The Past That Returns

di Nocturnal Valex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La guerra era finita, Voldemort era stato sconfitto e la vita di tutti era continuata a scorrere. Harry di questo ne era consapevole, eppure la sua testa era ferma a quel giorno di maggio di cinque anni prima, specialmente di notte.
Se prima era convinto che gli incubi sarebbero spariti una volta sconfitto Voldemort, ora è sicuro che quelli l’avrebbero perseguitato in eterno, notte dopo notte, rendendogli impossibile vivere normalmente. Ai sogni sulla guerra, inoltre, si erano aggiunti quelli sul suo lavoro. Una volta diventato Auror, dopo aver concluso i suoi studi ad Hogwarts, Harry aveva scoperto che il male non si nascondeva solo nei Mangiamorte, ma era annidato ovunque. Certo, nulla a che vedere con Tom Riddle e la sua schiera, ma aveva rischiato la sua vita e quella dei suoi compagni più di una volta, ed era capitato anche di veder morire qualche collega. Non si sapeva come, ma erano proprio le espressioni dei caduti a tormentare i sogni del Prescelto. Le vedeva nitide, come se i loro occhi urlassero tutta la paura del momento. Poi, veniva il buio, ed Harry si svegliava.
I primi tempi dopo la guerra il risveglio era brusco, urlava madido di sudore e si metteva a sedere di scatto sul letto. Durante la convivenza Ginny lo aveva aiutato, si svegliava anche lei in seguito alle urla e lo stringeva a sé con fare protettivo, sussurrandogli che andava tutto bene e restando con lui finché Harry non si riaddormentava. Ma poi il ragazzo aveva iniziato a notare la stanchezza negli occhi di quella che era diventata sua moglie, notava come Ginny fosse sempre più distratta dal sonno che si portava dietro dalle notti in bianco, e aveva dovuto escogitare un piano alternativo.
Aveva iniziato a passare le notti in ufficio, oppure tornava a casa all’alba, troppo esausto anche solo per sognare qualcosa. Quando non aveva altra scelta se non tornare a casa a cena allora inventava qualche scusa per dormire sul divano, così Ginny poteva dormire tranquilla. Non ci volle molto affinché la rossa riacquistasse la sua energia e perdesse le occhiaie, ma ci volle un po’ prima che Harry si rendesse conto che qualcosa, a causa sua, tra loro si era rotto.
Non che non si amassero più, Harry la riteneva ancora la donna più bella che avesse mai visto e Ginny ancora si preoccupava che il marito mangiasse abbastanza, ma questo non era sufficiente. Mancavano le notti insieme, la complicità tra di loro. Harry aveva permesso al lavoro, nonché ai suoi ricordi, di frapporsi tra lui e la moglie, e non avevano più tempo per stare insieme e fare qualcosa di diverso dai silenziosi pasti intorno ad un tavolo scarno, a parlare di lavoro.
Fu l’amore che ancora c’era tra i due a imporgli di ritentare. Lo decisero insieme, ma senza mai parlarne. E così, sei anni dopo la fine della guerra, nacque James Sirius Potter. James era il frutto di un amore in rovina, ma che aveva attraversato anni di guerra, difficoltà e incubi. Ed Harry, nel momento in cui suo figlio aveva aperto gli occhi per la prima volta, aveva ricominciato ad amare il mondo e a vedere una luce in fondo al tunnel.
Gli incubi non erano spariti, semplicemente ora James si svegliava troppo spesso per dare al suo cervello il tempo di elaborarli, e quando riuscivano a tornare a galla non urlava più, semplicemente apriva gli occhi e si alzava, andando a controllare suo figlio prima di dirigersi nel suo studio, dove poi terminava la notte. Per la prima volta le occhiaie di Ginny erano dovute a qualcosa di estremamente buono.
Ma quando un amore è distrutto, recuperare non è più una scelta possibile. Ci vollero solo sei mesi dalla nascita di James prima che entrambi, sempre in silenzio, si resero conto di aver sbagliato ad insistere nel tentativo di recuperare qualcosa tra di loro, e ora c’era un bambino tra di loro a rendere il tutto ancora più doloroso.
Non ci furono urla o litigi tra i due. La scelta di divorziare fu un passaggio tranquillo e abbastanza rapido, James era ancora troppo piccolo per capire più di tanto. Una sera Ginny aveva messo a letto James ed era tornata in salotto, dove Harry stava ricontrollando alcuni documenti di lavoro, e aveva guardato il marito negli occhi con la risolutezza che Harry aveva amato fin dal primo istante. Non si erano detti nulla in un primo momento, seduti uno davanti all’altra sul divano mentre si tenevano le mani, poi Ginny aveva lasciato scivolare una lacrima sulla sua guancia e Harry l’aveva raccolta col pollice prima di abbracciarla stretta come non succedeva da mesi e sussurrarle un “andrà tutto bene” nei capelli. Erano bastate quelle poche parole per far scoppiare a piangere la forte Ginevra Weasley, perché lei quelle esatte parole gliele aveva mormorate centinaia di volte nell’orecchio quando Harry si svegliava di colpo, ed ora lei si sentiva così piccola e fragile in quelle braccia strette attorno a lei. Era così che si sentiva Harry quando piangeva dopo aver sognato la morte di qualcuno che era sparito da anni?
Tempo un mese e Grimmauld Place era diventata la nuova testimone dei vecchi incubi di Harry. In quella casa non esisteva nulla che potesse far tornare il sorriso ad Harry, ma allo stesso tempo era il posto che più gli trasmetteva tranquillità. Ogni angolo gli risvegliava un ricordo: se in una stanza riusciva a ricordare quanto Sirius lo amasse, in quella dopo ricordava il brutto periodo di guerra in cui lui, Ron ed Hermione avevano vissuto lì.
Tuttavia, quella era solo una sistemazione provvisoria in attesa di trovare, aiutato da Granger, una nuova casa in cui fosse consono ospitare suo figlio negli anni a venire senza che il ritratto di Walburia Black, risvegliata da chissà quale microscopico rumore, lo traumatizzasse fin dalla più tenera età. Proprio per evitare questo Harry passava il tempo con suo figlio, quello programmato al momento del divorzio, solo a casa della sua ormai ex moglie, con lei o in sua assenza. “Tanto mi fido di te Harry, è tuo figlio e questa era la tua casa” gli aveva detto quando lui le aveva chiesto se fosse sicura di lasciarlo a casa sua mentre lei andava al lavoro. Harry, ancora una volta, si era reso conto di quanto splendida fosse quella donna, peccato che fosse troppo tardi.
E così nulla era cambiato nella vita del Prescelto, ma allo stesso tempo era cambiato tutto. Nella Londra magica la vita scorreva felice e colorata, nessuna minaccia all’orizzonte preoccupava i cittadini, ma Harry ancora si guardava le spalle quando passeggiava da solo per le vie della città e ancora si svegliava dopo aver visto una volta Cedric, un’altra Remus e Tonks e quell’altra volta ancora Fred morire tra le sue braccia, benché molti eventi non li avesse vissuti in prima persona. E ogni volta che si svegliava e cacciava via le lacrime, ad accoglierlo c’era solo il grigio soffitto di una camera che ancora non sentiva appartenergli.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


*Ottobre 2004* 
Solo un mese dopo aver lasciato la sua casa, Harry si era ritrovato costretto a chiedere a Ginny un favore, che la donna gli aveva concesso storcendo un po’ il naso.
-Ti prego Harry, non iniziare così anche con James- gli aveva detto lei al telefono quando lui l’aveva chiamata per parlarle. Aveva la voce stanca di chi lavora tanto e dorme poco, e alle orecchie di Harry quella sembrava, ed era, una supplica. Harry la capiva, in passato l’aveva messa in secondo piano al lavoro e al passato, e ora la rossa temeva che avrebbe fatto così anche col figlio.
Potter aveva sospirato ed era stato in silenzio solo qualche secondo, poi stringendo la cornetta del telefono tra le dita aveva detto: -Domani è il 31 ottobre-.
Era sicuro che Ginny avrebbe capito e dal silenzio che seguì quella frase seppe che era così. -Va bene, ci vediamo giovedì allora- e aveva chiuso la chiamata senza lasciare il tempo ad Harry di ringraziare.
Harry, che avrebbe dovuto passare il giorno di Halloween in compagnia del figlio, non che James capisse la differenza tra il 31 ottobre e tutti gli altri giorni, si ritrovò a vagare per Godric’s Hollow. Aveva preso quell’abitudine l’anno stesso della guerra: al compimento dell’anniversario della morte dei suoi genitori Harry si materializzava nella sua città natale e si prendeva la giornata per stare da solo con i suoi pensieri.
Erano molteplici i fattori scatenanti che portarono il Prescelto a visitare quel posto, primo fra tutti la gita sua e di Hermione proprio lì durante la ricerca degli Horcrux. Quel fatto aveva portato ad Harry un forte senso di nostalgia, nonostante non conservasse molti ricordi della casa dei suoi genitori. A lui bastava guardare quelle macerie per sentire ancora le urla di James e Lily Potter il giorno in cui vennero uccisi, e bastava la vista delle loro lapidi affinché i suoi pochi frammenti di ricordi felici tornassero a galla pronti a soffocarlo in un mare di lacrime.
Da allora tutti gli anni si presentava in quella cittadina e vagava dapprima senza una meta, osservano maghi e babbani fondersi per le strade e scoprendosi interessato alle loro vite finalmente normali e prive di incubi, per poi recarsi davanti alla casa in rovina dove avvenne l’omicidio dei suoi genitori. Lì si soffermava ogni anno di più, inizialmente si limitava ad osservare le macerie, ma col passare degli anni iniziò a chiedersi cosa avrebbe fatto in quel momento se Voldemort non fosse esistito e i suoi genitori fossero ancora vivi. Probabilmente, pensava, a quest’ora sarebbe in casa con qualche suo amico venuto a trovarlo prima di uscire insieme per festeggiare Halloween. Gli piaceva immaginare che quell’amico fosse proprio Ron, e che con lui ci fosse l’intera banda Weasley, perché Molly ed Arthur erano amici dei suoi genitori, nonostante nelle sue fantasie l’Ordine non esistesse.
Quest’anno invece, nonostante fosse ormai passato mezzogiorno Harry era restio ad avvicinarsi alla casa dei Potter. Quella notte gli incubi non gli avevano fatto visita, ma solo perché non aveva proprio chiuso occhio. Si era ritrovato a chiedersi insistentemente per la prima volta se i suoi genitori sarebbero stati fieri di lui, che aveva lasciato sua moglie e suo figlio da soli, nonostante fosse sempre presente nella vita di quest’ultimo. Aveva come l’impressione di aver deluso i suoi genitori, perché loro non si sarebbero mai lasciati, ma poi si ricordava che loro erano morti a soli ventuno anni, mentre lui quell’età l’aveva già superata. Era una magra consolazione.
Alla fine ci andò, anche se solo nel primo pomeriggio, e come al solito non appena si fermò davanti i pensieri e i ricordi lo travolsero. Avrebbe preferito ricordarsi quella casa per l’episodio della scopa giocattolo anziché per le urla di sua madre e i ricordi di Snape, anche quelli intrisi di dolore. Ma il passato non si poteva cambiare, e quel giorno, per la prima volta, si ritrovò a pensare al futuro e a come potesse cambiarlo. La casa era distrutta da ormai più di vent’anni, ma ciò non significava che non sarebbe più tornata come prima. Per la prima volta si chiese come avrebbe potuto ricostruire quella casa e pensò che forse avrebbe dovuto interrompere le ricerche di Hermione per la sua nuova casa.
Decise che ci sarebbe andato a vivere e che l’avrebbe resa un posto in cui costruire nuovi ricordi insieme al figlio. L’idea di viverci da solo non lo entusiasmava, ma quasi sicuramente in quel luogo avrebbe sentito i suoi genitori più vicini.
Con rinnovato vigore e mille idee per la testa, Harry si staccò dalla staccionata che recintava il cortile della casa e si avviò verso il cimitero, la sua ultima meta di quella giornata che prometteva pioggia. Nel frattempo, le strade si stavano iniziando a popolare di bambini mascherati che, accompagnati dai genitori, suonavano alle case per chiedere dolcetto o scherzetto.
Il monumento ai Caduti si stagliò davanti a lui in tutta la sua grandezza. Harry non si sarebbe mai abituato a vedersi raffigurato nella dura pietra, quindi quando lo oltrepassò e la statua cambiò forma prendendo le sembianze della famiglia Potter, lui non si voltò a guardare. Davanti a lui la chiesa che anticipava il cimitero era buia, segno che non ci fosse nessuna funzione in corso, così Harry la aggirò con tranquillità, senza temere di farsi vedere dalle finestre, e raggiunse l’ampio spazio che ospitava le pietre tombali. Passò accanto a quella di Abbott e di Kendra e Ariana Dumbledore, poi lanciò uno sguardo a quella di Ignotus Peverell ma non si soffermò su nessuna di esse.
Tenendo lo sguardo basso sui suoi piedi non si accorse di un uomo che camminava nella direzione opposta finché non ci andò a sbattere contro. Mormorò delle scuse e tenne lo sguardo ancora puntato sul terreno, anche quando l’uomo se ne andò senza dire nulla. Aveva disilluso il suo aspetto, ma il timore di essere riconosciuto per strada lo rendeva irrequieto. Normalmente non se ne sarebbe preoccupato, ma quella era una giornata speciale e non aveva nessuna voglia di intrattenere una conversazione con qualche mago adorante di Potter il Salvatore del Mondo Magico, come chiamato dalla Skeeter nel suo ultimo libro che lo riguardava.
Solo una volta davanti alle tombe di James e Lily Potter si concesse di fermarsi e alzare lo sguardo. Per qualche secondo rimase interdetto: non metteva piede al cimitero da un anno, ma la tomba di Lily era pulita e accanto erano stati posati di recente dei fiori, dei gigli notò Harry con un pizzico di divertimento. Si guardò intorno, ma nessuna delle altre lapidi era ben tenuta com’era quella di sua madre ed Harry si sentì un po’ in colpa: uno sconosciuto aveva pulito la tomba di Lily e a lui quest’idea non era mai venuta in mente. Chiese mentalmente perdono ai suoi genitori.
Eliminata quella stranezza dalla testa, Harry si sedette a terra e incrociò le gambe, fissando i due nomi incisi nella pietra, poi agitò la bacchetta e con un incantesimo non verbale pulì anche la lapide del padre, facendo anche comparire dei fiori per entrambi, non gigli per Lily questa volta. -Così va meglio- mormorò tra sé e sé.
Tolse l’incantesimo di disillusione dal suo corpo, voleva parlare con i suoi genitori nelle sue vere sembianze, e lanciò un Muffliato intorno a sé. -Nell’ultimo anno ci sono stati numerosi cambiamenti, non tutti positivi. Ho un figlio ora, è bellissimo, si chiama James Sirius…- gli si ruppe la voce, ma continuò a parlare come un fiume in piena di cui si sono rotto gli argini.
Raccontò del divorzio, di quanto Ginny fosse speciale e non ce l’avesse con lui nonostante fosse l’artefice della separazione, di come James rideva quando vedeva un gufo e di come gli piacesse tirare le code ai gatti randagi del quartiere.
Pianse e rise, rimase ore seduto su quel terreno freddo e umido a raccontare anche i dettagli più insignificanti della sua vita. Era sicuro che James e Lily lo sentissero, e poteva quasi sentire, talmente era forte la sua voglia di avere i genitori con sé, la mano di Lily che gli accarezza i capelli e quella del padre che gli stringe la spalla.
 
Mentre intorno ad un Harry distrutto dal passato calarono le tenebre, un uomo dai capelli castani e gli occhi azzurri fece ritorno a casa, si preparò una tazza di tè e controllò di aver comprato tutti gli ingredienti necessari alla preparazione di un’importante pozione. Ci mise mezzo minuto per rendersi conto che mancava qualcosa, un ingrediente abbastanza comune ma fondamentale e di cui aveva assolutamente bisogno. Era sicuro di averlo comprato, aveva anche contrattato il prezzo col venditore, ma lì ora davanti a lui non c’era. Fece mente locale: era andato al negozio per comprare il necessario e poi subito dopo al cimitero, nel tragitto non aveva toccato la borsa quindi non poteva essere caduto qualcosa. Solo al cimitero aveva estratto da lì un libro, quindi l’unico posto in cui potesse essere caduta la centinodia era proprio davanti alla tomba visitata. Se solo non fosse stato lui, all’idea di dover uscire nuovamente avrebbe sbuffato sonoramente, ma l’uomo in questione non sbuffò, bensì si rivestì e, bevuto l’ultimo sorso della pozione incriminata, tornò al cimitero.
Non ci mise molto, una volta lì, a capire di non essere solo: un uomo era seduto sul terreno davanti alle tombe dei Potter, in ginocchio, la schiena curva e la testa bassa con i capelli a coprirgli i lineamenti. Lo avrebbe riconosciuto ovunque, tutti lo avrebbero riconosciuto data la sua fama.  Harry Potter era inginocchiato davanti ai suoi genitori e stava chiaramente piangendo a giudicare dal movimento a singhiozzo delle spalle, ma non sentiva nessun suono, quindi il ragazzo doveva aver silenziato la zona attorno a lui.
Non si fece avanti, ma tornò indietro sui suoi passi senza fare rumore e appena fuori dal cimitero si smaterializzò per poi ricomparire a casa sua.
La centinodia poteva aspettare l’indomani.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ad Harry piaceva essere un Auror. Gli piaceva l’idea che questa volta fosse stato lui a scegliere il suo destino, e non fosse più un ruolo prestabilito da qualcun altro. Adesso toccava a lui decidere per la sua vita, e aveva deciso anni addietro di continuare a salvare il Mondo Magico dalle minacce più disparate. 

Gli piacevano i suoi colleghi, che da quando avevano saputo del divorzio non facevano altro che invitarlo fuori a bere per distrarsi. Gli piaceva il suo ufficio pieno di scartoffie che divideva con Ron e gli piaceva uscire in missione con l’adrenalina ormai familiare che gli scorreva nelle vene. 

Eppure, da un mese a quella parte, nel suo ufficio si respirava un’aria pesante. Aveva discusso con Ron quando gli aveva comunicato del suo divorzio dalla sorella. Il rosso, infatti, era cascato dal pero, come tutta la famiglia Weasley, e non riusciva a credere che il suo migliore amico potesse decidere di abbandonare Ginny e un figlio appena nato. Non riusciva a capacitarsi e a niente erano valse le rassicurazioni di Potter che sarebbe sempre stato presente nelle loro vite. Da allora Ron rivolgeva la parola ad Harry solo quando necessario, e sempre per parlare di lavoro. 

Harry quel giorno era ancora più ombroso del solito. La sera prima si era attardato al cimitero, dove aveva versato tutte le lacrime trattenute per un anno, e poi era andato a bersi qualcosa al Paiolo Magico, unico posto in cui la gente era talmente abituata a vederlo da non esaltarsi più quando il Prescelto ci tornava. L’idea di ricostruire la casa dei suoi genitori, che il giorno prima gli era parsa tanto bella, ora non sembrava realizzabile nel breve tempo, e ciò lo abbatteva ancora di più: non voleva restare nella dimora dei Black ancora a lungo. 

Quando mise piede in ufficio notò subito l’agitazione dei suoi colleghi e ciò lo mise in allarme. Si affrettò a raggiungere la sua scrivania, dove erano stati appoggiati dei fascicoli che lui conosceva fin troppo bene e che ricordava di aver archiviato durante il suo primo anno da Auror. Le cartelle contenevano tutte le informazioni riguardanti alcuni Mangiamorte rinchiusi ad Azkaban. 

-Sono scappati- la voce di Ron interruppe gli interrogativi che Potter si stava ponendo.  

Il rosso era appena entrato nell’ufficio e Harry riuscì a leggergli negli occhi agitazione e adrenalina, le stesse emozioni che per tutti gli anni ad Hogwarts li avevano fatti combattere contro Voldemort. -Quando?- non aveva letto nessuna notizia sul giornale che quella mattina aveva sfogliato distrattamente mentre faceva colazione al bar vicino al Ministero. 

-Poche ore fa, la notizia ancora non è uscita sulla Gazzetta, ma è questione di un’ora o due, poi si scatenerà il panico. Hanno anche lasciato un messaggio- e gli passò una fotografia che fece rabbrividire il corvino. Era un’immagine ferma, non una foto magica, che ritraeva il muro di una delle celle di Azkaban, uno sfondo grigio e tetro per la scritta che i rosso campeggiava su di esso: “I traditori devono morire”. Gli ricordava tanto la scritta ritrovata sul muro al secondo anno di Hogwarts. 

Harry rimase per un attimo paralizzato dalle sensazioni familiari che quella foto scatenava in lui e, immaginava, in Ron, poi lasciò cadere la fotografia sulla scrivania e prese in mano i fascicoli. -I Carrow, Yaxley, Travers, Mulciber e Rodolphus Lestrange…- lesse ad alta voce i nomi dei prigionieri evasi, poi all’ultimo fascicolo si fermò e guardò l’amico con un cipiglio perplesso. -Perché c’è anche quello di Malfoy? Lucius non era ad Azkaban-. 

Lucius e Narcissa Malfoy, salvati da Azkaban da quest’ultima, erano spariti subito dopo la Seconda Guerra Magica, probabilmente per paura che i Mangiamorte in libertà potessero cercarli e farli pentire del voltafaccia al Signore Oscuro. Gli Auror non si erano preoccupati più di tanto di cercarli, mentre Draco viveva al Malfoy Manor con sua moglie Astoria Greengrass. Harry lo aveva incontrato solo l’anno precedente, quando durante una passeggiata con Ginny a Diagon Alley lo aveva visto fermo davanti a loro, a contemplare una vetrina di un negozio di accessori da Quidditch. Si erano scambiati un rapido cenno della testa, poi ognuno era tornato ai propri affari. 

-Il messaggio che hanno lasciato parla abbastanza chiaro. Se cercano i traditori di Tu-Sai-Chi allora bisogna creare un elenco dei Mangiamorte in libertà che hanno cambiato fede prima o durante la Guerra. Per il momento ci sono venuti in mente solo Snape e Malfoy. Kingsley dice che dobbiamo trovarli tutti e dare loro protezione, ma Snape è morto e Malfoy è sparito- spiegò Ron. Harry non avrebbe mai fatto l’abitudine al nuovo rapporto tra i due, in cui il rosso gli parlava come si parla ad un conoscente. Sperava che quello fosse solo un momento passeggero come erano stati tutti i brutti periodi tra loro due, ed alcuni erano scatenati anche da cause peggiori del divorzio tra Ginny e Harry.  

Harry annuì e mise giù i fascicoli. -Dobbiamo parlare con Draco e scoprire se lui sa dov’è suo padre- disse, ma la sua mente era ormai altrove. 

Finita la Guerra, mentre tutti si ricomponevano in Sala Grande, Harry era uscito, non sopportando tutto il dolore che si respirava nell’aria. Era uscito e aveva iniziato a camminare senza una menta, o così pensava. Quando alzò lo sguardo capì di essere vicino al Platano Picchiatore e che ci era arrivato inconsciamente. Una parte di lui voleva correre lì dentro e vedere, perché sperava che ci fosse ancora speranza, ma la parte più grossa e rumorosa voleva temporeggiare perché già sapeva cosa avrebbe trovato. Inoltre, vedere Severus Snape morto lo avrebbe ucciso annegandolo nei sensi di colpa per aver passato un anno ad odiare un uomo innocente, lo stesso uomo che amava fino all’anno prima. Forse morire in quel modo era quello che si meritava.  

Aveva corso, allora, verso il luogo dove Nagini aveva attaccato Severus Snape, con la mente già proiettata nel trovare un cadavere freddo e ricoperto di sangue, ma quando era arrivato lì non aveva trovato nulla. 

Davanti a lui, dove solo poche ore prima giaceva il corpo caldo del professore di Pozioni che esalava gli ultimi respiri, ora c’era solo un’enorme chiazza di sangue ancora fresco e delle strisciate, come se qualcuno avesse trascinato il cadavere di Snape fuori da quel posto. Era rimasto fermo immobile, con il respiro bloccato nella gola, mentre formulava mille ipotesi su dove fosse finito il cadavere dell’uomo. In Sala Grande non c’era e il cortile era stato liberato di tutti i corpi. Forse qualche Mangiamorte scappato aveva preso l’uomo e si era smaterializzato, ma perché? 

Quella domanda non ebbe mai risposta. Harry costrinse Kingsley Shacklebolt a cercare il cadavere di Snape per due anni, e nella sua mente il professore era ancora vivo. Perché portarsi via un cadavere che non poteva dire più nulla? Ma alla fine il Ministro provvisorio aveva interrotto quelle dispendiose ricerche, archiviando il caso Severus Snape con la scritta “deceduto” sotto la data del 2 maggio 1998. Harry si era allora rassegnato e aveva permesso alla sua vita di andare avanti anche senza dare una degna sepoltura a quel professore che gli aveva reso un incubo sei anni di scuola. 

-Andrò a parlare io con Draco, vuoi venire?- chiese Harry nell’ultimo e disperato tentativo di riavvicinarsi all’amico, che annuì distrattamente e si alzò dalla scrivania. 

Uscirono in silenzio, pronti per andare ad interrogare la loro nemesi per eccellenza. 

 

Mentre i due si avviavano al Malfoy Manor, la Gazzetta del Profeta si svegliava e iniziava a stampare migliaia di copie dell’edizione giornaliera. Sarebbe sembrato un giorno come tanti, ma quell’aria frizzante nel reparto di editoria non si respirava da anni, dalla caduta del Signore Oscuro. Ormai, con tutti i grandi cattivi messi a tacere, il giornale non stampava più grandi notizie come quella che stava stampando ora. “Fuga da Azkaban, sei Mangiamorte di nuovo a piede libero” recitava il titolo in prima pagina, mentre subito sotto la foto del messaggio lasciato col sangue mirava ad attirare immediatamente l’attenzione dei lettori. 

Uno di questi lettori era proprio l’uomo che il giorno prima aveva i capelli castani e gli occhi azzurri. La sua civetta gli aveva portato la sua copia della Gazzetta, ma lui aveva aspettato di finire il suo tè mattutino prima di sprofondare nella poltrona di pelle nera davanti al caminetto con il giornale tra le mani. 

Non ci mise molto il suo cuore a cessare provvisoriamente di battere alla vista dell’articolo in prima pagina. Mille pensieri gli affollavano la mente e improvvisamente la cicatrice al collo iniziò a fargli male, memore della paura avuta anni addietro e che ora tornava a solleticargli vagamente lo stomaco, assieme al timore di essere controllato. 

Si convinse che non sarebbe successo nulla, che avrebbe continuato la sua normale vita condotta negli ultimi sei anni, ma quella sensazione di essere osservato non lo lasciò più. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


-No Potter- la voce di Draco era perentoria e non ammetteva repliche.
Il biondo era seduto sul divano, con i due Auror che lo fissavano davanti a lui, in piedi con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo duro.
-Mi dispiace che abbiate fatto la strada fino a qui inutilmente, ma non so dove sia mio padre- continuo Malfoy sostenendo lo sguardo di Potter con aria di sfida.
Harry era esausto. Erano a casa della sua nemesi da più di mezz’ora, ma ancora non erano riusciti a convincere Malfoy a dargli quell’informazione, nonostante gli avessero spiegato la situazione. -Malfoy, lo vuoi capire che vogliamo solo proteggerlo? Yaxley e altri Mangiamorte vogliono vendetta contro i traditori di Voldemort, e tuo padre probabilmente è il primo sulla lista- insisté Harry per la decima volta, ma il biondo ancora una volta scosse la testa con decisione e si lasciò andare contro lo schienale del divano.
-Potter, ti conosco ricordi? Non hai mai voluto proteggere mio padre, anzi sei sempre stato contro tutta la nostra famiglia!-
Ron roteò gli occhi e fece cenno ad Harry di arrendersi e tornare in ufficio, ma l’amico scosse la testa e fece un passo avanti verso Draco. -E avevo ragione a non fidarmi, eravate tutti e tre Mangiamorte e avete più volte cercato di uccidermi. Se vuoi metterla sul personale, allora lo sto facendo per ringraziare tua madre che non mi ha venduto a Voldemort. Ma ricordati che noi siamo qui in qualità di Auror per fare il nostro lavoro, quindi smettila di vedermi come il tuo acerrimo nemico e aiutaci a trovare tuo padre- giocò la sua ultima carta, il ricordo di Narcissa Malfoy che lo dichiarava morto davanti al Signore Oscuro.
Malfoy si alzò e fece un passo in avanti, fino a raggiungere Harry e guardarlo con un sorriso divertito. -Fuori da casa mia, Potter- sputò prima di girare i tacchi e andare ad aprire la porta d’ingresso, in un chiaro invito ad andarsene.
I due Auror si arresero e lasciarono il Malfoy Manor con un’unica convinzione: Draco sapeva dove i suoi genitori si nascondevano. Sapevano che non avrebbero mai cavato un’informazione da un Malfoy così restio ad aiutarli, quindi si sarebbero dovuti arrangiare.
-Oh che se ne vada al diavolo!- esclamò Ronald una volta che furono fuori dalla dimora dei Malfoy. -Sai che ti dico? Che per quel che mi riguarda Lucius può anche morire, farebbe un favore a tutti!-
Harry lo guardò stranito: Ron non si lasciava andare così contro i Malfoy da quando avevano finito la guerra, e non era da lui trascurare una missione per questioni personali. -Dobbiamo trovarlo Ron. Se Yaxley e i suoi sono intenzionati ad uccidere i traditori non ci metteranno molto a scoprire dov’è- e sinceramente Harry pensava che già lo sapessero, ma questo non lo esplicitò ad alta voce. -Farò un salto a Notturn Alley, magari qualche informatore sa qualcosa. Tu va’ al Ministero e vedi se hanno aggiunto qualche nome alla lista dei “traditori”-.
Ron non replicò che voleva venire anche lui, non gli era mai piaciuto il quartiere di Diagon Alley che ospitava tutta l’illegalità della Londra magica, quindi dopo aver salutato Potter si smaterializzò davanti al Ministero.
 
Notturn Alley era sempre buia, qualsiasi ora fosse, come se il sole non penetrasse quella cappa di malvagità che opprimeva il quartiere. Harry odiava quel posto, ma allo stesso tempo lo trovava affascinante. Inoltre, molti dei venditori ambulanti erano informatori dell’ufficio Auror e le informazioni che ricevevano da loro erano estremamente preziose.
L’aria fredda di inizio novembre penetrava nella divisa di Harry facendolo rabbrividire, ed era chiaro al ragazzo che la notizia della fuga dei Mangiamorte era giunta anche lì. C’era eccitazione nell’aria, molti passanti camminavano con il giornale sotto al naso leggendo l’articolo appena uscito.
Harry si diresse a passo sicuro verso la prima bancarella che sapeva essere gestita da un suo informatore, un omino tarchiato con pochi capelli sparsi sulla nuca e due occhietti piccoli che scrutavano ogni cliente nel tentativo di estorcergli più soldi possibili.
Simon, così si faceva chiamare da tutti anche se Harry dubitava fosse il suo vero nome, era sempre al suo solito posto, in un vicolo sporco e buio, che vendeva i suoi oggetti maledetti. Non aveva nessun cliente intorno al banco, quindi era distratto dallo sporco che si annidava sotto le unghie.
Harry giunse accanto a lui e attese che Simon alzasse lo sguardo e incontrasse il suo, duro e indagatore. Lo vide farsi piccolo per un attimo, per poi respirare a fondo e fare un passo indietro. -Cosa posso fare per lei, signor Potter?- chiese con la sua voce viscida, dando un’occhiata intorno al banco dove alcuni passanti si erano fermati ad osservare l’eroe del Mondo Magico.
-Cosa sai della fuga?- gli mise sotto al naso una copia del Profeta dove la scritta “I traditori devono morire” rimaneva immobile sulla pagina.
Solo allora l’informatore sembrò rilassarsi, come se Harry avesse posto una domanda più semplice di quanto si aspettasse. Harry si insospettì. -Solo che a quanto pare è stata abbastanza semplice. Da quando il Ministro della Magia ha sollevato i Dissennatori dal loro ruolo sono molti i carcerati che cercano la libertà- scrollò le spalle come se la cosa non lo riguardasse.
Harry alzò un sopracciglio. -Come fai a sapere com’è l’umoread Azkaban?-.
-Beh signor Potter, non è difficile immaginare come si stia in un carcere di massima sicurezza. E poi…- alzò nuovamente lo sguardo negli occhi di Harry -lo scorso anno avete rinchiuso un mio cugino, sono andato a trovarlo di recente. Mi ha detto che Yaxley e gli altri erano particolarmente agitati nell’ultimo periodo- e tornò a sistemare la sua mercanzia. Harry notò che erano gli stessi oggetti dell’ultima volta che gli aveva fatto visita e si chiese come riuscisse a sopravvivere senza vendere nulla.
La conversazione era chiusa, Harry l’aveva capito, e Simon non era più propenso a dare altre informazioni. Quanto meno aveva ottenuto qualcosa di interessante, anche se poco utile. Avrebbe dovuto chiedere di Lucius Malfoy al prossimo informatore.
Continuò a parlare con parecchi venditori per mezza giornata, ma non ottenne nulla di utile alle indagini. Molti informatori si erano spaventati alla notizia dei Mangiamorte in libertà, dato che si sentivano anche loro dei traditori del Signore Oscuro, anche se Harry non credeva che la banda di Yaxley se la sarebbe presa con loro, ma comunque si rifiutarono di parlare. Prese un appunto mentale di chiedere a Kingsley di mettere una decina di Auror in pattuglia a rotazione a Notturn Alley.
Fu solo a metà pomeriggio, quando ormai si era arreso a tornare a mani vuote al Ministero, che qualcosa attirò la sua attenzione. Fu solo un movimento captato con la coda dell’occhio, ma il deja-vu lo investì in pieno come un treno, facendolo voltare di scatto.
Si trovava in un vicolo abbastanza isolato e vuoto, poco distante uno dei suoi informatori stava vendendo rari ingredienti per pozioni ad un paio di clienti, ma oltre a loro non c’era nessuno. Eppure Harry lo aveva visto, quello sventolare di un mantello nero che tanto gli aveva ricordato i corridoi di Hogwarts. Ora il vicolo era deserto, ma Harry non poteva sapere se qualcuno aveva svoltato in un vicolo ancora più buio.
Si scrollò quella sensazione di dosso e tornò al Ministero per parlare con i colleghi e chiedere a Kingsley di essere assegnato alla squadra di ronda nel quartiere.
 
