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di Dorabella27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'annuncio ***
Capitolo 2: *** 2 - Arriva l'ospite ***
Capitolo 4: *** 4 - Una cena e un mistero ***
Capitolo 5: *** 3 - Esibizione e rivelazione ***
Capitolo 7: *** 5 - Lezione di musica: chi spiega, chi apprende, chi comprende ***



Capitolo 1
*** L'annuncio ***


VISITE DI RIGUARDO
 
 
I – L’annuncio
 
        "Oscar, André, dopo la lezione siete convocati nello studio del Generale. Il padre di Oscar desidera parlarvi". Dopo questo breve preambolo, Monsieur Bellevue, il precettore, cominciò la lezione di storia: questa volta, le campagne di Cesare in Gallia.
        André seguiva con la coda dell'occhio Oscar, seduta ben composta accanto a lui alla grande scrivania di noce della biblioteca, mentre osservava, giudiziosa, le incisioni del Palladio che decoravano l'edizione del "De Bello Gallico" aperta sotto i loro occhi.
 
        Lui, invece, non riusciva a concentrarsi. Da quando era arrivato a Palazzo Jarjayes, quasi cinque anni prima, il Generale gli incuteva un sacrosanto timore: non era solo il padrone di casa e il padre di Oscar, ma era anche l'incarnazione dell'Autorità, colui che gli aveva affidato il compito di sorvegliare e custodire il suo tesoro più prezioso; e, nonostante i "molto bene, André", di cui il Generale lo beneficiava ormai anche abbastanza spesso, per incoraggiare i suoi progressi nella scherma o nella scrittura, e che gli facevano correre un brivido di soddisfazione nella schiena, la sua grande paura era sempre quella di commettere qualche errore, e di deludere il Generale. E allora, chissà, quella delusione si sarebbe potuta tradurre nella decisione di mandarlo via: non era, no, l'idea in sé di lasciare Palazzo Jarjayes e la vita tutto sommato comoda, sicura e tranquilla che conduceva lì e in cui si era acclimatato, a spaventarlo; il vero terrore era quello di non poter più vedere Oscar, e, sotto sotto, anche che, dopo di lui, potesse arrivare un altro bambino a farle compagnia, e che lei lo dimenticasse.
 
        Una volta, qualche giorno prima, gliel'aveva anche chiesto. Erano seduti sul bordo della fontana in giardino: André sospingeva con un rametto sottile la barchetta di carta che Oscar gli aveva insegnato a costruire ("guarda: è facile!", aveva detto. Che cosa non era facile per lei?) e intanto ascoltavano, attenti, il suono che veniva da una finestra aperta del primo piano, dove la sorella Clothilde stava prendendo, senza particolare costrutto, la sua quotidiana lezione di musica. Ma né il canto né l'arpa erano la sua specialità, e si sentiva.
        André, vedendo Oscar pensierosa, seduta con un piede sul bordo della fontana, il gomito poggiato sul ginocchio, e l'altro piede penzolante nel vuoto, le aveva chiesto:
"A che cosa pensi, Oscar?". 
        Lei aveva risposto "Penso che Clothilde sia veramente una schiappa, anzi, che sia proprio negata per la musica", e poi aveva rilanciato: "E tu? A che cosa stai pensando, André?"
 
E allora non aveva potuto trattenersi, tanta era l'angoscia che gli pesava sul cuore: "Oscar, se io andassi via, tu mi sostituiresti con qualcun altro?".
"Ma André!", aveva risposto lei, ridendo: "Come ti vengono certe idee?".
"Rispondi! È importante per me!", le aveva intimato.
 
"Ma no, certo che no!", aveva esclamato lei. "E poi", continuò, avendo capito che André aveva un gran bisogno di essere rassicurato, "non possiamo separarci, né io sostituire te, o", e qui gli scoccò una occhiata maliziosa, un'occhiata già da donna, da seduttrice consumata (dove hai imparato a guardare così, Oscar?, si chiedeva lui, ammaliato?) "o tu sostituire me". Una breve pausa, ed ecco l'argomento clou: "E poi, non possiamo separarci: hai già dimenticato il nostro patto di sangue? Che cosa ci siamo promessi, eh?"
 
        "Per sempre...", disse in un soffio lui, ricordando il pomeriggio di due anni prima in cui, con il suo coltellino dal manico rosso, Oscar aveva fatto un taglietto minuscolo sul polpastrello del suo indice sinistro, e poi, dopo aver fatto lo stesso ad André, aveva sovrapposto il suo dito a quello di lui.
"Per sempre ... eternamente", aveva dichiarato solennemente lei.
"Allora siamo sposati?", aveva chiesto speranzoso lui.
"Adesso non esageriamo, André", aveva puntualizzato lei, serissima, scuotendo la testa. "Sposati noi? Non lo sai che sono le femmine a sposarsi con i maschi?". E, immediatamente dopo, prevenendo le sue pur lecite e logiche obiezioni, aveva continuato: "Ma questo è anche meglio che essere sposati, pensaci! Perché così saremo insieme per sempre".
"Davvero, Oscar?".
"Certo. Un patto di sangue è un patto di sangue", aveva risposto sicura, attingendo quella sua incrollabiole certezza da chissà dove, e tanto gli era bastato.
 
        Certamente, se il Generale fosse stato scontento di lui per qualche motivo, André non avrebbe mai potuto rivelargli che ormai era legato a sua figlia da un patto di sangue, nientemeno, ma il ricordo di quella promessa infantile, unito al confortante testimonio della coscienza, lo rendeva meno indifeso di fronte alla prospettiva di affrontare il padre di Oscar nel suo studio per chi sa quale misterioso motivo.
 
