Sparate!»

Tutti i cacciatori aprirono il fuoco e la foresta venne squassata dal rumore delle armi balistiche.

La fuggitiva lanciò un grido di dolore e cadde pesantemente a terra.

«Presto, circondatela!»

Rapidi come il vento, i cacciatori formarono un cerchio intorno alla loro preda e puntarono i fucili: ormai non aveva più vie di scampo.

Il grosso primate, stanco almeno quanto i suoi inseguitori, cercò di tirarsi su. Era una femmina alta quasi tre metri, la cui pelle molto scura richiamava la colorazione dei rami degli alberi. Era dolorante per la caduta, ma i proiettili di gomma usati dai cacciatori non l’avevano ferita.

«Yltas, altro anestetico!» ordinò Luca.

Il faunomorfo[5] di tipo stambecco sparò un altro dardo e centrò in pieno il collo del primate. La scimmia lanciò un grido e spruzzò un liquido denso dalla bocca. Freyja e gli altri cacciatori si fecero da parte, ma alcuni schizzi li raggiunsero ugualmente.

L’orchessa sapeva che quella sostanza puzzolente era una potente tossina – da cui il nome di papio[6] venefico –, ma per fortuna il casco e i vestiti pesanti erano in grado di proteggerla.

La scimmia si lanciò all’attacco, gli artigli sguainati. Freyja scattò all’indietro e aprì il fuoco. I proiettili di gomma centrarono in pieno muso l’animale, costringendolo a ripararsi con le braccia. L’orchessa e i cacciatori al suo fianco continuarono a sparare brevi raffiche, costringendo l’animale a tornare al centro del cerchio: dovevano impedirgli di raggiungere di nuovo gli alberi.

Ansimante, il papio venefico si appoggiò sulle quattro zampe. Finalmente i sonniferi stavano cominciando a fare effetto. Nemmeno i cacciatori sapevano esattamente quale tipo di anestetico usare e in che dosi, e questo aveva complicato la cattura. Non potevano nemmeno usare armi letali perché il cliente aveva chiesto espressamente di avere i due esemplari, un maschio e una femmina, in buona salute.

La grossa scimmia emise dei ringhi sommessi, un ultimo disperato tentativo di intimidire i suoi aggressori, e poi si accasciò a terra.

Nonostante l’apparente vittoria, i cacciatori rimasero immobili, le armi puntate: quell’animale era molto intelligente, non dovevano abbassare la guardia.

Fu Luca a prendersi la responsabilità di controllare che il primate fosse effettivamente addormentato. Avanzò lentamente, un passo per volta, sempre con il dito sul grilletto.

Erano ore che inseguivano quella scimmia, ma finalmente i loro sforzi sembravano sul punto di venire premiati.

«Ok, legatela» ordinò l’orco senza distogliere lo sguardo dall’animale.

Due suoi si fecero avanti, altrettanto cauti, e cominciarono ad avvicinare delle speciali manette ai polsi e alle caviglie del papio venefico. Avevano la preda in pugno, ma a ogni suo sussulto loro arretravano immediatamente: sapevano bene che una sola zampata avrebbe potuto ferirli seriamente. Anche la stessa Freyja, che pure si trovava a distanza di sicurezza, faceva un leggero movimento ogni volta.

Quando finalmente finirono di legarlo, tutti quanti cominciarono a lanciare brevi ma frequenti occhiate verso il leader del gruppo, in trepidante attesa.

«È fatta» annunciò Luca. «Ottimo lavoro, ragazzi.»

Improvvisamente la tensione si dissolse e la stessa Freyja tirò un enorme sospiro di sollievo. Abbassò il fucile e si congratulò con gli altri cacciatori. Faceva parte di quel gruppo da pochissimo, tuttavia la grigliata di suskera l’aveva aiutata molto a entrare in sintonia con i suoi nuovi compagni: il processo di infiltrazione procedeva bene, ma era ancora troppo presto per cercare di sabotare le operazioni del Sindaco.

«Direi che per oggi può bastare, domani cominceremo a cercare un maschio» sentenziò Luca. La sua AS11 era senza dubbio l’arma più pesante fra tutte quelle in dotazione ai cacciatori, eppure sembrava il meno stanco del gruppo.

Fecero venire i pickup e in pochi minuti i due grossi veicoli li raggiunsero. Di norma si muovevano sulle quattro ruote, ma ogni cerchione era collegato a una zampa indipendente che permetteva ai due fuoristrada di superare quasi ogni tipo di ostacolo.

I cacciatori caricarono la grossa scimmia e finalmente poterono fare rotta verso la colonia. Lo spazio ristretto dell’abitacolo non fece che enfatizzare il tanfo del veleno che impregnava i loro vestiti, ma per fortuna non ci volle molto per raggiungere la colonia.

«Ci vediamo, Frida. Ti faccio sapere quando saremo pronti per andare a prendere il maschio» affermò Luca.

«Certo, a presto.»

L’orchessa scese dal pickup e salutò gli altri cacciatori prima di incamminarsi verso casa. Per fortuna non c’erano molte persone in giro, ma si sentiva comunque molto in imbarazzo per il cattivo odore che emanava: non vedeva l’ora di levarsi quei vestiti puzzolenti e farsi una lunga doccia. Fatto ciò, avrebbe contattato l’ispettore capo Smidr: doveva informarlo sugli ultimi avvenimenti, ma era anche curiosa di sapere l’esito dei test sulla foglia che aveva preso alla piantagione. Ogni minima informazione poteva rivelarsi utile per comprendere meglio il progetto che il Sindaco stava mettendo in atto sulla colonia occidentale.

***

D’Jagger era seduto al consueto tavolo di lavoro, ma invece di costruire sofisticati congegni, in quel momento era impegnato a scegliere i componenti da ordinare su una nota piattaforma di commercio elettronico non tracciabile. Una volta effettuato l’acquisto, sarebbe dovuto andare fino alla capitale per ritirare la merce: la Topaia era considerata un luogo troppo pericoloso per i corrieri. Poco male: un breve gita nella civiltà poteva solo fargli bene.

«Signor governatore, i cittadini lamentano una mancanza nei rifornimenti alimentari» affermò un giornalista dallo schermo olografico. «I negozi stanno esaurendo le scorte ed è sempre più difficile trovare cibo fresco. Molti puntano il dito contro gli immigrati irregolari e i furti ai convogli: cosa faremo quando le scorte finiranno?»

D’Jagger si fece un po’ più attento. «Ah, ottima domanda!» La sera prima era riuscito a comprare solo alcune barrette disidratate, quindi era curioso di sentire cosa si sarebbe inventato il governatore.

«Riconosco che le scorte nei negozi si sono ridotte ultimamente, ma non è il caso di creare inutili allarmismi» dichiarò il nano. «Quella degli immigrati irregolari è solo una campagna di disinformazione volta a creare disordine tra i cittadini, e non intendo tollerare ulteriori insinuazioni in merito. Per quanto riguarda il problema alimentare, i cittadini possono stare tranquilli: ho già dato disposizioni affinché le scorte di emergenza vengano utilizzate per rifornire i negozi, nel frattempo ho già stretto nuovi accordi con altri fornitori per garantire alla colonia occidentale tutto il cibo di cui ha bisogno. I primi rifornimenti arriveranno nel giro di qualche giorno e tutto tornerà alla normalità.»

«Governatore, cosa può dirci invece dell’esplosione al cantiere dell’altra sera?» intervenne un’altra giornalista. «L’azienda responsabile ha denunciato nuovamente le minacce ricevute e ha dichiarato che non lavorerà più su questo pianeta.»

«Ehi, parlano di noi!»

«Le indagini sono ancora in corso, quindi non posso rilasciare nessuna dichiarazione» rispose il governatore. «Quello che posso dirvi è che un simile episodio può sembrare eclatante, ma la verità è che i crimini contro i cittadini sono in continua diminuzione. Lo squilibrato responsabile dell’esplosione verrà presto assicurato alla giustizia, e con lui i pochi criminali rimasti nella colonia.»

«Squilibrato?!» esclamò D’Jagger, inorridito. «Per una demolizione come quella il mio prof di analisi strutturale mi avrebbe dato pure la lode!»

Lunaria, che stava cercando di seguire la sua lezione interattiva, gli lanciò un’occhiataccia e gli fece segno di tacere.

Senza smettere di brontolare fra sé, il goblin completò l’ordine e poi uscì di casa per andare a incontrare Mowatalji. Non si aspettava di venire ricontattato così presto, ma qualche soldo in più gli avrebbe solo fatto comodo.

Invece di dargli appuntamento al solito posto, l’elfo gli aveva fornito delle coordinate. Già da questo il goblin capì che si sarebbero incontrati nella zona abusiva: lì le strade non avevano né nome, né numero, quindi era impossibile usare un indirizzo.

Giunto a destinazione D’Jagger non poté non rimanere a bocca aperta. Si aspettava un edificio semplice e spartano, magari un po’ più grande degli altri, invece quella che aveva davanti sembrava una vera e propria fortezza. C’erano torrette, telecamere e uomini armati davanti all’ingresso. La centrale di polizia impallidiva a confronto.

Notò che sopra l’edificio c’erano varie antenne: sicuramente erano quelle che aveva contribuito a rubare.

«Ehilà! Devo incontrare Mowatalji.»

«Nome?»

«D’Jagger Rahoud.»

«Un momento.» Il sorvegliante inoltrò la domanda ai colleghi all’interno e solo dopo aver ricevuto il via libera lasciò passare il goblin.

D’Jagger varcò l’ingresso e anche lì proseguì la sensazione di trovarsi all’interno di una base militare. C’era parecchio personale, sia di sorveglianti che di operai: evidentemente i lavori non erano ancora terminati.

«Buongiorno, D’Jagger» lo salutò Mowatalji andandogli incontro. «Allora, come ti sembra?»

«Mi sembra a prova di esplosivo!»

L’elfo sorrise in maniera elegante e formale. «L’idea è questa. Vieni, andiamo in un luogo più tranquillo.»

Mentre salivano le scale, il goblin continuò a guardarsi intorno. «Quindi questa è la nuova base del Sindaco? Non ha badato a spese! Ehi, non è che posso incontrarlo?»

«Temo non sia possibile, come potrai immaginare è molto impegnato al momento. Dovrai accontentarti di me.»

D’Jagger gli diede un’allegra gomitata. «Dai, non dire così!»

L’elfo lo fece accomodare in una stanza. Anche lì i mobili avevano una foggia molto seria e marziale.

«Allora, cosa devo fare esplodere questa volta?»

Mowatalji mostrò un lieve sorriso. «In realtà il Sindaco ha in mente di qualcosa di più… sofisticato. Come forse avrai sentito, alcune delle nostre piantagioni sono state rovinate dagli animali selvatici, e chiedere ai cacciatori di abbattere gli animali responsabili non si è rivelato un rimedio efficace. Ci sono già delle recinzioni intorno ai campi, ma gli animali le abbattono puntualmente, per questo il Sindaco ha richiesto un sistema più avanzato: piccole cariche piazzate su tutto il perimetro, abbastanza potenti da mettere in fuga qualsiasi cosa si avvicini. Abbiamo già degli artificieri, ma il tuo aiuto sarebbe comunque molto gradito, oltre che ben ricompensato.»

Il goblin lo squadrò con aria interrogativa. «Sento che sta per arrivare un “ma”.»

«Ma il Sindaco non vuole assegnare questo incarico a personale esterno» confermò l’elfo. «L’impianto deve essere progettato e installato, e questo richiederà come minimo delle settimane. D’Jagger, sei uno dei migliori artificieri del pianeta: uno come te non avrà problemi a fare carriera lavorando per il Sindaco. Vedrai, ti basterà qualche mese per scalare la gerarchia.»

Il goblin mosse le dita con fare incerto. «Mmh… È certamente una proposta interessante, ma sai: mi piace lavorare come freelance…»

«Lo capisco, infatti non ti chiedo di rispondere subito: prenditi un po’ di tempo per riflettere. Tieni presente questo però: presto il Sindaco avrà il pieno controllo della Topaia, e quello sarà solo l’inizio. Vedrai: ti piacerà essere dalla parte dei vincitori.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo abbiamo visto di nuovo all’opera Freyja e i cacciatori, ma nel finale è stato D’Jagger a finire nel mirino (del Sindaco).

Ora il goblin deve decidere se tiene di più alla sua indipendenza o se preferisce un incarico più sicuro. Di certo non ha nessuna intenzione di stare dalla parte dei perdenti, ma solo il tempo dirà se il Sindaco sarà in grado di prendere il pieno possesso della colonia occidentale, o se Freyja e la polizia riusciranno a fermarlo.

A presto! ^.^


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[5] Da fauna (l’insieme delle specie animali) e -morfo (che ha forma di). I faunomorfi hanno corpo umanoide e tratti animali come orecchie e coda.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[6] Nella classificazione scientifica il genere Papio riunisce le specie di babbuino.

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Capitolo 8
*** 7. Gli uomini del Mastino ***


7. Gli uomini del Mastino

«Da come me ne hanno parlato, sembra che i cacciatori lavorino soprattutto su commissione» riferì Freyja. «A quanto pare ci sono molti collezionisti disposti a pagare cifre folli per avere degli esemplari di fauna di Niflheim, e il Sindaco deve aver colto al volo l’opportunità. Alla fine questa è solo l’ennesima dimostrazione del fatto che non stiamo parlando di un criminale da strapazzo, ma di un vero professionista del crimine. Sicuramente ha numerosi agganci in vari settori.»

«Sono d’accordo con te. Aggiungeremo “bracconaggio” alla lista di crimini a suo carico, ma dobbiamo trovare un modo di restringere il campo. Nessun indizio sulla sua possibile identità?»

L’orchessa scosse il capo. «Ancora niente. Proverò a fare qualche domanda, ma non voglio rischiare di insospettirli.»

«Sì, hai ragione: ora come ora sei l’unica in grado di far progredire questa indagine.»

 La poliziotta sapeva che il suo ruolo era importante, ma non pensava di essere così fondamentale. «Farò tutto il possibile per raccogliere al più presto informazioni utili» gli assicurò in tono deciso. «A proposito, avete scoperto cosa stanno coltivando gli uomini del Sindaco?»

«Esattamente quello che sembra» rispose l’ispettore Smidr. «Grano. E di una varietà molto simile a quelle che coltiviamo anche noi. Probabilmente gli serve per sfamare tutti gli immigrati irregolari che fa arrivare.»

«Dovrei essere contenta che non sia droga, ma a questo punto non so più se sia davvero una buona notizia» ammise Freyja.

«Ti capisco: anche io ho un pessimo presentimento. Fammi sapere se scopri qualcosa di nuovo.»

«Certo, ci sentiamo.»

L’ologramma si dissolse e l’orchessa rimase a fissare il vuoto davanti a sé. A quanto pare il Sindaco stava tenendo fede al suo nome: non voleva solo gestire un’organizzazione criminale, ma soggiogare un’intera comunità.

Come da accordi, nei giorni seguenti Freyja continuò a collaborare con i cacciatori cercando di entrare più in confidenza con loro, così da guadagnarsi la loro fiducia.

Dovevano trovare il maschio di papio venefico, ma dopo più di una settimana dalla cattura della femmina, ancora non avevano ottenuto nessun risultato e il committente stava cominciando a spazientirsi.

«Vediamo di trovare questa cazzo di scimmia, e in fretta!» aveva esclamato Luca. «Non ho nessuna intenzione di fare la figura del coglione con quelli del Branco!»

Ogni giorno si dividevano in tre gruppi per velocizzare la ricerca, e l’orchessa ne aveva approfittato per alternare i suoi compagni e avere così la possibilità di conoscere meglio tutti gli altri cacciatori.

Innanzitutto aveva ricevuto ulteriore conferma del fatto che Luca ci stava provando con lei, ma per fortuna i problemi con il papio venefico sembravano preoccuparlo di più della sua vita sentimentale. Lui stesso le aveva spiegato quanto fosse importante per lui la caccia: suo padre aveva iniziato a portarlo con sé quando era ancora un bambino, e lo stesso Luca sarebbe stato fiero di fare altrettanto con i propri figli. Probabilmente l’aveva detto per cercare di fare colpo sull’orchessa, ma l’esito era stato esattamente l’opposto. Ovviamente Freyja si era guardata bene dal redarguirlo su come andassero cresciuti dei bambini.

Due cacciatori, tra cui l’unica donna del gruppo, avevano un passato difficile alle spalle: tra genitori assenti, quartieri problematici e amicizie sbagliate, si erano sentiti come se la criminalità fosse la loro unica opzione. Freyja non aveva nessuna intenzione di giustificarli, tuttavia era consapevole che era necessario fare di più per combattere simili situazioni. La sua indagine sotto copertura era volta proprio a questo.

Uno le aveva raccontato di aver frequentato la scuola alberghiera con l’obiettivo di diventare un famoso cuoco, ma le cose con il suo locale non erano andate bene e così aveva deciso di cambiare lavoro.

“Hai mai pensato di tornare in cucina?” gli aveva chiesto Freyja. “Le cose che hai preparato alla grigliata erano tutte squisite.”

Da come le aveva risposto, sembrava che per lui fare il bracconiere fosse un lavoro rispettabile, e questo aveva infastidito l’orchessa: se c’era una cosa che proprio non sopportava, erano i criminali che si credevano gente onesta.

Un altro cacciatore era stato un atleta di alto livello, o almeno così le aveva raccontato, ma un grave incidente gli aveva negato una brillante carriera. A giudicare dal suo fisico paffuto, l’unica cosa vera del racconto era la sua gamba robotica.

Gli ultimi due cacciatori erano il faunomorfo di tipo stambecco e il demone che faceva da vice a Luca. Il primo era un appassionato di chimica e aveva seguito vari corsi da remoto, diventando piuttosto bravo nella creazione di veleni e sonniferi: i dardi usati per sedare gli animali erano tutti opera sua. Il demone al contrario aveva svolto mille lavori, aveva un figlio e una ex moglie, ma da come ne parlava sembrava quasi che non gli importasse di loro. A prima vista voleva dare l’idea di essere uno senza preoccupazioni e convinto della propria strada, ma probabilmente dentro di sé era l’esatto opposto.

In quel momento Freyja si trovava con il demone e con il cacciatore dal passato difficile, un elfo tutto tatuato.

«Aspettate» disse all’improvviso quest’ultimo.

L’orchessa e il demone si fermarono e puntarono i fucili. Si guardarono intorno, ma non riuscirono a vedere nulla di inusuale. In effetti la loro vista non era buona quanto quella del loro compagno.

L’elfo cominciò ad avanzare più lentamente, attento a non fare rumore. Invece di prendere la mira con il fucile, abbassò l’arma e sollevò la mano libera. In quella zona la magia era parzialmente disturbata, ma riuscì ugualmente a evocare delle flebili saette intorno alle dita. Lui diceva di essere piuttosto abile con le magie elettriche, ma Freyja non lo aveva mai visto all’opera. E a prescindere dalle sue chiacchiere, le interessava capire quanto fosse effettivamente potente in ottica arresto.

Il cacciatore scagliò il fulmine verso un cespuglio. Si udì un gridolino acuto e poi un leggero tonfo. L’elfo tatuato non perse tempo e corse a vedere, subito seguito dagli altri due.

«Guarda un po’ cos’abbiamo qui!» esclamò tutto soddisfatto. Si voltò e mostrò ai suoi compagni la piccola fata, tenuta saldamente per la punta delle ali.

L’orchessa notò subito le somiglianze con la fata che stava con D’Jagger: apparteneva sicuramente alla stessa specie, ma non era così esperta da dire se erano imparentate.

L’elfo tatuato tirò fuori il suo coltello e, prima che Freyja potesse dire qualcosa, tagliò le ali alla sua preda. La piccola fata urlò di dolore e cadde a terra.

«Sai, queste piccolette valgono una fortuna, ma ultimamente è sempre più difficile trovarle» le spiegò il cacciatore dopo averla raccolta.

«Ben fatto, ora mettila via però: dobbiamo trovare il papio venefico» affermò il demone.

L’elfo legò saldamente la fata e poi se la mise in tasca come se nulla fosse.

Freyja dovette fare un grande sforzo per non intervenire, ma alla fine riuscì a resistere: non poteva fare saltare la sua copertura. Il contrabbando di fate non era una novità: venivano usate come generatori magici o per far acquisire ai non maghi la capacità di usare la magia.

C’era poi un’altra cosa che le dava da pensare: le ali di quella fata erano simili a petali rigidi, mentre quelle della fata che era con D’Jagger sembravano artificiali in confronto, come se fossero state realizzate con qualche polimero non metallico. Che anche a lei fossero state tagliate?

«Gente, abbia…vato il papio ve…fico» annunciò uno dei cacciatori attraverso il comunicatore. Il dispositivo poteva trasmettere solo un gracchiante canale audio, ma almeno erano in grado di tenersi in contatto, seppur con qualche disturbo. «Cerchiamo di se…lo senza farci …tare» proseguì. «Cazzo, è davv…o enorme! È molto … grande della fe…ina.»

«Ricevuto, vi …ggiamo subito» affermò Luca.

«Ci muoviamo anche noi» confermò il demone che era con Freyja.

Tutti e otto i cacciatori erano dotati di un localizzatore, quindi non dovevano fare altro che dirigersi verso la loro posizione.

«Merda! È sp…rito!» imprecò il cacciatore. «Ra…zzi, lo vedete?»

L’elfo tatuato imprecò e anche l’espressione del demone si incrinò.

«Un mome…, credo sia ancora qui …cino.»

Freyja e gli altri due continuavano ad avanzare spediti, ma anche attenti a eventuali minacce in agguato.

Un urlo gracchiante esplose dal comunicatore.

«…ttacca! Ci attacca!» gridò il cacciatore, terrorizzato.

Sentirono i rumori degli spari, poi dei versi acuti e alla fine un altro urlo.

«Resistete, siamo quasi arrivati!» affermò il demone.

Ormai di corsa, Freyja e gli altri due rimasero in attesa di un aggiornamento, ma dal comunicatore non arrivò più alcun suono.

«Jacques, quan… vi manca?» chiese Luca, anche lui chiaramente preoccupato.

«Due minuti» rispose il demone.

I tre fecero più in fretta che poterono, ma quando arrivarono era già troppo tardi. Si avvicinarono ai cadaveri dilaniati e non poterono che constatare la morte dei loro compagni. Erano il faunomorfo di tipo stambecco esperto di veleni, l’ex atleta con una gamba artificiale e la cacciatrice cresciuta in un quartiere difficile. Del papio venefico invece non c’era più alcuna traccia.

Nel giro di un minuto li raggiunsero anche Luca e l’ex cuoco. Subito l’orco si inginocchiò vicino ai corpi dei suoi compagni, visibilmente scosso per la loro perdita.

Per un po’ rimasero tutti in silenzio, raccolti nel loro dolore, ma non potevano restare lì troppo a lungo: l’odore di sangue avrebbe attirato dei predatori e difficilmente il papio venefico sarebbe tornato sui suoi passi.

«Luca, dobbiamo tornare indietro» affermò il demone.

«No! Dobbiamo trovare quella cazzo di scimmia!» gridò l’orco. «Adesso è una questione personale!»

Freyja non si aspettava che il Mastino potesse avere una reazione tanto emotiva.

Il leader del gruppo si tolse la maschera antigas e fiutò l’aria.

«Luca, è una pessima idea» ribadì il suo vice. «Non resisterai a lungo senza maschera. E comunque è chiaro che le nostre armi non sono adeguate.»

Anche gli altri due cacciatori provarono a far ragionare il loro capo, ma non servì a nulla.

«Silenzio!» li ammonì l’orco. Forse era per via della sua abilità di chimera mutaforma, ma in quel momento sembrava molto più imponente e minaccioso del solito. «Troveremo quella cazzo di scimmia, costi quel che costi!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo abbiamo avuto modo di conoscere un po’ meglio gli uomini del Mastino (come suggeriva il titolo XD), ma tre di loro hanno fatto una brutta fine. Il maschio di papio venefico si sta rivelando un avversario molto ostico, eppure Luca non vuole arrendersi: non può lasciare impunita la morte dei suoi compagni!

Freyja può immaginare quello che prova, ma deve anche pensare alla sua missione. Cosa deciderà di fare? E gli altri cacciatori? Continuare a inseguire la scimmia sembra una follia anche a loro.

Come al solito, il prossimo capitolo uscirà tra un paio di settimane e sarà dedicato a D’Jagger e Lunaria (ma non solo :P).

A presto! ^.^


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Capitolo 9
*** 8. Le risorse del Sindaco ***


8. Le risorse del Sindaco

Seduto sul ramo di un grosso albero, D’Jagger era impegnato a fissare alla pianta un occultatore molto simile a quello che aveva fatto provare a Lunaria. Il disco di plastica scura si sarebbe ben mimetizzato tra le foglie, tanto che quasi nessuno sarebbe stato in grado di individuarlo.

Una volta assicurato l’occultatore, il goblin si aiutò con una corda per scendere lungo l’ampio tronco. Arrivato a terra, avvolse quest’ultima intorno a un braccio e poi, non potendo usare le tasche dimensionali del suo bracciale, la infilò nel suo zaino. In quella zona l’interferenza non era particolarmente marcata, ma la tecnologia di compressione e decompressione della materia era estremamente sensibile ai disturbi e non voleva incorrere in sgradevoli complicanze.

«Ok, Lunaria, ora tocca a te.»

La sua compagna annuì e svolazzò verso il punto in cui si erano nascoste le fate che abitavano in quella zona. Come da abitudine, le sue simili si erano rifugiate tra le chiome di un albero al primo segnale di pericolo, ma dall’arrivo degli uomini del Sindaco, quella strategia non era più sufficiente a salvare loro la vita.

Lunaria si avvicinò con cautela, attenta a non spaventarle.

“Non abbiate paura, non vogliamo farvi del male” disse loro nel linguaggio dei segni.

Grazie al traduttore che D’Jagger le aveva comprato, le altre fate riuscirono a capirla e una di loro si fece avanti.

«Chi siete? Cos’avete fatto al nostro albero?» squittì con la sua vocina sottile.

“Abbiamo montato un cerchio magico, vi nasconderà dai cacciatori.”

Le altre fate bisbigliarono tra loro.

«No, niente può nasconderci dai cacciatori» ribatté quella che si era fatta avanti.

«Come facciamo a sapere che il tuo amico non è un cacciatore?» aggiunse un’altra. «Ti ha tagliato le ali, e tu hai deciso di aiutarlo per avere salva la vita.»

“Non è stato lui a tagliarmi le ali” ribatté Lunaria. Era triste e arrabbiata, ma cercò di mantenere la calma. “Vi farò vedere che il cerchio magico funziona davvero.”

Si voltò e volò verso l’occultatore. Le altre fate seguirono la sua traccia magica, ma appena Lunaria entrò nel cerchio, la sua aura svanì. Preoccupate, le fate si sporsero leggermente.

Dopo pochi secondi la traccia magica di Lunaria riapparve e le altre fate la videro tornare indietro sana e salva. Sembravano colpite, ma non abbastanza da fidarsi di lei.

“Il cerchio magico può salvarvi la vita, ma se non volete usarlo, peggio per voi. Addio.”

Lunaria voltò le spalle alle sue simili e volò svelta da D’Jagger.

«Com’è andata?» le chiese il goblin notando la sua espressione triste.

Lei fece spallucce.

«Ok. Beh, per oggi può bastare. Meglio tornare indietro: il dovere chiama.»

La fata annuì e andò ad accucciarsi nel cappuccio del goblin.

D’Jagger percorse un tratto a piedi, poi finalmente le interferenze si attenuarono e poté aprire una tasca dimensionale. Dal nulla apparve una tavola fluttuante simile a uno skateboard senza ruote: lui ci saltò sopra e in un attimo stava sfrecciando attraverso la nebbia a tutta velocità. Aveva scelto un modello relativamente economico, ciononostante era stato un investimento non indifferente. Un buon investimento comunque, dal momento che gli avrebbe permesso di spostarsi agevolmente anche per lunghe distanze.

Tornò a casa per lasciare lo zaino, ma subito dopo uscì di nuovo, questa volta senza Lunaria.

«Ci vediamo stasera.»

La fata lo salutò con la mano e poi accese la tv. Per lei era sempre stato difficile relazionarsi con le sue simili, e in quel momento aveva un gran bisogno di distrarsi.

Anche prima di essere stata catturata, il fatto di essere muta l’aveva sempre fatta sentire fuori posto. Le sue sorelle si erano sempre impegnate per supportarla, ma quando dovevano incontrare altre famiglie di fate, lei se ne stava sempre in disparte.

Una parte di lei desiderava tornare nella foresta, inserirsi in una nuova famiglia e tornare alla sua vecchia vita. Aveva convinto D’Jagger a costruire gli occultatori proprio nella speranza che delle fate accettassero di accoglierla. Ma sapeva che non sarebbe successo. Nessuno l’avrebbe voluta, e comunque non sarebbe riuscita a sentirsi davvero a casa in una nuova famiglia.

Nessuno avrebbe potuto restituirle quello che gli uomini del Sindaco le avevano tolto.

***

Grazie alla sua tavola fluttuante, D’Jagger sfrecciò agilmente tra i vicoli dei quartieri abusivi, incurante dei passanti, e in un baleno si lasciò alle spalle la colonia occidentale, diretto verso una delle piantagioni del Sindaco.

La fase di progettazione era ormai finita e da qualche giorno erano passati alla costruzione vera e propria della cintura esplosiva. La fase di studio era stata molto istruttiva per lui: aveva imparato quanto potessero essere pieni di sé degli ingegneri usciti da una prestigiosa università, aveva sperimentato il desiderio di piazzare delle cariche sotto le sedie dei colleghi, ma soprattutto aveva capito che non gli piaceva per niente quando le sue osservazioni venivano ignorate. Era già stufo di avere un capo spocchioso a cui rendere conto di ogni cosa, ma almeno la paga era buona.

«Ancora una volta in ritardo, Rahoud» lo accolse il responsabile del progetto, un insettoide alto e magrissimo. Aveva due lunghe antenne e tutto di lui contribuiva a dargli un’aria altezzosa.

Il goblin avrebbe voluto rispondergli che semmai erano loro ad essere in anticipo, ma non gli andava di ripetere due volte la stessa battuta. «Anche io sono felice di vedere che nessun animale ti ha divorato strada facendo. Piuttosto, hai pestato della merda o le tue scarpe sono davvero di quel colore?»

I due avrebbero potuto andare avanti a punzecchiarsi per il resto della giornata, ma dovettero rinunciare alla cosa per mettersi all’opera sulla cintura esplosiva. Era un compito delicato che richiedeva un’ottima competenza in materia, per questo tutto il lavoro era stato affidato a sole quattro persone.

La costruzione procedeva bene e tutto faceva pensare che sarebbero riusciti a rispettare la tabella di marcia, almeno finché una delle sentinelle non suonò la campana.

«Problemi in arrivo» commentò D’Jagger, lieto di poter fare una pausa.

Nello specifico, il problema era costituito da una coppia di suskera, che come spesso accadeva erano stati attratti dalle appetitose piante simili a grano.

«Ci pensiamo noi?» chiese la sentinella della piantagione.

«No, lasciate che si avvicinino» ribatté il capo del team di artificieri. «Basterà la cintura esplosiva a scacciarli.»

Detto ciò, l’insettoide e i suoi colleghi si allontanarono quanto bastava a non essere coinvolti nell’esplosione e rimasero in attesa.

I grossi animali, del tutto ignari del pericolo, si diressero tranquilli verso la piantagione. Quando il primo calpestò una mina, l’ordigno si attivò come programmato, scatenando una violenta esplosione. Entrambi gli animali urlarono di paura e corsero indietro, ma ben presto si fermarono. Invece di dirigersi verso la foresta, si voltarono verso la piantagione e rimasero in attesa. Studiarono l’area con attenzione, poi ricominciarono ad avvicinarsi fiutando il terreno.

«Non era abbastanza potente» imprecò il responsabile.

«Io ve l’avevo detto» ci tenne a sottolineare D’Jagger, e nel farlo non provò nemmeno a nascondere la sua soddisfazione.

«Non ora, Rahoud» lo zittì l’insettoide.

Incurante dell’ammonimento, il goblin lanciò la granata che aveva in mano. L’ordigno si attivò a contatto col terreno, sparando un fumo denso in tutte le direzioni. Appena i suskera lo fiutarono, si misero a urlare e corsero via terrorizzati. Si rifugiarono nella foresta e questa volta non osarono tornare indietro.

«Ve l’avevo detto che del gas urticante sarebbe stato meglio dell’esplosivo» ribadì D’Jagger.

«Il Sindaco ci ha chiesto una cintura esplosiva, non una cintura fumogena» gli fece notare il responsabile.

Il goblin alzò le mani. «Come volete. Tanto per quanto mi riguarda usare gli esplosivi è molto più divertente.»

I quattro artificieri si rimisero al lavoro, ma D’Jagger era sicuro che nel giro di qualche giorno avrebbero comunque dovuto rimpiazzare le mine con dei fumogeni. E di sicuro l’insettoide si sarebbe preso il merito della cosa.

Il lavoro come dipendente non faceva proprio per lui.

***

I cacciatori erano tutti in silenzio e fissavano il demone, secondo di Luca, che attendeva un responso attraverso il suo comunicatore. Erano tutti tesi, impazienti, e il velo di tristezza che aleggiava su di loro non si era ancora dissolto.

Si trovavano ancora nel mezzo della foresta, ma almeno erano riusciti a convincere l’orco che inseguire il papio venefico in quelle condizioni sarebbe stato un suicidio. I proiettili di gomma si erano rivelati del tutto inadeguati e i sedativi non erano abbastanza affidabili: avevano bisogno di armi molto più sofisticate se volevano avere qualche speranza di catturarlo.

«Ok, hanno detto che ce le hanno» annunciò il demone. «Hanno già fatto dei test e i risultati sono molto promettenti. Possiamo andare subito a prenderle.»

Improvvisamente l’umore dei cacciatori cambiò: non erano più tristi e abbattuti, ma carichi e pronti alla battaglia.

«Aspettate, che cosa possiamo andare a prendere?» chiese Freyja vedendo che gli altri si stavano mettendo in marcia.

«Armi» rispose Luca. «Armi elettroniche in grado di funzionare nonostante l’interferenza.»

L’orchessa avvertì un fremito di preoccupazione: davvero gli uomini del Sindaco disponevano di equipaggiamenti del genere? Sapeva che stavano lavorando a un modo per contrastare le interferenze, ma scoprire che ci erano riusciti era una pessima notizia: la polizia era già a corto di personale, come avrebbero fatto a riprendere la frontiera se il nemico aveva anche la superiorità tecnologica?

«Ma… dove dovremmo prenderle? E poi, se ce le avete, perché non le abbiamo usate fin dall’inizio?»

«Si tratta di prototipi» le spiegò il demone. «I cervelloni ci stanno lavorando da un pezzo, e a quanto pare sono riusciti a tirare fuori qualcosa di funzionante. Finalmente.»

«Meno chiacchiere, muovetevi!» tagliò corto Luca. «Se ci sbrighiamo forse riusciamo ad andare e tornare dal centro di ricerca prima che la traccia svanisca.»

Tutti i cacciatori già pregustavano la vendetta, Freyja invece stava pensando a tutt’altro: avrebbe scoperto la posizione del centro di ricerca! Arrestare i “cervelloni” del Sindaco sarebbe stato un duro colpo per il criminale, in più avrebbero potuto sequestrare le loro ricerche: non poteva farsi sfuggire quell’occasione.

Era eccitata, ma non poteva lasciare che le emozioni la tradissero: doveva restare concentrata e fare il suo lavoro con la massima attenzione. Di sicuro il centro di ricerca sarebbe stato ben nascosto e ben sorvegliato: doveva raccogliere più informazioni possibile.

Finalmente la legge avrebbe potuto sferrare un contrattacco.


Note dell’autore

Ehilà!

A quanto pare D’Jagger ha accettato di mettersi al soldo del Sindaco, ma la sua occupazione non sembra entusiasmarlo più di tanto. Lui è uno spirito libero: chissà per quanto sarà disposto a fare un lavoro da dipendente (per altro non molto apprezzato dal suo diretto superiore XD).

Nel frattempo Freyja ha scoperto che i ricercatori del Sindaco stanno lavorando a delle armi a prova di interferenza. Questo è senza dubbio un colpo di fortuna per lei, ma è anche la dimostrazione di quanto l’organizzazione criminale sia ben strutturata.

In questo capitolo abbiamo potuto vedere la rassegnazione di Lunaria, l’irriverenza di D’Jagger e la determinazione di Freyja, ma il prossimo potrebbe cambiare le carte in tavola per tutti e tre.

A presto ;D


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Capitolo 10
*** 9. Un arsenale superiore ***


9. Un arsenale superiore

Dopo aver raggiunto i pickup, i cacciatori si erano diretti verso sud, avanzando nella foresta fino a raggiungere una carrareccia. La rudimentale pista serpeggiava anonima tra gli alberi, perdendosi apparentemente nel nulla, ma Luca l’aveva imboccata con sicurezza verso ovest.

Erano ormai diversi minuti che viaggiavano spediti, e Freyja teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino, alla ricerca di punti di riferimento utili ai suoi colleghi. Ogni tanto lanciava anche qualche rapida occhiata al suo smartwatch per farsi un’idea di quanto fosse lontano il centro di ricerca. Doveva stare attenta a non far insospettire i suoi compagni di viaggio, ma i cacciatori sembravano troppo assorti nei loro piani di vendetta per badare a lei.

Dopo undici minuti dal loro arrivo sulla carrareccia, finalmente avvistarono qualcosa: un prefabbricato estremamente semplice, dalla colorazione mimetica per cercare di camuffarsi nel paesaggio.

Freyja lanciò una rapida occhiata al rilevatore di interferenza sul cruscotto del pickup e vide che l’indicatore era vicino allo zero. Si guardò intorno e in pochi secondi riuscì a contare una mezza dozzina di uomini armati, ma probabilmente ce n’erano altri appostati nella foresta.

I cacciatori fecero fermare i pickup davanti al centro di ricerca e scesero dai mezzi.

«Sono il Mastino, Luca Pricolici. Dobbiamo ritirare delle armi» spiegò Luca ai sorveglianti.

«Ok, seguitemi.»

A Freyja bastò qualche rapida occhiata per accorgersi che gli uomini posti a difesa del centro di ricerca erano tutti dotati di uniformi antiproiettile e fucili d’assalto di alta gamma. Per quel che ne sapeva, nessun agente di stanza su Niflheim poteva vantare un equipaggiamento simile.

Una volta entrati nel centro di ricerca, i cacciatori poterono togliersi i caschi, ma l’odore che li accolse aveva un che di insolito, forse dovuto alle sostanze chimiche usate in qualche esperimento.

L’ambiente era grande all’incirca sei metri per dodici, con giusto qualche tavolo a suddividere lo spazio. L’orchessa riconobbe tecnologie all’avanguardia e attrezzature da alchimista, oltre ad alcune armi e apparecchi smontati.

«Dottoressa Mwanda, sono arrivati i cacciatori» li introdusse uno dei sorveglianti.

La ricercatrice, talmente assorta nel suo lavoro da non accorgersi del loro arrivo, fece ruotare la sedia e si alzò. Era una dromeosauriana[7] e portava le lunghe piume del capo – simili a capelli rossi – raccolte in lunghe treccine.

«Sono il Mastino, Luca Pricolici. Siamo qui per le armi.»

La donna si sporse di lato e indicò il suo unico collega. «Chiedete ad Albion, è lui che si occupa delle armi.»

Il gruppo di cacciatori e sorveglianti si spostò verso il tavolo indicato dalla sauriana, dove un metarpia[8] – un faunomorfo di tipo uccello – stava lavorando con i componenti di un fucile. Aveva delle piume azzurre sulle braccia e al posto dei capelli, un pizzetto fatto anch’esso di sottili piume, e l’aria di chi non dorme abbastanza.

«Sei tu Albion?» gli chiese Luca. «Sono il Mastino, ci servono le armi.»

Lui si alzò. «Sono io, seguitemi. Vi servono armi letali o stordenti?»

«Stordenti» rispose l’orco, ma lo fece a denti stretti: dopo quello che era successo, avrebbe tanto voluto uccidere il papio venefico.

«Bene, queste sono le armi stordenti che abbiamo già modificato» spiegò il metarpia. «Mi sono permesso di fare qualche piccola modifica extra ad alcune di loro.»

«Che tipo di modifica?» chiese Luca mentre sollevava un fucile d’assalto al plasma.

«Di quel BPR7 ho ricalibrato il generatore di plasma, adesso è più preciso e ogni proiettile consuma meno gas. A quello Zapper ho aggiunto un meccanismo che fa ruotare il generatore di scariche elettriche, rendendolo più potente e preciso» proseguì accennando all’arma presa in mano da un altro cacciatore. «Per il Wallbreaker Mk3 volevo migliorare la potenza d’impatto dell’onda d’urto, ma quando l’ho aperto mi sono incazzato: il Mk2 aveva una struttura molto più solida e affidabile, sicuramente l’hanno modificato solo per diminuire i costi di produzione.»

«Possiamo prendere quello che vogliamo?» chiese il secondo di Luca. «Sono tutte testate?»

«Sono un professionista, non distribuisco armi inaffidabili» confermò il metarpia.

I cacciatori ci misero pochi minuti per scegliere le armi e fare scorta di munizioni, dopodiché lasciarono il centro di ricerca in tutta fretta: forse erano ancora in tempo per seguire le tracce del papio venefico.

Una volta solo, Albion fece un rapido conteggio delle armi rimaste e poi andò dalla sauriana. «Ehi, capo, noi tra quanto potremo muoverci? Non vedo l’ora di scoprire cosa si nasconde al centro delle interferenze.»

«Ancora un po’ di pazienza: finché non arrivano i prossimi cristalli, non possiamo fare nulla.»

Il metarpia non nascose la propria stizza. «Su quel loro pianeta il tempo scorre pure più in fretta, come fanno a essere sempre in ritardo con le spedizioni?» Scosse il capo. «Ecco cosa succede quando ci si affida agli dei.»

«Non piace nemmeno a me dipendere da quei megalomani egocentrici, ma non ci sono molti posti nell’universo dove possiamo trovare quello che ci serve» gli fece notare la dottoressa Mwanda. «E poi lo sai: sono curiosa quanto te di capire chi ha nascosto cosa su questo pianeta.»

***

«Da questa parte» affermò Luca, trasformato nella sua forma ibrida.

Erano tornati al punto dell’attacco e da lì l’orco aveva cominciato a seguire l’odore del papio venefico. Era flebile, ma non abbastanza da sfuggire al suo naso di chimera.

Freyja pensava che la loro sarebbe stata una ricerca inutile – la scimmia si muoveva tra le fronde mentre loro procedevano a terra – invece il Mastino continuava ad avanzare con ferrea determinazione. Forse sarebbe davvero riuscito a condurli alla preda prima che la nebbia avesse la meglio su di lui.

Era ormai tardo pomeriggio quando avvistarono delle ossa. All’inizio erano solo un paio, ma ben presto si resero conto che il loro numero aumentava man mano che si avvicinavano alle radici di un enorme albero.

«L’odore è forte, deve essere la sua tana» stabilì Luca.

«L’interferenza è piuttosto marcata, ma le armi sembrano a posto» osservò il suo secondo. Premette il grilletto e la raffica di impulsi inondò di elettricità un innocuo albero. «Funziona davvero.»

L’orco rilasciò la chimerizzazione e si rimise la maschera. «State pronti, potrebbe arrivare da un momento all’altro.»

Tempo di finire la frase, un verso minaccioso e gutturale si propagò per la foresta.

«Parli del diavolo…» commentò uno dei cacciatori.

Le chiome degli alberi vennero scosse con vigore, come a voler annunciare l’arrivo del signore di quel luogo.

Il papio venefico atterrò proprio davanti a loro, frantumando le ossa sparpagliate a terra con la forza del suo peso. Si appoggiò sulle lunghe braccia e lanciò un fragoroso ruggito, così forte da far tremare l’intera foresta.

I cacciatori, troppo esperti per farsi intimorire, puntarono le armi: era giunto il momento di far capire alla scimmia chi era il predatore e chi la preda.

***

Una volta arrivato a casa, D’Jagger infilò gli ingredienti che aveva comprato nel robot cuoco, scelse la ricetta e avviò la preparazione. Lavorare per il Sindaco non lo entusiasmava particolarmente, ma almeno aveva accesso alle scorte di cibo prodotte con le sue piantagioni.

Mentre il macchinario lavorava, ne approfittò per andare a lavarsi. Finita la doccia accese un notiziario e cominciò a mangiare insieme a Lunaria.

«La riunione in merito alle misure da mettere in atto per contrastare la criminalità nella colonia occidentale è appena conclusa, a momenti dovrebbe iniziare la conferenza del governatore» affermò il presentatore. «Ecco, mi informano che è pronto il collegamento. Vediamo.»

La linea passò alla sala stampa dell’ufficio del governatore, dove il nano era già in piedi e pronto a parlare. Insieme a lui, un passo più indietro, c’era un’insettoide di tipo mantide religiosa dall’aria poco amichevole.

«Signori, grazie per essere venuti» esordì il governatore. «Quello di oggi è un importante annuncio che giunge al seguito di lunghe e attente analisi portate avanti dal sottoscritto e dal mio staff insieme al commissario Mantina, a capo della polizia locale, che è qui al mio fianco.» Il suo sguardo era ferreo, determinato. «Come ben saprete, quando la Orborum Domini mi ha nominato governatore la situazione nella colonia occidentale era critica. Drammatica, oserei dire. In queste settimane abbiamo fatto degli enormi passi avanti, ma non è abbastanza. Grazie allo straordinario impegno dei nostri agenti, siamo riusciti a rendere sicuri la maggior parte dei quartieri, ed è giunto il momento di estirpare completamente qualsiasi criminale che ancora si nasconde ai margini della colonia. Si tratta di una sfida eccezionale, che richiede mezzi eccezionali, ma questi mezzi eccezionali non ci sono. Grazie all’impegno dei nostri concittadini, la colonia ha continuato a crescere, ha attirato nuovi giovani in cerca di futuro, e questo è fantastico, ma purtroppo il numero di agenti è sempre lo stesso. Il commissario Mantina e io abbiamo più volte insistito sull’urgenza di assumere nuovi poliziotti, ma purtroppo le nostre richieste non sono state ascoltate. Noi comunque non vogliamo arrenderci. Noi continueremo a lottare per il bene della colonia. E per farlo abbiamo deciso di utilizzare i fondi di emergenza per ingaggiare dei mercenari in grado di affiancare le forze dell’ordine. I primi uomini raggiungeranno la colonia nel giro di qualche giorno e saranno subito a disposizione della polizia locale. Presto le difficoltà che abbiamo dovuto superare saranno solo un lontano ricordo e la colonia occidentale diventerà un modello per tutte le altre, su Niflheim come nel resto dell’universo. Avete la mia parola.»

Molti giornalisti alzarono subito le mani, una lista di domande affollò la chat della diretta, ma il governatore era abituato a simili situazioni e senza timore invitò uno dei presenti a esporre i suoi dubbi.

«Fondi di emergenza?» sbottò D’Jagger. «Ma quanta roba ha nascosto ‘sto governatore?! Ogni volta che c’è un problema, tira fuori delle “risorse di emergenza” che nessuno aveva mai nominato! Che dici, Lunaria?»

Lei fece spallucce e continuò a mangiare le sue bacche.

«Anch’io sono senza parole» confermò il goblin.

Sebbene cercasse di non darlo troppo a vedere, in realtà D’Jagger era un po’ preoccupato: farsi beffe di qualche agente mal equipaggiato era un conto, avere a che fare con dei mercenari dal grilletto facile era tutta un’altra storia. Alla fine aveva fatto bene a diventare un tirapiedi del Sindaco.

«Mowatalji, spero proprio tu abbia ragione» commentò tra sé e sé. «Non ho nessuna voglia di stare di nuovo dalla parte dei perdenti.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo abbiamo conosciuto due dei ricercatori del Sindaco, e chi di voi ha letto Eresia dovrebbe aver drizzato le orecchie quando ha sentito parlare degli dèi e dei cristalli. Ma per il momento non posso svelare nulla :P

I cacciatori intanto hanno recuperato le armi e sono pronti a vendicarsi del papio venefico, tuttavia la vera notizia è l’annuncio del governatore: l’arrivo dei mercenari può essere una vera svolta per la colonia, ma come reagiranno i criminali? Cosa farà il Sindaco per contrastare questa iniziativa delle forze dell’ordine?

E a proposito di forze dell’ordine, è finalmente giunto il momento di mostrarvi Freyja in versione chibi :D

Freyja Valkyregard (HoJ-1)

A presto ^.^


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[7] Specie originale di Project Crossover, spesso viene abbreviata in sauriani. Il termine deriva da Dromaeosauridae, una famiglia di dinosauri piumati.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[8] Sottospecie originale di Project Crossover. Il termine richiama le arpie.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 11
*** 10. Minaccia in agguato ***


10. Minaccia in agguato

Appena tornata a casa, la prima cosa che fece Freyja fu togliersi i vestiti sporchi di veleno e farsi una lunga doccia.

Lo scontro con il maschio di papio venefico era stato breve, molto breve. Grazie alle armi schermate dall’interferenza, i cacciatori avevano impiegato meno di due minuti per mandare al tappeto il grosso primate. Era stato talmente facile che Luca si era infuriato: se avessero avuto quelle armi fin dall’inizio, i loro compagni non sarebbero morti.

Finalmente erano riusciti a portare a termine la missione, ma nessuno aveva voglia di festeggiare. L’orco le aveva anche spiegato che per un po’ non sarebbero andati a caccia: se voleva continuare a lavorare, avrebbe dovuto chiedere un altro incarico, almeno per il momento.

Comprendeva il loro dolore, e lei stessa era dispiaciuta per quanto successo. Sarebbe stato facile per lei pensare che era giusto così, che se l’erano cercata, ma non intendeva farlo. Voleva credere che tutti avevano il diritto a una seconda possibilità, e ai tre cacciatori quel diritto era stato negato.

Freyja si rivestì mestamente e poi provò a contattare l’ispettore Smidr. Non voleva essere indifferente a quanto successo, ma allo stesso tempo doveva dimostrarsi lucida e professionale: la scoperta del laboratorio era un grande successo e doveva informare subito i colleghi.

Rimase in attesa per un po’, ma il gigante di ghiaccio non rispose. In realtà non era una novità: così come gli altri agenti, anche Smidr era sommerso dal lavoro.

Presto lui l’avrebbe richiamata, quindi ne approfittò per cenare e scorrere le ultime notizie. Ovviamente quella che catturò la sua attenzione fu l’annuncio del governatore di ingaggiare dei mercenari per combattere la criminalità. L’orchessa sapeva quanto la situazione fosse critica, ma una simile scelta rischiava di rivelarsi controproducente.

Scoprire che il commissario Shanti Mantina era presente alla conferenza attenuò leggermente le sue preoccupazioni, ma decise comunque di ascoltare le parole del governatore e le successive domande per farsi un’idea più chiara della situazione.

«Governatore, le tasse aumenteranno per ripristinare il fondo di emergenza?» chiese uno dei giornalisti.

«No, non aumenteremo le tasse» rispose il nano, che sicuramente si aspettava un interrogativo del genere. «L’arrivo di nuovi coloni sarà più che sufficiente per mantenere in pari il bilancio.»

«In passato ha detto di aver risolto il problema della criminalità nella colonia, ora invece sostiene che non ci sono abbastanza agenti per mantenere l’ordine» lo stuzzicò una donna. «Non le sembra un controsenso?»

«Non ho mai detto che il problema era risolto» ci tenne a precisare il governatore, fermo e risoluto. «Quello che ho sempre affermato è che nelle ultime settimane abbiamo fatto degli enormi progressi. I dati parlano chiaro: il tasso di criminalità nella colonia occidentale è cresciuto senza sosta in passato, ma da quando mi sono insediato ha cominciato a scendere in maniera inequivocabile. Quello che dobbiamo fare adesso è un ultimo sforzo per azzerarlo del tutto.»

