La Rosa di Evangeline

di Scarlett Morgenstern
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Londra, 23 dicembre 1848

 

Evangeline si risvegliò da un sogno caotico e cupo: nella sua mente si erano affollate immagini di foreste buie e spettri che la inseguivano e si nascondevano dietro ogni pertugio.

Per fortuna, i raggi del sole che trapassavano le pesanti tende rosse alle sue finestre le ricaddero sulle palpebre, destandola dolcemente e rammentandole dove si trovava realmente: la sua camera era ampia e lussuosa, come si addiceva al suo rango, e i mobili intarsiati d’oro brillavano anche con le candele spente.

La ragazza si scostò i riccioli biondi che le erano ricaduti sul viso mentre dormiva, si tirò su e poggiò un piede fuori dal letto: il pavimento era freddo e le ricordava che era dicembre, così allungò la gamba per raggiungere le morbide e calde pantofole bianche che stavano accanto al fuoco.

Il vivido scoppiettare delle fiamme la rincuorava ed era il segnale che la servitù si era già messa all’opera: Evangeline si mise in piedi e prese la vestaglia, anch’essa bianca come le pantofole, che stava appoggiata sul suo letto.

Una volta vestita, la giovane si avvicinò alle finestre e scostò le tende, rivelando il romantico giardino della tenuta di famiglia completamente innevato e brillante per il contrasto tra la luce del sole e il candore del paesaggio.

Evangeline fece scattare la serratura delle imposte, aprendo e respirando a pieni polmoni l’aria gelida e profumata che veniva dall’esterno, quando la porta della camera si spalancò rivelando Sophie, la cameriera che si occupava di lei da quando era venuta al mondo:

-Madame, cosa fate?! Vi prenderete un gelone!- gridò la donna, che intanto era corsa a serrare le finestre.

-È stato solo per un attimo... - provò a giustificarsi Evangeline, mentre la domestica le scaldava le mani sfregandole contro le proprie.

-Siete proprio incorreggibile!- la redarguì ancora Sophie, facendo sedere la giovane alla toeletta.

Senza dire altro, la domestica prese la pesante spazzola sul tavolino e iniziò a pettinare i lunghi capelli dorati di Evangeline, che al mattino erano sempre indomabili: la ragazza guardava la sua immagine allo specchio, la pelle candida e gli occhi azzurri come due grandi diamanti, la sua figura si stagliava di fronte a lei e sembrava quasi quella di un angelo.

-Nella casa c’è fermento- disse la domestica, mentre preparava il catino con l’acqua calda.

-Ne conosci la ragione?- chiese Evangeline, curiosa.

-No – rispose l’altra – ma suppongo che Lord Montgomery lo sappia-.

Lord Montgomery era il padre di Evangeline ed era un grosso proprietario terriero: aveva ereditato il titolo da un bis – bisnonno della regina Vittoria, tuttavia, a differenza dei suoi avi, aveva saputo amministrare le proprie terre con lungimiranza, diventando uno dei nobili più ricchi d’Inghilterra: lui e la moglie, Lady Montgomery, avevano avuto una sola figlia, Evangeline, alla quale speravano di trovare un degno partito, sebbene la scelta fosse ardua.

Evangeline era da sempre una ragazza curiosa e vivace, sognatrice e desiderosa di vivere grandi avventure; nessuna istitutrice era mai riuscita a toglierle quel suo lato un po’ ribelle, perciò i suoi genitori erano più che ansiosi di sistemarla prima che ciò venisse scoperto dall’alta società di Londra.

La ragazza aveva diciotto anni ed era nel fiore della sua bellezza; questo,  più l’immenso patrimonio di cui era unica erede, la rendevano facile preda per giovani scapoli in cerca di una dote: tuttavia Evangeline non era una così facile conquista. 

Dopo aver terminato di sistemare la lunga chioma, Sophie lavò e vestì la sua signora con uno stretto corsetto e un vestito verde e bianco che le faceva risaltare la pelle: l’ampia gonna scendeva fino a terra, il tulle produceva un suono frusciante mentre la ragazza si muoveva e il corpetto verde le metteva in risalto le forme.

Una volta legati i capelli in una lunga treccia, Evangeline ringraziò Sophie e la congedò: la ragazza prese la boccetta di acqua di rose che aveva sulla toeletta e se ne versò un paio di gocce sul polso destro e sul sinistro, poi infilò la porta e scese al piano inferiore.

Sophie aveva ragione, la casa era in fermento: i domestici erano trafelati e correvano da una parte all’altra, mentre le cameriere preparavano tutte le stanze della casa, arieggiando e cambiando le lenzuola.

La dimora di Evangeline era più simile a una reggia che a una casa vera e propria, poiché suo padre aveva voluto mostrare al mondo le ricchezze di cui disponeva: la ragazza scese l’enorme scalinata principale sfiorando con la mano la ringhiera dorata che si arricciava in strani ghirigori, i suoi tacchetti che poggiavano sul pavimento risuonavano nella sala nonostante il vociare della servitù.

Al centro del salone principale, sul soffitto, era appeso un grande lampadario le cui candele venivano accese ogni mattina dal maggiordomo e venivano spente la sera: in quel momento la casa era illuminata dalla luce del sole che inondava l’ambiente.

Evangeline oltrepassò il salone ed entrò nella sala da pranzo, dicendo:

-Buongiorno padre. Buongiorno madre-

Di fronte a lei, i suoi genitori, perfettamente vestiti e già seduti al tavolo della colazione, venivano serviti dai domestici: uova e pane tostato per Lord Montgomery e un semplice té con erbe per Lady Montgomery.

-Buongiorno cara- rispose la madre, sempre cordiale e con un grande sorriso.

-Buongiorno Evangeline- le fece eco il padre.

La ragazza si sedette, prese il tovagliolo e se lo depose sulle gambe senza pronunciare una parola: era curiosa di sapere cosa stesse succedendo, ma allo stesso tempo sapeva che avrebbe dovuto aspettare che il padre la mettesse al corrente di sua spontanea volontà.

Lui era impegnato a leggere il giornale mentre beveva il caffè, un’abitudine che non era cambiata da che Evangeline avesse memoria, così la ragazza attese mentre i camerieri le servirono la sua consueta colazione, pane e burro e un té.

-Ebbene – disse Lord Montgomery, poggiando il quotidiano sulla tavola – ti sarai chiesta il motivo di tanto scompiglio in casa-

-In effetti il pensiero mi ha attraversato la mente- rispose Evangeline, fingendo di non interessarsene più di tanto.

-Ci sarà un ballo- disse Lady Montgomery, emozionata.

-Qui?- chiese la ragazza, mentre con la forchetta toccava il piatto.

-No – rispose Lord Montgomery – è arrivata una lettera da palazzo stamattina: la regina Vittoria, Dio la salvi, organizza una festa di Natale, una specie di… ballo in maschera. Verrai formalmente presentata a Corte e in quell’occasione, bambina mia, conoscerai i più ambiti giovani d’Inghilterra. Fra i quali ci sarà il tuo futuro sposo-

Le guance di Evangeline divennero color porpora nel sentire queste parole, poi rispose:

-Padre, cosa intendete dire?-

-Solo questo: è il momento che tu prenda marito-

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


-Come prendere marito?- chiese Evangeline, quasi strozzandosi con il pane e reprimendo un colpo di tosse nel tovagliolo.

-Non penso tu abbia bisogno di ulteriori spiegazioni: hai diciotto anni, è giunto il momento. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad amministrare i nostri possedimenti e che provveda a te. Durante questo ballo avrai l’imbarazzo della scelta-

Lord Montgomery porse alla figlia una piccola lettera in pergamena: Evangeline la prese in mano e la guardò, sfiorandone la superficie ruvida e i caratteri neri che erano stati scritti.

 

Sua maestà, la regina Vittoria, è lieta di invitarvi al ricevimento in maschera che avrà luogo a Corte durante la sera di Natale

 

Evangeline scorse queste parole ed esclamò:

-È domani sera!-

-Precisamente - rispose il padre - perciò sarà bene che ti prepari-

Dicendo così Lord Montgomery si alzò, si pulì i baffi con il tovagliolo e uscì: il padre di Evangeline era sempre stato un uomo schietto e diretto, aveva una gran cura di sé, dai folti baffi castani al vestito sempre perfettamente in ordine, e non ammetteva obiezioni, sebbene fosse molto più ragionevole della maggior parte dei lord; la moglie, invece, era fresca e sempre di buon umore, vestiva con gusto e con stoffe molto colorate, provocando spesso l’invidia delle dame di Corte.

-Non preoccuparti, tesoro. Chiamo subito Jean Louis- disse la madre, alzandosi da tavola e dirigendosi verso il valletto che avrebbe recapitato il messaggio: Jeans Louis era un eccezionale sarto di Londra al quale tutte le dame si rivolgevano, e pareva non fosse un uomo del tutto convenzionale.

Evangeline terminò il pasto e si alzò da tavola per recarsi nuovamente nella sua stanza al piano di sopra: chiuse la porta a chiave, sperando di scongiurare un altro ingresso improvviso di Sophie, e si avvicinò al letto.

Chinatasi sul pavimento, nonostante il corsetto le mozzasse il fiato, Evangeline sollevò una piastrella del pavimento e tirò fuori un taccuino di cuoio nero dalle pagine candide: la ragazza si sedette alla scrivania e aprì il quaderno che conteneva tutti i suoi pensieri e le sue emozioni.

Il padre non le permetteva di esprimere opinioni, diceva non essere consono a una ragazza, soprattutto non maritata, perciò lei aveva trovato conforto nella scrittura: a volte Evangeline narrava episodi della sua vita, come quando aveva rovesciato di proposito l’inchiostro su Madame Bovuoir per fare in modo che si licenziasse, ma spesso la ragazza scriveva storie di avventure che sognava di notte, quando nessuno la costringeva a fare altro.

La giovane prese una penna d’oca che stava sulla scrivania, la intinse nell’inchiostro e passò gran parte della mattinata ad annotare il sogno di quella notte: ricordava boschi lugubri, mostri, pirati e una nave, salpata per una terra lontana in cerca di tesori.

Evangeline era nel bel mezzo di un combattimento tra corsari, quando udì bussare alla porta.

-Madame! Monsieur Jeans Louis è qui!- 

Evangeline sospirò, gli appuntamenti con il sarto erano divertenti ma avrebbe voluto continuare la storia: nonostante ciò, si alzò dalla sedia e si avviò alla porta, e quando aprì, si trovò di fronte la domestica con la cuffietta di traverso e col fiatone e dietro di lei, in tutto il suo splendore, Monsieur Jeans Louis.

Era un uomo dai modi raffinati, con una voluminosa parrucca bianca del secolo precedente, una casacca blu e oro, scarpette nere con un piccolo tacco e gioielli su ogni dito della mano. 

-Ciao cara!- esordì lui, entrando nella stanza senza chiedere il permesso e con una confidenza che si prendeva più o meno con chiunque.

-Buongiorno Monsieur- rispose Evangeline, che era divertita da uno spirito tanto eclettico.

-Pronta ad essere sbalordita?- dicendo così, il sarto si girò e sottolineò l’ultima parola con un gesto della mano, come se avesse fatto apparire qualcosa per magia.

-Jeans Louis, non ho bisogno di un vestito nuovo. Quello dorato del ballo di Madame Pompidou andrà benissimo-

-Non dire sciocchezze - rispose lui, indignato - ti hanno già vista tutti con quell’abito e tu non andrai a Corte con un vestito datato!-

In realtà quel vestito in particolare era stato creato solo due mesi fa, ma Jeans Louis prendeva molto sul serio il suo lavoro e pretendeva che ogni sua cliente fosse sempre al centro dell’attenzione.

L’uomo schioccò le dita e dalla porta entrarono due servitori con un appendiabiti: a passo di marcia arrivarono appoggiando sul pavimento l’oggetto al quale erano appesi tre vestiti nascosti da teli bianchi.

-Il primo - Jeans Louis tolse il velo dal vestito che aveva alla sua sinistra- è un broccato argentato con merletti neri sullo scollo e sui polsini. Elegante, luccicante e soprattutto… scandaloso!-

-Non penso che mio padre approverebbe- disse Evangeline, ridacchiando e osservando il vestito: immaginò di indossarlo e le reazioni che avrebbero avuto gli invitati alla Corte della regina, tutti inamidati e raffinati, nel vederla arrivare.

-Hai ragione. Allora, se parliamo di eleganza, ti propongo il secondo! Mussola bianca, scollo ovale e dettagli in pizzo. Questo risalterebbe qualunque tipo di vita grazie a questo corsetto-

Jeans Louis indicò tutti i punti del vestito che stava descrivendo, ma non attese nemmeno la risposta di Evangeline e lo mise via.

-Ma tuo padre ha detto che devi incontrare il tuo futuro sposo, dobbiamo cercare di farti notare, non di nasconderti. Perciò…-

Il sarto scoprì il terzo vestito: era verde smeraldo con dettagli in pizzo nero, un’ampia gonna ricadeva a terra e i dettagli del corsetto erano ricamati sopra alla stoffa e risultavano visibili anche all’esterno; i guanti abbinati erano anch’essi in pizzo nero come i dettagli del corsetto, e la maschera che avrebbe dovuto nascondere il volto di Evangeline era formata da ghirigori in stoffa nera, dorata e verde come il vestito.

