The White Matter

di ester_potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Skinny Pete ***
Capitolo 2: *** II. Jane ***
Capitolo 3: *** III. Gus ***
Capitolo 4: *** IV. Andrea ***
Capitolo 5: *** V. Mike ***
Capitolo 6: *** VI. Skyler ***



Capitolo 1
*** I. Skinny Pete ***


I.



Jesse cerca di tenersi a sedere più a lungo che può mentre Skinny gli sistema i cuscini dietro la schiena, per poi si lascia cadere di nuovo all’indietro sullo schienale rialzato, con un verso di fatica. Skinny prende posto sulla sedia accanto al suo letto. “Come ti senti?” gli chiede. “Sembri fatto”

“Lo sono” ridacchia Jesse, gettando un’occhiata alla flebo. “Mi hanno imbottito di antidolorifici… Sto da Dio”

“Davvero ti dimettono oggi pomeriggio?”

“Sì, ma le medicine devo continuare a prenderle per un po’. Droga e tanto riposo”

“Fortunato bastardo”

“Ehi, puoi unirti a me, se ci tieni tanto. Basta che ti fai rompere un paio di costole”

Il ghigno sul viso di Skinny si spegne. “Uh, sì… A proposito di quello” inizia a dirgli. “Scusa ancora per Tuco, davvero. Non l’avevo mai visto così prima. Non so che cazzo gli abbia preso—”

“Ti ho detto di smetterla di chiedere scusa” ripete Jesse per la terza volta. “Tu non c’entri niente. Anzi, grazie per non avermi lasciato steso sul pavimento di quello psicopatico”

“Ti pare? Oh” Skinny Pete recupera il cellulare di Jesse dalla tasca dei pantaloni e glielo porge. “Prima che me ne scordi, ho risposto io alle tue chiamate, mentre dormivi”

“Grazie, bello”

Jesse subito inizia a picchiettare freneticamente sullo schermo, come se stesse cercando qualcosa in particolare, poi si blocca di colpo. E Skinny se ne accorge.

“Ha chiamato qualcuno di importante?” chiede Jesse.

“In effetti sì” risponde lui, sforzandosi di sembrare indifferente. “Il tuo famoso socio è venuto a trovarti ieri”

Jesse non lo guarda, ma Skinny non si perde neanche un movimento. L’espressione di Jesse è cambiata completamente, ma non riesce a decifrarla.

“Ah, sì?”

“Uh-uh. Ha chiesto come stavi”

Jesse annuisce senza aggiungere altro e torna a trafficare al telefono. Skinny incrocia le braccia dietro la testa e guarda il soffitto.

“Sembrava dispiaciuto” commenta con noncuranza.

Le dita di Jesse si fermano per un secondo, prima di riprendere la loro corsa sullo schermo. Lui, però, abbocca. “Meglio così” borbotta. “Almeno ha visto che succede quando uno non sta al posto suo”

“In realtà ha voluto che gli dicessi tutto su Tuco”

Basta questa frase per fare sì che Jesse si volti finalmente verso Skinny, il che non fa che confermare quello che quest’ultimo pensa da giorni, ma non è ancora il momento di tirarlo fuori. “Ha voluto cosa?”

“Oh, sì. Ha voluto sapere dove trovarlo, quanti soldi e armi ha con lui, quanti scagnozzi si porta dietro, eccetera. Dovevi vederlo, quando è uscito. Era una furia omicida. Mi ha fatto quasi paura!”

Jesse lo fissa a bocca aperta per un po’, prima di scoppiare in una risata forzata. “Sì, beh, era tutta scena” dice, una volta tornato serio.

“Perché dici questo?”

“Figurati se si va a infilare nella tana di quel bastardo!”

“Beh, il suo piano sembrava proprio quello”

“Ti dico di no”

“Io dico di sì” Jesse lo guarda male, ma Skinny non si lascia intimorire. “Fidati. Non hai visto com’è rimasto quando ti ha visto così”

“Nessuno sano di mente andrebbe da Tuco dopo aver visto quello di cui è capace” ribatte Jesse, come se stesse affermando l’ovvio. “È un suicidio, e lui è troppo intelligente per fare una cosa del genere. Non ci andrà, punto. È solo incazzato a morte per i soldi e la meth che abbiamo perso, tutto qui”

Per tutto il tempo Jesse balbetta, si interrompe, fatica a trovare le parole, e Skinny si domanda se sia perché è ancora intontito dalle medicine o se sia semplicemente ansioso di convincerlo - o piuttosto di convincere sé stesso, perché è questo che sembra.

“Certo,” riprende poi, cercando di assumere un tono più leggero, “mi farà due coglioni enormi per come ho gestito la faccenda e mi darà la colpa come sempre, ma gli passerà”

Skinny apre la bocca per rispondere, poi la richiude. Assorbe le parole dell’amico cercando di dar loro un ordine, un senso che possa interpretare senza dovergli chiedere altro, ma ci rinuncia subito. È arrivato il momento di smetterla di girarci intorno.

“Com’è che hai detto di averlo conosciuto?” gli chiede quindi.

Jesse lo guarda con la fronte corrugata. “Non l’ho detto” risponde. Si ostina ad ignorarlo per qualche secondo, ma lo sguardo indagatore di Skinny lo sente addosso comunque, e alla fine rotea gli occhi, arrendendosi. “Era il mio professore di chimica al terzo anno di liceo”

Skinny solleva le sopracciglia, totalmente preso alla sprovvista. Ok, questo sì che è inaspettato.

“Wow. E come diavolo vi siete ribeccati dopo anni?”

“Non ci crederesti se te lo dicessi” Jesse scuote la testa come per chiudere lì l’argomento. “Lascia stare Pete, dammi retta: meno sai, meglio è. E comunque non è importante”

Skinny ripensa a Jesse lungo sul pavimento di Tuco, al suono delle ossa che si rompevano, al sangue che lo ha visto perdere copiosamente dalla bocca e dal naso e che poi gli si è infilato sotto le unghie quando l’ha sollevato e schiaffeggiato, cercando invano di fargli riprendere conoscenza. Ci ha quasi rimesso la vita, e questo non può ignorarlo.

“Beh, ma…” mormora, guardandolo di sottecchi. “Insomma, guardati. Io credo che invece lo sia”

“Che sia cosa?”

“Importante. Qualunque cosa tu e quel tipo stiate facendo” Jesse lo guarda come se gli fossero spuntate le antenne, ma Skinny non si lascia interrompere. “Dico solo che se adesso ti spingi fino a gente come Tuco per… dare una svolta alla tua carriera”, prosegue mettendo un’enfasi significativa sulla parola ‘svolta’, “deve essere una cosa importante. Non credi?”

“No” risponde seccamente Jesse dopo qualche secondo di silenzio. “Non credo proprio”

“È che sembri diverso. Anche Badger e Combo l’hanno notato. Cioè, ti conosciamo da anni, e…”

“E cosa?”

Di colpo tutta la cautela a cui Skinny si aggrappato con tutto sé stesso va a farsi benedire, cede il posto all’irruenza e lui si ritrova a dare voce a tutte le elucubrazioni che hanno scalpitato nel suo cervello fatto fino a quel momento.

“Beh, tu dici che il tuo socio non è il tipo da andare a provocare uno come Tuco dopo aver visto di cosa è capace. Io dico che tu non sei il tipo da andare a provocare uno come Tuco in generale. Tu non funzioni così. Non cerchi di incrociare la strada di certa gente. Krazy-8 era un conto, perché conoscevi Emilio dalle elementari e tutto, ma Tuco? Quello è un gangster! È totalmente fuori dalla tua portata…”

“Beh, grazie mille, me ne sono accorto…”

“E tu lo sapevi” insiste Skinny. “Eri spaventato, prima di andare da lui. Per questo continuavo a chiederti se fossi sicuro. E tu sei entrato lo stesso. Hai voluto puntare in alto. Non te l’ho mai visto fare”

“Sì, e guarda dove sono finito! Per poco quel figlio di puttana non mi ammazzava”

“Guarda che non ti voglio fare la morale” si affretta a precisare Skinny. “Non ti dirò che hai pisciato fuori dal vaso o che sei stato stupido, eccetera. Anzi, hai fatto una cosa strafiga! Ti sei messo in gioco e a me va benissimo questa roba. Ma il punto non è se hai fatto bene o no. Il punto è che qualcosa è cambiato da quando è arrivato il tuo socio”

“E questo che c’entra?”

“Non è stata una tua idea, vero? È stata sua. E ok, magari sarebbe venuta anche a te... Ma credo di avere ragione quando dico che in altre circostanze avresti rinunciato. Se non ci fosse stato lui, intendo. O sbaglio?”

Jesse non risponde. Si limita a fissarlo come fa di solito quando Skinny si sfascia di roba o espone una delle teorie complottistiche con cui si fissa sempre. Eppure Skinny non si è mai sentito meno stupido.

“Yo, mica c’è niente di male” gli fa notare, quando lo vede massaggiarsi le tempie con aria stanca. “Significa solo che forse non lo odi così tanto come dici”

Segue un altro silenzio, stavolta più lungo e pesante, finché Jesse non risponde con un borbottio: “Non ho mai detto che lo odio, per inciso”

“Beh, nemmeno lui ti odia”

“No, infatti. Lui non mi rispetta. Il che è peggio”

Quest’ultima frase tradisce una nota dolente che fa stringere il cuore a Skinny Pete. “Da oggi lo farà” gli risponde.

Jesse si tortura il labbro inferiore a morsi, gli occhi che corrono da un punto all’altro del soffitto bianco. Skinny abbassa lo sguardo e sorride sommessamente. Aveva già visto tutto, e aveva visto giusto. Quella che era iniziata come una battuta tra lui e Badger era diventata una scommessa, poi un’ipotesi quasi plausibile, e adesso sarebbe quasi pronto a metterci la mano sul fuoco.

E allora si decide: prende fiato e si butta.

“Senti, ma… Per caso voi… Cioè… Voi due avete…”

Jesse inarca un sopracciglio verso di lui; assiste in silenzio ad una serie di balbettii e ripensamenti, prima di chiedergli: “Pensi di farcela entro oggi, o…?”

“Insomma,” sbotta alla fine Skinny, “lui ti piace? Ti piace come… Beh, hai capito”

“… No, Pete, non ho capito”

“Voglio dire… Ti piace in quel senso?”

“In quale sen—” Jesse si blocca a metà frase come colpito da un fulmine, spalanca gli occhi e le guance avvampano di colpo. “Cazzo, no!”

“Ok, ok, scusa…” Skinny mette subito le mani avanti, tentando invano di difendersi dalle imprecazioni e le smorfie schifate di Jesse.

“Cristo, Pete! Che cazzo ti sei calato prima di venire qui?”

“Niente, giuro! Lasciamo perdere, ok?”

“Ti sembro una checca, forse? Ma come ti vengono certe stronzate!?”

“Ho soltanto chiesto!”

Jesse non si rende neanche conto di quanto la sua voce si sia acutizzata, e Skinny si guarda bene dal farglielo notare. Si ritrova invece – con una punta di giustificato egoismo – a ringraziare Dio delle pessime condizioni in cui si trova l’amico, altrimenti non l’avrebbe passata liscia.

Jesse non può far altro che calmarsi, guardarlo in cagnesco e riprendere a respirare normalmente.

“Tu sei fuori” mugugna poi, guardandosi le punte dei piedi.

“Scusa, bello, davvero. Ho solo pensato… Che ci fosse qualcosa sotto. Ma mi sbagliavo!” si affretta ad aggiungere Skinny prima che Jesse prorompa in un’altra scenata.

“Di grosso” precisa Jesse con rabbia.

“Fa’ come se non avessi detto niente”

“E vedi di non tirare più fuori questa stronzata, ok?”

“Certo, come vuoi” risponde Skinny con un’alzata di spalle. Del resto si aspettava una reazione del genere.