«Una domanda per il commissario Mantina» intervenne un altro giornalista. «Pensa davvero che ingaggiare dei mercenari sia la scelta migliore?»

 L’insettoide fece un passo avanti, lo sguardo serio. «Migliore? No, non è la scelta migliore. Ma è l’unica possibile. I miei uomini fanno gli straordinari ogni giorno per riuscire a mantenere l’ordine, eppure non basta. La soluzione migliore sarebbe di assumere altri agenti, ma questo richiede tempo e risorse, due cose che al momento non abbiamo. Ingaggiare dei mercenari è l’unico modo per avere nell’immediato più uomini armati a disposizione, e nel frattempo continueremo a trattare con la Orborum Domini per l’assunzione di nuovi poliziotti.»

Una leggera suoneria attirò l’attenzione di Freyja e il suo assistente virtuale la informò che l’ispettore Smidr stava cercando di contattarla.

«Ehi, ho visto adesso la tua chiamata» la salutò il gigante di ghiaccio. «Ci sono novità?»

«Puoi dirlo forte! Ho scoperto che il Sindaco ha fatto costruire un laboratorio nella foresta, e mi ci hanno pure portato! C’erano due scienziati e stavano lavorando a un modo per contrastare le interferenze. E, cavolo, ci sono riusciti. Avevano già delle armi elettroniche pronte, e tra non molto potrebbero modificarne altre. Ho provato a tracciare un’area sulla mappa: dovete muovervi subito, dovete fermarli prima che facciano ulteriori progressi.»

«Merda, ci mancava anche questa! Sei sicura che fossero funzionanti?»

«Certo, le abbiamo usate per abbattere un maschio di papio venefico. Il laboratorio è ben sorvegliato, ma almeno in quella zona non ci sono interferenze, quindi potrete usare anche voi armi avanzate.»

Smidr sospirò. «Hai fatto un ottimo lavoro, ma in questo momento sarà un problema muoversi. Non so se hai sentito, ma il governatore ha deciso di ingaggiare dei mercenari per darci manforte. Sarebbe stato meglio assumere dei veri poliziotti, ma arrivati a questo punto, è sempre meglio di niente.»

«Sì, stavo giusto seguendo la conferenza. Beh, per quanto mi riguarda, cercherò di stare lontana dalla colonia.»

«Sì, ottima idea. Io intanto vedrò di pensare a un capro espiatorio per spiegare come siamo venuti a conoscenza del laboratorio.»

«Ricevuto. Adesso preparo un file con tutto quello che ho scoperto. Appena ho finito te lo invio.»

«Ricevuto. Ora devo andare, ci sentiamo.»

«Sì, a presto.»

Conclusa la chiamata, Freyja si concesse un momento per rilassare i muscoli. Era stanca, ma aveva ancora del lavoro da fare.

Per tirarsi un po’ su di morale andò a prendere il grande peluche che teneva sul letto. Era un regalo dei suoi genitori e ce l’aveva fin da quando aveva memoria.

Suo padre e sua madre erano entrambi poliziotti e spesso tornavano a casa molto tardi, quindi da piccola lo portava sempre con sé per sentire meno la loro mancanza. Ormai era vecchio e consumato, ma averlo vicino la faceva ancora sentire al sicuro.

Diede un’ultima carezza all’allegro muso canino del peluche e poi si rimise al lavoro: i suoi colleghi contavano su di lei.

***

Era quasi metà mattina e D’Jagger scivolava tranquillamente sulla sua tavola volante, del tutto incurante del fatto di essere in ritardo. Il suo capo avrebbe trovato comunque una scusa per lamentarsi di lui, quindi perché preoccuparsi?

Come previsto, avevano deciso di modificare il progetto sostituendo le mine esplosive con quelle a gas urticante, ma la cosa lo aveva fatto sentire molto meno appagato di quanto credeva. Sapeva fin dall’inizio che quel lavoro non faceva per lui, ma non pensava che sarebbe stato così noioso.

Piazzare gli occultatori nella foresta era ormai la sua unica distrazione: trasgredire agli ordini faceva parte del suo DNA, anche se sapeva che prima o poi gli si sarebbe ritorto contro. Se non altro questa volta lo faceva per aiutare qualcun altro.

Chissà poi se fare tutto ciò avrebbe davvero aiutato Lunaria a trovare una nuova famiglia. Sapeva che il suo posto era nella foresta, ma sotto sotto avrebbe sentito la sua mancanza. Certo non aveva nessuna intenzione di dirglielo: quella piccola fata era già abbastanza egocentrica.

Finalmente avvistò la piantagione intorno a cui stavano lavorando.

Tutto sommato gli aveva fatto piacere aiutare Lunaria e le sue simili: lo aveva fatto sentire realizzato e in pace con sé stesso, e questo senza far esplodere nulla!

La verità era che invidiava molto le persone risolute e con un chiaro obiettivo in mente. Fin da piccolo aveva faticato a trovare la sua strada, e probabilmente era questo il vero motivo per cui si era fatto espellere dall’accademia. Ora però sentiva che era pronto a dare una svolta alla sua vita: gli bastava solo una piccola spintarella, e avrebbe capito qual era la sua vera vocazione.

«Rahoud, in ritardo come sempre» lo accolse il capo degli artificieri. «Qual è la scusa oggi?»

«La sveglia era spenta. O forse erano le orecchie, non mi ricordo.»

Doveva parlare con Mowatalji e chiedergli un altro incarico, qualcosa che fosse più nelle sue corde. Chissà, magari avrebbe avuto fortuna.

***

Il piccolo insetto, simile a un calabrone verde scuro, volava in maniera irregolare per la foresta, come se stesse cercando qualcosa. Non molto lontano c’era un suo simile che faceva altrettanto, e poco oltre un altro ancora: guardando bene, sarebbe stato possibile notare decine e decine di quei calabroni, tutti impegnati a perlustrare la foresta. Niente e nessuno sarebbe stato in grado di sfuggire ai loro occhi composti.

Ben presto uno degli animali individuò qualcosa di insolito fra le chiome di un albero. Subito andò a controllare, ma il suo ronzio mise in allerta le prede: una delle fate, la più coraggiosa, prese un ramo e lo scacciò con decisione.

Per un attimo credettero che il pericolo era scampato, invece dopo pochi secondi avvertirono un ronzio crescente. Nel giro di un attimo l’intero sciame piombò su di loro, surclassandole facilmente grazie alla schiacciante superiorità numerica. Le piccole fate vennero afferrate per le braccia, le gambe e le ali e vennero trascinate via dai calabroni, che le condussero al cospetto di due persone.

«E bravi i miei piccolini» disse la donna, un’elfa a giudicare dalla forma del casco. «Mammina è molto contenta. Ora però sono curiosa di vedere come hanno fatto a sparire. Ci pensi tu, vero?»

Il suo compagno, poco entusiasta, si limitò a un mugugno d’assenso. Era nettamente più basso della donna, eppure con un solo balzo riuscì a raggiungere uno dei rami. Grazie alle sue lunghe braccia non aveva problemi a muoversi a quell’altezza e in un attimo raggiunse il punto dove si erano nascoste le fate.

«Guarda un po’ cos’abbiamo qui…»

Prese il suo coltello e in pochi secondi staccò dall’albero il disco di metallo, quindi andò a mostrarlo alla sua compagna.

«Credo sia un occultatore» affermò mentre se lo rigirava tra le mani.

L’elfa si chinò leggermente per avere modo di osservarlo meglio. «Sembra abbastanza nuovo. Di sicuro non l’hanno costruito le fate.»

«Sarei curioso di scoprire chi ce l’ha messo» ammise l’uomo. «Credi che Ulin’dir riuscirà a rintracciarlo?»

«Naturalmente» annuì la donna, e nel suo tono si avvertì una chiara enfasi predatoria. «Nessuno sfugge al Branco.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Le cose si stanno mettendo male per D’Jagger: non bastava un lavoro poco appagante, ora sulle sue tracce c’è il Branco, il team di cacciatori tanto disprezzato dagli uomini del Mastino. E non dimentichiamoci dell’imminente arrivo dei mercenari!

Sul fronte opposto, Freyja sta finalmente facendo progressi. Una parte di lei è ancora turbata per la morte dei cacciatori, ma sa bene che deve restare concentrata. Per fortuna c’è il suo peluche gigante a darle supporto emotivo in rappresentanza dei suoi genitori ^.^

Nel prossimo capitolo vedremo gli effetti dell’arrivo dei mercenari, quindi non mancate!

A presto ;D


PS: qualche giorno fa hanno annunciato Horizon Forbidden West (il mio titolo più atteso su PS5), e l’idea della “frontiera proibita” mi ha fatto subito pensare a La frontiera perduta (che viene dopo l’“alba zero” Eresia). Ormai il crossover è d’obbligo! XD


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Capitolo 12
*** 11. Cambio di piano ***


11. Cambio di piano

L’annuncio dell’arrivo dei mercenari aveva fatto molto parlare di sé nella colonia occidentale, ma era nei quartieri abusivi che si erano manifestate le reazioni più veementi. Le piccole bande avevano interpretato la cosa come una dichiarazione di guerra e avevano cominciato ad ammassare barricate per le strade, pronte alla battaglia. Al contrario, gli uomini del Sindaco sembravano decisi a seguire un approccio più strategico, focalizzandosi sulla difesa dei loro luoghi nevralgici.

Freyja aveva sperato di poter stare alla larga dalle zone calde – morire in una sparatoria non avrebbe di certo aiutato i suoi colleghi – ma Mowatalji l’aveva assegnata alla difesa di uno dei depositi in città.

“In questo momento la milizia ha bisogno di tutte le persone disponibili, a maggior ragione se sono brave con le armi” le aveva detto l’elfo. “Possiamo contare su di te?”

L’orchessa aveva intuito che Mowatalji la stava mettendo alla prova: forse voleva capire fino a che punto potevano fidarsi di lei.

“Potete contare su di me” gli aveva risposto, e l’elfo sembrava averle creduto.

In quel momento Freyja si trovava in uno dei depositi insieme a un manipolo di uomini armati e aveva il compito di difenderlo in caso di perquisizioni. Se non altro stare lì le avrebbe permesso di raccogliere informazioni sui piani del Sindaco, che evidentemente non si era fatto prendere dal panico. Stando a quanto aveva sentito, il criminale era certo che la polizia non sarebbe riuscita a pagare i mercenari per molto tempo, quindi dovevano solo resistere e tenere un profilo basso mentre i mercenari si occupavano delle bande più piccole.

L’orchessa sentì degli spari all’esterno, poi un boato fragoroso: era la terza volta quella mattina che qualcuno combatteva lì intorno, ma per il momento nessuno aveva messo piede nel magazzino.

Con ogni probabilità il piano della polizia era di mettere in sicurezza le strade e poi cominciare le ispezioni negli edifici. Sperava davvero che i famosi “fondi di emergenza” durassero abbastanza, perché altrimenti si sarebbero trovati in guai ancora più seri.

***

“Com’è possibile che ogni volta che cambio lavoro, ne trovo uno ancora più noioso?”

Era questo il dilemma che si poneva D’Jagger, anche lui ingaggiato per difendere uno dei depositi del Sindaco. Come nel caso di Freyja, anche lui non aveva visto entrare nessun mercenario, mentre dall’esterno erano giunti più volte gli echi di una battaglia.

Per l’ennesima volta controllò l’ora: era convinto che tenere a bada i mercenari sarebbe stata una sfida elettrizzante, e invece quelli erano interessati solo ai pesci piccoli. Il governatore li aveva ingaggiati per contrastare gli uomini del Sindaco, ma per il momento stavano solo facendo un favore al criminale, liberandolo dalle arroganti bande di quartiere.

Il goblin non provava particolare simpatia per il Sindaco – non sapeva nemmeno chi fosse – ma si sentiva fortunato a stare dalla sua parte perché almeno per il momento non avrebbe fatto la fine degli altri fuorilegge indipendenti.

La giornata trascorse lenta e noiosa, poi finalmente venne il suo turno per andare a riposare. Dal momento che le strade erano battute dai mercenari, Mowatalji gli aveva detto che sarebbe potuto rimanere lì fintanto che voleva. Per un momento pensò che sarebbe stato interessante provare ad arrivare a casa senza venire arrestato o ucciso, ma alla fine decise di rinunciare: poteva anche avere qualche rotella fuori posto, ma non era uno stupido.

Salì al piano superiore e si diresse in dispensa per vedere cosa c’era da mangiare. Era ancora indeciso tra una bistecca disidratata e una pasta precotta quando Lunaria piombò davanti a lui.

«Ehi! Che ci fai tu qui?!» Guardò dietro di sé per controllare che non ci fosse nessun altro. «E come hai fatto a entrare?!»

La fata, ansimante, gli disse qualcosa nella lingua dei segni.

«Come una finestra aperta?! Chi è l’idiota che ha lasciato una finestra aperta?! Aspetta, non sarò stato io…?»

Lunaria lo zittì con stizza. “Non è il momento di fare l’idiota! Dei cacciatori sono venuti a casa! Ti stavano cercando!”

Lui la guardò stranito. «E perché sarebbero dovuti venire? E poi come fai a sapere che erano cacciatori?»

Lei si incupì. “Sono quelli che mi hanno catturata. Credo che abbiano scoperto gli occultatori.”

«Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo! Ora sì che siamo nei guai! Aspetta, ti hanno seguita?»

 “Non lo so, sono scappata subito.”

Il goblin cercò di non perdere la calma. «Se sono riusciti ad arrivare a casa nostra, allora ci troveranno anche qui. Dobbiamo andarcene.»

“Dove? Ci sono i mercenari in strada.”

«Beh, quelli forse possiamo evitarli. Se restiamo qui, di sicuro finiremo tutti e due in gabbia. Come minimo!»

D’Jagger controllò il corridoio, ma non vide nessuno.

 «Ok, dobbiamo squagliarcela. Beh, ho la tavola, con quella possiamo allontanarci in fretta. E se le cose si mettono male, ho anche una granata-portale.» Guardò fuori dalla finestra per vedere se c’era qualcuno. «Tutto libero. Andiamo.»

Lunaria annuì e si infilò nel suo cappuccio. D’Jagger indossò il casco, fece comparire la tavola e aprì la finestra. Diede un’ultima occhiata per sicurezza e poi si lanciò fuori. Erano al secondo piano, ma il dispositivo di antigravità attenuò la caduta e in un attimo stavano già sfrecciando tra barricate mezze distrutte e detriti vari.

«Certo che questi mercenari ci sono andati giù pesante!»

Lunaria uscì dal suo nascondiglio e indicò freneticamente alle sue spalle.

«Oh, merda! Come fanno a essere già qui?!»

Erano appena usciti dall’edificio, eppure un veicolo li stava già inseguendo: era un fuoristrada, piccolo ma incredibilmente scattante.

D’Jagger fece comparire una granata e la lanciò senza pensarci due volte. L’ordigno esplose, ma il guidatore inchiodò di colpo e la deflagrazione non riuscì a danneggiare il mezzo.

Il goblin soffocò un’altra imprecazione e schizzò in una via laterale. Forse se zigzagava per le strade secondarie sarebbe riuscito a seminarli.

Girò un angolo e per un pelo non andò a sbattere con un minotauro grande e grosso. Il teriantropo – o forse era un demone – lo insultò in maniera colorita e sparò qualche colpo nella sua direzione, subito imitato dai suoi due amici. D’Jagger riuscì a evitarli e si tuffò nel vicolo successivo. Questa volta prese la curva un po’ più larga: la sua priorità era seminare i cacciatori, ma doveva anche stare attento a non finire invischiato con altre bande o, peggio ancora, con un gruppo di mercenari.

Individuò una stradina apparentemente tranquilla, ma invece di imboccarla, vi lanciò il suo proiettore del teletrasporto. Continuò ad avanzare per qualche secondo e tanto bastò al fuoristrada per riapparire dietro di lui.

«Certo che sono tenaci!»

I sensori del casco lo informarono di un veicolo in avvicinamento un incrocio più avanti. A giudicare dalle dimensioni e dalle armi che montava, quasi sicuramente apparteneva a dei mercenari. Sorrise malignamente: era la sua occasione per mettere i bastoni tra le ruote ai suoi inseguitori, e non se la sarebbe fatta scappare!

Superò l’incrocio a tutta velocità e subito sentì il rombo del motore del blindato che partiva all’inseguimento.

«E adesso che fate, eh?» sogghignò il goblin.

Controllò la minimappa, ma ciò che vide spense completamente il suo entusiasmo: i cacciatori avevano svoltato per non farsi vedere dai mercenari e ora stavano procedendo in una strada parallela, mentre lui era finito nel mirino di entrambi.

Lunaria gli tirò un colpo sul casco, insultandolo platealmente.

«Sì, ho capito, non è stata la mia idea migliore! Ma tanto ho un piano di riserva.»

Attivò il teletrasporto e in un istante si trovò nella stradina tranquilla in cui aveva lanciato il proiettore. Per fortuna non c’era nessuno lì, così ebbe modo di raccogliere il piccolo congegno e si allontanò più veloce che poteva.

Passata l’adrenalina dell’inseguimento, la preoccupazione tornò a tormentarlo.

«Ok, Lunaria, e adesso che si fa? Se restiamo qui ci beccheranno di sicuro. Mi sa che dovremmo lasciare il pianeta, ma senza l’appoggio del Sindaco potrebbe essere difficile. E poi ho speso quasi tutto per la tavola e i componenti.»

La fata scosse il capo mestamente. “Mi dispiace di averti messo nei guai.”

«No, non è colpa tua. È stato divertente… finché è durato. Tanto lo sapevo che prima o poi li avrebbero trovati.» Sospirò. «Ricercato dalla polizia e ricercato dal Sindaco: spero almeno di ricevere il bonus “goblin più ricercato di Niflheim”!»

Lunaria, che ormai lo conosceva abbastanza bene, non disse nulla.

«Aspetta! Forse mi è venuta un’idea! È una pessima idea, ma tanto non può andare peggio di così, vero? Vero…?»

***

I due cacciatori avevano appena svoltato per rimettersi sulle tracce del goblin quando la loro preda svanì all’improvviso.

«Ehi, dov’è finito?!» esclamò il guidatore, un faunomorfo di tipo gibbone. «Ulin’dir, lo percepisci ancora?»

Il paffuto demone al suo fianco estese le sue percezioni e nel giro di pochi secondi riuscì captare una traccia.

«Ce l’ho. Gira a destra.»

Il faunomorfo attese ancora un attimo affinché il blindato dei mercenari si allontanasse e poi fece come indicato.

«Ha guadagnato un po’ di vantaggio, ma riusciremo a raggiungerlo» affermò il demone, serafico.

I due cacciatori continuarono il loro inseguimento, ma il passaggio di un’altra camionetta fece perdere loro diversi secondi preziosi.

«Mmh, ho un brutto presentimento» ammise Ulin’dir.

«Non mi piace quando hai un brutto presentimento.»

«Gira a sinistra.»

Il suo compagno eseguì e in questo modo imboccò un’ampia strada. Quasi subito notò l’edificio che spiccava dalla parte opposta della carreggiata. «Aspetta! Non dirmi che…!»

«È andato dalla polizia» constatò il demone. I suoi occhi erano bianchi, ma essendo un sensitivo riusciva a distinguere ugualmente ciò che accadeva intorno a lui.

Il faunomorfo accostò e poté vedere con i suoi occhi un paio di agenti che prendevano il goblin e lo portavano all’interno della centrale.

«Beh, almeno abbiamo risolto il problema degli occultatori» commentò mentre si grattava una delle lunghe basette bionde. «Missione compiuta.»

«Mmh.» Il demone non sembrava del tutto convinto. «Informiamo il Sindaco e vediamo cosa dice.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Il buon D’Jagger se l’è vista brutta: i cacciatori del Branco l’hanno trovato, tuttavia in qualche modo è riuscito a cavarsela. Ma sarà davvero così, o è solo finito dalla padella nella brace?

Nel frattempo Freyja è stata assegnata alla difesa di uno dei depositi del Sindaco, ciò vuol dire che, se le cose non cambiano, prima o poi sarà costretta ad affrontare i mercenari, se non addirittura i suoi colleghi. D’altra parte il criminale si è dimostrato pieno di risorse e sempre un passo avanti, quindi chissà che non abbia già qualcosa in mente…

Prima di salutarvi, una piccola segnalazione: ho modificato leggermente il finale del capitolo 6, dove D’Jagger incontra Mowatalji e l’elfo gli chiede di diventare uno scagnozzo del Sindaco. Adesso, invece di incontrarsi nel solito locale, Mowatalji lo fa venire alla fortezza del Sindaco, dove il goblin nota che ci sono le antenne che aveva contribuito a rubare.

Bene, adesso è davvero tutto, almeno per ora.

A presto! ;D


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Capitolo 13
*** 12. Una nuova promessa ***


12. Una nuova promessa

«A quel punto mi sono detto: “Massì, può essere interessante. È da un po’ che voglio costruire degli occultatori.” Così ho fatto un po’ di ricerche, ho scaricato alcuni progetti e ho cominciato a raccogliere i componenti necessari. Credo che quella sia stata la parte migliore. Mi è sempre piaciuto fare prototipi, costruire cose, sporcarmi le mani. Alla fine ci sono riuscito, eh! Ho tirato fuori degli occultatori termo-magici che sfido chiunque a fare di meglio con il budget che avevo! Sono andato nella foresta per montarli su alcuni alberi, pensavo di averli nascosti bene, ma a quanto pare sono riusciti a scoprirli. Dovrò farmi spiegare come hanno fatto! Comunque in qualche modo sono riusciti a risalire a me, e siccome non mi andava di farmi fare un buco in testa, ho pensato che andare dalla polizia poteva essere il meno peggio. Certo non mi aspettavo tutta questa compagnia! Dovremmo esporre denuncia per maltrattamento di detenuti!»

I detenuti della cella a fianco, che appartenevano a una delle tante bande arrestate, risero apertamente.

«Comunque, la morale della storia è: se un tipo vi mostra una fata in gabbia e si offre di impiantarvi i suoi organi per farvi avere la magia, non mettetelo KO con una granata stordente e non aiutate la fata in questione, perché vi causerà solo un mucchio di problemi.»

Gli altri fuorilegge continuarono a ridere.

«Le morali super-specifiche sono sempre le più divertenti!» sghignazzò uno di loro.

I detenuti stavano ancora scherzando sulla storia del goblin quando due agenti si presentarono davanti alla cella di D’Jagger.

«Rahoud, vieni con noi» affermò l’ispettore Smidr.

La barriera energetica della cella si aprì e i poliziotti presero il goblin per ammanettarlo e condurlo di sopra.

«Ricordati di lamentarti per il sovraffollamento!» lo salutò uno della banda.

«Lo farò!» gli promise il goblin mentre veniva spinto in avanti.

Data la differenza di stazza, il solo gigante di ghiaccio sarebbe stato sufficiente per sollevarlo e trasportarlo di peso fino alla stanza degli interrogatori, ma un collega in più era d’obbligo per evitare problemi.

«Allora, come procedono gli arresti?» chiese D’Jagger mentre camminavano. «Avete già iniziato le perquisizioni nei depositi del Sindaco? Posso dirvi dove sono, se volete. Beh, almeno alcuni: non li conosco tutti. Sapete, alla fine conviene anche a me che arrestiate il Sindaco il prima possibile, così posso uscire da qui e posso riprendere la mia onesta attività criminale.»

I due poliziotti lo ignorarono. Dopo averlo condotto nella stanza degli interrogatori, lo ammanettarono al tavolo. L’ispettore Smidr rimase fermo davanti al goblin, serio e imponente, l’altro agente invece lasciò la stanza.

«Allora, D’Jagger Rahoud…»

«In carne, ossa e orecchie artificiali!»

«Ho letto che stavi frequentando un’accademia militare, ma che ti sei fatto espellere quando ti mancavano due esami. Come mai?»

«Un piccolo incidente con dell’esplosivo.»

«È stato allora che hai perso le orecchie?»

«Ottima deduzione! Si vede che sei uno sbirro!»

«Da allora ti sei dedicato a svariati crimini: furti, effrazioni, danneggiamento di beni pubblici e privati… Hai mai fabbricato ordigni per degli attentati?»

«Mmh, gli attentati non sono molto nel mio stile.»

Il gigante di ghiaccio si finse impressionato. «I tuoi genitori sarebbero fieri di te.»

«Credo che i miei genitori abbiano gettato la spugna con me. In realtà non li biasimo.»

«Continua.»

«Sai, credo proprio di soffrire di mancanza cronica di motivazione. Avevano ragione i miei insegnanti quando dicevano che sono intelligente ma non mi applico. Cavolo, è la cosa più fastidiosa che un bambino possa sentirsi dire! Non trovi?»

«Perché sei venuto alla polizia? Chi ti stava inseguendo? E perché?»

«Sul serio? Non hai ascoltato la storia che ho raccontato in cella? Facciamo così, guardati le registrazioni, io ti aspetto qui. C’era anche un’interessantissima morale!»

Smidr sbatté le mani sul tavolo, così forte da far sobbalzare il goblin.

«Credi forse che sia un gioco?! Là fuori la gente sta morendo! E se non vuoi aiutarmi, ti sbatto fuori a calci in culo!»

D’Jagger sbuffò. «E va bene! Ho costruito degli occultatori per permettere alle fate di nascondersi dai cacciatori del Sindaco, ma in qualche modo mi hanno scoperto e quindi vorranno farmela pagare. Lo vedi? Ora siamo dalla stessa parte. Io vi aiuto a catturare il Sindaco e voi mi lasciate andare.»

«Sai chi è il Sindaco?»

«Emh… non esattamente. Ma conosco molti dei suoi depositi, so dove si trovano i campi, come sono difesi. Ah, conosco un elfo, Mowatalji: è lui che mi assegnava i lavori, forse sa chi è il Sindaco.»

L’ispettore fece comparire un foglio olografico. «Ok, chiacchierone. Scrivi tutto quello che sai, e poi vedremo se ci sei stato d’aiuto.»

D’Jagger studiò la pagina bianca ed emise un mugugno d’assenso. «Posso avere una Sparky Juice intanto? Quella delle macchinette andrà benissimo.»

Smidr raggiunse la porta. «No.»

Senza aggiungere altro uscì dalla stanza dell’interrogatorio e chiuse a chiave la porta, dopodiché andò nell’ufficio del commissario Mantina. L’insettoide stava osservando una grande mappa olografica della città dove venivano indicate le posizioni degli agenti, dei mercenari e dei territori già messi in sicurezza. Sembrava di cattivo umore, perfino più del solito. In effetti il gigante di ghiaccio non ricordava di averla mai vista di buon umore, ma date le condizioni in cui versava la colonia occidentale, la cosa non lo stupiva.

«Commissario, ho interrogato il goblin. È stato abbastanza collaborativo. Gli ho chiesto di scrivere tutto quello che sa sul Sindaco.»

«Finalmente qualcuno che ci ascolta dopo averci chiesto aiuto» commentò la donna.

L’ispettore Smidr era consapevole che la frecciatina era rivolta al governatore: il commissario lo aveva avvertito che annunciare in pompa magna dell’arrivo dei mercenari avrebbe solo causato problemi, ma il nano non aveva voluto sentire ragioni. Non era la prima volta che faceva qualcosa di avventato solo perché riteneva che gli avrebbe fatto guadagnare consensi.

«Ho preparato un piano per le perquisizioni» affermò l’insettoide. «Se tutto va bene, lo metteremo in atto domani prima dell’alba, ma non intendo informare i mercenari prima di questa sera. Ho cercato di aggirare con discrezione la sua posizione, tu assicurati che non la spostino.»

Il gigante di ghiaccio annuì: avevano un solo infiltrato tra le fila del Sindaco, quindi era meglio non farla finire dietro le sbarre.

Verso sera contattò Freyja per aggiornarla sugli ultimi sviluppi.

«Per il momento sono sempre nello stesso deposito» confermò l’orchessa. «Ho provato a dare un’occhiata in giro, ma non ho trovato niente di speciale: per lo più ci sono scorte alimentari, batterie e munizioni. Abbiamo un fuoristrada, ma non monta nessun equipaggiamento.»

«Ricevuto. Buona fortuna.»

«Anche a voi.»

Conclusa la chiamata, Freyja uscì dalla dispensa con una scatola di cibo pronto e tornò dai suoi compagni. Avevano acceso un notiziario, utile sia per passare un po’ il tempo che per restare informati su ciò che accadeva fuori dal deposito.

«A breve dovrebbe iniziare la conferenza stampa del governatore, che ci aggiornerà sulla situazione degli scontri fra i mercenari e i fuorilegge» affermò l’annunciatrice. «Siamo tutti preoccupati per quella che sembra sempre di più una guerra, ma voci di corridoio affermano che il governatore sia fiducioso che presto le cose si risolveranno in favore della legalità. Ecco, la conferenza stampa sta iniziando proprio in questo momento.»

La linea passò alla diretta, dove il nano era già pronto a parlare. Nonostante la guerriglia per le strade, sembrava particolarmente tronfio.

«Cari concittadini,» esordì, «quella che stiamo affrontando è una guerra. Comprendo le vostre preoccupazioni, ma non dovete temere, perché stiamo vincendo. In due giorni sono stati effettuati più arresti che in tutto il mandato dei miei predecessori. Abbiamo costretto i criminali a uscire dai loro nascondigli, e questo ci ha permesso di arrestarli tutti, uno dopo l’altro. Come promesso, presto ogni singolo fuorilegge si troverà dietro le sbarre, e non avrete più nulla da temere. La nostra rinascita…»

Qualcuno interruppe il governatore, ma non era stato uno dei giornalisti: doveva trattarsi di uno dei suoi collaboratori, il cui ologramma non era proiettato nella sala stampa.

Si sentì un grido. Il governatore cadde a terra e si udì un boato fragoroso. L’ologramma svanì all’improvviso e nella sala stampa piombò il silenzio.

La linea tornò allo studio, dove la stessa giornalista sembrava spiazzata.

«Ci deve essere qualche problema…» Si interruppe. «Mi informano che abbiamo un collegamento in diretta con il palazzo del governatore. Vediamo.»

Al centro della scena apparve l’alto edificio, dalle cui finestre uscivano lingue di fuoco. L’inquadratura dall’alto permetteva di osservare anche le strade limitrofe, dove stavano già arrivando i primi soccorsi.

«Mi informano che si è verificata un’esplosione nel palazzo del governatore» affermò la giornalista. «Ancora non sappiamo se si tratti di un incidente o di un…»

Il collegamento si interruppe di colpo, questa volta a causa di un’interferenza. Le immagini rimasero distorte per alcuni, interminabili secondi, poi una figura apparve al centro dell’inquadratura. Era un elfo particolarmente alto e muscoloso, con indosso un abito molto elegante e formale. Alle sue spalle, uno schermo continuava a mostrare le immagini del palazzo del governatore avvolto dalle fiamme.

«Cittadini della colonia occidentale, mi duole dovermi presentare a voi in questa situazione poco felice.» Aveva una voce calma, decisa ma al tempo stesso rassicurante. «Sono sicuro che avrete già sentito parlare di me. Sono il Sindaco, e vi porto un messaggio di speranza. Non avete nulla da temere, perché da ora in poi sarò io a garantirvi sicurezza e prosperità. Come voi, ho visto succedersi a capo della colonia governatori inetti e arroganti, ma ora basta.» Serrò i pugni. «Ci hanno definito “la Topaia”, e lo sapete perché? Perché vogliono farci credere che la nostra sia una situazione disperata, e che cambiare le cose sia impossibile. Beh, è giunto il momento di fargli vedere che si sbagliano. Da ora in avanti la colonia occidentale non dovrà più rendere conto alla Orborum Domini. Non verseremo più neanche un centesimo a quegli sfruttatori, capaci solo di riempirsi le tasche con i nostri soldi! La Orborum Domini potrà anche possedere il pianeta, ma noi non siamo loro proprietà! Questa sera ci riprendiamo la nostra libertà! Questa sera nasce la prima colonia indipendente di Niflheim!» Allargò le braccia in un gesto benevolo ma risoluto. «Siete venuti fin qui con la promessa di una frontiera da conquistare. È giunto il momento di conquistarla con le nostre sole forze!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Che dire, D’Jagger si sta trovando relativamente bene in prigione XD Il fatto di non prendere nulla sul serio sembra essere la sua migliore difesa a tutto, quindi difficilmente metterà da parte la sua irriverenza :P

Tornando un po’ più seri, il finale è stato decisamente “esplosivo”. Il Sindaco ha finalmente mostrato la sua faccia, e l’ha fatto con un annuncio molto plateale. Dalle sue parole è chiaro che sia contrario alla Orborum Domini e all’attuale governatore, ed è pronto a tutto pur di realizzare il suo progetto. Allo stesso tempo si è però dimostrato benevolo verso i cittadini: sarà abbastanza per conquistare la loro fiducia?

Nel prossimo capitolo Freyja e la polizia dovranno far fronte a questa improvvisa svolta, e di sicuro non sarà un’impresa facile.

A presto! ^.^


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Capitolo 14
*** 13. Sotto assedio ***


13. Sotto assedio

Freyja assistette all’annuncio del Sindaco in diretta, così come tutto il resto della colonia occidentale. Aveva la pelle d’oca e si sentiva come paralizzata. Sapeva che il criminale non se ne sarebbe stato con le mani in mano dopo l’arrivo dei mercenari, ma di certo non si aspettava un’azione così clamorosa, così plateale. Temeva soprattutto per i suoi colleghi: dopo una presa di posizione così marcata, la situazione per le forze dell’ordine non poteva che complicarsi.

«Ehi, sono arrivati degli ordini» annunciò il responsabile della difesa del deposito. Lesse il messaggio direttamente dall’impianto cibernetico nel suo braccio. «Dobbiamo andare tutti alla centrale di polizia e catturare gli sbirri» riferì. «Qui dice che li vogliono vivi. I mercenari invece possiamo ucciderli.»

Freyja non era per niente stupita di una simile decisione: il Sindaco stava cercando di ingraziarsi la popolazione, e massacrare gli agenti non avrebbe giovato alla sua immagine.

«Avanti, muovete il culo!» ordinò il leader del gruppo.

L’orchessa e i tre uomini che erano con lei salirono sul fuoristrada e lasciarono il deposito, che ormai non necessitava più della loro protezione.

Avevano percorso poche centinaia di metri quando avvistarono un paio di veicoli. Erano corazzati e pesantemente armati, ma soprattutto stavano procedendo in direzione opposta alla loro: appartenevano sicuramente a un gruppo di mercenari.

«Merda, vengono verso di noi!» esclamò quello seduto di fianco al guidatore, visibilmente preoccupato.

«Svelto, gira!» implorò un altro. «Ci ridurranno a un colabrodo!»

Il leader del gruppo li ignorò e tirò dritto. I mercenari sfilarono loro accanto senza degnarli di uno sguardo e proseguirono sulla loro strada, diretti verso est: stavano sicuramente lasciando la colonia.

I due uomini, dapprima spaventati, divennero improvvisamente spavaldi.

«Ah, hanno capito che non gli conviene mettersi contro di noi!»

«Siamo uomini del Sindaco dopotutto!»

Freyja era troppo preoccupata per dare retta a quei due, che evidentemente non erano tra le menti più brillanti al soldo del criminale.

Quei mercenari avevano visto sfumare le loro prospettive di guadagno e non ci avevano pensato due volte a levarsi di torno. Di sicuro la maggior parte stava facendo altrettanto, e questo significava che gli agenti sarebbero stati ancora una volta in inferiorità numerica.

Quando raggiunsero la centrale di polizia, l’orchessa avvertì un tuffo al cuore: l’edificio era letteralmente sotto assedio, c’erano veicoli in fiamme in mezzo alla strada e decine di uomini armati che cercavano di fare irruzione.

Lo stabile era stato costruito per essere una specie di piccola fortezza, ma era solo questione di tempo prima che i criminali riuscissero a fare breccia nelle sue difese.

«Ehi, guarda! Quello è lo Spadaccino Mistico!»

Questa volta l’esclamazione attirò l’attenzione di Freyja, che seguì l’indice del fuorilegge fino a individuare una figura incappucciata.

C’era già il sospetto che lo Spadaccino Mistico lavorasse per il Sindaco, così si era informata: era un insettoide e un ex Cavaliere della Luce che aveva tradito l’Ordine. Aveva ucciso il suo maestro ed era diventato un mercenario. Il database della polizia lo descriveva come un combattente eccezionale, capace di far fluttuare fino a sei spade contemporaneamente.

I quattro scesero dal fuoristrada e vennero accolti dal calore delle fiamme e dall’odore acre della battaglia. Nonostante ciò, i due fuorilegge più spensierati non persero l’entusiasmo da fanboy e continuarono a cercare i criminali più famosi al soldo del loro capo.

«Di là, quello non è il Branco?!»

L’orchessa lanciò un’occhiata nella direzione indicata, dove si trovavano due uomini e due donne: un faunomorfo di tipo gibbone, un sauriano, un’anfibiana e un’elfa, o più probabilmente una mezzelfa a giudicare dalle orecchie a punta non molto pronunciate.

«Aspetta, ma non erano di più?»

«Ho sentito che hanno un sensitivo ciccione che non combatte e un cecchino. Ah, lo sapevi che il loro capo, l’anfibiana, prima era un uomo?»

«Beh, vista da qui non mi sembra male.»

I due si concessero una risata.

«Aspetta! Aspetta! Aspetta! Guarda lì! Quello è lui

L’altro si voltò e subito riconobbe la persona seduta sul veicolo in fiamme: aveva la pelle quasi nera e le corna di lunghezza diversa.

«Woh! Kerberosz Égettvér! L’Araldo dell’Apocalisse! Il capo di tutta la milizia!»

Questa volta perfino Freyja avvertì un fremito, ma la sua era preoccupazione, non entusiasmo: Kerberosz Égettvér era più giovane di lei, eppure si era già fatto una terribile reputazione.

Improvvisamente udì il rombo di un motore. Si voltò di scatto e vide dei rostri piombare su di lei. Si gettò di lato. Sentì il raggelante rumore delle ossa spezzate e della carne spappolata, ma per fortuna era ancora tutta intera. Lo stesso non si poteva dire dei tre con cui era arrivata.

Vide il pesante veicolo che proseguiva la sua corsa a tutta velocità e intuì che qualche mercenario era rimasto. Avrebbe voluto unirsi a loro, ma non poteva. Voleva disperatamente salvare i suoi colleghi, ma rivelare la sua identità era una pessima idea, soprattutto in quel momento.

Il blindato sembrava inarrestabile, ma uno dei cacciatori del Branco si fece avanti. In pochi secondi il suo corpo crebbe a dismisura e con la sua forza da gigante bloccò il veicolo. Il mezzo doveva pesare diverse tonnellate, eppure il sauriano riuscì a sollevarlo e a scaraventarlo via.

I mercenari però non intendevano arrendersi. Uscirono dal veicolo ribaltato e lo sfruttarono come copertura mentre rispondevano al fuoco dei fuorilegge. Data la situazione in cui si trovavano, la loro sembrava una buona tattica, ma un bagliore improvviso piombò su di loro.

Freyja udì un clangore metallico, ma ci mise un po’ per capire quello che era successo: una spada era schizzata verso i mercenari e ne aveva decapitati due per poi essere bloccata dal terzo. Lo Spadaccino Mistico era ancora immobile nel suo mantello, ma non c’erano dubbi che fosse lui il responsabile dell’attacco.

«Fermi!» La voce di Kerberosz spiccò potente in mezzo al campo di battaglia, intrisa di brama combattiva. «Lasciateli a me» aggiunse prima di rimettersi in bocca il suo sigaro.

I fuorilegge cessarono il fuoco, ma uno dei mercenari pensò di approfittarne per mirare allo Spadaccino Mistico e vendicare i suoi compagni. Il colpo venne deviato da una spada fluttuante, il mercenario invece venne freddato da un colpo alla testa.

Kerberosz lanciò uno sguardò furioso verso l’origine dello sparo, poi si girò verso il capo del Branco. L’anfibiana non si fece impressionare e si limitò ad allargare le braccia: non intendeva condannare l’operato del suo cecchino.

Per sfogare la sua rabbia, il capo della milizia si avventò sui mercenari. Il suo scudo energetico deviò proiettili e fulmini, ma poi gli bastarono le mani nude per fracassare i crani delle sue vittime.

Lui era un tartariano, una specie di demone creata per essere i carcerieri del Tartaro, e per questo dotata di una spiccata indole combattiva. La loro pelle quasi nera sembrava lava solidificata mentre i loro occhi brillavano come tizzoni ardenti.

Kerberosz prese il suo sigaro con gli artigli ancora intrisi sangue. «Che fate lì impalati?!» imprecò. «Buttate giù quella cazzo di porta, o sarete i prossimi!»

Gli altri fuorilegge non se lo fecero ripetere e tornarono all’attacco.

Freyja aveva il cuore che batteva all’impazzata e le sue mani non volevano smettere di tremare, ma si sforzò di avanzare. Doveva pensare, farsi venire un’idea. Come poteva salvare i suoi colleghi? Di certo non poteva combattere da sola contro nemici simili. Forse la cosa migliore era andarsene, chiamare aiuto…

«Ehi, Frida!»

Sentire il suo falso nome la fece quasi sobbalzare. Si voltò cercando di ostentare naturalezza e subito riconobbe gli uomini del Mastino. Non c’era Luca, ma questo la fece quasi sentire sollevata.

«Sei venuta da sola?» le chiese il demone che faceva da vice all’orco.

Lei annuì.

Lui capì che c’era qualcosa che non andava e la squadrò con aria interrogativa. «Tutto bene?»

«Sì… Sì, insomma, mi hanno quasi investita un attimo fa. Quello è ciò che resta di quelli con cui sono arrivata.»

I cacciatori guardarono i cadaveri maciullati.

«Oh, cavolo, mi dispiace.»

«Dov’è Luca? Non è con voi?»

«Sta aiutando gli altri a buttare giù la porta della centrale» le spiegò il demone. «Quando ha visto che c’era anche il Branco, ha pensato bene di mettersi un po’ in mostra, ma temo che Kerberosz gli abbia rubato la scena.»

«Già. Un tipo così è meglio non farlo arrabbiare. Fortuna che è dalla nostra parte!»

«Puoi dirlo forte!»

Il demone si concesse un momento per osservare gli altri criminali, per lo più impegnati a controllare la strada per evitare altri attacchi a sorpresa.

«Ora capisco perché il Sindaco ci ha detto di starcene buoni. Ha sfruttato i mercenari per fare piazza pulita delle bande di quartiere, e poi ne ha subito approfittato per fare la sua mossa, prima che la polizia potesse venire a cercarci. Ora non dovremo preoccuparci più di nessuno.»

Una lampadina si accese immediatamente nella mente dell’orchessa: il demone aveva ragione, come faceva il Sindaco a sapere che il commissario Mantina stava per dare l’ordine di attaccare i depositi? Non voleva saltare a conclusioni affrettate, ma le risultava difficile pensare a una semplice coincidenza.

Si voltò verso la centrale di polizia, sperando che i bagliori delle fiamme mascherassero la sua espressione. In quel momento più che mai temeva di non riuscire a nascondere il vortice di pensieri che la tormentava.

Per la prima volta dall’inizio della sua operazione, le venne da porsi la domanda: c’era ancora una speranza di riuscire a sconfiggere il Sindaco e riportare l’ordine nella colonia?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Grazie ai due fanboy veniamo a conoscenza di alcune delle figure di spicco al soldo del Sindaco: il Branco (tanto odiato dagli uomini del Mastino), lo Spadaccino Mistico e il giovane ma temibilissimo capo della milizia Kerberosz Égettvér.

Freyja ha dovuto osservare impotente il crollo della colonia, ma per fortuna ha incontrato dei volti “amici” che, volenti o nolenti, l’hanno aiutata a riflettere.

Questo è probabilmente il mio momento più difficile per l’orchessa, ma di sicuro non si arrenderà e farà di tutto per cercare di salvare i suoi colleghi e far prevalere la giustizia. Certo le servirà un ottimo piano se non vuole finire lei stessa in prigione, o peggio.

Colgo l’occasione per ringraziare la mia beta Hesper che mi aiuta sempre rileggendo i miei capitoli e ringrazio anche voi che state leggendo la mia storia.

A presto ^.^


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Capitolo 15
*** 14. Cominciamo ***


14. Cominciamo

Erano passati alcuni giorni dall’attacco alla centrale di polizia, ma molte persone avevano ancora paura a uscire di casa. Le strade erano semideserte e l’unica presenza costante era la voce del Sindaco, diffusa dai tanti altoparlanti disseminati per la città. In origine erano stati pensati per allertare la popolazione in caso di minacce imminenti, ma ora il criminale li stava usando per fare propaganda.

“Teniamoci i nostri soldi!”, “Chi non ci rispetta non ci può governare!”, “Non c’è giustizia senza libertà!”: questi e altri erano gli slogan che il criminale stava utilizzando per screditare la Orborum Domini e ottenere consensi.

Freyja non ne poteva più di sentirli, ma ciò che davvero la infastidiva era che prima o poi la gente avrebbe cominciato a crederci. A furia di sentirsi ripetere le stesse cose, qualcuno si sarebbe convinto che il Sindaco aveva ragione, e a quel punto sarebbe stato impossibile riportare le cose com’erano prima.

«È questo» affermò la donna in testa al suo gruppo. Imbracciò il suo tozzo fucile e con una violenta onda d’urto abbatté il portone. «Gente, sapete cosa fare.»

Uno dopo l’altro i membri del gruppo entrarono nell’edificio costruito abusivamente e cominciarono a rovistare nelle stanze per cercare qualsiasi cosa potesse essere usata o rivenduta.

Ora che gli agenti di polizia erano in cella, gli uomini del Sindaco potevano fare tutto quello che volevano in città, e a quanto pare la loro principale occupazione era diventata razziare i covi delle bande di quartiere.

Freyja aveva sentito che molti di quei fuorilegge erano stati uccisi per liberare le celle e fare spazio ai poliziotti. Dicevano che Kerberosz si fosse occupato personalmente della cosa, sgozzando senza pietà decine di persone. Il solo pensiero che i suoi colleghi fossero in balia di gente del genere le faceva accapponare la pelle.

Quando Mowatalji l’aveva contattata per riferirle il suo nuovo incarico, per un attimo aveva pensato di chiedere di farsi assegnare alla sorveglianza della centrale di polizia, ma aveva subito cambiato idea per non rischiare di destare sospetti.

Nel tardo pomeriggio finalmente poté tornare a casa e ne approfittò per riflettere ancora una volta sulle tempistiche dell’iniziativa del Sindaco. Di sicuro si trattava di un’azione pianificata con largo anticipo, ma il momento in cui era stata messa in pratica suscitava comunque alcuni interrogativi.

Forse gli uomini del Sindaco stavano intercettando la polizia, o magari c’era una talpa nella centrale. La prima le sembrava la più probabile, tuttavia non conosceva di persona gli agenti di stanza nella colonia occidentale, quindi non se la sentiva di scartare la seconda opzione. Gli unici che poteva escludere dalla lista dei sospetti erano il commissario Mantina e l’ispettore capo Smidr: se uno di loro fosse stato in combutta con Sindaco, lei sarebbe morta da un pezzo.

Una volta a casa si preparò una cena veloce e intanto accese il solito notiziario.

«Parliamo ora delle condizioni di Vitaly Glazkov» annunciò il giornalista. «Lo ricorderete, il governatore della colonia occidentale è stato vittima di un attentato tre giorni fa, ma il tempestivo arrivo dei soccorsi ha permesso di salvargli la vita. Possiamo ora vedere il comunicato del suo portavoce, trasmesso direttamente dall’ospedale della capitale.»

«Le sue condizioni sono gravi ma stabili» stava dicendo il portavoce, anche lui un nano. «Ieri notte ha ripreso conoscenza e ha subito chiesto quale fosse la situazione nella sua colonia. Appena ha saputo quello che è successo, ha subito chiesto di tornare al lavoro, ma ovviamente i medici non gliel’hanno permesso. In questo momento si trova nel suo letto, è sveglio e sta facendo tutto il possibile per preparare un’azione tempestiva contro il criminale noto come “Sindaco”. Mi ha anche chiesto di mostrarvi questo breve messaggio.» Fece un passo indietro e proiettò uno schermo olografico dal suo smartwatch. L’interfaccia era già sul primo fotogramma del video, che rappresentava il governatore nel suo letto d’ospedale. Le ferite sul suo volto erano coperte solo in parte dalle bende, ma il suo sguardo non aveva perso determinazione.

«Cari concittadini» esordì, «non credevo che i nostri nemici sarebbero stati capaci di un gesto tanto vile. Il mio corpo è straziato dalle ferite, ma ciò che mi addolora davvero è sapervi in pericolo.» Sul suo viso emerse una leggera smorfia di dolore. «Ma non temete: il crimine non vincerà. La nostra risposta sarà forte, determinata, inarrestabile, e alla fine la giustizia trionferà. Insieme supereremo anche questa difficoltà.» Di nuovo dovette fare una breve pausa per trattenere il dolore. «Ho fiducia nella giustizia, ho fiducia in voi. Stiamo uniti, miei amati concittadini, e uniti ce la faremo.»

Il telegiornale proseguì con un’altra notizia, ma Freyja continuò a riflettere sulle parole del governatore. Ancora una volta aveva difficoltà a valutarle. Le sue rassicurazioni avrebbero indebolito almeno per un po’ la propaganda del Sindaco, ma senza un’iniziativa concreta la situazione non sarebbe cambiata. E con “iniziativa concreta” intendeva l’invio di decine di agenti per mettere in sicurezza l’intera colonia e arrestare il criminale e i suoi uomini di spicco. Ormai la sua unica speranza era che la Orborum Domini capisse che doveva intervenire subito: se non lo faceva, nessuno si sarebbe più trasferito su Niflheim, e anzi la gente onesta avrebbe cominciato a lasciare il pianeta in cerca di una casa più sicura.

Dei colpi sulla finestra attirarono la sua attenzione. Guardò fuori e si accorse che c’era qualcosa che stava colpendo sul vetro con forza sempre maggiore.

Andò a vedere e con suo profondo stupore scoprì che era una fata. Sembrava parecchio imbronciata: forse era lì da un pezzo, ma l’orchessa non l’aveva sentita per colpa del notiziario.

Aprì la finestra e la fece entrare.

«Aspetta, tu sei la fata che è con D’Jagger.»

Lunaria annuì e disse qualcosa nella lingua dei segni.

«Ok, aspetta, fammi installare il traduttore. Tu continua a parlare… coi gesti.»

Lei le lanciò un’occhiataccia e si concentrò su alcune frasi offensive.

«Ok, fatto. Allora, cosa volevi dirmi?»

“Devi aiutarmi a liberare D’Jagger.”

«Credimi, mi piacerebbe liberare il tuo amico e gli altri, ma è un suicidio. Ho sentito che hanno messo perfino lo Spadaccino Mistico a sorvegliare la centrale.»

La fata però non si arrese. “Intendi il tipo col cappuccio? Ho visto che se ne va sempre verso le sei e mezza di sera e non arriva mai prima delle dieci del mattino. E se andiamo dopo mezzanotte la maggior parte dei cattivi saranno ubriachi.”

Freyja non nascose il suo stupore. «Li hai tenuti d’occhio?»

Lunaria sollevò il nasino e annuì, fiera di averla impressionata. “Tu invece cos’hai fatto fino ad adesso?”

«Ok, ok, scusa. A proposito, non credo che ci siamo presentate. Sono Freyja Valkyregard.»

“Lunaria.”

«Bene, Lunaria.» L’orchessa usò il suo smartwatch per proiettare una mappa tridimensionale della centrale di polizia. «Coraggio, dimmi tutto quello che hai visto. Ogni minimo dettaglio può essere utile.»