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        "Oscar, André, presto  a palazzo riceveremo una visita molto importante. Il signor Carlo Broschi si fermerà da noi per due notti, dopo essere stato ricevuto a Versailles dal Re, e offrirà due intrattenimenti musicali, in cui verrà accompagnato all’arpa dalla contessa Marguerite.
Ricordate sempre il grande onore che ci ha fatto il signor Farinelli a scegliere la nostra famiglia e la nostra dimora, e cercate di esserne degni, mi raccomando".
        Poi, dopo una pausa, durante la quale fissò con aria penetrante i due bambini impettiti e rigidi davanti alla scrivania, il Generale aggiunse: "Sarà necessario che anche voi, oltre a comportarvi impeccabilmente - ma di questo non mi preoccupo, perché ho piena fiducia in voi e nel vostro rispetto delle regole della buona educazione impartitavi, - vi presentiate anche esteriormente nella forma migliore. Pertanto oggi pomeriggio la sarta che abbiamo convocato a palazzo prenderà le misure anche a voi due, per confezionarvi due abiti da cerimonia consoni per l'occasione".
        Uscendo dallo studio, Oscar ridacchiava: "Per fortuna ad accompagnare Farinelli durante la sua esibizione sarà mia madre, e non Clothilde. Ci pensi? Nonstante tutte le lezioni che prende, di musica ne capisce quanto mio padre di ricamo!".
André l'aveva seguita nella risata, sentendosi però un po' colpevole. Che se il Generale fosse venuto a saperlo...
        Poi, però, passò a una questione più seria. "Oscar", chiese; "ma chi verrà da noi, di preciso? Il signor Broschi o questo ... Farinelli?"
"Ma André! Sono la stessa persona!" rise Oscar, e André si sentì mortificato, e si fece piccolo piccolo, mentre Oscar gli spiegava che Farinelli era il nome d'arte che Carlo Broschi aveva scelto “dopo”.
"Ma dopo che cosa, Oscar?".
"Dopo l'operazione, no?".
"Che operazione?"
"Ma come, André! Ma non sei mai stato all'Opéra?"
"Certo! Con te e i tuoi genitori!"
"E non hai visto i cantanti interpretare ruoli da donne?"
"Certo!"
"E non ti sei mai chiesto come facciano degli uomini adulti a cantare con una voce in tutto e per tutto come quella delle donne, e a volte anche più bella e più potente?".
"Beh, in verità no".
"Aspetta, che te lo spiego". E, accostata la bocca all'orecchio di André, gli rivelò che, esattamente alla maniera con cui Nanny trasformava i galli in capponi, si potevano creare dei cantanti che avrebbero sempre mantenuto, anche da adulti, una voce femminile, e che avrebbero potuto interpretare sul palcoscenico anche a trenta o quarant'anni i ruoli di Giocasta, di Cleopatra, di Armida e di Poppea.
André inorridiva. "E questo Farinelli, dici, era molto famoso?".
"Altroché, André. Era il più famoso di tutti! E il più bravo. Talmente famoso che il re Filippo V di Spagna lo volle tutto per sé a Madrid per vent'anni".
"Vent'anni?!".
"Certo, e Farinelli doveva cantare solo ed esclusivamente per lui, sempre le stesse arie. Sulla via per Madrid si esibì però per il nostro Re Luigi, che era allora molto giovane, e ora, dopo essere ricevuto a Versailles, Farinelli si fermerà qui. Questo è un grandissimo onore per la famiglia Jarjayes!", tripudiò Oscar.
"In fondo, è solo un cantante..", azzardò lui....
"Ma un cantante che si esibisce solo per i re", chiosò sicura lei, chiudendo la possibilìità di nuove obiezioni.
 

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Capitolo 2
*** 2 - Arriva l'ospite ***


2 - Arriva l’ospite
 
        Farsi prendere le misure dalla sarta e dalle sue lavoranti non era mai piacevole, per Oscar, che provava un istintivo fastidio nel farsi toccare da mani che non fossero quelle di Nanny, quando le spazzolava i capelli, o di André, quando giocavano alla lotta o si spintonavano.
 
        Naturalmente, il Generale non aveva ritenuto opportuno dettagliare a un servitore undicenne e alla figlia di un anno più giovane che genere di vestiti avesse concordato di fare realizzare; Oscar, molto meno docile e paziente di André, aveva resistito per pochi minuti e poi, dopo essersi fatta prendere le misure, si era ritirata senza dire una parola, e adesso aspettava, seduta sull'ultimo gradino dello scalone d'onore. André, invece, con la sua aria dolce e tranquilla, ben diversa dalla maschera immota di Oscar, autentico cherubino dall'espressione freddamente impenetrabile, suscitava l'ammirazione delle lavoranti: "Oh! Quel bel enfant! Quels yeux verts! Ce sont absolument magnifiques!". Oscar ascoltava, picchiettando rimicamente il piede destro sul gradino e reggendosi il mento con la mano, le voci provenienti dal piano di sopra, dalla camera della sorella Clothilde, dove la sarta aveva piazzato il suo quartier generale momentaneo.
 
"Avete finito?", gli aveva chiesto, senza girarsi, quando aveva sentito i suoi passi scendere i gradini dietro le sue spalle.
 
"Sì, Oscar".
 
        Mentre si avviavano verso le scuderie, ad André venne spontaneo, fregandosi un dito sotto il naso, dire, ridacchiando: "Pensa se fra una settimana ti recapitassero un bel vestito rosa, con tanto di sottogonna e panier!"
 
"André, non dire sciocchezze!"
 
"Tua sorella Sylvie,,,"
 
"Mia sorella Sylvie non è l'erede del casato, André. Adesso vieni: devo farti vedere il nuovo puledro di mio padre".
 
        Ogni tanto,  - e sapeva quanto inutilmente, ma non poteva resistere - , André provava ancora a provocare Oscar su quell'argomento, ma sempre Oscar rispondeva con il quieto sdegno di chi sa che non mette conto nemmeno prender fuoco contro certe enormità, palesemente impossibili e irrealizzabili. Eppure, André, ogni tanto, si chiedeva, vedendo di scorcio Clothilde, e Sylvie, le due sorelle di Oscar ancora residenti a palazzo Jarjayes, come sarebbe stata la sua Oscar vestita, pettinata, acconciata come loro ... ingabbiata come loro nel guardinfante, nella crinolina e in quei corsetti  scomodissimi, con il rosso sulle guance e le forcine nei capelli ... ma era solo un momento, perché, in coscienza, riteneva Oscar bellissima così com'era, e quando la vedeva, durante la lezione di violino, così concentrata, con i ciuffi biondi che sobbalzavano in corrispondenza degli scatti della testa e delle spalle, e i polpacci snelli e le caviglie sottilli nelle stesse calze bianche che portava lui, sentiva che non avrebbe potuto essere più bella, più viva, più Oscar di così; anche se, ovviamente, non si prendeva mai la briga di dirglielo.
 
        Meno di una settimana dopo, la sarta ritornò a Palazzo Jarjayes con due lavoranti per consegnare gli abiti finiti e per una prova, dopo la quale si era concordato che avrebbe apportato gli eventuali ritocchi e le modifiche opportune. Madame de Lubin era però una artigiana impeccabile, e, a parte l'inserzione delle maniche dell'abito della contessa Marguerite e il colore del fiocco di raso sulla scollatura di Clothilde ("Non rosso sangue di bue, maman, io lo preferirei rosso India"), le restanti creazioni erano perfette.
 
        Oscar e André andarono così, a mostrarsi al Generale vestiti dei loro abiti da cerimonina, identici, sed non per il colore, in velluto di seta verde smeraldo quello di André, e dello stesso tessuto, ma color fiordaliso quello di Oscar. Il Generale li aspettava seduto nella sua poltrona preferita in biblioteca: chiuse il libro di Vegezio con un colpo secco e, senza modificare di un millimetro la rigida postura, con le gambe elegantemente accavallate, squadrò i due bambini con un'occhiata attenta che li percorse tutti, da capo a piedi".
 
"Benissimo. Devo dire, che l'idea della contessa Marguerite di due abiti della stessa tonalità dei vostri occhi è stata molto elegante ed appropriata. Ora, Nanny", disse, posando di nuovo gli occhi sul libro che aveva riaperto, "fa' togliere loro i vestiti da cerimonia e conducili alla lezione di matematica".
 
        "Sì, signor Generale", rispose, ossequiosa, Nanny, toccando lievemente sulla spalla il nipote e madamigella Oscar e sospingendoli con delicatezza verso la porta, ché il Generale odiava aver gente attorno per un attimo in più del necessario quando riusciva a ritirarsi in beata solitudine in biblioteca a leggere i suoi amati autori latini. Ormai Nanny si sorprendeva sempre più spesso a chiedersi, incredula, se davvero quell'uomo imperioso e dalla linea della bocca dura e rigida, che sembrava non conoscere mai il sorriso, fosse lo stesso bambino che aveva svezzato e cui aveva fatto il bagno, e che aveva coccolato e consolato quando piangeva disperato perché la madre pretendeva che si avvezzasse a dormire al buio.
 