Era incredibile la vita a volte.
L’uomo dai capelli ora neri era tornato quella mattina al cimitero dove erano seppelliti i Potter, ma del suo ingrediente neanche l’ombra. Dubitava che l’avesse preso Harry Potter, ignorante com’era, quindi sicuramente l’aveva perso da qualche altra parte.
L’unico problema era che ora doveva andare a ricomprarlo, e la Pozione Polisucco era finita. Una svista sua, era sicuro di averne una scorta maggiore, ma all’ultimo si era ritrovato senza e aveva maledetti tutti i maghi che gli erano venuti in mente. Si era così limitato ad un misero incantesimo di disillusione e si era recato a Notturn Alley per comprare nuovamente la centinodia.
Ovviamente la sfortuna era affezionata a quell’uomo dai tratti ogni giorno diversi, quindi perché non fargli un Potter vestito di tutto punto da Auror proprio nel vicolo più isolato del quartiere, dove vendevano solo ed esclusivamente ingredienti illegali per pozioni illegali? Certo, aveva incontrato Potter solo il giorno prima, quindi ora doveva ritrovarselo sempre tra i piedi. Non si sarebbe dovuto stupire troppo però, perché con quello che stava succedendo era ovvio che Potter si sarebbe schierato in prima linea contro lo strascico che il Signore Oscuro si era lasciato dietro, ma metterlo ad indagare proprio lì, davanti a lui, era segno che la sua vita stava tornando ad incasinarsi nuovamente.
Fortuna volle che Potter gli desse le spalle e fosse troppo interessato ad osservare il vuoto davanti a sé per notare l’uomo che, ancora privo della sua preziosa centinodia, scappava e si nascondeva in un puzzolente vicolo in cui nemmeno il più losco dei venditori si sarebbe stanziato. L’Auror non lo vide e l’uomo si ritrovò a sospirare di sollievo quando il ragazzo se ne andò.
Finalmente avrebbe avuto la sua centinodia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Harry aveva deciso che i lavori alla casa dei suoi genitori sarebbero iniziati subito, quindi solo una settimana dopo aver visitato le loro tombe si era rivolto a chi di dovere, che gli aveva promesso di rendere la casa il più simile possibile a quella originale e in meno di due settimane.
Era al settimo cielo, finalmente una cosa nella sua vita stava andando per il verso giusto e dopo un mese e mezzo avrebbe lasciato Grimmauld Place, che ancora conservava troppi ricordi dolorosi. Eppure quella era la sua unica fonte di gioia, dato che la ricerca di Lucius Malfoy e altri due “traditori” andava a rilento, così come le indagini sui fuggitivi.
Era passata più di una settimana ed Harry e la sua squadra avevano scandagliato da cima a fondo Notturn Alley e le vecchie case dei Mangiamorte, ma non avevano trovato nulla e tutti, Potter compreso, iniziavano a sentirsi sempre più demoralizzati e lontani da una fine di quell’incubo.
Quel giorno il Prescelto avrebbe dovuto fare la ronda a Notturn Alley soltanto durante la notte, quindi si era preso il giorno libero per portare James a fare un giro a Diagon Alley. Lo portò nel negozio di scherzi dei Weasley, dove lavorava solo George ormai, e il bambino si divertì molto a vedere tutti i giochi colorati che il gemello vendeva.
George stravedeva, come tutti i Weasley d’altronde, per il piccolo James e insisteva nel dire che una volta cresciuto sarebbe diventato proprio come Fred perché lui le sentiva queste cose e sapeva che il suo gemello prima o poi sarebbe tornato. Harry sperava davvero che questo accadesse e cercava di non piangere ogni volta che gli occhi di George si illuminavano nel vedere il bambino fare qualcosa di vagamente simile a come l’avrebbe fatto suo fratello.
Dopo aver saccheggiato con gli acquisti I Tiri Vispi Weasley, Harry portò il piccolo James a casa, dove salutò Ginny con un bacio sulla guancia e lasciò i due ai loro affari prima di tornare a casa dei Black, dove si mise a studiare tutte le carte del caso su cui l’intero ufficio Auror stava lavorando.
Non avevano scoperto nulla su Lucius Malfoy e Harry si stava iniziando a chiedere se non fosse il caso di mettere Draco sotto controllo, sia per proteggerlo sia per scoprire se aveva contatti con suo padre, ma probabilmente il biondo avrebbe rifiutato qualsiasi cosa, troppo orgoglioso per accettare anche solo il minimo aiuto. Harry lo odiava più di quanto avesse fatto negli anni ad Hogwarts. Un conto erano le loro scaramucce infantili, ma ora Malfoy stava impedendo un’indagine e mettendo a rischio la sua famiglia.
Si alzò, ora troppo nervoso per stare fermo, e uscì di casa. Non era mai successo prima, che tornasse in quel posto a pochi giorni di distanza, ma in quei giorni aveva troppi pensieri per la testa, quindi nemmeno un’ora dopo si trovava davanti alle tombe dei suoi genitori, a fissare la pietra con sguardo stanco. Gli mancava James come mancano i colori ad un cieco, voleva vederlo crescere quotidianamente e non essere costretto a vederlo di tanto in tanto. Gli mancava Ginny ma non perché l’amasse ancora, ma perché la vita di coppia gli piaceva, all’inizio almeno. L’affetto, le coccole, la quotidianità… A mancargli era anche Ron, con le sue battute stupide e le sue brutte figure davanti a Kingsley. Ultimamente vedeva poco anche il suo amico, ma il fatto che lavorassero insieme lo sollevava dagli strazi della vita, prima che Ronald decidesse che la loro amicizia non fosse più importante.
Disse tutto quello ai suoi genitori, poi rimase in silenzio, seduto sul terreno a contemplare le pietre davanti a lui senza realmente vederle. Iniziò a tremare per il freddo, il buio stava calando in fretta e con lui anche la temperatura. Non sapeva quanto rimase lì a tremare, forse l’orario del turno di ronda era già passato, ma in quelle condizioni, dove rabbia, stanchezza e disperazione si mischiavano, del lavoro gli importava poco. La gente andava e veniva dal cimitero, qualcuno gli lanciava occhiate sospette e qualcun altro lo riconosceva, ma aveva il buon senso di non disturbarlo.
Si riscosse dai suoi pensieri che comprendevano tutto e nulla solo quando sentì un peso posarsi sulle sue spalle. Sobbalzò, riconoscendo un mantello nero e pesante che impediva al freddo di farlo tremare, e alzò lo sguardo. Ciò che vide, o meglio chi vide, gli mozzò il fiato in gola e gli fece spalancare gli occhi.
-Potter, non credi di che sia un po’ troppo tardi per stare da solo in un cimitero? Per di più col tuo vero aspetto mentre ci sono dei Mangiamorte a piede libero- la voce dell’uomo che aveva davanti lo riscosse dal suo torpore. Era sempre la solita, la stessa intonazione che a volte tornava a tormentarlo nel sonno e che gli aveva fatto passare le pene dell’inferno nei suoi anni ad Hogwarts.
Harry scattò in piedi, lasciando cadere a terra il pesante mantello nero. -Lei è…- e si bloccò perché le parole non volevano saperne di uscire.
--Vivo, sì Potter, perspicace. E tu sei in un cimitero alle otto di sera, con solo un maglione a coprirto. La fama ti ha bruciato il buonsenso?- nemmeno il sarcasmo era cambiato, e ad un lungo sguardo nemmeno il vestiario.
Severus Snape era esattamente identico a come lo aveva lasciato.
 
Severus quella notte aveva sognato Harry Potter. In realtà i suoi incubi ormai erano sempre gli stessi: la sua morte e il suo risveglio nella caverna che lo aveva ospitato fino al suo completo recupero, ma questa volta il sogno era partito da Potter che raccoglieva i suoi ricordi in una boccetta e si era sviluppato in una sua personale rappresentazione di Potter che moriva e poi si risvegliava, proprio come gli aveva raccontato Draco. Niente morti dolorose e niente risvegli bruschi.
Avrebbe tanto voluto non aver mai incontrato Potter una settimana prima al cimitero, e non avrebbe mai voluto domandarsi come stesse il figlio della sua Lily. Chiederselo significava che gli importava davvero di quel moccioso.
Comunque, quel giorno al suo risveglio si sentiva stranamente più esausti delle mattine in cui dormiva solo un paio d’ore. Si era alzato e aveva fatto una modesta colazione, poi aveva imbottigliato le pozioni da vendere e aveva usato la sua civetta per spedirle ad un anonimo venditore di Notturn Alley. Stava ancora aspettando che l’animale tornasse con i suoi soldi quando si stufò di stare fermo in quell’appartamento che di confortevole non aveva nulla, solo una valanga di ricordi orrendi.
Non voleva tornare al cimitero, ci era andato solo una settimana prima e da allora lo aveva evitato nel terrore di rivedere Potter, soprattutto ora che la sua scorta di Pozione Polisucco era terminata e lui era costretto a vagare con un incantesimo di disillusione alquanto inutile addosso. Decise quindi di uscire e farsi un giro dove i piedi lo avrebbero portato, lasciandosi guidare dai pensieri e calcandosi addosso un mantello munito di cappuccio per mascherarsi il più possibile.
Vagò per ore prima di alzare lo sguardo e vedere dove fosse finito. Davanti a lui si ergeva il monumento ai Caduti incantato per diventare la statua della famiglia Potter, e poco lontano il cimitero lo chiamava. Comunque andasse, la sua Lily lo riportava sempre da lei, e questa cosa non sarebbe mai cambiata. Non sapeva se esserne felice o urlare di disperazione.
Si avviò quindi per il viale fangoso tra le tombe e stranamente per la prima volta da qualche tempo lo sguardo gli cadde sulla tomba di Kendra Dumbledore, ricoperta di muschio e sporcizia. Si appuntò mentalmente di passare da lì al ritorno per pulirla come aveva fatto con quella di Lily solo una settimana prima.
La tomba dei Potter era occupata, e solo ora capì perché Lily lo avesse attirato lì: Harry Potter stava male, anche se da quella distanza non riusciva a capire se fosse per il freddo o se stesse annegando nella disperazione che emanava la sua figura.
Sbuffò e lanciò uno sguardo frustrato al cielo, dove immaginava che fosse Lily, come a rimproverarla per quel favore che gli stava chiedendo. Non poteva lasciare il ragazzo lì a morire di freddo e tornarsene a casa, lo aveva protetto per anni e, nonostante ora fosse più che adulto, sentiva ancora quel senso Paternò nei suoi confronti. Non poteva salvarlo dai suoi demoni, ma poteva quantomeno provare a proteggerlo dal freddo dell’inverno imminente.
Maledì il suo corpo quando iniziò a camminare in direzione del ragazzo quando ancora mentalmente non si sentiva pronto a rivelarsi, ma la strada era corta e in breve si ritrovò dietro la figura tremante del Prescelto. Sospirò silenziosamente mentre si slacciava il mantello e lo lasciava cadere sulle spalle del moccioso. Lo guardò sobbalzare e portare in automatico la mano alla manica del maglione, dove sicuramente nascondeva la bacchetta, ma non la estrasse.
Lo scambio di battute che avvenne successivamente e lo sguardo ferito di Potter gli confermarono che poteva ancora essere il vecchio e acido professore di Pozioni e che nulla, in quegli anni, era cambiato. E quando diceva nulla, intendeva che non era cambiato nemmeno ciò che provava per il moccioso.
 
Fu in quel momento che una striscia argentea volò tra di loro e si materializzò nelle sembianze di un Jack Russell. -Il Patronus di Ron…- sussurrò Potter perplesso.
“Harry, Astoria Greengrass è stata aggredita. Ci vediamo al San Mungo tra dieci minuti”.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Astoria Greengrass non era una ragazza di particolare bellezza o talento. Non veniva notata facilmente, era più la sorella Daphne ad attirare le luci dei riflettori, e ad Astoria questa cosa era sempre andata bene, per questo quando Draco Malfoy le si dichiarò fu stupita.
Draco Malfoy ad Hogwarts, e soprattutto tra i loro compagni di Casa, era una celebrità, ammirato e temuto da tutti solo per la fama di suo padre e il profumo di soldi che si portava dietro. Astoria non stravedeva per lui come invece faceva sua sorella. Certo, il fascino del ragazzo più grande e del bullo della scuola si rifletteva pure su di lei, ma lo aveva per lo più ignorato.
Iniziarono a frequentarsi un paio d’anni dopo la Guerra e poco dopo Draco le chiese di sposarlo. Astoria a quel punto amava il ragazzo che Draco era diventato, un personaggio meno snob e più vero, quindi non aveva esitato ad accettare. Astoria nascondeva un segreto, che non aveva mai rivelato al marito e che temeva enormemente, ma si consolava pensando che tutti nascondono dei segreti, chi grande e chi piccolo. A lei era toccato gigante, ma ci aveva convissuto fino ad allora.
Non aveva smesso di amare Draco nemmeno quando di notte lui si svegliava urlando, e nemmeno quando lo aveva trovato riverso nel bagno di casa loro in una pozza di sangue, esanime e con il braccio recante il Marchio Nero completamente sfigurato da lunghe quanto profonde ferite. Draco rinnegava il suo passato, ne aveva paura, e lei lo amava anche così.
Per questo, quando venne aggredita da uomini incappucciati entrati in casa loro mentre era sola, pensò a lui. Non smise di amarlo nemmeno quando si rese conto che quegli uomini in realtà volevano colpire Draco e non lei, perché il passato era tornato a chiudere i conti con suo marito.
Ora Astoria si trovava distesa su un lettino bianco, completamente ricoperta di sangue ma senza la minima traccia di paura. Era così che si era sentito Draco quando aveva capito che il suo passato l’avrebbe ucciso? Aveva avuto paura? O come lei era semplicemente rassegnato e felice della vita vissuta?
Vedeva i Medimaghi affollarsi intorno a lei, sentiva le loro voci, ma era come se fosse rinchiusa in una bolla. Sentiva ovattato e vedeva sfocato, l’unica certezza era il dolore lancinante che provava all’altezza del collo, ma che in realtà era solo più forte di quello che veniva dalle gambe e dalla testa.
Sarebbe morta, ne era sicura, e tutto senza lasciare un erede al suo Draco, lo avrebbe lasciato da solo. Sapeva quanto fosse importante per suo marito proseguire col nome dei Malfoy. Si consolò pensando che Draco era ancora giovane e affascinante e di sicuro avrebbe trovato un’altra donna da amare come aveva amato lei e che lo rendesse felice, forse più di quanto avesse fatto lei.
Stava per chiudere gli occhi, serena e noncurante di tutti i Medimaghi che la imploravano di non addormentarsi. Aveva vissuto una buona vita, gli ultimi anni erano stati abbastanza felici per lei, quindi non si sarebbe lamentata. Tanto, sarebbe comunque morta a breve.
Ma a quanto pare sarebbe stato il suo segreto ad ucciderla, perché in quel momento nella stanza si precipitò il suo Draco che si aggrappò al suo braccio. Benché tutto il mondo esterno fosse solo un miscuglio di rumori e sensazioni, sentiva la disperazione con cui le dita di suo marito le artigliavano la carne e riusciva a vedere le lacrime negli occhi color ghiaccio di quest’ultimo. Non poteva morire e lasciare il ragazzo da solo. Non se ne sarebbe andata.
Draco aveva bisogno di lei per sopravvivere al suo passato.
 
-Merda…- era stata la prima parola di Harry dopo aver sentito il messaggio di Ron.
Astoria Greengrass era stata aggredita, ma Harry sapeva quasi per certo che l’obbiettivo era Draco Malfoy. Chi mai se la sarebbe presa con una ragazza come Astoria? Non aveva fatto parte dell’esercito di Voldemort e da quello che ricordava a scuola era sempre stata una ragazza tranquilla, perennemente dietro a Pansy Parkinson e nell’ombra della bellezza di sua sorella Daphne. Harry quella ragazza la ricordava a malapena.
Solo qualche secondo dopo che il Patronus si fu dissolto Harry si ricordò della presenza di Severus Snape davanti a lui e tornò coi piedi per terra, crogiolandosi ancora nella sorpresa. -Lei… io… devo andare, credo- balbettò facendo un passo indietro e inciampando nel mantello del professore ancora a terra.
Per anni aveva desiderato trovare Snape vivo, o perlomeno sapere cosa gli fosse successo, ma in quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che doveva andarsene il più in fretta possibile da lì, da quegli occhi neri che scrutavano i suoi. Sì, doveva allontanarsi e raggiungere Ron al San Mungo, ma allora perché i suoi piedi si rifiutavano di fare altri passi?
-Sì, forse è meglio sei vai dalla signorina Greengrass- concordò Snape col suo tono lugubre, poi indicò il mantello a terra con un cenno della testa. -Usalo tu, a quanto pare per sarà una lunga notte, e io andrò a casa a breve-. Questa volta fu l’ex professore di Pozioni a fare un passo indietro, e poi un altro ancora, lasciando Harry con un fastidioso vuoto alla bocca dello stomaco.
Per non pensare a quelle strane sensazioni si chinò a raccogliere il mantello e se lo mise sulle spalle. -Casa… sì, immagino che sia stato lì per tutti questi anni- mormorò sovrappensiero senza rivolgersi a nessuno in particolare. La verità era che Snape aveva usato il tono da professore acido per rivolgersi a lui e Harry ci era rimasto male, chiedendosi da quanto tempo quell’uomo non gli parlasse in quel modo. -Beh grazie, glielo riporto domani, o meglio… glielo lascio qua sulla tomba di mia madre, così non è obbligato ad incontrarmi- continuò a blaterare, consapevole che se l’ex professore era rimasto nascosto per così tanto tempo c’era un motivo e ora sicuramente non voleva che la sua privacy fosse invasa.
-Certo- Snape annuì con un breve e unico cenno della testa, poi si calcò nuovamente il cappuccio sulla testa e infilò le mani pallide nelle tasche. -Potter, immagino sia chiaro che questo incontro non è mai avvenuto, vero?-
Harry annuì e quello sancì la fine della conversazione. Rimase a guardare la schiena di Snape allontanarsi lungo il viale finché non sparì dalla sua vista, attese un paio di minuti e poi si avviò anche lui verso l’uscita.
La sua mente era un tale guazzabuglio di sentimenti e pensieri che per proteggersi decise di non pensare più a nulla, solo al lavoro. Dimenticò momentaneamente che Snape era vivo e gli aveva prestato un mantello per rimanere al caldo, dimenticò tutto ciò che era successo il penultimo anno di Hogwarts, nonostante non facesse altro che pensarci nei momenti di solitudine e sconforto e dimenticò i suoi problemi familiari. In quel momento esisteva soli Draco Malfoy e sua moglie, probabilmente questa in fin di vita su un letto del San Mungo.
Fu proprio lì che si smaterializzò una volta oltrepassata il monumento ai Caduti. Atterrò nell’androne dell’entrata e non ci fu bisogno di identificarsi, perché un’infermiera subito lo accolse e iniziò a correre verso quella che probabilmente era la stanza dove Ron lo aspettava.
-Harry- lo salutò infatti il rosso non appena Potter varcò la soglia di una piccola sala d’attesa.
Seduto su una delle sedie in plastica c’era Draco Malfoy, o meglio l’ombra di quello che Draco fu. Aveva i capelli biondi scarmigliati, era pallido e teneva il volto poggiato sulle mani tremanti. A giudicare dai movimenti delle sue spalle e dai rumori attutiti era chiaro che stesse piangendo e cercando di soffocare i singhiozzi.
Ad Harry si strinse il cuore e distolse lo sguardo, per poi fare cenno a Ron di uscire dalla stanza: non voleva che Draco sentisse nuovamente il racconto dell’accaduto, perché era certo che fosse già abbastanza a pezzi di suo. -Cos’è successo?- chiese una volta che si furono appostati in corridoio.
-A quanto pare hanno fatto irruzione nel Manor e hanno aggredito Astoria. Probabilmente pensavano di trovare Draco, ma era fuori per faccende personali- spiegò il rosso, poi lanciò un’occhiata attraverso la porta a vetri della sala d’attesa, come a controllare che Draco fosse ancora dove lo avevano lasciato. L’hanno torturata Harry, i Medimaghi dicono che è stata fortunata ad arrivare qui ancora viva. E inoltre,  hanno lasciato un messaggio abbastanza chiaro, dato che sul braccio le hanno inciso una frase- fece una pausa ad effetto che ad Harry andò sui nervi, come se fossero ad una rappresentazione teatrale. –“Ti troveremo”-.
Harry sospirò e si passò una mano nei capelli. Stavano succedendo troppe cose: Mangiamorte che evadevano, Snape che resuscitava e parlava di “casa”, Astoria aggredita e le minacce… solo ora si rese conto che se Snape era vivo, allora aveva bisogno di protezione. Ma come avrebbe fatto? Non poteva certo mettergli due guardie alle costole: Snape era stato chiaro, lui sarebbe dovuto restare morto agli occhi di tutto il Mondo Magico e non. Ci avrebbe pensato a tempo debito.
-Chi l’ha trovata?- sperava tanto che la risposta non fosse “Draco” perché non era pronto ad affrontare la sofferenza di chi ha visto in fin di vita una persona amata.
Ron si strinse nelle spalle -Un elfo domestico, ha sentito le urla ma quando l’ha raggiunta erano già scappati- poi io suo sguardo si fece sospettoso e scandagliò con gli occhi tutta la figura di Harry -Di chi è quel mantello?-
Buon Merlino, ora Ron sospettava che lui avesse una donna, glielo leggeva negli occhi. Anche se così fosse stato, a lui non doveva nessuna spiegazione. Si era separato da Ginny da più di un mese ormai, e la sua eventuale vita amorosa non riguardava l’amico. -Nessuno, avevo freddo e ne ho comprato uno a Diagon Alley- usò la prima scusa che gli venne in mente e per fortuna il suo tono uscì abbastanza deciso da far cadere il discorso, ma a togliere lo sguardo diffidente dell’altro.
Un Medimago entrò nella sala d’attesa per parlare con Draco, e i due lo seguirono. -È fuori pericolo ed è sveglia, può entrare uno solo di voi e per poco tempo, poi dovrà riposare il più a lungo possibile. Ha subito dei brutti danni e rimarranno le cicatrici, ma per fortuna nessun organo interno sembra essere stato danneggiato in maniera irreversibile- e con queste parole si dileguò.
-Malfoy…- iniziò Harry, rivolgendosi ad un Draco distrutto dalla vita, ma venne subito interrotto dallo sguardo truce dell’ex Slytherin.
-No Potter, non ti lascerò interrogare ora mia moglie. Andrò io e voi domani, forse, potrete fare le vostre domande- il suo tono non ammetteva repliche, ma Harry era troppo stanco per prestarci attenzione. Aveva bisogno di una svolta nel caso, e quella era l’occasione giusta.
Stava per ribattere che no, era necessario fare subito le domande, ma venne fermato da Rom, che lo afferrò per un braccio e lo fece voltare verso di lui. -Andiamo al Ministero, qua ci torniamo domani, intanto mandiamo due Auror a fare la guardia qui in ospedale, che ne dici?- aveva usato un tono calmo, come quello che si usa con i bambini, e aveva funzionato perché Harry rilassò le spalle e seguì docile l’amico mentre Malfoy entrava nella stanza di Astoria.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


-Draco, per favore ragiona- implorò Harry per l’ennesima volta.
Da due ore il Prescelto stava cercando di convincere Malfoy ad andare a vivere momentaneamente da lui. Astoria sarebbe dovuta restare in ospedale ancora a lungo e il Malfoy Manor non era più un posto sicuro. Harry avrebbe volentieri fatto a meno della presenza dell’ex Slytherin, ma dopo aver parlato con i suoi colleghi si era reso conto che tra le ronde a Notturn Alley e Diagon Alley, quest’ultima vita da Kingsley, le guardie ad Astoria e chi serviva in ufficio pronto a scattare alla minima necessità non rimanevano più molti uomini per tenere sotto protezione Draco. Aveva provato a chiedere a Ron, ma il rosso non era molto propenso a mettere il lavoro prima delle questioni personali, ed era stato irremovibile. Rimaneva lui, e a ben pensarci Grimmauld Place era un posto abbastanza protetto, anche se lui non era in casa.
-Potter, non intendo venire a vivere con te come una felice coppia di innamorati- ripeté per la decima volta Draco, come se il concetto di protezione proprio non lo capisse.
Harry sbuffò esausto e si lasciò cadere su una delle sedie poste nella sala d’attesa. Dalla sera prima ancora non era riuscito a tornare a casa, era stato prima al San Mungo, poi nel suo ufficio ad riorganizzare i turni di guardia che non lo comprendessero ed infine era tornato al San Mungo sullo spuntar dell’alba. Doveva ancora tornare al cimitero per restituire il mantello, e inoltre Ginny lo aveva chiamato per chiedergli se poteva tenere James quel pomeriggio perché lei aveva un lavoro fuori città.
-Sarebbe solo per il tempo necessario a catturare i Mangiamorte e rispedirli ad Azkaban. La casa è abbastanza grande e Astoria ci raggiungerebbe una volta ristabilita. Nessuna coppia felice, probabilmente io non sarò quasi mai a casa-
Draco lo squadrò da testa a piedi e rimase in silenzio per un po’, come se stesse soppesando le sue parole, poi sospirò e abbandonò la testa contro il muro. -Un mese, non di più, e noi avremo un piano tutto nostro- stabilì infine.
Harry roteò gli occhi per le pretese del ragazzo, ma non ebbe la forza di replicare. Voleva solo tornare a casa a riposare prima di andare a prendere suo figlio. Stava pensando dove lo avrebbe potuto portare per non farlo stare in quella casa tetra, quando all’improvviso si ricordò di Snape e del mantello che giaceva accanto a lui su una sedia. -Bene, se siamo d’accordo così non c’è più nulla da dire. Porta le tue cose a Grimmauld Place entro stasera, dirò a Kreacher di darti la stanza più grande, io probabilmente non sarò a casa. Ron verrà oggi pomeriggio ad interrogare Astoria- disse mentre si alzava e recuperava il pesante mantello nero.
Malfoy annuì e non disse nulla, non lo stava nemmeno più ascoltando data l’intensità con cui stava osservando le sue unghie mangiare dal nervosismo. Non doveva essere facile quella situazione per il biondo. Là fuori qualcuno aveva cercato di ucciderlo, finendo a fare del male a sua moglie perché lui non si trovava in casa. Harry viveva col terrore di vedere morire la sua famiglia per colpa di quello che era lui da sempre, solo che per ora fortunatamente non era mai successo nulla. Certo, c’era da dire che le persone che sapevano dell’esistenza di James si potevano contare sulle dita di due mani, e cioè i Weasley ed Hermione, e ancora nessuno del Mondo Magico aveva scoperto del divorzio dei due coniugi. Erano stati attenti: la casa dove ora si trovava Ginny era nella Londra babbana e difficilmente la donna usciva con James in posti affollati. Inoltre, Ginny era una giornalista ed era entrata nella loro mentalità, sapendo bene cosa evitare per non essere investita dai flash. Per ora, lo scoop di un erede Potter ancora non aveva galvanizzato la Gazzetta del Profeta.
Uscì dalla sala d’attesa e dopo aver salutato i due Auror che facevano la guardia alla stanza di Astoria si diresse all’esterno. Normalmente avrebbe camminato fino a trovare un posto poco affollato per smaterializzarsi, ma quella mattina era troppo stanco per allungare la strada, quindi con uno schiocco scomparve davanti agli occhi di molti maghi che lo avevano riconosciuto.
Ricomparve un secondo dopo all’entrata del cimitero di Godric’s Hollow e dovette prendere un profondo respiro prima di incamminarsi all’interno. Non era sicuro che Severus Snape fosse lì ad aspettarlo, non si erano dati un orario, ma non si stupì quando lo vide in piedi davanti alla tomba di sua madre. “Probabilmente passa qui la maggior parte del suo tempo” pensò Harry, e non si sarebbe sorpreso nel constatare che fosse davvero così. Severus Snape sembrava parte integrante di quel posto. Harry si chiese dove fossero seppelliti i suoi genitori e se li andasse a trovare sovente come faceva invece con i Potter.
-Non ci speravo più- nonostante gli desse le spalle, Snape si accorse di Potter e si girò a guardarlo, parlandogli allo stesso modo con cui gli parlava in classe molti anni addietro.
Harry si strinse nelle spalle, non voleva cedere alle continue provocazioni dell’uomo. Gli porse il mantello. -Ho dovuto lavorare fin’ora, e convincere Malfoy che ha bisogno di protezione mi ha portato via l’intera mattinata- spiegò. Non entrò nei dettagli. Ancora non sapeva se fidarsi di Snape, e comunque erano in un luogo pubblico.
Snape squadrò dalla testa ai piedi Potter, constatando che il ragazzo non stesse mentendo: indossava ancora gli abiti del giorno prima e il suo volto era decorato da delle profonde occhiaie e uno strato di barba non curata. -Tienitelo e facciamo due passi, sembri sul punto di esplodere- gli disse con tono accondiscendente, e lo guardò rimettersi sulle spalle il mantello.
Il cambio del tono non passò inosservato al ragazzo, che si sentì un po’ meno in tensione. -Non ho molto tempo, ma credo di potermi fermare a parlare per un po’-. Odiava tutto quello, quella formalità che si sforzava di usare e che gli veniva fin troppo naturale. Odiava sentirsi ancora intimorito dalla figura dell’uomo, e odiava il rapporto professore-studente che era ricomparso tra di loro, nonostante Harry non fosse più uno studente e Severus non fosse più un professore.
Comunque accolse l’offerta di una passeggiata ed entrambi si incamminarono fianco a fianco sul viale che portava all’esterno del cimitero. Tenevano una certa distanza tra di loro e le mani in tasca, come se avessero paura a sfiorarsi, ma Harry non ci badò.
-Quindi… Draco le ha salvato la vita- disse Harry dopo dieci minuti in cui avevano camminato in religioso silenzio. -Non pensavo che a Malfoy potesse importate di qualcuno al di fuori di sé stesso. Se ieri non l’avessi visto piangere per Astoria ieri non le avrei mai creduto, probabilmente-.
Snape sbuffò una risata che nulla aveva di divertito. -Tu tendi sempre a sopravvalutare te stesso e a sottovalutare gli altri, Potter. Questa cosa non cambierà mai-.
Le parole colpirono nel segno e affondarono la psiche labile di Harry, che però riuscì a mantenersi indifferente, se non fosse per un lampo di sofferenza passato nelle sue iridi. Significavano tutto e niente quelle parole, ma Harry sapeva che non si stava riferendo solo a Draco, ma a tutta la loro storia che si erano lasciati alle spalle. -Touché- mormorò, come se quello fosse un normale dibattito in classe. -A mia discolpa posso dire però che Malfoy aveva rifiutato il nostro aiuto-.
Snape si fermò e lo guardò con una luce due negli occhi -Ti è mai saltato in mente che non tutti hanno bisogno del tuo aiuto Potter? Devi smetterla di crederti dio sceso in terra- sputò con cattiveria. Quelle parole contenevano un dolore e una rabbia ben più radicati nel suo animo, che non nascevano dalla discussione in corso. Malfoy era sì l’argomento di conversazione per Potter, ma per Severus non era così.
Harry si arrabbiò a sua volta. -La smetta! Io non mi credo nessun dio e non agisco come Salvatore del Monto Magico. Sono un Auror e come tale devo proteggere le persone in difficoltà!- si era fermato anche lui e lo fronteggiava. La stanchezza era sparita, lasciando il posto alla rabbia e alla delusione: pensava che il periodo in cui Snape lo prendeva di mira per essere il Prescelto fosse finito anni fa. -E si da il caso che avevo ragione, dato che nemmeno una settimana dopo hanno cercato di uccidere Astoria- aveva il fiatone e mille pensieri per la testa, ma non riusciva a trovarne il capo per costruire un discorso di senso compiuto. -Lei per primo dovrebbe sapere che non ho mai voluto essere… me, con tutte quelle responsabilità e missioni e aspettative. E sono stanco di essere giudicato in base a quello che sono stato costretto a fare. Perché nessuno si aspetta da me quello che si aspetterebbe da un ragazzo di ventiquattro anni o da un normale Auror?-. Dovette combattere contro se stesso per non scoppiare a piangere, ma il freddo pungente non aiutava e una lacrima solitaria gli rigò la guancia.
Snape era interdetto: si erano appena incontrati e già Potter piangeva davanti a lui. Pensava che avrebbe dovuto aspettare di più prima di vederlo esplodere e ridursi in mille pezzi, e Severus dubitava seriamente che la causa di ciò fossero solo le sue parole, c’era qualcosa di più profondo. Prese un profondo respiro e si avvicinò a lui di un passo, solo per vederlo allontanarsi da lui di due. -Hai ragione- guardò gli occhi stanchi e arrossati di Potter dilatarsi dalla sorpresa -Nessuno ti tratta come un normale ventiquattrenne perché tu non sei un normale ventiquattrenne. Sei stato costretto a crescere in fretta e a fare cose che nessuno sarebbe stato in grado di fare. La gente ha visto ciò di cui sei capace e si è creata delle alte pretese, e ora si aspetta che tu continui a rispettarle. E tu sei capace di farlo. Arrendersi e gettare la spugna non sono cose da Potter, o sbaglio?-
Harry era sempre più sorpreso. Snape non aveva mai parlato così tanto e quel tono non lo sentiva da chissà quanti anni. -Beh, fallire è una cosa da Potter? Perché in questo momento ho fallito in tutto- età riuscito a mantenere un tono fermo, ma i suoi occhi tremavano di incertezza e un pizzico di paura.
Snape sospirò e non rispose, si limitò a raggiungerlo temendo di vederlo ancora allontanarsi. Quando non accadde si permise di lanciargli un’occhiata. -Andiamo a berci qualcosa, conosco un locale babbano dove l’alcol è buono quasi quanto quello magico-.
 
