Love Generation

di milly92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti ***
Capitolo 2: *** La Guerra Lampo ***
Capitolo 3: *** Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire ***
Capitolo 4: *** La regola Delle Dieci “P” ***
Capitolo 5: *** Mi Nuoce Gravemente Alla Salute ***
Capitolo 6: *** La Chiave Del Mio Cuore ***
Capitolo 7: *** Impossibile ***
Capitolo 8: *** La Notte Degli Imbrogli ***
Capitolo 9: *** Senza Parole ***
Capitolo 10: *** La Mia Vita E’ Un Carnevale ***
Capitolo 11: *** Tutto Iniziò e Finisce Qui ***



Capitolo 1
*** Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti ***


Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti

Love Generation

Prologo

Quando ero più piccola non riuscivo ad addormentarmi se mia madre non mi leggeva una storia, e la cosa divenne una dipendenza quando raggiunsi gli otto anni e, poiché ero stufa di storie infantili che parlavano di principesse, rospi e lupi, lei iniziò a leggermi un’altra storia. La sua. Era divisa in due libri massicci, scritti da lei visto che era una scrittrice, e parlava di tante cose belle: amore, amicizia, e anche qualche momento di caos. E quando terminò di leggerli entrambi-ormai avevo dieci anni- mi venne solo da dire: “Che bello. Vorrei che tutte queste cose capitassero anche a me, un giorno”.

Mamma mi sorrise e mi rimboccò le coperte, accarezzandomi i capelli. “Certo che ti capiteranno, Sabrina. E, credimi, quando ti succederà, nei primi momenti quasi quasi non ne sarai così entusiasta” mi spiegò con dolcezza e nostalgia.

“E perché?”.

“Perché sarai così innamorata, confusa e gioiosa che ti mancherà la tua vita di prima, troppo monotona al confronto senza casini e lotte, pur di ottenere ciò che vuoi. Anzi, chi vuoi” sussurrò.

E aveva maledettamente ragione, mi dissi, circa dieci anni dopo. La mia vita era stata sconvolta da una persona che inizialmente credevo mi fosse indifferente e, mano a mano, iniziai a pensare che scriverci un libro, vista la sua assurdità e totale mancanza di monotonia in certi momenti, sarebbe stata un’ottima idea. Peccato che non fossi nata per fare la scrittrice, bensì il medico. Mi piaceva aiutare e curare la gente in difficoltà…

Peccato che quella malattia di cuore che mi beccai non poteva essere curata senza l’unico rimedio: stare con lui.

 

 

“Quando sono buona sono molto buona,

ma quando sono cattiva sono meglio”

Mae West

Capitolo 1

Ora Capisco Perché Mamma Mi Diceva Di Non Dar Retta Agli Sconosciuti

 

“Sabrina, penso proprio che lo shopping non porti tutti i benefici che mi dici sempre” ridacchiò Titti. “In questo momento niente auto glorificazione, compiacimento e soddisfazione, solo una gran voglia di comprare un’ulteriore valigia… Ma pensandoci bene anche questo implicherebbe ulteriore shopping, no?”.

“Taci, scema. Piantala di blaterare con la tua filosofia spiccia… Anzi, aiutami…” ribattei, porgendole dei jeans e tre camicette colorate. La mia valigia non voleva proprio saperne niente di chiudersi, e mi ricordava lievemente una persona enorme ed obesa che ha mangiato a dismisura e sta per vomitare, visto che alcune maglie erano così inclinate che tendevano a cadere giù.

“E cosa dovrei fare? Un incantesimo di riduzione?” domandò, indicando allusiva verso i vestiti che fuoriuscivano minacciosi, facendo la finta tonta.

“No, mettere questa roba nel tuo secondo trolley visto che è mezzo vuoto” risposi con una semplicità estrema, quasi come se lei fosse tarda e non sapessi che aveva capito perfettamente e che cercava solo di essere sarcastica.

Titti mi guardò, sospirando, e poi ubbidì, rassegnata.

“Grazie, sei la migliore!” esultai, visto che senza quella roba il trolley si chiuse.

“Lo so, approfittatrice”.

Ci guardammo e scoppiammo a ridere.

L’ultimo giorno di vacanza a Riccione era giunto, ed io mi accingevo a preparare le valigie con riluttanza, anche se avevo rimandato per ore ed ore quel compito. Per questo era quasi mezzanotte, la stanza d’hotel che avevamo affittato avvolgeva me e la mia migliore amica Titti per le ultime ore, visto che l’indomani alle dieci e un quarto avremmo dovuto prendere il treno che ci avrebbe ricondotte a Roma.

Erano state tre settimane indimenticabili, perfette per smaltire un po’ dello stress che avevo accumulato quell’anno per gli esami di medicina; avevamo conosciuto tante persone, dormito poco e niente per aspettare l’alba e mangiarci un bel cornetto caldo a quell’ora, eravamo andate a delle terme lì vicino, e ovviamente non erano mancate ore ed ore di sano shopping. Proprio per quest’ultimo motivo, quindi, il secondo dei due trolley era strapieno e non si chiudeva.

Io e Titti ci conoscevamo dalla prima media e da allora eravamo inseparabili: ognuno vedeva nell’altra la sorella che non aveva mai avuto, anzi, con il passare degli anni lei vedeva in me e nella mia famiglia i parenti che non ha mai avuto visto che era rimasta orfana all’età di tre anni.

Sua madre era una donna indocinese, e suo padre un italo africano da quel che sapeva, motivo che spiegava la sua pelle un po’ scura, olivastra, gli occhi con un bellissimo taglio orientale e i capelli corvini. Come si fossero conosciuti per lei era un mistero, ma fatto sta che dopo la loro morte avvenuta in un incidente automobilistico lei era stata adottata prima da una zia, poi era andata in una sorta di casa famiglia visto che ella era emigrata in Francia.

All’anagrafe risultava essere Clementine Hayumi Narducci, ma per me e chi la conosceva era sempre e solo stata Titti, la ragazza dal cuore d’oro che ora lavorava come estetista e parrucchiera per mantenersi e che un domani avrebbe voluto studiare cinese alla facoltà di lingue, dopo aver conservato i soldi necessari.

Quindi, dato che non aveva voluto che le comprassi qualcosa io e si era imposta di spendere pochissimi soldi dei suoi risparmi, aveva comprato giusto due o tre cose e non aveva problemi con la valigia.

 “Ma ci pensi che la nostra prima vacanza insieme si è già conclusa dopo che la agognavamo da quando avevamo sedici anni? Ci sono voluti quattro anni per realizzare questo sogno e già è tutto finito” si lamentò poco dopo, mentre eravamo fuori il terrazzino della stanza, al chiarore della luna.

“Beh, la nostra prima vacanza da sole l’avremmo potuto vivere anche due anni fa, appena maggiorenni, se tu non fossi così cocciuta” le ricordai.

“Sabri, perché non mi capisci?” chiese esasperata, scuotendo il capo. “Lo so che tu non hai problemi economici e che mi avresti potuto aiutare pagandomi il viaggio, ma non mi va, voglio sudarmele le cose, non voglio approfittare della tua generosità”.

Nella nostra amicizia, l’unica pecca era sempre stata la nostra differenza economica: sin da piccola avevo sempre sfoggiato vestiti griffati, intimo incluso, dato che mia madre, Debora Di Bene in Romani, è una famosa scrittrice e mio padre Andrea è un cantante, quindi non avevo mai saputo cosa fossero le difficoltà economiche finchè non avevo conosciuto Titti, che mi aveva aperto gli occhi e mi aveva fatto capire che il mondo non è solo quello che vedevo con i miei occhi di bambina abbastanza viziata e coccolata.

“Approfittare?”. Risi. “Sei pazza? Insomma, sarebbe stato un semplice regalo, non avresti dovuto restituirmi nulla…”.

“Appunto. E poi, guarda il lato positivo, anche se siamo riuscite ad andare in vacanza da sole dopo che ho avuto le ferie alla veneranda età di vent’anni, ci siamo godute il viaggio il doppio visto che l’agognavamo da secoli” rispose, sorridendomi e voltandosi verso di me.

Annuii, dicendomi che con lei discutere non sarebbe servito a nulla. Le sorrisi a mia volta e l’abbracciai.

“Ti voglio bene, sorellina” dissi.

“Te ne voglio anch’io” rispose, e restammo così a guardare le stelle fino alle tre, nella speranza di vederne qualcuna cadente ma senza successo, ora in cui ci addormentammo come se avessimo trascorso una giornata a lavorare i campi, e continuammo il nostro indisturbato sonnellino l’indomani nel treno, ignorando le occhiate spudorate di due ragazzi seduti ai nostri lati.

Li evitammo, finchè non venne il momento di scendere, a pomeriggio inoltrato.

“Permesso, permesso” protestai mentre stavamo scendendo dal treno tra la folla, mentre tenevo Titti per mano per non perderla.

Uno dei due si girò. “Ti faccio passare solo se mi dai il tuo numero, dolcezza” sussurrò, facendo l’occhiolino. Era molto alto e rasato, con vari piercing e gli occhi scurissimi.

“Ma certo” stetti al gioco, sorridendo in stile ochetta, così lui ci fece passare.

“E il numero?” chiese poi, cacciando fuori il telefono mentre la gente lo guardava male visto che gli impediva il passaggio.

“Oh, si, certo! 3…4…9…” iniziai.

Lui iniziò a segnare. “Si, poi?”.

“6…1… Scemo!” risposi trionfante, ridendo come una matta insieme a Titti, schiacciando il cinque e lasciandolo lì inebetito per la figuraccia.

“Sei stata mitica, sister!” si congratulò Titti.

“Hai visto come c’è rimasto?” sghignazzai.

Ci avviammo all’uscita della stazione quando vidi un gruppo di persone che conoscevo fin troppo bene venirci incontro.

“Oh! Zio Max, Bea, Manu, Angelo!” esclamai, lasciando perdere il trolley e correndo ad abbracciarli. Erano dei cari amici di famiglia a cui ero affezionatissima, soprattutto a Manuele, la loro figlia maggiore che aveva otto anni in più a me e a suo padre Massimo. “Che ci fate qui?”.

“Siamo venuti a salutarti, tra un’ora partiamo per cinque giorni per Atene e volevamo salutarti” spiegò Manuela, con i lunghi capelli scuri e un sorriso dipinto in faccia mentre mi riabbracciava.

“Hai fatto la brava?” chiese minaccioso suo fratello Angelo, la piccola peste della famiglia.

“E tu?” chiesi spavalda. “Spii ancora le telefonate di Manu?”.

Lui mi guardò con aria di sfida, facendomi la linguaccia.

“E’ nel suo DNA” sospirò suo padre. “Fatti abbracciare, nipotina” aggiunse. Nonostante avesse circa 59 anni mi sembrava sempre giovane, allegro e solare. Lo adoravo, era il mio zietto preferito.

“Allora, come stai, futura collega?” mi chiese sua moglie Beatrice, che accennava al fatto che andassi a medicina visto che lei era una ginecologa.

“Bene, Riccione è proprio bella e ci siamo divertite un casino!” risposi, entusiasmata al solo ricordo.

Restammo a parlare per un po’ finchè non ci salutammo ed andai a casa di Titti per aiutarla a sistemare i suoi bagagli.

Così quella sera arrivai a casa alle otto e venti, stanca, sudata e affamata. Posai il gigantesco trolley e il borsone che mi ero portata dietro e bussai al cancello della villetta in cui abitavo, ma dalle voci che udivo capii che i miei erano in giardino con i nostri amici di famiglia.

“Chi è?” disse la voce di mio padre.

“I ladri” risposi sarcastica, e lo sentii ridere. “Entra piccola!”.

Piccola, sigh. Per papà sarei sempre rimasta una bambina bisognosa di coccole e affetto, è come se fossi rimasta a dodici anni per lui, ma è inutile dire che è l’unico uomo sulla faccia della terra che non mi abbia mai delusa. Sono sempre stata la sua cocca, e fiera di esserlo.

Varcai la soglia del cancello, e vidi la porta di casa spalancarsi. Mia madre, identica a me con i capelli castani e mossi e gli occhi dello stesso colore pieni di entusiasmo, mi salutò con la mano.

“Finalmente sei tornata!” urlò.

“Che peccato, sarei voluta rimanere lì” finsi, prima di vedere il mio dolce fratellino sedicenne, Gabriele, comparire dietro le sue spalle insieme a papà e sorridermi.

“Ciao!” esclamò, venendomi incontro ed abbracciandomi. Come io sono la copia di mamma esteticamente, lui lo è di papà: capelli lisci castani, occhi castano miele, proprio come me, e alto già un metro e settantotto.

Ricambiai la stretta, poi si offrì di portare su le mie valige e così mi dedicai a salutare i miei vecchi.

“Come sei abbronzata!” disse mamma.

“Vieni in giardino, ci sono zia Eva e zio Giuseppe e Paris e Daniele” dichiarò papà, così li seguii, anche se il primo istinto sarebbe stato quello di andare nella mia camera e farmi una bella doccia e indossare qualcosa di più fresco dei miei jeans. Sorrisi nel vedere il mio scooter già fuori al garage, messo probabilmente come segno di benvenuto poco prima,quando li avevo chiamati per dirgli del mio arrivo, e i miei pensieri già erano rivolti al giorno dopo, su cui ci sarei salita e avrei fatto una bella scorrazzata per Roma.

“Sabri!” urlò mia cugina Vittoria, figlia di zia Eva, la cugina di mamma, e Zio Giuseppe.

“Ciao Vitt, ciao gente” salutai sorridente, salutando tutti.

Presi posto tra Vittoria e Belle, la sedicenne figlia di Paris, la manager di mia madre e del suo migliore amico, e mi versai un bicchiere di limonata  dalla bottiglia che c’era sul tavolino.

“Allora, nomi e cognomi” disse zio Giuseppe, con il suo intramontabile sorriso solare, guardandomi intensamente.

“Cosa?” domandai senza capire, e Roberto, il gemello di Vittoria, ghignò.

“Nomi e cognomi” ripetè lui.

“Ma di chi?”.

“Dei tipi che ti hanno corteggiato in vacanza e che tu, da brava nipote quale sei, hai respinto” spiegò maliziosamente, prima che tutti scoppiassero a ridere.

Solo papà non sembrava divertito più di tanto, e mamma scosse il capo, rassegnata. Evidentemente lui pendeva dalle mie labbra per la risposta.

“Zio, scusami me ne sono così tanti che non li ricordo tutti” ribattei, e papà quasi sbiancò.

“Andrea, ma la smetti? Era una battuta e anche se fosse, ti ricordo che lo scorso 25 marzo tua figlia ha compiuto vent’anni” gli ricordò mamma, ma lui fece finta di nulla.

“Papà, lo sai che il mio fidanzato sarai sempre e solo tu” gli dissi, e lui mi sorrise, sospirando. Nonostante l’età, papà restava sempre un bell’uomo, affascinante e poi, vabbè, famoso, anche se stava per incidere l’ultimo cd con il suo gruppo, i Gold Boyz, di cui anche zio Giuseppe faceva parte. Sin da piccola io e mio fratello abbiamo sempre subito un po’ il fatto di avere dei genitori famosi, il mondo esterno si aspettava chissà che cosa da noi, magari che io seguissi le orme di mia madre o che diventassi una cantante, ma avevo preferito studiare medicina visto che non avevo nessun particolare talento artistico.

“Oddio, e stacchiamolo questo cordone ombelicale/paternale!” esclamò zia Eva, e tutti ridemmo.

Vittoria, che dimostrava molto di più dei suoi sedici anni, mi diede delle gran pacche sulle spalle e mia madre spinse lievemente mio padre che sembrava imbronciato.

“Tesoro, noi andiamo a prenderci un gelato, vuoi venire? Abbiamo qualche novità da dirti” mi domandò mia madre poco dopo, mentre si accingeva a salire sopra per prepararsi.

“No, grazie, sono esausta, mi sa che andrò a farmi una doccia lunga tre ore e poi andrò a dormire” risposi. “Me le direte domani queste novità, ok?”.

“Va bene”.

Così lei e papà salirono, invece Gabriele scese, nel suo migliore look estivo con bermuda bianchi, scarpe da ginnastica e maglia azzurra a mezze maniche. “Belle, puoi venire un secondo? Devo parlarti” domandò, e la ragazza, con il suo solito ondeggiare elegantemente invece di camminare, scuotendo i lunghi capelli biondi, annuì, sorridendo e avvicinandosi. Li vidi parlare, finchè lei non lo guardò scioccata e alterata e… Puff!, lo schiaffeggiò sulla guancia destra, riempiendolo d’insulti.

“Belle!” la chiamò la madre.

“Stronzo spione cafone, non azzardarti mai più, mi hai capito?” urlò lei ancora rivolta a mio fratello, infischiandosene della madre, alzandosi sulle punte per sovrastarlo ma senza successo.

Gabriele la guardava incredulo, con la mano posata sulla guancia schiaffeggiata, e la vide uscire dal giardino come una furia mentre prendeva le chiavi del motorino e dire ai genitori che sarebbe tornata più tardi a casa.

“Cosa le hai detto?” domandò sospettoso suo padre Daniele, avvicinandosi.

“Che ho saputo con chi esce e che non mi piace. E’ un teppista tatuato che spesso spaccia droga a Piazza Di Spagna!” rispose lui, decidendo di fare la spia per vendicarsi, con il volto acceso di nonsochè.

Daniele sbiancò all’istante, ma sua moglie tentò di gestire meglio la situazione, mentre zia Eva e zio Giuseppe guardavano sospettosi i loro gemelli, evidentemente chiedendosi se anche loro avessero a che fare con simili coetanei. Peccato che uno di loro gliene avrebbe date di preoccupazioni, solo qualche settimana più tardi.

Feci da spettatore a vari momenti caos, che raggiunsero il culmine nel momento in cui Daniele decise di scovare sua figlia e portarla a casa, finchè non se ne andarono tutti, lasciandomi finalmente un po’ di meritata privacy, così salii in camera mia, aprii la valigia, presi un telo da bagno bianco, la biancheria pulita e, visto che i miei pigiami erano sporchi, presi una maglia extra large di papà per farla fungere da camicia da notte e mi diressi nel mio piccolo paradiso personale, la dependance della villa.

Quella parte della casa era diventata il mio rifugio da quando andavo all’università, visto che ogni volta che avevo da studiare per un esame me ne stavo lì dentro a studiare e spesso non uscivo per giorni e per giorni, dopo aver riempito il frigo di cibo e portato qualche indumento.

Per cui vi entrai e subito mi fiondai nella doccia per chissà quanto tempo, rilassandomi sotto il getto d’acqua tiepida.

Una volta uscita mi frizionai i capelli bagnati con l’asciugamano, li pettinai e circondai il mio corpo ancora gocciolante con il telone. Poi indossai quella sorta di camicia da notte e accesi il phon per asciugare i capelli, e andai avanti per un po’ prima di ricordarmi di non aver preso la spuma, ingrediente ultra necessario per far venire bene quell’intreccio di capelli mossi e crespi che mi ritrovo, regalo del DNA di mia madre.

“Uffa” brontolai, posai il phon e uscì dal bagno. Il solo pensiero di dover tornare nella villa e prendere la spuma nel trolley mi seccava, anche perché di sicuro il tocco rinfrescante della doccia sarebbe svanito e mi sarei ritrovata di nuovo tutta sudata.

Ero nel piccolo corridoio laterale all’ingresso quando sentii delle chiavi nella toppa della porta. Esitai, dicendomi che probabilmente era Gabriele che voleva isolarsi dopo il pasticcio combinato con Belle, e stavo per entrare nell’ingresso quando, da dietro lo stipite, sentii un “Finalmente!” detto da una voce maschile che non conoscevo.

Mi sentii tremare per la paura. Un ladro! Un secondo… I ladri non hanno le chiavi!

Vidi un uomo di nemmeno trent’ anni entrare, posare delle valige e poi accendere la luce.

Cosa fare? Stavo morendo di paura, chi era quello sconosciuto?

“Mi scusi, ha preso casa mia per un hotel? Chi le ha dato le chiavi?” domandai con molto più coraggio di quanto avessi, uscendo dall’ombra e facendolo sobbalzare.

Lui mi guardò e istintivamente il suo sguardo si posò sulle mie gambe scoperte. Arrossii, ricordando la maglia che fungeva da camicia da notte e in che condizioni fossero i miei capelli e istintivamente mi coprii di nuovo dietro lo stipite della porta.

E l’uomo, sapete cosa fece? Rise.

“Tu devi essere Sabrina Romani” dedusse.

Alzai lo sguardo, stranita, cercando di vedere se lo conoscevo. Era molto alto e magro, con un viso dalla mascella un po’ quadrata, i capelli castano scuro un po’ ribelli e lunghi e gli occhi color miele che mi guardavano curiosi. Ma sembrava fosse appena tornato dal mare visti i bermuda di jeans e la camicia bianca a mezze maniche.

“Come fai a…?” domandai incredula.

Lo sconosciuto rise. “I giornali parlano di te da quando eri una neonata, non puoi pretendere di restare ignota a tutti dopo vent’anni” mi ricordò.

Lo guardai torva, socchiudendo gli occhi. Sapeva pure la mia età, perfetto, e agari sapeva anche quando e quale era stata la mia prima parola – lì ammisi di non saperla nemmeno io- e quando avessi preso all’ultimo esame- 29, quello si che lo ricordavo bene dopo un mese di segregazione in casa. “Ma resta il fatto che per me sei un totale sconosciuto che si è intrufolato nella mia dependance con delle chiavi di sicuro rubate” ribattei furente.

“Sul serio non sai chi sono?” domandò scettico.

“Si, scusa se non ho letto l’ultimo numero di “Cosmopolita”. Perché dovrei spere chi sei? Magari un truffatore? Un ladro?” sbottai, quando in realtà avevo una grossa paura nel trovarmi davanti uno sconosciuto- sebbene carino e affascinante, dovevo ammetterlo- nella dependance di casa mia.

“Sono semplicemente Cristian,  colui che ha affittato questa dependance fino a giugno prossimo e che prende ripetizioni di inglese da tua madre da una settimana” rispose. “Possibile che non ne sai nulla?” chiese ancora.

Per un secondo inveii mentalmente contro mia madre e la sua laura in inglese e spagnolo.

“No, non ne so nulla! Ma non mi fido, sai? Mia madre mi avrebbe avvertito se un estraneo sarebbe piombato a casa nostra alle nove e mezzo di sera…”.

“E’ colpa mia, sarei dovuto venire nel pomeriggio di domani ma ce l’ho fatta a venire prima” spiegò.

E poi capii. Ecco la novità di cui mi parlava mamma!

“Se vuoi ti faccio vedere il contratto d’affitto e ti fidi” aggiunse.

“Si, fammelo vedere” imposi sfacciatamente. Mi guardò sempre più incredulo- o forse era solo per il mio goffo rifugio dietro la porta- prima di frugarsi nella tasche ed estrarre un  foglio.

“Se vieni a prendertelo…” disse, sventolandolo.

“Certo che no, non mi faccio vedere mezza nuda da un estraneo maleducato che non informa della sua venuta” dissi acida.

“Immagino che invece questa regola non valga per i capelli” ribattè, divertito, indicando la paglia scura che ormai mi ritrovavo in testa al posto della chioma, su cui un’aquila avrebbe potuto comodamente farci un bel nido.

Feci un’espressione rabbiosa e lui parve abbassare la cresta, avvicinandosi e porgendomelo. Lo lessi e a malincuore vidi la firma di mio padre.

Sbuffai. “Fidarsi è bene, non fidarsi è dieci volte meglio” ribadii per riprendermi dalla figuraccia.

Lui sorrise sarcastico ed annuì. “Certo, ma questa volta era superfluo”.

“Dipende dai punti di vista. E poi non capisco come i miei ti abbiano potuto affittare la dependance, io ci studio per gli esami, sai?” dissi.

“Ed io ci lavorerò” ribattè.

“Ci mancava solo il coinquilino antipatico qui” sbuffai.

“Grazie per l’accoglienza, vieni quando vuoi a  trovarmi, mi raccomando, ci prendiamo un caffè insieme”.

“Stai sicuro che mi porterò dietro una bella dose di veleno” dissi tra i denti.

“Prego?” chiese con aria innocente.

“Hai capito perfettamente. Ora se vuoi scusarmi me ne vado, ci vediamo a giugno per i saluti” dissi.

Levò un sopracciglio, ma continuava a sembrare divertito. “Ok, ciao”.

“Ti giri?”.

“Come?”.

“Girati! Non voglio che tu mi veda ulteriormente…”.

“Guarda che uscendo la gente ti vedrà dalla strada, preferisci farti vedere da una marea di loro piuttosto che da un solo sconosciuto?”.

“Certo. Ed ora ubbidisci” gli imposi seccata.

“Dimmi quelle due paroline magiche e farò ciò che dici” impose  a sua volta.

“Tu sei pazzo” decretai, guardandolo come se fosse un tipo da manicomio.

“Un pazzo che non si gira se non dici “Per favore”…”.

Stava continuando a blaterare ma lo interruppi, gridando come una forsennata.

“Cosa c’è?” chiese. Indicai alle sue spalle, con un’espressione impaurita.

“Un ragno gigante! Oddio, io ho la fobia dei ragni…” piagnucolai. “Ogni volta che en vedo uno non dormo per una settimana! Aiutami! Scaccialo!” strillai, a tal punto di farlo divenire preoccupato.

Si girò per controllare ed io, con una velocità mai usata prima, me ne sgaiattolai dalla porta. “Te l’ho fatta!” gridai esultante, e quando mi voltai nella notte vidi che mi stava guardando, affacciandosi dalla porta, tra il frustrato e l’ammirato.

Continua....

Un po’ di Anticipazioni…

La guardai incredula e scossi il capo. “No, io non faccio amicizia con i guardoni…” dissi decisa, e a quelle parole mamma mi guardò scossa.

 °*°*°*°*°*°*

“Voleva obbligarti a fare qualcosa?”. Ormai papà pendeva dalle mie labbra  e stringeva la pezza di pelle con cui stava lucidando l’auto.

 °*°*°*°*°*°*

Ci fu un minuto di silenzio, poi Stella parve rianimarsi. “Comunque, ti dispiace se porto l’invito di Ilaria a Cristian?” aggiunse.

 

 Spazio Autrice: 

 
Ciao a tutti!

Beh, chi ha seguito “Confessions of a Teenage Drama Queen” e “Confessions of a Future Bride” ha capito che questa fic è il loro continuo, solo che tratta dei figli dei personaggi di queste due storie. Ma chi non l’ha lette ed è arrivato fin qui, tranquilli, quelle cose poche che ci sono da sapere le indicherò io quando sarà il momento, per ora può essere seguita come una storia senza precedenti, anche perchè narrando Sbrina spiega le cose sapute grazie alle precedenti storie come il mestiere dei genitori ecc…

Ci sono molto affezionata anche a questa storia, e, come si dice, non c’è due senza tre. Poi la pianterò, promesso! xD

Cosa dirvi, se un po’ vi ha incuriositi questo primo capitolo e volete continuare a vedere cosa combineranno Sabrina e gli altri, ora che questo Cristian è piombato in casa loro, non vi resta che farmelo sapere con una piccola recensioncina ina ina ina ^^…

Un bacione,

la vostra milly92.

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Capitolo 2
*** La Guerra Lampo ***


La Guerra Lampo

“Se odi una persona odi qualcosa in lei che è parte di te.

Ciò che non è parte di noi stessi non ci disturba”.

Hermann Hesse

Capitolo 2

La Guerra Lampo

“Sabri, svegliati!”.

Aprii lentamente l’occhio destro e vidi mia madre che mi scrollava pesantemente, con impazienza.

“Mmh”  mugnai in risposta, girandomi sull’altro fianco.

“Sabri, c’è Ilaria giù! Ha portato l’invito per la festa dei suoi 18 anni! Alzati!” mi informò. A stento aprii l’altro occhio e vidi che era molto ma molto seccata, così mi tirai su a sedere.

“Ho detto alzati, non siediti! Sono le undici e mezzo, stai dormendo da più di dodici ore” si spazientì. Mi voltai a guardarla  e scossi il capo. In realtà mi ero addormentata verso l’una, e non sapevo nemmeno il perché. La presenza di quello sconosciuto mi turbava, e non mi ero calmata finchè non erano tornati i miei.

“No, grazie al vostro bel piano di tenermi all’oscuro di tutto quel tipo della dependance mi ha vista mezza nuda e abbiamo avuto anche un bel battibecco. Perché è vera la storia di quello che si è affittata la dependance, vero?” chiesi conferma poi, all’improvviso, e la mia voce da assonnata divenne terrorizzata.

Mamma mi guardò, ora più preoccupata. “L’hai incontrato? Io credevo che fosse venuto mentre dormivi…”si scusò. “Te lo volevo dire ieri ma non sei venuta con noi e andavo di fretta”.

Almeno le sue parole mi confermavano che quel tipo era sul serio ciò che mi aveva detto di essere e non un ladro ben organizzato con buone doti di attore.

“Si mamma, l’ho incontrato! Ero andata nelle dependance per starmene tranquilla, mi sono fatta la doccia, ho lavato i capelli e quando stavo per andare a prendere la spuma mi sono ritrovata questo estraneo che apriva la porta! Stavo morendo di paura” ammisi e lei mi guardò dispiaciuta. Forse per questo non continuò a dirmi di darmi una mossa e sospirò.

“Tesoro, sai che noi non abbiamo bisogno di affittare la dependance, ma questo ragazzo viene a ripetizioni da me ed è così caro e gentile che quando mi ha detto di aver bisogno di un posto in cui stare io e tuo padre subito gli abbiamo proposto di venire da noi e lui ha accettato volentieri, si trova molto bene anche con Gabriele nonostante sia molto più grande di lui, ha 28 anni, e spero valga lo stesso per te” continuò.

La guardai incredula e scossi il capo. “No, io non faccio amicizia con i guardoni…” dissi decisa, e a quelle parole mamma mi guardò scossa.

“Che hai detto?”.

“Insomma, mamma, io ero vestita così” e così dicendo indicai la maglia di papà che portavo ancora addosso, “E lui appena mi ha vista subito si è soffermato a guardarmi le gambe e…”.

Mamma rise divertita. “Piantala, Sabri, sei diventata egocentrica tutto ad un tratto?”  mi rimproverò. “Vedi che ti sei sbagliata, più che altro doveva essere sorpreso di vederti, tutto qui” cercò di difenderlo e la guardai imbronciata.

“Bene, me ne vado via per qualche settimana e subito mi rimpiazzi con il primo sconosciuto” sbottai, alzandomi come una furia dal letto.

“Quello sconosciuto ha un nome, Cristian, e nel caso non lo sapessi è orfano…”.

“Anche la mia migliore amica è orfana eppure non le avete mai proposto di venire a stare nelle dependance!” ribattei, iniziando ad innervosirmi.

Mamma mi guardò offesa e mi si avvicinò. “Lo sai che Titti è orgogliosa e avrebbe rifiutato” mi ricordò.

Sbuffai spazientita e feci un gesto con la mano, come per invitarla ad andare via. “Oggi non è giornata, mamma, vai giù da Ilaria e dille che sto scendendo” dissi rapidamente.

Lei ubbidì senza rispondermi. Il fatto che ci fosse questo Cristian nelle vicinanze, che per di più si era aggraziato i miei genitori, mi dava un po’ ai nervi e nemmeno sapevo il perché. Poi mi dissi che papà non avrebbe mai tradito la sua piccolina per qualcun altro, e ne restai convinta finchè, affacciandomi dal balcone della stanza, non li vidi insieme nell’atto di aggiustare un pezzo del motore dell’auto dello sconosciuto con un’aria molto amichevole.

Sbuffai e scesi giù, dicendomi di dover lavare al più presto i capelli visto che facevano pena anche legati in una coda.

Una volta in soggiorno vidi Eliana, amica storica dei miei insieme a suo marito Niko, con sua figlia minore Ilaria. Ilaria si può dire un po’ la mia “protetta”: a contrario di sua sorella maggiore Stella, è un po’ timida e insicura visto che ha sempre subito il paragone con lei, che secondo tutti, giornali compresi, sia più bella e sveglia.

Invece io credo che Ilaria sia la più bella delle due, con i lisci capelli neri ereditati da suo padre, un viso ovale molto signorile e gli occhi blu con un particolare taglio, un po’ orientale. Per questo la spronavo sempre a credere in se stessa e a non dar peso a ciò che diceva la gente, sua sorella compresa quando litigavano.

“Buongiorno” dissi, sedendomi di fronte la ragazza dopo averla abbracciata.

“Finalmente sei scesa! Anche quando torni dalla vacanze dobbiamo avere un appuntamento per vederti?” disse lei, sorridendomi.

Oui” risposi, fingendo di darmi aria d’importanza e lei rise.

“Comunque questo è l’invito per la mia festa, venerdì prossimo” disse. “E poi Stella mi ha detto, cioè, imposto, di invitare anche il coinquilino della dependance perché secondo lei sembra brutto se lo escludo” .

Non riuscii a non dimostrare un’espressione di disapprovazione quando mamma disse: “In effetti, si, sembra brutto se tutti ce ne andiamo e lo lasciamo solo”.

“Ma non ha niente da fare ‘sto tipo? Un lavoro?” sbottai.

Eliana mi guardò divertita. “Vedo che non lo sopporti” osservò. “Lo sapevo”.

La guardai levando un sopracciglio. “L’hai visto nella sfera di cristallo?” chiesi, sarcastica.

“No, semplicemente perché tu e Stella avete sempre avuto gusti opposti in fatto di ragazzi e lei gli sbava dietro” rispose, con aria di rassegnazione. “Non so più come fare, ha 27 anni e pensa solo a perdere tempo con i ragazzi, io alla sua età…”.

“Eri sposata, lavoravi e avevi una bambina di quattro anni, lo sappiamo” terminò Ilaria per lei, annoiata, mentre sua madre la guardava male. “Solo che dobbiamo scappare, mamma, è quasi mezzogiorno e la boutique chiude”.

“Deve comprare una borsetta abbinata al vestito per la festa” spiegò la donna, ed io e mamma annuimmo, così si congedarono, le salutammo e se ne andarono.

Poco dopo pranzammo, e nel primo pomeriggio, mentre me ne stavo a leggere sulle scale che portavano al secondo piano, mamma mi si avvicinò con l’invito di Ilaria in mano. “Ti andrebbe di portarlo a Cristian?” chiese, esibendolo con finta aria zuccherosa.

Alzai lo sguardo dal libro e la guardai male. “Mi dispiace ma sono una donna di parola e mantengo le mie promesse. Gli ho detto che ci saremmo visti a Giugno per i saluti, quindi trova un altro messaggero”.

“Tu ora ci vai altrimenti…”.

“Altrimenti che fai?”.

“Altrimenti mi rimangio la parola con la signora Marta D’Argenzio e le dirò che Titti non è una brava ragazza per poter lavorare da lei come domestica” disse decisa e parve soddisfatta quando sbarrai gli occhi.

Titti cercava da mesi un secondo lavoro visto che mantenere la casa e vivere era molto difficile con i soldi che guadagnava nel salone di bellezza.

“Sei riuscita a trovarle un lavoro?” chiesi incredula.

“Si, e la pagherà bene, 1500 € se lavora tre giorni a settimana e 1800€ se lavora anche la domenica. Sai che è ricca sfondata” m’informò, e mi guardò vittoriosa. “Allora? Dici che vale la pena portare quest’invito a Cristian?”.

La guardai male e le strappai l’invito di mano. “Lo faccio solo per la mia migliore amica” dichiarai, e mi avviai con passo da funerale misto ad uno di marcia verso la dependance dello sconosciuto-usurpatore.

Bussai alla porta e lui mi aprì poco dopo. Quando mi vide fece un’espressione divertita, con i capelli un po’ scompigliati e con indosso dei bermuda beige e una maglia bianca a mezze maniche. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse alto. “E’ già giugno?”  chiese sarcastico.

“Piantala. Mi ha obbligato mia madre a venire, tutto qui, non montarti la testa” lo ammonii. “Vuole che ti porti questo a nome di Ilaria, figlia di amici di famiglia che ti invita alla sua festa per i 18 anni venerdì prossimo” dissi telegraficamente.

“Grazie, che gentile” disse, prendendo l’invito.

“Bene, ciao” dichiarai sbrigativa.

“Ci vediamo alla festa?” chiese divertito.

Mi voltai e lo guardai scettica. “La sala da ballo sarà grande, farò il possibile per non incrociarti” dichiarai.

“Addirittura? Vedo che mi dai molta importanza…” disse, ma non lo stavo ascoltando. Avevo appena visto che, steso sul cancello di fronte la dependance, c’era uno dei miei teli da bagno, bianco e azzurro con le mie iniziali ai lati.

“Quello è il mio telo” dissi.

“Ah, si, lo so, l’ho trovato in bagno e tuo padre ha detto che potevo usarlo per asciugare per terra visto che devo ancora organizzarmi bene” spiegò come se nulla fosse.

“Mio padre cosa?” domandai adirata.

“Me l’ha permesso lui!”.

Ora la mia pazienza aveva superato il limite. Addirittura permettergli di usare la mia roba per fare le pulizie domestiche? Girai le spalle e andai nel garage, dove papà stava lucidando la sua nuova auto.

“Papà come hai osato? Far usare il mio telo in quel modo a quel… Quel maniaco!”. Ecco, idea: papà era così geloso della sua bambina che non avrebbe mai tollerato il modo in cui Cristian mi aveva guardato la sera prima e mi aveva imposto di dirgli “per favore”.

Al solo udire quella parola si voltò. “Cosa? Come lo hai…?”.

“Si, è un maniaco papà. Se vedessi come mi guardava ieri mentre ero in camicia da notte! Sembrava avesse i raggi X, ti giuro, mi ha messo una soggezione pazzesca e poi mi voleva obbligare…”. Mi sentivo decisa, quando volevo raggiungere uno scopo riuscivo ad incantare papà anche con un minimo sguardo da piccola cuccioletta indifesa e carente d’affetto.

“Voleva obbligarti a fare qualcosa?”. Ormai papà pendeva dalle mie labbra  e stringeva la pezza di pelle con cui stava lucidando l’auto.

“Si, a dirgli “per favore” quando gli ho detto di girarsi visto che mi ero nascosta per non farmi vedere e me ne stavo per andare…” dissi, fingendomi turbata al solo ricordo e tirando su con il naso, proprio per fargli capire che ero così spaventata nel ricordare che stava per scendermi la lacrimuccia.

E sapete quale fu l’effetto? Papà rise. Si, rise, lasciandomi totalmente sconcertata e offesa. Tante energie sprecate per nulla!

 “Sabri, sei una bella ragazza un po’ indisponente quanto ti ci metti, tutto qui, sfido chiunque a non guardare le tue gambe se le hai scoperte” disse con semplicità, e poi, con estrema naturalezza, tornò a occuparsi della sua auto, guardando con decisione una piccola parte di terra insinuatasi su uno dei finestrini, come se la salute estetica della sua auto fosse più importante della sua bambina.

Ok, non ero più una bambina  e non volevo essere trattata come tale, ma a volte ciò aveva i suoi vantaggi.