E comunque, magari Jesse non gli sta mentendo. Magari si è immaginato tutto. Forse ha ragione Badger, quando dice che Jesse si sta tenendo stretto il suo socio solo per imparare tutto quello che può e poi lo manderà al diavolo appena ne avrà l’occasione.

Decide di lasciarlo solo prima che gli esca qualche altra domanda inopportuna, perciò guarda l’orologio appeso alla parete e si alza dalla sedia. “Beh, io vado” dice. “Hai qualcuno per riportarti a casa?”

“Chiamo Combo” Jesse solleva la schiena a fatica e Skinny lo aiuta a mettersi seduto con le gambe fuori dal letto, rivolto verso la finestra.

“Allora ci vediamo”

“Uh-uh”

Skinny non ha fatto neanche dieci passi lungo il corridoio, quando d’improvviso viene colto da un’illuminazione e si blocca. Non perde neanche tempo a riflettere su quanto sia sbagliato ciò che sta per fare: torna indietro e si ferma accanto al muro della stanza di Jesse, chinando leggermente la testa oltre la tenda. È nella stessa posizione in cui l’ha lasciato, seduto con le gambe penzoloni fuori dal letto e con le spalle alla porta.

Sporge la testa ancora più avanti quando lo vede portarsi il cellulare all’orecchio. Jesse si schiarisce la voce e tamburella le dita della mano sinistra sul letto come fa sempre quando qualcosa lo preoccupa. Skinny ha una vaga idea di chi stia chiamando, ed è quasi certo che non sia Combo.

Resta in attesa per un bel po’, e deve essere partita la segreteria, perché d’ un tratto Jesse prende fiato e dice: “Ehi, signor White. Ehm… Io sto bene. Sto per tornare a casa, quindi… Tutto ok, immagino” Aspetta un paio di secondi, poi abbassa notevolmente il tono. Skinny Pete si sporge ancora di più.

“Comunque” lo sente dire. “Non deve preoccuparsi per i soldi, ok? Troveremo un modo, ma… Senta, se fossi in lei eviterei di andare da Tuco. Quello non aspetta altro. La rivolterà come un calzino appena la vedrà, e lei ha visto di cosa è capace. Quindi… Sì, insomma, sarebbe meglio che non vada. Però faccia come vuole. Ok, allora… Ci vediamo. Si faccia sentire”

Riaggancia, abbandona la testa all’indietro e sospira forte. “Si faccia sentire” ripete in una sprezzante imitazione di sé stesso, sbattendosi il palmo della mano in pieno viso. "Cosa sono, una ragazzina?"

Se ne sta con la testa china a per cinque minuti buoni, e solo al termine di essi sembra ricordarsi di chiamare Combo, ma per allora Skinny se n’è già andato.

Mentre guida via dall’ospedale Skinny ripensa al giorno prima, quando il famoso “socio” è venuto in ospedale per vedere Jesse. Se Jesse non gli avesse parlato di lui – o meglio, se non l’avesse sfottuto fino alla nausea –, Skinny non avrebbe mai collegato un uomo del genere al loro mondo. E invece, appena era entrato nella stanza di Jesse, Skinny aveva capito subito che era lui. In effetti si era rivelato essere esattamente come Jesse gliel’aveva descritto: uno spilungone che si comporta, cammina e parla come se avesse un palo infilato nel culo, occhiali da nerd e capelli orrendi perfino per uno che fa il suo mestiere – tra l’altro: un insegnante di chimica? Jesse che fra tutti si va a prendere una cotta per un insegnante di chimica? – e non può fare a meno di chiedersi: che accidenti ci vedrà Jesse in lui? Non se lo chiede con cattiveria, bensì con sincera e genuina curiosità.

Poi all’improvviso gli viene in mente una cosa che lo fa sorridere di orgoglio: 'Badger mi deve 50 dollari'

La giornata ha preso una piega soddisfacente. Inaspettata, ma soddisfacente.

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Capitolo 2
*** II. Jane ***


II.
 
 
 

“Non vuoi andare veramente dagli sbirri, vero?”
“Non ce ne sarà bisogno. Ti darà i soldi”
Jane guarda Jesse spostare il peso da un piede all’altro e fare il primo tiro così di fretta che si aspetta di vederlo strozzarsi sul fumo.
“E se non lo facesse?” insiste lui.
Jane sospira di sfinimento. “Jesse, sono i tuoi soldi! Sei tu che sei nel giusto, e lui è nel torto. Non è stupido, te li darà”
Spera che questo gli basti, ma evidentemente non è così. Jesse si allontana e si appoggia a un albero come se fosse esausto, la faccia stravolta. Per la prima volta da quando Jane lo conosce, non le sembra che la stia ascoltando. La disorienta e, soprattutto, la fa incazzare. Di solito pende dalle sue labbra, la accontenta in tutto e lei… Beh, lei lo rende felice. Lo capisce da come si lascia abbracciare da lei la notte, dal modo in cui la stuzzica quando finge di ignorarlo, da quei sorrisi da deficiente che riserva solo a lei, e dall’impegno che ci mette nel cucinarle la colazione – lui che non cucina mai neanche per sé stesso – e tutto questo lo riceve solo essendo sé stessa. Non deve fingersi qualcun'altra, perché lui la ama per quella che è.
Quella con Jesse è probabilmente la storia più idilliaca che Jane abbia vissuto: loro due soli, in due appartamenti adiacenti a formare un’unica casa che ormai è il loro piccolo microcosmo indipendente, dove possono essere ciò che sono e nessun altro può mettere piede se loro non vogliono. Beh, quasi nessuno. Suo padre ha rotto la loro bolla di felicità proprio oggi, facendo irruzione in casa e minacciando di chiamare la polizia, e per un terribile attimo Jane ha visto andare tutto in pezzi.
È stato proprio quell’attimo sull’orlo del burrone a farle capire che non si sarebbe mai più fatta sbattere in riabilitazione. Non ora che ha tutto quello che ha sempre voluto: qualcuno che la ama e, non meno importante, qualcuno con cui sballarsi, con cui farsi del male senza paura, senza pensare alle eventuali conseguenze mortali o alla delusione che ciò causerebbe ai loro cari.
L’unica cosa che le manca per essere completamente felice sono i soldi, ma a questo ha già provveduto poco fa. Appena l’ex socio di Jesse si farà vivo con i soldi, Jane potrà prendere il suo ragazzo e andarsene da quella maledetta prigione arida e bollente in cui è nata e cresciuta per ventisette anni. È perfetto.
E allora perché cazzo Jesse ha quella faccia da funerale? Perché non tira fuori un po’ di grinta? Perché non ha preso lui su il telefono per affrontare di petto quello stronzo del suo socio e farsi rispettare?
All’inizio Jane pensava fosse solo un po’ di riluttanza iniziale, e che gli sarebbe passato tutto nel giro di poco. Gli aveva esposto il suo piano di ricattare Walter White per farsi portare i soldi – soldi che appartengono a Jesse di diritto, fra l’altro – e partire l’indomani mattina stessa. Jesse era rimasto in silenzio ad ascoltarla con gli occhi stralunati perché non aveva ancora smaltito la botta. Aveva accettato, ma i problemi erano sorti già quando Jane gli aveva intimato di dirle tutto ciò che poteva essere compromettente per White.
Aveva passato una mezz’ora buona a convincerlo – “Non c’è bisogno di arrivare a tanto”, aveva provato a dire lui, al che lei aveva perso la pazienza e gli aveva fatto presente che invece sì, ce n’era proprio bisogno, e se voleva che la cosa funzionasse doveva tirare fuori le palle –, e anche una volta ricattato White l’umore di Jesse non era affatto migliorato. Anzi.
Più guarda quella faccia da cane bastonato più la sua tolleranza cala, inversamente proporzionale al bisogno di spararsi un’altra dose, che invece cresce a dismisura. Starebbe meglio, se solo Jesse ci mettesse un po’ più di cattiveria e non cercasse a tutti i costi di farla sembrare una stronza senza cuore – che poi, che male ci sarebbe? Fosse per Jesse, starebbero ancora a piangersi addosso.
Com’è che aveva detto il professorone al telefono? Ah, sì: “Non voglio contribuire alla sua overdose”
Ancora non si spiega come sia riuscita a trattenersi dal mandarlo a fanculo. Come si era permesso? Come se qui la vera ‘cattiva’ fosse lei. Emerito stronzo.
Jane inspira fumo a pieni polmoni, cercando di placare i nervi, e si avvicina a Jesse. “Qual è il vero problema?” gli chiede. “Non vuoi il tuo mezzo milione di dollari? Vuoi rinunciare ai tuoi beni materiali e farti monaco?”
Jesse si gira a guardarla neanche fosse una prostituta qualunque che si è portato a letto e va ad appoggiarsi al muro opposto a lei.
“No, è solo che… sono il tipo di persona che fa la spia” È l’unica cosa che si degna di dire. “E per estensione, non lo sei neanche tu! Insomma, è il mio partner”
Jane non crede alle sue orecchie. Prende un ultimo tiro dalla sigaretta, più lungo che può, perché se non si calma prima di rispondere potrebbe sbottare, e l’ultima cosa che le serve è una denuncia per disturbo della quiete pubblica da parte di quegli impiccioni rompicazzo dei vicini. Perciò stringe la cicca tra le dita, la butta a terra e la schiaccia.
