La chiave dei sogni

di Steelwolf1998
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 3: *** La litigata storica ***
Capitolo 4: *** La litigata storica parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
POV Alice


Il cielo era ricoperto di un velo di nuvole talmente spesso da non lasciar intravedere neanche uno spiraglio di luce. La battaglia infuriava davanti ai miei occhi, gente che cadeva esanime, sangue ovunque, armature che stridevano e spade che si scontravano. Cercavo di aiutare con i pochi poteri rimastimi, ma con scarsi risultati e intanto le lame continuavano a fendere colpi.
Ero stanca, le gambe mi tremavano, la vista mi si appannava e faticavo a respirare, stavo per cedere, lo sapevo bene, però non potevo ancora mollare. L’unico modo per salvare tutti era usare la magia proibita, ma se l’avessi usata avrei rischiavo di sparire per sempre da entrambi i mondi. Decisi di resistere ancora un po’ e vedere se la situazione in qualche modo sarebbe migliorata, quando ad un tratto sentii un imprecazioni urlata fra i denti venire da dietro di me, mi voltai e vidi Filippo in ginocchio mentre si teneva il fianco destro ricoperto da un sottile strato dell’armatura, oramai in pezzi, e la lama del suo nemico che stava per colpirlo. Non aspettai un secondo di più e alzai entrambe le mani scaraventando il nemico a terra, grazie ad una scarica di energia pura, aiutai Filippo ad alzarsi e chiusi la ferita, ancora sanguinate, sul fianco.
“Stai bene Fil?” gli chiesi preoccupata
“Sto bene Ale, tranquilla. Tu piuttosto non dovresti usare troppo la magia o finirai per sfiniti” mi disse rimettendosi in piedi e con la spada in posizione d’attacco,
“Io sto bene” mentii -non posso farlo preoccupare più di quanto già non sia- pensai mettendomi in posizione d’attacco
“E poi non posso mica scappare lasciando il mio popolo a combattere mentre io mi nascondo, solo i vigliacchi lo fanno” dissi questa frase fra i denti, stringendo i pugni dalla rabbia fino a far sbiancare le nocche. Era in momenti come quelli che mi sentivo quasi inutile, visto che i miei poteri non erano fatti per ferire le creature viventi.
“Alice ascoltami bene, ciò che importa più di tutto è che tu sia sana e salva. Se tu stai bene la terra potrà rinascere, ma se tu dovessi morire anche questo mondo morirebbe con te. Ricordatelo bene questo” mi disse lui girandosi a mezzo per guardarmi in volto e in quegli occhi vidi talmente tanta fiducia e determinazione, fu allora che compresi ciò che dovevo fare.
Dovevo usare la magia proibita, lo dovevo al mio popolo che stava combattendo per la libertà e lo dovevo a lui che credeva cecamente in me. Era rischioso lo sapevo bene, però glielo dovevo. Lo dovevo a tutti.
Mentre capii cosa dovevo fare il combattimento era ricominciato, Fil fendeva colpi e abbatteva quanti più nemici poteva, mentre io ricominciai a scagliare le sfere di energia che mano a mano stavano perdendo di luminosità e potenza, dei nemici mi si avvicinarono a tal punto da lasciarmi spazio per scacciarli con la maglia perciò aprii le ali e li scaraventai lontano.
Mi librai in volo e guardando il campo di battaglia notai che le vie cittadine erano ricoperte di corpi senza vita, di nemici si, ma anche di alleati ed amici mentre gli scontri continuavano senza dare sosta. Oramai era chiaro che non avessi più alternative, era pericoloso e maledetto però non c’era altro modo. Mi diressi verso la piazza cittadina dove vi era la fontana più antica del regno di Dalia e mentre mi avvicinavo la fontana smise di funzionare, planai verso la cima, vi era un piccolo piedistallo dove atterrai.
Mi guardai in torno notando che anche nella piazza la battaglia imperversava furiosa.
Ero lì in cima appollaiata, in preda ad una paura che non pensavo avrei mai provato. Le gambe mi tremavano, brividi di freddo mi scorrevano lungo schiena, mentre le urla di dolore e lo stridere delle lame mi annebbiavano la mente.
Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo e cercai il coraggio che sembrava mi avesse abbandonata. Tentennai qualche istante, ma l’ennesimo grido di dolore mi fece trovare la forza necessaria per pronunciare quelle parole.
Alzando il volto verso il cielo dissi “Lux Aeterna Nox Illumina Semitam Meam Numines” in quel istante le nuvole che riempivano il cielo si aprirono in un varco e finalmente si poté vedere la luce della luna che oramai era spuntata da ore. La osservai incantata per un istante notando quanto fosse splendente e bellissima, una lacrima mi cadde piano sulla guancia mentre un sorriso aleggiava sulle mie labbra. Congiunsi le mani a preghiera e chiesi alla luna e alle stelle di vegliare sulla mia gente una volta che io non ci fossi stata più, mentre quella lacrima era diventata un vero pianto.
Per colpa della mia debolezza un sacco di famiglie erano state distrutte e per colpa della mia superbia avevo fatto scoppiare una guerra che non sembrava voler giungere al termine. Dalla luna partì una colonna di luce che mi avvolse completamente, sentivo il mio corpo andare a fuoco e man mano le energie sparirmi sempre più fino a rimanerne nulla, fù lì che persi coscienza e non sentii più nulla di ciò che mi circondava, ne suoni, ne colori, niente. Semplicemente ci fù il buio.

POV Filippo

Stavo annientando l’ennesimo soldato nemico quando vidi una colonna di luce scendere verso la piazza cittadina ed illuminare tutto quanto con una luce argentea cristallina,-non può essere, non può averlo fatto, quella stupida!- pensai mentre atterravo un altro soldato, iniziai a correre verso la piazza sperando di fermarla, o almeno rivederla per un ultima volta ancora.
-Non puoi andartene così, non adesso.- “NON PUOI LASCIARMIII” gridai mentre gli occhi bruciavano per le lacrime trattenuta a stento.
Arrivai alla piazza e la vidi, avvolta dalla luce della luna mentre piangendo le rivolgeva una preghiera silenziosa, ma non era un pianto di disperazione, no, quello era un pianto d’addio col volto verso l’altro e un lieve sorriso sulle labbra. Piano piano la colonna di luce si affievolì intorno a lei e notai che a partire dai piedi a salire stava diventando di pietra.
“Un momento ma quella non è pietra comune” dissi più a me stesso che agli altri soldati che si erano fermati affascinati da quello spettacolo.
“No non può essere. Quella è pietra lunare” dissi scioccato vedendo come il suo corpo veniva trasformato in statua mano a mano che la luce scompariva.
Corsi verso di lei provai ad allungare una mano prima che fosse troppo tardi, ma non feci in tempo.
Il suo corpo era oramai interamente ricoperto di quella pietra così luminosa quanto magnifica, la luce scomparve del tutto dalla statua, da essa ne scaturì una luce che scaraventò lontano tutti coloro che erano nemici del popolo.
Io rimasi li ad osservare la statua che fino a pochi minuti fà era la persona a me più cara, anche più della vita stessa. Mi accasciai a terra in ginocchio e piansi le lacrime che fino a quel momento avevo trattenuto, mentre tutti i soldati superstiti si affollarono in torno alla fontana in ginocchio e col capo chino a piangere la regina che aveva dato la vita per salvarli.

POV Narratori

“Aspetta un attimo” mi disse la mia migliore amica
“Cosa vuoi? Non hai visto che sto scrivendo??” gli risposi infastidita dalla sua interruzione
“Non si capisce nulla se lo pubblichi in questo modo. Devi raccontare dall'inizio”
“Ma che sei matta. È troppo lunga da raccontare sono passati anni dall’inizio di tutto” gli dissi spazientita
“Però Alice devi ammettere che Sara ha ragione. Non puoi pubblicarlo così” mi disse Filippo
“Grazie” urlo verso il cielo Sara “per una volta mi dai ragione”
“Ma voi avete capito” cercai di convincerli invano
“Solo perché noi sappiamo tutto dal principio.” Mi disse Filippo dandomi un leggero bacio sulla nuca per confortarmi “Poi noi l'abbiamo vissuto di persona quindi ancor di più ti dico che non puoi pubblicare così la storia”
“Allora sentiamo come dovrei raccontarla??” chiesi alla fine esasperata incrociando le braccia
“Lascia faccio io...” mi disse Sara tutta contenta sfregandosi le mani e spingendo la sedia su cui ero seduta facendola spostare, rubandomi il posto.

POV Sara

Iniziò tutto 6 anni fa in un giorno come gli altri, noi tre che ci annoiavano sui banchi di scuola. All'epoca andavamo ancora al liceo artistico e le nostre lezioni erano piene di divertimento e risate, tranne quelle di studio che da tradizione immemore erano le ore più lunghe e noiose. Noi tre stavamo nella stessa classe e non ci conoscevamo ancora, o meglio ci conoscevamo ma non tanto quanto adesso. Io e Alice eravamo amiche ma tra noi e Filippo c'era un confine che nessuno dei tre osava sorpassare.
Un mattina io e Alice eravamo d’avanti alla scuola in attesa che le porte si aprissero per poter entrare a riscaldarci, essendo gennaio inoltrato, e nell’attesa stavamo parlando di ragazzi e mi disse che c’era un ragazzo che le interessava e della nostra classe, ci misi un po’ prima di scoprire che era Filippo stesso. Io rimasi di stucco, tutti nella nostra scuola compresi i professori sapevano che non era un bene mettere loro due vicino o in gruppo perché se no si sfociava sicuramente in una guerra senza pari e senza fine, e fidatevi se vi dico che questa decisione era stata presa dopo uno scontro fermato poco prima che volassero anche le sedie oltre che le parole. Io non ci volli credere all’inizio e infatti scoppiai a ridere, ma Ale mi guardò talmente tanto male che smisi subito.
“Scusa ma posso sapere perché proprio lui?” chiesi cercando di capirci qualcosa “insomma tu e Filippo non vi sopportate dalla prima e sono oramai 4 anni che va avanti questa storia. Insomma all’interno della scuola vi hanno soprannominato la coppia demoniaca”
“Scusa e questa dove l’hai sentita”
“Bho, era una voce di corridoio che girava un paio di anni fa”
“A buono a sapersi. Peccato non averlo saputa prima avrei fatto in modo di usarla a mio favore” disse scoppiando a ridere contagiando anche me.
“Si può sapere come fate alle 7.30 di mattina a ridere come delle galline che starnazzano” disse una voce comparsa all’improvviso in parte a noi
“Ciao anche a te Fil.” Dissi io riconoscendo la voce di Filippo, guardai Alice di sfuggita e notai che si stava ancora asciugando le lacrime dopo la nostra risata.
“Quante volte devo dirtelo che non devi chiamarmi Fil. Solo una persona può e questa sicuramente non sei tu” mi disse assottigliando le palpebre cercando di guardarmi con fare ‘minaccioso’
“Filippo qui stavamo facendo un  discorso serio potresti per favore portare il tuo culo da un'altra parte” disse Alice adesso pienamente concentrata nella conversazione, guardando Filippo con le braccia conserte e sul viso una smorfia tra il divertito e il ‘vattene o ti spacco la faccia’.
Filippo guardò Alice dall’alto in basso per poi fare un ghigno e dire “Hey Alice quasi non ti avevo visto. Cos’è tu ti abbassi invece di alzarti come i comuni mortali?”
“Sai bene che preferisco essere bassa piuttosto che e essere un palo e picchiare la testa su tutti i lampadari” disse lei
“Attenta a te nanetta, è successo solo una volta” tentò di difendersi puntandogli un dito contro.
Intanto in torno a noi si stava affollando la gente a vedere l’ennesimo litigio di quei due,
“Non. Chiamarmi. Nanetta. E toglimi le tue manacce di dosso” Alice cambiò espressione, assottigliò le palpebre quasi da sembrare che avesse gli occhi chiusi e si fece scura in volto a tal punto che sembrava che il sole avesse smesso di brillare solo su di lei.
“Non ti sto neanche toccando vedi di non rompere troppo le palle, na-ne-tta” sillabò l’ultima parola conscio del fatto che lei odia essere chiamata così, ma non tanto perché lei era bassa, ma quanto per il fatto che a dirlo era lui.
“Alice ti prego calmati. Non penso tu voglia un altro richiamo, vero?” cercai di calmarla “su entriamo che hanno aperto” le sfiorai un braccio e vidi che mi guardò ma non cambiando espressione
“Sara…” capii che era davvero incazzata perché usò il mio nome e non uno dei soliti nomignoli “…non metterti in mezzo. Tu non c’entri in questa storia, è lui quello che se ne deve andare.” E dicendolo si rigirò verso Filippo che non aveva cambiato espressione, l’aria era intrisa di scariche elettriche sembrava di stare dentro ad un temporale.
Filippo stava alzando un braccio verso Alice ma si fermò quando la tutor della classe uscì dal portone per far entrare la gente che si era ammassata tutta li fuori a guardare il teatrino.
“Voi due entrate ed aspettatemi nel mio ufficio. ORA.” Urlò “e voi altri in classe, svelti.”
“Dopo di te, Nanetta”
“No no Prima tu. Fil” non mi era mai capitato di sentire Alice chiamarlo così era la prima volta e non fui l’unica a pensarlo a quanto pare, visto che Filippo perse il ghigno che aveva sul volto e fece una cosa che non pensavo possibile. Arrossì.

