ULTAR - Il Cerchio

di IwonLyme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La collezione di Guram Valio ***
Capitolo 2: *** Sete di Vuoto ***
Capitolo 3: *** L'Ultima Separazione ***
Capitolo 4: *** Matricola 7784355313 ***



Capitolo 1
*** La collezione di Guram Valio ***


 
1 - La collezione di Guram Valio

Ho sempre tentato di essere invisibile. Svanire nel gruppo, uniformato come un qualunque individuo. A questo scopo costruii un piano per riuscirci, anche se la vita non mi aveva dato le giuste carte per vincere facilmente a questo gioco.
Il primo passo era ignorare i commenti e le parole degli altri. Farmene un cruccio, lasciarle sedimentare dentro di me non avrebbe fatto altro che accrescere odio e senso di rivalsa. Entrambi mi avrebbero portato a distinguermi. Apaticamente avrei dovuto ascoltare e, con un ingentilito sorriso, rispondere alle crudeli parole che potevano rivolgermi.
Questa parte non fu difficile da sopportare. Fu facile imparare a perpetrare questo mantra e divenni il più docile degli studenti ed il più mansueto giovane della Periferia.
Il secondo punto della lista era studiare, non dare altre frecce da scoccare ai tranquilli abitanti di Numalia Est. Non puntavo ad eccellere, ma a non creare problemi. A mio malgrado mi scoprii più bravo del previsto e finii per essere un alunno modello fin dai primi anni di scuola.
Quando colsi come questo mi dividesse dalla massa, cercai di peggiorare. A causa di questo mio zio fu immediatamente scomodato per l'abbassamento dei miei voti. Venne chiamato a scuola e lo interrogarono sui motivi dietro a quel "calo produttivo". Arrivai a comprendere fosse meglio mantenere la media alta. La poca notorietà che questo mi dava era più gradita dell'impensierire zio Boron in qualsiasi modo.
Arriviamo ora all'ultimo punto: non lasciarmi coinvolgere troppo. La compagnia sbagliata, così come quella giusta, potevano portarmi a diventare qualcuno. Non dovevo essere scortese, solo distante. Non antipatico, solo poco socievole. Disinteressato agli altri quel tanto da non farmeli amici, ma non troppo perché diventassi uno sgradito membro della società.
Anche in questo non faticai. Al progredire delle scuole i miei compagni cambiavano e li salutavo con un indifferente animo. Ugualmente loro. Ero scarsamente importante per la maggior parte dei miei coetanei, i quali preferivano restarmi lontani piuttosto che essere inseriti nel mio cerchio di conoscenze. Questo con qualche fastidiosa eccezione.
Tutto sommato il mio piano procedeva tranquillamente. Credevo proprio di essere riuscito a integrarmi nel gruppo di Marginati che vivevano nella periferia Est di Numalia e, con tiepido piacere, attendevo l'avvicinarsi del diploma. Conclusi gli studi avrei abbandonato quelle classi dense di persone e avrei potuto ritirarmi ad un vivere più privato, mutare in un anonimo negoziante che nessuno considerava. Era l'occasione per diventare finalmente invisibile.
Purtroppo qualcuno desiderava meno intensamente di me questo placido epilogo.

– Scusi, Professoressa Nader. Potrei rubarle per qualche attimo Avel Domar? – Domandò un giorno il professore di storia, Guram Valio. Eravamo a qualche mese dalla fine dell'anno scolastico, in quel delicato momento in cui era saggio decidere cosa sarebbe avvenuto a seguito del diploma.
– Certo, Professor Valio. – Concesse la collega. – Vai pure, Avel, i tuoi compagni ti passeranno questa parte della spiegazione. – Dubitavo sarebbe avvenuto e non volevo trovarmi con un buco all'interno dei miei appunti. Senza la possibilità di rifiutarmi, però, mi si alzai dalla sedia. In parte ero incuriosito da cosa il professore desiderasse dirmi e insieme preoccupato potesse crearmi problemi.
Proprio per sbeffeggiare il mio desiderio di essere normale la natura mi aveva dato un'altezza superiore alla media. Ero più alto di molti ragazzi della mia età, con una mossa testa scura che rasavo ai lati lasciando un ciuffo sulla cima. I capelli più lunghi si arricciavano debolmente e li pettinavo indietro perché fossero ben ordinati.
Avevo preso questa chioma da mio zio Boron, oppure dal mio ignoto padre. Ricordavo poco mia madre, ma abbastanza da sapere non l'avessi ereditata da lei. I suoi boccoli erano dello stesso colore delle albicocche mature. Potrei giurare ne avessero perfino il profumo. Nell'unica memoria che conservo di lei li portava sciolti, arrotolati sopra un bel vestito di un giallo vivace. Mi rimboccava una coperta verde in una camera dalle pareti gialle pallide.
Questa era il mio solo ricordo di lei e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a vederla in viso. I miei occhi erano concentrati ad osservare un ciondolo a forma di stella che lei teneva al collo. Non potevo quindi dire se le mie iridi grigie fossero qualcosa di suo oppure di altri. A volte mi illudevo di ricavare le sue fattezze dalle mie, ma, senza conferme, era solo uno sterile fantasticare e vi indugiavo sempre meno spesso.
– Seguimi, Avel. – Mi invitò il professore rimasto sulla soglia dell'aula. Era il coordinatore della mia classe al Liceo Est di Numalia e, dato che per noi era l'ultimo anno, spesso succedeva che alcuni venissero chiamati nel suo ufficio. Ignoravo, tuttavia, perché quel giorno capitasse proprio a me.
– C'è qualcosa che non va, professore? – Domandai una volta nel corridoio cercando di iniziare il discorso così che non avessi preso troppo tempo alla lezione.
– Nulla, volevo solo farti alcune domande sui moduli per l'orientamento post diploma consegnati l'altro giorno. – Spiegò il docente.
– Cosa vuole chiedermi?
– Arriviamo in ufficio. – Replicò cordiale. Senza insistere oltre attesi di trovarmi nell'ufficio del professore.
Guram Valio era un ometto bassino, con occhiali in metallo poggiati sulla punta del naso. Portava folti baffi biancastri, ingialliti dalle sigarette strette e scure che fumava. I capelli, radi, li spargeva sulla sua testa per nascondere la calvizie, lieve sintomo dello smodato amore che provava per sé stesso. Il suo ufficio rispecchiava maggiormente questo aspetto: era ricolmo di cornici con all'interno attestati di corsi, qualifiche e fotografie di Valio insieme ad esponenti importanti di Ultar. Le sue foto preferite, quelle che teneva difronte a sé, lo vedevano stringere la mano alle maggiori personalità del Cerchio che era riuscito ad incontrare. Se solo avesse ricevuto una domanda in merito, avrebbe potuto parlarne per ore illustrando ogni singolo incontro con un eccessivo ricordo di particolari.
Mi invitò a sedermi in quello sfoggio mentre lui si accomodava sulla sua confortevole seduta. Davanti a me ritrovai il più amato cimelio di Valio: la foto di lui, in giovanissima età, accanto ad un uomo in uniforme grigia, abilmente ruotata verso chiunque avesse preso posto davanti alla sua scrivania.
Senza tergiversare, sollevò dei fogli. Facevano parte di un fascicolo spalancato sul suo tavolo. Potevo giurare che su quello ci fosse il nome "Avel Domar". – Stavo esaminando la tua scelta e volevo chiederti alcune delucidazioni in merito. – Cominciò bagnandosi le labbra con un poco di saliva e tirandosi su i suoi piccoli occhialetti sul naso.
– In merito alla mia scelta? – Ripetei dato che dubitavo di aver lasciato qualche punto in merito che potesse richiedere mie delucidazioni.
– Esattamente. – Confermò il professore. – C'è scritto che vuoi lavorare e vorrei domandarti come mai tu sia giunto a questa decisione.
Non credevo di dover fornire chiarimenti, ma per quieto vivere non mi opposi. La prima regola parlava chiaro: avrei risposto alle pretese di Guram Valio con precisione e sarei tornato velocemente in classe. – Desidero diventare indipendente al più presto. Per questo vorrei trovare un lavoro.
Il professore bofonchiò una risata. – Non devi per forza lavorare per essere indipendente. I tuoi voti sono molto buoni e potresti accedere ad una borsa di studio in qualche università. Così potresti andare avanti a studiare ed essere allo stesso tempo autonomo. – Propose con tono d'ovvio.
– Non credo di avere le doti necessarie per studiare all'università, professore. – Replicai a bassa voce. La presenza di uno come me in un'università di Ultar avrebbe certamente destato troppe attenzioni e scarsamente volevo attirarle dopo tanta fatica a respingerle.
– I tuoi voti sono i migliori tra gli alunni dell'ultimo anno, Avel. Hai sempre ottenuto eccellenti risultati agli esami, migliori di quelli di tutti gli altri studenti del Liceo Est. – Sottolineò il docente indispettito per la mia irragionevolezza. – Ti ho chiamato fuori per farti comprendere come sprecare ora questa occasione potrebbe essere fonte di rimpianti in futuro. – Aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse un volantino. – Prova a dare un'occhiata a questo. È un bando del Cerchio. Sovvenzionano giovani promettenti che poi verranno assunti tra i loro ranghi. Nel Cerchio ci sono alcuni posti riservati ai Marginati e, se supererai le selezioni, potresti accedere agli studi e avere un lavoro assicurato alla fine. Provvedono a tutto loro: vitto, alloggio e spese universitarie. È un investimento per la Società di Ultar e questo ti renderà un utile membro di essa.
– Professore, non credo di avere le doti ...
Valio sospirò interrompendomi. – Comprendo le tue preoccupazioni e i tuoi pensieri. La tua situazione famigliare potrebbe essere uno sgradito svantaggio, Avel. – Abbassò lo sguardo sul fascicolo. – Un giovane con una madre dissoluta e senza origini paterne ... il Cerchio certo storcerà il naso, ma una volta esaminati i tuoi risultati ne terranno minor conto. – Le dita del professore scorsero tra i fogli parte del dossier scolastico. Ne sollevarono uno in particolare. Era il certificato di nascita di Avel Domar: padre ignoto, madre Nedia Domar, tutore Boron Domar. – Sarebbe un modo per porre rimedio alla tua malaugurata situazione. Malgrado tutto sei un giovane promettente.
Le mie dita si strinsero istintivamente sul volantino. Non era la prima volta che qualcuno mi parlava in quei termini. Avevo sentito fin dall'infanzia i docenti rammaricarsi per me, stupirsi di come, malgrado tutto, io fossi un bravo bambino. Per loro sarebbe stato meno strano io fossi uno sciagurato come mia madre. Ero abituato a quei toni e avevo imparato abilmente a rispondervi.
Mi dipinsi un lusingato sorriso. – Grazie, professore. Sono felice lei abbia così a cuore il mio futuro. Apprezzo le sue parole. – Parlai carinamente.
– Sei un ottimo studente, Avel, è scontato io sia preoccupato vedendo come hai compilato così frettolosamente. – Replicò Guram Valio inorgoglito dalla mia risposta. – Ti chiedo di valutare la proposta. Ti consegno anche un altro modulo, portamelo il prima possibile. – Spiegò allungando un foglio ancora da compilare.
– Come certo saprai, tra due settimane si terrà l'Ultima Separazione e verranno gli esponenti del Cerchio. Sarò felice di consegnare io stesso il modulo al Sovrintendente dell'Accademia di Numalia in persona. Come saprai di certo, ho avuto il piacere di conversare con lui altre volte ai precedenti Test ed è un uomo molto affabile. – Illustrò alzando gli occhi sulle foto appese alle mie spalle. In esse doveva certamente esserci quella del suo primo incontro con quell'importante ufficiale.
– È troppo gentile, professore. Ci penserò attentamente. – Concessi sebbene fossi infastidito dalle sue pressioni.
– Puoi tornare a lezione ora. Questo era tutto quello che desideravo domandarti. – Mi alzai tenendo in mano volantino e foglio in bianco. – Attenderò la tua risposa, anche se ho idea io sia riuscito a smuovere la tua ambizione. – Parlottò compiaciuto pettinandosi un baffetto. – Chiunque sarebbe fiero di avere un esponente del Cerchio in famiglia. Sarebbe un bel premio per tutti gli sforzi fatti da tuo zio per crescerti.
Il mio sorriso non oscillò nemmeno davanti a quelle parole. Ero molto bravo a lasciarmi scorrere quelle frecciatine addosso. Le avevo sentite così tante volte da non rammentarne il numero. – Grazie, professore. – Aggiunsi meccanicamente uscendo dall'ufficio di Guram Valio.
Ripiegai il modulo per l'orientamento mentre camminavo nel corridoio. Ci nascosi il volantino del Cerchio. Non volevo che, entrando in classe, qualcuno lo vedesse, avrebbe attirato acidi commenti e consigli indesiderati. I miei compagni felicemente si sarebbero divisi tra coloro che mi avrebbero dissuaso, sentendosi insultati anche solo al pensiero io potessi scegliere quella strada, e tra pochi che mi avrebbero incoraggiato.
Riuscii a leggere solo alcune parole di mera propaganda: "Fai parte del futuro. La Legge ha bisogno di uomini determinati, il Cerchio ha bisogno di te.". Il Cerchio, l'organo della giustizia e dell'ordine che osservava Ultar e la regolava ... Cosa mai avrebbe potuto vedere in uno come me? Qualcuno con ignote origini, senza un nome. Nel Cerchio si raccoglieva l'elite di Ultar, la Gente del Vuoto e, tra i pochi Marginati che ammettevano tra loro, non poteva certo rientrare lo sfortunato Avel Domar.
Che assurda idea.
La mia decisione era ben ponderata: lavorare come un qualsiasi Marginato mi avrebbe finalmente messo nel ruolo di uomo normale. Nessuno avrebbe più prestato attenzione a me, al mio passato o al mio futuro. Sarei diventato uno qualunque della Società e la Società da sempre si cura debolmente degli uomini comuni.
Lavorare per il Cerchio, quindi, era fuori discussione. Perfino tentare sarebbe stato controproducente.