Il pub in cui lo portò Snape era un piccolo locale con i riscaldamenti al massimo e poca gente. Le pareti in legno scuro faceva sembrare che fosse sera, quando in realtà era appena mezzogiorno. Entrambi si resero conto che avevano fame, quindi oltre ad una bottiglia di vino ordinarono anche da mangiare. Harry non faceva un pasto decente da giorni e il suo umore migliorò visibilmente dopo il primo boccone di bistecca.
-Quindi…- iniziò Harry. Non avevano parlato fino ad allora, e l’aria pesante di poco prima si era alleggerita appena. -Dove vive ora?-
-Spinner’s End, nella casa dei miei genitori- mormorò l’uomo ed Harry notò un pizzico di disgusto nella sua voce. Anche lui, probabilmente, viveva in un posto pieno di brutti ricordi. Cercò di non tornare con la mente a quel giorno in cui era entrato nella mente del suo professore, perché quell’episodio aveva dato il via all’inizio della fine.
Harry annuì e gli lanciò un’occhiata. -E cosa fa per vivere?- chiese ancora.
Parlarono per un po’ del più e del meno. Harry scoprì che Snape preparava pozioni su commissione che poi un suo contatto rivendeva a Notturn Alley, che viveva a Spinner's End da circa cinque anni e che non leggeva la Gazzetta del Profeta tutte le mattine, altrimenti avrebbe scoperto che ora il suo posto di insegnante di Pozioni lo deteneva Slughorn e quello di Difesa Contro le Arti Oscure era passato ad un ex Auror con un enorme bagaglio culturale. Harry lo aveva conosciuto ed era contento della scelta di Minerva McGonagall.
Severus invece capì da dove arrivava tutta quella sofferenza, o almeno una parte. Harry gli raccontò che aveva divorziato da poco perché le cose con la Weasley non funzionavano e che per questo aveva litigato con Ronald Weasley, e che ora viveva a Grimmauld Place. Non gli disse che si sentiva in colpa per la rottura con la rossa e che quella casa gli faceva male, ma queste cose Snape le capì da solo. Non cercò di rassicurarlo né di fargli cambiare idea, Potter era forte abbastanza per rendersene conto da solo, prima o poi.
Quello che però Snape non sapeva e non si aspettava era la domanda che Potter sputò quando entrambi ebbero finito di mangiare e si stavano dirigendo verso l’esterno.
-Ci ripensa mai?-

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


*Marzo 1996*

Harry non si era mai pentito di qualcosa come si stava pentendo ora di aver spiato i ricordi nel Pensatoio di Snape, eppure non riusciva a smettere di pensarci. Suo padre non era una bella persona ai tempi della scuola, non poteva giustificare un comportamento del genere, e ora si sentiva in colpa nei confronti di Snape. Non che lui c’entrasse qualcosa, ma era abbastanza sicuro che James non gli avesse mai chiesto scusa e ora si sentiva in dovere di farlo al posto suo.
Eppure anche Snape non era stato gentile con sua madre. Chiamarla in quel modo era stato meschino e maleducato. Avrebbe avuto bisogno di sentire entrambe le campane, che in questo caso erano tre: i suoi genitori e Snape, ma mentre i primi due erano morti, dubitava che il terzo gli avrebbe mai risposto, e sicuramente avrebbe trovato ridicole le sue scuse.
Passò giorni a rimuginare su ciò che aveva visto nel Pensatoio e a come fare per porvi rimedio. Aveva bisogno delle lezioni di Occlumanzia e soprattutto aveva bisogno di rivedere Snape. C’era qualcosa in quell’uomo, qualcosa che lo rendeva affascinante e spaventoso. Harry non sapeva se ne era attratto o respinto. Sicuramente non era un bell’uomo, non aveva quella bellezza classica dei suoi compagni né un fisico su cui le ragazze avrebbero sbavato, ma in quel periodo, dove Harry rischiava la morte un giorno sì e l’altro pure, il ragazzo non voleva negare nulla a se stesso, e se pensava che rivedere Snape in privata sede fosse la cosa giusta per lui allora ci avrebbe tentato. Inoltre lui era l’unico ad Hogwarts che avrebbe potuto parlargli dei suoi genitori.
Fu solo sul finire di aprile, però, che il Prescelto ebbe la forza di tirare fuori il Mantello di suo padre e scendere nei sotterranei dopo che fu scattato il coprifuoco. Sperava che Snape fosse sveglio, e ne ebbe conferma quando, dopo aver bussato alla porta del suo ufficio, l’uomo venne ad aprire con uno sguardo perplesso. -Chi è?- chiese ad alta voce non vedendo nessuno.
Harry si fermò un attimo ad osservarlo: indossava una camicia nera e i pantaloni che utilizzava anche a lezione, ma ciò che lo sorprese maggiormente furono i capelli, che erano tenuti raccolti da un elastico. Paralizzato dalle incertezze, non parlò né si tolse il Mantello, quindi Snape liquidò la faccenda come uno scherzo degli Slytherin e fece per richiudere la porta, senonché un piede si piazzò svelto davanti ad essa. Solo allora Harry lasciò cadere il Mantello. -Potter, a cosa devo la sua visita a quest’ora di sera? Il coprifuoco è scattato, ma non mi dovrei stupire: le regole sono state fatte per essere infrante da te- borbottò squadrandolo da testa a piedi. -Dieci punti da Gryffindor per essere fuori dal dormitorio-.
Harry si affrettò a parlare prima che l’uomo potesse togliere altri punti alla sua casa. -Ho bisogno di parlarle riguardo a… beh sì, quello che ho visto nel Pensatoio- osservò la reazione del professore, e quando lo vide indurire lo sguardo, pronto ad esplodere, continuò -Vorrei sapere alcune cose e scusarmi per ciò che le è stato fatto. Lei è l’unica persona che conosco oltre a Sirius che ha conosciuto i miei genitori da vicino, e io non so proprio nulla di loro. La prego-.
Quando aveva pensato a come convincere Snape a dargli udienza non aveva compreso le preghiere, ma in quel momento gli sembrò un’idea più che giusta abbassarsi a quel livello, perché vedeva l’umore nero di Snape e sentiva che se non l’avesse impietosito l’avrebbe sbattuto dalla Umbridge a calci nel sedere.
Osservò il professore sospirare e rilassare impercettibilmente le spalle prima di farsi da parte. -Entra prima di svegliare l’intero dormitorio-.
Harry entrò col cuore che batteva a mille. Nei suoi pensieri Snape lo cacciava senza nemmeno dargli il tempo di parlare e ora non sapeva come andare avanti nella conversazione senza essere preso a brutte parole. Non credeva più che fosse una buona idea presentarsi lì.
Ancora una volta Snape lo stupì, salvandolo dai dubbi: -Dimmi quello che vuoi sapere e poi vattene da qui, la mia pazienza ha un limite e tu l’hai già superato quando hai deciso di invadere la mia privacy-.
Harry sospirò e iniziò a torturarsi le mani, guardando ovunque tranne il professore che era andato a sedersi dietro la scrivania. -Mi dispiace per quello, ero curioso di capire perché mi odiasse tanto, lei è sempre così misterioso e… impenetrabile- borbottò prima di guardare Snape roteare gli occhi e tornare a fissarlo con sguardo truce.
-Non ti è mai venuto in mente che magari non tutti vogliano aprirsi con il grande Harry Potter?- sbottò il suo nome con un certo disgusto -E poi tu parli di odio, ma sai cosa significa odiare davvero qualcuno? Se lo sapessi, capiresti che io non ti odio-.
Harry lo fissò a lungo senza dire nulla, e solo dopo qualche secondo si rese conto che aveva la bocca aperta e gli occhi spalancati, come un pesce. Dire che fosse stupito era riduttivo, ma ancora non sapeva cosa lo avrebbe aspettato di lì a breve. -Lei… se non mi odia, allora perché mi tratta così?- osò domandare, pronto ad incassare insulti.
-Ti tratto così come, Potter? Come se tu fossi un enorme presuntuoso e uno studente nullafacente? Forse ti tratto così perché questo è quello che sei. Non so cosa ti abbiano detto, ma tu non sei molto diverso da tuo padre- Harry era pronto a controbattere, perché insultarli era una cosa, ma dire che fosse un bullo… -Il fatto che tu non appenda la gente per le mutande è l’unica cosa che ti contraddistingue da lui, e la mania di salvare il mondo-.
Harry si andò a sedere senza permesso davanti a lui, dall’altro lato della scrivania. -Io non ho nessuna mania, questa cosa dell’Eroe me l’avete appiccicata addosso voi dopo che io quindici anni fa sono sopravvissuto a Voldemort- sbottò ignorando il sussulto impercettibile di Snape a sentire quel nome. -Io nemmeno mi ricordo come ho fatto a sopravvivere, non mi ricordo nulla di quella sera. Solo un urlo agghiacciante e una luce verde, eppure da questo tutti quanti voi avete capito che ero destinato a salvare il mondo da un pazzo psicopatico con manie di grandezza!- non aveva progettato di arrabbiarsi, voleva parlare pacatamente con Snape, ma aveva sentito quelle parole, “salvare il mondo”, fin troppe volte e non ne poteva più. -Nessuno si chiede mai cosa vuole Harry Potter, siete sempre lì a dirmi quello che devo fare-. Nel discorso aveva abbandonato la sedia per prendere a camminare agitato nella stanza, gesticolando nervosamente.
Snape lo aveva ascoltato in silenzio, scocciato da quei capricci senza capo né coda. Sapeva che Potter avesse ragione, ma ciò non toglieva che ci fosse una missione da compiere e l’unico a poterlo fare fosse lui. -Hai finito?- ad un cenno positivo del ragazzi continuò, sempre fermo sulla sua sedia. -Cosa sei venuto a fare qui? Se hai bisogno di uno psicologo, io non sono la persona giusta. Prova con Dumbledore, sono sicuro che sarà più utile di me. Ciò che posso dirti è che per quanto tu voglia la tua libertà, qua siamo in guerra e tu sei in prima linea, che ti piaccia o no-.
Harry tornò ad afflosciarsi sulla sua sedia, tutta l’adrenalina del discorso di prima sparita. -Vorrei solo qualcuno che mi capisca. Nessuno mi parla mai dei miei genitori, io quasi non so che faccia abbiano mentre tutti voi li conoscete bene, ma nessuno si degna di parlarmene. Ho capito che lei non ha avuto un buon rapporto con mio padre, per questo non posso chiedere solo a Sirius, perché mi direbbe solo cose positive e so che non c’è solo quello- sospirò e si passò una mano nei capelli, scompigliandoli più di quanto non avesse già fatto il Mantello. -E sono sicuro che conoscesse bene mia madre. Perché le ha parlato in quel modo? Perché l’ha chiamata sanguemarcio?-
Snape rimase in silenzio a lungo, così tanto tempo che Harry iniziò a valutare l’idea di alzarsi e andarsene. Solo qualche minuto dopo ottenne la sua risposta, anche se non quella che si aspettava. -Torna domani con le tue domande. La storia è troppo lunga per essere raccontata stasera. Riprenderemo le lezioni di Occlumanzia, e se farai progressi ti spiegherò qualcosa di volta in volta. Chissà, magari questo sarà l’unico modo per insegnarti a chiudere la mente-.
Harry sorrise, contento di aver trovato uno spazio nella corazza di Snape e impaziente di arrivare alla sera successiva. Si alzò e, dopo averlo ringraziato, tornò nel suo dormitorio.
 
Il giorno dopo arrivò, e anche quello dopo e quello dopo ancora. In un mese Harry aveva imparato non solo a chiudere la mente, ma anche molte cose sui suoi genitori. Snape era molto stringato nelle risposte alle sue domande, ma univa le parole ai ricordi nel Pensatoio, e più si una volta di erano immersi insieme nei fili argentei. Non tutte le sere succedeva, a volte capitava che Harry fosse troppo distratto da altro da riuscire a chiudere la mente, e allora Snape lo puniva non dicendogli niente dei suoi genitori, ma ad Harry andava bene così. Gli piacevano un po’ di più ora quelle lezioni, e riuscì a vedere del buono anche nel professore, che guadagnava fascino ora dopo ora.
Harry era spaventato da se stesso e da quello che provava in presenza dell’uomo. Nei mesi aveva iniziato a notare dei piccoli dettagli nel professore che prima non notava, come il modo in cui si spostava i capelli dagli occhi o come si muovessero i suoi occhi quando era nervoso per un ricordo particolarmente brutto, e ciò lo spingeva a volere sempre più tempo con Snape. Spesso sbagliava di proposito a chiudere la mente solo per poter prolungare le lezioni, e temeva che se Snape si fosse accorto che era perfettamente in grado di eseguire l’esercizio avrebbe interrotto i loro incontri.
Ma poi Sirius morì, e con lui anche tutte le cose belle che Harry aveva coltivato quell’anno. Divenne apatico, diede la colpa a se stesso per quel fallimento, perché si era concentrato più sul compiacere Snape che sulla reale utilità dell’Occlumanzia e non riusciva più a trovare pace.
Fu Snape a cercarlo, alla vigilia delle vacanze estive. Lo trovò nella torre di Astronomia a contemplare il cielo stellato senza i suoi preziosi amici. Si fermò accanto a lui in silenzio, poi a bassa voce sussurrò -Non è stata colpa tua- che fece scoppiare a piangere il ragazzo. Si stupì ma non più di tanto quando si ritrovò il suo corpo tremante addosso, ma la sorpresa fu maggiore quando si vide stringerlo a sé come farebbe un padre col figlio.
Lo tenne stretto a lungo, finché il ragazzo non smise di piangere ma non di tremare, e solo allora se lo staccò di dosso per guardarlo in faccia, tenendo le mani sulle sue spalle. -La vita va avanti Harry. So che ti manca, so che era la tua famiglia, ma se ti lasci abbattere dal primo fallimento perderemo la guerra, e i morti saranno molti di più-.
Harry notò come il professore avesse usato il suo nome anziché il cognome, e forse fu questo o forse la disperazione che sentiva dentro a spingerlo ad alzarsi sulle punte e premere le labbra su quelle di Snape.
Nessuno dei due si mosse, e qualche secondo dopo Harry si staccò. Snape vide il terrore negli occhi del ragazzo, lo sentì tremare maggiormente e lesse nel suo corpo l’incertezza. Lo trattenne quando il ragazzo provò a fare in passo indietro, poi borbottò un -Moccioso- prima di avventarsi sulle labbra screpolate del ragazzo, facendolo finire con la schiena contro la balaustra che li divideva da un salto nel vuoto.
 
Fu una storia breve, di un anno. Snape era convinto che sarebbe riuscito a troncarla quando avesse voluto, ma non ci provò mai.
Dopo il bacio non avevano più parlato, ognuno era tornato nelle proprie stanze, sconvolti dagli avvenimenti e dai sentimenti, e durante l’estate non si erano né sentiti né visti, ma il primo settembre arrivò abbastanza in fretta, portando passione e voglia di stare insieme. Non diedero un nome a quella cosa, e ad entrambi andava bene così. Ogni tanto si vedevano da qualche parte, stavano insieme a parlare, si baciavano e poi finivano catastroficamente a letto insieme nelle stanze del professore, o sul terreno della Foresta Proibita, o ancora sul pavimento freddo della Stanza delle Necessità, perché entrambi erano troppo presi l’uno dall’altro per materializzare un letto.
Harry probabilmente stava iniziando a covare qualcosa per il professore, ma non lo disse, mentre Snape era troppo Snape anche solo per pensarci. Ci furono però degli episodi che gli fecero capire che quella cosa non poteva andare avanti.
La prima volta fu alla terza lezione di Occlumanzia del sesto anno. Harry aveva insistito tanto per riprenderle perché era terrorizzato che potesse succedere la stessa cosa dell’anno precedente e perché così almeno aveva una scusa da propinare ai suoi amici quando non teneva loro compagnia la sera. Quella sera Potter era particolarmente distratto e Snape era riuscito a penetrare nei suoi ricordi molteplici volte, e nell’ultima delle quali aveva rivisto la scena del ragazzo che baciava Cho Chang. Era uscito subito dalla sua mente con una stretta allo stomaco e aveva cacciato Potter con testuali parole: -Non sei abbastanza concentrato e mi stai facendo perdere tempo, sparisci e ci vediamo settimana prossima-. La settimana prossima era in realtà il giorno successivo dove si era ritrovato a dare una punizione a Potter per il ritardo a lezione.
Il secondo campanello di allarme fu quando una notte Potter, nudo nel suo letto e con la testa sul petto di uno Snape altrettanto nudo, dopo aver appena consumato il secondo rapporto della serata, gli aveva comunicato che si era fidanzato ufficialmente con la più piccola dei fratelli Weasley. Snape era rimasto in silenzio, ma aveva smesso di disegnare cerchi astratti sulla schiena de Prescelto. Giustificò quel senso di gelosia con la confusione, perché a lui era chiaro che Harry provasse qualcosa nei suoi confronti quindi non capiva come potesse stare con un’altra persona. Sì, era solo preoccupato per la rossa, dato che Harry la stava chiaramente usando, e lui non aveva tempo per le lacrime di una ragazzina col cuore spezzato durante le sue lezioni.
Il terzo dubbio gli sorse quando non riuscì a stare seduto in Sala Grande dopo aver visto Potter baciare proprio la rossa al tavolo Gryffindor. Non volle soffermarsi a pensare al perché si fosse alzato di colpo, la fame svanita e un forte senso di nausea imminente, e si fosse diretto a grandi passi lungo la navata, passando accanto ad un non tanto preoccupato Potter che passava delicatamente le dita tra i capelli della Weasley. Non ci avrebbe pensato, assolutamente no. Harry si fece perdonare poche ore dopo senza nemmeno saperlo, e Snape dimenticò tutto, ma quella sera non lo baciò.
Ma poi venne la fine dell’anno e con lei anche la morte di Dumbledore per mano del professore, e tutti quei problemi adolescenziali passarono in secondo piano quando si vide inseguito da un Harry spaventosamente arrabbiato e deluso e ferito. Cercò di ucciderlo con un suo stesso incantesimo e questo fece perdere il senno a Severus, che cercò di distruggerlo definitivamente rivelandogli la sua identità di Principe Mezzosangue. Lo vide traballare sulle sue gambe e sentì quasi i pezzi del suo cuore frantumarsi a quelle parole.
Aveva ancora una volta distrutto una persona che amava senza nemmeno alzare la bacchetta, e si odiava per quello, ma ancora una volta era necessario. Si chiese quando avrebbe smesso di farsi terra bruciata attorno. Sapeva di meritarsi tutto l’odio che ora il ragazzo gli stava riversando addosso con parole crude e veritiere, ma non poteva spiegargli la situazione. Doveva solo incassare e resistere alla tentazione di andare da lui per stringerlo come aveva fatto dopo la morte di Sirius.
Durante il loro primo incontro gli aveva chiesto se avesse mai odiato qualcuno, e se ai tempi non aveva risposto, se gliela avesse posta adesso sapeva che la risposta sarebbe stata positiva, perché quello che aveva negli occhi non era solo delusione e dolore, ma anche un odio accecante. E se lo meritava tutto, anche se prima di uccidere il Preside aveva passato mesi a sperare che Harry capisse da solo, che incastrasse tutti i tasselli e arrivasse da solo alla conclusione che lui era uno dei buoni, che era costretto, come lui, a fare cose che non voleva fare.
Un po’ si sentiva tradito anche lui.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Snape non rispose subito e Harry temette di averlo ferito in qualche modo, ma poi parlò e fu ciò che disse che diede il colpo di grazia ad Harry -No, non avrebbe senso rivangare un errore del passato. Dimenticalo- e si girò per andarsene.
Harry non sapeva cosa pensare. Era riuscito per tanti anni ad andare avanti con la convinzione che Snape fosse morto, che non sarebbe mai riuscito a chiedergli scusa. Aveva sofferto per un anno dopo la morte di Dumbledore, perché lui voleva fidarsi di Snape, voleva credere all’uomo che sapeva di amare, ma quando provava a perdonarlo le immagini di Dumbledore che cadeva dalla torre, dallo stesso punto in cui loro due si erano baciati la prima volta, gli tornavano in mente e con loro anche le parole cattive che Snape gli aveva urlato mentre fuggiva. Aveva sbagliato a cercare di ucciderlo, ma in quel momento dentro di lui non viveva più il ragazzo tranquillo e determinato che tutti conoscevano, era solo un mostro fatto di rabbia e delusione e il cervello non funzionava.
Nei giorni a seguire si giustificò dicendosi che Snape lo aveva tradito non solo uccidendo il Preside per salvare Malfoy, ma anche non dicendogli nulla, nemmeno un accenno, prima che accadesse il tutto.
-Codardo- proferì quando Snape era a qualche metro di distanza. La parola tagliò l’aria e pugnalò l’uomo alle spalle. I suoi incubi erano ancora pieni di Potter che gli urlava quanto fosse stato un codardo. Si era sempre chiesto se Harry sapesse che aveva avuto paura anche dei suoi stessi sentimenti. -Sei un codardo che davanti ad ogni difficoltà scappa- stava quasi urlando e per fortuna la strada era vuota.
Snape si girò di scatto con una luce furente negli occhi che Harry aveva visto solo poche volte. Lo raggiunse in poche falcate e lo artigliò per il collo del suo stesso mantello. -Come osi?- sibilò a pochi centimetri dalla sua faccia.
Harry sorrise sornione, noncurante della rabbia dell’altro. -Lo sei sempre stato. Avevi paura di ammettere i tuoi veri sentimenti, hai avuto paura di darmi un minimo di fiducia e poi hai rovinato tutto e sei scappato, perché sei un codardo. Non hai avuto le palle di tornare nel Mondo Magico dopo essere sopravvissuto perché non volevi affrontare le conseguenze delle tue azioni e te ne sei fregato di come stessi io. Hai deciso di appiopparmi quel mattone di ricordi per farti perdonare, ma sei stato troppo codardo per venire a parlarmi di persona. E stai scappando anche ora, perché non vuoi pensare a quando eri felice quando eravamo insieme- quando terminò di parlare aveva di nuovo il fiatone e la rabbia che bruciava nei suoi occhi, ma era pronto allo Schiantesimo che lo colpì in pieno nel petto, spedendolo a sbattere contro il muro del vicolo accanto al locale in cui avevano appena mangiato.
Harry colpì il muro con la schiena in maniera talmente dolorosa che gli si mozzò il fiato in gola, poi si afflosciò a terra. Non perse il suo sorriso amaro mentre guardava Snape raggiungerlo e risollevarlo per il colletto. Si sentiva una marionetta nelle mani di quest’uomo cieco di rabbia.
-Non osare Potter, tu non sai nulla di me!- ringhiò, ma Harry poté leggere quanta verità ci fosse nelle sue stesse parole. Aveva fatto centro e ora Snape non sapeva come uscirne: se fosse scappato avrebbe solo confermato realmente le parole di Harry. -Era solo un’avventura che io ho sbagliato ad assecondare, e non sai quanto me ne penta-.
Severus, d’altro canto, era confuso e stava guardando tutto ciò che faceva come attraverso la nebbia. Non riusciva a capire da dove venisse quella rabbia, il ragazzo aveva ragione e a lui non rimaneva altro che chiedergli scusa. Quando lo schiantò si odiò per avergli fatto del male, ma capì che non era paragonabile al dolore che gli causò successivamente con le sue parole.
-Bene- disse semplicemente il più giovane, e si divincolò dalla presa dell’uomo. Lo guardò per qualche secondo e per un attimo a Severus sembrò di leggere la stessa delusione che gli aveva visto mentre gli lanciava addosso il Sectumsempra. -Buona serata allora, professore- e sputò l’ultima parola con un misto di amarezza e disgusto, due emozioni che colpirono Snape quasi quanto una Maledizione Senza Perdono.
Lo guardò togliersi il mantello che gli aveva prestato e lasciarlo cadere a terra, dopodiché lo vide allontanarsi e smaterializzarsi.
Snape rimase immobile a lungo, alternando lo sguardo tra la sua bacchetta ancora stretta nella mano, il mantello a terra e il punto in cui Harry era sparito, senza riuscire a rimettere in ordine i suoi pensieri. Dopo più di dieci minuti, da bravo codardo qual era, raccolse in mantello e tornò a casa.
 
Harry rientrò a Grimmauld Place ancora carico della stessa adrenalina che gli aveva fatto dire quelle cose al suo ex professore. Sembrava febbricitante mentre raggiungeva la sua stanza e lanciava a terra i vestiti che si toglieva man mano, e lo sembrava ancora di più mentre con una manata gettava furiosamente tutti gli oggetti presenti sulla scrivania sul pavimento.
Non sapeva cosa si aspettasse da Snape. Un ritorno di fiamma? Delle parole gentili? O addirittura si aspettava delle scuse? Non aveva ricevuto nulla di tutto ciò e non si stupiva. Gli faceva ancora male la schiena, dove aveva sbattuto contro il muro prima di cadere a terra. Non vedeva una reazione così violenta in Snape da anni, e non sapeva se essere contento di aver toccato i suoi punti deboli o arrabbiato perché l’uomo non aveva esitato a fargli del male.
Doveva calmarsi, non poteva andare a prendere James da Ginny in quelle condizioni, così si sdraiò a letto con i fascicoli di tutti i Mangiamorte più conosciuti e iniziò a leggere. Ci volle un po’, ma alla fine riuscì a concentrarsi e tempo un’ora aveva stilato una lista di tutte le proprietà immobiliari non ancora controllate per un motivo o per l’altro.
Si alzò e si preparò, lasciando a terra i vestiti che aveva usato fino a poco prima e indossando i vestiti più babbani che aveva, dopodiché uscì e si smaterializzò
Ginny lo accolse con un sorriso tirato. Si vedeva che era stanca, ma Harry non sapeva cosa fare per aiutarla. Entrò in casa e la donna lo lasciò momentaneamente da solo con James mentre lei finiva di sistemarsi. Il bambino era nel suo box, circondato dai peluche che gli avevano regalato i Weasley e dai giochi che gli avevano comprato Ginny e Harry. Rideva mentre guardava il padre e Harry si sentì più sereno e rilassato nel vedere gli occhi scuri di suo figlio. Lo prese in braccio e si sedette sul divano, facendo facce buffe per farlo ridere. Non si accorse della sua ex moglie che era tornata nel salotto e guardava la scena con un sorriso affettuoso.
La donna guardava Harry e si sentiva come se si stesse guardando allo specchio. Avevano le stesse occhiaie e la stessa sofferenza negli occhi, ma non era sicura che quella dell’uomo fosse dovuta alle stesse cose che facevano soffrire lei. Ginny non si capacitava del perché la loro storia fosse finita, perché era chiaro ad entrambi che si mancavano, ma Harry aveva iniziato lentamente ad allontanarsi da lei senza lasciarla scegliere e alla fine tutto era crollato. Era felice però che Harry fosse ancora presente nella sua vita e in quella di James.
Sapeva quanto fosse stato difficile per Harry accettare la sua gravidanza. Era pieno di paure e insicurezze, gli incubi ancora lo tormentavano e il fatto di non aver avuto dei genitori lo convinceva del fatto che lui non sarebbe stato in grado di fare il padre. Eppure era davvero bravo con James, il bambino lo adorava e Ginny era felice di aver avuto ragione quando di notte lo rassicurava dicendogli che era troppo una brava persona per non essere capace di fare il padre. James era la cosa migliore che fosse mai capitata ad entrambi.
-Harry- lo richiamò dopo un paio di minuti passati ad osservare i due. Lo guardò girarsi per osservarla con un mezzo sorriso sul volto. -Io devo andare, torno per cena-.
Harry annuì e si alzò, mise James nel suo box e raggiunse Ginny -Posso stare qui? Fuori fa freddo e sai che non mi va di farlo stare a Grimmauld Place-.
La donna sospirò e lanciò un’occhiata al bambino, distratto dai tanti giochi intorno a lui. -Va bene, ma prima o poi dovrai farlo venire a casa tua-. Non che non si fidasse a lasciare Harry nella casa che avevano comprato insieme, per Ginny era più una questione di spazi personali. Avevano deciso di divorziare, quindi era giusto che ognuno dei due avesse i propri spazi.
-Sto facendo ricostruire la casa dei miei genitori, è questione di qualche settimana-. Era la prima volta che diceva a qualcuno della casa a Godric’s Hollow.
Ginny lo guardò sorpresa, con un mezzo sorriso in volto, poi annuì e andò a salutare James con un buffetto tra i capelli scuri. Salutò anche Harry con un bacio sulla guancia, poi uscì nel freddo novembre.
 
Da qualche parte a Spinner’s End, Severus stava rivivendo i flashbacks della sua storia con Potter sette anni addietro. Si odiava per averlo fatto soffrire ancora e per non essere riuscito a trattenerlo. La verità era che in quei sette anni non aveva fatto altro che pensare a Potter che lo cercava e a come entrare in contatto con lui una volta che le ricerche si erano fermate, solo per parlarci, e quando finalmente aveva preso coraggio la Gazzetta del Profeta gli aveva sbattuto in faccia il matrimonio tra il suo Potter e la minore dei Weasley. Lo aveva perso, questa volta per sempre.
E ora aveva avuto la possibilità di parlarci, di chiarire, ma il suo essere un acido professore aveva nuovamente rovinato tutto e ora non sapeva come fare per porvi rimedio. Era convinto di aver bruciato anche la sua ultimissima opportunità con il ragazzo e avrebbe capito se Potter non avesse voluto avere più niente a che fare con lui. Lo aveva fatto soffrire troppo.
Decise comunque di fare un tentativo e dopo aver scavato nella sua memoria alla ricerca di un ricordo felice evocò il suo Patronus. La cerva lo guardò in attesa di ricevere il messaggio da portare, poi si dissolse in un fumo azzurro e si dileguò per cercare il destinatario.
Sapeva quanto fosse pericoloso esporsi in quel modo, perché Potter poteva non essere solo e così avrebbe fatto sapere a tutti della sua esistenza, ma era pronto a correre il rischio se significava riavere indietro Harry.
 
Nella Londra babbana, James Sirius Potter stava giocando con un peluche a forma di Pygmy Puff, ma la sua attenzione fu catturata da un movimento strano fuori dalla finestra, che lo fece mugugnare e alzare il pugnetto come a voler afferrare quel fumo argenteo che stava entrando in casa. Harry, in piedi accanto al lettino del bimbo, alzò lo sguardo appena in tempo per vedere la cerva materializzarsi davanti a lui e parlare con la voce di Severus Snape.
-Mi spiace per oggi. Se vuoi parlare, ti aspetto da Lily tutte le sere a partire da domani-.
Poi si dissolse.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Harry rimase colpito dal messaggio di Snape. Non solo aveva corso il rischio di farsi scoprire vivo nel caso non fosse stato da solo, ma gli aveva anche chiesto scusa. Eppure non si presentò all’appuntamento la sera successiva, e nemmeno tutte le sere della settimana a venire. 

