The Dragon Prince/Skyrim/Titans || La Grande Chiamata

di HideSaka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Confronti ***
Capitolo 2: *** Preparativi ***
Capitolo 3: *** Ivarstead ***
Capitolo 4: *** Gli altri mondi - Parte 1 ***



Capitolo 1
*** Confronti ***


Aprì gli occhi. Un cielo terso, qualche fronda di pino e un dolore lancinante alla schiena. Fece una smorfia, si girò da un lato e provò a rialzarsi facendo perno col gomito. Si sentiva umido, e si accorse di avere un forte bruciore alla gola. Non ricordava granché, solo il suo nome gridato da una voce femminile.
<< Rachel... >>
Parlando percepì la propria voce ovattata, come se avesse dei tappi nei timpani. Aspettò qualche secondo per rinvenire del tutto, e iniziò a udire il rumore di un corso d'acqua. Si lasciò cadere sulla schiena, e tornò rivolto verso l'alto. Guardò ancora il cielo, era una bella giornata, solo qualche nuvola macchiava l’azzurro. Fece uno sforzo per respingere il dolore e si rialzò a sedere.
<< Azzardati a muovere un altro muscolo e ti faccio a fette. >>
Non fece in tempo ad orientarsi che vide ad un paio di metri una spada puntatagli contro.
<< Ehi, no, ferma... Non ho intenzioni cattive, lo giuro! È che... Ah, cavolo, fammi alzare un momento... >>
<< Non. Muoverti. >>
La ragazza che gli puntava contro una spada era snella, di media statura, la pelle chiara come la luna. Un paio di piccole corna uscivano dai suoi lucidi capelli argentei, insieme ad un paio di orecchie a punta. E aveva... quattro dita?
<< Cosa ci faccio qui? >>, fece la ragazza spazientita.
<< Cavolo, ti giuro che non ne ho idea! Io... Ricordo solo... Ero con Rachel, una mia amica, ma poi ho un vuoto. Ricordo che ha urlato il mio nome... >>
La ragazza fece qualche passo in avanti.
<< Faresti meglio a raccontarmela giusta, ragazzino. Forse stai valutando male la situazione. >>
<< No, certo che no! È chiaro che in questo momento io sia in una situazione critica, e ti garantisco che il coraggio che trovo per parlare venga solo da un forte istinto di sopravvivenza! Per favore... Lascia che mi possa alzare e cercare di capire come diamine sia finito qui, non ho intenzione di farti del male, credo che ce le prenderei di santa ragione, e- >>
<< Basta, parli troppo. >>la strana individua si fece più vicina. Garfield poté vedere il volto della ragazza più chiaramente, e non poté fare a meno di credere di aver davanti una regina: teneva il mento leggermente alzato, e manteneva un fermo, serio sguardo inquisitore. Si sentì la gola appena pungolata dalla lama.
<< Sei agitato. Hai paura perché non sai come convincermi. Eppure il tuo sguardo è fermo, convinto. >>
La ragazza abbassò la spada. << Per adesso non ho motivo per non crederti. E nemmeno di temerti. Ti do la mia fiducia, umano. Tradiscila, e io ti riduco a mangime per vermi. Chiaro? >>, rinfoderò la spada, e il ragazzo notò che ne teneva un'altra identica in un altro fodero sulla sinistra.
<< Chiarissimo... >>
Si alzò, e tirò un sospiro di sollievo. Si diede una stiracchiata, poi notò che sul terreno c'erano, di tanto in tanto, delle chiazze di neve.
<< Allora... Il mio nome è Garfield. Credo che a questo punto non possa pensare che tu c'entri qualcosa con tutto questo, dato che sei confusa almeno quanto me... Posso sapere il tuo, di nome? >>
La ragazza lo guardò un po' torvo, ma gli rispose.
<< Rayla. È il mio nome. >>
<< Bene Rayla, che ne dici di formare una squadra e provare a capire cosa diamine possa averci portato qui?>>, fece Gar cercando di mostrare entusiasmo in maniera fallimentare.
<< Una squadra? Il fatto che ti abbia concesso la mia fiducia non implica che tra noi possa esserci questo grado di confidenza. Tuttavia, per cominciare, potresti ad esempio dirmi da dove vieni, o dove tu abbia preso quegli strani abiti che porti addosso. E poi non credo di aver mai visto un umano dai capelli verdi. >> Rayla indicò prima la felpa, poi i capelli di Gar con fare dubbioso.
<< Questa l'ho comprata in un outlet a New York, è così brutta? E per quanto riguarda i capelli, è una lunga storia... >>
<< In un cosa dove? >>
<< In un outlet. A New York. Tu, invece? Da dove arrivi? >>
<< Le mie origini risiedono al regno di Xadia, ma prima di finire qui ero a Katolis... >>
Garfield inarcò un sopracciglio. << Non li ho mai sentiti, sai? >>
Rayla aggrottò la fronte e si portò una mano sul mento. << Davvero strano... E nemmeno io ho mai sentito Gnuiorc.>>
Garfield si accarezzò la nuca, confuso. << Be', forse sarebbe meglio capire dove siamo finiti. Idee? >>
A giudicare dall'ambiente intuirono di trovarsi nella valle di una montagna. Pochi metri avanti a loro la terra cominciava a salire ripida fino a farsi roccia, e si alzava per innumerevoli centinaia di metri. Dall'altra parte, invece, scorreva un fiume largo qualche metro, che li separava da una fitta sponda boscosa.
Reyla fece spallucce.
<< Ne so quanto te. >>
<< Mh, immaginavo. Be', cerchiamo qualcuno? >>
<< Sì, sono d'accordo. >>
E si incamminarono, seguendo il fiume.
Proseguirono seguendo quella direzione per un paio d'ore, poi un piccolo villaggio fece la sua comparsa a qualche chilometro dall'altra sponda del corso d'acqua.
Rayla arrestò il passo all'improvviso.
<< Be', dovremmo oltrepassare il fiume...Sai, credo ci sia un ponte più avanti. >>, valutò Garfield.
<< Sì, lo vedo. Siamo vicini alla civiltà. >>, dicendo ciò Rayla si tirò su il cappuccio, nascondendo orecchie e corna.
<< Come mai ti tir- >>
<< Prevenzione. >>, lo interruppe la ragazza. << Non sappiamo dove siamo finiti, prima di mostrarmi dovrei comprendere il contesto che ci circonda. >>
Rayla indicò il ponte con un dito: << Riesci a vederlo? Ci sono degli uomini che stanno facendo qualcosa lì al ponte. Forse lo stanno… Riparando? >>
<< Be’, certo, ma avranno disposto una passerella per permettere comunque un passaggio verso l’altra sponda. >>
<< Oh, ma non mi dire! Lo so bene, voglio solo evitare troppe attenzioni. Per te è un problema oltrepassare il fiume, ciuffo verde? >>
Garfield si impettì al sentire quelle parole, e rispose con un sicuro: << Figurati. Tu, piuttosto? >>
Il ragazzo non poté apprezzare quell'attimo di fierezza più di un secondo, perché Rayla si esibì immediatamente in una dimostrazione più che convincente: scattò verso il fiume, e dalla sponda spiccò un agile salto mortale seguito da un leggiadro atterraggio dall'altra parte.
<< Scusa, puoi ripetere? >>, fece Rayla con un sorriso spavaldo.
<< Sì... Come non detto... >>, fece Garfield colto un po' alla sprovvista. << Senti, ho bisogno di togliermi un attimo i vestiti, se ti dà fastidio voltati da un'altra parte, okay? >>, e cominciò a spogliarsi.
<< Che cavolo fai?! Sei pazzo per caso? >>
Rayla voltò lo sguardo, ma notò qualcosa con la coda dell’occhio: Gar aveva assunto una colorazione verde, e dopo qualche strano verso il suo corpo si stava... Deformando?
<< Sicuro sia tutto okay? >>
In risposta ottenne un vigoroso ruggito. Rayla tornò a guardare, e dove prima c'era Gar ora c'era un possente felino verde con i vestiti del ragazzo tra i denti. Il tutto era durato solo una manciata di secondi.
<< Be', davvero carino... >>
La tigre prese qualche metro di rincorsa, poi spiccò un lungo balzo che le permise di superare il fiume con estrema facilità. Rayla fece appena in tempo a complimentarsi che la tigre aveva già cominciato a rimpicciolirsi, per poi diventare nuovamente Garfield, nudo, con i vestiti ancora in bocca. La ragazza lo fissò stupita per qualche secondo, per poi voltarsi immediatamente una volta realizzate le condizioni del ragazzo.
<< È un potere davvero interessante. Quindi tu, Garfield da New York, hai compreso i segreti dell'arcanum... Davvero strano... >>, fece Rayla con lo sguardo verso il villaggio.
<< Eh? Arcanum? Di che parli? >>
<< Ma come?! Tutti gli esseri magici lo conoscono, per forza! >>
<< Magia? Cavolo, sarebbe una figata saperla usare! Purtroppo no, questo è il frutto di un esperimento di uno scienziato... Riesco a trasformarmi in alcuni animali, per ora so diventare una tigre, un serpente, un gorilla e un carlino. E comunque puoi tornare a guardare. >> Rayla era confusa.
<< Okay... Qui c'è qualcosa che non mi torna. >>
<< Che intendi? >>
<< Non lo so, è che sembra che tu appartenga ad una realtà diversa dalla mia. Hai uno stile che non ho mai visto, non conosci l'arcanum, vieni da un luogo che non ho mai sentito... Eppure ti garantisco di aver viaggiato abbastanza. >>
<< Va bene, però possiamo parlarne tra poco? Magari troviamo un bar dove sederci, mi fa malissimo la schiena e ho anche un po' freddo... >>
<< Un bar? >>
<< Un posto dove mangiare. >>
<< Sì, forse è una buona idea. >>
Finito di parlare, i due si diressero al piccolo insediamento vicino al fiume.
Giunsero a destinazione impiegando poco tempo, oltrepassato il fiume la valle era facilmente percorribile. Passarono accanto al ponte che avevano notato da lontano, e constatarono che era in corso una ricostruzione dell’infrastruttura ad opera di cinque uomini di grossa stazza.  Proseguendo, davanti a loro si parava un piccolo agglomerato di casette in legno e pietra che nonostante le basse temperature sembrava essere discretamente movimentato, parzialmente contornato da un’alta palizzata in legno. Prima di proseguire oltre, però, videro che l'entrata era controllata da due uomini armati, protetti da una cotta di maglia e un elmo completo; entrambi imbracciavano uno scudo, sul quale era raffigurato un ariete visto di profilo.
<< Alt. Fermatevi e dichiaratevi. >>
<< Uhm, certo. Io sono Garfield e vengo da - >>
<< Io sono Rayla, Rayla l’umana, e veniamo dalla città. Volevamo fare un giro nel bosco, solo che dei banditi ci hanno attaccati... Ma non preoccupatevi, stiamo bene. Siamo al villaggio perché abbiamo bisogno di riposare prima di partire, il mio amico si è spaventato a morte. >>
<< Deponete le armi, forestieri. È nostro dovere trattenervi per assicurare la pubblica sicurezza, quindi - >>
<< Va bene Orr, possono passare. >>, fece l'altra guardia.
<< Ma come! Non vedi cosa indossa questo ragazzino? È opportuno capire da dove venga, e - >>
<< Falli passare. >>
La prima guardia chinò un attimo il capo, poi puntò di nuovo i ragazzi.
<< D'accordo. Procedete pure. >>
<< Grazie infinite, signore. >>, fece Rayla con un piccolo inchino. << Andiamo, Garfield. >>
 