– Cosa voleva Valio? – Domandò Kemar Jeil.
Io e Kemar avevamo frequentato le scuole insieme fin dalle elementari. Era uno dei pochi con cui avevo sempre condiviso la classe. L’altro era Hud Calz, un ricco ragazzino che si vantava della propria parentela con la Gente del Vuoto.
Kemar era solito prestare un debole orecchio ai pettegolezzi o alle malignità sul mio conto, questo fin dall’inizio. Essendo un secondogenito, inoltre, viveva con quello spirito di ribellione che spesso contraddistingue i figli nati secondi. Aveva un carattere gioviale e questo lo rendeva popolare. I professori, così come gli altri studenti, lo apprezzavano sebbene non ottenesse grandi risultati nello studio. Si percepiva come questo gli interessasse poco, ma la sua indole lo risparmiava dalle critiche.
– Mi ha chiesto del modulo d’orientamento. – Spiegai sinteticamente. Non rispondere sarebbe stato scortese, ma non avevo per nulla bisogno altri si impicciassero dei miei affari.
– Cosa hai scelto? – Domandò camminando accanto a me.
Sfortunatamente il tragitto dal Liceo Est fino al negozio di mio zio era sulla stessa strada che Kemar percorreva per tornare a casa sua. Spesso riuscivo a evitarlo, ma quel giorno non fu così. D’altronde era chiaro fin dal mattino fosse una difficile giornata.
– Voglio lavorare.
– Cosa ti aspettavi! – Rise lui. – Nessuno vorrebbe veder sprecato il proprio migliore studente! Il povero Valio deve aver avuto un infarto leggendo il tuo modulo. Cosa ti ha consigliato? – Indagò.
– Di continuare a studiare.
– Certo, questo è ovvio. – Sospirò. – In realtà speravo in qualcosa di meglio. Valio è ambizioso, si sa. Conoscendolo immaginavo avrebbe spinto per il Cerchio. Non vede l’ora di vantarsi di avere insegnato ad uno dei selezionati del Cerchio, ma nessuno dei suoi studenti è mai riuscito a farcela. – Mi guardò di sottecchi. – Credevo che a te l’avrebbe proposto. Il primo del Liceo Est potrebbe avere la sua chance di ottenere una delle trenta borse di studio che il Cerchio fornisce ai Marginati. – Il suo intuito mi fece restare in silenzio e questo lo spinse a capire più di quello che avrei voluto rivelare.
– Te l’ha proposto, vero?! Sono un genio! – Si compiacque. – E allora? Cosa farai? – Domandò ancora più ansioso di impicciarsi.
– Non ho alcuna intenzione di inviare la domanda. – Tagliai corto caricandomi di più la borsa sulle spalle e accelerando il passo.
– Non vuoi? – Chiese Kemar affrettandosi. – Almeno cento ragazzi nella nostra scuola sarebbero disposti a tutto per avere i tuoi voti e i tuoi risultati. Il Cerchio non si farebbe sfuggire uno come te. Forse potresti non ottenere la borsa di studio, ma saresti sicuramente selezionato per i posti regolari.
– Non desidero diventare uno del Cerchio. – Replicai.
– È per le tue origini? Se tu entrassi nel Cerchio … tapperesti la bocca a tutti. – Mi incoraggiò. – Trovare un posto lì dentro ti garantirebbe il rispetto di tutti. Faranno di sicuro caso al tuo passato, ma anche se lavorerai sarà lo stesso.
Mi fermai. – Non credevo tenessi in così alta considerazione quelli del Cerchio. – Lo pungolai. Kemar faceva parte di quel gruppo di Marginati per nulla ansioso di rientrare a far parte della Gente del Vuoto. Loro non avevano alcuna Famigliarità con quel gruppo e volevano restare Marginati. Il Cerchio non aveva alcun fascino per la sua famiglia. – Anche tu hai deciso di lavorare, mi sbaglio? Come mai mi consigli diversamente?
– Certo, ma io non sono intelligente! – Replicò Kemar ridendo. – Il mio vecchio ha bisogno di un aiuto con il ristorante, basta già mio fratello maggiore a portare avanti il buon nome della famiglia. Tuo zio, invece, potrebbe anche andare avanti senza il tuo aiuto.
Per quanto i genitori di Kemar l’avessero rimproverato e sgridato per i suoi scarsi risultati, lui non aveva mai desiderato dividersi da loro. Pareva, anzi, volesse esaurire tutte gli atti sconsiderati permessi ad un uomo per bene cosicché, dopo il diploma, avrebbe potuto mettere la testa apposto senza rimpianti. Inoltre era immensamente amato. Ero certo fossero grati lui avesse deciso di essere il loro sostegno. Forse Rona, il fratello maggiore di Kemar, poteva portare lustro alla famiglia, ma era Kemar a sostenerla con ogni forza.
Lo ammiravo per il suo spirito di abnegazione e invidiavo il futuro monotono che, fin da principio, aveva sempre avuto assicurato. Un luogo tranquillo, una vita semplice, la felicità di un uomo comune: Kemar aveva tutto alla distanza di un singolo passo.
– Non ho l’ambizione di far parte del Cerchio. Valio resterà deluso anche da me. – Rimarcai malgrado le sue parole.
– Come preferisci, Domar. – Si avvicinò e mi tirò una pacca sulla spalla. – Sai, non credo sarà solo Valio a restarne deluso. – Sorrise ed era quello spirito sempre allegro che gli aveva assicurato molti amici.
Avrei voluto domandare chi mai si sarebbe interessato al mio destino, ma non lo feci. Camminai con lui fino a che disse: – Io sono arrivato. Ci vediamo domani.
– A domani. – Salutai guardandolo dirigersi verso la casa che abitava. Era una piccola villetta. La sua era una famiglia di Marginati non particolarmente ricca, ma più agiata di molte che vivevano in quella zona. Non c’era nulla di anomalo nella vita di Kemar Jeil e da sempre sentivo un po’ di invidia per la sua spensieratezza.
Infilai le mani nella giacca mentre quegli stupidi desideri venivano rimandati in fondo alla mia gola. Non aveva senso sperare in qualcosa di diverso. Si nasce senza decidere nulla delle proprie origini, illudersi di cambiarle era una perdita di tempo. Il massimo che uno come me poteva fare era sopravvivere e diventare invisibile, ignoto al resto della Società.
Da casa di Kemar, mi bastava percorrere un altro paio di svincoli per veder apparire l’insegna del negozio di mio zio. Brillava di neon verde acido indicandomi l’ultimo tratto di strada soprattutto, quando, tornando di sera, si rifletteva sullo scuro asfalto. Si accendeva ad intermittenza e diceva: “Attrezzi e soluzioni”. Un nome banale per un negozio anonimo come quello che lo portava. Attraverso le piccole vetrine vedevo spesso il profilo di Boron sistemare alcuni scaffali e, quel giorno, avvenne proprio così.
Anche Boron Domar era più alto della media, ma aveva un fisico molto più corpulento rispetto al mio o a quello della maggior parte degli uomini comuni. Anche se nessuno l’avrebbe mai immaginato, era piuttosto pigro fuori dal suo negozio. Per questo portava la barba incolta, quasi a chiazze. I suoi occhi scuri, cerchiati da rughe pronunciate, gli davano un’espressione perennemente imbronciata e il suo umore spesso si addiceva ad essa. I capelli brizzolati e tenuti molto corti gli riempivano la testa.
Era un uomo burbero e massiccio, non esattamente il genere di persona che si aspetterebbe adatta alla crescita di un bambino. D’altronde non era qualcosa che aveva voluto, ma una situazione in cui si era ritrovato. La mia “sciagurata madre” mi aveva lasciato fuori dalla sua porta un giorno di freddo inverno, abbandonato lì per essere cresciuto lontano da lei. Anche questo era qualcosa che avevo dovuto accettare.
Entrai dalla porta facendo tintinnare le piccole chiavi inglesi appese come sonagli sopra l’uscio. Gli occhi di Boron si sollevarono dallo scaffale. – Avel, sei tornato. Prendi lo scatolone sul banco e sistema quell’angolo. – Ordinò indicando una mensola sulla sinistra.
Seguii le sue indicazioni, presi lo scatolone dopo aver poggiato lo zaino di scuola dietro al bancone. Mi diressi verso i ganci al muro dove erano sistemate corde di diversi diametri. Presi a riporre silenziosamente i nuovi prodotti come rifornimento per quelli venduti.
Boron ultimò alcuni spostamenti e poi, avvicinandosi a me, prese parte degli articoli dallo scatolone per aiutarmi. – Com’è andata oggi? – Domandò con il suo tono di voce scuro e farfugliato.
– Bene. – Replicai sinteticamente. Raccontavo raramente i dettagli delle mie giornate allo zio, sia perché non volevo tediarlo, sia perché spesso temevo potessero infastidirlo. Non avevamo un rapporto distante, solo a nessuno dei due piaceva parlare troppo a lungo.
– Sei tornato con Kemar? – Chiese lo zio. Annuii. – Ti sei trovato davvero un amico simpatico. Invitalo qualche volta a pranzo da noi.
– Non siamo amici, capita solo di fare la stessa strada. – Replicai. – Poi, come ti viene in mente? Invitarlo a pranzo? Sai che i suoi genitori gestiscono un ristorante. – Aggiunsi scherzando un poco per non impensierirlo.
– Cos’ha la mia cucina che non va? – Replicò risentito Boron. – Siamo sopravvissuti fino ad ora senza morire, dunque è più che sufficiente.
Sorrisi. – Certo siamo sopravvissuti. – Rimarcai la sua stessa curiosa scelta di parole.
– Smettila, Avel! – Mi rimproverò con una leggera spallata. – Domandaglielo.
– Non siamo così amici. – Ripetei.
– Come vuoi. – Borbottò.
Sistemò ancora un paio di corde, poi prese un sospiro come era solito fare quando si preparava a pronunciare una lunga frase. – Sai, oggi mi ha telefonato un tuo professore. Ha detto di chiamarsi Valio. – Confessò mozzando il mio mezzo sorriso.
– Perché ti ha chiamato? – Domandai cercando di restare calmo. Non ero stupido, non facevo fatica ad immaginare il motivo, ma il professore si era spinto ben oltre l’accettabile. Già mi infastidiva mi avesse disturbato durante una lezione per fornirgli spiegazioni a decisioni in cui lui non aveva il diritto di esporre la propria opinione, ma che si fosse spinto perfino a scomodare mio zio … era inammissibile. Non sopportavo l’idea Boron pensasse ci fosse una qualche sorta di problema. Mi ero ripromesso di non dargliene mai, per nessuna ragione.
– Mi ha chiesto i documenti per l’Ultima Separazione. – Spiegò mio zio. – Poi ha iniziato a blaterare qualcosa sul post diploma. Dice che saresti sprecato ad andare a lavorare. Mi domando cosa facciano le persone se non lavorare. – Sospirò. – Poi ha parlato delle selezioni per il Cerchio. Dice che dovresti iscriverti, che sarebbe uno spreco altrimenti.
– Il professore parla per sé stesso. – Risposi irritato. – Non è mia intenzione iscrivermi alle selezioni del Cerchio, è lui che me l’ha proposto oggi.
– Bella proposta del cavolo. – Si oppose Boron intonando una scura risata. – Con la famiglia che ti ritrovi ci metteranno un attimo quelli del Cerchio a sbatterti fuori. Se faranno qualche ricerca più a fondo scopriranno il passato di tua madre ed il mio … sarà solo un’inutile perdita di tempo. – Concluse sollevando lo scatolone vuoto. – Qui, invece, vivresti tranquillo. Una vita comune che tra quei mastini non avresti per niente. – Aggiunse piegando il cartone.
– La penso ugualmente. – Concessi a bassa voce.
– Continuava a dire dei tuoi voti, di come passeresti sicuramente le selezioni. – Sbuffò. – I buoni voti servono ovunque. Anche qui al negozio. Essere stupidi non è un vantaggio in nessun tipo di lavoro.
– Hai ragione. – Confermai sorridendo.
Sollevò lo scatolone vuoto con un ghigno soddisfatto. – Fagli dire ciò che vuole a quel Valio. Tu fai quello che desideri. – Tagliò corto. – Non corri il rischio di deludermi, ragazzo mio, hai già ampiamente superato le mie aspettative. – Mi confortò.
Fui scaldato da quelle parole. A dire il vero mi domandavo spesso con quali aspettative Boron avesse scelto di crescere il figlio di sua sorella, un bambino nato per un miserabile concatenarsi di eventi, senza padre e senza identità. Sapere, però, di averle in qualche modo rispettate mi faceva sentire in pace. Non volevo essere una delusione per mio zio, questo forse lo pretendevo ben sopra il diventare una persona comune.
– Ora vai a lavarti, Avel, tra poco chiuderò il negozio ed ho intenzione di farmi un lungo bagno.
Boron afferrò il mio zaino da sotto il bancone e me lo lanciò. Presi al volo la borsa e andai verso il retro del negozio. Lì si trovavano alcune scale che mi avrebbero condotto al piccolo appartamento sopra la rivendita. Una bella doccia sarebbe servita a rimettere ordine nei miei pensieri. Quello che Valio desiderava aveva la minima importanza per me, ma le parole di Kemar mi ronzavano in testa. Chi altri avrei deluso?
Immaginai, mentre l’acqua mi scorreva sulla schiena, come iscriversi al Cerchio poteva essere vista da altri come la soluzione per rimeditare alle mie origini sbagliate. Una sorta di rivalsa che il ragazzino, più dotato di quello che ci si sarebbe aspettati, avrebbe potuto prendere sulla sua debosciata madre e le sue pessime decisioni. Tuttavia io non vivevo con questo senso di vendetta, piuttosto preferivo l’idea tutti dimenticassero il mio passato. Non volevo diventare colui che, malgrado tutto, ci era riuscito. Mi avrebbe spezzato il cuore.
La storia che mio zio mi aveva raccontato, riguardo a Nedia Domar ed al suo destino, era un oscuro pensiero. Non avevo molti ricordi di lei, a parte la stanza di quel pallido giallo in cui mi metteva a dormire sotto una verde coperta. Non conoscevo il suo viso e non credevo avrei mai riconosciuto la sua voce tra quella di altri. Potrebbe essere triste per molti, ma io ringraziavo quelle fossero le uniche immagini di lei. Da esse traspariva un debole amore, sentimento che Nedia Domar, purtroppo, non provò mai realmente per il figlio cresciuto nel suo ventre.
Avessi posseduto altre memorie, forse avrei conservato l’immagine di lei che cercava favori da persone influenti, la sua dipendenza da sostanze e denaro che finì per consumarla e per portarla lontana dalla sua casa. Quella stessa debolezza e ambizione che mi pose nel freddo inverno davanti alla porta di mio zio Boron.
Preferivo ricordare solamente le sue mani tirare sotto il mio mento una calda e soffice coperta. Quella era mia madre, la signora con il ciondolo a forma di stella, non conoscevo Nedia Domar e tutti i suoi demoni. Ma per quella donna dai capelli color albicocca, il bel sorriso contornato da rosee labbra, per lei provavo una pallida devozione e il mio petto si stringeva quando qualcuno insultava la sua esistenza.
Né mio zio né mia madre avevano un brillante passato, ma una vita difficile e al limite della legalità. Quei trascorsi non solo potevano essere un ostacolo, ma portare indesiderati guai. Certo lo zio si era allontanato da tutti i loschi affari che potevano infangarlo, diventando un uomo onesto per crescermi, ma era chiaro desiderasse in minima parte si indagasse nella sua vecchia vita. Esporre la mia famiglia alla lente del Cerchio per essere selezionato … sarebbe stato tremendamente stupido.
Dubitavo la soluzione alla mia natura atipica fosse proprio l’iscrizione al Cerchio, ma, e questo mi scavava il petto, nemmeno lavorare nel negozio dello zio avrebbe cambiato molto. Su questo Kemar aveva ragione. In quel modo sarei rimasto il ragazzo senza genitori nell’appartamento sopra un’insegna con luce verde intermittente per tutta la vita. Mi soffocava il pensiero di quel futuro così rinchiuso.


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Benvenuto nel primo capitolo! Grazie per aver dedicato un po' del tuo tempo a scoprire questa nuova storia. Come ti è parso l'inizio? Ti è venuta voglia di continuare? Spero di sì. Ci vediamo presto con la seconda parte!
Iwon Lyme

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Capitolo 2
*** Sete di Vuoto ***


 
2 - Sete di Vuoto
 
Il giorno seguente andai a lezione portando con me i documenti che Boron aveva preparato per l’Ultima Separazione. Il responsabile incaricato di comporre i fascicoli per il Cerchio era proprio Guram Valio. Quella mattina avrei avuto lezione con lui alla prima ora, questo mi avrebbe dato l’occasione per consegnarli.
Altri ebbero la mia stessa idea, così, quando giunsi in classe, molti dei miei compagni si scambiavano tra loro i certificati commentando le Famigliarità reciproche. Sperando di fare il minor rumore possibile, mi sedetti al mio posto ansioso di vedere l’inizio della lezione.
– Ehi, Kemar, i tuoi genitori sono entrambi Estranei al Vuoto, vero? – Domandò Lacon Moral al mio sgradito compagno di passeggiate. – Che sfortuna, non hai speranze di passare la Separazione! – Lo canzonò.
– Sfortuna?! – Replicò Kemar ridendo a pieni polmoni. – Io sono un Marginato purosangue! Quale sfortuna! – Ribatté. Come ricordavo, a lui non importava nulla della Gente del Vuoto e, dunque, nulla del Cerchio.
– Anche mia madre è Estranea al Vuoto. – Si dispiacque Ferel Liuma, una ragazza con talento per la corsa e l’atletica. – Non ho alcuna speranza di superare il Test tanto quanto Kemar. – Non che questo fosse poco comune. La maggior parte dei Marginati che frequentava il Liceo Est era nella medesima situazione: con almeno un genitore Estraneo totalmente al Vuoto.
– Be’ almeno uno dei tuoi genitori ha una parvenza di Famigliarità. – Evidenziò Lacon esaminando il foglio di Ferel.
– Certo, ma cosa importa? Se un ramo della famiglia è Estraneo al Vuoto è impossibile sviluppare i poteri. – Ribatté Bilen Came, da sempre infelice di avere il padre Estraneo al Vuoto e la madre con una scarsa Famigliarità.
– Perfino con entrambi i genitori con una Famigliarità è difficile. – Notò stancamente Lida Nomale. Era abile a sintetizzare qualsiasi situazione se questo le risparmiava udire inutili conversazioni.
– Be’, ma almeno non è impossibile. – Intervenne Hud Calz colpito nel vivo.
– Certo, Hud, con una Famigliarità come la tua è facile dirlo! – Sospiro Lacon tornando seduto al suo posto.
Hud Calz non era estraneo alle Separazioni. Suo nonno faceva parte della Gente del Vuoto, aveva i poteri, ma, malgrado questo, il padre di Hud non li aveva ereditati. Suo padre era quello che Ultar chiamava un Sordo: qualcuno cresciuto come uno del Vuoto ma che non supera la Separazione. Anche la madre di Calz aveva una buona Famigliarità e, il combinarsi delle due, gli aveva dato accesso anche alla Prima e alla Seconda Separazione. Aveva già sostenuto due Test, uno a sei e uno a dodici anni, fallendo entrambi. Per Hud l’Ultima Separazione era l’occasione di riportare la sua famiglia all’interno della Gente del Vuoto.
Tra tutti era quello ad avere più possibilità di superare il Test ed insieme il più ansioso in merito.
Sospirai cercando di distrarmi da quella discussione. Ero piuttosto bravo in matematica e sapevo che essa non era dalla parte di nessuno all’interno del Liceo Est di Numalia.
Le Separazioni, svolte nelle scuole dei Marginati e della Gente del Vuoto egualmente, avevano lo scopo di stabilire chi fosse nato con il potere e chi no. Si tenevano tre Test, il primo intorno ai sei anni d’età, chiamato Prima Separazione, il secondo a dodici e il terzo a diciassette, prima del conseguimento del diploma. Solo uno di questi Test era obbligatorio per tutti i Marginati ed era quello tenuto a diciassette anni, chiamato Ultima Separazione. Nei precedenti, nel caso fossero stati forniti documenti atti a provare come non vi fosse Famigliarità alcuna con la Gente del Vuoto per almeno un genitore, si veniva sottratti dal Test.
Questa scelta aveva una motivazione matematica derivata dagli studi svolti in tutta Ultar sulla trasmissione del Vuoto. Era emerso, infatti, che il potere veniva passato a un erede nel caso entrambi i genitori lo possedessero, oppure entrambi avessero una stretta Famigliarità con la Gente del Vuoto. In questi casi i Test dovevano essere sostenuti fin da bambini ed il loro successo dipendeva da quanto stretta fosse la Famigliarità. Se due Marginati con alta Famigliarità finivano per dare alla luce un bambino con il Vuoto esso veniva chiamato Rientrato. Questo Hud Calz desiderava essere con tutto sé stesso.
Per quanto riguarda coloro totalmente Estranei al Vuoto, in cui nessun avo nelle ultime sette generazioni aveva il potere, le probabilità di sviluppare la dote diminuivano drasticamente. Solo una volta su diecimila il potere veniva trasmesso quando uno dei due genitori era totalmente Estraneo alla Gente del Vuoto. Praticamente impossibile quando entrambi i genitori non avessero alcuna Famigliarità. Se questo avveniva, inoltre, il Vuoto si manifestava molto spesso con debolezza ed in tarda età. Per questa ragione venivano chiesti documenti in merito e, provata l’Estraneità di un ramo della famiglia al Vuoto, il bambino veniva escluso fino ai diciassette anni da qualsiasi Test. Erano poche le Anomalie e Ultar non amava perdere tempo.
– Cosa farai se passerai la Separazione, Hud? – Domandò Lacon Moral. – Andrai sicuramente all’Accademia di Numalia! Mi piacerebbe vedere com’è! Dicono sia la più grande di tutta Ultar.
– Mio nonno ha detto che sarà felice di farmi da Mentore. Vorrebbe io prendessi il suo posto. – Raccontò inorgoglito Calz.
– Che individia! Anche io vorrei mio nonno fosse un Tesserato. – Sospirò Bilen Came. Sorrisi amaramente per quella frase.
A Ultar si cresceva con il desiderio di diventare parte della Gente del Vuoto, per questo conoscere la propria famiglia era fondamentale. E per questo le mie origini erano così sfortunate. Tutto era costruito perché si aspirasse ad ottenere e tramandare il potere. A questo scopo vi erano innumerevoli agenzie che si occupavano di stilare precise percentuali per matrimoni combinati con l’unico scopo di aumentare la possibilità di generare un erede con il Vuoto, intrecciando le Famigliarità migliori. Questa mentalità era sostenuta dall’intero sistema di istruzione.
I bambini con genitori Gente del Vuoto avevano accesso a tutti e tre i Test e, solo se fallivano per la terza volta, a seguito del diploma, finivano a ricoprire ruoli nella società dei Marginati. Quei giovani erano i Sordi e, sebbene privi del Vuoto, la loro mente era plasmata come parte di quell’elite che si erano trovati ad abbandonare. Nell’animo erano Gente del Vuoto e spesso finivano per ricoprire ruoli nel Cerchio occupando i posti riservati ai Marginati. Con o senza potere, chi nasce sotto una buona stella finisce per cadere sempre in piedi, così andavano le cose.
Per ogni persona con il potere ve ne erano sette senza. Cinque persone su cento passavano il Test nel caso i genitori, entrambi Marginati, avessero però alta Famigliarità con il potere. Una persona su diecimila nel caso almeno uno dei due genitori non avesse alcuna Famigliarità, le Anomalie appunto. Dieci persone su cento venivano poste tra i Sordi nel caso un genitore fosse mancante del potere ma avesse alta Famigliarità. Due su mille nel caso entrambi i genitori fossero possessori del potere. Ci era stato spiegato tutto con un comodo schema il giorno dell’orientamento all’Ultima Separazione.