Malfoy a casa sua era un impegno a tempo pieno, pretendeva in continuazione e non faceva altro che lamentarsi, inoltre Ginny era sommersa di lavoro quindi doveva spesso occuparsi di James. Il tempo che non passava dietro a quei due bambini lo trascorreva a lavoro, spesso di notte, per cercare di capire dove fossero andati i Mangiamorte evasi. Avevano fatto passi da gigante dopo l’aggressione ad Astoria ed erano riusciti a catturarne uno, Travers, che contrariato dalla decisione di aggredire donna si era praticamente consegnato, lasciando parecchi indizi. 

Era comunque spaventato da eventuali ritorsioni da parte dei suoi compagni di fuga, quindi non parlava e ancora non erano riusciti a cavargli fuori mezzo indizio, cosa che rendeva matto Harry. 

L’unica nota positiva di quella settimana era la casa dei suoi genitori, che sembrava essere quasi terminata. Non ci sarebbe potuto andare a vivere dentro finché il caso non fosse concluso e Draco avesse lasciato Grimmauld Place, ma vedere che quelle macerie stavano riprendendo vita gli dava un motivo per essere felice.  

Le domande ad Astoria non avevano portato a nulla. La donna aveva confermato solo che i suoi aggressori erano i Mangiamorte evasi, le cui facce tappezzavano mezza Diagon Alley e comparivano spesso in prima pagina sul Profeta.  

Draco, d’altro canto, non aveva ancora detto dove fosse suo padre nonostante ormai sapesse che il pericolo era reale, ed Harry si era convinto che non lo sapesse nemmeno lui. Kingsley aveva anche ritirato la squadra Auror deputata alla ricerca di Lucius, perché mancavano maghi che pattugliassero le principali città magiche. 

-Ron possiamo parlare per favore?- Harry si trovava in ufficio insieme al rosso, ognuno seduto alla propria scrivania, a leggere gli ennesimi fascicoli. Non reggeva più la tensione che c’era tra lui e l’amico, voleva provare a risolvere, ma era consapevole che finché Ron non fosse stato pronto le sue parole erano sprecate. 

Il rosso non alzò nemmeno dal foglio che stava leggendo. -Non abbiamo nulla da dirci- borbottò. 

Harry sbuffò e si alzò dalla scrivania, abbandonando il lavoro per raggiungere l’altro e piazzarsi davanti a lui, appoggiando violentemente le mani sul piano di legno. -Io invece credo di sì, e sai cos’altro credo? Che tu abbia qualche problema- attese che Ron alzasse lo sguardo su di lui, innervosito, per continuare. -Non credo che sia normale questo tuo comportamento. Buon Godric, ne hai avuti di periodi in cui ce l’avevi con me, ma questo è proprio un motivo stupido, non sei d’accordo?- 

-Hai lasciato mia sorella con un bambino piccolo- sbottò il rosso a voce troppo alta, costringendo il Prescelto a silenziare la stanza, deluso da quella mancanza del rispetto nei confronti suoi e di Ginny, che gli avevano chiesto di non dire a nessuno dell’esistenza di James. 

-Appunto, tua sorella, non te. Non pensi che ad avercela con me dovrebbe essere lei? Invece guarda, io e Ginny andiamo d’amore e d’accordo, gestiamo James insieme e comunichiamo come due adulti, cosa che a quanto pare tu non sai fare-. Harry non era sicuro che insultarlo fosse la decisione migliore per fare pace con lui, ma non gli importava, voleva che Ron ragionasse con la testa e non d’impulso come suo solito. 

Il rosso, infatti, si alzò di colpo e aggirò la scrivania per raggiungerlo. -Non avresti dovuto lasciarla. Ora si trova indifesa, con un bambino da proteggere e un lavoro da mantenere. Tu invece vuoi sempre essere felice senza pensare agli altri-. 

Harry era sconvolto da quelle parole e ci mise un po’ a capire cosa dire. C’erano talmente tante cose sbagliate in quello che aveva detto che non sapeva da dove partire. -Hermione ti ha mai sentito dire queste cose? Sai, Ginny è perfettamente in grado di difendersi da sola, oltre al fatto che vive in una zona sicura di Londra, e a James ci penso anch’io- non voleva arrabbiarsi, ma Ron stava sparando a zero su cose che non sapeva, o che sapeva ma ignorava, e lui non riusciva a stare calmo. -E se parlassi con me o con Ginny, sapresti che è una decisione che abbiamo preso insieme, non l’ho imposta io. Nessuno dei due stava più bene insieme. Ron, a volte le storie finiscono, e non è giusto che tu te la prenda con me in questo modo- lo guardò senza riuscire a nascondere la delusione. Era ferito dal comportamento dell’amico, e paragonabile a quel dolore nell’ultimo periodo c’era solo la discussione di una settimana prima con Snape. 

Aveva anche pensato di dire a Ron del professore, ma ci aveva appena ripensato. Se Ron non intendeva più essere suo amico, allora Harry aveva tutto il diritto di tenere per sé quel segreto, nascondendolo insieme agli altri che manteneva. 

Ron non rispose, limitandosi a dargli le spalle e ad uscire dall’ufficio, lasciandolo solo. -Stupido Ron- mormorò quando l’altro non fu più a portata d’orecchio. Decise quindi di scrivere ad Hermione per capire cosa prendesse al rosso, e quando due ore dopo la ragazza gli rispose con uno stringato “Stiamo discutendo da un po’, credo sia in tensione per i Mangiamorte liberi” che fece sbuffare il ragazzo. 

Quella sera, decise, sarebbe tornato alla tomba dei suoi genitori per vedere se Snape teneva abbastanza a lui da aspettarlo dopo tutti quei giorni.  

 

Il cimitero era completamente buio, e le lapidi conferivano un’aria lugubre che fece venire i brividi ad Harry. Era parecchio tardi, ma fino a soli venti minuti prima di stava chiedendo se fosse la scelta giusta andare da Snape, sempre che l’uomo si fosse presentato da Lily come aveva detto. 

Soffocò un moto di delusione quando, arrivato davanti alla tomba dei suoi genitori non vide nessuno. Doveva aspettarsi che Snape non lo avrebbe aspettato in eterno, ma poi sentì dei passi dietro di sé e subito riconobbe la camminata del professore. 

-Ce ne hai messo di tempo- esordì l’uomo affiancandolo. Non lo guardò, preferì tenere lo sguardo fisso sul buio intorno a loro anziché perdersi negli smeraldi incastonati nel volto di Potter. 

Harry si strinse nelle spalle. -Dovevo riflettere, e poi sono successe un po’ di cose- 

-Ah sì, Travers. Ho letto che lo avete catturato. Immagino non voglia dirvi dove sono gli altri- aspettò un cenno affermativo da parte del ragazzo -Ti va di venire da me?- propose, lasciando di stucco il Prescelto, che annuì nuovamente senza lasciare trapelare nessuna emozione.  

Osò allora allungare una mano per afferrare il polso di Potter, sentendolo irrigidirsi, ma non si diede tempo per assaporare il calore della pelle del ragazzo, nascosta sotto strati di vestiti pesanti per combattere il freddo, e insieme si smaterializzarono. 

Harry atterrò incerto sulle gambe ed era sicuro che sarebbe caduto se Snape non l’avesse sostenuto tenendolo per il braccio. Sentiva quel contatto bruciare nonostante ci fossero molteplici strati di tessuto tra la pelle del suo braccio e le lunghe dita affusolate dell’uomo, quindi si affrettò a staccarsi. Si guardò intorno: davanti a lui una modesta casa Bianca si stagliava contro il cielo nero e carico di nuvole, subito dopo un vialetto che portava all’ingresso. L’erba del cortile era alta e incolta, segno che Snape non se ne prendeva cura da tanto tempo, o forse non lo aveva mai fatto, ma quello era l’unico segno che poteva indicare che quel posto fosse disabitato.  

Una folata di vento gelido lo fece rabbrividire e l’ex professore di affrettò a fargli strada verso la porta. L’interno era ben tenuto e pulito, l’arredamento modesto rispecchiava le stanze private di Snape, da quello che ricordava Harry, e il calore che si sprigionava da un caminetto magico perennemente acceso lo avvolse, facendolo sentire subito meglio. Se non fosse stato per il gelo tra lui e il maggiore, si sarebbe anche potuto stendere su uno dei divani in pelle nera e addormentarsi, per quanto era stanco e infreddolito. 

Ma Snape lo guardava come se si aspettasse una qualsiasi reazione, ed Harry si sentì sotto esame -E io che mi immaginavo che lei vivesse in una grotta sotterranea…- disse con una smorfia divertita, nel tentativo di stemperare la tensione tra di loro. 

Funzionò, perché Snape sbuffò una mezza risata e si rilassò fino a togliersi il pesante mantello di dosso e appenderlo al muro, accanto a quello che aveva prestato ad Harry solo una settimana prima. -Posa pure sul divano il mantello, ti vado a preparare qualcosa di caldo. Tè?- si allontanò dall’entrata per dirigersi in quella che Harry immaginava fosse la cucina. 

-Sì grazie- annuì il minore prima di spogliarsi dei vestiti pesanti, restando con un comodo maglione fatto dai Weasley con i colori di Gryffindor. Si guardò attorno, notando alcune cornici vuote posate su mensole perfettamente pulita. Harry immaginò che in quelle cornici un tempo ci fossero delle foto di famiglia, o addirittura foto di Snape da piccolo, e capì il perché l’uomo le avesse tolte. 

Non c’era nulla di personale nella casa, nulla che potesse raccontargli cosa avesse fatto Snape per sei lunghi anni, così lo raggiunse in cucina e si appoggiò contro il tavolo. Snape gli dava le spalle mentre preparava due tazze di tè caldo, così gli venne più facile porre nuovamente quella domanda: -Ci ripensi mai?- 

Vide le spalle dell’uomo irrigidirsi visibilmente e le sue mani bloccarsi per qualche secondo prima di riprendere a versare l’acqua calda nelle tazze. -In continuazione- sussurrò e il cuore di Harry fece una capovolta nel sentirlo per la prima volta davvero sincero. 

Sospirò e si passò una mano nei capelli. -Perché non ti sei fatto trovare quando ti stavamo cercando?- osò domandare. 

Questa volta Snape ci mise più di un minuto a rispondere, il tempo che gli serviva per preparare il tavolo con zucchero, latte e le due tazze di tè accompagnate da un cucchiaino. Harry si sedette davanti a lui, ancora in attesa di una risposta. -Avevi ragione l’altro giorno- iniziò mentre avvolgeva le mani intorno alla tazza per scaldarsele. -Avevo paura delle conseguenze delle mie azioni, e ancora adesso se tornassi indietro rifarei le stesse cose. Non voglio tornare a com’era prima della guerra-. 

Harry allungò una mano lungo il tavolo, come a voler afferrare le sue, poi si ritrasse velocemente e prese la sua tazza. -Non sarebbe stato come prima. Non ci sarebbero stati più i pericoli di prima, le missioni, le bugie…- 

-Ma ci sarebbero stati gli sguardi di disgusto, i giudizi dell’intero Mondo Magico, e non sapevo se mi sarebbe stato risparmiato Azkaban o meno. Ho comunque ucciso Dumbledore e condotto Hogwarts per un anno dove gli studenti venivano torturati. Il mio nome è stato riabilitato solo due anni dopo la Guerra, grazie a te e a Draco, ma nel frattempo sarei rimasto rinchiuso ad Azkaban-. 

Harry annuì e rimase pensieroso per qualche secondo, nascondendosi dietro la tazza del tè che stava sorseggiando ancora bollente. -Allora perché non sei tornato solo da me? Non avrei rivelato a nessuno della tua presenza, ma almeno avremmo potuto, non so, costruire un rapporto di qualche tipo- “una relazione” erano le parole sottintese in quella frase, ma non ebbe il coraggio di dirle ad alta voce. 

Snape, però, aveva capito. -E quanto sarebbe andata avanti? Io nascosto come un fuggitivo e tu che portavi avanti la relazione con la Weasley per salvare le apparenze. Ma per favore…- ringhiò. Snape odiava i segreti, e durante la relazione con Potter al sesto anno aveva capito che odiava anche essere uno di questi, un segreto. Non lo avrebbe rifatto. Se Potter voleva continuare a vederlo, allora avrebbero dovuto entrambi mettere via i sentimenti e lui era pronto, forse. 

-Quindi se io ti chiedessi di riprovare la risposta sarebbe negativa, vero?-. Gli occhi di Harry lasciavano intravedere tutto il mare di emozioni che infuriava dentro di lui: rabbia, delusione e rassegnazione si alternavano anche sul suo volto. Le mani gli tremavano e cercava di farle stare ferme tenendole strette intorno alla tazza ormai vuota, ma il movimento era ancora evidente agli occhi attenti di Snape. 

L’uomo annuì, frantumando le sue stesse speranze inutili di poter ricominciare da capo con Harry. Guardò il ragazzo alzarsi e posare la tazza nel lavandino, dove si fermò dandogli le spalle. 

-Ho frainteso allora. Pensavo che l’invito fosse volto a questo, o perlomeno pensavo fosse pronto a parlare di ciò che è successo anni fa, ma mi sbagliavo- tornò ad usare un tono più formale e ciò non passò inosservato a Snape, che capì di averlo ferito di nuovo, questa volta volontariamente. -La devo avvisare che lei è nella lista di quelli che Yaxley e i suoi chiamano traditori. Anche se non posso affidarle due guardie, mi ritrovo costretto a chiederle di stare attento e uscire il meno possibile con il suo vero aspetto. Non vorrei venire una seconda volta al suo funerale- “Potrei non sopportarlo”. Non lo disse, ma Snape lo sentì comunque. 

La verità era che Snape stava soffrendo quanto e forse più di Harry, ma aveva capito che se voleva che il ragazzo fosse al sicuro e vivesse una vita felice con una persona legalmente viva allora avrebbe dovuto allontanarlo da sé. Il problema era che stava andando fin troppo bene quel suo piano, e ora non si sentiva pronto a lasciarlo andare.  

-Lo farò, non preoccuparti- gli promise, assecondandolo nel suo cambio di argomento con una nota di sollievo mista a paura. 

Mentre Harry usciva dalla cucina e si rivestiva del mantello pesante, Snape si rese conto che quella sarebbe stata la loro ultima conversazione e una fitta allo stomaco per poco non lo fece vomitare. Dovette ringraziare la penombra dell’ingresso che impedì ad Harry di vedere il suo colorito verdognolo. 

Aprì la porta ed Harry uscì. Nel passargli accanto lasciò una scia dell’odore che Snape conosceva fin troppo bene: erba fresca, vento e cioccolato. Lo aveva sentito più volte addosso a sé dopo le notti di fuoco col ragazzino di sedici anni, lo sentiva sul suo letto negli appartamenti ad Hogwarts e lo aveva sentito di recente nel mantello che il ragazzo gli aveva restituito e che Snape ancora non aveva avuto la forza di lavare, nonostante fosse incrostato di terra e umidità. 

Fu quel profumo a farlo risvegliare dallo stato di trance che lo aveva colto. Lanciò un’occhiata al ragazzo, che ancora non era uscito dal suo cortile, e lo chiamò. -Harry!- per la prima volta da che lo conosceva, lo aveva chiamato per nome. -Harry- assaporò quella parola sulla punta delle labbra prima di abbandonare l’uscio della porta e percorrere a grandi falcate la distanza che lo separava dal ragazzo, che si era voltato sorpreso e con occhi carichi di un’aspettativa che, questa volta, non avrebbe deluso. 

L’impeto della camminata gli ruppe il labbro quando la sua bocca andò a scontrarsi contro quella di Harry, aperta per la sorpresa. 

Fu un bacio caotico in cui Snape sentì il sapore di sangue misto a quello di Potter, che rispondeva con determinazione e passione, mille volte superiore a quella che sette anni prima metteva nelle loro notti. C’erano mani che artigliavano capelli, poi vestiti, poi la nuda carne del collo. C’erano ansimi per la fame d’aria e morsi ovunque la bocca potesse arrivare. 

Snape si staccò a fatica dal ragazzo, che sgranò gli occhi dalla paura, e gli fece cenno di entrare in casa, perché lì fuori faceva freddo. 

Harry si lasciò trascinare lungo il vialetto fino a dentro casa, poi non lasciò il tempo all’uomo di fare nulla, perché Snape si ritrovò sbattuto contro la porta con una forza che gli mozzò il fiato e poi non ci fu più spazio per capire cosa stesse succedendo. I vestiti caddero a terra, i corpi nudi si cercavano, urlando tutto il loro desiderio, poi la schiena di Potter toccò il divano e da lì fu solo una fusione di gemiti e sudore, di corpi che si urtavano con suoni poco casti ma che eccitavano i due amanti fino allo sfinimento. 

La notte calò intorno alla piccola casa di Spinner’s End, testimone silenziosa del piacere nato dal dolore che si stava consumando davanti ad un caminetto acceso, che ebbe fine solo interminabili ore dopo. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il mattino colse Harry nudo nel letto matrimoniale del suo professore. Il materasso era freddo, segno che Snape era in piedi da un pezzo, e se Harry si fosse concentrato bene avrebbe potuto quasi ricordare la sensazione di abbandono che lo aveva colto quando Sverus si era alzato, prima ancora che sorgesse il sole. 

Si mise a sedere con una smorfia di dolore, ma non ci badò più di tanto mentre si alzava e cercava i suoi boxer, che poi ricordò di aver abbandonato al piano inferiore nell’enfasi del momento. Frugò nei cassetti del professore e trovò un paio di boxer neri, che indossò prima di scendere in cucina, da dove sentiva provenire odore di caffè. 

-Fammi indovinare- esordì appoggiandosi allo stipite della porta e guardando Snape, che al contrario di Harry era vestito come quando insegnava, indaffararsi con due tazze. L’uomo, nel sentire la sua voce, sobbalzò ma non si girò. -Ti sei pentito-. 

-Harry…- Snape si girò e Harry si sentì morire nell’incontrare gli occhi scuri pieni di rimpianto e mortificazione. 

Mantenne un sorriso amaro mentre si staccava dalla soglia e gli dava le spalle. La rabbia stava tornando a montare dentro di lui, ma questa volta non nei confronti del suo amante, bensì verso se stesso. Cosa si aspettava da uno come Snape? Amore? No, non era il tipo, e lui aveva sbagliato a dargli il suo corpo e la sua anima per l’ennesima volta. 

-No Severus, non dire nulla, va bene così. Torno a casa- il suo tono era un miscuglio di emozioni, ma nessuna forte come la delusione che Snape poteva leggere in tutto il suo corpo, dalla postura all’aura che emanava. 

Severus sprofondò nello sconforto nel sentire usare il proprio nome. Harry non lo usava quasi mai, non mentre facevano sesso al sesto anno né durante la notte appena passata. Lo aveva usato un paio di volte in passato, ma preannunciava sempre un discorso serio. O, in questo caso, la chiusura di qualcosa. 

Questa volta fu diversa dalla precedente. Non riuscì a farsi sufficiente forza da muoversi dalla cucina per fermare Harry che, una volta rivestitosi, era uscito nel freddo invernale. 

Non ebbe nemmeno il coraggio di andare alla finestra. Se lo avesse fatto avrebbe visto Harry, fermo sul vialetto con il volto rigato di lacrime, che attendeva il suono della porta che si apriva. Avrebbe visto Harry lanciare un’ultima disperata occhiata verso la casa prima di smaterializzarsi dal vialetto e dalla vita di Snape. 

 

L’idea di Harry era quella di non darsi tempo sufficiente per deprimersi. Sapeva che sarebbe successo, ma cercava di rimandare l’inevitabile il più possibile, quindi il piano era andare a casa solo per mettersi la divisa, poi chiudersi in ufficio. 

Peccato che Malfoy, che da quando gli avevano detto che Astoria sarebbe uscita a breve dall’ospedale era ancora più intrattabile, non fosse della stessa idea. Il biondo lo placcò non appena Harry mise piede in casa. -Dove sei stato stanotte? Ho accettato di vivere qui per essere protetto, ma se devo stare a casa da solo tanto vale che me ne torni al Manor-. 

Harry però non aveva la forza di discuterne. -Fai quello che vuoi Draco- borbottò sorpassandolo per andarsi a chiudere in camera. 

Malfoy lo seguì ostinatamente -Cos’hai? Qualche sviluppo sul caso? Posso tornare a casa?- lo bombardò di domande infilzandosi in camera del ragazzo prima che potesse chiudere la porta. 

Harry lo guardò spazientito mentre tirava fuori la divisa da Auror dall’armadio. -Cosa vuoi Malfoy? Sto andando a lavoro, se ci fossero novità saresti il primo, o forse il secondo dopo Kingsley, a saperle. Ora lasciami in pace- gli diede le spalle e si tolse il maglione, ma poi un fulmine colpì la sua mente e si voltò nuovamente verso Draco, che ancora non si era levato di torno. -Dimmi un po’ Draco, come hai fatto a salvare Snape?- 

Malfoy non fece una piega a sentire quel nome, ma Harry lo conosceva troppo bene per non notare il suo colorito candido impallidire fino a diventare quasi verde. –Non so di cosa tu stia parlando- disse fissandolo negli occhi. Harry ci avrebbe quasi creduto, se non fosse che Snape gli aveva detto quasi tutto. 

-Non fare il finto tonto- si sedette sul letto e attese che Draco facesse lo stesso. -L’ho incontrato qualche giorno fa e mi ha detto che l’hai salvato tu. Come?- 

Draco sospirò e lo raggiunse sul letto, sedendosi a debita distanza dalla sua nemesi. -Quando mi è stato chiesto di uccidere Dumbledore, già sapevo che avrei fallito e che sarei stato punito. Mi sono portato avanti immaginando come il Signore Oscuro mi avrebbe fatto soffrire e come porvi rimedio. Tra le varie opzioni c’era quel serpente- iniziò a spiegare tenendo la testa bassa. Harry non pensava che l’avrebbe mai visto così fragile in tutta la sua vita, forse solo quando l’aveva aggredito e quasi ucciso nel bagno, al sesto anno. -Ho passato mesi a elaborare un antidoto con l’aiuto di Severus, ma alla fine non mi servì perché dopo aver ucciso Dumbledore Snape venne da me e mi nascose. Il fatto che il giorno della Guerra tenessi in tasca una fialetta di quell’antidoto fu un colpo di fortuna. Glielo somministrai e lo nascosi per mesi nella stessa grotta in cui lui aveva nascosto me un anno prima. Ci vollero sei mesi prima che ricominciasse a parlare e altri tre perché la sua vita tornasse normale-. 

Harry non rispose subito, dovette elaborare le informazioni prima di poter aprire bocca. -Grazie- disse semplicemente alzandosi dal letto e riprendendo a vestirsi. 

Malfoy lo guardò perplesso, e Harry notò che si stava già pentendo di avergli raccontato tutto. -Non aveva senso nasconderti i dettagli se tanto la storia a grandi linee la sapevi-. 

-No intendevo… grazie per averlo salvato- precisò Harry finendo di vestirsi e uscendo dalla stanza. Godeva dell’espressione sempre più perplessa e stupita sul volto del biondo, ma non gli diede ulteriori spiegazioni. 

-Chi ti capisce è un santo- borbottò tra sé e sé Malfoy mentre si rintanava nella stanza che lo ospitava in quella casa. 

 

L’Ufficio Auror era ancora più in fermento di quando avevano scoperto della fuga da Azkaban, ma quando Harry ci mise piede capì subito che i suoi colleghi si stavano preparando a qualcosa di importante. 

Ron lo raggiunse. -Ti stavo per chiamare. Kingsley ha interrogato Travers col Veritaserum, ma non sa dove si nascondano i suoi amici, quindi ora lo trasferiamo ad Azkaban- spiegò finendo di sistemarsi al polso la striscia di cuoio che tiene la bacchetta. -Sei a capo della squadra di scorta-. 

Harry annuì e andò nel suo ufficio a recuperare i documenti che avrebbe dovuto consegnare ad Azkaban al momento della consegna del prigioniero, poi tornò insieme agli altri, affiancandosi a Ron che per il momento sembrava aver seppellito l’ascia di guerra. 

Travers si trovava nella prigione provvisoria costruita nei sotterranei del Ministero, dove venivano trattenuti i prigionieri durante gli interrogatori e in attesa di essere trasferiti in altre carceri. Si diressero lì secondo il protocollo dei trasferimenti. 

Travers si trovava raggomitolato sul pavimento di una delle celle e non oppose resistenza quando Harry gli mise delle manette incantate per impedirgli di usare la magia e lo strattonò per farlo alzare. 

L’aspetto di Travers dopo sei anni ad Azkaban non aveva nulla a che vedere con quello di Sirius dopo la sua fuga. I Dissennatori avevano tolto quasi tutta l’umanità dal suo padrino, ma da quando questi erano stati sollevati dal loro incarico di guardie i prigionieri di Azkaban apparivano semplicemente un po’ trascurati. La loro sanità mentale veniva conservata. 

Ron afferrò Travers per l’altro braccio, e insieme a tutta la squadra si smaterializzarono sulla costa del Mare del Nord. Secondo il protocollo, ad attenderli avrebbe dovuto esserci una carrozza tirata da Thestral e scortata da una squadra di Auror che si era staccata dal suo ruolo di guardia ad Azkaban. 

Davanti a loro, però, non c’era altro che il mare freddo che si infrangeva sulla costa rocciosa. Non potevano materializzarsi direttamente sull’isola che ospitava Azkaban, quindi la carrozza era necessaria. 

-Forse sono in ritardo- mormorò Ron senza mai lasciare il braccio di Travers. 

Harry scosse la testa e fece cenno a due Auror della sua squadra di andare in perlustrazione nei dintorni. -C’è qualcosa che non va- rispose Harry per poi girarsi di colpo verso Travers quando questo emise una risata divertita. 

Potter estrasse di scatto la bacchetta e gliela puntò alla gola, ma il Mangiamorte non abbassò lo sguardo e continuò a ridacchiare. -Siete sempre un passo indietro a loro- rise -Forse dovreste iniziare a preoccuparvi dei vostri amici anziché di noi-. 

Harry sgranò gli occhi e avvicinò ulteriormente la bacchetta al collo del prigioniero, facendo uscire una punta di sangue dalla sua pelle. -C’è una talpa? Chi è?- ringhiò, ma non fece in tempo a sentire la risposta che uno degli Auror andati in perlustrazione tornò da loro correndo. 

Stava urlando e agitava qualcosa in aria, ma era troppo distante ed Harry non riusciva a capire cosa fosse. Quello che notò, però, fu il terrore negli occhi del suo sguardo.  

-Giù- urlò nel momento in cui vide un fascio di luce verde partire dagli alberi che circondavano la costa e colpire l’Auror alla schiena. Quello cadde come una marionetta. 

-È un’imboscata!- strillò Ron, lasciando il braccio di Travers ed estraendo la bacchetta dalla manica.  

Harry lo imitò e schiantò il prigioniero, che svenne sul colpo. Non aveva tempo di preoccuparsi per un’altra fuga, intorno a lui iniziarono a volare incantesimi e urla, ed Harry dovette lanciare un Protego Horribilis per evitare una Maledizione senza Perdono.  

Davanti a loro comparvero sei figure incappucciate di nero. I Mangiamorte evasi erano solo cinque escluso Travers, il che significava che nelle settimane passate dalla fuga erano riusciti a trovare qualcun altro. 

Riuscì a schiantare uno dei Mangiamorte e a disarmarne un altro, ma accanto a lui Ron perse la sua bacchetta e Yaxely, che aveva lasciato cadere il cappuccio, avanzava minaccioso.  

-Protego!- urlò lanciando lo scudo davanti all’amico, e l’incantesimo lanciato da Yaxley tornò indietro e lo proiettò con la schiena contro un albero. 

Un Auror cacciò un urlo agghiacciante e cadde a terra esanime. Harry diede una rapida occhiata intorno a sé. Due Auror e un Mangiamorte caduti, due avversari erano svenuti a terra, poi notò che anche Travers giaceva in una pozza di sangue: qualche incantesimo gli era rimbalzato addosso. 

Rimanevano quattro Auror compresi lui e Ron e cinque Mangiamorte, di cui uno svenuto e uno che si stava alzando lentamente con la fronte coperta di sangue. 

Gli incantesimi continuavano a volare intorno a loro e la costa rocciosa rendeva difficile muoversi per schivarli, Harry venne disarmato e vide la bacchetta volare poco distante, proprio nel momento in cui Yaxley si riprendeva e partiva nuovamente all’attacco contro Ron, che era occupato con un altro Mangiamorte.  

Harry doveva decidere: avrebbe fatto in tempo a recuperare la bacchetta e proteggere l’amico? No, la bacchetta era troppo lontana e le rocce scivolose per le onde che si infrangevano poco distanti. 

Si lanciò quindi davanti al rosso, urlando il suo nome, e lo Schiantesimo lanciato da Yaxley lo prese in pieno petto, scagliandolo sul terreno roccioso a riva. 

Harry sentì un dolore lancinante alla testa e il sangue bagnargli i capelli. Era sicuro anche di avere qualcosa di rotto, dato che non riusciva più a muovere la gamba.  

Mentre la vista gli si annebbiava vide un altro Mangiamorte venire scagliato lontano da un Ron furente che alternava lo sguardo tra Harry steso a terra e i loro avversari. I Mangiamorte iniziarono a smaterializzarsi, lasciando il loro compagno svenuto a terra. Due degli Auror superstiti andarono ad ammanettarlo e, dopo un cenno di Ron, si smaterializzarono al Ministero, mentre il rosso correva verso Harry, che non riusciva più a tenere gli occhi aperti. 

-Ehi amico, resta sveglio, ti porto subito al San Mungo- gli disse, schiaffeggiandolo leggermente sul volto per non farlo addormentare e prendendolo in braccio. 