        "Ah, un attimo solo: Oscar, torna qui!". André non osò nemmeno varcare nuovamente la soglia della stanza che aveva appena superato, ma si fermò, un passo indietro, per osservare la sua amica che era subito rientrata in biblioteca e che ora era ritta davanti al Generale.
"Eccomi, padre. Che cosa desiderate?".
 
"Stavo dimenticando una cosa molto importante". Il Generale si alzò, e da una custodia in cuoio rosso percorsa da borchie di argento, che stava sul tavolino intarsiato accanto alla poltrona, trasse una spilla con una pietra azzura di forma ovale, splendidamente rilucente, circondata da un motivo di decorazioni dorate appuntite, simili a petali di una margherita metallica.
 
"Ecco, Oscar: questa acquamarina, dono di re Enrico IV al tuo antenato, primo conte Jarjayes, appartiene da oltre un secolo e mezzo alla nostra famiglia. Mio padre la diede a me, e io la consegno a te: tu la indosserai sempre sulla tua uniforme, quando sarai comandante delle guardie reali, e la indosserai quando il signor Farinelli sarà nostro ospite su questo abito da cerimonia"; e così dicendo gliela appuntò sul petto, chinandosi su di lei con una insolita delicatezza, e dall'espressione del Generale, che André ricavava dal suo profilo, da cui non riusciva a staccare gli occhi, trapelava una strana commozione.
 
         Oscar, da parte sua, era raggiante: quella, per lei, era una autentica investitura.
 
        E André non poteva che ammirare il suo sorriso perfetto, e sospirare.
 
 
 
 
 
 
        E, finalmente, l'ospite di riguardò arrivò. Dalla carrozza, proveniente da Versailles, scese un uomo di circa sessant'anni, diritto, magro, elegante nella sua marsina damascata nelle sfumature dell'oro e dell'argento, le mani lunghe, lisce e delicate e un sorriso malinconico e buono sul bel volto glabro. A dargli il benvenuto, nell'ampio ingresso ai piedi dello scalone d'onore, la famiglia Jarjayes al completo, comprese le sorelle maritate con i loro consorti e i figli, due anziane cugine della contessa Marguerite, alcuni parenti alla lontana, il cappellano e l'amministratore con la moglie, e poi il generale Bouillet con la moglie, l'anziana suocera, la sorella zitella, il figlio e la nuora, e, due passi indietro, tutta la servitù.
 
        Il Generale, affiancato dalla contessa consorte, accolse l'ospite di riguardo, che, appena sceso dalla carrozza, si tolse il tricorno piumato in segno di rispetto per il padrone di casa, e se lo mise sotto al braccio, con la grazia consumata di chi era abituato a muoversi dentro costumi e a maneggiare apparati teatrali ben più complicati. Poi il Generale presentò i suoi familiari al signor Farinelli, che a tutti espresse un saluto e un apprezzamento, con un grazioso cenno del capo frutto di decenni di consumata arte scenica. Alla fine, il Generale indicò i due bambini che erano rimasti, silenziosi, accanto alla contessa Marguerite, e glieli presentò con un cenno della mano, aperta nella loro direzione: "Ed infine, Signor Farinelli, Vi presento il mio erede, Oscar François, e il giovane André Grandier".
 
        Di fronte a quei due bambini di una bellezza così rara e imprevista, uno incantevole nel suo vestito da cerimonia di velluto verde, un bambino dall'espressione quieta e matura che prometteva di diventare uno splendido uomo; un uomo alto, possente, bruno e dagli occhi di smeraldo come già era; un uomo che avrebbe indossato magnificamente la divisa di alto ufficiale; e l'altro, certo il suo giovane attendente, slanciato, efebico e biondissimo, con un che di femmineo, dagli occhi color fiordaliso, in un abito della stessa sfumatura delle sue iridi, che avrebbe potuto esser il paggio d'onore di una regina delle favole, Farinelli si intenerì; e allora pensò che il giovane erede Jarjayes, così bello e già così virile, e di cui gli era stato fra l'altro magnificato il talento musicale, meritasse un inchino come quello che riservava a re Filippo nelle sue giornate migliori.
 
        Dunque, con un largo gesto, ed esibendosi nella migliore delle sue riverenze, Farinelli disse: "Onoratissimo di fare la vostra conoscenza, signor contino de Jarjayes", e si inchinò davanti ad André. Un silenzio imbarazzato calò sulla famiglia e sulla servitù; Farinelli si rese conto, rialzandosi, che oltre quaranta paia di occhi lo fissavano sbigottiti. Allarmato, si guardò intorno, e intercettò lo sguardo azzurrissimo del bambino biondo, che, sorridendo con grazia inimitabile, sciolse il gelo del momento dicendogli, la vocina morbida e dolcissima: "Non avete sbagliato di molto, Monsieur Farinelli: in fondo, anche lui è un po' Oscar!"; e, detto questo, si inchinò.
 
        Una leggera risata, quasi civettuola, dell'ospite, e un sorriso tirato del Generale, seguito immediatamente dalla contessa e da Clothilde, stemperarono definitivamente l'incidente; ma ancora, mentre il Generale guidava Farinelli verso la sala da musica, dove si sarebbe esibito dopo la cena, il cantante, affiancato dai due bambini, osservava, con la coda dell'occhio, Oscar che camminava alla sua destra, domandandosi come potesse essere accaduto che un uomo d'armi, un Generale avesse potuto fare questo al figlio, riservandogli la stessa sorte che più di cinquant'anni prima la sua famiglia aveva disposto per lui: desiderio di garantirgli una carriera musicale sfolgorante, forte delle aderenze e delle relazioni della famiglia Jarjayes? Oppure, era il caso di un talento così spiccato che, nella valutazione del signor Generale, valeva la pena sacrificargli la felicità del figlio, e la sua discendenza, facendolo inerpicare per una strada impervia, funestata dalle insidie delle invidie e delle inimicizie artistiche, dai complotti meschini e terribili della gente di teatro?
 
        Farinelli avrebbe voluto prendere da parte quel bambino, e dirgli quello che avrebbe sempre voluto che qualcuno dicesse a lui quando aveva cominciato a rendersi conto della sua disgrazia ... ma come poteva? Scacciò il pensiero, scuotendo la testa: adesso doveva pensare a restare concentrato per l'esibizione della sera.
 
        Poi, ancora, nella sua camera, che pena gli faceva, quel povero contino Oscar, così bello e così efebico, dalle guance tenere e delicate come quelle di una bambina, avviato a diventare un cantante lirico, fors'anche di successo, e destinato a vestire, a trent'anni, i panni di Arianna o di Cleopatra, mentre il suo amico André sarebbe diventato un uomo, un uomo dalle spalle ampie e dalla voce profonda, che avrebbe avuto una moglie, una famiglia, dei figli...non come lui...."Adesso basta con questi pensieri!", si impose, davanti allo specchio, e si annodò il fazzoletto da collo nella foggia più elegante che conoscesse.
 
(Fan art “Dopo la lezione di musica” per gentile concessione di Elektra Betty Tempest)
 

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Capitolo 4
*** 4 - Una cena e un mistero ***


4 - Una cena e un mistero
 
La cena, servita, come era naturale, solo per gli adulti - i bambini, infatti, mangiavano a una tavola separata - , trascorse fra piacevoli conversari; Farinelli, ovviamente al centro dell'attenzione, raccontò molti aneddoti, sopratutto relativi ai suoi anni alla corte di Madrid. La più interessata era la giovane Sylvie de Jarjayes, che tempestava l'anziano cantante di domande; ma a un tratto il Generale, che sedeva a capotavola, prese la parola e chiese a Farinelli, accomodato alla sua destra: "Signor Farinelli, so che siete anche un virtuoso del violino. Vorreste domani ascoltare un saggio di mio figlio Oscar? Prende lezioni da tre anni, ormai, e i suoi insegnanti mi dicono sia molto dotato".
 