Aveva, sigh. Che papà avesse deciso di non essere più geloso e protettivo nel momento cruciale dei miei vent’anni? Questa si che era sfiga!

Dire che ero arrabbiata nera era poco. Uscii dal garage e vidi che l’idiota mi guardava soddisfatto- evidentemente aveva sentito tutto- e me ne ritornai in casa, dove con mia somma gioia- si legge il sarcasmo?- ci trovai Stella.

Decisamente alta, con i lunghi capelli biondi piastrati, gli occhi blu come la sorella e un’aria da pantera che ottiene tutto ciò che vuole, se ne stava seduta sullo sgabello della cucina con le gambe accavallate mentre mia madre le serviva il caffè.

“Non la sopporto più, vuole che la smetta di fare provini…” si stava lamentando.

“Sarebbe anche ora, Stella, sai che ti voglio bene ma hai 27 anni ormai, e scelgono solo le ragazzine nei corpi di ballo” le disse mamma.

Stella la guardò come se fosse pazza. “Zia, guardami! Sono bella, ho il fisico, e poi sono figlia di due cantanti famosi…”.

“Ma dimentichi la cosa più importante” le ricordò mamma.

“E sarebbe?”.

“La bravura”.

Sbuffò e si voltò verso di me. “Ciao” disse.

“Ciao” le risposi.

Ci fu un minuto di silenzio, poi Stella parve rianimarsi. “Comunque, ti dispiace se porto l’invito di Ilaria a Cristian?” aggiunse.

“In realtà ce l’ho appena portato io” ammisi. “Vedi mamma? Mi avresti risparmiato un’incazzatura esagerata” sbottai.

“Che è successo?” chiese mamma.

“Lascia perdere” sbottai.

Stella parve soddisfatta. “Allora fingo di non sapere nulla e glielo porto anche io” annunciò, e la vedemmo volatilizzarsi.

Salii in camera e vidi che Gabriele se ne stava sdraiato sul mio letto a guardare il soffitto con aria malinconica.

“Ehi, Gab” gli dissi. Lui alzò lo sguardo e mi fece un cenno.

“Scusa ma nella mia camera ci sono troppe cose che mi ricodano… Belle” disse con un soffio, e si girò dall’altra parte con il capo tra le mani.

“Gab, puoi dirmi che ti succede? Ho capito che ti dispiace averci litigato ma…”.

“Mi succede che sono pazzo di lei da sei mesi e non ce la faccio più a tenermelo dentro!” sussurrò, ma in un modo tale che per me sembrava avesse urlato, tanta era la concisione e l’esasperazione. “E lei fa finta di non capire e ogni settimana la vedo che si sbaciucchia con un teppista diverso! Cos’ho che non va?”.

Sentirlo così abbattuto mi fece male al cuore. Lo osservai e mi dissi che stava diventando proprio un bell’ometto. I tratti signorili, gli stessi di mio padre, gli occhi color miele e i capelli che gli ricadevano un po’ sulla fronte lo rendevano davvero il principe azzurro che ogni sedicenne aspetta, a mio giudizio.

Mi avvicinai e lo abbracciai, ancora un po’ scossa dalla notizia.

“Gab, forse lei ha capito ma non vuole esporsi perché è come se tu fossi una sorta di fratello o cugino” provai.

“Lo penso anch’io ma non me ne frega, la amo troppo, quando la vedo mi si attorciglia lo stomaco e ho una voglia matta di picchiare quelli con cui esce… L’ho sempre trattata bene, con dolcezza e affetto…” rivelò, stringendomi a sé.

In quel momento dimostrava molto più dei suoi sedici anni, anche perché era otto centimetri più alto di me e il suo sguardo traspirava una passione adulta.

“Fratellino, calma, tu prova ad essere chiaro con lei. Sii diretto, e, perché no, prova anche  a baciarla, vedi che se è attratta non resisterà” lo consigliai.

“Dici che funzionerà?”.

“Si, quando noi ragazze siamo prese in momenti simili il cervello se ne va al diavolo” gli spiegai, facendo l’occhiolino.

Sembrava sollevato ed annuì. “Ci proverò alla festa di Ila visto che ora mi evita come la peste”.

“Bravo!”.

Mi abbracciò di nuovo, poi tornò nella sua stanza così ne approfittai per vestirmi e andare a trovare Titti per darle la bella notizia circa il suo nuovo lavoro.

“Oddio, grazie! Ringrazia tua madre, è un angelo! Cioè, è un miracolo!” esclamò quando le diedi la buona notizia.

Sorrisi al suo entusiasmo. “Quanto vorrei essere entusiasta come te” dissi, e le spiegai dell’usurpatore quando mi guardò senza capire.

“Mi sento a disagio, cioè, riflettendoci ho fatto un po’ la cretina e quando mi vede mi prende in giro, si è creato questo rapporto poco serio che mi dà ai nervi. Voglio solo non averci nulla a che fare, non mi sembra di chiedere troppo” ammisi.

Titti mi sorrise e scosse il capo. “Sei sempre la stessa. Beh, perché non ne approfitti e vi chiarite, decidendo di salutarvi solo  se non vi andate così a genio?” propose.

“Non so, insomma, di certo non sarò io a cercarlo…”.

“No, no! Se vi incrociate per sbaglio…”.

Detto fatto, la mia sfiga ormai mi perseguitava. Quella sera, mamma ebbe la brillante idea di invitarlo a cena.

Prese posto di fronte a me, che me ne stavo zitta e muta. Era come se mi sentissi in imbarazzo in sua presenza, e mi dicevo che fosse per il fatto che era come se mi sentissi un po’ inferiore ora che i miei avevano occhi solo per lui.

“Perché non andate un po’ a guardare la tv mentre faccio la cucina?” propose mamma.

“Si, vai con lui, Gab, io aiuto mamma” me la svignai.

“No, oggi è il turno di Gabriele aiutarmi” disse innocentemente mamma.

Capita l’antifona, sbuffai e feci segno a Cristian di seguirmi in soggiorno. Accesi la tv e mi finsi interessata finchè non fu lui a parlare.

“Senti, so che non mi sopporti o qualcosa di simile, ma volevo solo dirti di dire a Stella, nel caso si trovi a parlare con te, che non sono interessato. Oggi è venuta anche lei a portarmi l’invito, si è presa il mio numero e mi riempie di sms” spiegò cautamente, voltandosi verso di me.

“Perché non glielo dici tu?” proposi, cercando di essere educata. “E poi non è che non ti sopporto, è solo che odio iniziare con il piede sbagliato con le persone”.

Cristian fece un piccolo sorriso. “Allora che ne dici di iniziare da capo e fingere che ci siamo conosciuti ora? Prometto che non ti prenderò in giro e che sarò civile, anche se ammetto che hai delle belle gambe” aggiunse.

Lo guardai male e lui si parò una mano davanti. “Scherzo, scherzo. Era per alleviare la tensione…”.

“Ok, ma non tollererò più queste cose”.

Ci guardammo e alla fine lui mi porse la mano in segno di pace e resa e la strinsi.

“Quindi ora parlerai con Stella?” domandò.

“Hai voluto far pace solo per questo scopo?”.

“No, no. Ok, ci parlerò io” stabilì alla fine.

“Bene” approvai, e a malincuore gli sorrisi.

“Mamma, io esco” disse poco dopo Gabriele, quando terminò di aiutare mamma.

“Dove vai? Sono quasi le dieci” gli ricordò lei.

“Ho un appuntamento con un amico” rispose spiccio lui, ma il modo in cui lo vidi uscire, pensieroso, non mi convinse.

“Mamma, vedo dove va, torno subito” le dissi a mia volta, chiedendomi se la sua uscita c’entrasse con Belle.

Mamma non ribattè, rassegnata, e alla fine, dopo aver pedinato mio fratello, e averlo perso di vista, tentai a Piazza di Spagna visto che aveva detto che il ragazzo con cui usciva Belle gironzolava per di lì.

Stranamente c’era poca gente, posai il mio scooter e iniziai a guardarmi intorno senza successo, finchè non vidi un gruppo di ragazzi avvicinarsi.

“Ehi, bellezza, ti va un tiro?” mi domandò uno di loro, indicandomi una sorta di sigaretta che sapevo che fosse tutto tranne sigaretta.

“No, grazie” risposi, cercando di fingermi indifferente, e vedendo che Gabriele non c’era mi affrettai a riavvicinarmi al mio motorino.

“Dove vai? Vieni qui, divertiti con noi…” continuò lui, prendendomi per un braccio. Subito mi si avvicinarono altri tre tipi.

“Mollami” gli intimai, cercando di restare calma quando mi sentivo nel pallone.

“E altrimenti che fai?” mi provocò lui, avvicinandosi sempre di più e prendendomi per la vita.

“Io…” bofonchiai, continuando a strattonarmi ma cadendo nel panico più totale. “Aiut…!”.

“Stai zitta, ricciolina, e andrà tutto bene” continuò un altro, passandomi una mano tra i capelli, di cui potevo sentire la voce alle mie spalle.

“No, ti ho detto di lasciarmi!” urlai, continuando ad agitarmi, sentendomi sempre più oppressa dai tocchi di quegli sconosciuti.

“Tu ora fai quello che ti dico…” ribattè un terzo, e sentii la sua mano toccare il mio seno da dietro.

“No, no!”. Ormai piangevo per la paura, ogni mia minima mossa sembrava inutile e sembrava solo sfiorarli. Chi me l’aveva fatto fare di andare lì a quell’ora da sola?

Altre mani scesero lungo i miei fianchi, e stavo per muovere i piedi per assestare un calcio a chiunque dei tipi quando sentii un deciso: “Lasciatela o chiamo la polizia!”.

Non ero mai stata più felice di sentire quella voce, la sua voce, e improvvisamente mi sentii libera da mani e puzza di fumo e alcool, cadendo per terra.

Spalancai gli occhi davanti la visione che avevo davanti: Cristian, spuntato da chissà dove, stava picchiando i tre tipi, con una certa agilità, come se lo facesse un giorno si e uno no, finchè non intervennero degli altri tipi a separarli e quei maniaci se ne fuggirono.

“Stai bene?” mi domandò quando si furono allontanati, sedendosi accanto a me.

“Non lo so” risposi, continuando a piangere silenziosamente. “Ho avuto paura…”.

“E’ normale. Su, alzati” disse, e porgendomi la mano mi aiutò ad alzarmi. Stavo per barcollare, spaventata ancora dalla sensazione di essere toccata da uno di quei tipi, e lui mi sorresse, prima di abbracciarmi. Le sue braccia erano calde e stare così mi faceva sentire protetta.

“Stai tranquilla, Sabrina, è tutto ok. Appena ho visto che non tornavi sono venuto a cercarti, e questo è il primo posto che mi è venuto in mente…” sussurrò, accarezzandomi i capelli.

“Grazie” bofonchiai, alzando lo sguardo.

“E di che, anzi, ammetto di essermi spaventato anch’io” rispose, cercando di ironizzare la cosa.

“Ora so chi sono i veri maniaci, giuro che non ti chiamerò più così” sussurrai, guardandolo in un modo che voleva essere sincero e pieno di scuse. “Scusami per ieri, non volevo essere così…”.

“Permalosa?” suggerì. “Perdonata, tranquilla”.

Ci sorridemmo, e mai come in quel momento capii che gli dovevo molto e che la guerra era ufficialmente finita.

Continua…

Qualche Anticipazione:

“Titti, è un complotto! Mamma vuole assolutamente farmi passare le giornate con quel Cristian! E oggi devo andare a fare shopping con lui” mi lamentai subito, senza nemmeno salutarla.

°*°*°*°*°*

 “Anche la modella ha fatto la sua parte, però” protestai, sebbene ironica, per questo mi stupii quando disse: “Non ho mai detto il contrario”.

°*°*°*°*°*

“Metto il prossimo gettone. Mi sa che solo così riuscirò ad avere un minimo resoconto degli accaduti, visto che vai a scatti” spiegò sarcastica.

 

Milly’s Space:

Hola!

Eccovi il secondo chappy… Sabri prima fa tutta la dispettosa con Cristian, poi scopre che in realtà deve smetterla di trattarlo così e alla fine ha la dimostrazione che lui non è il maniaco che ha lasciato intendere! xD

Comunque, grazie mille a coloro che hanno messo la fic tra i preferiti:

alina 95
angeleyes
cupidina 4ever
lillay
Mary_loveloveManga
pirilla88
vero15star

 

e CriCri88 per averla messa tra le storie seguite.

 

E, ovviamente, grazie mille a coloro che hanno recensito lo scorso cap:

 

CriCri88: Ecco qui il seguito, spero ti piaccia anche questo cap! Grazie mille, mi fa piacere sapere che secondo te non sto cadendo nella banalità, ma credo proprio che staccare la spina per un po’ mi farà bene! Che te en sembra di Deb e Andrea versione genitori? Un bacione e ancora grazie per seguirmi anche qui! ^^

 
alina 95: Grazie carissima! Spero che anche questo cap ti piacerà! Ho aggiornato il più presto possibile ^^ Un bacio!

 
vero15star: Tesoro! Marcolino è tuo, si si, anche perché per ora solo io e te sappiamo della sua esistenza e sai che lo lascio tutto a te! Hai visto, ho modificato qualcosa e aggiunto qualche scena… Grazie mille per aver letto questi cap in anticipo e avermi consigliato! <3 Je t’adore, cherie!

 
lillay: Ma grazie, sei troppo gentile, è bellissimo sapere che ci sono altre persone che hanno seguito le storie precedenti a questa! Spero comunque che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Un bacio!

 
angeleyes: Meno male, ti è piaciuto il primo cap! ^^ Riguardo le scene ironiche, beh, ce ne saranno altre (anche in questo cap la scena di Sabri che cerca di convincere Andrea che Cristian è un maniaco può essere giudicata un pò tale, non credi? xD), promesso, anche perché Sabri se ci si mette è peggio di sua madre, solo che a volte è un pochino pochino più rompiscatole, eheh! Un bacione!

 
Non so quando aggiornerò, anche perché il 9 inizio già la scuola (quando poi la mia regione apre le scuole il 14… Non iscrivetevi mai in un Convitto, ve lo sconsiglio per tutte queste cretinate in anticipo!).

 

A presto,

milly92.

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Capitolo 3
*** Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire ***


Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire

“Ad ogni sorpresa siamo preparati.

 Solo le cose quotidiane ci cascano addosso come calamità naturali”

Stanislaw Jerzy Lec

 

Capitolo 3

Non C’è peggior Sordo Di Chi Non Vuol Sentire

Il fatto che ormai Cristian fosse “uno di famiglia”, per dirlo con le parole dei miei genitori, portò abbastanza cambiamenti nella mia vita: me lo ritrovavo di fronte a colazione, pranzo e cena, spesso si offriva di aiutarmi a lavare i piatti, e me lo ritrovavo sempre tra i piedi; ormai stava poco e niente nella dependance, giusto per dormire e lavorare (avevo scoperto che era un grafico pubblicitario) ma almeno si faceva perdonare con i cornetti caldi a prima mattina o nolleggiando un dvd che mi piaceva particolarmente.

La cosa che non sopportavo era l’atteggiamento di mamma: cercava di coinvolgermi in ogni modo per legare maggiormente con lui, anche se vedeva che non battibeccavamo più. Parlavamo come due persone civili e basta, cosa pretendeva ancora?

“Debora, oggi credo che andrò in giro per negozi, devo comprare qualcosa di adatto per la festa di Ilaria” annunciò Cristian il mercoledì dopo pranzo, mentre io e lui lavavamo i piatti e mamma sistemava la tavola.

Mamma lo guardò, annuendo, poi subito disse: “Sabri, se non sbaglio anche tu devi comprare qualcosa da metterti addosso”.

La guardai male, prima di decidermi di essere più garbata. “Mamma, ti ho detto una settimana fa che indosserò l’abito color lavanda che ho comprato a Riccione” dissi cautamente. Di certo non se l’era dimenticato, aveva solo 46 anni, diamine, era troppo presto anche solo per fingere di essersi dimenticata una discussione così recente. Ma a quanto pareva niente era troppo esagerato quando si parlava di farmi stare in compagnia di Cristian!

“Tesoro, è troppo sportivo, lo sai che Ilaria fa la festa al “Piccolo Regno”, il locale dove hai festeggiato tu i tuoi diciotto anni e che bisogna essere eleganti” mi ricordò pazientemente. Oh, ecco. Non se l’era dimenticato, aveva solo deciso per me che non era adatto. Da quand’è che era diventata così rigida circa queste formalità? Da quando quel grafico pubblicitario che fungeva da superman e gentleman che era in circolazione quando ne avevi bisogno!

“Allora vuol dire che metterò quello nero che comprai due mesi fa…” riprovai, sicura che questa volta non avrebbe trovato obiezioni. Il nero è il colore elegante per eccellenza, ah! Colpita e affondata, mammina!

“Nero? Ancora ti è morto nessuno per fortuna!”. Ecco, ti pareva. E meno male che lei ha mezzo armadio nero perché dice che l’affina. Stava diventando peggio di me nell’inventare scuse… E quasi quasi sembravo io la madre e lei la figlia per i suoi capricci!  “Dai, vai con Cristian e fate shopping insieme, così vi consigliate l’un l’altro. Non ti sembra una bella idea, Cristian?” gli domandò allegra e lui sorrise, voltandosi verso di me.

“Certo. Se ti fidi del mio giudizio… C’è un negozio di alta moda che ha aperto sull’Appia Antica, l’ha pubblicizzato la mia ditta, e ha davvero bella roba. Se ti va andiamo lì,  è sia per uomini che per donne” propose, in un modo che, devo ammetterlo, era davvero gentile, garbato e  soprattutto persuasivo.

Guardai mamma, che mi sorrideva speranzosa. Ormai avevo scelta? Se avessi rifiutato era sicuro che mi ci avrebbero trascinato come un animale dello zoo cresciuto in cattività che viene trasferito da un posto all’altro, ma almeno gli animali avevano la fortuna di avere diritto all’anonimato, invece se fosse successo a me mi sarei messa ad urlare come urlerebbe Stella se le tagliassero i capelli o si ritroverebbe un minuscolo brufolo in faccia e avrei dato l’opportunità a molti paparazzi di farsi molti soldi sulle mie disgrazie. Sbuffai, cercando di scacciare quelle idee dalla mia testolina. “E va bene” acconsentii, spazientita.

“Allora ci vediamo verso le quattro, ok?” propose subito lui, ed io annuii, rassegnata.

Una volta finito di lavare i piatti così, dopo essermi accertata che Cristian fosse tornato nella dependance, chiamai Titti.

“Pronto?”.

“Titti, è un complotto! Mamma vuole assolutamente farmi passare le giornate con quel Cristian! E oggi devo andare a fare shopping con lui” mi lamentai subito, senza nemmeno salutarla. Lei rise.

“Ciao, eh”.

“Oh, scusa, ciao” mi affrettai a dire, buttandomi sul letto e  fissando il soffitto. “E’ che farci pure shopping insieme mi sembra esagerato, già non ho tollerato quando l’altro ieri mamma gli ha permesso di portarmi la colazione a letto mentre dormivo, figurati dover provare dei vestiti davanti a lui e sentirmi esaminata come se mi stesse facendo una TAC!” spiegai, sconsolata.

“Ma non è che tua mamma vorrebbe che succedesse qualcosa tra voi?” chiese subito lei, facendo due più due.

“Eh?”. Arrossii di botto e ringraziai il cielo che non fosse una videochiamata. “Ma che, e poi lui è grande, ha otto anni in più a me…”.

“E che c’entra, lei e tuo padre ne hanno sei!” ragionò. “Si vede che vorrebbe che tu stessi con un uomo maturo, visto che lei ci si è trovata benissimo. Ricordi tutte le scenate che faceva quando stavi con Brando?”.

Sussultai al solo pensiero. Brando era un mio compagno di liceo, era del mio anno ed era tre mesi più piccolo di me. Il suo nome diceva già tutto: i suoi genitori erano dei megalomani che avevano deciso di affibbiargli lo stesso nome del famoso Marlon, rendendolo ancora più idiota. Aveva sempre avuto una sorta di fissa per me sin dal primo anno, e al quarto riuscì a conquistarmi, anche se ammetto che era davvero strano, con la sua fissa smoderata per i quadri in cui non ci si capiva niente. Quando mamma aveva saputo che stavo con lui aveva fatto una faccia storta, e solo dopo che lo mollai, quattro mesi dopo, tornò a pensare che avessi un cervello funzionante.

“Vabbè, ma le faceva perché… Perché era mezzo pazzo, e lo sai” buttai lì.

“Bah, resta il fatto che secondo me se tu ti innamorassi di lui non direbbe niente, anzi, ne sarebbe felice” terminò.

“Tu sei pazza, conosci i miei gusti…”.

“Appunto, anche a te piacciono quelli un po’ più grandi col sorrisino svenevole e i capelli un po’ lunghi, e anche un po’ eroi, e dopo che ti ha salvato da quei maniaci ha tutti gli ingredienti necessari” decretò, con un tono tale che mi faceva venire la rabbia.

“Titti, ora basta, sul serio, non m’interessa…” dissi, decisa. Quell’idea era assolutamente idiota e pazza, ad essere onesti.

“Va bene, come vuoi. Ma sappi che, come si dice… “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!”, lo sai, no?”.

Guardai verso l’alto con aria rassegnata. Titti era proprio partita per un altro pianeta, quello in cui io facevo la velina con Stella, odiavo la matematica e in cui gli asini volavano in cielo insieme a cavalli, mucche e pecore. “Lo so e non c’è problema visto che non è il mio caso” ribattei, sempre più acida.

“Contenta tu! Solo che ora devo scappare, oggi inizio a lavorare dalla signora D’Argenzio e voglio essere puntualissima” mi informò.

“Ah, allora in bocca al lupo, anche se con quelli che mi hai detto non te lo meriti…!”.

“Ah ah. Crepi comunque! Ciao”.

“Ciao”.

Staccai e ripensai alle parole assurde di Titti. Mamma non era il tipo da fare queste cose, aveva sempre detto che lei non avrebbe mai influito su di me nel caso mi piacesse qualcuno, ed io mi fidavo di lei. Anche lei da giovane si era messa in gioco e ne aveva passate di cotte e di crude con papà prima di sposarsi, come il fatto che papà andò in coma durante un reality show a causa di due diaboliche persone che volevano dividerli.

Ero ancora assorta in questi pensieri quando vidi che erano le tre passate, così mi feci una rapida doccia, aggiustai i capelli, mi truccai leggermente ed indossai una canotta rossa con dei jeans.

Visto che mancavano ancora dieci minuti alle quattro, ne approfittai e scesi giù, nel soggiorno, dove mamma e papà se ne stavano abbracciati come due adolescenti a guardare un telefilm.

“Mammina mia adorata, dobbiamo fare due chiacchiere” annunciai, con le parole di Titti che mi rimbombavano ancora nelle orecchie.

Papà scattò su, quasi come se avessi chiamato in causa lui. “Ho detto mamma, non papà” gli ricordai.

“Capito, capito” sbuffò lui. “Credo che me ne andrò a riposare” aggiunse, alzandosi con pigrizia e avviandosi verso il secondi piano.

Mamma, dal canto suo, si voltò verso di me. “Che c’è?” domandò.

Le feci segno di aspettare un secondo, alzai gli occhi verso l’alto e dissi: “Papà, piantala di origliare!”.

Lo sentii sbuffare e sentii il rumore dei suoi passi, conosocendolo non avrebbe mai ammesso di star origliando. “Comunque” ripresi, “Voglio che tu la smetta, mamma. Già sono passata dall’intolleranza all’accettazione nei confronti di Cristian, quindi voglio che tu finisca di farmelo ritrovare tra i piedi ogni tre secondi”.

“Oh”. Lei mi guardò e sorrise. “Ma non lo faccio apposta, Sabri! E’ solo che Titti lavora e tu stai sola, non hai amicizie maschili, stai sempre per i fatti tuoi in sua assenza… Cristian sarebbe un ottimo amico per te, credimi, i ragazzi sono molto più divertenti delle ragazze, e spesso molto più sinceri! Pensa a me e Daniele, o a me e zio Giuseppe… Non devi eliminare Titti, ma avere altre conoscenze non è mica sbagliato!”.

“E meno male che non lo facevi apposta” decretai stizzita, incrociando le braccia.

Continuò a sorridere, prima di ridacchiare. “Non infierirò più, promesso”.

“Ecco quel che volevo sentirmi dire!” esclamai.

Un minuto dopo Cristian suonò il clacson della sua auto per farmi capire che mi stava aspettando, così presi il cellulare, il portafogli e le chiavi di casa, salutai mamma e lo raggiunsi.

Mi stava aspettando davanti alla macchina, con i capelli castani più ordinati del solito, dei jeans e una camicia azzurra e gli occhiali da sole. Quando mi avvicinai mi aprii lo sportello dell’auto, sorridendo, e quando entrai lo chiuse.

“Sai, ieri ho parlato con Stella” disse per rompere il ghiaccio dopo qualche minuto di silenzio.

Il sentire quel nome mi infastidì un poco. Possibile che fosse il nostro unico argomento di conversazione? Comunque, mascherai il mio fastidio dissi solo un debole:“Si?”.

“Si, e mi ha mandato al diavolo e ha detto che sono un maleducato perché l’ho illusa” spiegò, scuotendo il capo.

“E cosa hai fatto per illuderla?” domandai curiosa. Conoscendo Stella poteva anche essere un microscopico sorriso. La tipa tendeva ad alzare a diecimila la sua autostima quando vedeva che qualcuno, anche un cane, la guardava per il semplice fatto di non portare i paraocchi e averla incrociata per strada…

“Niente! Non ho risposto ai suoi sms… Ho solo risposto ad una chiamata per educazione” disse incredulo.

“Ecco spiegato. Si illude facilmente, purtroppo, anche perché è molto sicura di sè e crede di poter conquistare chiunque, pensa che una volta mi disse che era certa che una ragazza fosse pazza di lei” lo informai, non riuscendo a trattenere una risatina e una vena di sarcasmo.

“Allora non mi ero sbagliato” decretò. “Mica è colpa mia se non mi piacciono le bionde perfette con la sicurezza che sprizza da tutti i pori”.

“Si, vale lo stesso per me. Per i biondi, intendo” mi corressi, e lui annuì, ridacchiando visto che ero arrossita un po’.

“Non ti piacciono i biondi?”.

“Direi di no, cioè, non si può mai sapere ma preferisco i mori e i bruni” dichiarai.

“Idem” disse, voltandosi un secondo verso di me, e mi parve di vedere che stesse osservando la mia chioma bruna, ma mi dissi di essermi sbagliata.

Una volta arrivati nel negozio, subito mi trascinò nel reparto maschile. “Ci metterò pochissimo, giuro” si difese.

“Cosa intendi per pochissimo?” chiesi scettica.

“Una mezz’oretta, e poi il negozio chiude alle nove  e mezzo” disse. “Dai, aiutami”.

Sospirando, annuii. “Cosa vorresti vedere?”.

“Io direi dei jeans neri con una camicia e una giacca”.

“Niente cravatta?”.

Mi guardò come se fossi pazza. “Era una battuta? Nemmeno a lavoro la indosso” disse, quasi schifato.

“Oh, ok, mi scusi messere” sbottai, iniziando a guardare uno stand di camicie. “Cosa ne dici di questa?” sghignazzai divertita, mostrandogli una camicia a righe nere e bianche tutta plissettata.

“A me sta bene di tutto, certo, ma non vorrei esagerare” disse, e mi spinse lievemente quando lo guardai scettica.

“Io direi questa, invece” soggiunse, sempre con l’aria divertita e mostrandomi una camicia fuxia.

“Dai, sbrighiamoci che devo perderci almeno due ore nel reparto donna” dissi.

Così alla fine, dopo ben quaranta minuti, scelse dei jeans neri, una camicia blu e una giacca nera con un particolare taglio.

“Perfetto, ora tocca a me!” esclamai trionfante, e lo trascinai dall’altra parte del gigantesco negozio, dove c’erano abiti per signora.

“Cosa ne dici di questo?” domandai, mostrandogli un abito blu notte corto davanti e lungo dietro.

“No, ti invecchia”.

“E questo?” riproposi, esibendone uno bianco e argento.

“Non devi mica sposarti!”.

Lo guardai imbronciata.

“Serve una mano?” chiese gentilmente una commessa sulla trentina, con corti capelli neri e un rossetto rosso esagerato. Poi mi guardò meglio e allargò gli occhi. “Oh, ma tu sei Sabrina Romani! La figlia di Debora e Andrea…” disse, incredula.

“Si, sono io” risposi, un po’ seccata. Ci mancava solo l’interrogatorio, ora.

“Ho visto la tua intervista  su “Donna Glamour” qualche mese fa! Era stupendo quel vestito che indossavi nelle foto… Un Valentino, vero?” chiese a bruciapelo.

“Si”. Ricordare quell’intervista fu spiacevole: quel giornale aveva deciso di fare un servizio sulle figlie degli artisti più famosi degli ultimi dieci anni,  e per una settimana ero stata in giro tra boutique, parrucchieri e compagnia bella per realizzare quel servizio ed esporre molti fatti privati su me e la mia famiglia.

“Ma è vero che reciterai in un film sulla principessa Sissi? Vedendoti dal vivo le potresti assomigliare” continuò.

La guardai stralunata. “No, non sono un’attrice, non lo sarò mai e sono impegnata all’Università per diventare medico” dissi, sempre più seccata.

La donna parve delusa.

“Comunque per ora non credo mi serva una mano, grazie, ho portato apposta il mio consulente di moda” dissi gentilmente, indicando Cristian che finse di esserlo dopo un po’ di shock.

La commessa annuì e si allontanò, continuando a voltarsi ogni tanto.

“Consulente di moda, eh? Ora ti faccio vedere, ti sorprenderò” disse risoluto quando la donna fu abbastanza lontana da non poterci udire.

“Vediamo” dissi divertita, incrociando le braccia, cercando di dimenticare il fastidio procuratomi da quella donna, e lo vidi aggirarsi tra i vari stand con aria pensierosa e meditativa. Alla fine fece un’espressione esultante, ci ragionò tre secondi e prese un vestito, avvicinandosi e mostrandomelo.

“Ecco, che te ne sembra?” disse sicuro di sé, e mio malgrado mi ritrovai a guardare l’abito stupita.

Era azzurro, con un taglio a cinesina nei pressi del collo e con una scollatura a forma di goccia che andava dal collo fino all’inizio del seno. Non era molto lungo, e sembrava scendesse a tubino, con qualche ricamo fatto di perle verso l’estremità.

“Di la verità” disse ammiccante, notando la mia espressione. Lo guardai, tra il divertito e lo sconfitto, e lo presi senza dire nulla, correndo nel camerino. “Prego, eh!” aggiunse sarcastico, godendosela un mondo.

Lo provai e ne restai estasiata: lo scollo a goccia non era volgare, e l’abito scendeva fino a un po’ prima del ginocchio. Inoltre anche sulla schiena presentava un piccolo scollo della stessa forma. Uscii dal camerino e lui sgranò un po’ gli occhi prima di ricomporsi.

“Ecco, che avevo detto?” disse retorico, ma avvicinandomi e prendendo la mia mano tra le sue, in modo da farmi fare un giro su me stessa e poter vedere da tutte le angolature. “E’ bellissimo e adatto”.

“Anche la modella ha fatto la sua parte, però” protestai, sebbene ironica, per questo mi stupii quando disse: “Non ho mai detto il contrario”.

Mi girai per non far vedere che le mie guance si erano colorate un po’ e finsi di scrutarmi meglio nello specchio. “Va bene, consulente, lo prendo” dichiarai.

“Farai un figurone, credimi” disse sincero, ed annuii, ritornando nel camerino e rivestendomi.

“Solo che ora devo trovare borsa e scarpe abbinate!” urlai dal camerino, e mi immaginai la sua faccia terrorizzata, sghignazzando.

 

Tornammo a casa alle otto passate, giusto in tempo per la cena. Fui sorpresa di trovare Vittoria, e scoprii che era venuta nel pomeriggio per parlarmi e che mi aveva aspettato fino al ritorno.

“E’ che volevo un consiglio da parte tua, in realtà” spiegò, una volta che fummo in terrazza, lontano da orecchi indiscreti visto che erano tutti in giardino. Era il 30 agosto e si moriva per il caldo, ancora il doppio rispetto a luglio.

“Dimmi” la incitai.

“Mi sono innamorata di uno più grande” ammise, cercando di celare l’imbarazzo. “E tu eri l’unica con cui potessi parlarne liberamente, Belle ultimamente è indisponente, Ilaria pensa alla festa, e poi tu sei più grande…”.

“Non è che abbia tutta questa esperienza, in realtà, nonostante abbia vent’anni, ma se mi dici come stanno le cose posso provare ad aiutarti” ammisi, prendendole le mani tra le mie e sorridendo incoraggiante.

Lei mi guardò un po’ scettica. “Non dire sciocchezze, sei favolosa, spiritosa, simpatica, bella… Chiunque cadrebbe ai tuoi piedi mentre io…”.

“Vitt, smettila. Devi solo imparare a cavartela bene e ad essere meno impacciata” la rimproverai. “Ora, dimmi, quando intendi grande intendi…”.

“Ha ventun’anni e…”.

Si bloccò, arrossita. La guardai impaziente ed annuì, decidendosi a parlare. “Si chiama Hazel, è polacco e lavora a casa mia per i lavori di ristrutturazione. Se vedi com’è bello, gentile…”.

Avevo lo sguardo raddolcito e un’espressione sognante.

“Non voglio avere pregiudizi ma credi che sia adatto a te?” chiese delicatamente, guardandola negli occhi.

“Forse proprio perché è così sbagliato che mi attira così tanto” ammise.

“Vittoria, tu sei giovane, bella e soprattutto molto benestante, non voglio smontare le tue fantasie ma non credi che possa sfruttare questi tuoi potenziali? Specialmente riguardo il lato economico…” cercai di farla ragionare, ma mi zittii quando vidi l’espressione scocciata che le si dipinse in faccia.

“Ti facevo diversa, credevo avessi guardato oltre le apparenze…” disse offesa, portandosi le mani attorno al capo e ai capelli ricci ribelli.

Scossi il capo. “No, non sono razzista se è questo che intendi, ma nemmeno tanto ingenua. E poi, dimmi, lui come si comporta con te?”.

“E’ una settimana che parliamo, lo guardo mentre lavora quando i miei non ci sono o mamma sta giù con l’architetto, e mi sembra molto gentile, spesso mi guarda…” dichiarò, ancora più rossa.

Sospirai, senza sapere cosa dirle. “Ti consiglio di aspettare un po’, vedi come si comporta e poi ti regoli di conseguenza, ma devi poterti fidare, Vittoria, sul serio, può essere una cosa pericolosa, e puoi restare scottata” la ammonii. “Lo dico per il tuo bene, credimi”.

Lei fece un debole sorriso e annuì. “Solo che tua madre scrive sempre nei libri che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, ricordi? E’ una frase celebre che riporta sempre…”.

“Mia madre sa che c’è una bella differenza tra realtà e libri, credimi” ribattei.

Ci mancava solo la cuginetta pasticciona a causa delle frasi usate da mia madre e la frittata era fatta!

 

Il giorno dopo, io e Titti passeggiavamo per Piazza di Spagna, finchè non decidemmo di sederci su uno dei tanti scalini. Quel posto mi spaventava ancora, visto che era stato il luogo della mancata aggressione di quei maniaci, per cui avevo deciso di tornarci per combattere la mia paura.

“Quindi, come ti trovi con la signora?” domandai a Titti mentre mangiavamo una coppa di gelato.

“Devo ammettere che è bravissima, e poi mi ha fatto tanti complimenti, dice che voleva proprio una come me, disponibile, gentile e di bella presenza…” spiegò, soddisfatta.

“Hai visto, il tuo fascino orientale ti aiuta anche nel lavoro” ridacchiai, facendole l’occhiolino. Anche se Titti raramente si agghindava con abiti particolari e trucco, era sempre bella e affascinante nella sua semplicità, grazie al suo magnifico taglio d’occhi, il sorriso brillante e la carnagione olivastra.

“Piantala! Magari mi aiutasse a trovarmi un bel principe ricco sfondato che mi ospiti nel suo castello” disse sarcastica.

“Sei tu che fai la difficile, i ragazzi che ti chiedono di uscire ce li hai…”.

“Ma non sono quelli giusti, cosa devo farci?” chiese retorica, alzando gli occhi al cielo. “Tu piuttosto?”.

“Io piuttosto cosa?”.

“Com’è andato lo shopping con l’usurpatore?” chiese curiosa.

“Titti, piantala di chiamarlo così che mi riabituo ad utilizzare quel nome. Comunque bene” risposi brevemente.

Mi lanciò un’occhiata incredula. “Bene? Insomma, siete stati fuori quattro ore…”.

“E allora?”.

“E allora?! Cosa ti ha detto, cosa hai comprato…” si spazientì.

“Ho comprato un abito azzurro” minimizzai.

Lei sbuffò, cercò il portafogli e ne estrasse una moneta da cinquanta centesimi.

“Che fai?” chiesi senza capire.

“Metto il prossimo gettone. Mi sa che solo così riuscirò ad avere un minimo resoconto degli accaduti, visto che vai a scatti” spiegò sarcastica.

Sbuffai. “Cosa devo dirti?”.

“Non lo so, non sono io quella che è uscita con…”.

“Io non ci sono uscita insieme!” protestai.

Titti mi guardò divertita. “Sei arrossita, Romani, che ti succede?”.

Digrignai i denti e mi alzai, ma lei mi trattenne per un braccio. “Che ti prende? Scherzavo! Da quand’è che sei così nervosa?” chiese, questa volta seria.

Scrollai le spalle. “Non lo so, parlare di lui mi rende così. E’ che mi sento un po’ in soggezione ad essere onesti quando sto con lui, mi sento… Osservata, ecco. Ma non lo capisco, anche perché è gentile ultimamente, cordiale, mi ha aiutato con quei maniaci, mi ha trovato lui il vestito…”.

Le raccontai l’allusione della modella, a quella sorta di complimento che mi aveva fatto con serietà, alla questione delle brune, del fatto che forse mi aveva guardato la chioma in quel momento.

“Non voglio dire nulla, non voglio influenzarti. Ma dovresti rilassarti e non sentirti così in soggezione, non mi sembra un tipo intimidatorio” ammise, visto che l’aveva visto un paio di volte quando era venuta a casa.

“Hai ragione” asserii, e mi appoggiai contro la sua spalla, certa del fatto che quello sarebbe stato l’unico posto al mondo che non mi avrebbe mai respinto e che ci sarebbe sempre stato per me.

Continua…

Qualche Anticipazione:

“Capisco. E’ solo che comunque per me sei piccola, quindi non riesco ad immaginarti ancora più ragazzina” ammise.

*°*°*°*°*

“Perché hai portato con te quel cafone?” chiese, accennando in direzione di Cristian che parlava con Niko, dopo essersi presentato.

*°*°*°*°*

“Illuso?” chiesi senza capire.