Harry sentiva le palpebre pesanti e il dolore farsi sempre più accecante. C’era qualcosa che non andava nella sua gamba, perché solitamente una frattura non sanguinava così tanto. Sentì comunque il familiare strappo all’ombelico quando Ron si smaterializzò, poi tutto divenne buio. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Harry era chiuso al San Mungo da cinque giorni e stava iniziando ad impazzire. Quando era arrivato, tenuto in braccio da Ron, lo avevano subito classificato come grave, senza ricordarsi che Harry ne aveva passate ben di peggio. Infatti tempo un’ora si era ripreso con la diagnosi di trauma cranico e frattura esposta alla gamba destra, entrambe causate dall’impatto contro la roccia.
Il dolore alla testa col passare dei giorni si era notevolmente affievolito e per fortuna non aveva riportato danni come amnesia o sonnolenza, mentre la gamba guariva tra mille medicinali e gemiti notturni di dolore.
Harry però non riusciva a capacitarsi del perché tutto quanto nella sua vita stesse andando male. Avevano catturato Rodolphus Lestrange, ma non si era ancora risvegliato dopo la botta presa durante il combattimento, ed erano morti sia Travers che Amycus Carrow, oltre che due dei migliori Auror. Non era riuscito ad andare al loro funerale e si sentiva tremendamente in colpa per non essere riuscito a proteggerli.
In compenso aveva fatto pace con Ron. Lo aveva trovato seduto accanto a lui mentre si riprendeva, aveva gli occhi rossi e pieni di senso di colpa. Gli aveva chiesto scusa una decina di volte finché Harry non si era spazientito e gli aveva quasi ordinato di tornare a casa.
La Gazzetta del Profeta aveva preso la notizia del suo infortunio con gioia e tutti i giorni pubblicava noiosi aggiornamenti sul suo stato di salute, e già a partire dal secondo giorno in ospedale aveva iniziato a ricevere lettere da persone sparse per tutto il Regno Unito, che si accumulavano intonse sul comodino. Ron continuava a prenderlo in giro per quelle e ogni giorno andava a trovarlo per leggergli l’articolo di turno del Profeta e scartare qualche lettera, che poi si divertiva a leggere cercando di interpretare il ruolo della nuova spasimante. Un giorno Aurora, quell’altro Lucy e anche Mary, Ada, Mathilda… Harry dovette ammettere che Ron aveva talento per il teatro.
-Ehi guarda, questa è vuota!- esclamò al tramonto del sesto giorno mentre apriva una busta completamente bianca con un sigillo anonimo -Anche la lettera non è altro che un foglio bianco… bah, la gente è strana-.
Harry avrebbe rimproverato lo scarso acume del ragazzo che gli avrebbe impedito di scovare eventuali lettere minatorie o informazioni di vitale importanza nascoste da inchiostro magico, se non fosse stato certo del mittente di quella lettera.
-Passa qui, la butto insieme alle altre- disse con nonchalance afferrando la busta che gli porse l’amico e gettandola accanto al mucchio di lettere già aperte. L’avrebbe recuperata una volta andato via Ron.
-Sei passato da Grimmauld Place a controllare Draco? So che Astoria l’ha raggiunto, come stanno?- chiese per non pensare alla lettera bianca che lo aspettava in cima al cumulo di altra carta.
Ron annuì -Stanno bene entrambi. Malfoy non perde occasione per insultarmi e dire che siamo troppo lenti nelle indagini, che vuole tornare a casa perché camera sua puzza e tante altre cose poco carine, ma sembra che la presenza di Astoria lo abbia calmato un po’- spiegò -Ho dato anche una controllata alle protezioni della casa come mi ha insegnato a fare Hermione-.
Harry gli sorrise riconoscente. Sarebbe stato dimesso il giorno dopo, ma quelle domande lo tormentavano da quando gli avevano detto che sarebbe dovuto restare lì per un po’ ed era contento che Ron si fosse occupato di alcuni problemi, non gli piaceva sapere che Draco era nella casa dei Black senza qualcuno che lo tenesse a bada.
-Tra te ed Hermione come va?- domandò ricordandosi del messaggio dell’amica di qualche giorno prima.
Ron si strinse nelle spalle. -Hermione vorrebbe un figlio, ma io non so se mi sento pronto, e qualche volta ci capita di discutere di questo- rispose continuando a leggere distrattamente una delle lettere rosa che aveva trovato quella mattina sul comodino dell’amico. Questa puzzava anche di rose e fece venire la nausea ad Harry.
-Perché no? Ti ho visto con James, sei bravissimo con lui-
Finalmente il rosso abbandonò la lettura e alzò lo sguardo per fissarlo in quello di Harry. -James lo vedo una volta ogni tanto, invece avere un figlio sarebbe un impegno a tempo pieno e tra il lavoro mio e di Hermione non avremmo molto tempo per stare con lui.
Harry annuì, erano alcune delle paure che lo avevano colpito quando aveva saputo di stare per diventare padre. -Sì lo capisco, quello che posso dirti è che quando ti nasce un figlio la tua vita migliora e il tempo che prima non pensavi di avere te lo inventi, adatti la tua vita a lui-
Ron lo guardò per un po’, poi lasciò cadere il discorso. Harry lo assecondò, quella era una cosa di cui si sarebbero occupati lui ed Hermione, lui c’entrava poco.
-Pensi che li troveremo mai?- domandò dopo una decina di minuti di silenzio in cui entrambi avevano letto e scartato altre lettere.
Harry si strinse nelle spalle e si sistemò meglio sul letto, storcendo la bocca in una smorfia di dolore quando mosse la gamba. -Sì certo, abbiamo risolto problemi ben peggiori- gli sorrise per rassicurarlo. -Hai dato un’occhiata al fascicolo di Selwyn?-
Uno degli Auror coinvolti nello scontro aveva riconosciuto Selwyn nel Mangiamorte ingaggiato dopo la fuga, e avevano iniziato ad indagare anche su di lui.
-Sì, ma non risultano proprietà oltre ad una casa che è andata distrutta durante la Guerra. Siamo fermi al punto di partenza- Ron parve abbattuto e Harry si rese conto che quell’indagine pesava sull’amico forse più di quanto pesasse su di lui. Harry non aveva nessuno a casa da cui tornare, non toglieva tempo a nessuno quando stava in ufficio ad orari improponibili, ma Ron stava trascurando la sua famiglia e sua moglie.
-Vai a casa, qua finisco io- gli disse con un sorriso di conforto.
Lo guardò annuire ed alzarsi dalla sedia, abbandonando altre due lettere ancora non lette sul comodino. -Domani vengo a prenderti in pausa pranzo. Sicuro di non voler venire a mangiare da noi? Ad Hermione manchi parecchio-
-No amico, preferisco stare a casa a riprendermi e tornare a lavoro il prima possibile. Appena sarà chiuso il caso venite da me va bene? Così inauguriamo la casa nuova-. Mentre era in ospedale gli era arrivata la comunicazione che la casa dei suoi genitori era pronta per essere abitata.
Ron lo salutò ed Harry poté finalmente concentrarsi su quella lettera bianca che l’amico aveva trovato tanto strana. Se solo Ron avesse avuto più memoria, si sarebbe ricordato che anche al sesto anno Harry riceveva spesso delle lettere completamente bianche.
La richiamò con la magia e sussurrò il nome di sua madre con la punta della bacchetta che toccava la carta. Le parole vergate con un inchiostro verde si rivelarono davanti a lui.
“Potter,
Ho saputo che sei al San Mungo. Come stai? Ho delle informazioni che riguardano il caso a cui state lavorando, dimmi se e quando vogliamo incontrarci da me, sarebbe anche una buona occasione per parlare.
Aspetto tue notizie,
S. S.”
 
Il giorno dopo fu dimesso, ma doveva continuare a camminare con le stampelle e prendere lo stesso liquido che Madam Pomfrey gli aveva somministrato al secondo anno, quando Lockhart gli aveva disossato il braccio. Ron lo riaccompagnò a casa e attese che lui entrasse prima di tornare in ufficio.
-Ce ne hai messo di tempo a riprenderti, Potter- lo accolse Draco quando Harry raggiunse il salotto e si accasciò sul divano malconcio.
Il ragazzo sbuffò e lasciò andare la testa contro lo schienale, gli occhi chiusi. Camminare anche quel poco lo aveva sfiancato. -Hai sentito la mia mancanza?- lo provocò senza nemmeno guardarlo.
Draco si strinse nelle spalle e si piazzò davanti a lui -No, ma il tuo stupido elfo domestico prende ordini solo da te, mi sono dovuto lavare i vestiti da solo-.
Harry aprì un solo occhio, giusto per accertarsi che il biondo fosse serio, e quando capì che lo era davvero decise di ignorarlo. -Come sta Astoria?- domandò invece.
-Bene, è in camera sua che sta scrivendo una lettera ai suoi genitori, sono preoccupati-
Harry spalancò gli occhi, ora completamente vigile. -Malfoy, ti prego dimmi che non avete spedito nessuna lettera- implorò iniziando già a pensare a come porre rimedio a quel danno che era il ragazzo biondo.
-Non noi, le diamo al tuo elfo e ci pensa lui, è bravo a non farsi scoprire-
-Bene, ma per sicurezza non scrivete mai dove siete e come raggiungervi- Harry si calmò un po’, poi prese le stampelle abbandonate accanto a lui e si incamminò zoppicando verso la sua stanza.
Draco lo seguì -Hai bisogno di una mano?- domandò e anche se la sua era chiaramente una domanda dettata dalle circostanze Harry rimase comunque stupito mentre scuoteva la testa in segno di rifiuto.
-Devo scrivere una lettera ora, poi dirò a Kreacher di soddisfare alcuni dei tuoi stupidi e patetici capricci, ma se vengo a sapere che lo sfrutti ti chiudo in una stanza con Hermione e le dico di spiegarti per filo e per segno tutti i punti del C.R.E.P.A., chiaro?-. Non diede tempo al biondo di rispondere perché aveva raggiunto la stanza e ci si era già barricato dentro, silenziando la con un cenno della bacchetta.
A fatica si sedette alla scrivania ed estrasse un foglio di pergamena bianco.
“Snape,
spero che le sue informazioni siano importanti e soprattutto valide. Verrò domattina a Spinner’s End per sentirle e la metterò sotto informatore anonimo.
Buona serata,
HP”
Aveva dimenticato di proposito di rispondere al quesito sulle sue condizioni di salute, aveva capito che a Snape non importava molto come lui stesse. Mormorò il nome di sua madre e le scritte nere sulla pergamena sparirono, poi legò il foglio alla zampa del suo nuovo gufo, comprato subito dopo il divorzio, e lo lasciò libero nel cielo azzurro.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Severus aveva avuto paura quando sulla Gazzetta del Profeta aveva letto che Potter era stato ferito gravemente durante uno scontro contro i suoi ex compagni Mangiamorte. Aveva sentito strisciare dentro di sé una sensazione nuova che aveva provato solo mentre Potter gli urlava dietro tutto il suo tradimento e la sua delusione dopo che aveva ucciso Dumbledore. Aveva avuto paura di perderlo, e lo aveva perso davvero.
Ma ora non poteva più temere di restare senza Harry, perché l’aveva cacciato dalla sua vita più di una settimana addietro e non c’erano più speranze per loro: Severus si era premurato di ucciderle tutte una ad una.
Si sentiva in colpa comunque. Aveva trattato il giovane Potter in un modo orrendo e il ragazzo non se lo meritava, lo aveva fatto soffrire dopo averlo usato per capire se stesso. Ogni tanto, quando il sonno tardava ad accoglierlo e lui rimaneva steso a fissare il soffitto sopra il suo letto, da solo in quella casa piena di brutti ricordi, si chiedeva perché lo avesse allontanato, come se si fosse dimenticato il motivo della sua scelta. Iniziava ad immaginarsi una vita con il suo ex studente, a come sarebbe stata se dopo la notte insieme fosse rimasto nel letto con Harry anziché andare a farsi divorare dai dubbi e dalle incertezze che lo avevano spinto a negare tutto.
Aveva quindi scritto quella lettera e l’aveva incantata con un nodo nello stomaco, prima di spedirla. Non voleva farsi perdonare, semplicemente cercava il modo per rivedere il ragazzo prima che i Mangiamorte venissero a cercarlo. Sapeva, se lo sentiva, che prima o poi lo avrebbero trovato, e Snape non poteva niente contro quattro abili maghi cresciuti sotto il Signore Oscuro. Anche per questo intendeva dare quell’informazione a Harry, tradendo la fiducia di Lucius: voleva che gli Autori chiudessero il caso prima di trovare, finalmente, il cadavere di ex redivivo Snape.
Aveva aspettato la risposta per giorni. Ingannava l’attesa preparando infinite pozioni e guardando continuamente alla finestra, in attesa di veder arrivare un gufo, e quando finalmente lo vide si precipitò a prendere la risposta. Harry sarebbe arrivato l’indomani e improvvisamente Severus non si sentì più pronto a rivedere quegli occhi verdi, tanto simili a quelli della sua Lily quanto diversi.
Poi l’indomani era arrivato, portando con sé la figura infreddolita di Harry davanti alla sua porta d’ingresso e mille paure nella mente del Pozionista, che aprì la porta senza dire nulla. Parlò solo dopo che Harry si fu seduto davanti ad una tazza di tè caldo, con cui iniziò a riscaldarsi le mani. -Come stai?- domandò prendendo il coraggio a due mani per guardarlo dritto negli occhi. Ciò che vide fu distacco e diffidenza, due emozioni che lo colpirono come un pugno nello stomaco. Sentiva di essere nuovamente sul punto di vomitare.
-Non siamo qui per parlare di questo- furono le prime parole che Potter pronunciò quel giorno -E credo che lei abbia due occhi per notare il mio stato di salute- Sì, Snape aveva notato la stampella che si portava dietro e il vistoso zoppicare che il ragazzo si ostinava a cercare di nascondere. -Ha detto che aveva delle informazioni per me, se era solo una scusa per attirarmi qui...-
-No- lo interruppe velocemente Snape -Ma credo che sia un mio diritto sapere come stai-
Harry sbuffò una risata amara, che poi rimase riflessa nel suo sorriso -Non più, no- mormorò alzandosi dal tavolo e abbandonando il tè a metà -Sto solo perdendo tempo. Lei non ha nessuna informazione per me- e sul suo volto si dipinse per l’ennesima volta la delusione, emozione che ormai era fin troppi familiare sul volto di Harry.
Snape non riuscì a dire nulla mentre Harry recuperava la stampella e si avviava zoppicando verso il mantello che aveva lasciato all’entrata. Dentro di lui infuriava una battaglia tra il senso del dovere nei confronti di Lucius, in quanto Custode Segreto, e la voglia di trattenere il ragazzo in quella casa il più possibile e magari riguadagnare un pezzo della sua fiducia.
Harry aveva quasi finito di rivestirsi goffamente rimanendo in equilibrio sulla gamba sana quando finalmente Snape decise che Malfoy Senior l’avrebbe perdonato. -So dove si trova Lucius- disse a denti stretti, come se volesse trattenere le parole.
Harry si voltò di scatto, dimenticandosi di essere in piedi su una sola gamba e aver lasciato la stampella contro il muro per rivestirsi. Perse l’equilibrio e per non cadere appoggiò la gamba rotta a terra. Sibilò di dolore e sarebbe caduto se Snape non fosse accorso in suo aiuto afferrandolo per i fianchi. Ci fu quel momento imbarazzante in cui Harry cercava una via di fuga e Snape implorava qualsiasi dio perché rimanesse fermo tra le sue braccia, ma poi il ragazzo riuscì a recuperare la stampella e si allontanò come se le mani di Snape bruciassero. Mormorò un “grazie” mentre si appoggiava con la schiena alla porta ancora chiusa. -Dove?- chiese infine tornando sul piano professionale.
Snape notò che aveva la fronte madida di sudore nonostante non facesse caldo in casa ed era anche pallido, tutti segni del dolore fisico che in quel momento Potter stava provando. Si maledisse per averlo fatto uscire di casa. -Vieni, ti aiuto a sederti sul divano, poi ti accompagno a casa- lo prese con cautela sotto braccio e Harry si lasciò condurre docilmente sul divano, dove si lasciò cadere.
-Al Ministero- precisò, e quando Snape lo guardò perplesso spiegò meglio -Devo andare al Ministero e organizzare una squadra, poi convincere Malfoy a raggiungere il figlio a Grimmauld Place per poterlo proteggere-
Snape sospirò, sapeva che non avrebbe potuto convincerlo, ma tanto valeva fare un tentativo, ormai i rapporti con Potter non erano più recuperabili. -Harry, non mi sembra il caso che tu partecipi alla…- venne interrotto da un’occhiata assassina da parte del ragazzo, così prese un profondo respiro e tradì la fiducia di Lucius.
 
La casa davanti a cui si trovavano sembrava diroccata e disabitata, ma Snape gli aveva detto che probabilmente ci sarebbero stati potenti incantesimi di Disillusione sull’edificio. Sperò che avesse ragione, non si era imbottito di medicinali contro il dolore per fare un viaggio a vuoto.
Si trovavano da qualche parte in Scozia. Snape gli aveva rivelato che Lucius aveva una casa che non risultava tra le sue proprietà e che per un periodo era stata anche la base di Voldemort e i suoi. Lucius aveva usato l’Incanto Fidelius sulla casa, nominando Severus Snape Custode Segreto.
Il fatto che tutti i Mangiamorte sapessero dell’esistenza di quella casa preoccupava Harry, che dentro di sé covava un orrendo presentimento.
-Harry, vado io avanti, tu stai dietro di me- Ron lo affiancò, parlando con tono preoccupato.
Potter sbuffò, ma accettò la condizione e lasciò che l’amico e altri due Auror della squadra lo precedessero. Aveva lasciato la stampella a casa, ma il dolore era attenuato dai farmaci e dell’adrenalina che scorreva impetuosa nelle sue vene. Estrasse la bacchetta e seguì gli altri all’interno del cortile, affiancato da Dewson e Seamus Finnigan, il suo vecchio amico di Hogwarts. I due avevano un bel rapporto, anche se si era raffreddato con la fine della scuola.
Ron schiantò la porta, che venne scaraventata all’interno della casa, e tutti si affrettarono a seguirlo con le bacchette davanti a loro che facevano luce. Harry soffocò un moto di delusione nel notare che la casa all’interno sembrava disabitata quanto, ma non si arrese e divise la squadra sui vari piani e stanze. Lui rimase con Ron al piano inferiore data la difficoltà a salire le scale senza aiuto.
Iniziarono a setacciare il piano, trovando un salotto col divano rovesciato e la cucina. Nel lavandino c’erano dei piatti sporchi, segno che qualcuno era stato lì di recente. Harry esultò mentalmente: poteva anche essere un bastardo codardo, ma non era un bugiardo. Chiamò Ron e gli fece vedere la scoperta, poi continuarono a controllare ogni angolo della casa finché non si sentì un’imprecazione arrivare dal piano superiore.
Ron scattò verso le scale, seguito da un Harry non più zoppicante, e quando arrivarono al secondo piano vennero accolti da un Seamus con la faccia pallida e l’espressione abbattuta. -Troppo tardi, li hanno trovati entrambi- mormorò mentre li guidava verso una camera da letto completamente a soqquadro.
A terra giacevano i corpi di Lucius e Narcissa Malfoy, vicini, mentre si tenevano la mano.
-Merda- sbottò Harry e in mente gli passarono mille scenari probabili una volta che la notizia della morte dei coniugi Malfoy si fosse diffusa, inoltre si sentiva inutile e stupido per non essere riuscito a risolvere il caso prima che succedesse ciò che avevano davanti. Ora il problema stava nel dirlo a Draco senza che questo desse di matto e facesse qualche stupidata. -Tornate al Ministero e occupatevi del prelievo dei corpi. Ron, forma una squadra di ricerca per quei pezzi di merda, metti a capo Dean e per favore preparami il rapporto da consegnare a Kingsley. Tenete lontani i giornalisti e i curiosi, ho bisogno che la notizia non arrivi alla Gazzetta prima di domani. Due rimangano qui di guardia, se ci sono minacce usate il Galeone- ordinò velocemente -Io devo dare la notizia al figlio dei due, ci vediamo al Ministero domani mattina se non succede nulla- e con queste parole si smaterializzò, diretto a Grimmauld Place.
La casa era silenziosa e per un momento Harry si chiese se ci fosse qualcuno, poi sentì provenire dal piano superiore un rumore di vetri in frantumi e un urlo di rabbia che veniva chiaramente da Draco. Potter, i cui nervi erano ormai fragili e sul punto di spezzarsi, salì le scale di fretta e con la bacchetta tesa davanti a sé, pronto a combattere.
La scena che si ritrovò davanti era ridicola: Draco che guardava in cagnesco Kreacher, che sfoggiava un’espressione a metà tra il divertito e il mortificato, mentre a terra giacevano i cocci di quella che un tempo era una tazza piena di tè. Ora il liquido impregnava il pavimento. -Che diamine stai combinando?- disse Harry senza riuscire a ridere della situazione.
Il biondo si girò verso di lui ci sguardo indignato -Il tuo stupido elfo domestico ha messo il sale nel tè, era imbevibile. Sono giorni che tenta di avvelenarmi- sbottò andando poi a sedersi sul letto accanto ad Astoria, che stava leggendo un libro ignorando il teatrino messo su dal marito.
-Kreacher, puoi lasciarci soli per favore?- Harry si rivolse all’elfo domestico con toni gentile e quello annuì prima di scomparire con uno schiocco insieme ai pezzi di ceramica. -Draco, devo parlarti- esordì prima di chiudere la porta e zoppicare malamente fino alla sedia della scrivania. Era abbastanza distante dal biondo, ma non sarebbe comunque riuscito a schivare oggetti in volo una volta rivelato l’accaduto.
--Cos’è successo Potter?- domandò con tono che lasciava trapelare una buona dose di solida preoccupazione. La sua voce lievemente allarmata attirò l’attenzione di Astoria, che chiuse il libro e, notando l’espressione grave del Prescelto, afferrò la mano del marito. Lei aveva già capito.
Harry prese un profondo respiro -Abbiamo trovato i tuoi genitori- si sentì parecchio in colpa nel vedere gli occhi di Draco allargarsi di sollievo alla notizia. Ciò confermò solo ad Harry che il biondo non sapeva dove fossero. -Ce l’ha detto Snape, come informatore anonimo, solo che…- si interruppe alla ricerca delle parole giuste, che non esistevano -siamo arrivati troppo tardi Draco, i tuoi erano già morti- terminò.
Seguì un lungo silenzio, poi un singhiozzo di Astoria lo ruppe e sbloccò anche Draco, che sembrava essere stato messo in pausa come succedeva in televisione. –Dov’era?- chiese con tono inespressivo, facendo correre un brivido lungo la schiena di Harry.
-Tuo padre possedeva una casa che non risultava intestata a lui nei documenti, in Scozia. Snape era il Custode Segreto- spiegò, senza sapere se quella calma fosse meglio o peggio rispetto all’esplosione di dolore che si aspettava da uno come Draco.
Lo vide invece annuire e alzarsi dal letto per prendere a camminare lungo la stanza a grandi falcate. -Non sapevo dell’esistenza di quella casa- rifletté mentre Astoria continuava a piangere in silenzio, seduta sul letto -Grazie Potter- si girò verso Harry e gli fece un cenno a sottolineare i suoi ringraziamenti.
Harry era sempre più perplesso e preoccupato. -Va tutto bene Draco?- domandò cautamente, alzandosi dalla sedia e raggiungendolo vicino alla finestra.
Draco annuì, fissando lo sguardo sulle strade di Londra davanti a lui. -Mio padre sapeva a cosa andasse incontro, e ha scelto comunque quella strada, trascinando dentro anche a me. Per quanto possa volergli bene devo dire che me lo aspettavo fin dall’inizio di questa storia. Mi spiace solo per mia madre che è stata con un uomo come lui fino alla fine, lei era una brava donna e non si meritava tutto il peggio che questo mondo ha da offrire-.
Potter era senza parole, non si aspettava un ragionamento del genere da parte dell’ex Slytherin, cosi fece l’unica cosa che avrebbe voluto che qualcuno facesse a lui quando perdeva qualcuno di caro: abbracciò Draco e non lo lasciò nemmeno quando il biondo, abbandonandosi contro di lui, iniziò a versare alcune lacrime silenziose che bagnarono la sua divisa da Auror.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


“Troppo tardi” recitava la lettera non incantata che aveva ricevuto solo dieci minuti prima dallo stesso grufo che consegnava le missive di Potter. La scrittura era quella del ragazzo, quindi non mise in dubbio che fosse lui. Non l’aveva incantata probabilmente perché non ce n’era bisogno, ma in quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare non era Potter o i motivi delle scelte del ragazzo.
Lucius era morto, e con lui probabilmente anche Narcissa.
Continuava a rileggere quella frase come se si aspettasse un cambiamento, ma le lettere rimasero lì a guardarlo accusatorie. Era colpa sua, di nuovo, perché era stato preso troppo dai suoi sentimenti per Harry per pensare che Lucius avesse bisogno di aiuto. Si era svegliato tardi, e ora Lucius e sua moglie erano morti.
Quelle stesse due persone che lo avevano accolto come uno di loro, nonostante Snape fosse un Mezzosangue; quello stesso uomo che gli aveva chiesto di essere il padrino di Draco, lo stesso uomo che lo aveva trascinato in quella parte oscura della magia quando erano solo ragazzini. Quell’uomo rappresentava la sua famiglia e ora era morto.
Snape non se ne capacitava.
Rimase quindi immobile davanti al camino per ore, con la lettera stretta tra le mani tremanti. Era ormai calato il buio quando si decise a muoversi e a gettare quelle uniche due parole nelle fiamme, mentre la sua mente esplodeva di rabbia e tristezza, due emozioni che di recente conosceva troppo bene.
Uscì di casa senza preoccuparsi di mascherare il suo aspetto. Se Yaxley l’avesse trovato andava bene, lo avrebbe ucciso e lui avrebbe raggiunto Lucius e Narcissa e Lily.
In quel mondo non aveva più nulla che valesse la pena di chiamare ragione di vita. Aveva cacciato Potter, non aveva più il suo ruolo di insegnante ad Hogwarts ed era morto per tutti, letteralmente. Quindi perché nascondersi e privarsi di quel poco di libertà che aveva per paura di morire? Avrebbe combattuto, se ne sarebbe andato con onore, ma sapeva che non avrebbe mai vinto contro quei quattro Mangiamorte, non se non lo voleva davvero.
Fece una passeggiata per Spinner’s End. Ricordava ogni singolo angolo di quel villaggio ed erano tutti pieni di ricordi che voleva dimenticare, quindi si spostò a Godric’s Hollow, nella speranza remota che Potter fosse lì. Sapeva che era infortunato e sapeva che a causa della burocrazia non si sarebbe potuto muovere dall’ufficio almeno fino al giorno dopo, ma ormai ogni azione di Snape era mossa da una fiammella che gli faceva sperare di incontrarlo in ogni angolo della sua vita. Voleva l’ennesima possibilità di recuperare, ma allo stesso tempo sapeva che se il ragazzo gliel’avesse data lui l’avrebbe bruciata come tutte le precedenti.
In quel momento, comunque, aveva solo voglia della sua compagnia, anche in silenzio ma non voleva stare da solo con i suoi pensieri, con i suoi flashbacks su Lucius, con le sue paure.
Erano anni che non vedeva l’amico, da quando Malfoy Senior lo aveva scelto come Custode Segreto, e ne aveva sentito un po’ la mancanza, ma mai come in quel momento. Sapere che fosse morto e che non l’avrebbe mai più rivisto gli faceva rivoltare lo stomaco in modo doloroso.
Dovette fermarsi e nascondersi in un vicolo buio per poter vomitare ciò che si era sforzato di mangiare a pranzo. Sì, la morte sarebbe stata una piacevole compagna.
Una decina di minuti dopo riprese a camminare e solo allora si rese conto di essere uscito senza il mantello e che il freddo stava iniziando a mangiarli le ossa. Non poteva però tornare a casa in quelle condizioni, avrebbe fatto qualcosa di stupido come scrivere a Potter o bere fino a dimenticarsi il suo nome.
Fu così che arrivò davanti alla casa dei Potter e rimase senza parole: qualcuno l’aveva ricostruita, facendola tornare all’antico splendore.
Un’altra morsa gli strinse lo stomaco e temette di dover vomitare ancora, ma poi si rese conto che era solo quel ricordo, esattamente quello che aveva dato ad Harry Potter quando pensava di essere sul punto di morire. Si rivide mentre correva nel vialetto e scavalcava il cadavere di James Potter abbandonato sulla soglia. Si ricordò di come aveva salito le scale con un urlo nella testa solo per trovare il corpo esanime della sua Lily stesa sul pavimento. Ricordava di sentire il pianto di un bambino ma di non registrarlo come rilevante mentre prendeva tra le braccia la sua amica e urlava tutto il suo dolore, versando tante lacrime quante non ne aveva versate in tutta la sua vita.
Non seppe quanto gli ci volle per riprendere coscienza di sé, ma quando ce la fece notò che aveva le dita strette in un pugno e che erano diventate blu per il freddo.
Mentre si allontanava dalla casa un nuovo pensieroso si affollò nella sua mente: qualcuno aveva fatto ricostruire la casa dei Potter e lui non avrebbe accettato facilmente la presenza di estranei in quell’edificio. E Lucius era morto. Chissà come stava Draco.
Con i brividi, se per la scoperta della casa o per il freddo non lo sapeva, si diresse al cimitero e raccontò tutto a Lily, dai danni che aveva fatto con suo figlio alla morte del suo migliore nonché unico amico.
Ci rimase finché non sentì le sue membra intorpidirsi, e anche allora volle restare lì con quella donna che anche da morta lo aiutava come mai nessuno aveva fatto. Poi qualcuno posò qualcosa sulle spalle e se Snape non avesse riconosciuto all’istante l’odore che gli aveva invaso le narici, quel qualcuno sarebbe già morto.
-Immaginavo che l’avrei trovata qui- disse la voce di Potter alle sue spalle prima di fare due passi zoppicanti, aiutato dalla stampella, e affiancare l’uomo. -Mia madre avrà le scatole piene di tutte le nostre lamentele- la sua voce suonava triste e Snape non ebbe il coraggio di guardarlo e riflettersi nelle sue iridi.
-Sarebbe più facile se le raccontassimo qualcosa di allegro. Hai qualche idea?- rispose mantenendo stranamente la sua voce ferma.
Con la coda dell’occhio vide Potter stringersi nelle spalle -Loro due sanno già tutto ciò che c’è di bello nella mia vita, o che c’era- un riferimento a lui, sottile quando la lama che sentiva penetrargli nel cuore ad ogni parola del più giovane. -Draco è a Grimmauld Place se vuole venirlo a trovare. Credo che abbia bisogno di qualcuno che non sia io-
Il cambio repentino di argomento fece girare la testa a Snape, che però annuì -Farò un salto in questi giorni, in mattinata probabilmente-. Voleva dare l’opportunità ad Harry di non farsi trovare a casa se non avesse voluto vederlo, così come il contrario, in cui sperava.
Si strinse nel mantello del ragazzo e finalmente si voltò a guardarlo. Non aveva mai visto il nulla sul volto del ragazzo. Da più di un decennio e mezzo vedeva sempre un’emozione, anche stupida, negli occhi del ragazzo, ma ora ciò che vedeva era solo il verde delle sue iridi prive di qualsiasi spinta emotiva. C’era solo il vuoto di una vita che lo aveva distrutto, e lui aveva partecipato attivamente.
-Va bene- disse semplicemente il ragazzo, lanciandogli un’ultima occhiata spenta prima di dargli le spalle. -Le auguro una buona serata- e quel saluto diede l’impressione a Snape che sarebbe stato l’ultimo.
Quindi lo chiamò, anche se Harry era ormai a metà del vialetto di uscita. Lo chiamò più volte ma il ragazzo non diede segno di averlo sentito, e Snape si chiese se stesse davvero urlando il suo nome o se era solo la sua mente distrutta a pronunciarlo. Harry non si fermò.
 