Evangeline rimase affascinata, si avvicinò all’abito con la bocca aperta, scrutandolo e sfiorandolo con le dita sotto lo sguardo soddisfatto del sarto.

-Questo…-

Jeans Louis sorrise e rispose:

-Farai impallidire perfino la regina-

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Capitolo tre


 

Evangeline si ammirò allo specchio per almeno mezz’ora dopo essersi provata il meraviglioso vestito di Jeans Louis: Sophie aveva giudicato che per i suoi gusti fosse troppo vistoso e aggressivo, ma alla ragazza non importava – in fondo sarebbe andata a un ballo in maschera e nessuno avrebbe capito che si trattava di lei.

Quello stesso pomeriggio si presentò alla magione dei Montgomery un uomo d’affari, amico di suo padre: Evangeline lo aveva sempre trovato estremamente noioso, anche perchè unicamente interessato al guadagno, però lui e Lord Montgomery avevano avviato insieme un fiorente commercio di spezie provenienti dalle Indie Occidentali che aveva riscosso enorme consenso.

La ragazza fu chiamata dabbasso per il consueto té, che quel giorno sarebbe stato più ricco per via dell’inatteso ospite: Sophie fece sparire l’abito per il ballo, che di certo non era adatto ad essere indossato per questo tipo di occasioni, e le mise un vestito sobrio e accollato di mussola bianca con i ricami sul corpetto; i lunghi capelli biondi di Evangeline vennero acconciati in una treccia, poi arrotolata in uno chignon, le forcine che lo tenevano su erano tante e appuntite e sembrava che le si conficcassero nel cervello.

-Siete pronta!- comunicò Sophie, facendo una lieve riverenza e uscendo.

-Grazie!- urlò Evangeline senza nemmeno voltarsi.

La giovane si guardò nel riflesso dello specchio della toeletta, prese la boccetta di profumo e si mise un paio di gocce su ogni polso e poi dietro l’orecchio: era una consuetudine che aveva da sempre e che le aveva inculcato la madre e anche il profumo era sempre lo stesso: acqua di rose.

Successivamente Evangeline prese i piccoli guanti che Sophie le aveva lasciato sul tavolo: erano bianchi e avevano un leggero pizzo che li rendeva sofisticati ma allo stesso tempo semplici.

Una volta che fu pronta, Evangeline fece un respiro, sperando che la tortura durasse il meno possibile, e scese di sotto, dove i genitori e l’amico di suo padre, Lord Harris, erano già lì; la sala era arredata lussuosamente, con mobili in legno del secolo scorso e divanetti dorati con cuscini rossi di velluto. Le grandi finestre, poi, inondavano di luce la stanza e un tavolino di cristallo, posto proprio sotto una di esse, che brillava come un gioiello al sole.

L’esimio ospite era ancora più sgradevole di quanto la ragazza ricordasse, di mezza età, coi lunghi baffi arricciati verso l’alto, i capelli brizzolati e l’enorme naso che sorreggeva il monocolo che aveva sempre, anche se ci vedeva benissimo.

Come suo padre, anche Lord Harris ci teneva allo stile, era sempre compìto e non perdeva mai il proprio contegno; niente avrebbe potuto schiodarlo da quella sedia e niente avrebbe potuto fargli cadere l’immancabile bastone da passeggio che portava con sé.

Evangeline fece una riverenza senza dire una parola, poi si sedette sul divanetto accanto alla madre e prese la sua tazza di té: mentre Lady Montgomery le versava il liquido bollente, la ragazza ascoltava i discorsi che il padre e Lord Harris facevano.

-Sa comportarsi?-

-Assolutamente, come potete vedere ha un ottimo temperamento-

-Bene, non ho bisogno di donne piantagrane nella mia famiglia. Necessito di qualcuna che si occupi della casa e di tutte le faccende che riguardano la gestione domestica-

-Perdonate, Lord Harris – intervenì Lady Montgomery – vostra moglie dove si trova, se mi permettete la domanda?-

Lord Harris arrossì violentemente e rispose:

-Mia moglie al momento si trova alle terme...a Baden Baden se non vado errato. Ha bisogno di...un clima molto caldo per la sua condizione di salute. Lo hanno detto i medici-

Evangeline soffocò una risata, perchè chiunque in società sapeva o immaginava dove potesse essere Lady Harris: da anni non si faceva più vedere a Londra, c’è chi mormorava si fosse trovata un amante e fosse scappata con lui in Francia, e c’è chi invece, molto più macabramente, supponeva che Lord Harris l’avesse richiusa in una soffitta, come tutti avevano letto nel recente romanzo Jane Eyre che aveva scandalizzato mezza Europa.

-Beh, sono certo che Evangeline non vi farà rimpiangere la scelta- esordì Lord Montgomery con entusiasmo.

Evangeline quasi si strozzò con il té nel sentire quelle parole: a cosa si stava riferendo? Sperava di non aver capito.

-Padre, perdonatemi, state parlando di qualcosa che mi riguarda, ma non so di cosa-

Lord Montgomery non apprezzò l’intromissione della figlia, che avrebbe semplicemente dovuto sedersi e ascoltare, ma non poteva darlo a vedere di fronte al suo illustre ospite, perciò decise di rispondere fingendo che non fosse successo nulla di grave.

-Figliola, tu stai per sposarti...-

Evangeline si sentì mancare la terra sotto ai piedi al pensiero che il suo promesso fosse il disgustoso e vecchio Lord Harris.

-... con il figlio di Lord Harris, Giacomo!-

Per un momento l’agitazione abbandonò Evangeline, che però non aveva mai conosciuto il figlio di Lord Harris, e se lui fosse estato della stessa stoffa del padre, avrebbe avuto un gigantesco problema.

-Giacomo – sussurrò Evangeline, che dovette tenere a freno la sua curiosità e le sue mille domande – che nome... particolare-

Lord Harris sorrise, per la prima volta da che la giovane potesse ricordarsi, e rispose:

-La madre era italiana, ha voluto che conservassimo le sue origini e perciò nostro figlio possiede un nome italiano-

-Ah, l’Italia...- borbottò Lord Montgomery.

-E’ un paese nato per le scorribande dei giovani scapoli e per i poeti. Niente di più!- concordò Lord Harris.

“Strano, visto che tua moglie è italiana, idiota!” pensò Evangeline, che comunque non poteva sopportare i modi manierosi di Lord Harris e che temeva di sposare un uomo troppo simile a lui.

-Ebbene, non vi trattengo oltre!- aggiunse il facoltoso ospite.

-Allora, alla prossima, amico mio. È sempre un piacere fare affari con te- rispose Lord Montgomery, alzandosi e stringendogli la mano; poi fece cenno al maggiordomo che portò il soprabito e il cappello a Lord Harris e lo accompagnò alla porta.

-Oh cielo, mia cara!- pigolò Lady Montgomery.

-E’ un ottimo partito, Evangeline. La sua famiglia ha un titolo ed è benestante. Si dice che il giovane Harris sia uno scapestrato, ma saprai domarlo. In caso contrario, il vostro matrimonio sarà come quello della maggior parte dell’aristocrazia inglese-

Lady Montgomery accennò un velo di tristezza sul volto, poi si voltò verso la figlia e, vedendola in confusione, le accarezzò la spalla.

-Non preoccuparti, cara. Andrà tutto bene-

-Cosa dovrò fare con il ballo a Corte? Sarebbe scortese rifiutare un invito della regina in persona-

-Dovrai andare, questo non si discute!- soggiunse Lord Montgomery, senza ammettere obiezioni.

Evangeline annuì, poi disse:

-Con permesso-

E si ritirò in giardino: la ragazza iniziò a pensare alla vita che l’avrebbe attesa e a tutte le vicende che avrebbe invece voluto vivere, come le sue eroine preferite.

“L’ultima avventura!” pensò tristemente fra sé e sé.

Non sapeva che la sua più grande avventura era appena iniziata.

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Capitolo 4
*** capitolo quattro ***


Evangeline sedeva con aria corrucciata alla toilette, guardandosi nel grande specchio dai bordi dorati e intarsiati che le rimandava l’immagine di una ragazza perplessa.

Sapeva che avrebbe dovuto vestirsi, era già in ritardo per raggiungere il ballo, ma era estremamente incerta su cosa indossare. A dire il vero, non aveva neppure molta voglia di partecipare, a quel ballo. Ma la mamma era stata molto chiara in proposito:

“Mia cara, mi raccomando, devi essere al massimo del tuo splendore, devi brillare come una stella e far sembrare tutte le altre ragazze insignificanti. Sai benissimo quanto questa occasione sia fondamentale per tutti noi, è il tuo debutto in società, e saranno presenti personaggi importanti su cui è necessario fare una buona impressione. E soprattutto, ci saranno il tuo futuro sposo e la sua famiglia. Sono certa che vorrai apparire al meglio, ai loro occhi”.

Poi la mamma aveva aperto il suo armadio e tirato fuori l’ultimo acquisto in fatto di abiti da sera, l’ultima moda di Londra e creazione del famosissimo Jeans Louis, uno splendore di seta verde scuro che si intonava magnificamente ai suoi occhi, con le maniche a sbuffo che le lasciavano le braccia nude - non che si vergognasse di mostrarle, le sue braccia, erano belle, bianche e sottili, ma toniche. Allo scollo, un ricco bordo di pizzo nero.

La mamma aveva fatto un cenno alla cameriera personale di Evangeline, indicandole l’abito. “Faglielo indossare, e acconciale i capelli morbidi attorno al viso. Puoi anche metterle un filo di belletto, le renderà le guance più rosee - poi, rivolgendosi ad Evangeline - Ti presterò la mia parure di smeraldi da accostare a questo abito, abbine cura. Manda la tua cameriera a prenderla quando sarai pronta. E…mi raccomando la maschera, quella di pizzo uguale a quello del vestito”.

E detto ciò, si era allontanata con aria compiaciuta.

 

Ora, se dapprima quel vestito le era piaciuto proprio per la sua esuberanza, nel momento di indossarlo le era sembrato quasi…imbarazzante. Oddio, era bellissimo, ma così scollato! Era terrorizzata dall’idea di arrossire, se avesse percepito uno sguardo su di sé, e con quella sua carnagione così bianca, si sarebbe tradita all’istante. Ma sapeva che doveva rassegnarsi, e anche in fretta. Diede un ultimo sguardo allo specchio, osservandosi criticamente in sottana di pizzo merlettato e casti mutandoni, poi sospirò e fece cenno alla cameriera di procedere.

***

Mentre sua madre non smetteva un attimo di chiacchierare, nella carrozza che la portava al ballo Evangeline rifletteva, chiedendosi che aspetto e che carattere potesse avere quel suo promesso sposo di cui suo padre e sua madre sembravano tanto entusiasti. Giovane? Vecchio (Madre santa, ti prego, no)? Sarebbe stato gentile e affettuoso, oppure l’avrebbe comandata a bacchetta? Non si faceva illusioni, sapeva benissimo che nella sua posizione non poteva avere voce in capitolo, ma promise a se stessa che non avrebbe ceduto senza almeno far sentire la propria opinione. Se doveva essere un matrimonio combinato, sperava almeno di poterne ricevere un po’ di serenità. 

Il percorso le sembrò anche troppo breve; la carrozza si era fermata nel cortile del palazzo, e un attimo dopo il valletto aveva già la mano tesa per aiutarla a scendere. L’uomo li scortò, tenendosi rispettosamente a distanza, fino al grande atrio e davanti alle porte di legno intarsiato che accedevano al salone. Dietro quelle porte si udivano soffocate le note languide della musica da ballo e il chiacchiericcio sommesso degli ospiti. Evangeline sospirò mentre i servitori facevano entrare lei e i suoi genitori. La mamma le diede un ultimo sguardo di approvazione. “Sei bellissima, tesoro! Ora porgeremo i doverosi omaggi alla Regina e poi ti presenterò alla tua futura famiglia”.

La vista dell’interno le tolse il fiato: le luci di mille candele rifratte nei prismi di cristallo dei lampadari, il pavimento di lustro marmo rossiccio, i colori raffinati e sgargianti di mille abiti da sera, donne bellissime dall’aria elegante, uomini tirati a lucido nei loro abiti seri ravvivati da panciotti di seta colorata, una nube di profumi, colori, odori e suoni che per un attimo la stordì. Si guardò attorno e non vide alcun viso conosciuto. A disagio, decise di studiare un po’ l’ambiente, prima di gettarsi nella mischia e affrontare la serata.

I suoi genitori, nel frattempo, si erano avvicinati all’ambasciatore di Corte per farsi annunciare come era costume; per farlo, si erano spostati nei pressi di una delle delle grandi finestre a balcone, oscurate da pesanti cortine di velluto, ed Evangeline, approfittando della distrazione dei genitori, impegnati nei convenevoli, riuscì a sgattaiolare dietro una di quelle tende. Aveva bisogno di prendere ancora un po’ di respiro, e voleva studiare l’ambiente. Scostò appena la stoffa, giusto per far spuntare fuori gli occhi, quando una voce maschile dietro di lei la fece sobbalzare. 