La fata svolazzò verso la ricostruzione olografica e cominciò a spiegare.

***

Il centro di ricerca del Sindaco era particolarmente silenzioso. I tavoli erano stati spostati a ridosso delle pareti e nel mezzo si era creato un ampio spazio libero.

Rispetto al caos che regnava nella colonia occidentale, la calma di quel luogo era quasi surreale. I due scienziati e gli uomini della sorveglianza sembravano in attesa, ma tutti quanti stavano dando le spalle alla porta: se doveva arrivare qualcuno, di certo non sarebbe entrato da lì.

Un disco luminoso apparve sul pavimento e tutti si fecero di colpo più attenti. Delle sagome cominciarono a prendere forma e in pochi istanti apparvero una mezza dozzina di persone e un carro. I nuovi arrivati, tutti faunomorfi, indossavano abiti molto particolari: erano armature leggere di ottima fattura, ma del tipo che ci si sarebbe aspettati di vedere durante le Guerre dell’Yggdrasill, risalenti a quattromila anni prima. Anche il loro carro di legno e pelli animali sembrava uscito da un museo.

«Avete quello che vi abbiamo chiesto?» chiese uno di loro. Doveva essere il più alto in grado: la sua armatura era molto più elaborata ed era l’unico che poteva sfoggiare un maestoso mantello giallo ocra.

«Naturalmente» annuì la dottoressa Mwanda. Fece un cenno agli uomini della scorta e loro portarono delle casse di legno.

Il guerriero si avvicinò e controllò il contenuto di ognuna di esse.

Albion, che in realtà era venuto per pura curiosità, si limitò a starsene seduto in disparte a osservare. Da specialista di armi quale era, gli interessava molto vedere quale fosse l’arsenale a disposizione di quei guerrieri. Stabilì che le loro armature erano fatte di cuoio, con la sola eccezione del capo che poteva vantare dei rinforzi in metallo. Non vide traccia di cotte di maglia, e da questo dedusse che non avevano ancora introdotto gli archi lunghi e le balestre. Osservando il fodero delle loro spade, relativamente ampio e lungo all’incirca settanta centimetri, ipotizzò che si trattasse di un’arma simile alla spada celtica, presumibilmente realizzata in ferro.

Ultimati i controlli, il capo dei guerrieri fece segno ai suoi sottoposti, che subito si misero all’opera per svuotare il carro e riempirlo con le nuove merci: per lo più artefatti magici e qualche congegno elettronico.

«Il divino Horus[9] esige che il prossimo carico comprenda dei dischi per comunicare a distanza» affermò il capo dei guerrieri. «Questa è una lista completa con il relativo compenso.»

La dottoressa Mwanda prese in mano la pergamena e la srotolò.

Albion osservò in silenzio quell’oggetto dal sapore antico: era la prima volta che ne vedeva una, dal vivo per lo meno. Sembrava così… inefficiente.

Dopo aver letto attentamente i termini dell’accordo, la sauriana arrotolò nuovamente la pergamena. «D’accordo, digli che avrà ciò che vuole.»

Il messaggero di Horus annuì. «È sempre un piacere fare affari con voi. Arrivederci.»

Il disco sul pavimento si accese nuovamente, avvolgendo i guerrieri e il carro. Questa volta le loro sagome divennero diafane e dopo pochi istanti svanirono nel nulla.

Albion si alzò in piedi. «Prima ci chiedono armi magiche, e ora dei comunicatori: che dici, si stanno preparando a farsi la guerra tra loro, o magari qualcuno si è deciso a ribellarsi?»

«Non lo so e non mi interessa. Fintanto che ci forniscono i cristalli, possono fare ciò che vogliono su quel loro pianeta.»

La dottoressa Mwanda aprì una cassa, al cui interno erano stipati innumerevoli cristalli. Avvicinò una mano e subito i frammenti reagirono alla sua magia, illuminandosi di una tenue luce azzurro-violacea. Anche i volti dei due scienziati parvero accendersi di luce propria di fronte a quello spettacolo.

«Cominciamo?» chiese Albion. Quasi non si notavano le sue occhiaie da tanto era emozionato.

La sauriana sfoggiò i denti aguzzi in un sorriso impaziente. «Cominciamo.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo veniamo finalmente a conoscenza del nome del governatore, che è sopravvissuto all’attentato ed è pronto a combattere contro la propaganda del Sindaco nella sua colonia.

Un altro cambiamento degno di nota è che Freyja e Lunaria hanno deciso di fare squadra per cercare di salvare D’Jagger. L’orchessa sembra più che disposta a passare sopra le passate divergenze, la fata invece… beh, l’avete capito com’è fatta Lunaria XD

Per finire, sono emersi un bel po’ di dettagli interessanti nell’ultimo pezzo. Alcuni di voi se ne saranno accorti, ma ci tengo a chiarire che i misteriosi guerrieri vengono proprio da Raémia, il pianeta su cui è ambientato AoE - 1 - Eresia ;)

Ogni personaggio ha qualcosa da cominciare, quindi non vi resta che aspettare il prossimo capitolo ^.^

A presto!


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[9] Dio egizio rappresentato come un falco o come un uomo con la testa di falco. Viene associato al cielo.

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Capitolo 16
*** 15. Evasione legale ***


15. Evasione legale

Era notte fonda nella colonia occidentale, ma la centrale di polizia era illuminata a giorno. Per Lunaria questo era sia un vantaggio che uno svantaggio: in quelle condizioni aveva meno problemi ad accorgersi degli uomini del Sindaco, ma anche per loro sarebbe stato più facile individuarla. Per di più tutta quella luce rendeva ancora più evidenti le testimonianze degli scontri di pochi giorni prima: fori di proiettili, segni di bruciature, tracce di sangue. Tremava all’idea di poter fare la stessa fine dei poliziotti.

Nonostante i suoi timori, in realtà la centrale era quasi vuota: fino a quel momento aveva incrociato solo una manciata di fuorilegge, e nessuno sembrava particolarmente all’erta. I sensori di sicurezza sarebbero stati più difficili da eludere, ma per fortuna aveva portato con sé il dispositivo di occultamento costruito per lei da D’Jagger.

Muovendosi cauta a ridosso del soffitto, raggiunse una rampa di scale. Non vedeva né sentiva alcuna minaccia nei paraggi, ma questo non leniva la sua paura. Perché aveva deciso di andare a salvare quel cercaguai del suo amico?!

Con la massima cautela svolazzò su per le scale e ad attenderla trovò un corridoio deserto. Se la mappa era giusta – e se non si era persa –, lì in fondo ci sarebbe dovuta essere la sua meta.

Lanciò un’altra occhiata per assicurarsi che non ci fosse nessuno e poi si affrettò a percorrere il corridoio. Girò a sinistra e quasi subito notò la porta sfondata in fondo ad esso, circondata dai segni di un’aspra battaglia. Non era un’esperta, ma a giudicare dallo spessore, quella sembrava proprio una delle porte blindate di cui a volte parlava D’Jagger.

Con il cuore che batteva sempre più forte si azzardò a sbirciare all’interno. C’era un tipo stravaccato su una delle poche sedie ancora in piedi e davanti a lui spiccavano innumerevoli schermi: da lì si poteva vedere ogni area della centrale di polizia.

Lunaria prese un profondo respiro e si azzardò a entrare, attenta a non fare rumore. L’uomo si mosse e lei sentì un brivido lungo la schiena. Il sorvegliante prese la sua bottiglia e bevve rumorosamente un sorso di birra.

La fata capì che era la sua occasione: fece comparire una delle granate stordenti di D’Jagger e la lasciò cadere. L’ordigno finì proprio in testa all’uomo, ma questi non ebbe modo di reagire perché la scarica lo mandò subito al tappeto.

Lunaria andò a controllare il corridoio per assicurarsi che nessuno stesse arrivando e poi inviò il messaggio di conferma alla sua complice.

Freyja era appostata fuori dalla centrale di polizia e stava studiando la situazione.

Davanti all’edificio aveva contato solo due uomini armati. All’inizio pensava fossero di guardia, ma entrambi erano abbastanza alticci e avevano passato più tempo a imbrattare la facciata che a controllare la zona, quindi stava cominciando a nutrire dei dubbi. Forse erano certi che nessuno si sarebbe azzardato ad attaccare la centrale di polizia, o magari erano solo indisciplinati.

In ogni caso ciò che davvero non riusciva a non notare era la pila di cadaveri carbonizzati abbandonata in mezzo alla strada. Evidentemente le voci sul massacro dei prigionieri erano fondate: doveva fermare il Sindaco e i suoi uomini a ogni costo.

Ricevette la notifica di missione compiuta da Lunaria e finalmente poté entrare in azione. Con due colpi della sua pistola a impulsi mandò al tappeto gli imbrattatori e li trascinò vicino a uno dei veicoli distrutti. Sarebbe potuta entrare dall’ingresso principale, ma preferì passare da una delle finestre sfondate.

La stanza era vuota, così si mosse, rapida e silenziosa. Non era mai stata all’interno della centrale, ma aveva studiato a memoria la planimetria e riusciva a muoversi con grande sicurezza.

Raggiunta la grande sala principale venne accolta da una densa cappa di fumo. Al centro del locale c’erano altri quattro sgherri del Sindaco, ma anche loro stavano prendendo sottogamba il loro incarico, preferendo giocare a carte piuttosto che sorvegliare l’edificio.

L’orchessa si avvicinò di soppiatto e loro non si accorsero minimamente della sua presenza. Uscì allo scoperto e sparò con precisione e freddezza, stordendone subito tre. Il quarto riuscì a salvarsi gettandosi – o più probabilmente cadendo – dietro il tavolo. Confuso dal fumo e dall’alcol, perse qualche secondo a imbracciare la sua mitraglietta e tanto bastò a Freyja per raggiungerlo e mandarlo al tappeto.

L’orchessa si guardò intorno per essere pronta a respingere ulteriori minacce, ma il silenzio era assoluto.

Eliminati i nemici, ebbe modo di notare delle scie di sangue sul pavimento. Da una parte portavano all’ingresso principale e dall’altra – ne era certa – alle celle.

Stava per muoversi quando Lunaria la raggiunse. La fata sembrava particolarmente infastidita dal fumo, tanto che tossì diverse volte mentre si avviavano lungo le scie di sangue.

Raggiunsero le scale che portavano al seminterrato, dove si trovavano le celle, ma per scendere avrebbero dovuto sbloccare la porta. L’interruttore era in un cabinotto dove di norma si trovava un agente, ma in quel momento c’erano due persone avvinghiate tra loro, troppo impegnate in quello che stavano facendo per accorgersi di tutto il resto.

Dopo un momento di imbarazzo, Freyja stordì anche loro con la sua pistola a impulsi.

«Questo farà rumore, tu controlla che non arrivi nessuno.»

Lunaria annuì e si sporse leggermente, giusto il minimo indispensabile per osservare la zona.

Freyja attivò lo sblocco della porta: partì un segnale sonoro e poi la serratura emise uno schiocco deciso. Ora doveva aprire le celle sovraffollate per liberare i suoi colleghi. Selezionò le icone corrispondenti, ma prima di confermare ebbe un momento di esitazione: doveva far uscire anche i criminali rimasti? Erano dei fuorilegge e avevano causato non pochi problemi alla colonia, ma se li lasciava lì c’era il rischio che Kerberosz o altri uomini del Sindaco decidessero di ucciderli. Aveva già riflettuto sulle implicazioni della sua scelta, ma solo ora che doveva prendere una decisione riusciva davvero a sentirne il peso.

Si era sempre fatta guidare dalla giustizia, ma qual era la scelta più giusta? Se li liberava avrebbero potuto fare del male ad altre persone innocenti, ma questo era abbastanza da giustificare la decisione di lasciarli nelle grinfie di criminali ancora peggiori? Senza contare che gli uomini del Sindaco avrebbero potuto usarli come ostaggi.

Lunaria le batté sulla spalla e le fece segno di sbrigarsi.

La fata aveva ragione: non avevano un secondo da perdere. E così decise di non scegliere: aprì solo le celle dei suoi colleghi e di D’Jagger, preferendo lasciare al commissario Mantina tale onere. L’insettoide era la più alta in grado, spettava a lei prendere una decisione. O almeno questa era la giustificazione che stava usando con sé stessa.

Corsero giù per le scale e le tracce di sangue divennero più intense a ogni gradino, come a voler ribadire quello che era successo, e quello che avrebbe potuto ripetersi. Rabbrividì al solo pensiero, e nel profondo avvertì una sgradevole sensazione: davvero era disposta ad abbandonarli? Che ne era del voler dare a tutti una seconda occasione?

Raggiunto il seminterrato, la vista dei colleghi quasi riuscì a nascondere i fiumi di sangue incrostato. Diversi agenti erano feriti, ma nessuno sembrava in pericolo di vita.

«Ferma dove sei!» ordinò uno di loro evocando delle saette intorno alle mani.

Una scia di vento le sferzò il viso e in un attimo si accorse che qualcuno le aveva bloccato le braccia. «Lavora per il Sindaco!» affermò la teriantropa di tipo ghepardo, che in quei pochi istanti era riuscita anche a sottrarle il manganello.

«Lasciala andare, Linch» le ordinò Mantina. «È con noi.»

«Ma commissario! È quella che mi ha mandata all’ospedale l’ultima volta! Ne sono sicura!»

«Ti ho detto di lasciarla andare» sibilò l’insettoide. «Faceva parte della sua copertura. Copertura che ormai è saltata» aggiunse, e l’occhiataccia che rifilò all’orchessa era perfino più ostile del solito.

La teriantropa lasciò andare Freyja, o per meglio dire la spinse via.

«Credo sia meglio andare» affermò Smidr.

«Ho trovato sette uomini del Sindaco, ma li abbiamo storditi» spiegò Freyja. «Non ho controllato il deposito, ma potete prendere le loro armi intanto.»

«Abbiamo?» la interrogò quello che controllava i fulmini.

«Io e Lunaria» chiarì l’orchessa indicando la fata, che era già andata da D’Jagger.

«A questo proposito, perché il chiacchierone è fuori?» chiese un robusto umano dalla pelle scura.

«Ho fatto un patto con la fata.»

«Io no però.»

«Il goblin sa alcune cose sul Sindaco, potrebbe tornarci utile» fece notare Smidr.

«D’accordo, lui viene con noi» affermò Mantina. «Considerati in libertà vigilata.»

«Agli ordini, capo!»

Mentre si avviavano, Freyja ne approfittò per dare voce ai suoi dubbi: «Commissario, forse dovremmo liberare anche gli altri prigionieri. Se li lasciamo qui, gli uomini del Sindaco potrebbero ucciderli o usarli come ostaggi.»

«Hai ragione, ma non possiamo permetterci altri problemi. Restano dove sono.»

Nel profondo l’orchessa non voleva accettare una simile decisione, eppure non ebbe il coraggio di ribattere.

Una volta tornati al piano superiore sentì qualcuno che la chiamava: «Ehi, Frida! O qualunque sia il tuo vero nome!»

L’orchessa non poteva dirsi entusiasta di incontrare di nuovo il goblin, ma forse un po’ della sua spensieratezza era ciò di cui aveva bisogno.

«Ehi, volevo ringraziarti per non avermi lasciato lì. Immagino ti abbia costretto Lunaria. Sa essere molto insistente quando vuole…»

La fata lo mandò a quel paese.

«Io comunque l’avevo detto che alla fine saremmo finiti nella stessa squadra! I film sugli amici animali non sbagliano mai!» Si guardò un attimo intorno. «Bene, ora devo solo recuperare la mia roba e trovare il modo di squagliarmela…»

Forse fu solo la sua immaginazione, ma all’improvviso avvertì gli sguardi feroci di una ventina di poliziotti tutti puntati su di lui.

«O forse no. Credo che farò squadra con voi ancora per un po’! Sì, avete decisamente bisogno di me!»

Freyja non disse nulla, ma dentro di sé sapeva che avevano bisogno di aiuto. Di tutto l’aiuto possibile.


Note dell’autore

Ehilà!

E così la nostra Freyja si è “data al crimine” e ha fatto “evadere” i suoi colleghi, il tutto con la complicità di Lunaria. Le due sono state una coppia sorprendentemente efficace, chissà che in futuro il loro rapporto non possa migliorare :D

Il momento più difficile per l’orchessa è stato sicuramente quello dell’apertura delle celle. Avrebbe voluto fare la scelta giusta, ma alla fine non se l’è sentita e si è in un certo modo arresa. La responsabilità è ricaduta sul commissario Mantina, che non si è dimostrata particolarmente clemente nei confronti dei detenuti.

Per concludere, ora che sappiamo che i film sugli amici animali non sbagliano mai, non vi resta che aspettare il prossimo capitolo per vedere quali altri problemi li aspettano (e non saranno pochi!).

A presto! ;)


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Capitolo 17
*** 16. La vera frontiera ***


16. La vera frontiera

Il centro di ricerca del Sindaco era sempre stato un luogo silenzioso, ma a tarda sera questa sua caratteristica era ancora più evidente. L’ottima insonorizzazione lo schermava anche dai rumori della foresta, quindi in quel momento si riusciva quasi a sentire il suono dei sofisticati macchinari in funzione.

«Albion, io sto andando» lo informò la dottoressa Mwanda.

Il metarpia lasciò per un attimo il suo schermo. «Ok. Io resto ancora un po’, c’è una cosa che vorrei finire.»

Lei lo studiò con lo sguardo. «Ormai è tutto pronto per domani, a cosa stai lavorando ancora?»

Lui abbassò lo schermo olografico. «Eeh… niente. È… una cosa… personale.»

«Mmh. Beh, non fare tardi almeno oggi: domani è il grande giorno. Finalmente potremo andare a vedere la vera frontiera di questo pianeta!»

«Sì, certo. Non vedo l’ora!» Fece per rimettersi al lavoro, ma si interruppe. «Secondo te cosa succederà agli altri tre? Ormai hanno portato a termine il loro compito.»

La dottoressa si appoggiò al bordo del tavolo. «Non ne sono sicura. Forse avremo ancora bisogno di loro. In ogni caso, se ho capito il vero piano del Sindaco, allora credo che non li ucciderà in ogni caso.»

«Mmh. Beh, non che mi importi molto in realtà.»

La sauriana rimase in silenzio. A volte si chiedeva cosa frullasse per la mente del suo collega.

«Ehi, perché ti interessa tanto la ricerca sulle armi? Non mi sembri il tipo amante della violenza.»

«Infatti non mi piace. Io detesto la violenza. Le armi… Le armi non sono violente. Certo, esistono armi pensate per far soffrire, ma non le mie. Le mie armi sono pensate per uccidere, stordire a volte, ma sempre causando la minima sofferenza al bersaglio. È questa l’efficienza che ricerco. Questa è la frontiera che voglio esplorare. Che voglio conquistare

La sauriana riconobbe una scintilla negli occhi di Albion, simile a quella che aveva visto in molti altri brillanti ricercatori. Ma c’era qualcosa di diverso in quella del metarpia: qualcosa di distorto, sbagliato.

Si alzò. «Come ho detto, non fare troppo tardi. Ci vediamo domani.»

«Certo, a domani.»

La dottoressa Mwanda attraversò la prima delle due porte a tenuta stagna e solo in quel momento Albion si convinse a riaccendere il suo schermo olografico. La luce soffusa mise in risalto le sue occhiaie, ma non poteva andare a dormire: doveva migliorare il suo progetto, renderlo più efficiente, più affidabile.

Non c’era limite ai progressi che poteva realizzare, e per questo non aveva nessuna intenzione di fermarsi.

Era da poco passata l’alba solare di Niflheim quando la dottoressa Mwanda e il suo agente di scorta raggiunsero il laboratorio. I deboli raggi solari faticavano a scaldare la superficie del pianeta e la foresta risultava ancora immersa nella consueta nebbia. Se non altro la luce li avrebbe aiutati a individuare possibili minacce durante la loro imminente missione.

La sauriana superò la camera stagna che isolava il laboratorio e finalmente poté godere di un minimo di tepore. La sua specie proveniva da un pianeta mediamente caldo e umido, quindi soffriva più di altre il freddo pungente di Niflheim. Se non fosse stato per la sua ricerca, difficilmente avrebbe accettato di trasferirsi lì.

Nel laboratorio c’era già Albion, ma questo non la stupì. «Fammi indovinare, hai dormito qui anche stavolta.»

Lui fece spallucce. «Ho solo guadagnato un po’ di sonno evitando di fare avanti e indietro.»

La dottoressa aprì una tasca dimensionale dal suo bracciale e gli porse un thermos. «Tieni. Non vorrei che ti addormentassi lungo la strada.»

«Tu sì che sei un bravo capo!» la ringraziò Albion.

Lei scosse il capo. «Ti vizio troppo invece. Devo smettere di portarti la colazione.» E poi, con un filo di voce, aggiunse: «Se non fossi così bravo, mi sarei già trovata un altro assistente.»

Lui finì di mandare giù un sorso della bevanda calda. «Mmh?»

«Dicevo di aiutarmi a fare un rapido checkup delle cose da portare.»

Lui annuì, serio. «Va bene.»

Nel giro di una decina di minuti uno degli uomini della sorveglianza li avvisò dell’arrivo della loro scorta.

La dottoressa Mwanda indossò il suo casco e uscì all’esterno per accogliere i loro aiutanti. «Ciao Priscilla, è bello lavorare di nuovo con voi.»

Il capo del Branco la abbracciò calorosamente. «Ciao Vongai, anche per noi è un piacere darvi una mano.»

«Ragazzi, vi presento Albion Hellmatyar» affermò la sauriana. «Mi ha dato una grossa mano per capire come contrastare le interferenze.» Rimase un attimo interdetta nel vedere l’armatura indossata dal metarpia. Sembrava nuova: che fosse quello il progetto a cui stava lavorando?

«Albion, loro sono Priscilla,» proseguì indicando l’anfibiana, «Ulin’dir,» il paffuto demone sensitivo, «Yalina,» la mezzelfa che controllava gli insetti, «Thiago,» il faunomorfo di tipo gibbone, «Warren,» il sauriano gigantista, «e Jérémy» concluse riferendosi al cecchino, il più basso del gruppo.

«Bene, li ho già dimenticati tutti» dichiarò il metarpia senza particolari remore. «Se ci fossero problemi, vi chiamerò con le vostre armature: idratante,» disse accennando a Priscilla, «pesante,» quella di Ulin’dir, «a distanza,» quella di Yalina, «bilanciata,» quella di Thiago, «ingrandibile,» quella di Warren, «e mimetica» quella di Jérémy. Dopo un momento proseguì, quasi rivolto a sé stesso: «In realtà se incontriamo qualcosa che non posso gestire con la mia armatura, probabilmente saremo comunque tutti spacciati.»

Nonostante l’osservazione del metarpia, il capo del Branco non si perse d’animo: «Con la scusa della caccia abbiamo studiato la flora e la fauna locale: possiamo gestirla. Warren, tu occupati di proteggere Vongai.» Prima di proseguire vide il faunomorfo di tipo gibbone con la mano leggermente alzata e capì: «Thiago, tu puoi stare con Capitan Ottimismo. Tutti gli altri tengano gli occhi aperti sulla foresta.»

I suoi compagni confermarono l’ordine.

«Ottimo. Vongai, facci strada.» Priscilla passò alla linea privata del Branco. «E comincia anche l’Operazione Cupido!»

Gli altri cacciatori si concessero dei risolini. Tutti tranne il sauriano, che con passo un po’ rigido si affiancò alla dottoressa Mwanda in testa al gruppo.

Con loro c’era anche un mulo robotico, il cui compito era di portare vari tipi di attrezzatura: non sapevano a cosa sarebbero andati incontro, quindi dovevano essere pronti a tutto se non volevano rischiare di rimanere a mani vuote. Gli uomini della sorveglianza rimasero invece a controllare il laboratorio.

«Bell’armatura, che modello è?» domandò il faunomorfo gibbone mentre camminavano.

«Ah, l’ho fatta io!» rispose Albion, fiero. «Mi sono ispirato soprattutto alla Vanguard 2 della ForgeTech e alla serie Spartan delle Industrie E.T.N.A. Mi sarebbe piaciuto aggiungere un sistema di volo, ma non sono riuscito a renderlo abbastanza compatto e affidabile. Beh, non ancora.»

«Dunque è a questo che lavoravi la notte invece di dormire» commentò Vongai, che aveva sentito tutto grazie al comunicatore integrato.

«Avevo troppo da fare per dormire. Mi riposerò quando sarò morto.»

Il gruppo camminò per diverse ore e il terreno sotto i loro piedi si fece via via più aspro. Fino a quel momento erano riusciti a procedere senza incontrare pericoli, ma arrivare a destinazione senza incappare in qualche ostacolo sarebbe stato davvero chiedere troppo.

«Qualcosa si avvicina» segnalò Ulin’dir. Le sue percezioni erano distorte dall’interferenza, ma riusciva comunque a rendersi utile.

«È un branco di suskera» confermò Yalina grazie ai suoi insetti sparsi per la foresta. «A ore cinque, sono diretti verso di noi.»

Voltandosi anche gli altri riuscirono a intravedere delle sagome tra le piante basse. Erano cinque esemplari.

«Ci sono anche dei cuccioli» riferì la mezzelfa.

«Facciamoci da parte» ordinò Priscilla. «È inutile affrontarli.»

Si spostarono di lato per togliersi dal passaggio degli animali, ma i suskera si accorsero di loro e subito si misero in allerta. Tre di loro decisero addirittura di avvicinarsi per controllarli meglio.

«Ho montato dei generatori di onde d’urto sui palmi, posso allontanarli» affermò Albion, impaziente di mettere alla prova una delle sue armi.

«No, resta dove sei» gli ordinò l’anfibiana.

I suskera si avvicinarono ancora, fiutandoli intensamente.

«Lo imposto sulle onde sonore, non gli farò male» specificò il metarpia.

Senza aggiungere altro puntò le mani contro gli animali e fece fuoco. Thiago si affrettò ad abbassargli le braccia, ma l’attacco acustico aveva già raggiunto i suskera. Gli animali urlarono di paura e batterono le zampe per terra, pronti a caricare.

«Fuoco!»

I cacciatori spararono all’unisono, abbattendo in un attimo i tre suskera. Ma i veri problemi erano appena cominciati.

«Ti avevo detto di stare fermo!» imprecò Priscilla puntando il dito contro Albion.

«Non sono uno dei tuoi uomini, non sono tenuto a seguire i tuoi ordini.»

«Ehi, guarda che siamo qui per proteggervi!» gli fece notare Thiago.

«Se non mi avessi fermato, le onde sonore li avrebbero fatti scappare e avremmo risolto» ribatté il metarpia. «Hai solo peggiorato le cose.»

«Qui qualcuno ha bisogno di un ripasso di buone maniere» notò Yalina, pronta a dargli una lezione con le sue abilità magiche.

Vongai capì che doveva intervenire, ma prima di parlare escluse Albion dal suo canale: «Vi prego, abbiate pazienza. A volte è un po’ strano, ma non l’ha fatto con cattiveria. Lasciate che ci parli io.» Riaprì il canale con il suo sottoposto. «Albion, non sappiamo cos’altro si nasconde qui in giro, quindi dobbiamo cercare di passare inosservati.» Il suo tono era calmo ma risoluto. «Priscilla e il Branco sanno quello che fanno, quindi dai loro ascolto. Se ci sarà da combattere, te lo faranno sapere. Chiaro?»

Questa volta il metarpia non trovò nulla di irragionevole nella sua richiesta. «Chiaro» confermò, come se non fosse successo nulla.

«Qualcuno mi dia il cambio, io controllo i dintorni» sbottò Thiago, che invece non intendeva ignorare le parole dello scienziato.

«Ci penso io a tenerlo d’occhio» annuì Priscilla. «Avanti, rimettiamoci in marcia.»

Dopo lo spiacevole incidente, il clima nel gruppo si era un po’ incrinato, ma l’unico a non capirne il motivo sembrava proprio Albion. In ogni caso la missione andò avanti senza ulteriori problemi e, dopo quasi due ore di camminata, finalmente arrivarono a destinazione.

«Ci siamo» affermò Vongai, stanca ma soddisfatta. «Questo è senza dubbio il centro dell’interferenza.»

Albion e i cacciatori osservarono attentamente la massa di terra e vegetazione che si innalzava di fronte a loro, il cui aspetto sembrava del tutto anonimo.

«Ok, facciamo una pausa e poi ci mettiamo a scavare» stabilì Priscilla. «Thiago, Warren, ci pensate voi ad avvisare gli altri e prendere la geopompa?»

I due annuirono e tornarono sui loro passi. La vicinanza con l’epicentro dell’interferenza aveva messo fuori uso il mulo robotico e aveva causato problemi a Ulin’dir e Jérémy. Il primo, molto sensibile alla magia, aveva accusato un leggero mal di testa, in più con l’interferenza sempre più intensa aveva difficoltà a “vedere” ciò che lo circondava. Il secondo invece, essendo un cyborg, doveva stare attento a preservare le funzionalità dei suoi numerosi innesti.

Una volta tornati, il sauriano attivò la geopompa e finalmente iniziarono a scavare.

Mentre gli altri cacciatori tenevano sotto controllo la zona, i due scienziati fissavano la vecchia geopompa analogica con particolare impazienza. Conoscendo la portata del macchinario e la profondità che dovevano raggiungere sarebbe stato facile per loro stimare il tempo necessario, questo però non leniva la loro smania di conoscenza.

Dopo un tempo che parve interminabile, un improvviso rumore metallico fece drizzare le orecchie a tutti i presenti.

«Direi che abbiamo trovato qualcosa» affermò Warren spostando la geopompa.

Con grande galanteria aiutò la dottoressa Mwanda ad avvicinarsi, ma per sua sfortuna la scienziata sembrava più interessata all’usurata superficie metallica che a lui.

«Sembra un pannello, ed è pure molto spesso» disse accarezzando la superficie verticale. «Ottimo!»

«A cosa stai pensando?» le chiese Priscilla.

«Che qualcuno ce l’ha messo, e se l’ha fatto vuol dire che c’è qualcosa dall’altra parte che vale la pena proteggere.» Sorrise, sempre più impaziente. «E non vedo l’ora di scoprire cos’è!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Questo è stato senza dubbio un capitolo ricco di spunti! Abbiamo conosciuto i vari membri del Branco, abbiamo scoperto qualcosa in più sulla personalità dei due scienziati e, per concludere in bellezza, è emerso un importante indizio sulla “vera frontiera” di Niflheim.

La ricerca di Vongai ha fatto grandi progressi e le cose non possono che farsi ancora più interessanti… sempre ammesso che Albion non combini qualche altro casino nel frattempo XD

Il prossimo capitolo sarà di nuovo dedicato a D’Jagger, Freyja e alla fuga della polizia, non mancate!

A presto ^.^


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Capitolo 18
*** 17. Resa ***


17. Resa

Approfittando del buio della notte, D’Jagger, Freyja e gli altri poliziotti si stavano allontanando a passo spedito dalla centrale, gli sguardi attenti e concentrati. Alcuni stavano aiutando i feriti, tutti gli altri invece tenevano d’occhio le strade, pronti a segnalare qualsiasi movimento sospetto.

Il deposito era già stato saccheggiato – erano riusciti a recuperare solo qualche maschera per l’aria – quindi la maggior parte degli agenti era disarmata.

Data la situazione, il commissario Mantina aveva dato ordine di abbandonare subito la città, anche se questo significava lasciarla nelle mani del Sindaco.

“Dobbiamo riorganizzarci” aveva affermato davanti ai suoi sottoposti. “Ora come ora non abbiamo speranza di vincere contro gli uomini del Sindaco. Il nostro obiettivo adesso è raggiungere Ziqi City. E cerchiamo di evitare scontri inutili.”

Ziqi City era la colonia più vicina e il suo nome era dovuto all’omonima azienda di bevande energetiche, che ne aveva finanziato lo sviluppo. Anche la colonia occidentale avrebbe dovuto ricevere il nome di un brand, ma le difficoltà incontrate avevano fatto scappare tutti i potenziali sponsor.

Dopo aver camminato per una manciata di minuti, il gruppo si fermò davanti a una stazione dei mezzi pubblici.

«Un momento, quindi ora… aspettiamo?» chiese D’Jagger.

«Quegli stronzi si sono fottuti i nostri veicoli, hai un’idea migliore?» sbottò un agente.

«Mmh, temo di no.»

Bastarono pochi secondi e poi la situazione cominciò subito a farsi un po’ imbarazzante. Erano in pericolo, probabilmente di vita, eppure dovevano starsene lì fermi ad aspettare un autobus.

Alcuni poliziotti si scambiarono qualche occhiata, ma nessuno osava parlare. Per lo meno non si vedevano civili o criminali in giro.

Dopo un minuto già era possibile notare i primi segni di nervosismo. C’era chi spostava il peso da una gamba all’altra, chi si grattava senza motivo, chi si guardava intorno, preoccupato del possibile arrivo di qualche fuorilegge.

Finalmente l’autobus a guida autonoma apparve da dietro un angolo e un velo di eccitazione spirò tra i poliziotti. Il commissario Mantina, tra i pochi a mantenere un’assoluta freddezza, osservò con i suoi occhi composti il mezzo, vuoto, che si avvicinava.

Le porte sembravano aprirsi al rallentatore, ma poi finalmente le venti persone poterono salire a bordo. Un agente, un insettoide come il commissario, si piazzò nella parte anteriore del veicolo e afferrò l’apposito sostegno. Grazie ai suoi innesti cibernetici si interfacciò al computer di bordo e in pochi secondi riuscì ad hackerarlo, acquisendone il controllo.

 Il poliziotto chiuse le porte e fece ripartire il veicolo. Optò per una velocità sostenuta, ma non eccessiva per non attirare troppo l’attenzione. Non ci volle molto per raggiungere una delle uscite dalla cupola che avvolgeva la colonia.

«Commissario, abbiamo un problema» notò l’insettoide.

«Lo vedo» esalò la donna, in piedi al suo fianco. «A quanto pare il Sindaco non vuole far entrare o uscire nessuno.»

Davanti alla barriera energetica che teneva separata l’aria nella cupola da quella esterna c’erano due fuoristrada e una mezza dozzina di uomini armati. Avevano notato il loro autobus e probabilmente stavano cominciando a insospettirsi.

«Linch, Xi» chiamò il commissario Mantina.

I due poliziotti si alzarono.

«Neutralizzate quei tizi, ma cercate di non danneggiare i fuoristrada: possono tornarci utili.»

I due annuirono.

L’insettoide alla guida aprì la porta del bus. La teriantropa schizzò in avanti, rapida come un fulmine, riuscendo a disarmare facilmente i primi tre fuorilegge. Gli altri provarono a contrattaccare, ma il secondo poliziotto usò le sue abilità psichiche per tenerli occupati mentre la collega li ammanettava.

L’autista fermò il bus e riaprì le porte.

«Commissario, abbiamo un problema» riferì la teriantropa. «Credo siano riusciti a chiamare aiuto.»

L’espressione di Mantina rimase quella di sempre: ostile e carica di disappunto. «Allora sbrighiamoci. Prendete quei fuoristrada e andiamocene prima che arrivino i rinforzi.»

D’Jagger osservò gli agenti che eseguivano l’ordine, muovendosi quasi come un solo corpo. Doveva ammettere che erano molto efficienti.

«Ehi, tappetto, che è quello sguardo?» gli chiese l’uomo dalla pelle scura, che non lo perdeva di vista un momento.

«Niente. È solo che vi facevo molto più incompetenti.» Notando il cambiamento nell’espressione dell’umano, si affrettò a precisare: «Senza offesa, eh!»

Il poliziotto non disse nulla, ma dal suo sguardo D’Jagger capì che sarebbe stato ben felice di legarlo all’esterno dell’autobus per trascinarlo fino a destinazione. O forse voleva prenderlo per le mutande e defenestrarlo: non era sicuro. Di una cosa però era certo: Lunaria si era girata dall’altra parte con il chiaro intento di fingere di non conoscerlo.

Nel frattempo gli agenti avevano già messo in moto i fuoristrada e finalmente riuscirono a lasciarsi alle spalle la colonia occidentale.

Ziqi City distava una manciata di chilometri, ma la strada sterrata non era l’ideale per il loro autobus e questo limitava la loro velocità massima.

Erano ancora a metà strada quando uno dei poliziotti diede l’allarme: «Gente, ci inseguono! Vedo tre veicoli! Anzi, quattro!»

Il commissario Mantina soffocò un’imprecazione. «Occupatevi di loro» ordinò ai colleghi sui fuoristrada. Avevano “requisito” gli smartwatch dei criminali alla centrale di polizia e al posto di blocco, quindi non era un problema comunicare a distanza. «Cercate di rallentarli, ma fate attenzione. Non ho nessuna intenzione di tornare a recuperarvi.»

«Ricevuto!»

I due fuoristrada con gli agenti ridussero la velocità e in breve gli aggressori li raggiunsero. Freyja, che era su uno dei veicoli della scorta, indossò il casco e impostò al massimo la sua pistola a impulsi. Non avrebbe fatto molti danni, ma era meglio di niente.

Anche i suoi colleghi indossarono le maschere e prepararono le armi.

L’orchessa si sporse dal finestrino e sparò contro il veicolo più vicino, ma i suoi proiettili di energia impattavano sulla carrozzeria senza causare alcun danno. Decise di cambiare tattica: mantenne il dito sul grilletto, così da generare un colpo caricato. L’ammasso di energia azzurrina schizzò contro il fuoristrada, ma riuscì a rallentarlo solo per un attimo.

I colpi dei suoi colleghi erano un po’ più efficaci, ma non abbastanza da fermare i loro inseguitori.

«Non sta funzionando!»

«Le nostre armi non sono abbastanza potenti!»

Una volta appurato che le loro vittime non avevano armi degne di nota, i criminali cominciarono a rispondere al fuoco.

L’agente alla guida cercò di zigzagare per evitare i proiettili, ma tutti quanti udirono chiaramente i violenti colpi sulla carrozzeria.

«Dovete tenerli a bada, impeditegli di sparare!»

Freyja, consapevole dei rischi, si sporse di nuovo dal finestrino e riaprì il fuoco. I continui sobbalzi rendevano difficile prendere la mira, ma per fortuna anche tre dei quattro inseguitori avevano lo stesso problema: solo uno dei veicoli montava un dispositivo di levitazione, in grado di garantire un’ottima stabilità anche sui terreni accidentati.

«Ci stanno raggiungendo!» imprecò un agente.

Uno degli inseguitori affondò sull’acceleratore e li speronò, cercando di far perdere loro il controllo. Freyja e i colleghi provarono ad allontanarlo, ma le loro armi erano pressoché inefficaci.

«Ora ci penso io!» gridò il guidatore. «Reggetevi!»

Girò bruscamente il volante e il suo fuoristrada sbandò vertiginosamente. I passeggeri vennero sbalzati con violenza e poi vennero schiacciati sui sedili appena l’autista ripartì.

«E ora assaggiate la vostra stessa moneta!»

Li speronò con tutta la potenza che aveva a disposizione, riuscendo così a mandarli fuori strada.

«E vaffanculo!» aggiunse mentre li superava.

Erano riusciti a rallentare uno degli inseguitori, così come i loro colleghi sull’altro fuoristrada, ma ne restavano ancora due.

«Affianca quello a destra!» ordinò Freyja. «Stagli addosso!»

Il guidatore non perse tempo e cominciò a sportellare l’altro fuoristrada.

L’orchessa tirò una gomitata al vetro dell’altro veicolo e questo andò subito in frantumi, coprendo di schegge il guidatore. Il criminale provò lo stesso a mantenere il controllo, ma Freyja gli afferrò la testa e la sbatté contro il volante. Il malcapitato, stordito, perse il controllo del veicolo. Il fuoristrada sbandò di lato, impattò violentemente contro una roccia e si ribaltò più volte.

Uno degli agenti seduti dietro, che aveva seguito tutta la scena, si voltò verso Freyja. «Ricordami di non farti mai arrabbiare.»

«Siamo quasi arrivati a Ziqi City» annunciò il commissario Mantina. «Restate concentrati.»

L’insettoide alla guida dell’autobus controllò l’ingresso della colonia. «Cazzo, hanno pure delle torrette! E a noi non hanno nemmeno pagato l’ultimo stipendio!»

Ben presto un annuncio venne diffuso dagli uomini incaricati di sorvegliare l’accesso: «Fermatevi immediatamente! Fermatevi, o apriremo il fuoco!»

«Ma stiamo scherzando?!» imprecò l’insettoide.

«Linch» chiamò il commissario. «Vai da loro e spiegagli la situazione.»

«Subito!»

La teriantropa indossò una maschera e raggiunse l’uscita. Bastò aprire un attimo la porta e lei schizzò fuori lasciando dietro di sé una scia di fulmini.

«Ci faranno entrare, vero?» chiese D’Jagger. «Insomma, se volevo farmi sparare, sarei rimasto nella Topaia…»

Dalle torrette partirono alcuni colpi d’avvertimento.

«Non mi sembra un buon segno…» sottolineò il goblin, nascondendosi istintivamente dietro il sedile davanti.

«Continuiamo ad avanzare» ordinò il commissario.

L’insettoide non era molto convinto che fosse una buona idea, ma fece come ordinato.

Anche i fuoristrada in possesso ai colleghi mantennero la stessa andatura, quelli dei fuorilegge invece cominciarono a rallentare.

«Fermiamoci cinquanta metri prima delle torrette» ordinò Mantina.

L’autista osservò con malcelata preoccupazione i cannoni che aggiustavano la mira, ma di nuovo diede ascolto al suo superiore.

Il fragore dei colpi fece sobbalzare il cuore degli agenti, terribilmente vicini alle fiancate dei loro veicoli.

«Questo era l’ultimo avvertimento!» tuonò la voce dagli altoparlanti.

«Ma che sta facendo Nora?» gemette l’insettoide, le quattro mani serrate sul sostegno.

Il commissario rimase impassibile e guardò alle sue spalle. Gli uomini del Sindaco erano rimasti con soli due veicoli, ma ben presto anche loro si fermarono e fecero dietrofront.

«Ok, fermiamoci» ordinò Mantina. Indossò anche lei una maschera. «Vado a parlare con gli agenti.»

D’Jagger, Freyja e i poliziotti osservarono l’insettoide che scendeva dall’autobus e avanzava a passo deciso, subito raggiunta da Nora Linch.

Le torrette erano ancora puntate sui veicoli: sarebbe bastato premere un pulsante e in un attimo sarebbero stati massacrati. Ormai potevano solo confidare nelle abilità di persuasione del commissario.

L’attesa si prolungò e tutti quanti cominciarono a guardarsi alle spalle, preoccupati di un possibile nuovo attacco da parte degli uomini del Sindaco. Per di più l’autobus non era stato pensato per viaggiare fuori dalle cupole, quindi l’aria stava cominciando a esaurirsi.

«Parla il commissario Mantina» annunciò l’insettoide attraverso i comunicatori, seria come sempre. «Hanno accettato di farci entrare, ma vogliono controllarci uno ad uno. Avvicinatevi con calma e scendete dai veicoli.»

Tutti i poliziotti tirarono dei sospiri di sollievo, lo stesso però non poteva dirsi per D’Jagger: di sicuro non avrebbero lasciato entrare un criminale come lui, e se anche l’avessero fatto, sarebbe stato solo per sbatterlo in cella.

«Emh, gente, a qualcuno avanza un distintivo?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In un modo o nell’altro i nostri eroi sono riusciti a raggiungere Ziqi City, ma l’accoglienza non è stata esattamente calorosa.

Durante la fuga D’Jagger si è rivelato abbastanza inutile (peccato, perché le sue granate avrebbero fatto comodo), Freyja invece ha avuto occasione di mostrare a tutti che è meglio non farla arrabbiare XD

Ormai i poliziotti dovrebbero essere al sicuro, lo stesso però non si può dire di D’Jagger: lo faranno entrare nella nuova colonia? E se anche lo facessero entrare, finirà di nuovo in cella?

Ancora due settimane di pazienza e lo scoprirete ;)


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Capitolo 19
*** 18. Voglia di riscatto ***


18. Voglia di riscatto

Appena arrivò il suo turno, Freyja fece qualche passo avanti e si tolse il casco.

«La fata?» le chiese uno degli agenti di sorveglianza.

Lunaria si nascose dietro la spalla dell’orchessa.

«Lei è con me. L’ho salvata da uno spacciatore di organi e da allora mi segue.»

L’uomo scansionò entrambe per assicurarsi che non ci fosse nulla di strano. Volle controllare anche il generatore di tasche dimensionali di Lunaria, ma lo avevano già svuotato. Ovviamente avrebbero dovuto abbandonare tutti gli ordigni artigianali costruiti da D’Jagger, che ufficialmente dovevano servire durante la fuga.

Il commissario Mantina aveva già fatto richiesta di sbloccare il profilo di Freyja, temporaneamente nascosto per via della sua operazione sotto copertura, quindi non ci volle molto per trovare un riscontro nel database della polizia.

Una volta appurato che non c’era nulla di anomalo, finalmente ricevettero l’autorizzazione per entrare a Ziqi City.

Nonostante la difficile situazione in cui si trovava, l’orchessa non poté non rimanere molto colpita alla vista della colonia. Era poco più grande di quella occidentale, ma il suo stile era molto diverso e caratteristico.

Le linee degli edifici, tutti molto moderni e puliti, richiamavano lo stile sinuoso del logo del suo sponsor, così da enfatizzare questo legame. Anche i colori dominanti erano gli stessi del brand, e ovviamente non mancavano insegne luminose con il logo della Ziqi. L’orchessa notò che c’era perfino un albero i cui rami erano stati disposti in modo da rappresentare il marchio dell’azienda.

Era tutto fin troppo ostentato per i suoi gusti – la presenza dello sponsor le risultava quasi soffocante – ma avrebbe dato qualsiasi cosa per rendere così la colonia occidentale se questo significava far sparire il Sindaco e i suoi scagnozzi.

Dopo un momento si accorse che il flusso di colleghi si era improvvisamente interrotto. Guardò verso il posto di blocco e non si stupì nel vedere che stavano controllando D’Jagger.

«Mi spiace, abbiamo l’ordine preciso di non far entrare nessuno» affermò uno degli agenti. «Stiamo già facendo un’eccezione per voi. Far entrare un criminale è fuori discussione.»

«È un nostro informatore» ribatté Mantina. «Ci serve. E poi se torna alla colonia occidentale lo uccideranno di sicuro.»

L’uomo esitò davanti all’espressione severa del commissario. «Devo chiedere ai miei superiori.»

«Ci parlo io» affermò la donna, e lui non osò opporsi.

D’Jagger provò a consolare l’agente di Ziqi City: «Ehi, non prendertela: fa paura anche a me.»

Il poliziotto preferì non rispondere.

Dopo meno di un minuto il commissario Mantina restituì il comunicatore. «Ecco, problema risolto.»

L’agente ascoltò i nuovi ordini. «Sissignore, ricevuto.»

«Perfetto, tutto risolto quindi» disse il goblin, soddisfatto.

«A quanto pare abbiamo una cella libera per te alla centrale» rispose il poliziotto. «Tra poco una pattuglia verrà a prenderti.»

D’Jagger si voltò di scatto verso il commissario. «Ehi!»

«L’alternativa era lasciarti ammanettato fuori dalla colonia occidentale» affermò Mantina. «Vedi di non farmi pentire.»

«Sì, commissario. Volevo dire: no, commissario. Volevo dire: aaah…!» Preferì lasciar perdere prima di peggiorare ulteriormente la situazione.

Una volta completati i controlli, i poliziotti feriti vennero portati in ospedale, tutti gli altri invece raggiunsero la caserma più vicina, dove finalmente ebbero modo di lavarsi e riposare.

La mattina seguente Freyja si alzò di buon’ora e ne approfittò per ascoltare le ultime news.

«La colonia occidentale sta sprofondando sempre di più nel caos» affermò l’annunciatore. «Nelle strade si diffonde la violenza e i cittadini sono tutti barricati in casa. Queste sono le immagini della centrale di polizia. Vi avvisiamo che sono molto forti.»

Dovevano essere rimasti pochi giornalisti, infatti il filmato seguente sembrava molto amatoriale.

L’orchessa avvertì un fremito nel vedere la centrale di polizia con dei cadaveri appesi alle finestre. Alcuni le sembrava di averli già visti: erano gli uomini incaricati di sorvegliare l’edificio. Il Sindaco doveva averli fatti uccidere per dare un esempio a tutti.

«Come saprete, gli agenti di polizia erano stati catturati dagli stessi criminali, ma pare che siano riusciti a evadere e che siano fuggiti dalla colonia occidentale. Diversi testimoni hanno visto delle persone in uniforme entrare a Ziqi City nel cuore della notte, ma al momento non ci sono dichiarazioni ufficiali. Il dubbio per i cittadini della colonia occidentale resta comunque sempre lo stesso: ora che la polizia ha fallito, chi li potrà salvare?»

Il giornale proseguì, ma Freyja era troppo giù di morale per ascoltare oltre.

Sapeva già che loro, come forza di polizia, avevano fallito; i cittadini avevano tutto il diritto a sentirsi abbandonati e delusi, ma sentirlo dire da qualcun altro lo rendeva improvvisamente più reale, più doloroso.

Erano fuggiti come dei codardi, lasciando indietro le persone che avrebbero dovuto proteggere. Con che coraggio poteva indossare la sua uniforme? Con che coraggio poteva tenere in mano il suo distintivo?

Lunaria, che si trovava in stanza con lei, capì subito che l’orchessa era giù di morale, ma era ancora arrabbiata per il fatto che D’Jagger era finito in cella. Avrebbe voluto tenere il broncio ancora per un po’, ma alla fine decise di andare da lei per provare a consolarla. Alla fine non era colpa sua se avevano rinchiuso di nuovo il suo amico.

«Grazie, sei gentile. Speriamo che il commissario riesca a convincere il governatore di Ziqi City a fornirci un po’ di aiuto.»

Era ormai tarda mattinata quando Mantina tornò da Freyja e dagli altri poliziotti. Non sembrava di buon umore, ma l’orchessa sperò che fosse solo la sua consueta espressione.

«Mi spiace, ma a quanto pare dovremo cavarcela da soli» affermò l’insettoide. «Il governatore e il capo della polizia hanno detto che possiamo restare in città per riorganizzarci, ma non intendono aiutarci a combattere il Sindaco.»

Il malcontento si diffuse in un attimo tra gli agenti.

«Almeno possono fornirci qualche arma?»

Il commissario scosse il capo. «Come ho detto, dovremo cavarcela da soli. Vorrei poter dire che troveremo un modo, ma sapete che non mi piace mentire.»

Freyja avvertì lo sconforto crescere dentro di lei, e lo stesso sentimento era evidente anche sui volti dei suoi colleghi: avevano perso la loro ultima speranza. Ora che anche gli altri poliziotti avevano voltato loro le spalle, erano davvero impotenti.

Il desiderio di andare ad aiutare i cittadini della colonia non si era attenuato, ma farlo nelle loro condizioni avrebbe significato morte certa. Dovevano comunque provarci, anche se sapevano che non avevano chance di successo?

In quel momento qualcuno entrò nella stanza.

«Perdonatemi. Commissario Mantina, il governatore Glazkov desidera vederla.»

L’insettoide mugugnò qualcosa. Freyja ebbe la netta impressione di sentire un “ci mancava solo questa”, ma non voleva pensare male del suo superiore.

«Certo. Prego, mi faccia strada.»

In realtà il governatore della colonia occidentale era già lì fuori, e con lui c’erano diversi giornalisti. Sembrava essersi ripreso quasi del tutto dall’attentato: merito delle ottime cure ricevute alla capitale.

Freyja e gli altri agenti si accalcarono sulla porta per osservarli.

«Commissario» esordì il nano. «Mi rincuora sapere che lei e i suoi colleghi siete sani e salvi.»