"Naturalmente, Signor Conte. Quindi vostro figlio Oscar suona anche il violino?"

"Perchè mai dite anche, Signor Farinelli? Il violino è il solo strumento su cui, al momento, Oscar si eserciti".
 
"Ma, veramente ... credevo di aver capito che studiasse anche canto".

"Cantare?! Che idea, signor Farinelli!", rise il generale. "Mio figlio Oscar potrebbe, è vero, diventare un virtuoso del violino, ma nella nostra famiglia l'erede del titolo nobiliare è, da sempre, sin dai tempi di Enrico IV, un militare, e Oscar non farà eccezione. Perché mai dovrebbe cantare? Oscar sarà un colonnello, o un generale" - e qui il padrone di casa rivolse un cenno d'intesa al generale Bouillet, che sedeva al capo opposto del lungo tavolo, "che si diletterà di musica nel tempo libero dalle cure militari. Tempo che, ahimé, lo so bene, è sempre così deprecabilmente ridotto".
        Farinelli, come sempre quando non comprendeva una situazione che si faceva spinosa, abbassò il capo in segno di assenso, accompagnando quel gesto col più garbato dei sorrisi, e tamponandosi delicatamente le labbra con il tovagliolo di fiandra bordata di pizzo. "Sicuramente, devo avere equivocato, signor Generale; vi chiedo di scusarmi".  Ma, nel frattempo, mentre seguiva le conversazioni che si rincorrevano ormai lungo il tavolo, e in cui le signore sembravano gareggiare, accalorandosi, per la palma di appassionata di teatro d'opera, Farinelli si domandava come mai, se il giovane contino, figlio del Generale non era stato avviato alla carriera di cantante lirico, perché sottoporlo a una operazione  che l'aveva privato della virilità, che.....? O forse, il contino Oscar era semplicemente femmineo e delicato per natura e costituzione. E allora .... povero lui, quando avesse sperimentato le durezze della scuola militare, fra compagni più grandi, più robusti, più rozzi di lui. Certo, il suo giovane amico André, per quanto ancora bambino, sembrava essergli completamente devoto .... ma non era frequente che un giovane attendente plebeo seguisse il suo padroncino alla scuola militare; e comunque, un simile genere di idillio non riscuoteva mai molta popolarità nei corridoi delle accademie e delle caserme ... e, in verità, non la riscuoteva in nessun luogo, pensò amaramente Farinelli, agitando con espressione malinconica il cucchiaino nella tazzina di madreperla zecchinata, e poi sorbendo il suo caffé, e meditando, insieme, sull'insensibilità umana e sui preconcetti che funestavano il mondo.
 
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        "Benissimo, signori", disse il Generale, con quella sua voce austera che faceva tremare chiunque a palazzo, "Credo che dopo questo piacevole caffé potremo ritirarci tutti nelle nostre stanze, con i migliori ringraziamenti al nostro ospite, che ci intratterrà ancora domani sera dopo cena”. E già il Generale si era alzato, seguito dagli altri, numerosi commensali, quando notò il viso costernato di Farinelli.
 
“Signor Farinelli, che è accaduto? Come mai questa espressione?”
 
“Generale Jarjayes, vi prego di non voler turbare l’armonia generale di questa bella cena...”. L’ospite era chiaramente imbarazzato, e si teneva la mano sul petto.
 
“Che cosa è accaduto? Parlate!”.

“Generale, vedete.... ecco.....io non credo che sia il caso..." L’ospite, imbarazzatissimo, non avrebbe voluto scendere nel dettaglio, ma il Generale insistette, e così un costernato Farinelli dovette rivelare all'ancor più costernato anfitrione il motivo della sua amara sorpresa: la spilla di smeraldi e rubini che re Luigi gli aveva personalmente appuntato sul petto alla fine della sua esibizione a corte era sparita.

"Si sarà aperto il fermaglio", ipotizzò, col suo tono cortese e pensieroso, la contessa Marguerite.
 
"No, io credo che sia stata rubata", affermò perentorio il Generale, indicando un arabesco damascato sulla marsina di Farinelli, in corrispondenza del cuore. "Vedete, Marguerite, mia cara consorte, qui ci sono dei fili di seta che sporgono sottilmente dalla trama dell'arabesco, segno che la spilla non si è delicatamente sfilata perché il fermaglio ha ceduto, ma che è stata strappata violentemente, in un momento di distrazione".
 
        Farinelli impallidì, pensando alla piccola folla che gli si era fatta intorno non appena aveva concluso l'ultimo bis nella sala della musica. Possibile che in quel momento, mentre riceveva complimenti e apprezzamenti, ed era distratto e tirato ora di qua ora di là, qualcuno, con mano veloce, avesse approfittato....? Certo, serviva un gran sangue freddo, ma non era impossibile, nella confusione generale, riuscire nel colpo.
 
        Sommessamente, riferì la sua ipotesi al Generale, la cui ira si fece esplosiva. "Dunque, c'è un ladro in casa mia?! Come ha osato?!!!". Il Generale battè il pugno sul tavolo, furioso, facendo sobbalzare le porcellane e i cristalli posate su di esso, e le signore ancora sedute, dalle figlie alle anziane parenti che già sonnecchiavano, in attesa di essere congedate dal padrone di casa. Il Generale era furioso: "Che nessuno lasci questa sala da pranzo! Che tutti svuotino le tasche! Come ha osato un vile ladro insinuarsi nella mia casa! Generale Bouillet, vi chiedo formalmente il vostro aiuto in questa indagine!".
 
        "Ma, Generale Jarjayes", cercò di abbozzare, in tono mite, Farinelli, che aveva in odio il conflitto e la polemica "non è poi così grave. In fondo è solo una spilla, ancorché preziosa..."
 
"Signor Farinelli! Era un dono del nostro Re! Un simile furto rappresenta un insulto alla Corona, e quindi alla nostra casata, che ne è sempre stata fedele servitrice, senza contare che è stato perpetrato in casa mia, sotto il mio tetto: quindi è un doppio insulto all'onore della famiglia Jarjayes!".
 
        I presenti, servitori e ospiti, erano allibiti, paralizzati dal timore, e anche la servitù non direttamente impegnata nel servizio di tavola, richiamata dalle grida che provenivano dalla sala da pranzo, era accalcata nel lungo anticamera; anche Oscar e André, ovviamente, si erano precipitati fuori dal salottino della camera di Oscar, dove stavano impratichendosi degli scacchi. Il Generale Bouillet, nel frattempo, aveva lasciato la sua sedia e si era avvicinato all'anfitrione.
 
"Generale Jarjayes, vi consiglio anch’io, come prima tappa della vostra indagine, di far svuotare a tutti i presenti le tasche", disse in tono marziale.
 
"Ben detto, Generale Bouillet! E se la spilla non sarà ritrovata così, faremo perquisire i bagagli di tutti gli ospiti, e frugare le stanze della servitù sino all'ultimo cassetto!", gridò il Generale Jarjayes.
 