-Allora non sono l’unico a voler sfuggire alla folla!-

Si voltò talmente di colpo da farsi quasi male al collo, mentre il cuore le sobbalzava in petto e il respiro le si faceva corto. L’uomo era alto, elegantemente vestito di grigio scuro con una cravatta di seta di un tenue color cielo e un panciotto damascato nelle tinte del rosa e del blu. Un fisico elegante, un uomo giovane, certamente, un viso probabilmente interessante ma nascosto da una maschera di raso nero. 

-Vi pare cortese comparire così alle spalle delle persone?- esclamò lei. 

-Ma mia cara - disse l’uomo - oserei dire che…c’ero prima io-.

Evangeline dovette riconoscere che l’uomo non aveva torto. Cercando di recuperare un poco di dignità, disse: 

-Avreste dovuto palesarvi più gentilmente..signor…?-.

L’uomo la guardò curiosamente, poi chinò la testa di lato e rispose: -Chiamatemi…Alexander. Posso sapere anche io come chiamarvi, mio squisito angelo?-. 

Evangeline sospettò che quello non fosse il suo vero nome e che per qualche motivo lui preferisse rimanere ignoto. Pensò di ripagarlo con la stessa moneta e rispose: 

-Naturalmente. Chiamatemi..Rose-

Rose era il secondo nome di Evangeline e anche il primo che le era venuto in mente.

-Rose. Vi si adatta splendidamente, oserei dire. Bene…Rose…che ne dite di un ballo? Potremmo conoscerci meglio e nel frattempo tenere lontani gli scocciatori-.

Quasi senza volerlo, lei sorrise e gli tese la mano.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Alexander, anziché portarla sulla pista da ballo come tutti i gentiluomini, scortò Evangeline in una piccola biblioteca dietro due pesanti tende di broccato: nascosti alla vista di tutti, avrebbero potuto chiacchierare senza essere interrotti.

-Mia madre impazzirebbe se sapesse che mi sono nascosta con voi-.

-E perché mai, mia dolce Rose?- chiese lui, inchinandosi e porgendole nuovamente la mano per invitarla a danzare quel valzer che si poteva udire lievemente provenire dal salone.

-Beh, - rispose lei, facendo una leggera riverenza e accogliendo l’invito- non è molto consono tutto ciò. Molte signorine hanno la reputazione danneggiata per molto meno-. 

-Chi ha coraggio fa a meno anche della reputazione!- disse lui con sorriso beffardo.

I due iniziarono a volteggiare sulla loro pista da ballo, cercando di evitare gli spigoli dei mobili e le innumerevoli paccottiglie d’oro e d’argento che li circondavano.

-Chi siete voi?- chiese curiosa Evangeline, cercando di capire chi potesse nascondersi sotto la maschera.

-Non sarebbe più divertente se non sapessimo le rispettive identità? Potremmo goderci questa serata senza rovinare tutto con “il giorno dopo”. Per tutta la vita ci rimarrà questo splendido ricordo che non verrà in alcun modo intaccato dalla vita reale. La vita reale è oltremodo noiosa e scontata, ne convenite?-

-Assolutamente- rispose lei, sorridendo.

Evangeline scrutava gli occhi blu del giovane che aveva di fronte, quegli occhi che brillavano ancora di più grazie al contrasto con la maschera nera che portava: il suo sguardo era indecente e malinconico allo stesso tempo.

-Quindi il vostro vero nome non è Alexander?-

-Potrebbe. O anche no. Il vostro vero nome è Rose?- 

-Potrebbe. O anche no-.

I due risero, poi la musica nel salone cessò improvvisamente e si sentirono squillare le trombe, segno che la regina Vittoria aveva appena fatto il suo ingresso.

-Forse dovrei andare…- disse Evangeline, con una nota di delusione nella voce: non voleva lasciare quel giovane, ma sapeva che i suoi genitori la stavano sicuramente cercando per presentarla alla Regina.

-Ma volete andare?- chiese Alexander, come se le avesse letto nel pensiero.

Lei lo guardò, scrutandolo ancora, poi rispose:

-No… ma i miei genitori…-.

-Avete una decisione da prendere, allora. - la interruppe lui - Se vorrete, mi troverete nel giardino sul retro. Altrimenti siete libera di tornare alla festa. Ma assicuratevi di scegliere ciò che il vostro cuore desidera veramente-.

Detto ciò, Alexander svanì dietro la piccola porta della stanza.

Evangeline sapeva perfettamente quale fosse il suo dovere, ma pensò solo:

“Al diavolo!”

Ignorando il vociare che proveniva dal salone, Evangeline prese la stessa porta dalla quale era uscito Alexander e percorse il lungo corridoio, alle cui pareti erano appesi quadri d’epoca della famiglia reale: quei volti la osservavano con rimprovero e severità, ma a lei non importava.

La ragazza camminò a grandi passi, o almeno tanto grandi quanto le concedeva l’ampio vestito che indossava, finché non giunse all’uscita posteriore, quella che le sguattere e i garzoni usavano per portare fuori le lenzuola sporche o le casse di verdura e di frutta destinate alla cucine.

Evangeline uscì e subito l’aria pungente della sera le solleticò il collo e le braccia nudi: la ragazza si guardò intorno, cercando con lo sguardo quel giovane misterioso che le aveva fatto palpitare il cuore per la prima volta nella vita.

Non riuscendo a scorgere alcuna figura, Evangeline scese le piccole scale di marmo e si avvicinò al roseto che stava lì di fronte: dietro di lei la Corte illuminata a festa produceva un immenso bagliore e la musica dell’orchestra si poteva ancora udire; perfino il chiacchiericcio degli invitati non si era affievolito del tutto.

Evangeline si sentì toccare nuovamente la spalla, si girò e lo vide: Alexander era di fronte a lei, il suo grande sorriso di sfida la intrigava e la eccitava allo stesso tempo. 

Nessun ragazzo l’aveva mai guardata in modo così disdicevole.

Alexander teneva di fronte a sé una rosa rossa, identica a quelle dei cespugli che avevano di fianco, e la appuntò ai capelli biondi di Evangeline, che sorrise emozionata.

La ragazza sentiva le guance diventare calde, sapeva di stare arrossendo ma non le importava: non si era mai sentita tanto entusiasta in vita sua.

-Sapevo che sareste venuta da me-. disse Alexander.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


-Vi andrebbe di passeggiare con me?- chiese Alexander, guardando Evangeline negli occhi.

Lei annuì e basta, senza proferire nemmeno una parola: il suo sguardo già parlava da sé e diceva a gran voce “portami via da qui!”

Lui le aprì la strada con un gesto e un lieve inchino e lei, prese le gonne che strisciavano per terra, si avviò.

-Allora - cominciò lui - cosa mi dite di voi?-

Evangeline sospirò e rispose:

-Non c’è molto da scoprire su di me, sono una normalissima ragazza di Londra. I miei genitori vogliono farmi sposare a tutti i costi-

-Oh, anche i miei- disse lui, ridacchiando.

-Davvero? Con chi?- chiese lei, curiosa.

-Se ve lo dicessi, potreste capire chi sono!- 

-Giusto…-

I due continuarono a passeggiare e lui strappò svogliatamente una foglia dal cespuglio che aveva alla sua destra.

-Ditemi qualcosa su di voi che non sa nessuno-

-Mmmm - Evangeline ci pensò un po’ su, “perché non dire la verità? Tanto non sa chi sono davvero” - scrivo avventure sui pirati!-

-Pirati?!- ripetè lui, voltandosi con sguardo sconvolto.

-Sì- ridacchiò Evangeline. Non aveva mai rivelato a nessuno questo dettaglio della sua vita, perché i suoi genitori lo trovavano estremamente disdicevole.

-Lo trovo affascinante- commentò Alexander.

-E voi? Qualcosa che nessuno sa di voi?-

-Mmm - Alexander ci pensò su e poi concluse - mi piace danzare-

-Danzare?- chiese Evangeline.

-Sì, ci sono alcuni che danzano per mestiere - disse Alexander - ecco, io vorrei farlo-

-Affascinante- commentò lei.

-Trovate?-

-Certo. Non ho mai conosciuto un uomo che volesse fare il ballerino-

-Non è considerata un’attività particolarmente virile-

Alexander camminava assorto guardandosi la punta dei piedi, segno, secondo Evangeline, che ciò che aveva appena rivelato era un segreto molto difficile da svelare.

-Avete mai provato a parlare con i vostri genitori di questa…vocazione?- chiese lei.

Alexander alzò lo sguardo e rise, rise davvero sguaiatamente:

-Me lo immagino, il vecchio. Gli verrebbe un colpo-

-E vostra madre? Magari sarebbe più comprensiva-

-Mia madre è morta-

-Oh…- 

Evangeline arrossì, non era avvezza a quel genere di situazioni e non sapeva come gestirle, anche perché il galateo che le era stato impartito non diceva come rispondere a un uomo durante una passeggiata segreta nel roseto della Regina.

-Comunque, - disse lui, riprendendo il consueto sorriso sulle labbra - scommetto due scellini che non avreste il coraggio di buttarvi là dentro!-

Alexander stava indicando una fontana che stava in fondo al viale: il rumore dell’acqua che scendeva riempiva l’aria e le goccioline schizzavano sul marmo della costruzione.

-State scherzando, vero?- disse Evangeline, ridendo nervosamente al solo pensiero di accettare la sfida.

-Assolutamente no. Non avete il coraggio?-

-E se ci vedesse qualcuno?-

-Sono tutti alla festa, chi dovrebbe vederci?-

Evangeline ci pensò seriamente su, avrebbe voluto lasciarsi andare, avrebbe voluto essere più avventurosa, avrebbe voluto non temere il giudizio dei suoi genitori, ma lei semplicemente non era così.

-Ok, allora vado prima io-

Quella frase interruppe il flusso di pensieri di Evangeline, che si ridestò e vide Alexander che si toglieva le scarpe e si avvicinava alla fontana di marmo.

-Fate sul serio?!- chiese lei, stupita che un gentiluomo fosse così imprudente e…diverso.

-Avete bisogno di una spinta?- chiese Alexander, mentre immergeva il piede destro nella fontana.

Una smorfia gli si dipinse sul viso, segno che l’acqua era fredda, ma lui non demorse e infilò anche il piede sinistro, poi si voltò verso Evangeline e urlò:

-Venite, una volta che vi sarete abituata alla temperatura, è una sensazione piacevole!-

Evangeline rise e si avviò anch’ella, quando raggiunse Alexander commentò:

-Siete davvero l’uomo più bizzarro che abbia mai conosciuto-

-Questo non è un commento molto appropriato-

-Nemmeno urlare alle signorine, lo è!-

-Andiamo, Rose - disse lui, porgendole la mano - smettete di preoccuparvi di cosa è appropriato…-

Evangeline sorrise, prese la mano e, sfilandosi le piccole scarpine dai piedi, si immerse nell’acqua: l’orlo del vestito, sebbene lei lo stesse tenendo su, si era infradiciato, ma non le importava.

La ragazza iniziò a schizzare Alexander e lui rispose, molto poco signorilmente, provocando una vera e propria battaglia.

Solo quando furono zuppi entrambi, lui uscì dalla fontana e la aiutò a sua volta a tornare coi piedi per terra, dandole la giacca del suo abito perché si coprisse le spalle nude.

-Vi prenderete un’infreddatura….- disse lui, strofinandole le mani sulle braccia per provocare calore.

-Come potrei, con voi qui?- disse lei, guardandolo fisso negli occhi.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


I due giovani si scrutarono nei rispettivi sguardi per secondi, per minuti, per ore, questo Evangeline non era in grado di capirlo, ma sapeva dentro di sé che Alexander aveva qualcosa di speciale.

-A cosa pensate?- chiese lui, cercando di chiuderle la giacca per evitare che prendesse freddo.

-A… niente. Non sto pensando a niente- rispose lei, stupita della tranquillità che quel giovane le trasmetteva.

-Beh, lo scopo era smettere di pensare, giusto?- 

Evangeline annuì senza parlare, poi Alexander le porse la mano e le disse:

-Che ne dite di trovare un camino dove scaldarsi? Magari lontano da sguardi indiscreti-

Lei accettò, così i due ripercorsero all’indietro la strada verso il palazzo, che era ancora illuminato a festa e il cui interno era zeppo di persone che non facevano altro che danzare e chiacchierare: la musica dell’orchestra sovrastava in parte il vociare degli invitati, anche se un lieve brusio si poteva udire anche dal giardino.

Alexander aiutò Evangeline a risalire le scale, perché ora col vestito fradicio rischiava di scivolare sul marmo dei gradini: arrivati in cima presero la porta di servizio e si nascosero in una piccola stanzetta, con una biblioteca minuscola e due divanetti dai cuscini rossi.

Alexander prese ad accendere il camino che si trovava di fronte alla seduta, alimentandolo con i ceppi che stavano proprio lì accanto, mentre Evangeline si era accomodata.

“É bello perfino quando accende il camino” pensò lei.

-Che avete?- chiese Alexander, che nel frattempo si era alzato in piedi e fissava perplesso la sua giovane ospite.

-Oh… niente!- rispose Evangeline, ridestata da quella frase.

-Vado a prendervi un the caldo, attendete qui, Rose-

Evangeline accettò volentieri il the e ringraziò il gentiluomo che corse velocemente per compiere la missione che si era auto-affidato, mentre Evangeline si guardava intorno.

Alzandosi, si avvicinò alle librerie e si rese conto che erano piene di romanzi: il romanzo non era ancora entrato nelle case di molti inglesi, solo i lettori più avventurosi li possedevano.