Erano entrati alla Locanda del Gigante Addormentato sotto insistenza di Rayla: era un piccolo edificio non troppo distante da dove erano arrivati, annunciato da un’insegna che raffigurava un dormiente volto maschile. Un uomo alto e possente aveva servito loro del cibo caldo, e ora erano impegnati a consumarlo in silenzio, mentre sguardi diffidenti venivano rivolti loro dai tavoli circostanti.
<< Che dire... Un po' rustico questo posto, non credi? >>, fece Garfield contemplando delle chiazze sul suo strano bicchiere.
<< Sei di famiglia nobile, uomo tigre? >>, lo sbeffeggiò Rayla.
<< No, è solo che temo di prendermi tre malattie diverse bevendo da questo. >> Garfield distolse l’attenzione dal bicchiere e si guardò alle spalle: un lungo focolare centrale scaldava la locanda, e un ragazzo biondo e vestito con abiti sgargianti suonava un liuto mentre cantava una canzone simile a un presagio di malaugurio.
<< Piantala, Sven. Non riversare i tuoi fallimenti amorosi su di noi, canta qualcosa di più allegro. Non mettertici pure tu. >>, sbottò qualcuno da uno dei tavoli. Il ragazzo recepì il messaggio, fece un sospiro e appoggiò il liuto alla sua sedia. Poi tirò fuori un flauto e con esso iniziò a produrre una melodia più tranquilla.
<< Che strana atmosfera. Cosa dovremmo fare adesso, Rayla? >>
<< Non so bene a chi chiedere, qua sembrano tutti comuni clienti, umani per giunta. >>
<< Uhm, va bene. Scusa se te lo chiedo, Rayla, ma tu che cosa sei esattamente? >>
La ragazza inarcò un sopracciglio. << Mai vista un’elfa in vita tua?>>
Garfield rimase interdetto per un attimo, poi rispose: << Be’, non nella realtà, non sapevo esistessero davvero, ecco. E poi non avevo idea che avessero le corna. >>
<< Abbassa la voce. >> intimò Rayla con un sussurro.
Garfield fece per scusarsi, ma subito venne interrotto da una voce familiare.
<< Posso, ragazzi? >>
Rayla e Garfield alzarono gli sguardi dai loro minestroni e videro un uomo in cotta di maglia, l'elmo sotto braccio e spada e scudo rinfoderati.
<< Oh, lei è l'uomo che ci ha fatto entrare, lo riconosco dalla voce! Si sieda, si figuri. >>, fece Garfield sorridendo, per poi guardare Rayla come a cercare la sua approvazione.
L'uomo rispose con un sorriso stanco, quasi nascosto da una grigia barba poco curata.
<< Perché ci ha seguiti? >> Rayla corrugò un po' la fronte.
<< Tranquilli, vengo con buone intenzioni. >> L'uomo si sedette accanto a loro, chiamò l'oste per una birra, poi rivolse di nuovo la sua attenzione ai ragazzi.
<< Non siete di qui, dico bene? >>
Stettero entrambi in silenzio, Gar un po' titubante, Rayla ferma e decisa.
<< Immagino che avrete visto il cartello fuori la locanda, quello con la taglia... >>
Rayla sembrò seccarsi.
<< Sì, l'ho notato. C'è un brutto faccione che guarda male i passanti. Ma cosa c'entra? >>
<< Abbi pazienza. Oh, grazie Orgnar.>>, arrivò la birra al tavolo. L’uomo bevve un sorso, poi riprese: << Stavo dicendo... Quello è uno degli uomini più pericolosi che il mondo abbia mai avuto la sfortuna di conoscere. Credo che voi siate qui perché dovete fermarlo. >>
Rayla e Garfield si scambiarono uno sguardo perplesso, ed entrambi capirono di concordare sul fatto che quella fosse un'assurdità.
<< Scusi se mi permetto, signore, ma io non ho idea di come abbia fatto a finire qui, e nemmeno la mia amica Rayla... >>
<< Lo immagino, ragazzo. Ma credetemi, c'è una spiegazione a tutto questo. >>
Bevve un altro sorso.
<< Per adesso possiamo considerarci tutti al sicuro, ma non durerà. Rimane poco tempo. >>
Finì la sua birra. << Per ora non parlerò a nessuno di questa storia, avete la mia parola sul fatto che qui nessuno vi recherà problemi. Tuttavia ho bisogno che proviate a darmi un po' di fiducia, quanto basta per far sì che consideriate le mie parole. >>
<< È consapevole di quello che ci sta chiedendo, vero? >>
Il vecchio guardò Rayla, e di nuovo accennò un sorriso; un sorriso che rispondeva per lui, e diceva che sì, era consapevole di star chiedendo molto, ma che sapeva anche come farsi ascoltare. A quel punto si appoggiò sul tavolo e si fece più vicino. Sussurrò: << Voi venite da mondi lontani. >>
Seguì qualche attimo di gelo. Rayla e Garfield si scambiarono uno sguardo nervoso, lui confuso e un po' spaventato, lei profondamente preoccupata. Rayla girò lentamente la testa verso il vecchio, rivolgendo lui uno degli sguardi più cattivi che Garfield avesse mai visto.
<< Mi dica immediatamente che lei non c'entra nulla con tutto questo. Lo faccia e mi convinca, altrimenti per lei le cose non si metteranno bene. >>
L'uomo resse lo sguardo intimidatorio della ragazza senza scomporsi, e rispose con un sicuro "<< No. Non vi ho convocati io. >>"
<< E allora come fa a sapere tutte queste cose?>>, sussurrò Rayla digrignando i denti.
<< Presto sarete messi al corrente di tutto, puoi stare tranquilla. Inutile gettare troppa carne al fuoco ora. >>
Il vecchio incrociò le mani e poggiò i gomiti sul tavolo.
<< Tuttavia, mia cara, come tu indugi sulla mia credibilità, io non posso essere certo delle vostre capacità. Queste terre sono spietate, sopravvivere là fuori non è da tutti. Figuriamoci possedere le capacità per fermarlo. >>
Garfield, nel frattempo, stava muovendo nervosamente il cucchiaio nel minestrone. Si sentì in dovere di chiederlo: << Insomma, può dirci chi è quest'uomo così pericoloso? Se si tratta di una taglia pubblica qualcuno lo prenderà, prima o poi, no?>>
L'uomo rivolse a Garfield uno sguardo amaro, scuotendo la testa con un sorriso sofferto.
<< Parliamo del Sangue di Drago. >>