"Sarebbe del tutto inutile, padre", disse una voce sottile, accanto al  Generale. Oscar, senza che nessuno se ne fosse avveduto, era erntrata con passo sicuro nel salone, dopo che André avava cercato di trattenerla nell'anticamera prendendola per un braccio e dicendole: "Oscar, non è il caso ... resta qui".
 
"Lasciami! Se tu hai paura di mio padre, restaci tu qui!", aveva ribattuto, imperiosa, ed era entrata nella grande sala da pranzo, seguita da André, pur impietrito dalla paura.
 
"Oscar! Torna IMMEDIATAMENTE nella tua stanza e non ti immischiare in questioni da adulti!". Il Generale era chiaramente furibondo per quella infantile intromissione in una spiacevole questione da adulti.
 
"No, padre. Quello che avete ordinato di fare è perfettamente inutile". Il tono fermo e sicuro con cui erano state pronunciate queste due semplici parole aveva fatto scattare il braccio del Generale, ma Farinelli aveva, con mossa veloce, fermato la mano che stava per abbattersi sulla guancia di Oscar. Il Generale aveva una espressione fra il costernato e l’infuriato: nessuno mai, sotto il suo tetto, si era mai permesso tanto.

"Aspettate, Generale Jarjayes. Sentiamo che cosa ha da dire vostro figlio".
 
"E va bene. Parla, Oscar! Perché sarebbe inutile quel che voglio fare?".
 
"Perché, padre, se la spilla è stata rubata, come credete che sia accaduto, il ladro ha certo contato sul fatto che, nella confusione seguita alla fine della esibizione di Monsieur Farinelli, avrebbe potuto strappare il gioiello dalla sua marsina senza che nessuno badasse a lui. Ma sapeva anche che presto il legittimo proprietario della spilla si sarebbe reso conto di essere stato derubato, e allora le ricerche avrebbero coinvolto tutti gli spettatori, e anche i loro bagagli, come pure tutta la servitù e ogni persona presente a palazzo. Quindi, il ladro doveva nascondere la spilla in un luogo dove nessuno l'avrebbe mai cercata, prima di riprendersela, con tutta calma, quando le acque si fossero calmate. Venite con me". E Oscar, con passo sicuro, uscì dalla sala da pranzo, seguita dal padre, da André, e poi, in ordine, da Farinelli, dalla madre, dalle sorelle e da tutti gli altri invitati. Poi, entrata nella sala della musica, si fermò a due passi dal gran camino di marmo rosso di Verona, davanti al quale si era esibito Farinelli e dove ancora troneggiava l'arpa suonata dalla madre per accompagnare le sue arie. Poi, alzando un ditino per richiamare l'attenzione, continuò: "Immaginiamo ora di essere il ladro. Ora, Monsieur Farinelli sta ricevendo complimenti e congratulazioni; immaginate che io sia Monsieur Farinelli. André, vieni qui". André, perplesso, ma come sempre docile e ubbidiente, si avvicinò. "Ora, prova a strapparmi la spilla dalla giacca", gli disse Oscar, indicando la grande acquamarina che troneggiava ancora sulla sua bella marsina color fiordaliso. "Ma Oscar, si rovinerà la stoffa!", "Non importa, fallo!". André obbedì: il velluto di seta diede solo una lieve resistenza e in un attimo il fermaglio cedette. "Ti è servita molta forza, André?".
 
"No, Oscar, è bastato un attimo!".
 
"Ecco, ora immagina di trovarti in mano un oggetto prezioso, ma compromettente. Devi nasconderlo, prima che il proprietario si accorga della sua mancanza, ma sai che verresti perquisito, o che si frugherebbe nella tua stanza, e quindi non la puoi nascondere su di te o fra i tuoi vestiti. E nemmeno puoi nasconderlo nella stanza di un'altra, persona qui a Palazzo, perché sai che verrebbe cercato dovunque. Dove lo nasconderesti?".

"In un posto dove nessuno lo andrebbe mai a cercare".
 
"Certo. E dove? Ricordati che hai pochissimo tempo, perché la persona che hai derubato potrebbe essere molto distratta dalla ressa che ha attorno, e quindi potrebbe rendersi conto solo dopo ore del furto, oppure l'occhio potrebbe caderle subito sulla marsina, e se ne accorgerebbe dopo pochi istanti".
 
"Allora credo che troverei un luogo qui nel salone della musica per nasconderlo, il prima possibile".
 
"Benissimo. E dove?".
 
André spostò lo sguardo per la stanza, attorno alla figura esile ed elegante di Oscar, grondante sicurezza e padronanza di sé, e subito capì.
 
"Ma", obiettò, "è impossibile: è sotto gli occhi di tutti!".
 
"Bravo, André, hai capito subito! Certo, è questo che ha pensato il nostro ladro: aveva proprio qui, a due passi, un nascondiglio perfetto, proprio sotto gli occhi di tutti e dove, proprio perché sotto gli occhi di tutti, nessuno sarebbe mai venuto a cercare la spilla", e così dicendo indicò il grande vaso di rose bianche sulla mensola del camino.
"André, io non ci arrivo ancora: tu che sei più alto, potresti...?"
 
        Il Generale fece un cenno di assenso, e André, dopo aver rimesso nelle mani di Oscar la spilla con la grande acquamarina, mentre il padre gliela riappuntava sulla giacca, questa volta non più a destra, ma a sinistra, prese il vaso di porcellana cinese, tolse le rose, le poggiò sul ripiano, e rovesciò a terra il contenuto: insieme al lieve scroscio di acqua sul pavimento, si udì il tintinnio della spilla che cadeva sul marmo rosa di Candoglia intarsiato di botticino del salone.
 
        "Incredibile!", esclamarono all'unisono Bouillet e il Generale Jarjayes, mentre esclamazioni di stupore fra le più varie di levavano quanti avevano assistito alla risoluzione dell'enigma. André, da parte sua, si sentiva il cuore scoppiare nel petto per l'orgoglio: la sua Oscar, ancora una volta, aveva dimostrato quanto era eccezionale, riuscendo dove tutti gli altri brancolavano nel buio!
 
        Oscar si chinò e raccolse la spilla, porgendola, con un gesto pieno di grazia, all'ospite: "Monsieur Farinelli, non credo che riusciremo ad appurare l'identità del ladro, ma quel che conta è che abbiamo recuperato il dono del nostro Re che vi era stato sottratto. Permettetemi di rendervelo".
 
"Vi ringrazio infinitamente, signor Contino", disse Farinelli, cercando con lo sguardo l'approvazione del Generale Jarjayes. "E per ringraziarvi, e sdebitarmi, dato che mi è stato parlato del vostro talento musicale, certamente ereditato da vostra madre  (e qui la contessa Marguerite chinò il capo in un muto gesto di ringraziamento per quella lusinga), domani, oltre ad ascoltare il vostro saggio, vorrei anche impartirvi personalmente una lezione di violino".
 
"Grazie, Monsieur Farinelli. Ne sono molto onorato". E se Oscar aveva un sorriso che esprimeva tutta la sua tranquilla imperturbabilità, negli occhi del Generale splendeva la fiamma della soddisfazione e dell'orgoglio paterno.
 