POV Narratori

“Ma questo non è l'inizio” gli dissi abbastanza arrabbiata “Molla fai fare a me”
“Scusa ma perché dovrei lasciarti il posto??? La storia stava uscendo una meraviglia” cercò di ribattere Sara ma con poco successo “E poi è questo l'inizio della nostra storia”
Alice esasperata si grattò la testa mentre Filippo ridacchiava da dietro le nostre spalle.
“Scusami un attimo, tu hai detto che per far capire alla gente tutta la storia dovremmo iniziate dall’inizio giusto?” iniziò a dire Alice
“Giusto”
“Bene, e ora dimmi, leggendo ciò che hai scritto la gente capisce come siamo arrivati da questo a questo?” disse indicando i due pezzi di storia scritti,
“Mmh… Forse hai ragione. Però scusa come facciamo a scrive dall’inizio?”
“Semplice mi basterà raccontare la mia storia partendo dal giorno che diede il via a tutto.”
Riprendendo possesso del computer Alice cominciò a scrivere partendo da quel giorno di ormai 10 anni fà.

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Capitolo 2
*** Come tutto ebbe inizio ***


Capitolo 1: Come tutto ebbe inizio
 
POV Alice
 
Tutto iniziò una settimana all'inizio delle scuole. All'epoca avevo 14 anni e dovevo andare in prima superiore. Come scuola scelsi un liceo artistico, un po' perché mi piaceva ciò che si studiava è un po' per le persone che lo frequentavano. La sera prima mia madre mi aveva detto che la mattina seguente sarebbe dovuta andare in un posto importante e mi disse che io dovevo assolutamente accompagnarla, non capii il perché di tutta quell’insistenza sul fatto che io dovessi per forza andare con lei, però non me ne feci un problema, tanto il giorno dopo non avevo niente da fare, perciò feci spallucce e dissi un banalissimo ‘ok’. 
Mi alzai di buon ora e ancora mezza addormentata andai a farmi un bella doccia. Quando tornai in camera iniziai a prepararmi per uscire e in meno di 20 minuti ero pronta però il mio stomaco attirò la mia attenzione richiedendomi qualcosa da mangiare, anche se di solito in estate non facevo colazione mi dissi che era meglio mettere qualcosa sotto i denti visto che non sapevo neanche cosa sarei andata a fare da li a poco, perciò andai a fare colazione con una brioche e una banana. Tutto d’un tratto, mentre stavo guardando un po’ il telefono nuovo, che mi avevano comprato i miei per il compleanno, mia madre mi chiamò dal fondo del corridoio, andai verso di lei e la trovai davanti alla porta del ripostiglio chiusa. 
“Dimmi? “ gli domandai curiosa
“Sai cos’è questa” mi chiese mostrandomi la porta
“Una porta?“ risposi quasi stupita dalla domanda
“Vero, e sai dirmi cos’è questa” disse poi mostrandomi una chiave d’oro con l’estremità a forma di corona con tanto di piccoli puntini colorati a dar l’impressione che fossero pietre preziose, che tirò fuori dalla tasca.
“Una chiave?” Dissi io avvicinando la mano come a sfiorarla.
Non sapevo perché ma mi sentivo stranamente attratta da quel piccolo oggetto così luminoso e semplice, ma al contempo stesso sembrava portare con se qualcosa di molto più grande e pericoloso di quanto io potessi immaginarmi allora.
“Prendila e inseriscila” mi disse, io non ci stavo capendo un granchè
“Scusa ma come farà ad entrare non combaceranno mai” chiesi io completamente attanagliata dai dubbi
“Tu fallo. Fidati” la guardai confusa e dopo un attimo di titubanza feci come mi aveva detto e inserii la chiave nella toppa della serratura della porta, non mi aspettavo niente, ciò che successe mi fece sgranare gli occhi a tal punto che sembravano voler uscire dalle orbite.
La porta cominciò ad illuminarsi, cambiò colore e da marrone che era divenne di un color rosso ramato sull’antico, la cima divenne curva e sulla parte frontale liscia iniziarono a formarsi dei ghirigori anch’essi davano l’aria d’essere belli antichi.
Ammirai stupita senza riuscire a proferire alcun tipo di parola, nella mia testa c’era solo caos e una confusone tale da non riuscire a connettere quello che era successo, la faccia orgogliosa di mia madre non mi aiutò di certo.
“Bhe… che dire complimenti, io in tutti questi anni non sono mai riuscita a far cambiare l’aspetto alla porta, riuscivo solo a creare il passaggio” mia madre pensava che dicendo così mi calmassi, ma l’unica cosa che successe, era il peggiorare del casino che avevo in testa.
Presi un respiro profondo cercando di calmare il mare in tempesta che sentivo nelle orecchie e dissi “Potresti per favore spiegarmi lentamente cosa diavolo è appena successo?”
“Devi sapere che nella nostra famiglia da secoli si tramanda, alle donne più potenti, un segreto che se necessario va protetto con la propria vita. So che quello che ti sto dicendo possa sembrare egoista. Però io non posso più adempiere al compito di custode e devo per forza passare questo compito alla prossima generazione, cioè tu.”
-ok prima bomba sganciata vediamo fin dove arriviamo- pensai mentre cercavo di capire il discorso, già di per se complicato
“Scusa mamma ma perché io? E l’Aurora? Lei è più grande dovresti darla a lei non a me” chiesi io
“Semplicemente tua sorella non ha magia”
“E come l’hai scoperto?”
“Un giorno quando lei aveva 16 anni e tu 10 lasciai la schiave sul tavolo in sala per capire la portata de suo potere magico e lei non si accorse di nulla. La ignorò come se fosse invisibile, magari lo è per coloro che non hanno magia, non saprei dire. Sta di fatto che tu invece te ne accorgesti e andasti subito a vedere cosa fosse. Rimasi scioccata a vederti giocare con quella chiave mentre tua sorella la ignorava senza remore alcuno” mentre raccontava cercai di ricordarmi di quel dettaglio ma non mi venne in mente niente,
“Così pensai che il potere magico rimasto della famiglia era andato a te, e infatti avevo ragione. Solo non pensavo che poteva essere di tale portata. Devi sapere che solo 2 donne nella nostra storia sono state tanto potenti da cambiare le sorti della chiave e del segreto che contiene”
-BOOOOM… seconda bomba sganciata. Prepariamoci per la terza-
“Scusami un attimo mamma ma mi vuoi dire qual è questo segreto? Perché io ti dirò non ci sto capendo nulla sinceramente”
“Hai ragione scusami ma vedi non è facile da spiegare” mi confessò mia mamma mentre si picchiettava l’indice sulle labbra pensando a cosa dire,
“HA… Ho trovato.”
“C-cosa?”
“Perché parlarne quando posso mostrartelo?”
Detto questo aprì la porta, che risultava essere una specie di corridoio completamente invaso di un luce abbagliante, estrasse la chiave e vi entrò trascinandomi con lei.
Camminammo attraverso il corridoio e notai che i vestiti di mia madre cambiarono mentre camminava davanti a me. I vestiti che indossava vennero sostituiti da un abito meraviglioso con il corpetto con scollo a cuore e un gonna in tulle che arrivava a toccare terra con un piccolo strascico tutto di colore rosa pallido, era meravigliosa. Ma mi accorsi solo in seguito che a cambiare non erano stati solo i vestiti ma anche i capelli, se prima erano corti fino alle spalle e legati dietro la testa in una coda adesso arrivavano fino a sotto le spalle acconciato con delle trecce e il colore che prima era un biondo cenere adesso era diventato molto più acceso e luminoso e sulla sommità c’era una tiara d’oro e d’argento tempestata di diamanti.
Stavo per parlare quando ci avvicinammo a quella che sembrava l’uscita, eravamo state li dentro per forse due secondi ma a me sembrò forse di più, intenta com’ero a guardare la trasformazione dei vestiti di mia madre.
Lei fece per aprire la porta ma prima si girò a guardarmi e vidi la sua espressione cambiare radicalmente e delle piccole lacrime formarsi sugli angoli degli occhi.
Mi guardai in torno per capire cosa ci fosse di strano quando notai che non solo gli abiti di mia mamma erano cambiati ma anche i miei, eppure io non mi ero accorta di nulla, forse troppo concentrata su di lei che su di me.
Il vestito che portavo era spettacolare, aveva un corpetto a cuore con una spallina sola fatta di puro velo che andava a coprire tutto il busto per poi finire e annodarsi in un fiocco laterale, la gonna lunga fino al pavimento anch’essa di tulle e con un piccolo strascico e i colori che si univano e mischiavano in perfetta armonia erano il bianco e il verde, una meraviglia.
I capelli che prima arrivavano poco sopra il seno adesso arrivavano quasi al fondoschiena la frangia era stata raccolta in due trecce che si mescolavano in una, mentre il colore non era cambiato molto più di tanto adesso era solo diventato più luminoso, sembrava quasi che stessero brillando di luce propria.
Aprì la porta e ci ritrovammo in un enorme salone tutto agghindato a festa, da li a poco si sarebbe tenuta, alle finestre c’erano delle tende blu con riflessi argentei tenute fra loro con dei fiocchi fatti in velluto e anch’essi con riflessi argentati, di fronte a noi si trovava una scalinata anch’essa tutta agghindata e con un tappeto rosso che partiva dalla fine fino ad arrivare a una sedia posta in cima a quest’ultima.
Ma che dico sedia quello era un trono.
Un meraviglioso trono con imbottitura rosso cremisi e gli intarsi in oro, lo stile sembrava molto quello di del 1600 ma con qualcosa di diverso. Mi guardai un po’ in giro notando che anche le colonne erano decorate come le finestre, poi alzando lo sguardo vidi un lampadario sempre stile 1600 con un infinità di candele accese che facevano risplendere i vari pendenti così da creare un meraviglioso gioco di luci e ombre. In due parole spettacolare.
“Mamma ma che posto è questo?” chiesi stupefatta, mentre mi aggiravo paino per il salone sentendo il rumore solo dei miei tacchi –Un momento… tacchi? Ma prima non avevo le scarpe?- con questa domanda in testa alzai di poco la gonna e notai un paio di tacchi bassi sempre dello stesso colore del vestito. “Wow”
“Eggià. Qui non sanno neanche cosa sono le all’star” mi disse mia madre quasi sghignazzando visto che lei odia quelle scarpe
“Comunque Alice ti do il benvenuto nel mio castello o meglio il tuo da ora in avanti” disse tutta contenta le aprendo le braccia indicando tutto ciò che ci circondava
“C-COME SAREBBE A DIRE IL MIO CASTELLO???” ero sconvolta non stavo capendo come da una stramaledettissima chiave fosse comparso questo posto
“Non urlale non ti si addice visto il tuo ruolo” mi rispose in modo fin troppo pacato, e diciamocelo chiaramente non potresti essere tranquilla in nessun caso se ti facessero delle rivelazioni del genere in pochi minuti.
Presi un respiro profondo e cercai in qualche modo di calmarmi per poi chiedere “Scusa e quale sarebbe il mio ruolo di preciso?”
“Al momento sei considerata la principessa del regno ma stasera quando io abdicherò lascerò la corona a te e tu diventerai la regina di Dalia un regno di speranza e gioia dove tutti possono vivere una vita di pace e serenità” mentre diceva questa frase il suo sguardo cambiò e divenne piò cupo e malinconico “o almeno lo era” si girò e si incamminò verso una delle finestre e io con lei.
Guardando fuori notai un piccolo villaggio ma non sembrava felice anzi era tutto grigio e senza alcun tipo di colore. I cittadini erano smunti, quasi morenti di fame e le vesti erano quasi tutte malandate con toppe qua e la per nascondere i buchi.
“Cosa intendi dire?”
“Bhe vedi molti anni fa questo regno era prospero e pieno di vita ma la regina che ne prese il comando non aveva potere a sufficienza per poter far rinascere la terra e permettere al popolo una vita prospera e felice. Con le generazioni a venire era sempre peggio più si andava avanti più i poteri diminuivano fino ad ora. Quando vidi tua sorella che ignorava la chiave ho pensato che questo regno sarebbe stato distrutto per sempre una volta esauriti i miei poteri, però tu hai completamente ribaltato la situazione, mi hai ridato la speranza e a notare da come è cambiata la porta e al vestito che indossi direi che il potere che si cela in te è tanto potente”
“E quindi io esattamente cosa dovrei fare?” chiesi incuriosita da tutto quello che mi stava dicendo
“Semplicemente essere te stessa. Quando stasera ti incoroneranno io perderò il poco potere che mi è rimasto e lo passerò a te per incrementare il tuo, anche se non credo c’e ne sia bisogno, una volta posata la corona sul tuo capo questa prenderà un po’ del tuo potere per aiutare la terra le acque e tutto ciò che è vivo all’interno del tuoi confini”