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Capitolo 2
*** Preparativi ***


«Quindi dobbiamo scalare una montagna.»

«Sì, Garfield. Dobbiamo scalare una montagna.»

I due viaggiatori passeggiavano lungo la riva del fiume, ripensando a tutto ciò che avevano appena sentito.

«Che poi non me lo spiego perché abbiano scelto noi, Rayla. Voglio dire, ovviamente parlo per me, ma io non sono certo l'essere più forte del mio mondo.»

Garfield si arrestò un attimo, poi fece un sorriso inebetito. «Però! Da una parte fa figo dire "il mio mondo".»

«Piantala, suvvia. Riprendi quello che stavi dicendo.» rispose Rayla seccata.

«Sì, dicevo... Se avessero voluto risolvere i problemi che affliggono questo mondo avrebbero potuto chiamare Superman, ad esempio.»

«È un tipo più forte di te?»

«Oh, decisamente.»

«Non lo so come funziona, Garfield. Le risposte le troveremo in cima alla montagna.» Rayla volse lo sguardo verso l'alto, sul picco di quel monte che dominava il territorio e che con la vetta nascondeva il sole calante.

«Siamo fortunati ad essere capitati proprio sotto questa Gola del Mondo» aggiunse Rayla marcando il nome della montagna.

Garfield sembrava un po' teso.

«Il vecchio ha detto "settemila gradini". E "pericoli".»

Rayla lo guardò inarcando un sopracciglio:

«Sei un ragazzo-tigre, davvero ti spaventa così tanto salire lassù?»

Gar si mise una mano tra i capelli.

«No, è solo che... Ah, lascia stare. Quando avevi intenzione di partire?»

«Ormai partiamo domani mattina. Cerchiamo di metabolizzare le cose che abbiamo appreso stando qui, dormiamoci su e poi partiamo.»

Si sedettero entrambi sulla riva del fiume, ad ascoltare in silenzio il rapido scrosciare dell'acqua. Cominciava a far buio, e Garfield notò che Rayla stava concentrando la propria attenzione sul cielo.

«A cosa pensi, Rayla?»

«Quante lune ci sono nel tuo mondo?»

«In che senso? Se parli dell'orbita terrestre, be', ne abbiamo una.»

«Cosa ti costava rispondere con un semplice "una"?»

«Be', sì, effett- sì, scusa.»

«Anche nel mio mondo c'è una sola luna. Qui ce ne sono due, guarda il cielo.»

A quel punto Garfield alzò lo sguardo, e nel rosso crepuscolare del cielo poté distinguere due satelliti sferici molto simili alla luna, uno nettamente più grande dell'altro.

«Be', figata, no?»

«Particolare. Sai, il mio vero potere è legato alla luna. Quando è piena posso diventare invisibile, i miei sensi si fanno più acuti, i miei riflessi più rapidi. Questo però accade con una luna. Con due non ho idea di come possa funzionare.»

«Magari diventi due volte più forte!»

«No, due volte ci penserò su prima di cominciare un discorso serio con te, ormai.»

«No, scusa, è solo che... Voglio dire, è tutto così assurdo. Forse sto cercando di sdrammatizzare.»

«Non c'è da sdrammatizzare. C'è da trovare una soluzione, e le nostre abilità sono la chiave per proseguire.»

Seguì qualche attimo di silenzio.

«Non pensi che potremmo fallire e mandare tutto all'aria?»

«No, confido nelle mie capacità. Ti invito a fare altrettanto, Garfield.»

Il ragazzo tacque per un po', mentre allungava una gamba per toccare la superficie del fiume con la scarpa.

«Non te l'ho mai chiesto prima, e spero non ti dia fastidio. Qual'é l'ultima cosa che ricordi dopo essere finita in questo mondo?»

«Sono entrata in un portale, ma era un esperimento. Tutto mi aspettavo fuorché ritrovarmi qui.»

«Un portale, dici? Sai, anche io stavo provando una cosa del genere.»

«In che senso?»

«Io e Rachel stavamo provando a raggiungere un luogo particolare, accessibile solo tramite una specie di portale. Rachel è la mia amica, comunque.»

«Sì, me lo hai già detto. Poco dopo esserci incontrati mi hai detto che nel tuo mondo la magia non esiste. Eppure esistono i portali. Strano posto quello da cui vieni.»

«Be', non è proprio magia, ecco. Ad esempio, se io volessi imparare qualcosa di magico non potrei. Insomma, è più una sorta di potere naturale, che però non chiamo magia. Di cui so poco e niente, tra l'altro.»

«Mh, capisco...»

«Sai, un po' mi... No, niente.»

«Continua.»

Garfield si alzò in piedi aiutandosi con un braccio.

«Fa buio, dobbiamo riposare. Vorrei affrontare il cammino senza correre il rischio di cascare addormentato.»

Rayla tenne lo sguardo sul corso d'acqua ancora qualche secondo, poi si alzò in piedi. Guardò le lune, ciascuna parzialmente oscurata.

«Hai ragione, Garfield da Gnuiorc.»

«Lo dici male. È più un “Niu Iorc”.»

«Sì, come vuoi. Andiamo.»

Il giorno successivo cominciò con un risveglio teso. Sia Rayla che Garfield constatarono che la situazione che stavano vivendo era reale, palpabile. Avevano affittato due stanze singole sul lato destro della locanda, e al mattino si erano trovati per fare colazione prima di ripartire. Rayla si era seduta al tavolo per prima, e teneva fisso lo sguardo sulla tazza di latte che le era appena arrivata; due aloni neri circondavano i suoi occhi, cosa che indusse Garfield a pensare che non avesse passato la migliore delle notti.

«Dormito bene?» fece Garfield per rompere il ghiaccio. Rayla gli rivolse un'occhiata omicida, al che Garfield capì perfettamente che l'elfa non fosse in vena di battute.

«Una meraviglia.»

Dopo aver risposto seccata, Rayla cominciò a bere il latte caldo a sorsi lenti.

Quella mattina la locanda era silenziosa, solo un paio di anime oltre a loro due erano sedute ai tavoli. Garfield si guardava un po' intorno, mentre muoveva nervosamente il ginocchio su e giù.

«Puoi smetterla con quella gamba? Il rumore mi dà fastidio.»

«Scusa, hai ragione. Stavo pensando che forse dovremmo parlare di nuovo con il vecchio.»

«Cosa non ti è chiaro di quello che ci ha detto?»