L’insettoide accettò la stretta di mano in favore di telecamere. «Anche per me è un sollievo vederla di nuovo in piedi.»

«Come ho già detto, l’attentato ai miei danni è stato un atto vile e ingiustificabile. Ma quello che è successo dopo è ancora peggio.» La sua espressione contrita enfatizzò tutto il dolore che aveva provato negli ultimi giorni. «Vorrei anzi approfittare di questo momento per fare un annuncio a tutti i miei amati concittadini. Dovete resistere, perché presto sarà tutto finito. Il criminale noto come “Sindaco” ha le ore contate: non avrò pace finché non sarà stato assicurato alla giustizia!»

«Governatore, vorrei poter condividere la sua sicurezza, ma al momento non abbiamo i mezzi per contrastare il Sindaco» gli fece notare il commissario, lapidaria.

«Beh, li troveremo. Investirò i miei fondi personali se sarà necessario! Come ho detto: non avrò pace fino a quando il criminale noto come “Sindaco” non sarà stato assicurato alla giustizia!»

A sentire tale dichiarazione, i poliziotti cominciarono a parlottare tra loro.

«Ehi, questa è una buona notizia, no?»

«Mmh, io non mi fido molto di quel tipo.»

«Secondo me sta facendo il possibile, si è solo trovato una colonia di merda.»

«Di sicuro al commissario non piace.»

Freyja all’inizio pensava che il governatore fosse un po’ uno sprovveduto, ma doveva ammettere che si stava impegnando molto per il bene dei cittadini, a maggior ragione ora che la questione era diventata così personale. Certo aveva fatto dei casini, ma non aveva mai visto un politico mettere dei soldi di tasca propria per aiutare gli altri.

I giorni seguenti furono di febbrile attività. Dovevano acquistare gli equipaggiamenti necessari, pianificare le loro mosse e prevedere le contromosse del Sindaco, il tutto compartimentalizzando le informazioni per evitare fughe di notizie. Il commissario Mantina in particolare era sempre impegnata a organizzare le spedizioni o in qualche riunione strategica.

Grazie al governatore trovarono un accordo per usare i dispositivi per le intercettazioni di Ziqi City ed ebbero conferma che il Sindaco si trovava nella sua fortezza. Quello era senza dubbio il luogo più sicuro dell’intera colonia occidentale, tuttavia i suoi uomini erano sparsi per la città, quindi forse avevano qualche speranza di riuscire a entrare.

Mentre loro si preparavano, i colleghi in ospedale ebbero modo di riprendersi e nel giro di un paio di giorni vennero dimessi tutti quanti. Nonostante ciò il loro numero restava esiguo, quindi avrebbero dovuto puntare tutto sul fattore sorpresa, rinunciando completamente all’idea di evacuare i civili.

Era notte fonda quando Freyja venne bruscamente svegliata da Smidr: «Svelta, ci muoviamo!»

«Ma… credevo che l’attacco fosse programmato per domani.» Sbadigliò. «Non abbiamo nemmeno i veicoli ancora.»

«Cambio di piano» tagliò corto il gigante di ghiaccio. «Sbrigati!»

L’orchessa capì che quello era un modo per mettere i bastoni fra le ruote alla spia del Sindaco, sempre ammesso che ce ne fosse una.

Si vestì più in fretta che poté, afferrò una barretta energetica e uscì dalla stanza. Sapeva che la loro era un’impresa estremamente rischiosa, eppure nessuno si era tirato indietro. Erano pronti a dimostrare che una ventina di poliziotti possono davvero cambiare le cose.

Era carica e pronta a combattere, ma appena arrivò in strada le emozioni la sovrastarono: qualcosa era cambiato.


Note dell’autore

Ben ritrovati ^.^

La situazione nella colonia occidentale continua a peggiorare, ma forse c’è ancora una speranza: il governatore ha deciso di giocarsi il tutto per tutto e il commissario Mantina ha anticipato i piani per ottenere il vantaggio della sorpresa. Basterà? Ma soprattutto cos’ha visto Freyja una volta scesa in strada?

E non dimentichiamoci che il pover D’Jagger è finito (di nuovo) dietro le sbarre. Cosa ne sarà di lui adesso?

La nota positiva è che Freyja ha deciso di prendersi cura di Lunaria e la fata sembra stia legando con lei sempre di più.

Come sempre le risposte arriveranno il primo weekend di novembre. Non mancate! ;D


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Capitolo 20
*** 19. Contrattacco ***


19. Contrattacco

Fino a quel momento Freyja si era aggrappata alla speranza e ai suoi ideali di giustizia per convincersi che c’era ancora una possibilità di fermare il Sindaco e i suoi uomini. In alcuni momenti era stato più difficile che in altri, tuttavia in qualche modo era sempre riuscita a trovare un nuovo motivo per non gettare la spugna, un piccolo aiuto che aveva riacceso la sua voglia di lottare.

Ora però la situazione era cambiata.

I suoi occhi si fecero umidi nel vedere lì radunati quasi trenta poliziotti che non aveva mai visto, e altri stavano arrivando su dei veicoli a levitazione.

L’orchessa raggiunse i colleghi della colonia occidentale, tutti sbalorditi ed emozionati quanto lei.

«Ehi… Ehi, Smidr. Loro…?»

«Li ha chiamati il commissario» le spiegò il gigante di ghiaccio. «Sono tutti qui per aiutarci.»

«E tu… tu lo sapevi?»

«Sì… da dieci minuti.» Sorrise. «Il commissario ha compartimentato proprio per bene.»

Nel giro di pochi minuti Freyja riuscì a contare più di cinquanta poliziotti, tutti quanti armati e pronti ad affrontare gli uomini del Sindaco.

«Signori, ascoltatemi!» ordinò il commissario Mantina. «Grazie ai colleghi che sono venuti. I vari capisquadra sanno cosa fare, quindi seguite i loro ordini. Se avete domande rivolgetevi ai vostri superiori. È tutto. Muoviamoci.»

«Wow, questo sì che è un discorso di incoraggiamento!»

Freyja aveva la netta impressione di aver già sentito quella voce, infatti le bastò abbassare lo sguardo per riconoscere i capelli rossi e le orecchie artificiali.

«E tu che ci fai qui?!»

D’Jagger le sorrise. «Sono in libertà condizionata! E la condizione è aiutarvi a fare esplodere la base del Sindaco.»

«Smidr, tu ne sapevi qualcosa?»

Il gigante di ghiaccio annuì. «È già stato lì, quindi ci ha dato una mano a pensare a un piano. Il commissario ha detto che se le cose vanno bene avrà uno sconto sulla pena, se invece vanno male possiamo usarlo come diversivo.»

«No, aspetta, io me lo ricordavo diverso! Se vinciamo sono libero e se perdiamo mi riportate in cella, possibilmente incolume.»

«Il commissario ha cambiato idea.»

Il goblin soffocò un’imprecazione. «Lo sapevo che quella sotto sotto è una cattiva!»

Stavano già salendo sui veicoli quando Lunaria saltò fuori dal nulla, felice di poter rivedere il suo amico, ma attenta a non mostrarlo troppo apertamente.

«Aggiornamenti dal disturbatore?» chiese Mantina, che si trovava sullo stesso fuoristrada a levitazione di Freyja e D’Jagger.

«Funziona perfettamente» riferì il suo interlocutore. «Nessuna trasmissione è entrata o uscita dalla colonia occidentale nelle ultime trentadue ore.»

«Ottimo, continuate a tenerli isolati.»

Il goblin si sporse verso i sedili davanti. «Ehi, capo, adesso puoi dirci il piano?»

«Tagliare la testa al Sindaco» dichiarò l’insettoide. «Metaforicamente parlando. Ma anche materialmente se sarà necessario.»

D’Jagger si avvicinò a Freyja. «Visto?» bisbigliò. «Ne ho visti di capi severi, ma lei è proprio cattiva dentro!» Poi, tornando a un tono di voce normale: «Ottimo, mi piace! E con tutti questi agenti sarà facile assaltare la sua fortezza.»

«I colleghi non sono qui per assaltare la fortezza.»

Il goblin scattò in avanti. «E allora cosa sono qui a fare?!»

Freyja lo prese per la felpa e lo tirò indietro.

«Non è necessario che tu lo sappia» tagliò corto il commissario.

“È proprio una stronza” confermò Lunaria.

L’orchessa decise di fingere di non conoscerli per il resto del viaggio, che per sua fortuna durò solo pochi minuti.

Raggiunta la colonia occidentale i veicoli si fermarono, ma non erano all’ingresso: davanti a loro c’era infatti solo la superficie semitrasparente della cupola.

«Mmh, qualcuno ha sbagliato strada?» azzardò D’Jagger.

Il suo commento venne presto smentito perché alcuni poliziotti tirarono fuori un congegno e lo appoggiarono alla cupola. Il dispositivo si ingrandì e in pochi secondi creò un’apertura abbastanza grande da far passare i loro veicoli.

«Reistig, potete far partire l’hacking contro la rete del Sindaco» affermò il commissario. «Agenti della colonia occidentale, attivate la mimetizzazione e seguiteci.»

Il mezzo su cui si trovava l’insettoide parve svanire nel nulla e attraversò il passaggio, subito seguito da altri due anch’essi pressoché invisibili.

«Domanda: se siamo mimetizzati come fanno a seguirci?» intervenne D’Jagger.

«Valkyregard» chiamò Mantina. «Se fa un’altra battuta, sbattilo fuori. E non disturbarti ad abbassare il finestrino.»

«Sì, commissario.»

Lunaria, meno avvezza alla tecnologia, fu l’unica a non cogliere il senso di quel discorso.

Grazie all’occultamento riuscirono ad attraversare indisturbati la colonia e in poco tempo raggiunsero la loro meta.

«Signori, il Sindaco è lì dentro» dichiarò il commissario. «Ci divideremo in tre gruppi come siamo ora. Ricordate: il nostro obiettivo è toglierlo di mezzo. Catturatelo se possibile, altrimenti uccidetelo. Incontreremo resistenza, quindi non trattenetevi.»

Tutti quanti confermarono l’ordine e poi scesero dai veicoli.

«Ok, Rahoud, vediamo se sei davvero utile come dici» lo esortò l’insettoide.

Il goblin fece comparire una granata. «Non aspettavo altro!»

Prese qualche passo di rincorsa e lanciò l’ordigno contro l’ingresso della fortezza. C’erano due uomini armati di sorveglianza, ma quando si accorsero dell’attacco era già troppo tardi. L’esplosione li investì in pieno e furono scaraventati a diversi metri di distanza.

I poliziotti non persero tempo e corsero verso l’apertura. Il gruppo del commissario andò al piano di sopra, gli altri invece imboccarono i corridoi al piano terra.

Alcuni fuorilegge provarono a contrastarli, ma gli agenti li neutralizzarono senza esitazione.

«Controllate tutte le stanze!»

Freyja abbatté la porta più vicina e guardò all’interno, ma era vuota.

D’Jagger ne aprì un’altra, ma trovò solo strumentazioni. Evidentemente i lavori non erano ancora terminati.

«Ne arrivano altri!» segnalò un collega.

Il goblin e i poliziotti sfruttarono le stanze già controllate come copertura e risposero all’assalto. Uno dei criminali si tramutò in un serpente di fuoco e serpeggiò verso di loro, rapidissimo e immune ai proiettili. Si avvolse intorno a uno degli agenti e questi urlò di dolore per le ustioni.

D’Jagger non era sicuro che sarebbe stata una buona idea, tuttavia c’era poco tempo per riflettere e così lanciò contro di loro una granata. L’onda d’urto investì entrambi, ma almeno riuscì a dividere l’aggressore dall’agente. Il criminale, stordito, tornò in forma umanoide e il commissario ne approfittò per freddarlo con un paio di colpi al torace.

Mantina lanciò uno sguardo per capire le condizioni del suo sottoposto. Non avevano il tempo di medicarlo, ma forse non ce n’era bisogno: la fata che stava sempre con D’Jagger era andata da lui e lo stava aiutando con un incantesimo di guarigione.

Eliminato l’ultimo fuorilegge, si riunirono col collega a terra.

«Puoi continuare?» gli chiese Mantina.

Lui annuì. Era dolorante, ma riuscì comunque a rimettersi in piedi.

Gli sgherri del Sindaco si stavano difendendo con grande determinazione, ma per il momento non avevano incontrato nessuno dei suoi uomini più pericolosi. Forse tutta la segretezza degli ultimi giorni li stava ripagando: finalmente erano riusciti a cogliere di sorpresa il loro avversario.

«Di qua dovrebbe esserci la sala comunicazioni» affermò D’Jagger, che aveva fatto una scansione dell’edificio con il suo casco.

«Ok, andiamo a distruggerla» stabilì il commissario.

La loro meta era vicina, ma ovviamente incontrarono altra resistenza.

«Pensate che il Sindaco sia lì?» gridò Freyja per superare il frastuono dei proiettili.

«C’è un solo modo per scoprirlo!» esclamò D’Jagger. Lanciò l’ennesimo ordigno, ma uno dei criminali lo fermò a mezz’aria e lo rispedì al mittente.

Il goblin imprecò e si gettò a terra. I suoi alleati fecero altrettanto, giusto in tempo per non essere investiti dall’esplosione.

«Ah, ma adesso gli faccio vedere!»

Lanciò una granata stordente: il telecineta provò a intercettarla, ma il flash lo colpì ugualmente. Abbagliato e confuso, il malcapitato e i suoi compagni vennero poi investiti da una violenta esplosione che risuonò in tutto il corridoio, mettendo bene in chiaro con chi avevano a che fare.

«Cazzo, avvisa prima di lanciare una flashbang!» imprecò uno dei poliziotti, che era stato coinvolto dal lampo.

«Ops, scusa. Non sono abituato ad avere compagnia…»

Lunaria, che era andata ad assistere l’agente, gli rifilò un’occhiataccia offesa.

«Meno chiacchiere, muoviamoci!» ordinò Mantina.

Finalmente riuscirono a raggiungere l’ingresso della sala comunicazioni, da dove il Sindaco aveva gestito la sua campagna propagandistica. Il personale si era dileguato, ma su alcuni schermi si potevano ancora vedere alcuni dei videomessaggi che venivano trasmessi per le strade.

«Rahoud!»

«Subito, commissario!»

Il goblin lanciò all’interno tre granate e si affrettò a mettersi al riparo. La raffica di esplosioni devastò tutte le strumentazioni, lasciando dietro di sé solo pezzi di metallo sventrato.

«Speriamo che basti a far tacere quei messaggi» dichiarò Mantina. «E ora pensiamo al Sindaco.»

«Un momento, credo di averlo trovato!» esclamò uno degli agenti. «La corporatura corrisponde. Di qua!»

Il poliziotto fece strada e in un attimo si trovarono davanti a una grande porta blindata. Non era rimasto nessuno a sorvegliarla, quindi dovevano solo trovare il modo di entrare.

«Rahoud, pensi di poterla aprire?»

«Lo vediamo subito!»

Il goblin fece scorrere rapidamente l’arsenale che aveva nel guanto finché non trovò quello che gli serviva.

«Presto! Credo ci abbia visti!» lo esortò un agente, che grazie alle sue percezioni era in grado di avvertire quello che accadeva oltre gli spessi muri.

D’Jagger posizionò l’esplosivo e poi fece allontanare tutti quanti. Attivò l’innesco e la detonazione controllata fece sobbalzare il battente. La spessa lastra di metallo si inclinò all’indietro e poi cadde con un tonfo fragoroso.

Gli agenti si precipitarono all’interno. Quello era chiaramente l’ufficio del Sindaco, pieno di schermi da cui controllare la fortezza e parte della colonia, ma ormai era vuoto.

«Non è possibile!» esclamò il sensitivo. «Era qui, ne sono certo!»

«Deve aver usato un passaggio segreto» dichiarò Mantina, che già si era messa a cercare in giro.

Gli altri fecero altrettanto, ma la loro sembrava un’impresa inutile.

All’improvviso ricevettero una comunicazione: «È il Sindaco!» esclamò l’ispettore Smidr. «L’abbiamo trovato! Ripeto: abbiamo trovato il Sindaco!»

«Non fatevelo sfuggire!» ribadì l’insettoide. «Dove siete?»

«Parcheggio interrato! Maledizione, è salito su un blindato! Fuoco! Fuoco!»

Udirono il fragore degli spari, poi il rumore del pesante veicolo che li superava a tutta velocità.

«Torniamo ai veicoli!» ordinò Smidr.

«Andiamo anche noi» disse il commissario.

D’Jagger e i poliziotti corsero a ritroso verso l’uscita. Erano appena scesi per la scalinata dell’ingresso quando videro qualcuno sulla soglia. Si bloccarono di colpo e un brivido li attraversò: Kerberosz Égettvér era lì davanti a loro.

Un attimo dopo arrivarono anche gli agenti del terzo gruppo e pure loro si arrestarono immediatamente.

Il tartariano li numerò rapidamente. «Bene, contando anche quegli altri dovreste essere tutti.»

«Cos’hai fatto ai nostri colleghi?» sibilò Mantina.

«Oh, a loro niente: sono uno di parola. A voi invece…» Spense sul muro il suo sigaro e lo ripose in una tasca della giacca. «Oh, con voi mi divertirò!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente è arrivato il contrattacco della polizia, con tanto di agenti di supporto e D’Jagger al seguito!

Il piano stava procedendo abbastanza bene, ma il Sindaco è riuscito a fuggire e ora i nostri eroi dovranno vedersela con Kerberosz (che però non ha fermato il primo gruppo).

Menzione d’onore per il commissario Shanti “Cattiva Dentro” Mantina XD

Il prossimo capitolo sarà incentrato sullo scontro con Kerberosz, non mancate!

A presto ^.^


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Capitolo 21
*** 20. L’Araldo dell’Apocalisse ***


20. L’Araldo dell’Apocalisse

«Oh, con voi mi divertirò!» esclamò Kerberosz, felice di poter affrontare la polizia della colonia occidentale.

Gli agenti puntarono le loro armi, ma nessuno osò prendere l’iniziativa. Tutti quanti sapevano che, appena premuto il grilletto, anche il loro nemico si sarebbe scatenato.

D’Jagger fece comparire una granata, ma anche lui rimase immobile. Fino a quel momento era stato relativamente facile affrontare gli sgherri del Sindaco, ma ora le cose erano cambiate. Il tartariano lì davanti era un avversario estremamente temibile: c’era il serio pericolo che li uccidesse tutti con le sue mani.

Kerberosz scattò in avanti all’improvviso. Raggiunse l’agente più vicino, colpì la sua pistola e gli tirò un calcio al ginocchio. Il rumore delle ossa spezzate e il grido di dolore destarono gli altri poliziotti, che quasi all’unisono aprirono il fuoco. Il tartariano si tuffò in avanti, incurante dei proiettili grazie alla sua armatura energetica. Disarmò un altro agente, gli ruppe un braccio e lo calciò via.

La teriantropa di tipo ghepardo provò a coglierlo di sorpresa con la sua velocità e lo colpì con una raffica di pugni. In un primo momento parve funzionare, ma poi Kerberosz riuscì ad afferrarla per un braccio e la scaraventò a terra.

«Odio i velocisti!»

Sollevò un piede e le calpestò la schiena con tutta la sua forza. Le vertebre andarono in frantumi e la poliziotta urlò di dolore.

D’Jagger aveva combattuto tante volte, ma in quel momento si sentì sopraffatto. Vedeva i poliziotti cadere uno dopo l’altro, del tutto inermi, e lui se ne stava lì imbambolato con la sua granata.

Kerberosz afferrò l’ennesimo poliziotto, lo sollevò e senza fatica lo scagliò contro il goblin. D’Jagger venne investito in pieno e la granata gli sfuggì di mano. Improvvisamente lucido, tirò al riparo l’agente, troppo stordito per muoversi. L’esplosione gli fece tremare il petto, vicinissima: se non combatteva, sarebbe morto sul serio.

Fece comparire una granata stordente.

«Flash!»

Lanciò l’ordigno contro il tartariano. Questi si riparò con le braccia, ma il lampo lo accecò ugualmente.

«Tu sei il prossimo!» imprecò.

Freyja capì che era il momento di agire: gettò a terra la sua pistola, del tutto inefficace, e impugnò il manganello. Colpì Kerberosz con forza e la scarica elettrica danneggiò seriamente il suo scudo d’energia. Colpì ancora, e poi ancora, riuscendo ad annullare la sua barriera. Al quarto attacco, il tartariano bloccò il manganello con la mano. Afferrò Freyja e la sollevò. Un subdolo sorriso fece capolino sulle sue labbra prima di lanciarla fuori dall’edificio. L’orchessa attraversò in volo tutta la strada e si schiantò contro il palazzo di fronte.

I pochi colleghi ancora in piedi la videro stramazzare a terra, ma non c’era tempo per soccorrerla.

Mantina riprese a sparare, sperando di riuscire a guadagnare un po’ di tempo. Aveva inviato il segnale di emergenza, ma ci sarebbe voluto un po’ prima che i colleghi arrivassero. E lei non era sicura che sarebbero riusciti a resistere abbastanza a lungo.

Lunaria, terrorizzata da quello che stava succedendo, volò verso Freyja. Non le importava dei poliziotti – D’Jagger era stato l’unico a fare qualcosa per proteggere le fate dai cacciatori – tuttavia l’orchessa era stata gentile con lei. Non voleva che morisse.

Era pronta a usare su di lei la sua magia curativa, ma Freyja si tirò su da sola. «No» esalò. «Aiuta gli altri.»

La fata provò a insistere, ma l’orchessa le mise una mano davanti, quasi con forza. «Ti prego» la implorò, «non lasciarli morire.»

Lunaria esitò: anche Freyja era messa male, l’impatto era stato molto violento e sanguinava dalla testa. Ciononostante annuì e tornò verso la fortezza.

L’orchessa trasse un profondo respiro e chiamò a raccolta tutta la sua concentrazione. Serrò i pugni, liberò la mente dal dolore e rievocò i ricordi del suo addestramento.

«Ehi, stronzo!»

Kerberosz, che stava tenendo per il collo il commissario Mantina, si voltò.

«Tutto qui quello che sai fare?»

Il tartariano sorrise. Lasciò cadere l’insettoide e uscì in strada. «Sai, mi piacciono le donne forti» ammise. «Spero riuscirai a farmi divertire.»

L’orchessa gli rivolse un sorriso di scherno. «Scusa, ma non sei proprio il mio tipo.»

Kerberosz parve cogliere la battuta, ma un istante dopo era già all’attacco. Freyja deviò il pugno e lo colpì sullo zigomo. Gli tirò un sinistro allo stomaco e poi un destro sul mento.

Il tartariano indietreggiò. «Sei più forte di quanto sembri» ammise. «Bene!»

Tornò all’attacco con impeto ancora maggiore. Riuscì a far breccia nella difesa dell’orchessa e le assestò un violento pugno sulla mandibola. Le prese la testa fra le mani e la colpì con una ginocchiata, così forte da farla volare all’indietro.

Freyja sentiva il sangue che scendeva dal naso, ma quella era probabilmente la meno grave delle sue ferite. Il suo piano era di guadagnare tempo, ma se non combatteva con tutta sé stessa sarebbe morta prima dell’arrivo dei rinforzi.

Si rialzò. Le sue gambe sembravano sul punto di cedere, ma si mise ugualmente in posizione di guardia.

Kerberosz, che non aspettava altro, si avventò su di lei. Caricò il pugno, ma Freyja lo anticipò con una manata alla gola. Il tartariano, che non si aspettava un colpo del genere, rimase un attimo immobile e l’orchessa poté rifilargli un violento pugno sull’occhio. Il criminale indietreggiò, stordito, ma la poliziotta non si fermò. Lo destabilizzò con un calcio al ginocchio, gli afferrò un polso e gli torse il braccio.

Un simile attacco avrebbe fatto saltare il gomito a chiunque, ma non a un tartariano. Kerberosz riuscì a liberarsi dalla presa e la fece cadere con una spazzata di gamba. Provò a bloccarla a terra, ma Freyja si dimenò con forza e riuscì a scaraventarlo via.

L’orchessa vide con la coda dell’occhio i colleghi che raggiungevano i veicoli. Doveva guadagnare ancora un po’ di tempo, e poi sarebbe potuta fuggire con loro.

Il criminale intanto si era già rialzato. L’ultima serie di attacchi avrebbe dovuto danneggiarlo, invece sembrava ancora in ottima forma.

«Spero tu non sia già stanca» commentò. «Dovrai fare molto meglio di così per fermare l’imminente nuovo Sindaco» aggiunse mostrando un sorrisetto saccente.

Scattò di nuovo, rapido come se lo scontro fosse appena iniziato. Caricò il pugno, ma all’ultimo cambiò tattica. L’orchessa riuscì a leggere il suo placcaggio e d’istinto spiccò un balzo. In genere gli orchi non sono dei buoni saltatori, ma lei riuscì a sollevarsi come una gazzella, proiettò le gambe verso l’alto e con una mano afferrò la più lunga delle due corna di Kerberosz.

Il tartariano, troppo stupito per contrastare quell’attacco, si inarcò all’indietro. Freyja tese i muscoli e lo lanciò con tutta la forza che aveva. Questa volta fu il tartariano ad attraversare in volo tutta la strada e a schiantarsi contro la parete della fortezza, scalfendone lo spesso rivestimento antiproiettile.

Kerberosz cadde carponi, stordito, ma sicuramente non sconfitto. Ansimando leggermente guardò la sua avversaria, ma qualcosa si frappose fra loro: un veicolo dotato di mimetica ottica.

Un paio di agenti aiutarono Freyja a salire e poi si allontanarono a tutta velocità.

Il tartariano si rialzò. Gli sarebbe piaciuto dare il colpo di grazia alla sua avversaria, ma anche in condizioni normali avrebbe avuto grandi difficoltà a inseguire un mezzo invisibile.

Poco male: avrebbe avuto di sicuro altre occasioni per affrontarla.

La vera guerra era appena cominciata.

***

Rimuovere tutta la terra si era rivelata un’impresa più impegnativa del previsto. Non solo per via dei mezzi molto limitati a loro disposizione, ma anche e soprattutto per via della quantità di materiale interessato.

Già dopo il primo giorno di scavo la dottoressa Mwanda era riuscita a capire che quello che avevano davanti era uno spesso portone, tuttavia man mano che procedevano era diventato evidente che era molto più grande del previsto. Ora che quasi tutta la terra era stata rimossa, davanti a loro svettava un enorme ingresso largo quasi venti metri e alto più di quindici.

«Qualsiasi cosa ci sia qui dentro, deve essere bella grande» commentò Priscilla.

Il rumore aveva attirato qualche animale, ma niente che i sei cacciatori e gli altri uomini della sorveglianza non fossero in grado di gestire. Questi ultimi erano stati spostati lì dal laboratorio così da concedere al Branco un po’ di riposo.

«Avete qualche idea per come aprirlo?» chiese Warren, la voce smorzata da una punta di imbarazzo. In quei giorni i suoi compagni si erano impegnati molto per farlo avvicinare alla dottoressa Mwanda, inventando ogni scusa possibile per farli stare insieme e dare loro spunti di conversazione.

«Non ho mai visto una tecnologia simile» ammise la sauriana, che sicuramente aveva capito il piano dei cacciatori, ma che per il momento stava facendo finta di niente. «L’interfaccia è molto diversa da quelle in uso. Anche solo questa serratura è una scoperta straordinaria: se è antica come penso, potrebbe appartenere a una civiltà antecedente all’Yggdrasill.»

Il gigantista vide i suoi compagni che lo incitavano a proseguire.

«È… È molto interessante» dichiarò, ma il suo tono non risultò molto convincente.

«Ho ultimato la schermatura per la lama a flussi di plasma» intervenne Albion. Non era solo curioso di scoprire cosa ci fosse all’interno di quel bunker, per lui era stimolante anche solo riuscire a forzare lo spesso battente rimasto chiuso da chissà quanto tempo. Il fatto che probabilmente era stato costruito da un’antica civiltà estremamente avanzata era poi il culmine della sua eccitazione.

Un clangore improvviso risuonò nella foresta, seguito dal silenzio: nessuno osava parlare, perfino gli animali sembravano essersi zittiti.

Si udì come un sospiro e poi il pesante battente cominciò a scorrere di lato, lento e solenne. Gli sguardi di tutti i presenti erano fissi sull’oscurità subito oltre, che lentamente veniva rischiarata dalla soffusa luce di Niflheim.

L’antico bunker si era aperto.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati a (circa) metà di La frontiera perduta O.O

In questo capitolo ricco di azione abbiamo visto all’opera Kerberosz, che di sicuro ha tenuto fede alla sua fama. Ma anche Freyja ha dimostrato di essere parecchio tosta: se il suo avversario non fosse stato il tartariano, probabilmente sarebbe riuscita a spuntarla.

Alla fine la polizia è stata costretta a ritirarsi (e possono ritenersi fortunati a esserci riusciti), ma si lasciano dietro una bella grana da risolvere. E i commenti di Kerberosz non lasciano sperare nulla di buono, anzi…

Il pezzo finale è stato un po’ più tranquillo, ma di sicuro non meno importante: finalmente gli scienziati hanno aperto il bunker (o forse è meglio dire “si è aperto”?). In ogni caso ora non resta che scoprire cosa nasconde.

Nel frattempo vi ricordo che il Sindaco è ancora in fuga, quindi non perdete il prossimo capitolo.

A presto ^.^


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Capitolo 22
*** 21. Missione compiuta ***


21. Missione compiuta

Tra ossa rotte e lesioni varie, D’Jagger e i poliziotti lì con lui erano tutti messi abbastanza male. Solo l’intervento di Freyja aveva evitato un bilancio ancora più grave.

«A tutte le unità, parla il commissario Mantina.» L’insettoide aveva la voce disturbata, e la causa era sicuramente il tentato strangolamento ad opera di Kerberosz. «Siamo riusciti a fuggire, ma siamo feriti: dobbiamo tornare subito a Ziqi City. Come procede l’evacuazione?»

«Abbiamo quasi ultimato di evacuare i quartieri residenziali che ci hai segnalato» le rispose uno degli agenti. «L’ul-» Si interruppe all’improvviso e dal microfono uscì un sonoro crepitio, probabilmente un attacco magico di qualche tipo. «L’ultimo gruppo sta aspettando che torni un veicolo, ma siamo stati attaccati da uomini armati. Appena avremo messo al sicuro i civili, dovremo andarcene anche noi.»

«Ricevuto. Grazie per l’aiuto.»

«Ci sono degli immigrati irregolari nei quartieri abusivi» esalò Freyja. Lunaria stava facendo il possibile per contenere le sue ferite, ma le sue abilità curative erano limitate. «Dobbiamo andare a prenderli.»

«No, è troppo rischioso» ribatté Mantina. «E risparmia il fiato: hai superato le mie aspettative, ma sei comunque conciata male.» Detto ciò riprese in mano il comunicatore. «Smidr, aggiornami.»

«Siamo ancora all’inseguimento del Sindaco» disse il gigante di ghiaccio. «Gli stiamo addosso, ma…» Questa volta fu una violenta esplosione a disturbare il loro discorso. «Cazzo! Quello stronzo ci sta sparando addosso munizioni esplosive!»

«Dovete fermarlo a qualsiasi costo» ordinò l’insettoide. «Ora dipende tutto da voi.»

«Ce la faremo.»

 Il blindato del criminale imboccò un vicolo a destra e il mezzo dei poliziotti si accodò.

Si trovavano nei quartieri abusivi e qua e là si potevano vedere i resti di vecchi scontri: mura sfondate, voragini nel terreno, barricate mezze distrutte e veicoli carbonizzati. L’intervento dei mercenari di certo non aveva migliorato le cose sotto questo aspetto.

Il fuggiasco sparò l’ennesimo colpo dall’arma fissa montata sul suo veicolo, ma il proiettile andò a vuoto e l’esplosione coinvolse solo un malridotto prefabbricato. Se non altro il Sindaco aveva una pessima mira.

«Avanti, dobbiamo prenderlo!» esclamò Smidr.

Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi: le loro armi erano del tutto inefficaci e avvicinandosi sarebbero diventati un bersaglio molto più facile. Ormai potevano solo sperare che il fuorilegge andasse a sbattere da qualche parte.

Nessuno di loro pensava che sarebbero stati così fortunati, invece una delle ruote del blindato finì in una grande buca e il mezzo sbandò all’improvviso.

«Mio dio!»

Il robusto veicolo sbatté contro i resti di una barricata e si ribaltò.

«Porca miseria!»

Scivolò per inerzia, trascinato dal suo stesso peso, e si schiantò contro un edificio, così forte da poter essere udito in tutto il vicinato.

Il poliziotto alla guida inchiodò e improvvisamente calò il silenzio.

«Avete sentito il commissario? Dobbiamo prendere il Sindaco!» ordinò Smidr.

Tutti quanti impugnarono le armi e scesero dal veicolo, attenti e concentrati: ormai sapevano di non dover sottovalutare il loro nemico.

Cominciarono ad avvicinarsi, lenti e con cautela. Dopo pochi secondi una violentissima esplosione li investì e li scaraventò indietro.

Difficile dire quanto rimasero a terra. Fu la voce del commissario Mantina a risvegliarli: «Mi ricevete? Cos’è successo? Smidr! Qualcuno mi riceve?!»

«Merda!» imprecò uno degli agenti. «Fottuti esplosivi!»

«Il veicolo del Sindaco… è esploso» riferì il gigante di ghiaccio. «Ha perso il controllo e si è schiantato. Questo deve aver innescato le munizioni che trasportava.»

«Quindi è morto? Avete visto il cadavere?»

«Ora andiamo a controllare…»

Ancora storditi, i poliziotti si avvicinarono con estrema cautela. Il blindato era avvolto dalle fiamme, il calore era insopportabile, ma dovevano assicurarsi che il Sindaco non fosse fuggito.

«Vedo qualcosa.»

«Sì, lo vedo anche io.»

«È sicuramente il Sindaco.»

«Merda, non ci credo che sia morto così!»

«Riuscite a recuperare il cadavere?» chiese Mantina. «Dobbiamo identificarlo.»

«Sta ancora bruciando, ora ci proviamo… Un momento. Cazzo, sta arrivando qualcuno! Al riparo!»

Il commissario e gli altri udirono un rumore di spari.

«Sono arrivati altri criminali!» esclamò il gigante di ghiaccio. «Dobbiamo andarcene!»

 «Ricevuto» annuì l’insettoide. «A tutte le unità: il Sindaco è morto, ci ritiriamo a Ziqi City.»

D’Jagger avrebbe voluto fare una battuta sulla deludente fine del loro acerrimo nemico, ma preferì trattenersi: i poliziotti lì presenti avevano pagato a caro prezzo quel risultato.

***

Ora che l’imponente portone era aperto, la dottoressa Mwanda, Albion e i membri del Branco poterono finalmente mettere piede all’interno.

L’ambiente era per lo più immerso nella penombra, ma riuscirono ugualmente a distinguere delle sagome.

«Sono… robot» notò Priscilla.

Il faunomorfo di tipo gibbone sembrava un po’ deluso: «Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più… mistico.»

Le macchine avevano una struttura vagamente antropomorfa, probabilmente basata sull’aspetto dei loro creatori. Sembravano tutte quante inerti.

«La sorgente dell’interferenza è più avanti» affermò la sauriana consultando il suo congegno.

Facendosi luce con delle semplici torce avanzarono nell’oscurità.

Ben presto si accorsero che oltre alle unità umanoidi, ce n’erano anche di più grandi: robot bipedi e quadrupedi che arrivavano fino ai cinque metri. Con ogni probabilità il loro aspetto era ispirato a quello di animali ormai estinti.

«Quelli piccoli devono essere autonomi, a meno che non dispongano di un qualche sistema di controllo remoto» rifletté Albion. «Quelli grandi potrebbero ospitare un abitacolo, ma non ci conterei più di tanto.» Continuò a fissare le macchine, affascinato dalle loro forme a volte spigolose e a volte più morbide. «Davvero interessante!»

«Ci siamo» annunciò la dottoressa Mwanda. «Questa è la sorgente dell’interferenza.»

L’artefatto in questione non sembrava molto grande, ma non era da escludere che il supporto fosse parte integrante dei suoi sistemi.

«È incredibile che sia ancora in funzione» esalò la sauriana.

«Lo spegniamo?» domandò il gigantista.

«Sì, ma prima dobbiamo fare dei test. Soprattutto dobbiamo capire se i robot sono davvero inattivi o se è l’interferenza che li mantiene tali.»

«Sarebbe spiacevole se ci attaccassero» convenne il faunomorfo.

«Vado ad avvisare Mowatalji che abbiamo aperto il bunker» affermò la dottoressa Mwanda. «Albion, non fare nulla di stupido. Priscilla, controlla che non faccia nulla di stupido.»

L’anfibiana sorrise apertamente, certa del fatto che il suo casco avrebbe nascosto la sua ilarità. «Thiago e Yalina, voi state con me. Warren, scorta Vongai al campo base.»

Tutti quanti annuirono e i due sauriani uscirono dal bunker.

Dopo un po’ che camminavano il gigantista si schiarì la voce. «Finalmente siano riusciti a entrare. Come hai fatto?»

«In realtà credo si sia aperto da solo. Forse i suoi creatori l’hanno programmato affinché reagisse a quelli che lo avrebbero scoperto. Non escludo l’ipotesi malfunzionamento, ma di solito i bunker guasti restano sigillati, non si aprono appena arriva qualcuno.»

«Beh, siamo stati fortunati allora.» Dopo un momento proseguì: «Ora potrete andare avanti con le vostre ricerche.»

«Già. Anche se ammetto che mi sarebbe piaciuto fare una pausa.»

La coda del sauriano ebbe un sussulto: era il suo momento. Doveva chiedere alla dottoressa di fare qualcosa insieme, ma cosa? I suoi compagni gli avevano dato dei suggerimenti, ma quali erano? «A questo proposito… emmh… Ho notato che mangi spesso cibo istantaneo… quindi magari potrei… boh… preparare qualcosa. Se ti va.»

Vongai si voltò leggermente verso di lui, ma il casco nascose l’imbarazzo del cacciatore.

«Sì, in effetti mi piacerebbe mangiare qualcosa che non sia cibo istantaneo.»

Il volto di Warren parve illuminarsi. «Ottimo! Farò del mio meglio!»

Raggiunsero il campo base, situato ai limiti dell’area dove l’interferenza diventava troppo forte. Avevano deciso di costruirlo per ridurre i tempi di viaggio tra il bunker e la colonia, e come il laboratorio era formato da semplici prefabbricati.

«Credi che siano utilizzabili?» le domandò Mowatalji una volta appurata la situazione.

«Onestamente non ne ho idea. Potrebbero cadere a pezzi appena proviamo a esaminarli.»

«Capisco. In ogni caso avviserò il Sindaco. Informo anche i miei superiori e ti farò sapere come dovete muovervi. Buona giornata, dottoressa.»

«Certo, restiamo in attesa. Buona giornata.»

***

La notizia della morte del Sindaco si era ormai sparsa per tutta la colonia occidentale, ma Kerberosz non sembrava particolarmente turbato: era seduto nell’ufficio del suo ormai ex superiore e stava fumando il solito sigaro con gli stivali incrociati sul tavolo.

Dopo aver soffiato l’ennesima nuvola di fumo, tirò fuori il suo comunicatore di produzione militare e avviò una chiamata.

«Pronto? Chi parla?» chiese l’uomo dall’altra parte.

«Sei tu il capo degli artificieri?»

L’insettoide, magrissimo, annuì con fare altezzoso. Dopo un momento riconobbe il volto olografico che aveva davanti e il suo atteggiamento cambiò leggermente. «Aspetta, sei Kerberosz Égettvér. Comunque sì, sono io. È vero che il Sindaco è morto?»

«Non devi preoccuparti di questo, ho un lavoro per te.»

L’altro esitò un momento. «Di che si tratta?»

Il tartariano sorrise malignamente. «Ho in mente qualcosa di speciale, e mi servirà un bel po’ di esplosivo.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Siamo arrivati più o meno a metà del racconto, quindi mi sembra un buon momento per ringraziare la mia beta Hesper che continua a darmi una mano per migliorare le mie storie ^.^

Riguardo al capitolo, il Sindaco ha fatto una brutta fine, ma sicuramente non quella che speravano i poliziotti. È strano vederlo uscire di scena(?) così, ma questo non vuol dire che il lavoro sia finito per Freyja e compagnia, al contrario: Kerberosz ha già dimostrato di essere un tipo pericoloso, uno che ricerca il male fino a se stesso, e ora non ha più nessun motivo di trattenersi.

Cambiando un po’ atmosfera, gli scienziati hanno finalmente individuato la sorgente dell’interferenza, ma quello che ha fatto davvero dei passi avanti è probabilmente Warren XD

Ora non resta che aspettare il responso dei superiori di Mowatalji… e nel frattempo preparare i migliori piatti che si siano mai visti a ovest della colonia occidentale ;)

Grazie per essere ancora qui e a presto ^.^


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Capitolo 23
*** 22. Lunga vita al Sindaco! ***


22. Lunga vita al Sindaco!

Il veicolo della polizia ci mise una decina di minuti per raggiungere Ziqi City, e già da lontano gli agenti ebbero modo di notare un grande affollamento nei pressi dell’ingresso.

Una volta all’interno della cupola, videro dai finestrini decine e decine di persone in attesa: erano i profughi della colonia occidentale, per la precisione quelli che erano già stati controllati ma che non erano ancora stati trasportati in qualche altro luogo. Erano comprensibilmente confusi e preoccupati, ma almeno erano al sicuro.

Il poliziotto alla guida proseguì verso l’ospedale più vicino, ma scoprirono che era già affollato per via delle visite ai rifugiati della colonia occidentale, così dovettero proseguire verso un altro policlinico.

Tutti gli agenti vennero visitati e ben presto venne diffuso il primo bollettino: dei diciannove agenti della colonia occidentale, cinque erano in gravi condizioni, dieci avevano subito danni seri ma sarebbero stati dimessi a breve e solo i restanti quattro se l’erano cavata con ferite lievi.

D’Jagger era stato fortunato: non aveva niente di rotto e presto degli agenti sarebbero venuti per riportarlo in cella. In quel momento stava approfittando dei suoi ultimi momenti di libertà – così li chiamava – per seguire un notiziario: voleva capire se tutti i loro sforzi erano serviti a qualcosa.

«Tra poco il governatore Glazkov dovrebbe tenere una conferenza stampa per commentare quanto successo nella colonia occidentale. Ma un momento: mi informano che qualcuno sta trasmettendo in diretta proprio dalla colonia occidentale. Possiamo vedere il collegamento.»

Il goblin non credeva ci fossero ancora giornalisti nella Topaia, e infatti la trasmissione non era opera di reporter accreditati: quello al centro dell’inquadratura era Kerberosz Égettvér. Aveva scelto come sfondo la centrale di polizia, con tanto di cadaveri ancora appesi alle finestre. Sembrava fin troppo compiaciuto per essere uno che ha appena perso il lavoro.

Il tartariano rimase ancora un momento in attesa, forse per far aumentare il suo pubblico, poi finalmente cominciò a parlare: «Beh, spero stiate guardando, perché devo fare un annuncio importante. Sono Kerberosz Égettvér, e questo è quello che succederà al resto della colonia occidentale se non mi date retta.»

Il criminale si spostò leggermente di lato e l’operatore zoomò sulla centrale di polizia. Dopo pochi istanti i sistemi automatici del notiziario censurarono la vista dei cadaveri, ma l’immagine era comunque abbastanza forte da intimorire la maggior parte degli spettatori.

Quello del tartariano sembrava già un minaccioso avvertimento, ma il vero messaggio arrivò qualche secondo dopo: la centrale esplose all’improvviso e le fiamme ruggirono in tutte le direzioni. I detriti vennero sparati con violenza inaudita e un’enorme nuvola di fumo si sollevò verso l’alto, ammassandosi in cima alla cupola.

Lo stesso D’Jagger sussultò. Mentre la polvere cominciava a diradarsi, ebbe addirittura l’impressione di sentire l’onda sonora che dalla colonia occidentale arrivava fino a Ziqi City.

Il tartariano doveva averla riempita di esplosivi, infatti anche gli edifici vicini erano stati sventrati dalla violenza dello scoppio, tanto che rimasero solo macerie e cenere in un raggio di decine di metri.

«Per cominciare voglio un milione di crediti in rodio. Consegnatelo quanto prima all’ingresso della colonia occidentale. E fossi in voi eviterei azioni incaute.» Fece un cenno e qualcuno fuoricampo spinse verso di lui una donna. Era visibilmente terrorizzata. «La polizia si è dimenticata un po’ di roba durante l’evacuazione. Sono immigrati irregolari, ma credo che ci sia qualche legge che vi vieta comunque di ucciderli. Ma non preoccupatevi: non intendo usarli come ostaggi.» Le spezzò il collo con un movimento improvviso e la lasciò cadere. «Se volete fermarmi, provateci pure: venite e affrontatemi quando volete! Ucciderò con piacere chiunque manderete!» Mostrò un sorriso di scherno. «Governatore: vuoi la colonia? Vieni a prendertela, proprio come ho fatto io!» Allargò le braccia. «Il Sindaco è morto. Lunga vita al Sindaco!»

Il volto saccente e minaccioso del tartariano rimase sullo schermo, ma dopo qualche lungo secondo la sua espressione cambiò.

«Hai chiuso? E chiudi, cazzo! Vuoi essere il prossimo?!»

L’addetto alle riprese, che evidentemente non era un professionista, interruppe subito la trasmissione, lasciando gli spettatori a riflettere sulle parole del criminale.

Dopo un momento di esitazione, l’annunciatore si schiarì la voce. «Abbiamo appena visto lo scioccante annuncio di Kerberosz Égettvér, trasmesso in diretta dalla colonia occidentale.» Guardò un momento oltre la telecamera. «La conferenza stampa del governatore Glazkov sta iniziando proprio in questo momento. Voci di corridoio lo descrivevano come “furioso” dopo gli ultimi sviluppi, chiederei quindi al nostro inviato di farci avere un commento a caldo proprio dal governatore.»

Evidentemente tutti avevano avuto la stessa idea, infatti un altro dei presenti stava già esortando il nano a esprimere il suo parere, ignorando completamente il tema della liberazione della colonia.

«Ma soprattutto, cosa farete adesso?»

Vitaly Glazkov cercò di mantenere un’espressione ferma e risoluta, ma un velo di rabbia traspirava dai suoi occhi scuri. «Mi sembra ovvio: fermeremo Kerberosz Égettvér! Non ci piegheremo ai suoi ricatti, ma anzi lo assicureremo alla giustizia, a qualsiasi costo! Abbiamo eliminato il Sindaco, ed Égettvér sarà il prossimo!» Serrò un pugno. «Abbiamo lottato a lungo, e non ci fermeremo certo ora che siamo a un passo dal traguardo!»

«Pensa ancora che sia possibile salvare la colonia occidentale?»

«Assolutamente sì! La situazione può sembrare peggiore di prima, ma la verità è che Kerberosz Égettvér è solo l’ultimo ostacolo che si frappone tra noi e la liberazione della colonia occidentale. Tolto di mezzo lui, anche i pochi criminali rimasti verranno arrestati facilmente. Lo ribadisco: siamo a un passo dal traguardo. E vi prometto che tra non molto potremo iniziare la rinascita della colonia occidentale!»

D’Jagger sbuffò con stizza. «Facile per lui parlare! Mica è in ospedale con noi!»

Lunaria, che era lì con lui, gli disse qualcosa nella lingua dei segni.

«Essere stato vittima di un attentato non conta. Quel tartariano ci può massacrare tutti a mani nude!»

“Noi?”

«Hai ragione, basta eroismi. Ormai dovrei essermi guadagnato almeno la libertà vigilata.» Guardò verso la finestra, che in realtà era un semplice schermo olografico. «Tanto appena Freyja si riprenderà ci penserà lei. Quella lì è perfino più cazzuta di quanto pensassi!»

“E gli amici animali?”

«Non usare gli amici animali contro di me!» Guardò verso il soffitto. «Sarò anche fuori di testa, ma non così tanto da mettermi contro Kerberosz. Spero per loro che la cattiva mancata riesca a tirare fuori qualche altra idea per sistemare la situazione. Di sicuro ha molti più amici di quanto pensassi!» Si girò su un lato. «Ora scusami ma vorrei riposare un attimo fintanto che ho un materasso su cui farlo.»

La fata si adagiò sul cuscino di fianco a lui.

Probabilmente il goblin aveva ragione: avevano fatto abbastanza. Era meglio lasciare il resto alla polizia e tornare a pensare a loro stessi.

***

I membri del Branco stavano assaggiando uno dei piatti di Warren quando il loro capo ricevette una notifica.

«È arrivato un messaggio da parte del Sindaco» riferì l’assistente virtuale. «“Kerberosz Égettvér è fuori controllo. Dovete eliminarlo.”»

L’anfibiana batté un pugno sul tavolo. «Ma chi si crede di essere?! Non metterò a rischio i miei compagni per i suoi stupidi giochi di potere!»

«Come devo rispondere?» domandò l’IA.

«Gentilissimo Sindaco, vaffanculo» propose Thiago.

«Comprendiamo la sua apprensione, ma il compenso pattuito in precedenza non è adeguato al conseguimento di un obiettivo tanto rischioso» suggerì Yalina.

«A me non dispiacerebbe affrontare il tartariano» ammise Warren.

«Potresti dirgli di rivolgersi allo Spadaccino Mistico» intervenne Ulin’dir.

Jérémy, che non era mai stato un tipo loquace, continuò a mangiare.

Il leader del Branco aveva appena inviato la sua risposta – in cui era stato omesso il “vaffanculo” – quando ricevette un’altra chiamata.

«Buongiorno, Priscilla» esordì Mowatalji con il consueto atteggiamento formale. «Ho provato a mettermi in contatto con la dottoressa Mwanda, ma è irraggiungibile. Dovrei parlarle con una certa urgenza, sarebbe così gentile da avvisarla?»

L’anfibiana sospirò. «In questo momento è al bunker. Ora vado a chiamarla.»

«Grazie, sei molto gentile. Arrivederci.»

Conclusa la chiamata, la donna prese il tovagliolo e si pulì la bocca, sul cui labbro inferiore spiccava un anello argenteo. «Ma che sono, un centralino?!» sbottò prima di lasciare la stanza.

«Ingaggiare il tartariano è stata una pessima idea fin dall’inizio» affermò Yalina. «Credere di poterlo controllare è stato il primo errore del Sindaco.»

«Speriamo davvero di non andarci di mezzo» commentò Thiago. «Scusami, Warren, ma quello è un pazzo furioso.»

Ulin’dir assaporò l’ultimo boccone e sollevò il piatto. «Posso averne ancora?»

Raggiunto il bunker, Priscilla avvisò Vongai e insieme tornarono al campo base.

«Dovete disattivare quanto prima il generatore di interferenze» le spiegò Mowatalji. «I miei superiori vi forniranno dei congegni in grado di controllare le biomacchine. La spedizione arriverà entro qualche giorno. È imperativo riuscire ad averle funzionanti, sono stato chiaro?»

«Ricevuto.»

Una volta chiusa la chiamata, Priscilla si fece avanti. «Quindi non sono robot.»

«No. Sono artificiali, ma la loro struttura è paraorganica. A questo proposito, meglio che ci sbrighiamo a tornare: non vorrei che Albion ne danneggi un’altra durante uno dei suoi “test”.»

L’anfibiana sorrise: il metarpia era un po’ problematico, ma tutto sommato le stava simpatico. «A proposito dei superiori di Mowatalji, sai come vogliono usare le biomacchine?»

«Nulla di buono?» ipotizzò Vongai in tono un po’ colpevole. «Onestamente non so cos’hanno in mente. Quel che è certo è che hanno investito un mucchio di soldi nel nostro progetto, e questo in realtà mi preoccupa un po’. Sai, sono stati sempre loro a metterci in contatto con gli dei di Raémia.»