“Ma scusa io non so comandare. Insomma non riesco neanche ad insegnare al cane a stare seduto. Come pensi che possa governare un regno? E poi come faccio con la scuola? E i compiti? E se dovessi riuscirci quando sarò grande come farò a farmi una famiglia, a trovarmi un lavoro, ho solo a vivere la mia vita e? MI DICI COME?” calde lacrime iniziarono a scendere, le gambe mi cedettero e mi accasciai a terra in ginocchio mentre continuavo a versare quelle lacrime che più per tristezza erano piene di ansia e di aspettative che la gente voleva da me.
Mia madre s’inginocchiò di fronte a me e m’abbracciò, restammo lì in quella posizione finché io non finii tutte le lacrime e quando mi fui calmata ricominciò a parlare.
“Lo so che ti sto chiedendo tanto tesoro però non sarai sola. Ci sono persone che devi conoscere che ti aiuteranno a scolgere i tuoi incarichi mentre tu non ci sarai. E se hai paura di non riuscire a vivere la tua vita divisa a metà bhe stai tranquilla che non succederà” mi disse rialzandosi e aiutandomi a rimettermi in piedi.
“Cosa intendi dire?”
“Ti sei mai accorta di una mia assenza prolungata da casa?”
Ci pensai un attimo e la risposta fù un no con alzata di spalle
“Vedi in questo regno il tempo scorre in modo molto diverso dal nostro. Se da noi passa un mese qui passa solo una settimana”
“Davvero? Wow”
“Già è molto bello. Ora su andiamo ti faccio fare un giro veloce prima dell’incoronazione di stasera.”
Ci incamminammo passando di fianco alla scalinata e al trono e entrammo in una porta che sbucava in un corridoio. Mi fermai ad osservare qualche quadro che ritraeva donne sedute sul trono e qualcuna con dietro anche un uomo “Mamma cosa sono tutti questi quadri?”
“Sono le regine del passato tutte quelle che ci sono state gli uomini che vedi dietro ad alcune sono i loro compagni. Perché si le persone che ci sono di là possono venire qui, ma solo se accompagnate dal possessore della chiave. A proposito tieni” mi porse la chiave e io la presi senza però più timori “Ricorda di tenerla sempre con te e di non lasciarla mai in giro ci sono persone di là che la stanno cercando”
“Visto che non è ne enorme ne pesante non si potrebbe farla diventare un ciondolo come se fosse una collana?” appena finii la frase la chiave iniziò ad illuminarsi per poi levitare piano si avvicinò al mio collo e facendo partire due piccoli fasci di luce, che si agganciarono dietro la testa, diventando una meravigliosa collana. Incuriosita la sfiorai e la chiave stessa si alzò dal mio petto e passando la catenina mi si posò sulla mano come su nulla fosse successo
“Meraviglioso. Non credevo si potesse fare” mia madre era scioccata e io con lei.
Avvicinai la chiave alla catenina e questa riprese il posto sul mio petto “Così andiamo sul sicuro non pensi anche tu?” dissi io iniziando a ridere e trascinandomi dietro mia madre.
Andammo avanti a camminare fino ad una porta, entrando notai che era una stanza enorme con un tavolo di forma ovale con 9 sedie, sempre in stile 1600, 3 su due lati, 2 su un lato corto e l’ultima che era più grande rispetto alle altre a capotavola.
“Questa Alice è la sala del consiglio. Qui è dove tu e i consiglieri prenderete le decisioni più importanti quelle che avranno bisogno di maggiore attenzione. Mentre se ci sono delle situazioni nella quale il consiglio può sbrigarsela da solo in quel caso tu non vieni disturbata”
Uscimmo da quella stanza e mi mostrò il castello, però solo le stanze più importanti al momento dicendomi che le altre le avrei dovute scoprire da sola, il tour finì nella camera da letto padronale, quella destinata alla regina.
Entrando si notava subito che era enorme con un camino grande quanto un divano a due posti, con attorno a se un mini salottino con due divani in velluto rosso e gli intarsi in oro, girandomi verso destra notai un meraviglioso letto a baldacchino anche in esso i colori oro e rosso ne facevano da padroni, sui lati del letto due comodini in legno di ciliegio, sulla parete a sinistra del letto un comò dello stesso materiale dei comodini, ma la cosa che mi piacque di più erano le finestre.
Tre finestroni ricoprivano la parete di fronte alla porta d’entrata, a destra del letto, quella di mezzo dava la possibilità di uscire su un terrazzo dove c’erano delle poltroncine con un tavolino.
“Wow. Ma questa è la tua stanza?” chiesi io affascinata da quell’enorme camera da letto che era grande tanto quanto la casa di là, e per specificare non è affatto piccola casa mia.
“In verità io non ho mai usato questa stanza, forse una o due volte. Io con il potere che avevo non potevo essere di grande aiuto al popolo quindi principalmente facevo da custode alla chiave e aiutavo quel poco che potevo” disse con uno sguardo malinconico e ferito “Comunque questa adesso è tua. Bene dal rumore che sento si direbbe che la gente ha iniziato ad affollarsi nel salone dei ricevimenti perciò è arrivato il momento” disse lei tutta esaltata e contenta, mentre a me tremavano le gambe dalla paura e dall’ansia.
Ci incamminammo verso il salone e notai che era abbastanza vicino alla camera, bisognava solo scendere due rampe di scale e attraversa dei corridoi, svoltare qualche volta a destra e qualche volta a sinistra.
-ho capito che mi farò una mappa, altrimenti c’e il rischio che mi perdo in questo castello-
Pensai io mentre ci fermammo nei pressi di una tenda dalla quale al di là si sentiva della musica e del vociferare molto fitto.
“Allora tu aspetta qui, ok? Quando ti chiamerò la tenda si aprirà e tu verrai avanti fermandoti alla mia destra. Tutto chiaro?”
“Si penso di si”
“perfetto” mi diede un affettuoso bacio sui capelli e attraversò la tenda, le veci sparirono e la musica cessò, aprii di poco il tendone per sbirciare, notai che il salone ,dove eravamo arrivate, ora era pieno di gente tutta con abiti sfarzosi, una piccola banda sul lato destro mentre su quello di sinistra un tavolo imbandito di varie leccornie.
“Benvenuti signori e signore al ballo dell’incoronazione.” Quando cominciò a parlare mia madre io chiusi la tenda e mi preparai psicologicamente a quello che da li a poco avrei dovuto affrontare.
“Come sapete il titolo che porto non ha un peso leggero sulle spalle, per questo per tradizione il passaggio va fatto al compimento dei 16 anni dell’erede. Purtroppo però il mio potere è agli sgoccioli e sta per finire e questa terra non potrebbe mai affrontare anni interi senza la dovuta protezione, per questo ho deciso di abdicare e passare il titolo a mia figlia Alice” appena finì di dire la frase la tenda si aprì e la gente si concentrò su di me. Io feci come detto da mia madre e avanzai fino a fermarmi alla sua destra.
“So cosa state pensando, che è sciocco da parte mia lasciare il regno in mano ad una ragazzina di appena 14 anni e avete ragione. Però io sono sicura che se la caverà. Nell’altro mondo già dall’infanzia ha dovuto affrontare molte peripezie e fidatevi quando vi dico che lei ha avuto il coraggio di affrontarle di petto e uscirne indenne e più forte di prima. Perciò primo ministro possiamo procedere” quelle parole erano come una sfilettata al cuore. È vero la mia infanzia non è stata facile sono sempre stata presa in giro e non solo verbalmente, ma anche fisicamente, sin dalle elementari e solo perché ero diversa da loro. Però non so dirvi se davvero sono diventata più forte come disse mia madre, tuttavia quello che posso dirvi è che non sono mai cambiata, sono sempre rimasta me stessa e nonostante il mio passato ho sempre il sorriso sul volto e cammino a testa alta fiera di ciò che sono e conscia di ciò che posso diventare.
Un uomo sulla settantina d’anni, vestito con una marsina con bottoniera, una giubba che copriva una camicia bianca e dei calzoni aderenti fino al ginocchio tutto di colore azzurro pallido con cuciture e piccoli ricami in oro, ai piedi un paio di scarpe vecchio stile con una specie di gambale rigido tutto di color oro, salì i pochi gradini che distanziavano la sala dal trono e avvicinatosi a mia madre gli fece un breve inchino a mezzobusto e piano poi si girò verso di me facendo lo stesso gesto, non sapendo cosa fare risposi con una piccola riverenza, però facendo questo gesto sentii alcune persone trattenere il fiato per lo stupore.
-Forse non avrei dovuto farlo- mi dissi mentalmente mentre l’ansia tornava a farsi sentire però voltando lo sguardo verso mia madre e il primo ministro vidi che loro stavano sorridendo orgogliosi perciò mi permisi di calmarmi un poco.
Però quella poca calma apparente, che avevo, andò a farsi benedire non appena il primo ministro mi porse la mano, io titubante l’accettai e seguii i movimenti che voleva che facessi.
Ci avvicinammo al trono, che era li a pochi passi da noi, il primo ministro mi fece girare verso la sala gremita di gente e mi fece sedere. Sentivo le ginocchia tremare, il cuore che pompava a mille e la sensazione che qualcosa di grande stava per accadere.
Mentre io ero li ad osservare quei volti curiosi di vedere l’incoronazione, a detta di mia madre, migliore degli ultimi secoli, la regina si mise alla mia destra e il primo ministro alla mia sinistra mentre un altro uomo, comparso da dietro la tenda, si mise tra me e mia madre facendole un breve inchino con  la testa.
“Signori e signore, Qui vi presento Alice, la vostro indubitabile regina. Al quale tutti voi in questo giorno dovrete rivolgere il vostro omaggio e il vostro servizio, volete fare lo stesso?” la gente in sala iniziò ad applaudire a quell’affermazione del vescovo.
Si rivolse a me e prima mi fece lo stesso gesto che io ricambiai con un accenno con la testa poi si girò verso due ragazzi che erano proprio dietro l’uomo, che supposi fosse il vescovo, e gli passarono due oggetti che da dove mi trovavo non potei vedere con esattezza.
Prese il primo e dopo averlo mostrato, alzandolo affinché tutti lo potessero vedere, venne di fronte a me e con un mezzo inchino me lo porse io lo afferrai con la mano verso la quale era diretto, cioè la destra, poi fece la stessa cosa con il secondo oggetto, che altri non era che un piccolo globo con una croce sulla sommità. Finito ciò andò da mia madre e da dietro sollevò la tiara e mentre si avvicinava a me disse:
“Giura solennemente di governare il popolo di Dalia e di tutti i territori appartenenti secondo le loro rispettive leggi e costumi? Farà in quanto suo potere affinché la legge, la giustizia e la clemenza trionfino sempre nell’esercizio delle sue funzioni?” disse il vescovo con voce altisonante così che tutti al interno della sala potessero sentire.
“Si! lo giuro solennemente” risposi con altrettanta voce.
Dopo la mia risposta mi mise la tiara sulla testa, questa cominciò ad illuminarsi avvolgendomi in una calda luce, inizialmente non sapevo cosa fare, poi i movimenti vennero naturali.
Mi alzai e,chiudendo gli occhi, alzai la testa come se stessi osservando il cielo, la luce continuò a brillare in torno a me, ne sentivo il calore irradiarmi la pelle fin dentro le ossa. Mi strinsi le braccia al corpo e un sorriso spontaneo mi comparve sulle labbra, era come se sentissi tutti le creature viventi in quel bagliore che mi stava abbracciando, sentii i respiri delle piante, l’ululato di un lupo in cerca del suo branco, ma soprattutto sentii la voce di una donna nella mia mente che affermava che io potevo ridare la libertà a quel mondo ormai corrotto. La luce si dissolse e come se niente fosse successo riportai le braccia sul fianco e mi incamminai verso il vescovo di fronte a me.
La banda iniziò a suonare una canzone in sottofondo per proclamare la nuova regina. Arrivata vicino alla scalinata il vescovo ricominciò a parlare, sempre con le note soavi della banda in sottofondo,
“Signori e signore, sua maestà Alice De Rosa regina di Dalia”  un ovazione di applausi si sollevò e finito l’applauso gli ospiti iniziarono ad inchinarsi di fronte a me.
Non potevo minimamente pensare quanto dura sarebbe stata da lì in avanti però ero certa di una cosa ci avrei messo tutta me stessa per rendere fiera mia madre, il mio popolo e riportare questo paese alle nobili origini, di cui mia madre mi aveva raccontato. Peccato che non fù così facile.