«Nulla, però non mi sento sicuro ad intraprendere un viaggio pericoloso avendo ascoltato un tizio mai visto prima... Non ci ha nemmeno detto il suo nome!»

«Piantala, cavolo. Hai idee migliori? Ne dubito. E poi, se è per questo, non dovresti fidarti nemmeno di me.»

Garfield si ammutolì, e riprese a muovere il ginocchio. Rayla si alzò dal tavolo facendo strusciare la sedia, causando sobbalzi tra i pochi che stavano consumando la colazione.

«Sbrigati a mangiare qualcosa. Io ti aspetto fuori, ho bisogno di una boccata d'aria. Stiamo per partire.»

«Ma Rayla, i soldi? Non ci avevo pensato, finiremo nei guai, e-»

«Tranquillo, ragazzaccio. All’inizio volevo fuggire senza pagare, ma appena uscita dalla stanza l’oste ha detto che il vecchio ci ha offerto tutto.»

Rayla uscì dalla locanda e venne colta da una sensazione di freschezza, addolcita dal tiepido sole mattutino dell'ultimo autunno. Alla sua sinistra la strada procedeva per un centinaio di metri, prima di farsi vicina al fiume e costeggiarlo. Il vecchio aveva detto che avrebbero dovuto seguire quel sentiero fino ad arrivare ad Ivarstead, un paesino di dimensioni simili a quello dove erano arrivati: da lì avrebbero trovato l'accesso per i "settemila gradini". Se il vecchio avesse ingigantito quel pellegrinaggio con le parole non era dato loro saperlo, ma bastava dare un'occhiata al monte per avere un'idea sulla fatica che avrebbero dovuto compiere; era una montagna maestosa e resiliente, la cui imponenza incombeva sul territorio sottostante per migliaia di ripidissimi metri. Rayla ripensò a quando dovette intraprendere il viaggio verso Xadia insieme a Callum: viaggiarono insieme per due continenti, da soli contro interminabili insidie, per consegnare alla Regina dei Draghi il suo unico, neonato erede e sancire finalmente la pace tra i regni degli elfi e degli umani. Callum non era il classico principe senza macchia e senza paura, eppure la sua presenza aveva infuso in Rayla coraggio e determinazione, era stato indispensabile per la riuscita della loro impresa. Le venne quasi da ridere pensando che proprio quando stavano per realizzare un passaggio istantaneo tra i due regni, lei era stata catapultata da tutt'altra parte, in un mondo di cui mai aveva sentito parlare. Le cose semplici non erano decisamente per lei. Poi una voce irritante ruppe quella catena di pensieri.

«Rayla, sono pronto!»

Garfield era in piedi sul portico della locanda, e la guardava con un sorriso sornione. Il suo compagno di avventure sarebbe stato lui, Garfield da New York, e pensandoci notó che lui e Callum non erano poi così tanto diversi. Per un attimo quei pensieri fugaci la costrinsero a un sorriso.

«Andiamo, ragazzo-tigre. Scopriamo questa Skyrim.»

Garfield si fece vicino all'elfa, e, guardando verso la direzione del loro tragitto, esclamò: «È un nome che suona bene, vero?»

Si lasciarono Riverwood alle spalle, costeggiando il fiume. La giornata priva di nuvole rendeva il paesaggio gradevole; entrambi pensarono che se non fossero stati in una situazione di smarrimento totale avrebbero potuto apprezzarlo. Il fiume andando avanti curvava leggermente, quasi a seguire il perimetro della Gola del Mondo, cullando i viaggiatori vicini col suo fresco scrosciare.

Garfield osservava i dintorni, e tutti quegli alberi, rocce e muschi allo stato brado lo facevano sentire estraniato. Ripensò a quando viveva nella casa del professore, e poi alla Titans Tower. La tecnologia aveva giocato un ruolo fondamentale nella sua esistenza, gli aveva salvato la vita, conferendogli i poteri che possedeva adesso, e il fatto che quel mondo sembrava esserne totalmente sprovvisto lo turbava leggermente. Non era coraggioso, e quando le cose si mettevano male per lui era una reazione a catena: fingere entusiasmo per infondersi coraggio, rendersi conto di quanto quella carica fosse fasulla, dubitare di sé stesso, andare nel panico. Ma mentre la sua mente procedeva verso il baratro seguendo la legge del piano inclinato, una figura riuscì a fermare quel moto e a farlo rinsavire. Dick Grayson. Cosa avrebbe fatto Dick se fosse finito in quella situazione? Non si sarebbe arreso, questo era certo. Era in momenti come questi che doveva mettere in pratica gli insegnamenti del suo maestro. Controllo, pazienza e concentrazione. Non lo avrebbe deluso di nuovo, no. Lo avrebbe reso fiero, anche se non poteva vederlo. […]

«Va tutto bene, Ciuffo Verde? Stiamo camminando da un’oretta, ormai.»

«Certo, Rayla. Riusciremo a dominare questa montagnona.»

«Però! Mi fa piacere un po’ di spirito positivo.»

«Voglio prenderla come una sfida personale, un limite da superare!»

«Suona davvero poco serio, Garfield. Non è uno scherzo, potremmo anche rimanerci secchi.»

Gar rimase in silenzio, colpito dalla freddezza dell’elfa. Cercò di ignorare la sua risposta e di mantenere alto il proprio morale.

«Scusa, forse non ho ancora metabolizzato bene. Chissà quanto ci manca.» L’elfa si girò verso Garfield, che aveva gli occhi chiusi e la faccia contorta. «Ma che faccia fai…?»

Un attimo dopo gli abiti di Garfield caddero a terra, e da essi uscì fuori un passerotto verde diretto verso il cielo. Garfield si fece strada fra i rami degli alberi, e superata la rete di chiome che li circondava poté sentire l’aria sferzargli le piume. Libertà, leggerezza, equilibrio, a questo pensò. Equilibrio. Lui non sapeva mantenere l’equilibrio, non sapeva come restare in aria. Non lo sapeva fare, e quindi sarebbe caduto.

Rayla seguì l’uccello con lo sguardo, ma lo perse quando questo si infilò tra i rami e le foglie. Garfield non aveva menzionato volatili quando aveva elencato le forme che poteva assumere. L’elfa pensò che fosse strano, si chiese il perché, ma venne subito distratta da un grido, un violento frusciare e un sonoro tonfo lievemente attutito dal fogliame.

«AHIA! Ecco, mi sono spezzato le gambe, ma che dico, la schiena! Non potrò più camminare, lo sapevo! Vai avanti senza di me, Rayla! Lasciami qui!»

L’elfa si avvicinò immediatamente al ragazzo, che era steso a terra, impegnato a lamentarsi e a sputacchiare fogliame vario.

«Sei davvero un’idiota, ragazzo-tigre. Mi sono stancata di vederti nudo! Puoi stare tranquillo, comunque. Non hai niente di rotto. Ma che diavolo ti è passato per la testa?»

Garfield si alzò a sedere, si corrucciò in una smorfia di dolore e poi rispose: «Ci sto lavorando, okay? Può essere utile l’abilità di volo!»

«Sì, assolutamente. Se però ti spacchi le ossa il tuo percorso di apprendimento si arresta a metà.»

Il ragazzo si rimise in piedi, si scrollò di dosso gli ultimi residui di terra e si sgranchì le ossa.

«Ho visto delle casette in lontananza. Secondo me tra un’ora saremo ad Ivarstead.»

«Ottimo. Alla fine la tua bravata è servita a qualcosa, visto?» Rayla diede un buffetto sulla fronte a Garfield, e gli sorrise. «Andiamo, dai.»

[…]

Il rientro a casa fu il solito. Aprì la porta, entrò e la richiuse. La sua spoglia topaia lo accolse come ogni sera, dopo il turno di guardia. Guardò il tavolo, e si chiese da quanto non lavasse quel piatto di ceramica su cui mangiava da tempo immemore; quel coccio accoglieva ogni sera l'unico pasto che il vecchio si concedeva giornalmente. Preparava un enorme pentola di minestrone l'ultimo della settimana e se lo faceva bastare per sei giorni consecutivi. Si avvicinò al camino in fondo alla stanza e, tolto il coperchio dal pentolone, cominciò a scrutare quella brodaglia che aveva preparato tempo addietro: il miasma delle verdure bollite da giorni avrebbe costretto chiunque ad una smorfia di disgusto, ma il vecchio semplicemente lo inalò; lo faceva sempre. Quella sera decise di non mangiare.