“Sabrina, sono stanco, torniamo al silenzio di prima” mi zittì, e accese lo stereo, come per accentuare la cosa.

 

 

Milly’s Space:

Ma ciao!

Eccovi il terzo chappy… Sabri e Cristian che fanno shopping insieme, Vittoria innamorata di Hazel e Titti che inizia a lavorare dalla signora D’Argenzio… Questo è solo l’inizio per lei, eheh!

Comunque, grazie alle 12 persone che hanno messo la fic tra i preferiti (un commentino è sempre ben accetto… ^^) e le 4 che l’hanno messa tra i preferiti (stesso discorso vale per voi, grazie ^^) e coloro che hanno recensito lo scorso cap:

CriCri88: Ecco qua il nuovo cap, ma mi sa che per il 4° dovrai aspettare sabato, dopodomani ho la scuola, sigh! Deb è dolcissima, si, e Andrea oltre che per le auto è fissato nel sapere tutto della sua povera piccolina xD Certo che Sabrina ha un bel caratterino, per questo a volte tutti si domandano se è sul serio figlia di Deb! Un bacione… Per ora non starai in crisi d’astinenza, dai (non sai quanto mi sento in colpa…!)!

vero15star: Ma grazie tesoro! Ora sto scrivendo il settimo cap e il tuo Marcolino combinerà qualcosa… Ma stai tranquilla,alla fine tornerà sempre da te, promesso! xD Un bacione, ti adoro ragazza!

lillay: Grazie mille per i complimenti! Si, Sabrina ha scoperto che non è un maniaco- alla fine lo sapeva già ma aveva questa scusa per spiegare l’arcano motivo per cui le stava antipatico- e mano a mano stanno stringendo amicizia, ma resta sempre il fatto che si sente strana in sua presenza… Che sarà mai?! xD

angeleyes: Oh, ma certo che voglio rientrare a scuola, apprendere tantissime cose e crescere grazie alle sagge parole degli autori greci e latini… (si legge il sarcasmo?) xD Comunque, da come avrai visto nelle anticipazioni, Stella ritiene Cristian un “cafone” per il modo in cui l’ha trattata, anche perché alla fine non se l’è calcolata proprio, quindi, beh, non intralcerà niente, ad intralciare qualcosa (ammesso che ci sia, eh, io non ho ancora detto nulla U_U) sarà un segreto di Cristian che però lui nemmeno sa di avere e che c’entra con Andrea… Grazie mille per gli auguri di buon e rientro, ne ho proprio bisogno! E ovviamente ricambio ^^

Credo proprio che posterò sabato pomeriggio, sperando di non avere già una valanga di compiti!

Un bacio,

la vostra milly92.

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Capitolo 4
*** La regola Delle Dieci “P” ***


La regola Delle Dieci “P”

“A partire da una certa età, per amor proprio e per furberia, le cose che desideriamo di più sono quelle a cui fingiamo di non tenere...

Marcel Proust

 

 

Capitolo 4

La regola Delle Dieci “P”

La festa di Ilaria sarebbe iniziata alle nove al “Piccolo Regno”, un locale che avevo scoperto per caso mentre andavo a casa di un’amica anni prima e che subito mi aveva affascinato per la sua eleganza da quel che mostrava all’esterno, visto che sembrava una villa raffinata, color bianco ed oro con un ampio cortile con fontana, panchine e giardinetti. L’avevo scelto per festeggiare i miei diciotto anni, e il solo ritornarci mi fece provare una certa nostalgia: a quei tempi ero una liceale felice, spensierata e neo single dopo che avevo mollato quella cozza di Brando, quindi tendevo a respirare la liberà come se fosse aria pura.

Erano passati due anni, e molte cose erano cambiate, tranne la mia amicizia con Titti. Sospirai, e ripensai alle mie amicizie del liceo, a quanto mi sentissi importante nell’andare sempre alle feste e nell’essere conosciuta a scuola grazie alla mia famiglia. Ero davvero molto infantile, allora. Ed ora? Andare all’università, capire che per tutti non sei altro che un numero, che conta solo il tuo libretto d’esami con i voti, avere giusto il tempo di stringere qualche amicizia con chi frequenta i tuoi corsi,  addormentarsi sui libri per gli esami imminenti mi avevano davvero fatto capire quale fosse l’altra vita, quella vera, quella che vivi quando non sei più un’adolescente.

Così quel venerdì mi sentivo davvero nostalgica, e Cristian non perse occasione per farmelo essere ancora di più, involontariamente, certo.

“Ho trovato questa in un cassetto della mia camera da letto, pensavo la cercassi” disse, raggiungendomi in giardino mentre lavavo il mio scooter, giusto per tenere la mente impegnata.  

“Che cosa?” chiesi distrattamente, alzando lo sguardo e prendendo la foto che mi stava porgendo. La presi e sospirai. C’eravamo raffigurate io e Titti con altre due amiche che avevo conosciuto al liceo Scientifico in cui andavo, Luisa e Carola, agghindate al meglio con vestiti eleganti in occasione della festa di sedici anni di una compagna di classe. Sorridevamo, ed io tenevo alzato il pollice ed indice con il resto della mano chiusa, come ad indicare una sorta di “V”.

“Sei molto diversa, ora, sai? Quanti anni avevi qui?” chiese curioso.

“Sedici. Ma è ovvio, si cresce, no?” sospirai. “Eravamo alla festa di una nostra amica…” aggiunsi nostalgica.

Sorrise comprensivo. “Capisco. E’ solo che comunque per me sei piccola, quindi non riesco ad immaginarti ancora più ragazzina” ammise.

Levai un sopracciglio. Ero piccola per lui?!

“Nel senso che hai otto anni in meno e considero fortunato e giovane chi va ancora all’Università…” spiegò.

“Non ho capito bene” ammisi, confusa.

Lui sorrise, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandolo ancora di più. “Nemmeno io, non farci caso” se la svignò, fingendosi rasserenato e ghignante. “Ora vado, ho alcuni disegni da fare per una pubblicità”.

“Ciao” lo salutai, e lui levò una mano, prima di girarsi e ritornare nelle dependance.

Eppure, una volta terminato il mio lavoro, quando andai sul terrazzo a prendere un po’ di sole nonostante fosse già il primo settembre, non riuscivo a smettere di pensare alle sue parole.

Per me sei piccola. Per me sei piccola.

E non si era nemmeno saputo spiegare! Bah. Probabilmente era una di quelle persone che non rifletteva prima di parlare e non aveva saputo come salvarsi da una figuraccia. Si, era così.

Ma ciò implicava qualche altra cosa: voleva dire che, essendo la prima cosa che aveva pensato, lo pensava sul serio senza rifletterci e qualcosa avrebbe pur dovuto significare!

Ma perché mi scervellavo tanto dietro le sue follie, poi? Scossi il capo, come se stessi cacciando una mosca, e mi dissi di pensare solo a godermi le ultime settimane di libertà prima dell’’inizio dei corsi del secondo anno di università e soprattutto la festa della mia adorata Ilaria, che avrei tirato su di mille tacche e che per una sera avrei tenuta lontana dall’influsso negativo della sorella che esercitava su di lei.

La sera venne lentamente, e già alle sette iniziai a prepararmi dopo aver fatto doccia e shampoo. Mi truccai, aggiustai i capelli con due mollette piene di strass ai lati, lasciando la frangetta laterale davanti, e infine indossai l’abito.

Stavo bene alla fin fine, dai, e volendo potevo dimostrare anche qualche anno in più. Appena feci questo pensiero, mi guardai allo specchio terrorizzata. Cos’era questa mia fissa per l’età, ora?! Una signora deve essere fiera di sembrare piccola. Cioè, giovane.

Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di scacciare di nuovo quegli strani pensieri. Ma in quel momento la porta si aprì ed entrò Gabriele, che mi guardava stranito.

“Che fai?” chiese stralunato, vedendo che me ne stavo appoggiata al mobile vicino allo specchio e avevo la testa in giù.

“Niente, niente” risposi velocemente. “Tu piuttosto? Che vuoi?”.

“Sono nervoso, non ho fatto altro che pensare alle parole che mi hai detto circa Belle”, qui sussurrò il suo nome, “Ed ora che è arrivata la sera mi sento male. E se suo padre ci becca?”.

Sorrisi, dicendomi che il mio fratellino era un ottimo rimedio contro i cattivi pensieri. “Quindi già presumi di  riuscire a baciarla?” chiesi, poggiando una mano sui fianchi.

Lui arrossì di botto. “No, è solo che…”.

“Tranquillo, stai calmo. Non avrai problemi se ci tieni a lei, e fatti avanti solo se vedi qualche tentennamento. Lei è dura, si, decisa, ma sotto sotto è più dolce di quel credi” dichiarai.

Annuì, come a dire “Se così non fosse non sarei così pazzo di lei”. “Va bene, grazie. Spero per te che incontrerai qualcuno carino stasera” ridacchiò.

“Ma grazie” ribattei, e lui fece l’occhiolino prima di scendere giù.

Mi decisi a mia volta a scendere, dopo aver preso la borsa e averci messo cellulare, lucidalabbra, matita e mascara dentro. Scendere le scale che portavano giù fu dura a causa delle scarpe nuove, e mi ritrovai papà davanti, che si aggiustava la cravatta.

“Wow, piccolina, sei stupenda!” esclamò.

“Papà, ricordi che circa vent’anni fa tu e tua moglie mi avete dato un nome? La pianti con questo piccolina? M’imbarazza” ammisi.

“Allora scusami per oggi, dirti che per me sei piccola deve averti imbarazzata”.

Ovviamente a rispondere non fu papà, bensì Cristian, improvvisamente spuntato dalla cucina. Indossava i vestiti che avevamo scelto insieme, aveva i capelli ben pettinati e mi sorrideva sornione.

“Non ti darò mai quest’onore, mi dispiace. Papà è l’unica persona ad avere il pregio di imbarazzarmi, ne devi fare di strada per riuscire in un’impresa simile” ribattei alterata, sebbene sul serio le sue parole mi avessero imbarazzata.

Lui capì, perché finse di non aver notato nulla e prese posto sul divano. Papà, dal canto suo, aveva rinunciato a seguire il nostro battibecco ed era andato a controllare a che punto fosse mamma.

 

Arrivammo al “Piccolo Regno”  alle nove e mezzo con l’auto di papà. Cristian ci seguiva a ruota con la sua auto, e quando scendemmo dalla macchina e lui stava ancora parcheggiando, la musica del suo stereo si diffondeva ancora nel parco, in contrasto con quella della festa.

“Scusate” disse, come se nulla fosse, e staccò la musica prima di raggiungerci.

Entrammo nel locale, in cui non c’era ancora molta gente. Ilaria ci venne incontro raggiante, magnifica nel suo abito grigio perla che metteva in risalto il suo bel fisico.

“Ila, auguri!” esclamai, abbracciandole e baciandole una guancia. “Sei magnifica, stupenda” ammisi, il che era vero, anzi, anche un po’ riduttivo.

“Grazie, Sabri” disse sorridendo.

Toccò agli altri darle gli auguri, così mi guardai intorno e vidi che Niko, suo padre, mi sorrideva.

“Ehi Niko! Sei invecchiato, la tua seconda figlia è già maggiorenne” esclamai, avvicinandomi.

“Ma smettila, io sono sempre giovane, bello e affascinante” ribattè, fingendo di atteggiarsi. Poteva anche essere vero, nonostante i suoi 49 anni era sempre un bell’uomo come papà, con gli occhi azzurri che sembravano quelli di un ragazzino e il fisico ben mantenuto.

“Basta crederci” dissi. “So che sei geloso dei miei vent’anni”.

“No, invidio i sedici di tuo fratello”.

Lo guardai per un secondo e poi ridemmo, poi andai a salutare sua moglie Eliana, tentando di scansare Stella ma inutilmente. Era avvolta in un abito fuxia molto appariscente e corto, che mostrava le sue gambe slanciatissime ancora di più grazie al tacco 12, e mi si avvicinò velocemente, come se avesse avvistato una preda.

“Perché hai portato con te quel cafone?” chiese, accennando in direzione di Cristian che parlava con Niko, dopo essersi presentato.

“Ti ricordo che sei tu quella che ha fatto di tutto per averlo qui” dissi sarcastica. Nonostante tutto, sentire definire Cristian “Cafone” mi dava ai nervi, non era assolutamente vero, anzi, era decisamente molto meglio di lei e della sua infinita dose di sicurezza, superficialità e maleducazione.

“Che c’entra, sai perché l’ho invitato, e dal momento che abbiamo chiuso…”.

“Non mi sembra che abbiate mai inziato…”. La guardai sorridendo, con un’espressione di pura soddisfazione che la fece imbestialire.

Mi guardò male e se ne andò, sbattendosi in un modo eccessivo e convinto, senza riuscire a mascherare la calma.

Nel corso della serata così, tentai di divertirmi senza più incrociarla, e ci riuscii abbastanza bene, specialmente dopo che presi posto ad un tavolo con Ilaria, Manuela, Antoine, figlio di Rossella e Pierre, altri due amici di famiglia, con cui ero cresciuta e avevo passato parte dell’infanzia, mio fratello e Belle.

“Scusate, posso sedermi con voi?”.

Cristian ci sorrideva, e Ilaria subito annuì. Prese posto vicino a me, visto che lì c’era l’unico posto vuoto, e subito si ambientò, presentandosi anche a quelli che non conosceva.

“Vi state divertendo?” ci chiese Massimo, dopo che ebbero servito il secondo piatto.

“Si, zio” risposi. Avevo l’abitudine di chiamarlo così anche perché era la stessa che aveva mia madre. Loro due si erano conosciuti in un programma tv in cui lui, mio padre e il suo gruppo, Niko e Rossella facevano da cantanti e lei da life coach, una sorta di manager dei cantanti, e da lì non si erano mai separati, tranne gli anni in cui mia madre finì il liceo. Poi venne a Roma per l’università, e al battesimo di Manuela rincontrò mio padre e pochi giorni si fidanzarono. Rifidanzarono sarebbe il termine più adatto dato che erano stati insieme già ai tempi del programma, ma vabbè, stiamo lì. “E tu?”.

“Da matti, dopo improvviseremo un concerto per la nostra Ilaria” aggiunse, divertito.

Lei fece una faccia annoiata. “Basta che non mi cantate “Rose rosse” o la canzone di auguri” precisò.

Eh si, “Rose rosse” era l’incubo di noi pargole figlie di cantanti. Nonostante fosse una canzone vecchia, antiquata e noiosa, ce la cantavano in ogni occasione, forse proprio perché sapevano che la odiavamo.

“Come? Ma se è la prima che c’è nella scaletta che abbiamo fatto!” disse ironico, prima di sorriderle e cingerle il collo con le braccia.

Sorridemmo raddolciti, e alla fine ci sorbimmo quel concerto improvvisato, che alla fine comprendemmo non essere tanto improvvisato per le basi già preparate e il modo in cui era stato organizzato.

 

Arrivai a fine serata con i piedi distrutti e stanca. Quando venne l’ora di tornare a casa, però, restai seccata nel vedere che alcuni compagni di classe di Ilaria non avevano un passaggio, così toccò un po’ a tutti riaccompagnarle.

“Cristian, ti dispiace portarne un paio con te?” chiese mia madre, un po’ seccata visto che tre ragazze già si erano piazzate nella nostra auto. Dove ci saremmo messi io e Gabriele? Nel cofano?

“Certo, Debora. Salite su” disse, rivolto alle due ragazze, che salirono in auto mezzo assonnate.

“Deb, ne posso portare solo uno” s’intromise Paris.

“Vai, Gabriele” disse mia madre, mentre mio fratello non sembrava entusiasta all’ idea.  Chissà che era successo con Belle! Mi riproposi che a casa gli avrei dovuto fare il terzo grado. “Sabri, a questo punto vai con Cristian” disse in tono definitivo, entrando in auto. “Ci vediamo a casa”.

Evidentemente la mia adorata mammina aveva dimenticato il nostro discorsetto di pochi giorni prima circa il fatto che doveva smetterla di farmi ritrovare sempre più spesso con quel ragazzo…

“Dai, entra” disse lui, aprendomi la porta del passeggero come due giorni prima. Ubbidii, rassegnata, e restai zitta finchè non portò le due ragazze a casa, con cui aveva intrattenuto una lunga conservazione.

“Stai bene?” mi domandò, con un tono di voce preoccupato.

“Si, perché?” chiesi sorpresa.

“Sei silenziosa. Scusami per quello che ti ho detto prima della festa, sul serio, e mi rimangio le parole, non sei piccola…” disse serio.

Non so perché, ma mi aprii in un sorriso sincero nel sentire quelle parole. “No, figurati, negli anni ho imparato a fregarmene di quello che dice la gente” dissi, forse un po’ troppo duramente. Tre secondi dopo sentii una gran voglia di rimangiare quelle parole, senza sapere nemmeno bene il perché.

E lo capii quando vidi la faccia che aveva fatto Cristian, improvvisamente seria.

“Ah. Questo ammetto che è un colpo basso, credevo che un po’ t’importasse di quel che dicevo”. Pensavo stesse scherzando, invece era sempre serio, e guardava fisso davanti a sé.

Mi sentii in colpa, e abbassai lo sguardo. Mannaggia a me! E meno male che io ero la prima sostenitrice della regola delle dieci P, ovvero: “Prima Pensa, Poi Parla, Perché Parole Poco Pensate Portano Pena”. Era verissimo, accidenti.  “Oh, scusami, intendevo dire…” tentai di difendermi debolmente,  ma lui mi interruppe.

“Va bene Sabrina, tranquilla. Non c’è alcun problema, vuol dire che mi ero illuso” dichiarò, prima di zittirsi, come se avesse creduto di aver detto troppo. A quanto pare anche lui aveva disubbidito alla regola delle dieci P.

“Illuso?” chiesi senza capire.

“Sabrina, sono stanco, torniamo al silenzio di prima” mi zittì, e accese lo stereo, come per accentuare la cosa.

“Vedo che per sentire musica non sei stanco” sbottai acida.

Mi guardò e scosse il capo. Poi, improvvisamente bloccò l’auto, parcheggiandola vicino ad una cartoleria nella periferia di Roma. “Bene, ok, parliamone. Non so come fare con te, sul serio, sei un enigma. Dico una cosa e ti offendi, ne dico un’altra e mi rispondi a tono, poi… Poi basta che dici una mezza parola e mi smonti come se avessi fatto un discorso preciso in stile “colpito e affondato!”. Come devo fare?” chiese retorico.

La luna gli illuminava gli occhi color miele, e mi sembrava diverso dal Cristian che conoscevo, più sincero e meno ironico.

“Che cosa? Io credevo che su di me ti facessi solo due risate e basta…” ammisi.

“Eh? Assolutamente, dalla prima volta che ci siamo visti mi hai messo sempre K.O., nessuno ci era riuscito prima, ma credevo che alla fine questo servisse a instaurare un’amicizia, qualsiasi cosa… E quando hai detto che non te ne frega quello che dico…”.

“Cosa avrei dovuto dire? Che me la sono presa? Complimenti per riuscire sempre a farmi sentire in imbarazzo?”. Mi tappai la bocca. L’avevo detto, dopo che poche ore prima gli avevo assicurato che quella facoltà appartenesse solo a mio padre.

Lui sorrise, ma non con soddisfazione. Con dolcezza. Appoggiò la mano contro il mio sediolino, vicino più che mai al mio viso. Potevo vedere ogni singolo riflesso dei suoi occhi color miele, che sembrava conoscessi da secoli ma che non avevo mai analizzato per bene. Erano magnifici, e non solo quello. Anche l’espressione sincera e dolce che aveva assunto gli donava molto.

“Sul serio?” chiese, improvvisamente incredulo.

“Si, contento? Riesci ad imbarazzarmi con un solo sguardo, quindi sei pregato di smetterla e aiutarmi a rendermi le cose più semplici, mi fai sentire sempre in soggezione, come se dal tuo giudizio dipendesse la mia vita…” rivelai, lasciando ogni cautela alle ortiche.

“Sabrina, non ci credo. Io non ti ho mai giudicato, o almeno negativamente, sul serio” dichiarò. “Ti considero sveglia, perspicace, e per me ogni giorno sei una sorpresa, credimi, non mi stuferò mai di conoscerti, hai così tante sfaccettature… Vorrei conoscere quella ufficiale”.

“Non esiste. Io sono così, Cristian! Un giorno allegra, l’altro nostalgica, l’altro ancora dolce…”.

“Mi piacciono questi tipi di persone” ammise. “Ma ora mi prometti che se continuerò a metterti ancora in imbarazzo senza volerlo me lo dirai?”.

Feci un sorriso stiracchiato, sollevata dal fatto che le mie parole non avessero tirato su chissà quale polverone. “Ci proverò” sussurrai.

Lui sorrise e ci guardammo per qualche secondo, finchè non allontanò la mano dal mio seggiolino e ritornò in una posizione normale.

Rimise in moto, e una volta a casa, mi invitò a bere qualcosa nella dependance. “Vai, tesoro, vai” disse mamma, affacciandosi dal balcone della sua camera, ascoltando la sua proposta, così fui costretta ad accettare. Appena misi piede in casa, mi tolsi le scarpe vertiginose e feci un sospiro di sollievo quando i miei piedi furono a contatto con il pavimento freddo.

“Scusa, ma non ce la facevo più” mi scusai, prima di prendere posto sul divano del piccolo soggiorno.

“Hai tutta la mia comprensione” disse. “Coca Cola o Bitter?” chiese poi.

“Coca cola, grazie” risposi, e lui mi raggiunse poco dopo con due bicchieri e una bottiglia da un litro e mezzo di quella bibita.

“Ti va di brindare alla nostra amicizia?” domandò, stranamente speranzoso.

“Al nostro rapporto, và” lo corressi, e ridemmo prima di fare cin cin e bere.

Restammo un po’ in silenzio, prima che si decidesse a parlare. “Mi trovo bene qui, sai?” disse. “La tu famiglia è fantastica, mi fa sentire bene, accettato…”.

Solo un quel momento mi ricordai che mamma mi aveva detto che era orfano. “Mi fa piacere. Mamma mi ha detto che…”.

“Sono orfano, si. O almeno lo ero fino a poco fa, qualche settimana fa è spuntata fuori mia madre che mi diede in adozione subito dopo la mia nascita” mi informò, con un’espressione un po’ amareggiata.

“Oh” riuscii solo a dire. “Anche la mia migliore amica è orfana, sai? Solo che i suoi morirono quando lei aveva tre anni”.

“E’ brutto scoprire che tua madre ti ha dato via, dopo ventotto anni” continuò. “Ed ora sto cercando di recuperare un rapporto, la vado a trovare quando posso…”.

“Capisco…”.

Mi guardò a lungo, poi parve riscuotersi. “Che patetico, ti sto dicendo la mia vita…”.

“Ma no, che patetico!” lo rimproverai.

Scrollò le spalle e mi sorrise. “Ecco un’altra Sabrina. Quella dolce ed altruista…” sussurrò, e stava per alzare lentamente la mano in mia direzione prima di riabbassarla di botto.

Piegai la testa di lato e sorrisi. “E’ che quando sento queste cose mi toccano molto, posso capire cosa vuol dire in buona parte visto che la mia migliore amica è orfana e tutto ciò che ha se l’è sudato, mentre io ho sempre navigato nell’oro e ho una carta di credito da quando avevo tredici anni”.

“Non devi fartene una colpa” sussurrò, comprendendo ciò che volevo dire.

Scrollai le spalle. “Lo so, ma è inevitabile quando vedi qualcuno fare i salti mortali per avere una cosa che tu puoi ottenere con uno schiocco di dita”.

Annuì. “Hai ragione, ma non lamentarti mai, hai una famiglia d’oro in cui tutti si amano ed è una cosa dal valore inestimabile”.

“Lo so, lo so”.

Restammo a parlare per chissà quanto tempo, finchè non mi ritrovai a riaprire gli occhi molto tempo dopo, stesa sul divano per metà. La luce che filtrava dalla finestra illuminava la stanza un po’ fiocamente.

Sobbalzai, sentendomi spaesata, e vedendo la dependance attorno a me mi aspettai quasi di vedere anche i libri di medicina, finchè non mi voltai e, vedendo Cristian dormire sullo stesso divano, compresi. Ci eravamo addormentati parlando.

Feci per alzarmi quando avvertii qualcosa di caldo attorno la mia mano destra. Spostai lo sguardo e vidi la mano di Cristian che teneva leggermente la mia.

La allontanai, come se mi fossi scottata, sentendo un improvviso subbuglio nello stomaco e, senza capirci più nulla, presi la borsa e le scarpe, le indossai e tornai a casa, chiudendo lentamente la porta per non far rumore e svegliarlo.

Una volta nella mia stanza, constatai che erano le cinque e mezzo. Mi cambiai, indossando una camicia da notte ma stranamente, senza sapere perché, non riuscii più a riaddormentarmi.

 

 

Ciao! Sono ancora viva dopo tre giorni di scuola, avete visto? Io stessa avevo i miei dubbi, sono stati dei giorni iper stressanti nonostante sia solo inizio anno. Ho una nuova prof di scienze, la più pazza dell’istituto, e il mio professore di latino e greco ha già iniziato a interrogarci facendoci correggere delle versioni assegnate durante le vacanze e facendo ogni sorta di domanda  che gli viene a mente, scavando nei meandri della grammatica studiata fino ad ora. Ho aggiornato oggi grazie al fatto che domani proprio questo prof non sarà presente nell’orario e devo solo studiare gli appunti di arte.

Per chi segue la mia fic “La rivincita di Cenrentola”, vi informo che probabilmente posterò il nuovo ed ultimo cap prima dell’epilogo tra domani e dopodomani, mi manca da scrivere l’ultima parte, visto non tocco il cap da martedì, e volevo lasciarvi come regalo una piccola anticipazione…

“Sei un grande” esclamai, abbracciandolo, e quello stesso entusiasmo alla fine me lo trascinai fino agli orali, anche grazie all’entusiasmo dovuto al fatto che avevamo organizzato una vacanza ad Atene subito dopo il mio esame.

*fine informazione&depressione time* xD

Allora, cosa ne dite di questo cap? Il prossimo capitolo presenterà qualche svilluppo…

Grazie mille a coloro che hanno letto la fic, messa tra i preferiti e i seguiti e recensito:

CriCri88: Giusto, non ci avevo mai pensato, dal nickname credo sei dell’88 e quindi credo proprio che per te quella tortura chiamata liceo sia una cosa remota… Ma sappi che mi fa iper piacere avere commenti positivi da una persona più grande di me e che di sicuro si intende di scrittura molto più di me! ^^ Deb e Andrea sono fatti così, eheh, per ora li vediamo sereni e presi dalle loro “manie” alias origliare, pulire auto e fare un po’ da Cupido, ma dalla fine del 7° cap in poi le cose cambieranno, eheh! Un bacio!

angeleyes: Anticipazione?? Beh, mi dispiace ma devo tenere la bocca cucita, ti dico solo che c’entra con qualcosa che in “Confessions of a future bride” è stato motivo di litigio tra Deb e Andrea e che ha a che fare con qualcosa che ha fatto Andrea in passato e che, allo stesso tempo, non sa di aver commesso… So che è un indizio molto generico (e contorto! xD), ma vediamo se riesci a indovinare, ihih! In Sabri sta nascendo qualcosa, ormai è palese, ma vedremo se e quando se ne renderà sul serio conto… Grazie mille per i complimenti, un bacio!

vero15star: Nel prossimo cap c’è Marcolino, yeeeee! Preparati tesoro…. Come se non lo avessi già letto xD Cosa dirti, tu sei meravigliosa e ormai non so come farei senza di te, il tuo sostegno (morale e psichico xD) e la tua amicizia. Ti voglio un bene dell’anima ragazza, e non dimenticarlo mai!

chiaretta88: Grazie mille! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che mi farai sapere cosa ne pensi ^^!

lillay: 5° anno? Quindi quest’anno hai la maturità! Io ho appena iniziato il 4°...Ti auguro un felice anno scolastico e ti do un grosso in bocca al lupo! Sabri ti sta simpatica? Che bello, ammetto che era mio intento farla stare simpatica perché io personalmente la adoro e un po’ la invidio, perché a volte ha quella sfacciataggine che vorrei avere a piccole dosi anch’io… E Cristian… L’adori? Me too, of course! Come si può non adorarlo? Un bacione!

Credo che aggiornerà sabato prossimo… E da quel momento inizierò anche a mettere le schede dei personaggi di questa storia nel mio blog, cosa potrete vedere gli attori che ho scelto per rappresentarli e sapere varie curiosità su di loro!

A sabato girls,

la vostra milly92.

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Capitolo 5
*** Mi Nuoce Gravemente Alla Salute ***


Mi Nuoce Gravemente Alla Salute

“Il linguaggio dell’amore è un linguaggio segreto

 e la sua espressione più alta è un abbraccio silenzioso”

Roberto Musil

 

Capitolo 5

 Mi Nuoce Gravemente Alla Salute

“Mi passi la paletta?” mi chiese esausta Titti, mentre si dava da fare nell’enorme salone dei D’Argenzio. Eravamo circondate da decine di quadri ultra costosi che facevano quasi invidia al Louvre, soprammobili eleganti e, sotto di noi, il pavimento candido stava dando molti problemi alla mia migliore amica.

Era passato un mese da quando era stata assunta, ormai settembre giungeva al termine, ed ero andata a trovarla per farle un po’ di compagnia visto che mamma era andata a trovare la signora Marta per non so che.

“Si, ma se cambi stanza ti do una mano…” mi offrii, passandole l’oggetto, visto che le due ci potevano vedere dalla vetrata che conduceva al porticato in cui stavano prendendo un caffè.

“Ti ho detto di no, il lavoro è mio e non devi preoccuparti” ribattè la mia migliore amica. “Comunque dobbiamo cambiare sul serio stanza, ho finito qui” decretò, sospirando per il sollievo, e mi fece segno di seguirla al piano superiore della villa.

Mi condusse in una stanza che scoprii essere una camera da letto, e restai ammaliata dal poster che c’era sulla parete.

“Wow, ma chi è quello, un modello della Dolce&Gabbana?” chiesi stralunata, visto che il ragazzo raffigurato era un tipo biondo dagli occhi chiari e dei lineamenti davvero sexy. Poi mi diedi dell’idiota per la battuta, anche perché mio aggiornavo spesso sui nuovi volti maschili di quella marca e non l’avevo mai visto.

Titti fece uno strano sorriso e scosse il capo, mentre sistemava il letto a centro della stanza. “No, è Marco, l’unico figlio della signora” rispose, e dal modo in cui lo disse si vedeva che nascondeva a stento un sorrisino.

“Che? Cioè, tu lavori nella casa in cui abita il nuovo Brad Pitt e non me lo dici?” chiesi incredula ed indignata.

Titti mi fece cenno di abbassare la voce, disperata. “Shh! Cosa dovevo dirti?”.

“Se lo conosci, se vi parlate…” iniziai con aria di ovvietà.

“Si, lo conosco, cioè, in realtà lo incrocio a volte quando me ne vado, lui non c’è quasi mai, e devo dire che è molto gentile con me, non me l’aspettavo, dopotutto sono sempre la ragazza delle pulizie” ammise, e vidi che cercava di contenere una specie di gioia, senza molto successo.

“Ma piantala di fare Cenerentola!” la rimproverai. “Vedi che gli interessi…”.

Titti rise e mi guardò come se fossi pazza.

“Vedi che ti butti troppo giù?” chiesi, un po’ arrabbiata. La sua autostima non era mai stata alta, ma sbagliava a volte nell’essere così dura con se stessa.

“Sono solo realista, Sabri. Come potrebbe essere interessato a me quando ha a che fare con le maggiori figlie d’aristocratici di Roma e non solo?” disse mesta. Continuò a pulire e spolverare, quasi con una certa dedizione che sembrava sfociare nella rabbia, e decisi di non infierire ulteriormente.

“E invece tu che mi dici di Cristian?” domandò, forse per sviare il discorso.

“Niente, cosa dovrei dirti, lavora” risposi.

“Hai capito cosa intendo…” di spazientì, sorridente.

“No, non ho capito, quindi spiegati!”.

“Uff, quando ammetterai che ti piace? Ormai ho capito a cosa era dovuto il tuo imbarazzo, la tua soggezione… Ti conosco troppo bene, perché è raro imbarazzarti, e poi dopo che mi hai detto che non sei più riuscita a dormire dopo la festa…”. Mi guardava insistentemente, e staccò lo sguardo da me solo per spolverare un mobile.

“Ma la pianti? Siamo solo diventati buoni amici alla fine, e basta” sbuffai. Era vero, dopo la festa, non so perché, avevamo un rapporto più diretto e confidenziale, ma finiva lì, non era come diceva Titti. A me non piaceva Cristian, e basta. Me lo ripetevo tutte le volte che ci sorridevamo o che mi ipnotizzavo a fissarlo dal mio balcone. Arrossii al solo pensiero e cercai di ritornare al presente.

“E secondo te io ci credo?” chiese beffarda.

“Devi crederci”  le imposi.

Stava per ribattere quando dalla porta entrò la copia in carne ed ossa del ragazzo del poster. Mi immobilizzai e vidi Titti alzare lo sguardo prima di sorridergli.

“Oh, ciao, Marco! Cinque minuti e ho finito” disse cordiale, ma Marco, tutto elegante con un completo grigio e camicia bianca, smise di allentarsi il nodo della cravatta, incredulo. “Lei è la mia amica Sabrina” aggiunse.

“Ciao, piacere” dissi, porgendogli la mano, che però lui non prese. Sembrava essersi pietrificato nell’atto di fissare Titti. Così l’abbassai, senza capire.

“Titti, perché pulisci la mia stanza?” chiese, con lo sguardo ora puntato sul grembiule candido che indossava la mia amica.

Lei lo guardò incredula. “Scusa? Marco, sai che tua madre mi paga per fare le pulizie, no?” chiese spontaneamente, ma lui continuò a sembrare stralunato.

“No che non lo sapevo. Non me l’hai mai detto, io credevo fossi una del club di beneficenza!” esclamò.

“Credevo che tua madre…”.

“Mia madre un tubo, perché non me l’hai detto? Credevo che non ti avrei più rivolto la parola?!”. Marco era davvero infuriato, e Titti sembrava sull’orlo delle lacrime.

“Ma ti ripeto, io credevo che sapessi, anche se non mi hai mai vista fare le pulizie!” ribattè. “E poi qual è il problema?” aggiunse.

Marco fece per parlare, ma si bloccò e gettò la cravatta sul letto, prima di uscire dalla stanza e andarsene chissà dove.

Titti se ne stava immobile, con lo straccio in mano. “Dove ho sbagliato?” chiese, asciugandosi una lacrima.

Mi avvicinai e l’abbracciai. “Tu niente, è lui quello strano…”.

“Sabri, scendi, torniamo a casa!” mi chiamò mia madre dal piano di sotto. Sbuffai, così fui costretta a sciogliere l’abbraccio. “Ti chiamo io stasera, ok?”.

Lei annuì, e mi fece male al cuore lasciarla lì da sola.

 

Una volta ritornata a casa, mentre mamma preparava la cena, decisi di starmene seduta su uno degli sgabelli lì vicino, a meditare sulla questione di Titti. Ma, puntuale come un orologio svizzero, mamma mi costrinse ad abbandonare i miei pensieri per ascoltarla.

“Dopodomani siamo state invitate ad una serata di beneficenza a casa della signora D’Argenzio” m’informò, mentre tagliava delle patate.

“Non sapevo facessi beneficenza” ammisi.

“Nemmeno io, solo che ha insistito tanto… E poi sarà una cosa carina, ci saranno dei balli, dei giochi, e il tutto sarà devolto a coloro che sono stati colpiti dal terremoto due settimane fa” aggiunse con serietà.

“Va bene, ma sai che non mi piace che frequenti queste signore altolocate” dissi.

Lei sospirò. “Nemmeno a me, lo sai, anche se siamo benestanti non sono mai stata una di quelle donne che prosciuga una carta di credito per una borsa di Louis Vuitton e che va in giro in tailleur e Ferrari, ma Marta l’ho conosciuta dieci anni fa in libreria, quando pubblicai un libro, e da allora mi invita sempre da lei per un thè, che devo fare” spiegò.  

Annuii, e lei continuò a preparare la cena, iniziando a cuocere le patate. “Almeno noi dobbiamo andarci, sai che papà e Gabriele odiano queste cose” mi rammentò.

“E se le odiassi anch’io?” sbuffai.

“Cos’è che odi?”.

Mi voltai e vidi Cristian appena entrato dalla porta del retro della villa, sorridente come sempre.

“Se dimenticassi la nostra guerra finita e rispondessi te?” chiesi, e lui rise, prima di avvicinarsi e salutarmi con un bacio sulla guancia. Ultimamente lo faceva spesso, con naturalezza, ed io non glielo impedivo, senza nemmeno conoscere il perché.

“Ci rimarrei male. Mmm, che buon profumino Debora” aggiunse.

Lei sorrise. “Sabri si riferiva ad una serata di beneficenza per i terremotati a cui la nostra famiglia è stata invitata dopodomani. Ti va di venire? Di sicuro Andrea e Gabriele non ci verranno” disse, cercando di convincerlo.

Lui subito annuì. “Se è dopo le otto, certo, vi farò da automobilista”.

“Si, è alle nove”.

“Ok, sai, prima sono a lavoro… Sarà una bella serata” aggiunse.

“Ma certo” dissi sarcastica.

“Tutte le serate sono belle se c’è Mister C” ribadì, indicando se stesso con i pollici puntanti verso di lui, come se fosse Fonzie di Happy Days.

“Dove hai comprato tutta questa autostima?” domandai allusiva.

“E tu questo sarcasmo?”.

Ci guardammo fissi negli occhi con aria di sfida prima di scoppiare a ridere.

Mamma ci guardava in un modo strano, quasi raddolcito, e solo dopo qualche manciata di secondi si ricordò di dover tornare alla preparazione della cena.

“Allora a che ora andiamo, dopodomani?” aggiunse Cristian poco dopo.

“Verso le nove” rispose mamma.

“Perfetto. Come pensi che dovrei vestirmi, Debora?” aggiunse poi, pensieroso.

“Normale, tranquillo, anche perché da quel che ho capito sarà una serata in cui è bene stare comodi, ci saranno giochi di coppia e cose simili” lo informò.

“Speravo lo dicessi” ammise.

“Meno male, metterò i miei adorati jeans” sospirai.

“La fai facile tu, ti sta sempre bene tutto” osservò Cristian. “Era un complimento se non si è capito” aggiunse.

“Oh, si, grazie” balbettai, anche perché vidi mamma sorridere di nascosto e uscire dalla stanza con un mezzo sorriso stampato in faccia. “Sei gentile” aggiunsi.

“Sono sincero” mi corresse. “Sul serio”.

Annuii stupidamente. “Ti credo”.

“Buono a sapersi” disse sorridendo, e quando abbassai lo sguardo vidi che la sua mano appoggiata sul tavolo era poco distante dalla mia. Mi venne in mente la sera della festa di Ilaria, quando stava per avvicinarla a me, e sorrisi senza sapere perché, prima di accorgermene e smetterla subito di fare l’ebete.