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Capitolo 3
*** La litigata storica ***


Capitolo 2: La litigata storica
 
POV Narratori
 
“Wow non mi avevi raccontato questa parte della storia. Cioè si me lo avevi detto ma non così. E dimmi come ti sentivi a stare davanti a centinaia di persone che ti guardavano mentre tu guardavi loro?”  chiese Sara con gli occhi che brillavano affascinati
“A dire la verità ero terrorizzata ma al tempo stesso molto elettrizzata all’idea di essere la regina di un intero regno” disse Alice mentre alzava le braccia per far scrocchiare le spalle
“Ok ora sono geloso!! A me non hai mai raccontato il giorno della tua incoronazione” disse Filippo fintamente offeso
“Vero però a te ho raccontato cose che nessuno sa” gli rispose Alice appoggiandosi allo schienale della sedia e tirando in dietro la testa per guardarlo
“Mmh… si dai hai ragione”
“Io ho sempre ragione” disse con un ghigno giocoso sulle labbra
Filippo appoggiò le mani sui braccioli della sedia e avvicinandosi al volto di Alice disse
“Ora però non tirartela troppo” per poi darle un veloce bacio sulla fronte, però quel momento romantico fù spezzato da una Sara alquanto infastidita dal comportamento dei due ragazzi
“Se voi due avete finito di fare i piccioncini vorrei sapere il resto della storia”
“Ma scusami un attimo Sara, da adesso in avanti tu non eri costantemente insieme a lei?” disse Filippo con le braccia conserte appoggiate allo schienale della sedia mentre guardava Sara
“Si e no cioè lei c’era però non da subito. I primi tempi, se ricordi bene, cercavo di stare sempre per conto mio. Poi però un bel giorno, questa piccola demonietta, si è fatta avanti ed ha iniziato a parlarmi poi una cosa tira l’altra e da li siamo state inseparabili” rispose Alice con un piccolo ghigno sulle labbra
“Allora parliamoci chiaro io non sono una demonietta, ma la signora delle ombre prego” controbatté Sara, a quello che per lei sembrò un insulto, e dicendo così fece schioccare le dita e delle piccole fiammelle nere iniziarono a girargli in torno come se danzassero
Alice e Filippo si misero a ridere per quel piccolo sfoggio di magia di Sara.
“Va bene, o signora delle ombre. Però ora manda a nanna i fuochi fatui prima che facciano qualche danno” disse Filippo con ancora le lacrime agli occhi e facendo una sorta di inchino pomposo con addirittura il gesto della mano in direzione di Sara
“Sai bene che i miei tesorucci non farebbero male ad una mosca. Fil” ribattè Sara conscia di aver usato il nomignolo di Filippo
“Sara se non li metti a dormire tu ci penso io, e sappiamo bene che dopo non starebbero più tanto bene se usassi la mia magia su di loro” si intromise Alice, prima di far scoppiare una guerra tra i due, con la mano in posizione come se dovesse schioccare le dita
“No no ferma la mando a casa io” disse Sara mentre schioccando le dita li fece sparire “L’ultima volta che lo hai fatto tu non ho potuto richiamarli per un bel po’ se ben ricordo”
“Comunque tornando seri, cosa racconterai adesso?” chiese Filippo dubbioso
“Ovvio racconterà di come ci siamo conosciute” intervenne Sara
“Non credo che vada bene. Secondo me dovrebbe andare avanti a raccontare da dove ha interrotto”
“Ma così sarebbe troppo noioso e poi sarebbe troppo lungo da raccontare” disse Sara accasciandosi su una sedia per dare enfasi alla frase
“Io pensavo di raccontare a grandi linee come si sono svolte le settimane precedenti al incontro con Sara e il motivo delle nostre litigate che ne dite?” propose Alice
Sara e Filippo ci pensarono un attimo e poi Filippo disse “Io ho un dea migliore”
“Sarebbe?” chiese Sara con un sopracciglio alzato
“Vorrei provare a raccontare una delle nostre litigate storiche. Una di quelle che ha lasciato stupiti e confusi in molti” Alice ci pensò un attimo poi rispose
“Si penso possa andare. Però quale racconterai in 4 anni ne abbiamo fatte di litigate” disse ridendo ripensando alle varie lotte verbali e non fatte con Filippo
“Ora vedrai” disse lui facendo alzare Alice dalla sedia per prendere il suo posto e iniziare a scrivere.
 