 
Tutto ciò rende chiaro come la trasmissione del Vuoto fosse difficoltosa. La società della Gente del Vuoto si indeboliva lentamente, ma, così come riuscì a rafforzarsi al principio, venivano attuate molte strategie per far sì che il potere fosse trasmesso alle generazioni future.
La tattica fondamentale era quella di consentire ai bambini nati da almeno un genitore appartenente alla Gente del Vuoto di essere istruito nelle scuole di quella parte del mondo. Questo inevitabilmente alzava la percentuale di Sordi, tuttavia i bambini, cresciuti in un contesto vicino alla Gente del Vuoto, come parte di quella società, debolmente la contrastavano. Anzi si impegnavano a sposare o avere figli con altri possessori del Vuoto o Sordi così da aumentare la possibilità il figlio rientrasse nella Gente del Vuoto. Ecco entrare in gioco nuovamente le agenzie.
Effettuare un matrimonio vantaggioso garantiva la conservazione della Famigliarità, primo bene in tutta Ultar. Tutti desideravano un figlio con il potere e si spendevano strenuamente per riuscire a generarlo, questo avrebbe elevato la famiglia di partenza, consentendole di beneficiare dei vantaggi della Gente del Vuoto. Avere un bambino era un evento controllato e rigidamente monitorato. Chi aveva il potere desiderava conservarlo e chi non lo possedeva bramava per raggiungerlo.
Qualcuno con nessuna Famigliarità era escluso da quell’ossessivo computo di sangue. Qualcuno ignaro delle proprie origini era inutile per il progredire della Società, un peso che Ultar si ritrovava a sopportare. Io ero nella peggiore situazione: metà della mia famiglia era Estranea al Vuoto, l’altra metà totalmente ignota.
– Ma Hud, cosa succede durante il Test? Dai raccontaci! – Pregò Lacon. – Non resisto altre due settimane. Io voglio sapere!
– Non mi è concesso dire cosa succeda. Vedrete il giorno della Separazione. – Sentenziò Calz.
– In realtà è perché non ci hai capito molto nemmeno tu se non parli. – Lo pungolò Kemar. – D’altronde, se così non fosse, avresti passato il Test a dodici anni, mi sbaglio?
– Taci Jeil! – Lo silenziò Calz. – Non parlare di cose che non ti riguardano. Sei solo un Marginato con nessuna possibilità di farcela.
– E tu sei un Marginato illuso di avere una possibilità. – Lo schernì Kemar. – Bisogna stare con i piedi per terra, Calz.
Sospirai chiedendomi quanto ancora ci avrebbe fatto aspettare Valio prima di venire a interrompere quell’intenso pigolare. Il mio disinteresse, però, saltò agli occhi di Bilen Came, seduto dietro di me. – Di certo qualcuno è molto rilassato in merito alla Separazione, vero, Domar? – Mi interpellò sollevandosi dalla sua sedia e venendo a strappare il foglio dal mio tavolo. – Compilato per metà, come al solito, no? – Ridacchiò. – Quelli del Cerchio resteranno senza parole! Chissà cosa penseranno quando vedranno il modulo! Scommetto che non vorranno nemmeno farti provare!
– Non che sia un grave errore, visto che per metà siamo sicuri tu non abbia a che spartire con la Gente del Vuoto. – Si inserì Calz con un mezzo sorriso. Non gli andava proprio a genio prendessi voti migliori dei suoi.
Mi importava così poco di tutta quella faccenda che non avevo nemmeno voglia di mettermi a discutere. – Non mi preoccupa quello che accadrà. – Dissi alzandomi ed allungando una mano verso Bilen. – Restituiscimi il modulo, per favore.
– Ci tieni così tanto a questo fogliettino, Domar? – Domandò Came. – Al posto tuo mi vergognerei perfino a presentarlo. Che tua madre non valeva granché è cosa risaputa, ma perfino tuo padre non dev’essere tanto meglio se non si preoccupa di come sparge il proprio …
– Came, se tuo padre non è come desideri non sei autorizzato a insultare gli altri. – Lo ammonì Kemar alzandosi minacciosamente dalla sedia.
– Ecco che Jeil si mette a fare il paladino! – Ridacchiò Hud Calz.
La porta della classe si spalancò decretando la fine di tutta quella pantomima. – Buongiorno, ragazzi, sedetevi ai vostri posti. – Impose Valio.
Bilen Came mi rivolse un sorrisetto. Mi restituì il modulo e, con le labbra sudate, sibilò: – Mio padre non sarà il massimo, ma almeno ne ho uno. È già qualcosa, no, orfanello?
Tirai il foglio e tornai a sedermi. Era fastidioso sopportare il loro cattivo umore. Avevo già intuito come l’Ultima Separazione sarebbe stata una seccante faccenda, ma non credevo avrebbe cominciato a darmi fastidio così presto.
– Vedo che molti di voi hanno portato i moduli per il fascicolo. – Disse il professore. – Metteteli sul banco, passerò a ritirarli. – Bilen sghignazzò alle mie spalle. – Cosa c’è di divertente, Came? – Lo interrogò Valio, aveva l’udito fine.
– Professore, non credo sia giusto raccogliere i moduli se sono incompleti, giusto? – Replicò.
– Avete ancora del tempo per completarli, la scadenza è alla fine di questa settimana. – Rispose il docente.
– Ehi, Domar, hai ancora un po’ di tempo, non sei felice? – Sibilò Bilen allungandosi verso di me.
– Came, si rimetta seduto sulla sua sedia. – Tuonò Valio dalla cattedra. Quando si infuriava i suoi baffetti bianchi fremevano e si imperlavano di sudore. – La situazione di Domar è nota alla scuola ed al dirigente. Inoltre credo che il suo atteggiamento sia enormemente infantile. Piuttosto prenda esempio da lui. – Strinsi le dita: mi stava scavando una fossa in cui non volevo entrare.
– Professore sono convinto Bilen lo dicesse per lei. – Si inserì Hud Calz. – Aveva paura il Cerchio la tacciasse di sciatteria vedendo il foglio incompleto di Domar. Dopotutto è lei che deve comporre i fascicoli.
– Riguardo a questo sarà spiegato tutto perfettamente ai Numerati del Cerchio e al Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. – Rassicurò Valio, raramente tagliava i nomi altisonanti. – In ogni caso, Domar, scriva nella parte del padre, vicino a dove andrebbe inserito il nome, la parola “ignoto” così che non si faccia confusione.
Aprii lo zaino, estrassi i libri di storia e una penna. Così come mi era stato imposto appuntai il modulo compilato da Boron. Intanto Valio aveva cominciato a girare tra i banchi. Quando giunse al mio prese il foglio e mi rivolse un tirato sorriso. – Bene, Domar, per quanto riguarda l’altro modulo? – Chiese accennando un occhiolino.
Non avrei sopportato la nostra conversazione privata diventasse pubblica. Non volevo attirarmi più fastidi di quanti già non ne avessi. – Mi dispiace, professore, non ho ancora finito di compilarlo. – Risposi piano nella speranza nessuno sentisse di quel documento mancante.
– Oh, certo, certo. Fa’ con calma. – Replicò il professore. – Portalo nel mio ufficio quanto prima, però. Il Test si sta avvicinando.
– Certamente professore. – Senza aggiungere altro si allontanò dal mio banco. Sarebbe stata una sofferenza andare a scuola. Desideravo l’Ultima Separazione passasse in fretta.
La mia mancata Famigliarità con il Vuoto da parte del lato noto della mia famiglia mi aveva consentito di evitare venissi posto davanti al Cerchio prima dei miei diciassette anni, sebbene mio padre risultasse ignoto. Avevo scarsamente compreso come funzionassero le Separazioni dato che le due precedenti si erano tenute solo per pochi dei miei compagni di classe. Tutti noi, però, avremmo dovuto prestarci all’Ultima Separazione e l’esito avrebbe definitivamente determinato il destino degli ultimi e delle più improbabili Anomalie.
Quel pensiero occupava debolmente le mie giornate, ma i preparativi, così come il continuo discuterne tra i miei coetanei, avrebbero piano piano smosso il mio interesse. Non era certo la prima volta entrassi in contatto con i Numerati del Cerchio, ma prima di allora nessuno aveva mai notato Avel Domar. Sarebbe stato diverso. Avrebbero avuto un fascicolo e quello sarebbe finito nelle mani di importanti Ufficiali. Non volevo guai e dovevo prepararmi a sopportare qualsiasi indelicata osservazione. Parlavamo di Gente del Vuoto, per loro la mia esistenza doveva essere tanto gradita da non sortire il minimo rispetto.
 
Il trillo del campanello mi distolse dai fornelli. Stavo preparando il pranzo. Boron non si sentiva molto bene. Aveva preso uno strappo alla schiena sollevando alcuni scatoloni, così avevo dovuto prendere in mano le preparazioni in cucina mentre lui si era sistemato sul divano. Sonnecchiava in attesa fosse pronto.
Andai ad aprire la porta incuriosito dallo scoprire chi fosse. Spesso, quando il negozio era chiuso, il postino faceva il giro e consegnava la posta direttamente alla porta dell’appartamento, ma non era necessario suonare visto che avevamo un foro per le lettere nella porta. Mentre ragionavo su questo trovai Kemar sistemato davanti all’uscio di casa mia. Mi sorrise porgendomi un sacchetto che teneva in mano. – Buongiorno, Avel. Questo lo manda mia madre. – Spiegò allungando la busta.
– Tua madre? – Domandai. Tutte le volte che avevo avuto occasione di incontrare sua madre, lei non aveva mai ricambiato il mio saluto. Sebbene la famiglia di Kemar fosse Marginata da generazioni e generazioni, per loro la mia situazione era forse ancora più atipica e odiosa. Il loro stesso figlio, però, non prestava ascolto alle raccomandazioni. Non erano stati sufficienti i rimproveri di quando, bambini, lo sconsigliavano dal darmi confidenze. Molti genitori avevano impedito ai figli di giocare con me e questo non aveva che facilitato la mia solitudine. Non era semplice farmi amici e rinunciai senza fatica a quel proposito.
– Ogni tanto si ricorda di avere un cuore. – Replicò Kemar. – Mi ha detto: “Se devi proprio andare porta questo. Che non si dica non siamo gente per bene!”.
– Ringraziala da parte mia, ma … perché sei qui? – Domandai prendendo il pacchetto.
– Be’ … volevo chiederti una mano con gli esercizi della Nader. Li stavo guardando questa mattina e mi sono accorto di non capirci assolutamente nulla. – Non era la prima volta che succedeva, ma non si era mai spinto fino a casa mia per ricevere una mano in analisi.
– D’accordo. – Concessi. – Vado a prendere il quaderno, li ho finiti ieri sera. – Mi spostai verso il tavolo lasciandogli lo spazio per entrare. Kemar non aveva talento per la matematica, era sempre stato così fin dalle elementari. Stentava comprendere l’origine stessa dei numeri e perché fosse necessario il loro impiego. Mi aveva sempre fatto sorridere il suo modo canzonato di riparare a questa mancanza.
– Buongiorno, signor Domar. – Salutò Kemar non appena notò mio zio seduto sul divano.
Boron si sollevò e guardò l’inatteso ospite dentro casa. – Avel! Dovevi dirmelo che avevi invitato Kemar per pranzo. – Mi rimproverò alzandosi a fatica dai cuscini.
– Veramente … – Cercai di spiegare, ma Kemar mi interruppe.
– Signor Domar si è fatto male?
– Oh, nessun signore, Kemar. Ti conosco da quando eri alto sì e no un metro. Chiamami pure Boron senza problemi. – Replicò. – Mi sono fatto male alla schiena purtroppo. L’età comincia a farsi sentire. Dovrai accontentarti della cucina di Avel.
– Non ci sono molte cose in cui Avel sia scarso. Sono sicuro sia piuttosto bravo anche a cucinare. – Rassicurò il mio compagno di classe. – Mia madre vi ha mandato una torta.
– Vorrà dire che ci rifaremo con quella. – Scherzò ancora lo zio. Kemar ridacchiò. Aveva veramente intenzione di restare per pranzo?
– Kemar, non eri venuto per i compiti della Nader? – Chiesi cercando di sondare le sue intenzioni non appena mio zio tornò a rilassarsi sul divano.
– Avremo il tempo di vederli dopo pranzo. – Si avvicinò ai fornelli. – Cosa hai fatto di buono? Posso dare una mano? – Si propose.
– È quasi tutto pronto, ma fai pure. Non mi sognerei mai di ostacolare un professionista. – Concessi.
Un professionista! – Rise delle proprie capacità. – Mio padre è piuttosto critico a riguardo.
– In questo sono piuttosto sicuro te la caverai meglio di me fino ad ora.
Mi domandai, mentre sistemavamo le pietanze sul tavolo da pranzo, cosa pensasse Kemar del semplice appartamento mio e di zio Boron. Aveva un piccolo ingresso rispetto a quello della sua casa, chiuso da una porta rossa. Questo dava su un’unica stanza dove trovava posto la cucina, di un azzurro slavato, sbeccata negli angoli e con elettrodomestici più vecchi dei suoi inquilini. Sulla sinistra un tavolo coperto da una tovaglia arancione la divideva dal divano sulla destra. Non erano comodi i cuscini, posso assicurarlo, ma grumosi, invecchiati negli anni.
Sulla parete opposta all’ingresso, circa alla sua metà, vi era una porta verso le due camere e il bagno. Era un’abitazione modesta, sicuramente il mio compagno era abituato a ben altri agi e ben altri spazi, ma confortevole. Non mi era mai mancato nulla tra quelle pareti. Avevo l’intimità di una stanza tutta mia, la tranquillità di una casa abitata da poche persone, tutta la pace e solitudine un adolescente potesse desiderare. Zio Boron non era di molte parole e questo suo carattere aveva sicuramente diversi vantaggi.
Quando decretammo fosse tutto pronto, Boron si alzò a fatica dal divano e si sistemò al proprio posto. Finse diffidenza rispetto alle mie doti culinarie, ma poi mangiò tutto senza lamentarsi. Capitava spesso cucinassi per entrambi e, sebbene si lamentasse spesso del probabile fatale esito, una volta assaggiato il cibo finiva sempre per mangiarsi tutto il contenuto del piatto.
– Non male, ma penso che la mano di Kemar sia più presente di quanto immagini. Hai un po’ barato, eh, Avel! – Concluse Boron pulendosi la bocca con un tovagliolo di carta. – Sai, sono curioso. Tu cosa farai, dopo il diploma, Kemar? – Domandò Boron mentre prendeva un coltello per tagliare la torta del ristorante dei Jeil.
– Lavorerò al ristorante dai miei. – Rispose distrattamente il mio coetaneo.
– Dunque non è così strano per un ragazzo decidere di lavorare dopo il diploma. – Dove desiderava arrivare mio zio? Non era tipo da intavolare una lunga conversazione.
– Credo proprio di no. Molti nella nostra classe hanno scelto di seguire le attività di famiglia. – Replicò Kemar. Questo è quello che ci si aspetterebbe da una piccola cittadina.
– Allora dico bene! L’altro giorno un certo professor Valio mi ha chiamato perché convincessi Avel ad iscriversi alle selezioni del Cerchio. Come se lavorare fosse un’onta! Che assurdità! Anche al Cerchio finirebbe per ricoprire un impiego! – Commentò. – Gli insegnanti al giorno d’oggi stentano a farsi gli affari loro. – Non volevo tirasse fuori quella conversazione. Per me era chiusa e non avevo interesse a sentire l’opinione di nessuno in merito.
– Concordo, Valio sa essere estremamente invadente. Però, signor Domar, Avel potrebbe davvero riuscire ad entrare nel Cerchio. Sarebbe una bella cosa, non crede? – Replicò Kemar per nulla intimidito dall’esprimere la propria visione in merito a qualsiasi fatto. Non aveva peli sulla lingua e parlava schiettamente. Un’altra dote che ammiravo di lui.
– Ma Avel non ha scelto il Cerchio. – Ribatté Boron con fermezza.
– Questo è vero. – Concesse.
– Non bisogna scegliere qualcosa solo perché se ne hanno le capacità. Bisogna decidere per sé stessi ciò che ci rende realizzati. Così non fosse, la Società sarebbe piena di persone frustrate che compiono un lavoro solo per i vantaggi che ne ricevono. – Sentenziò mio zio infilandosi un cucchiaio di torta in bocca come chiusa.
– E, Avel, credi che andare a lavorare senza proseguire gli studi ti farà sentire realizzato? – Chiese Kemar sollevando gli occhi proprio su di me.
Mi punse nel vivo con quel suo sguardo diretto. Ero più ritroso di lui ad esprimere apertamente i miei pensieri. In realtà non credevo di essere in grado di rispondere a qualsiasi domanda senza il giusto tempo per soppesare le conseguenze delle mie parole. Avevo imparato che, nel mio caso, qualsiasi frase sarebbe stata vista nel peggior modo possibile.
Proprio mentre riflettevo mi accorsi di aver pensato spesso a cosa mi avrebbe fatto diventare una ‘persona comune’ e mai a cosa mi avrebbe ‘fatto sentire realizzato’. In quell’istante notai come le due cose non coincidessero affatto, ma, anzi, fossero divise da uno scomodo abisso. – Non credo che il Cerchio possa fare per me. In tutta onestà penso sia troppo ambizioso e non voglio competere per ottenere un poco di tranquillità. – Spiegai evitando una risposta diretta.
– Ben detto, ragazzo mio. – Si congratulò mio zio. – Ciò che importa è una vita pacifica, senza sconvolgimenti: la felicità di un uomo semplice.
Decisi di interrompere lì la discussione dato che proseguirla avrebbe solo gettato ancora più confusione nella mia testa. – Kemar, mi avevi chiesto gli esercizi della Nader, giusto? Se vuoi te li mostro. – Tagliai alzandomi dalla sedia.
– Grazie. – Rispose Kemar. Lasciammo il vittorioso Boron alla torta e oltrepassammo la porta fino a trovarci nella mia stanza.
Era una piccola camera, piuttosto modesta: la tenevo ordinata, con il letto sistemato e i libri ben riposti. Possedevo una scrivania senza cassetti illuminata da una luce da tavolo. Come al solito era coperta di penne, libri e quaderni di scuola. Quello era l’unico luogo dove mi permettevo di avere qualcosa fuori posto.
Non c’erano molti altri arredi, non possedevo alcun passatempo se non lo studio o aiutare mio zio con il negozio. Praticavo sport solo a scuola e non avevo alcuna propensione per la musica o qualsiasi altra arte. Era piuttosto spoglia e lo notai proprio quando dovetti mostrarla a Kemar.
– Ecco il quaderno. – Indicai sollevando alcuni fogli rilegati da una copertina arancione. – Quale parte non avevi capito?
Kemar prese in mano il quaderno. Vi gettò una debole occhiata in cerca degli esercizi che non riusciva a fare. Poi, però, i suoi pensieri furono distratti e volle parlare ancora. – La pensi davvero come tuo zio? Credi che non valga la pena di faticare se è possibile accontentarsi di un posto tranquillo? È quella la felicità che cerchi? – Chiese sollevando gli occhi dalle equazioni. Non so dire perché volle entrare in quel difficile terreno.
– Non la penso esattamente come lui. – Risposi più velocemente di tutte le altre volte. – Quella che lui ha definito essere “la felicità di un uomo semplice” è qualcosa che mi è sempre stato precluso. Non desidero essere un escluso per tutta la vita. Se io riuscissi ad ottenere quel tipo di vita pacifica, non sarebbe un grande guadagno rispetto ad ora?
– La tua mancanza di ambizione mi ha sempre colpito. Pur avendo le capacità ti sei sempre allontanato da qualsiasi occasione di emergere. Non hai considerazione di te e questo ti spinge a porre i tuoi obiettivi così in basso. Tuttavia non posso che comprendere quello che dici. – Suonava come un rimprovero, ma allo stesso tempo anche un incoraggiamento.
– Se fossi stato una persona diversa non avresti sopportato molte delle cattiverie che ti sono state rivolte. La tua mancanza di amor proprio, però, un po’ mi preoccupa. Temo tu possa limitarti e non hai alcuna ragione per farlo. Non lo meriti. – Mi sorrise per alleggerire le sue parole. – Forse, però, ha ragione Boron. Solo perché si può fare qualcosa non vuol dire che si debba farla per forza. L’abilità di accontentarsi salverebbe più di un uomo dalla propria ambizione.
Sorrisi anche io davanti a quelle parole. – Mi basterebbe, sai, vivere in una casa come molte altre, con un lavoro semplice ed un ruolo che possa permettermi di essere parte della massa. – Dissi sollevando i miei occhi in quelli scuri di Kemar. – Sarebbe sufficiente e trovo che, nella mia situazione, sia un desiderio piuttosto ambizioso. Forse molto più che entrare a far parte del Cerchio.
Kemar non ebbe di che rispondere a quella mia ultima affermazione, credo fosse la prima volta che realizzò veramente quanto mi fossi sempre sentito distante da tutti loro, dalle loro vite pacifiche. Conoscendolo si sentì anche un poco colpevole, ma non aveva colpa. Ero io a non avergli mai permesso di avvicinarsi, lui ci aveva sempre instancabilmente provato. Non si ricavavano vantaggi dall’essere miei amici e non gliel’avrei permesso.
Non lo lasciai a disagio troppo a lungo. – Cosa non hai capito degli esercizi della Nader? – Domandai nuovamente cambiando discorso.
Avevo riflettuto nei giorni trascorsi dal mio colloquio con Valio su quale fosse la giusta risposta alle sue aspettative, alle parole di Kemar e non ero riuscito a desiderare di far parte del Cerchio. Ero arrivato velocemente alla conclusione fosse una strada troppo complicata per ottenere ciò che volevo. Vi sarebbero state vie più agevoli in cui avrei potuto farmi valere senza dovermi battere contro i pregiudizi e le prevenute opinioni. O, più realisticamente, avrei dovuto battermi con minore intensità.
Da Marginato senza genitori entrare a far parte di quella gigantesca organizzazione mi avrebbe certo fatto risplendere. Sarei diventato l’orgoglio di Valio, lo sfortunato che ce l’aveva fatta, il giovane che, con le sue sole forze, aveva ottenuto la rivalsa da un destino infausto. Tuttavia non volevo diventare quell’uomo. Non volevo essere colui che, malgrado tutto, ci era riuscito. Non volevo essere l’eccezione per il resto della vita.
Desideravo un luogo tranquillo: la felicità dell’uomo comune. Perché ottenendola forse sarei diventato uno di loro, un’esistenza semplice sul bordo del mondo.