“Sono io il tuo partner” dice.
Sta per andarsene quando i puntini si collegano da soli, tutt’a un tratto. Il vero problema è ovvio. Non c’è neanche bisogno che glielo dica lui. E vorrebbe esserne più sorpresa, ma non lo è affatto. Le viene in mente che forse una parte di lei l’ha sempre sospettato, e che abbia nascosto quell’ipotesi nell’angolo più recondito del suo inconscio per paura che fosse vera. Ma la verità è che una ragazza certe cose le nota, le fiuta a distanza. Poco importa che abbia visto Walter White solo una volta: Jesse cambia completamente, se c’entra lui.
La rabbia le monta dentro, indomabile e ferita. Stringe gli occhi e respira a fondo, prima di girarsi e inchiodare Jesse al muro con lo sguardo. Avranno modo di aggiustare le cose, ma se vogliono andarsene insieme deve sapere la verità.
“Senti un po’” gli dice. “Hai qualcosa da dirmi?”
Lui butta fuori il fumo e aggrotta le sopracciglia. “Che intendi?”
“Hai per caso omesso di dirmi qualcosa riguardo te e lui?”
Un velo di agitazione scende sullo sguardo di Jesse, che ingoia sonoramente ma non risponde.
“Hai paura” rincara lei.
“Di lui? Io? Ma per favore…”
“Non di lui. Di perderlo
Per poco non gli cade la sigaretta di mano, e Jane se ne accorge. “O di deluderlo,” continua, “o incastrarlo o fare qualcosa che vada contro di lui in generale. Allora, è così?”
Jesse la fissa senza parole per un paio di secondi, prima di mettere su il sorriso più schifosamente forzato che Jane lo abbia mai visto fare e allungare una mano per accarezzarle i capelli.
“Dai, piccola, qual è il problema—”
Jane si ritrae bruscamente e il sorriso di Jesse si spegne. “Perché invece non me lo dici tu qual è il problema?” ribatte. “Non sono stupida. E non sono neanche cieca. Cosa credi, che non l’abbia notato?”
“N-Notato cosa?”
“Il rispetto che hai verso di lui e che non riesci a nascondere neanche quando lo sfotti con me. Il fatto che tu puoi insultarlo quanto ti pare ma quando lo faccio io, stranamente, la cosa non ti fa più ridere. Disdici tutti i nostri piani se hai da fare con lui. Ogni volta che chiama corri al telefono come se non aspettassi altro per tutto il giorno e cambi stanza perché io non senta, neanche fosse lui la tua ragazza e io l’amante con cui scopi mentre non c’è. Devo andare avanti?”
Adesso sì che ha la sua attenzione; non lo ha mai visto così spaventato, ma si rende conto con enorme sdegno che la cosa non la fa stare meglio neanche un po’.
Quando Jesse trova finalmente il coraggio di replicare, lo fa tentennando, come un bambino trovato con le mani nella marmellata: “Ehi, ehi, te l’ho detto! Lavoriamo insieme e basta. Tutto il tempo che non sono con lui a cucinare meth lo passo con te”
“E meno male,” ridacchia Jane in tono velenoso, “perché mi pare che stiate insieme parecchio. Come l’ultima volta, ad esempio!”
“Ancora con questa storia dei quattro giorni?” la interrompe Jesse, incredulo. “Perché non te ne dimentichi?”
“Avevi un odore diverso quando sei tornato a casa”
“Sì, perché puzzavo, Jane. Te l’ho detto che siamo rimasti bloccati in mezzo al deserto, senza poterci andare a rifornire o lavare da nessuna parte…”
“Non è solo il tuo socio!” insiste lei, alzando la voce. Tutta questa recita da finto tonto la sta facendo imbestialire. “E non è solo il tuo ex insegnante. Ogni volta che torni sei strano, ci metti sempre un po’ a tornare te stesso. Come quella volta, per l’appunto”
Lui inarca un sopracciglio come per sfidarla a continuare, e lei lo fa. Non aspetta altro. “Di’ la verità: che avete fatto, a parte lavorare? Giorno e notte, per quattro giorni, chiusi in un camper in mezzo al deserto?”
Jesse resta senza parole: la guarda, rigido come un tronco contro il muro ma senza mostrare più alcuna emozione; quindi prende tempo aspirando l’ultima boccata. Jane non gli stacca gli occhi di dosso, mentre gli chiede: “Voi scopate?”
Jesse butta fuori il fumo con uno sbuffo e alza gli occhi al cielo. “Cristo” borbotta, guardando ovunque meno che in direzione della ragazza. “Ma come ti viene in mente?”
Spegne la sigaretta sotto il piede e fa per allontanarsi, ma Jane gli afferra la manica prontamente. “Jesse, voglio saperlo—”
“Devo davvero risponderti!?” sbotta lui.
Si guardano come se non si conoscessero. Jane gli lascia andare la manica e guarda a terra, mentre lui si passa la mano sul viso con un sospiro.
Il senso di colpa si fa strada dentro di lei, violento e traditore. “A te importa quello che pensa di te” aggiunge a bassa voce. “Non negarlo. Altrimenti perché ti faresti tutti questi problemi adesso che stiamo per avere tutto ciò che vogliamo? Così, all’improvviso?”
Jesse la guarda mortificato, come se fosse tornato in sé all’improvviso, e fa un passo verso di lei; prima di rendersene conto Jane si ritrova circondata dalle sue braccia. Jesse respira contro il suo collo – come fa sempre quando sono insieme – e lei socchiude gli occhi. In un attimo tutta la gelosia e l’umiliazione scivolano via, nonostante Jane cerchi di aggrapparvisi.
“Non è come credi tu” dice Jesse senza staccarsi. “Non c’è niente. Siamo solo soci… Beh, lo eravamo” Poi aspetta un paio di secondi e Jane crede che lo faccia per assimilare le sue stesse parole, per abituarsi all’idea. Non le piace, ma lo lascia concludere. “Ma è tutto qui”
E poi il “socio” è davanti alla loro porta con un borsone pieno di soldi – soldi di Jesse, come si premura di ricordarle quando Jane fa per prenderli – e Jesse viene ad affacciarsi accanto a lei, ma solo perché si sente chiamare da White. “Non ci faremo sentire mai più”, dice al suo ex socio, facendogli contrarre la mascella.
Vorrebbe essere fiera di Jesse… Peccato che sembri tutto tranne che risoluto; a guardarlo si direbbe invece che tutto questo gli procuri dolore fisico, e suona stanco, titubante, come se stesse rinunciando a qualcosa da cui non vuole staccarsi. Glielo si legge in faccia che vorrebbe essere da qualunque altra parte meno che lì, e l’unica cosa che le impedisce di urlargli contro tutta la sua delusione è l’euforia scaturita dai soldi che hanno appena varcato la soglia. Senza contare che si farebbe uccidere piuttosto che dare soddisfazione a quel vecchio.
Però il pensiero che se quello continua a parlare Jesse possa cambiare idea la terrorizza lo stesso, e una punta di panico si fa strada in lei. Potrebbe farlo davvero. Questo bastardo potrebbe convincerlo. Deve andarsene, ora.
L’ha odiato fin dalla prima volta che l’ha visto, quando è venuto a bussare alla porta di Jesse spacciandosi per suo padre: aveva capito subito che non lo era davvero, e aveva captato la sua influenza, anzi, il suo potere su Jesse.
White la ignora completamente: guarda solo Jesse e sembra leggergli dentro come a volte neanche lei riesce a fare, e questo Jane non lo sopporta, come non sopporta il suo paternalismo quando dice al suo fidanzato che non sta agendo lucidamente; odia il fatto che questo professore del cazzo pensi di sapere cos’è meglio per lui, che l’abbia coinvolto in un lavoro che Jesse gestiva già benissimo da solo, che gli abbia fatto il lavaggio del cervello per settimane e che, magari, forse, – “Chi voglio prendere in giro?” pensa Jane. “’Forse’ un cazzo” – se lo scopa pure.
Non le piace niente di ciò che vede: c’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui White si rivolge a lui, qualcosa che non dovrebbe esserci e che ha il potere di cambiare tutto, mentre Jesse alza lo sguardo verso di lui come se si attivasse al suono della sua voce, come se il suo corpo fosse una sostanza reagente al veleno che è Walter White, venendone attirata come una falena alla luce.
Ed è di questo si tratta. Walter White è un veleno. Un’erba cattiva che va estirpata per sempre dalle loro vite prima che gliele rovini.
“Stai commettendo uno sba—”
Prima che possa fare altri danni, Jane gli sbatte la porta in faccia. Ignora Jesse, che resta impalato davanti alla porta chiusa, mentre lei gli prende il borsone di mano e lo apre sul pavimento.
Alla vista del contenuto dimentica tutto. Non crede neanche lontanamente alle cazzate che Jesse le ha rifilato prima, ma ormai non ha più importanza. Hanno vinto la libertà. Qualunque altra cosa scompare alla luce di questo, e perfino Jesse sembra rendersene conto quando finalmente si scanta e insieme decidono di ripulirsi e poi partire.
Da domani cambierà tutto, pensa Jane, mentre i due adocchiano di colpo l’ultima dose di eroina rimasta, sul comodino accanto al letto.
 