«Potrebbero prestarne qualcuna al Sindaco per risolvere il problema Kerberosz, così evitiamo di andarci di mezzo noi» rifletté la cacciatrice. «Alla fine sono stati loro ad aiutare il Sindaco ad arrivare dov’è adesso: credo gli faccia comodo che mantenga il controllo sulla colonia occidentale.» Si fermarono davanti all’ingresso del bunker. «Io torno a mangiare, fammi sapere se ci sono novità.»

«Certo. Buon appetito.»

Priscilla si allontanò e ben presto la sua espressione perse ogni traccia di cordialità, rimpiazzata dalla concentrazione di una predatrice. «Finalmente cominciano a muoversi.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Anche in questo capitolo non sono mancate le novità.

Kerberosz ha annunciato la sua presa di potere come nuovo Sindaco, e la cosa sembra stare scomoda a molti. La polizia doveva essere il suo principale (se non unico) avversario, ma a quanto pare il vecchio Sindaco non è ancora fuori dai giochi. Sarà davvero sopravvissuto, o c’è qualcos’altro dietro?

L’unica cosa certa è che D’Jagger ne ha abbastanza di aiutare Freyja e la polizia, anche se questo è contrario ai dettami degli amici animali XD

Ciliegina sulla torta sono le ultime parole di Priscilla: cos’avrà in mente la cacciatrice?

Credo che mi concederò un turno di pausa a inizio anno, ma non dimenticate di dare un’occhiata al mio sito o ai miei profili settimana prossima per il tanto atteso disegno di Natale ;D (che sono sicuro starete aspettando da un anno).

Buone vacanze e a presto ^.^


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Capitolo 24
*** 23. Vendetta e perdono ***


23. Vendetta e perdono

Era passato appena un giorno dall’annuncio di Kerberosz Égettvér, ma la fortezza un tempo appartenuta al Sindaco era già tornata operativa e diversi uomini stavano lavorando per rimettere in piedi l’organizzazione criminale.

Luca Pricolici, che aveva assistito agli ultimi eventi con grande interesse, in quel momento si trovava proprio davanti all’ufficio del Sindaco. Lui e i suoi uomini avevano deciso di restare in zona, almeno per il momento, e il motivo era molto semplice.

La porta era aperta, così l’orco entrò. Kerberosz era seduto con i piedi sulla scrivania e stava fumando l’ennesimo sigaro. Luca non aveva bisogno della sua trasformazione in ordogue per avvertire la pesante cappa di fumo che c’era nella stanza.

«Égettvér,» esordì, «sono Luca Pricolici, il Mastino, e sono venuto per chiederti un favore.»

Il tartariano soffiò una nuvola grigia. «Sarebbe?»

«L’orchessa contro cui hai combattuto, la poliziotta, si era infiltrata sotto copertura. Ha cacciato con me e i miei uomini.» Serrò i pugni. «Si è presa gioco di noi per tutto il tempo, e voglio vendicarmi! Ho sentito che il Sindaco ha una spia nella polizia: se è vero, potrei scoprire dove si trova Frida. La poliziotta, intendo.»

«Sì, fa’ pure» annuì Kerberosz con un gesto annoiato della mano. «Chiedi alla gente qui fuori: di sicuro qualcuno saprà come aiutarti.»

Luca rimase un attimo interdetto. «Sei sicuro? Credevo volessi ucciderla con le tue mani.»

«Se non riesce a sistemare uno come te, vuol dire che non vale poi così tanto.»

Il corpo dell’orco si ingrandì e il suo muso assunse i tratti canini di un ordogue. Si appoggiò alla scrivania, che scricchiolò sotto i suoi palmi. «Mi stai forse sottovalutando?»

Kerberosz sorrise apertamente e si alzò. Il tartariano non era certo basso, ma ora che si era trasformato, il Mastino lo sovrastava nettamente.

«Mi piace il tuo sguardo» affermò il nuovo Sindaco. «Facciamo così: portami la testa della poliziotta e poi combatterò con te. Chi vince si prende la colonia. Ci stai?»

Luca tornò al suo aspetto originale. «Comincia a pensare a dove vuoi farlo.» E senza aggiungere altro lasciò la stanza.

***

Dopo essere stata dimessa dall’ospedale, Freyja aveva raggiunto l’alloggio assegnatole dalle autorità di Ziqi City. Si trattava di un modesto edificio non molto distante dalla centrale di polizia dove erano stati riuniti tutti gli agenti della colonia occidentale, o per lo meno tutti quelli che avevano ultimato le cure. I cinque più gravi si trovavano ancora in ospedale, e altri tre colleghi dovevano ultimare gli ultimi esami.

Le stanze non erano molto grandi e tutti quanti avrebbero dovuto condividere l’alloggio con almeno un collega. Le quattro donne erano state divise in due stanze doppie e Freyja era con una demone dal fisico slanciato. Nell’altra ci sarebbero dovute essere il commissario Mantina e l’agente Linch, ma la teriantropa era ancora in ospedale. I medici stavano facendo il possibile per ricostruirle le vertebre della schiena, così da permetterle di tornare a camminare. Difficile dire se sarebbe riuscita a correre di nuovo.

Qualcuno bussò alla porta.

La demone era sdraiata sul suo letto e stava leggendo una rivista elettronica, così l’orchessa andò ad aprire.

«Freyja?» domandò il giovane poliziotto. Non l’aveva mai visto, quindi doveva essere di stanza a Ziqi City. A riprova di ciò, insieme a lui c’era un droide fluttuante con il logo dell’azienda.

«Sono io.»

«D’Jagger Rahoud ha chiesto di incontrarti. Se vuoi vederlo, possiamo portarti alla centrale.»

Freyja non aveva niente da fare al momento, così annuì. Recuperò la sua giacca, avvisò la sua compagna di stanza e si accodò al giovane.

L’assistente robotico guidò la volante fino alla centrale di polizia, dopodiché la scortarono fino alle celle.

«Ti aspetto di sopra» le disse il collega. «Quando hai finito, ti riaccompagno al tuo alloggio.»

«D’accordo, grazie.»

Una volta sola, Freyja raggiunse la cella dove era rinchiuso D’Jagger.

«Mi volevi vedere?»

Il goblin, steso sulla branda, si alzò subito e si avvicinò alla barriera energetica. «Wow, sei già in piedi! Sul serio, ma di cosa sei fatta?!»

«Se stai per chiedermi di tirarti fuori, temo che la risposta sia no.»

«Sì, lo immaginavo. Per questo volevo chiederti un’altra cosa: vorrei che ti prendessi cura di Lunaria mentre sono qui dentro.»

L’orchessa, che non si aspettava una simile richiesta, rimase un attimo sorpresa.

«So che è una gran rompiscatole, ma credo si fidi di te, quindi…»

«Sì, questo posso farlo» annuì la poliziotta. «A proposito, dov’è adesso?»

«Le ho detto di nascondersi prima che gli agenti mi portassero in cella. Poco fa l’ho vista dalla finestrella, quindi dovrebbe essere qui in giro.»

Freyja annuì. «D’accordo, la cercherò.»

D’Jagger fece un attimo mente locale. «Per quanto riguarda il cibo, in linea di massima credo possa mangiare quasi tutto, ma è soprattutto vegetariana. Sappi che odia le cose piccanti e vacci piano con gli zuccheri, se no diventa iperattiva. Se devi tenerla occupata per un po’, io le facevo vedere delle lezioni di lingua dei segni. In realtà non ha ancora capito come funzionano gli smartwatch, quindi tu mettigli qualche lezione in loop così se ne sta buona.»

Freyja non riuscì a trattenere un sorriso.

«Davvero, funziona!»

«No, non è per quello. È solo che sembri un genitore preoccupato.»

Il goblin spirò dalle narici. «Ah! Se io sono un genitore preoccupato, quella è una teenager problematica!»

L’orchessa continuò a sorridere. «Ti prometto che farò del mio meglio. E un’altra cosa: volevo ringraziarti per averci dato una mano. Non posso farti uscire, ma ti prometto che ti farò avere il tuo sconto sulla pena. E in ogni caso i tuoi reati non sono così gravi, quindi dovresti cavartela con poco.»

Il goblin si strinse nelle spalle. «Beh, devo ammettere che è stato bello non essere il solito buono a nulla.»

Freyja annuì. «Beh, ora è meglio che vada.»

«D’accordo. Grazie ancora. E mi raccomando: quando sarai commissario, non diventare anche tu una cattiva mancata!»

L’orchessa si concesse un altro sorriso. «Lo terrò a mente. E tu vedi di rigare dritto quando uscirai.»

D’Jagger sfoggiò un sorriso da signore del male. «Su questo non posso garantire. Muahaha!»

Freyja scosse il capo, più divertita che contrariata, e si allontanò. Avvisò l’agente che le aveva dato un passaggio che aveva una cosa da fare e poi raggiunse il retro della centrale di polizia, su cui si affacciava la finestrella di D’Jagger.

«Lunaria?» chiamò. «Lunaria, sei qui?»

Non ci volle molto prima che la fata spuntasse fuori e le andasse incontro.

“Che ci fai qui?” le domandò nella lingua dei segni.

«Sai, mi chiedevo se ti andasse di stare da me ancora un po’.»

“D’Jagger viene con noi?”

Freyja scosse il capo, dispiaciuta. «Purtroppo lui non può venire, non ancora.»

Lunaria non nascose il suo disappunto. “Avevate promesso di liberarlo!”

«È complicato» provò a spiegare la poliziotta. «Quello che ha fatto è sbagliato, e anche se ci ha aiutato, questo non basta a cancellare i suoi reati. Ti prometto che la sua pena sarà contenuta, però… Lunaria, aspetta! Lunaria…!»

La fata non le diede retta e volò verso la prima strada libera da passanti.

L’orchessa le andò subito dietro, preoccupata e dispiaciuta per lei. Poteva immaginare come si sentiva, ma in quanto poliziotta non poteva mettersi contro la legge. Non poteva e non voleva.

Lunaria si infilò in una stradina a destra e Freyja continuò a seguirla.

Se avesse voluto, la fata avrebbe potuto volare verso l’alto e far perdere le sue tracce, quindi l’orchessa dedusse che in realtà non voleva davvero scappare da lei. E in ogni caso non intendeva abbandonarla in quel momento difficile, quindi avrebbe fatto di tutto per convincerla delle sue buone intenzioni.

Raggiunto un vicolo dall’aria appartata, Lunaria si fermò e si rannicchiò sopra un cabinotto metallico.

Freyja si concesse un attimo per riprendere fiato e poi le si avvicinò.

«Ehi, lo so che è difficile, ma devi avere un po’ di pazienza.»

“Sono stufa di avere pazienza!”

«Lo so che D’Jagger non è cattivo, ma quello che ha fatto va contro la legge. Ha accettato di pagarne le conseguenze, e questo dimostra che vuole diventare una persona migliore. Anche tu vuoi che diventi una persona migliore, vero?»

La fata ci pensò un attimo, l’espressione triste, poi scosse il capo. “Io voglio che stia con me!”

«Beh, quando avrà finito di scontare la sua pena – che sarà breve, vedrai – potrete stare insieme senza più preoccuparvi di scappare.» Le porse la mano aperta. «Dai, vieni. Hai voglia di mangiare? Ti prendo quello che vuoi.»

Lunaria la scrutò un momento, indecisa, poi finalmente andò ad adagiarsi sul suo palmo.

“Voglio mangiare tutte le cose buone che hai!” dichiarò, ancora un po’ sulle sue.

L’orchessa le sorrise felice. «Certo. La macchina della mensa può preparare quasi ogni cosa. Vedrai, ti piacerà!»

«Frida!»

Il grido improvviso fece trasalire la poliziotta e fece schizzare via Lunaria, che sparì più veloce di un fulmine.

«Luca!» esclamò Freyja. «Che ci fai qui?»

Il Mastino serrò i pugni. «Indovina? Sono qui per fartela pagare per averci presi in giro!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo Freyja è stata proprio al centro dell’attenzione: tutti la vogliono e tutti la cercano XD Purtroppo per lei, non tutti lo fanno con le migliori intenzioni :(

L’orchessa dovrà affrontare il Mastino e i suoi, ma secondo Kerberosz non avrà problemi a sistemarli. Avrà ragione, o la poliziotta avrà la peggio e ci sarà un nuovo contendente per la colonia occidentale?

Non perdete il prossimo capitolo (e magari unitevi a Lunaria nel fare di nascosto il tifo per Freyja XD).

A presto ^.^


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Capitolo 25
*** 24. Risveglio ***


24. Risveglio

«Sono qui per fartela pagare per averci presi in giro!» esclamò Luca, furioso.

Con lui c’erano i suoi uomini, tutti e tre armati. Freyja li scrutò rapidamente, cercando di capire se c’era una possibilità di farli ragionare. L’orco non si sarebbe arreso senza combattere, ma forse poteva convincere gli altri ad arrendersi.

«Hai ragione, vi ho mentito» ammise la poliziotta. «Non volevo prendermi gioco di voi, ma ho dovuto farlo! Avete visto in che condizioni è la colonia occidentale! Era l’unico modo per salvarla!»

«Basta parlare!» gridò il Mastino. Attivò i suoi poteri di chimera mutaforma, diventando ancora più alto e muscoloso. «Me la pagherai!»

Caricò a tutta velocità con gli artigli spiegati, la bava alla bocca. Il vicolo era troppo stretto per schivare, ma questo non scoraggiò Freyja. All’ultimo momento afferrò il suo aggressore per un braccio e lo ribaltò sfruttando la sua stessa forza.

L’orchessa lanciò subito uno sguardo verso gli altri tre cacciatori. Avrebbero sparato? No, per il momento sembravano decisi a non intervenire: probabilmente il Mastino voleva risolvere la questione da solo.

«Luca, ascoltami. Capisco che sei arrabbiato, ma comportandoti in questo modo peggiorerai solo le cose. Credi che i miei colleghi ti lasceranno andare dopo tutto questo?»

«Non mi interessa! Mi occuperò di loro dopo che avrò finito con te!»

Tornò all’attacco con la stessa decisione, ma questa volta con più assennatezza. Le tirò un pugno, ma Freyja schivò. Provò un’artigliata, ma ancora a vuoto. Si allungò in un calcio, si dimenò, ma non servì a nulla.

«Smettila di fuggire!»

Unì i pugni, pronto ad abbatterli su di lei, ma l’orchessa scattò in avanti e lo colpì allo stomaco con un destro. Luca emise un guaito e cadde in ginocchio.

«Tu…»

«Te lo ripeto: arrenditi.» Questa volta il tono della poliziotta era quello di un ordine.

«Mai…!»

L’orco chiamò a raccolta le sue forze, serrò i muscoli e sferrò un poderoso montante. Freyja riuscì a schivarlo per un pelo, ma lo spostamento d’aria fu abbastanza forte da far volare le sue treccine. Contrattaccò quasi d’istinto: un colpo a mano aperta dritto sul mento canino. Il possente corpo del Mastino si sollevò da terra per la forza dell’impatto e stramazzò violentemente sulla schiena. Rimase immobile, incosciente, e dopo pochi secondi tornò alla sua forma originale.

Sistemato il capo, la poliziotta si voltò verso gli altri tre cacciatori.

«Ragazzi, vi prego. Non è troppo tardi per fare la cosa giusta.»

Nonostante il suo tono condiscendente, l’elfo tatuato sollevò la sua arma. «Vaffanculo! Non mi fa arrestare!»

L’impulso stordente lo colpì a tradimento prima che potesse prendere la mira. Riuscì a sparare un paio di colpi in aria, ma poi anche lui rovinò a terra.

Era stato il demone, secondo di Luca, a fare fuoco. Guardò il suo compagno ancora in piedi, scosse il capo e lasciò cadere il suo fucile. Dopo qualche istante l’altro sospirò e fece altrettanto.

Freyja rivolse loro un sorriso di riconoscenza prima di avvisare i colleghi.

«Grazie. Farò in modo che il giudice ne tenga conto.»

«A questo proposito, abbiamo anche un’informazione» affermò il demone. «C’è una spia, nella polizia, che lavora per il Sindaco. È così che ti abbiamo trovata. Non so dirti chi sia.»

Quelle parole gettarono un’ombra sull’animo dell’orchessa. Il sospetto c’era già, ma quell’ulteriore indizio la costringeva a dubitare ancora più seriamente dei suoi colleghi.

«Luca sa chi è?»

«Non credo. E se anche lo sapesse, dubito che te lo direbbe.»

L’orchessa non poté non concordare.

Chiamò gli agenti di Ziqi City e nei pochi minuti di attesa rifletté attentamente sulle sue prossime mosse. Non poteva dare per certe le parole del cacciatore, allo stesso tempo però non poteva nemmeno tenere per sé un’informazione del genere. Ma a chi poteva dirlo? Al commissario Mantina? A Smidr? Si fidava di loro, ma la sua fiducia era ben riposta?

Quando i poliziotti di Ziqi City scesero dalle volanti, aveva ormai preso la sua decisione.

«Ottimo lavoro, ce ne occupiamo noi adesso» le disse uno degli agenti.

«C’è un’altra cosa: dovete arrestare subito tutti i poliziotti della colonia occidentale» affermò, triste ma determinata. «C’è una spia tra di noi.»

***

C’era voluto un po’ per capire come disattivare il generatore di interferenze. Lo avevano aperto, non senza qualche difficoltà, e avevano esaminato la sua struttura interna per capire come funzionasse. La base su cui poggiava era quasi vuota, c’era solo un tubo che lo collegava al pavimento: presumibilmente serviva ad alimentarlo. Vongai aveva ipotizzato che utilizzasse l’energia geotermica del pianeta – quale altra energia avrebbe potuto tenerlo attivo per tutto quel tempo? – tuttavia non c’era stato il tempo di verificare.

Dopo aver esaminato le opzioni a loro disposizione, erano giunti alla conclusione che la cosa più semplice sarebbe stata tagliare il cavo.

«Ok, vado» affermò Thiago, coltellaccio alla mano.

L’azione in sé non era complessa, a preoccupare i presenti erano le possibili conseguenze di quel gesto: sarebbe scattata qualche misura di sicurezza? Quella che passava nel cavo era elettricità o qualche altra sostanza pericolosa? Ma soprattutto: le biomacchine sarebbero rimaste inerti anche senza l’interferenza?

Il faunomorfo forzò la lama contro il cavo e diede un deciso strattone. Il rivestimento esterno provò a opporre resistenza, ma alla fine dovette capitolare e il collegamento venne reciso di netto.

Tutti si aspettavano… qualcosa. Non sapevano bene cosa, ma erano convinti che qualcosa sarebbe dovuto accadere. Invece non accadde nulla: le biomacchine erano ancora immobili e l’intero bunker era rimasto immerso nella penombra.

«Sta tornando» esalò Yalina. «Sento la magia di Niflheim.»

Vongai toccò il suo smartwatch e questo si attivò immediatamente. «Direi che ha funzionato.»

Albion si avvicinò a una biomacchina e la scrutò con attenzione. Sembrava un po’ deluso. «Sembrano ancora inerti.» Bussò sulla testa, con una noncuranza che fece trasalire la sauriana.

«Allontanatelo da quella biomacchina!» ordinò la scienziata.

«Non l’ho mica attivata!» provò a difendersi il metarpia mentre il gigantista lo spostava di peso.

Vongai sospirò. «Vado ad avvisare Mowatalji, voi assicuratevi che non combini guai.»

Uscita dal bunker chiamò l’elfo, che non nascose la propria soddisfazione.

«Ottimo lavoro. Uno dei nostri è già nei paraggi, vi farà avere il necessario per attivare le biomacchine.»

«Dove dobbiamo incontrarci?»

«Non preoccuparti, vi raggiungerà lui a breve. Buona giornata.»

La sauriana informò gli altri e tutti insieme uscirono dal bunker per ricevere la consegna. Priscilla aveva già avvisato i suoi compagni, il cyborg e il sensitivo, che ora che non dovevano più preoccuparsi delle interferenze avrebbero potuto raggiungerli dal campo base.

I due scienziati e i quattro cacciatori erano in attesa da meno di due minuti quando Priscilla si voltò all’improvviso. Allungò il braccio e nella sua mano apparve un mitra. I suoi compagni reagirono in pochi istanti: Yalina evocò uno sciame, Thiago impugnò un fucile e Warren avanzò di qualche passo, pronto a ingrandirsi.

Il motivo di tutta questa agitazione era l’improvvisa comparsa di un metarpia. Nessuno si era accorto di lui: era come se si fosse teletrasportato a due metri da loro.

Come Albion, non era particolarmente alto, ma sembrava un po’ più robusto e le piume del capo erano di un rosso vivo, squillante. Nella mano sinistra teneva una valigetta corazzata, la destra invece era pronta ad afferrare il calcio di un revolver. Non sembrava avere alcun tipo di armatura e la sua unica protezione dall’aria di Niflheim era una bolla energetica.

«Signori, vi prego» esordì. Il suo tono era quasi annoiato. «Mi sembra una reazione eccessiva.»

«Tu devi essere il fattorino» intervenne Albion, del tutto incurante dell’atmosfera tesa. «In quella valigetta c’è quello che serve per controllare le biomacchine?»

Il nuovo arrivato agitò l’indice nella sua direzione. «Sveglio il ragazzo.» Allungò la valigetta. «Chi vuole avere l’onore?»

Vongai fece per avanzare, ma Priscilla la anticipò. Prese il pacco e poi indietreggiò senza voltare le spalle al metarpia.

«Beh, buon lavoro» affermò il “fattorino”. Il suo corpo prese fuoco e in pochi istanti divenne cenere che si dissolse nell’aria.

I presenti, ammutoliti, rimasero immobili.

«Beh, non la apri?» domandò Albion. «A proposito, avete notato che il suo Martial Law era scarico?» aggiunse riferendosi al revolver dell’uomo.

«Quel tipo non usa proiettili normali» ribatté l’anfibiana prima di porgere la valigetta a Vongai. Se non altro il commento dello scienziato riuscì ad alleggerire un po’ la tensione.

La sauriana sbloccò i ganci e aprì la valigetta.

Tutti quanti si sporsero per vedere cosa c’era all’interno. Era una specie di siringa a pistola con un grande contenitore, ma l’ugello era troppo grande per poter fare delle iniezioni. Nella parte superiore della valigetta c’erano delle illustrazioni che spiegavano come usare lo strumento.

«Io dico di provarla» propose Albion.

Vongai, altrettanto curiosa, prese in mano l’oggetto. «È più pesante di quanto sembri.»

Tornarono nel bunker e raggiunsero la biomacchina più vicina, una di quelle umanoidi. La sauriana controllò un’ultima volta le illustrazioni e fece come indicato: appoggiò l’ugello sul petto dell’automa e premette a fondo il grilletto. Dalla punta uscì una piccola quantità di fluido denso, chiaro e appiccicoso. Vongai ritirò la siringa a pistola e osservò il fluido che si espandeva sul corpo della biomacchina. Bastarono pochi secondi e venne completamente assorbito.

Gli sguardi di tutti erano fissi sull’automa.

Avrebbe funzionato? Quella biomacchina vecchia di millenni si sarebbe attivata?

Un movimento improvviso, come una contrazione muscolare, fece sobbalzare i presenti.

L’essere artificiale si stava lentamente riattivando, ma le sue fibre paramuscolari agivano ancora in maniera scoordinata. Emise dei suoni, forse delle parole, ma in una lingua che nessuno riuscì a comprendere.

Come al solito furono le parole di Albion a spezzare l’enfasi del momento: «E ora che ne facciamo?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Finalmente gli scienziati sono riusciti a risvegliare le biomacchine, ma questo può voler dire solo una cosa: altri guai per la polizia.

A proposito della polizia, alla fine il buon cuore di Freyja è riuscito a fare breccia in almeno due degli sgherri del Mastino. Questo le ha risparmiato uno scontro, ma soprattutto le ha permesso di scoprire che c’è una talpa nella polizia. Ma chi può essere? Di fatto tutti gli agenti della colonia occidentale sono dei sospetti, e questo farà sicuramente precipitare ancora di più il loro morale: come possono sconfiggere i criminali se non possono nemmeno fidarsi dei loro colleghi?

Nel prossimo capitolo cominceremo a vedere i risultati dell’indagine interna: non mancate!

A presto ^.^


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Capitolo 26
*** 25. Fiducia ***


25. Fiducia

Freyja stava cercando di mantenere un portamento deciso e risoluto, ma in realtà si sentiva profondamente a disagio. I poliziotti di Ziqi City stavano facendo salire i colleghi della colonia occidentale sulle volanti, uno dopo l’altro, per poi condurli alla centrale. Lì sarebbero stati messi sotto custodia in attesa di essere tutti interrogati.

L’orchessa era ancora convinta che quella fosse la decisione giusta, ma le dispiaceva moltissimo per i suoi colleghi. Quando si voltavano verso di lei faceva fatica a guardarli negli occhi.

Quando venne il turno dell’ispettore Smidr provò a leggere la sua espressione. Tra tutti gli agenti, era quello che conosceva meglio, per questo sperava di trovare in lui un minimo di conforto.

Il gigante di ghiaccio si voltò verso di lei e per un momento i loro sguardi si incrociarono. Sembrava un po’ contrariato, ma non dava l’idea di essere arrabbiato con lei.

Poco dopo fu il turno del commissario Mantina. L’insettoide era decisamente arrabbiata, ma nel suo caso si trattava della sua espressione normale. O almeno così sperava l’orchessa.

«Valkyregard, è opera tua?»

Lei deglutì involontariamente. «Sì, commissario…»

La donna soppesò le successive parole con grande attenzione. «Ben fatto» dichiarò, e per un attimo Freyja ebbe l’impressione di notare un accenno di sorriso sulle sue labbra. Ma fu solo un momento. «State per arrestare anche lei, vero?»

Gli agenti di Ziqi City, colti di sorpresa, si scambiarono qualche rapido sguardo. E poi ammanettarono anche Freyja, che da parte sua non oppose resistenza. In realtà si sentì quasi sollevata: condividere lo stesso destino dei suoi colleghi l’avrebbe fatta sentire meno in colpa.

I poliziotti della colonia occidentale vennero rinchiusi nelle celle della centrale e lì rimasero in attesa. Conoscevano tutti la procedura, sapevano che ci sarebbe voluto del tempo, ma speravano comunque che la questione potesse risolversi in tempi brevi. Se non altro perché, mentre loro erano dietro le sbarre, Kerberosz Égettvér stava letteralmente demolendo la loro colonia.

Freyja notò che il Mastino e i suoi uomini non erano lì, né c’erano altri detenuti: evidentemente gli agenti di Ziqi City avevano deciso di tenere isolati i loro colleghi. Una scelta comprensibile.

I minuti scorrevano, lenti e implacabili, ma nessuno sembrava in vena di parlare. Una volta scoperto che c’era un traditore tra di loro, o almeno un presunto tale, tutti quanti si erano incupiti: stavano combattendo una battaglia disperata per riaffermare l’ordine e la giustizia nella loro colonia, come potevano sperare di vincere se non potevano nemmeno fidarsi dei loro stessi compagni?

Dopo poco meno di mezz’ora un agente li raggiunse. «Stiamo perquisendo le vostre stanze e controllando i vostri dispositivi di comunicazione» affermò, serio e professionale. «Ora vi interrogheremo tutti. Vi prego di collaborare.»

«Ehi, guarda che siamo i primi a voler sapere chi è la spia!»

«Silenzio, Sandmeier» ordinò il commissario Mantina. Poi, rivolta al collega di Ziqi City: «Potete cominciare interrogando me.»

«Molto bene. Abbiamo altre due sale per gli interrogatori, quindi possono venire altri due di voi. Conoscete le procedure, quindi vi prego di non parlare tra voi mentre restate qui.»

Come affermato dal loro collega, gli agenti della colonia occidentale non avevano alcuna intenzione di coprire l’eventuale traditore, quindi tutti quanti rimasero in silenzio mentre uno ad uno uscivano per essere interrogati.

Quando venne il suo turno, Freyja cercò di essere il più collaborativa possibile.

«Sei l’ultima arrivata tra gli agenti della colonia occidentale, giusto?»

«È così.»

«E conoscevi già qualcuno degli agenti della colonia occidentale?»

«No, nessuno. Era necessario per la mia indagine sotto copertura. Solo il commissario Mantina e l’ispettore Smidr sapevano di me.»

«E hai dei sospetti su chi potrebbe essere la spia?»

«No. Come ho detto, il commissario Mantina e l’ispettore Smidr erano gli unici a conoscere la mia identità, quindi se uno di loro fosse la spia avrebbe potuto informare il Sindaco.»

«Vero. Ho letto i tuoi rapporti: hai scoperto la presenza di coltivazioni clandestine di grano, hai avuto conferma della presenza di immigrati irregolari… Hai anche scoperto che esiste un laboratorio dove costruiscono armi anti-interferenza. Ma non hai scoperto l’identità del Sindaco.»

«No, non ne ho avuto la possibilità.»

Il suo interrogatore si concesse un momento per riflettere. «In effetti alcune di queste informazioni sono molto utili, in particolare questo laboratorio… Se uno dei due che dicevi, il commissario o l’ispettore, fosse la spia, in effetti avrebbe fatto meglio a segnalarti.» Si grattò la guancia. «Per quanto riguarda il fatto che tu sia la spia… Onestamente mi sembra fin troppo contorto vederti fare il triplo gioco. Che senso avrebbe una spia che si infiltra tra i suoi stessi alleati? Tanto vale dare mazzette a uno degli agenti.»

Freyja si limitò ad annuire.

L’interrogatorio andò avanti per qualche minuto, poi anche lei venne riportata in cella.

Erano stati veloci con lei, ma per il momento nessuno di loro veniva trattenuto molto a lungo. D’altra parte non avevano nessuna prova concreta per il momento, quindi si trattava per lo più di interrogatori preliminari per cercare qualche pista da seguire.

L’orchessa si chiese se qualcuno, nel segreto della sala interrogatori, avesse indicato qualche sospetto. A prima vista gli agenti della colonia occidentale sembravano molto uniti, ma una situazione del genere rischiava di metterli uno contro l’altro.

Sperava davvero di aver fatto la scelta giusta a denunciarli: se non trovavano la spia, la loro fiducia in lei, ma soprattutto la loro fiducia reciproca, sarebbe stata a rischio.

Un silenzio surreale continuò ad aleggiare tra le celle, finché uno di loro non aprì bocca: «Ehi, ma ci siamo tutti?»

In effetti era da almeno mezz’ora che nessuno veniva chiamato per un interrogatorio.

«Mancano Xi e Reza» dichiarò il commissario Mantina, che evidentemente aveva tenuto d’occhio i movimenti dei suoi sottoposti. «Più quelli in ospedale.»

Tutti quanti stavano formulando gli stessi pensieri, ma nessuno sembrava intenzionato a dare voce ai propri timori.

Una decina di minuti dopo, il treant[10] venne scortato in cella.

«Ehi, Xi, tutto a posto?»

«Mmh. Siccome ho delle abilità psichiche, hanno dovuto fare dei controlli extra per capire se ho usato qualche trucco mentale su qualcuno di voi. Temo mi abbiamo un po’ sopravvalutato.»

«Hai visto Reza?»

Il treant stava per rispondere, ma il commissario lo anticipò: «Vi ricordo che dovremmo stare in silenzio.»

I minuti passavano, lenti e inesorabili, poi improvvisamente uno degli agenti di Ziqi City li raggiunse. Era solo.

«Commissario Mantina, può venire con me?»

L’insettoide si alzò e lo seguì.

«Non è un buon segno, vero?»

«No. È un pessimo segno.»

«Dai, non può essere stato Reza!»

«Ma qualcuno deve pur essere la spia. A meno che lei non si sia sbagliata.»

Freyja sentì gli sguardi concentrarsi su di lei. Avvertì una certa ostilità, ma anche e soprattutto timore: nessuno di loro voleva scoprire che il nemico era stato in mezzo a loro per tutto il tempo.

Sperava davvero di essersi sbagliata, anche se questo significava subire il disprezzo di tutti i suoi colleghi.

«Ha confessato» dichiarò il commissario di Ziqi City in tono grave. «Ha fornito informazioni al Sindaco in cambio di denaro.»

Mantina osservò il suo collega attraverso il vetro monodirezionale, impassibile. L’insettoide cyborg era chino sul tavolo della stanza degli interrogatori, lo sguardo spento. Faceva quasi pena da tanto era abbattuto.

«Ha detto che all’inizio pensava fosse solo una banda come le altre, e quindi ha accettato di prendere soldi da inviare alla sua famiglia. Quando ha capito le vere intenzioni del Sindaco ormai era troppo tardi. Ha usato uno dei suoi impianti per inviare le informazioni, per questo è riuscito a non farsi scoprire.» L’uomo rimase un attimo in silenzio. «Vuole parlare con lui?»

«Siete sicuri che sia l’unica spia?»

«Lui ha detto così. Vi abbiamo controllati tutti, ma non abbiamo trovato indizi che lascino pensare al coinvolgimento di qualcun altro.»

«Rilasci i miei colleghi allora, ma continui a tenerci d’occhio, per favore. Non voglio altre brutte sorprese.»

«D’accordo. E… mi dispiace. È sempre orribile quando scopri che uno dei tuoi è un traditore.»

Il commissario Mantina preferì restare in silenzio.

***

Mentre su Niflheim ognuno combatteva per raggiungere i propri obiettivi, altrove c’era qualcuno, o forse qualcosa, che osservava la situazione.

Quando il generatore di interferenze si era spento, un dispositivo si era attivato in segreto e aveva inviato un segnale. Il segnale aveva viaggiato al di là dei confini di Niflheim ed era stato captato da un apposito ricevitore.

L’apertura del bunker non era di per sé un evento negativo, al contrario era un avvenimento quasi auspicato, tuttavia un’analisi più approfondita aveva evidenziato la possibilità di sviluppi preoccupanti.

Era il caso di intervenire?

No, non ancora. Le probabilità che la situazione si risolvesse da sola non si erano azzerate del tutto.

In ogni caso avrebbe dovuto restare vigile. Doveva raccogliere informazioni e migliorare la sua previsione.

La libertà delle nuove specie era un pilastro fondamentale della sua politica, ma c’erano situazioni in cui non poteva limitarsi a osservare.

Era imperativo evitare l’insorgere dello scenario peggiore.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così la polizia è riuscita a individuare la spia, ma questa non può essere considerata come una vera vittoria. Oltretutto il commissario Mantina sa che non può abbassare la guardia e vuole continuare a sorvegliare i suoi uomini.

Mentre i poliziotti tornano al lavoro, demoralizzati ma decisi a non arrendersi, qualcun altro (o qualcos’altro) ha messo gli occhi sul pianeta. Per ora non intende intervenire, ma cosa accadrà nel caso dovesse cambiare idea? E qual è lo “scenario peggiore” che sta cercando di prevenire?

Come sempre non vi resta che aspettare i prossimi capitoli per scoprire se e quando queste domande avranno risposta XD

A presto! ^.^


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[10] Nella letteratura fantasy, i treant – dall’inglese tree (albero) e giant (gigante) – sono alberi umanoidi in grado di muoversi.
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Capitolo 27
*** 26. Asso nella manica ***


26. Asso nella manica

La luce fuori dalle finestre suggeriva fosse tarda mattina, ciononostante Kerberosz era ancora a letto. Con lui c’era una donna, forse una delle immigrate irregolari. Aveva un bavaglio sulla bocca e l’espressione impaurita. Se non fosse stata ammanettata, probabilmente avrebbe già tentato la fuga.

Il comunicatore del tartariano suonò, dando alla malcapitata un momento di tregua.

«Chi sei? Che vuoi?»

«Sono Won, il capo degli artificieri» si presentò l’insettoide alto e magrissimo. Non aveva apprezzato il tono aggressivo del suo superiore, tuttavia era abbastanza furbo da capire che era meglio non mettere in dubbio la sua autorità. «Volevo chiederle quale edificio dobbiamo demolire.»

Il tartariano sbuffò. «Ma che me ne frega?! Un ospedale. Una scuola magari.»

«Temo che li abbiamo già demoliti tutti.»

«E allora trova qualcos’altro! Scegline uno e buttalo giù! È così difficile?!»

«D’accordo, me ne occupe-»

Kerberosz non gli fece nemmeno finire la frase: arrestò la chiamata e tornò a letto.

La donna provò a ritrarsi, ma con i polsi legati non poteva andare da nessuna parte.

«Ecco, brava, stattene in silenzio almeno tu. Così magari non ti ucciderò.»

***

Di notte la colonia occidentale non era molto diversa da come era di giorno: i quartieri si erano praticamente svuotati e in giro si vedevano solo criminali intenti a saccheggiare gli edifici o a gareggiare per le strade.

«Settore 1 libero» riferì il demone a capo della squadra, il cui volto ricordava un teschio. In quella strada i lampioni erano stati tutti abbattuti – probabilmente di proposito e per puro divertimento – quindi lui e suoi compagni dovevano farsi luce con delle torce.

«Settore 2 libero.»

Tutti aspettavano il terzo responso, invece dal comunicatore non arrivò nessun messaggio.

«Squadra 3, ci siete?» domandò il demone.

Di nuovo silenzio.

«Capitano, andiamo a controllare?» domandò il leader della seconda unità.

«Andate, ma fate attenzione. Arriviamo anche noi.»

I due gruppi, ciascuno composto da tre uomini armati, si mossero con precisione militare per raggiungere l’area designata. Si trattava di uno dei quartieri più esterni della colonia occidentale, subito a ridosso della cupola. Era lontano dall’entrata, ma le forze dell’ordine avevano già dimostrato di poter forzare la semisfera energetica che proteggeva la colonia.

«Non percepisco niente» riferì il sensitivo del gruppo.

«Anche i sensori non rilevano nulla» confermò il demone. «Vedete i nostri?»

«Niente.»

«Niente anche qui.»

I soldati continuarono a perlustrare la zona, attenti e concentrati.

«Vedo qualcosa!» esclamò uno di loro. Prese la mira e sparò una raffica di fucile. Dall’ombra qualcuno rispose al fuoco e il colpo d’energia scaraventò a terra il soldato.

«Al riparo! Al riparo!» gridò il Capitano.

Il demone riuscì a raggiungere una copertura, ma altri dei suoi uomini vennero neutralizzati.

«Credo siano armi stordenti» riferì uno dei compagni rimasti.

«Maledizione, non li vedo!» imprecò invece l’altro, preoccupato di fare anche lui una brutta fine.

Il demone udì un altro colpo, poi un altro.

«Ehi, mi ricevete? Qualcuno è ancora in piedi?»

Era rimasto solo. Ma non si sarebbe arreso.

Avvertì qualcosa: un suono leggerissimo, impercettibile. Il suo corpo reagì d’istinto: si gettò a terra e il proiettile energetico lo mancò di un soffio. Sparò in risposta, ma i proiettili fisici non riuscirono a scalfire l’armatura del bersaglio.

Il demone aveva avuto a che fare con moltissime macchine da guerra, ma non aveva mai visto robot del genere.

Bastarono pochi secondi e capì di essere circondato. Era pronto ad arrendersi, ma uno degli automi fece fuoco con l’arma integrata nel braccio e anche lui cadde a terra privo di sensi.

«Wow, queste biomacchine sono davvero devastanti» esalò l’ispettore Smidr. «Come avrà fatto il governatore a procurarsele?»

«Ci penseremo dopo aver tolto di mezzo Égettvér» affermò il commissario Mantina. «Biomacchine, procedete.»

Gli automi, tre in tutto, si voltarono verso la loro nuova meta e si avviarono, rapidi e silenziosi.

Subito dopo anche gli agenti si diressero verso la fortezza del Sindaco, cauti e silenziosi. Dovevano stare attenti a non farsi individuare dai criminali, ma nel caso più estremo anche le biomacchine avrebbero potuto essere un pericolo per loro. E il motivo non era da imputare agli automi, ma agli ordini che avevano ricevuto.

Dopo essere stata informata che il governatore era riuscito a procurarsi delle nuove risorse per fermare Kerberosz Égettvér, il commissario Mantina andò insieme all’ispettore Smidr a vedere di cosa si trattava.

Personalmente dubitava ancora della reale competenza del nano, per questo non aveva idea di cosa aspettarsi. Certo i tre automi furono una sorpresa, soprattutto considerata la loro eccellente fattura.

«Il governatore confida che, grazie a queste biomacchine, riuscirete in breve tempo a riprendere il controllo della colonia occidentale.»

«Lo vedremo» ribatté il commissario. «Se riuscisse a non rendere pubblica l’esistenza di queste biomacchine forse avremo qualche possibilità di farcela.»

L’assistente del governatore, colto di sorpresa dal tono ostile dell’insettoide, non seppe cosa rispondere.

«Biomacchine, quali sono i vostri ordini?»

«Seguire i suoi ordini al fine di riprendere il controllo della colonia occidentale» rispose una a nome di tutte e tre.

«E poi?»

«Il signor Glazkov non ci ha dato ulteriori disposizioni.»

«Quindi danno retta a lui» sibilò il commissario, poco entusiasta. «Fintanto che siete sotto il mio comando, la vostra priorità deve essere neutralizzare quel pazzo di Kerberosz Égettvér. Sono stata chiara?»

«Sissignora.»

«Emh, commissario…» provò a intervenire Smidr, «la priorità non dovrebbe essere la nostra incolumità?»

Gli occhi composti della donna trafissero il gigante di ghiaccio.

«Come ho detto, la priorità è Kerberosz Égettvér. Catturatelo se possibile, altrimenti uccidetelo.» Dopo un momento proseguì: «E cercate di preservare l’incolumità mia e dei miei uomini nel frattempo.»

«Sissignora.»

A conti fatti le biomacchine non avrebbero dovuto essere una minaccia diretta per i poliziotti, ciononostante nessuno di loro avrebbe voluto trovarsi tra loro e il tartariano.

Per evitare ulteriori problemi, il piano stabiliva che gli agenti dovevano limitarsi a fornire supporto alle biomacchine, intervenendo solo in caso di necessità per assicurare il successo dell’operazione.

Con quattro colleghi ancora in ospedale e uno in cella, era sicuramente meglio lasciare agli automi l’onere di stare in prima linea.

Kerberosz era a letto mezzo ubriaco quando qualcuno bussò con violenza sulla porta.

«Égettvér!» gridò il seccatore. «Égettvér, ci attaccano!»

«Oh, vaffanculo! Ancora cinque minuti!»

«È la polizia!» insistette l’uomo dall’esterno. «Hanno delle nuove armi! Ci stanno massacrando!»

Nonostante la sbornia Kerberosz si destò immediatamente. «Ah, sì? Interessante…»

Si vestì rapidamente e uscì dal suo appartamento, piuttosto grande ma anche spoglio e disordinato.

«Cosa dicevi? Si sono decisi a farmi divertire?»

«Hanno portato dei robot» spiegò l’uomo, concitato. «Non riusciamo a fermarli!»

Il tartariano sorrise malignamente, impaziente di combattere. «Portami da loro.»

L’altro annuì e lo condusse rapidamente nel punto dove infuriava la battaglia. In realtà più che una battaglia sembrava uno scontro a senso unico, con le tre biomacchine che abbattevano uno dopo l’altro i criminali presenti.

Kerberosz sorrise. «Ora sì che si-»

Il proiettile d’energia lo colpì a tradimento, appena entrato nel raggio d’azione di una delle biomacchine. Il suo scudo energetico collassò immediatamente e lui cadde a terra. L’uomo con lui sbarrò gli occhi e si gettò al riparo, urlando terrorizzato.

«Ah, porca puttana!» Il tartariano serrò i denti e si rialzò. «Robot di merda! Ora vengo lì e-»

Di nuovo una biomacchina gli sparò contro senza dargli il tempo di finire la frase, ma questa volta il criminale riuscì a proteggersi con un braccio.

«Ora sì che si ragiona!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

La polizia ha tirato fuori il suo asso nella manica, che però ha qualcosa di vagamente sospetto: dove le avrà prese il governatore quelle biomacchine…?

Se non altro gli automi stanno facendo il loro dovere e gli uomini del (nuovo) Sindaco sono in netta difficoltà. L’unico che sembra apprezzare la situazione è Kerberosz, ma già sapevamo che il caos e la battaglia sono il suo habitat naturale XD

Nel prossimo capitolo vedremo se Kerberosz riuscirà a vincere ancora una volta, o se soccomberà sotto il potere delle biomacchine.

A presto ^.^


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Capitolo 28
*** 27. Una prova di forza ***


27. Una prova di forza

Era proprio nel mezzo di una battaglia che Kerberosz riusciva a sentirsi davvero libero. Poteva dare sfogo a tutta la sua rabbia, sbaragliando chiunque si frapponesse sulla sua strada. Si sentiva forte, appagato, inarrestabile. Si sentiva a casa.

Le biomacchine concentrarono il fuoco sul tartariano, che balzava da un nascondiglio all’altro con incredibile agilità. Saltò sull’angolo di un edificio e si tuffò verso uno degli automi. Lo centrò in pieno con un pugno e la biomacchina cadde all’indietro. L’automa provò a rialzarsi, ma Kerberosz si avventò su di lui come una belva assetata di sangue.

Assestò un pugno, un altro, un terzo, ma la corazza del nemico ne venne appena incrinata.

Le altre biomacchine arrivarono in soccorso del loro simile, costringendo il fuorilegge a indietreggiare.

«Ah! Finalmente dei giocattoli resistenti!»

Completamente inebriato dalla foga del combattimento, tornò all’attacco a testa bassa. I proiettili d’energia delle biomacchine lo colpirono, sentì la pelle quasi nera che veniva bruciata dal calore, ma il dolore non faceva che acuire i suoi sensi.

Afferrò un pezzo di metallo, una portiera di un’auto probabilmente, e lo scagliò con forza disumana. La lastra impattò contro una delle biomacchine, conficcandosi nella spalla.

Kerberosz si avventò sul punto debole e colpì la portiera con tutto lo slancio che aveva. L’automa venne sbalzato indietro e lo sportello schizzò via, andando a conficcarsi nella facciata di un edificio.

Senza perdere il ritmo Kerberosz balzò verso la seconda biomacchina, la prese per un braccio e la fece roteare come una trottola. Sfruttando la forza centrifuga la scagliò contro il terzo automa, abbattendoli entrambi in un colpo solo.

«Tutto qui quello che sapete fare?!» gridò, affamato di violenza.

Era convinto di aver messo al tappeto le biomacchine, invece tutte e tre si stavano già rialzando. Quella con la spalla danneggiata si era addirittura già riparata: lo squarcio si era rimarginato quasi del tutto e l’arto non sembrava accusare alcun malfunzionamento.

Quello che per molti sembrava un presagio di sconfitta, per il tartariano era motivo di gioia distorta: avrebbe potuto combattere ancora!

Tornò alla carica, deciso a dare sfogo a tutta la sua rabbia, e le biomacchine risposero sparando a volontà. Kerberosz schivò alcuni colpi, più per sfizio che per necessità, provò a deviarne uno con il braccio ma non avvertì l’inebriante sensazione di bruciato che aveva provato fino a poco prima. Il suo braccio adesso sembrava intorpidito e faticava a muoversi.

Venne colpito ancora, inciampò e cadde a terra. Lo stavano paralizzando completamente. Lo stavano sconfiggendo senza nemmeno combatterlo davvero! Era inaccettabile!

Serrò i denti aguzzi e si rimise in piedi. «Se volete fermarmi, dovrete uccidermi!»

Le biomacchine cessarono il fuoco e improvvisamente parve calare il silenzio. Ma fu solo un istante.

Gli automi cambiarono tipo di proiettile e ripresero a sparare. La cadenza di fuoco adesso era ridotta, ma Kerberosz si sentiva troppo stanco per schivare. Le sfere di energia lo toccarono e implosero in un istante, lasciando al loro posto solo un buco grondante di sangue.

Questa volta il tartariano non riuscì a trattenere un grido di dolore: quei proiettili gli stavano letteralmente strappando la carne dal corpo. Era come se lo stessero mangiando vivo.

Kerberosz però non aveva nessuna intenzione di arrendersi. Il dolore era lancinante, ma se credevano di fermarlo, si sbagliavano di grosso.

 Stava per rialzarsi quando qualcuno piombò su di lui. Lo bloccò contro il terreno, gli afferrò le braccia e lo ammanettò.

«Fermatevi!» gridò Freyja alle biomacchine. «L’abbiamo catturato!»

Gli automi, i cui ordini erano stati molto chiari, si immobilizzarono: la priorità era catturare Kerberosz Égettvér, vivo se possibile, e in quel momento non sussisteva la necessità di ucciderlo.

«Che stai facendo?!» imprecò il tartariano. «Non mi farò catturare!»

«E io non ti lascerò morire» ribatté l’orchessa. «Non fuggirai così dai tuoi reati!»

«Ah! Sei proprio una piedipiatti! Pensavo che ormai mi odiassi. O magari sotto sotto ti piacciono i cattivi ragazzi? Eh, miss poliziotta?»

«Mi spiace deluderti, ma no, non ti odio» affermò Freyja, e il suo tono era assolutamente serio.

«Tse! La prossima volta mi impegnerò di più. Magari se uccidessi qualche bambino…»

L’orchessa lo prese con foga per la giacca. «Perché?! Perché cerchi a tutti i costi di fare il cattivo?!»

Lui le sorrise malignamente. «Sono un tartariano. Io sono cattivo!»

Lei lo lasciò andare e si alzò. «No. Nessuno nasce cattivo. E mi spiace di non esserci stata quando avevi bisogno di sentirtelo dire.»

Kerberosz esitò. Ma fu solo un momento, perché poi scoppiò a ridere. Una risata fragorosa, denigratoria, ostentata. «Sei proprio fuori di testa, miss poliziotta! È proprio vero che non si possono avere sia tette che cervello!» Altri due agenti lo afferrarono e lui non oppose resistenza. In ogni caso, anche se avesse voluto, le manette speciali glielo avrebbero impedito. «Ecco, portatemi via, prima che gli venga in mente di abbracciarmi!»

I poliziotti, che certo non aspettavano la sua autorizzazione, lo portarono verso il mezzo più vicino, scortati da vicino dalle tre biomacchine.

L’orchessa li seguì con lo sguardo e solo quando la portiera si chiuse si decise a tirare un mezzo sospiro di sollievo.

«Valkyregard, che fai lì impalata?!» la sgridò Mantina attraverso il comunicatore. «Ci sono molti altri criminali da arrestare!»

Freyja per poco non sobbalzò. «Scusi, commissario! Eccomi, commissario!»

L’insettoide purtroppo aveva perfettamente ragione: la colonia pullulava ancora di fuorilegge e loro non potevano certo abbassare la guardia.

Arrestare Kerberosz era un traguardo importante, ma dovevano ancora lavorare duramente se volevano sperare di riportare l’ordine e la giustizia nella colonia occidentale.

***

Una volta disattivato il generatore di interferenze, era stato relativamente semplice spostare il campo base vicino al bunker, così da azzerare qualsiasi tempo di percorrenza. Il prefabbricato era abbastanza robusto da proteggerli dalla fauna di Niflheim, inoltre la nutrita scorta di viveri li rendeva praticamente autosufficienti.

Di fatto era dalla presa di potere di Kerberosz che non avevano contatti con la colonia occidentale, e ora che il tartariano erano stato arrestato, quel rifugio era uno degli ultimi nascondigli rimasti per gli uomini del Sindaco. Per quelli più importanti per lo meno: gli altri erano quasi tutti dietro le sbarre o lontani dal pianeta.

Priscilla, che in quel momento era in pausa, andò in cucina e aprì il suo frigo personale. Prese quella che sembrava in tutto e per tutto una sacca di sangue, la aprì e cominciò a sorseggiarla mentre faceva due passi per la base.

D’un tratto sentì una voce: «Sì, sto lavorando su Niflheim.» Era Yalina e sembrava seccata. «Perché ti interessa?»

«Qualsiasi cosa tu stia facendo, ti consiglio di andartene» le rispose qualcuno, una donna.