Due settimane sembrano un lungo periodo, ma scorrono più in fretta di quello che si creda. Così avvenne anche nel Liceo Est di Numalia.
L’Ultima Separazione si avvicinava pericolosamente e gli studenti dell’ultimo anno erano di giorno in giorno più impazienti. Avevano iniziato a circolare sempre più informazioni, voci di corridoio che gli studenti si scambiavano. Credevo molte fossero totalmente false, ma l’avrei scoperto solo il giorno del Test.
Così come succedeva ogni anno, vennero sospese le lezioni per i tre interi giorni necessari alla preparazione e all’attuazione dell’Ultima Separazione. Il giorno prima del Test gli studenti dell’ultimo anno si trovavano tutti a scuola per allestire le sale che gli esponenti del Cerchio avrebbero occupato e usato per lo svolgimento dell’esame il giorno successivo. Il terzo giorno serviva, infine, per ripulirle e consentire il riprendersi delle lezioni regolari.
Il coordinatore di un’altra classe, insieme alla Nader, si era occupato di assegnare ad ogni studente il proprio compito. Il preside del Liceo, così come i professori, reputavano di estrema importanza il Cerchio trovasse la scuola in perfetto ordine e, oltre alle aule che sarebbero state direttamente impiegate per il Test, fu deciso di far ripulire e sistemare l’intera struttura. C’era chi era stato posto in giardino, chi nell’ingresso, chi nel vialetto. Si riordinava e sistemava l’intero stabile dedicandosi al completo riallestimento di alcune aule.
Per l’Ultima Separazione dovevano essere predisposte cinque classi, una per ogni corso. Oltre a queste, un’ulteriore aula sarebbe servita per lo svolgimento del Test vero e proprio. Lì si sarebbero recati gli studenti uno alla volta. Dalle voci emergeva che la Separazione durava solo pochi istanti e, la maggior parte delle volte, non succedeva granché.
– Che sofferenza. – Protestò Kemar sistemando un gruppo di sedie intorno ad una serie di tavoli posti a ferro di cavallo. Al mio gruppo era stato assegnato il compito di sistemare un’aula piuttosto grande che quelli del Cerchio avrebbero usato per raccogliersi prima di iniziare i Test.
– Sempre meglio che fare lezione con Valio. – Lo confortai.
– Trovo tutta questa faccenda totalmente inutile e sopravvalutata. Qui in periferia ci sono pochissime persone con una Famigliarità decente con il Vuoto, quelli del Cerchio vengono qui inutilmente tutti gli anni. – Si lamentò Kemar. Avrebbe preferito stare in vacanza con gli alunni più giovani piuttosto che pulire per i Numerati. – So che non ci sono più Marginati purosangue come me, ma fanno tutta questa confusione, spendono immense quantità di denaro per trovare, se va bene, uno o due Rientrati con un piccolo spruzzo di potere.
– Questo è assolutamente vero, Jeil. – Intervenne acidamente Hud Calz, assegnato al nostro stesso compito. – Non ci sono Marginati più Marginati di te. Servi solo come manodopera.
– Lo ritengo un complimento, Calz. – Rimbeccò Kemar senza lasciarsi sminuire. – Piuttosto tu, ti sei fatto tutti i Test fino ad ora millantando chissà quale Famigliarità … Credi di riuscire a passare questa volta? – Lo pungolo nuovamente.
– Basta, lasciamo stare queste discussioni. – Intervenni. Non volevo il loro lavoro si prolungasse a causa di sterili battibecchi e i due erano famosi per le infinite discussioni.
Hud Calz venerava la Gente del Vuoto e per lui la Separazione, il Cerchio … tutto era questione di vita o di morte. Chiunque la pensasse diversamente da lui era uno stupido. Chiunque osasse sentirsi migliore di lui senza potersi vantare almeno della medesima Famigliarità lo aveva sempre indispettito enormemente.
– Pensala come vuoi, Jeil, ma mio nonno fa parte del Vuoto, invece i tuoi sono ristoratori. – Replicò con il suo solito tono di superiorità. – Non ha senso discutere con gente del vostro livello. Un cuoco e un mezzo figlio di nessuno. – Rincarò senza lasciarsi sfuggire la ghiotta occasione.
– Ti brucia solo perché Avel ha voti migliori dei tuoi. – Replicò Lida Nomale, una ragazza dai ricci capelli scuri con grossi occhiali poggiati sul naso, anche lei assegnata all’aula con i banchi a ferro di cavallo. – Vediamo di piantarla con queste chiacchiere e diamoci dentro. Prima finiamo prima andremo a casa.
– Sono totalmente d’accordo. – Sottoscrissi lasciandomi scorrere i commenti acidi di Hud Calz. Avevo frequentato insieme a lui tutte le scuole, così come con Kemar. Ero abituato alla sua lingua tagliente ed al suo irritato senso di inferiorità.
La porta dell’aula si aprì improvvisamente. – Avel Domar. – Chiamò il professor Valio ed aveva il tono di una persona seccata. – Seguimi, per favore. – Impose tornando subito fuori dalla porta.
– Certo. – Mormorai poggiando la pila di sedie che avevo in mano. Avevo una offuscata idea di quello che desiderava.
– Ossessionato il vecchietto. – Cantilenò Kemar prima che mi allontanassi.
Nei giorni trascorsi Valio aveva continuato a domandare del modulo di orientamento tutte le volte ne avesse avuto la più blanda occasione. Avevo tergiversato, ma ormai non potevo più addossare scuse. Le sue pretese stavano diventando fastidiose, ma le avrei sopportate in silenzio. Mi sarei forzato di dipingermi un bel sorriso. Però ero agitato, quella era la prima volta che dovevo volontariamente scontentare un mio insegnante.
Mi abbassai le maniche della camicia della divisa, sollevate perché non fossero d’intralcio. Uscii dall’aula con l’animo in opposizione e trovai Guram Valio ad attendermi subito fuori dalla porta. – Eccomi, professore, di cosa ha bisogno? – Domandai con tono tranquillo. Avrei preferito quelle chiacchiere si svolgessero più privatamente.
– Hai mancato di consegnarmi il modulo di orientamento compilato. Il Test è domani, è necessario tu mi consegni la domanda per passarla agli esponenti del Cerchio. Il Sovrintendente dell’Accademia è un Numerato importante, potrebbe mettere una buona parola sentendomi parlar bene di te. Sarebbe una buona occasione, considerati i fastidiosi svantaggi a tuo carico. – Mi istruì preciso il docente sistemandosi con un dito i baffetti. I folti baffi di Valio fremevano e sudavano sintomo di tutta la rabbia covata.
– Professore, mi ha detto di consegnare il modulo qualora avessi cambiato idea. Credevo non fosse necessario consegnarlo nuovamente se fossi rimasto della medesima opinione. – Risposi.
Restò interdetto. I suoi piccoli occhi scuri si spalancarono e i suoi baffetti vibrarono incolleriti. – Non è cambiata?! – Ripeté sillabando. Era sicuro di aver mal compreso. – Cosa intendi, Domar?
– Professore, sono lusingato e la ringrazio molto per il suo interessamento, ma non sono interessato a diventare parte del Cerchio. Ho deciso lavorerò insieme a mio zio e, nel caso, troverò un impiego più vicino ai miei desideri. – Spiegai pacatamente.
Il professore fu ancora più sconcertato. Si trattenne dall’imprecare, ma le sue male parole non pronunciate finirono per arrossargli le orecchie. Sbuffò e si agitò sul proprio posto. – Questo è davvero terribile, Domar! – Prese a predicare ad alta voce. – Sprecare così un buon talento come il tuo … Sai, ragazzo, quando, malgrado tutto, ci viene fatto un dono, è da sciocchi non curarsene! Sebbene tua madre fosse una donna sconsiderata, sei cresciuto grazie al buon cuore di tuo zio e hai ottenuto ottimi risultati scolastici. Sminuire questo eccezionale evento mi fa riconsiderare il tuo giudizio. – Si calmò un poco cercando di riprendere fiato dopo tutte quelle parole pronunciate in fila. – Posso sapere cosa ti spinge ad essere così reticente? – Mi interrogò.
Si stava certo rivelando per l’omino che era. A Guram Valio interessava fare un atto di bene, raccomandare caritatevolmente lo sfortunato, ma dotato, alunno del Liceo Est. Voleva prendere le mie parti, malgrado tutto. Ma io non ero un “eccezionale evento” e non sopportavo di dovere qualcosa a qualcuno che mi valutava per il sangue nelle mie vene.
– Non desidero sottopormi ad ulteriori esami, professore. Preferisco una vita tranquilla ad una agiata, spero possa comprendere. – Replicai conservando tutta la pazienza che avevo coltivato negli anni.
– Lo dico anche per questo. Restare nella Periferia Est di Numalia non ti laverà mai dall’onta dei tuoi genitori. Sarai sempre il ragazzo senza famiglia. Nel Cerchio ripareresti alla tua bizzarra nascita e saresti utile per la Società. È dovere di ogni abitante di Ultar rendersi produttivo. – Ribatté Guram Valio parlando con più crudeltà di quella che un adulto dovrebbe usare con un ragazzo.
– Non ho ciò che serve per il Cerchio, professore. Mi dispiace. – Ripetei nella speranza finisse la sua insistenza.
Valio grugnì con sdegno. Si sistemò gli occhiali che cerchiavano i suoi infuriati occhietti. – Spero questi sciocchi motivi ti preservino dai rimpianti. Torna immediatamente a lavoro adesso. – Ordinò indicando la porta dell’aula.
– Grazie, professore. – Mi voltai mentre lui imboccava il corridoio a passo di marcia. Davvero una spiacevole conversazione. Rientrai nella classe, sperando vivamente che la questione fosse conclusa. Con ogni probabilità Valio aveva finito di impicciarsi delle mie decisioni.
Chiusi alle mie spalle la porta. Ero pronto a tornare a lavoro, ma mi trovai davanti gli occhi di Hud Calz, Lida Nomale e Kemar Jeil. Avevano sentito ogni parola e nei loro sguardi avvertivo il disagio che quelle avevano creato.
– Valio ti ha proposto di iscriverti alle selezioni per i posti dei Marginati nel Cerchio? Di raccomandarti per una delle trenta borse di studio? – Domandò Lida dando voce anche al quesito sulla bocca di Hud.
Ecco. Avrei proprio preferito la questione restasse privata. – Sì, me l’ha proposto. – Risposi accorgendomi fosse impossibile negare l’evidenza.
– E hai rifiutato?! – Domandò sconcertato Hud Calz.
– Ho rifiutato. – Confermai. La riprova li rese ancora più attoniti. Nessuno dei miei compagni avrebbe rifiutato al mio posto. Che un professore chiedesse ad uno studente di compilare la domanda era una cosa mai sentita.
– Tu … Tu sei pazzo! – Proseguì sconcertato Hud. – Ci sono trenta borse di studio riservate ai Marginati. Trenta! Che un professore ti raccomandi è ovvio tu abbia le possibilità di farcela! Anzi … tutti sappiamo tu potresti riuscirci! È folle non tentare!
Tra tutti credevo lui sarebbe stato il primo a rimettermi al mio posto qualora avessi compilato la domanda per il Cerchio o ne avessi avuto anche la più pallida intenzione. Uno come me che osava pensare di entrare nell’elite di Ultar? Inaccettabile, no? – Non sei stato tu poco fa a chiamarmi … “mezzo figlio di nessuno”? Ed ora credi potrei fare parte del Cerchio? – Lo rimbeccai infilando un paio di sedie sotto un tavolo deciso a tornare a lavoro e chiudere quella faccenda.
– Ma … ma tu … – Balbettò con tono pentito. – Tu ce la faresti sicuramente. Sei il migliore dell’ultimo anno … lo sanno tutti!
Le mie mani si fermarono dopo aver udito quelle parole. Era sicuramente difficile per Hud ammettere quei pensieri. Esprimere stima verso il suo indegno rivale doveva davvero essere insostenibile per il suo orgoglio, eppure lo stava facendo. Mi stava incoraggiando a compiere qualcosa di ardito e fuori dalla portata di qualcuno con le mie origini. Questo poté sconvolgermi più del sostegno di Kemar.
Colto da quegli inaspettati eventi, sospirai e mi sedetti su una sedia. – Non posso tentare. – Dichiarai. – Le mie origini … Credi che di questo al Cerchio non importerà? Non voglio infilino le loro mani nel mio passato … non desidero sapere cosa ci sia. Preferisco di gran lunga ignorarlo. Quel poco che so mi basta.
Kemar si avvicinò e mi pose una mano sulla spalla. – Calz è solo dispiaciuto tu abbia deciso in questo modo. Non prendere le sue parole troppo a cuore. La scelta che hai fatto … troverai sicuramente il modo di farla funzionare.
– Proprio perché sei senza origini avresti dovuto tentare! – Si oppose Hud senza riuscire ad arrendersi. – Entrare nel Cerchio … Azzittiresti tutte le cattiverie dette su di te. Possibile tu non abbia un minimo di orgoglio! Qualsiasi cosa ti venga detta non ribatti mai! Mi dà ai nervi la tua indifferenza! Se Valio avesse detto a me quelle parole … – Sospirò furioso. – Sei il migliore studente del Lieco, questo malgrado le tue origini. – Lanciò la scopa che teneva in mano a terra. – Mi fai arrabbiare! Al tuo posto avrei firmato la domanda in triplice copia, inculo gli idioti! Ad avere il tuo cervello! Sei uno stupido a gettare tutto via per la paura!
Mi alzai dalla sedia mentre quelle parole mi colpivano meno di quello che avrebbero dovuto. Troppo era stato detto sul mio conto perché quei pensieri, forse sinceri, potessero smuovermi. Ero bloccato nel ruolo che loro avevano preteso da me e che io, per quieto vivere, mi ero imposto di ricoprire. – Mi dispiace, Calz, di averti deluso. A quanto pare sono più codardo di quello che credevi. – Lo azzittii senza perdere la calma.
Hud restò ancora più colpito da quella risposta, come se nulla di ciò che avesse da dire mi sarebbe mai importato. – Al diamine! – Imprecò sentendo tutta la sua impotenza crollargli addosso. Uscì dall’aula sbattendo incollerito la porta. Tutta quella rabbia la reputavo esagerata e perfino fuori luogo, ma la situazione di Calz, ora lo comprendo, doveva essere tesa. Quello a cui lui aspirava … non avrebbe mai compreso se ne fosse in grado o meno, era qualcosa che hai oppure no. Non sopportava veder sprecata l’opportunità che lui si trovava ad invidiare e ad inseguire.
Lida Nomale raccolse la scopa e l’appoggiò ad una parete. – Forse i modi di Hud non sono totalmente giusti, Avel, ma le sue intenzioni ogni tanto sono buone. – Disse. – Perfino io stento a credere tu voglia restare in questa periferia. Andare lontano potrebbe rivelarsi un modo per dimenticare. Chissà che tu non scopra che l’esterno sia molto più vario e complicato di quello che credi. Tu non puoi certo essere l’unica persona atipica al mondo, ti pare? – Suggerì. Altre persone come me? Perché avrei dovuto cercarle? Avrebbero riempito i vuoti? Mi avrebbero reso ‘normale’?
– Voglio ancora tornare a casa presto, quindi proseguiamo. – Sospirò Lida.
– Certo, andiamo avanti. – Concesse Kemar turbato dalla discussione.
Tornammo a lavoro silenziosi, ognuno partecipe dei propri pensieri. Era strana quell’atmosfera. Kemar aveva visto più a fondo di me? Era questo che intendeva dicendo che non avrei deluso solo Valio? Chi si aspettava qualcosa di brillante da Avel Domar? Perché?
Non riuscii a raccapezzarmi tra quelle domande. Pensai, per la prima volta, di aver trascurato qualcosa. Forse avevo frainteso. Forse avevo sbagliato. Era un pensiero stranamente confortante, come se d’un tratto fosse legittimo anche per me immaginare qualcosa di diverso, lontano dal ruolo in cui mia madre mi aveva gettato.
Non trascorse molto tempo che anche Hud Calz rientrò nell’aula. Riafferrò la sua scopa e si mise a spazzare un angolo cercando di nascondersi dalla nostra vista, soprattutto dalla mia. Aveva gli occhi arrossati e le labbra strette per lo sforzo di trattenere le proprie emozioni.
Non era difficile comprendere avesse pianto e le sue lacrime di rabbia erano scese per il destino che Avel Domar aveva scelto. Per la prima volta doveva essersi sentito colpevole. Forse aveva rinnegato una ad una le proprie crudeli parole tanto da rimpiangere qualsiasi cosa fosse successa tra noi prima di quel momento. Forse mi aveva visto per la prima volta simile a lui, con un cuore, delle paure e delle opportunità.


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Grazie per aver letto anche questo nuovo capitolo. Spero ti sia piaciuto e che tu voglia continuare a seguire questa storia. L'Ultima Separazione è ormai arrivata!
Iwon Lyme

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Capitolo 3
*** L'Ultima Separazione ***