Si spogliò completamente dell'armatura, gettandola sul letto pezzo per pezzo, poi andò a sistemare la spada nella rastrelliera arrugginita sulla parete accanto alla porta.

Guardò la scrivania, e l'elmo era sempre lì, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato molto tempo prima. La polvere aveva formato uno strato spesso quanto un dito sulla superficie dell'oggetto, ma il vecchio non lo puliva mai, non lo toccava neppure.

«Riusciranno a salvarti, tornerai da me.»

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Capitolo 3
*** Ivarstead ***


Ivarstead




La previsione di Garfield si rivelò esatta: impiegarono circa un’ora per raggiungere Ivarstead, e vennero accolti da un'atmosfera apparentemente tranquilla. Era più o meno mezzogiorno, il sole irraggiava l’atmosfera rendendo il freddo più accettabile, quasi piacevole. Tre ragazzini correvano per la via principale inseguendosi, e uno per poco non urtò Garfield, che vedendo i fanciulli non poté far a meno di sorridere. Rayla fece altrettanto. Le case non erano particolarmente alte, tutte costruite in pietra, circondate da piccoli giardini con orti personali annessi. Un fabbro stava affilando delle spade ad una mola, generando un leggero stridore che si mischiava allo scrosciare dell’acqua, mentre un paio di grossi uomini erano impegnati a spostare tronchi d’albero vicino a una segheria sulla sponda del fiume.

«Questo mantellino ha funzionato alla grande! Non ci sta guardando male quasi nessuno, visto?»

«Sembri leggermente più normale, ma ancora non puoi passare inosservato.» disse Rayla passando velocemente la mano tra i capelli del ragazzo.

«Sarebbe stato più semplice se avessi avuto anche un cappuccio, forse.»

«Non direi. Due ceffi incappucciati desterebbero sospetto, io basto e avanzo.»

Passarono davanti al porticato dove un uomo lavorava alla mola, stava affilando una lunga spada d’acciaio dall’impugnatura a due mani. Entrambi notarono che il fabbro aveva un paio di orecchie a punta, e Rayla andò subito a guardargli le mani: tozze, vene in evidenza e cinque dita.

«Buongiorno, siete viaggiatori?» domandò l’elfo quando si accorse che i ragazzi si erano fermati in mezzo alla strada a fissarlo. Sorrideva.

«Buongiorno a lei. Sì, siamo di passaggio.» rispose Rayla, colta alla sprovvista.

«Per forza! Ivarstead è famosa giusto per la noia. Ah ah!»

Seguì qualche attimo di imbarazzo, ma l’elfo non si arrese: «Posso esservi d’aiuto?»

«Cerchiamo un umano- cioè, un uomo di nome Kimmek. Sappiamo che vive qui, saprebbe indicarci dove si trova?»

L’elfo cambiò espressione, ed emise un sospiro sconsolato. «Mi dispiace, ragazza, ma temo che tu non possa essere accontentata. Il vecchio Kimmek è mancato qualche giorno fa.»

Rayla si portò una mano al mento e si fece silenziosa. Avevano dato retta ad un vecchio che non era aggiornato, ottimo, pensò.

«Cavolo, ci dispiace. È stata una morte inaspettata?» intervenne Garfield per rompere quello strano silenzio.

«No, ma sì. Volete entrare? Possiamo parlarne davanti ad un piatto di minestra. »

«Non abbiamo soldi, signore. Inoltre io e la mia amica non vorremmo disturbarvi in alcun modo.»

«Non voglio soldi, ma per chi mi avete preso? Ad Ivarstead saremo noiosi, ma l’ospitalità è un valore che rispettiamo. Ah ah! Prego, seguitemi pure.»

L’elfo si alzò e mise la spada su un bancone lì vicino. Si diresse verso una porticina di legno, non lasciando ai ragazzi molta libertà di scelta. Rayla e Garfield lo seguirono un po’ titubanti.

La casa li accolse con un intenso profumo di salvia e rosmarino. Il fuoco su cui cuoceva il minestrone riscaldava discretamente l’ambiente, e il profumo delle verdure fece risvegliare nei ragazzi il bisogno di un buon pasto. L’elfo li invitò a sedere, mentre iniziava a preparare i piatti.

«Puoi anche tirare giù il cappuccio, signorina. Ah ah!»

«No, non tirerò giù il cappuccio.»

«Come preferisci. Allora, come mai cercavate il povero Kimmek?»

«Dovremmo scalare la Gola del Mondo, e un conoscente ci ha detto che Kimmek avrebbe potuto aiutarci.» fece Garfield con gli occhi fissi sulla minestra che gli era appena stata servita.

«Dovete raggiungere Hrothgar Alto? Cosa vi spinge a voler salire fin lassù, se posso?»

«Dobbiamo parlare ai Barbagrigia. Ci è stato detto che possiedono alcune informazioni che potrebbero esserci utili.»

«Capisco. Ha a che fare con il boato che si è sentito due notti fa?»

«Senta, lei è stato gentile ad ospitarci, ma non siamo qui per un interrogatorio. Kimmek non c’è più, lei può aiutarci a scalare la montagna? Se sì, le saremmo eternamente grati. Altrimenti ce ne andiamo e la scaliamo per conto nostro.»

«Rayla, ma che dici? La scusi, signor… Signor?»

«Mi chiamo Hattor, piacere.»

«Il piacere è nostro signor Hattor. Io sono Garfield, e lei è Rayla. Stavo dicendo di scusare la mia amica. È un periodaccio. Ha qualche consiglio per superare questi settemila gradini

L’elfo sorrise, mentre col cucchiaio giocherellava con la minestra. «No, scusatemi voi. Sono stato troppo invadente. Ah ah! Se è un consiglio quello che volete, allora ecco a voi: lasciate perdere. Kemmik era un esperto, percorreva i settemila gradini almeno una volta a settimana per portare rifornimenti a Hrothgar Alto. Ha subito un pesante attacco da un branco di troll, e ci è rimasto secco. Non era uno sprovveduto, sapeva come affrontare quelle bestie. Evidentemente un branco è migrato recentemente vicino al sentiero e vi ha stabilito una tana. Credo che per ora il percorso sia inagibile, a meno che non abbiate fretta di passare a miglior vita.»

«Invece ci saliremo. Grazie per la zuppa, buona giornata.» Rayla si alzò dal suo posto facendo strusciare la sedia; Garfield aveva imparato ad interpretare quel gesto, la sua compagna non era in vena di farsi dire “no”.

«Barknar.»

«Come, scusi?» domandò Garfield paonazzo.

«Cercate Barknar. La sera mangia sempre alla locanda Vilemyr, mentre il giorno è sempre in giro per il bosco o a meditare per i settemila gradini. Chiedete a lui una mano.»

«D’accordo, la ringraziamo infinitamente!» mentre Garfield porgeva la propria gratitudine Rayla aveva già aperto la porta per uscire.

«Buona fortuna, ragazzi.»

[…]

«Rayla, ma che ti prende? Non puoi comportarti così con tutti, ti è andata bene che il signore fosse molto gentile! Era anche un elfo come te, possibile che non -»

«Non era come me. Dovresti lavorare sullo spirito di osservazione. Aveva cinque dita.»

«Avremmo comunque potuto fargli delle domande.»

«Garfield, vuoi farti entrare in testa che non possiamo attirare l’attenzione? Con meno persone parliamo e meglio è. Le risposte ce le daranno i Barbagrigia.»

Uscendo dalla casa di Hattor la locanda Vilemyr si trovava sulla loro destra, immediatamente visibile e segnalata da un’insegna con l’omonima scritta. Garfield si accinse ad aprire la porta, ma Rayla lo prese per un braccio e lo tirò indietro.

«Ma che fai?»

«Hattor ha detto che Barknar si trova qua dentro, mi sbaglio?»

«Non entreremo in locanda. Scaleremo i settemila gradini direttamente.»

«Cosa? E perché?»