 
 

Angolo Autrice
Lo so, lo so, sono in ritardo CLAMOROSO e sono senza scuse, ma ve ne rifilerò alcune lo stesso :))).
Il fatto è che sono stata via due settimane in vacanza, a Ferragosto sono stata tutto il giorno fuori e un altro giorno idem per un compleanno, e nelle altre due settimane mi è venuta l’ispirazione per scrivere una robetta e poi per revisionarne e pubblicarne un’altra (entrambe per altri fandom). Insomma, ho deliberatamente messo in pausa questa fic per quasi un mese.

Ma chi è che si mette a pubblicare roba a capitoli in piena estate, mentre la maggior parte delle autrici va (giustamente) in pausa/vacanza? Un geniaccio, proprio.
Il bello è che non posso neanche dire di essere più libera ora, dato che ho un esame a settembre (l’ultimo, se Dio vuole). Ad ogni modo, prometto di pubblicare un capitolo a settimana d’ora in poi, salvo imprevisti totalmente al di fuori del mio controllo.
Scusatemi ancora e grazie per la pazienza!   ^^

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Capitolo 3
*** III. Gus ***


III.
 
 
 
Fin dal suo primo dialogo con Walter, Gustavo aveva nutrito dubbi sulla natura della sua relazione con Jesse Pinkman. Quando gli aveva chiesto perché proprio Jesse, la motivazione gli era sembrata un po’ arbitraria, - “Perché fa quello che dico. Perché posso fidarmi di lui” – ma non aveva indagato oltre. Aveva cose più importanti a cui pensare.
Poi tutto era andato in pezzi durante una stupida faida, quando quella nullità di Jesse si era messo in testa di uccidere due degli uomini di Gus per vendicare un suo amico drogato. All’epoca, l’uomo avrebbe potuto – voluto – liberarsi di lui con una pallottola e via, e l’aveva quasi fatto, se non fosse stato per Walter. Aveva cercato di mantenersi sordo alle sue suppliche, ma si dà il caso che il chimico fosse più insistente di quanto avesse calcolato.
“Non tratto con i drogati” gli aveva detto in tono tassativo.
“È solo un ragazzo” gli aveva fatto notare Walter con ostinazione. “Dagli un’altra possibilità. Lui mi serve”
“No, invece. Se è il problema è che sei abituato ad avere un assistente che ti aiuti, farò tornare Gale. Puoi stare certo che accetterà—”
“Non è solo che mi serve un assistente”
Non aveva detto: “È che mi serve lui”, ma non ce n’era stato bisogno. Ad ogni modo, Gus si era lasciato convincere a non spargere altro sangue per pura magnanimità. Se ne era pentito subito dopo, e a ragione: alla fine Jesse era esploso, e Walter era intervenuto per salvarlo giustiziando gli uomini di Gus senza preoccuparsi di consultarlo o quanto meno avvertirlo.
“Il suo cancro è peggiorato” aveva pensato Gus come prima cosa. “Per questo ha agito così. Uno come lui non metterebbe mai a rischio sé stesso e l’intera operazione per un tossico insignificante”
Invece Walter l’aveva smentito: non c’era stato alcun peggioramento. Gus era rimasto a dir poco sconcertato, finché un minuscolo ma inatteso seme del sospetto si era piantato nella sua mente. Vuoi vedere che…
Comunque non c’era più motivo di preoccuparsene. La sola cosa importante era che produzione non si fermasse, e così era successo: Jesse se ne era andato e Gale aveva accettato di tornare subito al lavoro con Walter. Ma ormai il danno era fatto, e Gus sapeva di non potersi più fidare di lui: lo avrebbe fatto fuori personalmente, appena Gale si fosse sentito pronto a soppiantarlo.
Non aveva però tenuto conto di una cosa: Walter White era sì il chimico più bravo che avesse mai assunto, ma anche il più furbo e intelligente. La sua ambizione rasentava una mancanza di scrupoli degna dei peggiori gangster che Gus abbia mai conosciuto, e l’uccisione di Gale – avvenuta per suo ordine – da parte Jesse l’aveva confermato.
Gustavo si era ritrovato irrimediabilmente con le spalle al muro, impotente e insicuro per la prima e unica volta in vita sua, se non si conta il giorno in cui Hector Salamanca aveva ucciso il suo primo socio davanti a lui. Guardalo, gli aveva detto. Tu gli hai fatto questo. Ora guardalo. Quel ricordo, unito alla consapevolezza di non avere vie d’uscita e di aver perso contro un professore di chimica e un miserabile drogato, era stato quasi insopportabile. Si stupisce di sé stesso, se ripensa alla calma con cui l’ha gestita, scegliendo invece di sbarazzarsi di Victor – sia perché servisse da monito a quei due, sia perché era stato visto a casa di Gale.
Dopodiché erano seguiti giorni in cui Gus aveva cercato di ingoiare l’umiliazione e placare la rabbia, ma la sua mente correva sempre alla notte della morte di Gale e non pensava ad altro che al suo desiderio di vendetta. Lo stava quasi uccidendo: rimpiangeva di non avergli impartito una lezione seduta stante, quando li aveva entrambi ai suoi piedi, legati nel laboratorio. Quello era il momento giusto per infliggergli una punizione esemplare – magari sottoponendoli allo stesso trattamento che Don Eladio aveva riservato a lui: immaginava la sensazione di appagamento nell’interrompere il discorso delirante di Walter, sgozzandolo come un animale, così da risvegliare Jesse da quella specie di coma da trauma e senso di colpa provocatogli dall’omicidio di Gale e prenderlo per i capelli e sbatterlo a terra di fronte al corpo agonizzante di Walt e costringerlo a guardarlo morire.
Poi, di colpo, ogni fantasia su vendette e massacri si era interrotta. C’era arrivato. “Se uccidi me, non hai niente” gli aveva detto Walter quella notte. “Se uccidi Jesse, non hai me”
Da quel momento, il secondo seme del sospetto aveva iniziato a crescere nella sua mente e ora, finalmente, ne ha la conferma. E non ha neanche dovuto faticare per averla. È Jesse stesso a dargliela.
Il ragazzo è seduto con le braccia conserte sul tavolo di casa sua di fronte a un piatto di stufato, gli occhi fiammeggianti e temerari come Gus non glieli ha mai visti – salvo quella volta che ha osato sfidarlo rifiutandosi di accettare la pace con i suoi spacciatori – mentre difende il suo onore, mentre mette la vita di Walter White allo stesso livello della sua.
“Vuoi parlare da uomo a uomo?” gli sta dicendo. “Ok, facciamolo! Se uccidi il signor White, dovrai uccidere anche me”
Ed eccolo lì. Walt gli aveva mentito, quando gli aveva detto che il cancro non era peggiorato. Lo era, invece, lo era eccome. È Jesse, il suo cancro. Ora che Gus lo sa per certo, l’euforia è quasi impossibile da contenere. Serra i pugni intorno alle posate cercando di farlo passare come un moto di rabbia, e risponde con estremo autocontrollo: “Non ti ho chiesto questo”
Con quelle parole riesce a spostare l’attenzione di Jesse interamente sul lavoro; lo informa di quale sarà il suo compito in Messico mantenendo una facciata stoica. Finge di lasciar cadere l’argomento White, ma in realtà sta solo aspettando il momento giusto per ritirarlo fuori, come il gatto attende immobile davanti alla tana del topo, muovendo sinuosamente la coda e allertando i sensi.
È la soluzione a tutto: Jesse è un valido soldato e Gus sa che conosce la ricetta di Walter a memoria e che è in grado di riprodurla quasi pedissequamente, ma se vuole liberarsi del chimico deve avere l’assoluta certezza del tipo di rapporto che li lega, e non può certo estorcerlo al più grande. Non ci riuscirebbe neanche mettendolo sotto tortura. Deve approfittarsi di questo momento e far confessare Jesse, perché un’occasione simile potrebbe non ripresentarsi più.
Jesse si limita ad ascoltare in silenzio mentre lo guarda sbalordito. La paura la nasconde bene, ma Gus la fiuta comunque. Alla fine annuisce senza aggiungere parola, gli occhi bassi come un condannato che accetta il suo tragico destino. Aveva smesso di mangiare molto prima che Gus lo mettesse al corrente della missione, e adesso spilluzzica il cibo ormai semi-freddo nella sua ciotola.
“Non hai più appetito?” gli chiede Gustavo in tono casuale.
Jesse scuote la testa e manda giù il nodo che ha in gola scolandosi un intero bicchiere di vino in tre sorsi, mentre Gus riprende a mangiare come se nulla fosse. Da quel momento regna il silenzio: l’aria si fa pesante, carica di domande che Jesse non si azzarda a fare, limitandosi a spostare lo sguardo dal piatto ancora mezzo pieno all’orologio appeso alla parete di fronte a lui. È pallido, fa tremare la gamba a scatti velocemente. Un tic nervoso che continua per i successivi dieci minuti. Gus capta tutto, ma non alza gli occhi dal cibo neanche una volta per guardarlo. Non ne ha bisogno.