“Perché hai sorriso?” chiese.

“Così” minimizzai, scrollando le spalle.

“Eddai, perché?” insisté, iniziando a giocare con i braccialetti che avevo sul polso.

“Ripensavo un po’ a tutti i nostri battibecchi…” inventai.

Rise. “Ti mancano? A me onestamente no”.

“Davvero?”.

“Si, ero stufo marcio di essere sempre messo K.O.” aggiunse.

“Io lo trovavo divertente, ma forse è meglio così” ammisi, vedendo che continuava a giocare con i miei braccialetti.

“Così?” chiese, allontanando la mano da loro e stringendo la mia.

“Beh, si”.

Ormai ero un peperone, era ufficiale, e la cosa più brutta- almeno per quella piccola parte di me che negava “Non ti piace, non ti piace!” e rivendicava la mia dignità- era che mi sentivo improvvisamente felice ed euforica, con una calorosa sensazione, quella di restare così per ore ed ore.

Ci guardammo negli occhi, e mi immobilizzai quando la sua mano si staccò dalla mia e salì verso il mio viso. Me lo accarezzò con delicatezza, mentre io piegavo la testa di lato, poi però sentimmo i passi di mia madre che tornava e si allontanò, per la prima volta anche lui imbarazzato.

“Belli quei braccialetti” buttò lì.

“Si? Ne vuoi uno?” chiesi stupidamente, anche perchè alcuni erano di plastica colorata.

“Ok, dai” accettò.

“Scegli il colore…”.

“Mmm… Azzurro, dai” scelse infine, e mi aiutò a liberarmene prima di indossarlo. “Grazie”.

“E di che” risposi.

“Giovanotto e donzella, potete spostarvi e mettere la tovaglia a tavola?” domandò mia mamma.

“Oh, si, si” scattai su, ed evitai di guardare Cristian negli occhi.

 

Quella sera, invece di vedere un dvd con papà, dopo aver gentilmente reclinato l’invito e aver detto che mi faceva male la testa, mi chiusi nella mia stanza con la luce spenta, sotterrai la testa sopra il cuscino e decisi di affrontare ciò che rimandava da circa un mese.

No, così non andava bene. Ero ancora codarda se mi comportavo così. Mi alzai, accesi la luce e mi guardai allo specchio.

Ero sempre io, diamine! Lo sguardo era un po’ smarrito, certo, ma i capelli mossi fino a metà schiena erano gli stessi di sempre, come gli occhi castani con lo stesso taglio di papà e il naso non proprio perfetto.

Provai a pensare a Cristian e lì vidi la differenza. Gli occhi sembravano quasi brillarmi, e sentii la pelle d’oca. A completare il quadretto, ci pensarono le mie labbra che si incurvano in un sorriso.

Merda. Oddio.

“No, non mi può interessare! Mi rifiuto di accettarlo!” sibilai tra i denti. “Perché sono così idiota? Per i miei è come un figlio, ha otto anni in più a me, lavora già…”.

Diedi le spalle allo specchio e chiusi gli occhi. Mi piaceva. Dio se mi piaceva. Probabilmente dalla prima volta che l’avevo visto. Era così diverso dagli altri, maledettamente affascinante, gentile e premuroso quando ci si metteva…

Mi rigettai sul letto, e restai sconvolta quando sentii una lacrima scendere dai miei occhi con prepotenza. Perché diamine piangevo? Non lo sapevo nemmeno io.

Mi aveva sconvolto, e basta, in tutto e per tutto. Sentivo il cuore battermi forte, all’impazzata, e poi sentii una morsa allo stomaco.

Come diavolo avrei fatto a guardarlo in faccia dopo che avevo ammesso a me stessa tutto quel bel pò?

Mille pensieri mi giravano in testa, numerosi e vorticanti, finchè non mi addormentai.

“Sabri, Sabri!”.

Aprii gli occhi e vidi Gabriele scrollarmi. “Che ore sono?” chiesi.

“Mezzanotte quasi. Senti, volevo parlare un po’ con te…” ammise, sedendosi sul letto dopo essersi abilmente fatto spazio.

“Ma domani non hai scuola?” chiesi, ancora assonnata.

“Si, ma c’è assemblea” sussurrò. “Devo dirti varie cose…”.

“Cosa ha combinato Belle questa volta?” chiesi retorica.

Ma lui scosse il capo. “No, non c’entra Belle, ormai mi ignora completamente…”. Alla festa di Ilaria aveva provato a parlarle e lei si era quasi fatta baciare, se solo il ragazzo con cui usciva non l’avesse chiamata. Da quel momento si era ripresa e aveva detto a Gabriele che doveva lasciarla in pace, anche se io gli avevo detto di non demordere visto che conoscendola faceva così solo per orgoglio.

“E allora che c’è?”.

“Vittoria mi ha detto che devi chiamarla al più presto o almeno mandarle un sms” spiegò. “E’ venuta a casa quando eri fuori con la mamma”.

“Capisco” dissi. “E poi?”.

Qui sorrise. “Beh, e poi c’è una mia supposizione. Vedi cosa devi fare con Cristian, si vede lontano un miglio che è stracotto di te” rivelò.

Scattai su come una molla e lui parve divertito. “Che? Eh? Cosa? Piantala” tentai di difendermi, senza riuscire a non provare una piccola gioia.

“Sono serio, l’ho capito…”.

“Il fatto che sia una supposizione non implica il fatto che sia vero” mi spazientii. Ma io cosa volevo? Che ricambiasse, certo, ma… Che idiota, dovevo solo mettermi il cuore in pace, una qualsiasi cosa avrebbe sconvolto l’equilibrio di famiglia e basta.

“Quanti paroloni, secondo me piace anche a te” ribadì.

Sbuffai. “Smettila, sul serio. E va a dormire…” aggiunsi.

Lui sbuffò a sua volta, si alzò dal letto e uscì. “Tanto le bugie hanno le gambe corte, non ti conviene mentire se non le vuoi ancora più orrende di quel che ti ritrovi!” ridacchiò.

“E allora prenditi quelle di Belle! Ops, dimenticavo che non ti calcola più, anzi, non ti ha mai calcolato” ribadì, e lui mi guardò male prima di uscire. Se l’era meritato, mi dissi.

Ma inutile dire che dopo le sue parole dormii poco e niente, stando più tra il sogno e la veglia e vedendo il volto sfocato di Cristian appena chiudevo gli occhi.

La mattina dopo mi ricordai di dover mandare almeno un sms a Vittoria, così mi decisi a scriverglielo, nonostante sapessi che fosse a scuola.

Ehi, tutto bene? Gab mi ha detto che dovevo contattarti… Novità con Hazel?

Non mi stupii quando non mi rispose visto che era a scuola, ma restai un po’ stupita quando mi ritrovai zia Eva fuori la porta poco dopo.

“Cos’è questa storia?” chiese infuriata, esibendo il cellulare di Vittoria.

Lo guardai senza capire. “Ho letto il tuo sms, ha lasciato il cellulare a casa! Non far finta di nulla! Cos’è questa storia di Hazel, quello che lavora da me?” chiese infuriata, entrando.

Cavoli. Che pasticcio avevo combinato! Ma cosa potevo mai saperne io che aveva lasciato il cellulare a casa?

“Zia, questa è violazione della privacy…” le feci notare, cercando di sviare l’argomento. Che idea stupida, mi dissi.

“Privacy? Qui stiamo parlando di mia figlia e un extracomunitario più grande di lei…” s’infuriò ancora di più.

“Zia, zia, calma, siediti e ne parliamo” la invitai, indicandole il divano. Lei ubbidì con rammarico e sbuffò. Meno male che mamma era uscita con papà.

“Allora?” disse poi.

“Allora niente” dissi. Sapevo che Vittoria mi avrebbe ucciso, ma non avevo altra scelta che essere sincera. “A Vittoria piace questo Hazel ma non è successo assolutamente nulla e l’ho fatta ragionare dicendole che sono diversi e che lui potrebbe sfruttare il suo essere benestante, ok?” dichiarai, gesticolando per farla calmare.

Lei mi guardò sospettosa. “Sicura? perché se quello ha solo sfiorato mia figlia con un dito, giuro che io…”.

“Non ce n’è alcun bisogno, tranquilla, sul serio. Può anche darsi che…”.

“Perché le hai mandato l’sms tu, comunque?”.

Sospirai spazientita. “Te lo stavo per dire. Ieri ha detto a Gabriele che dovevo contattarla e basta, va bene? Zia stai tranquilla, non è successo nulla altrimenti mi avrebbe raggiunto anche in mezzo al deserto pur di raccontarmi tutto” tentai di rassicurarla poi.

“Va bene” accettò infine. “E’ solo che, la mia bambina! E’ peggio di me alla sua età, me li sceglievo sempre sbagliati…”.

“Ma alla fine hai trovato quello giusto” le ricordai, e solo nel dire quelle parole mi venne in mente Cristian. Era lui quello giusto?

Che scema, dovevo smetterla di fare quei pensieri.

“Si, si” disse sorridendo. “Va bene, credo che andrò, ho due visite da fare, è meglio muoversi. Scusami per la sfuriata, ma, sai… Quando si tratta di figli…”.

“Posso capire” dissi sorridendo.

Lei annuì e mi salutò.

L’accompagnai alla porta, e stavo per andare a fare colazione quando ribussarono.

Non ero psicologicamente pronta a rivedere Cristian dopo quella mia nuova consapevolezza nei suoi confronti, per cui tentai di controllarmi quando me lo trovai di fronte, bellissimo anche se indossava una semplice tuta grigia e bianca.

“Ciao” dissi senza fiato.

“Ciao, Sabri” rispose. “Scusa l’ora, ma stavo facendo colazione e ho finito la marmellata, così sono andato al bar… In breve, ti va un cornetto?” propose.

No, no, dì che sei a dieta!

Mandai al diavolo la mia coscienza e sorrisi. “Si, grazie, che carino che sei” dissi. “Entra, facciamo colazione insieme”.

“Speravo me lo dicessi” ammise, e in cuor mio mi dicevo che non potevo desiderare un inizio di giornata migliore.

Prendemmo posto dietro al bancone della cucina dopo che ebbi preso dei fazzoletti di carta e lo ringraziai quando mi servì un cornetto enorme grondante di Nutella.

“Ti sei appena svegliata?” domandò interessato, mentre cercavo di fare il possibile per non macchiarmi con la cioccolata.

“No, diciamo da un’oretta” risposi. “Ne ho approfittato visto che sono sola in casa”.

“Fai bene tu che puoi… Io alle undici devo correre a lavoro, ho un incontro con il capo” mi informò, brontolando e addentando un nuovo pezzo di cornetto.

Finii di masticare e lo guardai sospettosa. “Hai combinato qualcosa?” chiesi.

Cristian mi guardò male ed io risi. Possibile che, nonostante tutto, riuscissi a sentirmi felice e disinvolta in sua presenza? Ma ciò non cambiava il fatto che ogni suo minimo movimento, ora che ero cosciente al 100% dei miei sentimenti, mi causasse una fitta allo stomaco. “No, sono diligente a lavoro, io” protestò. “Più che altro credo che voglia darmi l’incarico per una nuova pubblicità su una linea di pupazzi…”.

Annuii, senza sapere cosa dire. Avrei voluto dire “Solo al lavoro, però, sei diligente”, ma mi dissi che era una battuta stupida e insensata. Il mio cervello cercava di partorire un pensiero intelligente, spiritoso e interessante allo stesso tempo, ma è inutile dire che, vista la situazione, nove mesi di gestazione non sarebbero bastati.

“Comunque, ieri sera ho noleggiato un dvd, ti va di vederlo con me, stasera?”. Alzai di scatto lo sguardo, risvegliandomi dai miei pensieri, sentendomi improvvisamente il viso di fuoco.

“Oh, credo di si, Titti lavora e mamma e papà tornano tardi…” sussurrai.

“E quindi accetti l’ultima spiaggia” disse, con una severità tale che mi fece paura.

“Che? No! Insomma, avrei accettato anche se…”.

“Scherzavo” mi zittì, mettendomi un dito sulle labbra, in un modo così lento e semplice, ma allo stesso tempo sensuale, che mi fece rabbrividire.

Lo guardai torva per lo scherzo e lui rise. “Ora vado a prepararmi, ti aspetto stasera nella dependance, ok? E non cenare, me ne occupo io” mi ammonì.

“Va bene, a che ora vengo?” chiesi.

Lui, che stava già andando verso la porta, si girò. “Ehi, è casa tua! E poi, prima vieni più mi piacere” dichiarò, passandosi una mano tra i capelli e salutandomi.

Le gambe mi tremavano così tanto che dovetti risedermi sullo sgabello, e cercai di respirare regolarmente, senza successo.

Non ti illudere, idiota! L’ha detto per essere gentile, poteva mica darti un orario preciso e cacciarti fuori se fossi arrivata cinque minuti prima!

Per tutta al giornata non feci altro che maledire mamma, che mi aveva condotto in quella situazione con il suo farmelo ritrovare sempre alle costole, e il mio povero cuoricino che mi induceva a controllare ogni tre secondi se Cristian era tornato da lavoro.

Lo vidi rincasare alle cinque, con delle buste del supermercato in mano, e in quell’istante, dopo essermi incantata qualche minuto nel contemplarlo di nascosto dalla finestra, mi fiondai nella doccia, aggiustai i capelli ed indossai dei semplici jeans con una camicia rossa a maniche lunghe.

Cercai di aspettare un po’, ma non riuscii a non fare più tardi delle sei e mezza per presentarmi da lui, e fui sollevata nel vedere che aveva già preparato tutto e non gli ero d’intralcio.

“Finalmente!” esclamò quando mi venne ad aprire.

“Addirittura? Credevo di essere molto in anticipo…” dissi imbarazzata.

“Ma no, stavo solo finendo uno schizzo, vieni”.

Mi condusse nel piccolo studio in cui spesso studiavo per gli esami, mi fece sedere di fronte a lui e lo vidi disegnare per qualche manciata di minuti.

“Alla fine ci avevo azzeccato, il mio capo vuole affidarmi il lavoro per la pubblicità di quei pupazzi” mormorò, mentre era impegnato a posare un foglio e prenderne un altro.

“Buon per te” risposi, sorridente. “Deve essere bello lavorare, sentirsi soddisfatti…”.

Lui fece un piccolo cenno, e alzò lo sguardo verso di me, scrutandomi, prima di tornare al suo foglio. “Si, anche se ovviamente è faticoso a volte”.

“Beh, ovvio. Ma cosa stai facendo?” domandai poi, quando lo vidi rialzare lo sguardo verso di me.

“Shhh” sussurrò, e restò a disegnare per una decina di minuti, prima di alzare il foglio verso di me.

Restai sbalordita quando vidi la mia copia su carta, disegnata da lui. Un ritratto. Un magnifico ritratto in cui esibivo un’espressione tra il serio e il pensieroso. “Non ho parole… Sei bravissimo” esclamai, sorridente e incredula.

Lui scrollò le spalle, tuttavia regalandomi quel magnifico sorriso disinvolto che mi faceva perdere le staffe. “Se ti va te lo porto tra qualche giorno, lo aggiusto e lo coloro…” propose.

“Ma certo” dissi in fretta.

“Ora vieni, andiamo a vedere il film” mi invitò, alzandosi dalla sedia. Lo seguii in soggiorno e tremai quando vidi la copertina del dvd che aveva preso in mano.

“Sei pazzo? “Blu profondo?” Fa paura!” lo rimproverai.

Cristian rise e mi guardò. “Ma non dirmi che sei una fifona…”.

“No, ma preferisco vedere film più allegri, onestamente”.

“Dai, smettila e vediamoci questo film. Sii coraggiosa”.

Sbuffai e presi posto sul divano, e lui, dopo aver spento le luci, azionò il dvd e iniziammo a vederlo. Non volevo passare per la fifona di turno, ma quel film era abbastanza inquietante a volte, e il pensiero che Cristian fosse a pochi centimetri da me non mi aiutava affatto. Cenammo con quello che la mia professoressa di inglese del liceo avrebbe chiamato “junk food”, ovvero doppio cheeseburger, Pringles e patatine fritte, alla faccia della dieta.

Ogni tanto, se mi scappava un piccolo sobbalzo, Cristian si voltava verso di me e mi scrutava divertito, cosa che mi faceva morire mano a mano e mi faceva pensare che non sarei arrivata a fine film.

“Ora questa scena è un po’ cruenta, eh…” mi ammonì dopo circa un’ora.

Mi voltai verso il suo volto illuminato dal televisore e lo guardai con aria di rimprovero. “Vuoi dirmi che mi hai trascinato qui a vederlo nonostante l’avessi già visto?” sbraitai.

“Si, mi piace rivedere i film…” disse, godendosi un mondo la mia espressione. “Oh, ecco…”.

“Cosa…?” chiesi, terrorizzata. “Aah!” strillai, quando vidi l’enorme bocca dello squalo aprirsi in direzione dello schermo, in modo mostruoso che il mio urlo riecheggiò fiocamente per il resto della stanza.

“Ehi, calma, Sabri” sussurrò lui, e prese la mia mano tra le sue, sorridendomi calorosamente. “E’ solo un film, ricordi…?”.

“S-Si…” sussurrai senza fiato, stringendo la sua mano come se fosse la cosa più preziosa del mondo.

Poi ci fu un rumore strano e, puff!, tutto divenne buio, proprio come nel film tre secondi prima. Risobbalzai, e inconsciamente mi strinsi forte a Cristian, attorcigliando le braccia attorno al suo collo da quel che potevo capire.

“Sabri, deve essere saltata la corrente, stai tranquilla” mi ricordò, ma lo sentii stringermi a sua volta nei pressi della vita e accarezzarmi i capelli. “Sono stato un incosciente nel proporti quel film…” si rimproverò poi.

“Di solito non sono così fifona” mormorai, dato che era la prima cosa che mi era venuta in mente. Non riuscivo a staccarmi da lui, stavo benissimo.

“Lo so, se ti va la prossima volta vediamo qualche commedia sdolcinata, ok?” propose.

“Come vuoi…”.

Sentivo il suo respiro vicinissimo al mio viso, le sue carezze sul mio capo, finchè all’improvviso non tornò la luce e vidi che Cristian, a causa di quella posizione, stava sul serio vicinissimo alla mia faccia che probabilmente era color porpora. Ma, insieme alla luce tornò anche la corrente ovviamente, e la musica del dvd che si azionò di nuovo ci fece sobbalzare. Subito ci staccammo da quella sorta di abbraccio goffo, senza guardarci negli occhi, e ognuno prese  a guardare dalla porta opposta dell’altro.

“Finalmente è tornata la luce! Io vado un attimo in bagno” dissi,sentendomi una gran bugiarda visto che avrei voluto che restare per ore ore al bio abbracciata a lui, e appena mi richiusi la porta alle spalle, mi sentii più paonazza che mai.

La vicinanza di Cristian nuoceva gravemente alla mia salute, questo era poco ma sicuro. Anzi, forse era l’unica cosa di cui ero certa insieme a ciò che provavo per lui.

Continua….

 

Qualche Anticipazione:

“Dì la verità, qualcuno mi ha sostituito come uomo della tua vita”.

*°*°*°*°*°*

“Ehi, hai fatto scappare la mia partner?” mi domandò Cristian, ridendo.

*°*°*°*°*°*

“Certo che la tua è una mania! Ti diverti a collezionare le chiavi delle case altrui! Prima la mia dependance, poi questa villa…” elencai, stupita.

“Preferirei avere la chiave del tuo silenzio a volte. Ma anche quella del tuo cuore” aggiunse, abbassando lo sguardo verso di me e guardandomi intensamente.

 

 
Hola!

Ed ecco giunto il momento della settimana che preferisco insieme al sabato sera… Quello in cui aggiorno! Come state? Mi siete mancate tantissimo in questa settimana!

Sono reduce dallo studio di filosofia, chimica e latino, e scommetto che anche voi avete passato il pomeriggio tra i libri, in un modo o nell’altro.

Coooomunque… Che ve ne sembra del capitolo? Sabrina ha ammesso con se stessa di provare qualcosa (anzi, un bel po’ di cose…) per Cristian, finalmente! E poi è successo il casino di Vittoria e le prime difficoltà di Titti in casa D’Argenzio… Nel prossimo cap avremo tante altre novità, eheh!

Ed ora, come ho fatto in un'altra fic, vi mostro i “rappresentanti in carne ed ossa” di alcuni personaggi, che poi metterò anche nel blog!

Sabrina: http://it.tinypic.com/view.php?pic=21kjdjm&s=4

http://www1.pictures.zimbio.com/gi/2009+Giffoni+Film+Festival+Day+2+98zEKIDT7ZJm.jpg

http://www.chronica.it/public/uploads/2008/05/giulia-gorietti-ok.jpg

Cristian: http://www.celebrity-exchange.com/celebs/photos37/ashton-kutcher.jpg

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/5e/Ashton_Kutcher_2008-09-08.jpg/250px-Ashton_Kutcher_2008-09-08.jpg

http: //www.staralicious.com/wp-content/uploads/2008/05/ashton.jpg

Ilaria: http://images1.fanpop.com/images/photos/2100000/Promo-Shoot-90210-2103617-769-1024.jpg

http://l.yimg.com/l/tv/us/img/site/02/28/0000050228_20080718143834.jpg

 

Ma, passiamo al sodo xD

Grazie a coloro che hanno letto, messo la fic tra i preferiti e le seguite e che hanno recensito:

lillay: Si, il 92 del mio nick indica l’anno di nascita, e sto al quarto anno. Quindi credo che tu abbia fatto la primina se stai al quinto, giusto? Non sai  quando t’invidio, mi viene la depressione se penso che devo ancora fare altri due anni di liceo! Comunque, in realtà la scena dell’auto è anche una delle mie preferite perché rappresenta il primo vero dialogo serio che hanno Cristian e Sabrina… E ora lei ha ammesso a se stessa di essersi innamorata di lui! E chi credi che sia la madre di Cristian? Un bacione!

CriCri88: Quindi anche tu hai fatto il classico? Anche io sto al classico, cioè, è il Classico Europeo che rompe ancora di più perché esco tutti i giorni tranne il sabato alle quattro e un quarto e studio alcune materie in più, ma tutto sommato mi ci trovo bene. Ma resta il fatto che ti invidio lo stesso, io non vedo l’ora di andare all’Università! =D Comunque, la coppia d’oro avrà dei problemini, si si, ma non solo loro, diciamo che ci sarà scompiglio in tutta la famiglia… E la nostra balda giovane ha capito cosa prova per Cristian, ora non ci resta che vedere cosa succederà nel prossimo… Ancora grazie per i complimenti! Un bacione, bella!

vero15star: Tesoro ti adoro! hai visto che è entrato in scena Marcolino? Eheh… Stella ricorda molto Paris, certo, ma io direi che per certi versi è ancora peggio di lei, anche perché alla fine Paris si è calmata, invece Stella sembra decisa a restare una ragazzina viziata ed egocentrica per sempre, ma vedremo… Forse le succederà qualcosa, chissà… Ti voglio bene tesoro!

Angel Texas Ranger: Weeee, che bello vederti qui carissima! Se non sbaglio ti avevo inviato un’e-mail per comunicarti la “Nascita” di questa fic, non so se l’hai ricevuta. Comunque, a chi lo dici, io più che altro l’avrei sgozzato a Cristian al posto di Sabri, è stata piuttosto gentile xD E i guai… Le potevano mica mancare, visto chi è la madre? =D Un bacione!

A sabato prossimo,

la vostra milly92.

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Capitolo 6
*** La Chiave Del Mio Cuore ***


La Chiave Del Mio Cuore

“Amore non è amore che muta quando scopre i mutamenti

od a separarsi in cima quando altri si separano.

Oh no, è un faro irremovibile che mira la tempesta e mai ne viene scosso...”

“Ragione e Sentimento”

Capitolo 6

La Chiave Del Mio Cuore

“Avevo fiducia in te, diamine!”.

L’urlo secco di Vittoria non mi piacque affatto. Senza contare il fatto che decine di passanti di Piazza Venezia si erano voltati verso di noi.

“Vittoria, calma, ti va un gelato?” proposi, sorridendo con falsa grazia verso una signora che ci guardava scandalizzate per cercare di rimediare.

“Te lo ficcherei in testa un gelato! Mamma ha licenziato Hazel!” continuò a sbraitare, guardandomi infuriata. “Per colpa tua!” aggiunse, come se non si fosse capito, e per accentuare ancora di più la cosa mi puntò l’indice contro.

“La colpa è tua che non ti sei portata il cellulare dietro! Mi avresti potuto avvertire…” risposi stizzita.

“E che avevo, la sfera di cristallo per sapere che mi avresti mandato l’sms quella mattina?”.

“E che credi, che ce l’avevo io per sapere che non ce l'avevi dietro?”.

Ci guardammo, continuando a fronteggiarci, finchè lei non sbuffò, incrociando le braccia. “Uffa. Non ne posso più di questa sfiga” sbottò.

“Smettila di essere melodrammatica, signorina” la rimproverai.

“La fai facile tu…”.

La guardai male. Non mi piaceva quando faceva la Drama Queen, per dirla con le parole di mamma. “Vittoria, cosa devo dirti? Ho sbagliato, lo so ma non ho avuto scelta! Tu al mio posto cosa avresti fatto?” chiesi spavalda, incrociando le braccia.

Lei esitò, poi non rispose. “Ora vado a casa” disse, rabbuiata e ancora un po’ arrabbiata.

“Aspetta che ti accompagno con lo scooter…” mi offrii, ma lei scosse il capo.

“No, ho voglia di camminare e starmene da sola, a casa devo studiare tedesco quindi è meglio se sbollisco strada facendo” mi zittì, lanciandomi un’occhiata con un po’ di rancore e dandomi le spalle, senza salutare.

Mi sentii un’emerita idiota, anche perché non mi aveva più detto il motivo per cui voleva che la contattassi. Salii sul mio scooter e girai a vuoto per chissà quanto tempo, prima di decidermi a tornare a casa.

Una volta in giardino, stavo per entrare in casa quando vidi con la coda dell’occhio Cristian che stendeva alcuni suoi vestiti dall’altra parte del prato, concentrato al massimo. Al solo vederlo il mio stomaco si contrasse e sentii caldo.

Calmati, calmati, respira e vedi che andrà tutto bene…

Ma poteva andarmi bene per quella sera, sospirai, visto che l’indomani mi sarebbe toccato passare una serata con lui. E dato che entrambi non conoscevamo nessuno degli invitati a parte mia mamma, era ovvio che avremmo passato del tempo insieme. Il solo pensiero mi fece contrarre dolorosamente qualcosa dentro di me, e mi dissi che anche se avevo capito di essere interessata a lui da sole ventiquattr’ore, la cosa si faceva sempre più pesante. Volevo sfogarmi, dirlo a qualcuno…

In un battibaleno, mi ritrovai in casa, intenta nel cercare disperatamente uno dei cordless. Stavano sempre tra i piedi, diamine, e quando me ne serviva uno ecco che si smaterializzavano come sotto accordo.

“Al diavolo!” sbottai, e mi affrettai a prendere il cellulare e a comporre il numero di Titti.

“Pronto?”.

“Ciao Titti, senti, ti dispiace se vengo da te? Devo parlarti assolutamente…” rivelai.

Il suo tono si fece subito diverso, disponibile. “Ma certo, solo che dovrei uscire un secondo per comprare qualcosa per cena, sono stata a lavoro fino a poco fa” disse.

“Me la vedo io, ti vanno bene le focacce con prosciutto e mozzarella e coca cola?” proposi in fretta.

“Va bene, perfetto” annuì. “Grazie”.

“E di che. Allora ci vediamo da te tra un po’”.

Salii velocemente in camera, mi pettinai e aggiustai il trucco, presi la borsa e scesi giù.

“Dove vai, piccola?” chiese mio padre, seduto dietro al pianoforte.

“Vado un secondo da Titti, ceno da lei” risposi. “Ci vediamo stasera, ok?”.

“Va bene, ma non fare troppo tardi…” mi ammonì.

“Certo”. Gli diedi un rapido bacio sulla guancia e feci per uscire dalla porta del retro quando lui mi richiamò.

“Sabri?”.

Allargai gli occhi, sorpresa. “Papà, mi hai chiamato per nome!” esclamai incredula, visto che succedeva circa tre volte l’anno, compleanno e Natale esclusi.

Lui annuì, guardandomi in un modo così serio che sembrava mi stesse leggendo dentro. “Rispondi ad una domanda”.

“Dimmi…”.

“Dì la verità, qualcuno mi ha sostituito come uomo della tua vita” sussurrò, con una nota di certezza inconfondibile nella voce.

Sembrava mesto, triste, con uno sguardo più anziano che mai. Per una volta sembrava dimostrare sul serio i suoi 52 anni.

Mi bloccai e mi sentii la pelle d’oca al suono di quella domanda, anzi, affermazione.

“Papà, io…” tentai flebilmente, ma a questo punto lui sorrise in modo strano e sospirò.

“Non c’è bisogno che ti sforzi di rispondere, ho capito tutto. Divertiti con Titti” mi salutò, e abbassò lo sguardo verso la tastiera del pianoforte, iniziando a suonare una melodia lenta e triste.

Dal canto mio gli diedi le spalle, corsi verso lo scooter e iniziai a sentire una strana rabbia dentro di me.

Quel Cristian non mi poteva fare questi scherzi, privarmi delle mie abitudini, stravolgermi la vita! Mi sembrava quasi di aver tradito sul serio mio padre, ad essere onesti.

Non mi sentivo più libera, era come se fossi schiava di un sentimento, schiava di lui. E la cosa, ragionandoci a freddo, così, su due piedi, non mi dispiaceva affatto.

Sto impazzendo…

Subito mi affrettai a prendere dei pezzi di focaccia in rosticceria, e deviai verso casa di Titti.

“Entra. Mi dici cosa ti è successo? Ti vedo sconvolta” mi accolse quando mi aprì la porta.

“E’ così” ammisi. Poggiai le focacce sulla tavola e presi posto su una delle sedie che la circondavano.

“Mi stai facendo preoccupare, cosa…?”.

Mi squadrava con i suoi bellissimi occhi in un modo apprensivo, e prima che potessi evitarlo mi venne da piangere come la sera prima. 

“Titti, io…”. Presi un grosso respiro. “Io mi sono innamorata di Cristian”.

Titti spalancò gli occhi e corse ad abbracciarmi in un modo caloroso.

“Ti prego, non dirmi “Te l’avevo detto”, non  lo sopporterei perché mai come ora mi sento una totale imbecille” la supplicai, continuando a piangere e bagnandole la felpa nera e viola che indossava.

“No, no, come potrei. Ma dovresti essere contenta, perché...?”.

“Perché è un casino, più lo vedo e più lo desidero ma mi rendo conto che è impossibile, lui è grande, abita nella mia dependance, e di certo non darà peso ad una come me, che ritiene essere piccola!” singhiozzai, sentendo l’esasperazione salire alle stelle.

“Ma non dire così… Secondo me hai molte speranze” mi rassicurò Titti.

“Non capisci? In un certo senso non vorrei avere alcuna speranza per non incasinarmi, stare con lui sarebbe così… Strano… Ma maledettamente magnifico” aggiunsi. Ormai la mia pazzia era ufficiale! Mi contraddicevo da sola come se non sapessi nemmeno io cosa volevo dire, e in un certo senso era vero. Come spiegare il turbine di emozioni ce provavo quando lo vedevo e quando pensavo a lui? Non c’erano aggettivi. Tutti erano troppo banali o riduttivi.

“Sabri, devi solo chiarirti le idee, e sai che io ci sono sempre, ma… Forse è meglio ragionarci a stomaco pieno, non credi?” disse lei, sorridendomi in un modo incoraggiante e accennando le focacce.

Mio malgrado restituii il sorriso e annuii, dicendomi che solo Titti sapeva come trattarmi in simili momenti.

 

La sera dopo così mi accinsi a prepararmi per la serata di beneficenza a cui avrebbe partecipato anche Titti sotto invito della signora. La cosa mi rassicurava, perché in caso di complicazioni ci sarebbe sempre stata la mia migliore amica a tirarmi su.

Indossai dei jeans, una maglia con lo scollo a V blu, degli stivaletti con il tacco non molto alto e una collana che mi aveva regalato papà qualche mese prima. Scesi di sotto quando vidi mamma parlare animatamente al telefono con chissà chi, un po’ seccata.

“E va bene, Marta” la sentii cedere alla fine, scocciata. “Ma ti prego di avvisarmi in futuro visto che deve venire anche mia figlia e un amico di famiglia. Ok, ciao, a dopo”.

“Che succede?” chiesi subito, con lo stomaco  ancora un po’ sottosopra per il modo in cui era stato definito Cristian. Amico di famiglia, sigh.

“Mi verrà a prendere il figlio di Marta, l’ha mandato a prendere anche altre tre signore. Voleva essere carina…” spiegò. “Quindi mi sa che dovrai andare da sola con Cristian, ora glielo vado a dire” aggiunse.

Uscì, e per fortuna non potè udire il mio gemito. In macchina da sola con lui, bene.

Per cui dieci minuti dopo me lo ritrovai davanti, raggiante, con indosso una camicia azzurra, dei pantaloni neri e una giacca sportiva. “Vieni in garage, prediamo la macchina” mi invitò, e così facendo due minuti dopo eravamo in giro per la città, con me che facevo da guida.

“Nel caso ci annoiamo ce ne andiamo prima e andiamo a farci un giro, che dici?” sussurrò quando parcheggiò fuori la villetta, da cui si intravedevano alcune donne anziane. 

“Oh, ok” sussurrai flebilmente, sentendomi un’ idiota nata. Quella si che era una bella prospettiva.

Mentre camminavamo poggiò un braccio sulla mia spalla, prima di ritirarlo all’improvviso, con soggezione. Mi voltai e decisi di sorridergli, così lui fece lo stesso, passandosi una mano tra i capelli come faceva sempre quando era un po’ imbarazzato, ormai l’avevo capito.

Fummo accolti con gentilezza, e subito mi affrettai a raggiungere Titti, che ne stava seduta in un angolo mogia mogia.

“Tutto bene?” chiesi.

“Ciao, Titti” la salutò Cristian.

“Ciao. Niente, è… Marco” disse sottovoce. “Appena è venuto mi ha chiesto di versargli da bere e poi mi ha presentato la sua ragazza, una certa Verena”. Il suo tono era infastidito, e mi voltai per vedere la famigerata coppia. “E’ fidanzato?” chiesi poi.

“Ovvio. Lei ovviamente è straricca e strabella”. Titti sembrava davvero sconfortata e infastidita da tutta quella storia. “Sul serio, non capisco perché sta facendo tutte queste sceneggiate dopo che ha saputo che lavoro da lui”.

“Forse gli interessi e gli hai complicato le cose visto che voleva mollare una bionda milionaria per te” disse Cristian, indicando Verena, una tipa bionda con un abitino nero succinto e un make up di cui solo il mascara di sicuro costava almeno più di 50 €.

Titti scosse il capo. “Lo ignorerò e basta, fine della questione”.

Stavo per ribattere quando la signora Marta si alzò dalla sua sedia di vimini, su cui stava parlando con alcune sue coetanee, e si alzò, chiedendo di essere ascoltata. Così facemmo silenzio.

“Allora, innanzitutto volevo ringraziarvi per avere contribuito ad aiutare gli sfollati a causa del terremoto. E poi volevo dirvi che la serata sta per iniziare sul serio, tra qualche minuto inizieremo i giochi della serata!” annunciò, sorridendo, e squadrandola bene mi domandai se il suo viso non fosse stato corretto da qualche lifting.

Ci invitò ad alzarci ed ubbidimmo. “Speriamo non sia nulla di imbarazzante” borbottò Cristian al mio orecchio, e quel semplice gesto mi fece sentire la pelle d’oca lungo la schiena.

“In tal caso anticipiamo la nostra fuga?” dissi, sorridendo con aria complice, segno del fatto che il mio buonsenso fosse davvero andato a farsi friggere.

“Ci puoi giurare” annuì, mentre ci ammassavamo tutti in un punto. Si parò dietro di me e sentii la sua mano intrecciarsi alla mia. Dopo un attimo di esitazione la strinsi, e sentii il suo respiro vicino al mio collo mentre la confusione si diradava e la signora Marta iniziava a spiegare il meccanismo.

“Allora, dovete dividervi, da una parte le donne e da una parte gli uomini. Ognuno estrarrà un numero da questo cesto” e qui indicò due urne alle sue spalle, “E farà coppia con la persona dell’altro sesso che avrà lo stesso numero. Una volta stabilite le coppie, visto che siamo in coppie, metà si sfiderà in qualche gioco e metà in un’altra. E alla fine vincerà la coppia che avrà vinto più sfide… Ah, dimenticavo di dire: a fine serata ci dovrà essere un piccolo bacio tra i componenti di ogni coppia, che però potranno scambiarsi alla fine e cedere il bacio a chi ritengono più giusto” terminò con un sorriso.

Mi raggelai udendo quell’ultima affermazione, e per fortuna non presi lo stesso numero di Cristian, che aveva il sei. Presi il nove, e restai sorpresa nel vedere che il mio partner sarebbe stato Marco. E Cristian capitò con Verena.

Bene, bene, ne approfitterò per chiarire due cosette con questo modello apparentemente senza cervello!

“Ma tu sei l’amica di Clementine?” mi chiese Marco avvicinandosi, quando vide che avevo il suo stesso numero attaccato sul maglioncino.

“Si, sono Sabrina”.

“Piacere, Marco”.

“E comunque la mia amica si chiama Titti, non Clementine. Credo che solo il prete che l’ha battezzata l’abbia chiamata così da quando è nata” ribattei.

Lui mi guardò, levando un sopracciglio. “Mia madre la chiama così”.

“Allora sono solo due persone su sei miliardi di abitanti che ci sono al mondo, non fa differenza. O forse per te non conta visto che è una serva?” chiesi.

Stava iniziando la prima gara, che consisteva nel giocare al gioco della memoria con delle carte appese a un tabellone che però contenevano dei nomi di varie materie, e chi riusciva ad indovinare due carte con la stessa materia doveva rispondere ad una domanda circa quella stessa disciplina. C’erano già dodici coppie, nessuno avrebbe notato la nostra assenza.

“Che vuoi dire?” domandò, guardandomi come se l’avessi offeso a morte.

“Dico che secondo me dovresti chiederle scusa, non è colpa sua se ha bisogno di lavorare per mantenersi, è la persona migliore del mondo! E’ orfana da quando era piccolissima e tutto quello che ha ce l’ha perché se l’è sudato, non perché hanno dei genitori come me e te molto benestanti!” dissi infervorata.

Marco mi guardò perplesso, prima di pararsi una mano davanti. “Senti, moralista, io non ho fatto nulla, intesi?”.

Risi. Una risata vuota, di ghiaccio. “Ma si, certo. L’hai solo obbligata a servirti un drink quando sai che è qui in veste d’ospite e non di inserviente e da quando hai saputo quale lavoro svolge in casa tua la tratti con indifferenza. E’ colpa sua se non eri al corrente di ciò che faceva?” continuai. Quel tipo mi stizzava al massimo.