«Perché non ho paura di due stupidi troll. Ho affrontato di peggio in vita mia, questo pellegrinaggio non mi spaventa.»

L’elfa indicò un punto oltre il villaggio, alla base della montagna che incombeva su di loro.

«Vedi quel ponte dove curva il fiume? Si vedono degli scalini scolpiti, oltre la costruzione. Deve essere l’inizio del percorso.»

L’aria era fredda, i vestiti tenevano a malapena il calore, e salendo sulla montagna la temperatura sarebbe scesa sempre di più. Garfield si chiese come avrebbero potuto raggiungere la struttura sulla cima in quello stato. Non vedeva neanche una possibilità di successo. Sebbene fosse impulsivo, nemmeno Dick Grayson avrebbe tentato di scalare una montagna in quelle condizioni. «No, Rayla. Stai esagerando. Cerchiamo Barknar e chiediamo aiuto a lui.»

Rayla chiuse gli occhi per qualche secondo, strinse i pugni, in piedi in mezzo alla strada. «Va bene. Vai, allora, e cerca Barknar. Io salgo sulla montagna, e una volta su ti saluto i Barbagrigia.»

Garfield era pronto ad insistere, ma l’elfa non sembrò ammettere quella possibilità. Girò i tacchi e si incamminò verso la montagna. Gar pensò che avrebbe dovuto fermarla, non ce l’avrebbe fatta, ma Dick diceva che era una pessima idea, ma Rayla era l’unica a condividere la sua condizione, ma seguendola sarebbero morti tutti e due. Il tempo di perdersi nelle paranoie che già Rayla era sparita. Faceva sul serio, era partita senza di lui. Che faccio? La cosa meno stupida. La riporto indietro.


[…]


Prima dell’avvento degli uomini,

i draghi regnavano su tutto il Mundus.

La loro parola era la voce,

e parlavano solo per le Vere Necessità.

Perché la voce poteva oscurare il celo

e inondare la terra.


Una tavoletta, protetta dalle rocce, riportava questa scritta. Rayla la guardava, chiedendosi quale fosse stato il significato dietro alle parole incise sulla pietra. Anche qui i draghi. Aveva rischiato, un paio di volte, di essere fatta a brandelli da un drago. Leggere quel nome la costringeva a fare un passo indietro, a riconoscere una superiorità che non sarebbe stata mai in grado di pareggiare. I draghi erano grandi, potenti, furiosi, dal potere incontenibile. Si chiese a quali tempi si riferisse quello scritto, e se a Skyrim ci fossero ancora dei draghi in circolazione. Il pensiero le provocò timore, ma anche una strana eccitazione. La sensazione che una tale creatura le suscitava non era una paura istintiva, ma una magica arrendevolezza nei confronti dell’inaffrontabile. Si guardò alle spalle, ormai il villaggio lo osservava dall’alto. Vedeva il fiume, e tra gli alberi si poteva distinguere il sentiero che lei e Garfield avevano percorso. Constatò che Garfield non l’aveva seguita; nessun rumore, solo il vento che si era fatto più forte, nessuna voce irritante che la chiamava. Tornò a guardare di fronte a sé, i gradini continuavano ripidi, e la strada da fare era ancora molta.

Spruzzate di neve iniziavano a ricoprire il sentiero, e la temperatura scendeva di pari passo con la scalata. L’elfa strinse a sé il proprio mantellino, e continuò imperterrita il percorso. Non credeva che la cima avrebbe significato “casa”, ma aveva bisogno di chiarimenti, di risposte. I Barbagrigia erano considerati i saggi di quel mondo, se non loro chi altro poteva guidarla nel ritorno verso la propria terra?

Una capra le tagliò bruscamente la strada. Sbucò fuori da un paio di rocce sulla destra dell’elfa, così velocemente che per poco l’animale non precipitò lungo il versante. Emise un acuto belato che lasciava poco a pensare: la bestiola stava fuggendo. Rayla portò le mani alle spade, e con lo sguardo puntò la direzione dalla quale era arrivata la capra. Aguzzò le orecchie, e sentì rumori veloci, leggeri e in avvicinamento. Lupi, non sapeva dire quanti. Indietreggiò, facendo attenzione a rimanere distante dal precipizio. Due lupi scesero dalle rocce e piombarono davanti a Rayla, fiutando immediatamente la sua presenza. Puntarono l’elfa, e cominciarono a a ringhiare. Musi insozzati di sangue, forse avevano catturato una preda che non li aveva soddisfatti a pieno. Quel fabbro bastardo poteva avvisare.

Spade sguainate, Rayla scattò in avanti e menò un fendente contro il lupo sulla sinistra, che riuscì a malapena ad evitare il colpo. Un acuto latrato causato da una ferita sottile, mentre l’altro aveva cominciato l’assalto. Rayla approfittò dello slancio del primo colpo per eseguire una piroetta ed affondare l’altra spada tra le fauci del lupo alla sua destra. Una ferita mortale, squisitamente degna di un’elfa dell’Ombra della Luna. L’altro nel frattempo era indietreggiato, e ringhiava più forte di prima.

«Sta’ indietro, non ho intenzione di ucciderti.» intimò Rayla alla bestia. Come se potesse capirmi.

Il lupo, di tutta risposta, balzò, pronto a sbranare l’elfa. Rayla schivò di lato, contrattaccando con un fendente che squarciò il fianco del lupo. La bestia cadde e cominciò a guaire, il colpo l’aveva sconfitta. Rayla guardò l’animale in fin di vita, si chinò su di esso. Pensò che avrebbe dovuto finirlo, non poteva lasciarlo lì così, avrebbe sofferto un dolore indicibile. Prese la spada, rigirandola con la lama verso il basso. Un colpo alla testa e sarebbe tutto finito, avrebbe restituito la pace al lupo bianco.

Una freccia colpì la bestia sul capo, prima che Rayla riuscisse ad infliggere il colpo fatale.

«Esiti troppo, viandante.» affermò una voce femminile proveniente dal sentiero. Rayla alzò lo sguardo, e più avanti, nel percorso, una donna stava riponendo il proprio arco dietro la schiena. Vestiva con una pesante pelliccia che le copriva l’intero busto, e aveva lunghi capelli castani scossi dal vento gelido. «In un’altra occasione saresti morta.»

Rayla pulì le armi e le rimise nel fodero, poi intercettò lo sguardo della donna: severo, maternale, profondo. Duro come le rocce della Gola del Mondo.

«Cosa ci fai, qui, ragazza?»

«Passeggio. Ammetto che la vista, da qui, è mozzafiato.»

«Ottimo. Anche a me piace farmi permeare dall’aura della Gola del Mondo. Il vento, gli ululati lontani, i sospiri degli spiriti…»

Rayla si fece vicina alla donna. «Poetico, davvero. Ma ora devo andare.»

«È molto pericoloso, più avanti. Non oltrepassare lo sbarramento con il ramo, dopo c’è una tana di troll. Non torneresti a casa intera.»

«Grazie per l’avvertimento, tornerò appena lo vedrò. Buona giornata.»

«Altrettanto.»

Rayla superò la figura e imboccò una nuova rampa di gradini, ma con un orecchio sentì che la donna era ancora ferma nella sua posizione. Probabilmente si era girata a guardarla.

«I troll ti faranno a pezzi.»

La voce della donna, in quell’istante, la colpì come una freccia congelata sulla schiena. L’aveva capita, sapeva che aveva mentito. Dopo essersi fermata un attimo Rayla continuò, senza voltarsi.

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Capitolo 4
*** Gli altri mondi - Parte 1 ***


Gli uomini apparvero e si diffusero su tutta

la superficie del mundus.

I draghi presiedevano alle masse.

Gli uomini erano deboli, e non avevano Voce.

Rayla lesse le parole incise su una seconda tavoletta di roccia. Pensò che si trattasse di una storia divisa in più parti, e che probabilmente ne avrebbe trovato il seguito più avanti. Sapeva bene che avrebbe dovuto sbrigarsi, ma quelle iscrizioni cominciavano ad incuriosirla. Forse avrebbero potuto fare chiarezza sulla sua condizione. Un brivido la riportò con i piedi per terra, cercò il calore del proprio mantello e riprese la camminata.