Per un secondo, Gus si sente quasi in colpa per la pessima serata che gli ha fatto passare. Ma solo per un secondo. Si asciuga la bocca col tovagliolo e gli chiede se gradisce un dessert per educazione, ma conosce già la risposta.
“No, grazie” Jesse si strofina gli occhi e si schiarisce la voce. “Ehm… Devo andare”
Si alza dal tavolo e si infila la giacca. “Grazie per la cena” aggiunge.
“Che cosa c’è tra te e Walter White?”
Jesse si immobilizza. “Cosa?
In altre circostanze, Gus avrebbe preferito prendersi più tempo per portare il più giovane a dirgli tutto ciò che vuole, scegliendo con cura le parole giuste e inducendolo gradualmente ad abbassare la guardia, malleabile e debole come – ci scommette – riesce a renderlo Walter White. Ma quel povero ragazzo suda freddo dal momento in cui ha messo piede in casa sua, ha buttato giù mezza bottiglia di vino a stomaco vuoto, probabilmente è ancora con la testa al cartello che lo aspetta in Messico e deve aver perso tutti i nervi saldi di cui disponeva. Questo è il momento giusto. È vulnerabile.
“Chi è lui per te, davvero?” continua.
Jesse lo guarda a bocca semichiusa per qualche secondo, gli occhi che tradiscono tutto il panico di cui sta cadendo preda, poi si stringe nelle spalle e butta lì una risposta a caso. “Un socio”
‘Prevedibile’, pensa Gus ridendo fra sé.
“Se così fosse, per te non dovrebbe fare molta differenza trovartene un altro” obietta. “Di certo ti sarà capitato di pensarci, ogni tanto”
Jesse finge di pensarci su e scuote la testa. “Non ne ho mai avuto il bisogno”
“Ma se succedesse? Se lui, ad esempio, si licenziasse?”
“Non sarebbero affari miei.”
“E se invece dovesse morire?”
Jesse stringe le labbra e inspira profondamente, prima di sfoggiare un sorriso di finta cordialità. “Sarebbe un peccato, per te. Come farai con la metanfetamina? Certo, ti rimarrei io, ma da solo non reggo i tempi di produzione a cui sei abituato. E potrei non tornare vivo dal Messico, per quanto ne sai. O sbaglio, Gus?”
Gustavo sorride. Si difende bene, non c’è che dire. A forza di stare così tanto tempo chiuso nel laboratorio con Walter, Jesse inizia a comportarsi come lui: è più avveduto, più sagace. L’ha notato anche prima, Jesse lo ha accusato di voler uccidere il suo mentore: Gus aveva capito subito che quelle accuse – fondate, ma questo è un altro discorso – non venivano da lui; era chiaro che avesse solo ripetuto le elucubrazioni machiavelliche di Walt, il quale aveva pensato bene di condividerle con Jesse per fare in modo che tenesse la guardia alta per tutta la cena.
‘Oh, Walter, non servirà a niente’, pensa Gus. ‘Io faccio parte di questo mondo da molto più tempo di te, e ho perso più di quanto tu potrai mai perdere’
Si versa un altro po’ di vino per poi rivolgersi a Jesse. “Ne vuoi ancora?”
Jesse scuote la testa e si guarda intorno, a disagio.
“Devo andare davvero”
“Ti ruberò solo cinque minuti” insiste Gus serafico, mentre fa ossigenare il vino muovendo il calice circolarmente. Poi gli sorride. “Un po’ di chiacchiere informali non ci uccideranno, non trovi? Abbiamo parlato solo di lavoro”
“Ho bisogno di una sigaretta…”
“Puoi fumare qui”
Jesse indugia, spostando il peso da un piede all’altro. “Sicuro? Non ti dà fastidio?”
“Assolutamente no” Gus indica la sedia con un cenno del capo. “Siediti, per favore”
Jesse obbedisce con un sospiro. Si infila in bocca una sigaretta, poi si blocca di colpo a fissare il pacchetto; guarda Gus e il suo sguardo indugia su di lui giusto una frazione di secondo – Gus se ne accorge comunque –, quindi richiude il pacchetto e lo ripone di nuovo in tasca. “Che vuoi sapere?” gli chiede.
Gus aspetta che Jesse abbia fatto la prima boccata. “Non è nei miei piani uccidere Walter White” lo informa, placido. “Sarebbe controproducente, al momento. Non sono così avventato”
Jesse lo guarda fisso, con il gomito appoggiato al tavolo e la mano che tiene la sigaretta sospesa a mezz’aria, tra loro; Gus fa un sorso e si gusta il sapore del vino.
“Allora non ci sono problemi” dice Jesse con voce atona.
Gustavo solleva un angolo della bocca, inchiodandolo con lo sguardo.
“Tu però non mi hai solo chiesto di risparmiarlo” puntualizza. “Se devo essere onesto, pensavo che l’avresti fatto. Con rabbia, magari con angoscia. Ma tu hai detto: ‘Se uccidi il signor White, dovrai uccidere anche me’. E questa non è una richiesta. È un dato di fatto. Causa ed effetto. Secondo la tua logica, alla morte del tuo socio non potrebbe che seguire la tua”
Jesse fa scattare la sigaretta con il pollice contro il filtro, facendo cadere la cenere sul tovagliolo; il tic nervoso alla gamba ricomincia. Rimane in silenzio per tre lunghe boccate, prima di rispondere con lo sguardo basso. “Io e lui abbiamo dei trascorsi”
“Che tipo di trascorsi?” chiede Gus, attento a non assumere un tono inquisitorio.
“Mi ha insegnato tutto quello che so. Beh… quasi tutto”
Gus gli fa un sorriso eloquente. “Questo me l’ha già detto lui” Attende qualche secondo, poi prosegue. “Lo consideri un mentore?”
“… Più o meno”
“Un amico?”
Jesse ci pensa su. “Abbiamo due idee diverse di amicizia, credo” ammette infine mentre un velo di tristezza cade sui suoi occhi. Gustavo non è sorpreso dal suo repentino cambio di espressione. Sono settimane che vede il divario tra Jesse e Walt crescere, con suo grande appagamento; ora che ha il coltello dalla parte del manico deve scavare ancora più a fondo.
“Qualcosa di più?”
Si aspetta di vederlo alzare lo sguardo, a quelle parole, invece Jesse non lo fa. Non dice una parola. Gustavo riprende a muovere il bicchiere in circolo senza staccargli gli occhi di dosso. Inizia a pensare che stia per crollare e ammettere quella che è la palese verità, quando finalmente Jesse si riscuote e fa un ultimo tiro. “No” risponde con calma, alzando gli occhi su Gus. “Noi non siamo così”
“Se lo foste non mi importerebbe. Certe cose non mi scandalizzano. Ma di recente sembra che qualcosa sia cambiato, tra voi. Non c’è più fiducia?”
Jesse spenge la sigaretta seppellendola nello stufato. “Si può rimanere leali a qualcuno anche se non ti fidi più” borbotta.
‘Fa quasi tenerezza’, pensa Gus. ‘È praticamente un adolescente un po’ cresciuto che si farebbe uccidere qui ed ora pur di non mostrare i suoi sentimenti’
Nessuno parla per un minuto buono, prima che Jesse appoggi la schiena contro la sedia e alzi gli occhi al cielo con un sospiro. “Non c’è niente tra noi. È solo che… Abbiamo iniziato insieme tutto questo. Perciò, se deve finire, che finisca allo stesso modo per entrambi. Via uno, via l’altro”
Gus non ha bisogno di sentire altro. Dopo averlo accompagnato alla porta, torna in sala da pranzo con un sorriso sornione.
Ora che anche l’ultimo tassello è al suo posto, può permettersi di trattare il problema del cartello con meno apprensione: c’è davvero qualcosa in Jesse Pinkman, e non è solo la lealtà, come aveva ipotizzato all’inizio. E adesso gli viene dal ridere, se pensa che all’inizio la cosa che più lo aveva preoccupato riguardo quel ragazzo era la sua tossicodipendenza. Ma il suo problema non sono le droghe. È dipendente, sì, ma da qualcos’altro.
Se Jesse è il cancro di Walter, Walter è la dipendenza di Jesse. Naturale che siano nocivi l’uno per l’altro. Inevitabile che finiranno per uccidersi a vicenda, prima o poi. Hanno solo bisogno di una piccola spinta e Gus gliel’ha data, mettendo Jesse sotto l’ala di Mike e allontanandolo da Walter, facendolo sentire protetto e parte di qualcosa, dandogli un ruolo e una missione da svolgere. Non ha neanche più bisogno di metterli uno contro l’altro, ormai. Faranno tutto da soli. Lui deve solo aspettare.
Con sua grande sorpresa realizza che un po’ gli dispiace per Jesse, perché glielo ha letto negli occhi quello che è capace di provare, ed è ingiusto che quei sentimenti così giovani e puri vengano diretti verso un uomo vecchio, malato e spregevole.
‘Che spreco’, pensa.
Sta per dirigersi verso la cucina quando l’occhio gli cade sullo stufato che Jesse ha lasciato sul tavolo, la cicca ancora piantata nel mezzo. Prende il piatto in mano e lo esamina. Quel povero ragazzo avrà fatto sì e no tre bocconi.
“Già,” mormora fra sé, “che spreco”
Lascia cadere il contenuto nella pattumiera.
 