-Scusa, non volevo svegliarti- Ginny aveva suonato al numero 12 di Grimmauld Place quasi a mezzanotte, ed Harry era andato ad aprire con la più piccola speranza che fosse Snape. Non era lui, ma ad Harry andò bene comunque e considerò che fosse anche meglio vedere la donna piuttosto che l’uomo che lo faceva tanto soffrire.
Si fece lentamente da parte e lasciò che Ginny entrasse in casa, poi chiuse la porta per lasciare fuori il freddo. -Non stavo dormendo, avevo alcuni documenti da firmare- le fece strada zoppicando fino alla cucina, dove si mise a preparare due tazze di tè. Snape gli aveva insegnato come fare il tè più buono che avesse mai assaggiato. -James dov’è?- lasciò l’acqua a bollire e si girò a guardare la sua ex moglie.
-Da mia mamma- rispose semplicemente.
Harry si passò una mano nei capelli e le rivolse un sorriso tirato e stanco -Perché sei qui Ginny?-
-Mi mancavi, e Ron mi ha raccontato di quello che è successo. Ho pensato che avessi bisogno di compagnia stanotte, che non avresti dormito. Domani non lavoro, posso stare sveglia con te mentre firmi quei documenti- e gli rivolse il sorriso più dolce e materno che potesse esistere. La donna sapeva benissimo di cosa Harry avesse bisogno, e come al solito glielo stava offrendo senza chiedere nulla in cambio.
Harry la raggiunse e d’istinto le mise le braccia al collo, attirandola in un abbraccio. -A volte mi chiedo perché le cose tra noi non abbiano funzionato- mormorò nei capelli rossi della donna.
Sentì il petto della donna alzarsi e abbassarsi velocemente in una piccola risata affettuosa mentre lo stringeva a sua volta e passava una mano nei capelli dell’ex marito, quel genere di gesto che fai senza riflettere perché fa parte della quotidianità. -Come va la gamba?- chiese quando si staccarono dall’abbraccio. In pochi secondi Harry sembrava aver riacquistato un minimo della sua vitalità.
-Meglio, anche se il Medimago che mi ha curato dice che non tornerà mai com’era prima. Per fortuna non devo correre a Quidditch- e rise da solo della sua battuta. Harry non giocava a Quidditch da anni, non solo non aveva tempo ma qualsiasi cosa gli ricordasse Hogwarts gli faceva dannatamente male.
Porse una tazza piena di tè alla donna ed entrambi si sedettero al tavolo in silenzio, sorseggiando la bevanda e guardandosi di tanto in tanto. Harry si sentiva come se fosse al suo primo appuntamento con una ragazza, solo che la ragazza era una donna, una madre, ed era la sua ex moglie.
Finito il tè Ginny lo aiutò a salire in camera, dove insieme si stesero sul letto a parlare del più e del meno, di James, del lavoro e raccontandosi alcuni aneddoti di Hogwarts o della convivenza. I documenti da firmare furono completamente dimenticati.
Su questa scena si chiuse il freddo e buio novembre.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Il giorno dopo fu il più caotico che Harry ricordasse dalla fine della Guerra, secondo solo al giorno in cui nacque James.
Iniziò tutto al risveglio, quando aprendo gli occhi i suoi sensi furono subito assaliti contemporaneamente. Sentiva l’odore floreale di Ginny, che dormiva nuda avvolta nelle coperte, memoria della notte appena trascorsa a consolarsi tra le sue cosce. Alla finestra un gufo stava beccando insistentemente il vetro, portando la Gazzetta del Profeta di quel giorno.
Solo dopo quel giorno Harry valutò che forse sarebbe stato meglio che fosse rimasto a letto, probabilmente per il resto della sua vita, perché quando si alzò, e attento a non svegliare la ragazza che dormiva tranquilla accanto a lui, e andò ad aprire la finestra, insieme al gufo entrò anche il Patronus di Ron.
-Spero per te che tu abbia delle spiegazioni valide- stava dicendo il Jack Russell con la voce del suo amico -per aver nascosto a me e a tutto il Ministero questa cosa. Avrà delle gravi ripercussioni e Kingsley vuole che tu le risolva da solo, quindi è meglio se alzi il culo da quel letto e ti presenti in ufficio il prima possibile- terminò prima di dissolversi.
Harry non capì perché la voce di Ron grondasse rabbia e stupore allo stesso tempo finché non prese in mano la Gazzetta. Quella mattina il giornale non sapeva quale delle due notizie stampare in prima pagina, perché il foglio era stato diviso a metà da una linea nera e due foto con due titoli si contendevano l’attenzione del lettore.
Sulla sinistra le scritte nere parlavano della morte dei coniugi Malfoy dovuta all’incapacità del Dipartimento Auror, comandato provvisoriamente dall’Eroe Harry Potter, che, a detta dell’articolo, ormai non era più buono a fare nulla, se non tradire la fiducia del Mondo Magico. Ancora una volta Harry non capì a cosa si riferissero con quella frase, ma poi guardò sulla parte destra del foglio, dove una fotografia di lui che baciava Severus Snape sulla soglia di Spinner’s End non lasciava spazio all’immaginazione. Il titolo recitava “Potter tradisce la moglie Ginevra Weasley con un non-così-morto Severus Snape”.
Harry dovette correre in bagno a sciacquarsi la faccia per rimettere insieme i pezzi e i pensieri. Ed era sveglio da soli dieci minuti.
Tornò in camera dopo aver ponderato l’idea di annegarsi nel lavandino e trovò Ginny, avvolta nel lenzuolo, in piedi davanti alla finestra con la Gazzetta in mano. Harry dovette sopprimere la voglia di mettere in atto quello strambo suicidio nel lavandino. -Ginny, non è come sembra…- iniziò, per poi sorprendersi nel vedere la donna alzare lo sguardo su di lui con un sorriso carico di affetto. Harry pensò, o forse sperò, di essere in un sogno, o forse in un incubo.
-Sì che lo è Harry, ma va bene così- gli disse abbandonando il giornale sulla scrivania e raggiungendolo, tenendo sempre stretto il lenzuolo per coprirsi. Gli accarezzò una guancia, poi lo aiutò a sedersi sul letto. -Secondo te non sapevo dove andavi al sesto anno tutte le sere? Una volta ti ho anche seguito, ma tu eri talmente assorto che nemmeno te ne sei accorto. Prima che te lo chieda, il Mantello di tuo padre funzionava, solo che facevi un sacco di rumore mentre correvi per i corridoi.
Harry la guardò con la bocca aperta per lo stupore, senza sapere cosa dire. -L’hai mai detto a qualcuno?- esordì infine, anche se non era quella la sua reale paura.
Ginny scosse la testa. -Avevo capito che non c’era storia per me, se dovevo combattere contro un uomo come Snape per averti, quindi mi sono messa l’anima in pace. Sarei stata felice finché lo fossi stato tu. Poi è successo quello che sai, e mi sono stupita di come tu abbia affrontato facilmente la morte di Snape dopo quello che era successo tra di voi. Ti avevo visto distrutto quando ha ucciso Dumbledore, ma quando tutti pensavamo che fosse morto tu sembravi solo un po’ triste, nulla di più. Era perché sapevi già che fosse vivo, vero?-
-No, io… ho solo pensato che sarebbe stato meglio lasciarlo in pace, vivo o morto. Non ha mai avuto una vita facile, quindi sapere che da morto sarebbe stato più felice mi tranquillizzava. Ho scoperto che era ancora vivo un mese fa, quando sono andato a trovare i miei genitori a Godric’s Hollow- spiegò Harry, decisamente più rilassato di poco prima, facendo sorridere Ginny.
-Ora però non va tutto bene vero? Cosa c’è che non va con lui?- la donna gli parlava con talmente tanto affetto e comprensione che Harry si sentì in colpa a raccontarle di come avesse pensato per anni ad un uomo mentre era sposato con lei.
-È tutto finito, non c’è più il sesto anno e ora che è saltato fuori tutto sarà ancora più difficile recuperare qualcosa. Ha voluto chiudere, quindi lo farò anch’io- si strinse nelle spalle, come se la cosa non lo toccasse.
Era tutto troppo maledettamente complicato quel giorno. Era andato a letto con Ginny, la stessa Ginny con cui ora stava parlando di Snape, l’uomo che aveva amato per primo, ma voleva anche far capire alla donna che non aveva mai mentito quando le diceva che la amava. Inoltre ora Snape era probabilmente furioso con lui e col mondo per essere stato scoperto, e il Ministero si aspettava delle spiegazioni. Non era sicuro che sarebbe riuscito a gestire il tutto senza crollare.
-Ehi Harry, stai tranquillo. Non sono arrabbiata con te, okay? Stanotte è stato un errore, ma l’abbiamo voluto entrambi. Andremo avanti con le nostre vite, ma non ti lascerò mai da solo- la voce di Ginny irruppe nella sua caotica testa, e il tocco della donna sulla sua guancia gli fece scendere una lacrima solitaria. Ginny sapeva sempre ciò di cui aveva bisogno il ragazzo.
-È solo che… è tutto un casino, e non so da dove partire per risolvere le cose- e a quelle parole Harry scoppiò a piangere. Niente singhiozzi, solo la disperazione che gli scivolava sul volto in grosse lacrime, infrangendosi sulle mani fredde e delicate della donna, che gli aveva preso la faccia tra le mani e lo costringeva a guardarla.
Se lo tirò addosso e lo strinse in un abbraccio umido di lacrime, in cui Harry si aggrappò alla schiena della sua ex moglie e sfogò tutte le sue paure. Avrebbe risolto le cose una alla volta, come aveva sempre fatto. Aveva affrontato il Signore Oscuro, poteva affrontare un’orda di giornalisti che lo chiamava “traditore”. Ma Harry sapeva che i giornalisti erano il male minore.
-Harry- lo richiamò dopo un paio di minuti la ragazza, prendendolo per le spalle e allontanandolo appena da lei. -Tu lo ami?-
Non ci fu bisogno di mettere il soggetto o riflettere, perché Harry annuì all’istante, facendo sorridere divertita la ragazza. -Ma ho amato anche te, Ginny, lo giuro- aggiunse velocemente perché aveva bisogno di dirglielo e aveva bisogno che la ragazza gli credesse.
Ginny ridacchiò appena -Lo so Harry, ti credo, l’ho sentito fin dal primo momento. Ma come sai le cose finiscono e altre iniziano. Quindi ora vestiti e vai da Snape, ci penso io a Kingsley e a Ron, faccio un salto al Ministero. Credo di poterti regalare al massimo mezza giornata di libertà-.
Entrambi si alzarono e si rivestirono in silenzio. Ogni tanto Harry lanciava occhiate ammirate alla donna, che rispondeva con un sorriso dolce. Gli mancava davvero tanto, ma probabilmente non avrebbero mai avuto quella conversazione se fossero stati ancora sposati.
Accompagnò la donna alla porta e prima di lasciarla le dedicò un lungo abbraccio e un bacio sui capelli, sotto la soglia della porta aperta. Solo quando si staccarono e Ginny si fu smaterializzata, Harry notò Severus Snape, vestito ancora come la sera prima, fermo davanti al cancello dell’edificio.
 
Severus aveva lasciato il cimitero solo all’alba e non era tornato a casa. Aveva fatto un salto nel posto in cui aveva visto la sua Lily per la prima volta e si era steso sull’erba umida a contemplare il cielo che si lasciava alle spalle il buio per fare spazio alle nuvole cariche di pioggia. Dicembre si preannunciava piovoso, forse Londra avrebbe goduto anche di qualche nevicata, ma Snape aveva smesso da tempo di gioire per il meteo.
Rimanere fermo, però, non faceva altro che portargli alla mente ricordi che voleva dimenticare, quindi decise di andare a trovare Draco, sperando di incrociare anche Potter che magari ancora non era andato a lavoro.
Si smaterializzò davanti al numero 12 di Grimmauld Place proprio nel momento in cui qualcuno aprì la porta della casa. Da dov’era poteva vedere cosa stesse succedendo sulla soglia della porta, ma non poteva essere visto, coperto dalla siepe secca del civico accanto. Vide Harry accompagnare fuori la settima dei fratelli Weasley e abbracciarla con, e Snape era pronto a giurarci, amore. Poi vide la Weasley uscite dal cancello e lanciargli un’occhiata, insieme ad un sorriso di chi la sa lunga.
A quel punto non poté fare altro che uscire allo scoperto e bloccare Potter con il suo sguardo. Lo vide pietrificarsi sul posto e muoversi sulla gamba sana a disagio, così andò in suo soccorso -Sono passato per Draco, è in casa?-
Harry scosse la testa, con sorpresa di Snape che pensava che il suo figlioccio fosse sotto la protezione di Potter. -È uscito poco fa per andare al Ministero, deve fare il riconoscimento dei ca… dei suoi genitori e firmare i documenti del caso. L’ha mancato per pochi minuti- spiegò -Non dovrebbe metterci molto, può aspettarlo in casa-.
Severus odiava il modo in cui il ragazzo si rivolgeva a lui dopo che l’aveva praticamente cacciato da casa sua, quindi non fu sicuro di voler entrare e sorbirsi altre frasi come quelle, come se i due non avessero scopato per un anno e non si amassero ancora come sette anni prima. Vide però in quell’offerta un tentativo di riconciliazione da parte del ragazzo, e non poteva lasciarsela sfuggire, così annuì e seguì il ragazzo ancora claudicante in casa.
-Immagino che non abbia ancora letto la Gazzetta di oggi- disse inaspettatamente il ragazzo dopo che si furono accomodati uno sul divano e l’altro sulla poltrona.
Severus lo guardò -Non ho molta voglia di leggere quello che quel giornale si è inventato su Lucius-
Harry sospirò e prese in mano una copia arrotolata del quotidiano in questione, ma prima di passargliela parlò ancora, questa volta con un tono intimorito e pieno di senso di colpa. -Non c’è solo l’articolo sui Malfoy… Mi dispiace, non era mia intenzione- e gli passò il giornale.
Guardò Snape e la sequenza di emozioni che gli passarono sul volto, dallo stupore alla rabbia, per finire con la rassegnazione. -Non è colpa tua, dovevo aspettarmelo, anche se speravo che non succedesse mentre quattro Mangiamorte stanno uccidendo i traditori del Signore Oscuro-.
Harry si diede dello stupido per non averci pensato prima. -Devo parlare col Ministro Shacklebolt, ma credo che concorderà con me che il posto migliore in cui può stare finché non cattureremo i colpevoli sia questo, assieme a Draco. Purtroppo con la morte di due Auror non posso assegnarle una scorta-. Sperava che Snape venisse a vivere lì, anche se provvisoriamente, perché aveva bisogno di un punto di partenza se voleva provare a ricominciare da capo.
Ma Snape scosse la testa e lo guardò con dispiacere, e allora la rabbia di Harry riprese a montare dentro di lui -Non credo che ci farebbe bene vivere sotto lo stesso tetto, Harry- e usò il suo nome, come faceva sempre quando voleva ferirlo.
Harry si alzò a fatica, la gamba aveva ripreso a fargli dannatamente male nonostante i farmaci e lo stress non lo aiutava. -Certo, ha ragione- mormorò con tono indifferente, anche se Snape fu colpito in pieno dal distacco che Harry mise nelle sue parole. -Per quella questione del… bacio ci penso io, Kingsley si aspetta che io risolva tutta la questione. Mi inventerò qualcosa- e si allontanò zoppicando verso la cucina.
Snape lo seguì. -Non devi nessuna spiegazione al Mondo Magico. La tua vita sentimentale è affare tuo, non dei giornalisti- precisò guardandolo mentre apriva il frigo e si prendeva una birra, stampandola con la magia.
-L’articolo dice che ho nascosto la sua presenza per evitarle gli anni di attesa ad Azkaban, per una… preferenza. Credo che mi farò interrogare dal Wizengamot con il Veritaserum, dovrebbe farlo anche lei- e bevve un lungo sorso di alcolico.
Snape ebbe l’impressione che quello fosse un primo segno di autodistruzione e si rese conto che entrambi gli articoli in prima pagina lo stavano facendo soffrire quanto stava soffrendo lui, perché era nuovamente sotto attacco mediatico -Non credo che ti faccia bene bere a quest’ora, Harry- e visto che il ragazzo lo ignorava si allungò verso di lui e gli tolse la bottiglia di mano, guadagnandosi un’occhiata scocciata.
-Ha perso qualsiasi diritto di parola nella mia vita quando non si è fidato abbastanza di me da dirmi che avrebbe dovuto uccidere Dumbledore- sibilò con cattiveria stringendo gli occhi pieni di rabbia.
Snape capì che era giunto il momento di parlare, perché la rabbia di Harry era troppo radicata negli anni per riparare la diga che si stava rompendo. -Harry… non mi hai mai dato tempo di spiegarti- tentò con cautela.
Ogni tentativo di mantenere la calma fu inutile quando Harry sbatté una mano contro il tavolo, facendo sobbalzare impercettibilmente l’ex professore. -Spiegare cosa? Vuoi spiegarmi il motivo per cui mi usi per sfogare i tuoi istinti? O vuoi spiegarmi perché non ti sei fatto vivo per sei anni, ben sapendo che ti stavo cercando perché io avevo bisogno di te? Un momento mi fai credere che provi qualcosa per me, e quello dopo nemmeno riesci a guardarmi in faccia. Ti faccio così schifo Severus?- e si piazzò davanti a lui in equilibrio su una gamba. Il discorso era stato un crescendo di tono, finché in tutta la casa non risuonò la voce del ragazzo.
Snape lottò contro l’istinto di indietreggiare sotto lo sguardo di fuoco dell’ex Gryffindor. -Non sei tu a farmi schifo Harry, sono io- mormorò cercando di allungare una mano per toccare il volto del ragazzo, che si ritrasse di scatto. -Ogni volta che ti guardo, che ti sfioro, mi sento sporco. Ho vent’anni in più di te, una vita buia alle spalle e ancora adesso ne sto pagando le conseguenze. Non posso coinvolgerti in questo mio mondo, non te lo meriti. Il sesto anno è stato un errore, così come l’altra notte-.
Harry sbuffò una risata che non aveva nulla di divertito. -E quello che voglio io non conta vero? Non pensi che se non avessi voluto farmi toccare non ti sarei stato dietro un anno ad Hogwarts e due a cercarti quando pensavo che fossi morto? Dovete smetterla tutti di pensare cosa sia meglio per me- esausto e con la gamba dolorante andò a sedersi al tavolo, lasciando scivolare la testa tra le mani, che la sorressero. -Il tuo passato è andato, e se i Mangiamorte ora ti stanno cercando è proprio perché hai capito da che lato stare. L’età? Siamo maghi, viviamo più a lungo dei Babbani, quindi non saranno vent’anni il problema. Vuoi darmi altre scuse? Se non vuoi provarci, almeno una volta, dimmelo senza giri di parole, lo preferisco a tutti i tuoi silenzi e ai tuoi rimorsi. Me lo merito dopo averti aspettato per sette anni-.
Snape si rese conto che tutto il discorso di Harry era vero, e lui come al solito si era nascosto dietro a delle scuse banali per non fare la fatica di inseguire la felicità. -E la Weasley?-
Harry alzò la testa solo per guardarlo perplesso -Abbiamo divorziato mesi fa, cosa c’entra lei ora?-
-L’ho vista prima uscire da qui- ripensò all’abbraccio carico di affetto che si erano scambiati e allo sguardo saccente e divertito che gli aveva lanciato prima di sparire.
-Siamo in buoni rapporti, condividiamo anche alcune cose- come James -È passata stamattina per farmi un discorso motivazionale sulla felicità e sull’amore- minimizzò perché sapeva che Ginny avrebbe voluto che lui dicesse i suoi sentimenti a Snape, ma ancora non si sentiva pronto e la rabbia assieme alla delusione lo stavano soffocando. -È meglio che io vada ora, ho da sistemare questa faccenda al Ministero prima che Kingsley si arrabbi ulteriormente. Può stare qui finché Draco non torna-. Era tornato a dargli del lei: la conversazione era ufficialmente chiusa.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Trascorsero due settimane in cui Harry uscì di testa dalla tensione. Ogni mattina si aspettava di leggere sul Profeta che Yaxley aveva trovato Snape, invece gli articoli non parlavano d’altro che dell’incompetenza del Dipartimento Auror, e Harry stava iniziando a crederci.
Aveva risolto la questione di Snape redivivo facendosi interrogare sotto Veritaserum, poi Kingsley aveva stabilito che avrebbero interrogato anche il Pozionista una volta concluso il caso.
Harry non sapeva da che parte iniziare per trovare i Mangiamorte fuggitivi. Ogni volta che avevano una pista scoprivano poi di essere sempre un passo indietro, e l’opzione della talpa al Ministero si faceva sempre più probabile. Non aveva idea di come avrebbero potuto stanarla, e ciò lo rendeva diffidente verso tutti i suoi colleghi, cosa che non aiutava alle indagini.
A metà dicembre in suo aiuto venne il risveglio di Rodolphus Lestrange al San Mungo, dove era ricoverato dal giorno dello scontro sulla costa. Dovettero aspettare due giorni prima che i Medimaghi lo dimettessero, ma alla fine fu scortato nelle celle sotterranee del Ministero in attesa di un interrogatorio che coinvolgesse il Veritaserum.
Il giorno dopo Harry si trovava davanti al marito di Bellatrix che lottava contro gli effetti della Pozione.
-Dove si nascondono Yaxley e gli altri?- iniziò, scaricando in quelle domande tutto lo stress e la frustrazione.
Lestrange scosse la testa -Non lo so, ogni giorno Yaxley sceglie un nuovo edificio abbandonato e ci porta lì- sputò tra i denti, come se non volesse dare nemmeno quell’informazione inutile.
-Solo qui in Inghilterra?- incalzò Harry.
Lestrange scosse nuovamente la testa -L’ultima volta eravamo in una fabbrica abbandonata in Romania-
Vicolo cieco. Se sceglievano un posto casuale ogni giorno in tutta Europa non avrebbero potuto prevedere dove sarebbero andati. Doveva tentare un’altra strada.
-Avete contatti al Ministero? Qualcuno vi aiuta dall’interno?-
Lestrange sorrise divertito -A Yaxley piace farlo credere, ma no. Siamo semplicemente più bravi di voi-
Harry roteò gli occhi -Se con più bravi intendi che siete riusciti a prendere solo due persone indifese, al costo di due di voi morti e te qui sotto interrogatorio, allora concordo- borbottò, nonostante in parte si sentisse punto sul vivo. -Chi avete nella lista?-
-Prima c’erano solo i Malfoy, ma ho letto sul Profeta che sono riusciti a prenderli e che Severus è resuscitato. Direi che il prossimo sarà lui, poi il cucciolo di Lucius, quel piccolo codardo che si è nascosto dietro la moglie- si strinse nelle spalle e cercò di nascondere un sorrisino viscido nel nominare Astoria.
-Sono stati fermi per due settimane, sai perché?- quello era il nodo dei dubbi di Harry: se sapevano dove si nascondeva Snape, perché erano stati fermi così a lungo?
-Yaxley non vuole dare troppo nell’occhio e ha funzionato, dato che avete scoperto i corpi dei Malfoy solo una settimana dopo averli uccisi-.
Era uscito un articolo pochi giorni prima sul Profeta, dove si parlava dell’incompetenza della “Squadra Potter”. Erano trapelate delle informazioni private e ora tutto il Mondo Magico sapeva che Lucius e Narcissa erano stati uccisi cinque giorni prima della scoperta dei loro corpi.
-Probabilmente Severus è già morto da qualche parte, ma voi Auror siete troppo pieni di voi per preoccuparvi se uno di noi muore- e ghignò, segno che non lo aveva detto perché obbligato dal Veritaserum.
Harry dovette contare fino a dieci prima di riacquistare la lucidità necessaria a continuare con l’interrogatorio.
-Devo dire che sono rimasto stupito nel vedere che Severus è caduto così in basso da scoparti il grande Harry Potter- disse ridendo Rodolphus.
Harry non ebbe il tempo di riflettere, perché il suo corpo si mosse da solo e schiantò l’uomo, facendolo finire contro il muro. Non riuscì a pentirsene ed uscì dalla sala interrogatori senza guardare in faccia Ron, che aveva visto e sentito tutto grazie ad un incantesimo posto nella stanza.
 
Harry era stanco di quella situazione. Era stanco dei rifiuti di Snape, della situazione al Ministero con le indagini. Era stanco dei suoi continui rimorsi dell’ultima notte passata con Ginny , con cui da allora aveva solo scambiato parole di circostanza quando la vedeva, senza mai affrontare l’argomento.
Era anche arrabbiato, sempre per gli stessi motivi, e fu grazie a questa rabbia che riuscì a trovare il coraggio di bussare alla porta della casa a Spinner’s End.
Snape aveva l’aria di qualcuno che non dormiva da giorni, e probabilmente era così. Gli aprì tenendo stretta la bacchetta in mano e Harry si chiese se pensasse che Yaxley avrebbe bussato prima di ucciderlo.
Harry lo spinse all’interno della casa e chiuse la porta dietro di loro. Il Pozionista lo guardava perplesso, senza sapere come reagire né cosa dire. -Non mi importa se poi mi caccerai, se ti pentirai di quello che sta per succedere, ma tu sei in pericolo e non so se riusciremo a fermarli prima che arrivino da te, quindi ho bisogno di farlo- disse senza mezzi termini, spintonando ancora l’uomo finché le sue gambe non cozzarono contro il divano, facendolo cadere seduto.
-Non intendo fermarti- mormorò Snape quando ebbe interpretato lo sguardo negli occhi di Harry. Lo afferrò per i fianchi e se lo fece cadere sulle gambe. Avrebbe rimandato i rimorsi a dopo, ora voleva solo godersi il sapore di Harry sulle labbra, e per questo lo baciò.
Harry aveva programmato di essere lui a comandare, a guidare Snape finché questo non si fosse rilassato abbastanza da lasciarsi andare, ma non si lamentò quando Severus lo attirò a sé e lo coinvolse in un gioco di lingue e denti che accese il fuoco in entrambi. -Letto, ora- sussurrò mentre riprendeva fiato e Snape lo prese in braccio senza staccarsi da lui, giusto il tempo di rialzarsi prima di lasciarlo scendere sui suoi piedi.
Barcollarono fino al piano superiore, disseminando le scarpe lungo il tragitto, e si lasciarono cadere sul materasso, dove entrambi persero il controllo e i vestiti.
Se il fisico di Harry era statuario grazie al Quidditch e all’addestramento Auror, quello di Snape era bello a modo suo. La pelle candida era costellata da piccole cicatrici e copriva dei tonici muscoli guizzanti, tipici di un uomo che si curava e non si concedeva eccessi. Il collo era invece una cartina di cicatrici, la pelle era raggrinzita sulla parte sinistra, dove Nagini lo aveva morso e dove ora Harry affondava i suoi denti, alternandoli a dei baci umidi.
-Sei sicuro?- chiese Severus con tono roco mentre ribaltava le posizioni, finendo sopra il ragazzo. Osservò il corpo martoriato di tante piccole cicatrici superficiali.
Harry lo morse con forza sul collo, sopra la cicatrice, e si godette il brivido che sentì scorrere sulla schiena dell’uomo. -Sta zitto, per una volta sta zitto- ringhiò, e fu la loro fine.
 
-Mi sbatterai fuori casa ora?- domandò Harry sollevando la testa dal petto di Severus per guardarlo.
I due si stavano godendo un momento di pace dopo l’attività fisica appena finita e Harry era accoccolato accanto al maggiore, che gli stava distrattamente passando una mano nei capelli corvini. -Non credo, no- e si allungò per lasciargli un bacio sulla fronte. -Come hai detto tu, potrei morire da un momento all’altro, non ho tempo per i rimorsi e gli esami di coscienza- mormorò.
Harry sorrise e tornò steso sul suo petto ad ascoltare il battito ritmico del cuore di Snape. Non avevano ancora avuto tempo di parlare dei loro sentimenti o del futuro, ma andava bene così per entrambi, tra loro era sempre andato bene così. -Ho fame-
Snape sbuffò -Da quant’è che non fai un pasto decente Harry?- gli lanciò un’occhiata sospettosa.
Harry si strinse nelle spalle e si mise a sedere con uno sbadiglio. -Dall’inizio del caso credo, non ho avuto molto tempo per cucinarmi qualcosa- ammise prima di scendere dal letto e cercare i vestiti sparsi a terra.
Il maggiore lo imitò, pronto per andare a cucinare qualcosa per entrambi. Si era appena finito di infilare la camicia nera quando Harry lo afferrò per il braccio e lo guardò allarmato, bacchetta alla mano. -Hai sentito?- sussurrò, mettendosi poi davanti a lui e uscendo cauto dalla stanza.
Severus non aveva sentito nulla, ma si fidava di Harry quindi estrasse la bacchetta e lo seguì. Imprecò tra i denti quando dal piano inferiore arrivò rumore di vetri infranti.
-Ho chiamato la squadra, stanno arrivando- Harry gli mostrò un Galeone e Snape non capì, ma Harry sapeva il fatto suo e immaginava che gli Autori avessero un modo tutto loro per comunicare a distanza.
Quando la prima figura nera comparve sulle scale Harry non esitò a spingere da parte Snape -Stupeficium!- urlò e l’incantesimo fece cadere il primo Mangiamorte, che venne subito rimpiazzato da Yaxley prima ancora che potesse rialzarsi.
-Oh oh, chi abbiamo qui? Il grande eroe eh, sarà divertente ucciderti Severus, ma forse lo sarebbe ancora  di più se ti costringessimo a guardare il tuo amato soffrire- ghignò Yaxley in direzione di Severus, che si stava tenendo pronto con la bacchetta davanti a lui.
Snape ringhiò un Incantesimo di Disarmo, che l’altro parò. -Lascia fuori Harry, è con me che ce l’hai-
In una situazione normale Harry avrebbe alzato gli occhi al cielo. Buon Merlino, era un Auror e aveva sconfitto il mago più potente del Mondo Magico, non aveva bisogno di protezione, ma poi capì che Severus stava prendendo tempo per permettere agli Auror chiamati di arrivare.
-Severus, amico mio, lui è stato il motivo della caduta del Signore Oscuro. Ha lo stesso tuo diritto se non di più di morire per mano nostra- rispose come se fosse ovvio mentre dietro di lui spuntava Alecto Carrow, subito seguita da Selwyn e Mulciber, che si era ripreso dal primo Schiantesimo.
Volarono i primi incantesimi che costrinsero Harry e Severus a rifugiarsi dietro il muro della camera da letto e a rispondere con scarsi tentativi di disarmarli.
Harry si espose oltre il muro per poter prendere la mira e scagliare un Sectumsempra contro Carrow, ma non fece i conti con Yaxley che, vedendo un’opportunità, urlò -Crucio!-.
Gli strilli di dolore di Harry si confusero con le urla di disperazione di Snape, che non poteva intervenire dato che si trovava impegnato a parare gli Schiantesimi di Mulciber e le Maledizioni Senza Perdono di Selwyn. Harry di contorceva a mezz’aria in preda ai dolori di una tortura che Snape conosceva fin troppo bene, la bacchetta ormai dimenticata a terra, mentre Yaxley rideva orgoglioso delle sue capacità.
-Bombarda Maxima!- urlò Severus e la parete più vicina ai Mangiamorte esplose, scagliandoli lontano. Harry cadde a terra col fiato corto, la ferita alla gamba, che tanto ci aveva messo a rimarginarsi, si era rispetta e imbrattava di sangue i pantaloni. Snape lo raggiunse, approfittando del momento in cui gli avversari si stavano rialzando, e lo allontanò dalla porta, raccogliendo la bacchetta del ragazzo. -Harry svegliati, dobbiamo andarcene da qui- mormorò cercando di fare rinvenire Potter, che emise un gemito e tentò di alzarsi.
-Merda- mormorò notando la gamba di nuovo fuori uso, poi il suo sguardò guizzò alle spalle di Severus e, strappata la bacchetta dalle mani dell’uomo, urlò -Protego!- mentre tutto intorno a loro prendeva fuoco.
Severus trascinò Harry lontano dalle fiamme, che ora creavano un muro tra loro e i Mangiamorte e si mangiavano la carta da parati verde tanto amata da sua madre. -Anapneo- mormorò non appena Harry iniziò a tossire per il fumo e subito il ragazzo prese un profondo respiro.
Erano in trappola. Le fiamme si stavano allungando verso di loro e Snape era sicuro che la casa sarebbe crollata a momenti. Quando aveva lanciato l’incantesimo non aveva calcolato che quello esploso fosse un muro portante. Aveva appena iniziato ad intravedere le macerie crollare quando si era dovuto allontanare dalle fiamme.
Una lingua di fuoco li raggiunse, ma dietro di loro c’era solo il muro e non potevano indietreggiare ulteriormente, inoltre Harry stava iniziando a perdere i sensi per il dolore e l’emorragia alla gamba non accennava a diminuire. -Aqua Eructo- pronunciò Severus puntando la bacchetta contro le fiamme più vicine. Dalla punta venne sparato un grosso fiotto d’acqua che spense il fuoco che li circondava, ma quello avanzava impetuoso e Snape iniziava a tossire nonostante gli “Anapneo” che mormorava sia su di lui che sul ragazzo.
Finalmente intorno a loro comparvero uomini vestiti con le familiari divise da Auror, che iniziarono ad urlare tra di loro mentre cercavano di tenere a freno il fuoco. Harry era già svenuto, il suo colorito peggiorava di minuto in minuto e la sua ferita si riempiva di cenere. -Non mollare Harry, non lasciarmi ora- tossì Severus mentre la vista gli si annebbiava e respirare gli veniva difficile.
Si sentì strappare Harry dalle braccia, ma era senza forze e non riuscì a trattenerlo. -No, lasciatelo stare- sussurrò cercando di afferrare il braccio del ragazzo.
Poi tutto divenne nero.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Ron guardò con diffidenza un Severus addormentato sulla poltrona accanto al letto del San Mungo, dove Harry giaceva da ormai ventiquattro ore senza dare segni di vita. Hermione accanto a lui gli tirò una gomitata e si avvicinò al Pozionista per scuotergli delicatamente una spalla. -Professor Snape- mormorò per poi ritrarsi di scatto quando l’uomo si armò di bacchetta e gliela puntò addosso con sguardo ancora poco lucido. 

Ron si piazzò davanti alla moglie, ma poi si rese conto che quello dell’uomo era un gesto automatico, perché non appena capì chi aveva davanti Snape si rilassò e mise via la bacchetta, passandosi una mano sul volto assonnato. -Signorina Granger, mi perdoni- mormorò strappando un’espressione stupita a Ron. 

-Nessun problema- rispose Hermione con un sorriso tranquillo in volto. -Dovrebbe andare a casa però, è qui da tutto il giorno e non c’è stato nessun cambiamento-. 

Snape scosse la testa -Casa mia è bruciata e preferirei restare qui, se non è un problema. Potter potrebbe svegliarsi a breve-. 

Severus sapeva che il ragazzo non si sarebbe svegliato nell’arco di tempo in cui fosse andato a Grimmauld Place per farsi una doccia, ma non aveva la forza di affrontare i giornalisti e il Ministero, che lo perseguitava per l’interrogatorio sotto Veritaserum. 

Solo il giorno prima si trovava avvolto dalle fiamme, stringendo Harry tra le braccia mentre il fumo gli divorava i polmoni. Poi non ricordava più nulla finché non si era risvegliato al San Mungo. Aveva insistito con i Medimaghi perché lo dimettessero, nonostante la tosse dovuta al fumo ancora gli desse fastidio. Stava per costringere il Medimago davanti a lui a farsi dire dove fosse ricoverato Potter quando in stanza era entrata Ginevra Weasley e aveva congedato il Guaritore con un cenno e un sorriso cordiale. 

-Salve- aveva detto sedendosi su una sedia accanto al letto in cui Severus era ancora costretto. -Non le rubo molto tempo, poi le dirò dove si trova Harry, forse-  

Snape era stranito, ma se stare un po’ con la Weasley gli faceva guadagnare quella preziosa informazione allora tanto valeva stare ad ascoltarla. Aveva quindi annuito ed era tornato a rilassarsi sul letto. -Di cosa ha bisogno?- 

-Ho parlato con Harry qualche settimana fa, di lei- esordì diventando seria e guardandolo intensamente -E ho capito che la ama davvero. Sa, sapevo che al sesto anno andavate a letto insieme e ho sempre sperato che lei non lo facesse soffrire. Inutilmente a quanto pare, dato che lei è sparito per anni dopo avergli fatto credere di essere l’assassino di Dumbledore-. 

-Signorina Weasley, so cos’ho fatto negli anni passati. Io avrei fretta di andare dal suo ex marito, con o senza il suo aiuto, intende sprecare il mio tempo rivangando i miei errori o vuole dirmi cosa vuole da me?- 

Ginny sorrise come se quella risposta la soddisfacesse. -Certo, mi scusi. Volevo solo dirle che io ci tengo davvero ad Harry e voglio che sia felice. Ha già sofferto tanto e lei lo sa bene. Vorrei solo assicurarmi che lei lo sapesse e che smettesse di farlo soffrire-. Snape la guardò iniziando ad arrabbiarsi, quindi si affrettò a precisare -Non sto cercando di tenerla lontano da lui, ma deve iniziare ad essere sincero con Harry riguardo i suoi sentimenti. Lui la ama-. 

Snape sospirò e si passò la mano sul volto. -Lo so, per Merlino se l’ho capito, ma non credo di potergli dare la vita che si aspetta- ammise, stanco di portare la sua maschera. 