La porta era aperta, così l’anfibiana si avvicinò.

«E perché dovrei? Non sarà un gran che, ma è pur sempre lavoro.»

«Credi forse che ti chiederei qualcosa senza un valido motivo?» ribatté la donna. Priscilla osservò il suo ologramma e notò subito la somiglianza con Yalina: avevano gli stessi capelli mori e la stessa carnagione olivastra. L’ologramma non aveva le orecchie a punta tipiche degli elfi, quindi probabilmente era un’umana.

«Se è così valido, perché non lo me lo dici?»

«La cosa non ti riguarda» sentenziò l’umana. Era più vecchia di Yalina, ma era difficile stabilire la sua età. Di sicuro il suo portamento era degno di una regina.

«E allora non aspettarti che ti dia retta.»

«Ti sembra questo il tono con cui rivolgerti a tua madre, signorina?»

«Se non ti sta bene, vieni pure qui a sculacciarmi. Oh, scusa, è vero: sei troppo impegnata per queste sciocchezze.»

L’espressione dell’umana rivelò tutto il suo disappunto, ma riuscì comunque a mantenere un atteggiamento nobile e distaccato. «Vi siete immischiati in qualcosa più grande di voi, e se non ve ne andate subito la cosa potrebbe finire molto male per voi.»

«Beh, grazie per l’informazione, madre, ma con tutto il rispetto: chissenefrega.» Interruppe la chiamata senza dare alla donna il tempo di ribattere e solo allora si concesse un sospiro di rassegnazione. «Spero non sia qui anche tu per farmi la predica.»

«Scusa, non ho potuto fare a meno di sentire» ammise Priscilla. «Certo non voglio farti la predica, ma sai, tua madre… Beh, non è esattamente una persona qualunque. Se dice che ci conviene cambiare aria, un pensiero ce lo farei.»

Yalina non rispose, limitandosi ad osservare le piccole larve che presto sarebbero andate a rinforzare il suo sciame. «Secondo te perché vuole che ce ne andiamo? Per il casino che c’è alla colonia occidentale?»

«Mmh, non credo. Credo che il vero problema sia il bunker.»

«Ma lei… come fa a sapere del bunker? Dovrebbe essere un’informazione riservata.»

Lo sguardo di Priscilla si fece eloquente. «Da quello che ho sentito, direi che ci sono almeno due fazioni interessate al bunker, o meglio: alle biomacchine che contiene. Una è quella per cui lavora Mowatalji, l’altra… in realtà non so chi potrebbe essere, ma deduco che sia legata a tua madre. Qualche idea?»

La mezzelfa fece spallucce. «Non è che mi parli molto dei suoi affari. In realtà non parliamo molto e basta.»

«Beh, in ogni caso proverò a sentire Mowatalji. In tutta onestà comincio a essere stufa di questo incarico.» L’anfibiana bevve l’ultimo sorso di liquido rosso. «Cavolo: siamo cacciatori, mica guardiani!»


Note dell’autore

Rieccoci qui!

In questo capitolo abbiamo assistito a una tripla prova di forza. Prima Kerberosz ha tirato fuori tutta la sua rabbia, riuscendo a danneggiare le biomacchine. Purtroppo per lui non è bastato e gli automi sono riusciti a prevalere, dimostrandosi un nemico ancora più temibile. Se non fosse stato per Freyja e per la sua forza morale, di sicuro il tartariano avrebbe fatto una brutta fine.

Con Kerberosz fuori dai giochi, le cose dovrebbero essersi messe meglio per la polizia, ma sarà davvero così?

Nella seconda parte del capitolo abbiamo visto Yalina al telefono con sua madre, e le richieste della donna hanno aperto un nuovo possibile fronte: quale sarà la nuova fazione di cui ha parlato Priscilla? Se sono contro i capi di Mowatalji, allora potrebbero essere disposti ad aiutare le forze dell’ordine, ma in genere le cose non sono così semplici…

Come sempre non vi resta che aspettare il prossimo capitolo.

A presto ;D


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Capitolo 29
*** 28. Legge contro giustizia ***


28. Legge contro giustizia

«Ed è grazie al nostro coraggio e alla nostra determinazione che siamo riusciti a riconquistare la colonia occidentale!» esclamò l’ologramma del governatore, proiettato in scala gigante al centro di una piazza altrimenti vuota. «Queste due nobili qualità sono la base su cui ricostruiremo il nostro futuro, insieme! Fatevi avanti! È giunto il momento di ricostruire! Dalle ceneri ci rialzeremo più forti che mai, e molto presto i più coraggiosi e i più determinati vedranno i frutti del loro lavoro! Siete venuti fin qui con la promessa di un nuovo inizio, di una frontiera ricca di opportunità. E qui la troverete! Ci siamo ripresi la frontiera, ora andiamo avanti, insieme! Qui c’è l’ultima frontiera dell’universo! Qui c’è il vostro futuro!»

Messaggi simili venivano proiettati un po’ ovunque nella colonia occidentale, e altri spot pubblicitari erano stati diffusi per attirare nuovi cittadini.

All’inizio in pochi avevano risposto all’appello, poi però i numerosi arresti avevano convinto la gente che davvero la colonia stava diventando un luogo sicuro. Erano perfino stati assunti nuovi poliziotti per aumentare l’efficienza delle forze dell’ordine.

La liberazione della colonia occidentale veniva considerata una grande vittoria per tutti, a partire dalla Orborum Domini, la società proprietaria del pianeta. L’escalation di criminalità aveva messo in grave pericolo i loro profitti, ora invece le proiezioni erano estremamente positive e gli amministratori dell’azienda si dicevano propensi a supportare la ricostruzione della colonia occidentale con generose somme di denaro.

Ai vecchi coloni erano stati promessi indennizzi e sovvenzioni per restare, ai potenziali nuovi cittadini era offerta l’opportunità di ricominciare tutto da capo – con grandi prospettive di guadagno per i primi temerari –, e perfino agli immigrati irregolari era stata offerta la cittadinanza, così da garantire un ulteriore flusso di tasse e manodopera.

Quello che però era visto come il vero vincitore era il governatore Vitaly Glazkov. Era stato quello che più di tutti aveva lottato per raggiungere quel risultato, anche quando gli ostacoli sembravano insormontabili. La sua fama era ai massimi storici e la sua conferma al comando della colonia occidentale era data per scontata. Sempre ammesso che la Orborum Domini non decidesse di promuoverlo, magari come governatore della capitale, o addirittura come supervisore di tutte le colonie di Niflheim.

Eppure c’era ancora qualcuno che non si fidava di lui.

Freyja prese un profondo respiro e bussò rispettosamente alla porta del commissario Mantina. Dato che la centrale di polizia era stata distrutta, gli uffici degli agenti erano stati temporaneamente collocati in un anonimo prefabbricato pensato per ospitare negozi e altre attività commerciali.

«Avanti.»

L’orchessa premette l’apposito touchpad e la porta scorrevole si aprì.

«Commissario, c’è una cosa importante di cui vorrei parlarle.»

«Sarebbe?»

«Credo che il governatore Glazkov sia in qualche modo collegato al Sindaco.»

L’insettoide la trafisse con lo sguardo. La sua espressione contrariata era difficile da interpretare, ma di certo non era stupita.

«Cosa te lo fa pensare?»

«Ho fatto esaminare il grano coltivato nelle piantagioni del Sindaco e quello fornito dal governatore, e si tratta della stessa varietà.»

«Continua» la esortò il commissario, anche se il suo tono sembrava quasi una minaccia.

Freyja esitò. «È… È tutto. Per ora! Vorrei il suo permesso per indagare ulteriormente.»

«Permesso negato.» L’insettoide abbassò lo sguardo sul suo monitor. «Torna al tuo lavoro.»

L’orchessa, colta di sorpresa dalla freddezza del suo superiore, appoggiò le mani sulla scrivania e si protese in avanti. «Ma, commissario! Potrebbe essere collegato al Sindaco!»

Mantina la guardò con disapprovazione. «Sì, l’hai già detto.»

«E allora perché non vuole che indaghi?!»

«In questi giorni il governatore sta trattando con alcune aziende per vari contratti di sponsorizzazione. E la colonia ha bisogno di quei soldi più di quanto immagini. Le promesse della Orborum Domini sono tutte chiacchiere: senza i soldi degli sponsor siamo fregati.»

«Ma stiamo parlando di un potenziale criminale! Potrebbe essere coinvolto in tutto quello che è successo nelle ultime settimane!»

«Sì, potrebbe.»

Freyja batté i pugni sul tavolo. «E allora! Non è forse compito nostro far prevalere la giustizia?!»

L’espressione del commissario divenne, se possibile, ancora più truce. «Il nostro compito è applicare la legge. La giustizia è solo un ideale astratto che non conta nulla in tribunale. E poi pensaci: se accusassimo il governatore di essere in combutta con il Sindaco, cosa pensi che farà la Orborum Domini? Ci lascerà perseguire il suo uomo copertina, o ci tirerà un calcio in culo e ci intimerà di lasciare il pianeta?»

Nonostante la sua determinazione, l’orchessa esitò dinnanzi alla freddezza del suo superiore. Serrò i pugni. «Non servirò un altro criminale.»

L’insettoide si prese qualche istante prima di rispondere. «Non intendo autorizzare un’indagine ufficiale. Se vuoi indagare, dovrai farlo nel tuo tempo libero.»

Nonostante tutto, gli occhi rossi di Freyja parvero riaccendersi di speranza nel sentire quelle parole.

«Ma fai attenzione e sii discreta. Sei una brava poliziotta, ma devi pensare di più con la testa e meno con il cuore. Ora vai, e non farmi pentire.»

«No, commissario. Grazie, commissario. Sarò super-discreta.» Camminando all’indietro urtò lo stipite della porta. «Grazie, commissario.»

Ora che aveva l’autorizzazione del suo superiore – più o meno – si sentiva carica e pronta a fare il suo dovere. Per di più la reazione dell’insettoide, per quanto fredda, le aveva fatto capire che anche Mantina nutriva dei sospetti sul governatore.

Doveva andare a fondo della questione, a qualsiasi costo.

***

Il prefabbricato di tre piani, del tutto simile a quelli vicini, aveva la tipica aria malmessa dei quartieri abusivi. Non c’era l’ascensore e salendo le scale si potevano notare svariati rifiuti abbandonati sui gradini.

I precedenti inquilini dovevano essere fuggiti in tutta fretta perché avevano lasciato le porte aperte e un gran disordine dietro di loro. Con ogni probabilità si trattava di fuorilegge che si erano dati alla fuga appena avevano capito che la polizia stava venendo ad arrestarli.

In quel momento nell’edificio c’era una sola persona. Si era diretta senza esitazione verso uno degli appartamenti in cima, come se già sapesse dove cercare.

C’era più di un motivo se lo chiamavano “Spadaccino Mistico”. Il primo e più ovvio era la sua straordinaria abilità nel combattere facendo fluttuare ben sei spade. Il secondo motivo, meno noto, era l’altrettanto straordinaria qualità delle sue percezioni extrasensoriali.

Sempre avvolto nel suo mantello, lo Spadaccino Mistico entrò in una stanza e raggiunse un anonimo tavolo su cui erano disposti due fucili d’assalto. Erano stati modificati per resistere alle interferenze di Niflheim, ma ormai non c’era più bisogno di un simile artificio e dunque i precedenti proprietari li avevano abbandonati.

Per lui era stato facile trovarli: Mowatalji gli aveva indicato l’indirizzo, a quel punto era bastato seguire la particolare firma energetica dei cristalli usati per contrastare le interferenze.

L’insettoide sollevò i due fucili con la forza del pensiero e li fece sparire in una tasca dimensionale.

Quelle armi potevano anche aver perso la loro utilità, tuttavia erano un indizio che era meglio non lasciare in giro. La polizia avrebbe potuto trovarle e da lì sarebbero potute partire ulteriori indagini.

Mentre scendeva le scale chiamò Mowatalji.

«Ho recuperato le ultime armi» disse in tono pacato.

«Ottimo lavoro, come sempre» rispose il suo interlocutore, che però non aveva l’aspetto di un elfo, bensì quello di un faunomorfo. «Ho sentito la base e mi hanno detto che vogliono portare via le biomacchine. Potrebbe volerci qualche giorno per preparare tutto, quindi vorrei che andassi al bunker e aiutassi a difenderlo. La polizia dovrebbe essere troppo impegnata nella colonia per indagare all’esterno, ma è meglio essere prudenti.»

Lo Spadaccino annuì. «Nessun problema.»

Durante la presa di potere di Kerberosz Égettvér, l’insettoide era rimasto in disparte, così come Mowatalji, e si era limitato a osservare la situazione. In realtà aveva osservato soprattutto i pub: ormai poteva dire di aver visitato almeno una volta tutti i locali forniti di alcol della colonia.

L’idea di difendere il bunker non gli suscitava nessuna emozione: per lui era solo un lavoro come un altro e con ogni probabilità avrebbe passato la maggior parte del tempo a meditare. Al massimo avrebbe dovuto affettare qualche animale selvatico troppo temerario.

E pensare che un tempo desiderava a tutti i costi diventare più forte. Si era allenato duramente, credendo che solo dopo una vita di sforzi avrebbe potuto eguagliare il suo maestro, invece era riuscito a sconfiggerlo dopo meno di sei mesi. La cosa avrebbe dovuto renderlo orgoglioso, invece si era sentito profondamente deluso: che senso aveva impegnarsi, se tanto era già così forte?

Con questa triste consapevolezza aveva preso le spade del suo maestro, le micidiali daghe Squarciaspiriti, e aveva abbandonato i Cavalieri della Luce.

Uscì dal prefabbricato senza nemmeno preoccuparsi di non essere visto e salì sulla sua hoverbike.

L’idea di essere un ricercato non lo impensieriva – nessun poliziotto avrebbe potuto tenergli testa – in ogni caso non aveva più motivo di restare nella colonia occidentale. Ormai non gli rimaneva che fare scorta di alcolici e poi avrebbe potuto lasciarsela alle spalle.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo vediamo una volta di più la differenza che c’è tra Freyja e Mantina. Volendo fare un paragone con D&D, la prima è sicuramente lawful good, mentre il commissario mi sembra sempre di più una lawful evil XD

Passando alle cose serie, Freyja ha espresso i suoi sospetti sul governatore, ma al momento non ha prove. Di certo il governatore ha commesso dei “passi falsi” (per essere gentili): che sia tutto parte del suo piano?

Nel frattempo sono ricomparsi Mowatalji (che però non aveva l’aspetto con cui l’abbiamo conosciuto) e lo Spadaccino Mistico. Sui loro loschi fini non ci sono dubbi, quindi non resta che vedere cos’altro hanno in mente. Davvero riusciranno a farla franca, o in qualche modo la polizia riuscirà a intervenire?

A presto e buona Pasqua! ^.^


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Capitolo 30
*** 29. Sulle tracce del Sindaco ***


29. Sulle tracce del Sindaco

Concluso l’ultimo, infruttuoso interrogatorio, Freyja controllò l’orologio. Il suo turno era finito da più di un’ora, ma era rimasta nella centrale di polizia ad interim per cercare di scoprire qualcosa di più sul Sindaco.

Purtroppo i criminali che avevano arrestato, quasi tutti di basso rango, sembravano saperne quanto lei. Nessuno di loro aveva mai visto il Sindaco dal vivo; perfino Shiburo Hioki – che ricopriva un ruolo più in alto nella gerarchia – aveva sempre ricevuto gli ordini tramite degli intermediari.

L’uomo chiave in questo senso sembrava essere Mowatalji: l’elfo era stato citato più di una volta durante gli interrogatori, eppure nessuno sapeva dire con certezza chi fosse o da dove venisse. L’orchessa aveva avuto a che fare con lui in prima persona, eppure sul momento non aveva capito quanto il suo ruolo fosse centrale nell’organizzazione criminale del Sindaco. Se davvero il governatore fosse stato in combutta con il Sindaco, di sicuro lui l’avrebbe saputo, ma purtroppo avevano perso completamente le sue tracce.

In ogni caso non aveva nessuna intenzione di arrendersi: aveva almeno un’altra pista che poteva seguire.

Era pronta a tornare a casa da Lunaria, ma mentre si dirigeva verso le scale notò che c’era qualcun altro che si era fermato ben oltre la fine del suo turno: si trattava della faunomorfa di tipo ghepardo, che in quel momento stava digitando sulla sua tastiera con una rapidità impressionante, muovendo il cursore ad un ritmo impossibile per una persona normale.

All’improvviso si fermò e batté i pugni sul tavolo. «Vaffanculo!»

Freyja le si avvicinò. «Linch, tutto bene?»

«No, che non va bene! Lo Spadaccino Mistico ha cancellato tutti i dati dai computer del Sindaco e non riesco a recuperare nulla! Prima se ne occupava Reza, ma ora…»

L’orchessa cercò di usare un tono comprensivo. «Se sono stati cancellati non puoi farci nulla.»

«E allora cos’altro potrei fare?!» imprecò la velocista. Guardò con rabbia le stampelle appoggiate lì a fianco. «Questo è l’unico modo in cui posso rendermi utile. Se non ci riesco, non mi resta niente…»

L’orchessa non seppe cosa dire.

I medici avevano fatto il possibile per ricostruire la colonna vertebrale della teriantropa, ma adesso riusciva a malapena a camminare. In un ospedale più attrezzato sarebbe stato possibile fare un lavoro molto migliore, forse le avrebbero addirittura permesso di correre come prima, ma la loro assicurazione non copriva interventi così costosi.

Le mise una mano sulla spalla. «Nessun poliziotto è inutile. Soprattutto una con la tua determinazione.»

La velocista non rispose.

«Vedrai che domani troverai una soluzione» proseguì Freyja. «Se ti va puoi venire a mangiare da me stasera. La fata amica di D’Jagger non sarà contenta, ma credo sia solo un po’ intimorita dalle persone.»

«Grazie, ma credo che tornerò a casa mia» esalò la teriantropa, la testa bassa.

L’orchessa non insistette. «D’accordo. A domani.»

«Sì, a domani… Magari verrò la prossima volta.»

Freyja le sorrise apertamente. «Certo! Ci conto allora!»

Il giorno seguente Freyja tornò al lavoro con in mente un nuovo piano per scoprire la verità sul Sindaco, ma per portarlo a termine aveva bisogno dell’aiuto di un collega.

Attese la pausa pranzo e poi ne approfittò per avvicinarsi al suo potenziale alleato.

«Buongiorno, Xi. Ti spiace se mi siedo?»

Il poliziotto, un treant, le fece segno di accomodarsi. In genere quelli della sua specie erano piuttosto alti, lui invece era relativamente basso. Superava comunque l’orchessa e il suo corpo nodoso lo faceva apparire più grosso di quanto fosse in realtà.

«Ho sentito che sei uno sciamano oltre che un sensitivo» disse Freyja.

Lui mosse leggermente il capo. «Ho studiato un po’, sì.»

«Sto svolgendo alcune indagini per conto mio e avrei bisogno del tuo aiuto.»

Lui aggrottò le sopracciglia, formate da piccole foglioline. «Su cosa stai indagando?»

«Il Sindaco. E il governatore. Ci sono alcune cose che non mi convincono. Temo che il governatore possa essere coinvolto in qualche modo, ma il commissario non vuole far partire un’indagine ufficiale per non causare problemi alla colonia.»

«Quest’ultima parte non mi stupisce» commentò il treant.

«Se andassimo nel luogo dove è morto il Sindaco, potresti riuscire a percepire qualcosa?»

Xi ci pensò su un attimo. «È passato un po’ di tempo, comunque sì, dovrei riuscirci. Però se non è un’indagine ufficiale non possiamo farlo durante l’orario di lavoro.»

«Lo so, lo so. Ti prego, mi aiuteresti durante il tuo tempo libero?»

Il treant sospirò e annuì. «D’accordo. Se davvero è come dici, non ho nessuna intenzione di farla passare liscia al governatore.»

Freyja gli sorrise, piena di riconoscenza. «Grazie! Grazie, davvero! Ti devo un favore!»

Xi, che era nettamente più vecchio dell’orchessa, parve apprezzare quella gioia spontanea: era bello avere dei colleghi più giovani così pieni di energia.

Come da accordi, la mattina dopo raggiunsero il punto in cui il fuoristrada guidato dal Sindaco aveva avuto l’incidente ed era esploso. Sulla strada e sugli edifici si vedevano ancora i segni dello scoppio, ma il veicolo era stato rimosso ben prima dell’arrivo della polizia e non avevano trovato traccia del cadavere.

«Ti serve che faccia qualcosa?» chiese l’orchessa, poco avvezza alle pratiche sciamaniche.

«No, penso a tutto io. Tu fai solo in modo che nessuno ci disturbi.»

Lei annuì con diligenza militare, come se fossero in veste ufficiale.

Mentre il treant si preparava, lei rimase a qualche passo di distanza e lo osservò con genuina curiosità. L’arte di comunicare con i morti non era estranea alla polizia – in alcuni processi la vittima era stata addirittura chiamata come testimone – tuttavia erano pochi quelli in grado di padroneggiare una simile tecnica e quindi non aveva mai avuto l’occasione di assistervi di persona.

Xi bevve una pozione e poi, avvolto da uno strano fumo profumato, chiuse gli occhi e cominciò a meditare.

Freyja non aveva idea di quanto ci sarebbe voluto – forse avrebbe fatto meglio a chiederglielo – così rimase in attesa, attenta che nessuno si avvicinasse.

Dopo qualche minuto il treant riaprì gli occhi.

L’orchessa gli si avvicinò e subito si accorse che sembrava leggermente provato. «Tutto a posto?»

«Sì, sono solo un po’ stanco. Era da tanto che non lo facevo.»

Prese un’altra pozione e la bevve tutta d’un sorso.

Lei attese un istante per dargli il tempo di riprendersi. «Hai scoperto qualcosa?»

Lui scosse mestamente il capo. «Mi spiace. Forse è già passato troppo tempo, o magari hanno coperto le tracce in qualche modo. Però è strano: sarò anche un po’ arrugginito, ma non ho percepito proprio niente.»

«Grazie lo stesso, almeno ci abbiamo provato.»

Xi annuì. Ripose con ordine le sue cose e si avviò verso casa.

Anche Freyja si incamminò e strada facendo rifletté su ciò che aveva scoperto – o forse era meglio dire non scoperto. Più indagava, e più il Sindaco sembrava essere un fantasma.

Si sentiva più confusa di quando aveva cominciato l’indagine, e soprattutto non aveva trovato niente che potesse collegare il governatore al criminale. Ma nemmeno qualcosa in grado di scagionare il politico.

Le sembrava di aver guardato ovunque e di aver chiesto a chiunque, ma evidentemente c’era qualcuno che stava coprendo le tracce del Sindaco con sorprendente attenzione. Si trattava forse di Mowatalji? Ma quale poteva essere il suo reale obiettivo?

Ripensandoci, c’era qualcuno che sicuramente sapeva qualcosa ma che non aveva ancora interrogato. Dubitava fortemente che sarebbe riuscita a estorcergli delle informazioni, ma ormai era a corto di alternative.

«Scusa, Lunaria. Anche oggi dovrai pranzare senza di me.»

***

L’essere che osservava Niflheim da lontano era sempre più preoccupato.

Gli intrusi erano riusciti ad attivare alcune delle biomacchine, ma il vero problema era che stavano pianificando di portare via gli automi.

La polizia era ancora impegnata a rimettere in piedi la colonia occidentale, e questo lo costringeva ad adottare un approccio più diretto. Non poteva permettere che l’eredità del suo popolo cadesse nelle mani di criminali senza scrupoli.

Il telefono squillò per qualche secondo e poi rispose una voce di donna: «Sono Rossweisse.»

«Ho un incarico urgente per te. Può interessarti sapere che lo Spadaccino Mistico è coinvolto.»

La sua interlocutrice non ci pensò due volte: «Dimmi dove devo andare.»

***

Freya era nervosa. Era seduta in una delle sale per gli interrogatori di Ziqi City, eppure una parte di lei pensava ancora che avrebbe fatto meglio ad alzarsi e correre via.

La porta si aprì all’improvviso e lei avvertì un fremito, ma si sforzò di mantenere la calma.

I colleghi ammanettarono il prigioniero al tavolo così che non potesse causare problemi e poi lasciarono la stanza.

L’orchessa chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e guardò negli occhi il detenuto.

Kerberosz le sorrise malignamente. «Ma allora è vero che non riesci a starmi lontano!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Freyja le ha provate tutte per scoprire di più sul possibile collegamento tra il Sindaco e il governatore, ma alla fine l’unico che potrebbe davvero aiutarla è Kerberosz. E qualcosa mi dice che il tartariano non sarà così entusiasta di assisterla nelle indagini…

In ogni caso abbiamo avuto modo di vedere come se la passa Linch (non molto bene, purtroppo T_T) e abbiamo conosciuto un po’ meglio Xi, il sensitivo comparso qualche capitolo fa :)

In questo capitolo abbiamo anche visto che il misterioso “osservatore” ha deciso di fare la sua mossa e ha contattato una certa Rossweisse (chi ha letto altri miei racconti potrebbe già conoscerla ;D).

Nel prossimo capitolo vedremo se Freyja riuscirà a convincere Kerberosz a rivelarle qualcosa in più sul Sindaco.

A presto! ^.^


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Capitolo 31
*** 30. La verità sul Sindaco ***


30. La verità sul Sindaco

Per Freyja era difficile trovarsi di nuovo faccia a faccia con Kerberosz. La sua aura minacciosa la spaventava, ma soprattutto non poteva non pensare a tutto quello che il tartariano aveva fatto. A Nora Linch, ai suoi colleghi, ai civili innocenti e alla colonia occidentale.

«Allora, a cosa devo il piacere?» le chiese il criminale. «Sei venuta a propormi un accordo? O volevi solo vedermi? Sai, anche io ho pensato a te in questi giorni.» Abbassò lo sguardo sul seno dell’orchessa. «Beh, al tuo corpo per lo meno… Non pensi anche tu che i nostri figli sarebbero fortissimi?»

Freyja rabbrividì al solo pensiero. L’idea di avere una relazione con il tartariano era per lei del tutto inconcepibile, così come il fatto che il criminale potesse avere dei figli. Quale futuro poteva esserci per i bambini cresciuti da una persona tanto spregevole?

«No, nessun accordo» affermò, sforzandosi di apparire più determinata di quanto non fosse in realtà. «Hai commesso azioni terribili e devi assumertene la responsabilità. Non ti farò condonare nemmeno un giorno di prigione. Ma sono venuta comunque a chiederti una cosa: tu sai chi è il Sindaco vero?»

Kerberosz sorrise divertito. «Sì, certo che lo so. E sono uno dei pochi. Soltanto io, lo Spadaccino Mistico e il Branco sappiamo la sua vera identità. Oh, e ovviamente Mowatalji. Ma perché dovrei dirtelo?»

«Da come ti sei comportato, è chiaro che non ti interessa essergli fedele, quindi perché proteggerlo? Ti sta bene lasciarlo impunito mentre tu marcisci in prigione?»

Il tartariano ci pensò su un attimo. «Se la metti così, in effetti non mi va giù che lui si goda la libertà. Del resto è grazie a me se ha raggiunto i suoi scopi. Però se ti rivelassi chi è farei un favore alla polizia… e anche questo non mi va giù.»

Freyja batté i pugni sul tavolo. «Perché fai così?! Perché ti ostini a voler sembrare lo stereotipo di un cattivo? Non ho idea di cosa tu abbia passato per diventare così, ma ti prego, non è troppo tardi. Puoi essere migliore di così!»

«Migliore? Ah, “migliore” è soggettivo!»

«È davvero questo che vuoi? Vuoi marcire in prigione, solo e disprezzato da tutti?!»

«Temuto! La gente ha paura di me perché sono più forte di loro!»

La poliziotta scosse il capo. «Ti sbagli. Presto nessuno si ricorderà di te. E se non fosse per me non saresti nemmeno qui adesso!»

Il tartariano digrignò i denti aguzzi.

«Tu hai paura del giudizio delle persone!» proseguì Freyja. «Hai paura di non essere accettato, e per questo cerchi di fare in modo che gli altri ti temano!»

«Smettila! Tu non sai niente di me! E tieniti la tua pietà: è l’ultima cosa che voglio!»

«La mia non è pietà» ribatté l’orchessa, seria. «Ti sto offrendo la mia comprensione e il mio perdono. E se non lo capisci da solo vuol dire che ne hai ancora più bisogno.»

Questa volta fu Kerberosz a battere i pugni sul tavolo. «Zitta! Ne ho abbastanza dei tuoi discorsi moralisti! Vuoi sapere chi è il Sindaco? Bene, te lo dirò, così poi mi lascerai in pace! Ma non voglio farti un favore, quindi sappi che non testimonierò. E quello che sto per dirti potrebbe essere una bugia, quindi non pensare di usare la registrazione in tribunale.» Le sorrise malignamente. «Ecco la mia versione: il Sindaco non esiste e non è mai esistito. L’ha inventato il governatore Glazkov per avere un nemico da combattere, una scusa per usare il pugno di ferro e un capro espiatorio a cui addossare la colpa per tutti i problemi della colonia. Eliminandolo avrebbe salvato la colonia e tutti l’avrebbero visto come un eroe. Divertente, non trovi? Il criminale che avete combattuto fino ad ora altri non era che il vostro capo. Mi chiedo se questo renda anche voi dei criminali…?»

Freyja rimase in silenzio.

«Certo quel tizio non è proprio un genio, senza un po’ di aiuto non sarebbe mai riuscito a far funzionare un piano del genere, sta di fatto che vi ha fregati tutti per bene, non trovi?»

Di nuovo la poliziotta non rispose.

«Adesso non fai più la moralista, eh? Beh, cosa farai? Rivelerai a tutti che il governatore è un criminale ma senza avere le prove per dimostrarlo, o te ne starai zitta e lascerai che la faccia franca?»

Freyja si alzò e raggiunse la porta.

«Goditi la disperazione, stronza!» le gridò Kerberosz, ma lei non lo stava più ascoltando.

Una volta sola, l’orchessa cercò di mantenere la calma, ma dentro di lei si stava agitando un turbinio di emozioni. Ci aveva visto giusto: il governatore era legato al Sindaco, ma questo voleva dire che aveva fatto gli interessi di un criminale. Di nuovo.

Appoggiò la fronte sul muro, sconsolata. Come avrebbe fatto a dire ai suoi colleghi che tutto ciò che avevano subito era stato pianificato per il tornaconto del governatore?

«Ehi, tutto bene?»

Lei guardò d’istinto verso il collega che aveva parlato, ma subito si voltò dall’altra parte per nascondere gli occhi lucidi.

«No» sentenziò, più ostile di quanto avrebbe voluto.

Senza guardarlo in faccia lo superò e si diresse verso l’uscita, lo sguardo basso.

Non intendeva discutere di una questione del genere al telefono: doveva andare dal commissario Mantina e riferirle tutto di persona. Di sicuro l’insettoide avrebbe saputo cosa fare… ma lei sarebbe stata in grado di accettarlo?

Salì sull’auto di servizio che aveva preso in prestito, pronta a tornare alla colonia occidentale, ma una volta a bordo non riuscì più a trattenere le lacrime.

Per quanto si sforzasse di concentrarsi sulle persone che avevano aiutato, non riusciva a non pensare a quello che lei e i suoi colleghi avevano patito per far sì che il piano di Vitaly Glazkov si realizzasse. Il nano si era preso gioco di loro fin dall’inizio, e lei non aveva nulla per incriminarlo.

Alla fine Kerberosz era riuscito a farle più male con la verità che con tutti i colpi che le aveva inferto.

Le ci volle un po’ per riprendersi dallo sconforto, ma una cosa era certa: non poteva starsene lì a disperarsi mentre i suoi colleghi erano ancora all’oscuro di tutto.

Impostò il pilota automatico della volante e il mezzo partì docilmente, dando all’orchessa la possibilità di continuare a riflettere sul da farsi.

Era triste e arrabbiata, ma doveva mettere da parte le sue emozioni per analizzare la situazione con obiettività. Il governatore godeva dell’ammirazione dei cittadini e della fiducia della Orborum Domini, quindi non poteva accusarlo senza delle prove concrete. Di sicuro il commissario Mantina non glielo avrebbe permesso.

Per quanto la cosa le desse fastidio, per il momento la scelta migliore era mantenere un basso profilo. Se non altro adesso sapeva cosa cercare: di sicuro era rimasta qualche traccia, qualche indizio in grado di tradire il governatore, e in ogni caso era solo questione di tempo prima che Vitaly Glazkov commettesse un errore. E a quel punto lei si sarebbe fatta trovare pronta. Una volta raccolte delle prove, la giustizia avrebbe potuto fare il suo corso e il vero Sindaco avrebbe pagato per tutti i suoi crimini.

Un colpo improvviso la fece sussultare. Aveva urtato qualcosa?

Un messaggio di errore apparve sul cruscotto: qualcosa aveva appena colpito il veicolo, causando gravi danni al motore. Il pilota automatico accostò e cominciò a rallentare fino a fermarsi del tutto.

Freyja capì che non si trattava di un banale incidente e controllò il suo comunicatore, ma qualcosa stava disturbando il segnale. Era chiaramente sotto attacco, ma chi poteva essere? Forse il Sindaco, o meglio il governatore, era già venuto a conoscenza della sua scoperta? Ma come aveva fatto? C’era forse un’altra spia nella polizia?

Prese la pistola d’ordinanza, attivò lo scudo energetico per ripararsi dall’aria di Niflheim e uscì dal veicolo, appena in tempo per vedere un fuoristrada a levitazione in rapido avvicinamento.

Il mezzo si fermò a una decina di metri di distanza e dai finestrini uscì uno sciame di insetti, subito seguito da cinque persone. Tutte quante indossavano delle armature.

«Polizia, fermi dove siete!» ordinò Freyja puntando la pistola.

«Quell’arma non ti servirà a nulla» le fece notare la donna al centro, presumibilmente il loro capo. «Arrenditi e nessuno si farà male.»

L’orchessa sapeva di aver ben poche possibilità contro tutti loro, ma ciò che aveva scoperto era troppo importante: non poteva arrendersi.

«Chi siete? Uomini del Sindaco?»

«Ultimo avvertimento: deponi l’arma» ribadì la criminale ignorando completamente le sue domande.

Freyja sentì il ronzio degli insetti che la circondavano, formando un anello a pochi metri da lei.

Fuggire era praticamente impossibile: uno degli assalitori imbracciava un fucile con mirino di precisione, e in ogni caso avrebbe dovuto prima di tutto neutralizzare il fuoristrada.

La sua unica possibilità era riuscire a rubare – o meglio requisire – il loro mezzo, quelli però sembravano dei professionisti: non sarebbe stato facile superarli.

Si abbassò dietro la volante.

«Salva un messaggio nella memoria dell’auto» ordinò al suo assistente virtuale. «Il governatore Glazkov è il Sindaco. Me l’ha detto Kerberosz Égettvér, ma non testimonierà, quindi dovete trovare altre prove. Gli altri che sanno la sua vera identità sono Mowatalji, lo Spadaccino Mistico e il Branco. E prendetevi cura della fata che è a casa mia. Ok, salvalo.»

«Salvataggio completato.»

Freyja prese un profondo respiro. «Scusa, Lunaria, spero trovino il messaggio.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Alla fine la verità è venuta a galla, ma come sempre questa non è la fine dei problemi per Freyja e la polizia, semmai il contrario.

Come se non bastasse, l’orchessa ha appena lasciato Ziqi City e già è finita nel mirino di un gruppo di criminali, e non si tratta di criminali qualsiasi: di certo il Branco non si trovava lì per caso, ma al momento Freyja ha ben altro a cui pensare. Se non altro è riuscita a lasciare un messaggio nella volante. Basterà a informare i suoi colleghi di ciò che ha scoperto? E cosa ne vorranno fare di lei i cacciatori?

A presto! ^.^

PS: a quanti di voi è venuta la brutta idea di shippare la crack pair Kerby-tenerona? :P


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Capitolo 32
*** 31. Scomparsa ***


31. Scomparsa

Lo Spadaccino Mistico, seduto su una grossa roccia nei pressi del bunker, sembrava talmente assorto nella sua meditazione da non accorgersi di nulla. Ma in realtà non era così. Al contrario: i suoi sensi si estendevano per la foresta, permettendogli di percepire il terreno, le piante, gli animali. Sentiva l’energia del pianeta, i cui flussi avevano appena ricominciato a riprendersi dopo un’eternità di interferenze.

Nulla poteva sfuggire alle sue percezioni, per questo non ebbe difficoltà ad accorgersi della strana presenza in avvicinamento: un’intrusa, qualcuno che non era affiliato con il Sindaco, ma che in qualche modo gli risultava familiare. In realtà l’intrusa non stava nemmeno provando a nascondersi: avanzava con sicurezza, come se non le importasse di essere scoperta.

Quando la donna emerse dalla foresta, lo Spadaccino Mistico era già in piedi ad attenderla, le sei spade pronte.

La nuova arrivata aveva i capelli argentei, dello stesso colore degli occhi. Indossava una maschera per l’aria, ma non sembrava fare uso di alcuno scudo energetico per proteggersi dal freddo. Al fianco portava quella che sembrava l’impugnatura di una spada.

«Maestra Rossweisse» la accolse lo Spadaccino Mistico. «È un onore incontrarla.»

«Vorrei poter dire lo stesso» esalò la donna, lo sguardo serio. C’era qualcosa in lei che la faceva sembrare molto più vecchia di quanto non suggerisse il suo fisico atletico.

«È qui per le spade del mio maestro?»

«Sono qui per loro, sì, ma non solo. Ora devo chiederti di arrenderti.»

«E rinunciare alla possibilità di combattere con lei?» Lo Spadaccino Mistico sollevò le sue sei spade. «Non posso perdere una simile occasione!»

«Se credi che sia qui per combattere ti sbagli.» La donna prese l’impugnatura della sua arma e dal nulla comparve una lama argentea. «Sono qui per catturarti. Tu e tutti quelli che mi intralceranno. Quel bunker non vi appartiene.»

***

Era prima mattina nella colonia occidentale quando l’agente Nora Linch, ancora assonnata, varcò l’ingresso della centrale di polizia ad interim. Quando ancora aveva la sua velocità, ci metteva molto meno a prepararsi e ad arrivare in ufficio, ora invece doveva alzarsi prima e rischiava comunque di arrivare in ritardo. Se non altro il governatore aveva promesso che entro la fine della settimana sarebbero arrivati nuovi mezzi di trasporto pubblici.

La teriantropa raggiunse la sua postazione e accese lo schermo del suo computer. Il lavoro d’ufficio non le era mai piaciuto, ma sapeva che, almeno per il momento, quello era l’unico modo in cui poteva rendersi utile.

I colleghi andavano e venivano nell’ampio open space, ciononostante avvertì che c’era qualcosa che non andava.

Vide passare l’ispettore Smidr con un collega.

«Ehi, Gunnar, Freyja non è ancora arrivata?»

Il gigante di ghiaccio guardò verso la postazione dell’orchessa, vuota. «Io non l’ho vista. Tu?»

L’altro agente scosse il capo.

Mentre i colleghi proseguivano verso l’uscita, Nora controllò lo stato della volante che Freyja aveva preso in prestito per andare a Ziqi City. Ormai era metà mattina e non ricordava che l’orchessa fosse mai arrivata così in ritardo. In effetti, lei era quasi sempre tra i primi ad arrivare.

Soffocò un’imprecazione: il mezzo si trovava sulla strada che collegava la colonia occidentale all’altro centro abitato, ma il dettaglio più preoccupante era che la diagnostica riportava un guasto critico.

Provò a mettersi in contatto con lei, ma senza successo.

Senza perdere altro tempo afferrò le stampelle e si affrettò a raggiungere il suo capo. Bussò alla porta.

«Avanti.»

«Commissario, abbiamo un problema!»

«Come sempre.»

«La volante che ha preso Valkyregard per andare a Ziqi City è ferma sulla strada tra Ziqi City e la colonia, danneggiata a quanto pare. Ho provato a contattarla, ma non risponde e non riesco a rintracciare il suo device personale.»

L’insettoide non nascose il suo disappunto. «Da quanto è ferma lì?»

«Non ne sono sicura. Da ieri, probabilmente.»

«Prendi una volante e vai a controllare. Dovrebbe esserne rimasta almeno una.»

Nora esitò, lo sguardo basso sulle stampelle. «Ma, commissario…»

«Niente scuse. Continuerai a esaminare i dati nei computer del Sindaco mentre sei sulla volante.»

La teriantropa risollevò il capo. «Sì, commissario.»

Uscì dalla stanza e raggiunse il parcheggio, dove restava solo un veicolo, per giunta ammaccato e imbrattato con la vernice spray. Impostò la meta sul navigatore e fece partire il pilota automatico.

La volante attraversò con diligenza la colonia occidentale e poi prese velocità lungo la strada per Ziqi City. Non si vedeva nessuno né davanti né dietro, e la nebbia perenne rendeva l’atmosfera ancora più tetra e misteriosa, facendo aumentare la preoccupazione della poliziotta.

«Siamo quasi a destinazione» annunciò l’intelligenza artificiale.

Nora spense lo schermo olografico su cui stava lavorando, dove per altro non aveva fatto grandi progressi, e guardò davanti a sé. Subito riconobbe la sagoma della volante abbandonata.

Il pilota automatico cominciò dolcemente la frenata, fermandosi a pochi metri dalla meta. La teriantropa indossò la maschera, afferrò le stampelle telescopiche e aprì la portiera.

La prima cosa che notò fu il grosso foro di proiettile al centro del muso del veicolo: di sicuro era quella la causa del guasto. Tutto intorno c’erano diversi segni di scontro, ma soprattutto non vedeva da nessuna parte tracce della presenza di Freyja.

Provò a chiamarla, ma intorno a lei c’era solo la muta nebbia. Anche i sensori del suo device non rilevavano presenze nei paraggi.

Preoccupata per la sua collega, entrò nella volante abbandonata. Il sistema operativo era ancora in funzione, quindi poteva verificare nelle registrazioni quello che era successo. O almeno così sperava.

Dopo aver salvato le informazioni sulla volante, Freyja prese un profondo respiro. «Scusa, Lunaria, spero trovino il messaggio.»

Uscì allo scoperto e aprì il fuoco, mirando alla donna che aveva parlato. I primi due proiettili andarono a segno, ma non sortirono grande effetto.

Yalina evocò uno scudo e i suoi compagni passarono all’offensiva. Ulin’dir lanciò un attacco mentale, gli altri invece spararono addosso alla poliziotta con le loro armi stordenti.

Freyja aggirò l’auto della polizia e sbucò dalla parte opposta. Corse verso i fuorilegge, sperando che il suo scudo energetico reggesse a sufficienza.

 Yalina evocò un’altra barriera, ma l’orchessa la distrusse con un colpo di manganello. Sparò contro la mezzelfa, più per tenerla occupata che per danneggiarla. Raggiunse Priscilla e la colpì con forza. L’anfibiana provò a difendersi, ma venne comunque scaraventata a terra.

Ulin’dir intensificò l’attacco mentale e l’orchessa rimase paralizzata per un momento, abbastanza da permettere a Jérémy di distruggere il suo scudo con un proiettile d’energia. Thiago non si fece scappare l’occasione e la investì con una violenta raffica stordente.

Freyja sentiva che il suo corpo era prossimo alla paralisi, ma doveva resistere: avrebbe lottato fino alla fine per far prevalere la giustizia!

Sentì la terra muoversi sotto di sé e balzò di lato, appena in tempo prima che Yalina la imprigionasse.

Doveva puntare al loro capo. Non sembrava troppo forte: forse, una volta sistemata lei, gli altri avrebbero esitato.

Provò a colpire Priscilla col manganello elettrificato, ma questa volta lei la bloccò. Era come se fosse diventata molto più forte all’improvviso.

Yalina imprigionò i piedi di Freyja nella terra e Priscilla la colpì con un poderoso destro. Stordita e a corto d’aria, l’orchessa avvertì in maniera soffusa i successivi proiettili stordenti. Provò a restare in piedi, ma sapeva di essere spacciata.

Quando finalmente crollò a terra, i membri del Branco tirarono un sospiro di sollievo: non credevano che sarebbe stato così difficile catturarla.

«Svelti, caricatela sul fuoristrada e datele una maschera per l’aria» ordinò Priscilla. «Dobbiamo portarla via prima che qualcuno venga a curiosare.»

Thiago, Ulin’dir e Jérémy sollevarono la poliziotta e, non senza qualche difficoltà, la misero su uno dei sedili posteriori.

«Warren lo fa sembrare così facile!» borbottò il paffuto demone.

Mentre i suoi uomini lavoravano, l’anfibiana controllò rapidamente uno scompartimento della sua armatura in cui erano conservate delle fiale di liquido rosso. Una era vuota, le altre avevano una sfumatura leggermente diversa una dall’altra. Era stata costretta a consumare una dose, ma non se ne pentiva: era bastato un solo colpo all’orchessa per ammaccarle l’armatura. Incassarne un altro avrebbe potuto costarle caro.

«La nostra amica ha lasciato un messaggio sulla volante prima di attaccarci» riferì Yalina, i cui insetti avevano osservato tutta la scena.

Priscilla richiuse lo scompartimento. «Jérémy, puoi cancellare la memoria dell’auto della poliziotta?»

Il myketis cyborg annuì. «Ci penso io.»

Niente. La memoria dell’auto era stata cancellata e a lei non restava nulla per ritrovare la sua collega.

«Chiama il commissario» ordinò con voce afflitta.

In pochi secondi sentì la voce dell’insettoide: «Hai trovato qualcosa?»

«Solo la volante, stava tornando alla colonia occidentale. Ci sono segni di lotta, ma non vedo tracce di sangue. L’hanno rapita. L’hanno sicuramente rapita. Non ci sono tracce di pneumatici, l’unica cosa che posso dire è che gli aggressori arrivavano dalla colonia occidentale. O per lo meno il proiettile che ha danneggiato la volante veniva da lì.»

Il commissario Mantina non perse la calma. «Vai a Ziqi City e scopri cosa stava facendo prima di sparire: forse aveva scoperto qualcosa. E porta con te la volante: forse riusciamo a ripararla.»

Nora fece sparire il veicolo in una tasca dimensionale. «D’accordo, intanto faccio partire le ricerche per Freyja.»

«Non serve» ribatté il commissario. «Anche volendo, non abbiamo abbastanza uomini per cercarla in tutto il pianeta. Sempre ammesso che sia ancora su Niflheim.»

«Ma, commissario, potrebbe essere in pericolo!»

«Lo so, ma se non l’hanno uccisa subito, è probabile che la vogliano viva. Segnala la sua scomparsa e poi sbrigati ad andare a Ziqi City. Ma fai attenzione: potresti essere la prossima.»

Nora fece un sospiro di rassegnazione. «Sì, commissario.»

A volte dimenticava quanto fosse cinica il suo capo.


Note dell’autore

Ciao a tutti T_T

Povera Freyja, è stata catturata dal Branco, ma il commissario non intende mandare nessuno a cercarla. Non che Mantina abbia torto: con il poco personale che ha a disposizione, è già un miracolo riuscire a mantenere l’ordine nella colonia occidentale.

Nel frattempo rivediamo Rossweisse, già comparsa un paio di capitoli fa. Lo Spadaccino Mistico sembra nutrire un certo rispetto per lei, ma nonostante questo (o forse proprio per questo) è deciso a volerla affrontare. Difficile dire chi la spunterà, perché entrambi sembrano molto sicuri di sé.

Ci stiamo avvicinando alla fine del racconto, quindi non perdete il prossimo capitolo ;)

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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Capitolo 33
*** 32. La Valchiria Millenaria ***


32. La Valchiria Millenaria

Per i membri del Branco, ricevere da Mowatalji l’incarico di far sparire Freyja era stata una gradita distrazione dalla monotonia di sorvegliare il bunker. Con l’arrivo dello Spadaccino Mistico in particolare, il carico di lavoro su di loro si era pressoché azzerato. In teoria i cacciatori avevano ancora il compito di sorvegliare l’area e proteggere gli scienziati, tuttavia la presenza dell’insettoide era già una garanzia più che sufficiente.

O almeno così credevano.

«Lei è mia» aveva affermato lo Spadaccino Mistico, e i membri del Branco non si erano opposti al suo desiderio di affrontare da solo la donna dai capelli d’argento.

«Warren, vai a prendere Vongai e il suo assistente» ordinò Priscilla mentre i due spadaccini si studiavano a vicenda.

Il sauriano e gli altri cacciatori credevano che sarebbe stata una precauzione eccessiva, ma dovettero ricredersi: le sei spade dell’insettoide roteavano in aria rapidissime, eppure la sua avversaria riusciva a neutralizzarle tutte con la sua lama.

«È lei, vero…?» esalò Yalina. «Rossweisse, la Valchiria Millenaria.»

Priscilla non rispose, ma il suo sguardo era abbastanza eloquente.

Con uno scatto improvviso la spadaccina superò la difesa del suo avversario, aprì la mano sinistra e una forza invisibile scagliò indietro l’insettoide. Le sei spade dello Spadaccino Mistico sussultarono a mezz’aria, ma non caddero. Il guerriero sembrava pronto a tornare all’attacco, ma Rossweisse gli appoggiò la lama sul collo.

«Arrenditi.»

Lui esitò. Non voleva ammettere la sconfitta, ma non poteva negare di avere paura.

«Mai!»

Con uno scatto d’orgoglio fece guizzare le sue spade contro la schiena della sua avversaria, ma Rossweisse le neutralizzò tutte con un unico movimento, fluido ed elegante.

L’insettoide aveva avuto la sua occasione per arrendersi con onore. La spadaccina evocò di nuovo la sua energia spirituale e questa volta lo investì con forza sufficiente da fargli perdere i sensi.

Con un movimento pressoché automatico fece sparire la lama della sua spada e agganciò l’impugnatura alla cintura. Fece comparire delle doppie manette con cui bloccò le quattro braccia dell’insettoide, dopodiché raccolse le sei spade del suo avversario e le ripose in una tasca dimensionale.

I membri del Branco erano senza parole: nessuno di loro credeva che ci fosse qualcuno in grado di battere così facilmente lo Spadaccino Mistico. Solo Priscilla non sembrava davvero stupita.

Nell’improvviso silenzio, si udirono dei rapidi suoni meccanici e Albion balzò in avanti nella sua aggiornata corazza.

«Ehi, tu! Sembri forte, vorrei usarti per testare la mia armatura. Ma non preoccuparti: non ti causerò ferite letali.»

La coda di Vongai ebbe un guizzo di incredulità. «Che sta facendo quell’idiota?! Si farà ammazzare!»

La sauriana era pronta ad andarlo a riprendere, ma Priscilla la trattenne. «Non ti preoccupare. La conosco abbastanza bene da sapere che non lo ucciderà.»

La scienziata guardò l’anfibiana, ma il casco non le permetteva di leggere il suo sguardo. Nonostante la rassicurazione, era comunque preoccupata per il suo assistente.

«Comincerei con un’onda d’urto» affermò Albion.

Rossweisse lo guardò stranita e non si mosse.

Il metarpia sollevò il braccio e fece fuoco. L’onda d’urto raggiunse in un lampo il suo bersaglio, ma la spadaccina la neutralizzò con un repentino fendente. Il suo movimento era stato talmente rapido da risultare quasi invisibile.

«Ok, dovrò lavorare un po’ sulla consistenza delle onde d’urto» prese nota lo scienziato. «Ora proviamo questo.»

Dalla schiena partì una raffica di minuscoli missili che si aprirono a ventaglio e poi sfrecciarono verso Rossweisse da tutte le angolazioni. Di nuovo la spadaccina non si mosse per schivarli, ma li respinse tutti con dei colpi di spada, talmente rapidi e precisi da deviare anche le esplosioni.