“Non mi stupisce che qui vi siano, se quello che ho sentito sulla Regina è vero” pensò Evangeline.

Le sue dita sfogliarono avidamente uno dei volumi che aveva preso dagli scaffali: aveva una copertina di cuoio azzurro, il titolo era stato scritto in caratteri spessi e dorati e le lettere erano sbiadite, segno che quel libro era stato letto e riletto fino ad essere consumato.

Le mani di Evangeline giravano le pagine ingiallite, cercando di carpire il senso e la trama di ciò che vi era scritto, quando lo scricchiolio delle assi del pavimento la sorprese e quasi in automatico la ragazza ripose rapidamente il piccolo tesoro che aveva trovato nello stesso identico punto, per poi voltarsi.

Era Alexander, con due tazze di the, che dall’uscio le sorrideva:

-Chi pensavate che fosse?-

-Non lo so… nessuno… i miei genitori non mi permettono di leggere romanzi, perciò… la forza dell’abitudine- rispose lei, un po’ in imbarazzo per ciò che aveva svelato: le sembrava in qualche modo di fare la figura della bambina.

-Vi capisco- disse Alexander, mentre si sedeva sul divano e invitava Evangeline a fare lo stesso- non siete l’unica con una doppia vita che vostro padre non conosce-

La ragazza prese la tazza e si sedette accanto ad Alexander, guardandolo mentre sorseggiava il liquido bollente.

I due ragazzi parlarono per ore: Evangeline rivelò ad Alexander tutte le grandi avventure che da sempre sognava di vivere, in cambio lui la rese partecipe di tutte le sue piccole stranezze, compresa quella di lasciare sempre un goccio di bourbon quando beveva al circolo per scaramanzia.

Il tempo passava e nessuno dei due si rese conto di che ore fossero, finché l’orologio della torre non rintoccò la mezzanotte.

Evangeline sentì quei battiti lugubri e arrossì:

-È incredibilmente tardi! I miei genitori saranno furiosi-

La ragazza appoggiò la tazza sul tavolino che aveva di fronte, poi prese la porta seguita da Alexander: i due camminarono lungo il corridoio con gli antichi quadri appesi al muro, ritornarono nello stanzino dove avevano ballato all’inizio della serata e si sporsero dietro alla tenda di broccato per controllare la situazione: gli ospiti si stavano via via accomiatando, la Regina doveva essersi ritirata già da un pezzo.

-Vedete i vostri genitori da qualche parte?- chiese sussurrando Alexander.

-Sì, sono vicino a quella colonna- indicò Evangeline.

Alexander mise una mano sulla spalla di lei e la fece voltare: guardandola negli occhi le disse:

-Ora avrò un bellissimo ricordo di questa serata. Ma ne avrò uno terribile. L’immagine di voi che ve ne andate-

Evangeline rimase senza fiato, lui le si avvicinò: le loro labbra erano così vicine che potevano respirare l’uno l’aria dell’altro.

-Ho una soluzione- disse lui piano.

-Quale?- chiese lei, respirando appena.

-Chiudete gli occhi e contate fino a cinque-

Evangeline sorrise e obbedì.

“Uno…due…tre…quattro…cinque”

La ragazza riaprì gli occhi, ma Alexander non c’era più.

Evangeline non poteva sopportare l’idea di non rivederlo più, ma come avrebbe potuto ritrovarlo? Non sapeva nemmeno il suo vero nome e, a pensarci bene, non conosceva nemmeno il suo volto.

“Non importa” si disse Evangeline “lo ritroverò”.

-EVANGELINE!- 

La voce di sua madre le invase le orecchie e la distolse dai suoi propositi di avventure romantiche.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


Evangeline passò il viaggio di ritorno e il resto della serata ad ascoltare i rimproveri della madre: “che figura…”, “cosa avranno pensato di noi?!”, “Davanti alla Regina!”.

La ragazza sentiva solo frasi spezzate e ogni tanto annuiva con la testa bassa, fingendo dispiacere e vergogna per ciò che aveva fatto.

Ovviamente non aveva rivelato ai suoi genitori di aver passato la serata con Alexander, non avrebbero capito; allo stesso tempo non riusciva a smettere di pensare a quei meravigliosi occhi, l’unico dettaglio che era riuscita a scorgere da dietro la maschera nera del suo cavaliere.

-Si può sapere quindi dov’eri finita?!- chiese Lord Montgomery, adirato tanto quanto la moglie.

Il padre di Evangeline aveva taciuto per tutto il tempo, solo una volta rientrati alla magione aveva dato sfogo a tutto il suo repertorio: adesso che si trovavano da soli nel salone e che anche la servitù era stata congedata, per non dare adito ad ulteriori pettegolezzi, Evangeline sapeva che era il momento di trovare una giustificazione per la sua assenza.

-Purtroppo non mi sono sentita bene, padre. Vi avevo detto che Sophie mi aveva stretto troppo il corsetto-

Evangeline era furba: aveva tirato fuori la storia del corsetto stretto perché sapeva che suo padre si imbarazzava appena si accennava a un qualsivoglia argomento di natura intima femminile.

La situazione attuale non fece eccezione, perché Lord Montgomery si irrigidì, la fronte gli si imperlò di sudore che subito pulì con un fazzoletto e le guance divennero di un lieve color porpora.

-Oh… beh, se così stanno le cose. Mi auguro che ora tu ti senta meglio. Tuttavia, avresti dovuto palesarci il tuo malessere e ti avremmo portata via-

-Padre, non volevo che gli ospiti si preoccupassero. Peggio ancora, avrebbero potuto pensare che avevo pasticciato coi liquori-

-Giusto- rispose solo Lord Montgomery.

Calò per un momento il silenzio, Lady Montgomery era seduta sul divanetto accanto ad Evangeline e aveva le mani incrociate in grembo, come se fosse in attesa di qualcosa.

-Ebbene, puoi ritirarti-

Evangeline si alzò e fece una lieve riverenza  al padre e alla madre, e colse l’occasione al volo per togliersi da quell’impiccio e salire al piano di sopra.

Sophie la stava aspettando e la aiutò a svestirsi: il complicato abito verde venne sfilato e ripiegato, poiché il giorno dopo sarebbe finito nelle mani delle domestiche che lo avrebbero lavato e rimesso a nuovo: proprio mentre la cameriera stava aiutando Evangeline a slacciare il corsetto, nella stanza entrò Lady Montgomery, che con un cenno congedò Sophie.

La ragazza fece una riverenza prima alla padrona di casa, poi a Evangeline e uscì di corsa dalla stanza.

Lady Montgomery si avvicinò alla figlia e la fece girare, poi iniziò a slacciare con forza i nastri di raso di quello strumento di tortura che Evangeline stava indossando:

-Puoi pensare di ingannare tuo padre, ma non credere di poter fare lo stesso con me- esordì lei.

-Madre, di cosa parli?- chiese Evangeline, quasi soffocando per la violenza con la quale la madre la spogliava.

-Oh, per favore, Evangeline! - sbottò l’altra - sono una donna! Conosco bene lo sguardo di una ragazza giovane e infatuata. Non so con chi tu abbia passato la serata e non voglio saperlo. Ma voglio dirti una cosa-

-Ti ascolto, madre-

-Togliti dalla testa qualunque fantasticheria-

Lady Montgomery sfilò il corsetto finalmente aperto e prese la camicia da notte della figlia che era appoggiata sul materasso del letto.

-Perché?- chiese Evangeline, prendendo il coraggio a due mani.

Sua madre la guardò, senza rabbia e senza rimprovero, sembrava quasi intenerita.

-Oh, figliola…- sospirò lei.

Lady Montgomery invitò Evangeline a sedersi con lei, poi le disse:

-Il mondo per una donna non è così semplice. Non puoi amare chi vuoi solo perché decidi di farlo, e tantomeno puoi sposare un ragazzo solo perché ti piace. Non funziona così-

-Tu sei mai stata innamorata?-

Lady Montgomery sussultò, arrossì leggermente, poi iniziò a ricordare, sorridendo tra sé e sé:

-C’era un gentiluomo… un giovane alto, moro e molto galante. Lo incontrai durante una visita che feci insieme a mia madre alla casa di Lady Shuffle: sapessi, figliola, avevo un abito rosso di broccato con ricami di pizzo sui bordi delle maniche e sul colletto-

-E cosa successe?-

-Cosa poteva succedere? Ci innamorammo. Perdutamente. Ma…- Lady Montgomery si intristì improvvisamente e sospirò, era evidente che il ricordo la faceva ancora soffrire - lui era un garzone. Era di un ceto sociale troppo inferiore. Per un po’ tenemmo una corrispondenza epistolare, poi mio padre lo scoprì: nel timore che disonorassi la famiglia, combinò il mio matrimonio e mi fece sposare in pochissimo tempo. Fu così che conobbi tuo padre-

Evangeline non aveva mai sentito questo risvolto della storia, e, anche se era difficile ammetterlo con se stessa, la cosa la intrigava e la intristiva allo stesso tempo.

-Ti racconto questa storia semplicemente perché non voglio che tu soffra come ho sofferto io. Stai per conoscere il tuo futuro sposo, Evangeline. Non puoi permetterti scandali-

Lady Montgomery fece un piccolo sorriso di sbieco, poi baciò sulla fronte la figlia e uscì dalla stanza senza più dire una parola.

Evangeline buttò fuori l’aria che aveva trattenuto fino a quel momento e iniziò ad ansimare al pensiero di non rivedere più Alexander.

“No - pensò lei - non lascerò che accada”.

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


Il mattino successivo, Evangeline si svegliò frastornata; la domestica che apriva le tende e sprimacciava tutti i cuscini su cui riusciva a posare le proprie mani obbligò la ragazza ad aprire gli occhi e, con grande rammarico, mettersi a sedere sul letto.

Aveva passato la nottata, o quella che ne era rimasta dopo la conversazione con sua madre, a riflettere sul da farsi e anche - doveva ammetterlo - sulla relazione che Lady Montgomery aveva intrattenuto con quel garzone da giovane.

Non aveva mai pensato che sua madre potesse aver avuto tutto questo coraggio, “però” pensò Evangeline “alla fine ha rinunciato a lui”.

La ragazza si alzò senza rivolgere la parola alla propria domestica, che invece non la smetteva di farle domande sulla serata trascorsa e sulla Regina e su mille altre cose che Evangeline non stava nemmeno ascoltando.

Dopo aver indossato un semplice vestito lillà con le maniche di pizzo bianche, la ragazza congedò Sophie e si diresse dabbasso, dove l’aspettava la colazione.

Quella mattina fu la prima a mettersi a tavola, il cameriere le servì un uovo con del pane tostato e del the fumante: stava per alzarsi dopo aver consumato il proprio pasto, quando Evangeline udì delle voci provenire dalla biblioteca; la giovane non resistette e andò ad ascoltare.

-Non è adatto per Evangeline!-

-Non importa, si tratta della nostra sopravvivenza, perché non riesci a capirlo?!-

Evangeline aveva riconosciuto le voci dei suoi genitori e si nascose dietro la tenda di broccato che stava all’ingresso della stanza: cercò di sporgersi e di aprire le orecchie il più possibile per non perdersi nemmeno una sillaba.

-Lei non deve portarsi addosso questo peso, la colpa è solo tua-

-Attenta a come parli, sei sempre mia moglie!-

Lord Montgomery tirò un pugno sul tavolino di fronte a sé.

-Sì - rispose Lady Montgomery glacialmente - sono tua moglie. E come tale merito rispetto. Tu, come marito, avresti dovuto sostentare me e nostra figlia, invece hai sperperato il tuo denaro con le tue sgualdrine e con investimenti sconsiderati! E Dio solo sa con cos’altro…-

Evangeline sentì sua madre singhiozzare e dovette farsi un’immensa violenza per non andare a consolarla: “dunque siamo in bancarotta?”.

-È deciso. Non puoi opporti a questo accordo. Il matrimonio con Giacomo risanerà le nostre finanze ed Evangeline avrà un cognome rispettabile-

-Lui è oscuro, non mi piace. Si raccontano tante cose, c’è chi dice che abbia addirittura ucciso sua madre e che per questo sia scomparsa!-

-Pettegolezzi da donnicciole. È un sano maschio inglese, niente di più-

-Metteresti in pericolo la tua stessa figlia, pur di non perdere la faccia con la società?-

Evangeline non udì risposta, però sentì i pesanti passi di suo padre che sbattevano sul tappeto della biblioteca e lo portavano verso l’uscita, così lei si alzò le gonne e rapidamente riprese il suo posto in sala da pranzo.

Finse di leggere il quotidiano che aveva di fronte, quando i suoi genitori entrarono disse:

-Buongiorno padre. Buongiorno madre-

-Buongiorno- rispose solo suo padre, sedendosi.

Sua madre rimase muta, fissando il liquido ramato e fumante che aveva nella sua tazza.

-Devo dire che Robert si è comportato molto bene ieri sera, non ero certo che potesse assolvere un compito tanto importante data la sua giovane età- disse il padre di Evangeline, e Lady Montgomery rispose solo con un breve sorrisetto, per poi fingere di bere il the.

-A cosa vi riferite, padre?- chiese Evangeline, più per rompere il silenzio imbarazzante che si era creato, che per vero interesse.