 
3 - L'Ultima Separazione
 
Il giorno del Test piombò sui diciassettenni del Liceo Est alla periferia di Numalia così come ci si aspetterebbe dall’evento più eccezionale delle loro vite di Marginati. La Commissione del Cerchio si presentò alla scuola alle otto del mattino a bordo di nere auto lucide. Si riunì nella sala, che io ed i miei compagni avevamo predisposto, intenti ad organizzare il Test. Gli studenti avevano l’ordine di presentarsi nelle aule prima delle nove e mezza del mattino, orario in cui avrebbe avuto inizio l’Ultima Separazione. I professori erano stati molto chiari: non doveva esserci alcun tipo di errore, la reputazione dell’intera scuola era in gioco.
Era così in ogni situazione ufficiale che il Cerchio teneva. Sebbene vi fossero sparsi membri dell’Organizzazione un po’ ovunque, dediti al mantenimento dell’ordine quotidiano in ogni angolo di Ultar, non appena si parlava di Ufficiali tutti impazzivano. Solo i migliori tra la Gente del Vuoto potevano aspirare ad alte cariche e questo si rifletteva nel rispetto che la popolazione aveva per ognuno di loro.
L’Ultima Separazione, a differenza delle precedenti, vedeva la presenza del Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. Essendo obbligatoria per ogni abitante di Ultar, qualsiasi fosse il suo legame con il Vuoto, la rendeva l’occasione perfetta per ostentare tutta l’importanza e la disciplina dei Numerati, gli Agenti racchiusi nel Cerchio.
Quella mattina non fu diversa dalle altre che trascorsi nella Periferia Est di Numalia. Sulla strada verso il Liceo trovai Kemar, e, così come avveniva in alcune sfortunate giornate, camminammo fino al cancello dell’edificio scolastico insieme. Eravamo in un rincuorante anticipo, quel tanto da permetterci una leggera attesa nelle aule preparate per noi.
– Vedremo i baffetti di Valio vibrare tutto il giorno oggi. – Ridacchiò Kemar pensando al professore agitato ed affannato per fare bella figura con quelli del Cerchio. Notai dal confronto tra Kemar e me che io ero un poco agitato. Era strano, ma la tensione era cresciuta d’improvviso sulla strada verso la scuola. – Non vedo l’ora che tutto questo sia finito, almeno poi potremo pensare al diploma.
– Non sei un po’ curioso di sapere in cosa consista il Test? – Domandai. In quei giorni mi ero ritrovato a fare qualche ipotesi, ma in maniera sommaria, come prima di fare una visita medica.
– Non molto. Perché tu sei agitato?
Non risposi, pareva assurdo anche a me fosse così. – Ho sentito dire che dieci anni fa è stato registrato un Rientrato qui al Liceo Est.
– Ho sentito anche io, ma mia madre non si ricorda minimamente della cosa. Credo sia una frottola bella e buona. – Rispose Kemar. – Chissà, magari il nostro Calz spezzerà la sfortunata catena nefasta del nostro Liceo!
– Credo sia l’unico ad avere qualche speranza. – Sospirai.
– Tanta fatica per nulla, credo io. – Borbottò Kemar.
Accompagnati da queste semplici chiacchiere, arrivammo alla scuola. Fuori dall’ingresso erano sistemate due auto nere. Il cancello era aperto e si vedevano almeno altre tre autovetture nel cortile della scuola, ripulito e sistemato da alcuni alunni di un’altra sezione. Davanti all’entrata trovammo due Numerati stretti nella loro scura divisa che accompagnavano uno dei professori del nostro Liceo. – Recatevi nell’aula adibita durante le preparazioni e prendete posto. Verrete chiamati in ordine alfabetico. – Ripeteva meccanicamente il docente. Era teso e cercava di scandire con precisione le parole terrorizzato dall’impappinarsi.
Seguimmo la massa. Con disciplina gli studenti si posizionavano nell’aula sistemata per la loro classe. Kemar fu raggiunto da alcuni suoi amici e ci separammo per un tratto arrivando comunque a destinazione più o meno nello stesso momento. Ogni alunno doveva prendere posto su una sedia che portava il suo nome. Tutte le sedute erano già state sistemate in ordine alfabetico, schierate in alcune file al centro dell’aula, così da rendere l’appello molto più veloce ed ordinato.
L’aula preparata per la mia classe era la prima del lungo corridoio. Vi entrai. Avel Domar era seduto accanto a Hud Calz con i suoi capelli castani tirati indietro con del gel, già rigidamente in attesa del suo turno. L’agitazione tendeva ogni muscolo del suo viso in una seria espressione di riflessione. Aveva molto in gioco, tutte le aspettative della sua famiglia dipendevano dal risultato di quel giorno. Lui era il più preoccupato di tutta la nostra classe.
– Sei arrivato presto? – Domandai. Forse, se avesse parlato un po’, si sarebbe sciolto.
– Sto cercando di concentrarmi, Domar, lasciami stare. – Rispose acidamente.
– Sai da quale classe cominceranno? – Chiesi. Sicuramente lui sarebbe stato informato in merito.
– Ho sentito inizieranno dalla nostra. – Sillabò lasciandosi sfuggire tutta la sua ansia. Mi limitai a pensare Lida sarebbe stata felice di tornare a casa presto e non disturbai oltre Hud Calz. Lo lasciai attendere in silenzio fino al momento fosse pronunciato il suo nome, poco prima del mio.
Osservai l’ingresso rigoroso e controllato del resto dei miei compagni. Tutti avevano, chi più chi meno, una stretta a occludergli la gola. Le divise, così come le loro chiome, non erano mai state così ordinate. La soggezione: ecco cosa spingeva tutti a quel comportamento esemplare.
Nel giro di pochi minuti la classe fu al completo. Nessuno era in ritardo. Alle nove e mezza il Cerchio avrebbe potuto cominciare.
Rivolsi un debole sguardo a Kemar che fingeva di essersi appisolato sulla sedia per far ridere alcuni suoi amici. A lui importava ben poco del Test, ma così non era per la maggior parte degli alunni raccolti lì. In tutta la scuola vi era un denso silenzio, la stessa tensione precedente alla consegna di un esame, prima della scoperta di un voto, prima di sapere se qualcuno avrebbe passato la Separazione.
Lentamente l’agitazione riuscì ad insinuarsi maggiormente dentro di me. L’aria che si respirava insieme alla presenza di Numerati all’ingresso, alle istruzioni rigide, al silenzio … tutti quei dettagli riuscirono a mettermi in subbuglio lo stomaco. Cominciai ad avvertire l’unicità di quell’evento insieme alla serietà richiesta ad ognuno di noi nello svolgere il Test. Non era un semplice esame, era un tassello fondamentale di Ultar e noi eravamo chiamati a prendervi parte come persone di quella Società. Non eravamo più bambini, da quel giorno saremmo stati valutati per quello che potevamo dare, Ultar lì a raccogliere gli esiti del proprio investimento.
Furono i passi dal corridoio a farmi stringere le dita tra loro ed iniziare a sudare freddo. Eravamo la prima classe che avrebbe affrontato l’Ultima Separazione. Avrebbero cominciato proprio da noi e non avremmo avuto nemmeno un minuto per rilassarci. Erano gli stivali di Numerati quelli che si muovevano sulle piastrelle del Liceo Est.
La porta dell’aula permise l’ingresso di tre uomini. Due Numerati indossavano le divise scure tipiche dell’Organizzazione composte da una giacca lunga fino alle ginocchia con bordature argentate. Sotto di essa, una maglia in cotone nera arrivava a girargli intorno al collo. Le gambe erano strette in pantaloni affusolati, perfettamente stirati.
Il terzo uomo, invece, era chiaramente un Ufficiale. Aveva una divisa simile, ma la sua giacca era grigia, non nera, con bordature scure e sul capo portava un cappello con visiera di un rosso folgorante. Appuntato al centro del cappello c’era un medaglione sul quale non riuscii a leggervi nulla dal mio posto. Tutto ciò che notai sbucare da sotto il suo cappello era il suo algido viso, con un’espressione raggelante e due occhi ferocemente azzurri.
L’Ufficiale si sistemò dietro la cattedra e i due Numerati ai suoi lati, vicini alla lavagna. Si preparava a fornirci tutte le istruzioni necessarie.
– Buongiorno, studenti del Liceo Est di Numalia, io sono Lucar Moravis, Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. Sarò io a tenere le vostre interviste prima del Test. – Si presentò con voce risoluta. – Provvederò ad illustrarvi brevemente le regole che dovranno essere rispettate durante lo svolgimento dell’Esame. Qualsiasi trasgressione verrà severamente punita, dunque pretendo da voi la massima serietà in merito. Questa è un’operazione di Ultar e come tale dovrete trattarla.
Si mosse leggermente più avanti facendoci trattenere il fiato. – Il Test si svolgerà in questo modo. Per prima cosa verrete chiamati dagli Agenti alle mie spalle. Uno alla volta verrete condotti nell’aula dove si terrà un breve colloquio. Vi porrò alcune domande. Non vi è consentito mentire e, qualora lo facciate, ne pagherete tutte le conseguenze. – Si portò una mano dietro la schiena. – A seguito di questo verrete condotti nella stanza del Test vero e proprio. Lì incontrerete l’Esaminatore. Sarà lui a fornirvi direttamente il resto delle indicazioni.
– La spiegazione della Separazione sarà molto semplice. Nel caso il Test sarà da ritenersi superato noi ne saremo consapevoli. Siamo noi a decidere se l’esame abbia esito positivo o negativo, è impossibile per voi fingere o imbrogliare. Questo deve esservi molto chiaro. Non vi saranno contestazioni di alcun tipo in merito né molteplici tentativi. – Avvisò come se fosse abituato a fastidiosi piagnistei.
– Quello che potrebbe succedere durante il Test si divide in due opzioni. – Continuò sollevando due dita. Aveva le mani avvolte da guanti scuri. – La prima opzione è che non vi succeda nulla. Entrerete nella stanza del Test e uscirete da essa senza che abbiate percepito alcunché di strano. La seconda opzione è che percepiate qualcosa. Qualsiasi cosa sentirete o percepirete è estremamente importante voi non la condividiate con nessuno. Quello che proverete durante il Test è per voi soli.
– Nel caso qualcuno superasse la Separazione vi sarà spiegato il seguito. Detto questo, con ordine, possiamo cominciare. – Concluse. Non fu dato il permesso di fare alcuna domanda. Il Sovrintendente prese la porta senza perdere altro tempo. Ci lasciò avvolti da una nube di gelido terrore. Nessuno sarebbe volentieri andato per primo a parlare con quell’uomo, ma la capolista veniva già individuata dai suoi sottoposti.
Uno dei due Numerati si fece avanti. Sulla cattedra era stato posto il registro della classe. Lo aprì. – Alai Dana, lei sarà la prima. La prego di alzarsi. Uno di noi la scorterà dal Sovrintendente. – Dana, tesa come una corda, si sollevò dalla sedia.
La fecero attendere solo alcuni istanti e quindi il secondo Numerato si fece avanti. – Prego, mi segua. – Ordinò. La prima di noi uscì marciando rigidamente dietro all’Agente del Cerchio.
Lo svolgersi del Test, che a parole poteva sembrare lungo e dispersivo, si concludeva in pochi istanti. Nel giro di cinque minuti veniva chiamato lo studente successivo. Uno dopo l’altro i componenti della classe sostennero il Test e lo fallirono. Questo poté abbassare la mia ansia, ma aumentò di contrappeso quella del mio vicino di sedia. Quando chiamarono la persona prima di Hud Calz, la sua tensione schizzò alle stelle. Stringeva tra loro le mani e si tormentava il labbro ragionando su qualcosa che io non potevo comprendere. Di certo, avendo già sostenuto per due volte quella prova, aveva molto su cui riflettere.
Arrivò il suo turno e Hud Calz, consapevole quella fosse la sua ultima possibilità per riuscire, si alzò dalla sedia. Si sistemò composto, con la sua divisa in ordine e perfettamente pulita, i suoi capelli ben acconciati e il suo rotondo viso in attesa degli ordini. Aveva determinazione mista a paura negli occhi. Seguì rigidamente il Numerato verso il proprio destino quando questo gliene diede il permesso.
La visione di Calz così agitato mi turbò. L’attesa divenne snervante. Sentivo lo stomaco contorcersi all’idea avrebbero pronunciato il mio nome dopo il suo. Mi tirai più dritto sulla sedia cercando di tornare calmo. L’ostacolo più grande ai miei occhi era l’incontro con il Sovrintendente, quello che avrebbe detto trovandosi davanti il mio modulo compilato a metà.
Quando venni chiamato dubitai di riuscire a reggermi in piedi. Una volta sollevatomi dalla sedia, però, mi trovai stranamente lucido. Subentrò uno spirito di sopravvivenza che non sapevo di possedere. Ritrovai il sangue freddo. Fui pronto ad affrontare il Test.
– Prego, Avel Domar, da questa parte. – Indicò il Numerato che dovevo seguire fuori dall’aula. Camminai, un metro dietro i suoi stivali lucidi, fino alla classe che io e gli altri avevamo sistemato. – Prego. – Mi fece cenno di entrare.
– Grazie. – Risposi.
Non appena superai la porta la voce di Lucar Moravis mi istruì: – Si sistemi sul simbolo disegnato sul pavimento.
A terra, tracciato al centro del ferro di cavallo formato dai tavoli, c’era un cerchio di colore nero. Dovevano averlo disegnato i Numerati, dato che il giorno prima non c’era. Il Sovrintendente era seduto al banco esattamente davanti a quel simbolo. Titubante mi sistemai nel cerchio in attesa delle domande che il Numerato mi avrebbe rivolto. Non tardarono ad arrivare.
– Lei è Avel Domar?
– Sì, signore. – Replicai. Certo la condizione in cui venivi messo era ben intimidatoria: da solo, con i piedi dentro un dannatissimo cerchio e davanti un importante Ufficiale del Cerchio intento ad interrogarti. Dubitavo vi fosse un diciassettenne in grado di mentire apertamente in quella situazione. Io faticavo perfino a parlare a voce alta.
– A quanto vedo è lo studente con il miglior punteggio dell’ultimo anno. – Commentò l’uomo. Aveva poggiato il suo capello rosso accanto a sé rivelando dei brillanti capelli biondi. I suoi occhi azzurri erano assorti nelle lettere dei fogli che consultava. La testa la teneva stancamente appoggiata alla mano sinistra avvolta ancora nei guanti neri. – Desidera fare domanda per le selezioni del Cerchio? – Chiese sollevando il suo sguardo su di me. Non mi aveva guardato, non fino a quel momento e nulla della mia persona parve destare stupore in lui. Mi osservava come fossi uno qualunque e questo non poté che incuriosirmi.
– No, signore. – Replicai sinteticamente. La mia lingua era diventata secca d’improvviso.
– Capisco. – Disse debolmente l’Ufficiale. Sollevò ancora qualche carta. – Vedo che non conosce l’identità di suo padre, è corretto?
– Corretto.
– Mentre sua madre risulta … deceduta. – Aggiunse senza l’ombra del minimo tatto.
– Mio zio ha chiesto venisse dichiarata morta dato che nessuno ha sue notizie da quindici anni. – Spiegai. Non desideravo che l’imprecisione in merito venisse interpretata come una bugia.
– Vedo che la famiglia di sua madre è estranea al Vuoto. – Commentò l’ufficiale proseguendo senza scomporsi. Sospirò. – Immagino che, viste le circostanze di sua madre, non si possa sapere nulla riguardo all’altro ramo della sua famiglia.
– Io credo …
– D’accordo. È tutto. – Mi interruppe. – Può procedere al Test. Esca, un Numerato la guiderà nell’aula per la Separazione.
Avevamo già finito? Sembrava mi fossi preoccupato per nulla. – Grazie, Sovrintendente. – Dissi pronto a uscire dalla classe.
– Avel Domar. – Mi fermò Moravis. Mi voltai nuovamente verso di lui. – È mio compito correggere i comportamenti sbagliati. Non credo di aver detto qualcosa per cui lei debba ringraziarmi. – L’Ufficiale si raddrizzò sulla sedia sollevando la testa e richiudendo il fascicolo davanti a sé. – Detto questo, spero di averla corretta. Può andare.
Senza avere il coraggio di dire alcunché davanti al suo fastidio, mi portai fuori dall’aula. – Prego, di qua. – Mi invitò un altro Numerato all’esterno. – Non sia agitato, sarà solo questione di qualche attimo. – Mi confortò, ma dopo le parole scambiate con Moravis ero troppo teso anche solo per sillabare un consenso. Certo il Sovrintendente non era riuscito per niente a mettermi a mio agio, era sciocco illudersi quello fosse il suo scopo.
Con la mente piena di quell’ultima scena mi ritrovai davanti alla porta del Test. Il Numerato la spalancò e mi fece cenno di procedere all’interno. Seguii le sue indicazioni.
– Avel Domar? – Domandò un ennesimo Agente in piedi nell’aula. La stanza era completamente vuota, erano stati tolti banchi e sedie. Perfino le mensole e gli armadi erano stati svitati e portati fuori. Dentro l’aula del Test c’era solo un Numerato dalla divisa grigia, senza cappello, circondato da finestre chiuse con le persiane serrate.
– Sì. – Mormorai confermando il mio nome.
– Non avere alcun timore. Tutto finirà molto velocemente. – Mi rassicurò il secondo Ufficiale incontrato quella mattina. Era un uomo di mezza età dai lunghi capelli scuri e un poco spettinati. Aveva un viso gentile, ma nel petto mi parve come di percepire non avesse buone intenzioni. Mi sentivo minacciato da lui, il perché stentavo a comprenderlo. Ero bombardato da tante emozioni. Non ero in grado di decifrarne con precisione nemmeno una.
– Ora procederò a darti le istruzioni. Per qualsiasi perplessità chiedi pure. – Iniziò. – Questo è quello che farò: mi scoprirò il braccio e conterò fino a tre. Quando lo coprirò nuovamente il Test sarà concluso. Tutto chiaro?
– Chiaro, signore. – Replicai deglutendo un poco di saliva. A quella conferma la porta fu chiusa e serrata dall’esterno con un sinistro scatto. Ero intrappolato lì dentro.
– Allora posso cominciare. – Espose subito dopo l’Esaminatore. Tutto era così veloce tanto da non permettermi di realizzare alcunché.
Slacciò il polsino della giacca che portava. La sollevò fino al gomito e poi, proprio prima che mostrasse il braccio, tutto intorno a me divenne buio. Cosa stava succedendo?
– Uno. – Udii spargersi nell’oscurità. La voce dell’Esaminatore si diffuse nello spazio e mi parve di vederne la forma. Fu solo per qualche istante. Quella si spense quasi immediatamente, divenne lontana. Al suo posto, però, prese vita un latrato spaventoso che riempì il più denso silenzio avessi mai udito occludermi le orecchie. Un ringhio intenso, una minaccia, qualcosa voleva farmi del male. Mi sentivo sotto attacco e non potevo che guardarmi attorno sperando di scorgere qualcosa nell’intenso buio che mi circondava da ogni parte.
Il ringhio prese ad abbaiare. Il terribile verso cercava di pronunciare qualcosa, ma non poteva che produrre suoni sconnessi. Non era in grado di articolare nella lingua di un uomo. Era chiaro che quello che sentivo non aveva origine umana.
Una violenta luce mi accecò improvvisamente. Un giallo pallido tanto famigliare da farmi tremare lo stomaco. Una verde coperta si sollevò sopra di me, mi sommerse. Mi tirai indietro, chiusi gli occhi davanti a quella vista. Era il mio ricordo più caro, il più bello e l’unico che possedessi di mia madre. Era qualcosa che per me aveva quasi una valenza sacra e, insieme a quel demoniaco suono, non potevo che temere quella memoria venisse profanata.
Mostro … – Rantolò una voce vicino al mio orecchio sollevandomi tutti i peli delle braccia con un unico brivido. Il ringhio era diventato più simile ad una voce, ma non potevo ingannarmi, era proprio quella cosa che parlava. – Un debole mostro.
Mi rigirai cercando di comprendere la sorgente di quel suono. Un’ombra si scagliò verso il mio viso e sentii dei graffi, delle unghie aguzze colpirmi. Mi ferì all’occhio destro ed oscillai indietro. Mi riparai con le braccia.
Le immagini, intanto, prendevano più volume e forma. I capelli di mia madre, così simili alle albicocche mature. La sua mano. Il calore. Un insieme di emozioni mi tormentava. Il luccichio della sua collana oscillò davanti a me.
Quel ricordo così simile ad un balsamo era volto in tortura mentre l’ignoto si espandeva implacabile. Cosa succedeva? Dove mi trovavo?
Hai paura? Se hai paura non potrai mai raggiungerla. – Gracchiò ancora la voce. – Accetta la tua natura e ti porterò ovunque il tuo cuore desideri.
– Tre. – Esplose la voce dell’Esaminatore nella visione. Riemersi con forza dalle immagini e dalle sensazioni. Senza capire cosa avvenisse al mio corpo mi trovai con le ginocchia a terra. Un enorme senso di nausea mi strinse lo stomaco. Ebbi un forte conato a vuoto e cercai di trattenermi dall’averne un secondo. Mi piegai in avanti a quattro zampe e con le dita tremanti mi toccai l’occhio per scoprire che, sebbene pulsasse, fosse totalmente sano. Strinsi le mani al pavimento riprendendo fiato.
– Come ti senti, ragazzo? – Domandò l’Esaminatore chinandosi su di me. Il suo tono di voce era concitato. Fece per toccarmi, ma si rizzò in piedi. Bussò con forza alla porta. – Chiamate Moravis! Chiamatelo subito! – Ordinò all’esterno.
La serratura scattò rumorosamente. Sentii i passi del Numerato correre a chiamare l’Ufficiale. Non ci vollero che pochi istanti a Lucar Moravis per piombare nella classe del Test. Si chinò vicino a me. Ero ancora scosso dal senso di vomito. – Avel Domar, come ti senti? – Domandò iniziando a sfilarsi un guanto. – Avel Domar, rispondi. – Chiese ancora.
– O parlo o tento di non vomitare. – Sillabai premendo la lingua contro i denti.
La mano di Moravis si poggiò sulla mia fronte indelicatamente. – Si è alzata la febbre. Facciamo in modo di farlo stendere. Chiama il medico dell’istituto. – Ordinò voltandosi verso un Numerato dietro di lui. – Ottimo autocontrollo, ragazzo. – Commentò alzandosi in piedi e rimettendosi il guanto.
L’Esaminatore si sporse su di me e mi aiutò a rimettermi in piedi. Mi girò forte la testa e chinai il capo mentre la lingua si muoveva al senso di rigetto. Comunque tenni salde le gambe senza cadere per le vertigli.
– Riesce anche a reggersi in piedi. Forse basterà farlo stare comodo qualche ora. – Si compiacque Moravis insieme all’uomo che mi reggeva.
– Io … Io ho visto … Cosa è … – Strinsi una mano sul viso. – Il buio e … – Balbettai cercando di togliere quelle folli immagini dalla mia testa.
Il Sovrintendente mi afferrò una spalla e mi scosse bruscamente. – Ricorda le regole del Test. – Mi fermò. – Non parlerai con nessuno di quello che hai visto oggi, sono stato chiaro? – Ripeté severamente. – Per il tuo bene sarà opportuno te ne ricordi. – Moravis si avvicinò ancora e mi sollevò il viso fino a guardarmi dritto negli occhi. – Se non fosse ancora sufficientemente palese, Avel Domar, tu risulti essere un’Anomalia. Benvenuto tra la Gente del Vuoto.