Albion portò una mano al mento. «Mmh, anche questo non è andato molto bene. Ora però ho capito come combatti, quindi…»

Rossweisse sfrecciò verso di lui e calò un fendente fulmineo. La lama si fermò a pochi centimetri dal suo casco, lasciando sfilare uno sbuffo di vento. Nel silenzio che seguì si udì uno schicco metallico e il casco del metarpia si aprì in due metà esatte. I pezzi caddero a terra, impotenti dinnanzi alle abilità della Valchiria Millenaria.

Albion, stupito ma per nulla spaventato, osservò ciò che restava della sua protezione. «Mmh, questo non sarebbe dovuto succedere.»

Mentre lui rifletteva, Rossweisse ritirò la sua spada.

«No, aspetta. Non è che potresti rifarlo? Stavolta però…»

«Non sono qui per aiutarti nei tuoi esperimenti» gli fece notare la spadaccina. «Ora vattene, o farai la stessa fine del tuo amico.»

«No. E non è mio amico» ribatté Albion.

«Guarda che non sto scherzando. Se non te ne vai, consegnerò anche te alla polizia.»

Per tutta risposta il metarpia ritirò l’armatura e allungò le braccia, pronto a farsi ammanettare. «Quelle biomacchine sono troppo interessanti: se vuoi che me ne vada, dovrai costringermi.»

«Lo sta arrestando!» esclamò Vongai. «Dobbiamo salvarlo!»

«Voi aspettate qui, ci penso io» affermò Priscilla. «E sì: è un ordine.»

L’anfibiana avanzò lentamente e disattivò temporaneamente il casco per mostrare il suo volto. «Rossweisse» chiamò.

«Priscilla. Credevo che Shamiram[11] vi avesse avvisato che dovevate andarvene.»

«Già, ma abbiamo deciso di ignorarla. Dunque hanno mandato te a sculacciarci.»

La valchiria parve stupita. «Ha detto proprio così?»

«Beh, non esattamente.»

«Ah, ecco. Ciò non toglie che dovete andarvene. O farete la loro stessa fine.»

L’anfibiana sospirò. «Credimi, sono l’ultima persona che vorrebbe combattere con te, ma quello che sto facendo è troppo importante.»

«Ah sì? E cosa sarebbe?»

Priscilla lanciò un rapido sguardo ai suoi compagni, abbastanza lontani da non sentire quello che si stavano dicendo. «Sto indagando sugli Eletti. Sono loro che hanno commissionato la ricerca del bunker, e presto verranno a prendere le biomacchine. Devo scoprire dove si nascondono.»

Rossweisse la scrutò con aria indagatrice. «I tuoi amici lo sanno? Sanno chi sei davvero?»

«Sanno quanto basta.»

La valchiria non si stupì della risposta. «Tipico di voi Ombre: non vi fidate nemmeno dei vostri amici.»

La cacciatrice allargò le braccia. «Perdonami se non sbandieriamo i nostri ideali come voi Cavalieri.»

Per qualche secondo regnò il silenzio.

«Come ho detto, dovete andarvene» ribadì la valchiria. «Presto la polizia sarà qui e prenderà in carico il bunker.»

«Se lasci il bunker alla polizia, gli Eletti manderanno uno dei loro assassini e li ucciderà tutti.»

«Allora resterò qui a proteggerli.»

«Così però non sapremo mai dove vogliono portare le biomacchine!»

Rossweisse si prese un momento prima di ribattere. «Come ho detto, presto la polizia sarà qui. Se non ve ne andate, finirete anche voi in cella. E, ti prego, non ho nessuna intenzione di litigare con Shamiram per l’arresto di sua figlia.»

Priscilla serrò i pugni. «D’accordo. Ma non finisce qui.»

«Lo so.»

L’anfibiana le voltò le spalle, pronta ad andarsene, ma si fermò. «Almeno ridacci lo scienziato.»

Rossweisse osservò il metarpia. Non c’era malvagità nel suo sguardo, e il suo unico desiderio sembrava davvero restare lì a studiare le biomacchine. Acconsentì.

Nonostante l’approvazione della valchiria, non fu così facile convincere Albion a seguirli, ma riuscirono comunque a dileguarsi prima dell’arrivo della polizia.

I due agenti scesero dalla volante e la valchiria andò loro incontro. «Salve, sono Rossweisse. Sono stata io a chiamarvi.»

«Sì, sappiamo chi è lei» annuì il gigante di ghiaccio stringendole la mano. «Io sono l’ispettore Smidr. Grazie per l’aiuto. Con tutto quello che abbiamo da fare, dubito che saremmo riusciti a scoprire questo posto.» Guardò il prigioniero. «Ottimo lavoro, catturarlo. Lo porteremo alla centrale per interrogarlo. Non dev’essere stato facile.»

La donna non si scompose. «Ho solo fatto il mio dovere. Piuttosto, se per voi non è un problema, vorrei restare qui ancora un po’: ho motivo di credere che chi ha commissionato la ricerca del bunker possa tornare per riprenderselo.»

«Ha idea di chi potrebbe essere?»

«Niente di certo purtroppo. Qualcuno molto pericoloso e molto potente temo.»

«Tanto meglio che lei sia qui allora» affermò il poliziotto. «Se non le dispiace, vorrei dare un’occhiata al bunker.»

I due raggiunsero l’ingresso e il gigante di ghiaccio rimase senza parole. C’erano decine di automi all’interno, ma quello che lo colpì davvero fu che erano pressoché identici a quelli forniti dal governatore per aiutarli a riprendere la colonia.

Si avvicinò per guardarli più da vicino. Non c’erano dubbi, erano dello stesso modello. Erano tutti inattivi, ma sembravano in buono stato, fatta eccezione per un paio di unità danneggiate. Danni recenti, pensò.

«Devo avvisare il commissario» dichiarò, quasi come stesse parlando a sé stesso.

Uscì dal bunker e chiamò il suo superiore per riferirle quanto aveva scoperto.

«Commissario…» esalò alla fine del discorso, «pensa che il governatore fosse in combutta con il Sindaco?»

«In combutta? Per quanto ne sappiamo, potrebbero anche essere la stessa persona.»

«Porto subito lo Spadaccino Mistico alla centrale per interrogarlo» affermò il gigante di ghiaccio con risolutezza.

L’insettoide dovette prendere un momento per riflettere. «D’accordo, ma cerca di tenere un basso profilo. In questo momento non possiamo far partire un’indagine ufficiale sul governatore.»

«Commissario, l’accusa è molto grave e queste biomacchine sono praticamente una prova!» le fece notare Smidr. «Non possiamo insabbiare la cosa!»

«Anche se la metti così, ci sono due problemi. Primo: il governatore sta ancora trattando con gli sponsor e quei soldi ci servono. Secondo: la Orborum Domini non ci lascerà perseguire il suo uomo copertina, piuttosto ci sbatterà tutti fuori dal pianeta. E se la Valchiria Millenaria ha ragione, potrebbe anche avere degli agganci criminali da qualche parte.»

«Però non possiamo fare finta di niente!»

Il commissario non si scompose. «Sai, qualche giorno fa ho avuto una conversazione molto simile a questa con Valkyregard, e ora lei è sparita. Vuoi forse essere il prossimo?»

Smidr esitò. «Ma questo… Questo dimostra che i nostri sospetti sono fondati!»

«Può darsi. Ma ciò non toglie che ho ragione.»

La rassegnazione era evidente sul volto del gigante di ghiaccio. «Quindi cosa facciamo?»

«Porta in cella lo Spadaccino e trova il modo di sorvegliare quel bunker. Al resto ci penso io.»

***

L’insolito rumore di stampelle si diffuse nell’area di detenzione della centrale di Ziqi City, attirando l’attenzione dei pochi criminali presenti.

La teriantropa si fermò davanti a una cella e il detenuto la riconobbe subito.

«Ehi, finalmente siete arrivati!» esclamò D’Jagger avvicinandosi. «Sei qui per farmi uscire…» L’espressione contrariata della poliziotta smorzò il suo entusiasmo. «Vero…?»

«Dipende» affermò Nora. «Sei disposto a rischiare la vita per darci una mano?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Questa volta ho diversi spunti interessanti da sottolineare.

Prima di tutto abbiamo appurato che Rossweisse è molto più forte dello Spadaccino Mistico e che gode di una certa fama (la chiamano Valchiria Millenaria per un motivo, no?).

Rossweisse e Priscilla hanno avuto un confronto (verbale) e a quanto pare si conoscono abbastanza bene, anche se decisamente non sono amiche (sarà forse dovuto alle loro rispettive affiliazioni con “Cavalieri” e “Ombre”?).

Alla fine la polizia è riuscita a prendere possesso del bunker, tuttavia la situazione non si prospetta rosea: una temibile minaccia incombe su di loro, ma almeno possono contare su un’eccellente alleata. Certo, resta da capire cosa farà Priscilla per cambiare le carte in tavola: se la valchiria si è dimostrata un’avversaria temibilissima in battaglia, l’anfibiana potrebbe rivelarsi altrettanto pericolosa nel pianificare una contromossa che metta tutti con le spalle al muro.

Nel finale abbiamo finalmente rivisto D’Jagger: cosa avrà in mente Nora? E quell’allegro furfante del goblin accetterà di rischiare la vita per aiutare degli sbirri?

A presto ^.^


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[11] Shamiram (Semiramide) è una leggendaria regina assiro-babilonese, moglie del re Nino.

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Capitolo 34
*** 33. Buono a nulla ***


33. Buono a nulla

«Sei disposto a rischiare la vita per darci una mano?» chiese l’agente Nora Linch. La sua espressione contrariata era troppo seria per essere quella di qualcuno che stava scherzando.

«Sai, messa così non suona molto invitante» le fece notare D’Jagger, che nonostante il soggiorno in prigione non aveva perso la voglia di fare battute. «In effetti rende questa cella quasi accogliente. Prova a spiegarti meglio.»

«Freyja è sparita e non abbiamo abbastanza agenti per cercarla. Credo sia stata rapita, forse aveva scoperto qualcosa sul governatore. Se ti libero, mi prometti che proverai almeno a cercarla?»

Il goblin fece qualche passo avanti e indietro, pensieroso. «Quando è successo?»

«Ieri, probabilmente.»

Lui annuì. «Beh, sarei più un artificiere che un segugio, però…»

«Però?»

«Però credo che potrei provarci. Freyja… credo che se lo meriti un po’ di aiuto.»

La frustrazione negli occhi di Nora parve attenuarsi un po’. «Grazie.»

La teriantropa chiese ai colleghi di aprire la cella e fece in modo che gli restituissero i suoi effetti personali.

«Lunaria è con te?» chiese D’Jagger mentre raggiungevano la volante.

«La fata? No, dovrebbe essere a casa di Freyja.»

«Allora dobbiamo andare a prenderla. Forse lei potrà seguire le tracce di Freyja.»

Nora annuì.

Una volta saliti sul mezzo della polizia, la teriantropa impostò il pilota automatico.

«Ora devo chiamare il commissario. Tu non dire o fare niente di stupido.»

«Cosa vorresti insinuare?!»

L’insettoide li fece aspettare più del previsto, ma al terzo tentativo riuscirono a mettersi in contatto con lei.

«Commissario, volevo aggiornarla su quello che ho scoperto.»

«Aggiornami prima su di lui» ribatté l’ologramma della donna accennando a D’Jagger.

«Dal momento che siamo a corto di uomini, ho pensato di chiedere a lui di cercare Valkyregard» spiegò Nora.

«E deduco che il nostro amico abbia accettato per il semplice dovere morale di aiutare un agente in difficoltà.»

«Deduce bene commissario» confermò il goblin. «Non mi stupisce che sia lei al comando.»

Nora dovette resistere alla tentazione di colpirlo con una delle stampelle.

«Mal che vada non dovremo preoccuparci di cercarlo» dichiarò Mantina. «Ben fatto, Linch.»

La teriantropa parve molto sorpresa per quel complimento. «Eh… grazie, commissario.»

D’Jagger dal canto suo era troppo impegnato a decifrare il commento dell’insettoide, che – ne era sicuro – aveva un che di sinistro.

«Mi aggiornerai su quello che hai scoperto quando sarai tornata alla colonia occidentale» proseguì la donna. «Vedete di non sparire anche voi.»

***

Il faunomorfo stava lavorando su uno schermo olografico quando ricevette una chiamata. Diede una rapida occhiata al mittente e in pochi secondi cambiò il suo aspetto, assumendo i tratti affilati di un elfo.

«Buongiorno, Priscilla» esordì. «Hai bisogno di qualcosa?»

«Buongiorno, Mowatalji. Volevo informarti che c’è stato un problema al bunker: è arrivata la Valchiria Millenaria. Ha sconfitto lo Spadaccino Mistico e ha preso il controllo dell’area. Sono arrivati anche dei poliziotti.»

Il mutaforma rimase in silenzio a riflettere.

«Siamo riusciti a portare via la dottoressa Mwanda e il suo assistente, ma temo che questo sia il massimo che possiamo fare» proseguì l’anfibiana. «Mi spiace, ma non siamo in grado di affrontare un avversario simile.»

«Sì, lo comprendo. Informerò i miei superiori, decideranno loro le prossime mosse.»

«Se posso, avrei un’idea.»

«Sì, prego» la esortò il mutaforma.

«Potresti chiedere al Sindaco di emettere un ordine ufficiale per trasferire le biomacchine in un luogo sicuro. In questo modo sarà facile trasportarle dove volete senza destare sospetti.»

«Temo non sarà così semplice ingannare la Valchiria Millenaria.»

«Non serve ingannarla: lei è pur sempre un Cavaliere della Luce, non si opporrà a un ordine ufficiale.»

Mowatalji continuò a riflettere. «E come facciamo con il commissario? I suoi agenti hanno cominciato a ficcare il naso: probabilmente hanno già capito la vera identità del Sindaco, ma non hanno abbastanza prove per agire.»

«A questo posso pensarci io» affermò Priscilla. «Ho già in mente qualcosa per convincere il commissario a fare quello che vogliamo.»

Il faunomorfo parve colpito dall’intraprendenza dell’anfibiana. «D’accordo, fai come meglio credi.»

«Grazie, non vi deluderò.»

***

Sullo schermo olografico davanti a lei scorreva l’ennesima lezione interattiva di linguaggio dei segni, ma Lunaria aveva perso completamente l’interesse. Freyja non era ancora tornata e stava cominciando a preoccuparsi.

Qualcuno suonò il campanello.

La fata drizzò le ali artificiali e schizzò verso la porta. L’orchessa si era raccomandata di controllare sempre prima di aprire, ma in quel momento era troppo impaziente di rivederla per badare a questo.

Premette il pulsante per lo sblocco della serratura e aprì la porta.

Era sicura di trovarsi davanti Freyja, ma non fu così. Rivedere D’Jagger fu comunque una grande gioia e lo abbracciò con trasporto.

Era davvero felice di rivederlo, ma questo non bastò a farle dimenticare la sua altra preoccupazione. Guardò a destra e a sinistra, ma il corridoio era vuoto.

“Dov’è Freyja?”

«Non lo so» ammise il goblin, e per una volta non nascose la sua inquietudine. «Ma lo scopriremo. Vieni, ti spiego strada facendo.»

Insieme raggiunsero il punto dove era stata abbandonata la volante dell’orchessa e Lunaria riuscì ad avvertire la sua traccia, seppur flebile.

“C’è anche un’altra traccia” fece segno la fata.

«Sei riuscita a riconoscerla?» chiese D’Jagger, sorpreso.

Lei annuì gravemente. “Sono quelli che mi hanno catturato.”

Il goblin esitò. «Ce la fai a continuare?»

Lunaria fece di sì con il capo, decisa ad aiutare Freyja nonostante il timore di rincontrare i cacciatori.

La traccia dell’orchessa proseguiva verso la colonia occidentale, ma senza mai entrarvi. Dopo averla catturata, il Branco aveva aggirato il centro abitato e si era infilato nella foresta a ovest.

«Spero che il secondo panino non mi renda troppo appetitoso per i predatori…» commentò D’Jagger massaggiandosi la pancia piena. Tutto sommato i pasti nella prigione di Ziqi City non erano male, ma gli era mancato il cibo-spazzatura della colonia occidentale.

Avanzavano guardinghi, attenti a non incappare davvero in qualche temibile animale selvatico. Per fortuna il goblin aveva di nuovo la tavola a levitazione e il casco, così poteva muoversi un po’ più rapidamente e poteva tenere d’occhio l’area circostante.

Erano passate almeno due ore, forse tre, quando avvistarono qualcosa nella foresta. Qualcosa che non fosse un albero o un cespuglio per lo meno.

“Credo l’abbiano portata lì” fece segno Lunaria.

D’Jagger esaminò da lontano il prefabbricato. «Certo che ne hanno fatta di strada! Aspetta: c’è qualcuno. Uno sembra un poliziotto, l’altra non ho idea di chi sia.»

“Entriamo senza farci vedere?”

Il goblin zoomò sulla donna dai capelli argentei. «Nah, mi sa che ci hanno già beccati. Speriamo non stiano con i cattivi…»

D’Jagger uscì allo scoperto e Lunaria si nascose nel suo cappuccio. «Ehilà! Siete della polizia?»

«Io sì, lei… pure» confermò l’agente. Controllò l’identità del nuovo arrivato. «Tu, piuttosto, non dovresti essere in prigione?»

«Mi hanno rilasciato: sto cercando Freyja. L’agente Valkyregard.»

«Certo, molto divertente. Guarda, sparisci: non ho tempo da perdere.»

«Ehi, dico davvero! Chiedi al commissario: ha detto qualcosa tipo “è una missione suicida, mandiamo lui così ci risparmiamo di riempire i moduli”.»

Il poliziotto fece un gesto di stizza.

«Non credo stia mentendo» affermò Rossweisse. Il suo tono era fermo ma conciliante. «Credo valga la pena controllare.»

Questa volta l’agente si rassegnò a fare come richiesto e, con sua profonda sorpresa, il commissario confermò tutto quanto.

«D’accordo, fai come ti pare» disse rivolto al goblin. Scosse mestamente il capo. «Ci siamo ridotti a mandare criminali per cercare i nostri colleghi! E io che credevo avessimo toccato il fondo settimane fa…»

Una volta chiarita la questione, D’Jagger entrò nel laboratorio abbandonato e solo allora Lunaria si decise a uscire dal suo cappuccio. L’ambiente era quasi vuoto: con ogni probabilità i precedenti inquilini avevano preso tutto prima di andarsene.

“La traccia finisce qui” affermò la fata.

«Qui? Ma non c’è niente.» Il goblin avviò una scansione, ma non trovò nessun passaggio segreto o stanza nascosta.

“Sono sicura.”

D’Jagger continuò a cercare, ma l’esito non cambiò. «A questo punto immagino l’abbiano teletrasportata da qualche parte. Merda: ora sì che siamo fregati.»

“Cosa facciamo adesso?” chiese Lunaria, preoccupata di non poter più rivedere la sua amica.

Il goblin non nascose il suo sconforto. «Temo non ci sia molto che possiamo fare. Avviso la polizia.» Scosse il capo. «Ora sì che mi sento un buono a nulla…»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

D’Jagger ha accettato di aiutare la polizia a cercare Freyja, ma purtroppo il suo impegno e la sua buona volontà non hanno dato i risultati sperati. Ormai è quasi certo che l’orchessa non si trova più su Niflheim: cosa potranno fare il goblin e la polizia per trovarla?

Nel frattempo, come se la situazione non fosse già abbastanza precaria, Priscilla ha contattato Mowatalji per proporgli un nuovo piano. Rossweisse sapeva che l’anfibiana non si sarebbe arresa, e ora abbiamo la conferma che aveva ragione. Resta solo un dubbio: come farà Priscilla a convincere il commissario Mantina? L’insettoide sta facendo tutto il possibile per sembrare insensibile, quasi spietata, ma non è mai andata apertamente contro la legge; anzi, ha sempre tenuto a bada i suoi sottoposti per evitare che commettessero qualche irregolarità.

Come sempre, vi do appuntamento al prossimo capitolo.

Non mancate ;D


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Capitolo 35
*** 34. Il verdetto del commissario ***


34. Il verdetto del commissario

Era il secondo giorno di sorveglianza del bunker e l’agente Sandmeier si era offerto volontario per dare il cambio al collega. Nessuno si aspettava un simile gesto dall’irascibile nano, soprattutto considerato quanto fosse noioso presidiare quel punto sperduto della foresta.

Quello che i suoi colleghi ignoravano era la profonda ammirazione che il poliziotto nutriva per Rossweisse. Se avesse saputo prima che il bunker era stato liberato dalla Valchiria Millenaria in persona, sarebbe corso lì già il giorno prima.

Per tutto il viaggio era stato scosso dall’agitazione, ma appena si era trovato in presenza di Rossweisse tutto il suo coraggio era svanito ed era riuscito a malapena a bofonchiare un saluto prima di mettersi al lavoro.

Man mano che scorrevano i minuti, cercò di ritrovare la determinazione. Quella era l’occasione della sua vita: probabilmente non gli sarebbe capitata mai più l’opportunità di rivolgerle la parola.

Si schiarì la voce. «Mi scusi… signora Rossweisse…»

«Solo Rossweisse» lo tranquillizzò lei cercando di metterlo a suo agio. Avrebbe potuto percepire la sua agitazione a chilometri di distanza.

«Se posso, vorrei chiederle se… se possiamo farci una foto insieme?»

«Certo, molto volentieri.»

Il volto del nano si illuminò. «Sa, sono un suo grande ammiratore. Seguo le sue imprese da quando ero un bambino, è davvero fantastica.»

«Ti ringrazio.»

«In realtà da piccolo volevo anche provare a entrare nei Cavalieri della Luce, ma ormai temo di essere troppo vecchio. Non so se riuscirei a passare gli esami di ingresso.»

«Posso chiederti quanti anni hai?»

«Certo! Ne ho ventinove!»

«Iniziare da bambini è sicuramente meglio, ma se sei davvero motivato dovresti comunque fare un tentativo. Non sarà facile, ma se è davvero quello che vuoi, allora non è troppo tardi.»

«Grazie.» Voleva aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa. «Grazie» ripeté, «ora è meglio che torni al… lavoro…»

La sua frase venne disturbata da un rumore: dei veicoli in avvicinamento. Erano una piccola astronave da trasporto e due mezzi di scorta. La prima atterrò dolcemente al centro della radura, gli altri due mezzi armati invece rimasero in aria a sorvegliare la zona.

Il portello posteriore dell’astronave si aprì e scesero tre operai con dei droidi di supporto.

«Ehi, che state facendo qui?!» sbottò Sandmeier. «Andatevene subito!»

«Salve, abbiamo l’ordine di trasferire le biomacchine da quel bunker» riferì l’operaio capo. «Ecco, le mostro l’ordine.»

«Trasferire dove? E per ordine di chi?» Il nano lesse il documento olografico. «Col cavolo che ve le faccio trasferire! Qui c’è scritto che l’ordine viene dal governatore!»

L’operaio parve confuso. «È… È un ordine ufficiale. È autentico! Controlli pure.»

«Ci credo che è autentico! Quel governatore sta tramando qualcosa!»

«Senta, abbiamo una tabella di marcia da rispettare. Se non vuole collaborare, chiami il suo superiore.»

«Sai che faccio? Lo chiamo sì, il mio superiore! Aspetta e vedrai come ti manda anche lei a quel paese!»

Il giorno prima il commissario Mantina aveva incontrato il governatore Glazkov, e voci di corridoio avevano descritto il loro colloquio come “estremamente franco”, se non addirittura “concitato”. Fonti non confermate avevano aggiunto che il capo della polizia aveva addirittura minacciato il leader della colonia, per poi andarsene sbattendo la porta.

Il nano e gli altri agenti non sapevano quanto ci fosse di vero in tutto ciò, tuttavia era chiaro che il loro superiore sembrava deciso a contrastare il governatore con ogni mezzo necessario.

Forse era proprio a causa di questa loro convinzione che l’espressione sorniona di Sandmeier sfumò verso il più profondo stupore man mano che parlava con Mantina.

«Commissario, ma così facciamo il gioco del governatore! Non-» Il suo superiore lo interruppe. «Ma-» Di nuovo dovette interrompersi. «D’accordo, commissario. Ma sappia che sono fortemente contrario!»

Chiuse con stizza la chiamata, cercando di trattenere il disappunto.

L’operaio capo era impaziente di mettersi al lavoro, ma la reazione concitata del poliziotto lo fece esitare. «Noi cominceremmo…»

«Fate come vi pare!» sbottò Sandmeier. «Anzi, un momento! Signora Rossweisse,» si corresse: «Rossweisse, non è che potrebbe fare qualcosa? Questo trasferimento è chiaramente un trucco per far sparire le biomacchine!»

La Valchiria Millenaria scosse mestamente il capo. «Mi spiace, non posso oppormi a un ordine ufficiale, soprattutto se è stato confermato anche dal capo della polizia.»

Il nano sbuffò. «Ha ragione. Mi scusi se gliel’ho chiesto.»

Si allontanò pestando i piedi, cercando di smaltire la rabbia. «Ah, commissario, spero abbia una spiegazione per tutto questo!»

Rossweisse era sicuramente più posata, ma anche lei si sentiva molto frustrata per quello che stava succedendo. E anche lei aveva già in mente qualcuno a cui dare la colpa.

«Complimenti, Priscilla, sei riuscita a fregarci tutti» commentò fra sé e sé. «Spero davvero tu sappia quello che stai facendo.»

Quando l’agente Sandmeier arrivò alla centrale di polizia, tutti quanti capirono subito che era più arrabbiato del solito. Il nano non salutò nessuno dei colleghi e si diresse spedito verso l’ufficio del suo superiore.

«Commissario, mi spieghi perché ha lasciato andare quelle biomacchine!» esclamò irrompendo nella stanza.

L’insettoide gli rivolse uno dei suoi sguardi velenosi. «Mi scusi, la richiamo io» disse alla persona con cui era in chiamata, il tutto senza mai perdere di vista il suo subordinato.

«Quelle biomacchine erano una prova del coinvolgimento del governatore negli affari del Sindaco!» protestò il poliziotto. «Non aveva il diritto di autorizzare il trasferimento! A meno che non voglia coprire anche lei il governatore!»

«Mi stai accusando di qualcosa, Sandmeier?»

Il nano esitò un momento, forse per via della calma glaciale di Mantina. «Potrei accusarla di intralcio alle indagini! Lo sa cos’abbiamo passato per colpa del Sindaco?! O forse era troppo impegnata a starsene rintanata nel suo ufficio per accorgersene?!»

La rabbia di Sandmeier permeava l’aria, ma il commissario ne sembrava del tutto immune. Sembrava quasi che non le importasse di cosa provava il suo subordinato. «Non ricordo di aver autorizzato un’indagine ufficiale.»

L’agente stava per ribattere con veemenza, ma lei lo zittì sollevando una mano. «Prima di continuare, fai entrare i tuoi colleghi. Lo spiegherò a tutti una volta sola.»

Il nano si girò con stizza e aprì la porta. I poliziotti radunati sull’uscio a origliare si allontanarono immediatamente, fingendosi lì per puro caso. Bastò un cenno di Sandmeier per convincerli a entrare.

«Avrei preferito che ci foste tutti, ma non fa niente.» Il commissario si alzò e andò davanti alla scrivania. «Ve lo dirò una volta sola, quindi prestate attenzione e riferitelo agli assenti. Quello che ho fatto non vi riguarda e non intendo giustificare nessuna delle mie azioni. Vi basti sapere che niente di quello che farete potrà servire a cambiare le cose, quindi smettetela di lagnarvi e fate quello che vi dico. Se lo fate, forse – e dico forse – riusciremo a far avere al governatore quello che merita senza ritrovarci tutti in mezzo alla strada. Ci sono domande?»

Metà dei presenti alzò la mano.

«Bene, tenetele per voi. Ora tornate al lavoro, sono sicura che avete tutti troppo da fare per perdere altro tempo in chiacchiere.»

Gli agenti rimasero in silenzio, immobili come statue mentre il loro superiore tornava a sedersi. Erano più demoralizzati di prima, ma nessuno osava fiatare.

«Io credo in lei, commissario» affermò Nora, e si mosse verso la porta con l’aiuto delle stampelle.

I colleghi parvero un po’ rincuorati dalla dimostrazione di fiducia della teriantropa e si prepararono a tornare al lavoro.

«Ah, un’altra cosa» li fermò il commissario. Ruotò uno dei suoi schermi olografici per mostrarlo a tutti i presenti. «Portate questo qui nel mio ufficio.»

I poliziotti osservarono il metarpia dai capelli azzurri. Aveva delle vistose occhiaie e si guardava intorno nella hall dell’edificio come se fosse in cerca di qualcuno. «Ehilà!» stava chiamando. «C’è nessuno? Siete voi che dovete distruggere delle biomacchine?»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

La cosa più importante che abbiamo scoperto in questo capitolo è che l’agente Sandmeier è un fanboy di Rossweisse XD

Oh, e anche che il commissario Mantina è davvero una cattiva mancata, ma questo in realtà era nell’aria da un pezzo :P

Battute a parte, il comportamento dell’insettoide ha un che di sospetto. Sicuramente Priscilla è invischiata in qualche modo, ma come avrà fatto a convincere il capo della polizia a lasciare andare le biomacchine? Sarà forse in qualche modo collegato con la comparsa di Albion nel finale?

Tutto questo ci avvicina sempre di più alla resa dei conti, quindi non perdete il prossimo capitolo ;)

Ultima cosa prima di salutarvi: ho finito di scrivere il racconto, quindi colgo l’occasione per ringraziare la mia beta Hesper per il suo incredibile lavoro ^.^

A presto! :D


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Capitolo 36
*** 35. I salvatori ***


35. I salvatori

Il nuovo ufficio del governatore Glazkov era stato collocato in uno dei prefabbricati messi meglio della colonia, che comunque risultava piuttosto spoglio: alcune pareti non erano state rivestite e qua e là si potevano notare cavi penzolanti o tubi scoperti.

Nonostante quelle precarie condizioni, il rappresentante di una nota azienda di articoli sportivi sembrava ben disposto a proseguire il dialogo. Aveva concordato un appuntamento con il governatore per discutere le premesse di una futura sponsorizzazione e per il momento l’incontro stava andando molto bene.

Il nano era sempre più fiducioso, ma delle voci dall’esterno interruppero il loro fruttuoso dialogo.

«Aspetti, non può entrare!» stava dicendo uno dei suoi assistenti.

L’intruso ignorò completamente le richieste del malcapitato e aprì la porta senza nemmeno bussare, facendo praticamente irruzione nell’ufficio.

Le tre biomacchine del governatore, che ormai erano diventate di fatto la sua guardia personale, si fecero avanti per proteggerlo.

«Commissario» la accolse Glazkov, stupito e chiaramente poco entusiasta della visita. Fece segno agli automi di arretrare. «A cosa devo il piacere?»

«Ho bisogno di parlare con lei immediatamente» affermò l’insettoide, e il suo tono aveva un che di minaccioso. «In privato» aggiunse rifilando una breve occhiataccia al rappresentante dell’azienda sportiva.

«Ci sono problemi?» esalò il delegato.

«Rispetto a quello che abbiamo passato, questa è poco più che una formalità» lo rassicurò Mantina, ma il suo sguardo restava apertamente ostile. «Si tratta comunque di informazioni riservate, quindi devo chiederle di uscire.»

Il governatore cercò di dimostrarsi come sempre fiducioso. «Mi scusi per l’inconveniente, le assicuro che non ci vorrà molto. Con la rinascita della colonia, siamo tutti sommersi di lavori urgenti. Prego, il mio assistente le offrirà qualcosa nell’attesa.»

Il rappresentante annuì e si fece accompagnare fuori dall’ufficio, lasciando il governatore da solo con il commissario.

«Allora, cosa c’è di così urgente?» sbottò Glazkov.

«Dov’è Freyja Valkyregard?»

«Chi?»

«La poliziotta che ha fatto sparire perché stava indagando su di lei» affermò Mantina. «Voglio sapere dove l’ha mandata.»

«Primo: non mi piace il suo tono. E secondo: non ho idea di cosa stia parlando.»

«Ne è sicuro? Proverò a rinfrescarle la memoria. Sappiamo che lei è in combutta con il Sindaco, ma è fortunato: non voglio indagare su di lei. So bene che porterebbe un mucchio di problemi, sia a noi che alla colonia occidentale. Ma non le conviene forzarmi troppo la mano, o qualcuno dei miei agenti potrebbe decidere di fare qualcosa di stupido e avventato. Quindi glielo chiederò nuovamente: dov’è Freyja Valkyregard?»

«Io non ho niente a che fare con il Sindaco! E le ho già detto che non ho idea di cosa stia parlando!»

Il commissario continuò a fissarlo con il suo sguardo truce, ma la scorza da politico del governatore era troppo robusta.

«D’accordo, le credo. Credo al fatto che non ha idea di cosa sia accaduto alla mia agente. A quanto pare anche lei è solo una pedina.»

Fu solo un istante, ma l’espressione di Glazkov tradì i suoi reali pensieri: dubbio, rabbia, sfiducia. Aveva colto nel segno.

Non c’era bisogno di aggiungere altro. Il commissario lasciò l’ufficio del governatore e si diresse verso l’uscita, ignorando il personale radunato all’esterno. Di sicuro li avevano sentiti discutere animatamente, ma non le importava.

Si fermò invece un momento per scambiare due parole con il rappresentante del potenziale sponsor.

«Mi scusi se l’ho interrotta, ma dovevo chiarire una questione urgente con il governatore.»

«Tutto risolto, spero.»

«Per certe cose serve tempo e – se mi permette – anche denaro. Io e il governatore abbiamo delle divergenze, ma spero davvero che il vostro accordo vada a buon fine. L’intera colonia vi sarebbe immensamente grata.»

«Sarebbe un onore potervi assistere nella vostra rinascita» annuì il rappresentante, come se il benessere della colonia fosse la sua principale preoccupazione.

Il commissario lasciò l’edificio con la stessa espressione con cui era entrata, ma in realtà si sentiva profondamente diversa. Quando D’Jagger li aveva informati che la ricerca di Freyja si era bloccata, si era lasciata trasportare dalla frustrazione e aveva deciso di affrontare apertamente il governatore. Un po’ se ne pentiva: si era esposta fin troppo, e questo avrebbe potuto danneggiare il suo piano. Se non altro la reazione del governatore aveva confermato i suoi sospetti, e mettergli pressione avrebbe potuto fargli commettere degli errori.

«Commissario Mantina?»

L’insettoide si voltò verso la donna che aveva parlato: un’anfibiana con un anello sul labbro inferiore. Aveva un che di familiare: era una degli uomini di punta del Sindaco. «Sei il leader del Branco. Cosa ci fai qui?»

«Ha appena parlato con il Sindaco, vero? Immagino vorrà arrestarlo, ma non può farlo perché ha le spalle troppo coperte. E non mi riferisco alla Orborum Domini.»

Il commissario rimase in silenzio.

«Se non le dispiace, vorrei proporle un accordo» affermò Priscilla suggerendole di salire sul suo fuoristrada.

«Perché dovrei fidarmi?»

«Perché se no ci prenderemo comunque quello che vogliamo.»

Mantina rifletté un momento, ma poi decise di darle ascolto. Alla fine cos’altro aveva da perdere?

«Ci lasci portare via le biomacchine nel bunker e le persone per cui lavoro non avranno più motivo di proteggere il Sindaco» propose l’anfibiana. «Posso anche darle uno scienziato in grado di distruggere le tre biomacchine attualmente in possesso del Sindaco.»

Di nuovo il commissario si concesse un momento per riflettere. L’idea di fare accordi con dei criminali non la entusiasmava, ma lasciare impunito Glazkov la entusiasmava ancora meno. «D’accordo, ma voglio anche un’altra cosa: Freyja Valkyregard.»

«Posso dirle dove l’abbiamo teletrasportata e come arrivarci, ma starà a voi recuperarla.»

Il commissario annuì. «Direi che abbiamo un accordo.»

***

Tra i membri del Branco era calato un teso silenzio. Warren era assente – al suo posto restava una sedia vuota –, Priscilla era in piedi, gli altri quattro invece erano seduti intorno a un tavolo rettangolare.

Sui loro volti si potevano leggere varie emozioni, ma nessuna di queste era particolarmente positiva. Nessuno aveva voglia di parlare, sembravano quasi in attesa. Era come se uno di loro avesse acceso una miccia, e gli altri fossero troppo turbati per provare a spegnerla.

Uno dopo l’altro avvertirono delle presenze in rapido avvicinamento.

Vongai entrò nella stanza come un fiume in piena.

«Come hai potuto consegnare Albion alla polizia?!»

Warren era due passi dietro la sauriana, scuro in volto.

Priscilla fece un passo avanti. «Vongai, lasciami spiegare. Non l’ho consegnato come prigioniero.»

«Spiegare?! Adesso mi vuoi spiegare?! E perché non l’hai fatto prima?!»

«Ho dovuto agire in segreto. Ho-»

«Certo! Come sempre devi agire in segreto! Pensavo ti fidassi di me!»

«Io mi fido di te, è solo che…»

«“Solo che” cosa? Solo che in realtà non ti fidi!»

L’anfibiana esitò. «Ho dovuto farlo. Ho stretto un accordo con la polizia.»

La scienziata fece un gesto di stizza.

«No, ascoltami: Albion aiuterà la polizia a distruggere le biomacchine del Sindaco. Non è loro prigioniero. E comunque gliel’ho chiesto e lui ha accettato.»

«Certo, lo avrai ingannato, come fai sempre! È la cosa che ti riesce meglio!» La sauriana si voltò e uscì dalla stanza senza guardare in faccia nessuno.

Warren, ancora vicino alla porta, lanciò uno sguardo di disapprovazione verso il suo capo e poi andò dietro la scienziata.

Di nuovo calò il silenzio tra i rimanenti membri del Branco.

«Ha ragione» affermò Ulin’dir. «Avresti potuto dirci subito qual era il tuo vero piano.»

 Yalina si stava fissando nervosamente le unghie smaltate. «Ho sempre odiato il fatto che mia madre mi tenesse tutto nascosto. Mi fa sentire un’idiota.»

Thiago si grattò una delle lunghe basette, fece per parlare, ma poi si limitò ad allargare le mani in un gesto sconsolato.

«Mi dispiace di aver agito alle vostre spalle, ma ora sapete come stanno davvero le cose» affermò Priscilla. «Far parte del Circolo delle Ombre vuol dire agire di nascosto, mentire e manipolare gli altri. Ma non voglio più farlo con voi. Come vi ho detto prima, quando le biomacchine saranno arrivate a destinazione vi manderò le coordinate, a quel punto starà a voi scegliere se raggiungermi o meno.»

«Hai detto di non voler mentire, ma sono sicura che sei bravissima a sfruttare le mezze verità» dichiarò Yalina. «Non stupirti se farò altrettanto.»

Thiago sospirò. «Non fraintendetemi, non mi piace il fatto che tu ci abbia mentito. Ma d’altra parte è stato divertente combattere al tuo fianco. Quindi credo che potrei darti una seconda occasione.»

«Hai detto che la tua missione sarà difficile e pericolosa, ma onestamente mi è sembrato più un mezzo suicidio» fece notare Ulin’dir. «Mi sa che mi tocca aiutarvi.»

«Cosa facciamo con Warren?» chiese Jérémy.

«Non voglio che rinunci a Vongai per seguirmi» rispose Priscilla. «Lo capirò se deciderà di non venire.»

Di nuovo calò il silenzio. La tensione si era attenuta leggermente, ma non era ancora sparita del tutto.

«Ora devo andare» esalò l’anfibiana. Voleva aggiungere qualcosa, ma non sapeva bene cosa. Allungò un braccio e il suo ologramma scomparve.

***

D’Jagger stava fissando intensamente il proiettore del teletrasporto. Aveva appena finito di impostare i parametri necessari e sembrava più serio e concentrato del solito. Del resto, il commissario Mantina aveva avuto la consueta cordialità nell’augurargli buona fortuna.

«Non ho idea di cosa incontrerai dall’altra parte, ma posso garantirti che dovrai affrontarla da solo» affermò l’insettoide. «Ho bisogno di ogni agente possibile qui su Niflheim, quindi non perdere tempo a chiederci aiuto. Detto ciò, vuoi ancora andare?»

D’Jagger fece spallucce, come se il pericolo non lo impensierisse minimamente. «Freyja lo farebbe. Anche per gente come me e lei. Quindi sì, voglio andare.»

«In questo file ci sono le istruzioni per il teletrasporto. Non deluderla.»

Il commissario non aveva aggiunto altro. Ovviamente non l’aveva fatto.

Dal canto suo, il goblin aveva fatto lo spavaldo, ma in realtà le sue mani erano ancora scosse da leggeri fremiti. Si era cacciato nei guai un’infinità di volte, ma sentiva che questa volta sarebbe stato diverso.

Lunaria si posò delicatamente sul suo ginocchio destro. “Faremo in tempo?”

D’Jagger le sorrise con tutta la sicurezza di cui era capace in quel momento. «Non preoccuparti. Dentro è una tenerona, ma fuori Freyja è più tosta di un carro armato. Non mi stupirei se alla fine fosse lei a salvarci!»

La fata annuì con risolutezza. “Conto su di lei, allora.”

Il goblin la mandò a quel paese. «Ehi! Sono io quello che fa battute qui!»

Prese un profondo respiro, chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e attivò il teletrasporto.

«Comincia la missione di salvataggio!» Guardò verso Lunaria. «E questa volta saremo noi i salvatori!»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Innanzitutto abbiamo scoperto il motivo per cui Mantina ha lasciato che gli operai portassero via le biomacchine. E possiamo dire che l’ha fatto solo o quasi per poter avere la sua “vendetta” sul governatore. Fino a questo momento il commissario era sempre stata sì ostile, ma comunque molto controllata e tutto sommato rispettosa della legge. Con il rapimento di Freyja sembra proprio aver perso la pazienza, e ha tutte le intenzioni di farla pagare al governatore >:(

Dal “lato opposto del accordo” vediamo che anche Priscilla ha il suo bel daffare a giustificare le sue ultime mosse con i suoi compagni. A Vongai non è proprio andato giù il fatto che Priscilla abbia agito alle loro spalle e usato Albion come merce di scambio (come darle torto?) e per questo Warren sembra intenzionato a lasciare il Branco. Per il momento gli altri sembrano ancora dalla parte dell’anfibiana, ma qualcosa potrebbe essersi incrinato tra loro T_T

Nel finale rivediamo D’Jagger, che non si è arreso, e anzi ha accettato di andare chissà dove per ritrovare Freyja. Un bel cambiamento rispetto all’allegro furfante menefreghista dei primi capitoli O.O E il grosso del merito è probabilmente proprio della “tenerona” XD

Prima di salutarvi, vi lascio il disegno di Lunaria (che in realtà avevo abbozzato già mesi fa :P).

Lunaria (HoJ-1)

A presto ^.^


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Capitolo 37
*** 36. Un nuovo mondo ***


36. Un nuovo mondo

Il modesto edificio a un piano aveva un’impalcatura di legno, pareti di mattoni e un pavimento di terra battuta. L’interno era buio e silenzioso: in origine doveva essere un deposito, ma in tempi più recenti era stato adibito a un’altra funzione. Ora al suo interno c’era solo un dispositivo dalla forma tondeggiante, la cui aria moderna stonava marcatamente con il resto dell’ambiente.

All’improvviso il congegno si attivò: cominciò a emettere dei suoni e dal centro apparvero dei fasci di luce che proiettarono sul terreno un quadrato grande quasi quanto l’intero deposito. Una volta verificato che non c’erano ostacoli, il proiettore del teletrasporto inviò il segnale di conferma all’altro portale. Pochi secondi dopo partì l’effettiva procedura di teletrasporto e in pochi istanti dal nulla apparve la sagoma di un goblin.

D’Jagger si guardò intorno circospetto, granata alla mano. Con il suo casco scansionò rapidamente l’intero edificio, vuoto, e poi passò all’esterno. C’erano delle persone: orchi. E si stavano avvicinando.

I nuovi arrivati aprirono il deposito, inondandolo di luce calda, così diversa dai tetri raggi di Niflheim.

D’Jagger notò con stupore che gli orchi indossavano tutti degli abiti dall’aria molto antiquata, simili a quelli che venivano usati quattromila anni prima, durante le Guerre dell’Yggdrasill. Sembravano quasi indumenti barbarici, ma non rozzi. Al contrario: dovevano essere guerrieri di rango elevato, soprattutto quello al centro.

«E tu chi saresti?» gli chiese il presunto leader, che indossava un pregevole mantello di piume verdi. Era particolarmente alto e robusto, e portava un’imponente ascia da guerra grande quasi quando D’Jagger. «Sei un altro tributo?»

L’aria era respirabile, così il goblin disattivò il casco. «Tributo? No, certo che no! Sono D’Jagger Rahoud e ho un incarico molto importante. Sto cercando una persona: un’orchessa. È alta più o meno così, ha i capelli blu, lentiggini, tette grandi. Dovrebbe essere passata di qui qualche giorno fa.»

«Sì, il tributo dell’altra volta» annuì l’orco. «Perché la cerchi?»

«È un agente di polizia, dovete riconsegnarcela.»

«Ora è una serva degli dei, e il suo unico scopo è quello di sterminare degli eretici. Compito che, a quanto ho sentito, sta svolgendo egregiamente. Quindi torna indietro, straniero, o assaggerai l’ira del divino Huitzilopochtli[12]

D’Jagger non riuscì a trattenersi: «Chi?»

L’orco prese la sua lunga ascia da guerra e batté con forza l’asta sul terreno, facendo tremare l’intero edificio. «Bada a come parli, straniero, o sarai offerto in sacrificio al dio del sole!»

Il goblin sollevò le braccia. «Ok, perdonami, non volevo mancare di rispetto!» disse abbassandosi in un inchino. «E comunque ti sbagli: la Freyja che conosco io non ucciderebbe mai nessuno. Portami da lei, così possiamo chiarire questo malinteso.»

«L’unica cosa da chiarire è come sei arrivato qui» ribatté l’orco. «È chiaro che non stai con gli altri stranieri, quindi arrenditi. Quando torneranno per commerciare, ti consegneremo a loro. Non siamo interessati agli affari del vostro mondo.»

«Emh, temo che la risposta sia “grazie, ma no, grazie”.»

L’orco sfoggiò un sorriso bellicoso. «Speravo lo dicessi.»

Infuse di magia la sua ascia, rendendola improvvisamente incandescente. La sollevò senza sforzo e la abbatté con violenza sul goblin.

D’Jagger riuscì a schivare di lato e riattivò il casco. «Ma sei un pazzo furioso!»

Avrebbe voluto fare altre battute, ma l’orco stava già tornando all’attacco.

Il goblin schivò di nuovo e lanciò una granata. Il piccolo ordigno si attivò all’impatto, scatenando un piccolo campo gravitazionale che bloccò a terra tutti i guerrieri presenti.

«Conosco un altro pazzo furioso che sicuramente sarebbe felice di fare a botte con te, la prossima volta gli chiedo se vuole venire» commentò D’Jagger. «Ma fino ad allora: a mai più rivederci!»

Fece comparire la sua tavola e in un lampo sfrecciò fuori dal deposito. L’edificio era situato nel cortile di un grande tempio dai colori sgargianti. C’erano molti altri orchi in giro, sia sacerdoti che guerrieri, e questi ultimi cominciarono subito a inseguirlo.

Il tempio era circondato da basse mura, così D’Jagger puntò dritto alla porta più vicina.

All’esterno c’era una città molto animata, anch’essa popolata esclusivamente da orchi. Lì gli edifici erano fatti quasi esclusivamente in legno e pelli, e tutti quanti sembravano molto sorpresi di vederlo su una tavola fluttuante. In effetti non c’era traccia di tecnologia e l’unico mezzo di trasporto erano dei carri trainati da robusti animali simili a rinoceronti.

Il suono d’allarme di una campana si sollevò dal tempio: purtroppo non aveva il tempo per fare il turista, doveva sbrigarsi a lasciare quella città.

Attraversò a tutta velocità le strade polverose, ma un gruppo di guardie stava già chiudendo il portone che portava alla città bassa. Questo avrebbe potuto mettere in difficoltà un fuorilegge del luogo, ma D’Jagger non ebbe difficoltà a scalare le basse mura di legno con la sua tavola.

Al di là della fortificazione, le case erano praticamente delle tende e le strade erano ancora più sporche. Tutto intorno si estendeva una prateria apparentemente infinita, con qualche montagna in lontananza e un largo fiume che attraversava la città. Per fortuna c’era una foresta non molto lontano: una volta raggiunta, sarebbe riuscito a seminare i suoi inseguitori. Non aveva nessuna intenzione di farsi catturare o di venire sacrificato a qualche dio.

Un rumore di corni lo fece trasalire: le guardie lo stavano inseguendo in groppa a quei loro rinoceronti, guidate dall’orco con l’ascia incandescente. Le loro cavalcature erano sorprendentemente rapide, ma la tavola di D’Jagger non era da meno e riuscì a raggiungere la foresta senza mai entrare nel raggio d’azione dei loro archi. In realtà forse non avevano nemmeno degli archi o altre armi a lungo raggio: gli orchi erano famosi per essere cultori del combattimento in mischia.

La stazza dei rinoceronti e dei loro cavalieri si rivelò un problema per i suoi inseguitori e dopo pochi minuti il goblin smise di sentire il rumore pressante della loro carica. Li aveva seminati, quindi ora poteva pensare al vero problema.

Scese dalla tavola e tolse il casco. Lunaria, che fino a quel momento era rimasta nascosta nel suo cappuccio, uscì fuori.

«Sei riuscita a percepire la traccia di Freyja?»

La fata scosse tristemente il capo.

«Merda… Quindi dobbiamo per forza tornare lì e interrogare qualcuno.» Si guardò intorno. «Certo non mi sarei mai aspettato di finire in un posto così arretrato. Non c’è neanche campo!»

“Questo pianeta ha un’energia molto strana” gli fece notare Lunaria. “È intensa, sembra quasi… vivo.”

«Credevo che per voi fate anche Niflheim fosse vivo. Sai, roba eco-mistica…»

Lunaria scosse il capo, serissima. “Questo pianeta è vivo in maniera diversa. Ha una specie di… mente primitiva.” Poggiò una mano sul terreno. “Non gli piace quello che sta succedendo.”

«Ok, è tutto molto… ecologista, noi però dovremmo salvare Freyja.»

La fata annuì.

«Credo ci convenga aspettare la notte. Non ho idea di quanto duri la giornata qui, ma se ci scoprono, quel tipo con l’ascia ci farà volentieri a fette. E io non passo esattamente inosservato in mezzo a tutti quegli orchi.»

Fece scorrere gli oggetti che aveva riposto nelle tasche dimensionali del suo bracciale, fino a tirare fuori una sfera.

«Questa potrebbe fare al caso nostro. La porti dentro, mi teletrasporto, interroghiamo uno dei loro e poi ce la squagliamo. Certo, sarebbe comodo averne un’altra per la fuga, ma dovremo arrangiarci alla vecchia maniera. Mal che vada posso sempre fare esplodere qualcosa come diversivo…» aggiunse con un sorriso malefico. «Oh, comunque sia chiaro: per il prossimo salvataggio, al massimo un gatto sull’albero!»

Dalla posizione del sole, doveva essere pomeriggio, così i due si misero in attesa, sperando che la notte non si facesse attendere troppo a lungo.

La foresta era particolarmente tranquilla – forse gli orchi avevano già eliminato tutti gli animali potenzialmente pericolosi – per questo non ebbero difficoltà a sentire un nuovo allarme provenire dalla città.

D’Jagger sapeva che la cosa migliore era restare nascosto, ma come al solito la sua curiosità ebbe la meglio sul buon senso e decise di avvicinarsi al limite della foresta per capire cosa stesse succedendo.

Non c’era traccia di armate o predoni nei paraggi, quindi il problema doveva essere interno. Forse qualcuno aveva provato a rubare qualcosa di importante.