POV Filippo
 
Eravamo in seconda superiore, durante il primo dei due intervalli, io stavo con il mio solito gruppetto di amici appoggiato al muro di una colonna dell’agorà della nostra scuola.
L’agorà era esattamente il centro della nostra scuola e i pieni superiori erano strutturati per fare in modo che si affacciassero tutti in questa sorta di piazza.
Come sempre era pieno di gente e gli altri piani non era da meno, tutti si appoggiavano alle ringhiere per guardare la gente che passava o addirittura per parlare da piano a piano urlando creando così una gran confusione, però io ero concentrato su altro, non era di certo il solito discorso dei miei amici che variava dal calcio alle donne, no, io ero concentrato su in gruppo di persone, nel centro dell’agorà, che parlava animatamente con una persona in particolare.
Alice la mia compagna di classe era come sempre, al centro dell’attenzione di tutti. Pensate che addirittura mi erano arrivate delle voci di due o tre persone che avevano una cotta per lei
-Tsh… come si fa a prendere una cotta per quella li- pensai infastidito mentre la guardai dare l’ennesimo abbraccio ad un ragazzotto della nostra età poco più alto di lei.
“Hoy Filip mi stai ascoltando?” mi richiamò un mio amico
“No non credo è di nuovo imbambolato a guardare la sua ragazza” rispose un altro
“Non è, e mai lo sarà, la mia ragazza. Una come lei non lo vorrò al mio fianco neanche sotto tortura” risposi io non appena sentii quell’affermazione
“Hey amico, che c’è di male a dire che ti piace?” disse di nuovo il primo che aveva parlato
“Perché dovrei dire una cosa che è solo frutto della vostra fantasia?”
“Bhe forse perché se è nei paraggi tu te ne accorgi subito e non fai altro che fissarla”
“Si oppure come appena vi incontrate prima di parlarvi non fate altro che scambiarvi sguardi di fuoco”
“Sai su questo hai ragione” risposi io con un ghigno sul volto “Spero che bruci d’avanti ai miei occhi e che io abbia l’ultima bottiglia d’acqua nei paraggi”
“Eddai smettila di fare il burbero e non mentire a te stesso oramai tutti sanno che tra voi due c’è un amore segreto che però non volete rivelare”
“Scusa e questa dove l’hai sentita?” -questa è bella. Un amore segreto tra me e lei. HAHA-
Mentre formulavo questo pensiero suonò la campanella e la gente iniziò ad andare verso le rispettive classi compresi noi
“sai la gente parla e se sei capace di ascoltare a volte potresti capire tante cose”
“E questa dove l’hai letta? Nei baci perugina” chiesi io scoppiando a ridere e trascinando i miei amici
“No in un libro di poesie” mi rispose lui unendosi alle risate. Mentre andavamo avanti a ridere arrivammo alla mia classe e siccome io ero nella 2°A mentre loro erano suddivisi nelle altre sezioni li salutai lì.
Vi spiego la nostra scuola suddivide le classi con 1° A-B-C-D ecc.. siccome eravamo tanti e non si poteva fare una sola prima o una sola seconda avevano adottato questo metodo. Per non parlare delle aule, a seconda della materia o del professore c’era una classe nella quale dovevamo andare.
“Potresti per cortesia spostarti dalla porta?” una voce, che avrei riconosciuto tra mille, spuntò di fianco a me, voltandomi verso la proprietaria di questa voce mi accorsi che aveva le braccia conserte al di sotto del seno , non sapeva che facendo così lo rimetteva ancora più in risalto di quanto già non fosse? Insomma quella era una quarta bella piena e non c’era di certo bisogno di mettere le braccia a quel modo per risaltarlo di più.
“Oo… guarda chi si rivede. La nanetta con la sua amica” ‘salutai’ Alice e Sara che adesso si trovavano di fronte a me
Ok, lo so cosa state pensando, l’ho provocata apposta, e avete ragione a pensarlo, però era troppo ghiotta per lasciarmela scappare. Anche se non mi sarei mai aspettato una reazione di quel calibro.
“Sottospecie di babbuino mal riuscito spostati o giuro che domani non riuscirai neanche a sederti” io ovviamente scoppiai a ridere ma non mi accorsi però dello sguardo nero che aveva.
Nel giro di due secondi mi ritrovai con la faccia a terra e le braccia strette dietro la schiena con Alice sopra che mi impediva di muovermi. Non capii come ci fosse riuscita, eppure non sembrava una ragazza sportiva o che altro, però diavolo ne aveva di muscoli.
“Ascoltami molto attentamente, perché lo dirò una volta soltanto, quando una persona ti chiede se per favore puoi spostarti sarebbe meglio farlo prima di farti male seriamente. Per oggi ci vado leggera solo perché l’insegnante è già in classe, ma la prossima volta giuro che non sarò così magnanima” disse tutto questo in un sussurro tra i denti ma con della cattiveria che mai mi sarei aspettato da lei.
Si alzò e mi lasciò libero ci misi un attimo a rialzarmi, aiutato da un mio amico che aveva visto tutta la scena
“Filippo tutto bene?” mi chiese preoccupato
“Si credo” risposi mentre mi massaggiavo piano i polsi indolenziti -Non capisco ho detto le stesse cose che dico di solito perché stavolta mi ha aggredito così?- mi chiesi mentre tornavo in classe notando il professore mentre parlava con un Alice ancora alquanto arrabbiata ma con qualcos’altro negli occhi che non seppi descrivere
“Mancini vieni qui” mi chiamò il professore -e adesso cosa vuole da me? Io non ho fatto niente stavolta. O almeno credo…- mi avvicinai e aspettai che finissero di parlare.
“Vai a posto De Rosa e che non si ripeta più. E ricordati che nell’secondo intervallo dorai rimanere in classe. Anche tu Mancini”
“si, prof mi scusi”
“non è a me che devi chiedere scusa”
“Sa bene che non glielo dirò mai” rispose lei con tono molto tranquillo lanciandomi un occhiataccia di traverso -Certo che, certe volte, fa davvero paura. Hey un momento che vado a pensare io aver paura di un nano da giardino. tsh ridicolo- pensai mentre la vidi andare a posto accanto a Sara negli ultimi banchi in fondo.
“Filippo quello che è successo la fuori non deve più capitare è chiaro?”
“Scusi prof se la contraddico però sa bene quanto me che è stata lei ad iniziare”
“Ne sei certo?”  mi chiese alzando un sopracciglio
“Si abbastanza” risposi con un alzata di spalle
“Correggimi se sbaglio ma da quello che ho sentito lei aveva chiesto cortesemente di spostarti e tu l’hai insultata, sbaglio forse?
“Andiamo non vorrà dirmi che nanetta è un insulto?”
“Ti piacerebbe se tutti ti chiamassero… che ne so…” mentre il professore pensava ad un insulto adatto, una voce dal fondo della classe rispose per lui.
“Fil”
“Ecco esatto. Grazie Sara per il suggerimento”
“Si figuri professore, sempre a sua disposizione” mi girai a fulminarla e la vidi sghignazzante con la schiena appoggiata allo schienale della sedia e le mani dietro la testa,
“Quindi a te piacerebbe se qualcuno ti chiamasse di continuo Fil?” mi richiamò il professore
“No. Anzi mi darebbe alquanto fastidio” risposi sincero
“Bene allora visto che hai capito vedi di piantarla e chiamala con il suo nome di battesimo, vedrai che la prossima volta non farai la figura del sacco di patate. E ora va a posto così iniziamo la lezione” finì di dire il professore.
Andai verso il mio banco e non so perché guardai nella direzione di Alice e notai che sembrava quasi che piangesse -mha me lo sarò immaginato- feci spallucce e andai a sedermi al mio posto.
Passate le due ore di storia suonò la campanella del secondo intervallo e come ordinatoci dal professore io e Alice rimanemmo in classe. Per stare più comodo appoggiai la schiena al muro e allungai le gambe sulla sedia del mio compagno di banco, in quella posizione potevo vedere alla perfezione Alice senza muovere un muscolo.
Stava con il capo chino appoggiato sulle braccia che stazionarie stavano sul banco, Sara sembrò chiedergli qualcosa e dopo una risposta, che non sentii da dove ero, se ne andò dalla classe e dopo di che anche l’insegnate usci dall’aula lasciandoci soli in un silenzio che non pensavo di sentire all’interno del nostro istituto.
“hey si può sapere che hai oggi?” chiesi spezzando il silenzio
Non ricevetti alcuna risposta e perciò provai a chiamarla un paio di volte senza mai usare il suo nome.
Spazientito mi alzai e mi avvicinai al suo banco sbattendo le mani su di esso, per far notare che era riuscita a farmi incazzare solo ignorandomi,
“Quando una persona ti parla sarebbe educato rispondere” provai di nuovo
“Non se la persona che ti sta rivolgendo la parola è sgradita” mi rispose senza però alzare la testa
-Bhe almeno ha risposto. È già un passo avanti-
Non resistetti più a quella situazione così in un impeto di rabbia la feci alzare con la forza tirandola su afferrandola per il braccio destro, ma nel farlo vidi che una smorfia di dolore arrivò fino al volto. Non pensavo di aver usato così tanta forza da farle male così mollai la presa, ma ciò che mi colpì fu che non si andò a massaggiare il braccio ma il fianco destro, incuriosito chiesi
“Che ti sei fatta?”
“Non sono affari tuoi” mi rispose, dopo che ebbe preso un respiro profondo mi sorpassò e si diresse verso la porta, però fece pochi passi quando fermò il piede a mezz’aria mentre il busto sporgeva pericolosamente in avanti.
Senza neanche accorgermene mi precipitai a prenderla prima che cadesse a terra e si facesse male.
La tenevo con una mano sotto il seno e l’altra sul fianco destro, quello che sembrava fargli male, senza stringere, piano la feci girare tra le mie braccia e la accompagnai a terra tenendola sulle mie ginocchia.
Non capivo cosa stesse succedendo, era bianca come un cencio, il respiro affannato come se avesse corso chilometri e gli occhi chiusi con le ciglia corrugate.
“Hey stai bene?” chiesi preoccupato. Non l’avevo mai vista così, lei era forte, orgogliosa e con il sorriso sempre in volto, ma non un sorriso normale, no, era uno di quei sorrisi che ti illuminavano la giornata solo stando accanto a lei per cinque minuti.
“Lasciami stare. Starò bene. Devo solo riposare” mi rispose tra un respiro e l’altro alzando il braccio sinistro come se volesse scacciarmi, ma l’unico risultato che ottenne fu di appoggiare la mano all’altezza del cuore. Il suo palmo caldo mi stava riscaldando piano anche attraverso la maglietta, il mio cuore perse un battito per poi ricominciare a battere più forte di prima e in quel momento ero sicuro che lei lo stesse sentendo.
Osservai la mano che piano si strinse alla maglietta e poi tornai a fissarla in volto accorgendomi solo in quel momento che mi stava osservando.
I suoi occhi azzurri come il cielo, che solitamente avevano una luce particolare, sembravano spenti, freddi, ed erano arrossati -quindi piangeva davvero prima. Non me lo ero immaginato- constatai mentalmente mentre una piccola lacrima solitaria le scese sulle gote che piano sembravano riprendere un minimo di colore. La asciugai con il pollice della mano e senza staccarla mai dal suo volto le diedi delle piccole carezza senza distogliere mai lo sguardo.
La vidi osservami attentamente il volto, come se stesse prendendo nota di tutti i particolari per poi disegnarlo a memoria, si fermò qualche istante di più sulle labbra e la cosa mi sembrò alquanto incredibile quando anche io osservai le sue, socchiuse per il respiro affannoso, che sembrava essersi regolarizzato, ma non stabilizzato.
Spinto da non so cosa mi avvicinai al suo viso con un solo scopo, quello di assaggiare quelle labbra rosee che davano la sensazione di essere estremamente dolci.
Non ci accorgemmo dei minuti che passarono perché a pochi centimetri dal mio obbiettivo suonò la campanella che ci fece uscire da quello stato di trance nella quale eravamo entrati, nel sentire la porta aprirsi raddrizzai il busto, ma non mi tirai in piedi, restai in quella posizione solo per lei visto che, tralasciando il rossore sulle gote il resto del viso sembrava ancora un lenzuolo stropicciato.
Fece per alzarsi ma la smorfia di dolore tornò e staccando la mano dalla mia maglietta se la portò al fianco destro. -perché ora che ha tolto la mano sento freddo?- mi chiesi non capendo cosa fosse successo.
“Ma che diavolo è successo qui?” chiese il professore inginocchiandosi di fonte a me per vedere in che condizioni stava Alice
“Dimmi Alice ti ha picchiata? Spinta? O molestata in qualche modo?” continuò lui
“Professore la prego si calmi. Ho solo avuto un capogiro e Filippo mi ha preso al volo prima che mi facessi male seriamente. Tutto qui” rispose lei “Grazie Filippo. Ora sto bene” mi disse rivolgendomi un sorriso che di più falco non c’è niente.
Fece per alzarsi ma io glielo impedii
“Resta giù ti porto in infermeria” dissi senza accettare alcun tipo di rifiuto
“No Filip, lascia fare a me” disse un ragazzo della nostra classe amico di Alice e secondo alcune mie fonti personali, ma sicure, lui era uno dei ragazzi con una cotta per lei. Notai l’insistenza che aveva nella voce e mi diede subito fastidio anche se non seppi il perché.
“No!” dissi alzando di poco la voce facendo in modo che mi sentissero tutti -perché l’ho fatto?- non lo capii, l’unica cosa che posso dirvi è che sistemandogli meglio il braccio dietro la schiena e posizionando l’altro dietro le ginocchia mi tirai in piedi e portai lei con me senza appoggiarla a terra.
Alice per non cadere, credo, mi riafferrò la maglietta nello stesso posto di prima, sentii il tocco della sua mano anche attraverso il cotone della maglietta e delle scariche elettriche mi attraversarono il corpo.
L’intera classe ci stava guardando chi stupito per la mia reazione chi preoccupato per le sorti dell’amica che stava tra le mie mani.
“prof posso accompagnarlo?” chiese Sara mentre stavo per incamminarmi
“No voi dovete cambiare classe, e poi non penso che si ammazzeranno” rispose il professore guardandomi dall’alto in basso con una luce particolare negli occhi e un piccolo sorriso che aleggiava sulle labbra.
“Filippo rimani con lei finché non si sveglia, grazie” mi chiese, guardai Alice e notai che il respiro ora era regolare e con gli occhi chiusi. Io feci segno di si con la testa e senza dire una parola uscii dalla classe e mi diressi verso l’infermeria.
Non era altri che una piccola stanza con un lettino, una sedia e un armadio con dentro il necessario per una veloce medicazione.
Arrivai e la adagiai sul lettino cercando di non svegliarla, però c’era un problema la sua mano mi stringeva ancora la maglietta perciò con molta calma appoggiai la mia su quella di lei e in quell’istante la sua lasciò la presa lentamente, per incrociarla con la mia. Quel piccolo gesto così spontaneo, così dolce mi fece perdere un altro battito, mi sedetti e stetti li con lei aspettando che si svegliasse.
-Cosa mi sta succedendo? Non può essere vero quello che dicono i miei amici!- pensai passandomi la mano libera nei capelli sospirando
“Eppure, quando hai staccato la mano ho sentito freddo. Tanto freddo.” Sospirai di nuovo
“Cosa mi stai facendo, eh nanetta?” dissi più a me che a lei guardandomi i piedi stranamente interessanti in quel momento
“Semmai dovrei essere io a chiederlo a te, Fil” mi rispose con voce un po’ impastata dal sonno.
Alzai lo sguardo e la trovai ad osservarmi con le guance rosse e un sorriso timido sulle labbra.
“Rieccola” dissi guardandola negli occhi
“Che cosa?”
“La luce nei tuoi occhi” non stavo pensando, in quel momento il mio cervello e la mia bocca erano del tutto scollegati. A parlare era qualcos’altro.
Le sfiorai di nuovo il volto con la mano libera e piano mi avvicinai ma stavolta non puntavo alle sue labbra, che stavano a pochi centimetri da me, no, appoggiai la fronte sulla sua e chiusi gli occhi mentre con il pollice le davo leggere carezze sulla guancia.
“Allora ci avevo visto giusto” quel commento ci riportò subito alla realtà e rimettendomi in piedi notai che a parlare era stato il professore di storia
“Non so di cosa stia parlando prof” cercai di sviare, anche se praticamente inutile visto quello che aveva visto -chissà da quanto è lì. Mamma mia che vergogna- mi sentii le guance andare a fuoco.
“Andiamo mi avete preso per un vecchio rimbambito?” disse questa frase mentre osservava qualcosa alle mie spalle, seguii il suo sguardo e notai le nostre mani ancora intrecciate tra loro, involontariamente il mio sguardo tornò sul suo viso e i nostri occhi si agganciarono di nuovo facendomi provare un turbine di emozioni che non credevo possibile.
“Ehm… preferite che ripassi più tardi?” chiese con un piccolo colpo di tosse
“N-no, Scusi. Torno in classe” dissi io lasciando la mano di Alice, andai nel’aula che sapevo era quella di disegno del’ora e mezza successiva.
Bussai e appena ricevetti l’avanti della professoressa di disegno entrai venendo subito bombardato di domande su cosa fosse successo durante l’intervallo o come stava Alice. Io spiegai brevemente quello che era successo tralasciando la parte del dolore al fianco, degli sguardi e del quasi bacio, e poi dissi che appena si era svegliata ero tornato in classe usando la scusa che non ne potevo più di stare solo con una nanetta del genere emulando il solito tono di voce e la solita espressione annoiata. Quello che però non potevo immaginarmi fù la risposta che ne seguì
“Strano eppure non mi sembravi così annoiato” tono di voce freddo e piatto, piccole frecce ghiacciate in ogni parola pronunciata
Mi girai e me la ritrovai davanti con le braccia conserte e un espressione cupa, schifata ma soprattutto delusa sul volto. La guardai negli occhi cercando di vedere la stessa luce di prima, invano. C’era solo odio in quegli occhi -E chi può darle torto! Sono stato un coglione- mi rimproverai mentalmente mentre mi sorpassava e andava a sedersi di fianco a Sara, senza degnarmi neanche di uno sguardo. Andai a sedermi al mio banco con l’idea di fermarla all’uscita da scuola per parlarle, senza qualche pettegolo nei dintorni.