Proseguiva spedita, rimanendo attenta ad eventuali sorprese indesiderate. I gradini seguivano un andamento altalenante, prima salivano lievemente, poi si facevano più ripidi, poi scendevano. Il sentiero sembrava tracciare un irregolare percorso a spirale man mano che si saliva, di fianco a Rayla lo strapiombo era sempre più fitto. Ad un certo punto la strada si appianava, e l’elfa scorse un dente roccioso simile ad alcuni già visti prima; la terza tavoletta. Affrettò il passo e si piazzò davanti alle incisioni.

Nei Tempi Antichi lo spirito primigenio degli uomini

era forte.

Non temevano di affrontare i draghi

e le loro Voci.

Ma i draghi, con un semplice urlo, li abbatterono

nello spirito e nel corpo.

Gli uomini vennero puniti per la propria insolenza… O volevano solo liberarsi da un dominio ingiusto?

Rayla notò che alcune pile di sassi segnalavano il continuo del sentiero, che ora scendeva ripido nella prima parte. Superò la tavoletta e imboccò il sentiero, facendo molta attenzione a non scivolare. Il paesaggio costrinse l’elfa a fermarsi a metà della discesa. Vide in lontananza una grande città circondata da mura e campi coltivati dominare la vallata; il sole ne illuminava le case e le strade, e più di tutti un enorme palazzo che sorgeva nella parte più alta della città. Sulla sinistra sorgeva un altro monte innevato, più basso della Gola del Mondo, ma con un’enorme costruzione in pietra costituita da archi e travi, forse l’ingresso di un importante tempio di qualche culto. Accanto alla città passava un fiume brillante, probabilmente lo stesso che lei e Garfield avevano costeggiato dopo essersi incontrati. Ad un’occhiata più attenta riconobbe anche il punto in cui si era svegliata, era una zona in cui la valle tra le due montagne si stringeva. Peccato viversi di fretta quel momento, pensò: quelle terre innevate sembravano un luogo ameno dove sarebbe volentieri sparita in una spensierata esplorazione. Respirò a pieni polmoni, fece un rapido controllo al proprio equipaggiamento e riprese la discesa. Il sentiero si incurvava bruscamente dopo un ultimo tratto di scalini smussati, poi riprendeva con una lieve ma lunga salita. Subito dopo la discesa un lungo e robusto ramo sbarrava la strada. Rayla pensò che si trattasse del varco a cui aveva accennato la donna. Vide che più avanti il percorso spariva in un’insenatura tra due grandi rocce, le quali formavano un semi-arco che lasciava uno spazio riparato da eventuali intemperie. Nella curva, accanto al precipizio, c’era un’altra tavoletta tra due piccole pile di sassi. Si fermò a leggere, prima di preseguire.

Kyne invocò Paarthurnax,

che ebbe compassione dell’uomo.

Insieme insegnarono agli uomini a usare la Voce.

Allora scoppiò la Guerra dei Draghi,

drago contro Lingua.

Ci fu uno scontro… Ho visto umani, ma nessun drago. Presumo che i draghi siano stati annientati. Chissà, magari qualcuno ha assassinato l’ultimo erede dei draghi e qualcun altro cerca vendetta. Kyne e Paarthurnax erano draghi al fianco degli uomini, forse sono ancora vivi da qualche parte.

Rayla scavalcò il ramo e imboccò la salita, pronta ad oltrepassare l’insenatura. Una volta vicina alle rocce sentì una violenta ventata sfociare dall’apertura, e fu costretta a coprirsi per un momento gli occhi. Il sentiero dopo le rocce svoltava, e non era più visibile. Percepiva uno strano rumore man mano che si addentrava, ma il suo mantello che svolazzava furiosamente impediva ogni tentativo di identificarne la fonte. Non servì, poiché bastava la vista per capirlo, e Rayla vedeva molto bene. Superata la soglia vide quattro masse biancastre ammucchiate in un punto sotto l’arco di roccia, intente a maneggiare qualcosa per terra con le loro possenti braccia. I troll. I troll che stanno facendo a pezzi un animale. Rayla portò istintivamente le mani alle spade, e provò a rannicchiarsi dietro uno strato di roccia. L’elfa pensò che avrebbe potuto eliminarli facilmente in condizioni diverse, ma ora era troppo distante per potersi avvicinare furtivamente. L’antro in cui i mostri stavano banchettando era spazioso e privo di neve, avrebbero potuto udirne i passi e l’avrebbero sopraffatta. Guardò l’arco di roccia e cominciò a formulare un piano. Con una piccola rincorsa avrebbe potuto darsi lo slancio necessario per arrampicarsi sulla superficie superiore. Una volta su avrebbe proseguito fino al limite dell’arco, avrebbe valutato il percorso e sarebbe scesa giù con un salto; a quel punto sarebbe bastato correre velocemente, nel caso i troll avessero deciso di seguirla. Era deciso.

Sistemò per bene le spade, fece qualche passo indietro e scattò. Spiccò un salto che le permise di aggrapparsi ad una piccola protuberanza rocciosa. Notò altri appigli a cui poteva affidarsi; li sfruttò abilmente, era quasi in cima. Era a circa tre metri di altezza, aveva individuato l’ultima sporgenza ed era pronta ad issarsi su. Un pezzo di roccia si sgretolò non appena l’elfa provò ad afferrarlo, e dei detriti precipitarono a terra producendo un lieve tintinnio. Se lo hanno sentito tanto meglio. Vengono qui, non trovano niente e io me ne scappo dall’altra parte. Si diede uno slancio, portò su una gamba e fece leva su essa, e si trovò sulla superficie superiore dell’arco. La roccia era ricoperta da un velo di neve, che Rayla notò subito non essere immacolato; delle grosse orme tappezzavano il suolo, e fecero intuire all’elfa che i troll potevano raggiungere quella zona. Riescono ad arrampicarsi. Guardò immediatamente di sotto per vedere se i troll la stessero seguendo, ma non notò nessuna creatura sotto l’arco. Non era sotto l’arco che avrebbe dovuto guardare. Rayla si diresse rapidamente verso il dislivello che l’avrebbe riportata al sentiero, passando accanto ad un masso ricoperto dalla neve. Arrivò sul bordo della superficie e guardò in basso: erano circa tre metri anche qui, un atterraggio che avrebbe potuto effettuare senza problemi. Un attimo prima di saltare Rayla venne colta da una strana sensazione di calore alle sue spalle. Si girò, e prima di volare di sotto vide un’enorme zampa dirigersi verso di lei a palmo aperto. Fece appena in tempo a portarsi le braccia davanti al volto per parare il colpo, ma questo non le risparmiò una spinta travolgente che le fece mancare il terreno sotto ai piedi. Fece una piroetta e riuscì ad atterrare senza danni. Pensò a quanto aveva rischiato grosso, se avesse prestato più attenzione avrebbe capito che quello a cui era passata vicino non era un masso, ma un dannato troll in agguato. Valutò che sarebbe bastato scattare seguendo il sentiero, ora aveva i troll alle spalle, forse potevano vincerla in forza bruta, ma eguagliarla in velocità? Con una rapida occhiata vide che il sentiero proseguiva inizialmente dritto per poi girare bruscamente e sparire tra alcune rocce qualche dozzina di metri più avanti.

E Garfield?