 
Angolo Autrice
Piccolo chiarimento non richiesto: il momento in cui Jesse, seduto al tavolo, fissa prima il pacchetto di sigarette e poi Gus per una frazione di secondo, è il momento in cui si ricorda che Walt gli ha dato la sigaretta alla ricina, anche se come sappiamo lui non la userà.
Anyways, questo è il capitolo che ha richiesto più tempo. Gus è uno dei personaggi più difficili da riportare fedelmente e, che ci crediate o no, mi intimidiva come se fosse in stanza con me mentre scrivevo. Lo dico tanto per mettere le mani avanti nel caso in cui risulti un po’ OOC (cosa probabile, sigh!) :(
Alla prossima <3

 

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Capitolo 4
*** IV. Andrea ***


IV.
 
 
 
Da quando è nato Brock, Andrea non ha mai sentito il bisogno di un uomo. O meglio, ogni tanto l’avrebbe voluto, ma più per avere un po’ di aiuto pratico che per piacere personale. È pur sempre una madre single in un merdoso quartiere il cui intero sistema si regge sul crimine e l’omertà è all’ordine del giorno; deve barcamenarsi tra il gruppo di recupero – e quindi prendersi cura di sé stessa e tenersi lontana dalla droga, il che si rivela essere un’impresa nelle giornate peggiori – e un figlio piccolo che dipende di lei in tutto: istruzione, educazione, salute e sostentamento. Senza contare la lotta continua per accaparrarsi ore extra al lavoro, sacrificio pesante ma necessario se vuole arrivare a fine mese. Per far incastrare tutti i pezzi fa molto affidamento su sua nonna, al punto che Brock passava ormai più tempo con lei che con sua madre.
Poi arriva Jesse e all’improvviso è tutto più naturale, divertente, facile. Le basta guardarlo giocare con Brock cinque minuti perché lui diventi una presenza essenziale ai suoi occhi. Una che sarebbe tremendo perdere. Capisce che è immischiato in qualcosa di grosso dal momento in cui due uomini della banda di Tomas vengono uccisi e lei si ritrova un mucchio di soldi nella buchetta della posta, come se fosse prassi normale. Va da lui e trova un disastro: Jesse è fuori di sé, non si lava da giorni, casa sua è piena di drogati che dormono sul suo pavimento tutto il giorno e si sfasciano e ballano di notte.
Pensa che sia finita, e invece non lo è. Due mesi dopo Jesse si ripresenta alla sua porta completamente ripulito, i capelli rasati e le pizze per lei e Brock, e in un attimo è tutto dimenticato. Hanno una sola regola: non chiedersi mai niente sul loro passato – il che sta bene ad entrambi. L’unico argomento che porta Jesse ad alzare muri invalicabili tra loro è il suo lavoro. Andrea si fida di lui con tutta sé stessa e sa che non farebbe mai nulla che possa mettere in pericolo lei e Brock, ma non è sicura che abbia la stessa premura anche per sé stesso, e questo la impensierisce.
Poi qualcosa sembra interrompere, seppur brevemente, la loro ruotine. Lei e Brock sono a casa di Jesse a giocare ai videogiochi come ogni venerdì sera, quando qualcuno bussa alla porta e Jesse va ad aprire. Andrea fa appena in tempo a distinguere la figura di un uomo alto e calvo che parla concitato e spaventato – le sembra che abbia un cerotto sul naso ma fuori è buio e non è certa. Lo sente dire qualcosa come “per favore” e “mi dispiace”. Jesse lo spinge via con rabbia, seguendolo fuori e chiudendosi la porta alle spalle. La prima deduzione di Andrea è che si tratti di uno venuto a chiedergli della droga. ‘Sembrava un poveretto in astinenza’, pensa.
Quando Jesse rientra sembra un’altra persona: ignora tutte le domande di Andrea. Lei non insiste e si limita a ridargli il joystick, si siede sull’altro divano e lo osserva di sottecchi. Le fa quasi paura. Vede le sue narici allargarsi come se stesse facendo dei respiri profondi e le mani che gli tremano – cosa che compromette anche la sua prestazione al videogioco; Brock se ne accorge e gli chiede se stia battendo la fiacca, al che Jesse sembra rianimarsi. “Mi sto solo ricaricando” ribatte con un ghigno. “Approfittane finché puoi, nanerottolo”
Nei due giorni seguenti, Jesse è di umore nero. Andrea lo becca a fissare lo schermo del cellulare più volte al giorno, come se stesse cercando il coraggio di chiamare qualcuno, salvo poi richiuderlo con uno scatto. Ogni volta che squilla Jesse lo afferra di corsa, e i suoi occhi si oscurano puntualmente di delusione.
Poi Brock finisce in ospedale, e Andrea dimentica tutto ciò che ha notato di strano. Non ci fa più caso, non ha la testa per farci caso, con suo figlio in quelle condizioni. La sua intera vita si ferma per due giorni che sembrano infiniti, finché Brock non comincia a migliorare e lei torna a respirare di nuovo. Da quel momento tutto va di nuovo bene, più che bene.
Non ricorda l’ultima volta che ha visto Jesse così contento. Deve esserci stato un cambiamento importante, e Andrea si asterrebbe volentieri dal fargli domande come sempre, se non fosse che per una volta vuole approfittare della sua felicità e sperare che si decida a condividerne un po’ con lei.
“Novità al lavoro?” butta lì in tono casuale una sera, mentre lava i piatti.
Jesse le sta accanto, pronto ad accogliere le stoviglie nell’asciugamano. La guarda e ci pensa su, poi si apre in un sorriso. “Diciamo che c’è stato un cambio di gestione” risponde.
È la frase più eloquente che abbia mai pronunciato riguardo al suo lavoro, e Andrea se la fa bastare. ‘È un progresso’, pensa, sorridendogli di rimando.
E un altro progresso arriva quando Jesse inizia a parlare dei suoi colleghi, pur senza raccontare mai niente di personale sul loro conto né provare anche solo ad accennarle l’idea di farglieli conoscere. Le dice che sono più grandi di lui, e li chiama Mike e “signor White”.
Di quest’ultimo in particolare, Jesse parla continuamente: lo sfotte in modo scherzoso, tirando fuori aneddoti assurdi del passato – aneddoti rigorosamente privi di contesto, cosa che rende più difficile capirli ma Andrea fa del suo meglio – o ripetendo alcune delle sue uscite più assurde. Anche quando lo prende in giro, però, Andrea percepisce nel suo tono la massima stima e ammirazione, oltre che una sbalorditiva quantità di affetto. Le esperienze che Jesse sembra aver condiviso con lui cominciano ad essere tante, troppe, al punto che la curiosità di Andrea nei confronti di questo fantomatico uomo di scienza diventa quasi un’ossessione.
È così che inizia ad analizzare tutto: osserva il tono con Jesse parla di lui, la sua serenità prima e dopo il lavoro, il modo in cui sgattaiola via al telefono quando riceve una chiamata. C’è un pensiero in particolare che le si insinua nella mente, ma si ostina a scacciarlo come fosse una sciocchezza. Si convince che lo sia, almeno finché un mattino non si affaccia alla porta del bagno per avvertirlo che sta andando a fare la spesa. La risposta di lui si perde nello spazio che li separa, senza arrivare alle orecchie di Andrea.
O meglio, Andrea sente, ma non ascolta. Resta fissa sotto lo stipite e strizza gli occhi, cercando di mettere a fuoco quello che vede: Jesse è a torso nudo davanti allo specchio e le dà le spalle mentre si rade. Dietro la nuca, appena sotto la curva della sua spalla, ha un piccolo segno violaceo dalla forma indefinita che Andrea è sicura non ci fosse prima. Ha visto abbastanza lividi da saperli riconoscere, e quello non è affatto un livido.
La voce di Jesse richiama la sua attenzione. “Tutto ok?” le chiede, il rasoio immobile contro la mascella.
I loro sguardi si incrociano allo specchio e, di colpo, un’illuminazione.
“Sì” risponde. “Sì, scusa. Che stavi dicendo?”
‘Quello non gliel’ho fatto io’, pensa. Si ripromette di chiedergli spiegazioni più tardi, e invece non lo fa. Non riesce a trovare il coraggio, ma non ne ha bisogno: l’occasione arriva da sola, durante uno dei classici venerdì sera in cui Jesse invita lei e Brock per una serata di cibo spazzatura e videogiochi.
Andrea stacca prima dal lavoro – dice a sé stessa che lo fa per evitare il macello dell’ora di punta, ma la verità è che ha un presentimento –, va a prendere Brock da sua nonna, fa la spesa più velocemente che può e quando arriva a casa di Jesse c’è già qualcuno: un uomo alto, calvo, con la barba e l’aria intellettuale. Lo stesso che aveva bussato alla porta di Jesse tempo addietro. Non le sfugge il panico nella voce di Jesse quando le dice che stavano finendo e li presenta impacciato. Finalmente Andrea può associare un volto al nome “Walt”.
Sembra la persona più gentile del mondo, e prima che Andrea se ne accorga gli sta già chiedendo di restare a cena: lo lasciano in salotto con Brock mentre lei e Jesse ripongono la spesa e Andrea può finalmente fargli la domanda che le frulla in testa da quando ha messo piede in casa. “Allora è lui il famoso signor White?”
“Già” risponde lui con un sorriso forzato.
Mentre bevono una birra tutti insieme in cucina, Walt si mantiene su argomenti neutri, limitandosi al massimo a domande innocue come “Che classe fa Brock?” o “Come vi siete conosciuti tu e Jesse?”. Il tono è puramente educato e casuale, mai inquisitorio, e Andrea non può fare a meno di lasciargli dirigere la conversazione a suo piacimento, assecondandolo senza neanche rendersene conto; ora capisce perché l’ammirazione di Jesse per quest’uomo è così grande, ai limiti dell’adorazione. Ha un potere innegabile, carismatico, sembra trasudare affidabilità da tutti i pori; mentre lui e Andrea parlano Jesse pende dalle sue labbra, intervenendo ogni tanto con un commento sagace o una risata.
Quando Walt comunica di dover andare, Andrea si maledice mentalmente. Ha perso tutto il tempo a farsi trascinare da lui, a rispondere alle sue domande e ridere alle sue battute, senza essere riuscita a svincolarsi e cercare di conoscerlo a sua volta. Non sa ancora niente su questa figura misteriosa, imprendibile e al contempo onnipresente nella vita di Jesse, e si rende conto che probabilmente è stato tutto orchestrato alla perfezione da Walt. Si vergogna un po’, ma non può fare a meno di chiedersi se sia solo riservato o anche furbo. Ma ora non ha tempo. Chissà quando le ricapiterà di trovarlo – o meglio, beccarlo – a casa di Jesse.
“E dimmi” gli chiede all’improvviso. “Com’è Jesse al lavoro?”
Jesse si volta di scatto verso di lei; Walt sembra preso in contropiede, ma non a disagio. Sia mai.
“È bravo” risponde con decisione. “Molto sveglio. Sa quello che fa”
Gli sorride con orgoglio e Jesse abbassa lo sguardo, con un angolo della bocca sollevato in un ghigno e le guance che avvampano di colpo. Andrea non si perde neanche un particolare, divorando avidamente la scena con gli occhi mentre cerca un significato nascosto, un indizio che possa confermare o smentire i sospetti che la attanagliano da settimane.
“E a casa come si comporta?” le chiede Walt di rimando con un sorriso scettico. “Riesci a sopportarlo?”
Andrea ride. “Fa del suo meglio” risponde prendendo la mano di Jesse sotto il tavolo. “Diciamo che me la cavo”
“Ehi” ribatte Jesse fingendosi offeso.
Walt ridacchia. “Sei fortunato”, dice per poi rivolgersi di nuovo ad Andrea. “Lo siete entrambi” precisa, indicando Jesse con un cenno del capo. “È un bravo ragazzo”
Andrea annuisce. “Lo so. Jesse parla sempre di lei, sa?”
“Davvero?”
“No che non è vero” si intromette Jesse, a disagio.
Andrea lo ignora. “Uhm-mm” prosegue, sorridendogli. “La ammira molto”
È quasi impercettibile, ma giura di riuscire a sentire la mano di Jesse farsi sudaticcia e appiccicosa. Jesse fa un sorriso tirato e tiene lo sguardo basso finché non sente Walt replicare. “La cosa è reciproca”
Andrea li osserva sorridersi e, per la prima volta da quando sta con Jesse, si sente invisibile ai suoi occhi.
Non si stupisce più di tanto quando, il giorno dopo, Jesse torna a casa con l’aria distante. Gli chiede se sta bene e lui dice di sì, ma è chiaro che non sta bene per niente, con quello sguardo spento fisso sullo schermo e le dita che si muovono sul joystick come se avesse messo il pilota-automatico.
Due ore dopo la sta lasciando: non è colpa di Andrea, ma non può più funzionare; è meglio così per entrambi, e soprattutto è meglio per Brock; Jesse ci sarà sempre per lui, non smetterà di volere bene a entrambi e potranno sempre rivedersi; lo dirà lui a Brock domattina.
“Sono stato felice” le dice mentre stanno seduti sul divano. Non ha smesso un secondo di torturarsi le mani da quando ha iniziato a parlare, e si vede che sta facendo una fatica immonda, ma questo non la fa certo sentire meglio. “Davvero. Sono felice… Ma io e te siamo due mondi a parte”
Inizia a muovere la gamba a scatti, come fa sempre quando è nervoso. Andrea si guarda la punta delle scarpe.
“È questo che vuoi?” gli chiede solo.
Jesse ingoia. “Mi dispiace” mormora.
Andrea annuisce.
Di colpo si sente più leggera. Triste, ma leggera. Almeno adesso lo sa. Sa cosa – anzi, chi – viene per primo nella vita di Jesse. E poi ha ragione lui: sono due mondi a parte, due vite a parte. E questa è solo sua, sua e di Brock. Jesse ha deciso di tuffarvisi per fingersi normale, per fingere di avere una famiglia da poter chiamare ‘sua’, qualcosa di bello in una vita di rifiuti e ingiustizia, una semplice soddisfazione personale. Si è trattato solo di questo. Ama ancora lei e Brock, ma non ha più bisogno di loro. Ha smesso di averne bisogno quando le cose sono tornate a posto con Walter White.
“Una parte di me lo immaginava, sai?” gli dice.
Jesse la guarda. “Che cosa?”
“Ieri sera, quando Walt si è fermato a cena” Lo sente irrigidirsi accanto a lei. “C’era qualcosa nell’aria, quando sono arrivata con Brock. E ho visto che lo guardavi”
“Lo guardavo perché era seduto davanti a me—”
“No, Jesse” specifica lei. “Ho visto come lo guardavi”
Incatena lo sguardo al suo e lo vede farsi piccolo, più piccolo di quanto l’abbia mai visto. “Lo pensavo già da un po’” continua. “Da quando Brock è guarito sei sempre così felice. Prima al massimo eri allegro. Giocoso, con Brock. Ma non felice. Da quando c’è stato quel famoso ‘cambio di gestione’, invece, lo sei”
Jesse scuote la testa. “Se è questo che credi non posso farti cambiare idea” dice piano. “Ma lui non c’entra”
“Non ti ha detto di lui di lasciarmi?”
“Assolutamente no”
“Però è per lui che lo fai”
Jesse apre la bocca per ribattere, poi la richiude.
Andrea si alza, e si complimenta con sé stessa nel realizzare che non sente niente. Domani sicuramente avvertirà il colpo, e il dolore arriverà tutto in una volta, ma ora può permettersi di non pensarci. “Ti spiace se vado a letto? Sono stanca” chiede.
“Certo” Jesse si alza a sua volta e si gratta nervosamente la nuca. “Dormo sul divano, stanotte”
Andrea non ha l’energia per fare almeno il gesto di dissuaderlo. Fa per andarsene verso le scale, poi si ferma. “Spero che ne valga la pena, Jesse” gli dice, senza cattiveria. “Walt sembra una brava persona. Spero che provi per te anche solo una frazione di quello che tu provi per lui”
“Te l’ho detto, non è…”
“Non è così, certo” lo interrompe lei, annuendo con un sorriso sincero. “Qualunque cosa ti aiuti a dormire la notte”
Invece, quella notte, nessuno dei due chiude occhio.