 
 

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Capitolo 5
*** 3 - Esibizione e rivelazione ***


3 -  Esibizione e rivelazione
 
Mentre cantava - la sua era un'abitudine inveterata, un trucco che gli era stato suggerito dal Maestro Nicola Porpora in persona, e che aveva sempre eccellentemente funzionato -, Farinelli era solito puntare la sua attenzione, anche nel più affollato dei teatri, su un solo spettatore, o, al più, su una coppia: si poteva così illudere di cantare solo per lui, o per lei, e questo l'aveva sempre aiutato  non solo a vincere la sua inguaribile timidezza e a non temere la folla, che, in quei momenti, per lui non esisteva più, ma anche a dare alla sua voce una sottile inflessione di calore, e di intimità, anche nei virtuosismi più estremi, per non perdersi nella freddezza dei tecnicismi del belcanto.
 
        Se poi scorgeva, in un palco una coppia di innamorati, la tenerezza e lo struggimento che lo prendevano non avevano limiti, e gli facevano soffondere le sue arie di tutta la melanconia che pervadeva le sue giornate. Un giorno, a Londra, aveva scorto, in un palco, una dama dai riccioli rossi, una giovane madre con un bambino piccolissimo stretto fra le braccia, un bambino che appena riusciva a stare seduto, e cui il padre, accanto alla giovane moglie, porgeva il dito da serrare con la minuscola mano. A quella vista, l'intenerimento di Farinelli stava per raggiungere l'acme, quasi togliendogli la lucidità necessaria per cantare con la giusta concentrazione, e così aveva distolto lo sguardo, spostandolo invece su una vecchia signora ingioiellata che seguiva lo spettacolo con aria di grande interesse e uno sfavillio appassionato negli occhi neri che troneggiavano nel volto ormai vizzo.
 
        E allora, nella bella sala della musica di Palazzo Jarjayes, fra gli stucchi dorati e con davanti agli occhi, sulla parete di fondo, una grande tela con Orfeo che ammansisce le fiere al suono della lira, e mentre la contessa Marguerite dava prova, accompagnandolo all'arpa, di un ottimo talento musicale, quella volta, come poteva Farinelli non scegliere di cantare solo per Oscar, per quel bambino bello come un cherubino, dallo sguardo fiammeggiante come quello di un arcangelo armato di spada, che ascoltava concentratissimo le arie con cui Farinelli aveva riportato alla vita re Filippo V, convincendolo a uscire dalla sua tetraggine sbigottita, ad alzarsi dal letto, a riprendere il suo posto nell'umano consesso?
 
        Il contino efebico, seduto in prima fila, non aveva occhi che per il vecchio cantante disilluso dagli uomini e dagli anni, e, mentre Farinelli intonava uno dei suoi cavalli di battaglia, "Fortunate passate mie pene", la vecchia signora accanto a Oscar sospirava, certo memore di piacevoli pene amorose di gioventù; seduta poco lontano, la ragazzetta bionda dal mento volitivo presentatagli come Sylvie de Jarjayes, la sorella del contino, che doveva essergli maggiore di pochi anni, ascoltava, con aria sognante, fantasticando di future, piacevoli pene d'amore; al lato di quella fila di poltrone, un gallonatissimo e robusto generale baffuto sembrava sonnecchiare sulla sua poltrona, con cui pareva costitiuire un'unità inscindibile; ma intanto, Farinelli era rapito soltanto dalla perfezione dei lineamenti di Oscar, dalla compostezza della sua posa, dal fuoco attento che ardeva nelle sue pupille.
 
E poi, lo vide.
 
Spostò appena lo sguardo, e si rese conto che, in tutta la sala, un solo spettatore non guardava lui e quasi non faceva caso alla sua esibizione: era il giovane André, il quale, certo approfittando del fatto che nessuno prestava attenzione a quanto accadeva nel vasto salone, e mentre gli occhi di tutti erano concentrati sul cantante e sulla contessa all'arpa, osservava, ammirato e rapito, Oscar, che sedeva alla sua destra, e che, a sua volta, non staccava gli occhi dal vecchio cantante. C'erano, nello sguardo di André, un fuoco così inequivocabile e un trasporto così evidente, benché quel bambino dovesse avere undici o dodici anni, che Farinelli si commosse.... e pazienza se, intanto, le note e le parole gli sgorgavano dalla gola ormai meccanicamente.
 
        A un tratto, André si protese verso Oscar, e con un gesto fulmineo della mano raccolse, prima che cadesse a terra, una spilla con una grande pietra azzurra che si era staccata dalla sua giacca turchese. Farinelli vide Oscar rivolgere ad André uno sguardo pieno di tenerezza e affetto, e mentre ai lati della sua bocca si disegnavano due graziosissime fossette, vide anche che gli diceva qualcosa, poche parole, forse un ringraziamento; gli sembrò di leggere sulle sue labbra un: "Sei molto caro",  ma bastarono quelle scarne sillabe, perché ad André scintillassero gli occhi di gioia. Con che espressione fiera e felice appuntava nuovamente la spilla sulla giacca del contino, e mentre ascoltava l'ultima aria, "Pallido il solle", di Hasse, l'aria che Farinelli amava sopra tutte, ogni tanto gli rivolgeva, come di soppiatto, uno sguardo adorante, quasi a sincerarsi che fosse sempre lì, accanto a lui.
 
"Dunque", pensò Farinelli, mentre raccoglieva il plauso degli spettatori, "Un affetto che ha tutte le stimmate di un futuro amore contrastato: e io che credevo che ormai ce ne fossero solo sulla scena!".
 
A esibizione conclusa, mentre gli si addensava intorno un capannello di dame e cavalieri che si congratulavano, Farinelli seguì con la coda dell'occhio i due bambini che uscivano dal salone, Oscar un paio di passi avanti a rispetto ad André, ma che, ogni tanto, si volgeva all'indietro come per assicurarsi che l'amico fosse vicino, quasi che senza di lui non potesse avanzare.

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Capitolo 7
*** 5 - Lezione di musica: chi spiega, chi apprende, chi comprende ***


5 – Lezione di musica: chi spiega, chi apprende, chi comprende
 
"E ora, signorino Oscar, qual è l'ultimo pezzo che avete studiato con il vostro maestro di musica?"
 
La mattina era iniziata molto presto per Farinelli, che mai aveva trascurato una volta  i suoi esercizi, i suoi vocalizzi e i gorgheggi per mantenere la voce quello strumento elastico, insieme potente e delicato, che aveva fatto la sua fortuna in Europa, ma che era stata anche la sua dannazione.
 
        "Va' figlio mio! Non hai più nulla da imparare: ora tu sei il più grande cantante del mondo; e ben presto lo sapranno tutti, oltre a me e a te". Così gli aveva detto il suo maestro di canto, il grande Nicola Porpora, congedandolo dopo cinque anni, durante i quali il giovane Carlo aveva fatto lezione ogni giorno per oltre sei ore su un unico foglio da musica, su cui c'erano scale lente e veloci, trilli, mordenti, appoggiature semplici e doppie. Ed era vero. Però, più gli anni passavano e più si trovava a invidiare l'umile organista della Chiesa bolognese dove si recava alla Messa, e che era anche maestro del coro delle voci bianche: dopo la conclusione della funzione, il buon organista veniva sempre con aria cerimoniosa a informarsi se il signor Farinelli avesse gradito l'esecuzione delle musiche che accompagnavano la Messa, e se avesse rilevato qualche pecca nella esibizione della corale di fanciulli. Eppure, come invidiava quel simpatico musicista di provincia, senza pretese, ma che dopo le funzioni era sempre atteso sulla soglia della chiesa dalla moglie, una ragazzotta piccola e rotondetta, dal sorriso dolce e vivace, che teneva per mano due bambini dai capelli biondissimi come il padre....
 