Esitò, prima di sbuffare. “E’ che la tua amichetta mi ha dato l’impressione di una ragazza distinta, carina, ci siamo parlati qualche volta e credevo che me l’avrebbe detta una cosa simile”.

“Ma qual è il problema? Non puoi parlare con le persone se non sono ricche come te?”.

Restò un po’ zitto prima di sospirare. “E’ una cosa mia che non sono tenuto a dirti. Grazie per la strigliata, mi comporterò al meglio con Titti, ok?” sbottò.

“Buon per te” gli risposi.

“Ora se ti dispiace vorrei andarmene da questa serata insulsa” si congedò, e se ne andò, senza nemmeno avvertire la madre. Almeno, non avendo più il partner, avrei avuto la scusa per non giocare.

Presi posto su una delle sedie, dopo che mia mamma mi ebbe domandato cosa ci facessi da sola, mentre parlava con un gruppo di signore, non partecipando ai giochi anch’ella, finchè non venne quella Verena a disturbarmi, prima dell’inizio del secondo gioco.

“Scusami, tu che avevi lo stesso numero del mio ragazzo Marco, mi sapresti dire dove…?”.

“Non lo so, è il tuo ragazzo, non il mio, e non ho la facoltà di leggere nel pensiero purtroppo” ribattei, acida.

Il mio ragazzo Marco, sentitela! Che marchi a fare il tuo territorio? Non ho certo intenzione di rubartelo…

Lei mi guardò, offesa, e se ne andò, lasciando la festa a sua volta.

“Ehi, hai fatto scappare la mia partner?” mi domandò Cristian, ridendo.

“Scusami, se ci tenevi a lei te la faccio ritornare”.

“Ma che, mi hai fatto un favore…” ribattè. “Che dici, evadiamo visto che siamo senza nessuno?” propose, gioioso.

Annuii rapidamente, così salutammo mamma e Titti per poi andarcene, con ancora i due numeri attaccati alle maglie.

“Aspetta”.

Eravamo nel retro del giardino quando si sentì una musica dolce provenire dalla festa.

“Cosa devo aspettare?” chiesi.

Lui sorrise, passandosi una mano tra i capelli. “Ti va di ballare un po’ con me?” propose, avvicinandosi e prendendomi per la vita.

“Qui?” chiesi, cercando di non andare in fibrillazione, indicando quel po’ di parte di prato che ci circondava.

“Si, qui” ribadì.

“Ok…” acconsentii, così alzai le braccia e le attorcigliai dietro al suo collo. Sentirlo così vicino a me, le sue braccia stringermi, il suo sorriso ipnotico, il respiro fresco, mi faceva letteralmente andare in tilt, tanto che non mi preoccupai nemmeno di riconoscere il titolo della canzone. Poi all’ improvviso mi voltai.

“Che c’è?” chiese lui, allarmato.

“No, niente, mi sentivo osservata, sarà stata solo un’impressione” minimizzai, e continuai a godermi quel lento. Non mi ero mai lasciata andare totalmente con lui, e solo in quel momento capii il perché: stargli così vicino mi faceva sentire estraniata dal mondo, felice… Provavo un qualcosa di unico che al confronto del semplice vivere mi sembrava decisamente dieci e mille volte meglio.

Ma, come tutte le  cose belle, la canzone terminò. “Andiamo, che dici?” domandò.

“Si…”.

Salimmo in auto, e sentivo un’atmosfera strana, diversa: sembravamo complici, più uniti rispetto al solito.

“Ti va se ti porto in un posto diverso?” domandò, facendo un sorriso malandrino.

“Se sorridi così mi spaventi… Devo fidarmi?” risposi, pur sempre sorridendo.

“Se  ti fidi di me, devi”.

“Mi fido di te…”.

Si girò e mi sorrise, come se gli avessi detto chissà che cosa. “Allora perfetto”.

Mi continuai a domandare dove fossimo diretti finchè non fermò l’auto e mi fece segno di seguirlo, davanti un cancello.

“Ma questa è una villa! Privata” aggiunsi, vedendo dei nomi scritti vicino il citofono.

“Lo so”. Cacciò un mazzo di chiavi e aprì il cancello.

“Certo che la tua è una mania! Ti diverti a collezionare le chiavi delle case altrui! Prima la mia dependance, poi questa villa…” elencai, stupita.

“Preferirei avere la chiave del tuo silenzio a volte. Ma anche quella del tuo cuore” aggiunse, abbassando lo sguardo verso di me e guardandomi intensamente.

“Oh. S-Sul serio?”. Dire che balbettavo e mi sentivo imbarazzata era ben poco.

Ma lui- e lo odiai per questo- si limitò ad annuire e ad aprire il cancello, facendomi entrare. Mi aveva appena detto che voleva la chiave del mio cuore e mi lasciava così, senza aggiungere altro, come se mi avesse chiesto le previsioni dell’indomani!

“Questa è la villa di una coppia di amici che sono in viaggio di nozze, e  tre volte a settimana vengo qui a curargli le piante, tutto qui. Tornano domenica” spiegò. “Vieni” aggiunse, e mi fece segno di seguirlo fino ad una piccola scala che si trovava su un albero.

“Ma cos’è…?” chiesi.

“Una casa sull’albero che hanno costruito per i loro futuri bambini, no?” disse, invitandomi a salire.

“Figo, la volevo sempre una quando ero piccola…” ammisi, così lo raggiunsi, finchè non ci trovammo seduti nella piccola casetta, vedendo tutta la villa con tanto di giardino dall’alto.

“Ci salgo sempre qui, e volevo farlo anche con te” rivelò, voltandosi verso di me e guardandomi con intensità.

Mi passai una mano tra i capelli, troppo ubriaca di attenzioni ricevute tutte in una volta. “Come mai?” chiesi con finto tono casuale.

“Semplicemente perché mi piace stare con te, e sto cercando di fartelo capire in tutti i modi. Ci sto riuscendo?”.

Esitai, colta all’improvviso da quelle meravigliose parole. “Dipende… A volte mi fai capire che ti spiace stare con me come semplice amica, altre mi sembri più equivoco, come con la frase della chiave del mio cuore… Cosa devo pensare, Cristian?”.

Il mio tono era ormai supplichevole, avevo lasciato ogni cautela, m’importava solo di mettermi l’anima in pace nel caso di una risposta negativa…

“Devi pensare che mi sorprendi sempre di più, che adoro il tuo modo di fare e che l’ultimo mese è stato magnifico grazie a te, Sabrina. Io… Non sono bravo in queste cose… Mi nascondo sempre dietro qualche battuta, e poi sembro ritirarla, ma solo perché… Oh, al diavolo! La vorrei sul serio la chiave del tuo cuore, credimi, averti solo per me, poter sapere che se sorridi è grazie a me, ma… Dimmelo se ho rovinato tutto con questa mia dichiarazione ” disse subito, improvvisamente impaurito.

M’immobilizzai, sentendo il respiro mancarmi. “Oh, ecco, lo sapevo, scusami, so che…”. Mi guardava spaventato, con gli occhi impauriti, finchè non mi aprii in un sorriso e gli accarezzai il viso.

“Ma sei scemo? Non hai rovinato un bel nulla, forse solo la situazione cardiaca del mio piccolo cuoricino, ma figurati! Io speravo che mi dicessi queste parole” ammisi.

Cristian trattenne il fiato, prima di sorridermi e avvicinarsi di più a me. “Non sai che sollievo” mormorò, e vidi staccarsi il sei attaccato al petto, girarlo e attaccarlo sotto forma di nove, facendo si che fosse identico al mio.

“Scusa, ma mi sento un po’ codardo e ho bisogno di una scusa per… Insomma, quelli con lo stesso numero dovevano… Ricordi?”. Era proprio imbarazzato, e solo in quel momento mi ricordai le parole della signora Marta circa il bacio di fine serata tra quelli che avevano lo stesso numero.

“Cristian! Non permetterti di usare una simile scusa!” lo rimproverai, e ridemmo. Da quel che sapevo, anche mio padre aveva usato una scusa del genere per cercare di baciare mia madre la prima volta, dicendole che le avrebbe dato il caffè che desiderava solo se l’avesse pagato con un bacio.

Mi appoggiai contro di lui, e lo sentii accarezzarmi i capelli. Alzai lo sguardo e lo vidi guardarmi fisso con i suoi magnifici occhi color miele.

“Sei ancora più bella al chiarore della luna” sussurrò, chinandosi su di me.

“Lo sei anche tu. E…” presi la chiave del motorino dalla tasca, sicura di averne una copia a casa, e gliela diedi. “Ecco la chiave del mio cuore”.

Ci sorridemmo, finchè lui non si calò ancora di più su di me e  le sue labbra non sfiorarono le mie. Erano calde, meglio di come immaginavo, e le sentii schiudersi con dolcezza. Feci lo stesso, passandogli una mano tra i capelli e accarezzandoli con voluttà, mentre lui mi cinse la vita con le mani, facendo aderire i nostri corpi.

Quel bacio divenne magicamente passionale, e ci staccammo solo qualche secondo, per sorriderci e riprendere un po’ di fiato, mentre lui riponeva la chiave in tasca e riprese ad abbracciarmi, mentre io lo ribaciavo, questa volta con più sicurezza, conscia del fatto che potevo essere testimone del fatto che almeno una volta nella vita la fortuna e l’amore avevano trovato la mia strada e avevano permesso che le incrociassi.

continua...

Qualche Anticipazione:

“Lo dicevo io, che qualcuno mi ha rubato il posto. E sappiate che vi tengo d’occhio” disse, puntando l’indice e il medio prima contro i suoi occhi e poi contro di noi.

*°*°*°*°*°*

“Gab, smettila, non è…”.

“Guarda che so tutto”.

*°*°*°*°*°*

Alla fine non ce la feci più, e il mio urlo riecheggiò per tutta la stanza, per tutta la dependance, forse per tutta la villa.

 

milly’s space:

salve ragazze! purtroppo non mi funziona la tastiera del pc e ora sto scrivendo con quella su schermo… per cui scusate se non rispondo alle vostre recensioni. vi ringrazio per i dolci commenti che mi lasciate cap dopo cap e spero che questo vi sia piaciuto! dal prossimo però si cambierà atmosfera, eheh!

spero che mostrandovi altre foto mi farò perdonare ^^ :

Andrea  da giovane: http://2.bp.blogspot.com/_FxaAe6kUPN8/SShXpiVh5XI/AAAAAAAAB2s/GZosrmCyPfs/s400/Antonio+Maggio+2.jpg

Titti: http://1.bp.blogspot.com/_A70LjEkUHNQ/SbauJabnkzI/AAAAAAAAA-E/c5BsZGrslwM/s320/jessica-szohr+image.jpg

http://lh3.ggpht.com/_ZZ-CqtHjAnk/SIyiDw9fz6I/AAAAAAABKUw/IqqFyaiFWx8/Jessica%2BSzohr%2Bgossip.jpg

Marco: http://snarkerati.com/movie-news/files/2009/06/cam-gigandet.jpg

http://images2.fanpop.com/images/photos/5500000/Cam-Gigandet-james-5516118-416-556.jpg

nel prossimo cap vi mostrerò deb e qualche altro veterano!

a sabato,

la vostra milly92.

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Capitolo 7
*** Impossibile ***


Impossibile

“Quando morirò andrò in paradiso

 perché il mio inferno lo sto vivendo qui”.

Jim Morrison

 

Capitolo 7

Impossibile

L’indomani, dopo essere tornata a casa alle due passate, stavo ancora dormendo quando fui svegliata dal mio cellulare che suonava con insistenza. Lo cercai a tastoni sul comodino, e quando riuscì a prenderlo me lo trovai in mano al rovescio. Sbuffai e risposi, girandolo.

“Pronto?” chiesi, con la voce ancora impastata dal sonno.

“Sabri, Sabri! Non ci puoi credere, devo raccontarti una cosa! Puoi venire da me, così possiamo parlare per bene?” esclamò Titti, con uno squittio nella  voce che avevo sentito solo quando aveva vinto 200€ con un Gratta e Vinci.

Udendo quella frase mi ricordai degli accaduti della sera prima- non che li avessi dimenticati, per carità, più che altro stentavo ancora a crederci- e mi aprii in un sorriso beato e diabetico. “Anche io devo dirti una cosa!” esclamai.

“Si? Allora muoviti, dai!” mi incitò.

“Ok, ma vengo tra un’oretta… Ho alcune cose da fare” dissi, così staccai la chiamata e, invece di alzarmi, mi ributtai sul letto. Chiusi gli occhi e rividi il viso di Cristian, ripensai a cos’era successo la sera prima, ai magnifici momenti passati dopo il nostro primo bacio… E dopo il secondo, il terzo e così via… Alla fine constatai che non m’importava un accidenti del fatto che fosse una sorta di coinquilino, di ciò che avrebbero potuto dire i miei. Ero solo stramaledettamente felice, diamine, e sentivo che niente e nessuno mi avrebbe potuto togliere la mia gioia, in nessun modo.

Guardai l’orologio, erano le otto e dieci. Feci una rapida doccia, mi truccai un po’, indossai una vestina di jeans con degli stivali neri, mi pettinai i capelli e scesi giù.

Trovai un biglietto appeso al frigo.

Sono andata ad iscrivermi ad un concorso letterario con Paris e papà è a un’intervista a Latina. Ci vediamo stasera. Ci sono le lasagne nel forno, devi solo riscaldarle. Un bacio, mamma.

“Meglio così!” dissi, visto che Gabriele era a scuola, così mi affrettai ad uscire di casa.

Camminai lungo il giardino finchè non mi sentii afferrare per la vita, nei pressi del garage, mi voltai e vidi Cristian sorridermi. “Buongiorno” sussurrò, trasmettendomi una felicità innata. Un saluto non mi era mai parso così bello, dolce e solare.

“Buongiorno” risposi, cercando di mantenere la calma e attorcigliando le mani attorno le sue braccia che mi stringevano.

“Stavo per venire da te, ho visto Gabriele e i tuoi uscire…” sussurrò, facendomi girare verso di lui e portando una mano calda nei pressi del mio viso.

“E hai pensato bene di farmi compagnia?” domandai, con aria innocente quando in realtà mi sentivo febbricitante. Era sul serio tutto vero, sul serio ci teneva a me, era proprio lui quello che mi teneva stretta contro di sé e che mi guardava come se fossi una delle cose migliori del mondo.

Invece io? Chissà che espressione avevo! Il pensiero di essere goffa o troppo sfacciata sembrò annebbiarmi il cervello per una frazione di secondo.

“Come hai fatto ad indovinare?” chiese, ridacchiando, per poi prendermi per le mani e trascinarmi nel garage.

“Intuito femminile” risposi, ma già mi sentivo partita per un altro pianeta visto che lui continuava a guardarmi con quell’aria così sexy e mi stava spingendo con dolcezza verso la parete. I suoi occhi color miele parvero intrappolarmi in una sorta di rete magnetica e mi domandai come avevo fatto  a credere di non sopportarlo per quasi un mese, quando poi, al contrario, ero certa che la mia era stata solo una subdola maschera di ferro che non aveva portato a termine il vano tentativo di celare i miei veri sentimenti.

“Me ne dovresti prestare un po’… Che dici, così funziona?” disse, con aria da finto tonto, e si abbassò verso di me per poi baciarmi.

Fui di nuovo travolta dalle sensazione della sera prima, le sue labbra calde e morbide sembravano nate per adeguarsi all mie, e per accertarmi che fosse di nuovo tutto vero e non frutto della mia subdola e fervida immaginazione, mi appoggiai a lui accarezzandogli i capelli con una mano, mentre l’altra sostava sul suo petto. Dal canto suo fece aderire i nostri corpi, e continuava ad accarezzarmi il viso e a trattenerlo nelle sue mani, come se fossi una bambola di porcellana molto fragile. Fragile però lo ero sul serio, anche se forse stando insieme a lui avrei compreso che dovevo smetterla di essere così insicura. 

“Non lo so ma mi piace questo metodo…” sussurrai senza fiato quando si staccò.

Levò un sopracciglio. “Sul serio? Sicura di essere Sabrina Romani, quella che credeva che fossi un maniaco e che mi disprezzava da morire?” chiese canzonatorio.

“Ah ah ah. Potrei tornare a pensarlo se fai così” ribattei, incrociando le braccia.

“No, per l’amor del Cielo, no. Mi sento un uomo diverso da quando so che sono ricambiato, non voglio tornare alla Guerra Fredda”.

“Bene…”.

Ci guardammo con aria complice, e quasi quasi mi ero dimenticata dell’appuntamento con Titti. Quando ero con lui dimenticavo tutto e tutti, mi sembrava strano che solo qualche giorno prima avessi ammesso con me stessa- e soprattutto al mio orgoglio- che quel ragazzo non mi era assolutamente indifferente.

Ancora presa dal suo sguardo lo attirai a me e lo baciai, sempre stretta a sottiletta contro il muro, finchè ad un certo punto non sentii un piccolo fruscio, e poi dei passi che si bloccarono.

Terrorizzata, lo allontanai da me, senza badare alla faccia confusa che aveva fatto a causa di quel gesto,  ma era troppo tardi: papà ci guardava a bocca aperta, le mani penzoloni, lo sguardo prima scioccato poi all’improvviso turbato e severo.

“Quando il gatto non c’è il topo balla” disse semplicemente, ma con una strana nota nella voce. Non di rabbia, ma quasi come se si fosse offeso e avesse subito un torto.

“Papà…” sussurrai, tra l’imbarazzato e il preoccupato, senza sapere cosa dire. Non mi aveva mai beccata in atteggiamenti simili con un ragazzo in venti anni di vita, ed ora ecco che l’aveva fatto, e per di più mentre mi sbaciucchiavo con il tipo a cui aveva affittato la dependance, che considerava come uno di famiglia e con cui spesso passava del tempo illimitato davanti al tv o per una partita a poker.

“Andrea, scusaci…” provò Cristian, sbiancato e improvvisamente a due metri di distanza da me, imbarazzato fradicio.

“Scusarvi di che? Posso capire, queste cose le ho fatte prima di voi ma… Cristian, potrei vederlo come un colpo basso. Insomma, portare mia figlia qui, in un garage, quando io e mia moglie non ci siamo… Devo pensare che vuoi solo divertirti e prenderti il gioco di lei?” lo rimproverò, questa volta più austero, incrociando le braccia.

Un attimo... Come faceva a sapere che era stato lui a condurmi nel garage?

Come se avessi formulato la domanda ad alta voce, papà disse: “Vi ho visti dal cancello, prima. Ho dimenticato la mia pen drive a casa con delle basi sopra”.

“Papà, ti prego, Cristian non aveva nessuna intenzione cattiva, vero?” chiesi conferma poi, quasi minacciosa.

“Si. Sul serio, Andrea…”.

Papà ci guardò per un po’, poi scrollò le spalle. “Lo dicevo io, che qualcuno mi ha rubato il posto. E sappiate che vi tengo d’occhio” disse, puntando l’indice e il medio prima contro i suoi occhi e poi contro di noi.

Se ne andò e mi sentii uno schifo, a disagio. “Merda” imprecai.

“Ci parlerò io stasera, promesso. Ora devo andare a casa di mia madre, mi ha invitato da lei, dice che deve parlarmi urgentemente…” disse.

“Ok. Ma ti dispiace ridarmi un secondo la chiave che ti ho dato ieri? Era del mio scooter e non ricordo dov’è la copia. Devo andare da Titti”.

“Ti do un passaggio io,  se vuoi”.

“No, grazie. Se papà è ancora lì e mi vede salire in auto con te è la fine” sussurrai, così lui annuì e dopo aver frugato un po’ nelle tasche mi restituì la chiave.

“Tanto la chiave del tuo cuore è sempre mia, no?” domandò.

“Si…”.

“Vale lo stesso per me. Ci vediamo per l’ora di pranzo”.

Sperando che papà non ripassasse, mi alzai sulle punte e lo salutai con un bacio, annuendo, prima di salire sul mio scooter e uscire dalla villa.

Mi sentivo davvero strana per l’episodio di papà, ora lo avrei sempre avuto con il fiato sul collo, ma quando raggiunsi casa di Titti misi da parte la preoccupazione e bussai alla sua porta.

“Sorellina!” mi accolse, stritolandomi in un abbraccio. “Non puoi capire che è successo ieri…”.

“Anche tu!”.

Ci guardammo, poi lei disse: “No! Non mi dire che… Cristian ha fatto qualcosa?”.

Annuii. “Si! Ha detto che lui è interessato a me, che vorrebbe la chiave del mio cuore…  Ci siamo baciati… E papà ci ha appena beccato in garage!” aggiunsi. Dicendo una notizia del genere avrei dovuto tremare di paura, invece sembravo trionfante come una delle eroine di qualche film d’azione.

“Nooo! E invece… Indovina un po’?” chiese, con gli occhi che le brillavano.

La guardai interrogativa.

“Cosa?”.

“Ieri, quando stavo tornando a casa mi sono trovata Marco alle calcagna, ha detto che gli hai parlato, lo hai rimproverato e mi ha spiegato che… Insomma, ci è  rimasto male perché è interessato a me e il fatto che non fossi ricca gli complicava le cose, ma ora vuole uscire con me e… Mi ha detto che mollerà Verena!” esultò.

“Nooo!”.

Avete presente quelle adolescenti quattordicenni che i vedono nei peggiori telefilm che esultano come delle ochette schiave dei loro ormoni in preda ad una forte ribellione? Ecco, quelle eravamo io e Titti al momento, contente che per una volta la nostra vita sentimentale non andasse a rotoli, che per fortuna qualcuno di decente l’avevamo trovato. Ma non sapevo che il problema più che altro sarebbe stato tenerselo, almeno per me. E di certo non per colpa mia.

 

Tornai a casa per pranzo, e restai stranita quando vidi che la dependance era vuota. Probabilmente la madre lo aveva trattenuto per pranzo, mi dissi, eppure pensavo mi avrebbe chiamata in una simile eventualità.

Sabri, piantala! Non sai nemmeno se state insieme e già fai l’appiccicosa?

Ebbi una sorta di brivido, mentre ci riflettevo. Giusto, mi ero lasciata baciare e cose simili senza sapere cosa eravamo, quale rapporto c’era tra noi. Poi sorrisi, dicendomi che avremmo chiarito al più presto, e preparai la tavola e riscaldai le lasagne giusto in tempo per l’arrivo di Gabriele.

“Quella stronza della professoressa di latino mi ha messo cinque” brontolò, sedendosi a tavola di malumore, con i capelli castani più scompigliati del solito.

“Oh, mi dispiace” borbottai, quando avevo altro per la testa.

Gabriele mi guardò stralunato. “Cosa? Cioè, non mi fai la tua solita ramanzina sul fatto che il latino è importante quasi quanto la matematica, che in futuro mi servirà, che aiuta a riflettere e bla bla bla?” chiese incredulo.

Sbuffai e lo guardai male. “No, credo che sei maturo abbastanza per saper rimediare la prossima volta” decisi di dire, visto che in sapevo che se avessi detto cose che implicavano l’essere grande e maturo si sarebbe auto glorificato e montato a tal punto di non infastidirmi più.

“Hai ragione. Ma ti vedo strana” aggiunse.

“Gab, smettila, non è…”.

“Guarda che so tutto”.

Mi voltai così di scatto verso di lui così forte che per un secondo temetti di essermi procurata uno strappo bestiale al collo. “Cosa sai?” chiesi, cercando di risultare tranquilla ma fallendo clamorosamente.

Lui scrollò le spalle, frugò nella tasca, prese il cellulare e, dopo aver premuto dei tasti, me lo porse.

“Leggi” mi invitò.

Ubbidii , e mano a mano che proseguivo nella lettura sentivo varie sensazioni: imbarazzo, rabbia e chi più ne ha più ne metta.

Stamattina ho beccato tua sorella e Cristian che si baciavano nel garage. Quando torni da scuola fa che non resti da sola con lui, seguila dappertutto e accertati che Cristian non la voglia prendere solo in giro. Ovviamente renderò con la chitarra nuova.

Da: Papà

Alzai lo sguardo, infuriata, e stavo quasi per gettare il cellulare in aria quando lui mi bloccò. “Ha detto che mi compra la chitarra, mica il cellulare nuovo!” mi ricordò, cercando di metterla sullo scherzo.

“Non fare l’idiota! Non ci posso credere! Ho venti anni, diamine, la deve smettere di farmi perseguitare…” sbottai frustrata, alzandomi di scatto e iniziando a girare attorno al tavolo della cucina per il nervosismo.

Gabriele prese a seguirmi e mi bloccò per il polso. “Sabri, sai che non lo ubbidirei mai. Anzi, sono secoli che voglio che ti trovi un ragazzo così diventi meno acida, e perché dovrei farti da spia quando finalmente ti sei decisa a stare con Cristian? Mi piace, è un tipo ok” ammise, sorridendomi incoraggiante.

Tirai un sospiro di sollievo, cercando di non ricordarmi la parte “meno acida”,dicendomi che Gabriele restava sempre il mio soldato di battaglia preferito e insormontabile alleato, e, presa da un moto di affetto, lo abbracciai, anche se ormai dovevo alzarmi sulle punte per riuscirci a causa dei suoi quasi dieci centimetri in più a me.

“Grazie. E poi, non so nemmeno se stiamo insieme… E’ successo tutto così in fretta” ammisi. “Se vuoi la chitarra te la compro io” aggiunsi.

Lui sorrise. “Ma che, fingerò di esserti stato alle costole per tutta la giornata” disse, facendo l’occhiolino.

Risi, prima che lui aggiungesse: “Ma ora mi spieghi tutto!”.

Pensavo che confidarmi con mio fratello sarebbe stato imbarazzante, invece fu una cosa… Normale, naturale, anzi, era un ottimo pubblico, non mi metteva affatto in soggezione.

Ormai aveva sedici anni suonati, era ovvio che anche lui comprendesse questo genere di cose, così alle fine, dopo che ebbe finito di dirmi le sue impressioni- che Cristian era stracotto di me, che non mi avrebbe preso in giro e che mi avrebbe chiamato a breve- fece una pausa e disse: “Anche io ho una novità su Belle”.

“Si?” chiesi curiosa, rapita dall’aura di fiducia e comprensione reciproca che ci aveva avvolti.

“Si. Ieri, dopo scuola, mi ha fermato e…”. Divenne tutto rosso, e vidi i suoi occhi brillare.

“E…?” lo incitai.

“Mi ha baciato così, all’improvviso, in un modo che mi ha lasciato senza fiato. Lo stesso modo con cui avrei voluto baciarla io ” sussurrò, rapito da quei ricordi.

“E allora?”. Non capivo perché mi sembrava un Leopardi particolarmente bello e senza gobba, con una malinconia evidente negli occhi.

“E allora ha ammesso che gli piaccio ma mi ha proposto di vederci di nascosto perché… Avevi ragione tu, lei mi vede come un parente e non voleva fare una sorta di scandalo o cose simili, quindi mi sono arrabbiato e le ho detto di lasciarmi in pace perché si vedeva che non ci tiene sul serio a me se ragiona così. Io per lei farei di tutto” disse, avvolgendosi il capo con le mani con fare frustrato.

“Oh, Gab, le parlerò io, stai tranquillo” sussurrai, stringendolo a me.

Alzò lo sguardo e scosse il capo. “No! No, non le devo dare importanza, io… Devo dimenticarla… E stasera esco con una del secondo anno, sai?” aggiunse.

“Ma la smetti? Queste ripicche non servono a nulla, tu cerchi di convincerti che lo fai perché questa ti interessa quando invece lo fai solo per cercare di far ingelosire Belle” gli feci notare, e lui annuì.

“Lo so, lo so…” mormorò. Non so per quanto tempo restammo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, finchè lui non accese la tv e iniziò a guardarla, ed io decisi di andare a controllare se Cristian era tornato.

Inutile dire che non c’era.

Aspettai invano fino a quella sera, mentre Titti mi bombardava di sms circa l’uscita con Marco, e alla fine decisi di provare a chiamarlo.

Il cellulare squillava, ma lui staccò la chiamata per tre volte prima di spegnerlo.

Ecco. L’ennesimo sogno infranto. Si è reso conto che non sei il suo tipo, sei una mocciosa con otto anni in meno con cui deve convivere fino a giugno e non gli va di impegnarsi con te…

Mi venne da piangere numerose volte al pensiero di quelle parole, e mi ritirai in camera mia fino alle otto, ora in cui decisi di farmi forza ed entrare nelle dependance con le mie chiavi.

Non so perché, ma iniziai a frugare nei cassetti e nelle stanze, convinta che avrei trovato una risposta a tutto il suo comportamento anomalo, finchè non giunsi al suo portatile che giaceva su un mobile nella sua stanza, stranamente acceso.

C’era una nuova e-mail, recitava il display, così mi decisi a leggerla, infischiandomene del fatto che quella era una vera  e propria violazione della privacy e che Cristian mi avrebbe potuto beccare se fosse entrato in quel momento. 

Iniziai a leggere, e mano a mano che continuavo nella lettura la mia mano raggiungeva sempre di più la mia bocca per coprire le urla che minacciavano di uscire. Alla fine non ce la feci più, e il mio urlo riecheggiò per tutta la stanza, per tutta la dependance, forse per tutta la villa.

 

“Cosa è successo?”.

Papà, mamma e Gabriele mi stavano venendo incontro mentre io camminavo, anzi, sbandavo e brancolavo nel buio del giardino di casa con un foglio in mano.

Alzai lo sguardo, sentendomi sempre più intontita, e guardai papà con odio. “Questo dovresti dirmelo tu! Sei un bugiardo schifoso! Sei un lurido verme…” strillai, avvicinandomi verso di lui e iniziando a colpirlo debolmente con calci e pugni, per quello che la mia parte razionale ancora lucida mi permetteva di fare.

“Sabrina, ma sei pazza?” disse mamma, allontanandomi da papà.

“No, è tuo marito che è pazzo! Sei un falso! Come hai potuto! Ci hai fatto credere che amavi solo la mamma, e invece… Ora capisco tutto!” continuai a strillare, brandendo il foglio come se fosse un’arma particolarmente letale e allo stesso tempo causa di grandi sofferenze, mentre papà mi guardava confuso e cercava di calmarmi.

“Tesoro, ma cosa dici…? Hai bevuto?” domandò, avvicinandosi e mettendomi una mano in fronte come per vedere se fossi febbricitante.

Non risposi, continuando a guardarlo in cagnesco, mentre mamma mi toglieva il foglio da mano, decisa a scoprire qualcosa in più, e iniziava a leggere ad alta voce.

“Lasciatela in pace, ora vediamo cos’è che l’ha sconvolta, magari una articolo di giornale” propose, cercando di restare calma. “Allora… Caro Cristian”.

A quelle parole l’attenzione salì a mille, mentre io continuavo a guardare papà con odio. “Mi dispiace dirti che in questi giorni ti ho messo delle sorte di spie alle calcagna per sapere delle cose in più su di te, cerca di comprendermi, ci siamo incontrati dopo ventotto anni e ogni volta che ci vediamo mi sembra di sapere sempre troppo poco sul tuo conto. E, stanotte, uno di loro mi ha mostrato una foto in cui balli con la figlia dei Romani, Sabrina. Non va bene, ed ora ti spiego il perché”.

Eco perché la sera prima, mentre ballavamo, avevo avuto l’impressione di essere osservata. Ci stavano spiando.

Mano a mano che mamma leggeva il suo cipiglio diventava sempre più curioso, proprio come succedeva a papà e Gabriele. “Ti ho invitato a casa oggi, ma non so se riuscirò a dirti la verità, per cui te la scrivo via e-mail per essere sicura di avvertirti in tempo. Vedi, c’è un motivo per cui ti ho inviato a casa Romani, un motivo per cui ti ho consigliato Debora come insegnante di inglese. Sai che in venti anni di carcere mi sono ammalata e aspetto il trapianto di fegato da mesi, per cui volevo il meglio per te. E con questo intendo dire che speravo che la famiglia di Debora si sarebbe presa cura di te se io dovessi morire, perché… Perché c’è un motivo per cui sono andata in carcere, c’è un motivo per cui rivolevo a tutti i costi Andrea Romani tutto per me. Lo rivolevo perché mi ero resa conto, dopo anni di distanza, di rivolerti al mio fianco e volevo crescerti insieme a tuo padre. E credo proprio che tuo padre sia lui, Cristian”. Le parole le morirono in gola e sbiancò, guardando mio padre con un’aria da svenimento.

E lui invece fece un’espressione stupita. “Ma è uno scherzo!” esclamò, indietreggiando.

“Non credo” biascicò mamma, mettendosi una mano sul cuore. “Oddio”. Respirava a fatica ed io la feci appoggiare addosso a me, mentre ormai non ero più la sola a guardare papà in cagnesco.

Gabriele prese la situazione sotto controllo e riprese a leggere il foglio, cercando di restare lucido suo malgrado, e proseguì a leggere con voce tremante. “Siamo stati insieme per un po’ prima che lui si mettesse con Debora, ed io scoprii di essere incinta dopo che ci lasciammo. Nessuno sa della mia gravidanza, infatti in quel periodo non mi mostrai in pubblico proprio perché non volevo far parlare i giornali su di me e soprattutto che Andrea lo venisse a sapere. Ero giovane, e avevo deciso di darti alla luce per poi farti adottare visto che sapevo di non saper essere una buona madre.  Perciò, non devi affezionarti a Sabrina, ricorda che è tua sorella sanguigna e non puoi permetterti di innamorarti di lei. Poi spero ne parleremo meglio dal vivo, Cristian. Scusami. Non avercela con Andrea, lui non sa nulla. Ma sappi che tutti i miei  sbagli li ho commessi solo per il tuo bene. Con affetto, mamma. L’e-mail proviene da irenemassa@mail.it”.

Ormai mamma sembrava priva di sensi, bianca come un cencio, gli occhi prima socchiusi, poi dilatati, il solo udire quel nome parve riempire il suo corpo di un veleno corrosivo, e si accasciò sul prato che ci circondava. Il suo sguardo sembrava perso nel vuoto, e probabilmente sapevo a cosa stava pensando: tutte le sofferenze e i momenti di buio che aveva vissuto a causa di quella Irene Massa, ormai confermata come madre del ragazzo di cui mi ero innamorata. Mio fratello. Il solo pensarlo mi fece rabbrividire, era una cosa incestuosa!

“Ora capisci? E’ mio fratello! Ed io l’ho baciato! E tu…” strillai ancora, senza riuscire a calmarmi e motivata ancora di più allo stato di shock di mia madre. Gabriele cercò di bloccarmi, sempre più intontito.

“Sabrina, smettila, lui non è mio figlio!” esclamò papà, turbato e sudando freddo. “Non è possibile…”. Si avvicinò a mamma e iniziò a scuoterla con decisione. “Debora, guardami! Sistemerò tutto, è un malinteso, Cristian non è mio figlio! Sai con quanta gente è stata Irene dopo di me, all’epoca?”.

“Che ne sai tu?” sbottò mamma, addolorata, con una voce cinica al massimo. “Io… Non ho parole… Credevo che la tua famiglia fossimo noi e invece….”. Abbassò lo sguardo e lo respinse mentre continuava a cercare di stringerla a sé con una sorta di disperazione.

Mi voltai verso Gabriele e l’unica cosa che gli riuscì di fare fu mettermi una mano sulla spalla, cercando di celare tutte le emozioni che stava provando senza successo.

“Abbiamo un fratello, ti rendi conto? Il passato di papà ci perseguita” sussurrò, come se fosse in trance.

“Mi rendo conto! Sono pazza, non c’è altra soluzione, io… Come ho fatto ad innamorarmene? Non posso! Mi sento un mostro!” biascicai, buttandomi a mia volta a terra.

Ecco perché Cristian aveva lo stesso colore di occhi di papà, della stessa sfumatura color miele. Ecco perché avevamo otto anni di differenza. Papà dopotutto era stato fidanzato con mamma per sei anni ed si era lasciato con Irene da circa un anno e mezzo prima di mettersi con lei. Ora tutto tornava, e io mi sentivo stupida per non averci pensato. Ma quale mente contorta può arrivare a una simile soluzione?

“Andrea, io devo andare da Irene. Basta. Credevo che il carcere le sarebbe bastato e invece… E’ anche colpa tua, anzi, soprattutto tua, se siamo in questa situazione! Lasciami stare!” urlò mamma, spingendo con forza papà che cercava di farla ragionare, ed io subito fui al suo seguito.

“Mi dici come facevo a saperlo io? E poi, ti ripeto, non è mio figlio e  basta!” continuò a urlare papà mentre ci allontanavamo.

Eravamo quasi vicine al garage quando ci bloccammo, prese dalla visione da coloro che ci stavano davanti.

L’avevo vista mille volte sui giornali, ma dal vivo era ancora più terrificante. Nonostante i 48 anni e la malattia, Irene Massa, accanto a suo figlio, sembrava una di quelle streghe dei film maledettamente affascinanti, con i capelli biondi  e un po’ bianchi avvolti in una crocchia, un abito indaco lungo quasi fino ai piedi e le mani sottili, magre e fin troppo lunghe. Ci guardava decisa, e il suo sguardo parve risentito ma allo stesso tempo colpito quando, alle nostre spalle, scorse papà e la sua fotocopia genetica alias Gabriele.

“A quanto pare il tuo passatempo preferito resta comunque rovinarci l’esistenza” sbraitò freddamente mamma, mentre io afferravo la sua mano e guardavo Cristian che esibiva un’espressione quasi maledetta.

“No. I guai che vi ho creato esistono solo perché cercavo di proteggere l’unica creatura che abbia mai amato sul serio nonostante non ne conoscessi volto e aspetto. Credo che tu mi possa capire, no, Miss Bontà?” rispose tranquillamente Irene, facendo segno con il capo verso Cristian, che girò lo sguardo altrove, cercando di celare i suoi occhi rossi e gonfi.

“L’hai amato così tanto che l’hai abbandonato, che brava” ribattè papà, avanzando.

Era ufficiale, il mio mondo e la mia famiglia erano decisamente sconvolti. E la mia certezza di aver trovato l’amore scomparve dopo nemmeno ventiquattr’ore, certa che se le cose sarebbero continuate così non mi sarebbe rimasta nemmeno una famiglia da amare.

Continua...

 

Milly’s Space:

Giuro che sono la prima ad essere sconvolta, non odiatemi!

Oh, che maleducata, scusate. Non vi ho nemmeno salutato. Ciao ragazze, come state? Tutto bene? Spero che questa iper notizia non vi abbia sconvolto così tanto da rovinarvi la giornata (ma quanto sono egocentrica?! -.-‘).

Era strano che in questa ultima parte di questa piccola “saga” non cacciavo una delle mie “beautifulate” (ma che termine è?! xD) non trovate?

E così, Irene torna a rompere. Scommetto che non vi è proprio mancata! Ormai malata di fegato, ha deciso di essere sincera con Cristian e la povera Sabrina è in totale crisi perché scopre di essersi innamorata di un suo probabile fratello. Non vorrei essere nei suoi panni.