-Questo lo lasci decidere a lui- lo corresse Ginny, poi si alzò. -Stanza 394- si allontanò verso la porta, ma poi si fermò di colpo e tornò a voltarsi verso Snape -Ah, so che Harry non glielo dirà tanto presto, ha paura e pensa che tenendolo nascosto si evitino i pericoli. Io ed Harry abbiamo avuto un figlio, James Sirius. Lo abbiamo tenuto nascosto finora, ma mi sto stancando di stare attenta a dove vado. Cerchi di convincerlo a dire la verità al Mondo Magico, potrebbe essere d’aiuto-. 

Snape non riusciva più a pensare ad altro se non alla parola figlio, e rimase paralizzato anche quando la donna se ne andò con un sorriso. La Weasley non gliel’aveva rivelato con l’intenzione di tenere Severus lontano da Harry, era davvero convinta che avrebbe potuto convincere Potter, ma non riusciva a non avercela con lei per aver fatto qualcosa al posto di Harry.  

Sarebbe stato lui a doverglielo dire, con i suoi tempi, una volta superata la paura di perderlo e risolto il caso. Invece la rossa lo aveva anticipato. 

Con questi pensieri si alzò e andò nella stanza 394, dove trovò la signorina Granger seduta accanto al letto dove Harry giaceva pallido e assopito.  

Erano passate solo sei ore dall’attacco a Spinner’s End ed Harry non si era ancora svegliato per scoprire che Yaxley e Selwyn erano morti nell’incendio mentre gli altri due erano stati catturati, come gli spiegò la Granger quando lo vide. 

Non disse nulla su loro due, nonostante Severus sapesse che aveva visto la foto pubblicata sul Profeta settimane addietro, bensì gli lasciò la sedia libera e gli chiese come stesse. 

Su quella sedia rimase per le successive ventiquattro ore, finché la Granger non lo svegliò gentilmente per poi andarsene per mano con il marito. 

Snape, rimasto nuovamente solo con Harry, gli prese la mano, giocando distrattamente con le sue dita. -I Medimaghi non sanno perché tu non ti sia ancora svegliato, quindi è il momento di aprire gli occhi e dire a tutti che era uno stupido scherzo da Gryffindor- mormorò portandosi la mano del ragazzo alla bocca. -La Weasley mi ha detto che avete un figlio e che l’avete chiamato James Sirius. Non ce l’ho con te per non avermelo detto, so che l’avresti fatto quando te la fossi sentita, ce l’ho con te perché l’hai chiamato come tuo padre e quel cane del tuo padrino. Pensavo avessi più buonsenso- e soffiò una risata sommessa contro la sua pelle prima di baciarla delicatamente. 

-Vorrei dirti quello che provo, ma non voglio farlo se non sono sicuro che tu senta perché non credo di avere il coraggio di ripeterlo una seconda volta, quindi muoviti a svegliarti. Ah, quasi dimenticavo. Dobbiamo scoprire chi ha comprato e ricostruito la casa dei Potter, non vorrai che una famiglia babbana si impossessi di casa tua, vero?- senza lasciargli la mano si sistemò sulla poltrona e riprese a leggere un libro sulle Pozioni illegali che gli Auror avevano recuperato dalle ceneri di casa sua. Quel libro era tutto ciò che gli restava della sua vita negli ultimi sei anni. Poco male, avrebbe ricominciato da capo di nuovo, questa volta, sperava, con qualcuno al suo fianco. 

Dodici ore dopo, quando l’alba iniziò ad illuminare la stanza, Draco venne a recuperare il suo padrino, costringendolo a lasciare il fianco di Harry per farsi una doccia. Si ritrovò quindi a Grimmauld Place con Draco che lo rimproverava per essersi affezionato ad un ragazzo che attirava solo guai. 

-Sei caduto proprio in basso Severus- gli stava dicendo il biondo mentre Snape lo ascoltava passivamente seduto sul divano. Nonostante le parole, il ragazzo sapeva che Harry non avrebbe fatto altro che aiutare l’uomo che ormai aveva perso tutto. In fondo aveva aiutato anche lui ed Astoria. 

-Vado a farmi la doccia, poi torno in ospedale- comunicò Snape con la testa fissa al ragazzo pallido ancora fermo sul letto del San Mungo. 

Draco scosse la testa. -Scordatelo. Da Potter ci torni domani, oggi ti lavi, mangi e ti riposi. Sembri un fantasma e puzzi come un morto. Astoria cucinerà qualcosa per tutti e tre. Vai in bagno, ti porto qualche vestito pulito, dovrei avere qualcosa di mio padre-. 

-Draco- lo richiamò Snape mentre il ragazzo si dirigeva al piano superiore per poi fermarsi al suono della voce di Severus -Mi dispiace per tuo padre, e per Narcissa-. 

Draco si strinse nelle spalle -Ci eri più affezionato tu di quanto lo fossi io, a mio padre intendo. Ha fatto quel che voleva e mia madre lo ha seguito. Hanno scelto il loro destino- e si dileguò per raggiungere Astoria in camera. Snape rimase fermo per un tempo sufficiente alla base delle scale da sentire che, dopo aver scambiato due parole con la donna, il ragazzo era scoppiato a piangere. 

 

Ron aveva bisogno del suo migliore amico, e quello lo sapevano tutti. Quando qualcuno pensava al grande Harry Potter, subito venivano loro in mente anche Ronald Weasley ed Hermione Granger. Nel Dipartimento Auror tutti sapevano che quando il Grande Harry Potter doveva affrontare una missione, anche la più semplice, chiedeva sempre di essere affiancato almeno da Ronald Weasley. 

Ci fu un periodo in cui Ron odiò questa cosa, l’essere sempre associato all’Eroe del Mondo Magico, ma poi si rese conto di quanto ciò pesasse sulle spalle dell’amico e allora fu felice di non essere sempre al centro dell’attenzione. 

Ron voleva bene ad Harry, su quello non c’erano dubbi. Anche quando il Prescelto prendeva decisioni pessime o quando ignorava i protocolli per fare di testa sua, trascinando nei guai l’intero Dipartimento, lui gli voleva bene. 

Ed era per quello che in quel momento, dopo aver ricevuto una notizia particolare, il suo primo pensiero volò al corpo ancora esanime del suo amico, fermo da quasi tre giorni in un letto del San Mungo. Aveva bisogno di dirglielo, di parlargli e di ricevere qualche rassicurazione. 

Inoltre, ancora non era riuscito a chiarire alcuni punti del caso appena concluso, e per risolvere il problema serviva il Capo-non-ufficiale del Dipartimento. 

Ora che ci pensava, doveva anche parlargli di quella minuscola questione di Snape-che-bacia-Harry che aveva ignorato per due settimane e che Hermione si ostinava a dirgli che fosse normale. Lui non ci trovava nulla di normale nel vedere il suo migliore amico infilare la lingua nella bocca del loro ex professore di Pozioni, morto o vivo che fosse. 

Ma a guardare quel volto assopito Ron si chiese se avrebbe avuto il coraggio di dirgli tutte quelle cose una volta sveglio, perché in quel momento, con la mente divorata dal tarlo della preoccupazione, non riusciva a pensare ad altro alle loro avventure insieme, mentre le lacrime si accumulavano nei suoi occhi prima di riversarsi sulle sue guance lentigginose. 

-Svegliati amico- mormorò con voce rotta -Qui abbiamo bisogno di te-. 

Nessuno capiva perché Harry non si svegliasse. Aveva la gamba ferita ma i polmoni erano stati ripuliti e non c’erano state botte in testa durante il combattimento a Spinner’s End.   

Appoggiò la testa sul materasso e rimase immerso nei suoi pensieri a lungo, finché non sentì una voce flebile riscuoterlo -Non vi libererete di me tanto in fretta-. 

Ron tirò su la testa di scatto, incontrando gli occhi verdi di Harry che lo fissavano a metà tra il confuso e il divertito. -Sei sveglio- osservò Ron incapace di fare altro oltre a fissare Harry con crescente felicità. 

-Quando ho dormito?- Harry si guardò intorno per mettere a fuoco la stanza. 

Ron si alzò -Tre giorni, è domenica- 

-Snape?- domandò mentre gli occhi scandagliavano attentamente la stanza, come se il Pozionista avesse potuto saltare fuori dagli angoli. 

Ron notò tutta la sua paura e preoccupazione perciò, per quanto non gli andasse a genio quella cosa Snape-Harry, si affrettò a rassicurarlo -È stato qui fino ad un paio d’ore fa. Non si è allontanato dal tuo letto se non per mangiare e lavarsi, Malfoy lo ha dovuto quasi schiantare per costringerlo a tornare a casa per riposarsi un po’-. 

In quel momento entrò un Medimago che chiese a Ron di uscire affinché potesse fare un controllo dello stato di salute del Signor Potter. -Se i valori saranno nella norma potrà tornare a casa anche domani pomeriggio, ma dovrà tornare qui per le visite. Dobbiamo capire perché ha dormito così a lungo-. 

Ron quindi uscì dalla stanza e poco ci mancava che saltellasse per il corridoio per la felicità. Per prima cosa chiamò Hermione con quei cosi babbani, i cellulari, che sua moglie aveva comprato un anno prima perché “così comunichiamo più facilmente”, regalandone poi uno anche a Harry.  

Dopo aver sentito Hermione strillare al telefono che sarebbe arrivata subito mise giù la chiamata, mandò un Patronus a Grimmauld Place, per avvisare Snape della novità e infine chiamò anche suo fratello George, che aveva comprato un telefono dopo averlo visto in mano ad Hermione, perché avvisasse i restanti Weasley, Ginny compresa. 

In breve il San Mungo si ritrovò col corridoio straripante di teste rosse che scalpitavano per vedere Harry e chiacchieravano tra di loro a voce alta, facendosi riprendere più volte dai Medimaghi e dagli infermieri. 

Il caos si placò solo nel momento in cui un uomo completamente vestito di nero fece irruzione tra la folla. Snape camminava a testa alta, sfidando silenziosamente chiunque volesse osare dire qualcosa sulla sua presenza in quel posto e tagliando a metà la folla, rimasta paralizzata a quella vista. 

Hermione fu l’unica ad avere il coraggio di andare incontro al Pozionista. -Stavamo aspettando lei. Harry può vedere solo una persona alla volta e ci sembrava giusto  che fosse lei il primo, dato che Ron ci ha già parlato un po’ prima e ha chiesto di lei-. 

Snape annuì alla ragazza e mormorò un “grazie” che lasciò di stucco tutta la famiglia pel di carota, poi senza aggiungere altro entrò nella stanza in cui Harry lo aspettava. 


NdA
Ciao a tutti, 
ci stiamo avviando verso la fine di questa storia. Mi piacerebbe tnto sapere se vi sta piacendo o una qualsiasi critica costruttiva, mi sarebbe molto d'aiuto per impostare i capitoli finali. Vi ringrazio <3

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Harry non arrossiva mai davanti a lui, eppure quando Severus mise piede in quella stanza di ospedale le guance dell’ex Gryffindor si tinsero di un adorabile colore rosso mentre sorrideva timidamente. Snape si chiese se non avesse davvero preso una botta in testa, perché quello non era il ragazzo che solo qualche giorno prima gli aveva imposto di farlo suo, noncurante delle conseguenze.
Ma non era nemmeno da Snape sorridere come un idiota quando vide finalmente il suo Harry osservarlo con occhi carichi di… qualcosa a cui ancora non si sentiva pronto a dare un nome.
-Ti sei svegliato- mormorò, incapace di avanzare verso di lui e ancora fermo sulla soglia della porta.
-E voi vi siete rincoglioniti tutti con sta frase. Mi sembra ovvio che io sia svegli, è inutile continuare a notarlo- sbottò Harry divertito.
Severus roteò gli occhi e finalmente gli andò vicino. -Il solito impertinente- borbottò senza però aria di rimprovero -Eravamo tutti preoccupati per te, scusaci se ora non riusciamo a declinarti Shakespeare- e ad uno sguardo perplesso e confuso del ragazzo sbuffò -È un poeta inglese babbano, lascia perdere-.
Harry annuì e lasciò cadere il discorso. -Ron mi ha detto che sei stato qui praticamente tutto il tempo-
-Sì, poi Draco mi ha costretto ad andare a Grimmauld Place dicendo che puzzavo di morto. Probabilmente aveva ragione. Mi sono perso il tuo risveglio però- si sedette sua stessa poltrona che lo aveva ospitato per ore.
-Avevo paura di non trovarti al mio risveglio, pensavo che saresti scappato dopo… l’ultima volta- gli occhi di Harry si riempirono di lacrime e Snape capì che quella era una paura reale e profonda per il ragazzo, ed era tutta colpa sua.
Allungò una mano e la posò sul volto di Harry, asciugando una lacrima solitaria, poi si chinò verso di lui. -Non me ne vado più, te lo prometto, resto finché lo vorrai- e posò la fronte contro quella di Harry.
Non parlarono più per qualche minuto, poi finalmente il minore, memore di quanto fosse breve la loro vita, si decise a toccare le labbra di Snape con le proprie, in un bacio leggero e dolce come non se ne erano mai dati.
-Prima di svenire ricordo di aver sentito qualcosa- mormorò Harry, interrompendo quel contatto ma senza mai staccare gli occhi verdi da quelli neri del maggiore. -Pensavo di avere le allucinazioni, perché mai avrei immaginato Severus Snape implorarmi di stare con lui- sorrise divertito e dolce allo stesso tempo.
-Sì, credo tu abbia avuto le allucinazioni Potter- rispose facendolo ridere.
Quel momento magico venne interrotto da un leggero bussare alla porta. Severus tornò seduto sulla poltrona, senza lasciare la mano di Harry, mentre quest’ultimo invitava ad entrare quella che si rivelò essere Ginny con in braccio un bambino.
Severus guardò Harry, che a sua volta aveva spalancato la bocca come a voler dire a Ginny qualcosa, così andò in suo aiuto. -Tranquillo, so già di James, la signorina Weasley mi ha raccontato alcune cose qualche giorno fa-.
Harry ancora non disse nulla, alternando lo sguardo spaventato tra Ginny col figlio in braccio e Severus, che lo guardava con un misto tra divertimento per quella situazione e calma, per cercare di trasmetterla al ragazzo accanto a lui.
Alla fine Potter si rilassò e fece cenno a Ginny di avvicinarsi. Lasciando la mano di Snape allungò le braccia e prese il piccolo James, appoggiandoselo al petto. Snape lo osservò e vedere l’amore con cui Harry guardava il piccolo gli scaldò il cuore. Non si sarebbe mai abituato alla dolcezza del ragazzo e alla quantità di amore che era in grado di dispensare. Sperava che una piccola parte fosse riservata a lui.
Con quei pensieri si isolò, ignorando la conversazione che Ginny ed Harry avevano intrapreso. Si ritrovò a chiedersi come sarebbe stata la sua vita da quel giorno in avanti. Avrebbe vissuto a Grimmauld Place? Sarebbe tornato ad insegnare ad Hogwarts? Cosa voleva veramente?
Sì, si disse, gli sarebbe piaciuto tornare ad Hogwarts, per quanto improbabile, ma non avrebbe mai voluto vivere nella casa di Sirius Black.
Perso com’era nei suoi pensieri si accorse che Harry lo stava chiamando solo quando questo gli schioccò le dita davanti al naso. Si riscosse per notare il ragazzo ridere lievemente, e anche se stava ridendo di lui si ritrovò a ricambiare.
-Sev, ti presento James Sirius- disse Harry e in quel momento Snape non capì più nulla. Harry lo aveva chiamato non solo per nome, ma con un diminutivo; inoltre lo guardava con un’emozione negli occhi che Severus era convinto avere anche lui, ma che in quel momento gli fece paura. Ultimo, Harry gli stava presentando suo figlio, un frugoletto molto simile a lui ma con gli occhi scuri, e lo stava invitando silenziosamente a prenderlo in braccio.
Esitò un secondo di troppo ed Harry fraintese -Non sei obbligato- mormorò, mascherando facilmente quella punta di dolore che Snape vide correre nei suoi occhi -Scusa, sto correndo troppo, hai ragione- e si strinse nuovamente al petto il bambino.
-No, va bene, scusami tu- si affrettò a dire Severus, alzandosi in piedi per raggiungere il letto e sedersi sul bordo. Solo in quel momento notò che in stanza c’erano solo loro tre, la Weasley doveva essere uscita mentre lui era distratto. -Scusa, tutto questo è nuovo, non so come comportarmi-.
Gli occhi di Harry si illuminarono nel vedere Severus allungare le braccia e prendere il bambino che gli stava passando. Lo fece con una tale facilità e bravura che Harry si chiese se non l’avesse già fatto prima. Snape capì le sue perplessità, ma le mise fuori contesto. -Sono il padrino di Draco, Harry. L’ho visto crescere, gli ho insegnato a camminare e a correre, stai tranquillo che non lo faccio cadere-.
-No no, mi chiedevo solo dove nascondessi tutta questa delicatezza con i bambini- gli rispose Harry avvicinandosi a lui e posando la testa sulla sua spalla. Insieme contemplarono il viso felice del piccolo James.
Rimasero così qualche minuto, crogiolandosi nel silenzio rotto solo dai mugugni del bambino che ogni tanto cercava di afferrare le ciocche dei capelli di Severus. Harry era talmente felice di vedere suo figlio adorare l’uomo che amava che non riuscì a trattenersi -So che è presto e tutto, ma ho pensato ad una cosa, in questo esatto momento- esordì iniziando a torturarsi le mani. -Non lo faccio per metterti fretta e sei liberissimo di dirmi di no, ti giuro che non ci rimango male né faccio storie o…-
-Harry- lo interruppe Snape con tono a metà tra il serio e il preoccupato. -Dimmi e basta, possiamo parlarne  qualsiasi cosa sia-.
Vide Harry prendere un profondo respiro, poi guardò James come se da lui raccogliesse la forza per parlare. -Ho fatto ricostruire la casa dei miei genitori. Pensavo di andarci a vivere finite le indagini e di fare una camera per James così che possa stare in una casa confortevole. Mi chiedevo, dato che la casa dei tuoi genitori è andata distrutta, se ti andasse di…-
-Sì- lo interruppe di nuovo Snape con sguardo serio, mentre dentro di lui si sentiva esplodere di gioia.
Harry, che aveva tenuto lo sguardo fisso sul figlio fino a quel momento, alzò gli occhi fino ad incontrare quelli di Severus. -Ma non sai nemmeno cosa stavo per chiederti- obbiettò.
-Di venire a vivere con te a Godric’s Hollow. La risposta è sì- e Snape ringraziò di avere in braccio il bambino, perché vide Harry riempirsi velocemente di felicità prima di esplodere in un pianto liberatorio, alternativa all’abbraccio compulsivo in cui sarebbe stato coinvolto se non ci fosse stato James.
-Per Godric, Severus- pianse Harry e Snape iniziò a preoccuparsi per la sanità mentale del ragazzo perché non era normale ridere e piangere contemporaneamente -Ero certo che mi avresti detto di no, che saresti scappato di nuovo- e gli appoggiò la fronte sulla spalla.
Snape a quel punto si sentì sciogliere e, dopo aver sistemato il bambino in modo tale da riuscire a tenerlo bene con un solo braccio, con quello libero circondò le spalle di Harry e se lo strinse addosso, attento a non muoverlo troppo per non peggiorare la ferita alla gamba. -Te l’ho detto Harry, non scappo più, ti amo troppo per lasciarti nuovamente andare.
 
Dopo che Snape ebbe lasciato la stanza  e riconsegnato il bambino a Ginny, i Weasley, dopo un attimo di sgomento dovuto alla scena di Severus Snape con in braccio il loro nipote, si erano dati i cambi per entrare da Harry a salutarlo.
Chi rimaneva fuori si guardava a metà tra il perplesso e il curioso, ma alla fine George fu il primo a sedersi accanto a Severus e scambiarci qualche parola. Non parlarono di chissà che, ma al termine della chiacchierata erano giunti ad un patto: Snape avrebbe preparato alcune delle pozioni necessarie al negozio dei Tiri Vispi e in cambio avrebbe ricevuto gratuitamente tutti i dolciumi che piacevano ad Harry. Gli sembrava uno scambio equo.
Dopo il primo passo di George tutti i Weasley si presentarono davanti a lui con la mano tesa in segno di pace, che Severus strinse rilassato e sicuro che questo gesto avrebbe fatto piacere al suo Harry. Si sentì a disagio quando Molly Weasley dapprima gli chiese scusa per averlo creduto un traditore e averlo odiato, e poi lo implorò tra le lacrime di trattare bene quello che per lei era un figlio.
-Tranquilla Molly, ci ho messo del mio per farmi odiare- rispose Severus in piedi davanti a lei, spostandosi a disagio da un piede all’altro. Troppe lacrime per lui quel giorno. -E non farò più soffrire Harry, gli devo la mia vita- e quelle parole la fecero esplodere in singhiozzi, così Arthur Weasley, dopo avergli lanciato un imbarazzato sorriso di scuse, la prese per le spalle e la abbracciò. La donna iniziò a soffocare i singhiozzi nella giacca marrone dell’uomo, lasciando libero Snape.
Pian piano i Weasley lasciarono l’ospedale, compresa Ginny con James, e Severus negò a se stesso di aver sentito una morsa allo stomaco quando aveva visto il bambino allontanarsi con la madre, così per soffocare quella sensazione tornò da Harry, trovandolo stravolto immerso nelle coperte.
-Tra poco è Natale- disse quando Snape si fu chiuso la porta alle spalle.
Severus non ci aveva pensato, erano anni che non festeggiava il Natale, ma quella gli sembrava una buona prima possibilità. -Me ne stavo scordando, con tutto quello che è successo- ammise sedendosi sulla poltrona e iniziando a passare le mani tra i capelli corvini dell’altro. -Avevi qualcosa in mente?-
Harry scosse la testa. -Fino all’anno scorso lo passavo con i Weasley, probabilmente quest’anno non sarà diverso dato che io e Ginny siamo rimasti in buoni rapporti. Vuoi venire?- lo guardò di sfuggita, temendo una reazione negativa alla proposta.
-Harry…- esordì Severus. Non sapeva cosa dire, era tutto troppo quel giorno. -Facciamo che ci penso un attimo okay? Non so se mi sento pronto a tutto quel casino, a quelle persone di cui molte delle quali le ho viste crescere e morire. Ricordati che fino ad un mese fa io ero morto per tutti, ormai mi ero abituato a quella vita. Ci metterò un attimo a tornare alla normalità-.
Harry annuì e Snape fu felice di non vederlo rimanerci male per le sue parole. -Sì certo, pensaci con calma. Tanto sarebbe solo il giorno di Natale, possiamo passare insieme tutti gli altri giorni, se vuoi alla Vigilia possiamo anche invitare Draco e Astoria a cena, che ne pensi? Così stai anche con la tua famiglia-
Snape rise sommessamente e annuì. Aveva perso tutto nell’ultimo mese: Lucius, Narcissa, la casa dei suoi genitori… ma aveva guadagnato un uomo che amava e che voleva la sua felicità, anche a costo di invitare a cena un ragazzo con cui aveva passato gli anni di Hogwarts a litigare. -Mi sembra una buona idea piccolo- e lo guardò arrossire per quel nomignolo. Non riuscì a resistere e lo baciò dolcemente. -E che ne pensi se dopo Natale prendiamo James e andiamo a farci un bel viaggio da qualche parte? Tanto con quella gamba non rientrerai a lavoro tanto presto-.
Gli occhi di Harry si illuminarono e questa volta gli gettò le braccia al collo come un bambino davanti ai regali di Natale. -Penso che sarà il Natale più bello dell’ultimo decennio. Grazie Sev- mormorò sulla pelle sfigurata del suo collo, senza lasciarlo andare.
-Grazie a te per non esserti arreso-.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Il Natale in casa Weasley era forse uno dei giorni più belli dell’anno da quando Harry aveva scoperto di essere un mago.
Quest’anno in particolare Harry si sentiva felice come difficilmente lo era stato negli ultimi mesi, se non anni. L’atmosfera familiare che si respirava lo faceva sentire a casa, ed era circondato dalle persone che amava di più al mondo.
Casa Weasley straripava di gente e Molly impazziva nello stare dietro ai piatti che si cucinavano da soli mentre i bambini correvano infilandosi negli angoli della casa. Victoire, la figlia di Bill e Fleur, si nascose sotto le scale, tenendo stretto tra le manine paffute il peluche di Molly II, la figlia di Percy e Audrey Light, che la rincorreva piangendo a dirotto e strillando. La secondogenita di Percy, Lucy, guardava tutta la scena ridendo, in braccio alla madre.
Victoire era la maggiore delle nipoti Weasley e dall’alto dei suoi quattro anni sgridava tutti i più piccoli e li riempiva di dispetti. A lei seguivano Molly II, di tre anni che era una bambina molto timida e affettuosa, parecchio legata ad Harry, e sua sorella Lucy, di due anni. James invece aveva la stessa età della seconda figlia di Bill e Fleur, Dominique, ed entrambi giocavano in un box per bambini riempito di peluche e giocattoli.
I Weasley non erano però gli unici bambini ad affollare e rendere rumorosa La Tana: Teddy Lupin osservava la folla seduto sul divano accanto al padrino, Harry. Essendo anche lui un Metamorphmagus, nonché il più grande, spesso si divertiva ad intrattenere i piccoli cambiando il suo aspetto, ma quel giorno era troppo preso a recuperare il tempo in cui non aveva visto Harry, quindi si era isolato per stare con il moro, quindi le bambine si erano arrangiate diversamente per passare il tempo, rubandosi i giocattoli.
-Victoire, ridai subito Mr Pinks a Molly- urlò Bill, senza però trattenere un sorriso divertito nel vedere la bambina tenere alto il peluche, fuori dalla portata della piccola Molly.
Harry seguiva tutta la scena con un sorriso affettuoso in volto, seduto sul divano accanto alla stampella che ancora lo accompagnava, e si chiedeva come stesse Severus. Snape infatti aveva deciso all’ultimo di partecipare al pranzo di Natale dai Weasley, ma una volta arrivato e notata la folla di gente che riempiva la cucina di urla si era sentito a disagio e si era isolato in un angolo della casa a parlare distrattamente con Arthur. Ogni tanto lanciava qualche occhiata a Harry, ma si rilassava quando lo vedeva tranquillo a coccolare il figlioccio.
Finalmente il pranzo fu servito e Harry si accomodò tra Severus e Ginny. Quest’ultima non aveva mai accennato alla loro ultima notte insieme e Harry si chiedeva se fosse il caso di dirlo a Snape, ma poi si ricredeva: non stavano ancora insieme, non nel modo in cui stavano ora, quindi lui era libero di andare a letto con la sua ex moglie senza fare spiegazioni a nessuno.
Il pranzo fu caotico come sempre. Non solo c’era tanta gente, ma anche tanti argomenti di discussione. Andromeda Black in Tonks, seduta accanto a Molly, stava raccontando a lei e ad Arthur come fosse vivere da sola con il nipote Teddy, e raccoglieva tutti i preziosi consigli che i due adulti con numerosi figli e nipoti alle spalle avevano da offrirle. Andromeda era rimasta parecchio scossa dalla morte di sua sorella Narcissa, ma per il bene di Teddy non lo aveva dato a vedere.
Accanto a lei, Bill parlava con Charlie e Percy di quale nuova scopa per il Quidditch fosse la migliore quell’anno, mentre George intratteneva Ginny e il piccolo James che la donna teneva in braccio con facce buffe e strani giocattoli. Harry sorrise intenerito davanti a quella scena. Audrey, Fleur e Angelina Johnson parlavano dell’ultimo numero del Settimanale delle Streghe, che a quanto pare aveva nominato qualcuno di poco affascinate come mago della settimana (-Ma ha i denti storti!-, -Da quando non c’è più Lockhart nominano sempre persone scadenti…-).
Severus non sapeva dove guardare invece, sembrava un pesce fuor d’acqua parecchio a disagio. Harry sapeva che Severus aveva accettato di accompagnarlo solo per renderlo felice non perché ne avesse realmente voglia. L’uomo aveva, infatti, passato gli ultimi dieci giorni, ciò il tempo che aveva passato a vivere insieme ad Harry a Godric’s Hollow, alternando crisi di coscienza in cui cercava di lasciare il Prescelto, a momenti di sensi di colpa per come lo aveva trattato dal loro primo bacio. I momenti di tranquillità tra di loro Harry poteva contarli sulle dita di una mano, e solitamente erano le ore di sesso e quando Ginny lasciava James al padre.
Contrariamente a quanto si aspettasse Harry, Severus si era affezionato velocemente al bambino e ora che l’intero Mondo Magico conosceva l’esistenza dell’erede Potter e nessuna minaccia incombeva sulla testa di Severus, i due potevano godersi lunghe passeggiate sulla neve con il bambino di appena nove mesi in braccio.
Ad Harry dispiaceva però che il suo compagno non si stesse godendo il giorno di Natale, quindi smise di parlare con Bill e gli altri di Quidditch e di girò a guardare l’uomo, che teneva lo sguardo duro fisso sul piatto. Per Snape non doveva essere facile abituarsi a tutta quella felicità. Per fortuna gli altri avevano superato abbastanza facilmente lo shock nel vedere Harry frequentare l’ex professore di Pozioni e non facevano pesare la cosa a nessuno dei due. Ron un paio di volte lo aveva preso da parte a lavoro per fargli qualche domanda a cui Harry rispondeva sempre con sincerità, ma nulla di più ed Harry era felice che stessero cercando di superare i vecchi rancori e volessero ammetterlo nella loro famiglia. Se solo Severus si fosse rilassato...
Senza dire nulla Harry allungò una mano sotto il tavolo e la posò sulla gamba di Snape, che gli lanciò un’occhiata perplessa che durò una frazione di secondo prima di sorridere lievemente e posare la mano su quella del ragazzo. Harry riconobbe lo sguardo negli occhi neri del Pozionista e capì che una volta tornati a Godric’s Hollow avrebbe dovuto sventare l’ennesima crisi di rimorsi. Temeva che prima o poi ne sarebbe arrivata una talmente grave da allontanarli nuovamente.
Il pranzo era ormai quasi giunto al termine, gli invitati scoppiavano di cibo ma aspettavano ancora con ansia il dolce, quando Ron, rosso fino alle orecchie, si alzò in piedi tenendo la mano alla moglie. -Io ed Hermione dobbiamo dirvi una cosa- annunciò con voce tremante, facendo piombare la tavolata di gente in un silenzio tombale, rotto solo dalle chiacchiere dei bambini.
Anche Hermione si alzò e, con un sorriso che le illuminava il volto rendendola più bella, si posò una mano sulla pancia. Quasi tutti capirono al volo: Molly scoppiò a piangere e Fleur, Ginny, Audrey e Angelina iniziarono a battere le mani felici. I ragazzi ci misero un po’ a capire, e reagirono solo quando Hermione chiarì -Io e Ron aspettiamo un bambino-.
Il salotto esplose di rumore. Tutti si alzarono in piedi per andare a congratularsi con i due, ci fu un’agitazione generale che colpì anche i bambini finalmente calmi, facendoli tornare a correre intorno al tavolo, inconsapevoli della novità.
Harry era rimasto seduto, impossibilitato ad alzarsi velocemente per via della gamba, e guardava i suoi due migliori amici con gli occhi lucidi. Si sarebbe congratulato dopo con loro, ora voleva lasciarli alle attenzioni di altre mille persone.
-Un’altra testa rossa…- mormorò Severus al suo fianco, passandogli una mano intorno alle spalle e tirandolo a sé. Harry si stupì di quel gesto, Severus non era il tipo da effusioni e coccole in pubblico, a volte nemmeno nel privato. Probabilmente la felicità di quella notizia lo aveva rilassato un po’. -Spero che questa volta venga su con il cervello della signorina Granger-.
Harry si voltò, sorridendo felice e con una nuova luce negli occhi. Gli lasciò un veloce bacio a fior di labbra, approfittando della confusione che ancora dilagava intorno ad Hermione e Ron. -Ron era molto spaventato all’idea di avere un figlio- gli disse, ricordando la conversazione avuta settimane prima con l’amico. Erano successe talmente tante cose da allora che sembrava passata un’eternità. -Ti dispiace se mi fermo un po’ quando tutti se ne sono andati via? Tu torna pure a casa, io devo parlare con lui-
Severus scosse la testa -Posso aspettarti se ti va bene, non mi piace l’idea di lasciarti smaterializzare da solo, sei ancora debole- e indicò la gamba ferita.
Harry annuì, stranamente d’accordo con l’ex professore. Snape aveva ragione: da quando era uscito dal San Mungo, dieci giorni prima, Harry non si sentiva per niente in forze, dormiva quasi sempre quando non era occupato a consolare Severus, e nonostante sembrasse più felice dell’inizio del caso dei Mangiamorte, i suoi incubi sembravano peggiorati al punto che avevano dovuto silenziare la stanza per impedire a James, che a volte dormiva nella stanza che più di vent’anni addietro era appartenuta ad Harry, di svegliarsi. -Grazie-.
 