        Si riscosse per ascoltare il Contino, che gli rispondeva pacato, compito come sempre, con gli occhi glaciali e la postura composta..
"L'ultimo brano che ho studiato con il mio insegnante di musica è stato il primo movimento del Trillo del Diavolo del signor Giuseppe Tartini, Monsieur Farinelli".
 
"Molto ambizioso il vostro insegnante, signor contino de Jarjayes. O molto dotato l'allievo. Sentiamo, dunque".
 
        Si era seduto in poltrona e si era disposto all'ascolto. Ed era rimasto piacevolmente stupito e impressionato dalla tecnica del giovane Oscar François: suonava con una destrezza e una sicurezza rare in un adulto, non che in un bambino; le note si sgranavano veloci, nette e precise, e quelle piccole dita non avevano una sola esitazione; certo, al giovane contino mancava forse la componente espressiva, interpretativa, quella che si acquisisce con gli anni, con l'esperienza della vita, e forse anche con le delusioni che gli anni portano con sé. C'era davvero molto poco da correggere, nell'esecuzione del giovane de Jarjayes, e Farinelli prese a camminare, a passi lenti, le mani dietro la schiena, attorno a Oscar, che, nel pieno della concentrazione, suonava con gli occhi chiusi, con lievi moti della testa che facevano oscillare i ciuffi biondi, rilucenti come oro mentre erano toccati dal sole mattutino. Ogni tanto, giusto perché non sembrasse al giovanissimo virtuoso che l’illustre visitatore non riservasse la giusta attenzione al figlio del padrone di casa, Farinelli lasciava cadere una osservazione, con voce pacata: "Un poco più lento... con calma ... bene così...", ma quasi con distrazione, perché, a ogni passaggio davanti alla grande finestra della stanza, lanciava uno sguardo in basso, per vedere se il piccolo uditore di quel concerto improvvisato avesse cambiato posizione. André, infatti, attendeva, seduto sul bordo della vasca del giardino, apparentemente guardando le carpe d'amore che, con le loro grosse labbra, solcavano l'acqua trasparente per poi aderire alle pareti, ma, ogni tanto, alzava la testa in direzione della finestra aperta da cui provenivano le note di Tartini.
        Dopo l'esecuzione, Farinelli si complimentò con il giovane virtuoso, e scese quindi a passeggiare, nella frescura del mattino, nel parco del Palazzo. Il piccolo attendente dagli occhi di smeraldo non era più seduto sul bordo della vasca, e Farinelli si inoltrò nel labirinto di siepi di bosso, al centro del quale, su una seduta di marmo, ritrovò André.
Sedeva pensieroso, la testa bassa, e non si rese conto dell'arrivo di Farinelli, sino a quando non se lo trovò a pochi passi. Non appena lo vide, scattò in piedi, e si inchinò, da quel bambino bene educato che era.
        "Perdonatemi, Monsieur Broschi, cioè, Signor Farinelli ... io non mi ero reso conto..."
"Restate pure seduto, André. Credevo che vi avrei ritrovato ancora seduto sul bordo della vasca".
André non diede segno di aver colto l'allusione dell'ospite. Farinelli decise allora di essere più esplicito. "Vi piace molto ascoltare Oscar che suona il violino, vero?".
Una domanda posta con tono neutro, quasi innocente. Ma il risultato non si fece attendere. "Oh, sì! Adoro ascoltare le sue lezioni di musica! Lei è così meravigliosamente abile ..:".
"Lei?" Farinelli aveva una espressione stupita, le sopracciglia arcuate nel volto pallido. "Avete detto lei, André?".
"Beh, sì, certo...". Il ragazzino ora aveva abbassato gli occhi, ma per la mortificazione.
"Volete dire che il signor Contino..."
"Oui, Monsieur Farinelli, il signor Contino, Oscar, è una ragazza....e .....e.....", e qui gli occhioni verdi gli si riempirono di lacrime, e non fu più in grado di continuare.
"Ora capisco tutto", disse Farinelli, e gli si sedette accanto. André ora continuava a tenere gli occhi bassi, come se  improvvisamente avesse scoperto qualcosa di molto interessantre nelle fibbie delle sue scarpe.
"Quindi, André, mi state dicendo che l'erede del Generale è una ragazza ...". Fece una pausa, e poi aggiunse, per sollecitare una reazione, "una bellissima ragazza, che promette di diventare una splendida donna, e che non sfigurerebbe a corte!"
"E invece, Oscar a corte ci andrà, certo, ma sempre in uniforme, per proteggere la famiglia reale e la futura Delfina ... che pare debba venire dall’Austria, o dalla Germania, o da chi sa dove"
"Ah!"
"Sapete, Monsieur Farinelli”, continuò André, con un profondo sospiro,” io devo solo ringraziare il Generale, perché, vedete, se, dopo cinque figlie femmine, non avesse deciso di allevare la sesta, Oscar, appunto, come un maschio, io non solo non sarei mai arrivato qui, ma non l'avrei mai e poi mai conosciuta, perché sarei rimasto nel mio villaggio, con mio zio, a lavorare nella bottega di falegname che era stata di mio padre ... e Oscar adesso sarebbe circondata da cameriere, e forse sarebbe addirittura stata fatta educare in convento ... e non si chiamerebbe nemmeno Oscar”, concluse con voce flebile, in cui al vecchio cantante parve di udire un tono di contenuta disperazione.
"Capisco che voi siete molto affezionato a .... Oscar...". Istintivamente, Farinelli nominò senza alcun titolo, o epiteto, o determinativo quella creatura così affascinante e singolare, condannata per sempre, come lui, anche se per altre ragioni, a vivere in un limbo fra due mondi, senza poter mai appartenere definitivamente all'uno o all'altro. .
"Oh, sì, Monsieur, immensamente! Oscar, lei.... è la mia vita!” André fece una pausa: quello straniero, che non avrebbe certo rivisto mai più, era il solo cui avesse mai osato dire quello che gli si agitava in petto da quando ... da quando aveva visto Oscar e le aveva parlato per la prima volta. Nemmeno con sua nonna, che pure doveva avere intuito qualcosa, si era mai permesso di essere così esplicito. Invece, quello strano vecchio signore dalla figura diritta e dignitosa e dalla espressione malinconica e buona gli ispirava una istintiva fiducia e voglia di confidarsi. E allora continuò: “Vedete, Monsieur Farinelli, io lo so che qualcuno potrebbe ridere se mi ascoltasse dire certe cose, perché la gente di solito pensa che i bambini non provino sentimenti profondi, ma io vorrei solo starle vicino, per tutta la vita, un passo dietro a lei, per proteggerla, difenderla ... Dovete sapere, Oscar è così leale, così buona, che nemmeno pensa che al mondo ci sia il male, o che ci siano dei pericoli, e io...io..."
        A questo punto, André non riuscì a finire la frase: scoppiò a piangere, e l'anziano cantante non poté che consolarlo con un muto abbraccio, senza potergli dire nulla, perché davvero vedeva e sentiva che quel bambino si era condannato a una infelicità senza fine e senza limiti, a un martirio che, se aveva ben capito il suo carattere nobile e altruista, l'avrebbe consumato in silenzio.