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Capitolo 5
*** V. Mike ***


V.
 
 
 
Di ritorno dall’incontro con Declan, Mike guida come un pazzo: continua a imprecare fra i denti con le vene del collo che pulsano senza sosta, le mani strette al volante così forte da farsi sbiancare le nocche sotto gli occhi inquieti di Jesse, seduto di fianco a lui. Il ragazzo si appiattisce contro il sedile e alza gli occhi al cielo, pregando Dio o qualunque altra entità superiore di farli arrivare vivi. La macchina arranca sotto la spinta di Mike sull’acceleratore e solleva nuvole di sabbia al suo passaggio.
“Yo, vuoi calmarti?” ripete Jesse per la sesta volta.
“Calma un cazzo!” ribatte l’uomo. “Non è il momento di essere calmi!”
E in effetti, Jesse deve riconoscere che non lo è proprio. Walt non accetterà mai di rinunciare alla sua parte di metilammina per fare un favore a loro. Vuole che Mike se ne vada, ma non abbastanza da rimetterci i suoi interessi. Ama il potere più di quanto odi Mike, e questo non gioca a favore di quest’ultimo. Da quando ha iniziato a temere quel bastardo? Si odia talmente tanto che si prenderebbe a pugni. ‘Questa non ci voleva’, pensa Mike. ‘Non ci voleva proprio’
“Maledizione, maledizione, maledizione” sbotta. “Non ci darà mai il suo terzo. Già odiava il fatto che vendessimo la nostra parte a loro!”
Jesse sospira e si passa una mano sul viso. “Forse possiamo convincerlo, invece” dice.
Mike stringe ulteriormente la presa sul volante e aspetta qualche secondo in silenzio. Che diavolo, certo che possono. Basta infilargli la canna della pistola in bocca e costringerlo. Arrivati a questo punto, non hanno molte alternative.
“Hai ragione, possiamo” risponde alla fine. “Gli faremo un’offerta che non potrà rifiutare”
Jesse si volta di scatto verso di lui con la fronte aggrottata. Mike ricambia lo sguardo, impenetrabile, ma non dispensa spiegazioni. Il più giovane coglie il significato della sua frase subito dopo.
“No” dice.
“Come sarebbe no?”
“Ci parlo io”
Mike scoppia a ridere. “Come no” dice una volta tornato serio. “Divertente. Facciamo che invece ci atteniamo alla nostra solita politica, uhm?”
“E che pensi di fare? Convincerlo con le cattive?”
“E tu? Tu pensi di convincerlo con le buone?”
Jesse lo guarda in cagnesco. “Yo, ho detto che ci parlo io. Lo chiamo stasera stessa. Ok?”
Il Jesse incerto e intimorito che ha avuto con sé tutto il giorno sparisce in un attimo, ma non si farà certo intimidire da un ragazzino. “Già” commenta sprezzante. “Ho visto quanto sai essere convincente. Per poco non ti mettevi a piangere, ieri, quando gli hai detto che ti ritiri”
“Vaffanculo” sbotta Jesse.
“E che vi siete detti, dopo?”
“Dopo quando?”
“Dopo quello” precisa Mike con veemenza. “Mi hai detto di lasciarvi soli e io l’ho fatto. E che hai risolto?”
Jesse distoglie in fretta lo sguardo dal suo e si concentra sul deserto aldilà del finestrino. “Abbiamo parlato. E quello che ci siamo detti non sono cazzi tuoi”
Mike caccia un sospiro di esasperazione e scuote la testa, senza aggiungere altro.
“Mi darà retta” insiste Jesse, dopo un po’. “Lascia che gli parli io, ti dico. Troverò un modo”
Mike trattiene a stento una risatina. Ripensa a quello che aveva detto a Jesse e Walt in mezzo al deserto subito dopo aver saputo della morte di Fring, e non riesce a non ripeterlo ora. “Cristo” mormora. “Che accidenti avete che non va, voi due?”
Non si aspetta una risposta, ma il fatto che non arrivi lo inquieta ugualmente. Vuole sapere cosa passa nella testa di Jesse. Vuole sapere che cosa ci sia in Walter di così magnetico e potente da far scattare ogni volta quell’interruttore che porta Jesse a cambiare radicalmente, che gli impedisce di vedere le cose con chiarezza, che lo illude di poterlo cambiare. Ma Mike li conosce bene, gli uomini come Walter White, e la loro natura non cambia. Ma soprattutto, perché accidenti Jesse dovrebbe volerla cambiare?
Questo attaccamento viscerale che hanno l’uno per l’altro è malsano, assurdo e soprattutto pericoloso. E non solo per loro due, ma anche per lui. Deve andarsene, prima che lo trascinino nella merda.
“Fa’ quello che devi fare” dice alla fine. “Ma se fallisci, decido io. Non mi importa come, ma dobbiamo risolvere con Declan. È la nostra buonuscita, e l’unica occasione che ho per andarmene da qui il prima possibile. E fossi in te farei la stessa cosa!”
Jesse non risponde. Continua a guardare fuori. Fino a pochi mesi prima, Mike se ne sarebbe lavato le mani, ma non oggi. Non più.
“Te lo ripeto, ragazzo,” gli dice con un sospiro, “appena concludiamo con Declan, prendi i soldi e vattene finché puoi. Dammi retta”
Jesse stringe i pugni senza degnarlo di uno sguardo, e si tortura il labbro inferiore a morsi. Non arriva alcuna risposta, ma a questo punto Mike la vorrebbe, perciò la cerca dentro di sé, ricordando gli eventi dell’ultimo periodo. Jesse stava bene, finché quello psicopatico di Todd Alquist non aveva sparato a un ragazzino. All’inizio aveva temuto di vedere Jesse tornare ad essere lo stesso guscio vuoto che era dopo la morte di Gale. Quando era successo, Mike ancora non lo conosceva e se ne fregava altamente di lui; si era limitato ad eseguire gli ordini di Fring, cioè approfittarsi del trauma di Jesse e portarlo dalla sua parte, provocando una spaccatura tra lui e Walt in modo che il capo potesse togliersi il più vecchio dai piedi – piano che poi era finito in merda e Fring aveva perso, ma questa è un’altra storia.
Ma ora non è più così. Mike si è affezionato davvero a Jesse, e non vuole vederlo finire male, non quando ha la possibilità di andare dove vuole e con chi vuole. Libertà e soldi. Chi non li vorrebbe?
A meno che non ci sia qualcosa a tenerlo incatenato a quella città – il che è l’unica spiegazione possibile, ma Mike non riesce a capire cosa sia. Sa che Jesse ha un paio di amici fuori dal lavoro, ma li scarta quasi subito; un amico di vecchia data non è un buon motivo per rimanere in un posto dove hai i minuti contati, invece di partire e ricominciare da capo da uomo libero. Sa che ha dei genitori e un fratello, ma non li vede né ci parla da molto, troppo. Sa anche che aveva una ragazza che ha lasciato di recente, ora che ci pensa.
Mike non aveva indagato – del resto la vita privata di Jesse non era affar suo, e con l’FBI alle calcagna aveva ben altre gatte da pelare –, ma questo non gli aveva impedito di notare il fatto che Jesse avesse mantenuto lo stesso entusiasmo di quando era fidanzato anche dopo la rottura, o i succhiotti che Jesse tentava invano di nascondere – Qualunque fosse la ragazza con cui Jesse aveva rimpiazzato la ex, doveva essere alquanto possessiva: sembrava divertirsi a lasciargli i succhiotti in bella vista, senza pudore.
Ma certo. ‘Ho capito’ pensa Mike. ‘Devono essere tornati insieme ultimamente e adesso non vuole partire senza di lei’
Si prende qualche secondo per elaborare quel pensiero, ma la soddisfazione di aver finalmente svelato il mistero scema in pochi secondi.
‘Che scusa di merda. Se il problema è una ragazza può sempre portarsela dietro. Basterà farle vedere i soldi e lo seguirà anche in capo al mondo’
Ancora una volta Mike deve reprimere l’istinto di infilare a Jesse un po’ di sale in zucca a furia di schiaffi. La prima e ultima volta che l’aveva fatto aveva funzionato1... più o meno. Forse dovrebbe farlo di nuovo. Dirgli di darsi una svegliata, mettere sé stesso al primo posto e fare la cosa giusta, per una cazzo di volta.
Ma il problema di Jesse, adesso come allora, è che troppo un bravo ragazzo e soprattutto, come gli aveva detto Gus, è leale. Leale come pochi.
Già. La lealtà. Ma, come gli aveva detto anche lui tempo prima, proprio in quella stessa macchina, forse ce l’ha per la persona sbagliata.
È un fulmine a ciel sereno, il modo in cui ogni pezzo torna al suo posto: è come se stia rivivendo i suoi ricordi con Jesse in relazione a una verità nuova, una verità che è sempre stata sotto il suo naso ma che lui ha sempre ignorato, che agisce da filtro per tutte quelle decisioni e quei risvolti inaspettati che Mike ha perso sonno cercando di capire. E invece è tutto dannatamente evidente.
Basti pensare all’istintività con cui Jesse è balzato davanti alla pistola carica che Mike teneva puntata contro Walt, solo poche settimane prima. “Se uccidi lui dovrai uccidere anche me”, ha detto. E mille altre cose.
È bravo con questa roba. Almeno stallo a sentire
Dagli un minuto, ok? Fidati di lui
Apre la bocca, poi la richiude. Lo fa un paio di volte. Jesse sembra accorgersi del suo cambio improvviso di espressione, perché finalmente lo guarda e sgrana gli occhi, come un bambino colto con le mani nel sacco. Non ha nemmeno bisogno di tirarglielo fuori. Ha capito, e Jesse lo sa. Cristo. Ci mancava solo questa.
Mike alterna lo sguardo tra lui e la strada e prende tempo, cercando di riordinare le idee.
“È per Walter. Giusto?”
Jesse ingoia rumorosamente e si volta di nuovo verso il finestrino, al riparo dallo sguardo di Mike. “Non c’entra” dice. “Non è mica mio padre”
“Allora perché non te ne vai?”
“Perché non ne ho motivo” Prima che Mike possa aprire bocca, Jesse sbotta. “Se dovessi avere un’altra volta alle calcagna quel rompicoglioni del cognato del signor White, allora me ne andrò. Contento?”
“Dimmi solo una cosa”
“Cosa?”
“Ti costringe?”
Jesse aggrotta le sopracciglia.
Mike si sposta al lato della strada e ferma la macchina di botto. Jesse lo guarda come se gli fosse spuntata un’altra testa e Mike gira il busto verso di lui, alzando l’indice tra loro. “Ascoltami bene, Jesse” dice, scandendo bene le parole, “perché te lo chiederò una volta sola: Walter ti sta costringendo a fare cose che non vuoi fare?”
Jesse sembra quasi schiacciare la schiena contro lo sportello, come se volesse diventare un tutt’uno con l’auto. “Ehi, ma che ti salta in—”
“Lo sai benissimo. E non dirmi che siete solo soci o amici o come ti pare. Niente scuse, o ti sbatto fuori dalla macchina e te ne torni in città a piedi”
“Non mi ha obbligato a fare niente perché non facciamo niente” Jesse respira forte, faticando a contenere la rabbia.
Mike si passa una mano sul viso e sospira. Non ci crede neanche un po’ ma, una volta che la rabbia è scemata un minimo, si rimette comunque in strada. Jesse sembra distendersi.
“Senti” comincia. “Anche se non dovessimo risolvere le cose con Declan, io e il signor White troveremo un altro modo per farti avere i soldi, ok? Così potrai andartene in pace e nessuno verrà a cercarti”
Mike fa una risata sarcastica e Jesse lo guarda storto. Poi fa un respiro profondo, come se dirgli quello che sta per dire gli costi una fatica immensa. “Tu non lo conosci, ok? So che a volte diventa…”
Si interrompe, non sapendo quale definizione dispregiativa usare nella lunga lista attribuibile a Walter White. Mike lo sfida a proseguire con lo sguardo.
“… Ma lui non è così” finisce infine Jesse. “È in gamba. Mi ha salvato la vita più volte di quanto ricordi. Secondo te dovrei semplicemente dimenticarmene?”
Il suo tono si fa più angosciato, sembra che ora che ha iniziato non possa più fermarsi. “E ha cambiato la sua vita per me. L’ha messa a repentaglio, ha messo tutto a repentaglio… per proteggere me. È tutto ciò che ha sempre fatto. Anche quando facevo una cazzata dopo l’altra. Quindi non pretendere di sapere cose che non sai o di capire cose che non puoi capire”
Adesso tiene lo sguardo fisso su Mike, senza più temere il suo giudizio. Mike non sa davvero cosa dire.
“Di tutte le persone con cui potevi immischiarti…” mormora dopo qualche secondo.
“Non hai sentito un cazzo di quello che ho detto? Non ci vado a letto. Gli sono leale…”
“Leale un cazzo” ribatte Mike ridendo. “Questa stronzata della lealtà poteva funzionare con Gus, ma non con me. Anzi, in veste di suo ex-sicario, ti posso garantire che non avevi ingannato nemmeno lui”
Jesse sembra sul punto di esplodere sul serio, salvo poi cambiare improvvisamente idea; si accomoda meglio sul sedile, allunga le gambe, incrocia le braccia e torna a guardare fuori.
“Pensala ti pare” risponde con noncuranza.
Mike getta la spugna. Riesce già a vedere come andrà a finire: Jesse resterà ad Albuquerque per quel figlio di puttana, e alla fine ne uscirà distrutto – sempre ammesso che ne esca vivo.
Ma non è una cosa che lo riguarda. La sola cosa che importa ora è che Walter ceda e li aiuti a suggellare quello stramaledetto accordo. E finalmente lui sarà libero di andarsene.
Forse, alla fine, non è un male che l’FBI gli stia dando del filo da torcere; è la giusta spinta per sparire dalla circolazione, soprattutto ora che il momento è così delicato – finché c’era Gus al comando poteva sopportare Walt, ma avere quest’ultimo come socio paritario è una prospettiva tutt’altro che allettante. Questa vita l’ha stancato più di quanto pensasse, e un cambiamento gli farà solo bene.
Ci sono ancora tante cose che vuole fare. Prima fra tutte, passare più tempo con Kaylee2.
 
 
 
NOTE
1 Qui mi riferivo all’episodio 2x13, quando Mike incontra Jesse per la prima volta e si sbarazza delle prove che lo avrebbero incriminato per l’overdose di Jane.
2 Kaylee è la nipote di Mike, per chi non si ricordasse.

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Capitolo 6
*** VI. Skyler ***


+ 1.
 
 
 