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Capitolo 4
*** La litigata storica parte 2 ***


Capitolo 3: La litigata storica parte 2
 
POV Alice
 
Il giorno prima,
“Mamma io vado”
“Ok. Ci vediamo più tardi”
“Ma’ dove va?” sentii mia sorella chiedere a mia madre
“Va da degli amici, se non ho capito male” mentì lei
Non capivo perché almeno non poteva saperlo, insomma fa parte della famiglia anche lei e non mi pareva giusto nasconderle la verità, papà lo sapeva e non si faceva problemi.
Scesi le scale e mi chiusi la porta d’entrata alle spalle, girando l’angolo andai dietro casa, dove c’erano solo macchine parcheggiate e nient’altro, sfiorai la chiave appesa al collo e questa si illuminò staccandosi e andandosi a poggiare sulla mano che tenevo aperta.
Era passato un anno in questo mondo, mentre nell’altro ne erano trascorsi addirittura tre e con il passare del tempo mi accorsi di star crescendo. Ma non fisicamente, no, quello che intendo è che i miei poteri crescevano di giorno in giorno man mano che conquistavo terreno o sconfiggevo qualche nemico, per non parlare del mio titolo da regina, da che ho iniziato a governare ho dovuto venire a conoscenza delle condizioni del mio popolo, ho scoperto di altri regni in guerra con il nostro da ormai secoli, solo per aggiudicarsi un po’ di potere in più, ho imparato la pazienza e la saggezza che una buona regina deve avere per prendere delle decisioni anche nei momenti più critici.
Iniziai a studiare la storia di come fù fondato, delle regine precedenti, ma soprattutto, mi spiegarono la storia della fontana più antica dell’intero regno.
Quella fontana si dice abbia 1991 anni e che la regina Dalia, colei che diede vita al regno, la fece costruire come amuleto per amplificare i poteri delle future regine, ma nessuno sa più la verità oramai.
Avvicinai la chiave al muro e dal nulla comparve una piccola serratura, infilai la chiave e apparve la porta, estrassi la chiave ed entrai. I miei vestiti cominciarono a cambiare, ogni volta che entravo un abito nuovo si creava, quel giorno comparve un abito lungo color pesca con corsetto a cuore e la gonna in tulle, dietro la schiena un fiocco con i lembi finali talmente lunghi da farmi da strascico, era magnifico.
Arrivata alla sala del trono vidi subito che qualcosa non andava.
Le guardie erano tutte armate fino ai denti, i consiglieri riuniti al centro del grande salone sembravano in panico mentre dalla finestra si vedeva un cielo plumbeo di nubi e…. FUMO?
“Primo ministro cosa sta succedendo?” chiesi allarmata avvicinandomi a loro facendo riecheggiare i tacchi, non appena si accorsero della mia presenza si zittirono di colpo e me fecero un inchino
“Vedete , vostra maestà, il regno di Artless ci ha attaccato da nord-ovest” rispose lui
“E quale sarebbe il problema? Abbiamo già sventato attacchi del genere”
“Vero, vostra Altezza, però stavolta hanno usato delle armi incantate da magia nera. I nostri soldati hanno provato in tutti i modi di contrastarli, ma senza molto successo” rispose un altro
“Che ne è stato dei feriti? E i cittadini?” chiesi preoccupata per le sorti del mio popolo
“Siamo riusciti ad evacuare la città prima dell’attacco. Mentre i feriti sono stati portati nelle stanze adiacenti al castello”
Pensai un attimo sul da farsi per risolvere la situazione e decisi che era giunto il momento di mettere in pratica le lezioni di scherma a cui mi sono sottoposta dopo l’incoronazione. Insomma non volevo di certo stare seduta mentre vedevo la gente stare male o morire, no, io avrei combattuto con loro, ma soprattutto per loro.
Schioccai le dita e una luce mi avvolse facendomi cambiare d’abito. Feci apparire un armatura composta di pantaloni con rinforzo per le gambe, un bustino che copriva le spalle e gli avambracci, una cintura con una spada sul fianco nel suo apposito fodero, la maglia ed i pantaloni al di sotto dell’armatura avevano i colori del regno, un porpora screziato con sfumature bianche, e per finire in bellezza una cappa con il simbolo della dalia a rappresentare il regno. I capelli mi si raccolsero in una coda alta e la tiara lasciò il posto ad un elmo non intero, ma che copriva la parte alta della testa.
“Vostra maestà non potete andare la fuori è un inferno”
“Non rimarrò nascosta a vedere il mio regno bruciare” detto questo mi girai e andando verso il portone e lo aprì. L’odore pungente del fumo mi fece storcere il naso ed il fuoco che lambiva le case si mischiava con i colori del tramonto creando delle sfumature che davano davvero la parvenza di essere negli inferi.
Iniziai a correre sguainando la spada e fendendo colpi ai nemici che si trovavano sul mio cammino. Vi starete chiedendo perché non usai i poteri, bhe semplice non potevo ancora. La capacità di combattere utilizzando la mia forza magica la imparai ad usare più tardi per questo chiesi che mi venisse insegnata l’arte della spada, per poter aiutare seppure poco.
Abbattei altri nemici mentre mi dirigevo verso il loro comandante e condottiero, re Bora, il quale avevo visto trovarsi nella piazza cittadina.
Arrivai e lo vidi che girava in torno alla fontana con fare incuriosito, cercò di toccarla ma questa gli diede una forte scarica elettrica che lo mandò riverso al tappeto con una velocità spaventosa, però dopo un attimo di stordimento si rialzò e con la spada in mano, verso la fontana, lo vidi sogghignare
“Vediamo ora se fai tanto la spiritosa” disse lui prima di abbassare le braccia
Presi coraggio e, correndo nella sua direzione, mi parai davanti alla fontana in posizione di difesa parando il colpo col la spada.
“Oh.. ma guarda un po’ chi abbiamo qui. La regina in persona è venuta a salutarci” disse divertito
Misi forza sull’elsa della spada e lo allontanai dalla fontana e da me
“Che scortesia potresti anche salutare, insomma oramai sono due anni che ci conosciamo” continuò lui, non notando alcun tipo di reazione da parte mia
“Bene come vuoi, vorrà dire che sentirò la tua voce quando urlerai agonizzante” rivelò scagliandosi contro di me, io feci lo stesso e le nostre spade si contrarono.
Non ero abbastanza brava per riuscire a contrastarlo, per non parlare del fatto che lui aveva più muscoli di me, era più grande di cinque anni ed  essendo nato qui era stato cresciuto in un modo completamente differente dal mio, però io non demorsi.
Purtroppo, però, la lealtà è qualcosa che di quei tempi, soprattutto in un mondo di quel genere, pochi possedevano e lui non faceva parte di quel gruppo ristretto di persone.
Mi colpì al fianco destro con un pugnale, io di rimando però lo colpii con l’elsa della spada nel plesso solare facendolo allontanare da me e accasciare a terra in cerca d’aria. Mi inginocchiai tenendomi la mano libera sul fianco malridotto sentendo il pugnale ancora lì. Decisi di lasciarlo stare per il momento e cogliere al volo l’occasione che avevo d’avanti.
Bora stava a pochi metri da me a terra con le braccia attorno al busto cercando di prendere dei respiri profondi, mi alzai e arrivatagli vicino, con le lacrime agli occhi, lo trapassai da parte a parte con la spada. La estrassi e lo sentii tossire e sputare sangue mentre cercò di parlare per l’ultima volta
“Complimenti… maestà… non pensavo… che una ragazzina… potesse battermi…” continuando a parlare tra un respiro e l’altro, continuò con un ghigno spaventoso sul volto
“Ricordati… morto un re… se ne fa un altro…” finì di dire iniziando a ridacchiare per poi spegnersi lì, di fronte a me, con gli occhi che, mano a mani perdevano luminosità lasciando uno sguardo spento su un viso pallido e inanimato.
Solo in quel momento mi permisi di cadere in ginocchio e togliermi il pugnale ancora nel mio fianco per poi gettarlo lontano, il dolore aumentò e la testa cominciò a girarmi. Iniziai a vedere doppio, scivolai a terra oramai priva di forse, due braccia mi afferrarono e mi portarono di nuovo al castello.
I soldati nemici si arresero avendo perso il loro condottiero e fatti prigionieri dai miei, gli venne data loro una scelta, siccome erano cittadini come tutti, gli vennero proposte due opzioni, la via della redenzione o quella della purificazione.
Non vi spiegherò in dettaglio cosa successe vi basti sapere che molti di loro scelsero la purificazione e non videro mai più la luce, mentre per quelli che scelsero la redenzione gli fù concesso di trasferire l’intera famiglia nel regno di Dalia e di riscattare il proprio ‘debito’ lavorando nei campi.
Dopo un ora di medicazione finalmente fui lasciata libera di rialzarmi da letto, però il fianco doleva da morire. Decisi che per quel giorno ero troppo stanca per andare avanti perciò tornai nel mio mondo sperando che una bella tachipirina mi aiutasse a far passare il dolore.
Il problema fù far vedere a mia madre la ferita e spiegarle che fondamentalmente stavo bene, ma lei volle a tutti i costi portarmi in ospedale a controllare le condizioni. I medici mi fecero una TAC e videro che ‘il pezzo di vetro’ non aveva fatto danni se non lacerare la pelle e qualche vaso sanguigno superficiale, ma per il resto stavo bene. Mi sistemarono la fasciatura dopo aver messo i punti alla ferita e mi diedero un antidolorifico per sopportare il tutto.
“Alice, sei sicura che domani vuoi andare comunque?”
“Si mamma, stai tranquilla ok? Sto bene, te lo giuro” provai a convincerla con scarsi risultati. Dopo poco sospirò facendo un segno di negazione con la testa e disse
“D’accordo, mi fido di te. Però se domani a scuola dovessi sentirti anche solo un giramento di testa chiamai subito che vengo a prenderti. È chiaro?”
“Cristallino” tornate a casa  preparai vestiti e cartella per il giorno dopo e andai a farmi una bella dormita, però così non fù. Nei sogni continuava a comparirmi il volto di Bora pallido con occhi totalmente neri e del sangue a colare al posto delle lacrime, continuando ad urlarmi ‘mosto’ oppure ‘assassina’. Quella notte dormii da schifo.
 