-Robert. Il mio valletto - rispose lui, tenendo sempre gli occhi fissi sul quotidiano che aveva in mano - ieri sera ha prestato servizio alla festa. il valletto di un giovane lord si è fatto male e lui lo ha sostituito egregiamente-

-Chi era mai costui?- 

-Il valletto? Non saprei…- disse Lord Montgomery.

-No, padre - Evangeline soffocò una risatina - il giovane lord rimasto improvvisamente orfano di valletto-

-Ah - esclamò l’altro, pulendosi i baffi con un tovagliolo - non lo conosco, però Robert mi ha detto che parlando con lui aveva scoperto il suo nome. Era inconsueto…-

Lord Montgomery ci rifletté sopra qualche secondo, poi ebbe l’illuminazione:

-Alexander! Ecco come si chiamava. Non rammento tuttavia il cognome. Dev’essere un piccolo lord di provincia-

Evangeline non riusciva a respirare, non sapeva se per via del corsetto o per l’emozione che provava, o per entrambe le cose: se Robert era riuscito a parlare con Alexander, forse era riuscito ad ottenere qualche informazione in più.

“Devo trovarlo e parlare con lui. A tutti i costi!” 

-Ebbene padre, madre, purtroppo devo ritirarmi, ho promesso a Miss Fairfax che le avrei inviato il nome del sarto che ha cucito il mio abito, e devo consegnare la missiva a Reginald prima che parta per andare in città-

Reginald era il cocchiere e ogni mattina si recava con la carrozza a Londra per recapitare tutte le comunicazioni dalla tenuta.

-No cara, Miss Fairfax può attendere - la interruppe Lady Montgomery - oggi dobbiamo restituire alcune visite. E tuo padre insiste perché annunciamo il tuo fidanzamento-

Evangeline ebbe l’impressione che la madre avesse capito cosa stava succedendo, così accettò suo malgrado di rimandare il piano per trovare Alexander.

La sua mente però non poteva non vagare ai meravigliosi momenti della sera precedente.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Evangeline salì in camera e si fece vestire da Sophie: il suo umore era a terra, ma non poteva esimersi da quelle visite, o avrebbe insospettito sua madre.

“Temo abbia già intuito qualcosa” pensò la ragazza, mentre la cameriera le allacciava il corsetto.

Sophie le infilò un vaporoso vestito giallo e bianco, colori che Evangeline non amava particolarmente perché riteneva che a contrasto la sua pelle risultasse ancora più pallida, ma non aveva scelta: erano precise istruzioni di Lady Montgomery.

Una volta che la vestizione ebbe termine, Evangeline congedò la domestica e scese dabbasso, attendendo sua madre nell’androne principale: con gli occhi scrutava ogni angolo, cercando di trovare Robert, il valletto di suo padre, ma invano.

-Sono pronta, Evangeline. Possiamo andare-

Lady Montgomery era scesa senza che la ragazza se ne fosse accorta, troppo assorta nei suoi pensieri: annuì semplicemente e seguì sua madre all’esterno, dove di fronte al portone era stata preparata la carrozza.

I cavalli bianchi scalpitavano mentre il cocchiere, con un profondo inchino, fece salire a bordo le due dame.

-Oggi dovrai essere impeccabile, mia cara. niente strani discorsi con le altre ragazze, tra poco annunceremo il tuo fidanzamento-

-Di quali discorsi parlate, madre?-

Lady Montgomery la fissò ardentemente, poi disse:

-Sai benissimo di cosa sto parlando. Cerchiamo di non dare adito a nessun tipo di scandalo poco prima di un annuncio tanto importante. È chiaro?-

Evangeline annuì, sospirando profondamente e tornando a guardare il paesaggio fuori dal finestrino: le colline della campagna inglese si profilavano di fronte a lei con perfetta armonia e i colori, dopo una leggera pioggia notturna, erano ancora più brillanti del solito, se possibile.

Il cielo limpido lasciava lo spazio ai raggi del sole che cadevano intensamente ed Evangeline, tendendo la mano fuori dal finestrino, cercava quasi di afferrarli.

Dopo circa un’ora, il cocchiere tirò le redini e la carrozza si fermò: le due dame si erano recate alla dimora di Lady Cavendish, moglie di uno dei duchi più importanti di tutta Londra, che viveva in una delle vie più alla moda del momento nella città.

La casa, se così si poteva definire data la sua imponenza, brillava alla luce del sole grazie ai suoi muri di marmo bianco, e il cancello all’ingresso era completamente costruito in oro.

“Sembra una gigantesca bomboniera” pensò Evangeline, che con il suo vestito giallo sembrava quasi fare pendant con l’ambiente.

Il maggiordomo accolse le due dame all’ingresso, mentre un cameriere aprì la portiera della carrozza.

-Benvenute, myladies, alla dimora di Lord Cavendish. Vogliate favorire i vostri nomi, prego?-

Lady Montgomery porse il suo biglietto da visita al maggiordomo, che dopo averlo esaminato con attenzione fece un profondo inchino alle due ospiti e con un gesto le invitò a seguirlo dentro.

Se possibile, l’interno era ancora più lussuoso dell’esterno: l’atrio principale era contornato da un complesso colonnato, ai muri erano appesi giganteschi quadri di antenati blasonati della famiglia e ogni oggetto era intarsiato in oro.

-Oh, che meraviglia, mia cara Lady Cavendish!- esclamò la madre di Evangeline, andando incontro alla padrona di casa che li attendeva di fronte alla scalinata principale.

-Vi ringrazio, mia cara. Abbiamo riarredato tutto dopo la morte della Duchessa Madre, che come sai aveva gusti decisamente troppo borghesi-

“Chissà cosa diavolo vorrà mai dire” pensò Evangeline, che da sempre odiava quell’inutile cicaleccio.

-E questa è Evangeline - disse Lady Cavendish, esaminando la sua giovane ospite - è molto cresciuta dall’ultima volta che l’abbiamo vista-

Evangeline sorrise e fece una lieve riverenza, poi la padrona di casa disse:

-Raggiungiamo le altre nella biblioteca, stanno servendo il the in questo momento-

Il trio si avviò e trovò altre gentildonne sedute e intente a chiacchierare del più e del meno nella stanza accanto, sorseggiando fumanti tazze di the e mangiando paffuti pasticcini.

Mentre le due Ladies si sedettero con le altre nobildonne presenti, Evangeline si unì alle giovani ragazze.

-Ciao cara. Vieni, prendi una tazza di the- la invitò miss Cavendish, la figlia della padrona di casa.

Evangeline acconsentì e disse:

-Avete nuove da raccontare, ragazze?-

Non le interessava nulla di ciò che avevano da dire, ma etichetta voleva che lei si mostrasse aperta e cordiale con chiunque avesse di fronte.

-No, ma sappiamo che tu ne hai- intervenne miss Borough, che era sempre informata su qualunque pettegolezzo.

-Prego?- chiese Evangeline, fingendosi sorpresa. Sapeva benissimo che si stava riferendo al suo fidanzamento.

-Beh, abbiamo saputo che presto sarà annunciato il tuo fidanzamento. Con il giovane Lord Harris!- rispose l’altra, ridacchiando da dietro la tazzina e fremendo per saperne di più.

-Sì, è stata una cosa abbastanza improvvisa- rispose solo Evangeline, cercando di non fomentare l’argomento.

-Oh, ma tu non sai cosa si racconta di lui, Evangeline!- disse miss Borough, con le guance arrossate per l’emozione di poter svelare qualche segreto piccante.

-Ti prego, Elizabeth. Sono solo chiacchiere!- intervenne miss Cavendish, che invece era molto più delicata.

-Di cosa state parlando?-

Ormai anche Evangeline si era incuriosita.

-Ebbene… - cominciò Elizabeth - devi sapere che mia madre si è informata su questo… Giacomo. La madre è italiana e pare sia scappata con un uomo abbandonando la famiglia. Ma questa non sarebbe altro che una copertura, perché si dice che Giacomo l’abbia assassinata con un tagliacarte!-

-Ma ascolti quello che dici? Sembra uscito da uno di quegli squallidi romanzi da classe popolana. È ovvio, sono solo dicerie- rispose Lady Cavendish.

-Ah sì? Solo dicerie? E allora come spieghi il fatto che non ricevano nessuno? Qualcuno dice addirittura che il cadavere di Lady Harris sia nascosto in soffitta. Altri invece credono che sia impazzita e che venga tenuta nascosta al mondo-

Evangeline non rispose, ma ammise, suo malgrado, che tutte quelle insistenti voci sul suo futuro marito le avevano messo i brividi.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Il resto della visita era passato quasi senza che Evangeline se ne rendesse conto: i pettegolezzi macabri su Giacomo si erano sprecati, addirittura qualcuna delle sue ospiti era a conoscenza, a detta sua, di strani riti satanici che il suo promesso sposo avrebbe compiuto sul suo stesso cavallo.

Se già la ragazza non era particolarmente convinta del matrimonio col giovane Harris, ora lo era ancora meno.

-Non dare retta a queste sciocche dicerìe - le aveva risposto sua madre in carrozza, quando lei aveva sollevato l’argomento - ad ogni giovane scapolo viene assegnata la sua buona dose di pettegolezzi, non per questo sono veri-

Evangeline sospirò e non rispose, girandosi verso la piccola finestrella della vettura e studiando il paesaggio profilarsi di fronte a lei: e se fosse stato vero, invece? Se fosse stato davvero un perverso che aveva ucciso o imprigionato sua madre? Si spiegherebbe perché nessuno l’aveva più vista in società. E magari erano stati proprio gli Harris a mettere in giro la voce che era scappata con un amante, per non destare sospetti.

“Del resto - pensò Evangeline - una succosa fuga d’amore con uno scaltro italiano avrebbe dato di che parlare alla gente, senza smuovere eventuali macabre alternative”.

Il viaggio passò abbastanza rapidamente, non fosse stato per quei pensieri: Lady Montgomery si lasciò andare ad un interminabile monologo sul matrimonio, sulla libertà di cui godevano gli uomini rispetto alle donne e sul potere delle maldicenze, tutti argomenti che avevano un solo e unico scopo: convincere Evangeline a lasciar perdere la questione.

Tuttavia Lady Montgomery non sapeva che la figlia aveva ascoltato ciò che lei e il marito si erano detti, e soprattutto le preoccupazioni che lei medesima nutriva sul futuro sposo della figlia.

In cuor suo Evangeline sapeva che la madre le voleva bene, ma non poteva opporsi alla volontà di Lord Montgomery, ovvero vedere sua figlia sposata con Lord Harris ed ereditare una fortuna.

Al discorso della madre Evangeline rispondeva solo con qualche breve cenno del capo e qualche “sì madre” accondiscendente, quelli che lei tanto adorava: la ragazza aveva in mente ben altro, voleva trovare Robert, il valletto di suo padre, e scoprire qualcosa su Alexander.

La carrozza proseguì speditamente e le due dame arrivarono a casa giusto in tempo per cambiarsi per la cena: Lady Montgomery discese dalla vettura facendosi aiutare dal maggiordomo, sempre solerte e pronto ad accogliere i padroni di casa al loro arrivo; seguì Evangeline, che finse di avere qualche problema con il vestito per prendere tempo.

-Evangeline, muoviti!- la esortò la madre.

-Madre, perdonatemi, ma ho qualche problema con l’orlo, si è agganciato allo scalino della carrozza. Andate avanti, vi raggiungo non appena mi sarò sistemata-

La madre rispose con un sospiro e un’alzata d’occhi, “che figlia sbadata…” sussurrò fra sé e sé, e si avviò all’interno.

-Lasciate che vi aiuti, madame- esordì il maggiordomo.

-Non preoccuparti, Carson - rispose Evangeline - non ho alcun problema. Volevo parlarti in privato di una faccenda… domestica- 

-Oh…- disse solo l’uomo, sorpreso di quanto aveva sentito.

-Ebbene, ricordi i domestici che sono venuti con noi a Londra, al ballo? Vedi, Lord Montgomery è rimasto molto soddisfatto del loro operato e ha incaricato me di porgere loro i nostri complimenti. Tuttavia, non ricordo il nome del valletto che si è occupato di mio padre. Forse Rod, oppure Robby…-

-Robert, mylady. È un bravo giovane, volenteroso e capace-

-Robert, esattamente. Sai dove posso trovarlo?-

Carson arricciò le labbra e disse:

-Mi rincresce, mylady, ma egli non lavora più presso questa dimora da stamani. Ha sgombrato la sua stanza e all’ora di pranzo era già partito-

-Ma come già partito?!- chiese Evangeline, cercando di non mostrare il fastidio che provava nell’aver perso l’unico testimone che poteva aiutarla.

-Sì, mylady. Precise istruzioni di vostra madre: a quanto pare aveva sottratto delle tabaccherie dalla collezione di Lord Montgomery. Sembrava un giovane così per bene. Tuttavia la signora gli ha dato un’ottima buona uscita, referenze più che lodevoli e un salario fino a quando non troverà altro impiego. Se posso permettermi, è stata fin troppo generosa dato l’accaduto-

-Già, generosa… - sussurrò Evangeline.

-Perdonatemi…?- chiese Carson.