Il pranzo terminò con il dolce, una stupenda torta al cioccolato immensa con un boccino d’oro al limone che fluttuava tra le scaglie di cacao. Snape aveva sbuffato a tale sfarzosità, ma Harry si era divertito nel vedere suo figlio, che stava in braccio al suo compagno, allungarsi per cercare di afferrare il Boccino.
Si erano tutti spostati in salotto, un po’ per permettere ad Harry di stare seduto sul divano e un po’ perché c’era più spazio, e Ron stava raccontando al Prescelto come avevano fatto a salvarli dalla casa in fiamme di Snape.
-Il Galeone non ci ha avvertiti, probabilmente c’era qualche incantesimo intorno alla casa. Abbiamo capito che eravate in pericolo perché qualcuno ha evocato il Marchio Nero sopra la casa di Snape, e quando ci siamo Materializzati a Spinner’s End la casa era già in fiamme- stava raccontando. Nei giorni precedenti Ron aveva dovuto sostituire Harry, che era ancora convalescente, in ufficio e non aveva avuto tempo per spiegare dettagliatamente a Harry come avessero fatto a salvarli. -Abbiamo dovuto chiamare uno Spezzaincantesimi perché non riuscivamo ad entrare, qualsiasi barriera avessero eretto intorno alla casa ci impediva di avvicinarci. Alla fine siamo riusciti ad entrare, abbiamo trovato Yaxley che veniva divorato dalle fiamme e Selwyn che stava morendo sotto le macerie della casa che stava crollando. Abbiamo catturato Carrow e Mulciber mentre Seamus vi portava fuori. Il resto della storia la conosci-.
Harry annuì, memore ancora del calore delle fiamme magiche sulla pelle e del dolore ad ogni respiro affannoso che faceva. Ricordava ancora la sensazione di vuoto che, nella semi incoscienza, lo aveva attanagliato quando qualcuno lo aveva strappato dalle braccia di Severus. -Il Guaritore ha detto che probabilmente è stato il fumo a impedirmi di svegliarmi. Magia Oscura ha detto-. Aveva fatto numerose visite dopo aver lasciato il San Mungo, ma nessuna di quelle lo aveva portato alla soluzione del suo coma temporaneo, quindi tutti i Medimaghi avevano stabilito che si trattasse di Magia Oscura. Molto probabile, secondo Harry, in fondo stavano parlando di potenti Mangiamorte.
Hermione si sedette accanto al marito e Ron la attirò a sé per la vita, sancendo la fine del discorso. Harry li guardò con un sorriso dolce prima che la sua attenzione venisse attirata da Ginny, che si era avvicinata a lui e ora lo guardava con ansia. -Harry, posso parlarti?-
Harry annuì nuovamente e, capendo che l’intenzione della donna fosse quella di parargli in privato, afferrò la stampella e si avviò verso l’esterno, l’unico posto dove i nessuno aveva voglia di stare data la neve e dove avrebbero avuto la giusta riservatezza. Mentre prendeva la giacca Harry notò che Severus lo stava osservando perplesso e preoccupato, mentre James, ancora in braccio a lui, gli tirava delle ciocche di capelli e Arthur, che fino a quel momento aveva intrattenuto l’uomo parlando di incantesimi, seguì il suo sguardo. Harry fece cenno ad entrambi di stare tranquilli, poi recuperò la giacca lasciata all’ingresso e raggiunse la donna. Notò subito l’agitazione di Ginny: si stava torturando il labbro inferiore e aveva delle profonde occhiaie sul volto, non sapeva come aveva fatto a non notarle subito.
-Cosa c’è che non va?- le chiese mettendole una mano sulla spalla nel vano tentativo di tranquillizzarla.
Ginny abbassò lo sguardo sulla neve e rimase in silenzio per qualche secondo, tanto che Harry si domandò se avrebbe mai parlato, poi con un respiro profondo puntò nuovamente gli occhi in quelli dell’ex marito. -Non so come dirtelo, né come sia successo. Ti giuro, ho fatto attenzione a tutto, è stato un errore, ti prego non arrabbiarti- e una lacrima solitaria rigò le sue guance lentigginose. Non fece in tempo a chiedere cosa fosse successo che Ginny sganciò la bomba –Sono incinta, ed è tuo-.
Harry non rispose. Rimase un minuto intero a guardare la donna con la bocca socchiusa e mille domande per la testa, senza riuscirsi a focalizzare su nulla. Un rumore lo riscosse e vide che Severus, che probabilmente aveva osservato i due dalla finestra, ora era sulla soglia della porta. Non seppe dire se avesse sentito o meno, ma la vista del suo attuale compagno che tanto amava unita a quella della donna che piangeva davanti a lui lo mandarono in crisi e, ancora senza proferire parola, si Smaterializzò.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Severus trovò Harry nell’unico posto in cui lo cercò.
Il terreno davanti alla lapide di James e Lily Potter era gelato, ma al ragazzo non sembrava creare problemi. Se ne stava seduto con la schiena appoggiata alla pietra e la gamba ferita stesa davanti a lui. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma non sembrava aver pianto.
Per un attimo Severus fu indeciso se avvicinarsi a lui o meno, ma Harry alzò lo sguardo e lo vide, e come sempre quegli occhi verdi lo incatenarono. Non sembrava arrabbiato, quindi l’uomo decise di farsi avanti e sedersi accanto a lui senza proferire parola.
Severus non era andato via dalla Tana subito dopo il ragazzo. Aveva osservato la scena tra lui e la minore dei Weasley con una curiosità crescente, ma non aveva indagato. Era rimasto ancora un po’ a parlare con Arthur, perché sapeva che il suo ragazzo aveva bisogno di spazio e di tempo per elaborare qualsiasi cosa lo avesse sconvolto, ma la sua mente era da tutt’altra parte rispetto agli incantesimi di Magia Oscura di cui stava parlando il signor Weasley.
Fu solo quando Ginny scoppiò a piangere in mezzo al salotto che Severus si decise a salutare tutti e a smaterializzarsi davanti alla loro casa di Godric’s Hollow. Per Salazar, ancora non ci credeva. Viveva nella casa di Lily insieme al ragazzo che gli aveva cambiato la vita. Ma ora doveva trovare quel ragazzo e doveva capire cosa fosse successo, il perché fosse scappato via in quel modo da un’allegra festa di Natale.
Non ci dovette pensare più di tanto. Una volta arrivato a casa lasciò tutti i regali che il suo ragazzo aveva ricevuto (ce n’erano un paio anche per lui) e subito si smaterializzò.
Harry tremava, Severus non seppe dire se per il freddo o per qualcos’altro. Il ragazzo sembrava allo stremo delle sue forze, e Severus sapeva che, dopo tutto quello che aveva passato sia da ragazzo che di recente, ora era molto più fragile. Fu per questo che non parlò, che non chiese nulla al ragazzo accanto a sé. Semplicemente rimase lì ad ascoltare i loro respiri che si condensavano in nuvolette bianche davanti a loro. Molte persone andavano e venivano dal cimitero, ma nessuno sembrava notarli. Per fortuna Harry era ancora abbastanza lucido da riuscire a mantenere l’incantesimo di Disillusione attivo.
-Ginny è incinta-. Harry si decise a parlare dopo più di un’ora dall’arrivo di Severus al cimitero.
Snape non rispose, ma si irrigidì notevolmente. Non poteva essere geloso, non ne aveva il diritto, lui ed Harry stavano ufficialmente insieme da meno di una settimana e prima non era altro che un tira e molla giostrato da Severus, quindi non poteva dare la colpa ad Harry se aveva cercato nell’ex moglie quello che lui gli aveva negato a lungo.
-Non so perché sono scappato in quel modo, non ho ragionato- mormorò ancora, finalmente girandosi verso il compagno. Severus vide I suoi occhi verdi liquidi di lacrime e sentì un lieve dolore all’altezza del cuore. -Ginny probabilmente aveva bisogno di me e me ne sono andato-.
Severus lo attirò a sé nonostante dentro di lui combattesse una battaglia con rabbia e dispiacere ai due fronti. -Ora devi pensare a te, Harry. La Weasley capirà e quando tu ti sentirai pronto le andrai a parlare, ma prima devi calmarti- gli sussurrò tenendolo stretto mentre Harry scoppiava a piangere. Gli ricordò quel giorno al quinto anno sulla Torre di Astronomia. -Non è la fine del mondo. Hai già un figlio e sei un bravissimo padre, James ti adora. Cos’è che ti fa stare così?-
Harry prese un profondo respiro e l’odore di pozioni che Snape si portava sempre dietro lo calmò per un attimo. -Non lo so… mi dispiace che nasca da una coppia già distrutta, credo- si staccò dal mantello dell’uomo e tirò su col naso, in un gesto che a Snape ricordò tanto il piccolo figlio di Potter durante un capriccio. -E mi dispiace per Ginny, perché vive da sola e lavora e dovrà crescere due figli da sola-.
-Ma non sarà da sola, Harry. Ha la sua famiglia, e ha te, che la aiuti ogni volta che te lo chiede e lo fai perché ami James e amerai anche il prossimo figlio che nascerà- Severus si stupì di se stesso, perché se da un lato ancora gli bruciava sapere che Harry era andato a letto con l’ex moglie poco prima di mettersi con lui, dall’altro sperava di essere incluso in quella strana vita di famiglia. Aveva sempre pensato che non avrebbe mai avuto dei figli, o un compagno con cui dividere una casa, e anche se i figli non erano i suoi li avrebbe aiutati a crescere, se Harry avesse voluto.
Harry si asciugò il volto con la manica del mantello e sorrise lievemente. -Non pensavo che ti avrei mai sentito pronunciare queste parole- commentò facendo sbuffare l’ex professore -Parli come se li considerassi figli tuoi-.
-Non sono figli miei, ma sono cresciuto in una brutta famiglia e ho visto te crescere in una che ti vedeva come un peso, quindi so come sono fatte le famiglie da evitare- precisò, punto sul vivo dalla frase del ragazzo. -E tu e la Weasley non siete assolutamente quel genere di persone. Avete un sacco di amore da dare alle persone, avete dei valori e degli ideali che trasmetterete ai vostri figli anche se non sarete insieme. Ai bambini basta essere amati-.
Harry sospirò e prese una mano di Severus per iniziare a giocarci distrattamente. -Non ti ho mai detto quanto mi dispiaccia per Lucius e Narcissa- mormorò, sorprendendo il Pozionista. -So che loro erano la tua famiglia e non posso fare altro che sentirmi in colpa per non essere intervenuto prima-.
Severus scosse la testa. Parlare di Lucius gli faceva male, a volte non riusciva a dormire perché appena chiudeva gli occhi vedeva l’amico morire anche se non era presente in quel momento, e spesso si guardava il braccio su cui era tatuato il Marchio Nero per ricordarsi delle loro pessime decisioni e di dove quelle li avessero portati. -Non è colpa tua, ci siamo scelti da soli il nostro destino- distolse lo sguardo dal suo compagno e lo posò sulle tombe circostanti. -Lucius si è fidato troppo di troppe persone, e abbiamo visto com’è andata a finire. Ha trascinato tante persone con sé-.
Harry annuì. -Anche Draco mi ha detto una cosa simile- disse sovrappensiero -Non so come facciate a sopportare una perdita in questo modo. Per me è ogni volta sempre peggio, ancora mi sogno la morte di Sirius…-
Sì, Severus lo sapeva. Nelle ultime notti Harry si era svegliato ben due volte urlando il nome del suo padrino e piangendo poi sulla spalla di Severus, che lo accarezzava dolcemente. -Solo perché non piangiamo non significa che non soffriamo, Harry. Noi Mangiamorte siamo scesi a patti con la nostra morte non appena abbiamo preso il Marchio Nero. Lucius lo sapeva, e anche Narcissa e Draco. Nessuno di noi sarà mai al sicuro finché gente come Yaxley sarà in vita. E dopo il Signore Oscuro verrà un altro mago cattivo, proprio come lui è arrivato dopo Grindelwald. Ma importa poco di noi finché la gente come te, come Dumbledore, si impegnerà a proteggere il Mondo Magico-.
Il ragazzo non seppe che dire. Non aveva mai visto quella faccenda in quel modo, e ora si sentiva stupido ad aver pensato di essere al sicuro. La recente avventura avrebbe dovuto fargli aprire gli occhi. In che mondo dannato vivevano?
-Dai Harry, andiamo a casa, si sta facendo buio- Snape si alzò e tese la mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi, poi insieme si incamminarono verso la loro casa, con Harry che zoppicava vistosamente e Severus con lo sguardo perso nel vuoto.
 
-Ti proteggerò finché ne avrò la forza-.
Harry e Severus giacevano a letto abbracciati e nudi, poco dopo aver fatto l’amore mentre fuori riprendeva a nevicare. Entrambi non avevano parlato molto dopo il rientro nella casa dei Potter ed erano rimasti pensierosi per tutta la sera e durante la cena avevano solo parlato della vacanza imminente che stavano per fare.
Severus quindi si stupì quando Harry tornò sull’argomento, sollevando la testa dal suo petto per guardarlo negli occhi. -Sì, io ti proteggerò. So che sembra stupido, perché sei sempre stato tu quello che proteggeva me, ma è una promessa che voglio farti. Dovessi morire nel farlo-.
Severus sospirò e accarezzò una guancia al ragazzo. -Moccioso…- non sapeva cosa dire, così si sollevò appena e posò le labbra su quelle del Prescelto, coinvolgendolo in un bacio dolce, di quelli che raramente Severus regalava al più giovane. -Stai con me e basta- sussurrò attirandolo di più a sé finché il corpo di Harry non fu completamente sdraiato sul suo.
-Mi aiuterai a crescere i miei figli?- domandò Harry contro le labbra dell’uomo, mentre una mano scendeva tra i due corpi, dando il via ad un nuovo round di passione.
Severus sorrise lievemente, sopprimendo un brivido a quel contatto. -Solo se tu lo vorrai-.
-Io voglio te Sev, pensavo di essere stato chiaro negli ultimi anni- Harry sembrò irritato dalla risposta del professore, e Snape capì che non sarebbero andati oltre. Questa volta sarebbe toccato a lui frenare quelle paranoie, sperava solo di essere bravo nel farlo così come Harry lo era nel fargli rimangiare i rimorsi di coscienza.
-Sì Harry, non era quello che intendevo- mormorò mettendosi seduto sul letto e coprendosi dalla vita in giù con il lenzuolo. -Ma non voglio intromettermi nelle cose tue e di tua moglie-.
-Ex moglie- precisò irritato il ragazzo, sedendosi a sua volta con le braccia incrociate sul petto -E non è intrometterti se sono io a chiedertelo. Inoltre, vivi con me, non sarà tanto facile nascondere a James e al futuro bambino la tua esistenza-.
Severus fu preso dal panico. Non era pronto a quella discussione, gli sembrava peggio di quella che avevano avuto al cimitero poche ore prima. -Harry, non sappiamo nemmeno se staremo ancora insieme tra otto o nove mesi-.
Pessima mossa. Severus sperava di non dover più vedere quella traccia di dolore che ogni tanto passava negli occhi di Harry, e sempre per colpa sua. -Pensavo avessi capito che… che questo- e indicò con un gesto ampio sia la casa che li circondava che loro due -fosse perché mi aspetto un futuro con te. Quando ti ho proposto di vivere insieme cosa pensavi che intendessi? Che saresti rimasto qui finché non avessi trovato una casa migliore?-
No, Harry stava travisando tutto. Perché non era capace di farlo stare bene per più di ventiquattro ore consecutive? -Per Salazar Harry, ma cosa stai dicendo? Non intendo andarmene via di qui, né da te. Non c’è nessun altro posto in cui vorrei stare se non dove sei tu-. Severus da poco aveva messo da parte il suo orgoglio, e durante quelle frasi dovette mordersi parecchie volte la lingua per continuare a pronunciarle. -Ma… Harry, stiamo insieme da poco e già conviviamo. Tu hai un figlio, sei stato sposato per anni e ora stai per avere il tuo secondogenito. Io sono un ex Mangiamorte che ha ucciso un sacco di persone, cosa potrei trasmettere ai figli dell’Eroe del Mondo Magico? Quando si saprà che io, Severus Snape, sto influenzando i figli del Grande Harry Potter loro non avranno vita facile-.
Harry passò dalla tristezza alla rabbia in una frazione di secondo e trucidò l’uomo con lo sguardo. -Cosa influenzerà i miei figli lo decido io, e se io decido che possono stare a contatto con te allora è perché ti ritengo una persona valida, non importa di quello che pensano gli altri. Se i bambini avranno ereditato anche solo un minimo di questo modo di pensare allora non ci saranno problemi. Non vedo perché tu te ne debba preoccupare- si alzò dal letto e recuperò il pigiama sparso a terra, per poi rivestirsi. -Hai ragione su una cosa però: stiamo correndo troppo, ne riparleremo quando nascerà il bambino, intanto James verrà qui come deciso con il divorzio e se tu vuoi esserci o meno non mi importa-.
Ora doveva solo aspettare che il ragazzo sbollisse quella rabbia inutile. Continuare a discutere non li avrebbe portati da nessuna parte, Snape lo sapeva benissimo. Non riusciva però a capire dove avesse sbagliato, né perché Harry se la fosse presa tanto.
-Va bene- disse solamente l’uomo prima di rivestirsi a sua volta e tornare a letto. Osservò con un sospiro il ragazzo steso accanto a sé, che gli dava le spalle, e dopo un po’ lo abbracciò da dietro, facendolo irrigidire. Si aspettava di venire cacciato, perché sapeva che Harry aveva bisogno di spazio per elaborare le emozioni, ma quando il suo compagno non si mosse sorrise sollevato e lo strinse maggiormente contro il suo petto, sentendolo farsi piccolo prima di iniziare a piangere silenziosamente.
Sarebbe stata una lunga notte, la prima delle tante.

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Capitolo 21
*** EPILOGO ***


*Agosto 2008*

-Papà guadda!- urlò un bimbo dai grandi occhi verdi e i capelli castani scompigliati, correndo incontro ai due adulti con la manina tesa verso di loro. -Guadda cosa ho preso!- continuò esaltato tendendo la manina verso l’uomo dai lunghi capelli neri. Sulla sua pelle candida camminava un insetto terrorizzato e sporco di terra.
Severus guardò prima l’animale e poi il bambino con un sorriso compiaciuto. -Sei proprio bravo Al, perché non vai a farlo vedere ai tuoi amici?-
Il bambino ripartì di corsa con le sue corte gambe attraverso il parco giochi, dritto fino ad un gruppetto di bambini fermi davanti alla discesa di uno scivolo. Accanto a Severus, Harry guardava James ed Albus giocare e sporcarsi con un sorriso orgoglioso in volto, mentre sulle sue gambe una vivace bimba dai capelli rossi gli tirava le ciocche di capelli troppo lunghi.
Severus ed Harry stavano insieme da quasi quattro anni e la loro vita andava avanti quasi a gonfie vele. I momenti no erano numerosi, Harry attraversava dei periodi in cui non dormiva di notte e di conseguenza le giornate erano all’insegna di scatti d’ira e attacchi di panico, ma non si poteva dire che non fossero contenti. Le litigate erano all’ordine del giorno, ma entrambi concordavano che quelle servivano solo a rinforzare il loro rapporto, a conoscersi bene e a prendere le misure l’uno con l’altro, e Severus sentiva di crescere come uomo ogni giorno passato con il minore.
Si intendevano al volo su molte cose, ma Snape era ancora molto restio ad adattarsi al nuovo stile di vita e a volte Harry temeva di svegliarsi e non trovarlo più accanto a sé nel letto. Per il momento, quella restava solo una paura, anche perché Severus non mancava mai di dimostrargli quanto ci tenesse a lui.
Dopo quel fatidico Natale le loro vite erano state stravolte in più di un’occasione. Otto mesi dopo era nato il piccolo Albus Potter, la fotocopia del padre, e per Severus era stato amore a prima vista. Ginny aveva concesso subito all’uomo di prendere in braccio il neonato e ci era voluto uno scossone di Potter affinché lo lasciasse andare alle cure della madre. Harry aveva proposto all’ex moglie di dare il nome di Snape al bambino, come secondo nome, ma l’uomo si era opposto.
Albus era un bambino estremamente sveglio e fin troppo simile al padre per molti aspetti, tra le quali la testardaggine contro cui Severus si ritrovava a combattere quotidianamente. Sì, perché da due mesi a quella parte Ginny si era dovuta trasferire in America per lavoro e ci sarebbe rimasta almeno un paio d’anni, quindi i due bambini si erano ritrovati a vivere con i due uomini, che erano ben felici di non doversi più organizzare per poterli vedere una volta a settimana.
Ora si svegliavano ogni mattina con le urla dei due fratelli che discutevano, o con Albus che si lanciava nel loro letto perché aveva fame, o ancora con James che pretendeva di uscire all’alba per poter montare quella sua stupida scopa giocattolo che Harry gli aveva regalato per il compleanno.
E poi era arrivata Lily Luna, la dolce bambina dai capelli rossi che con loro due non aveva nessun legame di sangue. Harry l’aveva trovata sul luogo di un delitto, durante un caso particolarmente cruento che si era rivelato essere un omicidio-suicidio, circa sei mesi prima, e non aveva esitato nel prendere la decisione di adottarla, avendo anche tutto l’appoggio del suo compagno.
Il padre della piccola, un mago che aveva più alcol nelle vene che sangue, aveva avuto uno dei suoi soliti attacchi d’ira e la moglie si era trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Gli Auror ci avevano messo un po’ a capire che la donna, Auror anche lei, non si trovava in vacanza come aveva detto ai suoi colleghi. Avevano quindi fatto irruzione nella sua abitazione, trovandosi davanti alla scena macabra di tre cadaveri completamente ricoperti di sangue, mentre il pianto di una bambina proveniva dal piano superiore.
La scena era stata organizzata fin nei minimi dettagli, rendendo complicato ad Harry e alla sua squadra capire cosa fosse successo. Al primo piano tutti i mobili erano stati ribaltati e svuotati, e al centro del salotto il cadavere della donna era praticamente irriconoscibile, mentre accanto a lei giaceva quello di un uomo. Non avevano notato il corpo di un bambino finché non avevano spostato i due adulti: il primogenito della coppia era stato schiacciato dal corpo della madre, nel tentativo di proteggerlo. Al piano superiore una bambina di soli due mesi strillava, denutrita e spaventata. Per tre giorni era stata senza mangiare e bere mentre i genitori giacevano morti al piano inferiore.
A primo impatto sembrava opera di una rapina finita male: tutti e tre parevano morti a seguito di un colpo di pistola alla tempia e la prima ipotesi di Harry parlava di un Babbano che aveva tentato di rubare nella casa di due maghi. Solo un paio di giorni dopo notarono che in quella casa non mancava nulla di prezioso e che la mano destra dell’uomo era sporca di polvere da sparo. L’uomo aveva ucciso la moglie e il figlio di due anni, prima di inscenare una rapina e uccidersi a sua volta.
Un padre impazzito, e un’intera famiglia era stata distrutta.
Quando Harry aveva visto la bambina sopravvissuta era scoppiato a piangere davanti ai suoi colleghi. Gli sembrava di rivivere la sua infanzia, quando era stato trovato davanti ai cadaveri dei suoi genitori, unico sopravvissuto ad un duplice omicidio, e non aveva avuto dubbi: doveva salvare quella bambina.
Severus era invece più esitante e aveva posto una strenua resistenza davanti alle preghiere del compagno. Era ancora convinto di essere una pessima persona e che non sarebbe stato in grado di crescere un figlio. Un conto era avere a che fare ogni tanto con i due piccoli Potter, e ancora si chiedeva se stesse facendo un buon lavoro, ma avere una bambina in giro per casa era un altro paio di maniche. Harry era quindi passato al piano B e aveva coinvolto James ed Albus, mandandoli da Severus per implorarlo di avere una sorellina. Anche quella mossa aveva avuto scarsi risultati e intanto il tempo passava, Lily si trovava con la nonna anziana, che però soffriva troppo per la perdita della figlia e del nipote per potersi occupare di una neonata.
Alla fine, dopo un mese, Harry aveva preso con la forza Severus e l’aveva portato dall’anziana signora, per presentargli la bambina. Saranno stati i capelli rossi o lo sguardo fragile di Lily, che ai tempi si chiamava solamente Luna, ma per Severus era stata la fine. Si era innamorato di quella creaturina che tanto gli ricordava il suo primo amore e gli sembrava giusto regalarle una nuova vita, un futuro lontano dalle ombre che l’avrebbero perseguitata se fosse restata con una donna sofferente come la nonna.
Erano tornati a casa la sera stessa con un accordo e solo due settimane dopo la bambina viveva con loro, e Severus l’aveva ribattezzata Lily Luna, sia in memoria della madre di Harry , sia per non cancellare completamente le tracce della madre biologica della piccola.
Da due mesi a quella parte, quindi, vivevano in cinque nella casa dei Potter, e a breve si sarebbero anche sposati.
La proposta di matrimonio era arrivata inaspettatamente. I due non avevano mai parlato di sposarsi e sinceramente Harry non pensava che l’uomo fosse un tipo da formalizzare in quel modo la cerimonia. Semplicemente un giorno Harry era andato a lavoro come sempre ed era tornato a casa infreddolito poco prima di cena. Era metà marzo, il compleanno di James era stato solo la settimana prima e la casa era disseminata dei giocattoli nuovi. Anche Severus era rientrato da poco da lavoro: ogni tanto le squadre Auror chiedevano il suo aiuto per l’identificazione di pozioni illegali o veleni magici, e lui era ben felice di rendersi utile.
Severus aveva quindi cucinato una normale cena mentre Harry si faceva una doccia, senza aver notato il volto pensieroso del suo compagno. Avevano cenato parlando del più e del meno, prevalentemente di lavoro e della visita programmata a casa dei Weasley per quel finesettimana, arrivando tranquillamente al dolce che Harry aveva comprato nella pasticceria all’angolo prima di rientrare a casa.
-Sposami- era stata la parola che aveva fulminato Harry, paralizzandolo con una forchettata di torta a mezz’aria tra il piatto e la bocca aperta.
Harry lo aveva fissato con gli occhi verdi spalancati. -Scusa?- si era sbloccato dopo più di un minuto, minuto che Severus aveva passato senza quasi respirare. Potter si maledisse per quella stupida domanda che aveva formulato, era sicuro che ora Severus ci avrebbe ripensato.
Nonostante l’ansia, l’uomo apparentemente sembrava tranquillo. Aveva sganciato quella bomba che era la proposta come se avesse appena chiesto se voleva il bis di pollo, ma dentro di sé stava morendo lentamente nel non sentire una risposta. Ci aveva pensato per mesi, senza mai avere il coraggio di chiederglielo, e non aveva nemmeno organizzato qualcosa. -Ti ho chiesto…- Severus sospirò e alzò lo sguardo dalla torta per fissarlo in quello del compagno. -…se vuoi sposarmi-.
Di certo l’uomo si sarebbe aspettato di tutto: un rifiuto, della gioia esplosiva, un “non lo so, ci devo pensare”, ma non si aspettava quelle lacrime che vide scendere sul volto del ragazzo. -Piccolo, non devi dire per forza di sì…- disse, spaventato da quella reazione. Aveva rovinato tutto, ne era sicuro. Chi mai avrebbe risposto di sì ad una proposta fatta durante una normale cena del giovedì, senza discorsi romantici e nemmeno un anello?
Fu ancora più confuso però quando Harry, senza smettere di piangere, si era alzato e lo aveva raggiunto dall’altra parte del tavolo. -Stai zitto per favore- aveva detto il minore prima di tappare la bocca di Severus con un bacio appassionato e umido per le lacrime. -Sì…- aveva sussurrato sulle sue labbra, aprendosi finalmente in un enorme sorriso.
Severus aveva sentito un enorme peso sollevarsi dal suo petto e aveva sorriso a sua volta, attirando il ragazzo in un abbraccio stretto e costringendolo quindi a sedersi sulle sue gambe. Erano rimasti in quella posizione per più di mezz’ora, con Harry che piangeva di gioia sussurrando “sì, ti sposo” ogni tanto con la faccia immersa nel collo del maggiore, finché Severus non aveva sentito le gambe iniziare a formicolargli per il peso del ragazzo.
A quel punto lo aveva sollevato e si era diretto nella loro stanza, per poi lasciarlo cadere sul materasso e sovrastarlo col suo corpo. Il resto lo si può immaginare.
Harry, quindi, non era mai stato così felice come in quel periodo e sapeva che anche Severus lo fosse: lo poteva veder sorridere ai bambini quando pensava di non essere visto, e quando andavano in visita dai Weasley era molto più rilassato rispetto ai primi tempi. Finalmente Harry poteva godere di una famiglia come l’aveva sempre sognata.
-Harry- Severus lo distrasse dai suoi ricordi, chiamandolo con voce tesa, ed Harry distolse immediatamente lo sguardo da Albus, che si stava arrampicando sullo scivolo al contrario. -Devo dirti una cosa-.
Non era un bene, Severus aveva smesso da un pezzo di dargli brutte notizie e quel tono non gli mancava per niente. -Cos’è successo, Sev?- chiese con sguardo preoccupato mentre Lily gli continuava a tirare le ciocche di capelli in cerca di attenzioni.
L’uomo non parlò subito, si limitò ad allungarsi verso la bambina e a prenderla per rimetterla nel passeggino fermo accanto a loro. Si trovavano nel parco giochi di Godric’s Hollow, un posto che Harry non si ricordava ma che sentiva avesse fatto parte della sua infanzia. Faceva estremamente caldo, ma non abbastanza da impedire ad Harry di rabbrividire per la preoccupazione.
-Minerva mi ha chiesto di tornare ad Hogwarts- disse infine l’uomo -Mi ridarebbe la mia cattedra di Pozioni, dato che Slughorn è morto un mese fa e la cattedra è rimasta scoperta-. Sì, Harry lo ricordava, erano stati al funerale dell’anziano professore e Harry aveva avuto il suo primo incubo dopo sei mesi quella notte.
-Quando te l’ha chiesto?- la voce di Harry tremava, ma sapeva già la risposta. Due settimane prima Severus aveva ricevuto una lettera da Hogwarts e dopo averla letta aveva detto che conteneva solo i saluti e le congratulazioni da parte di Minerva McGonagall a seguito dell’invito al loro matrimonio che le avevano mandato una settimana prima della morte di Slughorn. Harry non aveva sospettato che fosse una bugia.
Severus infatti non rispose, non serviva giustificarsi perché sapeva che Harry aveva capito. -Tornerei nei fine settimana per stare con te e i bambini- disse invece.
-Hai già deciso quindi- non era una domanda, conosceva Severus e sapeva che insegnare gli era sempre piaciuto. Non si aspettava però che sarebbe successo davvero. Si chiese come avrebbe fatto a crescere tre bambini da solo, con il suo lavoro e vedendo Severus solo una volta a settimana. Avrebbe dovuto prendere una babysitter.
-No- bugia -Volevo parlarne con te prima, vorrei che prendessimo una decisione insieme-.
Harry sospirò e si passò una mano nei capelli. Sapeva che quel nodo di tristezza che gli attanagliava lo stomaco fosse esagerato, si sarebbero comunque visti spesso e sicuramente avrebbe ancora potuto contare sull’aiuto di Severus nel caso avesse avuto bisogno. Ma allora perché si sentiva così?
-Sai che non ti impedirei mai di fare qualcosa che so piacerti- esordì dopo quasi un minuto di silenzio -Quindi vai e rendi un inferno la vita dei Gryffindor- sorrise per cercare di sdrammatizzare un po’ la situazione. -Io e i bambini ce la caveremo-.
Severus strinse la mano di Harry prima di sporsi verso di lui e dargli un bacio sulla fronte. Harry rimase sorpreso: il suo compagno non si era mai esposto con gesti affettuosi in pubblico. -Grazie amore, lo apprezzo molto- sussurrò con le labbra ancora contro la sua pelle. Harry sentì il nodo allo stomaco sciogliersi appena. -Prometto che per voi ci sarò sempre-.
Harry ricacciò indietro le lacrime che stavano minacciando di scendere e strinse d’impulso l’uomo in un abbraccio. -Ti amo- sussurrò affondando la faccia nei capelli neri di Severus.
Non se lo dicevano spesso. Non perché non si amassero, ma perché il loro amore si vedeva anche senza parole. Ron diceva che sembravano collegati tra di loro da una catena. Harry non stentava a crederci.
-Ti amo anch’io- rispose Severus, stringendolo a sua volta.
Non c’era nessun motivo per essere tristi, si disse Harry. Non sarebbero stati sicuramente i chilometri a dividerli, si sarebbero sentiti spesso e si sarebbe accontentato di vedere l’uomo una volta a settimana, e avrebbe reso quei pochi giorni indimenticabili per tutta la famiglia. Sì, ce l’avrebbero fatta, Harry non aveva lottato per anni per riavere Severus solo per lasciare che un lavoro li dividesse nuovamente.
Non c’era motivo per essere tristi, si ripeté Harry senza sciogliere l’abbraccio. Avevano tre figli che entrambi amavano, una casa e l’amore tra di loro era indistruttibile.
La cicatrice non gli faceva male da dieci anni. Andava tutto bene.

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