«Niente scontri epici tra antichi eserciti per oggi» constatò il goblin, un po’ deluso. «In effetti sarei curioso di sentire degli antichi tamburi da guerra dal vivo. Avranno dei tamburi da guerra, no?»

“Pensi che Freyja stia combattendo in un esercito?” gli chiese Lunaria mentre tornavano verso l’interno della foresta.

«Quel tipo ha parlato di “eretici”, e le guerre religiose sono sempre un brutto affare. Dubito che Freyja stia davvero uccidendo eretici di sua iniziativa. È talmente buona che non lo farebbe nemmeno sotto tortura. L’unica spiegazione è che la stiano controllando mentalmente.»

Il piccolo volto della fata si riempì di preoccupazione. “E come faremo a salvarla?”

«Troveremo un modo. L’importante adesso è trovarla e portarla via da qui. Qualsiasi cosa le abbiano fatto, troveremo il modo di annullarla.»

Lunaria annuì, speranzosa, ma poi si immobilizzò di colpo. Si guardò intorno preoccupata e poi schizzò via senza dare spiegazioni al suo amico. Voleva nascondersi tra le fronde dell’albero più vicino, ma aveva percorso meno di due metri quando uno spirito diafano apparve dal nulla e la imprigionò in una bolla d’aria.

«Ehi!»

Il goblin non fece in tempo a muoversi che un elfo apparve alle sue spalle e gli puntò al collo una spada nera. «Non muoverti. E niente scherzi con il bracciale: sappiamo che contiene tasche dimensionali.»

Dall’alto discese una donna umana. Era lei che controllava lo spirito dell’aria. «Bene, bene, cos’abbiamo qui? Un goblin e una fata provenienti da un altro pianeta. Ci avete fatto un favore rivelandoci la posizione del teletrasporto, per questo potremmo decidere di non uccidervi. Dovete solo scegliere le prossime parole con molta attenzione.»

«La scelta è facile!» esclamò D’Jagger. «Tu!» iniziò rivolto all’uomo. «Levami dal collo questa spada! Tu!» proseguì in direzione della donna. «Lascia andare la mia amica! E tu!» concluse rifilando un’occhiataccia a Lunaria. «Mi avresti abbandonato con questi due idioti!»

L’elfo emise un sospiro di rassegnazione: sembrava sinceramente dispiaciuto per quello che stava per succedere.

Il portamento della donna rimase elegante, regale, ma la sua espressione tradiva un acceso disappunto. «Devo ammetterlo, hai un certo talento nel scegliere le peggiori parole possibili.» Evocò un altro spirito, questa volta con il corpo fatto di fulmini. «È quasi un peccato doverti eliminare.»

D’Jagger non ebbe il tempo di ribattere. Lo spirito lo investì con una devastante scarica elettrica e tutto divenne nero.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

D’Jagger è arrivato su questo nuovo pianeta, e per chi di voi avesse già letto Eresia, si tratta proprio di Raémia, per la precisione del continente settentrionale. Coincidenze? Io non credo XD

Come al solito il goblin ci ha messo meno di un minuto a cacciarsi nei guai, ma in qualche modo è riuscito a scamparla. E ovviamente nel farlo è finito in guai ancora peggiori :P

Chi saranno l’elfo e l’umana che l’hanno catturato? Di certo non erano lì per caso. E cosa ne faranno di lui?

Nel prossimo capitolo torneremo su Niflheim per la sempre più imminente resa dei conti con il governatore.

Non mancate ^.^


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[12] Dio del sole e della guerra nella mitologia azteca.

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Capitolo 38
*** 37. (S)fiducia ***


37. (S)fiducia

L’ispettore capo Smidr bussò alla porta del suo superiore e attese di poter entrare.

«Avanti.»

«Commissario, ho provato a interrogare lo scienziato, ma non è andata molto bene. In realtà è stato abbastanza collaborativo, ma, come sospettavamo, non è a conoscenza di informazioni particolarmente rilevanti. Non sono un esperto, ma credo abbia qualche disturbo dei rapporti sociali.»

«Riuscirà a fornirci le armi che ci servono?»

«Gli ho fatto la stessa domanda, e la sua risposta è stata: “A quanto ho capito siete degli incapaci, ma non preoccupatevi: con le mie armi anche voi riuscirete a distruggere le biomacchine”. Non l’ha detto con cattiveria, sembrava davvero intenzionato ad aiutarci.»

«Non hai risposto alla mia domanda» gli fece notare l’insettoide, come sempre insensibile alle emozioni altrui.

Smidr allargò le braccia. «Per quel che ne so, potrebbe essere la persona più intelligente in questa colonia, e forse su tutto il pianeta. L’ho lasciato in una stanza libera e gli ho detto di mettersi al lavoro. Ho messo una telecamera per sorvegliarlo, le ho mandato il codice.»

Il commissario controllò i messaggi ricevuti, una decina solo negli ultimi cinque minuti, e aprì il flusso video.

«Non funziona» constatò.

Il gigante di ghiaccio si avvicinò. «Non è possibile, ho controllato prima di inviarglielo.»

L’insettoide girò lo schermo olografico, dove spiccava la scritta “Impossibile collegarsi al dispositivo”. Il suo sguardo diceva il resto.

«Vado subito a controllare» affermò il gigante di ghiaccio prima di correre fuori.

Lo scienziato lo aveva forse fregato? Senza il suo aiuto non avevano speranze di neutralizzare le biomacchine del governatore. E lui avrebbe fatto la figura dell’idiota!

Smidr irruppe nella stanza, trovando Albion al lavoro con la stampante 3D ad alta precisione.

«Ehi, dov’è la telecamera?!» esclamò, non trovandola nel punto dove l’aveva lasciata.

Il metarpia si voltò. «Oh, sei quello di prima. L’ho smontata: mi servivano dei semiconduttori.»

«Non dovevi smontarla!»

«Non avevi detto di non smontarla» gli fece notare lo scienziato, sorpreso dalla sua reazione.

Smidr cercò di recuperare la calma. «Ok. Ora vado a prendere un’altra telecamera. Non distruggerla, non smontarla, non toccarla. Intesi?»

«D’accordo.»

Il gigante di ghiaccio scosse il capo e si allontanò.

«Tutto a posto, commissario» riferì una volta risolto il problema. «Aveva smontato la telecamera perché gli servivano dei componenti. Gli ho detto di non toccare quella che ho messo.»

«Bene. Torna pure al lavoro.»

Smidr annuì. Il suo superiore non aveva detto nulla in merito, ma lui l’aveva capito dal suo sguardo: il commissario Mantina era impaziente di farla pagare al governatore.

Non l’avrebbe mai detto apertamente, ma con ogni probabilità l’insettoide sperava che il nano opponesse resistenza, così da giustificare un approccio più definitivo.

In realtà non escludeva che, a domanda specifica fatta in privato, il commissario avrebbe potuto esternare i suoi reali desideri. Meglio non sollevare l’argomento.

***

Negli ultimi giorni il lavoro nella colonia occidentale si era fatto sempre più intenso per il governatore Glazkov e la sua squadra. Molti davano per fatto l’accordo con la P.O.W.A., l’azienda di articoli sportivi con cui stavano trattando, ma il nano era sempre inquieto. Era dall’irruzione del commissario Mantina che si guardava le spalle.

Uno dei suoi assistenti entrò nel suo ufficio per informarlo che era ora di prepararsi per un’intervista, ma il governatore lo zittì con un dito, l’espressione furente.

«Sei proprio sicuro?» chiese Glazkov alla persona con cui era in chiamata.

«Temo proprio di sì. La Orborum Domini la farà passare per una promozione, ma in realtà è uno stratagemma per allontanarti dai riflettori e dalla colonia occidentale. Vogliono sbarazzarsi di te.»

Il nano batté i pugni sulla ricercata scrivania di legno vitreo. «Quella schifosa poliziotta! Li avrà informati lei! Oh, ma non si libereranno di me tanto facilmente! Non possono scaricarmi dopo tutto quello che ho fatto per loro! Dopo tutta la fatica che ho fatto per ottenere questa fama! Questo prestigio!»

«Qualunque cosa tu voglia fare, falla in fretta. Per ora hanno atteso per capire se riuscivi a convincere la P.O.W.A. a firmare, ma non attenderanno ancora a lungo. Buona fortuna, ne avrai bisogno.»

Si udì un leggero suono elettronico e l’assistente capì che la chiamata era terminata. Si schiarì la voce. «Signor Glazkov…?»

«La mia popolarità è ai massimi storici» sbottò il governatore, rivolto più che altro a sé stesso. «Questa è la mia colonia, non della Orborum Domini! Se vogliono sbarazzarsi di me, dovranno farlo con la forza! E possono stare certi che combatterò con le unghie e con i denti!»

«Signor Glazkov…» riprovò l’assistente, ma senza successo.

Il nano guardò le sue tre biomacchine: antichi soldati che l’avrebbero protetto da qualsiasi aggressore.

«Me ne servono altri! Molti altri! La sbirra vuole sbarazzarsi di me? Beh, sarò io a sbarazzarmi di lei! Si pentirà amaramente di avermi minacciato! La schiaccerò come l’insetto che è! A cosa mi servono dei poliziotti, quando posso avere dei robot al mio comando?» Sorrise senza pudore, crogiolandosi nella sua idea. «Gli abitanti della colonia saranno felici di essere protetti da robot. Automi infallibili e infaticabili. Nemmeno la capitale può vantare un simile arsenale. Ho già il discorso pronto!»

Prese il suo comunicatore criptato e selezionò il contatto quasi con foga.

«Mowatalji, mio caro amico! Spero che il trasferimento sia andato bene.»

«È andato bene, grazie per l’interessamento.»

«Bene, bene, mi fa piacere. In tal caso vorrei degli altri robot. E questa volta te li pagherò, non preoccuparti. Mi sento generoso: fai tu il prezzo. Le casse della…»

«Non sono in vendita» lo interruppe il mutaforma. «Non per te.»

L’euforia sparì dal volto del nano. «Come, scusa?»

«Hai fatto la tua parte, più o meno, e noi abbiamo fatto la nostra. Non abbiamo più motivo di fare affari con te. Goditi la tua colonia.»

Il governatore provò a ribattere, ma Mowatalji aveva già chiuso la chiamata.

Il suo assistente vide l’incredulità affacciarsi sul volto di Glazkov e indietreggiò. Scivolò fuori dall’ufficio senza dire una parola, appena in tempo: un’esplosione di imprecazioni esplose nella stanza, pronta a travolgere chiunque fosse capitato a tiro.

Il malcapitato assistente sospirò con rassegnazione: doveva inventarsi una scusa per posticipare l’intervista.

***

Nora Linch, cuffie sulle orecchie, aveva ascoltato con attenzione tutte le parole del governatore. Era illegale dato che non c’era un’indagine ufficiale in corso, ma aveva comunque messo sotto controllo i sistemi di comunicazione del capo della colonia. E per fortuna che l’aveva fatto!

Prese le stampelle e andò ad avvisare il commissario.

Con sua profonda sorpresa, Mantina non sembrava infastidita dagli ultimi sviluppi. Al contrario: sulle sue labbra affiorò uno dei suoi rari sorrisi, abbastanza subdolo da essere sincero.

«Bene, procede tutto secondo i piani.»

Nora non capiva. «I piani?»

«Per farla pagare al governatore.»

La teriantropa serrò la presa sulle stampelle. «E non ha pensato di renderci partecipi di questi piani?»

«No. E non intendo farlo neanche ora. Quindi, se non hai altre informazioni, puoi tornare al lavoro.»

Nora cercò di mantener la calma. «Sa qualcosa di Rahoud? Sono passati due giorni e non si è ancora fatto vivo. Non dovremmo mandare qualcuno a cercarlo?»

«Se non si è fatto vivo ci sono tre opzioni possibili: è fuggito, è morto o è impegnato a seguire una pista. In nessuno di questi casi intendo sprecare uomini per cercarlo.»

«Commissario, dimentica la quarta opzione: quelli che hanno preso Freyja potrebbero aver catturato anche lui.»

«Un motivo in più per non sprecare altri agenti.»

Nora avvertì l’istinto di correre verso il suo superiore, ma riuscì appena a fare un passo prima di dover usare le stampelle per ritrovare l’equilibrio.

«Commissario, devo dirlo: sto facendo il possibile per seguirla, ma sta diventando davvero difficile fidarsi di lei.»

«Allora datti da fare e prendi il mio posto» ribatté il commissario, quasi annoiata. «Sarei ben felice di rifilare a qualcun altro questo schifo di colonia. Ovviamente dopo averla fatta pagare al governatore.»

La teriantropa chinò il capo. «D’accordo, torno al lavoro…»

Mantina la osservò mentre procedeva verso l’uscita. «Linch.»

Nora si voltò.

«Non scherzavo sul fatto di prendere il mio posto. Data la tua situazione, dovresti davvero puntare a diventare commissario. Per quanto mi riguarda, sei quella che ha più possibilità fra i tuoi colleghi.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

In questo capitolo “di preparazione” vediamo come i due schieramenti si organizzano per l’imminente scontro, che sicuramente non sarà amichevole. Da una parte abbiamo i poliziotti, la cui fiducia nel commissario “Malvagità” Mantina ha visto giorni migliori, dall’altra invece abbiamo il governatore/Sindaco, che è stato bellamente scaricato da Mowatalji. Ma tanto ormai è diventata quasi una faccenda personale tra loro due, quindi uno dei due dovrà per forza lasciare la colonia, in un modo o nell’altro.

Prima di salutarvi, vi propongo il disegno chibi di Albion, che sta lavorando alle armi anti-biomacchine per la polizia.

Albion Hellmatyar (HoJ-1)

A presto ^.^


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Capitolo 39
*** 38. Pena capitale ***


38. Pena capitale

I ricordi di D’Jagger erano piuttosto confusi. Era abbastanza sicuro che qualcuno l’avesse colpito con una scarica elettrica, poi però non ricordava bene cosa fosse successo. Aveva la sensazione che qualcuno l’avesse sollevato, forse era stato portato in spalla, ma non sapeva dove o perché.

Ricordava qualcosa di tecnologico: un mezzo di trasporto, un’astronave! No, un momento: si trovava su un pianeta arretrato, non potevano esserci astronavi. L’aveva forse sognato?

In effetti era difficile capire cosa fosse reale e cosa fosse frutto della sua immaginazione. Qualcuno l’aveva attaccato, di questo era abbastanza sicuro. Erano in un due, giusto? Un uomo e una donna? O due uomini? A un certo punto gli era sembrato che fossero stati i suoi padri, ma questo era impossibile: nessuno dei due gli avrebbe puntato un mestolo al collo, neanche dopo tutti i casini che aveva combinato.

Una luce improvvisa, accompagnata da un forte mal di testa, lo costrinse a riprendere conoscenza.

Si guardò intorno, ancora intontito. Si trovava davvero su un’astronave. Vide due persone sedute ai posti di comando: un elfo biondo in armatura e un’umana dalla carnagione olivastra vestita in modo più elegante. In effetti i loro abiti sembravano più adatti a un mondo antico che a quell’astronave.

D’Jagger provò ad alzarsi. Era ancora un po’ stordito, ma riuscì a mettersi in piedi. Provò a fare qualche passo, ma solo in quel momento si rese conto che l’avevano chiuso in una cella di contenimento.

Non aveva il suo bracciale e non vedeva Lunaria da nessuna parte.

Batté sulla parete energetica per attirare la loro attenzione. Lui non riusciva a sentirli, ma era sicuro che la cosa non era reciproca. E infatti l’elfo si voltò quasi subito.

Disse qualcosa alla donna.

«Il goblin che abbiamo ingiustamente imprigionato ha ripreso i sensi» disse D’Jagger cercando di imitare il labiale dell’uomo.

Lei fece un cenno di sufficienza con la mano.

«Liberalo, e offrigli qualcosa» proseguì il goblin simulando una voce più acuta. «Dobbiamo scusarci per il nostro comportamento.»

Difficile dire quanto fosse azzeccata la recita di D’Jagger, fatto sta che l’uomo si alzò e aprì la cella di contenimento.

«Allora, ti va di parlare adesso?»

«Dipende: a voi vi va di non mettermi di nuovo fuori gioco?»

La donna fece ruotare solennemente il suo sedile. «Questo dipenderà da quanto ci piaceranno le tue risposte.»

«Mmh, la vedo brutta allora…»

L’umana non parve cogliere il suo umorismo. «Allora, che ci fa un idiota qualsiasi come te su questo pianeta?»

Il goblin prese posto su un sedile libero. «Sto cercando una persona. Voi invece? Sembrate degli idioti particolari, quindi sono proprio curioso di sentire cosa ci fate con un’astronave su un pianeta dove hanno a stento la ruota.»

«Prima toglimi una curiosità: farti ammazzare come ti avrebbe aiutato a trovare questa persona?»

D’Jagger rimase un attimo senza parole e la donna parve molto compiaciuta di questo.

«Non hai proprio l’aria di uno che rischia la vita per aiutare il prossimo» convenne l’elfo.

«Beh, diciamo che in genere mi occupo di altro. E ora sputate il rospo: che ci fate qui? Direi che non state con quelli che venerano gli dei.»

«Oh, niente di speciale» minimizzò l’umana con aria di superiorità. «Dobbiamo solo evitare che questo pianeta scateni uno shock magico in grado di uccidere quasi tutte le forme di vita che lo abitano. Un normale inizio di settimana.»

D’Jagger non sembrava convinto. «Mmh… Ok… Come ho fatto a non capirlo da solo?»

«È chiaro che non hai idea di cosa sto parlando, quindi ti conviene andartene» lo ammonì la donna. «Se le cose dovessero mettersi male, e si stanno mettendo male, non ti piacerà trovarti qui.»

«Ehi, se davvero questo pianeta sta per esplodere, a maggior ragione devo trovare la mia amica! Non me ne andrò senza di lei!»

«Ti apro il portellone allora, così puoi metterti subito a cercarla.»

L’umana sembrava davvero disposta a buttarlo fuori dal veicolo in volo, ma per fortuna l’elfo si intromise: «Di’ un po’, anche questa tua amica viene da un altro pianeta, giusto? Perché è qui?»

«È una storia un po’ lunga, per farla breve è una poliziotta e stava indagando sul governatore della sua colonia. All’inizio avevo anch’io il sentore che fosse corrotto, poi ho pensato che era solo un idiota, ora però mi sa che è davvero corrotto. Comunque l’hanno catturata, ho seguito le sue tracce, ma lei non c’era più perché l’avevano teletrasportata. L’ho detto al commissario Malvagità, e a quanto pare lei è riuscita a procurarsi il dispositivo necessario a raggiungere questo pianeta. Spoiler: mi sa che ha fatto un accordo coi cattivi. Quando sono arrivato qui ho incontrato un orco monaco guerriero che mi ha detto che gli hanno consegnato la mia amica come tributo e che adesso sta combattendo contro gli eretici, ma sono sicuro che la stanno controllando mentalmente perché lei non farebbe mai del male a nessuno. A proposito: non è che sapete dov’è che stanno combattendo contro questi eretici?»

L’elfo guardò la sua compagna. «È sincero?»

Lei annuì gravemente. «Lo è. Da che pianeta sei arrivato?»

«Niflheim. Non è il massimo per le vacanze, a meno che non vi piacciano il freddo, la nebbia e i posti spettrali. Oh, a proposito, dov’è Lunaria? Lei è nativa di Niflheim.»

L’umana si alzò. «Devo fare una chiamata.»

«Lunaria è la fata, giusto?» gli chiese l’uomo.

D’Jagger annuì.

«Vieni, ti porto da lei. Non ci siamo presentati: io sono Sigurd[13]

«D’Jagger, lieto che non mi abbiate ucciso.»

L’elfo sorrise. «Shamiram sa essere un po’ permalosa a volte. Beh, spesso in realtà. Ma non dirle che l’ho detto.»

«Sarò muto come Lunaria.»

I due avevano rinchiuso la fata all’interno di una scatola trasparente in un’altra stanza. La loro astronave era di fatto un appartamento mobile, non particolarmente lussuoso, ma dotato di tutto il necessario per un soggiorno prolungato.

Appena li vide, Lunaria cominciò a gesticolare tutti gli insulti che conosceva. Appena fu libera, schizzò dietro D’Jagger e gli chiese di fare esplodere l’elfo, la strega e la loro stupida casa volante.

«Immagino non mi ridarai il mio bracciale.»

«Per il momento.»

Quando tornarono indietro, Shamiram aveva già concluso la sua chiamata. A giudicare dalla sua espressione, non aveva ricevuto buone notizie.

D’Jagger preferì restare in silenzio e sperò che Lunaria non facesse nulla di stupido: in quel momento la donna avrebbe davvero potuto incenerirli.

«Allora, qual è il piano?» chiese Sigurd.

«Lo stesso di prima» sibilò l’umana. «Solo che nel frattempo vedremo anche di cercare questa poliziotta. Se sta combattendo contro gli eretici, probabilmente la incontreremo in ogni caso. E quando avremo finito qui, ucciderò mia figlia e quegli idioti dei suoi amici.»

D’Jagger, stupito da quell’ultima esternazione, guardò verso l’elfo, ma anche a lui sembrava mancare qualche tassello del puzzle.

Alla fine l’uomo si limitò a fare spallucce. «Beh, benvenuti a bordo.»

***

Più Nora ascoltava la conversazione, più si convinceva che finalmente era giunto il loro momento.

«Verrete pagati come un corpo speciale, ma agirete come una milizia privata sotto il mio diretto comando» stava dicendo il governatore, ignaro di essere intercettato. «Una volta eliminati i poliziotti, sarete le uniche persone armate ammesse nella colonia occidentale. Dovrete mantenere l’ordine all’interno, ma soprattutto dovrete fare in modo che nessuno entri senza la mia autorizzazione. Questa è la mia colonia, e la Orborum Domini non mi rimpiazzerà come se fossi uno dei loro burattini!»

La teriantropa non aveva bisogno di sentire altro: quelle dichiarazioni erano più che sufficienti per convincere la Orborum Domini a destituire ufficialmente il governatore e a metterlo sotto processo. Dovevano solo sbrigarsi ad agire, prima che i mercenari raggiungessero la colonia occidentale.

Informò il commissario Mantina, che ovviamente non si scompose.

«Hellmatyar, a che punto sono le armi?»

Il metarpia, sorpreso da quell’interruzione, ci mise qualche istante a capire da dove era venuta la voce.

«Sono in grado di fare quello per cui sono state pensate: bloccare il processo di auto-riparazione delle biomacchine del governatore. Se avessi più tempo, potrei incrementare la quantità di danni che sono in grado di infliggere o includere dei sistemi di supporto per l’utilizzatore.»

«Mi servono per questa notte. L’importante è che possano neutralizzare le biomacchine.»

«Vuole agire questa notte?» chiese Nora. «Perché non prima?»

«Durante la notte daremo meno nell’occhio.»

«Ma commissario, stiamo andando ad arrestare un criminale! Che problema c’è se diamo nell’occhio?»

L’insettoide la trafisse con lo sguardo. «Abbiamo altri piani per lui. Ti basti sapere questo: il governatore avrà ciò che merita.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

D’Jagger si è svegliato e ha fatto la conoscenza dei due misteriosi individui che l’avevano messo al tappeto. E ovviamente non si tratta di due tipi qualsiasi, ma sono l’eroe Sigurd e la regina Shamiram (che alcuni di voi potrebbero già aver visto in azione in altri miei racconti ^.^).

Nonostante gli sforzi del goblin per combinare di nuovo un casino, i due sembrano disposti a credergli e addirittura ad aiutarlo a cercare Freyja. O per lo meno non glielo impediranno, dato che il loro obiettivo principale resta immutato. E a quanto pare il loro obiettivo è addirittura evitare la distruzione del pianeta: sarà meglio che non falliscano! O.O Ma su questo tema avremo modo di tornarci sicuramente più avanti… in Age of Epic 2.

Tornando su Niflheim, si avvicina sempre di più la resa dei conti finale tra la polizia e il governatore, che si è rivelato ufficialmente come il vero antagonista.

Cosa starà tramando il commissario Mantina? Starà davvero pensando di togliere di mezzo il governatore?

Per scoprirlo, non perdete il prossimo capitolo.

A presto ;D

PS: anche questa volta ho il chibi di uno dei miei personaggi, per la precisione quello di Priscilla :)

Priscilla O’Ertaking (HoJ-1)


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[13] Sigurd (Sigfrido) è un eroe della mitologia norrena e germanica che ha ucciso un drago.

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Capitolo 40
*** 39. Assalto notturno ***


39. Assalto notturno

Era notte fonda e nella centrale di polizia restavano solo Nora e un manipolo di altri agenti. Nonostante l’ora tarda, in realtà tutte le forze dell’ordine della colonia occidentale erano ancora in servizio: l’operazione per fermare il governatore era iniziata e tutti gli altri colleghi si stavano dirigendo alla residenza del politico. Lo stesso commissario Mantina stava guidando i suoi uomini: probabilmente per dimostrare quanto fosse importante quell’operazione, o – secondo alcuni – solo per assicurarsi che nessuno osasse interferire con il suo piano.

Sebbene tutti gli agenti fossero concordi sul fatto che il governatore andava fermato, molti di loro erano scuri in volto, come se non condividessero appieno quello che stavano facendo.

Nora e gli altri agenti alla centrale stavano osservando sulla mappa della colonia i mezzi dei colleghi che si avvicinavano alla residenza del governatore. Insieme a loro c’era Albion, che sembrava il più rilassato di tutti: aveva garantito che le sue armi sarebbero state in grado di distruggere le biomacchine, ma il commissario gli aveva comunque ordinato di essere presente nel caso si verificasse qualche problema.

L’edificio in cui viveva il governatore era lo stesso in cui svolgeva le sue funzioni di amministratore della colonia. Oltre a essere uno degli edifici messi meglio, il fatto di abitare e lavorare nello stesso stabile gli faceva sicuramente risparmiare tempo, e questo era un aspetto non indifferente data la quantità di impegni nella sua agenda. Un altro aspetto che avevano notato gli agenti era che quell’edificio aveva solo due accessi: quello principale e un parcheggio. L’appartamento scelto dal governatore si trovava a un piano intermedio e le finestre erano state dotate di vetri antisfondamento, quindi la loro unica possibilità sarebbe stata passare dalla porta.

Una volta raggiunta la loro meta, i veicoli della polizia – cinque in tutto – si divisero in due gruppi: tre si fermarono davanti all’ingresso principale e gli altri due scesero nel parcheggio sotterraneo.

Un manipolo di uomini rimase a terra per controllare le uscite, gli altri invece cominciarono a salire le scale con le armi in pugno. Albion era riuscito a produrre solo due armi anti-biomacchine, ma anche quelle normali sarebbero state utili: come dimostrato dallo scontro con Kerberosz, le biomacchine non erano indistruttibili, quindi l’obiettivo era danneggiarle il più possibile con le armi normali e poi usare quelle modificate dal metarpia per impedire che si auto-riparassero.

Il grosso dei poliziotti raggiunse il piano dell’appartamento del governatore e rimase in attesa che tutti gli altri fossero in posizione. Come previsto, davanti alla porta c’era una biomacchina. Le altre due erano sicuramente all’interno.

L’automa non aveva nessun punto dove ripararsi, ma sicuramente si era accorto di loro e aveva già segnalato la loro presenza ai suoi simili.

«Ok, siamo tutti in posizione» affermò il commissario. «Ingaggiate!»

Sei agenti in tenuta antisommossa uscirono allo scoperto e aprirono il fuoco. La biomacchina sparò in risposta, scattò su un muro e rimbalzò sull’altro per evitare i colpi.

Il fragore della battaglia inondò l’intero edificio. L’automa continuava a muoversi, ma i proiettili della polizia cominciarono a penetrare la sua armatura. In risposta gli attacchi del robot stavano aprendo squarci negli scudi dei poliziotti.

La biomacchina, crivellata di colpi, finalmente crollò a terra. Nel silenzio improvviso, i poliziotti videro alcuni dei danni dell’automa che cominciavano a rigenerarsi, ma non quelli colpiti dall’arma di Albion. Attesero ancora e ben presto le straordinarie abilità di auto-riparazione del nemico si interruppero, lasciando ampie ferite nel corpo del robot.

«Ha funzionato» esalò qualcuno.

Purtroppo anche gli agenti che avevano partecipato all’attacco avevano subito danni: uno era a terra e altri due erano feriti in modo abbastanza serio. Per quanto robuste, nemmeno le uniformi antisommossa potevano proteggerli dalle temibili armi delle biomacchine.

«Karroach, Rivera, Patel e V’Ghad, prendeteli e portateli in ospedale» ordinò Mantina. «Noi altri vediamo di entrare.»

Mentre i quattro colleghi portavano di sotto i feriti, un altro agente posizionò una piccola carica sulla serratura e la fece detonare. Lo scoppio controllato fu sufficiente per sbloccare la porta, che si aprì sommessamente.

L’appartamento era buio e silenzioso, ma sicuramente li stavano aspettando: dovevano agire con molta cautela.

«Riuscite a vedere le biomacchine?» chiese Mantina. «Il governatore è ancora lì dentro?»

«Una biomacchina è nella sala, l’altra è nella stanza da letto del governatore» riferì un agente.

«Bene. Vediamo di stanarlo.»

Tre agenti provarono a entrare, ma un proiettile d’energia centrò in pieno il primo. Il malcapitato venne scaraventato all’indietro e travolse i compagni, che caddero a terra con lui.

«Serve fuoco di soppressione!» ordinò Mantina.

Due poliziotti si posizionarono ai lati della porta e aprirono il fuoco con le loro armi automatiche. La biomacchina, consapevole dei proiettili anti-rigenerazione del nemico, rimase al coperto, ma in questo modo alcuni agenti riuscirono a entrare nell’appartamento.

«Circondatela, e attenti al fuoco incrociato!» li ammonì il commissario.

 L’automa era in trappola, ma i suoi ordini erano chiari: non si sarebbe certo arreso. Balzò verso il soffitto e sparò una doppia raffica, riuscendo a centrare tre poliziotti. Alcuni colpi lo raggiunsero, ma in un attimo era già al riparo dietro un mobile.

«Quel bastardo è furbo!» imprecò un’agente.

«È troppo veloce per noi» ammise un altro poliziotto.

«Meno chiacchiere, restate concentrati!» li sgridò Mantina. «Abbiamo un compito e lo porteremo a termine! Costi quel che costi!»

***

«Cosa sta succedendo?!» esclamò Vitaly Glazkov, svegliato dal fragore della battaglia. «Cosa sta succedendo?!» ripeté alla biomacchina che era con lui, senza neanche darle il tempo di rispondere. Aveva gli occhi sbarrati, la barba e i capelli in disordine, e il suo raffinato pigiama era tutto spiegazzato.

«Forze ostili ci stanno attaccando. Hanno sfondato la porta.»

«Forze ostili?! Che forze ostili?!»

Si udirono altri spari.

«Le forze dell’ordine della colonia occidentale.»

«Quella puttana!» imprecò il nano. «Vuole davvero arrestarmi! In casa mia!» Il suo stato d’animo era una tempesta di indignazione, sgomento e rabbia, a cui si aggiungeva una buona dose di paura. «Uccideteli tutti! Uccideteli tutti, quegli schifosi traditori!»

«L’unità 2 li sta ingaggiando in questo momento» rispose l’automa, impassibile. «L’unità 3 riporta danni critici. Qualcosa sta interferendo con la sua procedura di auto-riparazione. Al momento non è in grado di ingaggiare il nemico.»

«Cosa?! Ma non eravate invincibili?! Non siete voi che avete fatto il culo a quella testa di cazzo di Égettvér?!»

«Negativo: non siamo invincibili. Affermativo: abbiamo neutralizzato Kerberosz Égettvér. In base ai dati forniti dall’unità 3, le forze dell’ordine della colonia occidentale sono entrate in possesso di un’arma in grado di interferire con i nostri sistemi di auto-riparazione.»

«Merda! Merda, merda, merda! Devo andarmene! Devo andarmene subito! Dov’è il mio kit per le emergenze?!»

Il governatore cominciò ad aprire armadi e cassetti in modo febbrile, alla disperata ricerca di un modo per evitare l’arresto.

«Oh, eccolo!»

Rincuorato, aprì la piccola valigetta che aveva comprato appena due giorni prima. Al suo interno c’era un bracciale largo ma poco spesso, perfetto per essere nascosto sotto una manica.

«Attenzione: se lascia l’edificio, non saremo in grado di proteggerla» lo informò la biomacchina.

«È chiaro che non potete proteggermi nemmeno se resto qui!» ribatté il nano. Dopo averlo indossato, toccò la superficie del bracciale e il suo corpo venne rivestito da un’armatura. «Restate qui ed eliminate tutti i poliziotti! Questo è chiaramente un colpo di stato: l’uso della forza è l’unico modo per mantenere l’ordine!»

Dopo aver giustificato a sé stesso il suo operato, aprì una delle finestre antisfondamento e guardò verso il basso. Si trovava all’ottavo piano, ma la sua armatura era in grado di volare: non c’era motivo di avere paura.

Salì sul davanzale della finestra. Armatura volante o meno, aveva comunque paura. Ma non poteva esitare: se restava lì, tutti i suoi sforzi sarebbero andati in fumo.

Fece un passo e cominciò a precipitare nel vuoto. Pensò di volare e l’armatura rispose: dei propulsori si accesero su mani, piedi e busto. Dapprima rallentarono la discesa, poi gli fecero prendere lentamente quota.

Ora doveva solo allontanarsi e lasciare alle biomacchine il lavoro sporco. Tutto sommato era un bene potersi liberare una volta per tutte di quei poliziotti. Se lasciati a piede libero, prima o poi lo avrebbero sicuramente pugnalato alle spalle.

Un colpo alla schiena lo fece sussultare. L’interfaccia nel casco tremolò e per un attimo perse quota.

Venne colpito ancora e di nuovo precipitò per alcuni interminabili istanti prima che i sistemi di volo tornassero operativi.

Riuscì a voltarsi, zoomò sul tetto dell’edificio da cui era fuggito e vide un paio di agenti con dei fucili di precisione.

“Vogliono… uccidermi?”

Altri due proiettili lo colpirono in pieno e l’armatura si spense del tutto.

Immerso nel silenzio, il governatore Glazkov vide il cielo che si allontanava, lento e inesorabile.

“Vogliono uccidermi.”

***

«Il governatore è a terra» riferì una voce mesta.

Un alito di tensione aleggiò tra i poliziotti impegnati contro le biomacchine, ma nessuno abbassò la guardia: i loro avversari erano troppo pericolosi.

«Abbiamo recuperato il governatore» annunciò uno degli agenti rimasti a terra. Neanche lui sembrava particolarmente entusiasta.

Il commissario Mantina non aveva bisogno di sentire altro: «Ottimo lavoro, portatelo via senza dare nell’occhio.»

«Le biomacchine continuano ad attaccare!» esclamò un altro poliziotto, come se il rumore dei proiettili non fosse già abbastanza eloquente.

«Probabilmente il governatore gli ha ordinato di ucciderci» dedusse l’insettoide. «Stiamo attenti e vediamo di eliminare anche loro.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Alla fine siamo arrivati davvero allo scontro tra la polizia e il governatore. Gli uomini di Mantina hanno attaccato il nano nel pieno della notte e Glazkov, preso dalla paura, è finito per cadere nella trappola del commissario.

Questa sembra essere davvero la fine per il governatore, ma che ne sarà della colonia adesso? Quali saranno le prossime mosse di Mantina? E cosa faranno gli altri poliziotti?

Le risposte arriveranno nel prossimo (e ultimo) capitolo, non mancate!

A presto ^.^


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Capitolo 41
*** 40. Martire ***


40. Martire

La colonia occidentale non aveva mai visto così tanti poliziotti: era praticamente assediata. C’erano anche moltissimi giornalisti e non mancavano le figure importanti, inclusi alcuni dirigenti della Orborum Domini. Il motivo di tutto ciò era uno solo: il funerale dell’ormai ex governatore Vitaly Glazkov.

La cerimonia era trasmessa in diretta su tutto Niflheim e oltre, sugli altri pianeti di proprietà della Orborum Domini ma non solo. Persone che non avevano mai nemmeno sentito parlare della colonia occidentale, ora potevano assistere all’ultimo saluto al suo dirigente.

«Tutti devono sapere» stava dicendo uno dei rappresentati della Orborum Domini. «Tutti devono sapere che grande uomo era il governatore Glazkov. Tutti devono sapere ciò che ha fatto per la colonia occidentale. Tutti devono sapere quanto si sia speso per il bene dei suoi cittadini.»

Guardò con rammarico la bara, adagiata a pochi metri di distanza su un piedistallo d’onore.

«Non sarà facile trovare un degno sostituto, ma soprattutto sarà impossibile rimpiazzarlo nei nostri cuori. Per tutti noi della Orborum Domini, un uomo come il governatore Glazkov era insostituibile.»

Fece una breve pausa per osservare la folla radunata lì davanti, composta per almeno la metà da giornalisti.

«Quando il governatore Glazkov si è insediato, lo sappiamo tutti, la colonia occidentale era in condizioni critiche. È proprio grazie a lui, al suo impegno costante e alla sua inesauribile determinazione se la colonia occidentale è ciò che vediamo oggi: l’ultima frontiera della civiltà. Un baluardo di progresso e opportunità per tutti coloro che sono pronti ad accettarne le sfide.»

Di nuovo fece una pausa, forse per via della commozione.

«La sua improvvisa scomparsa è un colpo durissimo per tutti noi, ma non temete! Il suo spirito e i suoi ideali sono ancora con noi. La sua opera non sarà lasciata incompiuta e tutte le sue promesse saranno mantenute. Questo sarà il nostro tributo alla memoria di un uomo così straordinario.»

Si girò leggermente e allungò il braccio destro.

«Lascio ora la parola al commissario Shanti Mantina, che ha assunto l’incarico di governatore ad interim in attesa della nomina del nuovo governatore.»

Il dirigente si fece da parte e l’insettoide prese posto davanti al leggio. La sua espressione era, come sempre, vagamente ostile.

«Grazie, signor LaBates. E grazie per le belle parole sul governatore Glazkov. Quello che è successo al governatore Glazkov è una tragica fatalità, ma come ha detto il signor LaBates, continueremo a lavorare anche per lui.»

Rispetto al dirigente della Orborum Domini, l’insettoide mancava nettamente di emotività.

«Il governatore Glazkov ci ha aiutato a salvare la colonia occidentale, ma il suo impegno non si era fermato. Il suo sogno era rendere la colonia occidentale l’ultima frontiera della civiltà, e noi faremo tutto ciò che è in nostro potere per realizzarlo.»

Gli agenti della colonia occidentale, che stavano seguendo il funerale in diretta dalla centrale, non sembravano contenti.

«Che buffonata! Hanno trasformato il funerale di quel cazzone in una pubblicità per attirare nuovi coloni!»

«Più lo guardo, e più mi sembra incredibile che se la siano bevuta. Complicazioni a seguito dell’attentato? Bah!»

«La Orborum Domini era d’accordo fin dall’inizio» fece notare l’ispettore Smidr. «Se loro sono contenti, nessuno verrà a fare domande. E dopo un funerale così plateale, nessuno penserà che si tratta di una messinscena.»

«Già. E questo mi fa ancora più rabbia!»

«Sono d’accordo con voi che questa non sia la soluzione migliore, però il commissario ha ragione a dire che così abbiamo risolto il problema: il governatore ha avuto ciò che meritava, i suoi uomini di punta sono fuori dai giochi e tutti gli altri criminali sono fuggiti o dietro le sbarre.»

«Ma tu davvero riusciresti a lavorare in un posto chiamato “Glazkov City”, sapendo quello che è successo davvero?»

«Non è ancora sicuro che si chiamerà così.»

«La P.O.W.A. continua a rimandare, e poi se la chiamassero “P.O.W.A. City” tutti penserebbero che sono degli ingrati.»

Di nuovo calò il silenzio. Un silenzio pieno di astio e disappunto.

Di fatto, l’unico che non sembrava turbato dall’immeritato tributo all’ex governatore era Albion. Appena la polizia aveva portato alla centrale le carcasse delle biomacchine, lui aveva cominciato a studiarle in maniera ossessiva. Alcuni agenti avevano brontolato, ma il commissario li aveva rapidamente messi a tacere.

Erano passati un paio di giorni dall’attacco e il metarpia non era ancora uscito dal suo laboratorio di fortuna; non aveva quasi dormito – come dimostravano le occhiaie particolarmente vistose – e se non fosse stato per i poliziotti probabilmente non avrebbe nemmeno mangiato.

«Nora, a che stai pensando?»

«A Mowatalji. Ammesso che sia il suo vero nome. Pensavamo fosse un assistente del Sindaco, ma a quanto pare sbagliavamo. Ho fatto qualche ricerca incrociata, e sapete cos’è saltato fuori? Gli Eletti.»

Improvvisamente l’atmosfera cambiò: si fece tesa, e nessuno aveva più voglia di lamentarsi del funerale-show.

Tutti conoscevano gli Eletti: erano una delle organizzazioni criminali più potenti dell’universo. Purtroppo nessuno sapeva l’identità dei suoi membri o dove si nascondessero, solo che disponevano di immense risorse e che non si facevano alcuno scrupolo a perpetrare i loro fini.

«Credo che gli Eletti abbiano mandato Mowatalji per aiutare il governatore a inscenare la minaccia del Sindaco, così da distrarci mentre cercavano il bunker. Il loro unico obiettivo erano le biomacchine, per questo una volta ottenute, hanno abbandonato il governatore.»

«Ma allora… potrebbero tornare?» chiese un altro agente, preoccupato. «E ora hanno tutte quelle biomacchine…»

«Potrebbero esserci loro dietro la scomparsa di Freyja?»

 Una nuova inquietudine si diffuse nella centrale di polizia.

«Difficile dirlo con certezza.»

«L’unica certezza è che quel goblin non si è più fatto sentire. Sicuri che non se la sia svignata?»

«No, non credo» ribatté Nora. Non lo conosceva abbastanza da poterlo affermare con certezza, ma qualcosa le suggeriva che il fuorilegge non avrebbe abbandonato la ricerca di Freyja tanto facilmente. «Spero solo che non sia morto.»

***

I due schieramenti di orchi si erano lanciati uno contro l’altro in maniera abbastanza confusionaria, urlando e menando fendenti con le loro rozze armi di legno e metallo.

Una delle fazioni era in netta superiorità numerica e alcuni dei suoi guerrieri sventolavano dei vessilli a rappresentare gli dei che veneravano. I ribelli eretici, meno numerosi ma altrettanto determinati, sembravano pronti a morire piuttosto che sottomettersi nuovamente al Clero.

In mezzo a tutto quel frastuono di urla e metallo, combatteva Freyja. In mano aveva una semplice mazza, non molto diversa dal suo manganello, che usava per sbaragliare qualsiasi eretico le si parasse davanti.

Il suo sguardo era freddo, insensibile, ma non assente: la magia di Yalina aveva alterato la sua mente, sopprimendo la sua coscienza e costringendola a seguire gli ordini del suo padrone, tuttavia non aveva cancellato il suo addestramento di stampo militare.

Un orco ribelle si lanciò sulla poliziotta urlando. Sollevò la sua tozza spada per colpirla, ma nel farlo si scoprì a tal punto che Freyja riuscì a stenderlo con un fulmineo pugno alla mandibola prima ancora che calasse il colpo.

Tutti quei guerrieri stavano combattendo con vigore e coraggio, ma nessuno di loro poteva vantare una tecnica particolarmente raffinata. Il loro stile era rozzo, come ci si aspetterebbe da barbari e predoni: sicuramente erano più abituati alle scorribande che alle guerre.

Un nuovo nemico provò ad attaccare Freyja, ma lei riuscì a parare la spada con la sua mazza. Era pronta a contrattaccare, ma un urlo la mise in allerta. Un secondo ribelle calò la sua ascia su di lei. L’orchessa sollevò la mano e afferrò l’arma. Con uno strattone disarmò il nemico, che probabilmente pesava il doppio di lei, e lo colpì in fronte con la punta del manico.

Lo spadaccino, intimorito dalla quella dimostrazione di forza, si riscosse. «Maledetta!»

Provò a colpirla con un tondo laterale, ma di nuovo Freyja parò senza problemi. Gli tirò una gomitata sul naso e anche lui cadde a terra stordito.

La battaglia stava già volgendo al termine: i ribelli erano stati annientati e i pochi ancora in piedi si stavano dando alla fuga. Anche tra i guerrieri del Clero c’erano diversi morti e feriti gravi. Tutti quanti avevano combattuto con ferocia, cercando di uccidere chiunque capitasse a tiro, convinti che quello fosse l’unico modo per raggiungere il proprio scopo.

Tutti tranne Freyja.

***

Era una tranquilla giornata di sole e alcuni animali stavano brucando nella pianura erbosa che circondava il villaggio fortificato. Tutto intorno alla palizzata di legno era stato allestito un accampamento militare, dove si muovevano numerosi orchi indaffarati.

D’un tratto un insolito vento smosse l’erba e allarmò gli animali, che corsero via in formazione compatta. Così com’era arrivato, il flusso d’aria si dissolse e pochi istanti dopo tre figure apparvero dal nulla.

«Siete sicuri che potranno aiutarci?» chiese D’Jagger, scettico.

«Lo scopriremo presto, bombarolo» affermò Shamiram.

«Preferisco artificiere, maestà» ribatté il goblin, il cui tono non aveva la minima traccia di riverenza. «Stiamo solo perdendo tempo: andiamo a prendere quello che ci serve. Abbiamo le mie bombe, la tua magia e l’ammazza-draghi: questi primitivi non possono mica fermarci.»

«Non possiamo andare in giro per il pianeta affrontando chiunque ci si pari davanti» gli fece notare Sigurd. «Noi non dovremmo nemmeno essere qui.»

«Neanche lei dovrebbe essere qui!» imprecò D’Jagger, spaventando Lunaria con il suo scatto di rabbia.

«Smettila di fare i capricci e segui il piano!» lo sgridò la donna, autoritaria. «Salvare la tua amica e recuperare l’arma ammazza-dei è tutta roba secondaria. Noi siamo qui per un solo motivo: evitare che questo fottuto pianeta esploda.»


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Capitolo 42
*** Epilogo ***


Epilogo

Non avrebbe mai pensato che sarebbe potuta finire così. Aveva pianificato tutto, illudendosi che in questo modo avrebbe potuto far fronte a qualsiasi imprevisto, ma si era sbagliato. Nulla di ciò che aveva fatto era servito, e ora doveva osservare il suo stesso funerale da una cella situata chissà dove.

Se non altro era un bel funerale.

Vitaly Glazkov, ormai ex governatore della colonia occidentale, ricordava solo che stava precipitando nella sua armatura, poi il buio totale. Quando si era svegliato, si trovava già in quel carcere totalmente automatizzato.

Un robot aveva elencato i suoi capi d’accusa – una lista lunga e dettagliata – a cui era seguita la condanna: ergastolo.

Il nano si era sentito il mondo crollare addosso. Ergastolo?! Perché i suoi avvocati non l’avevano impedito?! Con gli stipendi che prendevano, avrebbero almeno dovuto far dilungare il processo per qualche mese, qualche anno magari, così da dargli il tempo di escogitare un nuovo piano. L’opinione pubblica era con lui!

Poi aveva capito: non c’era stato nessun processo. Quell’infame di un commissario aveva architettato tutto, e la Orborum Domini le aveva retto il gioco. Tutto questo perché – ne era convinto – non sarebbero mai riusciti ad avere la meglio in un vero processo. Qualsiasi giudice avrebbe riconosciuto che lui era nel giusto, e che tutto ciò che aveva fatto era stato per il bene della comunità. Un funerale tanto sontuoso non era forse una prova della sua innocenza? Della sua grandezza?

Il commissario Mantina poteva anche averlo rinchiuso lì dentro con l’inganno, ma era lui il vero vincitore. Lui sarebbe passato alla Storia! La colonia avrebbe avuto il suo nome!

Eppure – chissà perché – per quanto se lo ripetesse, la sua cella non diventava minimamente più confortevole.

***

Il piccolo dispositivo, nascosto nel vano di carico della navicella insieme alle biomacchine, aveva due funzioni: osservare quello che stava succedendo attraverso una microscopica telecamera, e triangolare la propria posizione per inviarla a un dispositivo gemello. Grazie a questo stratagemma, Priscilla era convinta che sarebbero riusciti a scoprire finalmente il nascondiglio degli Eletti.

«Ci siamo» affermò l’anfibiana.

«Non sarà un altro trasferimento fittizio per far perdere le tracce della spedizione?» brontolò Thiago, che dopo il terzo depistaggio aveva perso interesse a venire aggiornato.

Nella sala comune c’erano anche gli altri membri del Branco. Tutti tranne Warren.

«No, non credo» ribatté la leader del gruppo. «Questa volta stanno scaricando le biomacchine in un grande hangar. Credo le stiano suddividendo per tipologia.» Controllò un altro schermo, dove era rappresentata una piccola porzione dell’universo. «Spazio profondo… un ottimo nascondiglio.»

«Ammettiamo che questo sia il loro vero nascondiglio: come vogliamo procedere?» domando Yalina. «Ci infiltriamo per raccogliere altre informazioni?»

«Un nascondiglio» la corresse Priscilla. «E, no, sarebbe troppo rischioso.  Quando ci muoveremo, dovremo farlo in forze: solo così avremo qualche speranza di uscirne vivi. Continuiamo a studiarli ancora un po’; se non fanno altri spostamenti, avviserò le altre Ombre e ci prepareremo ad attaccare. Avremo una sola occasione per colpire, quindi non possiamo sprecarla. Questo può essere il primo passo per smantellare una volta per tutte l’organizzazione criminale degli Eletti. E per riuscirci ci servirà tutto l’aiuto possibile.»

***

«Sommo Havard!» esclamò l’orco entrando nell’ex tempio al centro del villaggio fortificato. «Sommo Havard!»

All’interno c’erano diverse persone in piedi intorno a un tavolo. Erano per lo più orchi, ma tra loro spiccavano anche un troll e una demone dai capelli fucsia. Stavano discutendo di strategia militare, ma l’intrusione li costrinse a interrompersi.

«Che succede?» chiese uno degli orchi, l’unico dalla carnagione pallida.

«Sono arrivati tre tizi al villaggio. Stranieri. Vogliono parlare con voi. Dicono di poterci aiutare contro il Clero, ma vogliono qualcosa in cambio.»

«Che cosa?» lo interrogò il pallido. Non era particolarmente robusto, anzi, eppure la sua aura riusciva a incutere grande timore.

«Non… Non l’hanno detto.»

Il comandante fece segno ai suoi sottoposti di spostare il tavolo e andò a sedersi sul suo spartano scranno rialzato. «Falli passare.»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati alla fine di questo racconto.

Il governatore ha avuto ciò che meritava (almeno secondo Mantina), abbiamo rivisto Freyja (che se non altro è ancora viva), e anche D’Jagger (per chi se lo stesso chiedendo, il suo pezzo è ripreso dall’epilogo di AoE - 1 - Eresia ;D).

In questo epilogo è tornata Priscilla (il cui piano ha avuto successo), e sono comparsi anche dei nuovi personaggi. Beh, in realtà non sono tutti nuovi: alcuni di voi potrebbero già conoscere la demone dai capelli fucsia XD L’orco pallido invece, che abbiamo già visto in altri racconti, avremo modo di conoscerlo a breve, in AoE - 2 - La progenie infernale :D

Prima di salutarvi, ringrazio tantissimo la mia beta Hesper, che mi ha aiutato anche per questo racconto. E grazie anche a devilboy98 e a tutti quelli che hanno letto questo racconto, spero vi sia piaciuto ^.^

Ma ovviamente Project Crossover non si ferma qui, spero di riuscire a pubblicare il primo capitolo di La progenie infernale già tra due settimane ;)

Grazie ancora a tutti e a presto ^.^

L’Arco dei Paladini continua!


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