Ma dite che ho esagerato al riguardo?

Comunque, grazie alle 22 persone che hanno messo la storia tra i preferiti e le 12 che l’hanno messa tra le storie seguite. E, ovviamente, a coloro che hanno recensito:

CriCri88: Si, la scelta di Cam per Marco mi è stata suggerita dalla mitica vero15star e non poteva darmi un consiglio migliore, eheh! Intanto ha detto a Titti che mollerà Verena per lei… E Cristian che si incarta anche secondo me è adorabile, nonostante la sua età molto matura riesce ad essere ragazzino anche in questo. Spero solo che non mi manderai mille maledizioni per l’accaduto di questo cap! (*incorcia le dita*) Un bacione!

lillay: Si, dolce Cristian, vero? Purtroppo che ora c’è in mezzo questo fatto che probabilmente è il fratello di Sabrina… La scusa del gioco la volevo mettere da secoli in una fic, e questa mi è sembrata la più adatta! E riguardo Irene, avevi intuito qualcosa di giusto, brava! Un bacione!

piaciuque: E chi non morirebbe vedendo al foto di uno come Cam?! Hai tutta la mia comprensione, eheh! Mi fa piacere che le foto ti sembrano azzeccate, e spero che anche questo cap ti sia piaciuto! Un bacio.

Angel Texas Ranger: Millynula? Mi piazeee, sisi ^^ xD Coomuqnue… Anche a me “Blu profondo” è piaciuto quando l’ho visto, due Natali fa, anche se alcune scene erano un po’ troppo per una fifona come me e il finale mi ha lasciato un po’…. delusa, ecco. Ma è bello sapere che i capitoli continuano a paicerti, sul serio *_* Un bacione!

Riguardo la foto di Deb, mi dispiace ma devo ancora trovare un’attrice adatta per lei. E’ che ormai ci sono così affezionata che la considero una persona esistente sul serio e quindi impossibile da imitare. E’ una pazzia, lo so.

Purtroppo, l’ottavo capitolo e i seguenti sono ancora da scrivere, sigh, quindi non so quando aggiornerò, ma sappiate che prima o poi lo farò… Speriamo più prima che poi, certo xD

E dopo questa bellissima battuta, vi saluto donzelle!

milly92.

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Capitolo 8
*** La Notte Degli Imbrogli ***


La Notte Degli Imbrogli

“E' una bella

prigione , il mondo”.

Shakespeare , “Amleto”

Capitolo 8

La Notte Degli Imbrogli

La luna illuminava il viso perlaceo di Irene, rendendolo ancora più bianco e smorto, sempre più terribilmente inquietante. Se avessi seguito il mio primo istinto, probabilmente si sarebbe ripetuta la scena di poco prima- quella in cui cercavo di colpire stupidamente mio padre- con l’unica differenza che il soggetto che avrebbe subito le mie azioni sarebbe stata proprio la donna avanti a me, che al momento appariva così fragile e priva di forze. Ma mi bastò vedere il modo in cui la guardò Cristian per provare uno strano senso di paura nei suoi confronti, un modo strano, sia di completa sottomissione che disapprovazione misto a voglia di essere in tutti i posti del mondo tranne che lì.

Tuttavia, dato che cercavo in tutti i modi di riuscire a respirare per bene e a cercare di non ricordare i momenti intimi passati con Cristian ogni volta che lo guardavo, decisi di dire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarmi a sentirmi meglio. “C-Come fa a sapere che Cristian è sul serio nostro fratello? Onestamente non mi va di rovinarmi la vita a causa di una sua semplice supposizione” sussurrai, ma in contrasto a tutto il silenzio che si era formato probabilmente tutti mi avrebbero sentito anche se avessi solo pensato quella domanda.

Irene incrociò le braccia, e, cosa assurda, rise. “Mi fai tenerezza Sabrina, sei tutta tua madre”.

“Allora è per questo che sta cercando di scombussolare di nuovo la nostra vita? Per colpire me solo perché somiglio a mia madre e non ce la fa più a combattere con una persona della sua stessa stazza, scegliendo come compromesso di prendersela con chi è più piccolo di lei? Perché diavolo questa storia assurda è uscita fuori solo dopo che ha visto che Cristian usciva con me?” urlai, sentendo la rabbia montare di mille e più tacche dentro di me. Per anni avevo sentito racconti crudeli su quella Irene, ma al momento sentivo che i miei genitori erano stati molto garbati quando mi parlavano di lei, non avevano reso in tutto e per tutto il concetto della sua perfidia capace di emergere con un solo minimo battito di ciglia.

Di lei sapevo che era una ex fidanzata papà, ex giornalista per una rivista di cronaca rosa, ballerina e con decine di ruoli svolti nel mondo della tv, e che da quando aveva saputo dell’inizio della storia tra i miei genitori aveva iniziato a rompere le scatole, citando spesso papà come l’uomo più sexy del momento e cose simili nei suoi articoli, finchè, quando papà poco prima di sposarsi con mamma accettò di partecipare ad un reality, arrivò al punto di iscriversi nel cast a sua volta per stargli alle calcagna, approfittando del fatto che avrebbero vissuto insieme ventiquattro ore su ventiquattro. E fu proprio in quell’occasione che, con l’aiuto del ex manager innamorato di mia madre, Alberto Morelli, drogò mio padre e tutta Italia vide delle scene in cui lui tradiva la mamma con lei a causa di ciò. Purtroppo le cose non andarono come previsto da Irene e pochi minuti dopo mio padre reagì male alla sostanza e andò in coma. Solo Dio sa le pene che mia madre passò dopo tutto quel caos, e alla fine riuscì ad incastrare sia Irene che Alberto, e quest’ultimo morì quando mamma era incinta di Gabriele, suicidandosi in carcere. Si, perché alla fine, anche se papà si era risvegliato dopo circa un mese e mezzo, per loro due il carcere era una cosa ovvia da scontare, anzi, per me erano stati graziati. 

Per cui, memore di ciò più della nuova notizia, il mio stomaco si attorcigliò per la rabbia.

“Ecco un’altra cosa che hai in comunque con tua madre, mocciosa. Credi che il mondo ce l’abbia con te, che tutti non abbiano niente da fare tranne tramare contro di te” continuò imperterrita Irene.

“Non ti permettere di parlare così a mia figlia!” strillò mamma, avanzando verso di lei e fronteggiandola.

“Appunto” aggiunse papà, avvicinandosi. “Sei così ridicola ormai, Irene, non sai più cosa inventarti per…”.

“Io non sto inventando nulla. Cristian non è frutto della mia immaginazione, sai?” disse sarcastica, indicando il figlio che ormai seguiva il battibecco guardando in tutte le direzioni tranne verso di me. “Se ricordi bene, una sera di quasi ventinove anni fa venni a casa tua, quella casa che condividevi con gli altri tre, sotto tuo invito. Era Halloween e mi avevi chiesto di presentarmi con un costume seducente, ricordi? E di certo non disprezzasti il costume da scolaretta sexy che avevo indossato, peccato che ti dimenticasti di comprare i pr…”.

Schiaff.

Tonf.

Io e mamma ci guardammo sconvolte mentre Irene se ne stava a terra e Cristian cercava di aiutarla a rialzarsi. Papà sembrava essere in una sorta di trance e Gabriele era quasi arrossito, anche se teneva la bocca semi aperta.

“Sai da quanti anni avevo voglia di darti uno schiaffo?” disse mamma con una voce stranamente tranquilla.

Io invece avevo spinto quell’arpia, non potendone più di quelle parole quasi indemoniate, ragion per cui si ritrovava per terra. Non credevo che sarebbe caduta, mi era sembrato di spingere un rametto di un albero.

“Ma che razza di modi”.

Alzai lo sguardo e guardai Cristian incredula. “Che cosa? Fammi capire, te la stavi godendo mentre tua madre raccontava un episodio di secoli fa con un tono così…”.

“Taci” mi interruppe, amareggiato. Mi guardò per la prima volta negli occhi, e vi lessi uno strano sguardo carico di parole che, tuttavia, non riuscivo ad interpretare. Invece agli innamorati bastava guardarsi un secondo per comprendersi, ecco il segno che non potevamo stare insieme. “Io vado un attimo in bagno se permettete” aggiunse, ed entrò nella dependance, mentre Irene a stento riusciva a stare in equilibrio dopo essersi rialzata.

“Soddisfatte?”  ci chiese in segno di sfida, con odio.

“Certo che no. Sei stata fortunata, sgualdrina che non sei altro. Anche se tutta questa storia è vera tu non ami tuo figlio, tu ami ciò che rappresenta! Non potevi dirlo ad Andrea subito? Non potevi evitare tutta questa messa in scena? Non lo ami e basta, è solo uno dei tuoi giochetti per complicarci la vita” constatò.

“Pensala come vuoi. Fatto sta che la realtà non si può eludere. Lui non può stare con Sabrina…” dedusse, in un modo che mi fece venire i nervi. Sembrava quasi che ci godesse e ciò mi irritava ancora di più.

“Quindi, fammi capire, ti sei resa conto di dover dire la verità a Cristian dopo soli ventotto anni solo perché hai visto che stava instaurando un rapporto con Sabrina?” chiese papà, ridendole quasi in faccia.

Se per tutta la discussione era rimasto zitto, ora sembrava voler cacciare fuori tutto ciò che si era trattenuto dal dire durante le spiegazioni. Sorrideva sarcastico, ed era avanzato pericolosamente, trovandosi quasi faccia a faccia con Irene.

Ella parve abbassare la guardia per un secondo, poi fece un piccolo cenno di dissenso. “Già da tempo dovevo dire questa cosa a Cristian, ma la sua vicinanza con Sabrina mi ha convinto ancora di più a darmi una mossa. Dopotutto sto aspettando un trapianto di fegato e…”.

“E niente, non ci impietosirai facendo la parte della malata terminale” esclamai, incrociando le braccia e guardandola con l’espressione più odiosa che avevo nel mio repertorio. Passare dal darle il lei ad usare il tu era una cosa ovvia, per me. Il lei si da per rispetto, e al momento quell’arpia ossigenata e malevola meritava meno rispetto di una zanzara fastidiosa e particolarmente ronzante.

Irene sbuffò ed indietreggiò, facendo una risata fredda e priva d’allegria. “Credo che la mia presenza qui sia inutile, la verità ve l’ho detta. Vedete voi cosa volete fare….”.

“Ma quale verità?” chiese papà incredulo. “Io non dirò che Cristian è mio figlio prima di aver avuto la prova che lo è sul serio. Mi sembra troppo strano che questa storia spunti fuori dopo quasi trent’anni, e conoscendoti c’è qualcosa dietro”.

Mamma annuì, e per la prima volta dall’inizio di quella discussione gli si avvicinò e gli strinse un braccio, facendo comprendere che condivideva le sue parole. “Infatti. Domani andate a fare il test di paternità e vediamo” disse mamma.

“Come vuoi, ma per me dovresti fidarti. Avete gli stessi occhi…” tentò Irene, come se volesse fingere di essersela presa per la mancanza di fiducia.

“Non mi sembra di avere chissà quali particolari occhi. Guarda, Gabriele è mio figlio ed è la mai fotocopia genetica” ribattè papà, indicando mio fratello, quello con ero certa di essere imparentata, che se ne stava un po’ isolato ad ascoltare la discussione.

“Buon per lui, almeno non ha preso da quella vipera di tua moglie” dedusse lei, e si allontanò, camminando lentamente.

Quindi, matematicamente parlando, quella era un’offesa sia verso mia madre che verso di me, che le assomigliavo molto.

“Calma, Sabri, domani ci occuperemo di questa faccenda” sussurrò mamma, con gli occhi lucidi, trattenendomi per una spalla quando feci per andarle incontro.

In pochi istanti Irene scomparve, inghiottita dal buio.

“Io credo che dovremmo andare a casa e cercare di dormirci su, poi…” sussurrò papà, pallido, ma io lo interruppi.

“Ma come fai? Io non ho mai avuto meno voglia di dormire in vita mia… vado nella dependance” decisi, quando in realtà avevo voglia di gettarmi tra le loro braccia e sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene, che non era niente vero, che avrei potuto continuare a frequentarmi con Cristian.

Cristian. Cristian, il figlio della donna che più odiavo al mondo. Sembrava una maledizione. Se poi ci aggiungevamo il fatto che probabilmente era mio fratello… Il solo pensiero sembrò farmi congelare.

Entrai nella dependance ed ero diretta verso la mia stanza quando sentì un braccio afferrarmi e condurmi repentinamente nel soggiorno.

Trattenni il respiro quando mi ritrovai lo sguardo di Cristian fisso su di me. Le sue iridi color miele sembravano emanare uno scintillio e il mio cuore erse un battito. Nel frattempo, il mio stomaco si contraeva dolorosamente: non potevo più permettermi di provare quelle sensazioni, dannazione, non dopo la rivelazione shock di poco fa.

“Cristian, l-lasciami” sussurrai, quando circa il 75% del mio cervello voleva stringerlo  a me. Mi sembrava impossibile che solo la mattina prima ci eravamo baciati in garage come due adolescenti spensierati e pazzi l’uno dell’altra.

Mi aveva afferrato per un polso e sembrava particolarmente deciso. “Tu hai stampato la mie e-mail. Hai spiato il mio computer” disse.

Rabbrividii. “Si. L’ho fatto, ok? Non ti eri fatto vivo, non sapevo dov’eri, io… Io non sapevo la verità, volevo solo sapere se pensavi ad un’altra…”. Arrossii di botto e abbassai lo sguardo.

Cristian sospirò e dallo stringermi il polso scese verso la mano. “E’ stato un gesto… Carino. Insomma, vuol dire che qualcosa te n’è fregato ma… Scusami se ti ho staccato le chiamate ma non… Cazzo, mi sto impappinando” sbuffò, e si allontanò da me, facendosi aria e sedendosi sul divano.

“Cosa…?” domandai, ancora appiattita contro il muro. “Insomma, parla! Dimmi qualcosa! Forse siamo fratelli e…”.

“Ancora l’hai capito? Mi sa proprio che io e te al momento siamo solo vittime di un progetto di quella stronza di mia madre, sempre se si può definire tale!” urlò lui, non potendone più, rosso in viso.

Feci un passo indietro, senza capire.

“Che cosa?” domandai.

Lui si avvicinò, e iniziò a parlare a raffica, con una gestualità che sfociava nella più sensuale sensualità.

“Allora, io cresco in un orfanatrofio e nessuno se ne frega di me. Faccio i salti mortali per riuscire a diplomarmi, e il doppio per poter vincere una borsa di studio e laurearmi. In tutto questo ho sempre vissuto da solo, ce l’ho fatta con le mie forze e poi, a ventotto anni, dopo che sono riuscito a trovare un posto di lavoro decente, ecco che spunta la mia madre naturale, un ex carcerata malata. Non credo proprio che si sia ricongiunta a me come ultimo desiderio prima di morire, e nemmeno che mi abbia mandato da voi per il mio bene. Secondo me vuole un aiuto economico per pagarsi qualcosa come farmaci e specialisti, tutto qui” disse infine. Aveva parlato molto velocemente, con un sarcasmo palese, ma nonostante tutto era riuscito a imprimere ogni singola sillaba nel mio cervello, senza tralasciarne alcuna.

Lo guardai stupita. “Tu credi?” chiesi poi.

“Ne sono più che sicuro. Senti, io devo togliermi questo dubbio…”.

“Domani farai il test di paternità con mio padre” dissi subito.

Lui fece un piccolo cenno. “Ok, ma sappi che se… Insomma, le parole di quella sono vere, non mi vedrai per un bel po’” decretò, girandosi, per darmi le spalle con la scusa di guardare fuori dalla finestra. “Non ce la farai a starti vicino sapendo di essere tuo fratello, impazzirei” sussurrò.

Quelle parole avrebbero dovuto farmi rendere conto della realtà, che era impossibile e inutile stargli ancora così vicina, ma non ce la feci più e mi avvicinai a lui, stringendolo a me da dietro, appoggiandomi contro le sue spalle larghe e così perfette. Lo sentii irrigidirsi, ma non si mosse, non mi respinse.

“Se vuoi posso andarmene io, è la stessa cosa. Mi faccio schifo da sola ma non ce la faccio a starti vicino se, insomma…” iniziai, ma mi zittii perché Cristian si era girato e al momento mi stava abbracciando, circondandomi e avvolgendomi completamente con le sue braccia invitanti.

Sentivo il battito del suo cuore accelerare in un modo assurdo, proprio come il mio, e non so per quanto tempo restammo così.

Quando ci staccammo sentivo il fiato mancarmi, e ciò era un po’ una contraddizione visto che stare tra le sue braccia mi aveva donato una sensazione di pace che non speravo di poter provare per i prossimi vent’anni.

Ma non so perché, dopo quell’azione, non riuscimmo  guardarci negli occhi.

“Credo che andrò a casa, mamma starà malissimo” sussurrai, mentre mi voltavo.

“Fai bene, ciao” rispose lui, mentre prendeva posto sul divano.

Il mio cervello rischiava di scoppiare tante erano le sensazioni che stavo provando, a tal punto che per un istante mi parve di essere vuota, libera da ogni fardello a causa di tutto quel miscuglio.

Quando entrai in casa trovai la mia famiglia seduta attorno al tavolo della cucina davanti una tazza di camomilla fumante. Se ne stavano tutti zitti, così presi un respiro e mi decisi a parlare.

“Cristian pensa che sia tutto uno stratagemma di Irene per ottenere i soldi per curarsi dalla malattia o per pagare i medici” buttai lì, sedendomi vicino a Gabriele e rifiutando una tazza di camomilla.

“Ci abbiamo pensato pure noi” rispose papà. “Sabrina” aggiunse poi, “Stavo giusto rivangando un po’ il passato per cercare di scoprire se ci sono possibilità minime che Cristian sia mio figlio. Sai quand’è nato?” domandò.

“Il 5 agosto 2010 (*)” risposi automaticamente. Me l’aveva detto qualche settimana prima, non ricordo a proposito di cosa.

Papà fece una faccia un po’ sconvolta. Contò sulle dita innumerevoli volte ma mamma lo precedette, afflitta. “Se quella storia a luci rosse circa la sera di Halloween è vera, probabilmente Cristian può essere tuo figlio visto che è nato proprio circa nove mesi dopo” disse, accasciandosi contro lo schienale della sedia.

“Ma il giorno dopo ci siamo lasciati, chi mi dice che…”.

“Domani sapremo la verità e basta. Io mi pendo un bel sonnifero e vado a dormire, non ce la faccio” lo interruppe lei, e la vidi allontanarsi, salendo le scale che conducevano al secondo piano con un piccolo tremore. Stava singhiozzando.

Papà parve riprendersi da un piccolo shock e corse verso di lei, così restai da sola in cucina con Gabriele. Non facevamo altro che guardarci senza dire nulla, così, non potendone più, andai nella mia stanza e fui sorpresa di trovarvi papà seduto sul mio letto, con il capo tra le mani.

“Papà?” domandai, con voce incerta.

Lui alzò lo sguardo e fece un sorriso triste. “Vieni qui” sussurrò, facendo segno su una parte del materasso accanto a sé, così ubbidii e appena presi posto mi strinse a sé. “Sabri non sai quante cose ti vorrei dire” mormorò, respirando con aria grave.

“Sono qui” dissi, sapendo che facendo la sarcastica o cose simili avrei solo peggiorato la situazione.

“Riguardo stamattina, quando ti ho vista nel garage con Cristian, scusami, so che non dovevo reagire così, so che sei grande e che hai tutti i diritti di avere una tua vita privata, ma mettiti nei miei panni, ti amo come tutti i padri amano le loro figlie e vedere che Cristian riusciva a renderti felice più di me in un certo senso mi ingelosiva. E riguardo Irene… Ognuno di noi ha commesso i propri sbagli. Tu pensi di aver commesso uno sbaglio in vita tua? C’è qualcosa di cui ti sei pentita?” domandò, non con interesse bensì con un modo deciso, quasi come se volesse condurmi a fare un certo ragionamento.

Ci ragionai un po’ su, mentre mi allontanavo dalla presa di papà. “Essermi messa con Brando anni fa, forse” mormorai.

“Ecco. Quella è la stessa cosa che è successa a me”. Lui respirò e mi guardò negli occhi. “Ammetto di aver avuto un discreto numero di ragazze nella mia vita, sai che per un po’ sono stato anche con Rossella, ma dopo l’esperienza di Music’s Planet tutto è cambiato. Lì ho conosciuto tua madre, e per tre anni ho cercato solo di divertirmi per non pensare a lei, dato che tra noi non c’erano stati altro che teneri baci. Cercavo nuove emozioni, per dirmi che il mondo andava oltre ciò che mi avrebbe potuto offrire Debora, e nel frattempo vedevo un numero sempre più vasto di ragazze famose o giù di lì farmi la corte. Ed è lì che è giunta Irene… Era la più bella di tutte, certo, e ammetto che per un po’ siamo stati insieme solo per vantarci con i nostri conoscenti, io per dire di stare  con una bella ragazza, apparentemente perfetta, lei per dire che era riuscita ad abbordare il sex simbol di una boy band sempre più famosa. Ma non ci conoscevamo, non avevamo nulla in comune, e alla fine ci siamo lasciati. Dopo di lei c’è stata qualcun’altra, ma è inutile dire che ho ricominciato tutto da capo quando ho rivisto tua madre dopo tre anni. Sai, forse è ciò che è accaduto a te e a Cristian, nonostante lui sia grande ha scelto te e…”.

“Papà, ma ti rendi conto che mi sono innamorata del mio forse fratello?” lo interruppi, esasperata.

Lui si zittì e sospirò. “Credimi, Sabri, voi non siete fratelli. Irene non può essere rimasta incinta dopo che ci siamo lasciati, ci teneva a me come suo rappresentante nel mondo della tv e non avrebbe esitato a usare una gravidanza per incastrarmi” sussurrò, per convincere più se stesso che me, forse.

Feci un piccolo cenno e lo riabbracciai. “Ma se non è così? Io… Non ce la farei, impazzirei, anche se ormai sono sulla buona strada…”.

“Shh, ora non ci devi pensare. Voglio solo che tu mi comprenda, piccola, e che non ce l’abbia con me. Vederti così paonazza nei miei confronti mi ha fatto davvero male, prima” mi spiegò quando ci separammo nuovamente.

Abbassai lo sguardo, poco fiera di me per la sfuriata di poco prima. “Scusami, ma mettiti nei miei panni…”.

“Lo so e ti capisco, tranquilla. Ora vado da mamma, non voglio lasciarla sola, non vuole più prendere il sonnifero” dichiarò, mi diede un bacio sulla tempia e uscì.

Dal canto mio, mi buttai sul letto con fare esausto. La voglia di dormire ovviamente non c’era, ma nonostante tutto spensi la luce e mi infilai sotto le coperte per la temperatura un po’ bassa nonostante non fosse ancora iniziato ottobre, vestita di tutto punto.

Il mio cervello sembrava un treno, correva da un pensiero all’altro in un modo troppo veloce senza che me ne rendessi conto, e lasciai vagare gli orribili pensieri che mi attanagliavano finchè non restai tra il sonno e la veglia, molte ore dopo.

Sentivo qualcosa di caldo al mio fianco che mi stringeva per la vita, e, ancora mezza assonnata, mi parve di vedere Gabriele. Mi voltai finchè lui non sussultò.

“Ti ho svegliata?”.

Sobbalzai udendo quella voce, e dopo essermi stropicciata gli occhi vidi che quello non era Gabriele, bensì Cristian, con i capelli scompigliati e un’espressione di scuse.

“Che ci fai qui?” chiesi con un tono acuto, nonostante stessi quasi sussurrando.

“Scusami, è che verso l’una sono venuto qui e ho parlato un po’ con Andrea che se ne stava ancora sveglio e mi ha autorizzato a dormire da te visto che non volevo tornare nella dependance” rispose, guardandomi grazie alle fioca luce che proveniva dalla finestra.

Sorrisi a quel pensiero. Che dolce che era stato papà, gli aveva permesso di starmi vicino prima di sapere la verità che forse ci avrebbe divisi per sempre.

“Ah. Comunque non stavo dormendo, credo, ero in una sorta di veglia”.

Cademmo in un silenzio imbarazzato, e ci guardammo con uno sguardo capace di trasmettere il significato di quel silenzio. In confronto a quando, ore prima, stava al fianco di Irene e mi sembrava di non comprendere le parole che voleva esprimere con il solo sguardo, ora eravamo in perfetta sintonia.

“Quante cose vorrei dirti…” mormorò, accarezzandomi il viso con lentezza.

“E allora dimmele” lo incitai, quando non chiedevo altro che poter stringermi a lui e riassaggiare il dolce sapore delle sue labbra. Pensare che circa ventiquattr’ore prima ce ne stavamo nella casetta sull’albero, stretti l’uno all’altra, mi sembrava impossibile.

Ma lui scosse il capo, mordendosi il labbro in un modo che mi fece venire la pelle d’oca. “Ora no. Te lo dirò domani, dopo… Dopo il test”.

Quelle parole mi fecero aprire una voragine nello stomaco, incolmabile, profonda, densa. La consapevolezza di non innamorarmi più nella mia vita se non potevo stare con lui mi travolse come una marea e fu così che mi ci gettai letteralmente addosso, stringendolo a me con una forza che non credevo di poter possedere.

Lui, come quella sera, non si tirò indietro e mi strinse a sua volta con un fare quasi disperato. Sentire il suo fiato vicino al mio collo non mi aiutava affatto, stavo andando in tilt. Possibile che una cosa ti attirava così tanto quando ti veniva negata?

“Sabri, è meglio se ci allontaniamo, sul serio, altrimenti…” sussurrò, tuttavia ancora avvinghiato a me.

“Altrimenti…?” chiesi innocentemente, solo per prolungare quell’abbraccio.

“Altrimenti…”. Aspettai una risposta, ma invano, finchè non sussultai sentendo le sue labbra nei pressi del mio collo.

Restai immobile, mentre una parte di me mi diceva di respingerlo, disgustata, e l’altra chiedeva di più.

Ma, forse proprio per opera del fato, fu un rumore di cocci in frantumi che ci fece separare.

“Che cosa è stato?” chiesi, ma lo domandai al nulla visto che Cristian era già scattato all’impiedi ed era uscito dalla stanza.

Mezzo secondo dopo squillò il telefono di casa, e no so come ebbi il tempo di vedere sull’orologio digitale che si trovava sul mio comodino che erano le quattro e dieci del mattino.

Mi alzai di botto, impaurita, e mi diressi nella stanza di Gabriele, da cui provenivano delle voci. Il pavimento era pieno di frantumi del vaso preferito di mamma, bordeaux e bianco.

Trattenni il respiro vedendo che c’erano due uomini vestiti in nero nella stanza, di fronte a Cristian, uno dei quali teneva una siringa nei pressi del braccio di mio fratello, addormentato e beato. L’altro invece teneva una pistola puntata contro Cristian e, subito, la puntò poi contro di me.

“Oddio!” strillai, e cercai di fermare papà e mamma con lo sguardo, mentre stavano entrando.

Troppo tardi. Mamma stava con il cordless in mano e disse: “Stella e Vittoria sono scomparse! Non sono tornate a casa ieri sera!”. Poi si bloccò, vedendo i due uomini.

Papà la imitò, mentre un’atmosfera gelata riempiva la casa.

“Hazel, cosa fare?” chiese quello che ci stava puntando con la pistola. Nell’udire quel nome ebbi un brivido di pura paura.

L’altro si fermò nell’atto di usare la siringa contro mio fratello, ancora profondamente addormentato- e la cosa mi spaventava, come mai non si era svegliato con tutto quel trambusto?- e fece un sorriso malefico.

“Tutto ok, calma” disse placidamente, esibendo la sua siringa. Era di una bellezza malefica, biondo con occhi scuri che sembravano indemoniati.

“Cosa volete fare?” chiese papà.

“Non importa a te, signore” rispose l’altro uomo, ma Hazel lo zittì.

Si avvicinò e riprese a sorridere. “Voi fare solo ciò che io dire a voi e basta” esclamò con una falsa mielosità che mi fece raggelare il sangue, mentre mi maledivo per non aver scoperto cosa mi doveva dire di così importante Vittoria e che non mi aveva detto.

Ci mancava solo questa, pensai esasperata, mentre sentivo che quella notte non l’avrei dimenticata mai e poi mai. Sempre se arrivavo viva all’indomani, pensai, quando l’altro uomo si avvicinò e mi puntò dritto la pistola alla tempia ,tappandomi la bocca, impedendo al secondo urlo gigantesco di quella serata di fuoriuscire dalle mie labbra.

Continua….

 

(*) Cristian è nato nel 2010 circa, se contiamo che la storia è iniziata nel 2008. Quindi, tecnicamente, siamo circa nel 2038 se ora Debora ha 46 anni e nel 2008 ne aveva 16, si è messa con Andrea circa nel 2011, ma è solo una formalità, di certo Sabrina&Co non sono ragazzi del futuro con robot e iper tecnologie….

 

Ciao girls!

Ovviamente so che l’ultimo capitolo vi ha lasciato sconvolte, e questo probabilmente ancora di più. Siamo entrati nella part “dark” della fic, e mi duole dover scrivere i cap aggiornamento dopo aggiornamento visto che per la prima volta da quando pubblico le fic su Deb&Co non ho i capitoli già scritti a causa della mancanza di tempo.

Comunque, ora scopriamo che non ho messo Hazel in questa storia senza motivo xD Voi che idee vi siete fatte? Cristian e Sabri sono si o no fratelli? Cosa c’è nella testa di Irene questa volta? E cosa vuole Hazel? Lo scopriremo nel prossimo chappy ovviamente, ehehe!

Per chi non ha seguito le altre due fic e vuole sapere qualcosa più su Irene, può andare nel mio account, nella fic “Confessions of a future bride”, e vedere nei capitoli 11, 13,23, 24 e un po’ dal 26 in poi, dove la sua figura è causa di tutti gli avvenimenti.

Poi, finalmente sono riuscita a trovare un’attrice che secondo me riesce a rendere bene l’idea di Deb, ovviamente nella sua versione ventenne…. Et voilà:

http://celebrity-pics.movieeye.com/celebrity_pictures/Mandy_Moore_694317.jpg

http://www.gossipboy.ca/wp-content/uploads/2009/09/mandy-moore-4.jpg

E poi, ecco Gabriele:

http://img2.timeinc.net/people/i/2009/database/taylorlautner/taylor_lautner300.jpg

http://mokshatop.files.wordpress.com/2009/08/taylor-lautner-new-moon.jpg


Comunque, grazie di cuore alle 23 persone che hanno messo al fic tra i preferiti e alle 15 che hanno messo la fic tra le storie seguite, e a coloro che hanno recensito:

Shinalia: Grazie mille, mi fa piacere sapere che tu abbia deciso di leggere questa storia e che ti sia piaciuta. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! ^^

piaciuque: Ciao ^^ Eh si, diciamo che nessuno saprebbe come comportarsi in una situazione del genere, e Cristian e Sabrina hanno deciso di allontanarsi nel caso di una vera fratellanza. E’ bello sapere che un cap così sconvolgente ti sia piaciuto! Grazie mille!

ElseW: Grazie mille per i complimenti, anche se mi dispiace essere la causa di una tua momentanea pazzia xD Credimi, sono la prima ad essere sconvolta di me stessa a delle mie idee criminali, dovete scusarmi ma quando mi vengono queste idee non posso evitare di scriverle. Se sono fratelli o no, beh, lo scopriremo nel prossimo cap! ^^ Ancora grazie mille!

Angel Texas Ranger: Eh, diciamo che la prima spiegazione me la devo dare io da sola per queste idee pazzoidi che mi ritrovo a pensare. Mi sento profondamente in colpa per aver sconvolto tutti i lettori con una simile trovata xD Mi fa piacere che ti sia piaciuto il modo in cui ho descritto il tutto, però, grazie mille ^^ E la spiegazione totale ci sarà nel prossimo cap, promesso. Un bacione!

_piccola_stella_senza_cielo_: Hai ragione, e poi per i miei standard è una cosa assurda vedere che faccio mettere insieme i due protagonisti dopo soli sei capitoli (tipo per fare mettere insieme Deb e  Andrea la prima volta ce ne ho messi 36) quindi era ovvio che ci fosse qualcosa sotto ^^ Per ora non sappiamo se sono sul serio fratelli, avremo più risposte nel prossimo capitolo! Grazie mille per la recensione^^

CriCri88: Ammetto che la tua reazione era una di quelle che più mi incuriosiva, sai? So di essere stata diabolica, e  ti ringrazio se ritieni che sia stata geniale, mi fai arrossire ^^ In realtà già dall’inizio era nei miei scopi far succedere questa cosa, altrimenti per i miei standard è qualcosa di assurdo far succedere qualcosa tra i due protagonisti dopo solo sei cap, non credi? Spero solo che mano a mano la sensazione di shock si allevierà, non voglio essere causa di traumi xD Ti ringrazio ancora, cara, un bacione!

vero15star: Tesoro sapessi quanto mi manchi <3 ! Spero sul serio che riusciremo a sentirci al più presto, anche se grazie a facebook ogni tanto riusciamo a comunicare anche solo mediante un link ^^ Comunque, Marcoplino ha fatto furore, eh si, e ti ringrazio per il suggerimento. Un bacione enorme, ti voglio bene!

lillay: Grazie mille, è bello sapere che il capitolo nonostante la sua tragicità xD ti sia piaciuto! Irene purtroppo quando c’entra in qualcosa non porta mai a nulla di buono U_U Ma nel prossimo capitolo vedremo qual è la verità, e cosa hanno in mente Hazel e l’amico…. Un bacione!

Come sempre non so quando aggiornerò visto che il cap 9 è tutto da scrivere e già incombono le interrogazioni T_T

Un bacione a tutte, chicas!

La vostra milly92.

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Capitolo 9
*** Senza Parole ***


Senza Parole

“Io non voglio insegnarvi la vita

 perché ognuno la impara da sé”

Marco Masini

Capitolo 9

Senza Parole

La sensazione di sentirmi sballottata a destra e a sinistra diventava sempre più lucida e vivida, mano a mano che mi sentivo sempre più cosciente. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che improvvisamente sentivo un freddo micidiale avvolgermi le ossa, e davanti agli occhi- quando riuscii a trovare la forza minima per riuscire ad aprirli un po’- sentivo un qualcosa di strano che poi constatai essere i miei capelli che ricoprivano il volto. Mano a mano la mia vista si abituò a scacciare il buio precedente, e l’unica cosa che vidi fu una luce fioca. Ma mi sentivo le palpebre così pesanti che l’istinto di richiuderli e tornare a dormire si faceva sempre più forte, e le avevo già serrate nuovamente quando sentii un piccolo: “Pssst!”.

Sobbalzai, sentendo quasi quel suono rimbombare nelle mie orecchie nonostante fosse stato appena sussurrato a causa del mio essere intontita, e lentamente riaprii gli occhi. Quello che vidi attorno a me mi fece ritornare mano a mano una lucida consapevolezza che avrei preferito tenere lontana, onestamente, a causa della visione che mi si parava davanti. Di fronte a me c’erano Stella e Vittoria tutte scarmigliate, con indosso vestiti eleganti, con la bocca occupata da un bavaglio.

Al mio fianco sentivo qualcosa di caldo, e quasi ebbi paura di girarmi e vedere chi fosse l’altro soggetto. Però probabilmente già lo conoscevo senza aver bisogno di controllare; tuttavia presi coraggio e nemmeno sussultai vedendo Gabriele appoggiato contro la mia spalla, addormentato e con il viso quasi beato, come se stesse facendo il più piacevole dei sogni.

Solo in quel momento notai che ero stata imbavagliata a mia volta, e il mio sguardo divenne un misto tra paura, voglia di sapere e incredulità.

Vittoria e Stella capirono, perché cercarono di comunicare con lo sguardo la loro evidente preoccupazione. A ciò si aggiunse il fatto che vidi i loro polsi legati con delle corde, e compresi che anche quello stesso trattamento era stato riservato a me dal fatto che me li sentivo indolenziti.

Continuavo a sentirmi sballottata, come se stessi correndo su un cavallo, e compresi di trovarmi su un camion.

C’era una sottile parete che divideva il retro del furgone con i posti guida, e mi accasciai contro la parete di questo, cercando invano di slegarmi i polsi.

Vittoria scosse il capo, come a dire: “E’ inutile, ci abbiamo provato anche noi!” e in quello stesso istante il furgone si bloccò.

Non ci capivo nulla. All’improvviso il ricordo del momento in cui qualcuno mi puntava la pistola contro la tempia si fece più vivido che mai, poi… Poi avevo un buio totale. Mamma aveva detto che Stella e Vittoria non erano ritornate a casa, da quel che riuscivo a ricordare. Ovviamente, facendo i conti, era stato Hazel a farlo insieme al suo complice, ma cosa volevano da noi? Soldi? Era l’unica spiegazione che mi venisse in mente.

“Psss”.

Alzai lo sguardo e vidi che Stella mi guardava in un modo assolutamente concentrato. “Ai inta i ormire, apito? Ome se on ti ossi ‘gliata” sussurrò, per quello che il bavaglio le permetteva di dire mentre sentivamo dei passi scendere dal camion. Per accentuare il concetto piegò la testa di lato e chiuse gli occhi; annuii e ubbidii, dicendomi che darle ascolto era l’unica cosa che potevo fare non avendo nessuna idea mia dal momento che non potevo stabile un piano non conoscendo cosa dover affrontare.

La sentii fare un verso di approvazione e poi le porte del retro del camion si aprirono, rivelando una fioca luce da quel che potei capire a causa delle palpebre chiuse.

Che ore erano? Erano le quattro passate quando quegli sconosciuti erano piombati in casa mia. Improvvisamente sentii una voglia matta di urlare al solo ricordo dei vari accaduti. E pensare che prima di sentire quel rumore di cocci infranti io me ne stavo nel mio letto al caldo, con Cristian che mi stringeva a sé…

Cristian…

Dov’era? Gli avevano fatto qualcosa?

E mamma e papà? Avevano chiamato la polizia? Di certo non se ne stavano con le mani in mano, ovvio. Mi immaginai le loro facce piene di preoccupazione… Quanti fardelli avrebbe ancora dovuto sopportare la nostra famiglia?

Nel frattempo, i due uomini si avvicinarono, e mi sentii sollevare da un paio di braccia forti e possenti. Avrei tanto voluto poter dare un bel pugno a chi mi stava sorreggendo, ma contai fino a dieci mentalmente cercando di calmarmi.

Pochi minuti dopo, mentre i passi degli uomini riecheggiavano come se si trovassero in una sorta di chiesa, mi sentii poggiare su qualcosa di soffice e poi udii il rumore di una porta che si chiudeva.

“Sabri, apri gli occhi”.

Ubbidii subito, e non fui mai più contenta di quella volta in vita mia di vedere Stella, finalmente slegata e priva di lacci. Al suo fianco, Vittoria- con una faccia cadaverica, occhiaie bluastre e gli occhi gonfi- mi si gettò addosso, stringendomi in un abbraccio dalla presa ferrea.