Se fosse scappata i troll non avrebbero raggiunto lei, ma se Garfield avesse deciso di seguirla da solo? Avrebbe incontrato i troll, e magari a lui sarebbe mancata la sua stessa fortuna. Se i mostri lo avessero sopraffatto sarebbe stata sua responsabilità, in parte. Tornò a fissare l’arco di roccia, dove il mostro che l’aveva fatta cadere la fissava gelido e ferino dall’alto. Gli altri bestioni si erano allontanati verso l’entrata, erano stati attratti dal rumore di poco prima. Quello in alto spiccò un goffo salto e atterrò accanto a Rayla, battendo violentemente le braccia al suolo. Il mostro era fortemente sproporzionato, braccia enormi, tozze e piene di bubboni, tre occhi a formare un triangolo sulla fronte, due zampette minute e rugose, una mascella pronunciata che lo faceva sembrare uno scimpanzè deforme. Rayla lo inserì tranquillamente nella lista degli esseri più orripilanti che avesse mai visto. Sfoderò fulminea le spade, pronta ad avere la rivalsa sulla creatura. Uno per volta. Il mostro si lanciò in avanti tentando di afferrare l’elfa con gli artigli, ma lei schivò di lato e con una piroetta inflisse tre profonde ferite sul braccio del troll. Il mostro, noncurante, ruotò su se stesso provando a colpire l’elfa con una bracciata. Rayla schivò verso il basso e mise a segno un fendente sul torace del mostro. È lento e prevedibile. Il mostro tentò un secondo slancio protraendo gli artigli sporchi verso l’elfa. Un tentativo goffo, poiché Rayla si girò di spalle e spiccò un balzo rotante all’indietro. Scavalcò il mostro, e appena prima di atterrare, alla giusta altezza, sferrò una sforbiciata con le spade sul grasso collo del troll. Sangue scuro macchiò le spade e la neve, la testa roteò in aria e cadde pesante, così come il corpo subito dopo. Meno uno. L’elfa si girò verso la rientranza nella roccia, e vide che gli altri quattro troll venivano minacciosi verso di lei, correvano come gorilla, facendo perno sulle braccia lunghe e spesse. Decise che per affrontarli doveva dividerli. Fece un respiro per mantenere la concentrazione, poi scattò anch’essa verso il branco in avvicinamento. Appena prima di essere agguantata balzò, e roteando lacerò tutti e tre gli occhi del primo della fila. L’urlo della creatura coprì il tonfo del secondo troll che cadde a terra quando l’elfa gli tranciò i tendini all’atterraggio. Gli ultimi due illesi si stagliavano su di lei come montagne innevate, gli occhi neri imbottiti d’odio. Individuò un varco e scivolò in mezzo alle creature, portandosi alle loro spalle. Mirò alla schiena di uno dei due e ci conficcò la spada per ucciderlo in un solo colpo. La scorza del mostro era più dura di quanto l’elfa potesse immaginare, poiché la spada rimase infilata a metà. Fu inutile il primo tentativo di estrazione, sembrava che il torace del troll trattenesse la spada con una forza disumana. Diede un secondo strattone con più forza, e il tentativo andò a buon fine. L’elfa però si sbilanciò all’indietro, e per mantenere l’equilibrio non riuscì a schivare la manata che l’altro troll le stava tirando. Venne colpita in pieno petto e volò per un paio di metri, cadendo rovinosamente a terra e battendo la schiena su un sasso inghiottito dalla neve. Prima venne il freddo, poi il dolore. Si rimise in piedi a fatica, e un sottile calore le attraversò il fianco sinistro. Sanguinava. I troll erano già di fronte a lei, rabbiosi e puzzolenti. Rayla tranciò con un fendente la zampa di uno dei due, poi rotolò di lato. Scelta azzardata, e in questo caso pessima. Venne destabilizzata da un dolore lancinante al fianco, e subito dopo sentì la gola avvinghiata dalla mano d’un gigante.

Rayla sentì il respiro sgusciarle via dal corpo. La stretta del mostro attorno al collo era così forte che l’elfa non potè emettere alcun suono. Vedeva il grugno del troll farsi sempre più vicino, ne percepiva il fiato caldo man mano che quello spalancava le fauci gialle e bavose. Senza volerlo allentò la presa sulle spade, le quali scivolarono lentamente fino a cadere, sprofondando nella neve sopra la quale era sospesa. Il dolore al collo era atroce, le mancava l’aria, non riusciva più a muovere un muscolo. Sarebbe stata inghiottita dalla Gola del Mondo, perché aveva oltrepassato il sentiero barricato, non aveva ascoltato la donna, non aveva ascoltato Garfield.

Un feroce ruggito lacerò i rumori della montagna e sovrastò il grugnito del troll. Una tigre smeraldo azzannò il mostro alla gola, atterrandolo e schiacciandolo sotto le sue possenti zampe. Il troll lasciò la presa e Rayla fu libera di respirare; l’elfa inspirò forte con naso e bocca, poi si passò le mani attorno al collo e vide che si erano sporcate di sangue. Gli artigli del troll le avevano perforato il derma, ed ora che l’adrenalina scendeva il dolore la stava assalendo.

«SPOSTATI, TIGRE!» esclamò una voce femminile distante da qualche parte, in lontananza. Rayla seguiva la scena a malapena, la vista era offuscata e gli altri sensi ovattati. Il sapore del sangue, però, lo sentiva eccome. Vide la tigre compiere un balzo lateralmente, poi un sottilissimo lampo arancione passarle accanto. Un ululato distorto rimbombò nella testa dell’elfa, che si portò le mani alle orecchie. Un fischio le invase la mente, poi svenne.

[…]

«Come stai, Rayla?» Garfield le era vicino e la guardava con i suoi occhioni verdi e preoccupati, illuminati da una luce che li teneva lontani dalla morsa del buio.

«Sto... Bene, Ciuffo Verde. Grazie dell'aiuto. »

«Manca ancora parecchio alla cima, rimani giù e cerca di riposare.» Una voce calda e profonda si rivolse all’elfa con fare gentile.

«Brutta ferita al collo, ragazza. Ti avevo avvertita o sbaglio?» Ora era una donna a parlare, e Rayla sentì un granello di sarcasmo tra quelle parole, oltre a riconoscere immediatamente chi fosse a parlare. Era la donna che aveva incrociato sul sentiero tempo prima, e ora le rivolgeva uno sguardo accigliato combinato ad un mezzo sorriso. Rayla abbassò la testa, poi con un filo di voce rispose: «Niente predica, per piacere. Potevate lasciarmi lì, io non vi ho chiesto nulla.»

«Hai un amico piuttosto convincente, ragazza. Non ci ha lasciato scampo!» fece la donna ridendo. «Il mio nome è Karita. E tu?»

«Mi chiamo Rayla.»

«Lo sapevo già, il ragazzo parla un sacco. Ma mi fa piacere che ti sia presentata di tua volontà.»

«Vi accompagneremo fino alla cima, in quattro componiamo un bel gruppo.» La luce del focolare illuminava il volto di un uomo sulla cinquantina, occhi scuri e decisi, un volto spigoloso ma equilibrato. Parlava con una calma disarmante. Continuò:

«Non aspettatevi una calorosa accoglienza. I Barbagrigia sono una comunità astratta dal resto del mondo, possiedono dei modi tutti loro. Pensate che non rivolgono la parola a nessuno, solo il Dovahkiin è riuscito ad avere un’udienza negli ultimi tempi. Poi è successo quello che è successo.»

«Stai tranquilla Rayla, possiamo fidarci. Puoi tornare a fare un’espressione normale.»

«Come ti senti? Ho notato che le tue ferite si rimarginano velocemente, quasi quanto quei dannati troll.» intervenne Karita.

«La schiena fa ancora male, ma per fortuna la mia specie è dotata di un’ottima rigenerazione delle ferite. Le ossa ci mettono un po’ di più.»

«Sembra quasi una benedizione. Non mi sembra comunque il caso di risparmiarci un bel sonno ristoratore. Parleremo domani.» concluse l’uomo gentile, prima di infilarsi nel suo sacco a pelo e cadere immediatamente addormentato.

«Seguite il suo consiglio, vi conviene.» fece Karita, per poi imitare il proprio compagno.

«Riposati Rayla, io farò il primo turno di guardia.» Garfield le sorrise dolcemente, non sembrava avercela con lei per la stupidaggine che aveva combinato. Per la prima volta Rayla si sentì al sicuro. Si addormentò.




Note dell’autore: Buonasera lettori! Mi sto divertendo molto a scrivere questa storia, lo prendo come un momento di relax e come un esercizio stilistico. Voglio chiedere a voi lettori se queste versioni di Rayla e Garfield vi stiano convincendo, se apprezziate i pensieri dei personaggi mescolati nel discorso indiretto trasposti in corsivo e se le descrizioni riescano a rendere l’idea delle scene narrate. Vi ringrazio infinitamente per aver letto fin qui, e se qualcuno avesse un commento da fare sarei felicissimo di ascoltarlo, che sia esso positivo o negativo!

-HideSaka

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