        "Oh, signor Farinelli ... la mia sola paura è che a Oscar un giorno possa succedere qualcosa ... qualcosa che me la tolga ... e a volte spero che suo padre cambi idea, e che non voglia più farla vivere da maschio. Ma allora.... le troverebbe un marito del suo rango; vedete, io non sono nobile, e allora sarebbe proprio impossibile ...". Farinelli si commosse: per quel male, davvero, non c’era rimedio; nemmeno la sua musica poteva essere più che un lenimento momentaneo. Sarebbe servito un altro mondo, un mondo diverso ... ma che, forse solo una rivoluzione.
“E lei, e Oscar?”, chiese, a rischio di essere indelicato.
“Oh, Oscar, lei”, rispose mesto André; “mi è tanto affezionata, mi vuole bene, lo so, lo sento ... ma lei... non sa, forse non vuole sapere certe cose", e qui alzò le spalle “e io non voglio che nemmeno ci pensi, a certe cose. Se il Generale sapesse ... ve lo immaginate? No, non voglio che Oscar si prenda dei rimproveri per colpa mia, o degli schiaffi”, e scosse la testa, pensando che a lui, in cinque anni passati a palazzo Jarjayes, il generale non aveva mai dato uno schiaffo, ma solo perché lui aveva un sacro terrore della sua autorità, e non avrebbe mai osato sfidarlo, come invece faceva spesso Oscar, quando trovava ingiusto un divieto o una decisione del padre. E lui, André, quando assisteva a queste scene, si sentiva penosamente dilaniato: da un lato, trovava che il Generale fosse un padrone molto severo ed esigente, ma anche generoso, in fondo, perché lo trattava bene, gli faceva impartire la stessa educazione da signori che veniva data a Oscar, gli aveva lasciato una bella camera grande e comoda, lontana dagli abbaini della servitù, per giunta molto vicina a quella di Oscar, e, a parte assistere Jaques nelle scuderie, perché un buon attendente doveva saper ferrare e curare i cavalli, aveva molto tempo per giocare con lei. Per cui, André rispettava il Generale, e gli voleva anche bene, un bene fatto di gratitudine e di ammirazione per quella figura così diversa da suo padre, sempre sorridente e affettuoso, espansivo e allegro. D’altro canto, quando vedeva la mano del Generale abbattersi sulle guance di Oscar, anche se lei restava impassibile, senza una lacrima negli occhi, anche quando lo schiaffo era così violento da farla sbilanciare e cadere a terra, sentiva montare lo sdegno, e il suo spirito era come un vascello che, travolto e sballottato, ora in una direzione ora nell'altra, dalle onde di una tempesta, rischiava di affondare.
        Una volta, quando era ancora al villaggio, aveva sentito un bambino poco più grande di lui, tornato al paese per il matrimonio di uno zio, raccontare, quasi vantandosi, in un capannello di mocciosi, che nella famiglia di nobili che lo aveva accolto il suo compito era giocare insieme al giovane contino, e poi assistere in piedi dietro di lui alle lezioni del precettore, ed essere punito al posto del suo padroncino, cioè prendersi i colpi di bacchetta sulle dita del maestro, gli schiaffi della signora  contessa, e andare a letto senza cena quando proprio il giovane aristocratico la combinava più grossa del solito. All’inizio, quando era stato accolto in casa Jarjayes, aveva temuto un simile trattamento: ma aveva scoperto presto che non solo anche lui avrebbe imparato, seduto alla scrivania come Oscar, con carta, penna, inchiostro e libri tutti suoi, la lettura e la scrittura, la matematica e la geografia, la storia antica, il latino, l’inglese, l’italiano e le buone maniere; ma, soprattutto, aveva subito capito che a Palazzo Jarjayes colpe e meriti erano qualcosa di strettamente personale, e che ciascuno dei membri della famiglia e della servitù veniva valutato, premiato o punito, solo ed esclusivamente in base al suo comportamento. In verità, una volta, aveva parlato a Oscar, che aveva da poco rimediato un sonoro ceffone per essersi ostinata a maneggiare di nascosto una delle pistole del padre, di quello strano incarico del suo compaesano, che si buscava schiaffi e bacchettate in luogo del contino de Girodelle; era sottinteso che André, considerata la frequenza inquietante con cui Oscar veniva punita e picchiata dal suo signor padre, le stava proponendo un analogo accomodamento, ma lei, ancora con il livido del ceffone ben visibile sullo zigomo, lo aveva interrotto, scuotendo la testa e dicendo con durezza: “Non ho mai sentito una cosa più stupida. Perché mai un nobile non dovrebbe pagare per i suoi errori, se sbaglia?”.
        André si riscosse dalla sua triste fantasticheria e continuò il suo discorso, mestamente seduto accanto a Farinelli, che lo ascoltava guardando dritto davanti a sé, mentre il bambino parlava fissando, a terra, le file di formiche rosse che ora si rompevano e ora si intrecciavano sulla sommità delle loro minuscole biche.
 “Vedete, Monsieur Farinelli, io mi so contentare, perché lo so qual è il mio posto, e capisco anche la fortuna che ho avuto: a  me basta stare sempre vicino a Oscar, e sapere che mi vuole bene, e anche se a volte sospetto che per lei sono solo un compagno di allenamento e il suo attendente, poi lo so che non è vero, e che lei mi vuole molto bene, più di quanto non  sappia lei stessa. A volte ho anche paura che qualcuno capisca qualcosa, e allora mi sforzo di starle un po’ lontano, di guardarla di meno, di guardare altre bambine ... ma come si fa? Oscar è troppo bella, troppo intelligente, troppo buona e coraggiosa; nessuna è come lei, e penso che se anche scappassi via, non me la potrei mai dimenticare, e ormai sarebbe sempre qui con me”, e si indicò il cuore con la mano.
“Ah, mio piccolo amico,....”, Farinelli cercava le parole giuste, per consolare con semplicità una pena inconsolabile, una pena già da adulto, ma le parole gli morirono sulle labbra quando vide sbucare, da dietro una siepe, Oscar. Aveva l’impressione di chi è a un soffio dall’essere spazientita, anche se le parole che le uscirono di bocca avevano l’inflessione della preoccupazione. Teneva ancora in mano il violino e l'archetto, e aveva le guance rosse.
“André, ma perché ti sei nascosto qui? Già non ci sei mai quando faccio lezione di musica, ma se poi per trovarti devo percorrere dieci leghe,...”
“Scusami, Oscar”, abbozzò André.
“Il vostro giovane amico, signor Contino de Jarjayes”, lo interruppe Farinelli, salvando la situazione, “è stato così gentile da guidarmi lungo questo labirinto. Da solo, infatti, mi sarei certamente smarrito”.
Oscar sorrise, e allora davvero l’anziano cantante capì come mai André era stato conquistato e avvinto da quella splendida creatura.
"Allora, Oscar", le chiese Farinelli, "visto che André non ha potuto assistere alla vostra lezione di musica, che ne dite di replicare l'esecuzione del brano di Tartini?".
"Qui? Ora?", chiese Oscar, stupita.
"Qui, ora", ripetè, tranquillo, il grande virtuoso.
"Va bene”, disse Oscar; e poi, con compunta concentrazione, come se stesse per esibirsi davanti a una importante platea, annunciò: “Monsieur Farinelli, André, per voi ora eseguirò il primo movimento della sonata "Il trillo del diavolo", del signor Giuseppe Tartini".
 
E mentre Oscar suonava, André non aveva occhi che per lei.
 
 
 
 
 
 
 

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