Mi aiutarono a slegarmi quando mi rizzai a sedere per bene sul lettino su cui mi avevano stesa.

“Potete spiegarmi cosa diavolo è successo?” chiesi a bassa voce, con una voce un po’ roca a causa dell’eccessivo silenzio. “E dov’è Gabriele?” aggiunsi, sentendo il cuore mancare di qualche colpo quando non lo vidi.

“Se lo sono portati, non lo so…” rispose Stella, preoccupatissima.

“Oh, Sabri, scusami! Scusami! Non dovevo invaghirmi di Hazel, avevi ragione, mi ha solo usato!” disse afflitta Vittoria, con le lacrime agli occhi.

“Ma potete spiegarmi cosa diavolo è successo stasera?” chiesi, cercando di rassicurarmi che Gab stesse bene e che a breve lo avrebbero riportato da noi. Ci avevano slegate perché evidentemente non avevamo via d’uscita, chiuse com’eravamo in una cella alle mura di pietra, quasi come se appartenesse ad un vecchio castello.

Vittoria annuì prontamente. “Ricordi l’altra volta, quando successe il casino dell’sms?”.

“Si”.

“Ecco, volevo dirti che Hazel mi aveva detto che non gli sarebbe dispiaciuto andare a mangiare una pizza con me, qualche volta. Poi come sai mamma lo ha licenziato, e… E ieri pomeriggio l’ho incontrato all’uscita di scuola. Mi stava aspettando! Non sai come mi sono sentita quando ho visto che mi stava venendo incontro. Mi ha chiesto di vederci quella sera, così ovviamente ho accettato. Siamo usciti e…” qui si bloccò, scacciando ulteriori lacrime.

“E…?” chiesi, decisa di saperne di più.

“Si è comportato bene, mi ha baciato, ma era solo un pretesto per chiedermi di salire a casa sua. Come una stupida ho accettato e… E quando sono salita ho trovato lei  con l’altro, Polsk”.

Mi voltai verso di Stella, e lei annuì. “Ho conosciuto Polsk qualche settimana fa in un locale, e ci eravamo messi d’accordo per uscire. Era così carino, sembrava così bravo… Comunque, sono rimasta stupita nel vedere Vittoria, ma ho capito le loro intenzioni quando ci hanno bloccate e legate. Ci hanno fatto addormentare con dei sedativi credo, proprio come hanno fatto con te e Gabriele. Quando ci siamo svegliate eravamo nel furgone e poco dopo hanno portato su sia te che Gab. Non abbiamo capito cosa vogliono, parlavano nella loro lingua…” disse, scrollando le spalle sconsolata, e mai come in quel momento vidi una Stella ingenua, semplice, umana, a dispetto di quella altezzosa e menefreghista di sempre.

Ci abbracciamo tutte e tre, finchè non sentii un qualcosa vibrare vicino la mia gamba. “Cosa…?”.

Tastai, e fu con grande gioia che scoprii di avere un cellulare in tasca. Ma non era il mio, notai con una nota di stupore, era quello di Cristian! Come facevo ad averlo?

Ma una piccola bolla di speranza prese il sopravvento quando vidi che mi era arrivato un sms. Era da parte del mio numero.

Sabri, dove sei? Sono riuscito a metterti il mio cellulare in tasca quando ti stavano portando via. Hanno chiamato quei polacchi e hanno chiesto un riscatto di 250000 euro per liberarvi, quindi tra un po’ vi raggiungeremo, tranquille, e pagheremo. Cristian.

Più in fretta della luce, sperando che non venissero quei tipi e me lo sequestrassero, mi affrettai a rispondere.

Grazie Cristian per il  cellulare! Noi siamo in una sorta di cella, ma non so dove, con noi ci sono anche Stella e Vittoria e non so però dov’è Gab, se lo sono portati con loro. Per favore fate presto.

Spiegai brevemente la faccenda alle ragazze, che dissero che Cristian era stato un genio, finchè non arrivò un altro sms.

Siete nei pressi di Castel Sant’Angelo, ce l’hanno detto ora e stiamo venendo a prendervi anche se c’è il problema dei soldi visto che speriamo che accetteranno un assegno. Tenete duro, andrà tutto bene.

Feci un sospiro di sollievo. Non vedevo l’ora di rivederlo, abbracciarlo, e potermene stare stretta a lui per ore. La questione del test di paternità quasi sembrava scivolata via dalla mia mente, onestamente, tanto era lo spavento che stavo provando.

Cristian, non ho parole, grazie, sentirti anche solo via sms mi fa sentire meglio. Non dimenticarti che ti voglio bene, mai.

Non potei evitare di scrivere quest’ultima affermazione, solo che mi affrettai a riporre il cellulare nella tasca dopo aver messo il silenzioso senza nemmeno la vibrazione quando udii dei passi vicini. Mi stesi sul letto, e sobbalzai vedendo le facce rudi e malefiche dei due complici mentre riportavano Gabriele nella stanza, finalmente sveglio e cosciente.

“Tutto bene, ora venire vostri genitori, pagare riscatto e voi libere” disse Hazel con la sua solita voce melensa e di una falsa tranquillità tale che ti faceva venire i nervi.

“Riscatto?”. Feci finta di non sapere nulla, ovviamente.

“Si, riscatto. Perché mai allora tu credi che noi abbiamo rapito voi?” rispose quell’altro.

“E perché vi siete intrattenuti con mio fratello?” chiesi.

“Mi hanno fatto parlare con mamma e papà” sussurrò lui, con lo sguardo basso.

Feci un piccolo cenno, e da lì iniziò il periodo dell’attesa. Stando alla ricostruzione dei fatti, quindi, Hazel e complice ci avevano rapiti per ottenere dei soldi, quindi era ovvio che si fossero intrufolati nelle vite di Stella e Vittoria per riuscire  a raggirarle.

Ma perché tutto questo doveva succedere la notte in cui c’era stato il casino della probabile fratellanza nostra con Cristian in mezzo?! Quando si dice il destino…

Intanto, pensare al viso di Cristian, alla sua premurosità, era l’unica cosa che mi facesse sentire bene e tranquilla, e ormai che potesse essere mio fratello, beh, non me ne fregava, nel senso che se avessi scoperto di essere sua sorella, me ne sarei andata in un’altra città pur di non vederlo, perché ero cosciente al 100%  del fatto che vedendolo di continuo non lo avrei mai dimenticato.

Mezz’ora dopo, i due uomini ci trascinarono fuori da quella sorta di prigione, con le pistole puntate contro di noi con aria intimidatoria, e scoprimmo di essere state rinchiuse in una sorta di vecchia villetta.

Inutile descrivere il tuffo al cuore che provai quando vidi l’auto di papà da lontano. Sentii invadermi da un senso di protezione mai visto, e strinsi forte la mano di Gabriele e quella di Vittoria.

Stella sospirò, e ci guardammo. Probabilmente, qualcosa tra di noi era cambiato in quel minimo arco di tempo quando venti anni non erano serviti a farci comprendere un po’ a causa delle nostre diversità eccessive.

Mezzo minuto dopo, la macchina si avvicinò e vidi mamma, papà e Cristian scendere, quando anche altre due macchine parcheggiarono lì vicino, che noi non avevamo visto, anzi notato, a causa della forte gioia. Da una uscirono zia Eva e zio Giuseppe, dall’altra Niko e Eliana.

Io e Cristian ci guardammo in un modo mai visto prima, quasi con una sorta di felicità repressa e lui mi sorrise. In quel momento mi sentii le gambe tremare, e avrei dato chissà che cosa per poterlo stringere a me.

Subito Hazel e Polsk puntarono loro le pistole contro, e vidi papà alzare le mani.

“Va bene l’assegno? Potete controllare” disse, con voce alta e lenta, per far comprendere bene le sue intenzioni. Anche lui aveva una faccia da funerale, bianca come la cera e lacerata dalla preoccupazione.

“Ma certo, signore. Noi sapere che tu ricco e onesto” disse Hazel, sorridendo in un modo beffardo. Vidi zio Giuseppe guardarlo con odio, e potevo comprenderlo: probabilmente si stava anche rimproverando per averlo fatto entrare in casa sua come operaio…

Polsk porse la mano in avanti per prendere l’assegno. “Sai che se tu chiamato polizia noi…”.

“Noi sapere, si, ora però ridacci i nostri figli” s’intromise mamma, impaziente e schernendolo contemporaneamente.

“Ogni suo desiderio è ordine” mormorò Hazel, dopo che Polsk ebbe preso l’assegno e controllato che tutto fosse in regola. Ci spintonò lievemente verso di loro e subito si allontanarono con il loro furgoncino.

Ero decisamente allibita. Non che credessi che sarebbe successo qualcosa come nei film, ma era tutto troppo semplice. Ci avevano lasciato da sole, slegate, ci avevano liberate subito, senza esitazioni… Ma ciò non voleva dire che mi dispiacesse, ovviamente.

Appena incontrai gli occhi della mia famiglia questi pensieri mi abbandonarono e ci trovammo tutti stretti in un abbraccio stritola costole ed infinito.

“Mamma, papà, Cristian!” urlai, mentre questi si dividevano tra me e mio fratello.

“Oh, tesoro, non sai quanto mi sono messo paura!” urlò papà, alzandomi letteralmente da terra.

“Ecco cosa vuol dire essere conosciuti da tutti, se non fossimo stati famosi nessuno avrebbe saputo gli affari nostri…” aggiunse mamma, piangendo a dirotto.

Lei e papà se ne stavano incollati a me e Gabriele, finchè non decisero di vedere anche le condizioni di Vittoria e Stella, che al momento se ne stavano tra urla di sollievo e di rimprovero.

Mi voltai e quando vidi che Cristian mi stava osservando da lontano non ce la feci più e gli gettai le braccia al collo. Non so perché, ma lui prima rispose all’abbraccio e poi mi fece segno di seguirlo nell’auto dei miei. Tutti erano presi dal racconto di Vittoria e Stella così nessuno ci badò.

Non ebbi nemmeno il tempo di chiudermi la porta alle spalle che avvertii un improvviso senso di calore sulle mie labbra fredde e una mano che mi sosteneva per la schiena. Mi sentii il fiato mancare: da quand’era che avevo atteso quel momento nelle ultime ore? Non riuscii a non stringerlo più forte, accarezzargli i capelli. Il mio istinto mi diceva di continuare ad approfondire quel bacio, che al momento sembrava voler abbandonare ogni cenno casto. Cristian mi stava baciando in un modo così caloroso che sentii i brividi lungo la schiena e un caldo opprimente invadermi, ma non so con quale forza lo allontanai da me.

“Non è giusto, è una cosa orribile, forse io e te…” iniziai, decisa, visto che lui mi guardava quasi come se non comprendesse il mio rifiuto.

“Cosa?! Insomma, le cose non cambiano, tu mi hai baciato anche due giorni Fa quando non sapevi tutta questa storia, è la stessa cosa di ora. E poi io sono sicuro che noi non abbiamo sangue in comune, credimi, è…”.

“Cosa ne puoi sapere tu? E poi credi che per me sia facile? Io non chiederei altro che…”.

“Che?” mi chiese con aria di sfida.

“Che ributtarmi addosso a te e farti capire quanto ci tenga, ma non possiamo, è contro natura, è orribile…”.

Lo zittii, cercando di fargli capire quanto lo desiderassi nonostante tutto appoggiandomi contro il suo petto, e lui annuii, passandomi il braccio sulle spalle, finchè quel semplice appoggiarmi non mi portò ad addormentarmi. Si stava così bene lì, al caldo…

Riaprii gli occhi molto tempo dopo, trovandomi Stella e Vittoria nella stessa stanza, entrambe con indosso uno dei miei pigiami. Erano sveglie.

Stella se ne stava seduta sul mio pouf bordeaux e  Vittoria guardava fuori dalla finestra, con un’aria così pensierosa che probabilmente nemmeno un rumore di cannoni l’avrebbe ridestata.

“Ehi” sussurrai, mettendomi a sedere. Mai come in quel momento mi sentivo il peso dell’ultima nottata sulle spalle.

“Oh, ti sei svegliata. Siamo rimaste qui con te…” spiegò Stella.

“Grazie. Ma, perché, dove sono gli altri?” chiesi.

“In ospedale per il test, no?” mi rispose con aria di ovvietà. In quel preciso istante mi sentii investire da un secchio di aria gelata e mi voltai di scatto verso la mia radiosveglia. Erano le dieci e un quarto del mattino.

“Che cosa? E non mi hanno svegliato?” domandai incredula.

Stella si parò le mani davanti, alzandosi e avvicinandosi, per poi sedersi sul bordo del letto.

“Il risultato si saprà tra qualche ora, quindi abbiamo tutto il tempo di vestirci e raggiungerli”.

Feci un piccolo cenno, sentendo l’ansia invaderci. Mancavano poche ore e poi avremmo saputo la verità che ci avrebbe legati o divisi per sempre.

Non aggiunsi nulla, finchè Stella non sorrise. “Insomma, ho saputo che alla fine tu e Cristian avete capito di esservi innamorati”.

“Si, ma non potevamo sapere….”.

“Non ti sto giudicando. Sono l’ultima persona al mondo che può giudicare male qualcuno, per carità”. Fece un sorriso mesto, riferendosi a tutte le bravate che aveva commesso nei suoi primi ventisette anni di vita. “Volevo solo dire che, insomma, è buffo. Ricordi quando io gli sbavavo dietro e tu non lo sopportavi?” mormorò, con aria nostalgica, accentuata ancora di più da una sorta di mezzo sorriso.

“Si, sembra passata una vita! Ne abbiamo combinate di cose…”.

“Eppure alla fine hai trovato in lui il ragazzo che aspettavi, no? La vita è sempre così strana…”.

“E crudele” aggiunsi. “Stella, non so come farò se siamo sul serio fratelli…”.

Lei non disse nulla e mi strinse a sé, accarezzandomi la schiena. Sapevo che non era brava con le parole, ma quei gesti nella loro totalità ci stavano aiutando a costruire un rapporto mai avuto in precedenza.

“Quando vuoi ci iniziamo a vestire” sussurrò.

“Ora” dissi con decisione.

Vittoria si girò e mi guardò. Probabilmente aveva sentito tutto e non aveva avuto la forza di intromettersi nel discorso, presa dalla sua delusione.

Ci vestimmo silenziosamente dopo che ebbi prestato loro qualcosa di mio, e alle undici meno dieci eravamo già in ospedale.

Cristian e papà se ne stavano isolati, raccolti nei loro pensieri, mentre mamma, zia Eva ed Eliana e Niko parlottavano tra loro. Di fronte, seduta da sola su una delle sedie di plastica blu della sala d’attesa c’era Irene. Sembrava preoccupata e si guardava nervosamente intorno.

Gabriele se ne stava appoggiato al muro della sala, immerso nei suoi pensieri, e proprio in quel momento sentii dei passi affrettati verso di noi. Era Belle, con l’espressione più decisa che le avessi mai vista dipinta in volto. I lunghi capelli biondi sembravano volare al vento mentre correva, e in un lampo si gettò addosso a Gabriele, che sembrava sorpreso.

“Ho saputo, mamma e papà stano venendo… Stai bene?” chiese, accarezzandogli il volto. Non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere che aggiunse: “Seguimi un secondo, devo parlarti”.

Lui ubbidì e li vidi allontanarsi. Sorrisi,quando restai ulteriormente sbalordita nel vedere Titti raggiungermi, in compagnia di nientepocodimeno  che Marco.

“Sabri, tua madre mi ha detto! Oddio, come stai?” urlò quasi, gettandomi le braccia al collo. “E’ orribile, un rapimento! E questa storia di Cristian…”.

“Lo so” borbottai.

“Io sono qui, e ho preso qualche giorno di permesso…” aggiunse con dolcezza.

Spalancai gli occhi, con disapprovazione. “Cosa? Ma no, non puoi perdere dei giorni di lavoro per me, io sto bene…”.

“Non mentire”.

“E poi non è un problema, tranquilla, mia madre ha compreso, e se non lo avesse fatto l’avrei convinta io” aggiunse Marco, sorridendomi cordiale.

Lo guardai stupita. “Che cosa?”.

“Si. Devo ringraziarti, Sabrina, mi hai aperto gli occhi, si vede che vuoi davvero bene a Titti” rispose. “Ovviamente, so che può risultare sciocco visto che ci siamo visti un paio di volte ma… Se ti serve un parere maschile ci sono anche io” disse imbarazzato.

Era assurdo, in quel momento sembrava stessero succedendo tutti i miracoli del mondo e l’unica non graziata ero io. “Grazie, Marco” dissi, cercando di dissimulare la mia incredulità.

Ci sorridemmo, poi ci sedemmo. Dieci minuti dopo Gabriele ritornò al fianco di Belle, entrambi raggianti.

Cristian ogni tanto mi lanciava qualche occhiata ansiosa, mamma cercava di sfogare il suo nervosismo parlando a tutto spiano, papà se ne stava zitto con il capo tra le mani e Irene scriveva furiosamente qualcosa su un block notes.

Era ormai l’una passata quando arrivarono i risultati. In quello stesso istante vidi un’Irene più inquieta che mai lasciare qualcosa sul suo sediolino ed uscire dalla stanza di corsa, come una furia, l’espressione del viso celata dai capelli, mentre papà leggeva il risultato.

Non riuscivo a capacitarmi che mancavano pochi secondi per tracciare il destino mio e di Cristian, eppure avvertivo un altro senso di inquietudine attanagliarmi lo stomaco.

Vidi papà passare il foglio a Cristian. Si guardarono, e Cristian restò immobile.

“Allora…?” chiese mamma.

“Io… Io…”.

“E’ mio padre” concluse per lui Cristian, abbassando il capo e stringendo i pugni.

Inutile dire cosa provocarono in me quelle parole. Era come se un maremoto si fosse impossessato del mio stomaco, anzi, un vero e proprio Tsunami. Le orecchie mi divennero di fuoco, proprio come il resto del corpo, quando in realtà dentro sentivo un gran gelo,  e tutte le voci che mi circondavano divennero improvvisamente confuse.

Era finita. Non avrei mai più conosciuto l’amore in vita mia, ne ero certa.

Corsi via dalla stanza, fino a giungere in una sorta di terrazzo dell’ospedale. Ero così scombussolata che ci impiegai qualche secondo per comprendere che c’era qualcuno dall’altra parte della ringhiera che si affacciava su tutta Roma. Un qualcuno con i capelli biondi e il corpo esile.

Irene.

“Ma che fai? Non sei contenta? Avevi ragione, lui è mio frat…”.

Urlai come una forsennata. Irene, dopo essersi girata verso di me e avermi guardato con intensità e aver sussurrato un deciso: “Scusa”,  si era lasciata cadere in avanti, come se si fosse tuffata in mare, e avevo sentito un forte tonfo.

Si era suicidata! Si era gettata da lì sopra come se nulla fosse!

Mi affacciai e repressi un ulteriore urlo nel vederla senza vita, stesa sulla via che stava di sotto, con gli occhi sbarrati. Impossibile, si era tolta la vita da sola! Ma perché?

“Sabrina!”.

Mi voltai, vedendo Cristian che mi veniva incontro con un foglio di carta in mano. Mi vide sconvolta, e ovviamente pensò che fosse dovuto alla notizia finchè non gli feci cenno di guardare giù. Trattenne il respiro e assunse un’espressione sconvolta.

Ritirò lo sguardo, con una sorta di pura paura dipinta in volto.

 “Mi dispiace, non ho potuto fare nulla…”.

Lui parve essere senza fiato. “A-Allora l’ha fatto s-sul serio…”. Alcune lacrime gli solcarono il volto e mi porse un foglio. Quello stesso foglio su cui Irene aveva scritto prima di fuggire via.

 

 

Hola chicas!

Scusatemi per il mostruoso ritardo ma purtroppo, come ho anche scritto nell’account, non ho avuto un attimo libero fino ad oggi a causa della scuola e dell’influenza che mi ha attanagliato per una settimana. Per fortuna ora sto bene e oggi ho fatto la prima interrogazione di italiano, che mi è andata molto bene, fiuuu!

Poi… Sono consapevole che questo è stato un altro capitolo shock. Il rapimento, il riscatto, la paternità di Andrea… E Irene che si suicida. Secondo voi cosa avrà scritto su quel foglio?

Comunque, volevo anche aggiungere che mi è venuta l’idea per un’altra storia di cui oggi ho scritto solo il prologo, e vorrei lasciarvene un pezzettino per vedere cosa ve ne sembra, anche se ovviamente la scriverò quando avrò tempo e dopo il piccolo periodo di pausa che avevo deciso di prendermi:

 

Presa da un’idea improvvisa, mi diedi della stupida per non averci pensato prima e chiamai il mio migliore amico di sempre, Marco, che probabilmente era l’unica persona al mondo che mi avesse mai presa sul serio nonostante la nostra lontananza.

“Marco, preparati. Da domani la tua migliore amica abiterà nella tua stessa città” dissi convinta appena rispose alla chiamata.

“Che cosa?”. La sua voce matura, ma tuttavia con un qualcosa di affascinante, era iper sorpresa. “Sei impazzita?”.

Risi. “No, non ce la faccio più a stare qui. Voglio venire da te, così potrò recuperare il tempo perso con Luna e…”.

“E pensi che lei sia disposta a chiarire? L’ho vista l’altro ieri, e mi sembra davvero felice da quando vi siete separate” mi tenne presente, con aria seria. “Ormai sembra nemmeno più badarmi quando la infastidisco…”.

Scossi il capo, ricordando il rapporto di puro odio che c’era tra il mio migliore amico e mia sorella gemella. Entrambi stracolmi di orgoglio fino alla punta dei piedi, entrambi con una sorta di vena tormentata che li caratterizzava, entrambi facilmente soggetti ad incomprensibili sbalzi d’umore. Era ovvio che si odiassero, solo gli opposti si attraggono, come si dice.

“Non m’importa. Ho deciso. Ti va di venirmi a prendere alla stazione, domani?” chiesi poi.

“E me lo chiedi pure?”.

 

Spero mi farete sapere cosa ve ne sembra e se vi ha incuriosito! Ho già in mente molte idee…

 

Comunque, grazie mille alle 19 persone che hanno messo questa storia tra le storie seguite e le 24 che l’hanno messa tra i preferiti, e ovviamente coloro che hanno recensito:

piaciuque: Chi è che resta immune davanti ad una foto di Taylor Lautner? ^^ Comunque, per ora il test di paternità dice che sono padre e figlio, quindi non possiamo dire nulla. Ma ovviamente bisogna anche vedere cosa ha scritto Irene su quel foglio, eheh!

xsemprenoi: Mi dispiace ma il test ha stabilito che sono fratelli purtroppo… Ho aggiornato con un po’ di ritardo a causa delle varie cose che ho elencato sopra, ma spero sia valsa la pena attendere! ^^

lillay: Hazel&co volevano solo dei soldi per quel che sappiamo, anche se Sabrina ritiene una cosa strana che subito si siano fidati dell’assegno… E da quel che sappiamo purtroppo sono fratelli, sigh… Ti prego, non lapidarmi via monitor xD

CriCri88: Eheh in effetti anche io ti devo molto perché supplicandomi mi hai convinto ad elaborare un’altra delle mie diabolicità… xD Beh, ora sai cosa voleva Hazel, e spero che anche tu non ti aggiungerai al club delle lapidatrici via web per ciò che ho scritto circa il test di paternità *_* Idiozie a parte, grazie mille per i complimenti e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto… ^^

Angel Texas Ranger: Ci credi se la prima ad essere sconvolta sono io? Non avevo mai messo pistole e scene d’azioni simili, se così si possono chiamare, nelle mie storie precedenti… Ma spero tuttavia che questo stato di shock passi in fretta altrimenti mi sento dieci volte più in colpa! xD

paragni: Eheh, sono d’accordo con te, è difficile scegliere chi dei tre sia più figo ihih! La scena in cui Cristian dice che Andrea l’ha lasciato dormire da Sabri l’ho messa proprio per far capire che Andrea ha capito che deve smetterla di fare il gelosone, ha subito un’evoluzione come padre in questa fic e volevo farlo notare. Ti ringrazio per i compimenti ^^

 

Spero di aggiornare presto, anche se non vi prometto nulla, ma vi dico che il prossimo cap sarà l’ultimo prima dell’epilogo…

Nel frattempo, eccovi altre due foto:

Vittoria: 

http://media.panorama.it/media/foto/2009/02/03/49885816c61f3_normal.jpg

 

Stella: 

http://l.yimg.com/l/tv/us/img/site/18/20/0000041820_20070801145008.jpg

 

Adiòs, os quiero!

la vostra milly92

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Capitolo 10
*** La Mia Vita E’ Un Carnevale ***


La Mia Vita E’ Un Carnevale

“No hay que llorar
Que la vida es un carnaval
Y las penas se van cantando”

 “Non si deve piangere
Perché la vita è un carnevale
E le angosce se ne vanno cantando”

Celia  Cruz

 

Capitolo 10

La Mia Vita E’ Un Carnevale

 I postumi della visione in cui Irene si suicidava si fecero sentire con una sorta di scoppio ritardato. Improvvisamente, dopo essermi riaffacciata e ignorando Cristian  -mio fratello Cristian- che cercava di porgermi un foglio e aver rivisto il corpo esanime di Irene mi sentii mancare. Troppi avvenimenti sconvolgenti avvenuti in pochissimo tempo.

“Sabrina…”.

“Cazzo, Cristian, taci! E’ appena morta tua madre ed io sono tua sorella, quindi penso di essere ufficialmente autorizzata a trattarti come tale e a tornare a non tollerarti se…”.

“Sabrina, non ci capisco più nulla! Muoviti, leggi cosa c’è scritto!” urlò lui, afferrandomi per un braccio con una potenza innata e obbligandomi a leggere ciò che c’era scritto sul foglio che mi porgeva.

Lo guardai male, quasi come se tutta quella questione fosse colpa sua, come se lui avesse deciso di chi essere figlio… Sua madre si era gettata da metri e metri di altezza  e lui pensava ad un foglio? Sbuffai, sentendomi tremare tutta e cercando di togliermi la visione di Irene morta dalla mente, ma senza successo. Era morta una donna, diamine! Nessuno accorreva? Nessuno da sotto l’aveva vista buttarsi?

Cristian improvvisamente si appoggiò alla ringhiera, cercando a sua volta di non guardare giù. Chiuse gli occhi e sospirò. “Sabri, leggi, c’è scritto il tuo nome sopra, scritto da mia madre che si è appena suicidata. Vorrà pur dire qualcosa, no?” cercò di farmi ragionare.

“Ma dobbiamo chiamare qualcuno, dobbiamo dire cosa è successo…”.

Possibile che non capiva? Di certo quella era una semplice e futile lettera di scuse, per ampliare quelle che mi aveva sussurrato prima di morire.

Per questo, due minuti dopo mezzo ospedale se ne stava a guardare imbambolato il corpo della donna e il capo della clinica rimproverava l’addetto alle telecamere per essersi distratto per la pausa pranzo e non aver visto la donna che si gettava da lì sopra. Controllarono e videro che non ero assolutamente responsabile della morte, e non so descrivere com’era l’atmosfera quando tornammo a casa a causa dei numerosi paparazzi a caccia di notizie e della polizia.

“Non ci posso credere” borbottò mamma per la decima volta, quando ci ritrovammo tutti riuniti nel nostro soggiorno con Niko, Stella e gli altri.

Tutti guardavano Cristian come se fosse un alieno, finchè lui non sbuffò e mi strappò il foglio che tenevo in mano senza ancora averlo letto.

“Ma cosa..??” chiesi, indispettita, anche se non riuscivo a guardarlo dritto negli occhi. Come avrei potuto? Il nostro destino era stato segnato e non potevamo continuare a stare vicini a lungo, dovevamo allontanarci, dividerci, sperando che il famoso “lontano dagli occhi, lontano dal cuore” funzionasse… Ma, onestamente, avevo i miei dubbi a riguardo per quanto mi riguardava.

“Faccio quello che avresti dovuto fare tu da un bel po’ e anche se questa lettera è indirizzata a te, penso di avere i diritti necessari per leggerla visto che resto sempre suo figlio”. Sembrava davvero scocciato, e di certo non riuscivo a dargli tolto. Dal canto mio ero così confusa che non riuscivo a stabilire un pensiero fisso nella mia mente, ero troppo agitata dato che la notizia della nostra fratellanza era pazzesca e per di più non avevo mai visto morire nessuno, quindi figuriamoci com’era stato per me vedere un suicidio.

Così Cristian iniziò a leggere sotto lo sguardo apprensivo di tutti.

Restai sbalordita quando lo vidi sorridere all’improvviso. Mi prendeva in giro? Come si faceva a sfiorare un sorriso anche solo con il pensiero in una simile situazione?!

“Lo sapevo! Lo sapevo!” urlò, voltandosi verso Gabriele. “Fammi vedere le braccia, muoviti!” gli intimò.

Ero totalmente convinta che stesse scherzando, o che al massimo fosse una conseguenza dell’eccessivo shock.  Gabriele, che se ne stava da più di un’ora attaccato a Belle, lo guardò senza capire. “Ma che…?”.

“Muoviti, fa ciò che ti dico!”. Lui ubbidì e fece una faccia sconvolta.

“Mi sono punto?!” chiese al nulla, inarcando le sopracciglia,, quando vide il suo braccio destro.

Io non ci capivo più nulla: Cristian avevo obbligato Gabriele ad alzarsi e a mostrare a tutti il suo braccio in cui era visibile una parte su cui c’era un piccolo livido e il segno di una minuscola puntura.

Tutti continuavamo a non capire e Cristian sorrise. “Lei  ha falsificato tutto. Tutto. Insomma, Sabri, ti sei mai chiesta perché quei due polacchi hanno intrattenuto Gab?!”.

Esitai. “Per farlo parlare con voi al telefono, no?” risposi.

“No”.

Cristian continuò a sorridere, mentre papà lo guardava a sua volta senza capire.

“Cristian, per l’amor del cielo, puoi…?”.

“Ora leggo” si decise a dire, e la concentrazione di tutti i presenti divenne quasi palpabile, accompagnata da un enorme silenzio. Cristian prese la lettera tra le mani e iniziò a leggere dopo essersi schiarito la voce.

Sabrina, tutto questo casino è iniziato via e-mail e così deve finire, anche se questa è una semplice lettera. Sei troppo giovane per comprendere il delirio interiore che sto vivendo, e comunque non ti auguro di vivere mai un simile momento in tutta la tua esistenza. Dire che mi sento in colpa è riduttivo mentre vi vedo tutti assorti nella vostra preoccupazione, per il semplice fatto che questa è stata causata da me. Scusami. Voglio vuotare il sacco una volta per tutte. Per prima cosa, stanotte tu, tuo fratello e quelle due ragazze siete state rapite solo ed esclusivamente sotto mio ordine, sono io che ho commissionato Hazel e Polsk. Ovviamente ti starai chiedendo il perché… Beh, in primis, cosa di cui non sono mai andata fiera, come tante altre cose del resto, per avere i soldi necessari per curarmi e pagare il viaggio in Canada che avrei dovuto fare per curarmi a causa della mia malattia al fegato, poi… Poi perché in questo modo avevo un’ulteriore scusa per raggiungere il mio scopo principale”.

Cristian si bloccò e alzò lo sguardo per riprendere un po’ di fiato.

“E’ stata lei a farvi rapire?!”. Inutile dire che mamma era ancora più scioccata e si accasciò contro la spalla di papà, che le accarezzò dolcemente i capelli, con un’aria grave mai vista stampata in volto.

Cristian decise di continuare. “E sai qual era lo scopo principale? Falsificare il test, rapirvi con Gabriele e fargli prelevare del sangue mentre era addormentato e voi ve ne stavate in un’altra cella in modo da far sì che tecnicamente il test lo facesse Gabriele e non Cristian” .

Silenzio. Trattenni il respiro dato che mi sentivo mancare l’ossigeno. Mi alzai in piedi, ma subito ricaddi sul divano a causa delle gambe che tremavano come se mi trovassi in bikini in una zona ghiacciata dell’Alaska.

Avete presente quella sensazione magnifica che si prova quando sai che devi essere interrogato al 99% su qualcosa che non sai e per una volta quell’unico 1% prevale sulla probabilità e te la scampi? Quando vai in Inghilterra in pieno inverno e trovi una giornata iper soleggiata? Quando vinci alla lotteria dopo aver buttato i numeri a casaccio? Ecco, io mi sentivo mille volte così. Come se all’improvviso dentro di me si fosse sciolto un ice-berg a causa dell’elevata temperatura a cui lo sottoponeva una giornata estiva a Madrid che superava i 47° C. Come se improvvisamente mi sembrasse strano che per una giornata intera mi fossi sentita oppressa, triste e arrabbiata con il mondo. Era tutta una messa in scena. Era una bugia, uno stratagemma, un’assurdità. Mi poggiai una mano sul cuore e a stento sentii i commenti increduli di coloro che mi circondavano.

Cristian sorrideva felice mentre mamma e papà si abbracciavano senza parole e Gabriele mi correva incontro, non badando più al suo braccio.

Titti e Marco si guardavano intorno senza capire, proprio come tutti gli altri. Eppure, quello fu il momento più pazzo della mia vita, nel senso che la sensazione che provai, per quanto strana, non la dimenticherò mai per la sua stravaganza e per la gioia infinita con cui l’avevo accolta.

“Cosa potevamo aspettarci da lei?” chiese retorico Cristian. “Ma se volete, la lettera contin…”.

Non terminò la frase perché io mi ci era letteralmente gettata addosso, con una forza e uno slancio tale che entrambi barcollammo, ridendo. Non m’importava di nulla, tranne che potevo continuare a stare con l’amore della mia vita senza alcuna interruzione.

“E’ tutto finito?” chiesi in un sussurro, infischiandomene delle occhiate dei presenti, che alla fine decisero che tirava troppo vento dalla finestra di quella stanza e andarono in cucina per bere qualcosa, anzi, pranzare, visto che mamma e papà, presi dalla gioia, li avevano invitati a restare a pranzo.

Lui prese il mio volto tra le sue mani e mi guardò fisso negli occhi. Quelle iridi color miele, come mi era mancato specchiarmici dentro!

“Ci puoi giurare… Ricominciamo da capo?” domandò con un tono di voce che al momento non potevo non giudicare sensuale.

“Perché, abbiamo mai iniziato?” chiesi, tra il serio e il divertito.

“Hai ragione… Sabrina, vuoi concedermi l’onore di diventare la mia ragazza?” chiese, con quel suo sorriso che amavo così tanto, proprio come ogni singola parte del suo essere. “Va bene così?” chiese conferma poi, questa volta ridendo dato che anche io mi ero lasciata trasportare da una risata di puro nervosismo.

Ero lì, con l’unico ragazzo che mi avesse fatto sul serio innamorare in venti anni, che fino a pochi minti prima ero stata indotta a credere che fosse mio fratello e lui mi stava facendo una sorta di proposta che si sarebbe potuta leggere nei migliori libri ottocenteschi. Certo che quando si dice che la vita è un Carnevale…!

“Si, può andare bene…” risposi, ma lui già mi aveva attirato verso di sé e mi stava baciando con la passione repressa in quei momenti. Cristian, Cristian, Cristian… Tutto ciò che mi circondava rappresentava lui ormai, lui era tutto ciò che avevo e non ci avrei mai rinunciato. Mi strinsi contro di lui con tutte le mie forze, mentre lui poggiava una mano sulla mia schiena e l’altra tra i miei capelli, schiudendo le labbra e baciandomi con un enfasi tale che mi sentivo bollente, senza fiato, ma carica di una felicità che non credevo si potesse provare.

Ad interromperci ci pensò il campanello della porta d’ingresso, che annunciò l’arrivo di una donna di mezza età bassina, con i capelli grigi raccolti in una crocchia e l’aria disperata. Tutti la guardavamo senza capire e lei, dopo aver sospirato, disse: “Io devo dirvelo. La signora Massa mi ha interpellato per falsificare il test che avete fatto stamattina, mi ha passato un altro campione di sangue… Ma ho fatto analizzare anche quello del ragazzo e ho visto che non siete in nessun grado di parentela…”.

Papà la guardò comprensivo e le sorrise. “Lo sappiamo, signora, la ringrazio…”.

“… Tenete, mi ha anche pagato, io non volevo, credetemi, è solo che avevo paura, è stata in carcere, e ora che è morta…”. Mise un assegno su una mensola e mi guardò afflitta e tremante.

“Signora, si calmi!” esclamò mamma, tuttavia sorridendo e alzando un po’ la voce per farsi sentire.

La donna obbedì, ancora frastornata.

“La crediamo e lo sappiamo, stai tranquilla, è tutto ok, Irene ha scritto una lettera a mia figlia prima di suicidarsi in cui le spiegava tutto… Ed è bello sapere che anche lei ha la prova che non c’è alcun grado di parentela… Anche se non è detto, visto che mi sa che è il mio futuro genero” continuò mamma, e qui rise di cuore, insieme a papà.

Risi a mia volta e intrecciai la mano di Cristian alla mia. “Hai ragione mamma” dissi con sicurezza, e fui sollevata nel vedere che ci abbracciò con calore, sotto lo sguardo incuriosito della signora che papà aveva invitato a sedere e a bere qualcosa.

 

Alla fine, avevo continuato a leggere la lettera di Irene e avevo scoperto tutta la verità. Lei sapeva sin dall’inizio che il padre di Cristian non fosse mio padre, bensì un regista che al momento viveva in Kansas, con cui era stata subito dopo la fine della storia con papà. Aveva mentito perché voleva che Cristian avesse una famiglia anche dopo la sua morte, visto che la malattia al fegato contratta in carcere era sempre in stato più avanzato, e sapeva che con noi sarebbe stato bene e avrebbe conosciuto il significato della parola “affetto”, che con lei non aveva mai conosciuto, anche se questo era il progetto che aveva in mente ancora prima dal carcere, dato che all’epoca voleva far ritornare papà con lei e dirgli di questo loro presunto figlio per poterlo recuperare dopo sei anni e crescerlo insieme. Quindi, in fin dei conti, questo suo mix di azioni non erano altro che il frutto del suo volere prima di andare in carcere e che voleva portare a termine prima che giungesse la sua ora. Le cose si erano complicate quando aveva visto che io e Cristian ci stavamo avvicinando, ma oramai aveva già ingaggiato Hazel e Polsk da un mese per farli intrufolare in quella che originariamente doveva essere casa mia, solo che Hazel aveva confuso zia Eva con mia madre data la loro secolare somiglianza e lei ne aveva approfittato per far “allargare il raggio d’azione” e far sì che, coinvolgendo sua figlia e qualche altra nostra amica stretta, sembrasse tutto un qualcosa di casuale come un semplice rapimento di figli di persone famose.

La decisione di dire la verità  però alla fine aveva preso il sopravvento e, avendo ricevuto un sms da parte dell’oncologa che diceva che doveva darle una notizia triste,non ce l’aveva fatta più nel vederci tutti in quelle condizioni e aveva deciso di scrivermi la verità per poi porre fine alla sua vita, dato che sapeva che a breve sarebbe morta comunque.