-No, nulla. Carson, sai dove potrei trovare Robert? Lord Montgomery tiene molto che gli arrivino i suoi omaggi-

Evangeline sperò intensamente che quest’ultimo tentativo non cadesse a vuoto, però il maggiordomo rispose:

-Ahimè, Robert è tornato a casa sua. Nel Galles. Temo non sarebbe facile raggiungerlo, anche la posta arriva con difficoltà in quei luoghi-

Evangeline emise un gemito di insoddisfazione, poi sorrise e disse:

-Ti ringrazio per l’aiuto, Carson-

Il maggiordomo si esibì in un profondo inchino e tornò alle sue mansioni, mentre la ragazza si diresse in casa.

“Lei aveva capito. Ha usato le visite come diversivo e intanto ha mandato via l’unica persona che poteva portarmi a lui”.

La ragazza salì le scale dell’ingresso e si recò nella propria stanza, dove Sophie era già pronta per il cambio d’abito.

-Ho sentito che a breve verrà annunciato il fidanzamento…- esordì lei, e il suo incessante cicaleccio divenne solo un rumore di sottofondo per Evangeline, che pensava solo a come ritrovare Alexander.

Improvvisamente Lady Montgomery, già pronta per la cena, fece capolino nella stanza e chiese:

-Hai sistemato il problema col vestito, mia cara?-

Il suo atteggiamento frustrava Evangeline, si comportava come se nulla fosse, come se non sapesse di aver licenziato un innocente solo per ostacolare le sue ricerche e farla sposare con un altro uomo: Evangeline non le avrebbe dato la soddisfazione di vederla furiosa.

Rispose solo:

-Sì, madre. Tutto a posto- mentre però pensava “non è finita qui”.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Quella mattina Evangeline si era svegliata di ottimo umore. Non sembrava esserci una ragione particolare, ma la stagione era tiepida e piena di colori, la giornata soleggiata, e tutto sembrava splendere di luce propria. Aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa, ma qualcosa di bello, di interessante, si sentiva pervasa da una specie di gioia esultante. Accolse con un sorriso la cameriera che era venuta a svegliarla e si preparò allegra per scendere a colazione.

Nella sala trovò la madre, già vestita di tutto punto e intenta a mangiare un uovo alla coque; la salutò con un bacio e si accinse a servirsi anche lei.

“Buongiorno maman!” 

“Buongiorno cara. Hai riposato bene? Ti vedo allegra”

“Sì, grazie, una nottata tranquilla”. 

Evangeline sedette a tavola con un piatto pieno e una tazza di caffè, ed ebbe la sensazione – oggi andava a sensazioni, a quanto pareva – che la madre dovesse dirle qualcosa. 

“Tesoro, oggi verrà da noi Monsieur Jean Louis, il sarto, ricordi? Ti proverà l’abito per la tua festa di fidanzamento. Ormai manca poco, e devi essere perfetta, quel giorno”.

Ecco, la bella giornata aveva già perduto tutti i suoi colori. Evangeline chiuse gli occhi al pensiero del fidanzamento; la prospettiva le sembrava sempre meno allettante, soprattutto dopo aver incontrato al ballo in maschera l’affascinante straniero. Ma non sapeva come uscirne. Si chiese se potesse ancora mercanteggiare con la madre la scelta del promesso sposo, ma sapeva di avere ben poche, se non nessuna, possibilità. Decise di fare buon viso a cattivo gioco, per il momento, sperando di poter trovare un qualche modo per rimettersi in contatto con quell’uomo che l’aveva così intrigata.

“Va bene, maman, a che ora lo devo attendere?”

“Verrà nel pomeriggio, verso le cinque. Gli offriremo il tè e poi ci occuperemo dell’abito”.

Così la mamma voleva essere presente. Evangeline sospirò di nuovo, e finì la colazione, avendo bisogno di tornare in camera propria e mettere ordine nei suoi pensieri. 

°°

Quel pomeriggio Monsieur Jean Louis era stato puntualissimo. Avevano preso il sacro tè delle cinque e poi era giunto il momento di spostarsi nello spogliatoio di Evangeline. Jean Louis fece cenno al proprio assistente di portare l’abito e il materiale da sartoria, e tutti, quasi in processione, con in testa Madame, si avviarono alle stanze della ragazza. Già Evangeline paventava il momento in cui la madre avrebbe cominciato a fare osservazioni sull’abito; lei sarebbe rimasta lì, come una bambola di pezza, a farsi vestire ed esaminare, mentre Madame e Jean Paul si sarebbero messi a discutere, senza che lei potesse esprimere la minima voce in capitolo. Sospirò.

Ma il destino pareva esserle almeno un po’ amico, perché comparve uno dei maggiordomi a richiedere l’intervento di Madame per una faccenda urgentissima. Maman titubò un pochino – lasciare una fanciulla sola con il sarto? – ma poi pensò che la cameriera sarebbe stata presente e chiese scusa, congedandosi e assicurando che sarebbe tornata a breve.

Mentre Evangeline si infilava il vestito, aiutata dalla cameriera, Jean Louis si era pudicamente voltato. Non aveva smesso di parlare però.

“Mademoiselle, farete veramente una splendida figura con quell’abito. E senza maschera la vostra fulgida bellezza risplenderà e potrà essere ammirata adeguatamente”.

Evangeline rizzò le orecchie. “Maschera? Quando mai mi avete vista in maschera, sapendo che ero io?”

“Ah, ma chére, io c’ero, al ballo in maschera presso la corte. Chi pensate possa avere fornito la nobiltà presente di tutti quei costumi stupendi e di quelle affascinanti maschere? Madame non vi ha detto che il modello della vostra maschera era mio?”

“Dev’essermi sfuggito, Monsieur, perdonatemi”. 

“Ma di nulla, Mademoiselle. E sono lieto che la maschera vi abbia permesso di prendervi, diciamo così, qualche libertà in più…”.

A quelle parole Evangeline rizzò le orecchie. Era così in ansia che le parole quasi le uscirono di bocca involontariamente: “Quali libertà, Monsieur….? Che cosa pensate di aver visto?”.

Jean Louis le si avvicinò con fare cospiratorio. Accennò alla cameriera ed Evangeline la mandò via, a cercarle un gioiello da abbinare al vestito. Poi Monsieur si guardò attorno. Prima a destra. Poi a sinistra. Come se pensasse che dalle cortine di velluto potesse spuntare qualche spia. 

Abbassò la voce ad un sussurro.

“Mademoiselle…al ballo in maschera vi osservai conversare…con un affascinante straniero”.

Evangeline si portò una mano alla bocca, orripilata. Che sarebbe accaduto ora? Jean Louis avrebbe spifferato tutto alla madre? Poi rifletté. Se avesse voluto dirglielo, lo avrebbe fatto in precedenza, comunque non avrebbe avuto adesso quell’aria di gran segreto.

“Voi…non lo direte a Maman, vero?” azzardò.

Mais non, mia cara, e perché mai? Un innocente divertimento, oserei dire. Ma badate, si tratta davvero di un gran gentiluomo” fece Jean Louis.

Evangeline trasalì. “Dio mio, ma allora voi conoscete quell’uomo! Sapete chi è? Ve ne supplico, ditemelo! Mi diede un nome, ma so che non era il suo autentico. Certo, gli si adattava così bene” disse con aria sognante. Poi abbassò lo sguardo. “Lo so, una brava fanciulla non dovrebbe essere così sfacciata, ma colui, ah… - sospirò – è stato così gentile, premuroso, affascinante… Ditemi chi è, Monsieur, vi prego…”

A quel punto Jean Louis si guardò nuovamente attorno.

Mademoiselle, devo confessarvi che neppure io so il suo vero nome. Si fece confezionare abito e maschera sotto mentite spoglie, facendomi prendere le misure al suo lacché, il quale gli era assai simile per corporatura. Io lo vidi solo una volta, il volto già coperto dalla maschera, per gli ultimi ritocchi di precisione all’abito. Però…ehm…”. Il sarto arrossì ed Evangeline spalancò gli occhi per lo stupore.

“Insomma, io e questo lacché…hm…abbiamo stretto nel frattempo un’amicizia molto, diciamo così, profonda, ecco, amicizia che continua tuttora. Io non ho mai chiesto a quest’uomo di tradire la fiducia del proprio padrone, ne lo farò ora, neppure per voi. Tuttavia, questo posso dirvi. Il gentiluomo interverrà al ballo dei poveri della prossima settimana. Lo so perché…sì, insomma, il giovane con cui intrattengo questa amicizia ed io, in quell’occasione, potremo, sì, vederci con tranquillità”.

“Oh, Monsieur, che grande notizia mi date. Era già prevista una nostra partecipazione a questo evento mondano, cosa che avevo accettato mio malgrado, ma ora…. Ora vi andrò con moltissimo piacere e grandi aspettative!”. 

Guardò Jean Louis con intenzione. “Monsieur, neppure io vi chiederei di indurre il vostro amico a compiere un’azione spregevole come quella di infrangere il patto di fiducia col suo padrone, ma…potreste in fede far arrivare a lui un mio messaggio, tramite la vostra giovane conoscenza?”

Jean Louis rimase un attimo soprappensiero. “Sì, ritengo di sì. Non vi garantisco nulla, ma tenterò con tutto il cuore e non vedo perché non dovrei essere accontentato”.

“Bene – fece Evangeline – allora il messaggio è questo: Rose sarà anch’essa al ballo dei poveri, alle 9 in punto. E indosserà quello stesso abito verde. Lo farete? Senza dire il mio vero nome, però, ve ne prego!”

Jean Louis sorrise. “Certo, Mademoiselle, contate su di me, e ovviamente non farò menzione di chi siete, diamine, sono un gentiluomo io pure!”

Evangeline gli offrì un sorriso felice. “Grazie!” sussurrò. E poi, vedendo che Madame stava rientrando, si dedicarono completamente alla prova dell’abito.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


La festa di fidanzamento era in pieno svolgimento. Il salone rifulgeva di luci, abiti e gioielli sfavillavano di mille colori, tutti gli ospiti parevano gradire singolarmente i rinfreschi offerti…ed Evangeline aveva odiato e tuttora odiava ogni singolo momento di quella festa. Il momento peggiore era stato quando non aveva più potuto evitare di essere presentata al promesso sposo ed ai suoi genitori: lui, Giacomo, un uomo ombroso di poche parole, francamente poco simpatico, i genitori, o meglio il padre e quella che poteva essere la sua più famosa amante, una coppia di altezzosi nobili, che evidentemente pensavano di fare ad Evangeline e alla sua famiglia un enorme onore, accettando di imparentarsi con loro. 

Questa volta non c’era stata nessuna fuga, non era stato possibile nascondersi dietro a nessuna tenda, sebbene Evangeline non avesse alcuna intenzione di rassegnarsi a quel matrimonio combinato. Nella sua mente progettava una fuga che assumeva contorni romantici: un giovane affascinante sconosciuto che la rapiva, naturalmente con la sua attiva collaborazione, sottraendola ad un destino infame: e vissero felici e contenti. Come potesse organizzarsi questa fuga, e soprattutto come individuare lo sconosciuto che tanto occupava i suoi sogni, non le era molto chiaro.

Intanto, però, doveva raggiungere il ballo dei poveri, dove Jean Louis le aveva detto avrebbe potuto incontrare “lui”. Guardò in direzione dei suoi genitori, che stavano chiacchierando con i suoi futuri suoceri e – dio non volesse – il suo futuro, sgradevolissimo marito. Con una scusa si defilò in camera e si cambiò il più rapidamente possibile: l’abito di broccato rosso che sua madre aveva scelto per l’evento venne rimpiazzato dal vestito del ballo in maschera. Cautamente la ragazza discese le scale e si avviò fino alla porta del salone, ne uscì sempre controllando di non essere vista, e una volta fuori ruppe in una fuga il più rapida possibile, veloce quanto le era consentito dall’abito ingombrante e dalle scarpette col tacco. Per fortuna, Jean Louis le aveva approntato nella gonna una tasca segreta in cui aveva nascosto la maschera.

Salì al volo sulla sua carrozza e diede al cocchiere l’indirizzo del ballo dei poveri: se il cocchiere fosse rimasto perplesso o sconcertato da quella richiesta, non lo diede a vedere, e spronò i cavalli.

°°

Finalmente giunta al salone del ballo dei poveri, Evangeline si sentì montare una certa inquietudine. Fece un paio di respiri profondi, mise la maschera e scese dalla carrozza, avanzando verso le luci della festa.

Entrò a testa alta, col cuore in gola, e per darsi un contegno afferrò una coppa di champagne dal vassoio del primo cameriere che vide. Nel frattempo, senza parere, cominciò a guardarsi attorno in cerca dell’unica persona che le interessasse trovare. “O mio dio – pensò – e adesso? Se non venisse? Se Jean Louis si fosse sbagliato? Se il lacché gli avesse dato una notizia falsa? Magari senza esserne consapevole?”.

Una folla di pensieri le si affacciò alla mente, uno più spaventoso dell’altro, finché, all’ennesimo sguardo preoccupato attorno, lo vide.

Era lì, elegantissimo nel completo nero, la maschera sul viso, ma innegabilmente lui. E come se lui avesse sentito il suo sguardo, si voltò. In quel momento tutto il resto scomparve per Evangeline; il mondo avrebbe potuto smettere di girare e lei non se ne sarebbe accorta, concentrata com’era su di un unico punto della sala. E anche lui sembrò essere attratto come un magnete nella sua direzione.