Mi svegliai di soprassalto sentendo subito un dolore intenso al fianco, mi alzai e mi preparai per andare a prendere l’autobus.
Erano le 7.45 quando arrivai davanti a scuola, siccome non ero proprio in vena di chiacchiere mi diressi subito verso la mia classe salutando di tanto in tanto i vari ragazzi che conoscevo.
Appena arrivai davanti alla porta dell’aula, che si trovava a destra dell’agorà, lasciai lo zaino scivolarmi dalla spalla e posandolo a terra mi ci sedetti di fianco sospirando per la piccola fitta di dolore -in teoria l’antidolorifico dovrebbe aver già fatto effetto- pensai sbuffando
“Aleeeeeee….” Una voce urlò dal lato opposto all’agorà. Osservai Sara corrermi incontro tutta agitata facendo voltare molti dei ragazzi che stavano stazionando davanti alle varie aule aspettando l’apertura di quest’ultime.
“Non puoi neanche immaginare cosa mi è successo ieri pomeriggio” disse tutta eccitata saltellando sul posto
“Ciao Teso, fammi indovinare, ti ha scritto il ragazzo che ti piace?” chiesi io curiosa
“No, purtroppo. Però è meglio, fidati”
“Cosa? Dai dimmelo lo sai che non sopporto le sorprese”
“OK-ok. Sono venuta a sapere che faranno un'altra stagione di teen wolf” mi rivelò infine facendo un urletto eccitato.
Presa dalla foga mi alzai di slancio e l’abbracciai, però quel movimento si rivelò essere altamente doloroso, respirai un paio di volte per cercare di calmare la fitta pulsare che sentivo, quando mi staccai da Sara cercai di avere l’espressione più normale possibile
“Hey Ale stai bene?” con scarsi risultati a quanto pare.
“Si si, tranquilla. È solo che stanotte non ho dormito molto bene” dissi su due piedi
Suonò la campanella e arrivò il professore ad aprirci la classe, aspettò che tutti fossimo entrati, fece l’appello e, una volta terminato, iniziò a spiegare le proprietà invariantive dei radicali.
Era passata circa un ora e mezza quando un foglio di carta atterrò sul mio banco, non mi servì girarmi per sapere da chi proveniva, ne avevo bisogno di leggerlo, il mio umore era già abbastanza nero senza che lui ci si mettesse del suo.
-qualcuno mi ricordi perché ho deciso di venire oggi a scuola- mi chiesi tra me e me massaggiandomi le tempie per far passare un principio di mal di testa che sarebbe arrivato da lì a poco.
Osservai infastidita il foglietto e, controllando che il professore fosse girato a spiegare, lo lanciai verso il cestino facendo canestro. Sara, che aveva visto tutta la scena, dall’arrivo all’andata del bigliettino, soffocò una piccola risata nascondendo il volto tra le braccia sul banco mentre dietro sentivo degli insulti poco velati verso di me per averlo ignorato. A quel punto fui io a nascondere una risata schiarendomi la voce piano così che il professore non mi sentisse.
Finite le due ore suonò il primo intervallo, io fui una delle ultime ad uscire insieme a Sara e venimmo subito agguantate dal nostro solito gruppo di amiche e amici, ci fermammo a parlare nel centro dell’agorà come praticamente facevamo tutti i gironi. Mi piaceva stare a chiacchierare con loro, rendevano la mia vita normale, o almeno questa parte di vita. Per tutta la durata dell’intervallo restammo li, ogni tanto arrivavano altri ragazzi che conoscevo a salutarmi o a raccontarmi delle novità della quale magari non ero a conoscenza. Quando ad un tratto Marco, il mio miglior amico dai tempi delle medie, arrivò dal dietro abbracciandomi. Effusioni del genere non erano delle rarità per me, ero io la prima che dispensava abbracci come se non ci fosse un domani, mi girai tra le sue braccia e ricambiai l’abbraccio, però quando sentii che la stretta di Marco si fece più serrata attorno alla vita facendomi ripartire il dolore al fianco decisi di allontanarmi di poco e continuando a chiacchierare come se niente fosse. Però faceva male, dio solo sa quanto.
Forse per il dolore, forse il casino che si era formato nella struttura o forse semplicemente la stanchezza, il mal di testa tornò a tamburellarmi le tempie, chiusi un attimo gli occhi e scossi la testa cercando di farmelo passare con scarsi risultati, anzi peggiorai solo la situazione, riaprendo gli occhi iniziai a vedere sfocato. Sentii come se tutta la stanchezza della battaglia del giorno prima, mi avesse colpito in quel momento, il suono della campanella mi fece spaventare e preso il braccio di Sara per restare in piedi, passandolo come gesto affettuoso, salutammo il gruppo e ci dirigemmo verso la nostra classe sperando di poter entrare subito per poter appoggiare la testa sul banco e domare quel senso di stordimento che mi aveva preso, peccato che così non fù.
Filippo stava appoggiato allo stipite della porta bloccandomi il passaggio rivolto verso i suoi amici
“Potresti per cortesia spostarti dalla porta?” chiesi con tutta la calma che avevo, che al momento era veramente poca, staccandomi dal braccio di Sara avendo ritrovato un minimo di equilibrio.
“Oo…Guarda chi si rivede. La nanetta con la sua amica” disse lui girandosi col busto per avermi di fronte. Sul volto un ghigno di sfida -dio quanto vorrei prendere a schiaffi quella faccia da idiota che si ritrova-
La pazienza era finita, ve lo avevo detto che era poca e quella fù la goccia che fece traboccare completamente il vaso, ero stanca del suo atteggiamento perciò decisi di dargli un avvertimento prima di fare qualcosa di più incisivo, visto che le mie mani fremevano per la voglia di essere alzate.
“Sottospecie di babbuino mal riuscito spostati o giuro che domani non riuscirai neanche a sederti”
Immaginate cosa fece lui? Iniziò a ridere, lì non ci vidi più.
Lo presi per la maglietta misi una gamba dietro il suo ginocchio destro e gli feci perdere l’equilibrio facendolo ricadere con la faccia a terra, mi sedetti sulla sua schiena tenendogli fermi i polsi dietro di essa e tra i denti dissi
“Ascoltami molto attentamente, perché lo dirò una volta soltanto, quando una persona ti chiede se per favore puoi spostarti sarebbe meglio farlo, prima di farti male seriamente. Per oggi ci vado leggera solo perché l’insegnante è già in classe, ma la prossima volta giuro che non sarò così magnanima”
Lo lasciai andare e girandomi mi diressi verso il mio banco, il problema fù il professore che avendo assistito a tutta la scena mi chiamò alla cattedra per farmi una ramanzina con i fiocchi.
“Come devo fare con voi due?” disse esasperato
“Lo so prof e mi dispiace un sacco, ma oggi proprio non era la giornata giusta per stare ai suoi giochetti, ho agito senza pensare”
“Sarà meglio che non succeda più anche perché varrebbe a dire espulsione e non credo sia quello che vuoi” disse con un tono di voce molto calmo e comprensivo voltandosi verso Filippo, che era rientrato in classe, dicendogli “Mancini vieni qui”
“Vai a posto De Rosa e che non si ripeta più. E ricordati che nell’secondo intervallo dorai rimanere in classe. Anche tu Mancini”
“Si, prof mi scusi”
“Non è a me che devi chiedere scusa”
“Sa bene che non glielo dirò mai” risposi io tirando una fulminata nella direzione di Filippo e andandomene al mio posto. Non ascoltai una sola parola di quello che si dissero Filippo e il professore, sentii soltanto in ‘Fil’ urlato da Sara accanto a me e un leggero sghignazzare.
Senza alcun motivo a me chiaro calde lacrime iniziarono a scendermi sul volto, dei piccoli tremiti, che collegai al freddo, si fecero strada sulle mie braccia. Presi dei respiri profondi e cercai di concentrarmi sulla lezione di storia, invano.
Finite le due ore appoggiai di nuovo la testa sul banco nascosta tra le braccia, contenta di poter stare da sola con i miei pensieri per un po’.
“Ale, io vado a prendere qualcosa da mangiare, vuoi delle caramelle o qualcos’altro?” mi chiese Sara. Quanto adoravo quella ragazza, era dolce e generosa, ma al tempo stesso sapeva essere spietata all’invero simile.
“No, Teso grazie sto bene così” dissi tranquilla senza alzare la testa, la sentii andare via e feci un sospiro di sollievo. Si è vero la adoro ma a volte mi piace stare per i fatti miei.
Ero così assorta nei miei pensieri che non sentii Filippo che mi stava chiamando, me ne accorsi solo quando sbatté le mani sul banco.
“Quando una persona ti parla sarebbe educato rispondere”
“Non se la persona che ti sta rivolgendo la parola è sgradita” risposi, senza muovere un muscolo, non sapendo neanche quale domanda mi avesse fatto
Non so perché lo fece ma mi afferrò all’avambraccio destro e mi strattonò tirandomi in piedi. Il problema fù che quel movimento, così brusco ed improvviso, mi fece pulsare la ferita con ancora più fervore di quanto già non facesse.
Una smorfia di doloro mi si dipinse sul viso involontariamente, sentii la sua mano staccarsi dal mio braccio e io finalmente libera portai entrambe le mani sul fianco premendo sperando di chetare quel pulsare incessante.
“Che ti sei fatta?” mi chiese -ma i cavoli suoi non sa farseli questo qui?-
“Non sono affari tuoi” risposi stizzita prendendo un respiro profondo e aspettando qualche secondo che il dolore si calmasse il minimo indispensabile per farmi arrivare in segreteria. Non mi importava se dopo avrei subito una doppia punizione per essere uscita dall’aula senza permesso, e neanche la miriade di domande che mi avrebbero posto sul perché volessi andare a casa.
Mi incamminai, sorpassandolo, verso la porta, però il mio corpo decise in maniera diversa.
La testa tornò a farmi male sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie con un ritmo incessante e in aumento, la vista mi si appannò e in un attimo vidi il pavimento farsi sempre più vicino.
Chiusi gli occhi aspettandomi un impatto che però no arrivò mai, due calde braccia mi stavano sorreggendo, piano mi fecero girare e appoggiare alle sue ginocchia tenendomi un braccio dietro la schiena con fare protettivo.
Il dolore al fianco tornò a farsi sentire sempre più intensamente, non so se per panico o altro ma il mio cuore accelerò e così anche il respiro, avevo gli occhi chiuso e per cercare di riprendere il controllo del mio corpo, che al momento era veramente minimo, corrugai la fronte e mi concentrai su me stessa eliminando completamente l’esterno.
Se non fosse stato per Filippo che con tono preoccupato mi chiese
“Hey stai bene?”
“Lasciami stare. Starò bene. Devo solo riposare” risposi tra un respiro e l’altro, alzando il braccio cercando di allontanarlo, ma con il solo risultato di appoggiare la mia mano sul suo petto.
Sentivo la pelle liscia e il battito del cuore, che aumentava piano, attraverso la maglietta. Inconsciamente strinsi la mano a pugno stringendo quel lembo di indumento e piano aprii gli occhi osservandolo.
Stava osservando la mia mano, alzò lentamente lo sguardo verso il mio volto e in quell’istante i nostri occhi si incrociarono, quelle due pozze verdi ispiravano un tranquillità che non avrei mai pensato di vedere, ed è starno pensando alla persona di cui stiamo parlando, mi tuffai un quelle iridi così cariche di emozioni, a tal punto che una lacrima solitaria scese sulla mia guancia subito asciugata dalla mano di Filippo, mentre sentivo che le gote mi si porporavano di rosso per l’imbarazzo.