Fui condotto, ancora totalmente in stato confusionale, al piano terra, nell’infermeria. L’Esaminatore venne con me e il Test fu brevemente sospeso. Mi provarono la temperatura, la pressione e si accertarono del mio stato di salute, dei miei riflessi. Quando il Numerato disse che non vi era alcun pericolo, tornò nella sala della Separazione e l’iter riprese secondo le regole.
Con me restò un Agente e il medico della scuola. Mi fu ordinato di restare sdraiato. Mi dissero che avrei potuto vomitare, che la febbre sarebbe perfino durata qualche giorno. Mi consigliarono di dormire. Probabilmente mi sentivo stanco.
Stanco? No, non era così. Nella mia mente quello che era appena successo era tanto assurdo da avermi lasciato senza il minimo pensiero. Avevo la testa ovattata. Era come se d’un tratto fossi stato trasportato in corpo che non era il mio ed io non fossi più Avel Domar. Qualcun altro aveva superato il Test e assurdamente mi trovavo nei suoi panni.
Senza riuscire a formulare una decisione di senso compiuto, cercai di seguire le loro disposizioni. Non fu facile rilassarsi avendo i loro occhi addosso. Non mi lasciarono nemmeno per un istante. Se il Numerato usciva un altro si sostituiva velocemente a lui. Il medico, poi, era rigidamente incollato alla sedia. Il mio corpo, così come prevedeva la Legge, fu posto sotto la protezione del Cerchio.
Quando il senso di vomito scomparve era trascorsa circa un’ora e dopo poco mi trovai addormentato. Caddi in un apatico limbo, in quei sonni di cui non si ricorda nulla e ci si risveglia dopo pochi istanti.
Avel Domar era un’Anomalia. Il ragazzo senza genitori era entrato di diritto nella società della Gente del Vuoto. Quel pensiero tormentò i miei sogni. Mi agitai senza riuscire a comprendere cosa sarebbe successo da quel momento in avanti. Credo sudai, forse percorso dai brividi della febbre. Percepii il tempo scorrermi addosso in un lampo mentre nel nero delle palpebre temevo un’ignota voce.
Fui risvegliato dal medico, dietro di lui torreggiava l’algida figura di Lucar Moravis. Avevo un mezzo spavento bloccato in gola, ma la mia mente era tornata lucida. Ripresi a ragionare. Calzai le mani e i piedi e ripresi il controllo dei miei organi vitali.
I Test erano sicuramente terminati, la sera entrava dalle finestre dell’infermeria. Avevo dormito per diverse ore. Il Sovrintendente doveva essere venuto per illustrarmi con più dovizia di particolari l’inatteso futuro che mi avrebbe riguardato da quel momento in avanti. Così aveva annunciato sarebbe successo quella stessa mattina.
– Prego, gli prenda la temperatura. – Ordinò l’Ufficiale all’infermiere mentre si slacciava i bottoni della sua giacca grigia. Aveva appoggiato il proprio cappello su una seda accanto al lettino da me occupato. Il viso suo viso era stanco e svogliato.
– Come ti senti? – Domandò il dottore avvicinandosi con il termometro.
– Sto bene. Il senso di vomito è scomparso. – Spiegai.
– Anche la febbre si è abbassata. – Commentò leggendo il numero.
– Non ha più la febbre? – Si inserì Moravis nella conversazione.
– Sì, signore. – Replicò in un sussulto l’uomo.
– Bene, allora può lasciarci soli. – Gli ordinò l’Ufficiale. Il sanitario obbedì alle indicazioni e uscì seguito dal Numerato che mi aveva sorvegliato fino a quel momento. Moravis si sfilò la giacca e la poggiò sulla sedia – Sei fortunato, ad alcuni servono un paio di giorni prima che si abbassi. – Commentò. – Immagino tu abbia molte domande, ma per ora ti spiegherò cosa succederà da questo momento in poi. Il resto dovrà attendere. – Cominciò con il suo tono calmo ma che non ammetteva repliche.
– Dato che ti sei ripreso in fretta non dovremo attendere molto, potremo svolgere tutto questa sera. Ti porteremo a casa tua. Potrai preparare un bagaglio mediamente grande con i tuoi effetti personali. Saluterai la tua famiglia e i tuoi amici e verrai condotto all’Accademia di Numalia. Lì ti verrà dato un numero di Matricola. Da domani farai parte della Gente del Vuoto e seguirai l’addestramento riservato a tutti loro. Sosterrai il diploma, così come avresti dovuto fare nella tua scuola e, a seguito di questo, potrai scegliere se diventare un Tesserato o un Numerato.
– La prego, rallenti. – Lo interruppi mentre quella serie di informazioni si accavallava nella mia testa. – Dovrò lasciare casa mia questa sera?
– Preparerai il bagaglio e partiremo appena avrai finito. – Replicò Moravis.
– Ma … perché? – Chiesi totalmente impreparato a quel veloce volgersi degli eventi. Non avevo nemmeno compreso chiaramente cosa fosse successo e dovevo abbandonare la mia casa?
– Perché è necessario tu venga registrato il prima possibile. Ti deve essere assegnato un numero dal momento che rientri a tutti gli effetti tra la Gente del Vuoto. Questo deve succedere prima di settantadue ore dalla scoperta del tuo potere, così dice la Legge. – Illustrò l’Ufficiale. – Nostro è il compito di portare a termine questo aspetto, dunque non vi saranno ritardi. Se fossi stato ancora male sarebbe stato un altro discorso, ma sei ben in grado di prendere le tue cose e seguirci in Accademia.
– Dunque verrò registrato come … Gente del Vuoto?
– Certamente, hai superato la Separazione. – Replico con tono d’ovvio. – Come dicevo, ti verrà dato un numero di Matricola con cui entrerai a far parte dell’Accademia. Gli studenti di Vuoto che ancora non hanno deciso come impiegheranno il loro potenziale devono essere istruiti. Le varie opzioni ti verranno illustrate una volta giunto all’Accademia, ma per il momento ti basti sapere che, a seguito del diploma e di un periodo di apprendistato, potrai decidere se entrare a far parte del Cerchio oppure diventare un Tesserato.
– E sono obbligato a seguirvi in Accademia? – Non ero sicuro di voler far parte della Gente del Vuoto, se ci fosse stata un’alternativa l’avrei felicemente accolta.
– Coloro che non vengono numerati sono fuorilegge, gli Esterni. È un crimine per la Gente del Vuoto non possedere un numero, quindi sì, sei obbligato a riceverlo e a frequentare l’Accademia. – Replicò perentorio. – Però tu sei un’Anomalia. Tua madre non ha alcuna famigliarità con il Vuoto e questo diminuisce di molto il tuo Potenziale. È certo tu abbia ereditato il potere dal tuo ignoto padre. Solitamente le Anomalie con un solo genitore legato al Vuoto sono molto rare e piuttosto deboli. Quale sia l’entità del tuo potere, però, lo comprenderai meglio seguendo le lezioni a riguardo.
– In base al tuo potenziale potrai accedere a diversi tipi di impiego. Se lo desideri la tua vita non cambierà molto rispetto al futuro che avevi immaginato qui. Anche la Gente del Vuoto ricopre lavori normali, come i Marginati. Potrai proseguire i tuoi studi come Tesserato e trovare un buon impiego nella Società. L’unica differenza sarà la tua appartenenza alla Gente del Vuoto. – Illustrò Moravis.
– Potrò tornare qui in periferia una volta ricevuto il mio numero? – Domandai. Non credevo avrei vissuto la stessa vita di prima dopo quel giorno, ma speravo di non dover per forza seguire una strada a me sgradita, un percorso obbligato che gente del Cerchio o del Vuoto avrebbe deciso per me. Il tranquillo futuro che avevo in mente era in pericolo.
– La Gente del Vuoto ha dei doveri, Domar. Puoi fare ciò che desideri, ma il tuo potere non può andare perduto. La Società desidera tenerne traccia e usarlo nel migliore dei modi. – Spiegò il soldato. – È per via del tuo tutore che desideri restare qui? – Domandò sedendosi al bordo del mio letto.
– Mio zio? Lui se la caverebbe anche senza di me, ma …
– Il tuo professore, Valio, è venuto a parlarmi dopo il tuo Test. – Proseguì l’Ufficiale interrompendo le mie parole. – Ha detto che nell’ultimo periodo hai riflettuto molto sull’iscrizione al Cerchio. Dice che vi hai rinunciato per restare accanto al tuo tutore. Certo i tuoi risultati potevano porti in una posizione privilegiata per l’accesso alle borse di studio per i Marginati, ma ora, come Anomalia, tu hai il diritto di essere parte del Cerchio. Potresti vedere l’evento come l’esaudirsi dei tuoi desideri.
I miei desideri? – Boccheggiai attonito dalla lingua lunga di Guram Valio. Non avrei favorito quel genere di fraintendimento. – Ricorda, Sovrintendente, prima del Test lei ha detto di non mentirle per alcuna ragione.
– Certo, lo ricordo. – Replicò stringendo le sue dita guantate tra loro.
– Lei mi ha chiesto se fosse mio desiderio essere parte del Cerchio ed io le ho risposto di no. Non le ho mentito. Non ho alcun desiderio di diventare uno del Cerchio. Le aspirazioni del professor Valio sono solo sue. – Replicai nel modo più gentile che riuscii a trovare. – Sono stato un’anomalia fin da quando sono nato, l’unica cosa che desidero è non esserlo.
Lucar Moravis si raddrizzò sul lettino ed incrociò le gambe avvolte nella sua lucida divisa. – Capisco. – Commentò rigidamente. – Allora, dato che tu sei stato così onesto, lo sarò anche io. – Aggiunse. – Essere un’Anomalia, con le tue origini, inoltre, ti porrà sicuramente in una situazione di svantaggio. Non avrai il potere per competere con la comune Gente del Vuoto, ma dovrai comunque fare parte di questa Società e seguirne le leggi. Il nostro mondo è basato sulla Familiarità e sulla discendenza, non è difficile credere sarai visto come l’ultimo tra gli ultimi.
– Quello che puoi fare è presto detto. Rispetta le regole. Renditi parte della Società. I tuoi voti manifestano tu abbia la capacità per riuscirci. Se prima di oggi non era tuo desiderio fare parte del Cerchio, ti consiglio di pensarci nuovamente. Questo ti darebbe il prestigio che la tua nascita ti ha sottratto. – Si alzò pronto a rimettersi la divisa.
– Ho mandato due Numerati al tuo indirizzo. Il tuo tutore è stato informato sull’esito del Test. Gli stiamo facendo alcune domande in merito a tua madre. – Spiegò infilando le maniche e riallacciando i bottoni. – Non appena il Professor Kynam darà il suo consenso potremo andare.
– Professor Kynam? – Domandai.
– Il Numerato che ha tenuto il tuo esame è un Professore dell’Accademia. Lo conoscerai meglio con il tempo. – Prese il cappello in mano e si voltò per rivolgermi una singola breve occhiata. Aveva l’espressione di chi ti ha dedicato tutto il tempo che desidera perdere con te. Non era la prima volta che vedevo quegli occhi e mi fu chiaro come Moravis avesse parlato con me per semplice e raggelante dovere. Quello era il suo ruolo, ma lui stesso, a volte, non lo sopportava. Doveva certamente essere una di quelle volte.
Uscì senza aggiungere nient’altro. Non mi chiese se avessi delle perplessità. Tutte le domande che avevo avuto in animo di fare morirono sul retro della mia gola. Ero in baia degli ordini, comprenderli non era esplicitamente richiesto.
Tuttavia non restai solo a lungo. Subito dopo l’uscita di scena del Sovrintendente, entrò l’uomo del Test, il Professore di nome Kynam. Portava con sé alcuni abiti e li sistemò su un tavolo dell’infermeria. – Intensa chiacchierata, eh? – Sorrise gentile. Lui era molto più abituato di Moravis a gestire gli studenti. – Vuoi provare ad alzarti in piedi? – Domandò avvicinandosi e porgendomi una mano.
– Grazie, credo di riuscirci da solo. – Risposi portando i piedi fuori dal letto.
– Non devi sforzarti. – Mi rassicurò.
Pensai che forse a lui avrei potuto chiedere. – Durante il Test, cosa ha fatto? – Domandai sollevando i miei occhi su di lui. Avevo così scarse informazioni riguardo al potere che teoricamente possedevo. Dovevo saperne di più. Conoscere “il nemico”.
– Ti ho esposto. – Spiegò banalmente. Il suo sguardo si colmò di una certa pietà. Era rammaricato per la mia situazione, ma delle sue preoccupazioni mi importava poco, potevano solo rendermi più inquieto sul futuro che mi attendeva. – Quello che ho fatto è stato aprire il Vuoto davanti a te.
– Semplicemente questo? – Insistetti.
– Se vuoi metterla in questo modo … Sì, semplicemente questo. – Proseguì. Si avvicinò ancora per darmi una mano a sollevarmi in piedi, ma non l’accettai. Mi alzai da solo e lui ne parve colpito. – La prima volta che si viene esposti al Vuoto, è così che si manifestano i poteri. Ognuno percepisce qualcosa di diverso e quello che si vede è un segreto da custodire gelosamente. – Spiegò.
– Perché un segreto?
– Perché in quello che si vede e si sente è celata la forza e la debolezza del potere che si possiede. Ognuno ha una diversa attitudine. Sfrutta il Vuoto in modo singolare o quasi. Ci sono delle Nature Ancestrali, ma lascerò le lezioni per l’Accademia. – Continuò. – Soprattutto la prima parola che si sente nel Vuoto, quella devi ricordarla e mai condividerla. Essa è la natura più intima del tuo potere.
Kynam si voltò verso il tavolo dell’infermeria dove aveva lasciato i panni. Li prese e me li porse. – Ecco, ora cambiati con questi.
– Cambiarmi? – Domandai. Lo trovavo superfluo dato che indossavo la divisa della scuola.
– Moravis deve essersi dimenticato di alcuni dettagli. – Sospirò. – Ti ha detto che ora andremo a casa tua per recuperare le tue cose?
– Sì, l’ha detto.
– Puoi portare con te quello che desideri all’Accademia, tutto, tranne i vestiti. Da oggi indosserai gli abiti del Cerchio, questo fino a quando non supererai il periodo da Matricola. – Spiegò. – Ora cambiati. Ti attendo fuori dato che riesci a stare in piedi così bene. – Poggiò i vestiti sul lettino e tornò all’esterno.
Di primo impatto trovai fosse una scelta curiosa farmi cambiare gli abiti, ora credo sia totalmente scontata. Quello che il Cerchio desiderava era che ogni Matricola si ritenesse parte di loro, partecipe alla Società e sottostante alla Legge. Indossare unicamente i vestiti del Cerchio era simbolo di quella appartenenza e di quella sottomissione. Un altro modo individuato dall’Organizzazione per attuare il controllo e imbastire il senso di elitarismo. Poter infilare quegli abiti per me fu senza molta importanza, per alcuni era una ragione di vita.
Mi spogliai della divisa del Liceo da Marginato ed indossai gli abiti di una Matricola per la prima volta. Non erano molto diversi dall’uniforme di un comune Numerato. La giacca non era lunga fino alle ginocchia, ma si fermava ai fianchi. Non c’erano bordature. Tutta la divisa era di un piatto nero con una maglietta di cotone grigia sotto la casacca. Quando allacciai gli ultimi bottoni realizzai la verità: ero uno del Vuoto. Quei vestiti avrebbero testimoniato a tutti la mia Anomalia.
Osservai la porta che mi avrebbe condotto all’esterno. Per un attimo pensai di fuggire attraverso la grande finestra dell’infermeria. Sarebbe stato facile uscire da là, non era che un piccolo balzo. Nella sala non c’era nessuno con me e mi trovavo al piano terra, non mi sarei fatto alcun male.
Vi pensai per un solo istante … desistetti quasi subito.
Con il Cerchio non si poteva fare quel genere di scherzi e, se anche fossi riuscito davvero a fuggire, sarei diventato un Esterno. Ecco come aveva chiamato Moravis coloro che non passavano sotto la lente dell’Organizzazione, quelli che vivevano lontani dalla Legge. Sarei stato un emarginato e un fuorilegge per il resto della vita. Non desideravo quel genere di futuro. Forse fui un codardo, ma non credo vi sia alcuna vergogna nell’ammettere di non voler essere un escluso.
Presi la porta sottomettendomi a Ultar. Da quel momento il mio destino avrebbe seguito il volere della Società.
– Molto bene, Avel, seguimi da questa parte. – Mi indico il Professor Kynam rimasto ad aspettarmi fuori dalla porta. Aveva un atteggiamento accomodante, ero sicuro fosse un docente benvoluto. – Ci attende un’auto fuori. Ci porterà a casa tua.
– D’accordo. – Risposi debolmente. – Professore, posso porle un'altra domanda? – Con lui era più facile chiedere.
– Certo, chiedi pure.
– Chi altro ha superato il Test? – Speravo, in un angolo del mio animo, Hud Calz fosse condotto con me all’Accademia.
Kynam parve confuso, come se non vedesse alcuna ragione per quella domanda. – Nessun altro. In realtà non ci si aspettava di trovare nessun Padrone del Vuoto. – Sorrise e mi pose una mano sulla spalla, come blando incoraggiamento. – Questo non deve stupirti, è molto raro qualcuno passi la Separazione nei Licei dei Marginati. I Rientrati sono pochi e le Anomalie … ancora meno.
– Quante poche sono le Anomalie? – Domandai scrutando la sua espressione.
– Non saprei risponderti con precisione. Però posso dartene un’idea. – Proseguì guidandomi per il corridoio. – Sono quindici anni che ricopro il ruolo di Esaminatore. Ho tenuto la Separazione di moltissimi ragazzi, però, non mi era mai capitato di incontrarne una. Ho davvero avuto un colpo quando tu … – Rise debolmente, ma il silenzio che tenevo lo fece smettere.
Trovandosi a disagio, riprese a parlare. – Non te ne preoccupare, sono cose che con il tempo perdono di importanza. – Mi confortò, ma vedevo una lieve bugia in quelle parole. – Parte dei Numerati venuti per il Test sono stati congedati. Saremo io, Moravis e un paio di Agenti ad accompagnarti a casa. Due Numerati ci hanno già preceduti. – Illustrò. Si voltò con un piacevole sorriso. – Consideralo un privilegio. Un Ternario come Moravis non ha tempo di dedicarsi alle nuove Maricole, ma tu sei il solo trovato qui e, dato che ti sei ripreso così in fretta, puoi godere di una scorta eccezionale.
Ternario … ricordavo quello che mi avevano detto sulla gerarchia del Cerchio. Ogni Numerato veniva identificato attraverso una serie di numeri, più eri importante e meno numeri possedevi. Se Moravis era un Ternario aveva solo tre numeri … doveva davvero essere un pezzo grosso di Ultar.
Mi trovai nel cortile della scuola, dove un’auto nera attendeva il mio arrivo. Il Professor Kynam aprì una portiera posteriore e si infilò nell’auto. Lo imitai e presi posto accanto a lui. – Puoi partire. – Ordinò al Numerato alla guida. L’auto fece manovra e uscì dal complesso scolastico. All’esterno, accostata, c’era un’altra macchina nera in attesa della nostra. Si posizionò dietro di noi e in quel modo percorremmo la strada che solitamente facevo a piedi.
Fu strano guardare quelle vie così famigliari dai vetri scuri delle auto del Cerchio. Quel filtro mi divideva così nettamente dall’esterno da farmi soffocare. Le case non avevano quasi lo stesso aspetto, come quando si guarda una vecchia fotografia e ci si domanda se il mondo un tempo fosse davvero così. Quando ci si accorge di come sia cambiato e non si riesce a ricordare le sensazioni che un tempo ci provocava.
Facevo parte del Vuoto, quella verità diventava ogni momento più alienante. Non sarebbe stato più possibile tornare alla mia vita. Ero una proprietà di Ultar ed il mio potere sarebbe stato sfruttato secondo la Legge. Percepivo con chiarezza era la mia vecchia vita scivolare dietro di me, come sudore lavato da una doccia, come se fossi un serpente che abbandona la sua muta. Ero ancora io, eppure tutto sarebbe stato diverso.
– Quanto potrò stare con mio zio? – Domandai a Kynam mentre stringevo le mani colto dalla paura.
– Avrai tutto il tempo per preparare i bagagli e salutarlo. – Rispose. – Potrai salutare anche i tuoi amici se si troveranno a casa tua. Purtroppo non abbiamo tempo per altre deviazioni. – Spiegò.
Voltai ancora il viso verso l’esterno. Mancavano solo un altro paio di svolte.
Quando l’insegna verde del negozio di mio zio apparve offuscata oltre il vetro, mi si strinse il cuore. La gola si serrò e un paio di battiti mi percossero il petto. L’auto accostò. Ero arrivato a casa.
Il Professore scese dalla macchina ed io, a metà tra la coscienza e l’incoscienza, ricopiai meccanicamente i suoi movimenti. Mi trovai nell’asfalto e da quel momento mi impegnai a memorizzare ogni singolo particolare del mondo che stavo abbandonando.
Mi portai davanti alla vettura e la macchina dietro di noi aprì uno sportello. Lucar Moravis scese indossando il suo cappello rosso. Mi guardo con un’espressione che domandava velocità ed efficienza. Era chiaro non desiderasse trovarsi lì o perdere ulteriore tempo, ma, purtroppo, si era verificata un’Anomalia.
Dal negozio di mio zio uscirono due Numerati. Dietro di loro Boron si portò nella strada. Senza attendere le indicazioni del Cerchio mi avvicinai. Avevo bisogno di sentire una voce famigliare. – Zio, il Test …
– Me l’hanno già spiegato. – Mi fermò quando tentai di raccontare. – Hanno detto che devi prendere le tue cose, giusto? Saliamo in casa. Ti aiuto a fare i bagagli. – Mi avvolse un braccio intorno alle spalle e mi portò dentro il negozio. Prendemmo la porta sul retro che dava sulle scale dell’appartamento.
Mio zio varcò la soglia con la porta rossa per primo. Mi trovai davanti la mia casa d’infanzia riempita della sua figura. Non avevo idea di quando avrei potuto rivederlo. Non sapevo cosa avrebbero preteso da me quelli del Cerchio per farmi tornare lì. Dovevo abbandonarlo e l’ombra di mio zio in quell’appartamento vuoto mi fece sentire dannatamente colpevole.
– Zio … mi dispiace. – Mormorai senza avere la forza di respirare.
Boron si voltò verso di me. Mi sorrise con volto pieno di rassegnazione. Non si opponeva perché sapeva che non era permesso farlo. – Non è colpa tua. Me lo sentivo che non avrei potuto tenerti con me ancora per molto. – Disse stringendomi una spalla con le sue calde dita. – Vieni, ho già iniziato a sistemare alcune cose. – Mi incoraggiò verso la mia stanza. Lo seguii stringendomi nei vestiti della Gente del Vuoto.
– Ho trovato un borsone abbastanza grande. Credo ci staranno dentro tutti i tuoi libri. Hanno detto che per i vestiti e il resto ci penseranno loro. – Ripeté quello che il Cerchio gli aveva illustrato.
Mi avvicinai alla borsa aperta sul mio letto, era di seconda mano, come la gran parte delle cose nel nostro appartamento. Mi chinai sui volumi di scuola e presi ad inserirli nella valigia insieme a tutti i miei appunti. Quando ebbi finito non era piena che per metà. – Non hai certo tante cose, ragazzo mio. – Si rammaricò mio zio. Dalla sua voce percepii come quella realizzazione lo facesse sentire estremamente in debito.
– Ho tutto ciò che serve. – Lo rassicurai.
– Aspetta, ti darò qualcosa che ti ricordi del tuo vecchio Boron. – Disse ed uscì dalla mia stanza per andare nella sua camera. Tornò indietro tenendo in mano un portafoglio. – Ecco qui, figliolo, questo lo potrai portare sicuramente. Ci metterai dentro il tuo numero quando te lo daranno e insieme quel denaro che riuscirai a fare.
Lo presi e lo aprii. All’interno vi erano alcune banconote, una cifra importante per le tasche della nostra famiglia. – Ma zio …
– Non devi mica supplicare tutto ai Numerati. Questi li userai per te, per quello che desideri. – Mi rassicurò. – Nel porta monete ho anche messo un mio vecchio portafortuna.
Aprii lo scomparto delle monete e ne uscì un tondino di metallo del diametro di circa tre centimetri. Aveva un foro poco prima del bordo leggermente in rilievo e una delle due facce era stata grattata con una punta. Pensai vi fosse scritto qualcosa, ma non si riusciva più a leggervi nulla. – Che cos’è? – Chiesi.
– Qualcosa che portavi quando tua madre ti lasciò alla mia porta. – Rispose. – Non è nulla di prezioso, ma io l’ho tenuto da allora e mi ha sempre portato fortuna. Ora penso serva a te.
Richiusi il portafoglio. – Grazie, zio. – Mormorai.
Boron rise con la sua cupa voce e mi prese tra le braccia. – Ragazzo mio, ho fatto del mio meglio a crescerti e, anche se ora dobbiamo salutarci, voglio tu sappia che, fin dove ho potuto, ho fatto del mio meglio per proteggerti.
– Grazie. – Sussurrai stringendomi a lui. Mi mancavano le parole. Faticavo a dire tutto quello che serbavo nel cuore. Se non fosse stato per lui io non avrei avuto alcun futuro. Se non fosse stato per le braccia di mio zio, per la sua bontà, il mio destino sarebbe stato molto più nero. Era grazie ai suoi sforzi che ero riuscito ad andare a scuola, a vivere, tutto sommato, serenamente. Era per ripagarlo di tutta quella bontà che gli sarei rimasto accanto, diventando uno tra i molti.
Ci voltammo ancora verso il bagaglio. – Zio, farò quello che posso. Mi impegnerò a superare le loro prove e farò in modo di tornare. – Promisi.
– So che riuscirai a farcela. – Disse Boron. – Vado a preparare gli ultimi documenti. Tu vedi di non dimenticare qualcosa di importante. – Mi consigliò uscendo dalla stanza.
Mi guardai attorno nella camera e, poggiato sulla scrivania, c’era il volantino del Cerchio consegnatomi da Guram Valio. Ora aveva tutto l’aspetto di un orrendo talismano. Era una maledizione, qualcosa che era stato scagliato su di me. Se solo anche Hud Calz … Non volevo andare in un luogo dove sarei stato solo.
Chiusi la cerniera lampo della borsa e la sollevai dal letto. Tornai nella sala principale dell’appartamento. In piedi accanto alla soglia c’era un Numerato. Non ci lasciavano soli. Mio zio trafficava con alcuni fogli sul tavolo da pranzo. – Che documenti ti hanno chiesto? – Domandai avvicinandomi.
– Quelli sanitari e della famiglia. – Spiegò Boron. – Dovrei averli tutti qui. – Chiuse una cartellina.
Dalle scale provenne un rumore di passi e, attraverso la porta aperta, entrò Lucar Moravis con il suo rosso cappello in testa. I suoi gelidi occhi squadrarono l’intero appartamento e non ebbi dubbio fosse in grado di individuarne ogni imperfezione.
– Buonasera, signor Domar. – Salutò togliendosi il copricapo.
Mio zio sollevò lo sguardo sull’uomo e lo vidi serrare i denti. L’Ufficiale certo non aveva un modo di fare accomodante e Boron parve non tollerare la sua presenza. – Buonasera.
– Sono Lucar Moravis, Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. – Si presentò facendosi più avanti nella stanza. – Mi occuperò personalmente di condurre suo nipote all’Accademia. Il Cerchio si prenderà buona cura di lui, non deve preoccuparsi.
– Non me ne preoccupo. – Lo confortò Boron.
– Un esito inaspettato quello del giovane Domar. – Proseguì Moravis. – Immagino non sarà facile per lei adattarsi a questa nuova condizione.
Mio zio ignorò l’osservazione e mi allungò la cartella con i documenti. Io la presi dalle sue mani.
– Quella puoi pure consegnarla a me, Domar. – Si intromise Moravis. Senza negarmi gliela porsi. Lui la afferrò e la tenne sottobraccio. – Quando sei pronto possiamo partire. – Aggiunse. Era venuto a mettermi fretta. Sorrise, infilò ancora il cappello e uscì.
Guardai Boron che teneva gli occhi puntati fuori dalla porta. – Mi hanno detto che è un alto Ufficiale, un Ternario. – Spiegai.
– Lo è. – Confermò mio zio. – Forse non ci hai fatto caso, ma sulla targhetta sul suo cappello ci sono tre numeri. Cerca di non essere nemico di persone potenti come lui. – Mi mise in guardia.
– Starò al mio posto. – Rassicurai e, lasciando cadere a terra la borsa, abbracciai ancora mio zio. – Mi comporterò bene, vedrai. Non darò problemi.
– Oh, ragazzo. – Bofonchiò. – Sono sicuro troverai il modo di farti valere. Hai sempre avuto un buon giudizio ed anche questa volta sarà così. – Aggiunse accarezzandomi il viso con le sue grandi mani callose.
– Farò del mio meglio.
Quando mi divisi da lui arrivò il momento di partire. Sollevai la borsa piena di tutti i miei pochi averi. Osservai la mia casa e la lasciai dietro di me. Fu come sentirla svanire e quella leggerezza mi scavò il cuore.
In compagnia di mio zio, preceduti dal Numerato, scendemmo le scale dall’appartamento al negozio. Uscimmo dalla rivendita e fuori, sistemati accanto alle auto, trovai alcuni miei compagni di scuola insieme a gente dei dintorni. Tra loro vidi Kemar vicino ai suoi genitori. Aveva un’espressione incredula, come se avessi compiuto un qualche crimine e lui non riuscisse a crederci. Notai anche Hud Calz. I nostri sguardi si incrociarono. Mi sorrise e notai come fosse felice.
Non ci fu modo di dire nulla a nessuno di loro. Il mio tempo era concluso.
– Tutto pronto? – Domandò il Professor Kynam.
– Sì. – Confermai.
– Dammi pure la borsa, la sistemerò nell’auto. – Disse prendendomi la valigia dalle mani.
Mi voltai ancora verso Boron. – Spero di riuscire a contattarti presto. – Sillabai senza sapere cosa aggiungere di preciso a quello che già ci eravamo detti.
Boron si avvicinò. Mi pose una mano sulla spalla. – Buona fortuna, ragazzo mio. – Disse semplicemente.
Mi strinsi nella giacca del Cerchio. Mi tirai dritto e mi voltai verso l’auto. Il Professore mi attendeva accanto allo sportello. Salii prima di lui.
Kynam si abbassò e prese posto. – Molto bene. Possiamo andare. – Concesse con ovattata voce. Serrai le dita e mi rilassai sullo schienale dell’auto. La macchina partì.
Ricordo di essere riuscito a guardare fuori dal finestrino solo fino a quando fui in grado di riconoscere le strade.