Lei cominciò ad andargli incontro. Lui lasciò la parete a cui era appoggiato per dirigersi verso di lei.

Al centro della sala si incontrarono. 

Rose” disse lui a bassa voce, prendendole la mano e baciandogliela.

“Alexander” sussurrò lei di rimando.

“Perdonate il mio ritardo, mademoiselle, sono stato trattenuto da uno sgradevole quanto irrinunciabile impegno di famiglia” e mentre lo diceva la sua espressione chiaramente corrucciata le stava dicendo quanto sgradevole fosse stato quell’evento.

“Non vi scusate, signore, anche io sono stata trattenuta, ve l’assicuro contro lamia volontà. Ma non sempre siamo padroni delle nostre vite”.

“Ahimé come avete ragione. Gli obblighi sociali e familiari ci impediscono di seguire ciò a cui il nostro cuore anela”.

Evangeline arrossì. “Non sono l’unica, allora, che ha un cuore…”.

“Certamente no, mia bella sconosciuta. Mi date una grande gioia dicendomi così. Posso osare di sperare che…”

In quel momento, si sentirono delle urla, acute e improvvise. Entrambi si voltarono nella direzione da cui provenivano, ed Evangeline si portò una mano alla bocca. Un gruppo di uomini dagli abiti stracciati e con i volti coperti, ma ben armati, avevano fatto irruzione nel salone, e stavano gridando ordini, intimando alle donne di radunarsi in un angolo della sala e agli uomini di inginocchiarsi. 

Alexander si guardò subito attorno in cerca di una via di fuga, ma a quanto pareva tutte le uscite erano sbarrate o guardate da qualcuno dei banditi, che evidentemente conoscevano molto bene il luogo. Fece allora scudo ad Evangeline, cercando di sottrarla alla vista dei malviventi. 

Purtroppo, ottenne l’effetto contrario. Mentre un paio di complici si occupavano di spogliare le signore dei loro gioielli e altri tenevano gli uomini sotto la minaccia delle armi, il capo dei briganti si avvicinò loro sfoderando un sorriso inquietante.

“Ma guarda guarda chi c’è…un bel bocconcino…”

“Non azzardatevi a toccare questa ragazza! – esclamò Alexander - Sono disposto ad offrirmi come ostaggio al suo posto. Quando vi avrò detto chi sono, saprete che potrete chiedere un buon riscatto per me.”

“Ah, non ti preoccupare, bel giovane. Perché avere uno solo, se possiamo avere entrambi? Ma nel frattempo…”

E così dicendo allungò una mano verso Evangeline, l’afferrò per un braccio, e mentre la trascinava via, le strappò la maschera.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Il cuore di Evangeline batteva all’impazzata mentre quell’uomo le strattonava il braccio per farla camminare: era troppo forte per lei, che non riusciva a divincolarsi, e quando egli le strappò via la maschera, la ragazza sentì che lo scalpitare del suo cuore per un momento si fermò.

I lunghi capelli biondi le ricoprivano il viso, quindi il suo rapitore glieli scostò e disse, con voce scura e maligna:

“Sì, sì, tu ci farai fare un sacco di soldi. Hai proprio il bel visino di una figlia di buona famiglia. Una che non ha mai dovuto sudarsi nulla in tutta la sua fottuta vita”.

“Liberatela!”

La voce alle spalle di Evangeline era quella di Alexander, che nel frattempo era stato bloccato da altri due banditi: i loro volti erano coperti anch’essi da maschere nere di cuoio e tutti indossavano stivali marroni, pantaloni di pessima fattura anch’essi marroni e camicia bianca larga.

“Non hai capito che qui gli ordini non li dai più tu, piccolo lord da quattro soldi?!” Rispose uno dei rapitori, rifilando un bel pugno nello stomaco di Alexander, che senza fiato cadde sulle ginocchia. Non aveva ancora scorto il volto di Evangeline, che continuava a dargli le spalle, bloccata da quell’energumeno.

“Tu ora vieni con noi” sussurrò l’uomo all’orecchio di Evangeline, prima di appoggiarle un fazzoletto sul volto. Dopodiché la ragazza non ricordò più nulla di ciò che avvenne.

 

Evangeline si risvegliò in una segreta buia e umida, il pavimento sotto di lei era freddo e scomodo, e nelle orecchie le risuonava l’eco di piccole gocce d’acqua che cadevano dal soffitto: il suo bel vestito verde era sporco di fango e di sangue e le sue scarpe erano andate evidentemente perse, visto che era a piedi nudi.

La testa le doleva, come se avesse un diadema troppo stretto attorno al capo, e quando provò a muoversi, la ragazza si rese conto che le mani le erano state bloccate con delle grosse e pesanti catene.

Con fatica, Evangeline si mise seduta, con la schiena appoggiata alla parete, e cercò di respirare profondamente per combattere i dolori che sentiva in tutto il corpo: le lacrime uscivano dai suoi occhi senza che lei ne avesse il benché minimo controllo, ma ella si fece forza e cercò di ragionare.

“Va bene, devo trovare un modo di uscire di qui - pensò lei - ma come? Non so nemmeno dove accidenti mi trovo”

“Allora sei sveglia…”

La voce proveniva da un angolo buio di fronte alle sbarre della cella: Evangeline strizzò gli occhi, cercando di decifrare la figura misteriosa che sembrava seduta di fronte a lei su una sgangherata sedia di legno.

“Chi siete?” chiese lei, ancora confusa.

“Ogni cosa a suo tempo, milady”

“D-dov’è Alexander?!” balbettò Evangeline, cercando di non dare a vedere quanto fosse terrorizzata.

“Alexander chi? Piccola bambina sciocca, è così facile ingannarti?”

“Di cosa state parlando? Rispondete!”

“TU NON DAI PIù ORDINI, RAGAZZINA! - gridò l’uomo, che si alzò di scatto e si avvicinò alle sbarre. Evangeline non lo riconobbe perché portava sempre quella maschera che i rapitori avevano alla festa, ma la sua improvvisa collera la spaventò molto, così si fece più indietro - il tuo amato Alexander non verrà a salvarti. Era tutto architettato, non capisci? Un trucco! E tu ci sei cascata in pieno!”

“Un trucco? Che … che significa?!”

“Significa che il tuo amato papino ci pagherà un bel mucchio di soldi per non sfregiare quel bel viso. E tutto grazie alla tua scappatella. Il tuo amato si prenderà una bella somma in cambio”

Evangeline tentò di alzarsi, ma si sentì la terra mancare sotto i piedi e dovette appoggiarsi al muro per evitare di ricadere a terra svenuta: Alexander era in combutta con questa gente? L’aveva ingannata per avere i soldi di suo padre?

“Voi state mentendo! Alexander non mi avrebbe mai fatto una cosa simile!” Urlò lei, disperata e incredula.

“Ah sì? Allora, dimmi: come si chiama davvero te l’ha detto?”

Evangeline rimase senza fiato: la verità era questa. Lei non conosceva Alexander. Non davvero.

L’uomo accennò un malefico sorriso, per poi lasciare la prigione senza voltarsi e lasciando Evangeline lì. Sola e devastata dal suo stesso dolore.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Evangeline era ancora devastata dalla notizia che Alexander, il suo Alexander, l’avesse imbrogliata tanto spudoratamente: la ragazza prese un respiro profondo e cercò di ragionare sul da farsi. Nessuno sarebbe venuto in suo soccorso.

“Cosa farebbe una di quelle eroine dei miei romanzi?” pensò, guardandosi intorno e cercando qualcosa che le desse un’idea.

Nella cella umida e sporca dove era stata rinchiusa non vi era nulla che potesse essere usato come arma o per aprire le sbarre, così Evangeline si studiò per capire cosa potesse adoperare, ma non possedeva nemmeno una forcina.

“Tuttavia…” 

Improvvisamente ecco l’illuminazione: la tasca segreta di Jean Louis!

Il sarto aveva inserito all’interno della fodera della gonna di Evangeline una tasca nascosta, dove poter inserire qualunque utensile che potesse venire in soccorso di una damigella durante un ballo: Evangeline vi aveva riposto… il fermaglio per capelli di sua madre!

Era una grossa spilla dorata a forma di farfalla, regalo di nozze che la madre di Evangeline le aveva fatto scivolare tra le mani poco prima della presentazione a Giacomo.

La ragazza la osservò con attenzione, studiandone ogni minimo particolare e sfiorando con le dita la punta del fermaglio: era affilato…

Ad un tratto Evangeline capì cosa doveva fare.

Sentì rumore di passi provenire dalle scale, un rumore che si fece via via sempre più vicino, finché la nostra povera prigioniera non scoprì che si trattava del suo carceriere: i suoi stivali marroni e pesanti risuonavano sulla pietra del pavimento in modo tetro e spaventoso, ma Evangeline si fece forza.

“Cosa volete da me?” Chiese lei, con tutta la fermezza che riusciva a dare alla sua voce.

“Solo i soldi di tuo padre. Poi si vedrà!” Rispose l’altro, che si stava togliendo lo sporco da sotto le unghie con uno stuzzichino.

“Mio padre non pagherà mai una somma di denaro per me - Evangeline era pronta a sferrare il colpo decisivo - abbiamo perso il patrimonio”

Il rapitore per la prima volta fissò Evangeline negli occhi, anche se il suo volto era sempre coperto dalla maschera di cuoio nera e, con l’aria più sorpresa di quanto non avrebbe voluto, ribatté:

“Di che diavolo stai parlando, ragazzina?! Avete la tenuta! E i domestici!”

“Sì, ma è solo apparenza. Il mio matrimonio con Lord Harris doveva coprire i debiti di mio padre, ma se mi ucciderete o se mi terrete ancora qui dentro… non avverrà mai”

Il lugubre carceriere sbatté improvvisamente un pugno contro il muro e ad Evangeline sembrò che la parete volesse collassare su se stessa: cercò di controllare il suo respiro e i battiti accelerati del suo cuore, doveva rimanere lucida e non lasciarsi intimorire.

“Ma possiamo fare un accordo” aggiunse quindi, senza esitazione.

“Un accordo?” Fece eco l’altro, che ansimava per la rabbia e il dolore alla mano.

“Io sposerò Lord Harris - propose Evangeline - e vi darò tutto il denaro che vorrete. Ma voi dovrete liberarmi”

“E pensi davvero che possa crederti?”

“Cos’avete da perdere? Se rimarrò qui, non avrete comunque il denaro”

L’uomo si avvicinò alle sbarre, tanto che Evangeline poteva sentirne il fetore di whisky: trattenne il fiato e non si mosse di un passo, cercando di ostentare una sicurezza che non aveva. 

Nella sua mano strinse più forte la spilla a forma di farfalla, forse era la sua unica possibilità di salvarsi.

“Devo portarti dal capo - sussurrò la canaglia - ma prima… niente mi vieta di divertirmi un po’. Non sono mai stato con una lady”

Evangeline ricacciò indietro un conato di vomito, quando il losco figuro infilò la chiave nella toppa della prigione e fece scattare la serratura: lei indietreggiò leggermente, cercando di tenersi libera la via di fuga quando sarebbe stato il momento.

“Sai, non sembri come le altre lady…” disse ancora il rapitore.

“Cosa intendete dire?” Chiese lei, cercando di prendere tempo.

“Non avete paura. Non strillate, non svenite…”

L’uomo si avvicinò sempre di più ad Evangeline, ruotandole davanti il mazzo di chiavi, quasi come se volesse sfidarla a prenderle: ella si trovò improvvisamente con le spalle al muro, lui era vicino a lei, allungò la mano e iniziò a sfiorarle il braccio destro.

Accostò il proprio volto a quello della ragazza, annusandole i capelli e sfiorando i bei ricci dorati che ora erano infangati, quindi Evangeline sussurrò:

“Non ho paura dei topi di fogna!”

Detto ciò, la ragazza alzò la mano che teneva la spilla e conficcò la punta nella gola del suo carceriere, che strillò dal dolore e si portò entrambe le mani alla ferita, lasciando cadere le chiavi: il sangue usciva copioso ed Evangeline approfittò per recuperare il mazzo caduto a terra e fuggire.

Con uno scatto, la ragazza corse fuori dalla cella e richiuse le sbarre dietro di sé, per poi prendere la scala di pietra e scappare via: corse, corse, non sapeva nemmeno in quale direzione stesse andando, ma sapeva di doversi allontanare il più possibile.

I corridoi di pietra ricordavano quasi un monastero, le torce accese e il buio che proveniva dalle finestre bifore le suggerirono che fosse notte: i piedi di Evangeline toccavano il pavimento facendo solo un lieve rumore, ma questo rimbombava terribilmente in quel luogo ancora non identificato.

Evangeline proseguì fino a che non scorse un giardino interno che sicuramente avrebbe portato a un’uscita: fece per andare avanti, quando udì le voci di due uomini provenire proprio dal cortile, così ella si nascose dietro a una colonna.

“Ci faremo un bel mucchio di soldi, vedrai” disse uno.

“Cosa ti comprerai?” Chiese l’altro.

“Ancora non lo so, bisogna vedere se il piano funzionerà”.

I due si allontanarono, mentre Evangeline cercava di non emettere il minimo suono: la ragazza si sporse per controllare che i rapitori avessero svoltato l’angolo, quando improvvisamente si sentì una mano guantata sopra la bocca.