Lo osservai attentamente, non mi era mai capitato di vederlo da così vicino. Presi nota del più piccolo dettaglio del suo viso, soffermandomi un po’ di più sulle sue labbra, ora semi aperte, dall’aria così morbida e saporita.
Lo vidi avvicinarsi piano mentre osservava le mie labbra come se le volesse divorare, e parlando seriamente, lo volevo anche io. Il problema fù che la campanella suonò proprio quando mancavano pochi centimetri. Risvegliatomi da quella specie di trance mi accorsi di aver ripreso il pieno controllo del mio corpo, l’aprirsi della porta lo fece tornare con il busto dritto ma non si alzò, così decisi che mi sarei alzata per prima io, per togliere un po’ di imbarazzo da quella situazione e per riappropriarmi di qualche centimetro di spazio personale.
Il mio corpo la pensò diversamente però, fare anche solo lo sforzo di tirare su il busto mi provocò una’altra fitta mostruosa al fianco e di riflesso staccai la mano dalla maglietta di Filippo per portarla all’altezza della ferita, notai la sua faccia quasi delusa quando feci quel gesto.
“Ma che diavolo è successo qui?” chiese il professore inginocchiandosi di fonte a noi
“Dimmi Alice ti ha picchiata? Spinta? O molestata in qualche modo?” continuò lui
“Professore la prego si calmi. Ho solo avuto un capogiro e Filippo mi ha preso al volo prima che mi facessi male seriamente. Tutto qui” risposi con il tono più calmo che avevo nel repertorio
“Grazie Filippo. Ora sto bene” mi voltai verso di lui con un sorriso sulle labbra che tentai di farlo passare per vero, cosa che, notando la sua faccia, non aveva funzionato.
Riprovai ad alzarmi ma Filippo serrò la stretta sulla spalla sinistra facendo in modo che non potessi assolutamente muovermi
“Resta giù ti porto in infermeria” disse con un tono di voce incalzante, uno di quei toni che non permettono alcun tipo di risposta
“No Filip, lascia fare a me” disse un nostro compagno di classe che spesso me lo ritrovavo dietro le spalle, come se fosse la mia guardia del corpo.
“No!” disse lui, alzando la voce facendola quasi tuonare, sistemò meglio il braccio dietro la schiena e posizionò l’altro dietro le ginocchia ci tirò su tutti e due senza fare alcuno sforzo.
Non so perché lo feci però mi mancava il contatto con il suo petto, perciò riallungai la mano e
riafferrai l’indumento sentendo di nuovo il calore emanato da Filippo e il battito ritmico del suo cuore, sembrava una sinfonia di archi diretta da dal miglior maestro del mondo.
Ero incantata da quel suono che non mi accorsi di essere stata portata in infermeria e posizionata sul lettino. Me ne resi conto solo quando sentii qualcuno appoggiare la propria mano sulla mia, non so dirvi perché lo feci ma lasciai l’indumento e intrecciai le dite con quella mano, che dava tanta sicurezza.
Non sentivo niente in torno a me, solo il calore che mi irradiava la mano stretta alla mia mi faceva capire che ero sveglia e non in qualche mio strano incubo, ad un tratto sentii una voce dire qualcosa che non capii, così decisi di aprire gli occhi per vedere chi fosse, rimasi di stucco vedendo che Filippo era seduto sulla sedia in parte al lettino, lo sguardo verso il basso, una mano tra i capelli e l’altra… l’altra era intrecciata alla mia e non dava l’impressione di volersi staccare tanto presto
“Cosa mi stai facendo, eh nanetta?” disse più a se stesso che a me
“Semmai dovrei essere io a chiederlo a te, Fil” risposi sincera, non avevo mai provato qualcosa di questo tipo, non saprei neanche come definirlo. Alzò lo sguardo da prima sconvolto -penso non si aspettasse una risposta-, poco dopo mutò espressione e un timido sorriso aleggiò sulle sue labbra mentre i suoi occhi davano l’impressione di brillare mentre osservava i miei
“Rieccola”
“Che cosa?”
“La luce nei tuoi occhi” non ci stavo capendo niente, dov’era finito il Filippo che conoscevo io? Quello che appena poteva faceva in modo e maniera di scatenare una guerra. Sembrava completamente eclissato e quello che ho davanti non mi dispiace affatto.
Alzò la mano libera e mi sfiorò di nuovo il volto, mentre piano si avvicinò, ma stavolta non puntò alle labbra,cosa che un po’ mi deluse, il gesto che fece, però, rese la situazione ancora più romantica. appoggiò la sua fronte sulla mia e chiuse gli occhi, io feci lo stesso volendo di più da quel contatto, con la mano ancora sulla mia guancia iniziò a darmi leggere carezze su quest’ultima.
“Allora ci avevo visto giusto” quel commento ci riportò subito alla realtà così velocemente da lascarci senza parole per un attimo.
“Non so di cosa stia parlando prof” Filippo si riprese prima e rispose al professore con voce incerta
“Andiamo mi avete preso per un vecchio rimbambito?” disse questa frase mentre osservava, con un sopracciglio alzato, qualcosa che non capii, seguii il suo sguardo e notai le nostre mani ancora intrecciate tra loro, involontariamente il mio sguardo tornò sul suo viso, i nostri occhi si agganciarono di nuovo facendomi provare un turbine di emozioni che non credevo possibile.
“Ehm… preferite che ripassi più tardi?” chiese con un piccolo colpo di tosse, distolsi lo sguardo da quelle pozze verdi, mentre lui rispose
“N-no, Scusi. Torno in classe”
Sentii stranamente freddo dopo che se ne fù andato, non ne capii il motivo però le sensazioni che avevo provato solo standogli vicino erano state fantastiche.
“Alice sei sicura che va tutto bene?” chiese il professore ancora preoccupato per me
“oh, si! Non si preoccupi. Ora che ho riposato sto molto meglio. Mi spiace averla fatta preoccupare”
“È vero, ero preoccupato. Però, avevo notato il modo in cuoi Filippo ti teneva in braccio, ero sicuro che saresti stata bene li dove ti trovavi, nonostante tra di voi ci sia una vera e propria guerra”
Non seppi cosa rispondere, avevo notato un comportamento diverso nei miei confronti da parte sua.
-Forse dovrei provare a chiederglielo- pensai mentre, aiutata dal professore, mi rimisi in piedi e andai verso la classe di disegno.
Vidi la porta aperta perciò non bussai neanche e entrando vidi Filippo in piedi poco distante dalla cattedra spiegando cosa fosse successo nei 10 minuti di intervallo, notai che tralasciò alcune parti però il racconto era anche abbastanza attendibile.
“…non ne potevo più di stare solo con una nanetta del genere” lo sentii finire il discorso con il suo solito tono da menefreghista bastardo quale era.
“Strano eppure non mi sembravi così annoiato” risposi io incrociando le braccia, si girò e gli tirai uno sguardo talmente tanto torvo che non se lo sarebbe scodato per un bel pezzo. Senza aggiungere altro mi incamminai al mio banco, mi sedetti al mio posto e lo vidi fare lo stesso.
Sentivo come un buco nel petto dopo aver sentito quelle parole -che stupida che sono. Per lui non sono altro che una tra le altre. Hey aspetta un momento perché dovrei fare dei discorsi così con lui? Insomma stiamo parlando di Filippo Mancini, vincitore mondiale della medaglia d’oro come rompitore di palle, non ho tempo da perdere per uno così-
Per l’ora successiva mi concentrai, esclusivamente, sul progetto che stavo disegnando senza pensare minimamente a lui.
Quando la campanella suonò iniziai a mettere via tutto il materiale con molta calma, io avevo un vizio, dovevo essere una tra le ultime ad uscire dalla classe, però stavolta anche qualcun altro stava aspettando che la ressa fosse finita per uscire.
“Alice devo parlarti” lo sentii sussurrare da dietro l’orecchio, quel piccolo gesto mi fece prendere fuoco, sentii il volto bruciare, orecchie comprese. Non capivo perché quella sua vicinanza mi faceva provare brividi di freddo e al contempo un caldo assurdo, ripresi controllo della mente e risposi in un sussurro
“Non abbiamo niente da dirci” e mi allontanai da lui, o almeno ci provai. Mi si parò davanti impedendomi di proseguire
“Ne abbiamo, invece” aveva uno sguardo determinato, i suoi occhi mi tennero incatenata come fermata da delle catene invisibili, impedendomi di distogliere lo sguardo
“Va bene, ti ascolto. Ma solo 5 minuti e dopo non voglio più sentir parlare di questa storia, chiaro?”
Fece si con la testa e appoggiando la cartella, che precedentemente avevo messo in spalla, per terra mi appoggiai al primo banco che trovai.
“Sentiamo cosa vuoi dire oltre a quello che hai già detto prima? Che è stato sbagliato, che non conta nulla? Tranquillo lo so già! Io non interesso a te, come tu non interessi a me. E sinceramente mi va bene così” iniziai io visto che sembrava non saper da dove iniziare
“Ti sbagli. Non è stato sbagliato, per me conta. Non so perché sia capitato, però sono contento che sia successo”
“Allora perché prima ha detto così?”
“Semplicemente perché oramai conosco i nostri compagni di classe e sono tutti dei pettegoli, soprattutto Sara, e se vedono anche un minimo di comportamento diverso dal solito si mettono subito ad indagare. E io non voglio che si mettano in mezzo.” Mano a mano che parlava si avvicinò, posò le mani di fianco a me e le appoggiò al banco impedendomi qualsivoglia via di fuga
“Ma quindi prim…” venni interrotta dalle sue labbra che si posarono fameliche sulle mie.
All’inizio rimasi scioccata da quel bacio così dolce quanto possessivo, però dopo qualche secondo ricambiai e passandogli le braccia dietro la testa gli arpionai i capelli color mogano e mi strinsi a lui, le sue mani si staccarono dal banco e mi andarono a circondare la vita, notai che non toccò mai il fianco destro, cosa per cui gli fui grata, stando attento al tempo stesso a non forzarmi. Era tenero.
Ci staccammo in cerca d’aria ma senza allontanarci, ci guardammo negli occhi e rimasi piacevolmente colpita nel vedere il vero in quelle iridi così profonde e cristalline.
“Ragazzi dovreste uscire stiamo chiudendo le classi” la voce della bidella ci riportò alla realtà, ci staccammo e all’improvviso sentii freddo come se gennaio fosse arrivato in quel preciso istante.
Feci per recuperare lo zaino, ma lui arrivò prima di me.
“Non dovresti sforzarti se ti fa così tanto male il fianco”
“Pensavo che nessuno se ne fosse accorto” dissi abbassando lo sguardo, con due dita lui me lo fece alzare e agganciò i sui occhi nei miei
“Io si” e mi diede un altro bacio veloce, solo che stavolta era tenero, completamente differente dal precedente.
Restammo ancora un attimo a guardarci per poi incamminarci verso l’uscita della scuola fianco a fianco, però senza mai sfiorarci.
Se soltanto avessi saputo che da quel piccolo gesto sarebbe nato qualcosa di molto più grande non so se lo avrei rifatto tanto facilmente, però a ripensarci un sorriso mi increspò le labbra e pensai
-lo rifarei altre mille volte-

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