______
La vita di Avel tra i Marginati ha subito una repentina conclusione. Si troverà catapultato tra la Gende del Vuoto. Spero vorrai proseguire il racconto. Per ora grazie di essere arrivato fino a qui!
Iwon Lyme

 

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Capitolo 4
*** Matricola 7784355313 ***


 
4 - Matricola 7784355313
 
Erano le nove e mezza di sera quando raggiunsi i dormitori dell’Accademia al centro di Numalia. Scesi dall’auto parcheggiata accompagnato da Kynam. Il cielo era buio e, grazie alle luci accese, riuscii a vedere l’edificio davanti a cui ci eravamo fermati. Era alto più di qualsiasi condominio avessi mai visto, composto da due alee principali con al centro un raccordo che rientrava di alcuni metri. Grazie a questa architettura era stato possibile ritagliare due aiuole ai lati del vialetto verso l’entrata. Tutti i muri erano percorsi da finestre accese e quel chiarore non mi permetteva di capire perfettamente il colore dei muri.
Non ebbi modo di guardarmi troppo attorno, riuscii solo a notare ci fossero altri palazzi che davano sulla medesima strada. Dovetti affrettarmi a recuperare la mia borsa e seguire il Professore all’interno.
Oltrepassammo l’ingresso formato da due grandi porte a vetri poste nel mezzo della palazzina. Dentro si aprì un enorme salone. Quel luogo era uno spazio comune. C’erano tavoli per lo studio, divani e una parete con alcuni libri. In fondo si trovava l’inizio di due grosse scalinate e la porta per un grande ascensore. A quell’ora vi erano un folto gruppo di ragazzi raccolto lì ed il vociare si diffondeva fino all’alto soffitto.
– Buonasera, Professor Kynam. – Disse un uomo alto e magro comparso all’ingresso.
– Buonasera, Sorvegliante Levan. Siete stato avvisato? – Chiese Kynam.
– Sì, il Sovrintendente mi ha comunicato dell’arrivo di una nuova Matricola. – Confermò.
– Esattamente. Lui è Avel Domar. – Proseguì il Professore presentandomi.
– Buonasera. – Salutai.
– Buonasera, signor Domar. – Replicò il Sorvegliante. Aveva il viso di un giovane, ma si vestiva come un uomo anziano. Indossava un gilet grigio con sotto una camicia dello stesso colore e pantaloni neri. Pinzato al bordo del gilet teneva un cartellino con un nome ed un numero. Non mi parve, poi, in completa salute. Aveva un aspetto emaciato accentuato dai suoi piatti capelli scuri. – Dunque Professore, da qui in avanti mi occuperò io del ragazzo.
– Molto bene, Sorvegliante Levan, allora posso andare ai miei alloggi. – Disse Kynam. Non ero felice mi lasciasse solo in quel posto ricolmo di estranei, ma non potevo certo oppormi in alcun modo. – Avel, domani mattina ti verrà assegnata la Matricola e poi prenderai parte alle lezioni. Ci vedremo in classe. Gli esami per il diploma si avvicinano, vedremo se avrai qualcosa da recuperare.
– Grazie, Professore. – Risposi.
– Buonanotte. – Salutò Kynam e, tirandosi sul collo il bordo della giacca, uscì dal dormitorio.
– Mi segua, signor Domar, la accompagno nella sua stanza. – Mi invitò il Sorvegliante. Procedemmo per la sala comune fino all’ascensore. Molti occhi si voltavano nella nostra direzione. Doveva essere bizzarro l’arrivo di uno studente così a tarda sera.
– Io sono Foin Levan, Sorvegliante del dormitorio maschile dell’ultimo anno. Si rivolgerà a me come “signor Sorvegliante” oppure “signor Levan” per tutta la sua permanenza qui. Qualsiasi faccenda avvenga tra queste mura mi compete, dunque mi metterà al corrente di qualsiasi problema incontrerà nel dormitorio.
Chiamò l’ascensore e si voltò a guardarmi nell’attesa. – Le stanze sono singole. All’interno vi è un piccolo bagno privato. Le docce sono al primo piano, così come la lavanderia. Sono entrambe accessibili fino alle dieci e trenta. Ogni studente è tenuto a tenere i propri abiti ed i propri alloggi in ordine. Suo sarà il compito di provvedere al bucato, al tenere in ordine la sua divisa ed il resto dei vestiti, così come delle lenzuola. Ho già provveduto a sistemare alcuni cambi nel suo alloggio insieme al necessario per la cura personale.
L’ascensore tintinnò e le porte si aprirono. Mi infilai dentro velocemente temendo lui potesse lasciarmi lì. – La sua stanza è al sesto piano. È la numero 287. – Spiegò. Premette il pulsante corrispondente e l’ascensore si sollevò. – La colazione viene servita al piano terra, mentre il pranzo e la cena si svolgono nella mensa scolastica. Ci sono tre turni per la colazione, domani mattina il suo sarà il primo, dato che dovrà ritirare il numero di Matricola prima delle lezioni. Alle sette in punto, ha compreso, signor Domar?
– Sì, signor Sorvegliante. – Risposi.
L’ascensore si fermò e le porte si aprirono di nuovo. Mi trovai davanti un corridoio orizzontale sul quale davano già alcune stanze. Esso proseguiva a destra ed a sinistra in due bracci con una serie infinita di porte. Su quel piano c’erano cinquanta stanze e la mia era sulla sinistra verso la fine del corridoio. Il Sorvegliante estrasse una chiave di forma rettangolare e la aprì. – Prego, signor Domar. – Indicò l’interno dopo aver acceso la luce.
Entrai nella stanza. Era piccola, ma con tutto il necessario. Accanto alla porta di ingresso c’era l’armadio. Subito sulla destra un’altra porta, quella del bagno. Dopo di essa un letto ad una piazza, più ampio di quello a casa mia. Sistemate sopra alcune mensole da riempire. In fondo alla stanza una modesta scrivania di legno con una luce da tavolo. Sulla parete a cui questa era appoggiata era stata aperta una finestra, coperta da una scura tenda nera. Sulla scrivania erano stati posti una serie di indumenti uno spazzolino e dei rasoi.
– Questa è la sua chiave. – Illustrò il Sorvegliante togliendola dalla serratura e porgendomela. Era una carta nera rigida con alcuni simboli incisi, sopra stampato il numero della camera 287. – Quando lascerà la stanza deve chiudere la porta, mentre, quando è all’interno, dovrà lasciarla sempre aperta. È vietato chiudersi dentro anche durante la notte. Tutto chiaro?
– Sì, chiaro. – Risposi.
– Se desidera fare la doccia o usare la lavatrice tutto si attiva con la chiave, dunque non la perda. Se smarrirà la chiave la attenderà una punizione. – Restò un attimo a riflettere se ci fossero altre istruzioni da darmi. – Tutto l’occorrente della doccia viene fornito sul posto, invece per gli asciugamani dovrà usare i suoi privati. Ovviamente anche della loro pulizia dovrà occuparsene personalmente. La divisa deve rimanere curata, qualsiasi improprio uso dei suoi indumenti verrà segnalato e punito.
Strinse gli occhi in due piccole fessure. – Ha qualche domanda? – Chiese.
– Posso già usare le docce? – Domandai.
Certamente. Al primo piano troverà tutte le indicazioni. Ci sono una serie di porte, ognuna ha una doccia. Se è occupata è indicato. Prima della doccia c’è un piccolo spazio dove spogliarsi e dove rivestirsi poi. – Illustrò. – Altro?
– Dovrò sempre indossare la divisa?
– No, nel dormitorio potrà indossare degli abiti più comodi, le sono stati forniti. Se dovesse avere bisogno di più pantaloni o magliette ci sono dei moduli da compilare per la richiesta, si trovano nella sala comune. Fuori dal dormitorio, invece, dovrà sempre indossare la divisa.
– La ringrazio, credo che per il momento mi sia tutto piuttosto chiaro. – Dissi.
– Ha qualche particolare allergia di cui dovrei essere a conoscenza? – Domandò il Sorvegliante. – I suoi documenti sanitari non sono ancora stati depositati dunque se ha qualche allergia farò in modo non le venga proposta a colazione.
– No, nessuna, signore.
– Allora abbiamo finito. Domani mattina insieme alla colazione le verrà fornito il calendario dei turni per la pulizia degli spazi comuni e le rotazioni per il mattino. Un Numerato verrà mandato a prenderla per andare a ritirare il suo numero di Matricola. – Mi squadrò qualche istante. – Si riposi, signor Domar, ha il volto stanco. – Con questo consigliò si chiuse fuori dalla mia stanza.
Poggiai la borsa a terra e feci un compendio di quello che mi era stato fornito dal Cerchio. Avevo tre paia di pantaloni informali, un altro paio di pantaloni della divisa oltre a quello che già indossavo. Tre maglie grigie a maniche corte, tre lunghe. Due felpe. Un’altra giacca. Una sciarpa nera. Due paia di scarpe, uno formale ed uno da ginnastica. Uno zaino, una borsa da palestra e un sacchetto di stoffa. Biancheria e una cintura. Sbirciai nel bagno e vidi che c’erano tre asciugamani di tre diverse dimensioni e un cesto dove mettere i panni sporchi.
Mi levai la giacca e la poggiai sul letto. Avrei fatto un po’ di ordine, una doccia calda e sarei andato a dormire. Tolsi gli abiti dalle buste e li sistemai nell’armadio. Iniziai a riporre i libri sulle mensole sopra il letto ed i quaderni sulla scrivania. Pensai fosse un buon modo per svegliarmi al mattino senza la sensazione di trovarmi in un posto sconosciuto.
Nascosi il portafoglio in uno dei cassetti del tavolo poco prima che qualcuno bussasse alla mia porta. Andai ad aprire e fuori trovai un ragazzo basso e magro. Aveva dei folti capelli biondi e un sorriso composto da grandi denti scintillanti. – Ciao. Scusa se ti disturbo, ti ho visto arrivare dalla sala comune. Ho atteso un po’ di tempo, volevo essere sicuro di non beccare il Sorvegliante. Sono Gedial Fasa, molto piacere. – Disse allungando le dita dentro la porta.
– Piacere, io sono Avel Domar. – Risposi stringendogli la mano.
– Da dove vieni? – Chiese.
– Dalla periferia di Numalia.
– Capisco. – Replicò. – Scusa, forse desideri dormire. – Indietreggiò.
– In realtà stavo andando a fare una doccia. – Dissi.
– Allora se vuoi ti accompagno, ti spiego come funziona. – Si propose.
– Va bene. Raccolgo il cambio. – Risposi dopo aver ragionato su come un poco di compagnia mi avrebbe aiutato a distrarmi.
– Metti tutto nel sacchetto di stoffa che ti hanno dato. – Consigliò. Seguii le indicazioni. Misi il cambio nel sacchetto e afferrai l’asciugamano più grande. Lasciai la giacca sul letto. Uscii dalla porta e chiusi la camera.
– Dobbiamo scendere fino al primo piano. – Spiegò. – Puoi usare l’ascensore, ma è meglio che prenda l’abitudine a fare le scale.
– D’accordo. Grazie di accompagnarmi, Gedial.
– Di nulla, siamo tutti spaesati quando arriviamo qui. Chiamami Ged, comunque, Gedial mi chiama solo mia madre. – Replicò con un altro grande sorriso. Ognuno di loro era finito lì lasciando la propria casa. Non stentavo a credere i miei sentimenti in quel momento fossero stati un po’ di tutti i ragazzi che abitavano quel dormitorio.
Imboccammo le scale e scendemmo fino al primo piano. Incrociammo altri studenti ed ogni tanto qualcuno salutava Ged. Doveva essere di natura molto socievole visto come aveva subito cercato di coinvolgermi. Io ricevevo occhiate incuriosite. Ero un volto nuovo e me l’aspettavo. Nessuno di loro sembrava sapere fosse un’Anomalia, dubitato, però, sarebbe rimasto un longevo segreto.
Arrivammo al piano delle docce. – Come vedi alcune hanno l’indicatore rosso, questo vuol dire che sono occupate. Puoi usare quelle libere, la porta si apre con la chiave. – Mi indicò una fessura attraverso la quale si inseriva perfettamente la tessera che si usava come chiave. – Le lavatrici sono da quella parte. – Aggiunse indicando un’altra porta. – Anche quelle si avviano con la chiave ma per ora non ne avrai bisogno.
– Molte grazie, Ged. – Dissi.
– Figurati. Domani mattina quale turno hai? – Chiese.
– Il primo. Hanno detto che un Numerato mi porterà a ritirare il numero di Matricola prima delle lezioni. – Risposi.
– Certo. Certo. Io ho il secondo, vorrà dire che forse ci vedremo in aula, se sarai inserito nella mia classe. – Si voltò verso le scale. – Buona doccia.
– Buonanotte. – Salutai. Era un tipo gioviale, non molto diverso da Kemar.
Scelsi una delle tante docce libere a quell’ora. Vi entrai. Era una stanza divisa in due parti: un piccolo spazio con uno specchio per cambiarsi ed asciugarsi i capelli ed una doccia piuttosto grande e spaziosa. All’interno c’erano dei dispenser di sapone e di shampoo.
Mi spogliai e mi infilai sotto l’acqua bollente. Ero da solo, completamente solo per la prima volta dopo il Test. Fu un immenso sollievo ed allo stesso tempo fece nascere in me grandi paure.
Presi un profondo respiro mentre l’acqua mi cadeva sulla schiena. La prima parola che avevo udito nel vuoto, quella che avrei dovuto celare a tutti era bizzarra. Mostro, ecco qual era la mia debolezza e la mia forza. Un debole mostro. C’era qualcosa di dannatamente ironico.
Mi sfiorai l’occhio destro, quello che avevo sentito graffiare. Non aveva nulla, eppure la sensazione era stata molto reale. Dovevano esserci molte cose che non comprendevo riguardo al Vuoto ed avrei dovuto conoscere quel potere che credevano io possedessi. Forse avrei potuto usarlo. Forse si sarebbe rivelato di una qualche utilità. Forse avrei finito per averne così poco che il Cerchio mi avrebbe guardato con disprezzo.
Serrai le palpebre e vidi oltre di esse il giallo pallido della stanza in cui viveva mia madre. Percepii la sua presenza. Le sue mani tiepide si stendevano su di me stringendo la coperta verde. Il profumo dei suoi capelli ed il loro brillante colore …
Quel ricordo c’era ancora. Lei era ancora là, al sicuro dalla Bestia. Desideravo vi rimanesse per sempre, lontana da tutto quello che poteva danneggiare anche solo quella piccola memoria di lei.
 