Il cuore le balzò in gola, cercò di afferrare quella mano e di toglierla ma era troppo forte: Evangeline si dimenò ma colui che la tratteneva era troppo forte.

“Shhh…Shhh… non agitarti, sono io!”

Evangeline avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.

Alexander.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


“Sono io…” aggiunse sussurrando Alexander, tenendosi alle spalle di Evangeline.

La ragazza, memore di quello che il suo rapitore le aveva rivelato sul conto del suo innamorato, morse con tutte le forze che aveva la mano che le tappava la bocca.

Alexander imprecò, lasciando libera Evangeline che si girò e gli rifilò uno schiaffo in piena faccia: lui ancora indossava la maschera del ballo, indossava anche gli stessi vestiti, sebbene ora fossero sporchi e stracciati.

Lui sembrava basito nel guardarla: i suoi occhi, l’unica cosa che la maschera lasciava visibile, erano sbarrati e la bocca spalancata. Non si mosse di un centimetro, rimase solo lì fermo ad osservarla con apparente stupore.

Evangeline non capiva perché lui rimanesse immobile, ma non le importava e approfittò per scappare lontano: aveva fatto solo qualche passo, quando lui si sbloccò, tese la mano e gridò:

“No, Evangeline!”

La ragazza si fermò: come sapeva il suo nome? Lui l’aveva conosciuta come Rose al ballo in maschera, non poteva sapere chi fosse veramente.

“Come conosci il mio nome?” Chiese lei, voltandosi: i suoi lunghi capelli dorati, un tempo sempre in ordine, erano scompigliati e le ricadevano a ciuffi sul volto.

“Devi ascoltarmi - implorò lui - ho tante cose da dirti. Ma non qui, dobbiamo andarcene!”

“Perché mai dovrei fuggire con te? Sei uno di loro!” Esclamò Evangeline, che non riuscì più a trattenere le lacrime: la rabbia che provava dentro di sé esplose come un vortice, facendole pizzicare gli occhi e arrossire le guance.

“Uno di loro? Evangeline, qualunque cosa ti abbiano detto non è vero. Io posso spiegarti. Ma devi fidarti di me”

“Come posso fidarmi di qualcuno di cui non conosco nemmeno il nome?”
“C’è una ragione se non te l’ho rivelato. Volevo proteggerti, la mia vita… è complicata”

“Proteggermi da che cosa?!” 

Evangeline era esasperata: era stanca di tutte quelle bugie nella sua vita, stanca che tutti la considerassero solo una sciocca ragazzina e stanca di trovarsi in quel postaccio buio e sporco senza avere la minima idea di cosa stesse succedendo.

Alexander le si avvicinò e le prese le mani tra le sue, mentre lei lo guardava in lacrime senza riuscire a muoversi o a parlare: non poteva credere che anche lui facesse parte del piano dei suoi rapitori, ma allo stesso tempo non sapeva cosa pensare.

“Ti dirò una cosa che non sa nessuno. Molto più importante del mio nome. Così forse ti fiderai di nuovo di me”

“Che cosa stai dicendo?” Chiese lei con un flebile tono della voce.

“Io… - cominciò Alexander, balbettando e guardandosi le punte dei piedi - io sono un templare”

Evangeline scosse la testa, non poteva credere a ciò che aveva appena sentito: il respiro le si bloccò e per un momento non seppe cosa rispondere.

“U-un… templare?”

“Sì”

Senza saperne la ragione, Evangeline scoppiò in una fragorosa e nervosa risata, fissando il suo interlocutore che aveva gli occhi sbarrati - non si aspettava una tale reazione.

“Cosa c’è di buffo?” Chiese lui, quasi offeso.

“I templari non esistono! - sbraitò lei - sono una favoletta per bambini, lo sanno tutti. Come puoi aspettarti che io creda a una storia simile?”

“ALEXANDER!”

Il nome di Alexander risuonò per il corridoio. Era una voce maschile e improvvisamente di fronte ai giovani si palesarono due soldati, ma non due soldati qualunque: indossavano una tunica bianca con una croce rossa cucita sul petto e sotto di essa una cotta di maglia a proteggerli; il capo invece era nascosto da un pesante elmo d’acciaio che lasciava solo una fessura per gli occhi.

Evangeline sapeva che quelle divise erano indossate solamente da una tipologia di soldati: i cavalieri templari.

“Ma allora eri serio…” sussurrò lei.

“Alexander, dobbiamo andarcene di qui - riprese il templare - le guardie hanno trovato un uomo nella cella della ragazza. Aveva una spilla conficcata nella gola ed è morto dissanguato. Saranno già in giro a cercarci”

“Va bene, Galaad. Cerchiamo una via d’uscita. Ywain, vai nella cripta e aspetta un segnale”

“Ma questi nomi…” sussurrò ancora Evangeline, stordita per quanto stava vedendo e sentendo.

“Sì, sono i nomi dei cavalieri della Tavola Rotonda. Io ho preso il nome di Alexander , come Alessandro Magno, perché sono uno dei condottieri. Sei stata rapita da un gruppo di manigoldi che voleva ricattare tuo padre. Quando ti hanno portata via, mi sono liberato e ho mandato un messaggio di aiuto alla mia guarnigione: scoprire dove ti hanno portata è stato un gioco da ragazzi, questi tizi hanno lasciato un sacco di tracce. Ma non sappiamo ancora chi sia il loro capo. Ora dobbiamo scappare prima che ci trovino”

Evangeline decise di dare fiducia ad Alexander, per il momento: annuì e accettò la sua mano, poi lei, Alexander e Galaad presero la fuga, seguendo il corridoio che portava al giardino interno.

I tre corsero, cercando di non fare nemmeno il minimo rumore, finché Alexander non si fermò improvvisamente.

“Lo senti?” Chiese al suo compagno.

“Sì… direi che sono almeno in dieci”

“Chi?” Chiese Evangeline.

“Fermi lì, voi tre. Dove credete di andare?”

Evangeline si voltò e vide dietro di loro i rapitori con le loro maschere nere e con le baionette puntate verso di loro.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


“Maledizione…” imprecò Galaad, dimenticandosi che era presente tra loro anche una signorina.

I rapitori controllavano con sguardo arcigno ogni loro mossa, finché uno di loro ordinò:

“Consegnate le armi, voialtri. E in fretta!”

Alexander e Galaad obbedirono, quindi sfoderarono le spade e le gettarono a terra: l’uomo che aveva parlato fece un cenno a un suo scagnozzo che velocemente si piegò a raccogliere i fioretti dei prigionieri, quindi altri tre si slegarono dal gruppo e presero un ostaggio ciascuno.

Evangeline sentiva il corpo di quell’orribile uomo che premeva contro il suo, l’odore ripugnante che gli usciva dalla bocca e dalla pelle la faceva rabbrividire, ma trattenne ogni espressione e cercò di rimanere impassibile.

“Sono certo che il Capo non vede l’ora di incontrarvi” disse sempre lo stesso rapitore, mentre gli altri costrinsero Alexander, Evangeline e Galaad a camminare con le mani legate dietro la schiena.

Nessuno osava dire una parola, lungo i corridoi si sentivano solo i suoni degli stivali che toccavano il pavimento, mentre Evangeline che era ancora a piedi nudi sentiva la fredda pietra a contatto con la sua pelle.

“È nella chiesa…” sussurrò uno dei rapitori al suo comandante.

Evangeline notò negli occhi di Alexander che l’informazione non gli era sfuggita, sembrava avere qualcosa in mente, infatti dopo qualche secondo, il giovane templare incrociò i piedi e finse una rovinosa caduta.

“Con tutto l’addestramento che fate, nemmeno in piedi sapete stare?” Commentò il bandito che lo teneva d’occhio.

“È questo stramaledetto pavimento ad essere dissestato!” Rispose con finta rabbia Alexander: nel tentativo di rialzarsi, il ragazzo sbattè il tacco dello stivale sulla pietra per tre volte, finché poi non si rimise in piedi.

La comitiva proseguì senza intoppi il percorso, finché non si ritrovò di fronte all’ingresso della chiesa: lo stile manieroso della costruzione e le luci soffuse delle torce appese ai lati rendevano quel luogo, se possibile, ancora più lugubre.

Le pareti erano interamente fatti di pietra grigia ed erano appesi innumerevoli quadri di santi e storie dei Vangeli: nelle navate laterali erano disposte file di panche in legno dall’aria molto trascurata e antica, mentre al centro si era creato un corridoio che portava all’altare.

Evangeline si guardava intorno, era spaventata e allo stesso tempo cerca di carpire ogni dettaglio che potesse aiutarli nella fuga: a un tratto Alexander si voltò verso di lei e le strizzò l’occhio.

“Ha un piano…” pensò la ragazza, che rispose con un semplice cenno del capo al segnale del suo compagno.

“Rimanete qui con loro” ordinò il comandante dei banditi, mentre si dirigeva in fondo  alla navata e spariva dietro l’altare.

Alexander e Galaad si scambiavano occhiate complici, mentre Evangeline non era a conoscenza di nulla, e questo la innervosiva: i banditi parlottavano tra di loro a voce bassa, ma l’eco della chiesa fece rimbombare qualche frase.

“I soldi…”

“Sei sicuro? Potrebbero farcela pagare cara”
“Lui ha garantito”

La ragazza ascoltava attentamente quelle parole senza tuttavia collegarle con ciò che stava avvenendo: improvvisamente si sentì un boato, un portone di legno in fondo alla navata si aprì e ne uscirono due uomini.

Il primo era il comandante dei rapitori, che camminava sicuro e spavaldo con la mano destra sopra il moschetto e il mento all’insù, mentre dietro di lui un’altra figura lo seguiva.

Alla vista dei due uomini, i banditi che prima confabulavano tra loro si riassestarono e si misero sull’attenti: sembravano quasi spaventati e non avevano la sicurezza che contraddistingueva il loro capo.

Evangeline strizzò gli occhi per cercare di vedere la persona dietro di lui, ma la luce non era abbastanza forte, tuttavia riusciva a distinguere un uomo di media statura dalla corporatura esile, ma dal portamento impeccabile.

“Che strano… è completamente diverso dagli altri” pensò lei, che supponeva che la scura figura dietro il rapitore fosse “Il Capo”.

“Bene, bene…” esordì l’uomo, senza fermarsi.

“Li abbiamo presi mentre tentavano la fuga. La ragazza era riuscita a scappare. Abbiamo trovato Dan morto stecchito nelle segrete. Lo ha ucciso lei” disse il comandante con rabbia e, a giudicare dallo sguardo che si intravedeva sotto la maschera, quasi con risentimento verso Evangeline.

“E come ha fatto una ragazzina di nobili origini a uccidere un uomo come Dan?” Chiese l’altro, che invece sembrava quasi divertito.

“Con una… spilla. Nella gola”
Il Capo si fermò poco prima di essere investito da un raggio di luna che era riuscito a fare capolino tra le finestre e scoppiò in una risata fragorosa e agghiacciante.

“UNA SPILLA?!” Ripetè, senza smettere di ridere.

“S-sì, signore…”

“Ragazzina, ti avevo sottovalutato - disse l’altro, riprendendo fiato - sapevo che i romanzetti che Sophie trovava nascosti nel tuo materasso ti avrebbero trasformata in una strana donnetta, ma cavolo…”

Evangeline trattenne il fiato per un momento: come faceva a sapere dei romanzi nascosti nel materasso? E come sapeva il nome della sua cameriera personale? Questa storia diventava sempre più inquietante di minuto in minuto.

La ragazza prese coraggio, poi chiese, tentando di mantenere la voce ferma:

“Come conosci Sophie?”

“Ogni cosa a suo tempo, mia cara” rispose lui, senza muoversi.

“Abbiamo inviato Matt per il riscatto, non è ancora tornato” disse il comandante.

“Questi altri chi sono?” Chiese l’altro.

“Lui era con la ragazza al ballo - rispose il bandito, indicando Alexander - l’altro è  un suo compagno. L’ho visto con lui anche la sera di Natale”.

“Un momento, voi eravate presenti al ballo di Corte?” Disse Alexander, che improvvisamente sembrava preso alla sprovvista.

Nessuno gli rispose, ma il Capo commentò:

“Che divisa interessante indossate… templari? - con un cenno a uno dei banditi riprese a dire - ebbene, perché sia chiaro che non stiamo giocando…”

Il delinquente che teneva prigioniero Galaad con un gesto fulmineo sguainò un pugnale e lo ficcò dritto tra le spalle del giovane templare, sotto lo sguardo attonito di Evangeline e le grida disperate di Alexander.

“GALAAD!” Urlò il ragazzo.

Il corpo del suo amico cadde sul freddo pavimento di pietra, mentre Alexander si piegò su di lui, disperato: il sangue che usciva dalla ferita si era già infiltrato tra le fughe dei ciottoli e le colorava di rosso vivo.

Galaad non si muoveva, anche se sembrava che il suo respiro, per quanto flebile, non si fosse interrotto.

“Ma chi diavolo siete?!” Gridò Evangeline con tutto il fiato che aveva in corpo e cercando di divincolarsi dalla stretta del suo rapitore.

“Moderate il linguaggio, milady. Vostra madre non ne sarà  affatto compiaciuta…” rispose il Capo, che fece un passo avanti affinché la luce della luna illuminasse il suo volto.

Evangeline lo riconobbe, eccome se lo riconobbe.

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