Quando Skyler torna a casa è tutto buio, ed è strano, dato che solitamente Walter rientra prima di lei. Beh, tanto meglio. Finché si tiene lontano da lei, non le interessa dove sia. Sospira e appoggia le buste della spesa sul tavolo della cucina. È stata una giornata relativamente buona, in confronto alle altre infernali che ha passato ultimamente.
Non si pente di aver messo in salvo Walter Jr. e Holly portandoli a vivere da Hank e Marie, ma non passa giorno senza che Skyler si senta uno schifo per come sta mentendo spudoratamente a sua sorella e suo cognato, approfittandosi proprio di loro che, fin dall’inizio, non hanno fatto altro che sostenere lei e la sua famiglia. Si chiede se Holly non stia assorbendo tutta la tensione che sente intorno, se il costante senso di pericolo non stia penetrando nella sua mente ancora in via di sviluppo. Si chiede se Walter Jr. la perdonerà mai; ora come ora è arrabbiato e la odia a morte, cosa comprensibile se si pensa che sta guardando la sua famiglia andare a pezzi da ormai un anno, e ogni volta gli viene dato un motivo diverso: dal cancro alla finta dipendenza da gioco di Walter, da “Un nuovo arrivato in famiglia può causare qualche alteramento dell’equilibrio” a “Io e tuo padre abbiamo bisogno di stare un po’ di tempo separati per schiarirci le idee”. Mai la verità.
Solo ora si rende conto di essere entrata in cucina per mettere a posto la spesa e di non averla nemmeno toccata: è rimasta con le mani appoggiate sul tavolo e la testa china, a pensare. Non ha mai pensato come così tanto come nell’ultimo anno. Potrebbe morirci, di tutto questo pensare e rimuginare.
Sono settimane che si illude di tornare a casa e non trovare Walter – magari venendo a sapere più tardi del suo arresto grazie alla televisione o ad una telefonata di Hank, o della sua morte per mano di qualche gangster più pazzo di lui –, o magari di trovarlo morto. Un’ischemia. Un embolo. Un infarto. Un attacco di tosse che gli faccia sputare un polmone sul pavimento. Qualunque cosa, purché questo incubo finisca e lei possa fingersi una vedova affranta giusto per il tempo del funerale, e poi tornare finalmente alla sua normalità. Ma non potrà più esserci una normalità. Non dopo quello che sa e che ha fatto, quello che ha aiutato Walt a fare.
Anche oggi, però, le sue preghiere per la prematura dipartita di suo marito sono state ignorate; lo capisce quando sente un tonfo leggero provenire dal corridoio. Sospira.
Si dirige in corridoio; la porta della camera da letto è socchiusa, lasciando uscire una sottilissima fessura di luce che scende fin sul pavimento e arriva a toccare il muro opposto. Dopo un paio di passi, proprio quando sta per chiamare Walt, Skyler si ferma di botto. Adesso i rumori sono attutiti, indistinti.
Forse non è lui. Forse è un ladro. O, più probabilmente, il pericolo che tanto la preoccupa è finalmente arrivato. Lo stesso pericolo da cui lei non ha fatto altro che mettere in guardia suo marito, ma che lui invece ha sempre sottovalutato. Diceva di essere lui il pericolo, di essere lui quello che bussava, e invece, forse, questa è la volta buona che il pericolo ha bussato da loro.
Il cuore le martella nel petto come impazzito e le rimbomba nelle orecchie. Sente un ansito. Ingoia a fatica e si decide a sbloccarsi; respira piano, procedendo passo dopo passo verso la camera più lentamente che può, ringraziando Dio per la moquette che smorza il suono dei suoi tacchi.
Un gemito.
Aggrotta le sopracciglia e si avvicina ad un palmo dalla porta. Infila l’occhio destro nella fessura di luce che esce dalla porta socchiusa e guarda all’interno: Walter è in piedi con la schiena contro il muro opposto alla porta, ha la camicia aperta e i pantaloni abbassati. In ginocchio davanti a lui c’è un uomo. Un uomo che potrebbe essere molto più giovane, pensa Skyler guardandolo meglio: non riesce a vedere il suo viso perché le dà le spalle, ma è a torso nudo e il busto sembra quello di un ragazzo. Perfino il teschio tatuato in mezzo alle scapole ispira tutto tranne che maturità. L’uomo mugola con la bocca piena di qualcosa che Skyler non riesce a vedere, dal punto dove si trova, ma non ne ha bisogno.
Per un attimo pensa a uno stupro – del resto non si stupisce più di nulla – e la paura scivola via da lei in un attimo per lasciare spazio allo shock. Spalanca occhi e bocca e si prepara a fare irruzione, prima di cogliere il significato di quei mugolii. Non è paura.
A confermarlo sono le mani del ragazzo, che risalgono le gambe di Walt fino a raggiungere i suoi fianchi, compiono un movimento circolare fino al sedere e se lo spingono contro. Ci mette desiderio, ci mette passione, come se stesse assaggiando qualcosa che conosce già e che adora, come se non mangiasse da una vita. Sopra di lui, Walt è ridotto a un macello di gemiti e grugniti, e tiene gli occhi chiusi forte mentre si morde il pugno. “Oh Dio… Jesse…”
Jesse?
In un battito di ciglia, Skyler si ritrova ancora incinta, in mezzo al giardino incasinato e sporco di un drogato palesemente uscito da una rissa, con un occhio semi-chiuso e coperto da tonnellate di correttore e l’atteggiamento da finto duro. Un ragazzino, aveva pensato lei la prima volta che l’aveva visto. È stato poco più di un anno fa.
È ancora con la mente a quel giorno quando alza lo sguardo verso suo marito, che apre gli occhi nello stesso istante e incrocia i suoi. Walt strabuzza gli occhi e si irrigidisce, ma Jesse non sembra accorgersene, dato che continua indisturbato ciò che sta facendo.
Anche se non avrebbe mai e poi mai pensato di trovare Walt in una situazione del genere, paradossalmente è proprio ora che, per la prima volta dopo mesi, le sembra di avere davanti l’uomo che ha sposato: rivede dopo mesi interi quel miscuglio di stupore e incertezza negli occhi di Walt. Sembra mortificato, quasi spaventato.
Non dura molto, però: Walter lui riacquista il controllo di sé stesso e dell’intero ambiente, mentre solleva un angolo della bocca in un ghigno compiaciuto che si prende gioco di lei. Non stacca mai gli occhi da quelli di Skyler mentre porta le mani dalle spalle alla testa di Jesse, manovrandolo come vuole. Quel ragazzo deve essere totalmente sprovvisto di riflesso faringeo, perché non tossisce neanche una volta e anzi, lo accoglie con un gemito di apprezzamento.
Skyler sa perfettamente cosa sta pensando Walt. Vuole fargliela pagare. Vuole che lei lo guardi mentre eiacula nella bocca di Jesse Pinkman. Sa che non ha mai dimenticato il tradimento di sua moglie, né glielo ha perdonato. Ma non per gelosia. Semplicemente non sopporta lo smacco che Skyler gli ha provocato quando lo ha guardato dritto negli occhi e gli ha detto di essersi scopata Ted. Non “Ti ho tradito con Ted”. “Mi sono scopata Ted”
Le sembra quasi di sentirlo mentre pensa: “Guarda qui, cara. Guardami mentre vengo nella bocca di un venticinquenne. Guarda come mi soddisfa”
Lo spettacolo a cui assiste le fa ribrezzo, ma non per l’atto in sé – lei stessa gliel’ha succhiato parecchie volte, sebbene ad oggi il solo pensiero le faccia venire il vomito. Le dà ribrezzo vedere Walt trarre vantaggio da tutto e tutti, godere come un animale sepolto nella cavità orale del suo socio.
“Bravo, così” mormora Walt. “Prendilo tutto…”
Non ha abbastanza capelli da tirare, ma il suo istinto sembra essere proprio quello; gratta piano la nuca di Jesse, per poi passare delicatamente i polpastrelli sul cuoio capelluto in cima alla testa e Jesse deve aver fatto qualcosa di magico con la lingua perché d’un tratto Walt smette di guardarla: chiude gli occhi e getta la testa all’indietro, appoggiandola al muro. Inizia ad accompagnare i fianchi verso i movimenti del ragazzo, avanti e indietro, mentre Jesse ha iniziato a strusciarsi contro la sua gamba come un cane.
Nel basso ventre di Skyler sboccia uno calore familiare che non sentiva da tempo; è eccitante, suo malgrado, e nell’istante stesso in cui se ne accorge le viene voglia di prendersi a schiaffi da sola. Capisce che Walt è vicino all’orgasmo dalla sua espressione; Jesse ingoia tutto fino all’ultima goccia – “E meno male,” si ritrova a pensare Skyler, “perché col cazzo che pulisco lo sborro di mio marito dalla moquette” – e infine lo rilascia, appoggiando la fronte contro la sua coscia per prendere fiato, sfinito.
Walt respira a fondo; dopodiché, invece di far rialzare Jesse bruscamente e cacciarlo senza troppe cerimonie come Skyler si aspetta che faccia, Walter richiama l’attenzione del ragazzo su di sé dandogli dei colpetti con l’indice sulla spalla.
“Vieni qui” gli dice.
Jesse si rialza e Walt si butta in avanti per baciarlo. Skyler giura di riuscire a vedere la sua lingua che pulisce l’interno della bocca del minore da ogni traccia rimasta del suo liquido. Questo loro non l’avevano mai fatto: sia lui che Skyler preferivano correre in bagno a sciacquarsi la bocca dopo il sesso orale. Le viene da ridere di cuore, nel rendersi conto che tutto ciò che per ben diciassette anni ha creduto di sapere su Walt sta andando in frantumi nel giro di un anno.
Jesse si lascia baciare e geme, inclinando il viso di lato e circondando i fianchi di Walt con le braccia. L’uomo se lo tiene vicino con una mano sulla sua nuca mentre lascia scivolare l’altra in basso, in mezzo a loro. Da quando l’ha vista sotto l’arco della porta, non ha più guardato Skyler.
La donna coglie il rumore di una cerniera. La mano di Walt inizia a muoversi su e giù fra il corpo suo e di Jesse; quest’ultimo si stacca dalla sua bocca con un singhiozzo strozzato, seguito da una sequela di ansiti bisognosi, un frenetico crescendo di piacere contornato dal rumore di pelle che struscia contro altra pelle. Incredibile a dirsi ma questo sembra molto più intimo del pompino a cui le è toccato assistere.
“Vieni, Jesse. Vienimi addosso”
Jesse lo fa; si libera soffocando i suoi stessi suoni contro la spalla di Walt e resta appoggiato su di lui mentre recupera fiato. “Riguardo la metilammina…” dice poi con un filo di voce.
“Ne parliamo domani” lo interrompe Walt. “Non preoccuparti”
Adesso Walt sta guardando Skyler. Che non gli venga in mente…
“Sei tornata presto, cara”
Skyler sgrana gli occhi. Jesse sussulta e si stacca da Walter, girandosi di scatto verso la porta. Skyler lo guarda in faccia per la prima volta dopo più di un anno. Non sembra essere cambiato molto, l’idea che le dà è quella di un adolescente scappato di casa proprio come quando l’ha conosciuto, ma gli occhi sono diversi: lo stesso blu cristallino, ma non più innocenti. Ingenui, forse, quello ancora sì. Ma innocenti no. E come potrebbero esserlo? Qualunque cosa Walt tocchi perde la sua innocenza nel giro di poco.
“Signora White—” lo dice talmente piano che Skyler fa fatica a sentirlo.
Walt, dal canto suo, si abbottona la camicia fregandosene della macchia umida di sperma nella parte bassa. “Jesse si ferma a cena” annuncia in tono distaccato.
Jesse si volta di scatto verso di lui. “Assolutamente no” sibila, fulminandolo con lo sguardo.
“Perché no? Non avevamo niente di speciale in programma. Vero, Skyler?”
Skyler stringe la presa sulla maniglia della porta e la apre del tutto. Se è così che Walt pensa di metterla in difficoltà, è un metodo alquanto deludente. Quasi indegno di lui. Jesse la guarda come se la stesse implorando di cacciarlo di casa lei sé stessa a calci in culo, ma Skyler non ha intenzione di darla vinta a nessuno dei due.
“Sì, infatti” risponde con tranquillità. “Nessun problema”
Li lascia soli. Prima di tornare in cucina fa in tempo a sentire Jesse dire: “Stronzo”
La cena è un disastro, ma la cosa non la tocca minimamente. Prova un minimo di pena per Jesse, quello sì: quel poveretto sta sciorinando da mezz’ora una lista di complimenti e commenti sulla cucina di Skyler come se si sentisse in obbligo, mentre lei e Walter non dicono una parola. Skyler si limita a riempirsi il bicchiere di vino ogni qual volta arriva ad essere pieno solo a metà. Quando decide di aver combattuto abbastanza per quella sera – anzi, per una vita intera – si alza e si congeda con educazione, portandosi via la bottiglia perché sì.
Beve ancora un po’ in camera da letto, per poi uscire dopo qualche minuto. Quando passa accanto alla porta della cucina, Walt e Jesse sono ancora seduti al tavolo. Sembra stiano litigando, ma Skyler ignora deliberatamente tutto ciò che sente ed esce di casa. Si ferma a qualche passo dalla porta e si accende una sigaretta.
Le mancano un paio di tiri per finirla quando Jesse esce. Continua a guardare fisso davanti a sé mentre il ragazzo si ferma a debita distanza da lei, come se ne avesse paura. “Io sto andando” le dice. “Grazie per la cena”
Lei annuisce senza guardarlo e inspira. Jesse fa per andarsene, poi si ferma e si gira di nuovo verso di lei. “Signora White…”
“Non ce n’è bisogno”
“Volevo scusarmi per—”
“Non mi riguarda più. Tra me e Walt è finita da un pezzo. È tutto tuo, se lo vuoi”
Jesse apre la bocca e Skyler si prepara a sentirlo negare fino allo sfinimento – “Ma no, signora White, non c’è assolutamente niente tra me e suo marito, yo. Sono solo scopate, ma niente di più. Io non voglio Walter White” –, e invece non succede. Lo spia con la coda dell’occhio e lo vede abbassare lo sguardo con rassegnazione. Probabilmente si è reso conto che non ha più senso mentire, fare finta di niente. Non ora che tutti i nodi sono ormai al pettine.
‘Chissà quante altre volte avrà mentito’ si domanda.
Skyler schiaccia il mozzicone sotto la suola; la compassione che ha avuto per lui a cena si ripresenta più forte, e decide che non può tornare in casa senza avergli detto un’ultima cosa.
“Ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo conosciuti?” gli chiede.
Jesse aggrotta le sopracciglia e si sforza di ricordare. “Che… non dovevo vendere marijuana a suo marito?” butta lì.
Skyler scuote la testa.
Sta’ lontano da lui, o te ne pentirai amaramente” ripete. “Il suggerimento vale anche adesso, anche se la ragione per cui te lo sto dicendo non è la stessa di un anno fa”
‘Anzi, vale anche di più’, pensa.
Fa giusto in tempo a vedere le iridi blu di Jesse spalancarsi nel buio della notte, prima di rientrare in casa senza aggiungere parola.

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