Il giorno dopo mi alzai con un buon anticipo. Avevo scoperto che, attaccato alla testiera del letto, vi era un orologio in cui si poteva impostare la sveglia. Indossai la divisa e, insieme allo zaino, presi le scale e scesi nel refettorio comune. Il Sorvegliante Levan era seduto ad un tavolo con davanti la sua colazione. Le vivande erano sistemate su due grossi tavoli, bisognava servirsi da soli. C’era una moderata scelta e la possibilità di variare.
Non erano scesi ancora molti studenti, forse mi ero svegliato più presto del dovuto. Imitai i pochi avanti a me. Presi un vassoio, lo colmai di quel che volevo mangiare. Mi sedetti ad uno dei tavoli sistemando lo zaino a terra. Incominciai a consumare la colazione, ma venni interrotto in fretta dal Sorvegliante. – Buongiorno, signor Domar. È riuscito a sistemarsi nel suo alloggio?
– Sì, Sorvegliante. – Confermai.
– Molto bene. – Mi porse dei fogli. – Questi sono i turni per la colazione e per le pulizie delle zone comuni. Le pulizie si fanno nell’unico giorno di pausa dalle lezioni. – Li presi. – Questo, invece, è la sua agenda personale. Può prendere nota degli impegni e tenere i documenti. – Mi diede un taccuino. – Le sue dimensioni sono perfette per essere inserita nella tasca interna della giacca della divisa. Le consiglio di tenerla sempre con lei e di conservarci i turni. C’è anche posto per la tessera con il numero di Matricola.
Sbottonai la giacca e sistemai il quadernetto nella tasca interna che non avevo notato fino a quel momento. Vi calzava perfettamente. – Il Numerato che la porterà all’Ufficio Generale arriverà a momenti. Finisca la sua colazione.
– Signor Sorvegliante, mi sono accorto di non averle chiesto come poter contattare la mia famiglia. è possibile inviare delle lettere? – Domandai fermandolo dal tornare al proprio posto.
– Sì, c’è una cassetta per imbucare le lettere fuori da ogni dormitorio. I francobolli si trovano vicini ai moduli nella sala comune. – Mi indicò una bacheca con sotto una cassettiera. – Sono all’interno del terzo cassetto.
– La ringrazio. – Risposi. Si allontanò.
Tornai a mangiare più in fretta di come stavo già facendo pensando a come avrei scritto a Boron alla fine delle lezioni. Volevo rassicurarlo.
Conclusi la colazione, sistemai le stoviglie usate e, esattamente qualche secondo dopo, Levan si avvicinò ancora. – Prego, signor Domar, mi segua. Il Numerato è arrivato, l’attende qui fuori. – Mi accompagnò verso l’esterno. Aprì la porta del dormitorio e fuori di essa c’era un Agente del Cerchio grosso il doppio di me. Era appena smontato da una macchina scura. – Lui è il Numerato Carrian, la porterà all’Ufficio Generale. Segua diligentemente le sue istruzioni. – Consigliò il Sorvegliante.
– Buongiorno. – Salutai l’armadio che mi avrebbe scortato.
– Sali pure in macchina, Avel Domar. – Ordinò l’Agente. Fui pronto a gettarmi nella vettura quando i miei occhi si alzarono sul mondo esterno.
L’ora tarda a cui ero giunto non mi aveva permesso di vedere gli edifici dell’Accademia, ma con il sole tutto era diverso. Intorno al mio dormitorio, un palazzo alto tanto da dover tendere il collo per vederne la fine, c’erano altre strutture simili, alcune più basse, ma con la medesima architettura. Le strade erano di un bianco lastricato e in lontananza, sulla sinistra, si vedeva un gigantesco complesso a vetri che brillava alla luce del sole. Quella doveva essere la sede delle lezioni e della vita scolastica. Era l’edificio più grande che avessi mai visto. Non mentivano le voci sulla grandezza dell’Accademia di Numalia.
– Avel Domar. – Mi richiamò Carrian.
– Sì, mi scusi. – Risposi in imbarazzo. Facevo proprio la figura del sempliciotto.
– Siediti davanti. – Ordinò. Aprii la portiera del passeggero. Montai in macchina accanto al Numerato tenendo lo zaino sulle ginocchia. – La nostra destinazione è l’Ufficio Generale. Ti consegneranno il numero di Matricola, poi ti porterò all’Accademia. – Spiegò mentre faceva manovra e si immetteva sulla scala. Stavamo andando nella direzione opposta all’immenso edificio, ma sulla destra ce n’era un altro. Più basso, ma altrettanto enorme.
– Questo posto è gigantesco. – Commentai spingendo il viso verso il finestrino per vedere di più.
Carrian rise delle mie parole e faceva paura perfino quando rideva. – Allora rimarrai senza fiato quando vedrai il Quartier Generale a Ultaria! Non hai tutti i torti, però, questa è l’Accademia più grande di tutta Ultar. Ce ne sono altre, ma la nostra accoglie studenti da un ampio territorio. Molti vogliono studiare qui e si raccolgono i migliori docenti di Ultar.
– Avevo sentito dire qualcosa in merito. – Borbottai con il naso premuto sul vetro. – Non immaginavo fosse così …
– È normale tutto sia nuovo, sei un’Anomalia. – Disse il Numerato. – Purtroppo non potrai goderti molto a lungo la scuola, ma i docenti cercheranno di insegnarti il più possibile nel poco tempo che resta prima del diploma. Stento a comprendere perché le Separazioni dei Marginati le tengano sempre verso la fine dell’anno. – Commentò.
– Per la Gente del Vuoto non è così? – Domandai.
– No, le Separazioni vengono tenute all’inizio dell’anno qui in Accademia. Deve essere così, altrimenti non è possibile stabilire chi debba seguire le lezioni di Vuoto e chi no. – Spiegò. – Vieni dalla periferia di Numalia, vero?
– Sì, vengo dal Liceo Est.
– Vedrai, ti adatterai in fretta al luogo. Forse sarà più difficile abituarti alle persone. – Mi rassicurò. – Comunque chiedi ai tuoi compagni ed ai tuoi insegnanti per qualsiasi cosa.
– Scusi, Numerato Carrian, ma cosa succede in Accademia se non si passa l’Ultima Separazione? Ci si deve trasferire in un Liceo di Marginati? – Chiesi.
Carrian rise mostrando dei lucenti denti bianchissimi. – No, Domar! Che assurdità! L’Accademia è una scuola per la Gente del Vuoto, chi non riesce a sviluppare il potere durante la permanenza ha comunque diritto a finire gli studi. Dopo, invece di diventare Tesserati o Numerati, prenderanno posto tra i senza poteri. – Raccontò. – Per i Marginati è diverso. I Rientrati e le Anomalie vanno istruiti al Vuoto, per questo è meglio vengano condotti in Accademia. Il Vuoto non può essere ignorato. – Mi guardò di sottecchi. – Non che questo capiti di frequente, eh!
Tornai con lo sguardo fuori dal finestrino. Quindi bastava avere un genitore che possedeva il Vuoto per garantirsi un completo corso di studi all’Accademia di Numalia, questo malgrado le doti personali che lo studente poteva possedere.
– Goditi la strada, Domar. Saremo agli Uffici in un attimo.
Osservai gli edifici scorrere uno dopo l’altro dal finestrino. Era un poderoso complesso. Dietro i dormitori vidi alcune strutture, dovevano essere campi per attività sportive. C’erano anche dei padiglioni molto grandi, ma non capivo per cosa venissero utilizzati. Mi chiesi debolmente in cosa consistessero le lezioni di Vuoto e come avrei fatto a recuperare undici anni di assenze.
Così come Carrian disse ci vollero solo alcuni minuti per giungere all’Ufficio Generale dell’Accademia. Una volta lì il Numerato parcheggiò in alcuni posti all’esterno e mi disse di scendere. Io afferrai lo zaino e ubbidii. Entrammo.
Carrian andò dritto verso un lungo bancone all’ingresso. Doveva essere la portineria. Estrasse un cartellino e scambiò due parole con una donna, poi tornò da me. – Vieni, dobbiamo andare al terzo piano. – Ci infilammo in un ascensore e prendemmo a salire. – Ora ti daranno il numero di Matricola. È una serie di dieci numeri. Con il tempo è meglio lo impari. Insieme ti diranno in quale classe dovrai andare e ti consegneranno l’orario delle lezioni con le aule. – Si aprirono le porte e scendemmo. – Vieni, ufficio 3068. – Ripeté e prese ad esaminare i numeri sulle pareti.
Percorremmo un tratto del corridoio al galoppo e poi trovammo l’ufficio a cui ci avevano mandati. Carrian bussò e una voce femminile concesse di entrare. – Buongiorno. Avel Domar, la attendevo. – Disse una donna di mezza età con tondi occhiali tartarugati, magra come un gambo di sedano. Sedeva dietro una scrivania sommersa da fascicoli e fogli.
– Sì, signora, sono Avel Domar.
– Molto bene. Iada Firlan, mi occupo della sua carriera scolastica e sono la sua referente burocratica. Le assegnerò il numero di Matricola e da oggi farà riferimento a me per tutte le situazioni in cui saranno previste una serie di scartoffie. – Aveva una parlata veloce tanto che, se avessi provato a tenere quel ritmo, mi si sarebbe annodata la lingua. – Si sieda, non resti in piedi. Il Numerato la attenderà fuori.
Carrian uscì ed io presi posto sulla sedia davanti alla scrivania della Firlan. – Ecco a lei, signor Domar. Lei sarà la Matricola 7784355313, le consiglio di memorizzare i numeri. – Aprii la giacca, tolsi il taccuino e infilai la tessera nera opaca con il mio numero inciso sopra nell’apposito vano per contenerla. – Negli esami e negli atti ufficiali non verrà più usato il suo nome, ma il suo numero di Matricola. Dovrà usarlo per identificarsi in qualsivoglia ambito dell’Accademia. Dopo il diploma e il periodo di apprendistato presso il suo futuro Mentore, le verrà assegnato un codice alfanumerico nel caso in cui lei voglia diventare un Tesserato o un nuovo numero nel caso desideri prendere servizio tra le fila del Cerchio. Quel nuovo identificativo verrà associato al suo numero di Matricola e sarà così anche se dovesse essere promosso o altro. Tutto chiaro?
– Sì, signora. Ma un periodo di apprendistato? Di cosa si tratta?
– Gliene parleranno meglio i suoi docenti, ma è bene inizi a sapere che, dopo il diploma, coloro che superano una delle tre Separazioni, vengono assegnati ad un altro Padrone del Vuoto. Il Mentore ha il ruolo di introdurre la Matricola nella Società di Ultar. Non si deve preoccupare di riflettere su questo, è il Mentore a scegliere la propria Matricola.
– Ho capito.
– Molto bene, un ragazzo sveglio una volta tanto. – Commentò sistemandosi con il mignolo gli occhiali sul naso. – Lei ha superato il Test solo all’Ultima Separazione, dunque non passerà molto tempo in Accademia. Seguirà le poche lezioni che mancano al completamento dell’anno scolastico insieme alla classe N02. – Mi porse un altro foglio. – Qui c’è l’orario. Questa mattina avrà lezione con la Professoressa Tenna Movan, la fortuna purtroppo non l’ha assistita. L’aula è la A5-88. A l’ala dell’edificio, 5 il piano e 88 la classe. Abbastanza semplice. Comunque l’accompagnerà il Numerato qui fuori. – Si sistemò ancora gli occhialini. – Lei è un tipo di poche parole, signor Domar, mi piace.
– Mi scusi, sto cercando di ricordare il più possibile. – Risposi.
– Allora continui così, ho ancora qualche informazione. – Proseguì senza sosta. – Mi sono stati comunicati i suoi risultati scolastici dal Liceo Est. I suoi punteggi sono molto alti e non credo avrà grandi difficoltà ad adattarsi alle lezioni teoriche, le pratiche, invece, potrebbero essere un problema. So che probabilmente è ansioso di mettere alla prova il suo inatteso potere, ma le dirò questo: cerchi di lasciarsi del tempo. I voti che prenderà agli esami di diploma sono estremamente importanti per la sua carriera futura ed è saggio lei si concentri su questo. Se è d’accordo farò in modo che la sua Valutazione venga spostata tra un mese e mezzo invece che tra due settimane come in programma.
– La mia Valutazione?
– Certo, signor Domar. Il suo potere andrà valutato. – Allungò gli occhi sull’orario delle mie lezioni. – Il Professor Umavel sarà il suo docente di Vuoto. Lo vedrà nel pomeriggio e sono sicura le spiegherà meglio tutta la faccenda. Comunque, credo sia meglio procedere con lo spostamento della Valutazione. Se si fida faccio richiesta.
– Se possibile, signora Firlan, non vorrei creare incomodi appena arrivato. Preferirei non spostasse la mia Valutazione. La sosterrò il giorno che è già stato stabilito. – Risposi.
– Come vuole, signor Domar, non farò richiesta. – Mi sorrise tendendo le sue labbra piene di rughe. – Dall’orario sembra che il Professor Umavel la riceverà nel suo ufficio. Gli uffici dei professori si trovano nell’ala F. Immagino sosterrà delle lezioni speciali all’inizio. Questo succede perché lei è un’Anomalia e non ha alcuna base sulla conoscenza del Vuoto. Con il tempo poi potrà inserirsi nelle lezioni dei più piccoli. Ma anche di questo non si deve impensierire, sarà Arot Umavel a decidere. È un docente severo, non si lasci intimidire.
– Farò del mio meglio. – Replicai. – Ho altre lezioni straordinarie oltre a queste?
– No, nessuna. Dopo la Valutazione potrà cominciare ad allenare seriamente il suo potere, ma, fino ad allora, lo studierà solo in maniera teorica, al più con qualche semplice esercizio. – Mi sorrise nuovamente. – Terrò conto dei suoi risultati e ci rivedremo il giorno della Valutazione. Per oggi abbiamo finito.
Mi alzai dalla sedia. – La ringrazio, signora Firlan. – Salutai.
– È stato più semplice di quello che avrei creduto. Per qualsiasi cosa non esiti a contattarmi. – Mi rassicurò.
Uscii dall’ufficio ricolmo di carte di Iada Firlan. Avevo la sensazione mi fosse piovuta addosso un’intera enciclopedia. Ci avrei messo giorni a processare tutte le informazioni.
– Tutto a posto? – Domandò Carrian. Probabilmente avevo uno sguardo confuso.
– Sì, tutto bene.
– Andiamo in Accademia allora. – Tagliò corto. Scendemmo al piano inferiore e riprendemmo la macchina. Carrian mi portò indietro verso l’immenso edificio con mille vetri.


___
Avel Domar è arrivato in Accademia. Ora deve cominciare a scoprire la "nuova" Società in cui si ritrova. Come andranno le lezioni? Cosa succederà durante la sua Valutazione?
Grazie per aver letto fino a qui! A presto per la prossima parte! 
Iwon Lyme

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