Quella piccola parte di sé che era buona aveva preso il sopravvento, alla fine della sua vita, e tutte le sue cattive azioni commesse sul serio avevano come unico fine quello di far del suo meglio per assicurarsi il bene di suo figlio.

I giorni passarono lentamente, andammo al funerale di Irene, e tornai al’università per il nuovo anno accademico alla facoltà di medicina.

“Cavoli, Sabri, sei diversa, è successo qualcosa di bello durante l’estate?” fu il commento di una mia amica del corso di anatomia, ed io mi ero limitata ad annuire. Ovviamente, lei comprese il tutto quando, all’uscita, vide Cristian spettarmi davanti la sua auto ed io che  gli correvo incontro, raggiante.

 

“Tesoro, Cristian viene a cena, stasera?” mi chiese mamma, una sera di fine ottobre.

Alzai lo sguardo dagli appunti di anatomia che dovevo imparare ed annuii.

“Si, torna verso le sette” risposi.

Lei annuì. Fece per andarsene, poi sembrò cambiare idea e si rigirò nuovamente verso di sé.

“Sai, devo confessarti una cosa” mormorò, sedendosi al mio fianco e approfittando della momentanea solitudine che c’era in casa dato che papà e Gabriele erano a casa di zio Giuseppe.

“Dimmi”.

“Io… Dall’inizio io sul serio ho fatto di tutto per farti avvicinare a Cristian. Prima l’invito, poi lo shopping insieme…” disse, guardandomi in attesa di una reazione. 

Probabilmente, se mi avesse rivelato questa cosa un mese prima, l’avrei aggredita con parole non molto simpatiche e rispettose, ma in quel momento, vista l’evoluzione delle cose, non riuscii a non sorridere e scuotere il capo. “Lo sapevo, ed anche Titti ne era convinta” dissi infine, e la abbracciai forte. Da quando si era risolta al questione della finta parentela tra noi e Cristian sembrava ringiovanita di dieci anni, sembrava essere tornata a comportarsi come quando avevo dieci anni e lei trascorreva tutti i pomeriggi con me e Gabriele, infischiandosene del suo lavoro, e insieme cercavamo di insegnargli a leggere e scrivere. Spesso la scoprivamo mentre canticchiava tra sé, allegra al massimo, e poi ultimamente aveva iniziato a fare delle cenette romantiche a cui erano ammessi solo lei e papà, quando io uscivo con Cristian e Gabriele con Belle, anche se il “fidanzamento” di questi ultimi era ancora un qualcosa di segreto.  

Mamma si lasciò abbracciare, e quando ci separammo sorrideva ancora. “Sapevo che anche Titti la pensava così. A proposito, lei e Marco…?”.

“Stanno insieme da circa… Mmm, tre ore, mi ha mandato un sms poco fa. Era ora!” aggiunsi, contenta per la mia migliore amica che finalmente era riuscita a trovare un ragazzo che l’amasse sul serio. Quel giorno erano usciti insieme e, finalmente, si erano decisi a diventare una vera coppia, anche perché Marco il giorno prima aveva lasciato quell’odiosa Verena.

“Oh, come sono felice!” mormorò mamma. “Quando succedono queste cose non riesco a non ripensare ai vecchi tempi, quando io ero fidanzata con tuo padre e poi, mano a mano, anche gli altri si misero insieme come Eva e Giuseppe, Daniele e Paris… Ma mi sento anche un po’ avanti con gli anni, appartengo ad una generazione ormai vecchia” ammise, scrollando le spalle.

“Mamma! Smettila di piagnucolare e pensa a goderti la vita con tuo marito visto che i tuoi figli sono grandi e non rompono più le scatole…” le ricordai, ammiccante,  e lei si lasciò scappare un risolino.

Alla fine smisi di studiare e l’aiutai a preparare un dolce.

Alle sette e dieci sentii il rumore inconfondibile dell’auto di Cristian che varcava il cancello della nostra villetta, così, raggiante, mi tolsi il grembiule e uscii di casa, sotto lo sguardo divertito di mamma.

“Amore!” esclamai, andando incontro a Cristian che era appena sceso dall’auto, entrando nel garage. Indossava un vestito elegante dato che aveva appena avuto un incontro con il suo capo, ma i capelli castani e un po’ lunghi che tanto adoravo erano come sempre un po’ ribelli.

Si voltò in mia direzione, chiudendo l’auto, e mi sorrise apertamente. “Ecco uno dei buoni motivi per tornare a casa da lavoro” sussurrò, mentre già mi cingeva la vita con le braccia e mi attirava a sé con dolcezza.

“Finalmente sei tornato” dissi.

“Non è colpa mia se il tuo ragazzo è il migliore dell’azienda e l’hanno trattenuto per affidargli il compito di dirigere la nuova campagna pubblicitaria sui nuovi rossetti della Pupa” ribattè, con aria sarcastica.

“Cosa?!”. Aspirava a quel ruolo da un paio di settimane!

“Hai sentito bene” ridacchiò, gioioso. “Ti rendi conto?” aggiunse.

“Certo che mi rendo conto” dissi, visibilmente incredula ed emozionata, abbracciandolo.

“Ed è tutto grazie a te” annunciò, sempre più entusiasta.

Lo guardai confusa, levando un sopracciglio. Grazie a me? Io non avevo fatto assolutamente nulla! Cristian comprese la mia confusione e così iniziò a rovistare nella sua borsa da lavoro che aveva poggiato per terra. Dopo un po’, ne estrasse un disegno e me lo mostrò.

“Oh!” esclamai, pervasa da una serie di ricordi. Era il foglio su cui aveva fatto il mio ritratto quel giorno in cui ero andata nella dependance con lui a vedere “Blu profondo”, solo che al momento era colorato per bene ed erano state apportate nuove modifiche.

Alzai lo sguardo verso di lui e si decise a spiegare. “Il capo lo ha visto sulla mia scrivania, se lo è fotocopiato e poi mi ha convocato. Ha detto che il mio modo di disegnare un soggetto femminile gli piace, secondo lui ci metto passione e una sorta di realismo… E tutto grazie alla mia musa ispiratrice” esclamò, e non mi diede il tempo di replicare perché aveva unito le nostre labbra in un bacio che di casto, onestamente, non aveva proprio nulla.

“Ehm, ehm, scusate piccioncini…”.

Ci staccammo e vedemmo che Stella ci stava guardando con un’aria falsamente schifata.

“Ehi, Stella! Ciao!” esclamai, e corsi ad abbracciarla. Un mese prima avrei ritenuto impossibile un mio simile atteggiamenti nei suoi confronti, eppure, dopo la questione del rapimento, ci eravamo legate a tal punto che spesso passavamo dei pomeriggi insieme ed uscivamo con Vittoria.

“Ciao. Ciao, Cristian!”  replicò, sorridente. “Sono passata a dirti che mi hanno accettato ed ora lavoro come segretaria nella casa discografica dove lavorano i nostri genitori! Sapessi mamma com’è contenta!” annunciò.

Cavoli. Cos’era quella, la serata delle buone notizie?

“Oh, congratulazioni allora, Stella!” dissi, e Cristian si unì a me per gli auguri. Stella, quella che voleva diventare a tutti i costi una velina o giù di lì, si era decisa a provare con qualcosa di più serio e realizzabile… Non potevo non essere felice per lei e per i nervi di Eliana!

Per questo la invitai a cena, per festeggiare sia lei che il nuovo incarico di Cristian, e aspettammo il ritorno di papà.

“Gabriele viene tra un po’, ha detto che doveva fare una cosa…” disse papà quando prendemmo posto a tavola ed essersi congratulato con papà. “Tesoro” aggiunse, voltandosi verso di me, “Questo tipo alla mia destra sta facendo il bravo o ti ha fatto arrabbiare ultimamente?” e così dicendo ammiccò ironico verso Cristian, che si finse offeso.

“Ed io che pensavo che chiedendogli il permesso di stare con sua figlia le mie pene sarebbero finite, capo” brontolò Cristian, e tutti scoppiammo a ridere di cuore.

“Oh, oh, non ci credo! Venite, guardate!” urlò mamma, che si era affacciata alla finestra.

“Cos…?” chiesi, e sorrisi quando vidi per cosa stava strepitando: aveva appena visto Gabriele e Belle baciarsi nell’ombra degli alberi che si trovavano nel nostro giardino. Ecco cosa doveva fare prima di venire a cena, il furbetto!

“Nooo, non ci credo!” ridacchiò Stella, coprendosi la bocca con le mani.

“Ha preso  tutto da sua padre” mormorò papà, sghignazzante.

Poi, inevitabilmente, visto che sia lui che mamma si erano voltati verso di me, fui costretta a confessare con un: “Si, lo sapevo che stavano insieme, contenti? Era inevitabile… Noi siamo o non siamo la generazione dell’amore?”.

Sorrisero e me la fecero passare liscia per aver tenuto la bocca chiusa, e nel frattempo, mi dissi che l’ultima affermazione da me detta non poteva non essere una delle più veritiere.

 

 

Ciao a tutte!

Mi scuso come sempre per il ritardo, ma purtroppo il tempo non basta mai e poi mi sono lasciata prendere da una nuova storia che alla fine mi sono decisa a pubblicare, anche se intendevo farlo tra qualche settimana. Se vi và di darci un’occhiata ho appena pubblicato il prologo… Dillo Alla Luna

Mi farebbe piacere conoscere la vostra opinione!

Comunque, avete visto? Alla fine Sabri e Cris non sono per niente fratelli! Come avrei mai potuto far sì che una cosa simile fosse vera?! xD

Spero che vi sia piaciuto quest’ultimo capitolo, il prossimo sarà l’epilogo e poi dirò sul serio (e questa volta quando dico sul serio intendo definitivamente) addio alle vicende della famiglia di Deb.

Grazie mille alle 23 persone che hanno messo la fic tra le storie seguite e le 24 che l’hanno messa tra i preferiti, e ovviamente coloro che hanno recensito:

CriCri88: Eheh, al momento direi che non c’è bisogno che mi supplichi riguardo la nuova storia visto che l’ho già pubblicata xD xD xD Parlando seriamente, spero che ora che sai la verità non attanagli più alla tua salute… Non sono fratelli sul serio, come avrei mai potuto essere così diabolica? Vabbè, lo so che ormai non mi libererò più di quest’aggettivo, ma ci ho provato…. xD Spero che il capitolo ti sia piaciuto ^^ Un bacione, carissima!

piaciuque: No, per fortuna non sono fratello e sorella dato che, come hai detto tu, ho fatto succedere qualche altra cosa che avevo in mente già dal 1° cap ^^ Era tutto uno stratagemma per aumentare la suspense, lo ammetto xD

lillay: Alla luce di ciò che è successo in questo cap sono stata perdonata? :D Spero di si ^^ Comunque era già tutto stabilito da parte mia, sapevo già cosa far succedere, volevo solo rendere il tutto più intrigante =) Spero che il cap ti sia piaciuto! Grazie mille per i complimenti  ^^

Pazzascatenata89: Ciao! Complimenti, ci hai azzeccato, Irene ha raggirato il test facendo prelevare di nascosto del sangue da Gabriele per poi corrompere l’infermiera ^^ Riguardo il consiglio sul verbo ti ringrazio, è che spesso si conoscono alcune forme grammaticali come una sorta di stereotipo quando poi invece quello corretto è un altro… Non me ne sono mai accorta anche perché quando scrivo “ubbidire” word non me lo corregge nemmeno xD Bah,comunque grazie mille! ^^

Al prossimo cap con l’epilogo, girls!

Spero mi farete sapere cosa ve ne sembra della mai nuova fic, grazie in anticipo!

La vostra milly92.

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Capitolo 11
*** Tutto Iniziò e Finisce Qui ***


Tutto Iniziò e Finisce Quihvg

Dedicato a tutti voi che avete seguito questa storia, e a chi ha seguito anche le due precedenti e mi ha spronato con le proprie opinioni, i propri pensieri e ha reso si che potessi arrivare a scrivere fino a questo punto.

Grazie di cuore.

 

Epilogo

Tutto Iniziò e Finisce Qui

 

“Non vale, o giochiamo ad armi pari oppure…”.

“Oppure che cosa fai? Piangi?”.

“Idiota! Daniele, vieni, stai in squadra con me visto che lui si fa aiutare da Giuseppe!”.

“Non puoi chiamare Daniele! E poi tu sei più vecchio di me non hai bisogno di aiuto…”.

“Col cavolo, ti ricordo che il tuo aiutante ha un anno in più a me!”.

“Sarà, ma qui il più maturo sembro io…”.

“Insomma, devo aiutarvi oppure no? Altrimenti di là c’è una bella fetta di panettone che mi aspetta insieme ad una figlia da sorvegliare…”.

“Vuoi dire che non ti fidi di mio figlio, Dan?”.

“Appunto perché è tuo figlio, Andrea…”.

“Brutto…! Niko, continuiamo dopo, ora ho un idiota più idiota di te a cui farla pagare!”.

Possibile che fossero passati trent’anni da quando io ero una sedicenne che gironzolava per quel loft tra una prova e l’altra? Possibile che il tempo fosse trascorso così rapidamente, in un modo lento ed indolore, tanto che io mi sentivo ancora piena di energie e di voglia di ridere dietro a quelli che, all’epoca, avrei definito “i miei uomini”?

Certo che era possibile, e la cosa si rese evidente quando udii delle voci miste ad alcuni tramestii, che non erano altro che opera dei nostri figli più rispettivi fidanzati e fidanzate.

Al mio fianco, Rossella rise di cuore davanti alla scena che si stava svolgendo di fronte a noi: Andrea, mio marito Andrea che ormai era arrivato alla veneranda età di cinquantadue anni, se ne stava addosso al mio migliore amico storico Daniele, intento nel fargli il solletico come se fossero due bambini dispettosi e pieni di energie dopo aver fatto una bella merenda ristoratrice. Alle loro spalle, Niko e Giuseppe sghignazzavano come dei matti e contribuivano al tutto lanciandogli addosso i cuscini di quello che io, durante il mio soggiorno in quel loft tanti anni prima, solevo chiamare il megadivano.

Era il trentuno dicembre. L’idea di trascorrere il Natale in un modo diverso dai soliti viaggi nel nord Italia per la neve o in qualche paese europeo non allettava più i miei figli e così, erano stati loro a proporre a me e Andrea di andare a trovare i loro parenti materni a Maddaloni per poi fermarci a festeggiare nel grande loft di Napoli in cui io e loro padre c’eravamo conosciuti trent’anni prima.

Certo, il loft era di nostra proprietà dopo che Andrea l’aveva comprato, ma non ci andavamo da circa sei anni a causa dei vari impegni così ritornarci con tutti i nostri amici conosciuti in quell’occasione, insieme alle dolci metà dei miei figli, ci era parsa un’ottima idea e così,già dal ventitré dicembre ci eravamo stabiliti lì, anche se, per quanto la casa fosse grande, si stava un po’ stretti visto il fatto che ognuno aveva con sé mariti, mogli, figlie e rispettivi fidanzati. Il fatto che ci aiutava un po’ era che in qualche caso, figli di amici e fidanzati dei nostri figli corrispondevano e così…

“Non cambieranno mai, eh?” chiesi ad alta voce, continuando ad osservare quella scena idilliaca.

“Io ci ho perso le speranze, ma devo dire che sono contenta. Cioè, per voi è stato un periodo difficile e mi è dispiaciuto non esservi vicini, così… Mi sento più serena nel vedere che nonostante tutto è sempre tutto come prima” rispose Rossella. In quel momento mi parve di vedere la diciannovenne che spesso avevo invidiato ed odiato: i capelli corvini come sempre, anche se corti fino alle spalle, gli occhi verde smeraldo e il viso pallido erano gli stessi di sempre e le conferivano la solita bellezza nonostante i suoi quarantanove anni e qualche ruga e chiletto in più.

Sorrisi debolmente e le accarezzai il braccio. “Tranquilla, Ross, è tutto ok… Anche se da quando Sabrina e Cristian stanno insieme Andrea non è più chissà quanto sereno e cerca in tutti i modi di osservarli, spiarlo e vedere se tradisce la sua bambina” sghignazzai, dicendomi che Andrea non sarebbe cambiato mai nei confronti di nostra figlia Sabrina.

“Posso ribadire che non ho intenzione di tradire nessuna bambina?”.

Ci voltammo e ridemmo. Alle nostre spalle c’erano Cristian e Sabrina che ci guardavano con un’aria un po’ di disappunto. Com’erano belli! Ogni volta che li vedevo insieme il cuore mi si riempiva di gioia e non potevo non dichiararmi soddisfatta della piega che avevano preso le cose. Chi avrebbe mai immaginato che sarei riuscita ad allevare una figlia così meravigliosa e diligente nonostante i miei numerosi impegni di lavoro?

“E poi la certezza sta nel fatto che se così fosse, Cristian non sarebbe arrivato a festeggiare con noi la vigilia di Natale” aggiunse lei, con la stessa dose di sarcasmo che solevo usare io. 

“Amore, come sei drastica, a Natale siamo tutti più buoni…”.

“Lo sai che io sono l’eccezione che conferma la regola!”.

Inutile dire che io e Rossella guardavamo quella scenetta come se fosse l’ultimo film romantico rimasto al mondo, con tanto di sguardo sognanti.

“Vabbè, noi ci accomodiamo su uno dei divani per goderci meglio quella pseudo lotta di wrestling” dichiarò Sabrina, con un tono che cercava di celare sia la sua incredulità che il sarcasmo che nutriva ai momenti nei confronti del suo babbo. “Giuro che prima o poi anche Cristian dovrà avere una sorta di scontro simile con lui come pegno del mio amore” ridacchiò in mia direzione, facendomi l’occhiolino, che ricambiai, visto che Cristian sembrava allarmato alla sola idea.

In quel momento suonarono al campanello, così mi alzai per andare ad aprire, anche con lo scopo di non sorbirmi più i litigi tra Andrea e Daniele che ora si battibeccavano per aggiudicarsi la vittoria.

Vittoria mi precedette quando ero ancora nell’ingresso, dato che lei se ne stava in cucina con Roberto, Ilaria, Antoine, Gabriele e Belle a giocare  a carte.  Con un piccolo senso di gioia vidi entrare Stella insieme ad un ragazzo, la cui prima visione mi stupì molto. Era molto alto, con i tratti del viso molto marcati e degli occhi di un verde particolare. Indossava dei vestiti abbastanza eleganti e subito sorrise in nostra direzione. Doveva essere Mario, quel famoso ragazzo che Stella aveva conosciuto a lavoro un mese e mezzo prima e con cui usciva da tre settimane.

“Vittoria, Debora, se chiamate anche gli altri vi presento Mario, sono appena andato a prenderlo in aeroporto…” disse Stella raggiante.

Fu una richiesta inutile visto che, aspettandosi questa visita, sia i ragazzi dalla cucina che il resto dei presenti si era riversato verso l’ingresso.

“Mario, ciao!” esclamarono all’unisono Cristian e Sabrina, che lo conoscevano dato che spesso erano usciti a quattro insieme  a lui e Stella.

Mi voltai e vidi Niko ed Eliana sorridere in loro direzione. Poco distante, la loro secondogenita Ilaria squadrava bene quello che sarebbe potuto essere suo cognato.

“Oh, bene, ci siete tutti…”.

“No, non ci siamo tutti, mancano mia figlia e Gabriele…” obiettò Daniele, a cui evidentemente quella sorta di lotta non aveva fatto dimenticare il motivo per cui se l’era meritata.

Scambiai uno sguardo disperato con Andrea che scrollò le spalle, come a dire “posso capirlo, dopotutto sono il primo che è geloso di sua figlia nonostante abbia venti anni, quindi figurati lui visto che Belle ne ha sedici…”.

“Siamo qui, calma” disse la voce di Belle, proveniente dal fondo del corridoio. Alle sue spalle, mio figlio Gabriele la seguiva in rigoroso silenzio, dato che sapeva che obiettare e protestare con Daniele era inutile e lo faceva arrabbiare ancora di più. “Eravamo nella mia stanza a vedere la tv”.

Stella seguiva al scena con una certa ansia, e quando l’eco delle loro voci si spense, si decise a dire: “Bene, allora… Volevo presentare a voi tutti Mario, il mio fidanzato. Mamma, papà, state tranquilli, questa volta non sarà una cosa passeggera… Siamo innamorati l’uno dell’altra”.

Le sue parole furono accolte con un moto di incredulità, gli stessi Niko ed Eliana sembravano non credere che quella fosse la loro Stella, quella che voleva diventare a tutti costi famosa senza fregarsene di quisquilie come regole e il rispetto nei confronti del prossimo. Dal giorno del rapimento era maturata, e improvvisamente aveva acquisito tutta la maturità che ci si aspetta di riscontrare in una donna di ventisette anni.

“Si, e poi lasciatemi dire che avete una figlia meravigliosa” aggiunse Mario, avvicinandosi e stringendo la mano sia a Eliana che a Niko.

Così Mario si aggiunse alla nostra già numerosa compagnia e si sentì subito parte integrante di quella sorta di famiglia che eravamo diventi con il tempo. Alla fine del cenone della vigilia di Capodanno lo vedemmo chiedere timidamente un autografo a Niko, e per fortuna quel momento idilliaco venne interrotto dall’arrivo di Max e tutta la sua famiglia.

“Finalmente sei venuto, nonnetto!” lo accolsi, abbracciandolo. Se a sedici anni lo chiamavo zio, era ovvio che mano a mano fossi passata alla fase successiva…

“Nonnetto? Per l’amor del cielo, diciamo che per ora mi basta suocero…” brontolò, mentre salutava anche Gabriele e Antoine.

“Suocero?” chiesi senza capire, inarcando un sopracciglio.

Mi voltai di scatto verso sua figlia Manuela e lei, sorridente, alzò la mano sinistra, al cui anulare vi era un anello di fidanzamento con una pietra ben visibile e brillante. “Ale mi ha chiesto di sposarlo, ieri!” esclamò.

“Oh! Auguri, tesoro!” esclamai, abbracciandola con calore. Lei e Alessandro stavano insieme da circa cinque anni, e si distinguevano perché non erano una di quelle coppie appiccicose e legate da un gran senso di gelosia.

Non riuscii a non pensare che al suo battesimo avevo rincontrato Andrea, e già si stava per sposare… Quella sera, nel mio cuore la malinconia era d’obbligo  a quanto pareva.

Improvvisamente, presa da chissà quale turbine di emozioni, indossai il giubbino ed uscii fuori al balcone, lo stesso in cui, anni prima, avevo letto la lettera della mia amica Cristina che mi invitava a non fare più scandali. Era un venerdì tredici, il giorno in cui Niko mi aveva baciata per la prima volta. E su quello stesso balcone avevamo litigato poi, una domenica mattina, in cui lui mi aveva accusato di essere una “sedicenne psicolabile”… E poi, quel pomeriggio, mi ero sfogata con Andrea su uno dei divani che si trovavano tutt’ora di fronte al balcone e mi aveva detto che lui si era affezionato fin troppo a qualcuno, che non sapevo essere io…

Senza che potessi evitarlo, il mio viso iniziò a bagnarsi di lacrime. Eravamo alla fine di un altro anno, quello in cui avrei compiuto quarantasette anni e ventidue anni di matrimonio con Andrea.

Come se lo avessi chiamato, sentii quest’ultimo cingermi la vita e baciarmi una guancia. Evidentemente sentì che il mio viso era bagnato, perché mi fece voltare verso di lui e mi squadrò ansioso.

“Deb, è successo qualcosa?” chiese preoccupato.

Sorrisi tra le lacrime e scossi il capo, asciugandomi il viso con la manica del giubbino. “No, no, è tutto fin troppo ok… Forse è questo il problema” mormorai.

Lui continuò a guardarmi sospettoso.

“Ti giuro, non è nulla, mi sono solo lasciata un po’ andare con i ricordi e… Sono passati tanti anni, siamo cresciuti tutti insieme, siamo riusciti a sopravvivere a tanti casini, abbiamo avuto dei figli che ora stanno percorrendo le nostre stesse tappe…” elencai, cercando di fargli comprendere il mio stato d’animo.

“Non dirmi che inizi a sentirti vecchia!” mi ammonì, ma quando vide che lo guardai come a dire “Sei un insensibile!” mi strinse a sé e mi accarezzò i capelli.

“Scherzavo… So cosa intendi, e se è per questo ci penso da più tempo di te” dichiarò.

“E’ ovvio, hai sei anni in più a me…”.

“Ci penso da quando Sabri andava in terza media, in realtà” precisò.

Alzai lo sguardo, scostandomi da lui, e lo guardai negli occhi. “E non me…?”.

“Non volevo farti preoccupare” mi interruppe. “Ma è bello sapere che mia moglie ha la mia stessa anima malinconica. Deb, abbiamo passato più di metà della nostra vita insieme, e devi continuare a sorridere senza lasciarti prendere dalla malinconia. E’ la vita… E poi oggi, con Daniele e gli altri, mi sembra di averti dato la dimostrazione che non si è mai troppo avanti con gli anni per fare certe cose” aggiunse, strappandomi un sorriso. "E ricorda che ti amo sempre come se fosse il primo giorno".

Anch'io, e lo sai, ma diciamo che preferirei che me lo dimostrassi in altri modi…” sussurrai, attirandolo verso di me mediante il colletto della camicia e baciandolo, senza non riuscire a non provare un minimo di vergogna.

“E’ quello che volevo sentirti dire, donna, ti aspetto stanotte nella suite imperiale del nostro regno per festeggiare l’anno nuovo…” rispose, con un velo di ironia e tono da macho, prima di ribaciarmi. Ecco, in quel momento ebbi che la certezza che la Deb e l’Andrea ventenni erano ancora vivi e non si sarebbero mai assopiti con il passare degli anni.

Quando mi separai vidi Sabrina e Gabriele  guardarci sghignazzanti dall’altra parte dl vetro del salotto, e scrollai le spalle, riabbracciando Andrea. “Non avete solo voi il diritto di sbaciucchiarvi!” disse lui, ed io annuii. Qualche volta avremmo anche potuto fare un’uscita a sei con loro, chi ce lo vietava?

 

 

I vari mobili che ci circondavano erano cosparsi da cornici con dentro foto che rappresentavano la mia famiglia, ed io avevo avuto l’accortezza di abbassarle tutte, , dato che non mi andava assolutamente di avere la sensazione di essere osservata da loro in un simile momento.

Era ormai giorno, e i raggi del sole filtravano dalla finestra della stanza che, anni prima, apparteneva a mia madre. Lì lei aveva passato notti insonni a pensare a mio padre, si era rallegrata quando aveva scoperto di aver perso qualche chilo nel bagno adiacente, si era chiarita con papà dopo aver passato una bellissima serata con lui mentre io…

“Amore, sei sveglia?”.

… Io ci avevo fatto l’amore per la prima volta con il mio ragazzo.

La voce calda e seducente di Cristian suonò come musica nelle mie orecchie, mentre cercavo di allontanare questo pensiero dalla mia testa. Quello era l’unico suono che al momento sarei stata in grado di ascoltare senza sentirmi disturbata a causa dell’eccesso di sonno che mi aveva invasa.

“Mmm, si” mugolai in risposta. Me ne stavo girata dall’altra parte, gli stavo dando le spalle, per il semplice fatto che ero cosciente del fatto che, appena avrei incontrato i suoi occhi, non sarei riuscita  a non arrossire per i ricordi vissuti la sera prima con lui.

La mia prima volta. Fino a pochi mesi prima, questa parola mi terrorizzava un po’, ma solo perché non avevo ancora nessuno con cui condividere quell’esperienza.

Poi era arrivato Cristian e… E tutto era diventato naturale.

Mi sentii cingermi la vita dalle sue braccia possenti ed invitanti, così mi decisi a girarmi dopo aver contato fino a dieci. Ma quello che trovai dipinto sul suo volto mi spiazzò: mi aspettavo un normale sorriso, un qualcosa di semplice, come tutte le volte che avevo dormito con lui nella dependance, e invece… Invece era serio, ma mi stava osservando con una tale intensità che probabilmente sarebbe riuscito a leggermi l’anima senza alcuno sforzo.

Mi accarezzò il volto, i capelli, e mi attirò a sé senza alcuno sforzo.

“Sabri, ti ho mai detto che ti amo?”  domandò, con una naturalezza mista ad un senso di gioia che non fece altro che aumentare la mia incredulità.

In quel momento mi sentii mancare il fiato e sentii qualcosa sciogliersi nei pressi del mio stomaco. “N-no…” biascicai, cercando di respirare normalmente, ma invano.

“Beh, ora l’ho fatto” disse, e qui sorrise in un modo dieci volte più smagliante di quello che ero abituata a vedere.

Probabilmente non avevo mai vissuto quel miscuglio di emozioni che stavo provando tutte in una volta. Mi sentivo stordita, un po’ assonnata, senza fiato, con un mix di emozioni che mi attraversavano freneticamente il cervello proprio come se fossero una serie di taxi che si affollavano per la strada di New York. Ma solo una cosa era sicura: ero immensamente felice.

“Allora, se permetti, tocca a me farlo…” riuscii a dire dopo qualche secondo, con la voce un po’ flebile.

“Non voglio che tu lo dica solo perché…”.

“Ti amo” lo interruppi, con una sicurezza e un tono di voce deciso e chiaro che sembrava aver sostituito quello incerto di poco prima.

Cristian restò un secondo spiazzato, prima di attirarmi a sé e baciarmi in un modo tale che riaccese i me i ricordi della sera prima non proprio casti e puri. Non riuscii a non trattenere un risolino, e lui si separò, guardandomi senza capire.

“Scusami, sono una frana, lo so…” biascicai.

“Perché dovresti esserlo?”.

“E me lo chiedi pure? Insomma, lo so che tu sei diecimila volte più pratico di me in queste cose, mentre io il massimo che riesco a fare è ridere per il nervosismo mentre mi baci la mattina dopo che io e te… Abbiamo… Vedi, non riesco a non dirlo senza imbarazzarmi!” urlai con una vocina un po’ stridula degna della miglior bambina fastidiosa e petulante del mondo. Che figuraccia! E so dopo queste mie parole Cristian avrebbe capito che ero troppo giovane per lui, troppo inesperta, troppo ancora bambina?

“E allora imbarazzati che mi piaci ancora dieci volte di più” rispose tranquillamente lui, prendendo il mio volto tra le mani e iniziando ad accarezzarmelo dolcemente. Lo guardai stupita, ma  non mi diede il tempo di replicare perché avvicinò il suo volto al mio e iniziò a sfiorarmi delicatamente il volto con la sua guancia. “Mi credi se ti dico che questa notte è stata la più meravigliosa che abbia passato con una ragazza? Può sembrare una frase scontata, ma non lo è, è la pura verità. E sai perché? Perché so che tu sei la ragazza, l’ultima che avrò e la prima che abbia mai amato. Ogni carezza, ogni bacio, ogni tuo movimento stanotte mi hanno fatto ricordare perché ti amo così alla follia… Ed è il minimo che posso provare dopo tutto quello che abbiamo rischiato” sussurrò quando si scostò, guardandomi negli occhi.

Io non avevo parole. Di nuovo mi sentivo lo stomaco in subbuglio, e l’unica cosa che riuscii a fare fu stringerlo a me e poi ribaciarlo. Comprese, perché rispose e cercò di rassicurarmi ancora.

Ma quel momento idilliaco fu però interrotto dallo squillare insistente del mio cellulare. “Pensa se è mamma…” borbottai, mentre mi guardavo intorno per trovarlo. “Ci ha permesso di restare qui da soli il giorno dopo l’Epifania solo perché gli abbiamo detto che volevi andare a Pompei visto che non ceri mai stato… E invece…”.

“E invece tu sei stata il vulcano che mi ha fatto comprendere come si sono sentiti i suoi abitanti quel disastroso giorno del 79 a.C., ma fa niente” sghignazzò lui, alzandosi e cingendomi la  vita mentre mi avvicinavo alla borsa visto che la suoneria proveniva da lì.

Mi girai e gli scoccai un’occhiata che speravo sarebbe risultata un po’ seducente e un po’ sarcastica, anche se fui costretta a sostituirla con una degna della migliore sbadata del mondo quando vidi da chi proveniva la chiamata.

“Ehi, Titti!” esclamai, colta all’improvviso.

“Sabri! Ma dove siete? Noi siamo appena arrivati alla stazione ma non vi troviamo…” mi fece notare, e in quel momento mi sentii un’emerita scellerata. Come avevo potuto dimenticare che Titti e Marco sarebbero venuti a trovarci gli ultimi due giorni che restavamo a Napoli e che dovevamo andarli a prendere alla stazione?

“Oh, si, sai, abbiamo avuto problemi con il taxi, non abbiamo nessun mezzo di trasporto visto che siamo venuti in aereo e quindi… Non… Non potete venire voi se vi do l’indirizzo?”.

Detto fatto. Subito, appena terminata la telefonata, io e Cristian ci fiondammo in bagno per una doccia rapidissima, indossammo qualcosa di decente e sistemammo la casa.

Era come se fossimo scesi dalle nuvole, come se per dodici ore io e lui fossimo vissuti in un mondo a parte da quello consueto, e ora ci toccava ritornare alla brusca realtà in cui avevamo preso degli impegni e ci toccava rispettarli, anche se non comportavano alcuna fatica o dispiacere.

“Eccovi! Pensavamo di non trovarvi più!” esclamò Titti appena aprimmo alla porta. Alle sua spalle Marco, sempre iper biondo, sempre con quell’aria da bad boy che spesso la mia amica elogiava e diceva di adorare, ci sorrise e ci abbracciò dopo la sua ragazza.

“Non sapete che trauma il viaggio in treno! Siamo capitati vicino a due ragazze estremamente cafone e chiassose…” si lamentò appena li invitai ad accomodarsi in cucina per ebre qualcosa.

Io, Cristian e Titti ci guardammo con un sopracciglio levato e subito ribattei: “La prossima volta ti affitto una limousine, ok?”.

“Ehi, smettila di sfottere!” si difese.

“Si, Sabri, smettila, lo sai che il mio cucciolo è un po’ permalosetto” disse Titti con un tono di accondiscendenza degna della migliore mamma assoggettata al proprio bambino.

Scoppiai a ridere e lei fece lo stesso, mentre Marco sbuffava scocciato.

“Comunque, devo darti una mega notizia!” esclamò la mia migliore amica, decidendo di rompere quel momento in cui il suo ragazzo no si stava divertendo affatto. Restava comunque un signorotto di alta società che stavamo migliorando mano a mano circa i modi un po’ troppo formali e altezzosi.

“Spara”.

“Ho scoperto di aver vinto una borsa di studio con i voti del liceo e per questo lo Stato mi ha assicurato una sorta di assegno mensile visto che sono orfana e che mia zia che ora sta in Francia ha legalizzato per bene la situazione, e così all’inizio del prossimo semestre inizierò le lezioni all’Università per studiare cinese!” esclamò.

Marco la guardò adorante e sorrise, stringendola a sé. Molte volte aveva cercato di persuaderla ad accettare un aiuto economico da parte sua, ma lei ovviamente aveva rifiutato categoricamente.

Dal canto mio, emisi un urletto di gioia e la strappai dalle grinfie di Marco per avvolgerla in un abbraccio stritola costole. “E’ magnifico! Così la mattina andremo all’Università insieme! E realizzerai il tuo sogno di diventare interprete! Oh, come sono felice!” urlai.

Lei ricambiò l’abbraccio e sorrise, consapevole.

Eccoci, finalmente soddisfatte di ciò che la vita ci aveva offerto dopo vari patimenti. Non eravamo più le due ragazzine che se ne stavano sui gradini di Piazza di Spagna a piagnucolare per la mancanza di qualcosa nelle nostre vite, no, eravamo semplicemente felici per il nostro presente, che eravamo sicure si sarebbe protratto nello stesso modo fino a diventare un meraviglioso futuro.

 Fine

 

… E così eccoci arrivati alla fine vera e propria di questa terza ed ultima parte. So che vi sembrerà strano il fatto che la prima parte sia narrata dal punto di vista di Deb, ma non ce l’avrei fatta a concludere questa storia senza aver narrato qualcosa dal suo punto di vista che mi è mancato tantissimo in questi quattro mesi. Spero vi sia piaciuto quel piccolo viaggio nei suoi pensieri ^^

La seconda parte, poi, probabilmente è un po’ scontata ma sapete che io adoro i lieto fine e Cristian e Sabrina se lo meritavano dopo tutto quello che hanno passato.

Ci tenevo a far svolgere il tutto nel fatidico loft in cui Deb e Andrea si sono conosciuti, e spero che vi abbia fatto piacere ritornare un po’ con il pensiero in quel posto =)

Cosa dire, non mi resta che ringraziare le 28 persone che hanno messo la storia tra le seguite, le 24 che l’hanno messa tra i preferiti, coloro che l’hanno solo letta e coloro che hanno recensito lo scorso cap:

Alina 95: Si, Andrea non lo supera nessuno ;-) spero ti sia piaciuta la scena tra lui e Deb in questo cap ^^ Ma Cristian come dici tu mano a mano può arrivare alla sua altezza, dai ihih! Spero che l’epilogo ti sia altrettanto piaciuto… Un bacione e grazie per avermi seguita anche qui! ^^

CriCri88: Deb incinta? Ma sai che la mia mente diabolica proprio a questo non aveva pensato? xD Poi ovviamente dopo la tua supposizione ci ho riflettuto un po’, solo che alla fine ho optato di no visto che comunque ha quasi quarantasette anni e poi già mi immaginavo la faccia sconvolta del piccolo Gab quando avrebbe scoperto che non sarebbe stato più il piccolo della famiglia… xD Grazie mille per avermi seguito anche qui, e ti ringrazio sempre per avermi spronata a scrivere questa terza e ultima parte! Un bacione cara!

vero15star: Tesoro, scherzi? Non devo assolutamente perdonarti perché non sono mai stata “arrabbiata”, so quanto sia difficile gestire scuola, ispirazione e stress ^^ E poi già sapere che questi cap hanno continuato a piacerti mi ha dato un gran sollievo perché sai che per me la tua opinione è fondamentale. Cosa dirti, grazie di cuore tesoro, ti voglio benissimo!

_piccola_stella_senza_cielo_: Si, alla fine l’amour trionfa sempre, eheh! Grazie per essere passata anche  a vedere l’altra storia, spero ti piacerà con il procedere dei cap ^^ Un bacione!

Angel Texas Ranger: In effetti, Irene non può ascoltarti perché è morta come hai detto tu xD E tutto è bene quel che finisce bene, eh si… Spero che anche l’epilogo ti sia piaciuto con il ritorno per un po’ nei pensieri di Deb… Un bacione e grazie di cuore per avermi seguito anche qui!

 

Cosa dire… Se vi va di sopportarmi ancora vi invito di nuovo a leggere la mia fic Dillo Alla Luna che per ora ha solo il prologo e il primo cap, l’aggiornerò tra due giorni circa.

Grazie a tutti coloro che mi hanno seguita in questo percorso… Non dimenticherò le vostre recensioni e i vostri commenti.

 

La vostra milly92.

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